Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||||
Titolo: | LV Conferenza degli organi parlamentari specializzati negli affari dell'Unione dei Parlamenti dell'Unione europea (COSAC) - L'Aja, 12 ' 14 giugno 2016 | ||||
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari Numero: 64 | ||||
Data: | 08/06/2016 | ||||
Descrittori: |
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Documentazione per le Commissioni
RIUNIONI INTERPARLAMENTARI
LV Conferenza degli organi parlamentari specializzati negli affari dell'Unione dei Parlamenti dell'Unione europea (COSAC)
L’Aja, 12 – 14 giugno 2016
Senato della Repubblica Servizio Studi Dossier europei n. 30 |
Camera dei deputati Ufficio Rapporti con l’Unione europea n. 64 |
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Dossier europei n. 30
Ufficio rapporti con l’Unione europea
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Dossier n. 64
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INDICE
Ordine del giorno
Sessione I: Lo scrutiny parlamentare: scambio delle migliori pratiche
Il dialogo dei Parlamenti nazionali con la Commissione europea
Il dialogo politico con il Parlamento europeo
La relazione Bresso-Brok e Il Rapporto dei cinque Presidenti
Dati e statistiche sui pareri espressi dai Parlamenti nazionali
I temi al centro della sessione
Sessione II: il ruolo dei Parlamenti nella protezione dello Stato di diritto nell’UE
Gli strumenti UE per la tutela del principio dello Stato di diritto
L’impegno del Consiglio dell’UE
Iniziative della Camera per la tutela dei diritti fondamentali
Evoluzione della diplomazia parlamentare
Prospettive e criticità della diplomazia parlamentare
Le risposte al questionario del Segretariato COSAC
Sessione IV - La Corte dei conti europea e i Parlamenti nazionali: una cooperazione più stretta
Sessione V: Migrazione – Stato d’attuazione dell’accordo UE -Turchia
Le altre proposte contenute nella Comunicazione del 6 aprile 2016
La gestione delle frontiere: lo Spazio Schengen e la Guardia costiera e di frontiera europea
Il migration compact: la proposta del Governo italiano
La proposta della Commissione europea su un nuovo quadro di partenariato per la migrazione
Documenti 67
Draft contributions (testo in inglese) 69
Background notes (testo in inglese) 75
La prima sessione di lavoro della COSAC si concentrerà, come da tradizione, sulle più recenti tendenze ed evoluzioni nella partecipazione dei parlamenti nazionali alla formazione della legislazione dell'Unione europea, con particolare riferimento all'uso dei relatori nell'esame di dossier europei e al livello di partecipazione e informazione per quanto attiene ai triloghi tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione.
La sessione si concluderà con un intervento (seguito da dibattito) del Primo Vice Presidente della Commissione Franz Timmermans, il quale dovrebbe fornire un quadro aggiornato delle iniziative poste in essere dal collegio Juncker per rafforzare il livello di partecipazione e dialogo dei parlamenti nazionali con le istituzioni dell'Unione.
Il dialogo dei Parlamenti nazionali con la Commissione europea si basa su:
· la prassi del cosiddetto dialogo politico;
· le disposizioni introdotte dal Trattato di Lisbona e, in particolare, quelle contenute nel protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali e nel Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità.
Il dialogo politico
Il cosiddetto dialogo politico è stato inaugurato nel settembre 2006
per iniziativa della Commissione europea, la quale ha deciso di trasmettere
direttamente ai Parlamenti nazionali le proprie proposte legislative e i documenti
di consultazione (libri bianchi, libri verdi), invitandoli ed esprimere osservazioni
e pareri cui la Commissione stessa risponde entro un termine
indicativo di tre mesi.
È stato, peraltro, segnalato da più Parlamenti che le risposte fornite dalla Commissione giungono con notevole ritardo rispetto alla fase dell’iter dell’atto cui si riferiscono e hanno prevalentemente un carattere ricognitivo, poco attento ai profili prettamente politici.
L’iniziativa del Vicepresidente Timmermans
Con l'insediamento della nuova Commissione europea, il Vicepresidente
Frans Timmermans, in una lettera del febbraio 2015, ha
preannunciato l'adozione di una serie di iniziative volte a rafforzare il
dialogo con i Parlamenti nazionali, in particolare, attraverso:
· una presenza più sistematica dei commissari europei presso i Parlamenti nazionali quando si discutono le proposte legislative e le altre iniziative della Commissione europea più rilevanti;
·
Audizioni di commissari europei
il miglioramento della qualità delle risposte della Commissione
europea alle osservazioni formulate dai Parlamenti nazionali in esito
all'esame di atti europei, rendendole meno burocratiche e più politiche e
rispettando il termine di tre mesi per la trasmissione delle risposte ai
Parlamenti nazionali.
Il Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali
In effetti, nella legislatura in corso si è registrata una
intensificazione dalla presenza dei commissari europei presso il Parlamento
italiano; dal 1° novembre 2014, data di insediamento della nuova Commissione europea,
sono infatti intervenuti in audizione ben 10 commissari europei[1]
Il Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali, per quanto riguarda in particolare la partecipazione al processo legislativo dell’UE, prevede:
· la trasmissione diretta ai Parlamenti nazionali di tutte le proposte legislative, nonché delle loro modifiche nel corso del procedimento, dei documenti di consultazione e del programma legislativo annuale della Commissione europea;
· un periodo di garanzia di otto settimane tra la data in cui si mette a disposizione dei Parlamenti nazionali un progetto di atto legislativo e la data in cui questo è iscritto all'ordine del giorno del Consiglio, in modo da consentirne l’esame.
Il Protocollo sui
princìpi di sussidiarietà e proporzionalità
Il Protocollo sui princìpi di sussidiarietà e proporzionalità prevede
che ciascun Parlamento nazionale (o Camera) possa sollevare obiezioni sulla
corretta applicazione del principio di sussidiarietà (cosiddetto "early
warning" o allerta precoce) in relazione alle proposte legislative,
entro un termine di otto settimane dalla data della loro trasmissione in
tutte le lingue ufficiali dell'UE.
Il “cartellino giallo”
L'obiezione assume la forma di un parere motivato; qualora i
pareri motivati rappresentino almeno un terzo[2]
dell'insieme dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali il progetto
deve essere riesaminato (cosiddetto "cartellino giallo"). A
tal fine, ciascun Parlamento nazionale dispone di due voti; per i
parlamenti bicamerali ciascuna delle Camere dispone di un voto.
Al termine del riesame, il progetto di atto legislativo in questione può essere - con una decisione motivata da parte dell'istituzione che l'ha presentato - mantenuto, modificato o ritirato.
La procedura del cartellino giallo fino ad ora è scattata solo 3 volte per: la proposta di regolamento sull'esercizio del diritto di promuovere azioni collettive nel quadro della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi (proposta poi ritirata); la Proposta di regolamento che istituisce la Procura europea (proposta mantenuta al termine del riesame da parte della Commissione europea); la proposta di direttiva sul distacco dei lavoratori (procedura attualmente in corso).
Il “cartellino arancione”
Qualora i pareri motivati sul mancato rispetto del principio di
sussidiarietà rappresentino almeno la maggioranza semplice dei voti
attribuiti ai Parlamenti nazionali (cosiddetto "cartellino
arancione"), è previsto che il Consiglio, a maggioranza del 55% dei
membri, o il Parlamento europeo, a maggioranza dei voti espressi, possano
dichiarare la proposta non compatibile con il principio di sussidiarietà, nel
qual caso essa non forma oggetto di ulteriore esame.
Il “cartellino verde”
Su iniziativa della House of Lords britannica e della Tweede
Kamer del Parlamento dei Paesi Bassi si è avviata una discussione
sull’introduzione di una nuova procedura detta cartellino verde (“green
card”), volta a consentire, a trattati vigenti, ad un gruppo (una
minoranza qualificata) di Parlamenti nazionali di chiedere alla Commissione
europea di presentare un progetto normativo (o altro documento di indirizzo
o strategico), anche al fine di modificare o abrogare normativa europea
vigente.
Al momento sono stati avviati nell’ambito della COSAC tre progetti pilota di green card su: l’adozione di misure non vincolanti in materia di spreco alimentare; la revisione della direttiva sui servizi audiovisivi; la responsabilità ambientale e sociale delle società.
Il “cartellino rosso”
L’accordo su una nuova intesa per la permanenza del Regno
Unito nell’UE, definito dal Consiglio europeo del 18 e 19 febbraio 2016 in
vista del referendum che si svolgerà nel Regno Unito il 23 giugno 2016, tra le
disposizioni destinate ad essere adottate a condizione di un esito positivo
del referendum, prevede il rafforzamento dei poteri dei Parlamenti
nazionali, attraverso l’introduzione di una procedura cosiddetta di cartellino
rosso (“red card”).
In particolare, qualora i pareri motivati dei Parlamenti nazionali, inviati entro 12 settimane dalla trasmissione del progetto rappresentino più del 55% dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali, il Consiglio dei ministri dell’UE svolgerà una discussione esauriente su tali pareri e sulle conseguenze da trarne. A seguito di tale discussione, il Consiglio interromperà l'esame del progetto di atto legislativo in questione, a meno che il progetto non sia modificato per rispondere alle preoccupazioni espresse nei pareri motivati dei Parlamenti nazionali.
In proposito, si può osservare che si rimette al Consiglio dei ministri dell’UE la decisione ultima sull’esito della proposta controversa, mentre attualmente la procedura per il controllo di sussidiarietà demanda alla Commissione europea la responsabilità di valutare i pareri motivati dei Parlamenti nazionali e di decidere quale seguito dare loro. Si ricorda, inoltre, che attualmente l’articolo 6 del Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità prevede che i Parlamenti nazionali possano inviare pareri motivati per la non conformità di un progetto di atto legislativo al principio di sussidiarietà entro un termine di 8 settimane (e non 12) a decorrere della data di trasmissione del progetto in tutte le lingue ufficiali dell’UE.
Il dialogo tra Parlamenti nazionali e Parlamento europeo è attualmente confinato nell’ambito della cooperazione interparlamentare che è regolata dalla Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’UE e che si esplica in specifiche sedi di incontro (alcune delle quali istituzionalizzate: COSAC, Conferenza per il controllo della politica estera e di sicurezza, Conferenza sulla governance economica ex art. 13).
L’intensificazione della cooperazione tra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali è esplicitamente prospettato nella relazione “Completare l’Unione economica e monetaria dell’Europa” presentata dai 5 Presidenti (Junker, Tusk, Dijsselbloem, Draghi e Schulz).
I pareri dei PN elemento dell’istruttoria
legislativa del PE L’iniziativa della Camera
Nella scorsa legislatura, il Presidente della Camera,
Gianfranco Fini, in una lettera dell’aprile 2012, indirizzata al Presidente
del Parlamento europeo, Martin Schulz, richiamava la necessità di rendere
più concreto il dialogo tra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali, valorizzando
nei lavori del Parlamento europeo i pareri e le opinioni espressi dai
Parlamenti nazionali nell’ambito dell’esame di proposte di atti normativi e
di documenti dell’Unione europea.
Il Presidente Fini aveva, in particolare, proposto che i pareri adottati dai Parlamenti nazionali costituissero parte integrante dell’attività di istruttoria legislativa del Parlamento europeo.
Veniva prospettato che le relazioni che le Commissioni del Parlamento europeo predispongono per l’esame in seduta plenaria dovessero dar conto, sia pur sinteticamente, dei rilievi e osservazioni formulati nei pareri adottati dai Parlamenti nazionali in esito all’esame di proposte e documenti dell’UE, sia sotto il profilo del controllo del rispetto del principio di sussidiarietà sia per quanto riguarda i profili di merito.
La prassi del PE
Il Presidente Schulz, nella sua risposta ha assunto
l’impegno, a nome del Parlamento europeo, di tradurre in tutte le
lingue ufficiali dell’UE i pareri motivati adottati nell’ambito della
procedura di controllo del principio di sussidiarietà e trasmessi dai Parlamenti
nazionali, che sono trasmessi ai deputati delle commissioni
competenti e esplicitamente richiamati nel dispositivo delle risoluzioni
legislative adottate dal PE.
Tutti gli altri pareri e contributi dei Parlamenti nazionali adottati nell’ambito del più ampio dialogo politico con la Commissione europea sono invece trasmessi unicamente ai relatori ed ai Presidenti delle commissioni competenti (non sono quindi necessariamente elemento dell’istruttoria legislativa condotta dalla Commissione competente, se non su eventuale iniziativa del relatore o del Presidente di Commissione).
Asimmetria nel dialogo PN-PE
Il Presidente Schulz, ricordava, inoltre, che l’insieme dei documenti
trasmessi dai Parlamenti nazionali al Parlamento europeo è raccolto in una banca
dati on line a disposizione dei deputati del Parlamento europeo.
In effetti, si evidenzia una chiara asimmetria rispetto all’esperienza del dialogo politico con la Commissione europea fin dal settembre 2006.
Mentre, infatti, in base al dialogo politico, la Commissione europea risponde ai rilievi e pareri formulati dai Parlamenti nazionali, anche al di fuori dei pareri motivati adottati in esito al controllo del principio di sussidiarietà, il Parlamento europeo si limita a dare rilievo, nel rapporto con i Parlamenti nazionali, ai soli pareri motivati.
La relazione Bresso-Brok
Sul tema del potenziamento del
ruolo dei Parlamenti nazionali nei processi decisionali dell’UE merita
segnalare che gli onn. Mercedes Bresso (S&D, IT) e Elmar Brok (PPE-DE),
relatori sulla relazione di iniziativa della Commissione affari
costituzionali del Parlamento europeo sul tema “Migliorare il funzionamento
della costruzione dell’UE sulla base del potenziale del Trattato di Lisbona”
hanno presentato il 20 gennaio 2016 un progetto di relazione nel
quale si avanzano un serie di proposte volte a migliorare il funzionamento
dell’UE sfruttando pienamente le possibilità offerte dal Trattato di
Lisbona, senza quindi ricorrere ad una revisione dei Trattati.
