Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea |
Titolo: | Conferenza interparlamentare per la politica estera, la sicurezza e la difesa comuni ' PESC/PSDC |
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari Numero: 66 |
Data: | 30/08/2016 |
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L’azione dell’UE come attore globale deve essere inquadrata nella nuova strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’UE presentata dall’Alta Rappresentante, Federica Mogherini, al Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2016, che ha accolto con favore il documento e invitato l'Alta rappresentante, la Commissione e il Consiglio a portare avanti i lavori per la sua attuazione.
Secondo quando concordato dal Consiglio affari esteri dell’UE del 18 luglio 2016 l’Alta Rappresentante presenterà a settembre 2016 una road map con il quadro delle proposte, comprensivo di uno scadenzario, per avviare l’attuazione della nuova Strategia globale.
Si ricorda che il Consiglio europeo del dicembre 2013 aveva invitato l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE a valutare l’impatto dei cambiamenti nel contesto globale e a riferire al Consiglio nel corso del 2015, anche in vista della revisione della strategia di sicurezza dell’UE del 2003. Il Consiglio europeo del giugno 2015 aveva poi rinviato al Consiglio europeo di giugno 2016 la presentazione della nuova strategia. A partire dall’ottobre 2015 - sulla base di un documento di riflessione presentato al Consiglio europeo del giugno 2015 dall’Alta Rappresentante intitolato “"The European Union in a changing global environment"” - si è svolto un ampio processo di consultazione sulla nuova strategia globale dell’UE, anche attraverso un apposito sito internet.
La nuova strategia aggiorna e sostituisce, alla luce del mutato contesto globale, la strategia europea in materia di sicurezza approvata dal Consiglio europeo nel dicembre 2003.
La nuova Strategia globale si concentra in particolare su:
· l’interconnessione tra sicurezza interna ed esterna dell’UE e il rafforzamento della coerenza tra la dimensione esterna e quella interna delle politiche dell’UE, con particolare riferimento agli ambiti dello sviluppo sostenibile, della migrazione, della lotta al terrorismo, della cibersicurezza e della sicurezza energetica;
· il rafforzamento della resilienza delle democrazie, degli Stati e delle società, ossia della loro capacità di resistenza e riforma in relazione a crisi interne ed esterne, con particolare riferimento agli Stati posti in prossimità dei confini orientali e meridionali dell’UE;
· un approccio integrato alle situazioni di conflitto, sviluppando la capacità dell’UE di intervenire tempestivamente in tutte le fasi del ciclo di un conflitto ed ai diversi livelli di governance locale, nazionale, regionale e globale e di promuovere una pace sostenibile mediante accordi globali sulla base di partenariati regionali e internazionali;
· il rilancio della politica estera e di sicurezza dell’UE che, pur riconoscendo il ruolo della NATO per la difesa collettiva, deve dotarsi di capacità sia per contribuire all’Alleanza atlantica sia per agire autonomamente se e quando necessario in particolare attraverso: una maggiore cooperazione e pianificazione tra gli Stati membri nel settore della difesa, anche facendo ricorso alla cooperazione rafforzata tra gruppi di Stati membri; lo sviluppo di maggiori capacità di risposta rapida alle situazioni di crisi; maggiori investimenti nella sicurezza e difesa, anche nel settore della ricerca; la creazione di una forte industria europea della difesa;
· la promozione di ordini regionali cooperativi, attraverso partenariati regionali ed internazionali e lo sviluppo di una governance globale basata sul diritto internazionale, la tutela e promozione dei diritti umani ed uno sviluppo sostenibile.
La strategia individua i seguenti interessi e principi condivisi per l’azione globale dell’UE:
· promuovere la pace e garantire la sicurezza dei propri cittadini e del proprio territorio sulla
base della constatazione che la sicurezza interna e quella esterna
sono interconnesse: la sicurezza all’interno dell’UE dipende dalla pace al
di là delle sue frontiere esterne;
· migliorare la prosperità dei cittadini europei,
realizzando gli obiettivi di sviluppo sostenibile in tutto il mondo, anche in
Europa. La prosperità dell’UE dipende anche da un sistema economico
internazionale aperto ed equo e dall'accesso sostenibile ai beni pubblici
globali;
· promuovere la resilienza delle democrazie ed un
ordine mondiale basato sulle regole con il multilateralismo come
principio fondamentale e al centro le Nazioni Unite;
· orientare l’azione esterna dell’UE secondo un principio di
pragmatismo, nell’ambito sia di una valutazione realistica dell'attuale
contesto strategico sia dell'aspirazione idealistica a promuovere un mondo
migliore;
·
prevedere che l’azione globale dell’UE si ispiri a
principi di unità, dialogo con il resto del mondo, assunzione
di responsabilità in Europa, nelle regioni limitrofe a est e a sud e a
livello globale, di pari passo con il rilancio di forti partenariati esterni.
Per promuovere gli interessi comuni, l'UE perseguirà le seguenti priorità:
· sicurezza dell’Unione: l’UE dovrà dotarsi di un adeguato livello di
ambizione e di autonomia strategica per promuovere la pace e la sicurezza all'interno
e all'esterno delle sue frontiere. A tal fine verranno intensificati sforzi
in materia di difesa, cibersicurezza, lotta al terrorismo, energia e
comunicazioni strategiche. Gli Stati membri devono tradurre in azioni gli
impegni sanciti dai trattati in materia di assistenza reciproca e di
solidarietà. L'UE intensificherà il contributo alla sicurezza collettiva
dell'Europa lavorando a stretto contatto con i partner, in primo luogo
la NATO;
· resilienza degli Stati e della società ad est (fino in Asia Centrale) e a sud (fino in Africa
centrale): un processo di allargamento credibile, basato su una rigorosa
ed equa condizionalità, è essenziale per migliorare la resilienza dei paesi dei
Balcani occidentali e della Turchia. Nell'ambito della politica
europea di vicinato (PEV), il potere di attrazione verso l’UE può stimolare
la trasformazione nei paesi coinvolti. Ma la resilienza è una priorità anche
oltre l’ambito della PEV: l’UE sosterrà diversi percorsi a favore della
resilienza, puntando ai casi più acuti di fragilità governativa, economica e
sociale, come pure in materia di clima/energia, oltre a sviluppare politiche
migratorie più efficaci per l’Europa e i suoi partner;
· approccio integrato ai conflitti: l’approccio globale alle situazioni di conflitto e
di crisi prevede un impiego coerente di tutte le politiche dell'UE. L'UE
interverrà in tutte le fasi del ciclo del conflitto agendo tempestivamente
sulla prevenzione, rispondendo responsabilmente alle crisi, investendo nella
stabilizzazione e evitando un disimpegno prematuro. L'UE si impegna ad agire ai
diversi livelli di governance: locale, nazionale, regionale e
globale. L'UE promuoverà e appoggerà una pace sostenibile mediante accordi
globali sulla base di partenariati regionali e internazionali;
· ordini regionali cooperativi: l’UE sosterrà forme volontarie di governance regionale che offrano agli Stati e alle popolazioni l'opportunità di gestire meglio le preoccupazioni in materia di sicurezza, cogliere i vantaggi economici della globalizzazione, esprimere più a fondo culture e identità, e incidere sugli affari mondiali;
· Governance globale per il XXI secolo: l'UE si impegna a favore di un ordine globale basato sul diritto internazionale, che garantendo i diritti umani, lo sviluppo sostenibile e l'accesso duraturo ai beni collettivi globali, miri ad una trasformazione piuttosto che al semplice mantenimento del sistema attuale. In tale ambito l'UE si adopererà a favore di un sistema ONU forte, attraverso la riforma del sistema delle Nazioni unite, e svilupperà risposte coordinate a livello globale con le organizzazioni internazionali e regionali, e con gli attori governativi e non. In seno al Fondo monetario internazionale l’UE si adopererà per una rappresentanza sempre più unificata dalla zona euro.
Al fine di realizzare le priorità, la strategia globale indica la necessità di investire collettivamente in:
· un'Unione
credibile: un'Unione più forte impone di investire in tutti gli aspetti
della politica estera. In particolare, sono urgenti gli investimenti
nella sicurezza e nella difesa. Gli Stati membri mantengono la sovranità
nelle decisioni sulla difesa; non di meno la cooperazione nel campo della
difesa deve diventare la norma. L'UE si adopererà, inoltre, per creare una
solida industria europea della difesa, essenziale per l’autonomia
dell’Europa a livello sia decisionale che operativo;
· un'Unione
reattiva: La politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) deve
diventare più reattiva. Si dovrebbe promuovere una cooperazione
rafforzata fra gli Stati membri che potrebbe dar luogo a una forma più
strutturata di cooperazione, sfruttando appieno il potenziale offerto dal
trattato di Lisbona. Anche la politica di sviluppo deve diventare
più flessibile e allinearsi alle priorità strategiche;
· un'Unione coesa:
occorre rafforzare la coesione dell’UE in tutte le sue politiche esterne,
fra Stati membri e istituzioni dell'UE, nonché tra la dimensione
interna e esterna delle politiche. Una maggiore coesione è necessaria in
particolare per l'attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, migrazione
e sicurezza, e per la lotta al terrorismo. Occorre, inoltre,
integrare sistematicamente i diritti umani e le questioni di genere
in tutti i settori d'intervento e in tutte le istituzioni.
Di seguito si sintetizzano in modo più dettagliato le priorità della Strategia globale secondo le differenti aree di azione.
Un adeguato livello di ambizione e di autonomia strategica è importante per la capacità dell'Europa di promuovere la pace e salvaguardare la sicurezza all'interno e all'esterno delle sue frontiere.
L’UE
deve assumersi una maggiore responsabilità per la sua sicurezza e, a
tale fine, deve poter disporre di strumenti, formazioni e organizzazione
migliori per contribuire agli sforzi collettivi in ambito NATO,
nonché per agire autonomamente se e quando necessario.
Occorre
rispettare gli impegni in materia di assistenza reciproca e di solidarietà e
affrontare le sfide che presentano una dimensione sia interna che
esterna, quali il terrorismo, le minacce ibride, la sicurezza informatica ed
energetica, la criminalità organizzata e la gestione delle frontiere esterne.
Nell’ambito della
difesa collettiva, la NATO resta il quadro di riferimento principale.
L'UE approfondirà la cooperazione con l'Alleanza dell'Atlantico del Nord in
complementarità, sinergia e nel pieno rispetto del quadro istituzionale,
dell’inclusione e dell’autonomia decisionale di entrambe.
Lo sviluppo e il
mantenimento delle capacità di difesa richiedono investimenti e
ottimizzazione dell'uso delle risorse nazionali grazie a una più stretta
cooperazione: la sincronizzazione graduale e il reciproco
adeguamento dei cicli di pianificazione della difesa nazionale e delle
pratiche di sviluppo delle capacità possono migliorare la convergenza strategica
tra gli Stati membri.
Gli
Stati membri mantengono la sovranità nelle decisioni in materia di difesa, ma
per acquisire e mantenere maggiori capacità gli Stati membri dovranno
orientarsi di norma alla cooperazione. L'approccio volontario alla
cooperazione in materia di difesa deve tradursi in un autentico impegno. Un processo
di riesame coordinato annuale a livello di UE per discutere dei piani di spesa
militare degli Stati membri potrebbe instillare maggiore coerenza nella
pianificazione della difesa e nello sviluppo di capacità. Tale processo
deve avvenire coerentemente con il processo di pianificazione della
difesa della NATO.
Gli Stati membri devono destinare una quota sufficiente di spesa alla difesa, usare le risorse nel modo più efficiente e soddisfare l'impegno collettivo di destinare all'approvvigionamento di materiali e alla ricerca tecnologia almeno il 20% degli stanziamenti complessivi per la difesa.
Le
capacità dovrebbero essere sviluppate all'insegna della massima
interoperabilità e convergenza e, se possibile, essere messe a disposizione
per sostenere l'UE, la NATO, le Nazioni Unite e altre iniziative
multinazionali. Una strategia settoriale, da sottoporre all'approvazione
del Consiglio, dovrebbe specificare ulteriormente il livello civile-militare
dell'impegno, dei compiti, dei requisiti e delle priorità in termini di
capacità.
Gli Stati membri
devono migliorare la capacita di monitoraggio e controllo con
implicazioni in termini di sicurezza. Ne consegue la necessità di investire
in intelligence, sorveglianza e ricognizione (compresi i sistemi
aerei a pilotaggio remoto), comunicazioni satellitari, accesso autonomo allo
spazio e osservazione terrestre permanente.
Occorre poi investire nelle capacità digitali per rendere sicuri i dati, le reti e le infrastrutture critiche nello spazio digitale europeo.
L'Agenzia
europea per la difesa (AED) avrà un ruolo chiave nel rafforzamento
del piano di sviluppo delle capacità, fungendo da interfaccia tra gli
Stati membri e la Commissione, e assistendo gli Stati membri nello sviluppo di
capacità risultanti dai traguardi politici delineati nella presente strategia.
Il finanziamento
dell'UE in ricerca e tecnologia della difesa, rispecchiato dapprima
nella revisione intermedia del quadro finanziario pluriennale e poi in
un vero e proprio programma nel prossimo ciclo di bilancio, è
fondamentale nello sviluppo di capacità di difesa di cui l'Europa ha bisogno.
Un'industria
europea della difesa sostenibile, innovativa e competitiva è essenziale per
l'autonomia strategica dell'Europa e per la credibilità della PSDC. Inoltre,
essa può stimolare la crescita e l'occupazione. Essa richiede un mercato
interno equo, funzionante e trasparente, approvvigionamenti sicuri e
un dialogo strutturato con le industrie del settore della difesa. La partecipazione
delle piccole e medie imprese (PMI) al settore della difesa, potrà
migliorare l'innovazione e gli investimenti nelle tecnologie militari del
futuro.
La capacità di risposta rapida in ambito PSDC deve essere rafforzata. A tal fine gli Stati membri devono potenziare la schierabilità e l'interoperabilità delle rispettive forze mediante attività di formazione ed esercitazioni. Occorre eliminare gli ostacoli procedurali, finanziari e politici che impediscono lo schieramento dei gruppi tattici, si frappongono alla costituzione della forza e riducono l'efficacia delle operazioni militari PSDC.
Occorre potenziare
ulteriormente le missioni civili incoraggiando la costituzione della
forza, accelerando lo schieramento e fornendo la formazione adeguata sulla base
di programmi validi in tutta l'UE.
La
PSDC richiede una razionalizzazione della struttura istituzionale,
rafforzando la pianificazione operativa e le strutture di condotta e
stabilendo una più stretta connessione tra le strutture e le missioni civili
e militari. In tale settore in particolare andrebbe esaminata la
possibilità di forme di cooperazione rafforzata tra gli Stati membri.
Per gli approfondimenti sulla discussione in corso a livello europeo sulla difesa si rimanda alla scheda per il workshop C “Verso una Unione europea per la difesa: un libro bianco come primo passo”.
Sono essenziali maggiori
investimenti e solidarietà in materia di antiterrorismo. A tal fine occorre
incoraggiare una maggiore condivisione di informazioni e una più intensa
cooperazione in materia di intelligence tra Stati membri e
agenzie dell'UE.
In ordine all'antiterrorismo gli Stati membri devono attuare la legislazione in materia di esplosivi, armi da fuoco e codici di prenotazione (PNR), nonché investire nelle capacità di individuazione e nel rintracciamento transfrontaliero delle armi.
L’UE si adopererà per combattere la radicalizzazione, ampliando i partenariati con la società civile, gli attori sociali, il settore privato e le vittime del terrorismo, nonché mediante il dialogo interculturale e interreligioso.
A tale proposito si ricorda che dopo aver presentato la comunicazione “Attuare l'Agenda europea sulla sicurezza per combattere il terrorismo e preparare il terreno per l'Unione della sicurezza” (COM(2016)230), che valuta la realizzazione dell'Agenda europea sulla sicurezza dell’aprile 2015 in relazione a specifiche questioni operative, individua le carenze attuative nella lotta contro il terrorismo e identifica gli ulteriori interventi necessari per risolverle (con una tabella di marcia verso un'Unione della sicurezza operativa ed efficace), la Commissione europea, in data 14 giugno 2016, ha presentato la comunicazione “Sostenere la prevenzione della radicalizzazione che porta all'estremismo violento” (COM(2016)379), che definisce sette aree specifiche di intervento: 1) contrastare la propaganda terroristica e gli incitamenti all'odio illegali online; 2) affrontare il problema della radicalizzazione nelle carceri; 3) promuovere un'istruzione inclusiva e i valori comuni dell'UE; 4) promuovere una società inclusiva, aperta e resiliente e interagire con i giovani; 5) rafforzare la collaborazione internazionale aiutando i paesi terzi che si confrontano con sfide analoghe nella lotta alla radicalizzazione attraverso strategie di enforcement e approcci rispettosi dei diritti umani; 6) sostenere la ricerca, la raccolta di informazioni, il monitoraggio e le reti; 7) prestare attenzione alla dimensione securitaria con misure di contrasto immediate e a lungo termine, come i divieti di viaggiare verso paesi terzi a fini terroristici.
L'UE intende rivolgere maggiore attenzione alla cibersicurezza, dotandosi dei mezzi necessari per tutelarsi contro le minacce informatiche, mantenendo nel contempo un ciberspazio aperto, libero e sicuro.
Ciò comporterà il potenziamento delle capacità tecnologiche volte ad attenuare le minacce e della resilienza delle infrastrutture, delle reti e la promozione di sistemi innovativi di tecnologia dell'informazione e della comunicazione (TIC) che garantiscano a un tempo la disponibilità e l'integrità dei dati e la sicurezza all'interno dello spazio digitale europeo.
Le questioni riguardanti la cibersicurezza devono permeare tutti i settori politici e, in tale ambito, saranno necessari il rafforzamento della cooperazione con gli Stati Uniti e la NATO e lo sviluppo di partenariati pubblico-privato.
In proposito, lo scorso 5 luglio la Commissione europea ha presentato un piano d’azione che prevede l’avvio del primo partenariato europeo pubblico-privato per la sicurezza informatica COM(2016)410, volto a promuovere la cooperazione fin dalle prime fasi della ricerca e dell'innovazione e a sviluppare soluzioni di cibersicurezza per settori quali l’energia, la sanità, i trasporti e la finanza.
In
linea con gli obiettivi dell'Unione dell'energia, l'UE punterà a diversificare
le sue fonti energetiche, le sue rotte e i suoi fornitori, in particolare
nel settore del gas, nonché a promuovere gli standard di sicurezza nucleare
più elevati nei paesi terzi.
Dovranno essere rafforzate le relazioni con paesi produttori di energia e di transito affidabili sostenendo inoltre la creazione di infrastrutture che consentano a fonti diversificate di raggiungere i mercati europei.
Gli accordi vincolanti in materia di infrastrutture con i paesi terzi - suscettibili di avere effetti diversificati sulla sicurezza dell'approvvigionamento all'interno dell'Unione o ostacolare il funzionamento del mercato interno dell'energia - devono essere trasparenti e tutte le nuove infrastrutture devono essere pienamente conformi alla normativa UE.
Sul piano interno, l'UE si adopererà per un mercato interno dell'energia pienamente funzionante, si concentrerà sull'energia sostenibile e sull'efficienza energetica e svilupperà in maniera coerente infrastrutture a flusso invertito, di interconnessione e di stoccaggio di gas naturale liquefatto (GNL).
In merito, lo scorso 16 febbraio la Commissione
europea ha presentato un pacchetto di misure in materia di sicurezza
energetica contenente:
· una proposta di regolamento COM(2016)52, volta a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas per far fronte ad un’eventuale carenza di gas causata da perturbazioni concernenti la fornitura o da una domanda straordinariamente elevata;
· una comunicazione COM(2016)49, relativa ad una Strategia per il gas naturale liquefatto (GNL) e lo stoccaggio del gas, finalizzata a valorizzare le potenzialità del gas naturale liquefatto (GNL) e dello stoccaggio del gas, al fine di migliorare il livello di diversificazione, flessibilità e resilienza dell’Europa;
· una comunicazione COM(2016)51, contenente la strategia dell’UE in materia di riscaldamento e raffreddamento, volta a rendere più efficiente e sostenibile il riscaldamento e il raffreddamento degli edifici.
La politica di
allargamento dell’UE dovrà essere credibile e basata su una rigorosa
ed equa condizionalità.
In tale ambito, le sfide della migrazione, della sicurezza energetica, del terrorismo e della criminalità organizzata sono condivise tra l'UE, i Balcani occidentali e la Turchia.
La sfida strategica per l'UE è quella di promuovere le riforme politiche, lo Stato di diritto, la convergenza economica e relazioni di buon vicinato nei Balcani occidentali e in Turchia e nel contempo perseguire coerentemente la cooperazione in diversi settori.
Sull’allargamento, con riferimento in particolare ai Balcani occidentali, si rimanda alla scheda per la Sessione II “I Balcani occidentali e l’UE: cooperazione e integrazione”.
L’UE si impegna
nell’ambito della politica europea di vicinato (PEV) a sostenere i paesi del
partenariato orientale e del Mediterraneo meridionale nell'attuazione
degli accordi di associazione, compresi gli accordi di libero scambio (ALS)
globali e approfonditi.
Verranno, inoltre, valutate nuove modalità per approfondire ulteriormente i partenariati su misura come: la creazione di uno spazio economico con i paesi che attuano ALS globali; l'ampliamento delle reti transeuropee e della comunità dell'energia; lo sviluppo delle connessioni fisiche e digitali.
Saranno inoltre potenziati i collegamenti a livello della società civile attraverso una maggiore mobilità, scambi culturali e educativi, la cooperazione nel settore della ricerca e attraverso le piattaforme della società civile.
Per gli approfondimenti sulla discussione in corso a livello europeo sulla politica di vicinato si rimanda alla scheda per il workshop A “Il vicinato orientale dell’UE e oltre: priorità, prospettive e sfide”.
L'UE
perseguirà un approccio poliedrico alla resilienza nelle regioni che la
circondano, oltre quelle interessate dalla politica di allargamento o vicinato,
attraverso politiche calibrate a sostegno di una governance inclusiva e
responsabile, essenziale per la lotta contro il terrorismo, la corruzione e la
criminalità organizzata e per la tutela dei diritti umani.
In tali regioni l'UE adotterà un approccio integrato alle politiche umanitarie, di sviluppo, migratorie, commerciali, di investimento, infrastrutturali, sanitarie, dell’istruzione e della ricerca, e migliorerà la coerenza orizzontale tra l'UE e i suoi Stati membri.
La resilienza della società sarà rafforzata intensificando le relazioni con la società civile.
L'UE cercherà, inoltre, di migliorare la resilienza energetica e ambientale promuovendo l’assistenza ai paesi partner in un percorso di transizione energetica e di azione per il clima.
Uno dei punti
centrali dell’azione dell’UE volta a sostenere la resilienza riguarderà
i paesi di origine e di transito dei migranti e dei rifugiati.
L’UE intende potenziare in misura considerevole gli sforzi umanitari in tali paesi, concentrandosi sull'istruzione, le donne e i minori. Dovranno essere sviluppati - insieme ai paesi di origine e di transito - approcci comuni e su misura alla migrazione che coprano sviluppo, diplomazia, mobilità, migrazione legale, gestione delle frontiere, riammissione e rimpatrio.
Insieme ai paesi di origine dovranno essere affrontate le cause profonde degli spostamenti forzati e combattuta la criminalità transfrontaliera.
