Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||||||
Titolo: | Conferenza interparlamentare per la Politica estera e di sicurezza comune (PESC) e la Politica comune di sicurezza e difesa (PSDC) Lussemburgo, 4-6 settembre 2015 | ||||||
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari Numero: 39 | ||||||
Data: | 02/09/2015 | ||||||
Descrittori: |
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Senato della Repubblica
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Camera dei deputati
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Documentazione per le Commissioni
Dossier europei
Conferenza interparlamentare per la Politica estera e di sicurezza comune (PESC) e la Politica comune di sicurezza e difesa (PSDC)
Lussemburgo, 4-6 settembre 2015
Senato della Repubblica
Servizio Studi Dossier europei
n. 5 |
Camera dei deputati
Ufficio Rapporti con l’Unione europea
n. 39 |
2 settembre 2015
XVII LEGISLATURA
Il dossier è stato curato dall’Ufficio rapporti con l’Unione europea (' 06 6760.2145 - * cdrue@camera.it) e dal Servizio Studi del Senato della Repubblica Camera dei deputati (' 06 6760.2891 - * affeuropei@senato.it)
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INDICE
Programma di lavoro della Commissione europea per il 2015
Le priorità della Presidenza lussemburghese del Consiglio dell’UE
Recenti attività del Consiglio dell’UE
La revisione della Strategia di sicurezza dell’UE
· Il documento di riflessione “The European Union in a changing global environment”
Agenda europea per la sicurezza interna
VERSO UNA NUOVA POLITICA EUROPEA DI VICINATO
La comunicazione sull'attuazione della PEV nel 2014
Il dibattito al livello di istituzioni dell'Unione
I contributi del Senato e della Camera
I Cambiamenti climatici nel contesto della sicurezza
Gli obiettivi dell’Unione europea in materia di cambiamenti climatici
La cooperazione con i paesi terzi
Verso una gestione più funzionale dei flussi migratori
L’Agenda europea sulla migrazione
· Contrasto alle reti criminali dei trafficanti
· Il seguito dato dal Consiglio dell’Unione europea
· Il seguito dato dal Consiglio dell’Unione europea
· Collaborazione con Paesi terzi
· Aiuti agli Stati membri in prima linea
Contenuti dell’Agenda: la strategia a medio termine
· Ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare
· Salvare vite umane e rendere sicure le frontiere esterne
· Una nuova politica di migrazione legale
Contenuti dell’Agenda: prospettive di lungo termine
IL RAFFORZAMENTO DELLE MISSIONI CIVILI DELLA PSDC
· Le disposizioni del Trattato di Lisbona
· Le Missioni militari e civili dell'Unione europea
· Il dibattito sull'efficacia delle missioni civili dell'UE
· La risoluzione del Parlamento europeo del 21 maggio 2015
· Le conclusioni del Consiglio Difesa del 18 maggio 2015
SEGUITO DELL'ATTUAZIONE DELLE CONCLUSIONI DEL CONSIGLIO EUROPEO SULLA DIFESA (GIUGNO 2015)
Il Consiglio europeo di giugno 2015
Il processo di rilancio della PSDC dopo il Consiglio europeo di dicembre 2013
Ai sensi dell’articolo 2.3 del regolamento della Conferenza interparlamentare per la politica estera e di sicurezza comune e la politica di sicurezza e difesa comune, l’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione Europea è invitato alle riunioni della Conferenza per illustrare e discutere le priorità e le strategie dell’UE nel settore dalla PESC e della PSDC.
Di seguito, si illustrano le priorità dell’UE in ambito PESC e PSDC sulla base:
· dei documenti programmatici della Commissione europea e della Presidenza di turno lussemburghese del Consiglio dell’UE;
· delle recenti attività del Consiglio dell’UE;
· del documento di riflessione, presentato dall’Alto Rappresentante al Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015, in vista dell’elaborazione della nuova Strategia di sicurezza dell’UE.
Nel
programma di lavoro della Commissione europea per il 2015, presentato al
Parlamento europeo il 16 dicembre 2014, per quanto riguarda la politica estera
e di sicurezza dell’UE, si individuano, tra le altre, le seguenti priorità:
·
sviluppare una più
sistematica proiezione esterna delle politiche interne, al fine di
rafforzare il ruolo dell’UE nella dimensione esterna;
· promuovere la stabilità ai confini dell’Europa, fornendo supporto ai paesi vicini per l’applicazione di riforme democratiche ed economiche, il rafforzamento dello Stato di diritto, una migliore governance economica, la competitività, lo sviluppo di capacità istituzionali e una efficace amministrazione pubblica.
La Commissione europea ha avviato una consultazione per la revisione della politica di vicinato PEV, conclusasi il 30 giugno 2015, a seguito della quale presenterà delle proposte in autunno sulla nuova strategia dell’UE per la PEV (vedi scheda sessione II, verso una nuova politica di vicinato);
·
mantenere
una prospettiva europea nell’ambito dei negoziati in corso per
l’allargamento, fermo restando che nei prossimi cinque anni non sono
previsti altri allargamenti dell’Unione europea;
Nell’ambito dei negoziati in corso, gli Stati che hanno visto
riconosciuto lo status di paese candidato sono: Albania, ex
Repubblica jugoslava di Macedonia, Montenegro, Serbia oltre alla Turchia (che
ha sospeso i negoziati nel 2013). I potenziali candidati sono: la Bosnia-Erzegovina
e il Kosovo.
·
adattare
la politica dell’UE per la cooperazione allo sviluppo all’evolversi delle
necessità dei paesi in via di sviluppo. In particolare, la Commissione lavorerà
sugli obiettivi per uno sviluppo sostenibile post 2015 e avvierà una
riflessione sulle prospettive delle sue future relazioni con i paesi in via di
sviluppo.
Nella comunicazione intitolata “Un partenariato globale per l’eradicazione della povertà e lo sviluppo sostenibile dopo il 2015” (COM(2015) 44), del 5 febbraio 2015, la Commissione europea raccomanda ai paesi sviluppati di conseguire l’obiettivo di portare il totale degli stanziamenti per l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) allo 0,7% del Reddito nazionale Lordo (RNL), obiettivo che l’UE aveva peraltro stabilito dovesse essere conseguito entro il 2015 (al 2013 l’aiuto pubblico allo sviluppo dell’UE è stato pari allo 0,41% del RNL, 0,16% per l’Italia. I paesi dell’UE che si avvicinano o superano l’obiettivo dello 0.7% sono Lussemburgo, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito – fonte Eurostat). Il Consiglio dell’UE, nella riunione del 26 maggio 2015, ha adottato delle conclusioni sul nuovo partenariato mondiale per l'eliminazione della povertà e lo sviluppo sostenibile dopo il 2015, in vista del vertice delle Nazioni Unite sull'agenda per lo sviluppo post 2015 che si terrà a settembre 2015. Nelle conclusioni il Consiglio, in particolare, rinnova il suo impegno collettivo a raggiungere l'obiettivo dello 0,7% dell'APS/RNL entro i termini dell'agenda post 2015 ed indica che il partenariato globale dovrebbe comprendere i seguenti obiettivi: (i) instaurare un contesto politico favorevole a tutti i livelli; (ii) sviluppare le capacità di attuazione; (iii) mobilitare e impiegare efficacemente i finanziamenti pubblici nazionali; (iv) mobilitare e impiegare efficacemente le finanze pubbliche internazionali; (v) mobilitare il settore privato nazionale e internazionale; (vi) dare impulso al commercio e agli investimenti; (vii) promuovere la scienza, la tecnologia e l'innovazione; (viii) affrontare le sfide poste dalla migrazione e sfruttarne gli effetti positivi.
Si ricorda che oltre la metà di tutti gli aiuti allo sviluppo proviene dall'Unione europea e dai suoi paesi membri, che insieme costituiscono il maggior donatore a livello mondiale. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2013 gli aiuti allo sviluppo dell'UE sono ammontati a 56,2 miliardi di euro, di cui 14,86 miliardi di euro provenienti dai fondi europei e 41,34 dai bilanci nazionali degli Stati membri. Per il periodo di programmazione finanziaria dell’UE 2014-2020, l’importo totale per gli strumenti finanziari per l’azione esterna è pari a circa 51,4 miliardi di euro. Un ulteriore importo di 30,5 miliardi di euro verrà messo a disposizione pe la cooperazione con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) nonché con i paesi e i territori d’oltre mare, attraverso l’11° Fondo europeo di sviluppo (FES), che non fa parte del bilancio dell’UE.
Le priorità della
Presidenza lussemburghese del Consiglio dell’UE per il secondo
semestre del 2015 (1° luglio – 31 dicembre 2015) nell’ambito della politica
estera e di sicurezza sono:
· la definizione di una nuova strategia di politica estera dell’UE.
Il Consiglio europeo del 25 e 26
giugno 2015 ha invitato l’Alto Rappresentate a proseguire i lavori in corso per
la preparazione della nuova strategia europea di sicurezza che sostituisca la
strategia europea di sicurezza del 2003 e che dovrà essere presentata al
Consiglio europeo entro giugno 2016 (vedi oltre, paragrafo “La revisione
della strategia di sicurezza”);
· il prosieguo dei lavori relativi al rafforzamento della cooperazione nella politica di sicurezza e difesa dell’UE (PSDC).
Il Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015 ha adottato conclusioni chiedendo in particolare che: gli Stati membri destinino un livello sufficiente di spesa per la difesa; il bilancio dell'UE assicuri finanziamenti adeguati all'azione preparatoria sulla ricerca connessa con la PSDC; l'UE attivi gli strumenti di contrasto alle minacce ibride; siano intensificati i partenariati con l'ONU, la NATO, l'OSCE e l'Unione africana; i partner dell’UE siano messi in condizione di prevenire e gestire le crisi, anche attraverso lo sviluppo di capacità in un ambito geografico flessibile (vedi scheda gruppo di lavoro 3 sull’applicazione delle conclusioni del Consiglio europeo del giugno 2015 sulla difesa);
Spesa per la difesa per Paese al 2014 (fonte: Stockholm International Peace Research Institute - SIPRA) e dato complessivo UE al 2013 (fonte Agenzia europea per la difesa)
Paese |
Spesa in miliardi di dollari |
In percentuale del PIL |
Stati Uniti |
610 |
3,5% |
Cina |
216 |
2,1% |
UE (dati al 2013) |
186 (miliardi di euro) |
1,45% |
Russia |
84,5 |
4,5% |
Arabia saudita |
80,8 |
10,4% |
Francia |
62,3 |
2,2% |
Regno unito |
60,5 |
2,2% |
India |
50 |
2,4% |
Germania |
46,5 |
1,2% |
Giappone |
45,8 |
1% |
Corea del Sud |
36,7 |
2,6% |
Brasile |
31,7 |
1,4% |
Italia |
30,9 |
1,5% |
· sviluppare le relazioni esistenti con i più vicini partner dell’UE senza mettere in pericolo i principi alla base dell’integrazione europea quali: l’applicazione uniforme dell’acquis comunitario e la libera circolazione delle persone;
·
proseguire i
lavori in vista della revisione della politica europea di vicinato dell’UE,
con l’obiettivo di adottare conclusioni in occasione del Consiglio europeo di
dicembre 2015 (vedi scheda
sessione II, Verso una nuova politica europea di vicinato);
· per quanto riguarda l’allargamento, incoraggiare l’apertura di nuovi capitoli nell’ambito dei negoziati con Turchia, Montenegro e Serbia e proseguire i lavori in vista dell’integrazione europea della ex Repubblica jugoslava di Macedonia e dell’Albania. La Presidenza conta inoltra di conseguire progressi per quanto riguarda l’accordo di associazione con il Kosovo e quello con la Bosnia - Erzegovina.
Nel corso del semestre di Presidenza del Lussemburgo si svolgerà nel novembre 2015 il 12° vertice Europa- ASIA (ASEM).
Il
Consiglio dell’UE, nella riunione del 16 marzo 2015, ha discusso, in
particolare, sui seguenti temi:
· Strategia regionale dell'UE nei confronti di Siria e Iraq e della minaccia dell'ISIL/Daesh. Il Consiglio ha adottato una strategia volta a contrastare la minaccia rappresentata dall'ISIL/Daesh e a contribuire a ripristinare la pace e la sicurezza in Siria e in Iraq. In particolare, l'UE tenderà a uno sforzo globale che affronti le dinamiche di fondo dei conflitti tramite la diplomazia e il sostegno alle riforme politiche, lo sviluppo economico e la riconciliazione tra i diversi gruppi etnici. Per l'attuazione della strategia è previsto uno stanziamento di 1 miliardo di euro per il 2015 e il 2016.
·
Bosnia-Erzegovina. Il
Consiglio ha deciso che l'accordo di stabilizzazione e di associazione con
la Bosnia-Erzegovina entri in vigore, facendo così progredire il paese nel
suo percorso verso l'adesione all'UE.
Il Consiglio dell’UE, nella riunione del 22 giugno 2015, ha discusso, in particolare, sui seguenti temi:
·
Russia. Il
Consiglio ha prorogato fino al 31 gennaio 2016 le restrizioni
economiche dell’UE in relazione al ruolo della Russia nella
destabilizzazione dell’Ucraina orientale. La decisione fa seguito a un accordo
fra i leader UE volto ad abbinare la durata delle sanzioni in oggetto alla
piena attuazione degli accordi di Minsk, che dovrebbe avvenire entro il 31
dicembre 2015;
·
Operazione navale EUNAVFOR.
Il Consiglio ha avviato l'operazione navale dell'UE intesa a smantellare la
rete dei trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo (vedi scheda gruppo di
lavoro 1 Verso una gestione più efficiente dei flussi migratori);
· Nuovo partenariato mondiale per l'eliminazione della povertà e lo sviluppo sostenibile post 2015. Il Consiglio ha adottato delle conclusioni (vedi supra paragrafo programma di lavoro della Commissione europea).
Il Consiglio
dell’UE, nella riunione del 20 luglio 2015, ha discusso, in
particolare, sui seguenti temi:
·
Libia: il
Consiglio ha discusso sulle iniziative per sostenere gli sforzi tesi a
formare un governo di unità nazionale e sulla possibilità di adottare
sanzioni nei confronti dei sabotatori del processo di dialogo,
convenendo che la decisione di imporre misure restrittive potrà essere presa in
qualunque momento, se e quando necessario;
· Tunisia. Il Consiglio ha adottato delle conclusioni nelle quali, in particolare: a) ribadisce la determinazione dell'UE a sostenere la transizione tunisina in modo che il paese possa proseguire nel percorso ambizioso del consolidamento democratico; b) rinnova il proprio sostegno agli sforzi delle autorità tunisine volti ad attuare la costituzione nella sua integralità, a garantire la sicurezza nel territorio nazionale e ad avviare le riforme necessarie per affrontare le sfide socioeconomiche, e ribadisce l’impegno a intensificare ulteriormente la sua cooperazione con la Tunisia; c) indica che l'UE e gli Stati membri sono pronti a mobilitare tutti gli strumenti adeguati a loro disposizione per sostenere la Tunisia nella lotta contro il terrorismo e invita l’Alto Rappresentante e la Commissione a presentare proposte in tal senso. Il Consiglio, inoltre, prende atto dell'intensificazione dei contatti tra la Tunisia e gli Stati membri e le istituzioni dell'UE, tra cui Europol, e della necessità di portare avanti tali iniziative; d) indica che la risposta alla minaccia comune rappresentata dal terrorismo richiedeuna cooperazione rafforzata con i partner del Mediterraneo meridionale volta, in particolare, a rafforzare i meccanismi giudiziari e di sicurezza, la messa in sicurezza delle frontiere, la lotta contro il finanziamento del terrorismo e il traffico di armi da fuoco, la prevenzione della radicalizzazione e il problema dei combattenti stranieri; e) ribadisce il suo impegno a sostenere l'integrazione graduale dell'economia tunisina nel mercato europeo ed è pronto a sostenere l'iniziativa, qualora sia presa dalle autorità tunisine, di una conferenza internazionale sugli investimenti al fine di rilanciare lo sviluppo del settore privato e il rafforzamento di un sistema economico diversificato; f) accoglie con favore l'annuncio fatto dal governo tunisino riguardo alla sua intenzione di avviare, nel mese di ottobre 2015, i negoziati per un accordo di libero scambio globale e approfondito tra l'UE e la Tunisia; g) sottolinea la necessità di approfondire il partenariato per la mobilità attraverso la conclusione di un accordo di agevolazione in materia di visti e di un accordo di riammissione; h) invita l'Alto Rappresentante e la Commissione a prendere in esame le possibili misure per potenziare il sostegno alla Tunisia in settori fondamentali come quelli della mobilità, dell'istruzione, dell'innovazione e della ricerca.