In particolare, per quanto riguarda i Parlamenti nazionali, si segnalano le seguenti proposte:
· le Commissioni parlamentari del PE dovrebbero cooperare meglio con le omologhe Commissioni parlamentari dei PN;
· promuovere lo scambio delle migliori pratiche di controllo parlamentare tra Parlamenti nazionali come lo svolgimento di periodiche discussioni tra i rispettivi ministri e le commissioni specializzate dei parlamenti nazionali prima e dopo le riunioni del Consiglio e con i membri della Commissione europea in un opportuno arco temporale;
· migliorare le possibilità pratiche affinché i Parlamenti nazionali garantiscano i principi di sussidiarietà e proporzionalità, rafforzando la cooperazione tra i Parlamenti nazionali, per consentire loro, in stretta cooperazione reciproca, di conseguire il quorum necessario per far scattare la procedura di cartellino giallo, nell’ambito del controllo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità.
La relazione dei cinque Presidenti
Nella relazione
"Completare l'Unione economica e monetaria dell'Europa" (cosiddetta
relazione dei cinque Presidenti) presentata il 22 giugno 2015 si propone di
intensificare la cooperazione tra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali
e interazioni più sistematiche tra Commissari europei e Parlamenti nazionali,
sia sulle raccomandazioni specifiche del Consiglio dell’UE per Paese in materia
di politica economica sia sui bilanci nazionali.
Ogni anno, la Commissione europea pubblica una relazione sui suoi rapporti con i parlamenti nazionali nella quale, tra l'altro, dà conto del numero di pareri ricevuti nell'ambito del dialogo politico e del controllo di sussidiarietà.
Si anticipa, qui di seguito, la tabella relativa all'anno 2015, di prossima pubblicazione:
Annex 1
Number of opinions received by the Commission in 2015 per national Parliament/Chamber (political dialogue and subsidiarity control mechanism)
Member State |
Chamber |
Total number of opinions[3] |
Number of which were reasoned opinions (Protocol No 2)[4] |
Portugal |
Assembleia da República |
55 |
0 |
Romania |
Camera Deputaților |
47 |
1 |
Czech Republic |
Senát |
25 |
1 |
Italy |
Senato della Repubblica |
25 |
0 |
France |
Assemblée nationale |
23 |
0 |
United Kingdom |
House of Lords |
22 |
0 |
Germany |
Bundesrat |
20 |
0 |
Romania |
Senat |
14 |
0 |
Spain |
Congreso de los Diputados and Senado (both chambers) |
11[5] |
1[6] |
Czech Republic |
Poslanecká sněmovna |
10 |
1 |
Sweden |
Riksdag |
10 |
1 |
Ireland |
Dáil and Seanad Éireann (both chambers) |
9[7] |
0 |
France |
Sénat |
8 |
0 |
United Kingdom |
House of Commons |
8 |
0 |
Austria |
Bundesrat |
7 |
0 |
Italy |
Camera dei Deputati |
7 |
0 |
Slovakia |
Národná Rada |
7 |
1 |
The Netherlands |
Tweede Kamer |
6 |
1 |
Croatia |
Hrvatski sabor |
5 |
0 |
Hungary |
Országgyűlés |
5 |
1 |
Lithuania |
Seimas |
4 |
0 |
Cyprus |
Vouli ton Antiprosopon |
4 |
0 |
Poland |
Senat |
3 |
0 |
Belgium |
Chambre des représentants / Belgische Kamer van volksvertegenwoordigers |
2 |
0[8] |
Bulgaria |
Narodno Sabranie |
2 |
0 |
Denmark |
Folketing |
2 |
0 |
Germany |
Bundestag |
2 |
0 |
Luxembourg |
Chambre des Députés |
2 |
0 |
The Netherlands |
Eerste Kamer |
2 |
0 |
Finland |
Eduskunta |
1 |
0 |
Latvia |
Saeima |
1 |
0 |
Malta |
Kamra tad-Deputati |
1 |
0 |
Austria |
Nationalrat |
0 |
0 |
Belgium |
Sénat de Belgique / Senaat |
0 |
0 |
Estonia |
Riigikogu |
0 |
0 |
Greece |
Vouli ton Ellinon |
0 |
0 |
Poland |
Sejm |
0 |
0 |
Slovenia |
Državni zbor |
0 |
0 |
Slovenia |
Državni svet |
0 |
0 |
TOTAL |
350 |
8 |
Rispetto all'anno precedente, va segnalata una flessione significativa nel numero di pareri trasmessi alla Commissione europea (350, di cui 8 motivati) rispetto ai dati del 2014 (506, di cui 21 motivati). Le ragioni di tale calo (che vale anche per la produzione di pareri e risoluzioni da parte del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati: rispettivamente 25 e 7 pareri nel 2015 contro 63 e 15 nel 2014) vanno probabilmente individuate soprattutto in una riduzione significativa dell'attività legislativa da parte della Commissione europea, come dimostra il fatto che, nei primi cinque mesi del 2016, contraddistinti da un significativo aumento del numero di proposte formalizzate dal collegio Juncker, il Senato ha già superato il numero complessivo di pareri espressi in tutto il 2015.
La differenza nel numero di pareri prodotti dai due rami del Parlamento (anch'essa costante nel corso degli anni) è legata almeno in parte alle differenti procedure adottate da Senato e Camera per l'esame degli atti dell'Unione europea.
Si
ricorda in proposito che la Camera dei deputati prevede due procedure
distinte per l'esame dei documenti trasmessi nell'ambito del solo dialogo
politico e di quelli trasmessi ai sensi del protocollo di sussidiarietà.
Mentre i primi sono assegnati per l'esame alla Commissione parlamentare
competente per materia, e per il parere alla Commissione politiche dell'UE, i
secondi sono assegnati alla Commissione politiche dell'Unione europea, che
procede alla verifica della conformità che deve concludersi entro 40 giorni dall'assegnazione.
Alla
discussione presso la Commissione politiche dell'UE è invitato il relatore
nominato nella Commissione di settore. Alle Istituzioni europee sono inviati,
da parte della Presidenza della Camera, i documenti contenenti una decisione
motivata negativa in materia di sussidiarietà approvati dalla XIV Commissione o
dall'Assemblea. La XIV Commissione può comunque avanzare espressa richiesta di
trasmissione anche dei documenti recanti una decisione favorevole.
Il Senato non prevede invece distinzioni sostanziali, per quanto attiene alle procedure, tra atti trasmessi nell'ambito del dialogo politico o ai sensi del protocollo di sussidiarietà. Su entrambi, a pronunciarsi è la commissione competente per materia, con parere della Commissione politiche dell'UE, che può a sua volta trasformare le proprie osservazioni, formulate in sede consultiva, in una risoluzione definitiva, mediante una seconda deliberazione, svolta in presenza del prescritto quorum qualificato, qualora entro 15 giorni la Commissione competente non si sia ancora pronunciata (cosiddetta "doppia deliberazione"). In ogni caso, tutte le risoluzioni, che siano formulate nel quadro del dialogo politico o del protocollo di sussidiarietà, sono trasmesse alle istituzioni dell'Unione (laddove la Camera tende a trasmettere per la seconda fattispecie, i soli pareri motivati).
Per quanto attiene all'uso della figura del
relatore per l'esame parlamentare delle proposte legislative e dei
principali dossier europei, il XXV Rapporto semestrale predisposto dal
Segretariato COSAC evidenzia come una significativa maggioranza dei
Parlamenti/Camere (21 su 37) ha risposto al questionario predisposto in
materia affermando di non procedere alla nomina di relatori.
Un'ampia maggioranza delle Camere/Parlamenti ha altresì espresso l'opinione che uno scambio attivo di informazioni tra relatori a livello nazionale su singoli dossier potrebbe rappresentare uno strumento utile per accrescere la qualità e l'efficacia dell'esame parlamentare.
Sul tema della trasparenza dei triloghi, cinque sono
le Camere che hanno partecipato alla consultazione pubblica lanciata dal
Mediatore europeo, evidenziando tutte, in diversa misura, la mancanza di
trasparenza e la necessità di accrescerla rendendo pubblici i documenti di
lavoro dei triloghi.
Per quanto concerne il livello di informazione sui triloghi fornito al Parlamento italiano, va ricordato come, in applicazione della legge n. 234/12 e in particolare dell'articolo 4, comma 3, il Governo trasmetta alle Camere con cadenza settimanale le relazioni e le note informative predisposte dalla Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea, con riferimento a una serie di riunioni che vanno dai Consigli di settore alle riunioni del COREPER e di alcuni comitati e gruppi di lavoro del Consiglio.
Da tali documenti, che sono trasmessi alle Commissioni competenti per materia nonché alla Commissioni politiche dell'Unione europea, è spesso possibile ricavare informazioni dettagliate sull'andamento dei triloghi, che spetta ai segretari di ciascuna Commissione e/o all'Ufficio per i rapporti con l'Unione europea far pervenire ai rispettivi relatori. Stante la natura dei documenti e la potenziale delicatezza delle materie trattate, e in conformità con il comma 6 dello stesso articolo 4, il Governo ha raccomandato un uso tendenzialmente riservato delle informazioni e dei documenti trasmessi.
Il principio dello Stato di diritto
Il principio dello Stato di diritto è inteso dall’Unione europea come il
modello organizzativo predominante del diritto costituzionale moderno e
delle organizzazioni internazionali (compresi ONU e Consiglio d'Europa) per disciplinare
l'esercizio dei pubblici poteri. Si tratta di un patrimonio comune a tutti
gli Stati membri UE in base al quale tutti i pubblici poteri devono agire entro
i limiti fissati dalla legge, rispettando i valori della democrazia e
dei diritti fondamentali, e sotto il controllo di un giudice
indipendente e imparziale.
Gli strumenti a tutela dei valori fondanti UE
L’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea include tale principio tra
i valori fondanti l’UE insieme a: il rispetto della dignità umana, la libertà,
la democrazia, l’uguaglianza, il rispetto dei diritti umani, compresi i diritti
delle persone appartenenti a minoranze.
Il rispetto dello Stato di diritto è considerato la precondizione essenziale per la tenuta di ogni diritto. Reciprocamente, la violazione sistematica dei diritti umani è un fenomeno che si traduce nel mancato rispetto del principio dello Stato di diritto. La mancata tenuta di tale principio si traduce concretamente nell’impossibilità per i cittadini di prevedere le conseguenze giuridiche di un qualsiasi loro atto, minando alla base le regole della convivenza civile.
Attualmente i principali strumenti a garanzia del rispetto dei valori fondanti dell’Unione europea (tra i quali il principio dello Stato di diritto e i diritti fondamentali) sono:
· la procedura attivabile in caso di gravi violazioni da parte di uno Stato membro, ai sensi dell’art. 7 del TFUE: in estrema sintesi, il Consiglio (deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri) previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all'articolo 2; prima di tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura. Constatata una violazione grave e persistente dell’articolo 2 TUE, il Consiglio può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall'applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio;
· le procedure di infrazione che la Commissione europea può promuovere per violazione del diritto dell’UE da parte di uno Stato membro (inclusi i diritti e i valori fondamentali che costituiscono principi generali dell’ordinamento dell’UE, ai sensi dell’art. 6 del TUE).
I limiti della procedura ex articolo 7 TUE
È stata da più parti sottolineata l’inefficacia degli attuali
strumenti a difesa dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali
nell’ambito dell’UE. Si è in particolare evidenziato che le Istituzioni europee
non avrebbero a disposizione un sistema di costante monitoraggio
e una graduale e flessibile gamma di mezzi di tutela, stante la sola
scelta tra il potere leggero della persuasione politica e la sproporzionata
opzione (cosiddetta “nucleare”) ex articolo 7 del Trattato sull’UE (TUE). nei
confronti dello Stato membro nel quale siano stati lesi i principi citati (o
qualsiasi altro valore ex articolo 2 dello stesso TUE.
Le voci critiche più diffuse riguardo all’articolo 7 TUE si concentrano sui presupposti molto stringenti per l’avvio della procedura (constatazione di un rischio di violazione grave dello Stato di diritto o di altro valore fondante) come anche per l’irrogazione delle sanzioni previste (constatazione di una violazione rara e persistente), nonché sulle ampie maggioranze richieste in sede di Consiglio dell’Unione europea e di Consiglio europeo nei passaggi essenziali della procedura.
L’articolo 7 del TUE
Infine, la stessa gravità delle sanzioni comminate ai sensi
dell’articolo 7 (sospensione dei diritti di uno Stato membro, ivi
compreso il voto) ha indotto ad una notevole cautela nell’uso dello
strumento o addirittura a sconsigliarlo del tutto In pratica la procedura
dell’articolo 7 non ha mai trovato attuazione
Procedure di infrazione
In alternativa, l’ordinamento europeo prevede che la Commissione europea
possa promuovere procedure di infrazione laddove il mancato rispetto
della Carta dei diritti fondamentali corrisponda altresì ad una situazione
di inadempienza di uno Stato membro riguardo ad uno degli obblighi a lui
incombenti in virtù dei Trattati.
L’inidoneità sottolineata di tali mezzi di tutela ha indotto numerose critiche a porre in risalto una asimmetria nell’atteggiamento dell’Unione europea che, da un lato, si dimostra molto attenta nella promozione dei diritti fondamentali nei confronti di Paesi ad essa estranei, sia ai fini della valutazione della sussistenza di requisiti per l'adesione che attraverso la previsione di clausole di condizionalità all'interno di accordi internazionali; dall’altro, l’Unione europea avrebbe tollerato comportamenti palesemente incoerenti da parte di alcuni Stati membri.
Per quanto concerne i limiti relativi alle procedure di infrazione si segnala che tali carenze discendono dal fatto, oltreché dalla complessità della relativa procedura (che prevede l’applicazione di una sanzione soltanto in esito ad un contraddittorio con lo Stato membro e che vede impegnata in prima battuta la Commissione e solo in un secondo momento la Corte di giustizia dell’Unione europea) ma anche perché riferito a puntuali violazioni del diritto europeo e a casi specifici.
Nuovo quadro dell’UE per rafforzare lo Stato di
diritto
L’inefficacia degli strumenti descritti, in particolare per quanto
riguarda il principio dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali ha
indotto la Commissione europea ad adottare nel marzo del 2014 la comunicazione
“Un nuovo quadro dell’UE per rafforzare lo Stato di diritto” nella quale
propone di attivare una procedura ove uno Stato membro adotti misure o tolleri
situazioni in grado di compromettere sistematicamente l’integrità, la
stabilità, il corretto funzionamento delle istituzioni o de i meccanismi di
salvaguardia istituiti a livello nazionale per garantire lo Stato di diritto.