Dovranno essere migliorate le capacità dei paesi di transito in materia di accoglienza dei migranti, promuovendo l'istruzione, la formazione professionale e le possibilità di sussistenza dei migranti.
I flussi irregolari dovranno essere interrotti rendendo più efficaci i rimpatri e garantendo i canali di migrazione legali e circolari esistenti.
Si dovrà lavorare per un sistema europeo comune di asilo più efficace, che tuteli il diritto di chiedere asilo garantendo l'arrivo sicuro, regolamentato e legale di rifugiati che cercano protezione internazionale nell'UE.
Al tempo stesso, la cooperazione con i partner internazionali dovrà garantire responsabilità e solidarietà globali condivise. A tal fine verranno istituiti partenariati più efficaci in materia di gestione della migrazione con le agenzie dell'ONU, gli attori emergenti, le organizzazioni regionali, la società civile e le comunità locali.
Occorrerà, infine, superare la frammentazione delle politiche che riguardano la migrazione. La questione della migrazione dovrà entrare sia nelle diverse politiche e strumenti esterni, da diplomazia e PSDC a sviluppo e clima, sia nelle politiche interne concernenti gestione delle frontiere, sicurezza interna, asilo, occupazione, cultura e istruzione.
Per gli approfondimenti sulla discussione in corso a livello europeo sulla politica di migrazione si rimanda alla scheda per il workshop B “Sviluppo sostenibile e migrazione: verso un approccio globale”.
La politica di sviluppo dell’UE deve
diventare più flessibile e maggiormente allineata con le priorità
strategiche. Si ribadisce l’impegno collettivo a raggiungere l'obiettivo
dello 0,7% dell'APS/RNL (rapporto tra gli aiuti pubblici allo sviluppo e
Reddito nazionale lordo). Gli strumenti finanziari della politica di
sviluppo dovrebbero essere resi più flessibili nell’ambito della
programmazione pluriennale, con particolare riguardo alla disponibilità di
somme limitate per attività in loco, segnatamente per la prevenzione dei
conflitti e il sostegno alla società civile. Parallelamente, occorre anche
considerare la possibilità di ridurre il numero di strumenti, così da
rafforzare la coerenza e flessibilità dell’UE, aumentando al contempo
l'importo complessivo destinato allo sviluppo.
L'UE si impegna a rafforzare
il Servizio per l’azione esterna dell’UE (SEAE) e ad assicurare un migliore
coordinamento a livello di istituzioni e di Stati membri.
La rete delle delegazioni dell’UE nel mondo dovrà essere rafforzata, dotandole delle competenze necessarie e valorizzando l'esperienza acquisita nella regione.
Occorrerà migliorare il sistema di allerta rapida per la prevenzione dei conflitti attraverso una maggiore condivisione delle informazioni e una comunicazione, un'analisi e una pianificazione della risposta congiunte tra le ambasciate degli Stati membri, le delegazioni dell'UE, i servizi della Commissione, i rappresentanti speciali dell'UE e le missioni in ambito PSDC.
La gestione delle
relazioni con la Russia rappresenta per l’UE una sfida strategica.
Un approccio coerente e unitario deve restare il fondamento della
politica dell'UE nei confronti della Russia. Modifiche sostanziali nelle
relazioni fra l'UE e la Russia presuppongono il pieno rispetto del diritto
internazionale e dei principi su cui si basa l'ordine di sicurezza europeo.
L’UE non riconoscerà l'annessione illegale della Crimea da parte della
Russia, né accetterà la destabilizzazione dell'Ucraina orientale. L’UE
si impegna a rafforzare la resilienza dei paesi del vicinato orientale e
sostenere il loro diritto a determinare liberamente il proprio approccio
all'UE.
Al tempo stesso, l'UE e la Russia sono interdipendenti. È quindi necessario dialogare con la Russia per esaminare i punti di disaccordo e collaborare se e quando convergano i rispettivi interessi. Oltre che su temi di politica estera, si potrebbe avviare un dialogo selettivo su alcune questioni quali il clima, l'Artico, la sicurezza marittima, l'istruzione, la ricerca e la cooperazione transfrontaliera. Il dialogo dovrebbe riguardare anche legami più profondi a livello delle società mediante la facilitazione dei viaggi per gli studenti, la società civile e il mondo degli affari.
L'UE
seguirà cinque linee d'azione:
1. nel Maghreb e in Medio Oriente sosterrà la cooperazione funzionale multilaterale, in particolare su questioni quali la sicurezza delle frontiere, i traffici illegali, l'antiterrorismo, la non proliferazione, la disponibilità di risorse idriche e alimentari, l'energia e il clima, le infrastrutture e la gestione delle catastrofi.
Verrà promosso il negoziato riguardo ai conflitti regionali in Siria e in Libia. Per quanto concerne il conflitto israelo-palestinese, l'UE opererà a stretto contatto con il Quartetto (ONU,UE, Russia e Stati uniti), la Lega araba e tutti i soggetti principali per mantenere la prospettiva di una soluzione fondata sulla coesistenza di due Stati in base alle linee di confine del 1967 con scambi di territori equivalenti;
2.
approfondirà
la cooperazione settoriale con la Turchia, sforzandosi nel contempo di
agganciare la democrazia del paese ai suoi criteri di adesione, tra i quali la normalizzazione
delle relazioni con Cipro. L'UE proseguirà il processo di
adesione, attenendosi a criteri di condizionalità rigorosi ed equi,
e impegnandosi in un processo di dialogo sulla lotta al terrorismo, sulla
sicurezza regionale e sui rifugiati. Altri settori di dialogo con la
Turchia riguarderanno un'unione doganale moderna, la liberalizzazione dei
visti, l'istruzione, l'energia e i trasporti;
3.
perseguirà
un dialogo equilibrato con i paesi del Golfo, continuando a collaborare
con il Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG) come con i singoli paesi della
regione. Sulla base dell'accordo sul nucleare iraniano e sulla sua attuazione,
l'UE svilupperà gradualmente il dialogo con l'Iran in settori quali
commercio, ricerca, ambiente, energia, lotta ai traffici illegali, migrazione e
scambi sociali. Approfondirà il dialogo con l'Iran e i paesi del CCG
in tema di conflitti regionali, diritti umani e antiterrorismo, cercando
di impedire l'effetto di contagio delle crisi in corso;
4.
appoggerà
la cooperazione tra il Nord Africa e l'Africa
subsahariana, nonché tra il Corno d'Africa e il Medio Oriente alla luce
delle loro crescenti interconnessioni e allo scopo di far fronte alle sfide
condivise in materia di sicurezza e di sfruttare le opportunità economiche.
Dovranno essere affrontate più sistematicamente le dinamiche transfrontaliere
nell'Africa settentrionale e occidentale, il Sahel e le regioni del lago Ciad
anche grazie a legami più stretti con l'Unione africana, la Comunità economica
degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS) e i paesi del G5 Sahel (Mauritania,
Mali, Burkina Faso, Niger e Chad);
5.
investirà
nella pace e nello sviluppo dell'Africa, intensificando la cooperazione
per la crescita e l'occupazione in Africa e promuovendo un salto di
qualità degli investimenti europei in Africa, anche attraverso accordi
di partenariato economico.
L’UE continuerà a sostenere gli sforzi a favore della pace e della sicurezza in Africa, assistendo le organizzazioni africane nella loro opera di prevenzione dei conflitti, di lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, di gestione della migrazione e delle frontiere, attraverso la diplomazia, la politica di sicurezza e di difesa comune e lo sviluppo, come pure tramite fondi fiduciari a difesa delle strategie regionali.
Le priorità dell’Ue nelle relazioni transatlantiche saranno:
· l’approfondimento del partenariato con la NATO attraverso lo sviluppo coordinato della capacità di
difesa, esercitazioni parallele e sincronizzate;
· un'agenda commerciale ambiziosa e regolamentata nell’ambito dei negoziati con gli Stati Uniti, per un partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) e dell'accordo economico e commerciale globale (CETA) con il Canada;
I negoziati sul TTIP, avviati il 17 giugno 2013, sono giunti al quattordicesimo round negoziale, tenutosi a Bruxelles dall’11 al 15 luglio 2016. L’obiettivo dell’UE è quello di impegnarsi per concludere i negoziati alla fine del 2016 soltanto se il risultato sarà un accordo ambizioso ed equilibrato. Si ricorda che il Ministro per lo sviluppo economico, Carlo Calenda, in occasione di un incontro sul TTIP svoltosi presso la Camera dei deputati il 5 luglio 2016, ha affermato che l’accordo potrebbe non concludersi a causa dei negoziati troppo lunghi. A seguito della conclusione dei negoziati per l’accordo CETA, il 5 luglio 2016 la Commissione europea ha presentato al Consiglio UE la proposta riguardante la firma e la conclusione dell'accordo. La piena entrata in vigore dell’accordo sarà subordinata alla conclusione dell'accordo da parte dell'UE, con decisione del Consiglio e approvazione del Parlamento europeo, e da parte di tutti gli Stati membri sulla base delle pertinenti procedure di ratifica nazionali.
· la cooperazione con gli USA - che nell’ambito dell’Agenda sulla sicurezza resta il partner principale dell’UE - e il Canada sulla gestione delle crisi, l'antiterrorismo, la cibersicurezza, la migrazione e l'azione per l'energia e il clima;
· partenariati più forti con l'America latina e i Caraibi. L’UE cercherà di giungere a un accordo di libero scambio con i paesi del Mercosur, svilupperà le relazioni con Cuba e investirà in rapporti socio-economici più profondi con i paesi dell'America latina e dei Caraibi attraverso agevolazioni in materia di visti, scambi di studenti, gemellaggi, cooperazione nella ricerca e progetti tecnici.
L'UE avvierà un dialogo
con la Cina sulla base del rispetto dello stato di diritto, a livello sia
interno che internazionale. L'UE approfondirà inoltre gli scambi e gli
investimenti con la Cina, cercando di ottenere parità di condizioni,
un'adeguata tutela dei diritti di proprietà intellettuale, maggiore
collaborazione sulle tecnologie di punta e un dialogo sulle riforme
economiche, i diritti umani e l'azione per il clima.
In parallelo, l'UE approfondirà la sua diplomazia economica nella regione, adoperandosi per la conclusione di accordi di libero scambio con partner strategici, quali Giappone e India, nonché gli Stati membri dell'ASEAN, nella prospettiva di un possibile accordo UE-ASEAN.
L’UE intende contribuire maggiormente alla sicurezza asiatica, in particolare attraverso partenariati, anche sulla sicurezza, con il Giappone, la Repubblica di Corea, l'Indonesia e altri paesi. Continueranno a essere sostenuti i processi di sviluppo dello Stato e di riconciliazione in Afghanistan insieme con i suoi partner regionali e internazionali, e verrà promossa la non proliferazione nella penisola coreana.
Nell'Asia orientale e sudorientale l’UE si impegna a difendere la libertà di navigazione, sostenere il rispetto del diritto internazionale, incluso il diritto del mare e le sue procedure arbitrali.
In Asia centrale e meridionale verrà approfondita la cooperazione nella lotta al terrorismo, ai traffici illegali e alla migrazione, rafforzando la connettività riguardo a trasporti, scambi ed energia.
Nelle regioni dell'Indo-Pacifico e dell'Asia orientale, l'UE promuoverà i diritti umani e appoggerà le transizioni democratiche.
Di seguito alcune tabelle relative a dati statistici di confronto tra Unione europea e altri Stati su popolazione, crescita economica e scambi commerciali a cura di Eurostat.
Popolazione e
densità di popolazione 1960, 1985 e 2013
Quota della popolazione mondiale 1960-2013
Proiezioni della popolazione e della densità
Quote del PIL mondiale in percentuale 2003-2013
Tasso di crescita a prezzi costanti per abitante
2003-2013 (la dimensione di
ciascun circolo corrisponde al valore complessivo del PIL a prezzi correnti
2013 per paese; il circolo in verde si riferisce al dato relativo all’Unione
europea; l’asse orizzontale si riferisce al tasso di crescita medio 2003-2013
per paese; l’asse verticale si riferisce al PIL pro capite 2013 in dollari).
Principali partner commerciali
dell’Unione europea
Quota del commercio
mondiale in beni e servizi per paese
Il programma di lavoro della Presidenza slovacca del Consiglio dei ministri dell’UE (1° luglio – 31 dicembre 2016) indica il rafforzamento dell’Europa nel contesto globale come una delle sue 4 priorità principali.
Le altre tre priorità sono: rendere l’Europa più forte economicamente; modernizzare il mercato unico; politiche sostenibili per la migrazione e l’asilo.
In particolare, la Presidenza slovacca intende impegnarsi per:
· una
maggiore coerenza delle politiche esterne dell’UE e un maggiore coordinamento
tra la politica esterna e la politica di sicurezza interna all’UE.
Particolare attenzione verrà data all’attuazione della nuova strategia
globale per la politica estera e di sicurezza dell’UE;
· rafforzare la politica di vicinato dell’UE con
l’obiettivo di una stabilizzazione delle aree di vicinato dell’UE e dello
sviluppo delle relazioni con i paesi partner. Per quanto riguarda i paesi del partenariato
orientale, particolare enfasi sarà data a: la stabilizzazione di tali paesi
in ambito politico e di sicurezza; il prosieguo del processo di riforme;
l’applicazione degli accordi di associazione; i progressi sulla
liberalizzazione dei visti. Per quanto riguarda i paesi del vicinato
meridionale, prioritari saranno lo sviluppo del dialogo e della
cooperazione nel settore della stabilità politica, dell’economia e della
sicurezza, fornendo in particolare assistenza agli sforzi diplomatici
internazionali per risolvere le situazioni di crisi;
· dare impulso alla politica di allargamento, conseguendo progressi nel processo di avvicinamento dei paesi candidati;
I paesi che attualmente hanno status di paese candidato sono: Albania (da giugno 2014), ex Repubblica iugoslava di Macedonia (dal dicembre 2005), Montenegro (da giugno 2012), Serbia (da marzo 2012) e Turchia (da dicembre 2004). Si ricorda che il Presidente della Commissione europea Juncker, ad inizio del suo mandato, ha espressamente escluso la possibilità di nuove adesioni all’UE nel breve e nel medio periodo. Per quanto riguarda in particolare la Turchia, il processo di adesione all’UE è stato recentemente rilanciato contestualmente alla definizione dell’accordo tra Turchia e UE in tema di migrazione.
· rafforzare
le relazioni transatlantiche, sviluppare relazioni con altri partner
strategici dell’UE e promuovere la cooperazione con altre organizzazioni
internazionali, in particolare con la NATO;
· concentrarsi
sui negoziati in corso per la stipula di accordi commerciali bilaterali con
paesi terzi, e in particolare sui negoziati per l’accordo TTIP (Transatlantic
Trade and Investment Partnership);
Si ricorda che il Ministro per lo sviluppo economico, Carlo Calenda, in occasione di un incontro sul TTIP svoltosi presso la Camera dei deputati il 5 luglio 2016 ha affermato che l’accordo potrebbe non concludersi a causa dei negoziati troppo lunghi. La Commissione europea il 6 luglio ha inoltre indicato che l’accordo di libero scambio con il Canada (CETA) deve essere considerato misto e quindi sottoposto alla ratifica da parte degli Stati membri dell’UE secondo le rispettive norme costituzionali.
·
dare
impulso alla politica dell’UE per la cooperazione allo sviluppo, con
priorità al conseguimento degli obiettivi della Agenda 2030 e al
dibattito sulle future relazioni con il gruppo dei paesi ACP (Africa,
Caraibi e Pacifico), e particolare riferimento al miglioramento delle coerenza
delle politiche per lo sviluppo volte a fronteggiare le crisi
migratorie.
L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione sottoscritto nel settembre 2015 dai Governi dei 193 paesi membri dell’ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile - Sustainable Development Goals, SDGs - in un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi.
L’articolo 24, paragrafo 2 del Trattato sull’Unione europea (TUE) prevede la realizzazione di una politica estera e di sicurezza comune fondata sullo sviluppo della reciproca solidarietà politica degli Stati membri, sull'individuazione delle questioni di interesse generale e sulla realizzazione di un livello di convergenza delle azioni degli Stati membri.
La PESC resta un settore d'azione prevalentemente intergovernativo nel quale il ruolo del Consiglio europeo e del Consiglio dei ministri dell’UE è preponderante.
Le
disposizioni sulla politica estera e di sicurezza comune e sulla politica di
sicurezza e difesa comune sono essenzialmente contenute nell’articolo 21 del
TUE, che indica i seguenti obiettivi per la politica estera
comune dell’UE:
· salvaguardia dei valori, degli interessi fondamentali, della sicurezza, dell'indipendenza e dell'integrità dell'Unione Europea;
· consolidamento e sostegno alla democrazia, allo Stato di diritto, ai diritti umani e ai principi del diritto internazionale;
· preservazione della pace, prevenzione dei conflitti e rafforzamento della sicurezza internazionale;
· sviluppo sostenibile dei paesi in via di sviluppo sul piano economico, sociale e ambientale, con l'obiettivo primo di eliminare la povertà;
· incoraggiamento dell'integrazione di tutti i paesi nell'economia mondiale;
· contributo all'elaborazione di misure internazionali volte a preservare e migliorare la qualità dell'ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali mondiali, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile;
· aiuti alle popolazioni, ai paesi e alle regioni colpiti da calamità naturali o provocate dall'uomo;
· promozione di un sistema internazionale basato su una cooperazione multilaterale rafforzata e del buon governo mondiale.
Con il Trattato di Lisbona viene esplicitamente evocata la prospettiva di una difesa comune, o comunque la definizione di una politica di difesa comune, i cui principi erano già stati stabiliti nel Trattato di Maastricht.
L’articolo 42, paragrafo 2 del TUE dispone che la decisione di creare una difesa comune sia adottata dal Consiglio europeo che delibera all'unanimità; essa esige anche l'approvazione di tutti gli Stati membri secondo le rispettive procedure costituzionali.
Il perseguimento della politica di sicurezza e di difesa comune non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri e rispetta gli obblighi derivanti dal Trattato del Nord-Atlantico per gli Stati membri che ritengono che la loro difesa comune si realizzi tramite la NATO.
Tra le principali innovazioni introdotte dal Trattato di Lisbona si ricordano:
· la possibilità di creare, con decisione del Consiglio che delibera a maggioranza qualificata, una cooperazione strutturata permanente in materia di difesa tra gli Stati membri che hanno le capacità militari necessarie e la volontà politica di aderirvi (v. oltre);
· l’istituzionalizzazione dell’Agenzia europea per la difesa, incaricata di individuare e, se del caso, mettere in atto qualsiasi misura utile a rafforzare la base industriale e tecnologica dell’industria della difesa; partecipare alla definizione di una politica europea delle capacità e degli armamenti. L’Agenzia europea per la difesa è stata ufficialmente istituita nel luglio 2014 ed ha sede a Bruxelles;
· l’istituzione di un fondo iniziale per
finanziare le attività preparatorie delle attività militari dell’Unione
europea; il fondo dovrebbe facilitare il dispiegamento delle operazioni
militari.
Il Trattato di Lisbona ha rafforzato inoltre la solidarietà tra gli Stati membri attraverso:
· la creazione di una clausola di solidarietà tra gli Stati membri in caso di attacco terroristico o di catastrofe naturale o di origine umana;
· la creazione di una clausola di mutua assistenza in caso di aggressione armata.
Il TUE (art. 42,
paragrafo 6 e art. 46) dispone che gli Stati membri che rispondono ai criteri
più elevati di capacità militari e che hanno sottoscritto gli impegni sulle
capacità militari previsti dal protocollo n. 10 sulla cooperazione strutturata
permanente, possono stabilire una cooperazione strutturata permanente
nell’ambito dell’Unione.
La procedura prevede che gli Stati membri intenzionati a partecipare alla cooperazione strutturata notifichino la loro intenzione al Consiglio e all’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Entro tre mesi dalla notifica, il Consiglio adotta una decisione che istituisce la cooperazione strutturata permanente e fissa l'elenco degli Stati membri partecipanti. Il Consiglio delibera a maggioranza qualificata previa consultazione dell’Alto Rappresentante.
Il Protocollo n. 10 in materia di cooperazione strutturata permanente prevede che essa sia aperta ad ogni Stato membro che si impegni, in particolare, a:
· procedere più intensamente allo sviluppo delle sue capacità di difesa;
· fornire, sia a titolo nazionale, sia come componente di gruppi multinazionali di forze, unità di combattimento capaci di intraprendere missioni previste entro un termine da 5 a 30 giorni, per rispondere alle richieste dell’ONU e sostenerle per un periodo iniziale di 30 giorni, prorogabile di 120 giorni;
· riesaminare regolarmente gli obiettivi relativi al livello delle spese di investimento per equipaggiamenti di difesa, alla luce della situazione internazionale e delle responsabilità dell’Unione;
· ravvicinare, nella misura del possibile, gli strumenti di difesa e prendere misure per rafforzare la disponibilità, l’interoperabilità, la flessibilità e il dispiegamento delle forze;
· cooperare per assicurare l’adozione delle misure necessarie per colmare le lacune che siano state constatate nel quadro del meccanismo di sviluppo delle capacità;
· partecipare allo sviluppo di programmi comuni o europei nel quadro delle attività promosse dall’Agenzia europea per la difesa.
Per gli ultimi sviluppi della discussione sulla difesa europea si rimanda alla scheda relativa al Workshop C “Verso una difesa europea: un libro bianco come primo passo”.
La
politica estera e di sicurezza comune – e di conseguenza la PSDC - è soggetta a
norme e procedure specifiche.
L’articolo 31 del Trattato sull’Unione europea prevede che le decisioni in tale ambito siano adottate dal Consiglio europeo e dal Consiglio all'unanimità - salvo i casi previsti di voto a maggioranza qualificata da parte del Consiglio (vedi oltre) - su iniziativa di uno Stato membro, su proposta dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, o su proposta di quest'ultimo con l'appoggio della Commissione.
In deroga alla regola generale dell’unanimità, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata nel settore della politica estera e di sicurezza comune quando adotta una decisione europea – che non abbia implicazioni militari o rientri nel settore della difesa – relativa a:
· un'azione o una posizione dell'Unione, sulla base di una decisione europea del Consiglio europeo relativa agli interessi e obiettivi strategici dell'Unione;
· un'azione o una posizione dell'Unione in base a una proposta dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza presentata in seguito a una richiesta specifica rivolta a quest'ultimo dal Consiglio europeo di sua iniziativa o su iniziativa dell’Alto Rappresentante;
· l’attuazione di una decisione europea che definisce un'azione o posizione dell'Unione;
· la nomina di un rappresentante speciale.
Se un membro del Consiglio dichiara che, per vitali ed espliciti motivi di politica nazionale, intende opporsi all'adozione di una decisione europea che richiede la maggioranza qualificata, non si procede alla votazione. L’Alto Rappresentante cerca, in stretta consultazione con lo Stato membro interessato, una soluzione accettabile per quest'ultimo. In mancanza di un risultato il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può chiedere che della questione sia investito il Consiglio europeo, in vista di una decisione europea all'unanimità.
Ai sensi dell’art. 27 del TUE, l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza:
· guida la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione e la attua in qualità di mandatario del Consiglio;
· assicura la coerenza dell’azione esterna dell’Unione;
· presiede il Consiglio dell’UE “Affari esteri” ed è uno dei Vicepresidenti della Commissione;
· rappresenta l’Unione europea per le materie che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune. Conduce a nome dell’Unione il dialogo politico con i paesi terzi ed esprime la posizione dell’Unione nelle organizzazioni internazionali, tra cui l’ONU.