·
Processo di
pace in Medio Oriente. Il Consiglio ha adottato delle conclusioni
nelle quali in particolare: a) ribadisce il suo impegno a favore di una
risoluzione del conflitto israelo-palestinese basata sulla coesistenza di
due Stati; b) considera necessarie ulteriori misure positive nei
confronti di Gaza che consentano l'inoltro degli aiuti umanitari, la
ricostruzione e la ripresa economica e chiede la revoca della chiusura dei
valichi, tenendo conto nel contempo delle preoccupazioni legittime di Israele
in materia di sicurezza; c) ritiene la riconciliazione tra le fazioni
intra-palestinesi un elemento importante per raggiungere una soluzione
fondata sulla coesistenza di due Stati; e) chiede che l'Autorità Palestinese
assuma la sua funzione di governo nella striscia di Gaza. L'UE è pronta a
fornire pieno sostegno a tali sforzi attraverso la rapida riattivazione e
l'eventuale ampliamento del campo di applicazione e del mandato delle sue
missioni EUBAM Rafah e EUPOL COPPS[1];
f) ribadisce la sua opposizione alla politica in materia di insediamenti e
alle azioni intraprese in questo contesto da Israele, come la costruzione
della barriera di separazione al di là della linea del 1967; g) si impegna a
collaborare a un rinnovato approccio multilaterale al processo di pace
in consultazione con tutte le parti interessate ed invita l'Alto
Rappresentante a esplorare le possibili opzioni per attuare tale iniziativa
con attori regionali e internazionali e a riferire in merito a inizio
settembre;
·
accordo sul programma
nucleare dell’Iran. Il Consiglio ha adottato delle conclusioni nelle
quali: a) ha accolto con favore il piano d'azione congiunto globale,
concordato il 14 luglio a Vienna, che garantisce la natura esclusivamente
pacifica del programma nucleare iraniano; b) sottolinea la necessità che tutte
le parti lavorino per l'attuazione del suddetto piano d'azione e chiede
all’Alto Rappresentante di continuare a svolgere un ruolo di coordinamento
nel corso dell’attuazione del piano d'azione congiunto globale; c) indica che
la revoca delle sanzioni economiche e finanziarie dell’UE nei confronti
dell’Iran entrerà in vigore dopo che l'Agenzia internazionale per l'energia
atomica avrà certificato che l'Iran ha attuato i propri impegni in materia
di nucleare; d) esprime l’auspicio che l’accordo apra la porta al miglioramento
delle relazioni tra l’Unione europea, i suoi Stati membri e l’Iran, come
pure al miglioramento delle relazioni internazionali e regionali dell'Iran, e
che esso costituisca la base per una regione più stabile e sicura; e invita
l’Alto Rappresentante a valutare in che modo l’UE potrebbe promuovere
attivamente un quadro regionale di maggiore cooperazione e a riferire al
Consiglio nei prossimi mesi.
·
Migrazioni.
Il Consiglio ha adottato delle conclusioni sulle migrazioni nelle quali
in particolare: a) sostiene una politica attiva, globale e geograficamente
equilibrata dell'UE in materia di migrazione esterna, in linea con l'agenda
europea sulla migrazione e con le conclusioni del Consiglio del 25 e 26 giugno;
b) ritiene che un approccio più ampio in materia di politica estera
e di sicurezza sia essenziale per rafforzare la cooperazione con i paesi di
origine e di transito al fine di affrontare le cause profonde della
migrazione irregolare; c) si compiace dei preparativi in previsione del vertice
che si terrà a La Valletta l'11 e il 12 novembre 2015, in stretta
cooperazione con i partner africani, e della conferenza ad alto livello
che affronterà le sfide urgenti poste dalla rotta dei Balcani occidentali,
prendendo atto dell'offerta ungherese di ospitare la conferenza a Budapest;
d) ribadisce che le priorità in materia di migrazione andrebbero
ulteriormente integrate negli strumenti e nelle politiche dell'Unione europea
attraverso la coerenza e le sinergie tra i diversi settori, quali politica
estera e di sicurezza comune/politica di sicurezza e di difesa comune,
giustizia e affari interni, diritti umani, cooperazione allo sviluppo,
commercio e occupazione; e) sottolinea inoltre l’importanza di finanziamenti
adeguati al fine di assicurare l'efficacia e la sostenibilità
dell'attuazione delle pertinenti politiche; f) invita l'Alto Rappresentante e
la Commissione a riferire al Consiglio "Affari esteri" di ottobre presentando
proposte concrete a sostegno dell'attuazione della dimensione esterna
dell'agenda europea sulla migrazione (vedi scheda per gruppo di lavoro 1
Verso una gestione più funzionale dei flussi migratori);
·
piano
d’azione dell’UE per i diritti umani e la democrazia 2015-2019. Il
Consiglio ha adottato il piano d’azione in oggetto, che pone accento
particolare sulla cooperazione con le istituzioni e i meccanismi locali,
comprese le istituzioni nazionali per i diritti umani, e le organizzazioni della
società civile. Il piano d’azione intende promuovere in particolare i principi
della non discriminazione, parità di genere ed emancipazione femminile.
L’UE assicurerà inoltre un approccio globale per i diritti umani nella
prevenzione e risoluzione dei conflitti e delle crisi, ed integrerà
ulteriormente i diritti umani negli aspetti esterni delle politiche dell’UE
al fine di garantire una maggiore coerenza delle politiche, in particolare nei
settori della migrazione, degli scambi e degli investimenti, della cooperazione
allo sviluppo e della lotta al terrorismo;
· diplomazia energetica. Il Consiglio ha adottato delle conclusioni nelle quali si accoglie con favore il piano d’azione per la diplomazia energetica presentato dall’Alto Rappresentante e dalla Commissione. In particolare il Consiglio indica che: a) gli obiettivi definiti nell'Unione dell'energia dovrebbero essere sostenuti da un'azione coerente dell'UE in materia di politica estera; b) per quanto riguarda la diversificazione delle fonti, dei fornitori e delle rotte, il sostegno diplomatico dovrebbe incentrarsi sul corridoio meridionale di trasporto del gas; sul potenziale strategico della regione del Mediterraneo orientale; sulla cooperazione nel settore dell'energia nel vicinato meridionale; sulla regione più vasta del Medio Oriente; sulle nuove fonti energetiche nelle Americhe, in Africa e in Australia, compreso il potenziale dei gas naturali liquefatti; c) è necessario utilizzare gli strumenti della politica estera per aprire opportunità di cooperazione con: i paesi produttori e di transito, specie nel nostro vicinato, tenendo conto della necessità di garantire le forniture energetiche a lungo termine all'Ucraina e il transito attraverso questo paese, anche nel contesto di possibili nuovi progetti infrastrutturali; gli Stati Uniti, la Norvegia e il Canada oltre ad altri interlocutori di rilievo, soprattutto Cina, India, Brasile; d) si dovrà procedere, quando le condizioni lo permetteranno, a un riassetto della relazione con la Russia nel settore dell'energia; e) i partenariati e i dialoghi con paesi terzi in tema di energia dovrebbero essere coerenti con i pertinenti obiettivi di politica estera, ivi compresi gli obiettivi climatici, e promuovere tecnologie a basse emissioni di carbonio ed efficienti sotto il profilo dell'energia; f) occorre garantire che l’UE si esprima con una sola voce sulle principali questioni energetiche, sia nelle relazioni bilaterali che nei consessi multilaterali; g) la diplomazia energetica dell'UE dovrebbe sostenere l'impegno nell’ambito delle iniziative multilaterali concernenti l'energia.
·
diplomazia
climatica. Il Consiglio ha adottato delle conclusioni (vedi scheda
sessione III “I cambiamenti climatici nel contesto della sicurezza”).
Il Consiglio europeo del 19 e 20 dicembre 2013 ha invitato l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, in cooperazione con la Commissione e sulla base di consultazioni con gli Stati membri, a valutare l’impatto dei cambiamenti nel contesto globale e a riferire al Consiglio nel corso del 2015 sulle sfide e sulle opportunità che ne derivano per la UE, anche in vista della revisione della strategia di sicurezza dell’UE del 2003.
L’Alto Rappresentante, Federica Mogherini, ha presentato al Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015 un documento di riflessione intitolato “"The European Union in a changing global environment"”.
Il Consiglio europeo ha invitato a continuare il processo di riflessione condotto dall'Alto Rappresentante e volto alla definizione di una strategia globale dell'UE in materia di politica estera e di sicurezza da sottoporre al Consiglio europeo entro giugno 2016.
Nel
documento presentato dall’Alto Rappresentante, Federica Mogherini, si
analizzano i cambiamenti radicali del contesto geostrategico in cui l’UE
si trova ad operare, rispetto alla strategia europea in materia di sicurezza
del 2003.
In particolare,
il documento indica che l’attuale contesto è caratterizzato da un mondo:
·
più
connesso: un livello di connettività globale senza precedenti sta
modificando il significato delle frontiere. L'impennata della mobilità umana
obbliga a ripensare le politiche in materia di migrazione, cittadinanza,
sviluppo e sanità. I flussi migratori, in particolare, accelerano a causa di
conflitti, disparità economiche, demografia e cambiamenti climatici.
L’aumento esponenziale – grazie alle nuove tecnologie di comunicazione - della
diffusione di reti ha profonde ripercussioni politiche. Anche i mercati sono
sempre più connessi;
· più contrastato, con una diffusione di Stati fragili e spazi non governati; caratterizzato da conflitti prodotti da forme di radicalizzazione di ideologia e di identità. Il rischio di conflitti è aumentato dall’evoluzione demografica e da uno sviluppo squilibrato e anche dai cambiamenti climatici e dalla scarsità delle risorse. Il progresso tecnologico sta cambiando la natura del conflitto, creando nuove minacce, dalla criminalità informatica alla destabilizzazione ibrida e all'impiego delle tecnologie della comunicazione da parte di gruppi terroristici;
·
più
complesso: gli Stati Uniti continueranno a svolgere un ruolo di ampia
portata globale. L'UE continuerà a beneficiare di uno dei redditi pro capite
più elevati al mondo. Tuttavia appare tramontata l’epoca del predominio di un
singolo paese o di una singola area. Stanno emergendo nuove potenze come la
Cina e l’India, i cui PIL entro il 2030 dovrebbero rappresentare
rispettivamente il 20% e il 16 % del totale mondiale. È improbabile che le
potenze emergenti formino un blocco alternativo coeso. La
complessità è accresciuta dal passaggio da un mondo di Stati nazionali ad un
mondo collegato in rete, composto di attori statali, non statali,
interstatali e transnazionali. Lo stesso concetto di “polarità” è messo in
discussione ed in tale contesto si registra la tendenza a un indebolimento del
multilateralismo tradizionale. Il G20, pur emergendo quale nuovo forum
informale, non è ancora riuscito ad affrontare le sfide globali strutturali.
In tale contesto il
documento individua cinque grandi categorie di sfide ed opportunità per
l’UE:
1) dare un nuovo impulso alla politica dell’UE nei confronti dei paesi del vicinato, al fine di contrastare il declino del “soft power” esercitato dall’UE nei confronti del vicinato. Allo stesso tempo, questioni come il conflitto tra la Russia e l’Ucraina, la sicurezza energetica dell’UE, l’emergere della Turchia come potenza regionale, impongono all’UE di sviluppare una azione più ampia di politica estera e di sicurezza che comprenda e non sia limitata alla sola politica di vicinato. In particolare, per i Balcani occidentali sarà necessario promuovere lo sviluppo e una maggiore integrazione economica con l’UE. Nei confronti della Turchia sarà necessario ravvivare una dinamica positiva per riforme politiche ed economiche strutturali, ma anche considerare questioni di comune interesse come il commercio, la gestione dei fenomeni migratori, le questioni energetiche e di sicurezza nella regione. Per i paesi del partenariato orientale, che aspirano a più forti legami con l’UE, occorre impegnarsi per un più ampio sostegno alle riforme politiche, economiche e sociali. L’approccio ai paesi del partenariato orientale dovrà comprendere anche politiche volte a prevenire conflitti, stimolare lo sviluppo economico e promuovere una maggiore connettività delle reti di trasporto ed energetiche. La politica dell’UE nei confronti della Russia dovrà evitare nuove linee di divisione, garantendo allo stesso tempo una ferma risposta ai tentativi di destabilizzazione ai confini dell’UE;
2) ripensare
l’approccio dell’UE verso i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. L’UE
deve far fronte al processo di profonda destabilizzazione che si è prodotto nel
Nord Africa a partire dal 2011, in conseguenza del positivo fenomeno della
Primavera araba. In particolare, è prioritario contrastare le reti
terroristiche e criminali attraverso una maggiore coerenza delle
politiche di sicurezza interna ed esterna dell’UE. Occorre, inoltre,
fronteggiare la crisi umanitaria attraverso politiche di assistenza
umanitaria e politiche di asilo, insistendo su: il pieno rispetto del
diritto umanitario internazionale; la protezione dei civili e il rispetto dei
diritti umani in situazioni di conflitto. La politica dell’UE nei paesi del
Nord Africa deve inoltre tenere in considerazione le forti connessioni di
tali paesi con i paesi dell’area sub-sahariana e del Corno d’Africa. Per
quanto riguarda il Medio Oriente, occorre promuovere un processo di
riconciliazione, in particolare nell’ambito del conflitto israelo-palestinese,
attraverso una nuova architettura di sicurezza regionale indirizzata
alla più ampia regione mediorientale;
3) la ridefinizione del rapporto con l’Africa. L’azione dell’UE deve mirare a promuovere il notevole potenziale del continente africano, sviluppando una dinamica virtuosa attraverso un mix equilibrato di politiche per la sicurezza, la migrazione, la mobilità e politiche di integrazione economica. In particolare, occorre: rafforzare la cooperazione sulla sicurezza con le Nazioni Unite, l’Unione africana e gli altri partner africani; supportare lo sviluppo sostenibile e l’istruzione; coniugare obiettivi di integrazione economica e commercio equo e solidale; favorire lo sviluppo di una agricoltura sostenibile e di una crescita “verde”. Nell’ambito della forte crescita demografica africana occorre trovare un equilibrio tra domanda e offerta di forze migratorie, di cui potrebbero beneficiare sia il continente africano che quello europeo. E’ importante che la politica dell’UE nei confronti dell’Africa tenga nella dovuta considerazione le forti interconnessioni tra i paesi dell’area nord africana, dell’area sub-sahariana e del Corno d’Africa;
4) il rilancio
dei partenariati tra le due sponde dell’Atlantico. Le relazioni
transatlantiche, in particolare con USA e Canada, poggiano su solidi legami di
natura politica, culturale, e di sicurezza. L’UE ha però davanti a sé
l’opportunità di approfondire ulteriormente tali relazioni sulla base di
interessi comuni alle due sponde dell’Atlantico. In particolare, le relazioni
con gli USA possono essere approfondite per quanto riguarda la sicurezza
e l’economia. Per il primo profilo l’UE ed i suoi Stati membri sono
chiamati a farsi carico di una maggiore responsabilità per quanto riguarda la
stabilità dell’area del vicinato e lo sviluppo di efficaci capacità di
difesa. La politica di sicurezza e difesa dell’UE dovrà cooperare con la
NATO per quanto riguarda la gestione delle crisi e le minacce ibride. Per
quanto riguarda la cooperazione nell’economia, l’accordo TTIP (Transatlantic
trade and investment partnership) rappresenta un progetto che può creare
valore aggiunto, in termini di crescita occupazionale e imprenditoriale, ad
entrambe le parti. L’accordo TTIP non è solo un accordo di natura commerciale,
ma rappresenta un progetto che, attraverso la creazione della più grande
area di libero scambio al mondo, potrebbe essere in grado di fornire un nuovo
slancio ad un sistema globale di regole che vede i negoziati
multilaterali in uno stato di stallo. L’approfondimento delle relazioni
atlantiche dovrà inoltre essere indirizzato anche ai paesi dell’America
latina e dei Caraibi;
5) una strategia bilanciata nei confronti dell’Asia. L’UE ha un forte interesse nell'ulteriore crescita delle economie asiatiche e negli sforzi di riforma in Cina, ma è anche assai vulnerabile per eventuali dispute e conflitti regionali che potrebbero compromettere le rotte commerciali, i flussi finanziari e l’ordine regionale. La sfida per l’UE è quella di, allo stesso tempo, massimizzare le opportunità economiche e beneficiare della crescita nella regione asiatica e collocarsi come attore propositivo nella dimensione politica e di sicurezza della regione. Particolarmente importanti sono le relazioni con l’ASEAN. Infine, l’UE deve cogliere le opportunità offerte delle nuove reti di connettività globali euroasiatiche, come i progetti della cosiddetta nuova via della seta, la “Silk road economic Belt” e la “New maritime Silk road”, assicurando che tali progetti siano compatibili con le regole OMC, rispettino le prassi di apertura degli appalti pubblici e standard sociali e ambientali stringenti.