La procedura non è concepita per i casi individuali di violazione dei diritti fondamentali o errori giudiziari, che – secondo la Commissione - devono continuare ad essere trattati dagli ordinamenti giudiziari nazionali (anche nell’ambito della tutela prevista dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cui gli Stati UE aderiscono). La comunicazione richiede infatti che la violazione presenti carattere sistemico.
Secondo la Commissione devono quindi essere minacciati l'ordinamento politico, istituzionale e/o giuridico di uno Stato membro in quanto tale, la sua struttura costituzionale, la separazione dei poteri, l'indipendenza o l'imparzialità della magistratura, ovvero il suo sistema di controllo giurisdizionale compresa, ove prevista, la giustizia costituzionale – ad esempio in seguito all'adozione di nuove misure oppure di prassi diffuse delle autorità pubbliche e alla mancanza di mezzi di ricorso a livello nazionale; l’attivazione della procedura deve avvenire allorché risulti che i meccanismi nazionali di salvaguardia dello Stato di diritto non sono in grado di affrontare efficacemente tali minacce.
Procedura in tre fasi
La Commissione prevede di articolare la nuova procedura nelle
seguenti fasi:
Valutazione della Commissione (Parere sullo Stato di diritto): la Commissione raccoglie ed esamina tutte le informazioni pertinenti, valutando se vi siano chiare indicazioni di una minaccia sistemica allo Stato di diritto; ove effettivamente venga riscontrata tale minaccia, la Commissione avvia il dialogo con lo Stato membro in questione trasmettendogli un “parere sullo Stato di diritto”, nel quale sono espone e motivate le relative preoccupazioni; lo Stato membro interessato ha la possibilità di rispondere ai rilievi formulati.
Raccomandazione della Commissione: salvo il caso in cui la questione sia già stata risolta, la Commissione rivolge allo Stato membro interessato una “raccomandazione sullo Stato di diritto”, invitandolo a porre rimedio entro un determinato termine ai problemi individuati e a comunicarle quali provvedimenti sono stati adottati a tal fine (tale raccomandazione è resa pubblica dalla Commissione).
Follow-up della raccomandazione della Commissione: la Commissione controlla il seguito che lo Stato membro in questione ha dato alla raccomandazione. In mancanza di seguito soddisfacente entro il termine fissato, la Commissione può applicare uno dei meccanismi previsti dall’articolo 7 del TUE.
Le nomine dei giudici del Tribunale costituzionale
polacco
Nel novembre 2015 la Commissione europea ha esaminato di alcune misure
adottate in Polonia per quanto riguarda la composizione del Tribunale
costituzionale e la riforma dei media nell’ambito del servizio pubblico
In sintesi, il Parlamento polacco recentemente rinnovato ha modificato la legge istitutiva del Tribunale Costituzionale nel senso di consentire alla nuova Camera di annullare le nomine dei giudici costituzionali precedentemente designati dalla Camera uscente; la riforma prevede inoltre la riduzione dei termini del mandato del Presidente e del Vicepresidente del Tribunale da nove a tre anni (il che si traduce nella imminente scadenza degli attuali mandati).
In forza di tale riforma, il 25 novembre 2015 la nuova Camera ha annullato le nomine fatte nella precedente legislature e il 2 dicembre 2015 ha nominato 5 nuovi giudici costituzionali (su un totale di 15).
Le misure citate hanno prodotto un grave conflitto istituzionale.
Infatti, il Tribunale costituzionale della Polonia, con pronunce del 3 e 9 dicembre 2015, ha ritenuto che la nuova Camera non avrebbe potuto annullare la nomina dei tre giudici costituzionali scaduti nella legislatura precedente mentre avrebbe potuto nominare solo i due giudici costituzionali il cui mandato è scaduto durante la nuova legislatura. Il Tribunale ha altresì dichiarato illegittimo la riduzione dei termini dei mandati dei propri Presidente e Vicepresidente.
Nonostante tali decisioni il Capo dello Stato ha dato seguito a tutte le nomine designate dalla nuova Camera, recependo il giuramento dei nuovi giudici.
Le sentenze del Tribunale Costituzionale non sono quindi state attuate, e la corretta composizione del Tribunale è rimasta controversa.
La nuova legge sul Tribunale costituzionale polacco
Inoltre, il 22 dicembre 2015, il Parlamento polacco ha approvato una
legge recanti misure che incidono sul funzionamento del Tribunale
costituzionale polacco e sull’indipendenza dei suoi giudici. Le nuove
norme richiedono, tra l’altro, condizioni più onerose (ad esempio
maggioranze più elevate per l’adozione di sentenze) per il sindacato di
costituzionalità da parte del Tribunale sulle future leggi approvate dal
Parlamento.
Il 23 dicembre 2015, il Primo Vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, ha scritto al Governo polacco per avere chiarimenti, in particolare, sulle misure che prevedeva di adottare con riferimento alle decisioni del Tribunale costituzionale polacco.
Il Vicepresidente della Commissione ha altresì raccomandato al Governo polacco di consultare la Commissione di Venezia (vedi infra) prima dell’adozione formale della riforma del Tribunale costituzionale.
Il conflitto istituzionale in Polonia
Il Governo polacco ha effettivamente richiesto alla Commissione di
Venezia una valutazione della legge in questione, salvo poi procedere, senza
attendere il giudizio dell’organismo internazionale.
Il 9 marzo 2016, il Tribunale costituzionale polacco ha dichiarato la citata legge incostituzionale.
A tale pronuncia, l’11 marzo 2016, si è inoltre aggiunto il responso della Commissione di Venezia che ha ritenuto le misure del 22 dicembre 2015 incompatibili con i principi dello Stato di diritto.
Tuttavia il Governo polacco ha deciso di non pubblicare sulla Gazzetta ufficiale sia la decisione del Tribunale costituzionale polacco del 9 marzo 2016, sia tutte le successive sentenze, decidendo altresì di non partecipare ai procedimenti dinanzi a quella Corte.
L’avvio della nuova procedura UE nei confronti
della Polonia
Dinanzi alle citate riforme approvate in Polonia e al conflitto
istituzionale che ne è seguito la Commissione europea, il 13 gennaio 2016, ha
avviato la valutazione della Polonia nell’ambito del meccanismo per il rispetto
dello Stato di diritto attraverso un dialogo strutturato volto a
raccogliere ed esaminare tutte le informazioni utili per valutare se vi sono
chiare indicazioni di una minaccia sistematica allo stato di diritto.
Le preoccupazioni della Commissione europea hanno altresì riguardato le politiche del Governo polacco in materia di media nell’ambito del servizio pubblico: sotto osservazione della Commissione europea la small media law del 31 dicembre 2015, con la quale tra l’altro si è regolata la questione delle nomine dei consigli di amministrazione e degli organi di controllo dei media pubblici (radio e televisioni). In particolare, le nuove norme sottraggono la nomina di tali organi all’ente indipendente che le esercitava e le assegnano al Ministero del Tesoro. La legge ha disposto inoltre l’immediato licenziamento dei dirigenti in carica.
La questione è stata altresì dibattuta in occasione della seduta dell’Assemblea plenaria del Parlamento europeo del 19 gennaio 2016, dinanzi alla quale la Commissione europea, alla presenza del Primio Ministro polacco la Commissione europea ha illustrato le proprie preoccupazioni sulla situazione dello Stato di diritto in Polonia.
Infine, oltre a numerosi scambi di opinioni con le autorità polacche intervenuti dopo la riunione della Commissione del 13 gennaio 2016, si segnala che il 5 aprile e il 24 maggio 2016 il Vice Presidente della Commissione europea, Frans Timmermans si è recato a Varsavia, dove si sono svolti colloqui con i rappresentanti del Governo polacco,. Tali colloqui non hanno portato a soluzioni soddisfacenti per la Commissione europea.
Il parere sullo Stato di diritto
Pertanto il 1° giugno 2016 la Commissione europea ha adottato un parere
sullo Stato di diritto in Polonia con il quale ha espresso
preoccupazioni con riferimento a:
· la nomina dei giudici del Tribunale costituzionale e l’attuazione delle sentenze di annullamento adottate dalla stessa Corte il 3 e 9 dicembre 2015;
· la riforma del Tribunale costituzionale polacco del 22 dicembre 2015, la sentenza del 9 marzo 2016 che l’ha dichiarata incostituzionale, nonché il rispetto di tutte le sentenze che successivamente il Tribunale costituzionale ha emanato;
· l’effettività del sindacato costituzionale sulla legislazione polacca adottata e attuata in polonia nel 2016.
In particolare quest’ultimo aspetto riguarda, tra l’altro, la decisione del Governo polacco di non pubblicare le sentenze Tribunale costituzionale polacco dal 9 marzo 2016 in poi. Secondo la Commissione europea infatti tale rifiuto determina incertezza giuridica non solo per le sentenze finora adottate da quella Corte ma anche per le future decisioni, minando alla base il funzionamento della giustizia costituzionale in quello Stato membro, considerato dall’Unione europea uno degli aspetti del principio dello Stato di diritto.
Il nuovo meccanismo sullo Stato di diritto prevede che le autorità polacche possano rispondere alle osservazioni della Commissione europea.
Inoltre, qualora entro un ragionevole tempo la Polonia non dovesse porre rimedio alle criticità indicate dalla Commissione europea, quest’ultima potrebbe adottare una raccomandazione sullo Stato di diritto, che rappresenterebbe il secondo stadio della nuova procedura descritta.
Il mancato follow up soddisfacente dell’eventuale raccomandazione della Commissione potrebbe infine dar luogo alla procedura ex articolo 7 del Trattato sull’Unione europea
Monitoraggio annuale in sede di Consiglio dell’UE
Anche sulla base dell’iniziativa della Commissione del marzo 2014, i
Governi degli Stati membri, riuniti nel Consiglio affari generali del 16
dicembre 2014 (svoltosi nel Semestre di Presidenza italiana dell’UE),
hanno adottato le seguenti conclusioni sul rispetto dello Stato di
diritto:
· si impegnano ad instaurare un dialogo in sede di Consiglio volto a promuovere e a salvaguardare lo stato di diritto nel quadro dei Trattati;
· sottolineano che questo dialogo si fonderà sui principi di obiettività, non discriminazione e parità di trattamento di tutti gli Stati membri;
· convengono che tale dialogo sarà condotto secondo un approccio basato su elementi concreti;
· convengono di sviluppare tale dialogo in modo complementare rispetto ad altre istituzioni dell'UE ed organizzazioni internazionali, evitando doppioni e tenendo conto degli strumenti e delle conoscenze esistenti in questo settore;
· stabiliscono che tale dialogo si terrà una volta l'anno in sede di Consiglio, nella formazione "affari generali". Il Consiglio valuterà, se del caso, di avviare dibattiti su questioni tematiche;
· valuteranno, entro la fine del 2016, l'esperienza acquisita sulla base di tale dialogo.
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In attuazione di tali conclusioni il primo dialogo sullo Stato di diritto si è tenuto il 17 novembre 2015, in occasione di una riunione del Consiglio affari generali, nel corso della quale la Commissione europea ha presentato i risultati di un seminario su "Tolleranza e rispetto: la prevenzione e la lotta contro l'antisemitismo e islamofobia in Europa", tenutosi il 1° e il 2 ottobre 2015.
In tale occasione Ministri competenti hanno anche avuto uno scambio di opinione sulle buone prassi e le sfide da affrontare a livello nazionale, nonché sullo Stato di diritto nell'era digitale.
Da ultimo, il Consiglio affari generali del 25 maggio 2016 ha svolto il secondo dialogo annuale sullo Stato di diritto.
In tale occasione la Presidenza olandese del Consiglio UE ha introdotto il tema del dialogo dedicato alle questioni dell'integrazione dei migranti e valori fondamentali dell'Unione, identificate nel solco del seminario di alto livello "EU fundamental values, immigration and integration: a shared responsibility" tenutosi lo scorso 2 febbraio a Strasburgo. Tutte le delegazioni intervenute (Italia, Svezia, Belgio, Grecia, Lussemburgo, Rep. Ceca, Germania, Ungheria, Spagna, Portogallo, Finlandia, Danimarca, Croazia, Austria, Slovenia, Malta, Romania) hanno sostenuto la centralità del rispetto dello stato di diritto, come elemento fondante dell'Unione europea e la rilevanza del tema dell'integrazione. Inoltre si segnala che la delegazione italiana ha condiviso la proposta belga, favorevole all'istituzione di un sistema di "revisione periodica" di tutti i 28 Stati membri, sulla base di indicatori oggettivi condivisi a livello di Unione europea (proposta supportata anche da Portogallo). Le delegazioni intervenute hanno, tra l’altro, generalmente insistito sulla rilevanza dei principi di non discriminazione verso i migranti ma anche all'interno delle comunità di migranti, in modo da assicurare la condivisione dei principi comuni (ad esempio, parità uomo donna, divieto di matrimonio forzato).
La Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto, nota come Commissione di Venezia, dal nome della città in cui si riunisce, è un organo consultivo del Consiglio d'Europa. Istituita nel 1990, la Commissione ha svolto un ruolo chiave nell’adozione di costituzioni conformi agli standard del patrimonio costituzionale europeo, in tutti quei paesi di “giovane democrazia”, entrati nel Consiglio d’Europa all’indomani della fine dell’Unione Sovietica.
Concepita inizialmente come strumento d’ingegneria costituzionale di emergenza, in un contesto di transizione democratica, la Commissione ha visto la propria attività evolvere progressivamente sino a diventare un'istanza di riflessione giuridica indipendente, internazionalmente riconosciuta.
Istituita nel maggio 1990, tra gli allora 18 Stati membri del Consiglio d'Europa, la Commissione è divenuta nel febbraio 2002un accordo allargato, con la conseguente possibilità di accogliere come membri anche Paesi non europei.
La Commissione di Venezia è composta da "esperti indipendenti di fama internazionale per la loro esperienza nelle istituzioni democratiche o per il loro contributo allo sviluppo del diritto e della scienza politica" (art.2 dello Statuto).
I suoi componenti sono in particolare professori universitari, di diritto costituzionale o di diritto internazionale, giudici di corti supreme o costituzionali, e alcuni membri di parlamenti nazionali. Essi sono designati, per quattro anni, dagli Stati membri della Commissione ma agiscono in piena autonomia e indipendenza. Attualmente il presidente della Commissione è l’italiano Gianni Buquicchio.