L’Alto Rappresentante è nominato dal Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata con l’accordo del Presidente della Commissione, per un periodo di 5 anni. La sua nomina è sottoposta al voto collettivo di approvazione del Parlamento europeo sull’intera Commissione, ai sensi dell’art. 17 del TUE.
Federica Mogherini è stata nominata Alto Rappresentante dal Consiglio europeo con decorrenza dal 1° dicembre 2014.
L’Alto Rappresentante coordina il lavoro dei commissari con portafogli che hanno un impatto sulle relazioni esterne dell’UE. Si tratta in particolare dei Commissari europei responsabili per:
· allargamento e politica di vicinato (Johannes Hahn);
· commercio (Cecilia Malmström);
· cooperazione internazionale e politica di sviluppo (Neven Mimica);
· aiuti umanitari e gestione delle crisi (Christos Stylianides).
A tal fine, l’Alto Rappresentante presiede il gruppo di lavoro sull’azione esterna, che si riunisce su base mensile ed è composto dai suddetti commissari cui sono associati anche i seguenti commissari europei con portafogli aventi una dimensione esterna rilevante: azione per il Clima ed energia (Miguel Arias Cañete); Trasporti (Violeta Bulc), Migrazione, affari interni e cittadinanza (Dimitris Avramopoulos).
L’Alto Rappresentante è inoltre supportato da Rappresentanti speciali dell’UE per specifiche regioni ed aree.
Attualmente vi sono 9 rappresentanti speciali
competenti per: Corno d’Africa (Alexander Rondos); Kosovo (Samuel
Žbogar), diritti umani (Stavros Lambrinidis); Afghanistan
(Franz-Michael Skjold Mellbin); Bosnia Erzegovina (Lars-Gunnar
Wigemark); Caucaso del Sud - crisi in Georgia (Herbert Salber); Sahel
(Angel Losada); processo di pace in Medio Oriente (Fernando Gentilini);
Asia Centale (Peter Burian).
Il “Servizio europeo per l’azione esterna” (SEAE) è il servizio diplomatico dell’UE previsto dall’art. 27 del TUE con il compito di:
· assistere l'Alto Rappresentante dell'UE nella gestione della politica estera e di sicurezza dell'UE;
· gestire le relazioni diplomatiche e i partenariati strategici con i paesi extra UE;
· collaborare con i servizi diplomatici nazionali dei paesi dell'UE, l'ONU e altre potenze mondiali.
Il Servizio europeo per l'azione esterna, guidato dall’Alto Rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, è un organo funzionalmente autonomo, distinto dalla Commissione e dal segretariato del Consiglio, composto da:
· personale a Bruxelles trasferito dal Consiglio dell'UE, dalla Commissione europea e dai servizi diplomatici dei paesi dell'UE;
· una rete di 139 "ambasciate" (delegazioni) dell'UE presso paesi terzi.
Il personale complessivamente impiegato presso il SEAE è di 1628 unità.
Il contributo finanziario per il funzionamento del SEAE nel bilancio dell’UE per il 2016 è pari a circa 600 milioni di euro.
Il Parlamento europeo è consultato regolarmente dall’Alto Rappresentante sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali della politica di sicurezza e di difesa comune.
Il Parlamento europeo, in quanto codecisore insieme al Consiglio sul bilancio dell’UE, esercita inoltre un controllo sul bilancio della PESC.
Il
controllo parlamentare in tale ambito è svolto anche dalla Conferenza
interparlamentare per la Politica estera e di sicurezza comune (PESC) e la
Politica comune di sicurezza e difesa (PSDC) che si riunisce due volte
l’anno, sotto la Presidenza del Parlamento dello Stato che esercita la
Presidenza del Consiglio dell’UE, in cooperazione con il Parlamento europeo.
Le missioni dell’UE nell’ambito della PSDC consistono in larga parte in azioni a sostegno di riforme della polizia, del sistema giudiziario e delle dogane e di rafforzamento della capacità, che facilitano accordi di cessazione delle ostilità e ne assicurano il rispetto. Possono essere decise missioni nell’ambito della PSDC anche con finalità specifiche, come la sorveglianza delle frontiere o la lotta contro la pirateria.
Le missioni
militari dell’UE attualmente operative sono 6:
· EUFOR ALTHEA, lanciata nel 2004 per il mantenimento della sicurezza in Bosnia-Erzegovina;
· EUNAVFOR ATLANTA, missione navale istituita nel 2008 per contrastare le azioni di pirateria sulle coste della Somalia;
· EUTM SOMALIA, missione lanciata nel 2010 e con sede in Uganda;
· EUTM MALI, lanciata nel febbraio del 2013 con lo scopo di fornire, nel sud del Mali, formazione e consulenza militare alle forze armate maliane (FAM);
· EUFOR RCA, istituita nel febbraio 2014 nella Repubblica centrafricana;
· EUNAVFOR MED, missione navale istituita nel giugno 2015 a fini di lotta contro i trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo, con una prima fase orientata alla raccolta di informazioni di intelligence e due successive che riguardano la caccia attiva ai trafficanti, prima in acque internazionali, poi nelle acque territoriali e interne della Libia, previo mandato delle Nazioni Unite e approvazione del paese interessato.
Le missioni civili dell’UE attualmente operative sono 11:
· EULEX KOSOVO,
istituita nel 2008, sullo stato di diritto e il sistema giudiziario;
· EU BAM MOLDAVIA E UCRAINA, istituita nel 2005, per il controllo delle frontiere, in particolare nella regione della Transnistria;
· EU BAM RAFAH, istituita nel 2005, per il controllo di frontiera al valico di Rafah, tra la striscia di Gaza e l’Egitto;
· EUPOL COOPS, istituita nel 2006, e volta a contribuire alla creazione di un dispositivo di polizia sostenibile ed efficace nei territori palestinesi, a ed attività di consulenza alle autorità palestinesi in materia di giustizia penale e aspetti dello stato di diritto;
· EUPOL AFGHANISTAN, istituita nel 2007 a sostegno e formazione delle forze di polizia nel paese;
· EUMM GEORGIA, istituita nel 2008, missione di monitoraggio al fine di contribuire al ristabilimento e la normalizzazione dell’area;
· EUCAP SAHEL NIGER, istituita nel 2012 a sostegno delle autorità nigeriane nello sviluppo di capacità proprie di lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo nel Sahel;
· EUCAP SAHEL-MALI, anch’essa istituita nel 2015, a fini di sostegno alle forze di sicurezza interna del Mali;
· EUCAP NESTORE, istituita nel 2012 con il fine di rafforzare la capacità degli Stati della regione del Corno d’Africa e dell’Oceano Indiano occidentale a gestire efficacemente le rispettive acque territoriali;
· EUBAM LIBIA, istituita nel 2013 con l’obiettivo di fornire alle autorità libiche sostegno per sviluppare la capacità di accrescere la sicurezza delle frontiere terrestri, marine e aeree, a breve termine, e per implementare una strategia più ampia di gestione integrata delle frontiere a più lungo termine. Per l’evolversi della situazione politica e di sicurezza interna alla Libia, a partire dall’agosto del 2014 la missione ha la sua base operativa in Tunisia;
· EUAM UCRAINA, istituita nel 2015, per la riforma del settore della sicurezza civile in Ucraina.
Lanciata nel 2004 e oggetto di una revisione profonda nel 2015, la Politica europea di vicinato (PEV) è considerata - anche e soprattutto nella nuova Strategia globale dell'UE per la politica estera e di sicurezza - una parte integrante e cruciale della PESC/PSDC e uno strumento fondamentale per assicurare stabilità, sicurezza e prosperità nei paesi più vicini ai confini dell'Unione. In tale contesto, l'Unione lavora con i suoi dieci vicini meridionali (Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Palestina, Siria e Tunisia) e con i suoi sei vicini orientali (Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldova, Ucraina) per raggiungere il massimo livello possibile di associazione politica e di integrazione economica. Tale obiettivo è vincolato al rispetto di interessi e valori comuni (democrazia, stato di diritto, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, coesione sociale) e include il sostegno dell'UE alla creazione di economie di mercato, allo sviluppo sostenibile e alla governance.
Il partenariato orientale si è concentrato, nel corso degli anni, su alcune tematiche prioritarie, che vanno dal rafforzamento delle istituzioni e della governance allo sviluppo di opportunità di mercato attraverso l'integrazione economica e accordi commerciali; dalle azioni volte a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e a migliorare la connettività nel settore dell'energia e dei trasporti alle misure in materia di visti, volte a facilitare la mobilità delle persone e i contatti people-to-people.
L'Unione europea e i suoi partner orientali si riuniscono con cadenza biennale nel formato del Vertice dei Capi di Stato e di Governo. L'ultimo Vertice (sotto presidenza lettone del Consiglio dell'Unione) si è tenuto a Riga nel maggio del 2015, e ha definito quattro aree di cooperazione prioritarie sulla quale concentrare l'impegno comune nel biennio 2015-2017:
- Rafforzamento delle istituzioni e della governance;
- Mobilità e contatti people-to-people;
- Opportunità di mercato (con particolare riferimento al ruolo delle PMI);
- Connettività (specie nel settore dell'energia).
Dal Vertice di Riga è inoltre emersa l'impossibilità (confermata peraltro dalla Comunicazione della Commissione di novembre 2015 sul rilancio della PEV) di mantenere un'unità di azione nei confronti dei sei partner orientali, ormai nettamente ripartiti in tre gruppi:
- Moldova, Georgia e Ucraina (con i quali si sono registrati progressi importanti nel processo di associazione politica e integrazione economica con l'UE);
- Armenia e Bielorussia (entrambe ormai nella zona di influenza economica della Russia, essendo entrate a far parte dell'Unione economica euro-asiatica);
- Azerbaigian.
La background note distribuita dalla Presidenza slovacca, muovendo dalla constatazione di un certo "disincanto" subentrato, tra i partner orientali, a seguito del Vertice di Riga, evidenzia come esista il rischio concreto che un partenariato nato come progetto politico di ampio respiro si trasformi un in "programma esteso di cooperazione tecnica e commerciale", e individua i principali ostacoli al rilancio del progetto stesso:
- nella mancanza di un impegno autentico delle elite politiche dei paesi partner verso i necessari processi di riforma;
- nella crescente insoddisfazione della popolazione dei paesi partner, con reviviscenze di euroscetticismo e risentimenti filo-sovietici;
- nella persistenza di conflitti ad alta intensità (Ucraina) ma anche a intensità più bassa o in "congelamento" (Armenia, Azerbaigian, Georgia, Moldova);
- nell'azione della Russia, che descrive il partenariato orientale come un progetto ostile ai propri interessi e ha lanciato un progetto di integrazione economica in larga parte competitivo.
La base giuridica della Politica europea di vicinato (PEV)
è rappresentata dall'articolo 8 del TEU, in base al quale l'UE "sviluppa
con i paesi limitrofi relazioni privilegiate al fine di creare uno spazio di
prosperità e buon vicinato fondato sui valori dell'Unione e caratterizzato da
relazioni strette e pacifiche basate sulla cooperazione".[1]
Lanciata nel 2003 con la
comunicazione Wider Europe, la PEV si proponeva un'integrazione progressiva dei
Paesi limitrofi, da realizzare tramite l'implementazione di impegnative riforme
politiche, economiche e istituzionali e l'adozione di un sistema di valori
comuni. Il processo di integrazione, pur avendo realizzato passi avanti
significativi per quanto attiene sia alla componente regionale (con la
creazione dell'Unione per il Mediterraneo nel 2008 e del Partenariato orientale
nel 2009) sia allo strumento, sempre più efficace e stringente, degli accordi
per la creazione di una zona di libero scambio ampia e approfondita, ha
peraltro subito un forte rallentamento negli ultimi anni, legato ai fattori di
instabilità emersi tanto nell'area orientale quanto in quella meridionale del
vicinato. A oriente, dalla crisi in Georgia del 2008 a quella ucraina,
l'instabilità è derivata in larga misura dalla crescente assertività della
politica estera russa, mentre a sud la cosiddetta primavera araba, che pure ha
portato a una significativa democratizzazione in Tunisia, ha anche comportato
una conflittualità accesa, sfociata in vere e proprie guerre civili in Siria e
in Libia, cui si somma lo stallo ormai prolungato del Processo di pace in Medio
Oriente.
Per quanto
concerne i flussi finanziari dall'Unione europea ai sedici partner della PEV,
il quadro relativo al precedente ciclo di programmazione pluriennale, e con
riferimento ai fondi dello strumento europeo di vicinato, è così
sintetizzabile:
|
2007 |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
2013 |
Totale |
Media |
Algeria |
57 |
32,5 |
35,6 |
59 |
58 |
74 |
50 |
366,1 |
52,3 |
Armenia |
21 |
24 |
24,7 |
27,7 |
43,1 |
35 |
66 |
241,5 |
34,5 |
Azerbaigian |
19 |
22 |
20 |
7 |
31 |
19,5 |
25 |
143,5 |
20,5 |
Bielorussia |
6 |
5 |
10 |
10 |
17,1 |
22,3 |
23,8 |
94,2 |
13,5 |
Egitto |
137 |
149 |
140 |
192 |
92 |
250 |
47 |
1007 |
143,9 |
Georgia |
24 |
90,3 |
70,9 |
37,2 |
50,7 |
82 |
97 |
452,1 |
64,6 |
Israele |
2 |
2 |
1,5 |
2 |
2 |
2 |
2 |
13,5 |
1,9 |
Giordania |
62 |
65 |
68 |
70 |
116 |
120 |
88 |
589 |
84,1 |
Libano |
50 |
50 |
43 |
44 |
33 |
92 |
76 |
388 |
55,4 |
Libia |
2 |
4 |
0 |
12 |
10 |
25 |
30 |
83 |
11,9 |
Moldova |
40 |
62,3 |
57 |
66 |
78,6 |
122 |
135 |
560.9 |
80,1 |
Marocco |
190 |
228,7 |
145 |
158,9 |
166,6 |
207 |
334,9 |
1431,1 |
204,4 |
Palestina |
447,7 |
382 |
352,6 |
367,9 |
413,7 |
224 |
313,7 |
2501,6 |
357,4 |
Siria |
20 |
20 |
40 |
50 |
10 |
48,4 |
170 |
358,4 |
51,2 |
Tunisia |
103 |
73 |
77 |
77 |
180 |
130 |
135 |
775 |
110,7 |
Ucraina |
142 |
138,6 |
116 |
126 |
65 |
149 |
199 |
935,6 |
133,7 |
Coop. Reg. Orientale |
62 |
38 |
40 |
84,25 |
99,14 |
90,64 |
122,87 |
536,9 |
76,7 |
Coop. Reg. Meridionale |
97,4 |
89 |
99 |
99,4 |
104,6 |
114,2 |
118,2 |
721,8 |
103,1 |
Il montante complessivo dei fondi 2007-2013 destinati alla PEV è stato pari a poco più di 12 miliardi di euro. La percentuale destinata ai sei paesi del partenariato orientale (in tutto, circa tre miliardi di euro, inclusivi dei fondi destinati alla cooperazione regionale nell'area) è del 25% circa.
Per il periodo 2014-2020, lo Strumento europeo per la PEV (ENPI) è stato rifinanziato per un ammontare di 15,4 miliardi. La ripartizione dei fondi (ancora in itinere) dovrebbe rispecchiare la tradizionale divisione in 2/3 e 1/3, rispettivamente per il partenariato meridionale e orientale.
Lanciato nel 2009 in occasione del Vertice di Praga, il Partenariato orientale si propone l'obiettivo di rafforzare la dimensione orientale della Politica europea di vicinato (PEV), in modo complementare rispetto all'iniziativa dell'Unione per il Mediterraneo, che coinvolge i partner del vicinato meridionale.
I partner coinvolti sono Armenia, Azerbaigian,
Bielorussia, Georgia, Moldova e Ucraina. Le relazioni dell'UE con tali
paesi si articolano in tre tipologie principali di strumenti:
- Relazioni contrattuali nuove e approfondite, tramite accordi di associazione - progressivamente subentranti a quelli di partenariato - e la creazione di zone di libero scambio globali e approfondite (DCFTA);
- Mobilità dei cittadini e liberalizzazione dei visti in un ambiente sicuro e ben gestito, da promuovere tramite accordi di riammissione e facilitazione del visto, nella prospettiva di instaurare veri e propri regimi di esenzione;
- Rafforzamento della cooperazione settoriale, in particolare nel settore energetico, e facilitazione della partecipazione dei paesi partner ai programmi e alle agenzie dell'Unione.
Dopo una prima fase di entusiasmo, seguita al Vertice di
Praga, e una di relativo stallo nei negoziati, le linee-guida del Partenariato
orientale sono state ricalibrate nel maggio 2011, con la comunicazione della
Commissione europea "Una nuova risposta a un vicinato in mutamento" e
l'introduzione di un nuovo approccio, definito more for more, che
calibra il flusso di fondi da concedere ai paesi del vicinato sulla base del
livello e della profondità dei processi di riforme interne.
Per quanto riguarda in particolare il Partenariato orientale, le proposte della Commissione erano orientate a un'accelerazione della conclusione e attuazione degli accordi di associazione, inclusa l'area di libero scambio; a una forte azione di stimolo verso i processi di democratizzazione; a un'accelerazione del processo di facilitazione e liberalizzazione dei visti; a un rafforzamento della cooperazione settoriale, con particolare riferimento all'area dello sviluppo rurale; a un'azione di promozione tesa a rendere più visibili i benefici del Partenariato orientale agli occhi dei cittadini; a un incremento del dialogo con la società civile e con le parti sociali.
L'accelerazione nei negoziati per accordi di associazione, avviati con Ucraina, Moldova, Georgia, Armenia e Azerbaigian avrebbe dovuto conoscere un primo, importante sbocco in occasione del Vertice di Vilnius di novembre 2013, i cui esiti, invece, sono stati fortemente contrastati. Solo Moldova e Georgia hanno infatti finalizzato i propri accordi di associazione con l'UE. L'accordo con l'Ucraina, "saltato" in occasione del Vertice, è stato poi "recuperato" e rilanciato, dopo la deposizione del presidente Yanukovich e i moti di piazza contro gli orientamenti filorussi e antieuropei assunti dal suo Governo. Nel marzo e nel giugno 2014 rispettivamente, sono state firmate le due parti dell'accordo: il dispositivo politico e il vero e proprio accordo di libero scambio. Poco prima del Vertice, anche l'Armenia si era sfilata dai negoziati, accettando le offerte della Russia per l'ingresso nell'Unione euroasiatica, mentre l'Azerbaigian è a tutt'oggi troppo lontano dagli standard richiesti dall'UE per finalizzare un accordo di associazione, specie per quanto attiene alle riforme democratiche e al rispetto dello Stato di diritto.
Il rallentamento della dimensione orientale della PEV era
stato constatato anche in occasione delle due Conferenze interparlamentari
PESC/PSDC tenutesi rispettivamente ad Atene e Roma. Nelle Conclusioni di
Roma, in particolare, la Conferenza, dopo aver espresso preoccupazione
"per il peggioramento della situazione geopolitica nella regione
dell'Europa orientale" e aver salutato con soddisfazione "la piena e
vincolante ratifica dell'Accordo di Associazione con l'Ucraina nonché lo
storico segno di solidarietà offerto il 16 settembre 2014 con la ratifica
simultanea da parte del Parlamento europeo e della Verkhovna Rada
ucraina", accoglieva "favorevolmente la firma da parte del Consiglio
degli Accordi di Associazione, che prevedono un'area di libero scambio globale
e approfondita con la Georgia e la Repubblica di Moldova, il 27 giugno 2014, e
la rapida ratifica dei rispettivi accordi da parte dei due paesi",
invitando i parlamenti nazionali che non lo avessero ancora fatto "a
inserire il processo di ratifica nella loro programmazione dei lavori".
Aveva infine invitato "a una stretta cooperazione con i paesi del partenariato
orientale, che si concretizzi in un elenco esauriente di atti concreti da
realizzare nell'intervallo tra i vertici di Vilnius e di Riga, a partire dal
completamento del processo di ratifica degli Accordi di associazione e
creazione di una Zona di libero scambio globale e approfondito (DCFTA) con
l'Ucraina, la Repubblica di Moldova e la Georgia" e chiesto "un
sostegno consolidato nel tempo per questi tre paesi nella fase di
implementazione degli accordi", suggerendo altresì "modelli di
cooperazione più impegnativi con l'Armenia, l'Azerbaigian e la Bielorussia
nelle aree di interesse comune come le facilitazioni commerciali, le
interconnessioni nei trasporti e nell'energia e la mobilità, con particolare
riferimento alla prospettiva di accordi sulla liberalizzazione dei visti e di
scambi a livello accademico e di giovani".
Le valutazioni di esperti e stakeholders sui risultati conseguiti dal Partenariato orientale sono state fortemente polarizzate tra chi li considerava ampiamente positivi, nonostante gli incidenti di percorso, e chi ne denunciava il sostanziale fallimento. Se da un lato gli accordi di associazione rappresentano uno degli strumenti più ambiziosi che l'UE abbia concepito e realizzato nell'ambito dei suoi rapporti bi e multilaterali, dall'altro va ricordato che essi sono stati finalizzati solo con metà dei sei paesi partner, e che anche i paesi firmatari (Georgia, Moldova, Ucraina) sono ancora ben lungi dal rispettare a pieno gli standard UE, nonostante le numerose riforme interne finalizzate nel corso degli ultimi anni.
Il sostegno finanziario fornito dall'Unione - e tanto più a partire dal 2011, con l'adozione del già menzionato principio more for more - è di natura politica e tecnica, e rimane destinato quasi esclusivamente a ristrette minoranze (istituzioni governative, imprese, società civile). Tale scelta contribuisce a mantenere una certa distanza tra l'azione dell'UE e i cittadini degli Stati partner, che non ne percepiscono i benefici, o comunque non in modo immediato.
Per quanto concerne lo scenario internazionale, gli sviluppi interni in tutti i paesi del Partenariato orientale sono seguiti da vicino e spesso influenzati dalla Russia, che, negli ultimi anni, anche in reazione e in contrapposizione alle politiche dell'UE, ha assunto una forte iniziativa di espansione regionale (la cd. soft Russia), proponendosi quale partner politico, economico e commerciale. Va ricordato a tal proposito che cinque dei sei partner orientali dell'UE hanno dispute di natura territoriale in corso con la Russia, mentre il sesto partner - la Bielorussia - vede una presenza militare sempre più significativa della Russia al suo interno. Sul piano commerciale, l'UE è un partner più importante della Russia per Armenia, Azerbaigian, Georgia e Moldova, e di qui a non molto dovrebbe diventarlo anche per l'Ucraina, ma la scelta armena e bielorussa di privilegiare l'Unione eurasiatica sui negoziati di associazione lascia trasparire quanto la dipendenza storica dalla ex area sovietica possa essere tuttora determinante nelle scelte politiche ed economiche dei partner dell'Europa orientale.