Per dare
attuazione a tali obiettivi il documento individua cinque ambiti nei
quali occorre migliorare l’approccio dell’UE:
· dotare l’azione esterna dell’UE di una più forte e chiara direzione politica, al fine di massimizzare l’influenza dell’UE;
· conferire una maggiore flessibilità all’azione dell’UE;
· promuovere maggiormente l’effetto leva nella dimensione esterna delle varie politiche dell’UE, con particolare riferimento alla politica commerciale e alla politica di vicinato;
· dotare l’azione dell’UE di maggiore efficacia, tramite un più alto livello di coordinamento e coesione tra le istituzioni europee e tra i singoli Stati membri, con particolare riferimento alla politica europea di difesa, alla politica energetica con rilevanza esterna, alla cibersicurezza, alla politica di sviluppo;
· migliorare le capacità esterne dell’UE, in particolare per quanto riguarda a) la gestione dei fenomeni migratori, per i quali è necessario assegnare maggiori risorse alle agenzie e integrare la gestione della dimensione interna delle migrazioni con quella esterna e b) la PSDC, eliminando le attuali difficoltà nella generazione di capacità militare dell’UE, migliorando l’accesso a procedure per il finanziamento comune delle spese delle operazioni di PSDC, utilizzando le possibilità offerte dall’articolo 44 del Trattato sull’Unione europea in merito alla cooperazione strutturata permanente nel settore della difesa e facendo maggiore ricorso ai Battlegroups.
Il 28 aprile 2015 la Commissione europea ha presentato l’Agenda europea sulla sicurezza interna per il periodo 2015-2020 (COM(2015)185). L'agenda stabilisce misure e strumenti concreti da utilizzare nell'ambito della cooperazione per garantire la sicurezza e affrontare le minacce più urgenti.
L’agenda individua quali sfide più urgenti: 1) la prevenzione del terrorismo e la lotta alla radicalizzazione; 2) la lotta alla criminalità organizzata; 3) l’attività di contrasto alla criminalità informatica.
Le azioni
principali individuate dall’agenda sono:
· lotta alla radicalizzazione: la Commissione intende istituire un centro di eccellenza per raccogliere e diffondere le competenze in materia di lotta alla radicalizzazione, basato sulla Rete per la sensibilizzazione in materia di radicalizzazione (RAN);
·
aggiornamento
della decisione quadro sulla lotta al terrorismo, al fine di fornire un
quadro giuridico più coerente per affrontare il fenomeno dei combattenti
stranieri;
· taglio dei finanziamenti dei criminali, mediante il rafforzamento della cooperazione tra le autorità competenti in Europa (in particolare le unità nazionali di informazione finanziaria, che si intende collegare a Europol); la Commissione intende altresì valutare l’adozione di nuove disposizioni legislative per contrastare il finanziamento del terrorismo e migliorare gli strumenti di confisca dei beni derivati da attività criminali;
·
rafforzamento
del dialogo con il settore delle tecnologie dell'informazione: la
Commissione intende lanciare un forum a livello dell'UE con le principali
società informatiche per combattere la propaganda terroristica su internet e
sui media sociali e per esplorare modi con cui affrontare le preoccupazioni
delle autorità di contrasto sulle nuove tecnologie di cifratura;
·
rafforzamento
del quadro giuridico sulle armi da fuoco per contrastarne il
traffico illegale e la riattivazione, stabilendo norme comuni, condividendo più
informazioni e intensificando la cooperazione con i paesi terzi;
·
rafforzamento
degli strumenti di lotta alla criminalità informatica, superando gli
ostacoli alle indagini penali online, in particolare per quanto riguarda
questioni quali la giurisdizione competente e le norme in materia di accesso
a prove e informazioni ricavate da Internet;
·
miglioramento
delle capacità di Europol, anche attraverso la creazione di un centro
europeo antiterrorismo a supporto dell'agenzia dell'UE, intensificando il
sostegno alle autorità di contrasto nazionali per la di lotta ai terroristi combattenti
stranieri, al finanziamento del terrorismo, ai contenuti online
di estremismo violento e al traffico illecito di armi da fuoco.
1. Introduzione
La revisione e il rilancio della Politica europea di vicinato (PEV) sono stati individuati tanto dal Presidente della Commissione europea, Juncker, quanto dall'Alto Rappresentante per la PESC/PSDC Mogherini come una delle priorità del nuovo esecutivo di Bruxelles. Più nel dettaglio, la nuova Commissione ha assunto l'impegno di presentare le nuove linee della PEV entro un anno dall'inizio del suo mandato, e quindi per l'autunno del 2015.
La base giuridica della PEV è rappresentata dall'articolo 8 del TEU, in base al quale l'UE "sviluppa con i paesi limitrofi relazioni privilegiate al fine di creare uno spazio di prosperità e buon vicinato fondato sui valori dell'Unione e caratterizzato da relazioni strette e pacifiche basate sulla cooperazione".[2]
Lanciata nel 2003
con la comunicazione Wider Europe, la PEV si proponeva un'integrazione
progressiva dei Paesi limitrofi, da realizzare tramite l'implementazione di
impegnative riforme politiche, economiche e istituzionali e l'adozione di un
sistema di valori comuni. Il processo di integrazione, pur avendo realizzato
passi avanti significativi per quanto attiene sia alla componente regionale
(con la creazione dell'Unione per il Mediterraneo nel 2008 e del Partenariato
orientale nel 2009) sia allo strumento, sempre più efficace e stringente, degli
accordi per la creazione di una zona di libero scambio ampia e approfondita, ha
peraltro subito un forte rallentamento negli ultimi anni, legato ai fattori di
instabilità emersi tanto nell'area orientale quanto in quella meridionale del
vicinato. A oriente, dalla crisi in Georgia del 2008 a quella ucraina,
l'instabilità è derivata in larga misura dalla crescente assertività della
politica estera russa, mentre a sud la cosiddetta primavera araba, che pure ha
portato a una significativa democratizzazione in Tunisia e a un processo di
transizione politica complesso e difficile ma tuttora in corso in Egitto, ha
anche comportato una conflittualità accesa, sfociata in vere e proprie guerre
civili in Siria e in Libia, cui si somma lo stallo ormai prolungato del
Processo di pace in Medio Oriente.
Per quanto concerne le dotazioni finanziarie
destinate ai paesi del vicinato, un significativo passo in avanti si è
registrato a partire dal 1° gennaio 2007, con la creazione di un meccanismo
unico di finanziamento: lo Strumento europeo di vicinato e partenariato.
Nel periodo 2007-2013, i finanziamenti messi a disposizione dei partner della PEV hanno raggiunto un totale di 13,4 miliardi di euro, con un incremento del 75% rispetto al precedente Quadro finanziario pluriennale 2000-2006. Tali fondi sono stati destinati per più di 2/3 ai paesi del vicinato meridionale (vedi allegato 1).
Dal 1° gennaio 2014, lo Strumento europeo di vicinato e partenariato è stato sostituito dallo Strumento europeo di vicinato. Nell'ambito del nuovo QFP 2014-2020, il plafond destinato alla PEV ammonta a 15,4 miliardi di euro. Nel 2014, i fondi destinati alla PEV hanno raggiunto un ammontare di 2,3 miliardi in impegni e 1,6 miliardi in pagamenti, destinati per 2/3 ai paesi mediterranei e per un 1/3 a quelli del vicinato orientale (vedi allegato 2).
Il quadro attuale mostra una crescente divergenza nel livello di impegno e integrazione che i paesi limitrofi intendono assumere nei confronti dell'UE. La nuova Commissione ha pertanto ritenuto necessario procedere a un'analisi più dettagliata e attenta degli interessi dell'UE e dei suoi partner, al fine di individuare modalità flessibili e commisurate ai diversi livelli di ambizione dei partenariati di vicinato e al tempo stesso tenere conto dei conflitti in pieno svolgimento in molti paesi del vicinato e delle possibili modalità di azione e intervento.
A tal fine, la Commissione europea e l'Alto Rappresentante hanno presentato, in data 4 marzo 2015, un Documento di consultazione dal titolo "Verso una nuova Politica europea di vicinato" (JOIN (2015) 6), con l'obiettivo di sintetizzare le lezioni che possono essere tratte da un'esperienza ormai più che decennale e di sviluppare alcune possibili risposte innovative, da discutere con i partner chiave e con gli stakeholders. Il Documento ha lanciato una procedura di consultazione che si è conclusa il 30 giugno e costituirà la base di un'ulteriore comunicazione, prevista per l'autunno, nella quale verranno tracciate le nuove linee della PEV.
Per quanto concerne le lezioni da trarre dall'esperienza della PEV, la Commissione, pur consapevole dei diversi aspetti positivi che hanno contraddistinto la politica di vicinato - rafforzamento dei rapporti commerciali, con l'UE primo partner per quasi tutti i paesi limitrofi; significativi successi nella politica comune in materia di visti e di mobilità -, intende soffermarsi su alcuni limiti, legati soprattutto alla limitata flessibilità degli strumenti e al rischio che l'approccio more for more non garantisca in pieno un senso di ownership condivisa tra l'Unione e i suoi partner.
Tra le questioni che la PEV, nel suo formato attuale, non sembra soddisfare appieno, vi è quella connessa con la sua portata geografica, intendendo con ciò non tanto un'estensione sic et simpliciter ad altri paesi, quanto la ricerca di modalità flessibili per lavorare insieme ai "vicini dei vicini", garantendo così, al contempo, una maggiore coerenza tra la PEV e le relazioni che l'UE intrattiene con la Russia, i partner dell'Asia centrale, del Sahel e del Corno d'Africa.
Altri temi sui
quali il Documento si sofferma con maggior dettaglio sono:
- Un maggiore coinvolgimento degli Stati membri in quanto coattori (finora, la PEV è stata portata avanti esclusivamente tramite le istituzioni UE, in primis la Commissione);
- Un ripensamento degli strumenti finora utilizzati all'interno della PEV (Accordi di associazione, Accordi per una zona di libero scambio ampio e approfondito, Piani d'azione, Progress Reports), che punti a una loro maggiore flessibilità e modularità, in modo da adattarli alle diverse aspirazioni dei partner;
- Una maggiore focalizzazione dei partenariati sui settori dell'economia per i quali, vista la presenza di forti interessi comuni, sarebbe più facile instaurare una ownership condivisa (energia, trasporti, cooperazione doganale, ambiente, istruzione);
- Un migliore coordinamento tra le attività condotte dall'UE in ambito PESC/PSDC e la PEV, particolarmente necessario al momento di affrontare i conflitti e le crisi che maturino in Paesi limitrofi e di elaborare il mix di interventi necessari all'uopo (dalla prevenzione dell'estremismo e del terrorismo alla restaurazione di un clima di fiducia, alla ricostruzione delle strutture statali e amministrative);
- Il rafforzamento della cooperazione regionale attraverso l'Unione per il Mediterraneo e il Partenariato orientale, l'individuazione di quadri di riferimento flessibili e una collaborazione più stretta con altri attori regionali (OSCE, Consiglio d'Europa, ecc.);
- La ricerca di ulteriori canali di contatto e dialogo con la società civile nel senso più esteso del termine, ma anche con il mondo dell'impresa, le università, le autorità locali, i media;
- Una maggiore e più concreta
attenzione alle attività che promuovano la tolleranza religiosa, la rimozione
dei pregiudizi e il dialogo tra culture.
Quanto ai temi cardine in vista di una riforma della Politica di vicinato, la Commissione intende raccoglierli e sintetizzarli in quattro grandi linee:
- Differenziazione. È necessario che la PEV si adatti agli scenari sempre più diversificati che caratterizzano le aree orientale e meridionale del vicinato. Da un lato, si dovrebbero esplorare nuovi formati ancor più approfonditi di cooperazione regionale per soddisfare le aspirazioni e le scelte dei paesi che non considerano gli accordi di associazione l'ultimo stadio sulla via dell'associazione politica e dell'integrazione economica; dall'altro, andrebbero studiate nuove forme "a geometria variabile" per rilanciare il dialogo con i partner che non hanno ancora assunto impegni vincolanti o hanno abbandonato i negoziati in ambito PEV;
- Focalizzazione. Va valutata la possibilità di circoscrivere maggiormente le aree di cooperazione, oggi vastissime, incluse all'interno della PEV, concentrandosi sui settori nei quali gli interessi dell'Unione e dei partner convergono con maggiore evidenza: promozione del commercio e dello sviluppo economico; connettività e grandi reti, specie nei settori dei trasporti e dell'energia; impegno comune contro le minacce alla sicurezza derivanti dal terrorismo e dalle situazioni di conflitto; sostegno alle azioni di rafforzamento della governance, partendo dalla rule of law e dalle libertà fondamentali; liberalizzazione dei visti e politica della mobilità, accompagnate da misure comuni di lotta al traffico di esseri umani e all'immigrazione illegale; accesso a iniziative e programmi che favoriscano gli scambi di giovani nei settori dell'istruzione e della formazione;
- Flessibilità. Gli strumenti della PEV si sono espansi e consolidati nel corso degli anni, sempre entro il quadro giuridico fornito dagli accordi di associazione e dagli accordi di partenariato e cooperazione. Con 12 paesi partner sono stati concordati Piani d'azione, seguiti a cadenza annuale da relazioni sulla loro implementazione. Sempre a cadenza annuale, la Commissione europea produce una comunicazione strategica sulla PEV e due relazioni sull'attuazione delle priorità a livello regionale: una sul Partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa con i Paesi del sud del Mediterraneo e una sul Partenariato orientale. A tali documenti di indirizzo si accompagna, nelle forme previste dagli accordi di associazione e dagli accordi di partenariato e cooperazione, un intenso dialogo bilaterale con i singoli partner. Il supporto finanziario dell'UE è stato costante e di notevole entità, e ulteriori 15 miliardi di euro sono stati già programmati per il periodo 2014-2020, con una mid-term review nel 2017. Si ricorda che nel periodo di programmazione 2007-2013 sono stati stanziati complessivamente 13,3 miliardi di euro di cui 9 circa sono stati destinati ai Paesi del mediterraneo e 3,8 ai Paesi del Partenariato orientale. Sulla base di tali strumenti, la riflessione che la Commissione proporrà dovrebbe incentrarsi su una maggior differenziazione dei Piani d'azione, onde adattarli alle esigenze e alle priorità dei singoli paesi; sull'adattamento del principio more for more a un contesto nel quale taluni partner non scelgono una più stretta integrazione con l'UE; sull'adattamento dei criteri seguiti per valutare lo stato di avanzamento del processo di integrazione, nei casi in cui il partner interessato si trovi in una situazione di conflitto o di instabilità;
- Ownership e visibilità. Una delle critiche rivolte più di frequente alla PEV è l'assenza di un vero senso di parità e di compartecipazione nei paesi partner e nelle rispettive società, nonché la scarsa consapevolezza degli scopi e dell'impatto della politica di vicinato da parte delle opinioni pubbliche. La Commissione dovrebbe pertanto avviare una riflessione sulle modalità per rendere le strutture della PEV più collaborative, in modo da sottolineare adeguatamente il ruolo di impulso e di scelta dei partner e da coinvolgere tutti gli attori all'interno delle rispettive società; per accelerare e rendere così più visibili al pubblico i benefici derivanti dalla PEV; per orientare i flussi di finanziamenti in una logica di investimenti - piuttosto che di doni -, così da rendere più chiaro il ruolo attivo dei paesi partner; per coinvolgere con maggiore efficacia gli Stati membri nella progettazione e implementazione delle politiche di vicinato.