Tutti i 47 Stati membri[9] del Consiglio d'Europa hanno aderito alla Commissione di Venezia. Inoltre, il Kirgizistan è diventato membro nel 2004; il Cile nel 2005; la Repubblica di Corea e il Montenegro nel 2006; il Marocco e l'Algeria nel 2007; Israele nel 2008, Peru e Brasile nel 2009, la Tunisia e Messico nel 2010, Kazakistan nel 2011, USA nel 2013 e Kosovo nel 2014. Queste nuove adesioni hanno portato a 60 il numero degli stati membri della Commissione. La Bielorussia partecipa in qualità di membro associato. Gli Stati che godono di uno statuto di osservatore presso la Commissione sono: Argentina, Canada, Santa Sede, Giappone, Stati Uniti e Uruguay. Il Sudafrica e l'Autorità Nazionale Palestinese hanno uno speciale statuto di cooperazione, simile allo statuto di osservatore.
La Commissione europea e l'OSCE/ODIHR partecipano alle sessioni plenarie della Commissione.
· Gianni Buquicchio, Presidente
· Sergio Bartole, supplente, Professore emerito di diritto costituzionale, Università di Trieste
· Guido Neppi Modona, supplente, Giudice della Corte Costituzionale dal 1996 al 2005
Il lavoro della Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto si articola intorno ai tre principi chiave del patrimonio costituzionale europeo: la democrazia, i diritti umani e il primato del diritto, che sono alla base di tutte le attività del Consiglio d’Europa. Questi principi si concretizzano nei quattro settori chiave dell'attività della Commissione:
· Cooperazione con le corti costituzionali
· Studi, rapporti e seminari transnazionali
Il compito principale della Commissione di Venezia è quello di fornire consulenza agli Stati sotto forma di "pareri legali" su progetti di legge o su normativa già in vigore, che vengano sottoposti al suo esame.
I pareri possono essere richiesti da:
· Capi di Stato, Parlamenti o Governi dei paesi membri
· Organi del Consiglio d’Europa (es. Segretario generale, Comitato dei Ministri o Assemblea parlamentare)
· Organizzazioni internazionali (es. UE, OSCE/ODIHR, etc.)
Su richiesta di una corte costituzionale o della Corte europea dei diritti dell'uomo, la Commissione può infine anche fornire pareri cd. amicus curiae, non sulla costituzionalità dell'atto in questione, ma in materia di diritto costituzionale e internazionale comparato.
La Commissione svolge infine anche la sua attività di fuori della regione europea, ad esempio nei paesi del Maghreb, in Asia Centrale e in America Latina, ove fornisce la propria competenza alle autorità dei paesi interessati e alle varie organizzazioni internazionali attive in tali regioni.
Si segnalano, fra le attività recenti della Commissione di Venezia, i seguenti atti adottati:
· Rule of Law Checklist, adottato il 12 marzo 2016, con cui La Commissione di Venezia ha inteso definire una serie di criteri volti a guidare la valutazione del rispetto dello Stato di diritto in uno Stato. La checklist è intesa come strumento di ausilio per la valutazione del rispetto dello Stato di diritto, anche in relazione alla procedura prevista dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea in materia di violazione da parte di uno Stato membri dei valori su cui si fonda l’UE.
In particolare, la checklist definisce parametri per valutare il rispetto dello Stato di diritto in 6 aree, al loro interno suddivise in varie sezioni: 1) legalità, incluso un processo trasparente, democratico e responsabile per l’applicazione della legge; 2) certezza giuridica; 3) divieto di arbitrarietà; 4) diritto di accesso alla giustizia davanti a corti imparziali, inclusa la possibilità di revisione giudiziaria di atti amministrativi; 5) rispetto per i diritti umani; 6) non discriminazione e uguaglianza davanti alla legge.
· Parere sugli emendamenti all’atto del 25 giugno 2015 sul Tribunale costituzionale della Polonia, adottato il 12 marzo 2016.
Si segnala infine[10] che “una delegazione della Commissione di Venezia si è recata a Varsavia per discutere le recenti modifiche alla legge polacca sulla polizia. Ha tenuto colloqui, fra gli altri, con il Ministero della Giustizia, Ministero degli Interni, Procura della Repubblica, Cancelleria del Sejm e del Senato, Commissario per i diritti umani e organizzazioni non governative. La delegazione era composta da membri della Commissione di Venezia provenienti dai Paesi Bassi, Svezia e Svizzera e 2 funzionari del Segretariato. Il parere della Commissione di Venezia su questo tema è stato richiesto dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa nel gennaio 2016. L'adozione del parere è prevista per la prossima sessione plenaria che si terrà il 10-11 giugno 2016 a Venezia”.
La tutela dei diritti fondamentali è stata oggetto di specifiche sessioni di approfondimento presso la Camera dei deputati: in particolare, sia in occasione della Conferenza internazionale “Il valore dell’ Europa - Crescita, occupazione e diritti: l’Unione europea alla prova” svoltasi alla Camera il 13-14 marzo 2014, sia durante la Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’Unione europea svoltasi alla Camera il 20-21 aprile 2015, nell’ambito della dimensione parlamentare del semestre di Presidenza italiana del Consiglio UE. In tale ultima occasione la Presidente della Camera ha, tra l’altro, proposto che almeno una Conferenza interparlamentare tra quelle organizzate nell’ambito della dimensione parlamentare del semestre di Presidenza del Consiglio UE sia dedicata al tema dei diritti fondamentali.
La terza sessione di lavoro della COSAC sarà incentrata sul tema della diplomazia parlamentare, definita nel Questionario predisposto dal Segretariato COSAC come "l'insieme delle attività internazionali intraprese dai parlamentari allo scopo di implementare la comprensione reciproca tra paesi, sviluppare un impegni comune per rafforzare il controllo sui governi e la rappresentanza dei cittadini e accrescere la legittimità democratica delle istituzioni intergovernative".
Il dibattito dovrebbe incentrarsi:
· sui benefici potenziali della diplomazia parlamentare rispetto ad altri strumenti diplomatici, per esempio nel contesto della Politica europea di vicinato (PEV);
· su una ricognizione delle tipologie di attività diplomatiche nelle quali i parlamentari sono coinvolti e sul loro carattere occasionale o strutturale;
· sull'opportunità o meno che le attività diplomatiche dei parlamenti nazionali e del Parlamento europeo siano più coordinate rispetto al quadro attuale.
Le ragioni di un'evoluzione
Le attività in varia misura connesse alla diplomazia parlamentare hanno
registrato un forte impulso negli anni recenti, non limitandosi più agli
scambi bilaterali e alla reciproca conoscenza tra assemblee legislative di
diversi paesi, ma tendendo a creare una vera e propria dimensione
parlamentare della politica estera e ad esercitare un ruolo di orientamento
e controllo nei confronti dei governi. La moltiplicazione di parlamenti,
assemblee, conferenze e altri fora interparlamentari è stata
particolarmente intensa a partire dalla fine della guerra fredda (prima del
1990 esistevano solo 40 Istituzioni parlamentari internazionali, cui se ne sono
aggiunte 51 solo tra il 1990 e il 1999, e altre 68 dal 1999 al 2010), per
effetto di tre grandi fenomeni interconnessi:
·
Processi di democratizzazio-ne
la progressiva democratizzazione che ha investito numerose aree
del pianeta, dall'Europa orientale all'America latina, ai paesi, come
Afghanistan e Iraq, nei quali gli esiti di operazioni militari internazionali
hanno determinato una nuova fase democratica, mettendo i parlamenti al centro
della costruzione istituzionale (cd. Institution Building);
· la regionalizzazione, costituita da forme di integrazione tra stati nazionali appartenenti a contesti geografici e territoriali omogenei in cui la dimensione parlamentare accompagna o sollecita quella intergovernativa;
· la globalizzazione, intesa come ricerca di un governo mondiale dei processi e dei conflitti, all'interno della quale i parlamenti possono svolgere un ruolo di impulso e di potenziamento della legittimazione democratica.
Una possibile articolazione delle attività che costituiscono la diplomazia parlamentare è stata proposta dello studioso Stelios Stavridis nel 2005 e si compone di:
· missioni all'estero dei parlamentari e partecipazione agli organi parlamentari transnazionali;
· visite di parlamentari singoli e delegazioni ai parlamenti e ad altre istituzioni nazionali o transnazionali;
· interrogazioni, rapporti e altri studi sugli affari internazionali che hanno luogo presso gli organi parlamentari;
· attività degli organi parlamentari transnazionali;
·
Assistenza tecnica
partecipazione dei parlamentari alle attività di monitoraggio delle
elezioni.
Alle attività di diplomazia parlamentare e/o di cooperazione interparlamentare si affiancano poi le attività di assistenza tecnica, ovvero quelle forme di sostegno alle democrazie emergenti o in difficoltà che coinvolgono nella maggior parte dei casi non solo i parlamentari, ma anche le strutture amministrative.
Per quanto concerne i formati organizzativi delle sedi di scambio interparlamentare, la prima distinzione da tracciare è quella tra cooperazione bilaterale e multilaterale. Tutti i parlamenti hanno infatti sviluppato forme di cooperazione bilaterale, in particolare attraverso la costituzione di gruppi di amicizia che promuovono la cooperazione tra i paesi interessati e che sono ormai migliaia. Nel medesimo ambito rientrano le molteplici attività di proiezione estera dei presidenti delle Assemblee, delle Commissioni e di altri organi parlamentari presso gli omologhi stranieri.
Cooperazione multilaterale
Le attività di diplomazia/cooperazione multilaterale di tipo formale,
comunemente identificate dall'acronimo IPIs (International Parliamentary
Institutions) e censite in oltre 100 unità, sono state definite dagli
studiosi Cutler e Sabic rispettivamente come "forum regolari per
deliberazioni multilaterali stabiliti su una base legale di natura legislativa
o consultiva, che possono essere annessi a un'organizzazione internazionale
oppure essere autonomamente costituiti, in cui vi sono rappresentanti
parlamentari di almeno tre stati [...] che sono selezionati dai parlamenti
nazionali oppure eletti direttamente dagli elettorati degli Stati membri",
e "istituzioni nelle quali i parlamentari cooperano con l'obiettivo di
formulare i loro interessi politici, adottare decisioni, strategie e programmi,
che attuano, formalmente o informalmente, attraverso interazioni con altri
attori, e attraverso mezzi come la persuasione, la sensibilizzazione e la
pressione istituzionale".
Anche sulla categorizzazione delle IPI non è ancora emerso in dottrina un approccio univoco, pur essendosi registrata una certa convergenza sulla distinzione di massima tra IPOs (International Parliamentary Organs), strutture di organizzazioni internazionali che dispongono di una dimensione parlamentare (ad esempio, le assemblee parlamentari del Consiglio d'Europa o del Mercosur) e IPAs (International Parliamentary Associations), libere associazioni di parlamentari a livello internazionale.
La dottrina tende in linea generale a concordare sul fatto che la proliferazione degli organismi parlamentari internazionali, oltre a essere parte integrante dei processi di integrazione regionale e di globalizzazione, ha contribuito a ridurre il deficit democratico nelle relazioni internazionali, mettendo a disposizione dei parlamentari eletti concreti strumenti di coinvolgimento nella politica estera.
Va d'altro canto ricordato come quasi nessun organismo parlamentare internazionale disponga di piena potestà legislativa e funzione di controllo sul corrispondente organo intergovernativo, benché non manchino progetti per ampliare le prerogative in tale direzione, sulla base dell'esperienza del Parlamento europeo che sempre di più assume il carattere di modello di riferimento a livello mondiale.
Inoltre, la diffusione delle IPI ha rafforzato una caratteristica storica degli istituti di diplomazia parlamentare, ovvero il loro impegno per la realizzazione dei processi di pace. Come parte di reti internazionali i parlamentari hanno infatti la predisposizione a mediare nei negoziati per la risoluzione dei conflitti, a coordinare i processi di consultazione e a favorire la cooperazione tra i governi.
I rilievi critici
Accanto a una valutazione sostanzialmente positiva dell'evoluzione degli
istituti di diplomazia parlamentare, vanno segnalati taluni, puntuali e
ricorrenti rilievi critici, che attengono in particolare:
· a un eccesso nella moltiplicazione degli organismi parlamentari internazionali, che avrebbe portato, specie in Europa, America Latina e Africa, a una vera a propria "inflazione", creando spesso duplicazione e sovrapposizioni di organi e membership e chiamando in causa un'esigenza di "razionalizzazione" sia a livello regionale che globale, anche al fine di professionalizzare maggiormente i parlamentari che si dedicano a tali attività;
· la sostanziale autoreferenzialità delle strutture parlamentari internazionali, che, in assenza di funzioni legislative e di controllo vincolante, dovrebbero essere maggiormente aperte al dialogo e al confronto con la dimensione governativa e al rapporto con il mondo economico, sociale e della società civile;
· la necessità di garantire un adeguato seguito (follow-up) delle deliberazioni adottate a livello internazionale all'interno delle assemblee nazionali, migliorando i meccanismi di recepimento delle deliberazioni e accrescendo le possibilità di stimolare, a partire da esse, dibattiti su temi internazionalistici all'interno dei singoli parlamenti.
Ragioni di un impegno
Tutti e 39 i Parlamenti/Camere che hanno risposto al questionario
predisposto dal Segretariato COSAC hanno dichiarato di essere impegnati con
regolarità in attività a vario titolo associabili alla diplomazia parlamentare.
Per quanto concerne le ragioni di tale impegno, sono state indicate, in ordine di frequenza:
· la promozione dei valori fondamentali (democrazia, stato di diritto e dritti umani) e di una migliore comprensione reciproca tra paesi (34);
· lo scambio di informazioni e conoscenze (32);
· la promozione di una base comune di riferimento in situazioni di conflitto (23);
· la possibilità di disporre di maggiori informazioni e di una preparazione più adeguata in vista delle ordinarie attività di scrutiny dell'azione del governo (21);
· il sostegno alla politica estera del proprio governo (19).
Quanto alle varie forme di attività diplomatiche svolte, con particolare riferimento ai paesi vicini, particolare risalto è stato dato:
·
Forme dominanti
agli scambi di visite tra delegazioni, guidate dal Presidente o
da un Vice Presidente dell'Assemblea o anche organizzate a livello di
commissioni (38 Parlamenti/Camere; nella sua risposta, il Senato della
Repubblica si è soffermato in particolare sulle visite predisposte dalla
Commissione 14a verso i paesi del vicinato meridionale e i paesi
candidati all'adesione);
· alla partecipazione attiva alle riunioni di organismi parlamentari internazionali (AP-NATO, AP-Consiglio d'Europa, AP-OSCE e altri);
· alle visite di capi di Stato e di Governo e altre personalità straniere, nonché agli incontri periodici tra parlamentari e ambasciatori accreditati.