Tenutosi il 21 e 22 maggio del 2015, il Vertice di Riga ha sostanzialmente registrato il rallentamento nell'evoluzione del partenariato orientale già oggetto di dibattito a partire dal Vertice di Vilnius, e ha individuato quattro linee d'azione sulle quali focalizzare i rapporti tra l'Unione europea e i suoi sei partner:
-
Rafforzamento
delle istituzioni e della governance: con particolare riferimento
all'indipendenza della magistratura, agli strumenti di lotta contro la
corruzione, alle riforme della pubblica amministrazione, alla resilienza dei
partner che si trovino a fronteggiare minacce alla rispettiva stabilità;
- L'ulteriore sviluppo di ogni misura volta a facilitare la mobilità dei cittadini per motivi di viaggio e lavoro, e i contatti people-to-people, con l'obiettivo generale di pervenire, non appena le relative condizioni siano state soddisfatte, a un regime di esenzione dai visti per il maggior numero possibile di partner;
- Una cooperazione più stretta nelle aree a sostegno dell'economia e delle imprese, incentrata sulla creazione di un ambiente favorevole agli scambi e di un contesto di legalità diffusa, che favorisca l'operatività in particolare delle PMI;
- Un rafforzamento della sicurezza, della sostenibilità e della competitività nel settore dell'energia, che garantisca la massima diversificazione degli approvvigionamenti, e un forte impegno volto a potenziare le interconnessioni esistenti (dal corridoio meridionale del gas all'espansione dell'oleodotto del Caucaso meridionale).
Il Vertice di Riga è stato preceduto, oltre che dal lancio della consultazione pubblica sul futuro della PEV (v. infra), dalla pubblicazione, il 25 marzo 2015, di quella che a tutt'oggi è l'ultima relazione sull'attuazione della politica di vicinato, relativa all'anno 2014 (JOIN (2015) 9).
Per
quanto concerne in particolare i paesi del partenariato orientale, la
Commissione e l'Alto Rappresentante:
- Sottolineano l'impatto negativo degli eventi in Ucraina e delle pressioni sempre più forti esercitate dalla Russia su altri partner orientali;
- Salutano la firma dei tre accordi di associazione con la Georgia, la Repubblica di Moldova e l'Ucraina, evidenziando come la nuova generazione di accordi contenga disposizioni su una zona di libero scambio globale e approfondito "che sanciscono le relazioni contrattuali più ambiziose mai instaurate con paesi del vicinato"[2];
- Ricordano, in tema di migrazione e mobilità, che la Repubblica di Moldova ha soddisfatto tutti i parametri di riferimento definiti nel suo piano d'azione per la liberalizzazione dei visti, e che pertanto dalla primavera del 2014 i suoi cittadini possono recarsi nei paesi Schengen senza obbligo di visto;
- In tema di democrazia e buon governo, sottolineano come il processo di democratizzazione sia proseguito regolarmente nella Repubblica di Moldova e in Georgia (in entrambi i Paesi si sono svolte elezioni parlamentari con modalità ritenute soddisfacenti dagli osservatori). Per quanto riguarda l'Ucraina, dopo aver ricordato che, per il periodo 2014-2020, l'UE ha mobilitato un pacchetto finanziario senza precedenti, pari a oltre 11 miliardi di euro (solo in minima parte derivanti dalla dotazione PEV), evidenziano come l'instabilità e la conflittualità dell'area abbiano inciso negativamente sui processi di riforma, di democratizzazione e di lotta alla corruzione;
- Per quanto attiene alla cooperazione a livello politico e di sicurezza, hanno ricordato la presenza attiva dell'UE con la missione di monitoraggio EUMM Georgia, le missioni di assistenza alle frontiere (EUBAM) nella Repubblica di Moldova e in Ucraina, e la missione consultiva per la riforma del settore della sicurezza civile in Ucraina (EUAM Ucraina);
- In tema di integrazione economica, si soffermano, oltre che sugli accordi di associazione - ricordando, peraltro, che le relazioni commerciali bilaterali con l'Ucraina sono state frenate, nel 2014, dall'adozione di nuove restrizioni commerciali da parte del Governo, per far fronte alla difficile situazione macroeconomica interna -, sulla firma, il 10 ottobre 2014, del Trattato che ha sancito l'inclusione dell'Armenia - come già della Bielorussia - nell'Unione economia eurasiatica (insieme a Russia e Kazakistan)[3];
- In tema di cooperazione finanziaria, hanno sottolineato infine come lo strumento europeo di vicinato, con la sua dotazione di 15,4 miliardi per il periodo 2014-2020, disponga di "un bilancio prevedibile e a lungo termine per sostenere le priorità di riforma concordate con ciascun paese", aggiungendo però che lo strumento stesso "non è adatto o sufficiente per coprire integralmente il fabbisogno, soprattutto quando la risposta a una crisi richiede un volume consistente di finanziamenti supplementari da erogare entro tempi brevi". In tal caso, esistono ulteriori strumenti integrativi, come lo strumento inteso a contribuire alla stabilità e alla pace (IcSP), gli aiuti umanitari dell'UE (ECHO) o lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR), e può essere necessario mobilitare finanziamenti aggiuntivi in funzione degli sviluppi nella regione interessata, come accaduto per Siria e Ucraina.
Il 18
dicembre 2015, la Commissione e l'Alto rappresentante hanno presentato la
comunicazione congiunta "Riesame della politica europea di vicinato"
(JOIN
(2015) 50), intervenuta al termine di una consultazione pubblica
(conclusasi nel mese di giugno) che ha visto una partecipazione significativa
(250 risposte) da parte degli Stati membri, dei governi partner, delle
istituzioni dell'UE, delle organizzazioni internazionali, delle parti sociali,
della società civile, delle imprese, dei gruppi di riflessione, del mondo
accademico e dei cittadini, e alla quale hanno offerto il proprio contributo
anche le Commissioni esteri di Camera e Senato.
Dalla
consultazione sono emersi i alcuni elementi generali di consenso, che
costituiranno la base per la ripresa e il rilancio della PEV: l'estrema
diversificazione nelle aspirazioni dei partner, che è impossibile ricondurre
all'interno di un modello unico di relazioni; la necessità che la PEV rispecchi
in modo più efficace e puntuale l'interesse dell'UE quanto quello dei paesi
partner; l'opportunità di concentrare i partenariati su un numero più limitato
di priorità, onde evitare la dispersione "a pioggia" degli interventi
e ottimizzare l'utilizzo dei fondi; un maggiore coinvolgimento degli Stati
membri, accompagnato dal rafforzamento della titolarità dei Paesi partner.
Tra i temi che la comunicazione pone al centro della PEV riformata, si segnalano in particolare:
- La promozione della buona governance, della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti dell'uomo, attraverso il sostegno alle riforme - in forme concordate mutuamente con ogni partner - e alla società civile;
- Uno sviluppo economico che contribuisca alla stabilizzazione dei partner e che sia mirato alla modernizzazione degli investimenti, alla creazione di opportunità occupazionali per i giovani, all'adozione di misure che favoriscano la mobilità e la possibilità di recarsi in uno Stato membro dell'UE e lavorarvi;
- Una revisione e un potenziamento delle misure per l'accesso al mercato, fondati su una maggiore flessibilità riguardo agli accordi commerciali (creazione di una zona economica per i firmatari degli accordi DCFTA, e la negoziazione di accordi commerciali più leggeri e flessibili per gli altri partner);
- Misure volte a favorire la modernizzazione economica e l'imprenditorialità, sostenendo le riforme che instaurano un miglior clima per le imprese e gli investitori e garantendo un maggior supporto alle PMI;
- Maggiore accento sull'occupazione e sulle competenze, in particolare dei giovani, attraverso un rafforzamento del sostegno al programma Erasmus Plus, un'attenzione rafforzata alla formazione professionale e la creazione di nuovi incentivi per la circolazione dei cervelli;
- La creazione di veri e propri partenariati per la crescita, che sostengano gli investimenti e la modernizzazione economica, coinvolgendo maggiormente il settore privato;
- Misure di sostegno più decise ed efficaci in tema di connettività, attraverso l'estensione delle reti centrali TEN-T ai partner orientali e l'individuazione delle reti regionali nel sud da includere negli orientamenti TEN-T;
- Conferimento di un maggiore spazio alla cooperazione energetica in ambito PEV, sia come misura di sicurezza (cd. "sovranità energetica") che come mezzo di sviluppo economico sostenibile, e promozione di una maggiore indipendenza energetica attraverso il sostegno alla diversificazione delle fonti d'energia, una migliore cooperazione in materia di efficacia energetica e il sostegno alla transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio;
- Conferimento di un posto più importante nella PEV alle tematiche connesse alla sicurezza, per rendere i partner più resilienti alle minacce cui devono far fronte, da realizzarsi mediante l'apertura di nuove aree di cooperazione che potrebbero vertere, tra l'altro, sulla riforma del settore della sicurezza, sulla protezione delle frontiere, sulla lotta contro il terrorismo e la radicalizzazione e sulla gestione delle crisi;
- Intensificazione della cooperazione in materia di migrazione, sia regolare che irregolare, fondata sul sostegno ai paesi che accolgono e assistono rifugiati e sfollati interni, sul dialogo connesso alla cause profonde della migrazione irregolare e degli spostamenti obbligati delle popolazioni, sulla cooperazione in materia di rimpatrio, riammissione e reintegrazione sostenibile, su un maggiore sostegno alla migrazione circolare, sulla promozione del riconoscimento delle qualifiche e sull'avvio di dialoghi sulla mobilità accademica.
Da diversi anni l’Unione europea registra un’eccezionale ondata di flussi migratori provenienti da Paesi terzi, determinata dalle persistenti condizioni di instabilità politica ed economica che affliggono varie aree prossime ai confini dell’UE. In particolare, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) e l’Agenzia ONU per i rifugiati (UNHCR), lo scorso anno il numero di migranti che hanno raggiunto l’UE avrebbe oltrepassato il milione di persone, articolandosi in due flussi principali.
Il primo (circa 850 mila migranti) è costituito principalmente da cittadini siriani (ma sono presenti anche cittadini iracheni e afgani) in fuga dai conflitti in atto nelle loro terre e che hanno raggiunto soprattutto la Grecia dopo esser transitati in Turchia. Si tratta per lo più di migranti in viaggio verso l’Europa al fine di ottenere una qualche forma di protezione, avendo sofferto situazioni di compressione dei loro diritti fondamentali se non proprio azioni di persecuzione.
Il secondo flusso (circa 150 mila migranti) riguarda invece cittadini provenienti per lo più da Stati africani costretti ad abbandonare i rispettivi paesi, talvolta in quanto bisognevoli di protezione internazionale (è il caso ad esempio di molti dei cittadini eritrei), oppure, in moltissimi casi, semplicemente alla ricerca di condizioni socioeconomiche migliori (cosiddetti migranti economici). Quest’ultimo flusso solitamente percorre la rotta del Mediterraneo centrale, ovvero risale l’Africa fino alla Libia (territorio particolarmente favorevole alle reti degli scafisti a causa della persistente incertezza politico-istituzionale), da dove si imbarca verso le coste italiane (non mancano, tuttavia, casi più sporadici di partenze di migranti dalle coste dell’Egitto).
La pericolosità dei viaggi transmediterranei si è purtroppo tradotta nella frequente perdita di vite umane, 3.800 nel 2015, trend tristemente confermato nei primi sette mesi del 2016 (circa 3 mila).
L’emergenza dei migranti e il forte peso che di riflesso sta gravando sui sistemi di asilo degli Stati membri hanno indotto questi ultimi e le Istituzioni europee ad assumere una serie di iniziative straordinarie volte in linea di massima a:
· proteggere maggiormente i confini (sia nazionali che extra UE);
In tal senso devono essere lette sia la decisione da parte di molti Stati membri di reintrodurre i controlli alle rispettive frontiere interne, con una sostanziale sospensione dello Spazio Schengen la cui proroga è stata recentemente autorizzata dall’Unione europea, sia la proposta della Commissione europea di costituire una Guardia costiera e di frontiera europea sotto l’egida di una nuova Agenzia europea che (dotata di poteri più incisivi) sostituirebbe l’attuale Frontex, ai fini di un controllo più rapido ed efficace dei confini esterni dell’UE.
· redistribuire il peso dei richiedenti asilo tra tutti gli Stati membri in modo da alleviare quelli più esposti alle migrazioni o quelli che comunque registrano il più alto numero di richiedenti asilo;
In proposito devono richiamarsi: i programmi di ricollocazione (per 160 mila richiedenti asilo) e di reinsediamento (22 mila) adottati dall’UE per ripartire più equamente tra tutti gli Stati membri le richieste di protezione, misure che però hanno finora trovato scarsa attuazione data la riluttanza di molti Stati membri a rispettare gli impegni presi in sede di Consiglio dell’UE; la nuova proposta della Commissione volta a riformare complessivamente e in modo più equo la disciplina relativa alla competenza degli Stati membri a trattare le domande di asilo (riforma del regolamento UE cosiddetto Dublino).
· avviare una politica migratoria più incisiva per i profili della cosiddetta dimensione esterna, volta a neutralizzare le cosiddette cause profonde della migrazione, che si traduce in sostanza nella collaborazione con i paesi terzi di origine e di transito, allo scopo di prevenire ed evitare gli imbarchi verso l’Europa, anche tramite programmi di cooperazione allo sviluppo.
In questa logica si inserisce la proposta presentata, lo scorso aprile, dal Governo italiano “Migration compact: contributo a una strategia UE per l’azione esterna sulla migrazione”, che prevede, tra l’altro, la creazione di un nuovo Fondo europeo per gli investimenti nei Paesi terzi volto a finanziare progetti ad alto impatto sociale e infrastrutturale; lo sviluppo in particolare dei Paesi africani – secondo il Governo italiano – potrebbe essere altresì agevolato tramite l’emissione di obbligazioni UE – Africa che faciliterebbero l’accesso ai mercati dei capitali. Da ultimo, le proposte italiane hanno trovato parziale riscontro nel documento della Commissione europea del giugno 2016, recante un nuovo quadro di partenariato con i paesi terzi di origine e di transito mirato ai problemi della migrazione, necessariamente sostenuto da una ingente quantità di risorse da investire a carico del bilancio UE e dei bilanci degli Stati membri (vedi infra).
Merita infine ricordare l’accordo UE - Turchia, perfezionato dalla dichiarazione comune del marzo 2016, recante una serie di misure attinenti a profili diversi, che a partire dallo scorso maggio hanno agito da deterrente alle partenze, pressoché interrompendo il flusso di migranti lungo la rotta Turchia – Grecia.
Tale accordo, in estrema sintesi, prevede il rimpatrio in Turchia di tutti i nuovi migranti irregolari giunti in Grecia (compresi i richiedenti asilo le cui domande di asilo sono state dichiarate inammissibili); l’impegno dell'UE al reinsediamento entro i confini UE di un siriano proveniente dalla Turchia per ogni siriano rinviato dalle isole greche in Turchia; la previsione di uno strumento finanziario UE a favore della Turchia per la gestione dei profughi siriani (attualmente vi sarebbero circa 2,7 milioni di siriani in Turchia) inizialmente pari a tre miliardi di euro (uno a carico dell’UE, due a carico degli Stati membri,) ai quali – secondo la citata dichiarazione - dovrebbero aggiungersi ulteriori tre miliardi entro la fine del 2018.
In
base alle stime dell’UNHCR, dal 1° gennaio all’11agosto 2016 hanno attraversato
il Mediterraneo verso l’Europa circa 263 mila migranti; di questi circa 161
mila sono sbarcati in Grecia e circa 100 mila in Italia
(solo 2.500 in Spagna).
Peraltro i rispettivi trend nei due principali Stati membri di immigrazione nei primi otto mesi del 2016 appaiono profondamente diversi: in Grecia negli ultimi mesi si è registrato un sostanziale arresto degli arrivi (solo circa 2 mila a luglio a fronte dei 67 mila dello scorso gennaio); nel mese di luglio in Italia si è avuto il picco di arrivi (circa 23 mila) dopo i flussi più contenuti di gennaio (circa 5 mila arrivi) e marzo-aprile (circa 10 e 9 mila).
UNHCR e OIM concordano sul fatto che nel 2015 sono arrivate nell’Unione europea via Mediterraneo oltre un milione di persone, di cui oltre 850 mila in Grecia e circa 154 mila in Italia.
Sbarchi in Grecia nei
primi mesi del 2016 (colonne in blu; le colonne in grigio rappresentano il
trend nel 2015): Fonte UNHCR
Sbarchi in Italia nei
primi mesi del 2016 (colonne in blu; le colonne in grigio rappresentano il
trend nel 2015): Fonte UNHCR
Il crollo degli arrivi in Grecia viene attribuito alla chiusura della cosiddetta rotta dei Balcani occidentali, con particolare riferimento agli accordi UE Turchia, che avrebbero determinato un disincentivo alle partenze dalla Turchia verso le isole elleniche, soprattutto da parte dei profughi siriani.
Secondo le analisi
più accreditate, l’aumento degli arrivi in Italia non dipenderebbe dallo
spostamento dei flussi da una rotta all’altra, atteso che la nazionalità dei
migranti lungo la rotta del Mediterraneo centrale sarebbe differente
rispetto a quelle della rotta del Mediterraneo orientale (si tratta per lo più
di migranti economici provenienti dal continente africano: vedi infra tabelle),
ma dal miglioramento delle condizioni climatiche e dall’instabilità
politica tuttora esistente in Libia, principale paese di partenza
verso l’Italia).
Di seguito il trend dei
migranti in Grecia distinti per nazionalità nei primi sei mesi del 2016:fonte
UNHCR
Di seguito il trend dei migranti in Italia distinti per nazionalità nei primi sei mesi del 2016:fonte UNHCR
Di seguito una tabella più dettagliata recante le
proporzioni relative alle nazionalità dei migranti sbarcati in Italia nei primi
sei mesi del 2016: fonte UNHCR
Secondo l’EASO - l’Ufficio europeo per l’asilo, nel giugno 2016 gli Stati membri hanno registrato 120 mila domande di protezione internazionale, di cui il 96 per cento sono state domande di asilo di prima istanza (ovvero presentate in uno Stato membro per la prima volta).
I richiedenti asilo
più numerosi sono stati cittadini siriani (circa 31 mila), seguiti da afgani
(circa 21 mila) e iracheni (oltre 12 mila). Questi tre gruppi
rappresentano il 54 per cento di tutti i richiedenti protezione. Il
quarto gruppo più numeroso è stato quello dei cittadini appartenenti al Pakistan
(oltre 5 mila domande); il quinto gruppo è composto da cittadini nigeriani
con 4,3 mila domande. Rientrano infine nei primi dieci gruppi per nazionalità i
richiedenti appartenenti a Eritrea, Iran, Russia, Albania
e Somalia.
L’EASO ha altresì comunicato che nei primi cinque mesi del 2016 le domande di asilo hanno superato il mezzo milione, registrandosi un sensibile aumento rispetto al periodo omologo nel 2015 (350 mila).
Si ricorda che nel 2015 gli Stati membri hanno registrato 1.350.000 domande di asilo, con un trend che si è particolarmente accentuato a partire dal mese di ottobre.
Di seguito un grafico recante le principali nazionalità
dei richiedenti asilo nel 2015: fonte EASO
Il quadro generale della politica esterna dell'UE su migrazione e asilo è rappresentato dall'approccio globale in materia di migrazione e mobilità, definito dalla Commissione europea nel 2011 sulla cui base l'UE è impegnata in un ampio dialogo con i paesi africani, a livello continentale, regionale e bilaterale.
L'approccio globale in materia di migrazione e mobilità è incentrato su quattro priorità tematiche:
· organizzare meglio la migrazione legale e favorire una mobilità ben gestita;
· prevenire e combattere l'immigrazione irregolare ed eliminare la tratta di esseri umani;
· massimizzare l'incidenza positiva della migrazione e della mobilità sullo sviluppo;
· promuovere la protezione internazionale e rafforzare la dimensione esterna della politica di asilo.
La protezione dei diritti umani è una priorità
trasversale.
Si ricorda che l’Africa è il maggior destinatario degli aiuti allo sviluppo e di aiuti umanitari dell’UE e dei suoi Stati membri. Nel periodo di programmazione finanziaria dell’UE 2007-2013 l’UE e gli Stati membri hanno destinato al continente africano aiuti pari a circa 141 miliardi di euro.
Per
l’attuale periodo di programmazione 2014-2020 l’assistenza
finanziaria complessiva programmata dall’UE ammonta a circa 31
miliardi di euro (a cui occorre aggiungere gli aiuti stanziati direttamente
dai singoli Stati membri).
L’UE è inoltre il primo partner commerciale per l’Africa. Circa il 20 % degli investimenti esteri diretti in Africa proviene dall’UE.
Ripartizione
per paese e settore degli stanziamenti UE 2014-2020 (Fondo europeo di sviluppo,
strumento di cooperazione allo sviluppo, Strumento europea di vicinato)
Livello continentale
Il partenariato Africa-UE in materia di migrazione, mobilità e occupazione è stato lanciato durante il vertice Africa-UE del dicembre 2007. Successivamente, in occasione del vertice UE-Africa dell'aprile 2014 i capi di Stato e di governo hanno approvato una dichiarazione politica su migrazione e mobilità nella quale si ribadisce l'impegno comune delle parti su:
· lotta contro la migrazione irregolare e necessità di affrontarne tutti gli aspetti rilevanti, compresa la prevenzione;
· gestione rafforzata della migrazione e delle frontiere, compresi i profili relativi a rimpatrio e riammissione;
· esigenza di affrontare le cause profonde della migrazione irregolare.
La dichiarazione è stata poi sostenuta da un piano d'azione (2014-2017) che indica le seguenti priorità di cooperazione: gestione dei fenomeni di migrazione irregolare e promozione di alternative alla migrazione irregolare; lotta alla tratta di esseri umani; protezione internazionale e asilo; mobilità e migrazione della forza lavoro (compresa la mobilità interafricana); riduzione dei costi delle rimesse.
Concordato
al Vertice sulla migrazione del 11-12 novembre 2015 che ha riunito i Capi di
Stato e di Governo europei e africani, il Piano di azione di La Valletta include
una serie di azioni volte a:
· affrontare le cause profonde della migrazione irregolare e dello spostamento obbligato;
· migliorare la cooperazione sulla migrazione legale e la mobilità;
· rafforzare la protezione dei migranti e dei richiedenti asilo;
· collaborare più strettamente per migliorare la cooperazione in materia di rimpatrio, riammissione e reinserimento (il Vertice ha sostanzialmente accordato la preferenza ai rimpatri volontari);
· prevenire e combattere la migrazione irregolare, il traffico dei migranti e la tratta di esseri umani.
In
esito al Vertice, è stato inoltre lanciato un Fondo fiduciario d'emergenza
dell'Unione europea per la stabilità e la lotta contro le cause
profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati
in Africa, con una dotazione di 1,8 miliardi di euro finanziato
in parte dal bilancio UE e in parte da contributi degli Stati membri.
Il Fondo ha sinora finanziato misure di sostegno a molti Paesi africani(tra gli altri, a Niger, Mali, Senegal, Mauritania e Burkina Faso) per circa 380 milioni di euro, nei seguenti settori: creazione di lavoro, specie a favore di giovani e donne; rafforzamento della sicurezza e contrasto al terrorismo, gestione della migrazione, contrasto al traffico e alla tratta degli esseri umani.
Il 16 aprile il Presidente del Consiglio, Matteo
Renzi, ha inviato al Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e al
Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, un documento
intitolato ”Migration compact: contributo a una strategia UE per l’azione esterna
sulla migrazione”.
Ad avviso del Governo italiano la gestione dei flussi di migranti non è più sostenibile senza una cooperazione mirata e rafforzata con i Paesi terzi di provenienza e di transito.
In particolare, si ritiene essenziale finanziare e gestire a livello europeo:
· un piano straordinario di rimpatri;
· supporto legale, logistico, finanziario e infrastrutturale per la gestione dei flussi nei Paesi partner anche attraverso uno screening accurato in loco tra rifugiati e migranti economici.