Partendo dalle considerazioni sopra sintetizzate, la
Commissione ha quindi formulato una serie dettagliata di quesiti, che partono
dalle considerazioni di carattere più strutturale (il mantenimento stesso della
PEV, con un unico quadro a coprire vicinato orientale e meridionale) per
passare a quelle di tipo geografico (se sia opportuno conservare l'attuale
portata geografica, consentire modi più flessibili di collaborare con i
"vicini dei vicini") e gestionale (con quali modalità prevedere un approccio
più globale, caratterizzato da un maggior coinvolgimento degli Stati membri, e
come rivedere o variare gli strumenti della PEV, dagli accordi di associazione
e le zone di libero scambio globale e approfondito ai piani d'azione e le
relazioni annuali), a quelle di ordine settoriale (come concentrare più
esplicitamente i partenariati su aree di interesse condiviso; potenziare le
misure per la liberalizzazione dei visti; favorire maggiormente uno sviluppo
economico e sociale sostenibile nei paesi partner; integrare meglio le attività
nel contesto della PESC e della PSDC all'interno della PEV, con particolare
riferimento alle riforme nel settore della sicurezza; favorire lo sviluppo
della cooperazione regionale; sviluppare ulteriormente l'impegno con la società
civile e il dialogo interreligioso e il rispetto della diversità culturale).
A venti giorni dalla pubblicazione del Documento di consultazione, la Commissione e l'Alto Rappresentante hanno presentato, come da prassi consolidata, una Comunicazione congiunta sull'"Attuazione della politica europea di vicinato nel 2014" (JOIN (2015) 9), accompagnata da due documenti di lavoro relativi rispettivamente al Partenariato orientale (SWD (2015) 76) e al Partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa con i paesi della sponda sud del Mediterraneo (SWD (2015) 75), nonché dalle relazioni annuali per paese.
La comunicazione osserva in primo luogo come nel 2014 il vicinato dell'UE abbia dovuto affrontare sfide considerevoli, dagli eventi in Ucraina e le pressioni sempre più forti esercitate dalla Russia sull'intera area del partenariato orientale alle crisi in Siria e Libia, alla ripresa delle ostilità a Gaza.
Nonostante tale quadro di forte instabilità, nel 2014
si sono verificati taluni sviluppi positivi, con la firma di tre accordi di
associazione con Georgia, Moldova e Ucraina, comprensivi di disposizioni su una
zona di libero scambio globale e approfondito (AA/DCFTA), che sanciscono le
relazioni contrattuali più ambiziose mai realizzate con paesi del vicinato. Sul
fronte meridionale, l'intensificazione delle relazioni con Marocco e Tunisia
rispecchiano la profondità e l'entità degli sforzi compiuti dai due paesi in
materia di riforme. Quanto infine alla migrazione e alla mobilità, la
Repubblica di Moldova ha soddisfatto tutti i parametri definiti nel suo piano d'azione
per la liberalizzazione dei visti, e dalla primavera del 2014 i suoi cittadini
possono recarsi nei paesi Schengen senza l'obbligo di visto. Tunisia e
Giordania hanno a loro volta firmato un partenariato per la mobilità con l'UE
nel corso del 2014.
Più nel dettaglio:
-
In
tema di democrazia e buon governo, positiva, nel complesso, è la
valutazione dei progressi compiuti da Moldova, Georgia, Tunisia e Marocco.
Quanto all'Ucraina, per la quale l'UE ha mobilitato un pacchetto finanziario
senza precedenti di oltre 11 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, i
processi di riforma sono stati rallentati per effetto della crisi militare
nella parte orientale del paese, al punto che la riforma costituzionale è stata
rinviata - oltre a non essere, secondo la commissione di Venezia del Consiglio
d'Europa, totalmente conforme agli standard internazionali -, la lotta contro
la corruzione rimane ancora in fase iniziale e i preparativi per un programma
di riforma nazionale unico procedono in modo lento e non uniforme. Il processo
di democratizzazione ha segnato una sostanziale battuta d'arresto in Egitto e
Azerbaigian, mentre la Bielorussia resta tuttora caratterizzata dalla mancanza
di progressi a livello di diritti umani, Stato di diritto e principi
democratici. Gli sviluppi politici in Israele e Palestina sono stati
negativamente influenzati dalla situazione regionale, dal carattere più
conflittuale dell'atmosfera politica e dalle ostilità a Gaza. L'impatto dei
conflitti armati in corso ha generato un deterioramento in Libia e Siria,
mentre Libano e Giordania hanno dimostrato una notevole resilienza di fronte ai
flussi regionali di rifugiati e alle ripercussioni della crisi siriana in
termini politici e di sicurezza. Per quanto concerne gli ambiti specifici nei
quali si articola l'impegno della PEV per la democrazia e il buon governo, si
rilevano sviluppi positivi per quanto riguarda le elezioni, che nel complesso,
e con riferimento a Tunisia, Ucraina, Israele e Moldova, sono state gestite in
modo soddisfacente; molto più disomogenei gli sviluppi per quanto riguarda la
libertà di espressione, la libertà della stampa e dei media, la libertà di
associazione, la libertà di religione o di credo, i diritti delle minoranze e
la lotta contro le discriminazioni (con assenza di sviluppi degni di nota in
Azerbaigian, Bielorussia, Egitto e Palestina), mentre si osservano segnali
incoraggianti sul fronte della riforma giudiziaria, con un miglioramento
dell'indipendenza e dell'efficienza del settore in Tunisia, Marocco, Libano,
Giordania e Moldova. Gli sviluppi nel vicinato sono stati invece scarsi e
disomogenei per quanto riguarda le strutture carcerarie e le condizioni di
detenzione, e il ricorso a torture e maltrattamenti resta diffuso. Viene infine
sottolineata la necessità di coinvolgere la società civile e le parti sociali
nei processi di transizione e riforma: a tal fine, durante tutto il 2014 sono
proseguiti i lavori sulle tabelle di marcia UE per l'impegno con la società
civile, che definiscono un quadro strategico per l'impegno con la società
civile su base locale;
- Per quanto attiene alla cooperazione a livello politico e di sicurezza, l'impegno dell'UE è reso ancor più necessario e urgente dall'aumento esponenziale dei problemi di sicurezza nel vicinato, provocato dalle minacce provenienti da gruppi terroristici come Daesh, dal protrarsi dei conflitti, dall'espansione della criminalità organizzata e dalle crisi scoppiate a seguito della ridefinizione forzata di confini. Esso si è sostanziato attraverso vari strumenti e meccanismi quali i dialoghi politici e sui diritti umani, le missioni PSDC (EUMM Georgia, EUPOL COPPS in Palestina), le missioni di assistenza alle frontiere (EUBAM) in Moldova, Ucraina, Libia e al valico di Rafah (Gaza) e la missione consultiva dell'UE per la riforma del settore della sicurezza civile in Ucraina (EUAM Ucraina), nonché attraverso il dialogo e il coordinamento con i partner regionali e internazionali nella lotta contro il terrorismo. Continuo è stato infine il sostegno alla riforma del settore della sicurezza nel vicinato, con lo scopo di creare servizi di sicurezza responsabili nei paesi partner che rispettino i principi di controllo democratico e lo Stato di diritto;
- Quanto alla integrazione economica con l'UE, l'Unione rimane il principale partner economico e commerciale per la maggior parte dei paesi PEV. Il quadro dei rapporti economici appare tuttavia contraddittorio: per quanto concerne il partenariato orientale, del tutto positivo nel caso di Moldova e Georgia con la firma degli AA/DCFTA; incerto nel caso dell'Ucraina - che, anche a causa della difficile situazione macroeconomica, ha adottato restrizioni commerciali e altre misure che rischiano di vanificare il miglioramento delle relazioni commerciali e deteriorare il clima imprenditoriale; negativo nel caso dell'Armenia, a seguito della firma, il 10 ottobre 2014, del trattato con Russia, Kazakistan e Bielorussia per l'ingresso dell'Armenia stessa nell'Unione economica eurasiatica a partire dal 2015. Quanto al vicinato meridionale, sono proseguiti i negoziati su una DCFTA con il Marocco e il processo preparatorio di tali negoziati con Tunisia e Giordania. In tema di trasporti ed energia, il quadro appare disomogeneo, con punte positive rappresentate da Marocco, Tunisia e Ucraina per quanto riguarda i trasporti, e con sviluppi significativi anche per l'energia, come l'accordo trilaterale sul gas concluso il 30 ottobre 2014 tra UE, Ucraina e Federazione russa, il varo, il 20 settembre 2014, del corridoio meridionale di trasporto del gas tra Azerbaigian ed Europa sud-orientale, e l'inaugurazione, il 27 agosto 2014, dell'interconnettore di gas Iasi-Ungheni tra Romania e Moldova. Altri settori nei quali si sono registrati progressi significativi, anche se non del tutto omogenei, sono quelli dei progetti per le PMI, della cooperazione nel settore ambientale e del dialogo su ricerca e innovazione;
- Per quanto attiene infine ai temi della migrazione e della mobilità, la cooperazione in questi settori è stata un elemento fondamentale delle relazioni dell'UE con i paesi partner. A fine 2014, risultavano firmati partenariati per la mobilità con Armenia, Azerbaigian, Georgia, Giordania, Moldova, Marocco e Tunisia, mentre sono proseguiti i negoziati per un accordo di riammissione e facilitazione del visto con la Bielorussia e a dicembre 2014 è stato avviato il dialogo UE-Libano su migrazione, mobilità e sicurezza. Accanto a tale intensa cooperazione in tema di mobilità e migrazione regolare va tuttavia registrato il forte incremento dei flussi di migranti irregolari, secondo una tendenza generale riconducibile principalmente agli sviluppi politici osservati dal 2011 nel vicinato meridionale. Più di 277.000 migranti irregolari sono entrati nell'UE nel 2014, e la tratta di esseri umani ha subito un incremento analogo. Come dimostrano le tragiche perdite di vite umane verificatesi nel Mediterraneo in tutto il 2014 e nei primi otto mesi del 2015, è indispensabile che l'UE coordini la definizione delle sue politiche con i paesi partner meridionali e oltre i loro confini. Dato che i paesi partner della PEV sono perlopiù paesi di transito della migrazione irregolare, l'UE associa alle discussioni su questo tema i "vicini dei vicini", e in particolare le autorità dei paesi dell'Africa centroccidentale e dell'Africa orientale nell'ambito rispettivamente del "processo di Rabat" e del "processo di Khartoum".
La comunicazione della Commissione si sofferma infine sul fatto che molte delle sfide economiche, sociali e di sicurezza che si pongono ai paesi del vicinato siano direttamente legate ai bassi livelli di integrazione regionale, e che la cooperazione regionale risulti indispensabile per affrontare sfide comuni quali la migrazione irregolare, il terrorismo, il traffico di armi o l'inquinamento transfrontaliero, che richiedono una risposta coordinata. Il suo rafforzamento rimane quindi un tema prioritario nell'agenda della PEV, che esso si applichi alla sua dimensione orientale (rappresentata dal Partenariato orientale) o a quella meridionale (rappresentata dal partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa e dall'Unione per il Mediterraneo).
Per quanto concerne il partenariato orientale, i legami con i paesi partner sono stati notevolmente rafforzati attraverso gli AA/DCFTA, che prevedono ambiziosi programmi di riforme politiche, economiche e sociali, e le quattro piattaforme tematiche in cui il partenariato stesso si articola (governance, integrazione economica e crescita, sicurezza energetica, contatti people to people) hanno continuato a riunirsi due volte l'anno per esaminare e discutere le prossime fasi del dialogo politico con l'Unione. Il vertice del partenariato orientale, tenutosi a Riga il 21 e 22 maggio prossimi, ha consentito di valutare l'attuazione degli impegni concordati e i progressi compiuti, auspicando al contempo un forte rilancio del processo di integrazione politica ed economica.
Per quanto attiene invece al vicinato meridionale, il clima politico generale di forte tensione ha fortemente compromesso le possibilità di cooperazione regionale, al punto che la regione nel suo insieme resta tra le meno integrate al mondo. Per far fronte in particolare alle potenziali ricadute del conflitto siriano e del fenomeno, a esso collegato, dei foreign fighters, l'UE ha intensificato la cooperazione con i partner meridionali nella lotta al terrorismo, e a marzo 2015 è partito un progetto in tal senso con i partner arabi, finanziato dallo strumento per il vicinato e attuato dall'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) e dalla Direzione esecutiva antiterrorismo delle Nazioni Unite (UNCTED) con la partecipazione delle istituzioni e degli Stati membri dell'UE. L'Unione e i partner meridionali hanno continuato ad adoperarsi per l'indispensabile rafforzamento dell'integrazione regionale, in particolare attraverso l'Unione per il Mediterraneo (che nel corso del 2014 ha tenuto tre importanti riunioni ministeriali, dedicate alla cooperazione industriale, all'economia digitale e ad ambiente e cambiamenti climatici, nonché sei riunioni a livello di Alti Funzionari[3]) e la Lega degli Stati arabi. L'Unione ha inoltre profuso ulteriori sforzi per intensificare la cooperazione con i paesi del Maghreb e con l'Organizzazione per la cooperazione islamica (OIC).
a) Consiglio
Il Consiglio ha approvato le proprie conclusioni
sul Documento di consultazione della Commissione lo scorso 20 aprile. Ha
sottolineato, tra l'altro:
- Che la PEV rappresenta un elemento chiave sia per la PESC che per le altre aree in cui si articola l'azione esterna dell'Unione, ed è pertanto necessario rivederne principi e prassi, in modo da farne un quadro di riferimento per le relazioni a lungo termine con tutti i partner e da garantirne la flessibilità e l'adattabilità al rapido mutare degli scenari geopolitici;
- Che è necessario assicurare il pieno coinvolgimento degli Stati membri in tutti gli stadi del processo di revisione;
- Che le quattro aree individuate nel Documento (Differenziazione, Focalizzazione, Flessibilità e Titolarità) riflettono i principi base che dovrebbero contribuire ad allineare la PEV alle priorità politiche e agli interessi fondamentali dell'Unione;
- Che la PEV rivista dovrebbe tener conto degli interessi e delle esigenze dell'Unione e dei suoi vicini, dell'impegno per le riforme da parte dei paesi partner, del livello di ambizione del partenariato, delle sfide mutevoli con cui esso si confronta e del contesto geopolitico. La PEV dovrebbe pertanto essere in grado di rispondere in modo flessibile all'evolversi del contesto regionale e alle eventuali crisi, preservando al contempo la propria continuità e affidabilità;
- Che l'Unione dovrebbe presentare con maggiore efficacia l'impatto che la PEV ha sulle vite delle persone e dei cittadini dei paesi partner, attraverso uno sforzo strategico di comunicazione e iniziative volte ad accrescerne la visibilità;
- Che è della massima importanza sviluppare ulteriormente l'integrazione e il dialogo all'interno delle specifiche dimensioni regionali del vicinato, con particolare riferimento al Partenariato orientale e all'Unione per il Mediterraneo.
Il Consiglio ha altresì invitato l'Alto Rappresentante e la Commissione:
- A sviluppare una serie di proposte volte a garantire la coerenza della PEV con le dimensioni PESC/PSDC dell'azione esterna dell'Unione, con particolare riferimento alla stabilità dell'area e in linea con l'approccio globale e la dimensione esterna di altre politiche dell'Unione particolarmente rilevanti, come l'area di libertà, sicurezza e giustizia;
- A individuare le procedure per far sì che il sostegno dell'Unione attraverso gli strumenti della PEV sia più flessibile e in grado di reagire a una situazione in costante evoluzione, incoraggiando al contempo forme efficaci di coordinamento tra tutti i donatori, interni ed esterni all'UE;
- A presentare le proprie proposte di riforma entro l'autunno del 2015.