Solo 12 Parlamenti/Camere su 36 hanno invece dichiarato di disporre di un insieme di norme (soprattutto a livello di regolamento o di guidelines) attinenti al coordinamento delle attività di diplomazia parlamentare. Tali norme, laddove esistenti, riguardano in particolare il budget destinato specificamente alle suddette attività, la composizione delle delegazioni presso gli organismi parlamentari internazionali, l'incardinamento delle attività diplomatiche all'interno delle attività ordinarie del Parlamento (tramite il conferimento di mandati specifici alle delegazioni o l'obbligo di resocontazione sugli esiti delle riunioni cui esse partecipano).
Best practices
Quanto al livello di coordinamento tra la diplomazia parlamentare e
gli altri attori nel campo della politica estera nazionale, 25
Parlamenti/Camere su 38 hanno confermato l'esistenza di un coordinamento
sistematico con il governo o con i servizi diplomatici all'atto di definire la
propria posizione, mentre la maggioranza delle risposte (20 su 36) hanno
evidenziato l'assenza di qualunque coordinamento con il Parlamento europeo
(coordinamento che invece si verifica, ancorché non in modo formalizzato, nel
caso di Camera e Senato). Infine, 26 Parlamenti/Camere su 38 hanno segnalato
l'esistenza di forme di coordinamento con altri parlamenti nazionali.
Quanto infine alle best practices, molte delle risposte al questionario si sono soffermate su aspetti legati al funzionamento e all'organizzazione delle attività (il Senato francese, per esempio, ha fatto riferimento alla nomina di rapporteurs specifici che siano responsabili di seguire gli sviluppi della situazione nei paesi del vicinato, meridionale come orientale). Tra le sfide maggiori da affrontare per garantire una maggiore efficacia alla diplomazia parlamentare, molti Parlamenti/Camere hanno individuato:
· il coordinamento con gli esecutivi nazionali, specialmente sui temi prioritari dell'azione diplomatica, nonché con altri attori internazionali;
· il rafforzamento e la razionalizzazione della cooperazione interparlamentare, con l'obiettivo specifico di garantire un'azione di controllo sulla dimensione governativa per quanto attiene al follow up di decisioni e risoluzioni adottate nel quadro istituzionale dei fora internazionali.
Nella background note predisposta dalla Corte dei Conti europea si delineano gli elementi su cui potrebbe incentrarsi il dibattito nel corso della sessione dedicata ai rapporti con i Parlamenti nazionali, e precisamente:
· come vengono gestite le relazioni della Corte dei conti nel parlamento nazionale?
· Quale supporto possono offrire le relazioni speciali della Corte dei conti ai membri del Parlamento nazionale?
· Come possono tali relazioni essere meglio collegate al processo legislativo?
· I Parlamenti nazionali dovrebbero poter proporre direttamente nuovi argomenti all’attenzione della Corte dei conti europea?
· Tutte le relazioni speciali della Corte dei conti dovrebbero essere inviate ai Parlamenti nazionali?
· La trattazione di tali relazioni speciali nei Parlamenti nazionali dovrebbe essere meglio strutturata?
· Per agevolare la trattazione delle relazioni speciali sarebbe utile una pianificazione annuale da parte della Corte dei conti?
· Per rafforzare la cooperazione tra Parlamenti nazionali e Corte dei conti europea potrebbe essere utile istituire una figura di collegamento presso gli stessi Parlamenti nazionali?
Ai sensi dell’articolo 285 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) il controllo dei conti dell'Unione è assicurato dalla Corte dei conti europea.
La Corte dei conti è composta da un membro per ciascuno Stato membro. I suoi membri esercitano le loro funzioni in piena indipendenza, nell'interesse generale dell'Unione. I membri della Corte sono nominati per un periodo di sei anni, dal Consiglio dell’UE, previa consultazione del Parlamento europeo, e sulla base di proposte presentate da ciascuno Stato membro. I membri designano tra loro, per tre anni, il presidente della Corte dei conti.
Presidente della Corte è Vítor Manuel da Silva Caldeira (Portogallo), il membro italiano è Pietro Russo.
Come stabilito dell’articolo 287 del TFUE, la Corte dei conti esamina i conti di tutte le entrate e le spese dell'Unione e presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una dichiarazione in cui attesta l'affidabilità dei conti e la legittimità e la regolarità delle relative operazioni.
Dopo la chiusura di ciascun esercizio, la Corte dei conti pubblica una relazione annuale, che è trasmessa alle altre istituzioni dell'Unione e costituisce la base della procedura di discarico, tramite la quale il Parlamento europeo stabilisce se la Commissione europea abbia assolto in modo soddisfacente le proprie funzioni in materia di esecuzione del bilancio.
In base all’art. 7 del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali allegato al TFUE, la Corte dei conti trasmette a titolo informativo la relazione annuale ai Parlamenti nazionali nello stesso momento in cui la trasmette al Parlamento europeo e al Consiglio.
Il controllo della Corte dei conti europea ha luogo tanto sui documenti quanto, in caso di necessità, sul posto, presso le altre istituzioni dell'Unione, nei locali di qualsiasi organo o organismo che gestisca le entrate o le spese per conto dell'Unione. Il controllo negli Stati membri si effettua in collaborazione con le istituzioni nazionali di controllo.
La Corte dei conti può inoltre presentare in ogni momento le sue osservazioni su problemi particolari sotto forma, tra l'altro, di relazioni speciali e dare pareri su richiesta di una delle altre istituzioni dell'Unione.
La Corte dei conti europea ha
presentato, il 10 novembre 2015, la relazione annuale relativa
all’esercizio di bilancio per il 2014, che costituisce il documento di
avvio della procedura di discarico.
Nella relazione, in via generale, la Corte dei conti formula un giudizio positivo sull’affidabilità dei conti dell’Unione europea relativi all’esercizio 2014. In particolare, rileva che:
· i pagamenti relativi
al 2014 sono inficiati da un livello di errore rilevante. La Corte
formula pertanto un giudizio negativo sulla legittimità e regolarità
degli stessi. In particolare, il livello di errore stimato, ammonta per
i pagamenti 2014 al 4,4%, non discostandosi molto da quello relativo al
2013 (4,5%) e rimanendo ancora una volta al di sopra della soglia di
rilevanza del 2%;
· i più alti livelli di errore sono stati riscontrati per la spesa a titolo della rubrica «Coesione economica, sociale e territoriale» (5,7%) e della rubrica «Competitività per la crescita e l’occupazione» (5,6%). La spesa amministrativa ha registrato il più basso livello di errore stimato (0,5%). Come risulta dal grafico seguente, nel confronto con il 2013, gli aumenti del livello di errore stimato per le rubriche «Competitività per la crescita e l’occupazione», «Coesione economica, sociale e territoriale» e «Ruolo mondiale dell’Europa» sono stati compensati da significative diminuzioni per le rubriche «Risorse naturali» e «Amministrazione»:
· se la Commissione europea, le autorità degli Stati membri o i revisori indipendenti avessero fatto uso di tutte le informazioni a loro disposizione, avrebbero potuto prevenire, o rilevare e correggere, una parte significativa degli errori;
La relazione non formula indicazioni specifiche per singoli Stati membri.
Tra le relazioni speciali più recenti si segnala quella relativa alla lotta contro le frodi IVA, pubblicata il 3 marzo 2016.
Nella relazione si rileva che:
· l’attuale sistema dell’UE per combattere le frodi concernenti l’IVA intracomunitaria non è abbastanza efficace e risente della mancanza di dati e indicatori comparabili;
· spesso le frodi nel campo dell’IVA sono connesse alla criminalità organizzata. Secondo Europol, ogni anno 40-60 miliardi di euro di mancato gettito IVA per gli Stati membri sono imputabili a gruppi criminali organizzati. Poiché le esportazioni di beni e servizi da uno Stato membro dell’UE ad un altro sono esenti da IVA, i criminali possono fraudolentemente evadere le tasse in entrambi i Paesi. Ne consegue una perdita di entrate per i Paesi interessati ma anche per l’UE.
L’attività di audit si è concentrata in cinque Stati membri: Germania, Italia, Ungheria, Lettonia e Regno Unito. In via generale, la Corte ha rilevato che:
· nella maggior parte degli Stati membri visitati mancano controlli incrociati efficaci fra dati doganali e fiscali;
· le autorità fiscali degli Stati membri condividono le informazioni sull’IVA ma vi sono problemi per quanto riguarda la loro esattezza, completezza e tempestività;
· vi è scarsa collaborazione e vi sono sovrapposizioni di competenze fra autorità amministrative, giudiziarie e preposte all’applicazione della legge;
· ad eccezione dell’Italia, i sistemi di sdoganamento elettronico degli Stati membri visitati non prevedevano alcuna verifica automatica dei numeri di identificazione IVA;
· né Europol né l’OLAF (l’Ufficio europeo per la lotta antifrode) possono accedere ai dati attraverso le reti antifrode degli Stati membri o beneficiare dello scambio di informazioni sull’IVA.
I dati UNHCR
Secondo l’UNHCR, dal 1° gennaio al 7 giugno 2016, hanno attraversato il
Mediterraneo verso l’Unione europea circa 206 mila persone: oltre 156
mila migranti sarebbero arrivati via mare in Grecia, mentre
sarebbero sbarcati in Italia oltre 48 mila persone.
L’UNHCR ha anche diffuso il dato dei morti/dispersi nel Mediterraneo
dall’inizio dell’anno, che si attesterebbe a circa 2.814 persone.
Di seguito una tabella degli arrivi in Europa via mare nel 2016 comparati con il dato del 2015:
Attraversamenti irregolari: i dati FRONTEX
Nel 2015 in Unione europea sarebbero arrivati oltre un
milione di migranti. Durante lo scorso anno In Italia sarebbero
arrivati circa 158 mila persone, circa 860 mila in Grecia.
L’Agenzia Frontex ha evidenziato che gli Stati membri dell’UE hanno registrato nel 2015 un livello record di attraversamenti irregolari, pari a circa 1,82 milioni.
Con riferimento ad aprile 2016, Frontex ha altresì rilevato che il numero di migranti nelle isole greche è diminuito del 90 per cento rispetto al mese precedente. Secondo Frontex ciò è stato determinato sia dall’attuazione dell’accordo UE Turchia (vedi infra) sia dalla chiusura della frontiera tra l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia e la Grecia.
Secondo l’UNHCR, nel mese di maggio la rotta del Mediterraneo centrale ha registrato circa 19 mila migranti, più del doppio rispetto al mese precedente.
Domande di asilo
Secondo l’EASO- Ufficio europeo per il sostegno all’asilo, nell’aprile 2016,
gli Stati membri hanno registrato 104 mila domande di asilo, con un
incremento del 4 per cento rispetto al dato di marzo 2016, e del 62
per cento rispetto ad aprile 2015. Dall’inizio del 2016 le domande di asilo
presentate nell’UE sarebbero 412 mila.
Nel 2015 gli Stati membri dell’Unione europea hanno concesso protezione a più di 330.000 richiedenti asilo, con un incremento del 72 per cento rispetto all’anno precedente.
Per quanto riguarda i Paesi di accoglienza, l’Ufficio statistico europeo fa notare che nel 2015 la metà di tutte le richieste è stata accolta in Germania. In tale anno infatti, Berlino ha riconosciuto lo status di richiedente asilo a 148.200 persone. A seguire Svezia (34.500), Italia (29.600), Francia (26.000), Regno Unito (17.900), Austria (17.800) e Paesi Bassi (17.000).
Il 15 marzo 2016 il Consiglio ha adottato un regolamento che istituisce un meccanismo di sostegno di emergenza dell'UE per aiutare la Grecia e altri Stati membri sopraffatti dall'arrivo di un elevato numero di rifugiati.
L'assistenza si traduce nella fornitura di cibo, alloggio, acqua, medicinali e altri beni di prima necessità. Tale assistenza è prestata dalla Commissione o dalle organizzazioni partner selezionate dalla Commissione in stretta collaborazione con le autorità greche[11].
Secondo la stima della Commissione saranno necessari 300 milioni di euro per fornire un sostegno di emergenza ai rifugiati nel 2016 e altri 200 milioni di euro all'anno nel 2017 e nel 2018.
A partire dal maggio 2015 fino ad oggi le Istituzioni europee, ed in particolare la Commissione, hanno prodotto vari tentativi di stabilire un sistema più equo e solidale di gestione degli ingenti flussi di richiedenti asilo registrati negli ultimi anni.
Il dibattito si è concentrato, in particolare, sulle possibili opzioni volte contemperare le norme UE sulla competenza a trattare le domande di asilo (cosiddetto sistema di Dublino) al fine di alleggerire il peso delle domande che sta gravando in maniera sproporzionata sugli Stati membri più esposti alle rotte dei migranti. La discussione ha riguardato soprattutto il cosiddetto principio dello Stato di primo approdo, che (laddove non sussistano criteri considerati prioritari, come quelli relativi alla presenza di legami familiari sul territorio dell’UE) assegna la competenza per la domanda di asilo allo Stato membro in cui il migrante entra per la prima volta.
La Commissione ha dunque riproposto a più riprese dei correttivi a tale sistema, in sostanza volti a redistribuire i richiedenti asilo tra tutti gli Stati membri in base a quote e criteri prestabiliti, di fatto derogando al principio suddetto.
Ricollocazione
Dando seguito alle proposte della Commissione, nel settembre 2015, il
Consiglio ha adottato due meccanismi temporanei di ricollocazione (relocation)
per complessivi 160 mila richiedenti asilo in evidente stato di bisogno
di protezione.
I programmi di ricollocazione prevedono che una parte dei richiedenti asilo che abbiano presentato domanda in Italia, Grecia (o in eventuali altri Stati membri successivamente considerati in stato di emergenza- rifugiati) siano presi in carico da altri Stati membri secondo chiavi di distribuzione predefiniti, che tengono conto di parametri come il PIL, la popolazione, il tasso di disoccupazione, e media delle domande di asilo presentate spontaneamente e numero di rifugiati reinsediati per milione di abitanti nel periodo 2010-2014.
Si ricorda inoltre che nel luglio 2015 il Consiglio aveva già adottato una raccomandazione volta al reinsediamento di ulteriori 22 mila richiedenti asilo.