Più
specificamente, nel documento del Governo si sottolinea la necessità di sviluppare
con ciascun Paese partner un tipo di cooperazione basato su determinati
requisiti (per esempio: dinamiche economiche e sociali; livelli di
sicurezza; problemi legati al cambiamento climatico, ecc.). Sulla base di
questi presupposti, l’UE potrebbe offrire:
· progetti di investimento ad alto impatto sociale e infrastrutturale, da identificare insieme con il Paese partner, facendo confluire le risorse degli attuali strumenti finanziari dell'azione esterna (Fondo europeo di sviluppo, Strumento di cooperazione allo sviluppo e Strumento europeo di vicinato) in un nuovo Fondo europeo per gli investimenti nei Paesi terzi;
· emissione di “obbligazioni UE-Africa", al fine di agevolare l'accesso dei Paesi africani ai mercati dei capitali; allo stesso tempo, si potrebbero introdurre misure per agevolare le rimesse degli immigrati e il loro reinvestimento, in sinergia con la Banca europea per gli investimenti e altre organizzazioni finanziarie europee e internazionali;
· integrazione dei temi connessi al fenomeno migratorio (gestione/controllo delle frontiere, dogane, giustizia penale, gestione dei rifugiati in linea con gli standard internazionali) nel mandato delle missioni attuali e future adottate nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune in Africa;
· opportunità di migrazione legale, offrendo quote di ingresso per i lavoratori, informazioni sulle opportunità di lavoro in Europa per i cittadini dei Paesi terzi, partecipazione ad Erasmus e ad altri programmi per la mobilità di studenti e ricercatori;
· programmi di reinsediamento come compensazione per l'onere sopportato da quei Paesi che si impegnano per l’introduzione di sistemi nazionali di asilo in linea con gli standard internazionali.
L’UE, da parte sua, potrebbe chiedere:
· impegno nel controllo delle frontiere e per la riduzione dei flussi verso l'Europa, nonché nelle attività di soccorso;
· cooperazione in materia di rimpatri /riammissioni, anche attraverso il distacco di funzionari incaricati di accelerare l'identificazione e il rilascio dei documenti di viaggio, nonché lo sviluppo di basi di dati biometrici e sistemi informatici per i registri civili;
· gestione della migrazione e dei flussi di profughi, garantendo un attento esame in loco per distinguere i rifugiati dai migranti economici, accompagnato da misure di reinsediamento in Europa per chi necessita di protezione internazionale e rimpatri per i migranti irregolari;
· istituzione di sistemi nazionali di asilo in linea con gli standard internazionali;
· rafforzare la lotta contro la tratta di esseri umani e il traffico di migranti anche attraverso azioni congiunte di polizia e cooperazione giudiziaria.
Nel documento del Governo si prospetta la possibilità che la nuova Guardia di frontiera europea sviluppi un piano per le operazioni di rimpatrio da finanziare con il bilancio dell'UE. Tutti gli strumenti a disposizione degli Stati membri e dell’UE in materia di politica estera e di sviluppo dovrebbero essere strategicamente combinati per mantenere una presenza costante nella Cintura sahariana con l'obiettivo di addestrare, equipaggiare ed assistere i Paesi della regione nelle attività di controllo delle frontiere, pattugliamento, contrasto all’immigrazione irregolare, al terrorismo, alla droga e alla criminalità organizzata.
Sul piano del finanziamento, il Governo italiano propone di istituire un nuovo “strumento finanziario per l’azione esterna in materia di migrazione”, cui potrebbe aggiungersi l’emissione di bond comuni europei per sostenere le politiche connesse alle migrazioni.
La parte finale del documento è dedicata alla situazione libica: a tale riguardo, il Governo italiano sottolinea la necessità di intensificare la nostra collaborazione con il Governo libico, mirando, tra le altre cose, alla formazione della Guardia costiera nazionale, della polizia e del sistema giudiziario.
Il
20 aprile 2016 il presidente della Commissione europea, Juncker, ha
inviato una lettera di risposta al Presidente del Consiglio nella quale, tra le
altre cose:
· accoglie con grande favore l’iniziativa del Governo italiano – che conferma l’esigenza di un approccio europeo al tema delle migrazioni;
· ribadisce che l’Unione europea ha bisogno di gestire i propri confini esterni insieme, deve fornire protezione ai rifugiati che ne hanno diritto, offrire modi legali ai migranti di venire in Europa e deve tenere aperti i propri confini;
· ricorda la creazione dell’Eu-Africa Trust Fund da 1,8 miliardi di euro, concordato in occasione del Summit UE-Africa di La Valletta, sottolineando che sono già stati allocati 350 milioni di euro per progetti per lo sviluppo con i Paesi africani. Riconosce altresì la necessità di cercare altri strumenti innovativi per finanziare l’azione esterna dell’UE nel settore delle migrazioni;
· si dichiara pronto a lavorare su tutti i temi del Migration compact, dando mandato di approfondire l’iniziativa ai Vicepresidenti della Commissione Ue Federica Mogherini e Frans Timmermans.
Si ricorda infine che il Consiglio affari esteri dell’UE del 23 maggio 2016 ha approvato conclusioni sulla migrazione nelle quali, tra l’altro, “si accoglie con favore la presentazione di proposte innovative da parte di tutti gli Stati membri, incluso il "patto sulla migrazione" avanzato dall'Italia”.
Il
7 giugno 2016 la Commissione europea, anche in risposta alla proposta italiana
del cosiddetto Migration compact, ha presentato una comunicazione sull’istituzione
di un nuovo quadro di partenariato con i Paesi terzi nell’ambito
dell’Agenda europea sulla migrazione.
Secondo la Commissione i partenariati rinnovati con i paesi terzi devono assumere la forma di "patti" su misura, sviluppati in funzione della situazione e delle necessità di ciascun paese partner, a seconda che si tratti di un paese di origine, di un paese di transito o di un paese che accoglie un gran numero di sfollati. Tale approccio dovrà essere seguito nella conclusione, prevista a breve termine, di patti con la Giordania e il Libano; la Commissione intende inoltre adoprarsi per stipularne altri con Niger, Nigeria, Senegal, Mali e Etiopia, nonché rafforzare l'impegno con la Tunisia e la Libia.
Secondo la comunicazione, nella politica UE nel campo dello sviluppo e del commercio devono essere integrate combinazioni di incentivi positivi e negativi, per ricompensare i paesi disposti a collaborare in modo efficace con l'Unione nella gestione della migrazione e garantire che quelli che si rifiutano di farlo ne subiscano le conseguenze.
La nuova politica di partenariato dovrà prevedere:
· strumenti di rafforzamento delle capacità locali in materia di controllo delle frontiere, di procedure di asilo, di contrasto al traffico dei migranti e reinserimento;
· misure volte a smantellare il modello operativo dei trafficanti di esseri umani, in particolare, rendendo effettivi i rimpatri dei migranti irregolari;
· percorsi legali alternativi verso l’Europa, ad esempio, attraverso un programma mondiale di reinsediamento globale guidato dall’ONU.
La comunicazione
prevede un significativo rafforzamento dei mezzi finanziari per
affrontare le cause profonde della migrazione irregolare e dello sfollamento.
La Commissione europea prevede uno stanziamento di 8 miliardi di euro
nel periodo 2016-2020; in particolare, è previsto a breve termine il potenziamento
del Fondo fiduciario per l’Africa con un miliardo di euro, di cui
500 milioni di euro attinti alla riserva del Fondo europeo di
sviluppo e 500 richiesti agli Stati membri.
Inoltre, nell'autunno 2016, la Commissione intende presentare una proposta relativa a un nuovo fondo per investimenti nei paesi terzi in via di sviluppo, di 3,1 miliardi di euro, che dovrebbe a sua volta mobilitare investimenti complessivi fino a 31 miliardi di euro. Secondo la Commissione europea è possibile arrivare a 62 miliardi di investimenti se gli Stati membri e gli altri partner verseranno un contributo equivalente a quello dell'UE.
Livello regionale
La cooperazione a livello regionale è affidata a dialoghi politici con paesi situati lungo le rotte migratorie occidentali (processo di Rabat) e orientali (processo di Khartoum).
Processo di Rabat
Il
processo di Rabat, avviato in occasione della prima conferenza ministeriale
euroafricana sulla migrazione e lo sviluppo del luglio 2006, ha l'obiettivo di
rafforzare il dialogo e la cooperazione in materia di migrazione e di
individuare priorità comuni al fine di sviluppare una cooperazione operativa
e pratica.
Esso riunisce i governi di 55 paesi europei ed africani (Africa settentrionale, occidentale e centrale), insieme alla Commissione europea e alla Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS).
Il processo di Rabat è gestito da un comitato direttivo composto da cinque Stati membri dell'UE (Belgio, Francia, Italia, Portogallo e Spagna), cinque paesi partner (Burkina Faso, Guinea equatoriale, Mali, Marocco e Senegal) nonché dalla Commissione europea e da ECOWAS.
In occasione della quarta conferenza ministeriale euro-africana sulla migrazione e lo sviluppo, che si è svolta a Roma nel novembre 2014, è stata adottata una dichiarazione che in allegato contiene un programma per il periodo 2015- 2017, che individua quattro pilastri su cui articolare le iniziative future di cooperazione:
· la promozione della migrazione e mobilità legale e regolare;
· la gestione delle frontiere e la lotta alla migrazione irregolare;
· rafforzare il nesso tra migrazione e sviluppo, promuovendo il potenziale positivo della migrazione tanto per i paesi di origine che per quelli di destinazione ed agendo sul nesso tra migrazione e degrado ambientale, instabilità politica , povertà e insicurezza alimentare;
· promuovere gli strumenti di protezione internazionale.
Processo di Khartoum
Il
processo di Khartoum (iniziativa UE-Corno d'Africa in materia di rotte
migratorie), formalmente avviato nel corso della conferenza ministeriale di
Roma del novembre 2014, è un dialogo regionale sulla migrazione che si
concentra sul contrasto alla tratta di esseri umani e al traffico di migranti e
che coinvolge gli Stati membri dell'UE insieme a 9 paesi del Corno d'Africa
e a paesi di transito, nonché la Commissione europea e la Commissione
dell'Unione africana.
Il processo di Khartoum è guidato da un comitato direttivo composto da cinque Stati membri dell'UE (Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Malta), cinque paesi partner (Egitto, Eritrea, Etiopia, Sudan meridionale, Sudan) nonché dalla Commissione europea, dal Servizio europeo per l'azione esterna e dalla Commissione dell'UA per quanto riguarda la parte africana.
Piano d’azione regionale per il Sahel 2015-2020
Il piano
d’azione regionale dell’UE per il Sahel 2015-2020, adottato dal Consiglio
dell’UE il 20 aprile 2015, prevede 4 settori d’intervento: 1) prevenzione
e contrasto della radicalizzazione 2) creazione delle opportune
condizioni per i giovani, 3) migrazione e mobilità, 4) gestione
delle frontiere, lotta contro il traffico illecito e la criminalità
organizzata transnazionale.
Il piano d’azione fornisce il quadro per l’attuazione della strategia dell’UE per la sicurezza e lo sviluppo del Sahel, adottata dal Consiglio dell’UE nel marzo del 2011 e riveduta nel 2014, e volta a definire la risposta dell’UE volta a favorire lo sviluppo e la sicurezza della regione del Sahel. La strategia si indirizza ai seguenti paesi Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania, Niger.
Per quanto riguarda in particolare la migrazione e la mobilità, il piano d’azione prevede le seguenti priorità:
· prevenzione e lotta contro la migrazione irregolare, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e la tratta di esseri umani;
· nesso tra sviluppo e migrazione, massimizzando l'effetto della migrazione e della mobilità sullo sviluppo;
· promozione della protezione internazionale;
· organizzazione della mobilità e della migrazione legale.
Per quanto riguarda la gestione delle frontiere, la lotta contro il traffico illecito e la criminalità organizzata, il piano d’azione prevede in particolare il rafforzamento della cooperazione e condivisione delle informazioni tra agenzie e a livello transfrontaliero e la promozione di iniziative volte a sviluppare una gestione integrata delle frontiere della regione del Sahel e promuovere le capacità locali di gestione delle frontiere.
Il sostegno finanziario all'attuazione del piano d'azione regionale, che contribuisce al conseguimento degli obiettivi della strategia per il Sahel, dovrebbe provenire sia dall'azione bilaterale degli Stati membri sia dagli strumenti dell'UE. Il bilancio indicativo dell'11º FES (Fondo europeo di sviluppo) per i cinque paesi del Sahel per il periodo 2014-2020 ammonta a 2,47 miliardi di EUR.
Si ricorda che Danimarca, Finlandia, Francia, Paesi bassi, Germania, Spagna, Svezia e Regno unito, hanno presentato nel marzo 2016 un non-paper al Consiglio dell’UE volto a promuovere una più ampia discussione sul rafforzamento dell’impegno dell’UE nella regione del Sahel e in particolare in Mali.
Il Consiglio dell’UE ha poi adottato il 20 giugno 2016 delle conclusioni sul Sahel nelle quali, in particolare per quanto riguarda il nesso tra sviluppo e fenomeno migratorio, si sottolinea:
· l'importanza di mantenere un coinvolgimento attivo dell’UE nella regione del Sahel, anche in relazione ai paesi limitrofi della regione del Maghreb e alla Libia;
· l’urgenza e la necessita di contrastare l'aumento del numero di migranti irregolari che lasciano l'Africa occidentale attraverso il Sahel con l'obiettivo di raggiungere l'UE, transitando in particolare dal Niger verso la Libia, attraverso risposte sia immediate che a lungo termine. La cooperazione su tutte le questioni relative alla migrazione, fra cui il rimpatrio e la riammissione nei paesi di origine, rimane essenziale. È importante affrontare le cause profonde della migrazione irregolare nella regione del Sahel, anche mediante sforzi volti ad accrescere lo sviluppo umano e la sicurezza nella regione. In particolare il rafforzamento della gestione integrata delle questioni transfrontaliere è elemento fondamentale per la stabilità e la sicurezza della regione del Sahel e dei paesi limitrofi;
· l'importanza di un approccio globale per far fronte alle molteplici sfide poste dalla crescita demografica. Si ribadisce che la gioventù è una priorità cruciale per il Sahel. L'offerta di un'istruzione di base inclusiva, di formazione professionale nonché di migliori opportunità lavorative e prospettive economiche e nuovi posti di lavoro ai giovani è essenziale. Il Consiglio invita a intraprendere iniziative inclusive e basate sul genere volte a rafforzare il ruolo delle donne nelle società del Sahel.
Piano d'azione regionale per il Corno d'Africa
Il
piano d'azione regionale per il Corno d'Africa per il periodo 2015-2020 ,
adottato dal Consiglio dell’UE nell’ottobre 2015, mira ad adattare il quadro
strategico dell'UE per questa regione del 2011, tenendo conto delle nuove
sfide che negli ultimi anni sono diventate più evidenti e gravi: un quadro
geopolitico più ampio, i flussi migratori misti e la radicalizzazione violenta.
Il quadro strategico dell’UE nel Corno d’Africa, adottato dal Consiglio dell’UE nel novembre 2011, prevede che l’azione dell’UE nella regione si concentri sulle seguenti priorità: sviluppo di strutture statali democratiche e responsabili; pace, sicurezza, prevenzione e risoluzione dei conflitti; mitigazione degli effetti di insicurezza nella regione (in particolare la pirateria nonché altre forme di criminalità organizzata, terrorismo e gli effetti della migrazione irregolare); riduzione della povertà, crescita economica e prosperità; cooperazione e forme di integrazione regionali.
Il piano d'azione regionale per il Corno d'Africa prevede che l’azione dell’'UE nella regione si concentri nel periodo 2015-2020 su cinque ambiti: 1) sicurezza e stabilità regionale; 2) Migrazione e sfollamenti forzati; 3) lotta alla radicalizzazione e all'estremismo violento; 4) gioventù e occupazione; 5) protezione dei diritti umani, dello stato di diritto e della governance democratica
Il piano d’azione si indirizza ai seguenti paesi: Gibuti, Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Uganda.
Cooperazione in materia di rimpatrio e riammissione con i paesi di origine e di transito
Il rimpatrio e la riammissione di coloro che non necessitano di protezione rappresentano una priorità fondamentale per mantenere la credibilità e il corretto funzionamento dei sistemi di asilo e migrazione, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali dei migranti e del principio di non respingimento.
In questo contesto, la Commissione ha recentemente proposto un piano d'azione dell'Unione europea in materia di rimpatrio che, in particolare, definisce una strategia per intensificare la cooperazione con i paesi terzi in materia di accordi di rimpatrio e di riammissione.
L'opzione preferita, ove possibile, è quella di incoraggiare e sostenere i rimpatri volontari nei paesi di origine. L'UE sta, inoltre, incentivando i paesi terzi a cooperare in materia di riammissione sulla base del principio "più progressi, più aiuti".
Sostegno dell'UE ai rifugiati nelle regioni più vicine ai conflitti: i programmi di sviluppo e protezione regionale (PSPR)
L'obiettivo dei programmi di sviluppo e protezione regionale (PSPR) è di aiutare i paesi terzi che ospitano un numero elevato di rifugiati ad affrontare le esigenze di sviluppo e protezione sia dei rifugiati sia dei richiedenti asilo e le esigenze delle comunità di accoglienza dei rifugiati, nonché sostenere le esigenze di sviluppo delle capacità delle autorità competenti nel settore della protezione dei rifugiati.
Il consorzio PSPR del Nord Africa è guidato dall'Italia, quello del Corno d'Africa dai Paesi Bassi. I PSPR sono finanziati sia da fondi dell'UE sia da contributi nazionali.
I PSPR includono azioni quali: sostenere il quadro legislativo e politico, creare una struttura amministrativa, formare professionisti che si occupino di questioni relative ai rifugiati, sostenere le procedure per determinare lo status di rifugiato, migliorare le condizioni di accoglienza, sostenere i gruppi vulnerabili di migranti e rifugiati, offrire possibilità di integrazione in loco e di autonomia, sostenere i rifugiati e le comunità di accoglienza attraverso migliori condizioni di vita e opportunità di istruzione, creare programmi a favore dell'occupazione e della formazione professionale.
La Commissione europea ha stanziato 75 milioni di euro per il finanziamento di progetti nell’ambito di programmi di sviluppo e protezione regionale.
Livello bilaterale
Dialoghi bilaterali in materia di migrazione e mobilità
I dialoghi bilaterali in materia di migrazione e mobilità tra l'UE e i paesi terzi possono concretizzarsi in diverse forme: i partenariati per la mobilità e le agende comuni su migrazione e mobilità.
La proposta di negoziare un partenariato per la mobilità viene presentata una volta raggiunto un certo grado di avanzamento nei dialoghi su migrazione e mobilità. I partenariati per la mobilità sono utilizzati principalmente per i paesi del vicinato, mentre le agende comuni sono utilizzate principalmente per gli altri paesi terzi.
I partenariati per la mobilità, a differenza delle agende comuni su migrazione e mobilità, comprendono i negoziati sugli accordi di facilitazione dei visti e di riammissione.
I partenariati per la mobilità sono volti a promuovere azioni su:
· migrazione legale e mobilità, attraverso regimi di migrazione circolare e temporanea nonché una migliore informazione e protezione dei migranti, compresa la formazione prima della partenza e lo sviluppo delle capacità istituzionali e amministrative delle autorità dei paesi partner;
· combattere l'immigrazione irregolare e la tratta di esseri umani e migliorare la gestione delle frontiere;
· migrazione e sviluppo, sostenendo il rimpatrio volontario e la reintegrazione sostenibile dei migranti di ritorno, anche attraverso regimi di migrazione circolare, informando i migranti all'estero sulla situazione del mercato del lavoro nei loro paesi di origine e sulle loro possibilità di ritorno, formando i lavoratori migranti che ritornano al loro paese e promuovendo il trasferimento delle prestazioni di sicurezza sociale, e stimolando lo spirito imprenditoriale e promuovendo misure per ridurre i costi delle rimesse e incoraggiare gli investimenti produttivi;
· asilo e protezione internazionale: sostenendo lo sviluppo di un quadro giuridico e istituzionale sull'asilo, in linea con le norme internazionali; accrescendo le capacità delle autorità dei paesi partner di sviluppare e attuare una politica in materia di asilo e fornire protezione internazionale; promuovendo la cooperazione tra le autorità nazionali competenti per le procedure di asilo nei paesi terzi e i loro omologhi negli Stati membri dell'UE.
Al momento sono state siglate intese con i seguenti paesi africani: Capo Verde, Marocco, Tunisia (partenariati per la mobilità), Nigeria ed Etiopia (agende comune su migrazione e mobilità).
La nuova Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell'Unione europea, nell'evidenziare come gli Stati membri rimangano sovrani nelle loro decisioni in materia di difesa, afferma che una cooperazione efficace nel settore della PSDC deve divenire la norma, allo scopo di acquisire e mantenere le capacità di difesa che consentano all'UE di svolgere, come attore globale, un ruolo equiparabile al potere attrattivo del suo modello e alla propria forza economica.
A tal fine, la Presidenza slovacca - nella Background Note predisposta per la riunione della Conferenza PESC/PSDC - evidenzia come la predisposizione di un Libro Bianco che individui le capacità necessarie e le modalità per conseguirle, sulla base di priorità collettive e comuni, rappresenti il primo passo verso una autentica Unione europea della difesa.
Il dibattito in proposito prende le mosse dal Consiglio europeo del dicembre 2013, interamente dedicato ai temi della difesa, e dall'individuazione, in quella sede, di tre grandi obiettivi, o clusters, sui quali concentrare l'azione futura:
- Accrescere l'efficienza, la visibilità e l'impatto della PSDC;
- Favorire lo sviluppo di capacità comuni;
- Rafforzare l'industria europea della difesa.
Benché la ripresa dei temi della difesa europea in occasione del Consiglio europeo di giugno 2015 sia stata considerata da molti Stati membri, oltre che da stakeholders e osservatori, decisamente fiacca e inferiore alle aspettative, nei quasi tre anni seguiti al Consiglio europeo del 2013 le istituzioni dell'UE hanno prodotto diversi passi avanti, sotto forma di nuove comunicazioni, strategie, piani d'azione. Oltre, ovviamente, alla nuova Strategia globale, vanno segnalati:
- L'Approccio globale ai conflitti esterni e alle crisi;
- La comunicazione congiunta sul capacity building a sostegno della sicurezza e dello sviluppo;
- La strategia UE sulla sicurezza energetica;
- La strategia UE sulla sicurezza marittima e il relativo piano d'azione ;
- Il quadro d'azione europeo in materia di cyberdifesa;
- L'Agenda europea sulla sicurezza .
Il dibattito, in base alle ipotesi formulate dalla Presidenza slovacca, potrebbe concentrarsi, tra l'altro, sull'impatto delle evoluzioni della PSDC sui rapporti con la NATO; sugli effetti della Brexit sulla PSDC; sulla posizione degli Stati membri più piccoli all'interno di una PSDC più forte e "centralizzata"; sulla questione delle capacità di difesa degli Stati membri a livello nazionale rispetto alla specializzazione che deriverebbe da un rafforzamento della difesa collettiva.
Sulla Strategia globale, si rimanda alla scheda specifica dedicata alla prima sessione di lavoro della Conferenza.
Si procede invece, qui di seguito, a ricostruire il dibattito specifico in tema di difesa che ha preceduto la presentazione della Strategia, nonché a fornire, in appendice, un cenno alle recenti posizioni del Governo e alla evoluzione generale delle spese per la Difesa all'interno dell'Unione.