Le conclusioni rispettano un consenso tra gli Stati
membri su quasi tutti i pilastri del Documento di consultazione. Taluni
elementi di contrasto sono tuttavia emersi sul riferimento ai cd. "vicini
dei vicini" e sul loro ruolo per accrescere l'efficacia della PEV, con
un'opposizione tra Paesi decisamente favorevoli a un riferimento specifico e
"forte" (tra cui l'Italia) e Paesi più perplessi. Il testo approvato
rispecchia tale polarizzazione, optando per una formula aperta, che sembra
preludere a un ulteriore approfondimento in sede di dibattito e a esito della
consultazione. Esso infatti recita: "Il Consiglio riconosce che il più
ampio contesto geografico dei nostri partner e delle loro relazioni con i
rispettivi vicini rappresenta un elemento importante, con un impatto
significativo sulla PEV. Spetta esclusivamente all'Unione e ai suoi partner
decidere sovranamente come procedere nelle rispettive relazioni".
b) Parlamento europeo
Il Parlamento europeo ha approvato la propria risoluzione sulla revisione della politica di vicinato il 9 luglio 2015 (relatore Eduard Kukan, Slovacchia, Gruppo PPE).
In essa, tra l'altro:
- Ha sottolineato come la PEV sia parte essenziale della politica estera dell'UE e debba restare una politica unica, iscrivendosi nel quadro dell'azione esterna dell'Unione "il cui potenziale e la cui unicità si basano sulla vasta gamma di strumenti disponibili da utilizzare nei settori della diplomazia, della sicurezza, della difesa, dell'economia, del commercio, dello sviluppo e degli aiuti umanitari;
- Ha posto l'accento sulla necessità che la PEV rinnovata risulti più strategica, mirata, flessibile e coerente e ha chiesto a tal fine la nomina di rappresentanti speciali per la regione orientale e meridionale, "con l'incarico del coordinamento politico della politica rivista e della partecipazione in tutta l'azione dell'UE nel vicinato", sottolineando altresì la necessità "di coerenza e piena conformità tra la revisione della PEV e la revisione della strategia dell'UE in materia di sicurezza;
- Ha invitato l'Alto rappresentante a elaborare "proposte di cooperazione con i paesi vicini europei favorevoli, basate sul modello dello Spazio economico europeo, che potrebbero rappresentare un ulteriore passo verso la lorio prospettiva europea, essere basate su una maggiore inclusione nello spazio dell'UE in termini di libertà e di piena integrazione nel mercato comune e includere altresì una più stretta collaborazione nell'ambito della PESC;
- Ha espresso il suo rammarico per la ristrettezza delle risorse stanziate per la politica di vicinato, "in particolare a paragone dei livelli notevolmente più elevati di risorse investite nei paesi della PEV dai soggetti interessati dei paesi terzi", e sottolineato l'esigenza di razionalizzare il sostegno e incrementare i fondi;
- Pur nel ribadire che PEV e politica di allargamento sono politiche separate, con obiettivi differenti, ha ribadito che i paesi europei rientranti nella PEV, come del resto qualsiasi paese europeo, possono candidarsi per l'adesione se soddisfano i criteri e le condizioni previste dall'art. 49 del TUE; pertanto, "pur riconoscendo che la riforma e la transizione devono prevalere e senza alcuna intenzione di aumentare le aspettative non realistiche", ha rilevato come "una prospettiva di adesione debba essere accolta come incentivo per tutti i paesi ammissibili e che abbiano espresso chiare aspirazioni e ambizioni europee";
- Ha sottolineato l'esigenza di applicare la condizionalità in modo efficace in relazione ai processi di riforma, evidenziando che l'UE "non può compromettere i suoi valori e diritti fondamentali e deve evitare la creazione di doppie norme", o l'adozione di pesi e misure differenti per ragioni di ordine geopolitico;
- Ha chiesto di aggiungere alle relazioni bilaterali con i paesi della PEV la dimensione multilaterale, prestando particolare attenzione al rafforzamento del dialogo attivo con la società civile e rafforzando le piattaforme di cooperazione in essere, vale a dire Unione per il Mediterraneo e Partenariato orientale, al fine di sostenere ulteriormente l'integrazione regionale;
- Ha invitato l'Unione europea "a esaminare e individuare, insieme ai suoi partner, le priorità per una cooperazione e integrazione rafforzate in diversi settori politici quali lo sviluppo economico e umano, la prevenzione dei conflitti e delle catastrofi, le infrastrutture e lo sviluppo regionale, l'ambiente, le politiche per la concorrenza commerciale, le PMI, la migrazione, la sicurezza, l'energia e l'efficienza energetica";
- Ha sottolineato l'importanza della libera circolazione delle persone e sostenuto il miglioramento della mobilità nel vicinato, in modo sicuro e correttamente gestito, attraverso l'agevolazione e la liberalizzazione dei visti (in particolare per gli studenti, i giovani e i ricercatori), chiedendo al contempo l'inclusione dei partner "in programmi dell'UE quali Erasmus e Orizzonte 2020, poiché contribuiscono alla condivisione e alla creazione di reti e diversi livelli, oltre a costituire la base per la creazione di uno spazio comune di vicinato";
- Ha evidenziato che i piani d'azione "devono essere incentrati su un numero limitato di priorità realistiche da realizzare", e che la loro attuazione "deve essere oggetto di una periodica valutazione o quando ciò sia motivato dal mutamento delle circostanze con opzioni politiche da adottarsi di comune accordo.
Le Commissioni affari esteri del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati hanno entrambe approvato atti di indirizzo sul documento di consultazione della Commissione europea, rispettivamente il 16 giugno e il 5 agosto 2015.
I due documenti, analoghi e complementari nell'impostazione, individuano le seguenti priorità per la futura politica di vicinato:
- Maggiore integrazione della PEV in una riformata politica estera e di difesa comune, esaltando in questo senso il ruolo dell'Alto Rappresentante, del SEAE e, in particolare, della rete diplomatica europea;
- Mantenimento di un quadro unitario della PEV, ma introducendo forme più articolate di differenziazione, sia tra la dimensione meridionale e quella orientale sia all'interno di ciascuna di esse, da effettuare sulla base di un confronto con i partner sulle effettive priorità e potenzialità del rapporto e non partendo da classificazioni precostituite, tenendo conto cioè del diverso grado di preparazione ed evoluzione politica, economica e sociale dei Paesi coinvolti;
-
Centralità
del Mediterraneo in quanto fulcro di tre sfide
globali: il terrorismo, che ha per epicentro Nordafrica, Medio Oriente e Yemen;
l'Africa e la questione demografica, che trova riscontro nella pressione
migratoria rafforzata dalle migliaia di profughi che premono alle frontiere
dell'Unione europea, a nord come a sud; necessità, pertanto, quanto meno di
confermare la ormai consolidata modalità di ripartizione interna delle risorse
della PEV (due terzi al partenariato meridionale e un terzo al partenariato
orientale), rendendo al contempo più credibile e trasparente il flusso
complessivo delle risorse dell'Unione verso ciascun paese partner, anche
attraverso altri strumenti e fondi;
- Superamento del principio more for more, che implica una dinamica di matrice unilaterale ed è percepito dai partner come forma di "paternalismo istituzionale", e introduzione di elementi di maggiore differenziazione, che tengano conto dei punti e delle condizioni di partenza nella valutazione dei risultati raggiunti e che muovano da una disamina accurata, caso per caso, delle reali esigenze dei partner;
-
Introduzione
in ambito PEV di un coordinamento mirato alle politiche migratorie,
fondato sul dialogo con i paesi partner in vista di una gestione condivisa
delle dinamiche migratorie, nel quadro di un progressivo superamento di logiche
meramente emergenziali da realizzarsi attraverso l'auspicabile revisione del
Regolamento Dublino III, e dell'instaurazione di criteri solidaristici tra gli
Stati membri;
- Concentrazione degli strumenti e delle risorse della PEV in pochi settori prioritari, al fine di massimizzarne l'impatto, quali: promozione dell'occupazione giovanile, infrastrutture di trasporto e reti digitali; sostegno alle piccole e medie imprese; mobilità dei giovani, degli studenti e dei ricercatori; politiche sociali;
- Previsione di nuove forme di associazione e di dialogo che, anche se meno vincolanti e avanzate rispetto agli accordi di associazione e alle zone di libero scambio, siano comunque in grado di rinsaldare i rapporti tra l'UE e i suoi vicini tramite forme di sostegno più mirate;
- Avvio di una riflessione sull'efficacia dell'attività dell'Unione per il Mediterraneo e del partenariato orientale, valorizzando modelli di co-ownership e progressiva integrazione, non solo economica, più concreti, che tengano conto dei differenti livelli di dialogo tra i paesi dell'area e siano in grado di frane convergere gli interessi verso tematiche concrete di impatto immediato;
-
Allargamento
degli strumenti di dialogo ai "vicini dei vicini",
tanto nel vicinato meridionale, per il quale è essenziale rafforzare il dialogo
con i paesi di origine dei flussi migratori (in particolare quelli del Sahel e
del Corno d'Africa), quanto in quello orientale, attraverso un confronto
sistematico e ravvicinato con la Russia che non sempre, in passato, si è
dispiegato pienamente.
Fondi destinati ai partner della PEV nel quadro dello strumento europeo di vicinato e partenariato (2007-2013)
Sovvenzioni dell'UE ai partner della PEV nel quadro dello strumento europeo di vicinato Anno 2014
|
PAESI/PROGRAMMI |
Impegni |
Pagamenti |
Paesi mediterranei |
|
|
Algeria |
26,3 |
33,0 |
Egitto__ |
115,0 |
91,1 |
Israele |
- |
4,4 |
Giordania |
174,5 |
56,3 |
Libano |
146,1 |
78,2 |
Libia |
8,0 |
11,0 |
Marocco |
218,0 |
76,2 |
Territori palestinesi |
309,5 |
303,7 |
Siria |
61,3 |
2,0 |
Tunisia |
169,0 |
178,5 |
Subtotale programmi bilaterali |
1 227,7 |
834,5 |
Programmi regionali |
229,1 |
92,8 |
Totale paesi mediterranei |
1 456,8 |
927,3 |
|
|
|
Partenariato orientale |
|
|
Armenia |
34,0 |
23,2 |
Azerbaijian |
21,0 |
6,8 |
Bielorussia |
19,0 |
22,3 |
Georgia |
131,0 |
41,1 |
Moldavia |
131,0 |
93,7 |
Ucraina |
242,0 |
314,1 |
Subtotale progammi bilaterali |
578,0 |
501,1 |
Programmi regionali |
152,4 |
47,0 |
Totale Partenariato orientale |
730,4 |
548,1 |
|
|
|
Cooperazione transfrontaliera |
6,9 |
113,0 |
|
|
|
Erasmus + |
102,9 |
99,9 |
|
|
|
TOTALE GÉNÉRALE |
2 297,0 |
1 623,7 |
Fonte: Commissione europea
Nel corso degli ultimi
anni si è riconosciuto l’impatto che i cambiamenti climatici hanno sulla
sicurezza e sulla stabilità internazionali. Come evidenziato infatti dai dati
scientifici del gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico
(IPCC), i cambiamenti climatici costituiscono una sfida globale decisiva
che, se non gestita con urgenza, metterà a repentaglio non solo l'ambiente, ma
anche la prosperità economica, gli sforzi per ridurre la povertà, lo sviluppo
sostenibile e, più in generale, la pace, la stabilità e la sicurezza mondiali.
A maggior ragione
diventa cruciale procedere a livello internazionale verso un’economia a bassa
emissione di carbonio e uno sviluppo efficiente delle risorse,
contenendo l’aumento globale della temperatura a meno di 2 gradi Celsius, come
concordato nella Conferenza delle Nazioni Unite del 2010. A tale proposito si
ricorda che i negoziati internazionali sono entrati in una fase cruciale per
definire gli impegni collettivi oltre il 2015 e per concordare un accordo
vincolante e universale sul clima, accettato da tutte le nazioni.
Nel contesto internazionale, l’UE ricopre da tempo un ruolo di leadership sia grazie alla sua politica interna in materia di cambiamenti climatici (vedi infra), sia per la sua forte proiezione all’esterno: già da alcuni anni l’UE sta infatti mettendo in campo tutti gli strumenti di politica estera, incluso il dialogo politico e gli strumenti finanziari, per far avanzare l’agenda internazionale in materia di ambiente e cambiamento climatico.
In
particolare, l'UE è stata in prima linea nel dibattito sul cambiamento
climatico e le sue implicazioni per la sicurezza internazionale sin da quando,
nel 2007, il tema è stato sollevato per la prima volta nel Consiglio
di sicurezza delle Nazioni Unite. L’impegno si è tradotto nel marzo 2008
nella relazione
congiunta su cambiamento climatico e sicurezza internazionale,
predisposta dalla Commissione e dall’allora Alto Rappresentante per la Politica
Estera e di Sicurezza Comune, Javier Solana, in vista del Consiglio europeo.
La relazione
descrive i cambiamenti climatici come «moltiplicatori di minacce», che
esacerbano tendenze, tensioni e instabilità esistenti e individua una serie di
possibili rischi:
- conflitti causati da esaurimento delle risorse, per riduzione dei seminativi, diffusa carenza idrica, diminuzione delle scorte alimentari e ittiche, aumento delle alluvioni e siccità prolungate. Sulla base dei dati scientifici, i cambiamenti climatici modificheranno i regimi delle precipitazioni e ridurranno ulteriormente dal 20 al 30% la disponibilità di acqua dolce in talune regioni. Il rischio di conflitti sarà particolarmente elevato nelle situazioni già fragili o dove l'accesso a tali risorse è politicizzato;
- danno economico e rischio per le città costiere e le infrastrutture critiche, come le attrezzature portuali e le raffinerie petrolifere, per l'aumento del livello del mare e della frequenza ed intensità delle calamità naturali. È stato calcolato che uno scenario immutato nell'affrontare i cambiamenti climatici potrebbe costare all'economia mondiale fino al 20% del PIL globale all'anno, mentre il costo di un'azione concertata efficace può essere limitato all'1%;
- aumento delle controversie in materia di frontiere terrestri e marittime e di altri diritti territoriali, dovuti alla perdita di territorio per l'arretramento dei litorali e la sommersione di vaste aree o allo sfruttamento di risorse precedentemente non utilizzabili, per esempio nelle regioni polari;
- migrazione provocata da cause ambientali. Quelle parti delle popolazioni che già soffrono per le precarie condizioni sanitarie, la disoccupazione o l'esclusione sociale sono rese più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici, che potrebbero amplificare o provocare la migrazione all'interno dei paesi e tra i paesi, aumentando i conflitti nelle zone di transito e di destinazione;
- tensione per l'approvvigionamento energetico. Poiché gran parte delle riserve mondiali di idrocarburi si trova in regioni vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici e poiché molti stati produttori di petrolio e gas devono già far fronte a notevoli sfide socioeconomiche e demografiche, l'instabilità è destinata a crescere. Un eventuale ricorso più ampio alle attività nucleari finalizzate alla produzione di energia potrebbe suscitare nuove preoccupazioni in materia di proliferazione, nel contesto di un regime di non proliferazione che si trova già sotto pressione.
La
relazione riconosce che – sulla base di tali considerazioni – la sfida
fondamentale consiste nel fatto che i cambiamenti climatici minacciano
di sopraffare stati e regioni già fragili ed esposti a conflitti; il tema del
cambiamento climatico va pertanto posto al centro della politica di sicurezza
dell’UE. I rischi non sono solo di natura umanitaria, ma comprendono anche
rischi politici e per la sicurezza che colpiscono direttamente gli interessi
europei. Inoltre, in linea con il concetto di sicurezza umana, è chiaro che molte
questioni connesse all'impatto dei cambiamenti climatici sulla sicurezza
internazionale sono collegate tra loro e richiedono risposte politiche globali.
Secondo
la relazione, l'UE si trova in una posizione unica per rispondere agli impatti
dei cambiamenti climatici sulla sicurezza internazionale, dati il suo ruolo
guida nello sviluppo, la politica globale sul clima e l'ampia gamma di mezzi e
strumenti di cui dispone. Inoltre, la sfida alla sicurezza fa appello ai punti
di forza dell'Europa, con il suo approccio globale alla prevenzione dei
conflitti, alla gestione delle crisi e alla ricostruzione postbellica, e in
quanto principale soggetto promotore di un multilateralismo efficace.