Reinsediamento
Il programma di reinsediamento prevede il trasferimento in Stati
membri di richiedenti asilo individuati in Stati terzi (in particolare in campi
profughi) .
Sulla scorta di tali provvedimenti, la Commissione, il 9 settembre 2015, presentava una proposta di regolamento recante un meccanismo di ricollocazione di crisi per tutti gli Stati membri e che modifica il regolamento Dublino.
In sostanza la proposta della Commissione consisteva nello stabilizzare il sistema di relocation contenuto nei due precedenti provvedimenti a carattere temporaneo, prevedendo, per l’avvenire ed ogniqualvolta uno Stato membro si trovasse in situazioni di emergenza dovute al flussi sproporzionato di domande di asilo, la redistribuzione per quote dei richiedenti protezione tra tutti gli Stati membri.
Nonostante gli sforzi della Commissione europea il grado di attuazione dei provvedimenti in materia di ricollocazione è tuttora fortemente deficitario.
La resistenza di alcuni Paesi
Infatti, secondo la terza relazione sulla ricollocazione e il
reinsediamento, pubblicata dalla Commissione europea il 18 maggio 2016,
dall’Italia sono stati effettivamente ricollocati in altri Stati membri 591
persone, a fronte di circa 1.650 posti messi a disposizione dagli altri
Stati membri, e di un impegno accettato in sede di Consiglio (perciò
vincolante) di circa 35 mila richiedenti asilo.
Significativo il fatto che alcuni Paesi (tra gli altri, Ungheria e Slovacchia), nonostante gli impegni, presi non abbiano ancora messo a disposizione alcun posto per la relocation.
Lo Commissione, alla stessa data, ha registrato un simile trend per quanto riguarda la ricollocazione dei richiedenti asilo dalla Grecia. Da tale Stato membro sono state effettivamente ricollocate 909 persone, a fronte di circa 4 mila posti messi a disposizione dagli altri Stati membri e di un impegno che li vincolerebbe alla relocation di 63 mila richiedenti asilo.
La Commissione ha altresì diffuso i dati relativi all’attuazione del programma di resettlement. In particolare, secondo le informazioni ricevute dagli Stati che partecipano al programma, fino alla metà di maggio 2016 sarebbero stati reinsediati 6.321 richiedenti asilo nei seguenti Stati membri: Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Islanda, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lituania, Olanda, Norvegia, Svizzera, e Regno Unito. I rifugiati reinsediati sono in linea di massima cittadini siriani prelevati nei campi profughi in Giordania, Libano e Turchia.
Quanto alla citata proposta di meccanismo di ricollocazione permanente presentata nel settembre 2015, essa ha conseguito scarsi progressi nel processo di adozione, soprattutto per l’aperta ostilità manifestata da alcuni Stati membri rispetto al sistema di quote obbligatorie di presa in carico dei richiedenti asilo.
Dando seguito ad una comunicazione del 6 aprile 2016, nella quale si indicavano, tra l’altro, le linee guida per una riforma complessiva del sistema europeo di asilo, il 4 maggio 2016 la Commissione europea ha presentato una proposta di riforma complessiva (rifusione) del regolamento Dublino.
Meccanismo di equità
La nuova proposta, in sintesi, prevede nuovamente un sistema di
redistribuzione solidale dei richiedenti asilo tra tutti gli Stati membri, pur
non mettendo in discussione il principio dello Stato di primo approdo.
Il fulcro della proposta è rappresentato dal meccanismo di assegnazione correttivo (il meccanismo di equità). Il nuovo sistema stabilisce automaticamente quando un Paese sta trattando un numero sproporzionato di richieste di asilo. A tal fine sono fissate delle quote di riferimento che hanno come parametri le dimensioni e la ricchezza di uno Stato membro (in termini di PIL complessivo e non anche di PIL procapite); se tale Paese sta accogliendo un numero sproporzionato di persone, ben superiore alla quota di riferimento (oltre il 150% della quota di riferimento), tutti i nuovi richiedenti asilo nel paese in questione (indipendentemente dalla nazionalità), dopo una verifica dell’ammissibilità della domanda presentata, devono essere ricollocati in tutta l’UE finché il numero di domande non sarà ridisceso al di sotto di quel livello.
Contributo di solidarietà
Uno Stato membro avrà inoltre la possibilità di non partecipare
temporaneamente al ricollocamento, ma, in tal caso, dovrà versare un contributo
di solidarietà di 250.000 euro allo Stato membro in cui è ricollocato
il richiedente (ovvero lo Stato membro in cui è approdato e che
lo ospita), del quale sarebbe stato responsabile ai sensi del meccanismo
di equità; il meccanismo tiene conto degli sforzi compiuti da uno Stato
membro per reinsediare persone bisognose di protezione internazionale
direttamente da un paese terzo.
La nuova disciplina prevede termini brevi per le procedure di trasferimento, meccanismi che disincentivano i movimenti secondari, e maggiore protezione degli interessi dei minori non accompagnati.
La proposta fa parte di un pacchetto che prevede altresì il rafforzamento dell’EASO- Ufficio europeo per l’asilo (che verrebbe trasformato in una vera e propria Agenzia dell’Unione europea) e del sistema EURODAC in modo tale da aumentare il numero e il tipo di informazioni fruibili tramite tale sistema informatico.
Si segnala che, secondo fonti informali, alcuni Stati membri (Repubblica ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia) avrebbero aspramente criticato il meccanismo correttivo di equità descritto.
Insieme alle linee guida per una riforma complessiva del Sistema europeo comune di asilo, poi effettivamente presentata nel maggio 2016 (vedi supra), la Commissione europea ha preannunciato una serie di iniziative riguardanti le rotte della migrazione legale verso l’Europa e le politiche di integrazione.
Si tratta in particolare di:
· un sistema strutturato di reinsediamento: sulla base delle iniziative esistenti, la Commissione intende presentare una proposta allo scopo di definire la politica di reinsediamento dell’Unione europea. Si tratta in particolare di un meccanismo orizzontale con norme comuni dell’UE per l’accesso e la distribuzione dei rifugiati, lo status da accordare alle persone reinsediate, il sostegno finanziario e le misure volte a scoraggiare i movimenti secondari;
· una riforma della direttiva sulla carta blu UE, recante, tra l'altro, condizioni di ammissione più flessibili, il miglioramento delle procedure di ammissione e maggiori diritti per i cittadini di paesi terzi altamente qualificati;
La direttiva 2009/50/CE (anche detta direttiva Carta blu) stabilisce le condizioni e le procedure di ammissione dei cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati. Secondo la disciplina laddove sussistano determinate condizioni (tra l’altro, un contratto/offerta di lavoro vincolante che preveda la remunerazione oltre una certa soglia; il rispetto dei requisiti nazionali per le professioni regolamentate/l’attestazione di qualifica professionale superiore per quelle non regolamentate; l’assicurazione sanitaria completa; nessuna minaccia alla pubblica sicurezza), i lavoratori cittadini di paesi terzi cosiddetti altamente qualificati hanno diritto a procedure semplificate di ammissione, mobilità intra - UE facilitata, uguaglianza di trattamento. Ritenendo la direttiva sostanzialmente sottoutilizzata (solo il 31 per cento dei migranti con un livello di istruzione elevato che giunge in un paese OCSE sceglierebbe l'UE come destinazione), il 7 giugno 2016 la Commissione europea ha presentato una proposta volta riformarla. In sintesi, la nuova proposta: introduce un unico sistema a livello dell'Unione, che sostituisce i regimi nazionali paralleli per il lavoro altamente qualificato; incrementa la mobilità all’interno dell’Unione europea semplificando le procedure e permettendo inoltre viaggi di lavoro più brevi (fino a 90 giorni) negli Stati membri in cui è in uso la Carta blu; abbassa la soglia salariale, , e prevede condizioni più adatte per i neo-laureati di paesi terzi e i lavoratori di settori con scarsità di manodopera; prevede misure per il rilascio della Carta blu anche ai beneficiari di protezione internazionale altamente qualificati; rafforza i diritti dei titolari della Carta blu (consentendo loro una via d'accesso più rapida allo status di soggiornante di lungo periodo e un accesso immediato e più flessibile al mercato del lavoro) e dei loro familiari.
· misure per attrarre e sostenere gli imprenditori innovativi capaci di stimolare la crescita economica e di contribuire alla creazione di posti di lavoro;
· una valutazione dell'adeguatezza (REFIT) delle attuali norme sulla migrazione legale al fine di razionalizzare e semplificare la normativa in vigore relativa a permessi di soggiorno, lavoro e studio nell'UE applicabile a diverse categorie di cittadini di paesi terzi;
· conseguire una stretta cooperazione con i paesi terzi come parte dei dialoghi politici esistenti al fine di garantire una gestione più efficace dei flussi migratori;
· un piano d’azione dell’UE sull'integrazione;
Il piano di azione per sostenere gli Stati membri nell’integrazione dei cittadini di paesi terzi e nella valorizzazione del contributo economico e sociale all’UE è stato presentato dalla Commissione europea il 7 giugno 2016. Le azioni proposte riguardano aree cruciali, quali: le misure d'integrazione che precedono la partenza e l’arrivo, in particolare per le persone reinsediate con evidente bisogno di protezione internazionale; l’istruzione, l’occupazione e la formazione professionale; l'accesso ai servizi di base; la partecipazione attiva e l’inclusione sociale; un approccio più strategico e coordinato all’uso dei fondi UE a sostegno di misure d'integrazione nazionali; strumenti volti a migliorare le competenze dei migranti e a riconoscere e mettere a profitto le qualifiche di cui sono già in possesso.
La procedura ex articolo 29 del Codice frontiere
Schengen
Il numero senza precedenti di migranti giunti nell’Unione europea dal
2015 e le carenze riscontrate dalle Istituzioni europee in alcuni tratti
delle frontiere esterne greche (vedi infra nel paragrafo), con il
conseguente rischio di movimenti secondari dei migranti entrati in
Europa, hanno indotto vari Stati membri a reintrodurre temporaneamente
controlli di frontiera su tutte le loro frontiere interne o parte di
esse.
A seguito della richiesta rivolta da Germania, Francia, Austria, Belgio, Danimarca e Svezia di attivare la procedura straordinaria ex articolo 26[12] del Codice frontiere Schengen al fine di consentire il prolungamento dei controlli alle frontiere interne nell'area Schengen per altri sei mesi, il 4 maggio 2016, la Commissione europea ha presentato una proposta di decisione del Consiglio recante raccomandazioni per un controllo temporaneo alla frontiera interna in circostanze eccezionali in cui è a rischio il funzionamento globale dello spazio Schengen.
In sintesi, la proposta di raccomandazione dà seguito al processo di monitoraggio UE cui la Grecia è stata sottoposta a partire dal novembre 2015, in esito al quale sono state riscontrate gravi lacune nel rispetto delle norme Schengen per i profili attinenti alla gestione delle frontiere esterne; la Grecia in sostanza non avrebbe colmato nel termine fissato di tre mesi le gravi lacune nella gestione delle frontiere, per cui le Istituzioni europee ritengono che vi sia il rischio di compromettere il funzionamento globale dello spazio senza controllo delle frontiere interne, con particolare riferimento al rischio, tuttora attuale, di movimenti secondari di migranti irregolari.
Secondo la raccomandazione, l’Austria, la Germania, la Danimarca, la Svezia e la Norvegia dovrebbero mantenere controlli di frontiera temporanei proporzionati per un periodo massimo di sei mesi (a decorrere dalla data di approvazione della decisione), alle seguenti frontiere interne:
· l’Austria alla frontiera terrestre tra Austria e Ungheria e alla frontiera terrestre tra Austria e Slovenia;
· la Germania alla frontiera terrestre tra Germania e Austria;
· la Danimarca nei porti danesi da cui partono i collegamenti effettuati con traghetti con la Germania e alla frontiera terrestre tra Danimarca e Germania;
· la Svezia nei porti svedesi nella regione meridionale e occidentale di polizia e al ponte di Öresund;
· la Norvegia nei porti norvegesi da cui partono i collegamenti effettuati con traghetti con la Danimarca, la Germania e la Svezia.
I controlli di frontiera dovrebbero essere mirati e limitati in termini di portata, frequenza, ubicazione e tempo, a quanto strettamente necessario per rispondere a gravi minacce e per proteggere l’ordine pubblico e la sicurezza interna. Lo Stato membro che svolge controlli alla frontiera interna dovrebbe riesaminare periodicamente la necessità, la frequenza, l’ubicazione e il tempo dei controlli, adeguare i controlli al livello della minaccia affrontata, eliminarli gradualmente quando è appropriato e riferire alla Commissione ogni due mesi.
Il 15 dicembre 2015 la
Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento relativa alla guardia
costiera e di frontiera europea e che abroga il regolamento (CE) n. 2007/2004,
il regolamento (CE) n. 863/2007 e la decisione 2005/267/CE del Consiglio;
Gli elementi chiave della proposta sono:
· una squadra di riserva rapida di almeno 1500 esperti e un parco di attrezzature tecniche messo a disposizione dagli Stati membri cui l’Agenzia dovrebbe poter attingere autonomamente;
· l’istituzione di un centro di monitoraggio e analisi dei rischi abilitato a svolgere valutazioni di vulnerabilità che individuino le carenze nella gestione delle frontiere esterne da parte degli Stati membri;
· in caso di persistenza delle carenze o di ritardo o inadeguatezza dell'azione nazionale, e in ogni caso di forte pressione migratoria che rappresenti una minaccia per lo spazio Schengen, la facoltà di intervento diretto della Commissione europea e della nuova Agenzia, attraverso misure cui lo Stato membro interessato è obbligato a conformarsi;
· il rafforzamento del mandato dell’Agenzia per quanto riguarda le attività di rimpatrio.
Su tale proposta il Consiglio ha già raggiunto un orientamento comune che costituirà la base per il negoziato con il Parlamento europeo nell’ambito della procedura legislativa ordinaria (già procedura di codecisione).
La proposta è stata esaminata della I Commissione (Affari costituzionali) che, nella seduta del 19 maggio 2015, ha approvato un documento conclusivo.
Il 6 aprile 2016, la Commissione europea ha presentato una proposta riveduta di regolamento relativo all’istituzione di un sistema di ingressi/uscite (EES) per accelerare, facilitare, e rafforzare le procedure di controllo di frontiera per i cittadini di paesi terzi diretti nell’UE.