Il Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015 aveva, tra i punti essenziali all'ordine del giorno, la prosecuzione dei lavori su una politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) più efficace, visibile e orientata ai risultati, al centro delle conclusioni del Consiglio europeo del dicembre 2013.
L'emergenza
migratoria, il dibattito serrato sull'individuazione di strumenti di emergenza
per fronteggiarla (in primis, attraverso programmi di ricollocazione e
reinsediamento), l'incombere della crisi del debito greco, hanno ridotto in
modo assai significativo gli spazi per un dibattito sulla PSDC, e il
testo licenziato dal Consiglio europeo appare assai stringato. Constatati i
cambiamenti radicali nel contesto europeo della sicurezza, il Consiglio europeo
ha rilevato la necessità di interventi in tre settori interconnessi:
- In linea con l'Agenda europea sulla sicurezza della Commissione, la prosecuzione dei lavori sulla rinnovata strategia di sicurezza interna dell'Unione, con priorità alla piena attuazione degli orientamenti in materia di lotta al terrorismo;
- Continuazione, da parte dell'Alto Rappresentante, del processo di riflessione strategica al fine di preparare una strategia globale dell'UE in materia di politica estera e di sicurezza, in stretta cooperazione con gli Stati membri, da sottoporre al Consiglio europeo entro giugno 2016 (come effettivamente avvenuto);
- Prosecuzione, come già ricordato, dei lavori per una PSDC più efficace, visibile e orientata ai risultati, in linea, oltre che con quanto stabilito dal Consiglio europeo di dicembre 2013, anche con le conclusioni del Consiglio difesa del 18 maggio 2015.
Per quanto concerne in particolare la PSDC, il Consiglio
europeo ha ricordato la necessità:
- Che gli Stati membri destinino un livello sufficiente di spesa per la difesa, puntando altresì a un utilizzo il più possibile efficace delle risorse;
- Che il bilancio UE assicuri finanziamenti adeguati all'azione preparatoria sulla ricerca connessa alla PSDC, aprendo la strada a un eventuale futuro programma di ricerca e tecnologia nel settore della difesa;
- Di promuovere una cooperazione europea in materia di difesa rafforzata e più sistematica, al fine di creare le capacità chiave e ricorrendo anche a fondi dell'Unione;
- Di mobilitare tutti gli strumenti dell'UE che possano contribuire a contrastare le minacce ibride;
- Di intensificare i partenariati con ONU, NATO, OSCE e Unione Africana;
- Di mettere i partner in condizione di prevenire e gestire le crisi, anche attraverso progetti concreti di sviluppo di capacità in un ambito geografico flessibile.
Il Consiglio europeo ha infine espresso la determinazione a mantenere regolarmente la PSDC all'ordine del giorno dei suoi lavori. Ciò finora non si è peraltro verificato, e le stesse riunioni del Consiglio a livello di Ministri della Difesa - come di consueto, agganciate alle attività del Consiglio affari esteri - si sono incentrate, inevitabilmente, sui problemi connessi alla Sicurezza interna, a seguito degli attentati terroristici di Parigi.
La parte delle Conclusioni del Consiglio
europeo di giugno dedicate alla PSDC è stata ritenuta carente e povera di
ambizione da molti commentatori e attori politici. Già in fase preparatoria del
Consiglio europeo, e in particolare in occasione del COREPER del 17 giugno e
del Consiglio affari generali del 23 giugno, i rappresentanti di diversi Stati
membri avevano evidenziato l'opportunità di rafforzare l'impianto e il wording
delle conclusioni, ottenendo tuttavia risultati solo parziali. Più nel
dettaglio, la Commissione europea aveva posto l'accento sulla piena attuazione
dell'iniziativa sul capacity building per la sicurezza e lo sviluppo,
sull'assegnazione di risorse adeguate all'azione preparatoria in materia di
ricerca connessa alla difesa e sull'indicazione di una rendez-vous clause nel
2017. Il SEAE si era pronunciato in favore di un'impostazione più ambiziosa del
testo di conclusioni, con riferimenti più puntuali (in parte accolti nel testo
definitivo) agli investimenti per la difesa, all'assegnazione di risorse
adeguate per l'azione preparatoria in materia di ricerca connessa alla difesa,
alla guerra ibrida, all'iniziativa sul capacity building per la sicurezza
e lo sviluppo, ai partenariati dell'UE con altre organizzazioni internazionali
(ONU, NATO, OSCE e Unione africana) e al contrasto al terrorismo.
Particolarmente critico era risultato l'atteggiamento della Francia, che, con
il sostanziale sostegno di Germania e Italia, aveva elencato alcuni aspetti sui
quali il Consiglio europeo avrebbe dovuto esprimere orientamenti più precisi e
vincolanti: azione preparatoria e relativo budget, attuazione
dell'iniziativa sul capacity building, incentivi ai progetti di cooperazione
per lo sviluppo di capacità militari, reazione rapida e battlegroups e,
infine, una rendez-vous clause legata a una data precisa.
a) Il Consiglio europeo di dicembre 2013 e la relazione della Commissione europea di giugno 2014
Il Consiglio
europeo di dicembre 2013, a conclusione di un processo avviato dalla
comunicazione della Commissione "Verso un settore della difesa e della
sicurezza più concorrenziale ed efficiente" (COM
(2013) 542), aveva adottato un quadro di azioni e iniziative volte a
rilanciare la PSDC suddiviso in tre grandi clusters:
- aumento dell'efficacia, della visibilità e dell'impatto della PSDC;
- potenziamento dello sviluppo delle capacità militari;
- rafforzamento dell'industria europea della difesa.
Tale quadro, esplicitato in una specifica roadmap, è entrato in fase attuativa a partire dal 2014; il Consiglio europeo si era altresì impegnato a valutare i progressi concreti su ciascuno dei clusters nel giugno 2015.
Sulla roadmap la Commissione ha presentato una relazione nel giugno 2014 (COM (2014) 387), soffermandosi in particolare sui seguenti obiettivi:
-
un mercato
interno della difesa in cui le imprese europee possano operare liberamente
e senza discriminazioni in tutti gli Stati membri;
- una condizione di sicurezza dell'approvvigionamento su tutto il territorio dell'UE che dia alle forze armate la certezza di ricevere forniture sufficienti in ogni circostanza, a prescindere dallo Stato membro in cui ha sede il fornitore;
- un'azione preparatoria sulla ricerca connessa con la PSDC, per esplorare le potenzialità di un programma di ricerca europeo che in futuro possa riguardare sia la sicurezza che la difesa;
- una politica industriale che favorisca la competitività delle industrie europee della sicurezza e contribuisca a fornire a prezzi accessibili tutte le capacità di cui l'Europa ha bisogno per garantire la propria sicurezza.
b) Il Consiglio Difesa del 18 novembre 2014
Il Consiglio dell'UE del
18 novembre 2014 aveva a sua volta adottato delle specifiche
conclusioni sulle prospettive della PSDC, in vista del Consiglio europeo di
giugno 2015, nelle quali, tra l'altro:
- invitava l'Alto Rappresentante a valutare l'impatto dei cambiamenti a livello globale e a riferire al Consiglio nel corso del 2015, presentando altresì una proposta di approccio strategico che tenga conto del ruolo e delle competenze degli Stati membri e proponga un coordinamento e meccanismi di finanziamento adeguati, in base a una valutazione congiunta delle necessità e a un'analisi comune dei rischi;
- sottolineava ulteriormente la necessità di aumentare l'efficacia della PSDC ricorrendo a una cooperazione e a un coordinamento sistematici tra Istituzioni e Stati membri e a un uso coerente ed efficace degli strumenti e delle politiche dell'Unione, e di potenziare lo sviluppo e/o il mantenimento delle capacità di difesa degli Stati membri, avvalendosi di una base industriale e tecnologica di difesa europea (EDTIB) più integrata, sostenibile, innovativa e competitiva,;
- ribadiva l'importanza della cooperazione con i partner, in particolare ONU, NATO, OSCE e Unione Africana, nonché con i partner strategici e con i Paesi del Vicinato;
- sottolineava i progressi compiuti in particolare sui quattro progetti chiave approvati dal Consiglio europeo di dicembre 2013, vale a dire rifornimento aria-aria, sistemi aerei pilotati a distanza, comunicazione satellitare governativa e ciberdifesa;
- ribadiva come l'azione preparatoria sulla ricerca connessa al settore della difesa, svolta dalla Commissione e che riunisce Stati membri, Agenzia europea della difesa (AED) e il Servizio europeo di azione esterna (SEAE) rappresentasse un importante passo sulla via di un più vasto programma di ricerca a sostegno della PSDC;
- sottolineava l'importanza della base industriale e tecnologica di difesa europea (EDTIB), accogliendo con favore le misure dell'AED e della Commissione volte a migliorare la sicurezza degli approvvigionamenti, sostenere le PMI, migliorare l'efficacia in termini di costi e l'efficienza del mercato.
Il Consiglio UE di novembre aveva altresì adottato il quadro strategico in materia di ciberdifesa - incentrato sul sostegno allo sviluppo delle capacità di ciberdifesa degli Stati membri, sul rafforzamento della protezione delle reti di comunicazione in ambito PSDC, sulla promozione della cooperazione e delle sinergie con le altre politiche UE in materia di cibernetica e sul miglioramento delle potenzialità in materia di istruzione, formazione ed esercitazioni -, nonché il quadro strategico per la cooperazione sistematica e a lungo termine in materia di difesa, volto a rafforzare gli aspetti cooperativi nello sviluppo delle capacità di difesa attraverso un miglior coordinamento degli autonomi processi decisionali nazionali.
Il Consiglio UE aveva infine esortato a un maggiore impegno nel perseguimento delle seguenti misure:
- lo sviluppo di un piano d'azione per l'attuazione dell'approccio globale dell'UE entro il primo trimestre del 2015;
- la predisposizione di un piano d'azione per l'attuazione della strategia per la sicurezza marittima, adottata nel giugno del 2014;
- l'avvio di una concreta azione di sostegno della PSDC alla gestione delle frontiere nella regione del Sahel e del Sahara;
- il rafforzamento del coordinamento tra sicurezza interna ed esterna mediante una maggior cooperazione tra missioni PSDC e gli attori dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (EUROPOL, FRONTEX, CEPOL) e Interpol;
- una riflessione a tutto campo sulle possibilità d'uso dell'art. 44 TUE (in base al quale il Consiglio può affidare la realizzazione di missioni in ambito PSDC a un gruppo di Stati membri che lo desideri e disponga di capacità adeguate);
- il pieno sfruttamento del valore aggiunto del centro operativo dell'UE, in linea con il suo mandato riveduto e con i nuovi mandati del centro satellitare dell'UE e dell'Accademia europea per la sicurezza e la difesa;
- la prosecuzione e accelerazione dei lavori per l'istituzione di un Centro servizi condivisi, che contribuisca alla razionalizzazione delle funzioni di supporto alle missioni civili in ambito PSDC.
Il Consiglio UE si era infine impegnato ad adottare nel mese di maggio 2015 ulteriori conclusioni sulla PSDC, in vista del Consiglio europeo di giugno.
c) Le relazioni della Commissione europea e dell'Alto Rappresentante dell'8 maggio 2015
In vista del Consiglio affari esteri del 18 maggio e del Consiglio europeo del 25 e 26 giugno, la Commissione europea e l’Alto Rappresentante hanno presentato l’8 maggio 2015:
- una relazione sulle iniziative in corso per la promozione di una base industriale e tecnologica di difesa europea, con particolare riferimento all’area del mercato interno, ricerca e politica industriale;
- una relazione sulle iniziative in corso per aumentare l’efficacia, l’impatto e la visibilità della PSDC.
In
particolare nella relazione sull’efficacia, l’impatto e la visibilità della
PSDC, l’Alto rappresentante presenta le seguenti valutazioni e proposte sulle
prospettive future della PSDC:
- le missioni e le operazioni in ambito PSDC costituiscono la parte più concreta e visibile dell’azione dell’UE, ma esse sono efficaci se gli Stati membri vi destinano le risorse necessarie e se sono basate su una forte volontà politica e su chiari mandati ed obiettivi;
- è fondamentale, a lungo termine, rafforzare la capacità dei paesi partner e delle organizzazioni regionali di assumere direttamente le responsabilità per la prevenzione e gestione delle crisi;
- l’UE deve ulteriormente ampliare i partenariati in ambito PSDC, in particolare attraverso il dialogo politico e la partecipazione di Stati terzi a missioni ed operazioni dell’UE;
- il mutato contesto geostrategico fornisce uno stimolo ulteriore al rafforzamento della cooperazione tra l’UE e la NATO, in particolare per quanto riguarda gli strumenti di pianificazione, la sicurezza marittima, la cooperazione con Stati terzi, le minacce ibride, la comunicazione strategica, la cibersicurezza, le forze di intervento rapido;
- è necessario dedicare maggiore attenzione e risorse allo sviluppo delle capacità civili delle missioni dell’UE;
- gli Stati membri si devono impegnare ad investire di più e meglio nel settore della difesa, con riguardo anche agli investimenti nel settore della ricerca e sviluppo tecnologico. Occorre promuovere misure volte a stimolare gli investimenti degli Stati membri in progetti di ricerca nei settori della difesa, con l’obiettivo di raggiungere un’autonomia europea in tecnologie fondamentali per garantire la autonomia strategica dell’Europa;
- occorre promuovere una cooperazione sistematica e a lungo termine tra gli Stati membri nel settore della difesa, che deve diventare la regola e non l’eccezione. A tale proposito occorre sfruttare a pieno le disposizioni del Trattato di Lisbona per sviluppare tale cooperazione;
- nel settore spaziale, la difesa europea deve sfruttare meglio i progetti esistenti come Galileo e Copernicus e promuovere migliori sinergie tra progetti del settore civile e di quello militare.
d) Il Consiglio difesa del 18 maggio 2015
Dando seguito all'impegno succitato, il Consiglio Difesa del 18 maggio ha approvato ulteriori conclusioni sulla PSDC, che sono espressamente citate nelle conclusioni del Consiglio europeo di giugno, e che ribadiscono molte delle proposte e degli auspici formulati a novembre.
Il Consiglio, tra l'altro:
-
Ha invitato l'Alto
Rappresentante, in stretta cooperazione con i servizi della Commissione e con
l'AED, e in consultazione con gli Stati membri, a presentare entro la fine
del 2015 un quadro congiunto inclusivo di proposte immediatamente realizzabili
e che contribuisca ad affrontare le minacce ibride, rafforzando la
resilienza dell'UE, degli Stati membri e dei partner (il quadro inclusivo, più
volte annunciato, non risulta ancora formalizzato);
- Ha ribadito la necessità di rafforzare l'efficacia della PSDC e lo sviluppo e il mantenimento delle capacità degli Stati membri, supportate da una Base industriale e tecnologica di difesa europea (EDTIB) più integrata, sostenibile, innovativa e competitiva;
- Ha sottolineato l'importanza di lavorare insieme ai partner, in particolare l'ONU, la NATO, l'OSCE, l'Unione africana, la Lega degli Stati arabi e l'ASEAN, nonché con i partner strategici e altri paesi partner, e si sofferma in particolare sulla solida cooperazione con le Nazioni Unite nella gestione delle crisi, con la NATO nelle aree di interesse condiviso, con l'Unione africana e i paesi partner di quel continente, dando seguito alla Dichiarazione finale del Vertice UE-Africa del 2014;
- Ha salutato con favore l'implementazione dell'Approccio globale dell'UE ai conflitti esterni e alle crisi, delineato nelle conclusioni del Consiglio del maggio 2014, anche attraverso il Piano d'azione per il 2015, e ha dichiarato di attendere con interesse la presentazione di un Piano d'azione aggiornato che tragga spunto dalle recenti esperienze e sia redatto in stretto coordinamento con gli Stati membri;
- Ha salutato altresì la presentazione, in vista del Consiglio europeo di giugno, della Comunicazione congiunta "Potenziare le capacità per promuovere sicurezza e sviluppo - Consentire ai partner di prevenire e gestire le crisi" (JOIN (2015) 17), con particolare riferimento alle proposte relative alla valutazione, al monitoraggio e a una metodologia per la gestione dei rischi;
- Ha preso atto con soddisfazione dei lavori in corso per implementare il Quadro europeo per la ciberdifesa e sottolineato la necessità di una maggior consapevolezza nei confronti delle minacce cibernetiche;
- Ha preso atto altresì dai lavori in corso per implementare il Piano d'azione del Dicembre 2014 per l'attuazione della Strategia dell'UE per la sicurezza marittima.
e) La risoluzione del Parlamento europeo del 21 maggio 2015 sull'attuazione della PSDC
Sui temi della PSDC
e del suo rafforzamento si è pronunciato, con dovizia di dettagli, anche il
Parlamento europeo, nella sua risoluzione
del 21 maggio 2015 "sull'attuazione della politica di sicurezza e di
difesa comune".
Nel testo approvato a Strasburgo il Parlamento europeo, tra l'altro:
- Si rammarica per il fatto che lo slancio politico impresso nel 2013 non abbia portato a un rafforzamento della cooperazione né all'attuazione effettiva e rapida "di misure pratiche commisurate ai livelli dichiarati di ambizione";
- Si dichiara costernato per i continui problemi in termini di costituzione della forza riscontrati in occasione dell'avvio delle missioni militari, che, ad eccezione dell'EUTM Mali, non riguardano mai più di sei Stati membri;
- Apprezza l'impegno espresso dal Consiglio per un esame del potenziale dell'art. 44 del TUE ma si rammarica per il fatto che le divisioni sull'argomento non abbiano consentito per ora di compiere alcun progresso in merito alle modalità di applicazione di detto articolo, che consentirebbe all'Unione di intervenire in modo molto più flessibile e rapido, accrescendone la capacità di far fronte alle minacce che la circondano;
- Accoglie con favore l'adozione di un quadro strategico dell'UE in materia di ciberdifesa e sottolinea l'importanza di raggiungere un livello comune di sicurezza informatica tra gli Stati membri al fine rafforzare le capacità di reazione agli attacchi informatici e al ciberterrorismo;
- Ritiene che "gli effetti della crisi economica e finanziaria del 2008 abbiano comportato la riduzione delle spese nazionali per la difesa e che i tagli siano stati operati senza il minimo coordinamento tra gli Stati membri, mettendo a repentaglio l'autonomia strategica dell'Unione e la capacità degli Stati membri di far fronte al fabbisogno di capacità delle loro forze armate", e sottolinea pertanto l'importanza di stabilire una pianificazione preventiva per gli investimenti strategici nell'acquisto e nel rinnovamento di materiali tra gli Stati membri;
- Accoglie con favore l'adozione, durante il Consiglio del 18 novembre 2014, di un quadro politico per la cooperazione sistematica e a lungo termine in materia di difesa, fondato sulla convergenza dei processi di pianificazione delle capacità e sullo scambio di informazioni, nonché del piano di sviluppo delle capacità (PSC) dell'Agenzia europea della difesa (AED);
- Esprime un giudizio positivo sui modelli di cooperazione esistenti come il Comando europeo di trasporto aereo (CETA) e deplora il fatto che essi non siano stati adattati ad altri tipi di capacità di difesa;
- Plaude ai progressi compiuti in materia di rifornimento in volo grazie all'acquisizione di una flotta di aerei multiruolo per il trasporto e il rifornimento (MRTT), deplorando al contempo che solo un numero molto limitato di Stati membri abbia finora partecipato al progetto;
- Prende atto dell'intenzione del Consiglio di elaborare dei progetti per il rafforzamento delle capacità dell'UE tra cui i Sistemi Aeromobili a Pilotaggio Remoto (RPAS) e sottolinea la necessità di elaborare un quadro normativo per l'integrazione iniziale, entro il 2016, dei sistemi RPAS nel sistema aereo europeo;
- Invita l'Unione a incoraggiare gli Stati membri a "conseguire gli obiettivi di capacità della NATO, che richiedono una spesa di difesa minima del 2% del PIL, e la destinazione di almeno il 20% della spesa di difesa alle principali esigenze in materia di equipaggiamenti, ivi compresi ricerca e sviluppo";
- Prende atto della comunicazione della Commissione del luglio 2013 "Verso un settore della difesa e della sicurezza più concorrenziale ed efficiente", nonché della tabella di marcia del giugno 2014 per l'attuazione della comunicazione e delle proposte in essa contenute, ma ritiene che tutte queste misure necessitino "di una preventiva definizione comune del perimetro della base industriale e tecnologica di difesa europea (BITDE) per poter individuare quali imprese o attività strategiche potranno beneficiarne, tenendo in considerazione il diverso potenziale tra le industrie della difesa degli Stati membri";
- Ritiene infine che nessun governo possa varare da solo dei programmi di ricerca e tecnologia di portata realmente ampia; accoglie con favore le proposte della Commissione relative alla creazione di sinergie tra ricerca civile e di difesa; invita la stessa Commissione e gli Stati membri ad appoggiare la missione di ricerca a sostegno delle politiche esterne dell'Unione, compreso lo sviluppo nel settore delle tecnologie a duplice uso per migliorare l'interoperabilità tra protezione civile e forze militari; accoglie con favore il lancio di "azioni preparatorie" e auspica che, nel settore della PSDC, il passo successivo sia il finanziamento "di un pertinente settore di ricerca nel prossimo quadro finanziario pluriennale.
La nuova Strategia globale in materia di politica estera e di sicurezza dell'UE, come evidenziato nell'apposita scheda di lettura, si è limitata a enunciare e ribadire - in buona parte - il quadro, tuttora largamente incompiuto, delineato dal Consiglio europeo di dicembre 2013 e dai suoi sviluppi successivi.
Un
primo contributo sulla Strategia e sulle iniziative cui conferire priorità
immediata è stato fornito dal Governo italiano, seppure in via informale,
tramite un articolo
firmato dai Ministri degli esteri e della difesa, Gentiloni e Pinotti, e
pubblicato in contemporanea sui quotidiani La Repubblica e Le Monde.
L'articolo prende le mosse dalla Brexit, che priva l'Unione europea "di uno Stato membro dotato di notevoli capacità militari" e impone pertanto una riflessione che porti a nuove prospettive di difesa comune, consentendo "di rafforzare le capacità operative nelle aree di crisi e nella lotta al terrorismo".
La visione italiana si concentra su due possibili vie per un rilancio della PSDC:
-
La
prima, già prevista dai Trattati in vigore, si propone di dotare l'UE di
un'accresciuta autonomia d'azione, rafforzando le capacità militari comuni, con
una maggiore cooperazione tra gli Stati membri e un rafforzamento
dell'industria europea della difesa. "Si tratterebbe di sfruttare il
potenziale inespresso di alcune disposizioni del Trattato di Lisbona, tra cui
l'articolo 44 (riguardante le missioni effettuate da un gruppo di Stati per
conto dell'UE) e il 46 (cooperazione strutturata permanente)";
-
La
seconda, più ambiziosa, consisterebbe nel lancio, da parte di un gruppo di
Stati membri, di una sorta di Unione per la difesa europea. Nell'ottica
di questa che i sue ministri definiscono una "Schengen della difesa",
"un gruppo di Stati membri potrebbe accelerare la sua integrazione nel
campo della difesa mettendo in comune un certo numero di competenze e
risorse, sulla base di un modello condiviso e di un accordo costitutivo che ne
stabilirebbe le finalità oltre che le modalità operative". Ne
conseguirebbe la creazione di una "forza europea multinazionale con
funzioni e un mandato, stabiliti insieme, dotata di una struttura di comando e
di meccanismi decisionali e budgetari comuni.