In particolare la relazione ha ravvisato la necessità – da un lato - di rafforzare le capacità dell'UE in materia di analisi, osservazione e allarme rapido di fronte a situazioni particolari di fragilità e - dall’altro - di promuovere il rafforzamento della cooperazione internazionale in materia di individuazione e monitoraggio delle minacce per la sicurezza collegate ai cambiamenti climatici, e di capacità di prevenzione, preparazione, mitigazione e reazione.
Sempre nel 2008, nell’ambito della revisione della strategia
europea in materia di sicurezza, l’UE ha identificato il cambiamento climatico
come una sfida strategica e non semplicemente come una questione ambientale e
ha riconosciuto il collegamento tra riscaldamento globale e competizione per le
risorse naturali. Il tema avrà infine ampio spazio nella nuova strategia di
sicurezza che il Consiglio europeo di dicembre 2013 ha incaricato il Servizio
europeo per l’azione esterna (SEAE) di ridisegnare.
Sui cambiamenti climatici l'UE ha assunto gli impegni più ambiziosi e giuridicamente vincolanti del mondo ed è in prima linea nei negoziati internazionali per la conclusione di un nuovo accordo mondiale sul clima, che dovrebbe essere finalizzato entro il 2015 e attuato a partire dal 2020.
I suoi sforzi in questo settore risalgono al 1990, quando l’UE si impegnò, con successo, a stabilizzare entro il 2000 le sue emissioni di biossido di carbonio (CO2) ai livelli di quell’anno. Da allora, l’UE ha attuato una serie di misure per ridurre le emissioni di gas serra.
Nel 2009, con il “pacchetto clima-energia”, l’UE ha fissato per il 2020 i c.d. “obiettivi 20-20-20”, e cioè:
· la riduzione almeno del 20%, entro il 2020, delle emissioni di gas serra derivanti dal consumo di energia nell’UE rispetto ai livelli del 1990 (e addirittura del 30% in presenza di analoghi impegni da parte di altri paesi);
· l’aumento al 20% della percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2020;
· il miglioramento del 20% dell’efficienza energetica.
Tale impegno ha dato risultati positivi sul versante del rispetto degli obiettivi del protocollo di Kyoto: nel 2012 le emissioni hanno registrato i livelli più bassi dal 1990. In particolare, le emissioni totali di gas a effetto serra dell'UE (escluse le emissioni derivanti dal trasporto aereo internazionale e dalle attività LULUCF, legate alla destinazione dei suoli, ai cambiamenti di tale destinazione e alla silvicoltura) sono diminuite del 19,2% rispetto ai livelli 1990 e del 21, 6% rispetto a quelli degli anni di riferimento di Kyoto (2008-2012).
Le ultime statistiche annuali disponibili (Eurostat) evidenziano la continuità della tendenza positiva: nel 2013 le emissioni di CO2 derivanti dalla combustione di combustibile fossile sono diminuite nell’UE del 2,5% rispetto al 2012.
Emissioni di gas serra globali (incluso il consumo del suolo – LULUCF) - %
Fonte: United Nations, Framework Convention on Climate Change (UNFCCC), 2015
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Totale
emissioni di gas serra dell’UE (1990-2012) Fonte: Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA), 2014
Riduzione emissioni gas effetto serra UE (1990-2012) Fonte: Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA), 2014
I risultati positivi dell’UE sono riconducibili, al netto degli effetti della crisi economica, all’adozione di politiche specifiche perseguite in materia di lotta ai cambiamenti climatici, politiche che, in ogni caso, richiedono un consolidamento e uno sforzo ulteriore, con riferimento ai diversi aspetti interessati (riduzione delle emissioni, adattamento ai cambiamenti climatici, finanziamenti a favore del clima).
Rispondendo a tali esigenze, il Consiglio europeo del 22-23 ottobre 2014 ha raggiunto un accordo sul quadro per le politiche dell'energia e del clima per il periodo successivo al 2020, che fissa:
· l’obiettivo vincolante di riduzione del 40% nel 2030 delle emissioni di gas a effetto serra rispetto al 1990, da realizzare con una riduzione annuale del tetto delle emissioni del sistema ETS dell'UE del 2,2% a partire dal 2020 e una riduzione delle emissioni dei settori non inclusi nel sistema ETS, da suddividere equamente tra gli Stati membri sotto forma di obiettivi nazionali vincolanti;
· l'obiettivo di raggiungere entro il 2030, a livello di Unione, una quota di energia proveniente da fonti rinnovabili consumata nell'UE di almeno il 27%, mediante un impegno esplicito in tal senso assunto dagli stessi Stati membri con il sostegno di meccanismi e indicatori di attuazione rafforzati a livello dell'UE;
· un obiettivo di risparmio energetico del 30% per il 2030;
· un nuovo sistema di governance, basato su piani nazionali intesi a rendere competitivo, sicuro e sostenibile il settore energetico.
Secondo le valutazioni dell’UE, la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra non soltanto contribuisce a sventare il pericolo del cambiamento climatico: trasformando l'Europa in un'economia ad alta efficienza energetica e a bassa emissione di CO2 imprime anche slancio all'economia, crea occupazione e rafforza la competitività del continente.
Stando ai dati di Eurostat relativi al 2012, nell'UE sono già 4,3 milioni gli occupati nelle industrie verdi, segno di un vero e proprio exploit dell'industria europea in un'epoca di rallentamento dell'economia. Secondo le stime il quadro di politica climatica ed energetica a orizzonte 2030 creerebbe in Europa fino a 700 000 nuovi posti di lavoro, mentre obiettivi più ambiziosi per energie rinnovabili e efficienza energetica potrebbero aumentare l'occupazione netta persino di 1,2 milioni di posti di lavoro.
Allo scopo di presentarsi alla Conferenza di Parigi del dicembre 2015 (COP 21) - la sede in cui si dovrebbe arrivare ad un accordo internazionale sul clima - forte di una posizione unitaria e di obiettivi ambiziosi condivisi al suo interno, la Commissione europea ha presentato, il 25 febbraio, la comunicazione "Il Protocollo di Parigi – un documento per affrontare il cambiamento climatico globale oltre il 2020" – che concretizza le decisioni prese dal Consiglio europeo dell'ottobre 2014 e che è imperniata sulla proposta di un accordo giuridicamente vincolante, basato su impegni equi e ambiziosi di tutte le parti, per raggiungere l'obiettivo a lungo termine di una riduzione di almeno il 60% delle emissioni di gas serra entro il 2050 (rispetto al 2010), come si è deciso alla conferenza delle Nazioni Unite a Lima (COP 20).
La Commissione propone che l'accordo che si vorrebbe raggiungere a Parigi assuma la forma di un protocollo alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che entrerebbe in vigore una volta ratificato dai paesi che rappresentano l'80% delle emissioni globali. L'Unione europea (9% delle emissioni globali) e i due maggiori emettitori - Cina (24%) e Stati Uniti (12%) dovrebbero essere i primi a procedere.
Il protocollo dovrebbe basarsi su una congrua ripartizione dello sforzo collettivo globale (l’Unione europea propone per sé l’obiettivo di una riduzione del 40% delle emissioni). La Commissione propone che la Cina, gli Stati Uniti, altre grandi economie e paesi a medio reddito assumano impegni di peso analogo, mentre i paesi meno sviluppati dovrebbero beneficiare di una maggiore flessibilità. Il protocollo dovrebbe essere rivisto ogni cinque anni, per adeguare il livello di ambizione ai progressi scientifici; incoraggiare lo sviluppo sostenibile e resiliente, promuovendo la cooperazione internazionale; promuovere l'effettiva attuazione delle sue disposizioni, attraverso politiche che mobilitino investimenti pubblici e privati per lo sviluppo a basso tenore di carbonio.
La cooperazione con i paesi terzi rappresenta uno strumento importante di azione per promuovere la lotta al cambiamento climatico e minimizzare gli impatti sulla sicurezza europea e mondiale.
L’UE
promuove un'ulteriore integrazione dell'adattamento e della resilienza ai
cambiamenti climatici nei dialoghi con i paesi terzi – privilegiando
USA, Cina, Brasile e Sudafrica e, a livello regionale, Asia centrale e Maghreb
- e nelle strategie regionali dell'UE, con particolare attenzione alle
regioni più vulnerabili ed alle potenziali zone critiche per la sicurezza
climatica.
A
tale proposito, come preannunciato nella citata relazione del 2008, nel 2012 è
stata presentata la strategia
per l’Artico, riconosciuto come un elemento vitale e vulnerabile del
sistema ambientale e climatico del nostro pianeta in cui i cambiamenti
climatici sono più visibili che in qualsiasi altra parte del mondo. L’aumento
della temperatura e il conseguente scioglimento dei ghiacciai hanno infatti
comportato l’apertura di nuove rotte di trasporto e lo sfruttamento delle
risorse naturali e minerarie. Tale cambiamento della situazione ambientale ed
economica ha imposto all'Unione europea di impegnarsi maggiormente con i
partner artici per un'azione comune volta a tutelare l'ambiente e a garantire
al tempo stesso lo sviluppo sostenibile e la sicurezza della regione.
Sul
versante della cooperazione economica, l’UE e i suoi Stati membri sono
già i principali fornitori di aiuto pubblico allo sviluppo (APS) e di
finanziamenti per la lotta ai cambiamenti climatici nei paesi in via di
sviluppo nel periodo 2010-2012 l'UE e i suoi Stati membri hanno stanziato
7,34 miliardi di euro per finanziamenti rapidi. Nel 2013, i
finanziamenti per il clima ai paesi in via di sviluppo da parte dell’UE
sono stati pari a 9,5 miliardi sotto forma di sovvenzioni e
soprattutto, di prestiti.
Come
stabilito dal Consiglio europeo di febbraio 2013, per il periodo 2014-2020
si prevede di stanziare circa 14 miliardi di euro di finanziamenti dal
bilancio UE per sostenere azioni sul clima nei paesi partner al di
fuori dell'UE (pari a circa 2 miliardi di euro annui), con priorità per i paesi
più poveri e vulnerabili. Tale sforzo, congiunto alla mobilitazione attraverso
il Fondo verde per il clima[4]
di oltre 10 miliardi di dollari, di cui la metà derivanti da contributi degli
Stati membri, l’UE intende dimostrare ai paesi terzi che il suo impegno a
sostegno di uno sviluppo verde è credibile.
L’iniziativa denominata Global Climate Change Alliance (GCCA) fornisce inoltre sostegno tecnico e finanziario ai paesi in via di sviluppo per integrare le politiche del clima nelle loro agende e nei loro bilanci e per attuare progetti che traducano il cambiamento climatico in azioni concrete. L’iniziativa costituisce anche una piattaforma per il dialogo e lo scambio di esperienze.
Sulla base dell’esperienza acquisita con la rete della diplomazia verde, istituita nel 2003, a partire dal 2011 l’UE ha inaugurato la cosiddetta "diplomazia climatica", finalizzata ad assicurare, attraverso un efficace sforzo diplomatico, che gli impatti del cambiamento climatico siano affrontati con i paesi terzi ai più alti livelli politici.
Il Consiglio se ne è occupato a più riprese, nelle sue conclusioni del 18 luglio 2011, 24 giugno 2013 e del 20 luglio 2015.
L’iniziativa sensibilizza i funzionari preposti alla politica estera dell’UE sui temi ambientali, per aiutare a combinare sempre più strettamente le questioni di politica estera e le relazioni esterne con le strategie dell’UE in materia di cambiamento climatico. A tale scopo, il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) ha introdotto attività di formazione regolare per i funzionari sull’impatto del cambiamento climatico sulla sicurezza globale, e ha commissionato numerosi studi sull’argomento.
Come ricordato dal Consiglio del luglio 2015, “affrontare le minacce che moltiplicano i rischi legati ai cambiamenti climatici, compresi potenziali conflitti e instabilità, connessi all'accesso sicuro al cibo, all'acqua e all'energia, richiede iniziative e risposte concrete di politica estera a livello mondiale e dell'UE”. A tal fine il Consiglio è impegnato ad affrontare la dimensione di sicurezza dei cambiamenti climatici, tra l'altro costruendo la propria componente di diplomazia climatica quale parte intrinseca della sua politica estera”.
Disponendo della più grande rete diplomatica del mondo – con 3.000 tra delegazioni UE e ambasciate degli Stati membri e 90.000 funzionari - l’UE ha collettivamente una enorme capacità di politica estera, che andrà mobilitata per realizzare i suoi obiettivi in materia di cambiamenti climatici e favorire il raggiungimento a livello internazionale di un accordo ambizioso per il post 2020.
Sulla
base delle riflessioni del SEAE e dei servizi della Commissione, a gennaio
2015 i ministri degli Esteri dell’UE hanno approvato un piano d’azione
diplomatico in materia di clima per il 2015 che si muove lungo tre linee
strategiche:
·
cambiamenti
climatici come priorità strategica nei dialoghi politici e nelle iniziative
diplomatiche, con l’obiettivo di incrementare la visibilità degli sforzi
dell’UE e mobilitare le economie avanzate e i maggiori soggetti emettitori di
gas ad effetto serra per costruire un’alleanza globale, coinvolgendo in tale
processo anche il Parlamento europeo e le Assemblee parlamentari degli Stati
membri. Si tratta di assicurarsi che il tema sia inserito come oggetto di
discussione in tutte le riunioni e gli incontri più importanti, a livello
bilaterale, regionale e internazionale, di promuovere una stretta cooperazione
con i paesi candidati e potenziali candidati, in particolare attraverso i
progetti di twinning, di integrare ulteriormente l'adattamento e la
resilienza ai cambiamenti climatici nelle strategie regionali dell'UE con particolare
attenzione alle regioni più vulnerabili ed alle potenziali zone critiche per la
sicurezza climatica. Tra i partner si tratta di porre particolare attenzione a
USA, Cina, India, Russia, Brasile e Sudafrica, così come – a livello regionale
– ad Africa, Asia centrale e Maghreb. A livello multilaterale, l’UE è impegnata
ad assicurare che il tema del cambiamento climatico e della sicurezza sia in
cima all’agenda degli incontri multilaterali, quali G7/8, G20, Forum delle
maggiori economie e Assemblea generale delle Nazioni Unite;
· sostenere uno sviluppo a basse emissioni e resiliente ai cambiamenti climatici e alle catastrofi attraverso la cooperazione allo sviluppo dell’UE. L’UE pone già il tema nei piani di sviluppo nazionale, nelle strategie per la riduzione della povertà e negli investimenti pubblici e privati. Si tratta di dimostrare con chiarezza ai paesi in via di sviluppo che un percorso di sviluppo verde è credibile, che il modello europeo verso un‘economia a basso tenore di carbonio è competitivo e che l’UE ha la piena volontà di condividere la propria esperienza con i paesi partner. Occorre mantenere i propri impegni in termini di aiuti e incrementare il livello dei finanziamenti pubblici e privati nonché avviare in sede internazionale serie riflessioni nel quadro dell’Agenda post-2015 sulla stretta connessione tra finanziamenti allo sviluppo e lotta al cambiamento climatico;
· collegare il cambiamento climatico alle sue potenziali conseguenze a lungo termine, ivi compresi i problemi di sicurezza, attraverso un’agenda diplomatica preventiva che punti ad evitare conflitti violenti e insicurezza attraverso cooperazione, dialogo e azioni tempestive. Le istituzioni dell’UE si raccomandano di non perdere alcuna occasione per avviare dibattiti e riflessioni sulle implicazioni di lungo termine del cambiamento climatico come moltiplicatore di rischi.
Il piano d’azione prevede azioni specifiche e concrete per il 2015, tra le quali, a titolo esemplificativo l’organizzazione di una giornata dedicata all’azione diplomatica per il clima (avvenuta il 17 giugno); la nomina di un coordinatore dell’UE in materia di cambiamento climatico per ogni paese terzo; la produzione di un resoconto da parte di ciascuna delegazione UE nei paesi terzi, con la valutazione della situazione del paese ospitante e dei suoi impegni in materia; l’organizzazione di periodiche sessioni di condivisione di informazioni tra delegazioni dell’UE, ambasciate degli Stati membri e paesi partner; identificazione di figure pubbliche europee come difensori del clima.