Il nuovo sistema si applica a tutti i cittadini di paesi terzi ammessi per un soggiorno di breve durata nello spazio Schengen (non superiore a 90 giorni nell’arco di 180).
Il sistema registra i nomi, il tipo di documento di viaggio, i dati biometrici, nonché la data e il luogo di ingresso e di uscita, consentendo in tal modo di individuare coloro che sono rimasti nell’UE dopo la scadenza del periodo autorizzato e di identificare le persone prive di documenti.
L’UNHCR ha stimato che nel 2015 circa 860 mila migranti partiti dalla Turchia sarebbero giunti via mare in Grecia. Il flusso senza precedenti nel 2015 sarebbe determinato dalla presenza in Turchia di circa 2,2 milioni di profughi provenienti dalla Siria. Al momento, secondo l’UNHCR i profughi siriani in Turchia sarebbero 2,7 milioni. La Commissione europea ha stimato che per la gestione dei profughi la Turchia ha impiegato finora risorse per circa sette miliardi di euro. Il trend dei migranti dalla Turchia alla Grecia del 2016 è tuttavia in forte diminuzione: circa 156 mila arrivi nei primi cinque mesi. Si ritiene che la rapida diminuzione del flusso sia, tra l’altro, la conseguenza della misure previste dai recenti accordi UE Turchia. In particolare, secondo la Commissione europea se nelle tre settimane precedenti l’applicazione della Dichiarazione UE-Turchia del 18 marzo 2016 (vedi infra) circa 27 mila persone erano entrate irregolarmente nelle isole greche, nelle tre settimane successive sarebbero stati constatatati solo circa 6 mila arrivi irregolari.
Piano d’azione del novembre 2015
Negli ultimi mesi si sono tenuti una serie di incontri tra UE e Turchia
in materia di migrazione, con particolare riguardo alla questione dei flussi
che dalle coste turche raggiungono l’UE tramite le isole greche,
spesso nel tentativo di proseguire lungo la rotta cosiddetta dei Balcani
occidentali.
In esito a tali negoziati sono stati raggiunti, a più riprese, i seguenti accordi.
In particolare, il 29 novembre 2015, in occasione del vertice UE-Turchia, l'Unione europea e la Turchia hanno dato l'avvio a un Piano d'azione comune con l'obiettivo di migliorare la cooperazione per il sostegno ai rifugiati siriani beneficiari di protezione temporanea e alle comunità che li ospitano in Turchia, e per impedire i flussi migratori irregolari verso l'UE.
Tra i punti principali del Piano: la predisposizione da parte dell’UE di un Fondo per la Turchia a favore dei rifugiati corrispondente a tre miliardi di aiuti; l’intensificazione della cooperazione sui migranti che non necessitano di protezione internazionale, al fine di impedire i viaggi verso la Turchia e l’UE, e di garantire l’applicazione delle disposizioni bilaterali vigenti in materia di riammissione; l’attuazione del rimpatrio rapido nei rispettivi Paesi di origine; l’applicazione a partire dal giugno 2016 dell’accordo di riammissione UE-Turchia.
La Dichiarazione del 18 marzo 2016
Il vertice è stato seguito da altre due riunioni, il 7 e 18
marzo 2016, in esito alle quali sono state adottate Dichiarazioni finali
recanti, tra l’altro, l’impegno ad attuare il piano d’azione comune attivato il
29 novembre.
In particolare, l’attuazione del Piano è stata messa a punto con la Dichiarazione UE - Turchia del 18 marzo 2016. In tale occasione i leader dell'UE e della Turchia hanno raggiunto un accordo sui seguenti punti:
a) il rinvio in Turchia di tutti i nuovi migranti irregolari e i richiedenti asilo le cui domande sono state dichiarate inammissibili e che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche, a decorrere dal 20 marzo 2016, nel pieno rispetto del diritto dell'UE e internazionale;
b) l’impegno UE a reinsediare un cittadino siriano dalla Turchia per ogni siriano rinviato in Turchia dalle isole greche, accordando priorità ai migranti che non sono entrati o non abbiano tentato di entrare nell’UE in modo irregolare (cosiddetto programma 1:1);
c) la Turchia adotterà qualsiasi misura necessaria per impedire l'apertura di nuove rotte terrestri o marittime per la migrazione illegale;
d) una volta terminati gli attraversamenti irregolari, verrà attivato un programma volontario di ammissione umanitaria;
e) l'UE accelererà ulteriormente l'erogazione dei 3 miliardi di euro assegnati in base a precedenti accordi e mobiliterà altri 3 miliardi di euro una volta che queste risorse saranno state utilizzate e a condizione che gli impegni siano soddisfatti;
f) l'UE e la Turchia si adopereranno per migliorare la situazione umanitaria in Siria.
Nell’ambito di tale Dichiarazione, infine, i leader dell'UE e la Turchia hanno convenuto di accelerare l'adempimento della tabella di marcia sulla liberalizzazione dei visti, nonché di rilanciare il processo di adesione della Turchia all’UE .
Il 20 aprile 2016 la Commissione europea ha presentato la prima relazione sui progressi compiuti nell’attuazione della dichiarazione UE Turchia in cui si fa il punto sulla realizzazione degli impegni presi dalle due parti
Secondo la relazione il rinvio dei migranti irregolari è iniziato il 4 aprile 2016 e ha riguardato 325 persone arrivate irregolarmente in Grecia e che non avevano chiesto asilo dopo il 20 marzo.
Il rinvio degli irregolari e dei non aventi diritto
alla protezione internazionale
La relazione segnala inoltre che Grecia e Turchia hanno adottato una
serie di modifiche giuridiche volte a facilitare i rinvii dei migranti in
Turchia. In particolare, il 6 aprile, la Turchia ha adottato una legge
che specifica che i cittadini siriani rinviati in base alle nuove
disposizioni possono chiedere e ricevere protezione temporanea.
Allo stato il rinvio avviene ai sensi dell’accordo bilaterale di riammissione esistente tra Grecia e Turchia, al quale dal 1° giugno 2016 subentrerà l’accordo di riammissione UE Turchia, che sarà applicabile non appena il Parlamento turco lo avrà approvato.
Si ricorda infine che è stato concordato che il bilancio UE finanzi i costi delle operazioni di rinvio. A tal proposito è prevista l’erogazione di 280 milioni di euro nel corso di sei mesi.
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Secondo la relazione 103 cittadini siriani sono stati reinsediati dalla Turchia in Germania, Finlandia, Paesi Bassi e Svezia.
Il reinsediamento secondo il programma 1:1 avverrà in primo luogo sfruttando i posti residui (circa 15 mila) previsti nel programma di reinsediamento approvato nel luglio del 2015 (per un totale di 22 mila profughi che si trovano principalmente nei campi di Libano, Giordania e Turchia).
La Commissione ha proposto inoltre che i 54 mila posti inizialmente destinati al secondo programma di ricollocazione di richiedenti asilo tra gli Stati membri siano messi a disposizione per l'ammissione legale di cittadini siriani dalla Turchia nell'UE tramite reinsediamento, ammissione umanitaria o altri percorsi legali, quali visti umanitari, borse di studio, programmi di ricongiungimento familiare e simili. Il risultato sarebbe un numero massimo complessivo di reinsediamenti pari a circa 70 mila.
Lo strumento per i rifugiati in Turchia di tre
miliardi
Il Piano d’azione prevedeva inizialmente aiuti aggiuntivi[13] per la
crisi dei rifugiati in Turchia pari a tre miliardi di euro.
Successivamente, si è precisata la distribuzione degli oneri, ponendo un
miliardo di euro a carico del bilancio dell’Unione europea, e due
miliardi a carico dei bilanci degli Stati membri. i tre miliardi di
aiuti coprono il biennio 2016-2017.
In particolare, il 3 febbraio 2016, il Comitato dei rappresentanti permanenti in seno al Consiglio dell’Unione europea ha raggiunto l’accordo per ripartire lo stanziamento in 1 miliardo a carico del bilancio dell’UE (il doppio rispetto ai 500 milioni inizialmente proposti dalla Commissione europea) e 2 miliardi a carico dei bilanci nazionali[14]. Lo stanziamento a carico di bilanci nazionali è ripartito in proporzione al rispettivo Reddito nazionale lordo (RNL). La quota italiana, l’11,25 per cento, corrisponde a circa 225 milioni di euro.
La ripartizione generale dei contributi degli Stati membri è
riportata nella tabella e nel grafico seguenti:
Si segnala che, secondo quanto riportato dalla Commissione europea, 25 Stati membri avrebbero inviato certificati di contribuzione per una somma di 1,86 miliardi di euro (gli ultimi tre Stati stanno concludendo il processo di finalizzazione per i contributi rimanenti).
L’istituzione dello Strumento per i rifugiati in Turchia di tre miliardi prevede anche un sistema di governance volto a garantire il coordinamento nell’erogazione degli aiuti. A tal fine è istituito un Comitato direttivo dello Strumento con il compito di fornire orientamenti strategici e decidere quali azioni finanziare, con quali importi e con quali strumenti finanziari.
Il Comitato direttivo è composto da rappresentanti degli Stati membri e della Turchia, questi ultimi con funzioni consultive.
Per quanto riguarda l’attuazione dello Strumento, la Commissione europea ha recentemente comunicato che fino ad oggi sono stati stipulati contratti per circa 240 milioni di euro, erogati per varie finalità.
I primi contratti nell’ambito dello Strumento
In particolare, i primi contratti nell’ambito dello Strumento sono stati
firmati il 4 marzo 2016 (i primi pagamenti son iniziati a metà marzo); essi
prevedono:
· 40 milioni di euro in aiuti umanitari tramite il World Food Programme al fine di sostenere 735 mila rifugiati per un periodo di nove mesi;
· 37 milioni di euro inviati tramite l’UNICEF per consentire l’accesso all’istruzione ad altri 110 mila rifugiati minori, in aggiunta ai programmi UE esistenti che hanno sostenuto l’istruzione per 200 mila minori.
Il 19 aprile 2016, la Commissione ha annunciato una nuova tranche di aiuti tramite progetti approvati per un ammontare di 110 milioni di euro. Si tratta in particolare:
· 60 milioni per coprire le spese per cibo, sanità e alloggio, per i migranti rinviati dalla Grecia alla Turchia ;
· ulteriori 50 milioni in aiuti umanitari per affrontare i bisogni dei rifugiati in Turchia;
Infine, il 26 maggio, la Commissione europea ha annunciato nuovi progetti nell’ambito dello strumento per un ammontare di:
· 20 milioni di euro a supporto della Guardia costiera turca in particolare per quanto riguarda le operazioni di ricerca e salvataggio e l’attività di contrasto ai trafficanti di migranti;
· ulteriori 27 milioni di euro per facilitare l’accesso sia all’istruzione dei rifugiati minori, sia agli studi universitari per i giovani siriani.
Si ricorda, infine, che con la Dichiarazione UE Turchia del 18 marzo 2016 si è annunciato un aumento dei fondi UE a sostegno della Turchia per ulteriori tre miliardi di euro.
Il dialogo sulla liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi che intendono entrare nell’Unione europea, avviato nel dicembre 2013, ha registrato una forte accelerazione con i negoziati UE Turchia degli ultimi mesi.
In particolare, in occasione del vertice UE-Turchia del 18 marzo, quest’ultima si è impegnata ad accelerare ulteriormente il completamento della tabella di marcia per l’esenzione dei visti.
Il dialogo sulla liberalizzazione dei visti si basa su una tabella di marcia che prevede la soddisfazione di 72 requisiti raggruppati in cinque blocchi tematici: sicurezza dei documenti, gestione delle migrazioni, ordine pubblico e sicurezza, diritti fondamentali e riammissione dei migranti irregolari.
Nella dichiarazione congiunta rilasciata a seguito del vertice, i 28 capi di Stato e di Governo si sono impegnati a revocare l’obbligo del visto per i cittadini turchi al più tardi entro fine giugno 2016, ribadendo la necessità che siano soddisfatti tutti i 72 parametri della tabella di marcia.
La proposta di esenzione del visto per la Turchia
Da ultimo, il 4 maggio 2016, la Commissione europea ha dato
seguito a tale impegno presentando una proposta di revoca dell’obbligo del
visto per i cittadini turchi, a condizione che le autorità turche si allineino
alla tabella di marcia per un regime di esenzione dal visto.
In particolare viene richiesto alla Turchia di adeguarsi alla tabella per quanto riguarda la lotta contro la corruzione, la protezione dei dati, la collaborazione con le autorità giudiziarie di tutti gli Stati membri, una cooperazione rafforzata con EUROPOL e la revisione della legislazione e delle pratiche antiterrorismo.
La proposta segue la procedura legislativa ordinaria, richiedendo l’approvazione di Parlamento europeo e Consiglio UE.
A tal proposito si ricorda che durante la seduta del 12 maggio 2016 dell’Assemblea plenaria del Parlamento europeo molti eurodeputati hanno espresso serie preoccupazioni per la mancanza di progressi da parte della Turchia nel soddisfare le precondizioni necessarie per l'esenzione, per i cittadini turchi, dal visto d'ingresso nell'UE,
Inoltre, secondo quanto riportato dalla stampa nei giorni scorsi, il Presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, avrebbe annunciato l’intenzione della Turchia di non voler modificare la propria legge antiterrorismo, che costituisce uno dei 72 criteri concordati con la Commissione europea per ottenere il regime di esenzione dei visti.
La riforma del meccanismo di sospensione dell’esenzione
dai visti
Si segnala inoltre che insieme alla proposta di esenzione dei visto per
i cittadini Turchi (e in relazione ad analoghe misure per quanto riguarda
Georgia, Ucraina, e Kosovo), la Commissione europea ha presentato una proposta
di revisione del meccanismo di sospensione della liberalizzazione dei
visti. In particolare la riforma: rende più agevole il procedimento che porta
alla sospensione dell’esenzione che potrà essere chiesta dagli Stati
membri non più solo in “situazioni di emergenza”, ma, più in generale,
quando la “liberalizzazione dei visti comporta un serio aumento della migrazione
irregolare, delle domande di asilo infondate o degli esiti
negativi dati alle domande di riammissione”. Inoltre la riforma attribuisce
alla stessa Commissione europea la possibilità di attivare il meccanismo
di sospensione di propria iniziativa, se è in possesso di informazioni
concrete e affidabili in merito a una qualsiasi delle circostanze che gli Stati
membri possono notificare o al fatto che il paese terzo non sta cooperando
in materia di riammissione, in particolare qualora con tale paese terzo sia
stato concluso un accordo di riammissione a livello di UE.