La seconda ipotesi potrebbe essere portata avanti, nella fase iniziale, da un gruppo ristretto di Paesi, tra cui i fondatori, per poi essere aperto a tutti gli Stati membri, anche in vista di una successiva incorporazione nei Trattati.
La necessità di adeguare il volume di spese nazionali per la difesa, così da costituire una capacity all'altezza degli impegni che l'Unione si propone di portare avanti nelle sue vesti di attore globale, è stata più volte evocata nel dibattito tra Istituzioni UE e Stati membri.
La tabella che segue, pubblicata nel marzo del 2016 da Eurostat, fornisce un quadro delle spese nazionali per la difesa nel 2014.
Nel commentare i dati surriportati, Eurostat osserva, tra l'altro:
che la percentuale dell'1,3% del PIL (1,2% nell'area euro) per le spese destinate alla difesa, oltre a risultare inferiore rispetto agli impegni assunti in sede NATO e alle richieste del Consiglio europeo, segna una flessione non irrilevante rispetto ai dati pre-crisi (nel 2006, la percentuale del PIL era pari all'1,5%, mentre la percentuale della spesa globale era del 3,2%, rispetto al 2,8% del 2014;
I livelli di spesa percentualmente più alti si riscontrano in Grecia (2,7% del PIL) e Regno Unito (2,2%), seguite da Estonia (1,8%) e Francia (1,7%). L'Italia si colloca in posizione intermedia con l'1,2%, e sopra la Germania (1%), mentre i livelli minimi si registrano in Lussemburgo (0,3%), Irlanda (0,4%) e Austria e Ungheria (0,6%);
Per quanto riguarda la composizione della spesa, essa è destinata quasi interamente a spese militari, mentre il settore della spesa "civile" risulta irrilevante (0,05% del PIL). Bassissima anche la percentuale di spesa destinata alla ricerca con implicazioni nel settore della difesa, fatta eccezione per Regno Unito e Francia (rispettivamente, 0,2% e 0,1% del PIL). Il 48% delle spese totali, infine, è assorbito dagli stipendi del personale, il 31% ai "consumi intermedi" e il 18% a investimenti di capitale.
Nel complesso (fonte, International Institute for Stategic Studies), la spesa dell'UE-28 per la difesa si colloca (in linea con una tradizione ormai consolidata) su una percentuale intorno al 20-25% rispetto alla spesa dei soli Stati Uniti. Nel 2015, gli USA hanno destinato a spese per la difesa 597,5 miliardi di dollari, contro i 161,3 sommati di Regno Unito, Francia, Germania e Italia.
Dopo l’ingresso, nel luglio del 2013, della Croazia, non si sono registrati ulteriori allargamenti dell’Unione europea nei Balcani occidentali. Il Presidente della Commissione europea Juncker ha peraltro recentemente escluso la possibilità di nuove adesioni all’UE nel breve e medio termine nonostante il fatto che ben quattro paesi dell’area (ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Montenegro, Serbia e Albania) abbiano lo status di paese candidato.
I rapporti fra l’UE e i paesi dei Balcani occidentali sono attualmente regolati sulla base del processo di stabilizzazione e associazione (PSA) che si avvale di ingenti finanziamenti: per il periodo 2014-2020, sono infatti stanziati per questi paesi (cui deve aggiungersi la Turchia) 11,7 miliardi di euro. Il primo beneficiario, per entità dei finanziamenti, è la Serbia con oltre 1,5 miliardi di euro.
Le risorse assegnate risultano raddoppiate rispetto a quelle stanziate nel precedente periodo di programmazione finanziaria 2007-2013.
L’Unione europea monitora costantemente, attraverso apposite relazioni adottate su base annuale, i progressi compiuti dai singoli paesi della regione ai fini dell’apertura dei negoziati per l’adesione. In linea generale, le raccomandazioni della Commissione europea sottolineano l’esigenza di completare i processi di riforma volti a garantire l’ordinato andamento delle attività delle istituzioni; l’indipendenza del sistema giudiziario; il contrasto alla corruzione e alla criminalità organizzata; la necessità di assicurare il pieno rispetto dei diritti fondamentali secondo gli standard dell’Unione europea. Tutti i paesi dei Balcani occidentali, con la sola eccezione del Kosovo, beneficiano di un regime di esenzione dal visto all’interno dello spazio Schengen.
I rapporti tra l’UE e i Balcani occidentali hanno assunto particolare rilievo negli anni più recenti in relazione a due fenomeni: per un verso, l’aumento consistente dei flussi migratori attraverso la rotta che passa per quest’area e, per altro verso, l’importanza strategica che questa regione sta assumendo con riferimento ad alcuni progetti infrastrutturali cui l’Unione europea attribuisce carattere prioritario.
Per quanto concerne i flussi migratori, dai dati elaborati da Frontex risulta che hanno attraversato irregolarmente le frontiere per raggiungere il territorio dell’UE attraverso i Balcani 764 mila persone nel 2015. I successivi interventi adottati dall’Unione europea, ivi compreso il controverso accordo con la Turchia, hanno consentito di ridimensionare fortemente i flussi: nei cinque mesi del 2016 la rotta dei Balcani ha registrato circa 116 mila attraversamenti irregolari. La situazione resta comunque precaria e il rischio di una ripresa dell’emergenza molto alto.
Per quanto riguarda l’interesse strategico dei Balcani con riferimento ai progetti infrastrutturali europei, merita segnalare in particolare l’attenzione che a questa regione è assegnata per quanto concerne i progetti relativi alle infrastrutture energetiche, sia con riferimento ai gasdotti sia relativamente alle reti elettriche. Anche alla luce di questo elemento, la regione dei Balcani occidentali assume particolare importanza per l’Italia che concorre alla stabilizzazione della regione con una forte presenza civile e militare (le missioni Eulex in Kosovo e Eufor Altea in Bosnia Erzegovina) e intrattiene un intenso scambio commerciale con tutti i paesi della regione nella quale è presente anche con consistenti investimenti.
Come ribadito in più occasioni dalle istituzioni europee, la prossima fase del processo di allargamento dovrebbe riguardare i paesi dei Balcani occidentali.
Il Presidente
della Commissione europea Juncker, ad inizio del suo mandato, ha comunque
indicato di escludere la possibilità di nuove adesioni all’UE nel breve e
nel medio periodo. Tale posizione è stata da ultimo ribadita dalla
Commissione europea in occasione dell’ultima relazione annuale
sull’allargamento presentata a novembre 2015 nella quale si indica che,
considerate le sfide che i paesi dell'allargamento devono affrontare, nessuno
di loro sarà pronto ad aderire all'Unione europea nel corso del mandato
dell'attuale Commissione europea (che scade nel 2019).
Tra i paesi dei Balcani occidentali, l’unico che ha già aderito all’UE è la Croazia dal 1° luglio 2013.
I paesi della regione dei Balcani che hanno al momento lo status di paese candidato sono:
· ex Repubblica iugoslava di Macedonia (dal dicembre 2005, i negoziati di adesione non sono ancora stati avviati);
· Montenegro (dal dicembre 2010, i negoziati di adesione sono stati avviati dal giugno 2012);
· Serbia (da marzo 2012, i negoziati di adesione sono stati avviati dal gennaio 2014);
· Albania (da giugno 2014, i negoziati di adesione non sono ancora stati avviati).
Bosnia Erzegovina e Kosovo sono ancora qualificati come “potenziali candidati”.
La Bosnia Erzegovina ha ufficialmente presentato la domanda di adesione all’UE il 15 febbraio 2016.
Si ricorda che 5 Stati membri dell’UE non riconoscono il Kosovo: Cipro, Grecia, Spagna, Romania, Repubblica Slovacca.
La Presidenza Slovacca
del Consiglio dell’UE nel secondo semestre del 2016 (1° luglio – 31 dicembre
2016) tra le sue priorità ha indicato la necessità di dare un impulso
alla politica di allargamento, conseguendo progressi nel processo di
avvicinamento dei paesi candidati, indicando in particolare l’intenzione di rafforzare
la cooperazione con i paesi dei Balcani occidentali la cui stabilità e
prosperità è direttamente legata alla stabilità dell’UE.
L’Italia è assolutamente favorevole alla progressiva integrazione nell’UE dei paesi dei Balcani occidentali e al loro rafforzamento istituzionale. Essi rappresentano una priorità per l’Italia sotto il profilo politico, in virtù della tradizionale e privilegiata proiezione italiana verso la direttrice adriatico-ionica.
L’Italia
sostiene attivamente il processo di consolidamento della sicurezza e della
stabilità nella regione, non soltanto attraverso un intenso dialogo politico
bilaterale e una proficua collaborazione in numerosi settori, ma anche tramite
un’efficace azione di concerto internazionale, sia a livello UE, sia grazie
alla partecipazione al gruppo di dialogo informale sui Balcani “QUINT”,
insieme a Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania, con l’obiettivo di
rendere irreversibili i progressi sin qui realizzati ed incoraggiare
concretamente il percorso europeo di tutti i paesi, mantenendo i Balcani al
centro delle priorità della comunità internazionale.
L'Italia
contribuisce inoltre alla stabilizzazione della regione con una forte presenza
militare a cui si aggiunge una crescente componente civile nell’ambito
delle missioni internazionali operanti nei Balcani occidentali: nel 2014
l’Italia è stata il terzo Paese contributore alla missione della NATO KFOR
in Kosovo (mediamente circa 600 unità in teatro) e dal settembre 2013 l’Italia
detiene il comando della missione.
L’Italia,
con circa 36 unità, è un contributore importante della missione civile
europea EULEX Kosovo, avviata nel febbraio 2008, scaduta nel giugno 2016 e
recentemente prorogata sino al giugno 2018, ma con responsabilità più
limitate.
La missione civile EULEX ha l’obiettivo di assistere e sostenere le autorità del Kosovo nell’applicazione dello stato di diritto, con un focus specifico sulle questioni legate all'indipendenza della magistratura, alla multietnicità della polizia e del sistema delle dogane, al contrasto alla criminalità.
La
Bosnia-Erzegovina ospita inoltre una presenza italiana nel quadro della
missione militare dell’UE EUFOR Althea, che comprende attualmente
oltre 900 uomini.
La missione militare EUFOR Althea, avviata nel 2004, in sostituzione della missione SFOR della NATO, ha contribuito al mantenimento della sicurezza in Bosnia e Erzegovina. Il contingente EUFOR – inizialmente composto da 7.000 unità - è costituito da 600 unità circa. Obiettivi della missione sono: sostegno agli sforzi della Bosnia-Erzegovina per garantire un ambiente sicuro; formazione e capacity-building per il Ministero della difesa e le forze armate. La missione, alla quale partecipano 17 Stati membri, tra cui l’Italia, più cinque Paesi partner (Albania, Cile, Ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Svizzera e Turchia), ha un bilancio di 14 milioni di euro.
Oltre a rappresentare un'area di interesse prioritario sul piano politico e della sicurezza, i Balcani occidentali costituiscono per l'Italia una regione di forte e radicata presenza economica, sia in termini di interscambio commerciale che di investimenti.
L’Italia, infatti, è il secondo
partner commerciale dell'area dei Balcani occidentali dopo la
Germania, con un interscambio di oltre 20 miliardi di euro.
In particolare, L’Italia è anche primo partner commerciale con la Serbia, con la Croazia e con l’Albania.
L’Italia occupa la seconda posizione sia come cliente
che come fornitore dei paesi dei Balcani occidentali, una quota di
mercato del 18,8 % come cliente e del 10,9% in quanto fornitore.
Attualmente, le relazioni tra l’Unione europea e i paesi dei Balcani occidentali si svolgono prevalentemente nel quadro del Processo di stabilizzazione ed associazione (PSA), istituito nel 1999.
Le componenti principali del PSA sono quattro: accordi di stabilizzazione ed associazione, elevato livello di assistenza finanziaria, misure commerciali e dimensione regionale.
Lo strumento operativo del PSA è costituito dalla stipula, con ciascun paese della regione, di un accordo di stabilizzazione ed associazione (ASA).
Dall'entrata in vigore dell'ASA con il Kosovo il 1° aprile 2016, sono attualmente in vigore ASA con tutti i sei paesi dei Balcani occidentali[4]
Gli ASA prevedono la cooperazione politica ed economica e la creazione di aree di libero scambio (vedi infra) con i paesi interessati. Sulla base dei principi democratici comuni, dei diritti umani e dello Stato di diritto, ciascun ASA istituisce strutture di cooperazione permanenti. Il Consiglio di stabilizzazione e associazione, che si riunisce annualmente a livello ministeriale, vigila sull'applicazione e sull'attuazione dell'accordo. Inoltre, un comitato parlamentare di stabilizzazione e di associazione garantisce la cooperazione tra i parlamenti dei paesi dei Balcani occidentali e il Parlamento europeo in seguito all'entrata in vigore dei vari ASA.
A partire dal 1° gennaio 2007 l’assistenza finanziaria ai paesi dei Balcani occidentali viene fornita attraverso lo strumento di assistenza preadesione, denominato IPA, che sostituisce i precedenti programmi.
Dal
1° gennaio 2014 lo Strumento comunitario di Assistenza pre-Adesione IPA è stato
sostituito da IPA II valido fino al 31 dicembre 2020.
Nell'ambito del quadro finanziario pluriennale dell’UE per il periodo 2014-2020, l’importo totale destinato allo strumento di preadesione – che si rivolge anche alla Turchia - è di 11,7 miliardi di euro.
I finanziamenti ai paesi dei Balcani occidentali per l’intero periodo sono così distribuiti (in milioni di euro):
· Albania: 649,5;
· Bosnia Erzegovina: 165,8 (stanziamento per il periodo 2014-2017);
· ex Repubblica iugoslava di Macedonia: 664,2;
· Kosovo: 645,5;
· Montenegro: 270,5;
· Serbia 1.508;
· Programmi multi beneficiari: 2.958,7.
Nell’ambito del precedente periodo di programmazione finanziaria 2007-2013 i Balcani occidentali hanno beneficiato di assistenza per un totale di circa 5,17 miliardi di euro, di cui: 1.183,6 milioni di euro alla Serbia; 167 al Montenegro; 614,87 alla ex Repubblica iugoslava di Macedonia; 465,1 al Kosovo; 550,3 alla Bosnia Erzegovina e 498 all’Albania[5] (i restanti 1,6 miliardi di euro erano destinati alla Croazia e a programmi regionali multi beneficiari).
Nel
marzo 2000, il Consiglio europeo ha dichiarato che la conclusione di accordi di
stabilizzazione e di associazione con i paesi dei Balcani occidentali doveva
essere preceduta da una liberalizzazione asimmetrica degli scambi.
Conformemente a questa dichiarazione, il regolamento del Consiglio n. 2007/2000
del 18 settembre 2000 prevede misure commerciali eccezionali, stabilendo che i prodotti
originari dei paesi della regione possono essere importati nella Comunità senza
restrizioni quantitative e in esenzione dai dazi doganali o da altre
imposte di effetto equivalente.
Tale
regime preferenziale è stato prolungato fino al 31 dicembre 2020,
con il regolamento (UE) n. 2423/2015 del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 16 dicembre 2015.
L’UE è di gran lunga il primo partner commerciale per i paesi dei Balcani occidentali. Lo scambio commerciale con l’UE costituisce il 76% dello scambio commerciale globale dei paesi dei Balcani occidentali (la Russia è il secondo partner commerciale con una quota del 5,2% dello scambio commerciale globale dei paesi dei Balcani occidentali).
Lo scambio commerciale tra l’UE e i paesi dei Balcani occidentali nel 2015 è stato pari a circa 40 miliardi di euro, pari all’1,2% dello scambio commerciale globale dell’UE, di cui 24 miliardi di esportazioni di merci dell’UE nei Balcani occidentali e 16 miliardi di importazioni nell’UE di merci in provenienza dai Balcani occidentali.
Il
PSA non è semplicemente un processo bilaterale tra l’UE e ciascun paese della
regione. Già in occasione del Vertice UE-Balcani di Zagabria del 2000, le Parti
hanno posto una grande enfasi sulla centralità della cooperazione regionale
nell’ambito del processo.
In materia di cooperazione regionale, i principali obiettivi della politica dell’UE sono:
· incoraggiare i paesi della regione a sviluppare relazioni reciproche comparabili a quelle esistenti tra gli Stati membri;
· creare una rete di accordi bilaterali di libero scambio, eliminando qualsiasi barriera alla circolazione dei beni nella regione;
· integrare gradualmente i Balcani occidentali nelle reti infrastrutturali europee in materia di trasporti, energia, gestione delle frontiere;
· promuovere la collaborazione tra i paesi della regione in materia di crimine organizzato, immigrazione e altre forme di traffico illegale.
Per ulteriori informazioni si rimanda alla scheda “Le iniziative promosse dall’Unione europea in materia di cooperazione regionale nei Balcani occidentali”.
Tutti i paesi dei Balcani occidentali ad eccezione del Kosovo beneficiano di un regime di esenzione dal visto nello spazio Schengen.
A gennaio 2012 è stato avviato un dialogo con il Kosovo sulla liberalizzazione dei visti al fine di vigilare sulle riforme necessarie al raggiungimento dei pertinenti standard dell'UE. Nella quarta relazione sui progressi compiuti dal Kosovo in tale ambito, pubblicata nel maggio 2016, la Commissione ha concluso che il paese aveva soddisfatto tutti i requisiti, ma che sussistevano ancora questioni in sospeso da affrontare prima dell'approvazione della sua proposta da parte del Parlamento europeo e del Consiglio.
Secondo Frontex, da gennaio a maggio 2016 sono transitati in Europa impiegando la rotta dei Balcani occidentali[6] circa 116 mila migranti irregolari. Frontex ha inoltre rilevato che il flusso di migranti, proveniente dall’ex Repubblica jugoslava di Macedonia e dalla Serbia, a seguito del rafforzamento delle frontiere in Ungheria, si è spostato verso la Croazia. Secondo l’Agenzia europea in materia di frontiere nel 2015 gli attraversamenti irregolari lungo tale rotta sono stati 764 mila (con un aumento di circa 16 volte rispetto al 2014).
Di seguito una tabella recante l’andamento degli attraversamenti irregolari lungo la rotta dei Balcani occidentali negli ultimi anni: fonte Frontex.
Fino alla conclusione dell’accordo tra la UE e la Turchia sulla gestione del flusso dei rifugiati e migranti in provenienza dalla Siria e dall’Iraq, i paesi dei Balcani sono stati fortemente coinvolti nella crisi dei rifugiati.
La Commissione europea ha considerato necessario stabilire una maggiore cooperazione con tali paesi volta, in particolare, a identificare le persone che necessitano di protezione, fornire assistenza, rendere sicure le frontiere esterne dell’UE e smantellare le reti criminali dedite al traffico di esseri umani.
Secondo la Commissione europea nel 2015 circa l’85 per cento dei migranti che hanno fatto il loro ingresso in Grecia (850 mila persone) sarebbero transitate per i Balcani occidentali.
Nel corso del 2015
il sostegno UE ai Paesi dei Balcani occidentali nella gestione dei flussi dei
migranti si è tradotto, tra l’altro:
· nel finanziamento di aiuti umanitari a favore di Serbia e ex Repubblica jugoslava di Macedonia per un valore di circa 22 milioni di euro;
· nell’assistenza fornita da Frontex alla ex Repubblica jugoslava di Macedonia nella gestione della frontiera con la Grecia, per quanto riguarda in particolare l’attività di registrazione dei migranti;
· nell’attivazione da parte della Serbia (insieme a Slovenia, Croazia e Grecia) del meccanismo unionale di protezione civile, che sostanzialmente si è tradotto nell’assistenza da parte di numerosi Stati membri in termini di tende, articoli per il pernottamento, dispositivi di protezione personale, riscaldamento, illuminazione e generatori di elettricità.
Da ultimo, nel febbraio del 2016, la Commissione europea ha adottato un ulteriore programma di assistenza UE che prevede lo stanziamento di 10 milioni di euro aggiuntivi a favore dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, al fine di migliorare la gestione nazionale delle frontiere e dei flussi migratori nel contesto della crisi dei rifugiati.
Il 10 novembre 2015 la Commissione europea ha presentato la comunicazione annuale relativa al pacchetto allargamento, con la quale delinea la strategia a medio termine dell’UE per la politica di allargamento e presenta le raccomandazioni per i Paesi coinvolti nel processo di allargamento.
Si ricorda che il pacchetto allargamento riguarda i paesi dei Balcani occidentali e la Turchia.
Per
quanto riguarda in particolare i paesi dei Balcani occidentali, la Commissione
rileva che la chiara prospettiva di adesione all’UE esercita un
importante effetto stabilizzatore e promuove i progressi verso il
rispetto delle condizioni necessarie per l’adesione all’UE.
L’esistenza di buone relazioni di vicinato e di una cooperazione regionale inclusiva riveste un’importanza fondamentale e l’impegno dimostrato a livello sia bilaterale che regionale ha segnato un livello mai prima raggiunto.
Al tempo stesso, occorre proseguire gli sforzi per affrontare questioni bilaterali fra paesi candidati e fra questi ultimi e Stati Membri. Ciò contribuirebbe a superare l’eredità del passato, in particolare nei Balcani occidentali dove, nonostante progressi considerevoli, le ferite lasciate dai recenti conflitti hanno ancora bisogno di tempo per rimarginarsi del tutto.
Il sostegno alla stabilità e alla prosperità nei Balcani occidentali è un investimento non solo nel futuro della regione ma anche nell’interesse della stessa UE.
In via
generale, la Commissione considera prioritario che i Paesi coinvolti dal
processo di adesione si concentrino sulle riforme in materia di stato
di diritto e in particolare:
· le riforme del sistema giudiziario;
· la lotta contro la criminalità organizzata e la corruzione;
· la tutela dei diritti fondamentali, compresa la libertà di espressione e la lotta contro la discriminazione, in particolare verso le comunità LGBTI e Rom. In particolare, la Commissione rileva come le disposizioni in materia di protezione dei diritti fondamentali, pur se adottate nei rispettivi ordinamenti, rimangono non applicate;
· il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche;
· la riforma della pubblica amministrazione.
La
Commissione ritiene, inoltre, che i Paesi dell’allargamento debbano promuovere
maggiormente lo sviluppo economico e rafforzare la competitività. In
particolare, la Commissione fornirà il massimo sostegno all’agenda per la
connettività nell’ambito del processo di Berlino, con riferimento soprattutto
ai progetti di infrastrutture di trasporto e di energia (Per
ulteriori informazioni sul processo di Berlino si rimanda alla scheda “Le
iniziative promosse dall’Unione europea in materia di cooperazione regionale
nei Balcani occidentali”).
La Commissione rileva, inoltre, che i livelli di reddito dei Paesi in questione restano molto bassi rispetto a quelli dell’UE e il processo di convergenza verso l'Unione europea appare lento. A tal fine la Commissione rileva che le riforme economiche sono fondamentali per la creazione di occupazione e la crescita e aumentare l'interesse degli investitori.
Secondo i dati Eurostat relativi al 2015, rispetto al PIL pro capite medio dell’UE, i Paesi dei Balcani hanno fatto registrare le seguenti percentuali:
· Albania, 30%;
· Bosnia Erzegovina, 29%;
· Ex Repubblica iugoslavia di Macedonia, 37%;
· Kosovo (dato non disponibile);
· Montenegro 41%;
· Serbia, 36%.