Vi sono anche altre politiche unionali che possono contribuire agli obiettivi dell’UE nell’ambito dei cambiamenti climatici:
· ricerca scientifica, sviluppo tecnologico e innovazione. L’UE trarrà maggiori vantaggi dalla completa apertura del proprio programma quadro Orizzonte 2020 ai paesi terzi, consentendo ai paesi meno sviluppati di beneficiare di sostegno finanziario. L’impegno è quello di investire almeno 28 miliardi di euro in azioni legate al clima a titolo di questo programma. Una parte di questi fondi consentirà, grazie a una vasta collaborazione internazionale, di immettere sul mercato le tecnologie inerenti al clima, di formare scienziati e imprenditori e di contribuire agli obiettivi della diplomazia in materia di clima;
· politica commerciale. Negli accordi commerciali bilaterali l’UE e i suoi partner di libero scambio s’impegnano a promuovere gli obiettivi climatici e ad attuare efficacemente la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), anche attraverso regolari dialoghi strutturati e una cooperazione sulle questioni climatiche e commerciali. Nel quadro del regime delle preferenze generalizzate SPG+[5] l’UE offre un maggiore accesso al proprio mercato ai paesi in via di sviluppo che hanno ratificato e che applicano debitamente le convenzioni internazionali, anche in materia di cambiamenti climatici. Nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), l’UE è all’opera, con i partner commerciali, per concludere entro il 2015 un accordo internazionale importante sulla liberalizzazione degli scambi di beni e servizi ambientali, al fine di aumentare la diffusione e l’adozione di tecnologie rispettose del clima e della politica ambientale. Il rispetto degli impegni assunti dall’UE a titolo del piano strategico mondiale per la biodiversità, sanciti nella strategia dell’Unione europea in materia di biodiversità, sarà di fondamentale importanza per affrontare i cambiamenti climatici, generando in parallelo benefici sociali, economici e culturali;
· riduzione del rischio di catastrofi. La cooperazione dell’UE in materia di gestione del rischio di catastrofi, in cui rientra l’elaborazione di valutazioni nazionali dei rischi che considerano anche gli effetti dei cambiamenti climatici e il rafforzamento della capacità di gestione del rischio, contribuisce a migliorare l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Il vertice dei Capi di Stato e di Governo del G7 svoltosi in Germania all’inizio di giugno è stato preceduto come ogni anno da numerose riunioni a livello ministeriale, che hanno approfondito problematiche settoriali: in particolare, il 14-15 aprile 2015 vi è stato un incontro dei ministri degli affari esteri del G7 a Lubecca, al termine del quale è stata predisposta, all’interno del comunicato finale, una sezione su clima e sicurezza, nella quale i ministri hanno definito il cambiamento climatico come potenziale minaccia non solo per l’ambiente, ma anche per la sicurezza globale. In mancanza di adeguati sforzi per la mitigazione degli effetti e per l’adattamento ad essi, i cambiamenti provocati dall’aumento delle temperature e dal mutamento del carattere delle precipitazioni aumenteranno il rischio di instabilità e di conflitto, soprattutto in quegli Stati e regioni che già sperimentano situazioni di fragilità.
I ministri hanno riconosciuto che gli appuntamenti internazionali del 2015, tra i quali la Conferenza per il finanziamento dello sviluppo, la Conferenza sull’Agenda post-2015, la Conferenza delle Parti della Convenzione sulla desertificazione e il Vertice umanitario mondiale, offrono un’opportunità unica per rendere maggiormente coerenti gli sforzi internazionali per la riduzione dei rischi posti dal cambiamento climatico, nonché per sostenere la preparazione e la resilienza nei confronti dei disastri.
Proprio perciò i ministri hanno salutato con favore lo studio commissionato da loro stessi nel 2014 ad un consorzio internazionale di centri di studio, e presentato in occasione del summit di Lubecca con il titolo “Un nuovo clima per la pace: agire sui rischi di fragilità collegati al clima”, nel quale si analizzano i molteplici profili di rischio che il cambiamento climatico comporta nei confronti di Stati e regioni fragili, e si raccomanda ai governi del G7 di agire concordemente allo scopo di accrescere la resilienza e ridurre la fragilità di fronte al cambiamento climatico globale.
Alla luce di tutto ciò i ministri hanno concordato sulla necessità di una maggiore comprensione dei rischi associati al cambiamento climatico, anche mettendo in atto specifiche azioni ed esercizi diplomatici per una migliore valutazione delle sfide di sicurezza correlate al cambiamento climatico, e per meglio assistere i Paesi terzi nella preparazione e nella risposta a tali rischi.
Conseguentemente i ministri hanno deciso di istituire un gruppo di lavoro per la valutazione delle raccomandazioni dello studio per tutto l’arco del 2015, così da essere in grado di presentare a sua volta un rapporto al G7 sulla possibile attuazione di quelle raccomandazioni, in tempo per il Vertice del 2016.
Passando più specificamente al contenuto dello studio presentato al G7, in esso si rileva come, anche sperando in una positiva azione futura di riduzione delle emissioni inquinanti, gli effetti del cambiamento climatico di origine antropica si stanno già verificando e continueranno a verificarsi ancora per decenni. I rischi più acuti legati agli effetti dei cambiamenti climatici riguardano il loro carattere di moltiplicatore di minaccia, soprattutto nei confronti degli Stati e delle situazioni più deboli, suscettibili come sono di contribuire a sconvolgimenti sociali e di provocare violenti conflitti. Gli effetti di tutto ciò saranno ancora più gravi qualora dovessero fallire i tentativi di adattamento agli effetti del cambiamento climatico.
Lo studio individua sette principali profili di rischio dell’impatto dei cambiamenti climatici sulla fragilità, profili che agiscono in maniera composta sulla situazione già critica per le limitate risorse del pianeta, nei cui confronti l’allargamento del mercato globale sta esercitando sempre maggiori pressioni. Aggiungendo a tutto ciò l’impatto dei cambiamenti climatici, si presenterà un’ampia gamma di situazioni, differenziate a seconda che gli Stati siano più o meno capaci di assorbire le tensioni. Preoccupano particolarmente le situazioni nelle quali gli Stati non possono per vari motivi fornire servizi di base e proteggere i loro cittadini.
I sette diversi profili riguardano anzitutto la competizione per le risorse a livello locale, che nella sua crescita può condurre a instabilità e perfino a conflitti violenti in assenza di meccanismi efficaci di risoluzione delle controversie. Tra le risorse soggette a maggiore competizione si presentano quelle idriche e i terreni coltivabili, entrambe particolarmente esposte ai cambiamenti climatici. Si presentano qui rischi soprattutto per le regioni già in possesso di risorse limitate, con una storia recente di conflitti o che ospitino sul proprio territorio gruppi marginali. Quando questi problemi si verificano in zone di confine, possono degenerare in conflitti anche di livello internazionale.
Il cambiamento climatico è suscettibile di accrescere il senso di precarietà in popoli strettamente legati alle risorse naturali per la propria sopravvivenza, il che potrebbe spingerli ad emigrare, ovvero alla ricerca di fonti illegali di reddito. In entrambi i casi vi saranno pericoli per la stabilità e la sicurezza, poiché anche movimenti di popolazione incontrollati possono produrre gravi conflitti.
Gli eventi climatici estremi e le catastrofi possono accrescere la vulnerabilità e le reazioni dei popoli, specialmente in situazioni già gravate da conflitti, nelle quali è se possibile ancor più difficile predisporre infrastrutture per far fronte, ad esempio, ad uragani o inondazioni, visto che i mezzi di sussistenza e la loro distribuzione sono già messi a dura prova. Gli stessi interventi di soccorso internazionali, se mal concepiti, possono ulteriormente esacerbare le tensioni e accrescere il rischio di conflitti tra i destinatari potenziali degli aiuti.
La volatilità dei prezzi alimentari e la sporadicità della loro fornitura non possono che essere ulteriormente aggravate da eventi correlati al cambiamento climatico, capaci di interrompere completamente la produzione alimentare in molte regioni, o di ridurla drasticamente in altre. A titolo di esempio vengono citati i conflitti per il cibo nel periodo 2007-2009.
Anche la gestione delle acque transfrontaliere costituisce una frequente fonte di tensioni, suscettibili di crescere in conseguenza di eventi climatici che influenzino la disponibilità e la qualità delle acque. Anche se in passato non sembrano esservi stati troppi conflitti armati per le risorse idriche, nel futuro questo scenario potrebbe cambiare, e anche di molto, in presenza di una costante crescita della domanda e di possibili effetti negativi dati dal clima.
L’innalzamento del livello dei mari e il degrado costiero indotti dai cambiamenti climatici potranno minacciare le terre più basse del pianeta anche prima che queste vengano sommerse, provocando disgregazione sociale, fuga e migrazioni, e accrescendo i conflitti sulle frontiere marittime e sulle risorse marine.
Vi sono poi, da ultimo, i possibili effetti collaterali (non intenzionali) delle politiche poste in atto a livello internazionale per la mitigazione dei cambiamenti climatici e l’adattamento ad essi.
Lo studio ribadisce comunque che questi diversi profili non vanno intesi isolatamente, ma nella loro complessa interazione, che rende assai problematico lo sviluppo di risposte efficaci se non in un contesto che tenga conto dell’estrema interdipendenza e del carattere sistemico dei rischi, e perciò, necessariamente, dei rimedi che si tenta di approntare.
A livello propositivo lo studio individua tre settori-chiave per le politiche volte a rafforzare la resilienza degli Stati e delle comunità ai rischi legati al cambiamento climatico, a partire proprio da programmi mirati ad anticiparne gli effetti negativi, nonché a minimizzarli ed eventualmente a rispondere con successo ad essi. Un altro vettore per migliorare la resilienza agli shock ambientali, o comunque provocati dal cambiamento climatico accelerato, è quello di programmi di sviluppo e di aiuto umanitario che aiutino i beneficiari ad accrescere le capacità economiche, sociali e di governance. Anche le attività di peacebuilding possono avere un ruolo importante, nel senso di ridurre le tensioni anche in contesti influenzati dagli effetti negativi del cambiamento climatico - in tal senso si parla di “pace sostenibile”, in evidente analogia al concetto ormai consolidato di sviluppo sostenibile lanciato nella Conferenza di Rio del 1992.
Si insiste comunque sulla necessità di un approccio integrato, poiché la natura complessa dei rischi climatici rende insufficiente l’azione in un unico settore: a tal fine si individuano alcuni passaggi-chiave, quali i sistemi di allerta precoce e di valutazione, la pianificazione, il finanziamento e l’implementazione, ciascuno dei quali gioca un ruolo importante in ognuno dei tre settori-chiave precedentemente esposti.
Vengono di seguito formulate alcune raccomandazioni, a partire da una maggiore consapevolezza interna al G7 e ai suoi componenti della necessità di rafforzare l’approccio integrato ai rischi di fragilità collegati al cambiamento climatico, anche mediante apposite strutture di coordinamento intersettoriali. A livello più concreto, poi, gli Stati membri del G7 dovrebbero concertare azioni intergovernative per affrontare problemi che vanno ben al di là dei confini nazionali: si auspica al proposito una forte dichiarazione politica durante il Vertice dei Capi di Stato e di Governo del 2015, che apra la strada a una task force a livello di alti funzionari. La task force dovrebbe essere integrata nelle procedure annuali del G7, costituendo un volano per l’ulteriore progresso dell’approccio integrato. La terza raccomandazione concerne la necessità di investire i processi e le strutture multilaterali con le problematiche dell’approccio integrato ai rischi collegati al cambiamento climatico, tanto più importante in considerazione del carattere globale del cambiamento climatico stesso. In particolare, si segnala la necessità di investire prioritariamente organi quali la Banca mondiale e le Agenzie competenti delle Nazioni Unite - per non parlare degli organismi incaricati dell’amministrazione e dell’attuazione della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici -, più che gli Stati già gravati da situazioni di evidente fragilità. I paesi profondamente colpiti da situazioni di fragilità dovrebbero essere agevolati nell’attuazione di politiche di adattamento e mitigazione degli effetti negativi del clima anche mediante finanziamenti più affidabili e meglio distribuiti. Coronamento dell’approccio progressivo integrato qui delineato dovrà essere un grande impegno per il coordinamento con i governi locali e con gli attori non statali - come ad esempio le organizzazioni non governative - dei paesi confrontati a situazioni di fragilità collegate al cambiamento climatico.
Nel complesso l’approccio multidimensionale e cooperativo a livello internazionale avrà come quadro di riferimento cinque ambiti di intervento specifici, a partire dalla valutazione del rischio globale, per la quale è necessario pervenire a un’unica e condivisa metodologia di valutazione e di identificazione dei rischi, mediante la quale il processo di raccolta e di analisi dei dati possa più facilmente convertirsi in indicazioni da fornire ai Governi a maggior rischio, che non potrebbero da soli neanche lontanamente elaborare questi dati. Vi è poi l’ambito di intervento della sicurezza alimentare, nel quale si mette in evidenza la necessità di comprendere l’interazione tra la scarsità di cibo, le rivendicazioni economiche e sociali e l’emarginazione, dalle quali possono derivare conflitti esplosivi. Non meno importante risulta l’ambito di intervento volto alla riduzione dei rischi di catastrofe, in ordine ai quali si è già dimostrato che le attività preventive di riduzione del rischio sono assai meno costose della risposta successiva alle catastrofi.
Viene richiamata la necessità dell’attuazione della Dichiarazione e del Quadro di azione di Sendai, elaborati dalla Terza Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla riduzione dei rischi di catastrofe svoltasi in Giappone nel marzo 2015, con la presa d’atto della gravità dell’impatto delle catastrofi naturali nell’ultimo decennio, quando oltre un miliardo e mezzo di persone sono state più o meno direttamente colpite da disastri e hanno subito perdite complessive di più di 1.300 miliardi di dollari. La Dichiarazione e il Quadro d’azione di Sendai hanno individuato quattro settori prioritari di intervento, ovvero la comprensione del rischio di catastrofe, il rafforzamento della gestione dello stesso, la necessità di investire sufficientemente nella riduzione del rischio e nella resilienza rispetto ad esso, il miglioramento delle attività preparatorie alle catastrofi e ricostruttive dopo di esse. Sono stati altresì fissati sette obiettivi da raggiungere a livello globale entro 15 anni, sintetizzabili nella riduzione sostanziale della mortalità e comunque del numero di persone colpite dalle catastrofi, nonché delle perdite economiche da esse provocate, e nella riduzione altrettanto sostanziale dei danni causati a infrastrutture e servizi di base. Ci si propone anche di aumentare il numero di paesi dotati di strategie nazionali e locali per ridurre i rischi di catastrofe già entro il 2020, nonché di accrescere le possibilità di accesso ai sistemi di allarme precoce nei confronti dei rischi complessi, e alle relative informazioni.
Per quanto poi concerne l’ambito di intervento che riguarda le controversie sulle acque transfrontaliere, si rileva come un impegno sistematico possa trasformare le risorse idriche transfrontaliere in volani di pacifica cooperazione piuttosto che di conflitto. Partendo dalle iniziative diplomatiche e dalle istituzioni per la gestione delle acque già esistenti, si prospetta la possibilità che i Governi del G7 si facciano promotori di una Conferenza globale sui bacini transfrontalieri, con lo scopo principale di adattare le cornici giuridiche di cooperazione già esistenti alle nuove esigenze poste dall’adattamento ai cambiamenti climatici e dalla resilienza nei confronti di essi, anticipando in tal modo anche la temuta riduzione delle risorse idriche che proprio i cambiamenti climatici potrebbero determinare.
Lo studio delinea infine alcuni profili della necessaria e doverosa assistenza da fornire ai paesi maggiormente fragili rispetto ai rischi climatici, che deve costituire un asse fondamentale dell’aiuto allo sviluppo, riguardando la diffusione di informazioni, la costruzione di adeguate infrastrutture, il miglioramento della sicurezza alimentare, l’agricoltura consapevole nei confronti del clima.