Il rilancio del processo di adesione
Per quanto riguarda il processo di adesione della Turchia all’UE,
si segnala che nell’ambito della Dichiarazione del 18 marzo 2016 è stato
raggiunto l’accordo per l’apertura del capitolo 33 dei negoziati
di adesione (relativo alla disposizioni finanziarie e di bilancio).
La Turchia ha ottenuto lo status di paese candidato dal Consiglio europeo di Helsinki del dicembre 1999 ed ha avviato i negoziati di adesione con l’Unione europea il 3 ottobre 2005.
I negoziati di adesione si articolano in 35 capitoli divisi per politica. Allo stato attuale sono stati aperti negoziati su 15 capitoli di cui uno è stato concluso (scienza e ricerca – nel giugno 2006).
Sono aperti al momento i seguenti capitoli: impresa e politica industriale (marzo 2007); controllo finanziario; statistica (giugno 2007); reti transeuropee; salute e protezione dei consumatori (dicembre 2007); diritto delle imprese; proprietà intellettuale (giugno 2008); libera circolazione dei capitali; società dell'informazione (dicembre 2008); fiscalità (30 giugno 2009); ambiente (21 dicembre 2009); sicurezza alimentare (30 giugno 2010); politica regionale ( 25 giugno 2013). Il quindicesimo capitolo (Politica economica e monetaria) è stato aperto il 14 dicembre 2015, a seguito dell’impegno a rivitalizzare il processo di adesione del paese, assunto il 25 novembre 2015, in occasione di una riunione straordinaria dei Capi di Stato e di Governo degli Stati membri dell’UE con una delegazione del governo turco guidata dal Primo ministro Davutoglu.
Da parte sua, la Commissione europea ha manifestato l’intenzione di rilanciare la discussione sull’apertura dei capitoli 23 e 24 dei negoziati di adesione (relativi rispettivamente a sistema giudiziario e diritti fondamentali e giustizia, libertà e sicurezza), che potrebbero fornire alla Turchia una guida alle riforme da realizzare in tali ambiti.
Si ricorda che – in conseguenza della mancata applicazione del Protocollo di Ankara nei confronti della Repubblica di Cipro da parte della Turchia - sono sospesi 8 capitoli negoziali: libera circolazione delle merci, diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi, servizi finanziari, agricoltura e sviluppo rurale, pesca, politica dei trasporti, unione doganale e relazione esterne.
Lettera del presidente del Consiglio italiano
Il 16 aprile il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha
inviato al Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e al Presidente della
Commissione europea, Jean-Claude Juncker, un documento intitolato ”Migration
compact: contributo a una strategia UE per l’azione sterna sulla migrazione”.
Il documento è accompagnato da una lettera nella quale il Presidente del Consiglio sottolinea che l’Italia appoggia con convinzione la proposte della Commissione europea di istituire una Guardia di frontiera e costiera europea e le comunicazione sulla riforma del Sistema di Dublino, che, tuttavia, potranno dare risultati concreti solo se la gestione dei flussi migratori passerà dalla fase dell’emergenza a quella di una più ordinata e strategica gestione. Pertanto, ad avviso del Governo italiano la gestione dei flussi di migranti non è più sostenibile senza una cooperazione mirata e rafforzata con i Paesi terzi di provenienza e di transito.
In particolare, si ritiene essenziale finanziare e gestire a livello europeo:
· un piano straordinario di rimpatri;
· supporto legale, logistico, finanziario e infrastrutturale per la gestione dei flussi nei Paesi partner anche attraverso uno screening accurato in loco tra rifugiati e migranti economici.
Più specificamente, nel documento del Governo si sottolinea la necessità di sviluppare con ciascun Paese partner un tipo di cooperazione basato su determinati requisiti (per esempio: dinamiche economiche e sociali; livelli di sicurezza; problemi legati al cambiamento climatico, ecc.). Sulla base di questi presupposti, l’UE potrebbe offrire:
· progetti di investimento ad alto impatto sociale e infrastrutturale, da identificare insieme con il Paese partner, facendo confluire le risorse degli attuali strumenti finanziari dell'azione esterna (Fondo europeo di sviluppo, Strumento di cooperazione allo sviluppo e Strumento europeo di vicinato) in un nuovo Fondo europeo per gli investimenti nei Paesi terzi;
· emissione di “obbligazioni UE-Africa", al fine di agevolare l'accesso dei Paesi africani ai mercati dei capitali; allo stesso tempo, si potrebbero introdurre misure per agevolare le rimesse degli immigrati e il loro reinvestimento, in sinergia con la Banca europea per gli investimenti e altre organizzazioni finanziarie europee e internazionali;
· integrazione temi connessi al fenomeno migratorio (gestione/controllo delle frontiere, dogane, giustizia penale, gestione dei rifugiati in linea con gli standard internazionali) nel mandato delle missioni attuali e future adottate nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune in Africa;
· opportunità di migrazione legale, offrendo quote di ingresso per i lavoratori, informazioni sulle opportunità di lavoro in Europa per i cittadini dei Paesi terzi, partecipazione ad Erasmus e ad altri programmi per la mobilità di studenti e ricercatori;
· programmi di reinsediamento come compensazione per l'onere sopportato da quei Paesi che si impegnano per l’introduzione di sistemi nazionali di asilo in linea con gli standard internazionali;
L’UE, da parte sua, potrebbe chiedere:
· impegno nel controllo delle frontiere e per la riduzione dei flussi verso l'Europa, nonché nelle attività di soccorso;
· cooperazione in materia di rimpatri /riammissioni, anche attraverso il distacco di funzionari incaricati di accelerare l'identificazione e il rilascio dei documenti di viaggio, nonché lo sviluppo di basi di dati biometrici e sistemi informatici per i registri civili;
· gestione della migrazione e dei flussi di profughi, garantendo un attento esame in loco per distinguere i rifugiati dai migranti economici, accompagnato da misure di reinsediamento in Europa per chi necessita di protezione internazionale e rimpatri per i migranti irregolari;
· istituzione di sistemi nazionali di asilo in linea con gli standard internazionali;
· rafforzare la lotta contro la tratta di esseri umani e il traffico di migranti anche attraverso azioni congiunte di polizia e cooperazione giudiziaria.
Nel documento del Governo si prospetta la possibilità che la nuova Guardia di frontiera europea sviluppi un piano per le operazioni di rimpatrio da finanziare con il bilancio dell'UE. Tutti gli strumenti a disposizione degli Stati membri e dell’UE in materia di politica estera e di sviluppo dovrebbero essere strategicamente combinati per mantenere una presenza costante nella Cintura sahariana con l'obiettivo di addestrare, equipaggiare ed assistere i Paesi della regione nelle attività di controllo delle frontiere, pattugliamento, contrasto all’immigrazione irregolare, al terrorismo, alla droga e alla criminalità organizzata.
Eurobond per le spese connesse alle politiche in
materia di migrazione
Sul piano del finanziamento, il Governo italiano propone di
istituire un nuovo “strumento finanziario per l’azione esterna in
materia di migrazione”, cui potrebbe aggiungersi l’emissione di bond comuni
europei per sostenere le politiche connesse alle migrazioni.
La parte finale del documento è dedicata alla situazione libica: a tale riguardo, il Governo italiano sottolinea la necessità di intensificare la nostra collaborazione con il governo libico, mirando, tra le altre cose, alla formazione della Guardia costiera nazionale, della polizia e del sistema giudiziario.
Il 7 giugno 2016 la Commissione europea, anche in risposta alle proposta italiana del cosiddetto migration compact, ha presentato una comunicazione sull’istituzione di un nuovo quadro di partenariato con i Paesi terzi nell’ambito dell’Agenda europea sulla migrazione.
Secondo la Commissione i partenariati rinnovati con i paesi terzi devono assumere la forma di "patti" su misura, sviluppati in funzione della situazione e delle necessità di ciascun paese partner, a seconda che si tratti di un paese di origine, di un paese di transito o di un paese che accoglie un gran numero di sfollati. Tale approccio dovrà essere seguito nella conclusione, prevista a breve termine, di patti con la Giordania e il Libano; la Commissione intende inoltre adoprarsi per stipularne altri con Niger, Nigeria, Senegal, Mali e Etiopia, nonché rafforzare l'impegno con la Tunisia e la Libia.
Secondo la comunicazione, nella politica UE nel campo dello sviluppo e del commercio devono essere integrate combinazioni di incentivi positivi e negativi, per ricompensare i paesi disposti a collaborare in modo efficace con l'Unione nella gestione della migrazione e garantire che quelli che si rifiutano di farlo ne subiscano le conseguenze.
La nuova politica di partenariato dovrà prevedere:
· strumenti di rafforzamento delle capacità locali in materia di controllo delle frontiere, di procedure di asilo, di contrasto al traffico dei migranti e reinserimento;
· misure volte a smantellare il modello operativo dei trafficanti di esseri umani, in particolare, rendendo effettivi i rimpatri dei migranti irregolari;
· percorsi legali alternativi verso l’Europa, ad esempio, attraverso un programma mondiale di reinsediamento globale guidato dall’ONU.
La
comunicazione prevede un significativo rafforzamento dei mezzi finanziari
per affrontare le cause profonde della migrazione irregolare e dello
sfollamento. La Commissione europea prevede uno stanziamento di 8 miliardi
di euro nel periodo 2016-2020; in particolare, è previsto a breve
termine il potenziamento del Fondo fiduciario per l’Africa con un
miliardo di euro, di cui 500 milioni di euro attinti alla riserva
del Fondo europeo di sviluppo e 500 richiesti agli Stati
membri.
Inoltre, nell'autunno 2016, la Commissione intende presentare una proposta relativa a un nuovo fondo per investimenti nei paesi terzi in via di sviluppo, di 3,1 miliardi di euro, che dovrebbe a sua volta mobilitare investimenti complessivi fino a 31 miliardi di euro. Secondo la Commissione europea è possibile arrivare a 62 miliardi di investimenti se gli Stati membri e gli altri partner verseranno un contributo equivalente a quello dell'UE.
Documenti
[1] Frans Timmermans, Vicepresidente e Commissario per la qualità della legislazione, le relazioni interistituzionali, lo Stato di diritto e la Carta dei diritti fondamentali; Federica Mogherini, Alta Rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione europea; Jyrki Katainen, Vicepresidente e Commissario per le politiche dell'Unione europea per la crescita e l'occupazione; Cecilia Malmström, Commissaria per il Commercio; Miguel Arias Cañete, Commissario per il Clima e l'Energia; Margrethe Vestager, Commissaria per la concorrenza; Phil Hogan, Commissario per l’agricoltura; Vytenis Andriuskaitis, Commissario per la salute e la sicurezza alimentare; Maroš Šefčovič, Vicepresidente e Commissario per l’Unione dell’energia; Valdis Dombrovskis, Vicepresidente e Commissario per l’Euro e il dialogo sociale.
[2] La soglia per il riesame è abbassata a un quarto nel caso di proposte della Commissione o di iniziative di un gruppo di Stati membri relative allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
[3] Including both opinions and reasoned opinions received from national Parliaments.
[4] To qualify as a reasoned opinion according to the definition in Protocol No 2, an opinion must clearly state a breach of subsidiarity and be sent to the Commission within eight weeks of the transmission of the legislative proposal to national Parliaments.
[5] Counted as eleven opinions from two chambers.
[6] Counted as one reasoned opinion from two chambers.
[7] Counted as nine opinions from two chambers.
[8] The Chambre des Représentants / Belgische Kamer van volksvertegenwoordigers submitted an opinion stating a breach of subsidiarity. This opinion was sent, however, more than eight weeks after the transmission of the legislative proposal to national Parliaments by the Commission.
[9] Albania, Andorra, Armenia, Austria, Azerbaijan, Bosnia-Erzegovina, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Malta, Moldova, Monaco, Montenegro, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Romania, Rep. Ceca, Russia, San Marino, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria.
[10] Fonte: http://www.venice.coe.int/webforms/events/?id=2216.
[11] Il meccanismo di sostegno di emergenza può essere anche attivato in risposta ad altre crisi o catastrofi aventi gravi conseguenze umanitarie come incidenti nucleari, attentati terroristici ed epidemie. Esso può tuttavia essere utilizzato soltanto in presenza di catastrofi di dimensioni e conseguenze eccezionali e qualora gli strumenti a disposizione degli Stati membri e dell'UE si rivelino insufficienti.
[12] L’articolo 26 del codice frontiere Schengen istituisce una specifica procedura per le circostanze eccezionali in cui il funzionamento globale dello spazio senza controllo alle frontiere interne è messo a rischio a seguito di carenze gravi e persistenti nel controllo di frontiera alle frontiere esterne, individuate in una relazione di valutazione su uno Stato membro, nella misura in cui tali circostanze costituiscono una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna nello spazio Schengen o su parti dello stesso, e allorché tutte le altre misure non hanno consentito di ridurre efficacemente la grave minaccia individuata. In tali circostanze il Consiglio, come extrema ratio per proteggere gli interessi comuni nello spazio Schengen, può raccomandare a uno o più Stati membri di ripristinare il controllo di frontiera in tutte le rispettive frontiere interne o in parti specifiche di esse, per un periodo non superiore a sei mesi (eventualmente prolungato fino una durata massima totale di due anni).
[13] Si ricorda infatti che già esiste un Fondo fiduciario regionale dell’UE in risposta alla crisi siriana (Fondo fiduciario Madad), con il quale sono finanziati programmi di aiuti in Siria, Turchia, Libano, Giordania, Iraq, Egitto e i paesi dei Balcani occidentali interessati. il Fondo ha raggiunto attualmente 730 milioni euro in finanziamenti combinati dell'UE e degli Stati membri.si ricorda infine che, secondo il Consiglio, dall'inizio del conflitto siriano l'Unione europea e gli Stati membri hanno erogato più di 6 miliardi di EUR di aiuti
[14] Secondo l’accordo i contributi degli Stati membri potrebbero essere ridotti nel 2017 in base al contributo finale dal bilancio dell'UE, fatto salvo l'importo totale previsto per lo strumento e fatte salve le prerogative dell'autorità di bilancio. I contributi nazionali per lo strumento non rientreranno nel calcolo del disavanzo degli Stati membri ai fini del Patto di stabilità e crescita. Cipro fornirà al bilancio dell'UE un contributo di 2,3 milioni di EUR per la Giordania e il Libano.