Si riportano di seguito, in estrema sintesi le raccomandazioni contenute nella comunicazione della Commissione del 10 novembre 2015 relative ai singoli Paesi.
La Commissione
europea rileva che l’Albania ha compiuto dei progressi ai fini
dell’apertura di negoziati di adesione, e formula le seguenti
raccomandazioni:
· adottare una strategia per una riforma complessiva del sistema giudiziario, che in particolare garantisca l’indipendenza dei giudici e dei procuratori e velocizzi l’iter della giustizia;
· migliorare l’imparzialità e professionalità delle autorità responsabili delle procedure elettorali e assicurare un dialogo più costruttivo tra le diverse forze politiche;
· rendere la pubblica amministrazione più professionale e meno soggetta a pressioni politiche;
· rendere più efficace la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione, rafforzando l’indipendenza degli organi e istituzioni coinvolti, troppo vulnerabili a pressioni politiche;
· attivare procedure investigative di natura finanziaria, misure contro il riciclaggio dei capitali e misure di confisca dei beni;
· dare effettiva applicazione alla legislazione in materia di protezione dei diritti umani (considerata in linea con gli standard europei). Permangono episodi di esclusione sociale nei confronti delle comunità rom;
· promuovere investimenti per migliorare la competitività, in particolare nei seguenti settori: istruzione e formazione professionale; infrastrutture di trasporto e reti dell'energia.
Recenti sviluppi
L’Alta Rappresentante ha dichiarato, in occasione di una visita a Tirana il 3 marzo 2016, che l’adozione della riforma del sistema giudiziario consentirebbe l’apertura dei negoziati di adesione.
La Commissione
rileva che la Bosnia-Erzegovina ha ripreso il cammino di riforme, volte
a promuovere il processo di avvicinamento all’UE, e formula le seguenti
raccomandazioni:
· gli impegni formalmente assunti attraverso il programma di riforme approvato dal Governo a luglio 2015 devono essere tradotti in pratica, in particolare per quanto riguarda le riforme nell’ambito dello stato di diritto e della lotta alla corruzione ed alla criminalità organizzata;
· la cornice istituzionale e legale per la protezione dei diritti fondamentali necessita di adeguamenti sostanziali e la legislazione adottata deve essere pienamente applicata, in particolare per quanto riguarda la non discriminazione verso le comunità LGBTI e le minoranze;
· occorre completare le riforme nel sistema giudiziario;
· è necessario rafforzare la pubblica amministrazione e istituire un meccanismo di coordinamento per gli affari europei in vista dei futuri negoziati di adesione;
· in ambito economico, occorre ridurre le rigidità del mercato del lavoro al fine di aumentare l’occupazione.
Recenti sviluppi
La Bosnia Erzegovina ha ufficialmente presentato la domanda di adesione all’UE il 15 febbraio 2016, che ora dovrà essere esaminata, sulla base di una valutazione da parte della Commissione europea, dal Consiglio dell’UE.
La Commissione rileva che il processo
di adesione dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia permane in una
fase di stallo.
La Commissione esprime preoccupazione per le interferenze politiche nel sistema giudiziario e nei media, per la crescente politicizzazione delle istituzioni di Stato e sullo svolgimento delle elezioni.
Al tempo stesso, considerato lo stadio attuale del suo processo di adesione, la Commissione rileva che il paese mantiene un notevole livello di allineamento con l’acquis dell’UE.
Alla luce dei progressi finora compiuti e a condizione del compimento di progressi sostanziali nell’attuazione delle priorità urgenti di riforma, la Commissione raccomanda l’apertura dei negoziati di adesione con l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia.
La Commissione formula le seguenti raccomandazioni:
· i soggetti politici devono concentrarsi pienamente sull’attuazione delle priorità urgenti di riforma previste dall’Accordo di Pržino e sul superamento della crisi politica;
L'Accordo di Pržino, siglato nel giugno 2015, con la mediazione dell’UE, aveva l'obiettivo di mettere fine alla grave crisi politica scoppiata dopo che il principale partito d'opposizione, i socialdemocratici dell'SDSM, aveva accusato il governo dell'intercettazione illegale, per ben quattro anni, di circa 20mila persone. L'accordo venne sottoscritto dai quattro principali partiti del paese. L'intesa prevede che, prima di andare ad elezioni, vengano realizzate le riforme ritenute più urgenti tra le quali la cancellazione dai registri elettorali di elettori non esistenti ed una riforma dei media.
· il bilancio deve essere maggiormente orientato alla crescita e all’occupazione e occorre migliorarne la struttura complessiva, la trasparenza e l’esecuzione;
· è fondamentale l’adozione di misure decisive per risolvere la controversia con la Grecia sulla questione del nome “Macedonia”.
Recenti sviluppi
Il Consiglio degli Affari esteri dell'Unione europea del 20 giugno 2016 ha discusso sulla situazione politica nell'ex Repubblica jugoslava di Macedonia (Fyrom). Secondo quanto dichiarato al termine della riunione dall’Alta Rappresentante dell’UE, Federica Mogherini, nel corso della discussione è emerso un consenso sulla necessità che tutte le parti si impegnino per: un dialogo politico aperto; l’applicazione dell’accordo di Pržino; per creare condizioni per elezioni credibili; la promozione dello Stato di diritto; il sostegno al lavoro del Procuratore speciale e l’applicazione di un programma di riforme prioritarie.
La Commissione rileva
per quanto riguarda il Kosovo che:
· occorrono progressi nell’ambito del processo di riforma intrapreso dal paese, in particolare per quanto riguarda lo Stato di diritto e la lotta contro la criminalità organizzata e la corruzione;
· il Governo e il Parlamento devono garantire con urgenza che i membri dei consigli di amministrazione di numerose istituzioni indipendenti e autorità di regolamentazione siano nominati senza indugio sulla base del merito;
· occorre proseguire la modernizzazione del sistema giudiziario. La Commissione rileva che la magistratura rimane soggetta a ingerenze politiche e sono necessari ulteriori sforzi per garantirne l’indipendenza, prevenire e combattere la corruzione presente al suo interno, assumere e formare personale più qualificato e stanziare le risorse adeguate a tal fine;
· il paese ha compiuto progressi per soddisfare i requisiti del processo di liberalizzazione dei visti ed ha adottato misure efficaci a breve termine per limitare la migrazione irregolare nell’UE;
· occorre consentire al Parlamento di svolgere un dibattito libero e aperto in base a procedure democratiche. L’ostruzionismo e gli atti di violenza a fini politici sono inaccettabili;
· per quanto riguarda i criteri economici, il Kosovo si trova ancora in uno stadio iniziale dello sviluppo di un’economia di mercato funzionante. Il cronico deficit della bilancia commerciale rispecchia la debolezza della base produttiva e la mancanza di competitività a livello internazionale. Il tasso di disoccupazione rimane elevato, al 35,3% e raggiunge il 61% tra i giovani.
La Commissione rileva che il Montenegro ha fatto dei progressi nell’ottemperare ai criteri politici ed economici per l’avvio dei negoziati di adesione e formula le seguenti raccomandazioni:
· per il proseguimento dei negoziati di adesione, è fondamentale che le riforme in materia di stato di diritto trovino piena applicazione, in particolare per quanto riguarda:
- lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata;
- la nuova legislazione in materia elettorale;
· tutte le parti politiche devono impegnarsi in un dialogo costruttivo, in particolare nella sede parlamentare;
· occorre ridurre il debito pubblico e migliorare la competitività dei prodotti agricoli e industriali.
Recenti sviluppi
Il 30 giugno 2016 sono stati aperti due nuovi capitoli del negoziato di adesione. Attualmente sono stati aperti 24 capitoli negoziali su 35 complessivi, di cui due sono stati chiusi.
La Commissione
europea rileva che la Serbia ha fatto sostanziali progressi, in
particolare nel settore dello stato di diritto e nella normalizzazione delle
relazioni con il Kosovo e formula le seguenti raccomandazioni:
· proseguire le riforme nel settore dello stato di diritto, in particolare per quanto riguarda la riforma del sistema giudiziario e la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata;
· migliorare il sistema di asilo e le capacità di accoglienza in relazione al flusso di migranti in provenienza da Siria e Iraq, a cui il Paese è particolarmente esposto per la sua collocazione geografica;
· promuovere in modo sistematico iniziative per la tutela dei diritti delle comunità più vulnerabili, come le comunità LGBTI e la minoranza Rom;
· proseguire le riforme economiche, con particolare attenzione al processo di ristrutturazione di imprese controllate dallo Stato e di pubblica utilità.
Recenti sviluppi
Si segnala che il 18 luglio 2016 sono stati aperti due nuovi capitoli del negoziato di adesione, relativi rispettivamente allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia e all’apparato giudiziario e i diritti fondamentali. Attualmente sono stati aperti 4 capitoli negoziali su 35 complessivi.
La cooperazione regionale è secondo l’Unione europea un fattore essenziale per la stabilità politica e la prosperità economica della regione dei Balcani occidentali.
Al momento, nonostante i progressi realizzati, restano in piedi alcune dispute bilaterali connesse con la cooperazione regionale quali la disputa greco-macedone sulla denominazione del paese e il processo di normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo.
La
Strategia adriatico-ionica, approvata dal Consiglio europeo di ottobre
2014 (durante il semestre di Presidenza italiana dell’UE), è stata inaugurata
a novembre 2014.
La Strategia adriatico-ionica è rivolta ad otto Paesi – di cui quattro Stati membri (Croazia, Grecia, Italia e Slovenia) e quattro Paesi dei Balcani occidentali, che non fanno ancora parte dell’UE (Albania, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Serbia)
La Strategia ha l'obiettivo di promuovere una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva; a tal fine, la Strategia intende migliorare l'attrattiva della regione, la sua competitività e connettività, preservando al tempo stesso l'ambiente ed assicurandosi che gli ecosistemi costieri e marini restino sani ed equilibrati.
La tabella che segue dà un’illustrazione sintetica del potenziale economico della macro-regione adriatico ionica, come stimato dalla Commissione europea, con particolare riferimento al settore marittimo, indicando il numero di posti di lavoro ed il giro d’affari per ciascuno dei seguenti ambiti: turismo costiero; acquacultura; pesca; trasporti; cantieri navali; industria estrattiva di petrolio e gas:
|
Posti di lavoro |
Giro d’affari (in milioni di euro) |
turismo costiero |
198.760 |
8.010 |
Acquacultura |
4.030 |
250 |
Pesca |
95.420 |
5.150 |
Trasporti |
55.860 |
2.850 |
cantieri navali |
48.610 |
1.520 |
industria estrattiva di petrolio e gas |
5.970 |
2.180 |
Fonte: Commissione europea
La Commissione europea ha individuato quattro obiettivi primari:
· crescita blu: l'obiettivo di questo pilastro, coordinato da Grecia e Montenegro, è favorire una crescita innovativa, in particolare nei settori della pesca e dell'acquacoltura. A questo fine si sottolinea l’importanza di creare cluster che coinvolgano centri di ricerca, agenzie pubbliche e imprese private;
· collegare la regione: l'obiettivo di questo pilastro, coordinato da Italia e Serbia, è migliorare la connettività dei trasporti e dell'energia nella regione e con il resto dell'Europa;
· qualità ambientale: l'obiettivo di questo pilastro, coordinato da Slovenia e Bosnia-Erzegovina, è ridurre l'inquinamento del mare e dell’aria, mitigando l'impermeabilizzazione del suolo e arrestando la perdita di biodiversità e la degradazione degli ecosistemi;
· turismo sostenibile: l'obiettivo di questo pilastro, coordinato da Croazia e Albania, è sviluppare appieno il potenziale della regione in termini di turismo, favorendo la diversificazione dei prodotti e dei servizi turistici e il superamento della stagionalità.
Per il finanziamento dei progetti, si prevede l’utilizzo di programmi e finanziamenti dei fondi strutturali tradizionali (tra cui il FESR, il FC, il FSE, il FEAMP[7]) e di ulteriori programmi e strumenti di finanziamento esistenti (come il programma per la ricerca e l’innovazione Horizon 2020; lo strumento finanziario per l’ambiente LIFE+; il meccanismo per collegare l’Europa – Connecting Europe; il programma COSME per le PMI; lo strumento di preadesione), nonché del supporto della Banca europea per gli investimenti.
I quattro TSG, uno per ciascun pilastro della Strategia, hanno il compito di implementare il piano d’azione, individuando progetti e iniziative da promuovere e proporre al finanziamento dei fondi strutturali e d'investimento. Per ogni TSG, sono stati individuati dei coordinatori, sia a livello transnazionale che a livello italiano, riportati nella seguente tabella:
I TSG non sono ancora giunti alla individuazione delle proposte progettuali puntuali, ma stanno delineando le priorità tematiche e i criteri di selezione dei progetti.
Nel quadro della cooperazione regionale, l’Unione europea rivolge particolare attenzione all’integrazione infrastrutturale dei paesi dei Balcani occidentali sia tra di loro sia con gli Stati membri, puntando sulla costruzione di nuove infrastrutture dei trasporti e dell’energia e sull’interconnessione di quelle esistenti.
Tale
obiettivo è stato posto al centro del c.d. Processo di Berlino, iniziativa
di cooperazione di natura intergovernativa, fortemente voluta dalla
Germania e inaugurata con il Vertice
tenutosi a Berlino il 28 agosto 2014.
Partecipano a tale iniziativa l’UE (rappresentata dall’Alta Rappresentante per la politica estera e di sicurezza e dal Commissario per l’allargamento), 6 Stati membri dell’UE (Austria, Croazia, Francia, Germania, Italia e Slovenia) e i 6 paesi dei Balcani occidentali: Albania, Bosnia Erzegovina, Ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Kosovo, Montenegro e Serbia.
In quell’occasione è stata concordata l’agenda della connettività, volta a migliorare i collegamenti tra i Balcani occidentali e l’UE, puntando su progetti prioritari volti a stimolare gli investimenti e a promuovere crescita e occupazione, ma anche sull’adozione di standard tecnici e misure regolamentari, in tema di allineamento e semplificazione delle procedure di attraversamento delle frontiere, riforme ferroviarie, sicurezza stradale e manutenzione, accesso di terzi al mercato dei trasporti.
Uno dei primi risultati del Processo di Berlino è stato rappresentato dall’estensione della TEN-T (rete transeuropea dei trasporti) anche alla regione dei Balcani occidentali, concordata ad aprile 2015 quando sono stati individuati gli interventi ritenuti strategici per quanto riguarda collegamenti aeroportuali, stradali, ferroviari e marittimi.
Obiettivo generale della TEN-T è quello di stabilire un'unica rete transeuropea multimodale per integrare trasporto terrestre, marittimo e aereo, consentendo a merci e persone di circolare rapidamente e facilmente tra gli Stati membri. Al suo finanziamento andranno per il periodo 2014-2020 oltre 26 miliardi di euro nell’ambito del meccanismo per collegare l'Europa (CEF).
Il 17 giugno 2016, in occasione della presentazione dei 195 progetti della rete TEN-T ammessi al finanziamento del CEF, per un totale di 6,7 miliardi di euro, Violeta Bulc, Commissaria UE responsabile per i Trasporti, ha espresso la propria soddisfazione per il fatto che “una parte dei finanziamenti andrà anche alla regione dei Balcani occidentali, che potrà così avvicinare il livello delle proprie infrastrutture a quello dell'UE”.
Nel corso del secondo vertice del Processo di Berlino - svoltosi a Vienna nell’agosto 2015 - sono stati approvati 10 progetti infrastrutturali per energia (4) e trasporti (6) per 615 milioni di euro, di cui un terzo dal fondo europeo di pre-adesione (IPA II), e il resto tramite il Western Balkans Investment Framework (WBIF)[8]
Tra i vari progetti volti a creare un mercato unico per l’energia nei Balcani, è incluso anche il tratto tra Albania e Macedonia del gasdotto TAP, diretto in Puglia. Sul fronte trasporti, saranno rifatti i ponti sulla Sava tra Bosnia e Croazia, la rete ferroviaria tra Kosovo, Serbia, e Macedonia, e il “treno blu di Tito” sulla linea Belgrado-Bar. I progetti sono stati selezionati dalla citata agenda della connettività.
In occasione del Vertice di Parigi del 4 luglio 2016, è stato annunciato lo stanziamento di ulteriori 146 milioni di Euro a favore di progetti per la connettività nella regione dei Balcani occidentali, di cui 96 milioni di euro per progetti tesi a migliorare l’infrastruttura ferroviaria in Serbia, Albania e Kosovo e 50 milioni di euro per progetti di efficienza energetica degli edifici e progetti per la creazione di energia idroelettrica nella regione.
Merita, poi, ricordare il Trattato sull’energia, firmato nell’ottobre 2005, che istituisce la comunità energetica tra l’UE e i paesi dell’Europa sud-orientale. Modulato sulla base della Comunità del carbone e dell’acciaio, il trattato è inteso a creare un mercato integrato dell’elettricità e del gas in una serie di paesi dell’Europa sud-orientale che non fanno parte dell’Unione europea attraverso un assetto normativo e commerciale stabile. Per quanto riguarda i trasporti, si segnala che nel 2006 la Commissione Europea e i paesi dell’Europa sud orientale hanno firmato un accordo sullo spazio aereo comune, relativo a regole e standard comuni sulla sicurezza e sulla completa liberalizzazione del traffico aereo. Sono stati avviati inoltre nel giugno 2008 negoziati per un trattato sulla comunità dei trasporti, attualmente ancora in corso, con l’obiettivo di istituire un mercato delle infrastrutture e dei trasporti terrestri e marittimi e di allineare la legislazione dei paesi della regione all’acquis comunitario in materia.
Il programma di cooperazione transnazionale ADRION
Nell’ambito
della Strategia adriatico-ionica, il 20 ottobre 2015 La Commissione europea ha
adottato il programma di cooperazione transnazionale "Interreg V
B Adriatic-Ionian (ADRION)", per un valore di più di 83 milioni di
euro a valere sul Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e di quasi 16
milioni di euro provenienti dallo strumento di preadesione (IPA II).
L'importo totale del programma di cooperazione, compresi i contributi nazionali, è di 118 milioni di euro. Il programma coinvolge Italia (costa adriatica e ionica, con l’aggiunta di Trentino Alto Adige, Lombardia e Umbria), Slovenia, Croazia, Grecia, Albania, Serbia, Montenegro e Bosnia Erzegovina.
Le priorità di ADRION 2014-2020 sono:
· sostenere lo sviluppo di un sistema regionale d’innovazione nell’area;
· promuovere una valorizzazione sostenibile del patrimonio naturale e culturale e migliorare la capacità transnazionale di affrontare la vulnerabilità e fragilità ambientale;
· migliorare la capacità di erogare servizi integrati di trasporto, di mobilità e multimodalità;
· facilitare il coordinamento e l’attuazione della Strategia adriatico-ionica attraverso il rafforzamento delle capacità delle pubbliche amministrazioni.
L’UE è coinvolta in altre iniziative volte a promuovere la cooperazione regionale:
· la Commissione fornisce finanziamento alle attività di cooperazione regionale attraverso i programmi multibeneficiari dello strumento finanziario di preadesione (IPA II) che per il periodo 2014-2020 ha allocato 2.958,7 milioni di euro per progetti di cooperazione interegionale tra i vari paesi dei Balcani occidentali (si tratta di risorse aggiuntive rispetto a quelle assegnate ai sensi dello strumento IPA II ai singoli paesi);
· la Commissione europea è membro del Consiglio di cooperazione regionale (CCR) che nel 2008 ha sostituito il patto di stabilità per l’Europa sud orientale e si configura come un quadro di cooperazione gestito a livello locale. E’ il braccio operativo del South East European Cooperation Process (SEECP), un forum per il dialogo diplomatico e politico istituito nel 1996 a seguito dei conflitti nella ex Jugoslavia. Il lavoro del CCR si concentra su cinque aree prioritarie: sviluppo economico e sociale; infrastrutture ed energia; giustizia e affari interni; cooperazione in materia di sicurezza; formazione del capitale umano. In tale ambito, nel 2013, è stata inaugurata la strategia SEE (South East Europe) 2020, che si prefigge di contribuire a migliorare le condizioni di vita nella regione e porre l’attenzione su competitività e sviluppo, in linea con l’impostazione di Europa 2020. Tra gli obiettivi da raggiungere entro il 2020: creare 1 milioni di nuovi posti di lavoro, portando il tasso di occupazione dal 39.5% al 44.4%; incrementare il commercio regionale totale da 94 a 210 miliardi di euro; portare il PIL pro capite della regione dall’attuale 36% al 44% della media UE; aggiungere 300.000 persone altamente qualificate alla forza lavoro;
· la Commissione europea ha promosso l’estensione nel 2006 dell’Accordo centro europeo di libero scambio (CEFTA) ad Albania, Bosnia-Erzegovina, ex Repubblica iugoslava di Macedonia; Kosovo, Montenegro e Serbia
[1] La PEV - inaugurata dalla Commissione con una comunicazione presentata l’11 marzo 2003 - si rivolge ai nuovi Stati indipendenti (Bielorussia, Moldova, Ucraina), ai paesi del Mediterraneo meridionale (Algeria, Autorità palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia) e agli Stati del Caucaso (Armenia, Azerbaigian e Georgia).
[2] Si ricorda, in proposito, che il processo di ratifica dell'accordo di associazione con l'Ucraina ha subito una battuta di arresto a seguito dell'esito negativo del referendum promosso in proposito dal Governo dei Paesi Bassi, lo scorso aprile.
[3] Il 7 dicembre 2015, il VP/AR Mogherini e il Ministro degli esteri armeno Nalbandian hanno peraltro lanciato i negoziati per un nuovo accordo UE/Armenia, che potrebbe essere tra i primi di una nuova generazione di accordi più "leggeri" e meno vincolanti, che tengano conto del differente livello di aspirazione dei partner orientali come meridionali.
[4] L’ASA con l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia è entrato in vigore ad aprile 2004, quello con l’Albania ad aprile 2009, quello con il Montenegro a maggio 2010, quello con la Serbia a settembre 2013, quello con la Bosnia- Erzegovina a giugno 2015 e quello con il Kosovo il 1° aprile 2016
[5] I restanti 2,3 miliardi di euro sono stati distribuiti tra la Croazia, la ex Repubblica iugoslava di Macedonia e i programmi regionali multi beneficiari.
[6] I migranti lungo tale rotta sono sia cittadini extraeuropei che dopo essere entrati in Grecia, sono transitati principalmente in Macedonia e Serbia ed infine approdati di nuovo in UE passando i confini croati e ungheresi, sia cittadini degli stessi Stati dei Balcani occidentali (in particolari i cittadini del Kosovo) che tentano di raggiungere gli Stati UE immediatamente settentrionali (Slovenia, Croazia e Ungheria).
[7] Fondo europeo di sviluppo regionale, Fondo di coesione, Fondo sociale europeo, Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca.
[8] Lanciato ufficialmente nel 2009, il WBIF è un’iniziativa congiunta di Commissione, Banca per lo sviluppo del Consiglio d’Europa, Banca europea per la ricostruzione e sviluppo e Banca europea per gli investimenti e governi dei paesi dei Balcani occidentali. E’ un’iniziativa finanziaria innovativa, che mette insieme sovvenzioni e prestiti da parte della Commissione, delle istituzioni finanziarie internazionali e di donatori bilaterali per progetti infrastrutturali. Al 2016 tale iniziativa ha garantito l’erogazione di prestiti per 493 milioni di euro destinati a 163 progetti, consentendo di mobilitare nella regione investimenti totali pari a circa 14 miliardi di euro.