Si ribadisce da ultimo che le raccomandazioni dovranno essere implementate anche qualora si arrivasse a un ambizioso accordo globale per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, poiché i rischi di fragilità collegati al clima persisteranno comunque a lungo.
Le problematiche sopra illustrate hanno avuto parziale riscontro nelle conclusioni del Vertice dei Capi di Stato e di Governo del G7 di Elmau, in Germania (14-15 giugno 2015): in tale sede infatti, nel contesto di rinnovati impegni per il contenimento delle emissioni di gas serra, è emerso il tema della necessità di reperire fondi per la costruzione di infrastrutture onde porre un argine agli effetti del cambiamento climatico sulle popolazioni e sulle economie vulnerabili, al fine di contenere il rischio di catastrofi correlate al cambiamento climatico e soprattutto dei loro effetti. È stato inoltre enunciato l’obiettivo di portare entro il 2020 a 400 milioni il numero degli abitanti dei paesi più vulnerabili dotati di copertura assicurativa indiretta contro effetti negativi dei cambiamenti climatici, contribuendo altresì alla diffusione dei sistemi di allerta precoce nelle situazioni di maggiore rischio.
Si segnala infine, per quanto concerne l’attività parlamentare di indirizzo, che l’Assemblea di Montecitorio, nelle sedute del 20 e 28 luglio 2015, ha discusso e votato mozioni in ordine ad iniziative per contrastare i cambiamenti climatici , anche in vista della Conferenza di Parigi di dicembre 2015. Nelle mozioni sono emersi anche i profili di rischio collegati ai cambiamenti climatici, nelle loro molteplici sfaccettature.
Secondo
le rilevazioni
di Frontex[6]
– l’Agenzia europea per il coordinamento delle operazioni di sorveglianza alle
frontiere dell’Unione europea, nel 2014 hanno attraversato in modo
irregolare le frontiere UE circa 280 mila migranti, con un aumento
di oltre il 160% rispetto agli attraversamenti (circa 110 mila) nel
2013. Siriani ed eritrei rappresentano i maggiori gruppi intercettati
alle frontiere nell’atto di attraversare le frontiere in modo irregolare.
Nel 2014 il numero di attraversamenti irregolari lungo la rotta del Mediterraneo centrale (principalmente dalle coste libiche ed egiziane verso Malta e il sud Italia, in particolare la Sicilia) ammonta a circa 170 mila; gli ingressi sarebbero quindi più che triplicati rispetto ai 45 mila del 2013.
Per quanto riguarda la rotta del Mediterraneo orientale (flussi provenienti principalmente dalle coste della Turchia verso la Grecia, Cipro e alcune regioni dell’Italia peninsulare) il numero degli attraversamenti irregolari rilevati da Frontex ammonterebbe a 50.561 (contro i 23.299 del 2013).
Per quanto concerne la via di ingresso del Mediterraneo occidentale (principalmente dalle coste dell’Africa nordoccidentale verso le coste della penisola iberica) Frontex ha registrato nel 2014 circa 8 mila attraversamenti irregolari (i migranti lungo tale rotta provengono in particolare da Camerun, Algeria, Mali e Siria).
Per quanto riguarda i primi dati relativi al 2015 la settima relazione semestrale sul funzionamento dello spazio Schengen (1° novembre 2014 – 30 aprile 2015) riporta che per i primi cinque mesi del periodo di riferimento (novembre 2014 - marzo 2015) sono stati rilevati 111 mila casi di attraversamenti irregolari. Secondo la relazione in tale lasso di tempo sono stati rilevati 26 mila attraversamenti irregolari lungo la rotta del Mediterraneo centrale e 21 mila per quanto riguarda il Mediterraneo orientale. Tali rotte, insieme a quella dei Balcani occidentali (55 mila rilevamenti) rappresentano il 93 per cento di tutti i casi rilevati.
Di seguito una tabella recante gli attraversamenti irregolari dei confini nell’UE distinti per nazionalità (ultimi due trimestri del 2013 e i quattro trimestri del 2014).
Secondo l’UNHCR – Alto Commissariato ONU per i rifugiati, nel 2015 hanno attraversato il Mediterraneo oltre 300 mila persone, mentre avrebbero perso la vita in mare circa 2500 migranti. In particolare dall’inizio dell’anno secondo l’UNHCR avrebbero raggiunto le coste greche circa 200 mila persone mentre in Italia sarebbero arrivati 110 mila migranti.
Secondo
un rapporto
Eurostat pubblicato dalla Commissione europea il 20 marzo 2015, il numero di
richiedenti asilo nell’Unione europea ha raggiunto nel 2014 le 626 mila
unità circa, registrando rispetto all’anno precedente un aumento di
circa 190 mila unità (il 44%).
Il rapporto continua indicando la Germania come lo Stato membro che nel 2014 ha trattato il maggior numero di richiedenti asilo, 202.700 che rappresenta il 32% del totale; seguono la Svezia con 81.200 richiedenti asilo (13% del totale ), l’Italia con 64.600 (10%), la Francia con 62.800 (10%) e l’Ungheria con 42.800 (7%).
Si registrano tuttavia nei cinque Stati membri differenti trend di richiedenti protezione: in particolare, nel 2014: il numero di richiedenti asilo è più che raddoppiato rispetto al 2013 in Italia (+143%) e in Ungheria (+126%); in Germania l’aumento è stato del 60%; in Svezia del 50%; in Francia si è registrata una diminuzione del 5%.
La Siria, con 122.800 unità, rappresenta il primo Paese di cittadinanza dei richiedenti asilo presso l’Unione europea (il 20% del totale).
Dei 122.800 richiedenti asilo siriani circa il 60% è stato registrato in soli due Stati membri: Germania (41.100) e Svezia (30.800). I Siriani sono altresì risultati i principali cittadini extra Ue richiedenti asilo in Belgio, Bulgaria, Danimarca, Spagna, Cipro, Paesi Bassi, Austria, Romania e Slovenia.
L’Afghanistan (con 41.300 richiedenti asilo, 7% del totale) è divenuto nel 2014 il secondo maggior Paese di provenienza dei richiedenti asilo nell’UE.
Di tali richiedenti protezione 9.700 sono stati registrati in Germania e 8.800 in Ungheria.
Il Kosovo è il terzo Stato di cittadinanza dei richiedenti asilo in Europa nel 2014, con 37.900 unità (6% del totale): più della metà ha fatto richiesta di protezione in Ungheria (21.500).
Di seguito tabelle in materia di asilo (Fonte Commissione europea)
Numero richiedenti asilo
Richiedenti asilo per cittadinanza
Richiedenti asilo per cittadinanza
Per quanto riguarda l’esito delle domande di asilo, dal rapporto Eurostat emerge che nel 2014 nell’Unione europea il 45% delle decisioni di prima istanza sono state positive: su 360.000 domande l’esito positivo ha riguardato 163.000 casi, nei quali sono stati concessi lo status di rifugiato, o la protezione sussidiaria o infine l’autorizzazione a rimanere per motivi umanitari.
Di seguito una tabella con gli esiti delle decisioni di prima istanza
Per quanto riguarda i dati relativi al primo semestre 2015 rilevati da Eurostat, nei primi sei mesi dell’anno sono state presentate quasi 370.000 domande di asilo di prima istanza.
Secondo il rapporto trimestrale Eurostat (primo trimestre 2015) Kosovo, Siria e Afghanistan sono i Paesi di provenienza del maggior numero dei richiedenti asilo nell’Unione europea, mentre gli Stati membri che nel 2015 hanno trattato il maggior numero di domande di asilo di prima istanza sono (in ordine decrescente) Germania, Ungheria, e Italia.
Il recente, tragico bilancio delle vite umane perdute nel Mediterraneo, unitamente alla prospettiva di un aumento del trend delle partenze dei migranti con l’arrivo della stagione estiva e a causa delle persistenti condizioni di instabilità in Stati terzi (Libia, Siria, e Paesi del Corno d’Africa e dell’Africa occidentale), ha indotto le Istituzioni europee ad intervenire con misure straordinarie.
In particolare:
- il 20 aprile 2015 il Consiglio Affari esteri, al quale hanno altresì partecipato i Ministri dell’interno degli Stati membri, ha ribadito il forte impegno ad agire al fine di evitare tragedie umane derivanti dal traffico di esseri umani attraverso il Mediterraneo;
- il 23 aprile 2015 il Consiglio europeo ha espresso la propria indignazione per la situazione nel Mediterraneo e ha sottolineato che l'Unione si adopererà con ogni mezzo a sua disposizione per evitare ulteriori perdite di vite umane in mare e per affrontare le cause profonde di tale emergenza umana, in cooperazione con i paesi di origine e di transito. In tale circostanza il Consiglio europeo si è impegnato a rafforzare la presenza dell'Unione in mare, prevenire i flussi migratori illegali e rafforzare la solidarietà e la responsabilità interne. Il Consiglio europeo si è inoltre impegnato a contrastare i trafficanti nel rispetto del diritto internazionale, adottando misure sistematiche per individuare, fermare e mettere fuori uso le imbarcazioni prima che siano usate dai trafficanti, e ha invitato l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza ad avviare i preparativi per una possibile operazione nell'ambito della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) a tal fine;
- il 29 aprile 2015 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione con la quale ha chiesto, tra l’altro, un sistema vincolante per quote per redistribuire i richiedenti asilo tra gli Stati membri, l’ampliamento del mandato della missione Frontex - Triton al fine di ricomprendere anche le funzioni di ricerca e soccorso, e un maggior contributo degli Stati membri ai programmi di reinsediamento;
- l’11 maggio 2015 l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza ha informato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite sulla crisi dei migranti nel Mediterraneo e sui preparativi in corso per una possibile operazione navale nel quadro della politica di sicurezza e di difesa comune dell’Unione, volta a mettere fuori uso i natanti adoperati dai trafficanti di migranti, manifestando la necessità che l’Unione operi con il sostegno di una risoluzione ONU;
- il 13 maggio 2015 la Commissione europea ha presentato la comunicazione COM(2015)240 "Una agenda europea sull’immigrazione" (vedi infra) ;
- il 27 maggio 2015 la Commissione europea ha presentato una proposta di decisione del Consiglio COM(2015)286 recante misure provvisorie nel settore della protezione internazionale a beneficio di Italia e Grecia, e una raccomandazione C(2015)3560/2 su uno schema di reinsediamento europeo (vedi infra);
- il Consiglio europeo del 25-26 giugno 2015 ha sottolineato la necessità di un approccio alla migrazione equilibrato e globale dal punto di vista geografico basato sui principi di solidarietà e responsabilità. In tale sessione il Consiglio europeo si è concentrato su tre aspetti chiave: ricollocazione/ reinsediamento; rimpatrio/ riammissione/ reintegrazione; cooperazione con i Paesi di origine e di transito;
- il 20 giugno 2015 il Consiglio Giustizia e affari interni ha approvato la redistribuzione di circa 32 mila richiedenti asilo in evidente stato di bisogno di protezione dall’Italia e dalla Grecia verso gli altri Stati membri per consenso, nonché il reinsediamento di 22.000 richiedenti asilo dai campi profughi (vedi infra).
Il ripetersi dei naufragi nel Mediterraneo nel corso dell’estate 2015 unitamente all’emergenza causata dall’eccezionale flusso di migranti attraverso le frontiere terrestri UE ha indotto le autorità europee a fissare un Consiglio straordinario Giustizia e affari interni il 14 settembre 2015.
Si segnala, inoltre, che il 2 settembre 2015 i Ministri degli affari esteri di Italia, Francia e Germania (Paolo Gentiloni, Laurent Fabius e Frank-Walter Steinmeier) hanno inviato all’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE Federica Mogherini una lettera e un Non-Paper (entrambi in allegato) recanti una serie di proposte per un rafforzamento della politica europea d'immigrazione basato su un approccio integrato che includa tanto la dimensione interna quanto quella esterna del fenomeno migratorio[7].
Per quanto concerne la dimensione esterna, il Non-Paper contiene una serie di proposte specifiche che incidano sulle aree di origine dei fenomeni migratori: nello specifico, Siria, Iraq, Afghanistan, Libia, Africa orientale e occidentale, Balcani occidentali.
Per quanto riguarda la dimensione interna, il Non-Paper evidenzia come le sfide attuali dimostrino chiaramente la necessità "di integrare le politiche di asilo e di riammissione nell'Unione europea, con un approccio nuovo e ambizioso", puntando, tra l'altro, a un'armonizzazione delle procedure e delle istituzioni e a standard condivisi a livello europeo che consentano di gestire i flussi di rifugiati con il massimo di umanità e di efficienza. Considerati i limiti dell'attuale sistema europeo di asilo rispetto al flusso eccezionale di migranti con cui l'Unione deve confrontarsi, il Non-Paper invita ad avviare "una riflessione per una risposta pertinente che consenta di addivenire a una equa distribuzione dei rifugiati in Europa".
I ministri di Francia, Germania e Italia evidenziano altresì che "un sistema di asilo più efficiente per le persone che necessitano di protezione internazionale deve accompagnarsi a una politica di rimpatrio dei migranti irregolari". È pertanto necessaria una accelerazione delle procedure decisionali, a partire dalla individuazione dei paesi d'origine che possono essere considerati sicuri.
Infine, i ministri firmatari del Non-Paper suggeriscono di non escludere l'utilizzo delle possibilità offerte dai Trattati per la creazione di un sistema integrato di gestione delle frontiere.
Al tema della migrazione sarà dedicata una sessione del Consiglio informale Affari esteri che si terrà il 4 e il 5 settembre a Lussemburgo.
L’Agenda si articola in due parti, la prima delle quali contempla azioni immediate per far fronte alle tragedie che si consumano a causa dei viaggi dei migranti irregolari lungo il Mediterraneo; la seconda parte dell’agenda indica quattro pilastri sulla base dei quali viene delineata una strategia sull’immigrazione di più largo respiro.
La Commissione europea intende anzitutto intensificare le attività di ricerca e soccorso in mare “fino a ripristinare il livello di intervento che garantiva l’operazione italiana Mare nostrum”.
Viene a tal fine previsto di triplicare le capacità e i mezzi delle operazioni congiunte di Frontex, Triton e Poseidon, nel 2015 e nel 2016. Come previsto dalla comunicazione, alla fine di maggio 2015 è stato inoltre presentato un nuovo piano operativo per la missione Triton.
Triton
Triton consiste in un’operazione congiunta coordinata da Frontex, richiesta dal Governo italiano ed iniziata il 1° novembre 2014, diretta al supporto dell’Italia per quanto riguarda i flussi migratori che attraversano il Mediterraneo centrale.
Inizialmente delimitata alle sole acque territoriali degli Stati membri (fino a trenta miglia dalle coste) e con una dotazione in origine di 12 mezzi (quattro aerei, un elicottero, quattro navi d’altura, una nave di pattuglia costiera, e due motovedette costiere), la missione è stata potenziata mediante un nuovo piano operativo alla fine di maggio 2015: è stato esteso il raggio di azione dell’operazione congiunta fino a 138 miglia marine a sud della Sicilia. Inoltre il nuovo piano prevede l’impiego di tre aeroplani, 6 navi di pattuglia d’altura, 12 navi di pattuglia costiera, e due elicotteri, nove funzionari per intervistare i migranti, sei per identificare quelli che richiedono asilo.
Partecipano al nuovo piano operativo di Triton 26 Stati membri: Austria, Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, e Regno Unito.
Il budget iniziale dell’operazione è stato stimato in 2.9 milioni di euro al mese; la Commissione europea ha deciso di ampliare il budget dell’operazione (vedi infra).
Poseidon
mare
La missione “Poseidon mare” è una operazione congiunta coordinata da Frontex che vede la Grecia come Paese ospite e ventisei Stati membri partecipanti. Il budget iniziale della missione nel secondo semestre del 2014 ammontava a 6,5 milioni di euro. La Commissione europea ha deciso di ampliare il budget dell’operazione (vedi infra)
In tale periodo hanno partecipato a Poseidon Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Italia, Lettonia, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia, Slovacchia, e Regno Unito.
Le risorse per il
potenziamento di Triton e di Poseidon derivano da una proposta di bilancio
rettificativo che assegna a Frontex (per le due missioni citate) circa 27
milioni aggiuntivi per i sette mesi rimanenti del 2015.
Grazie alle risorse aggiuntive il budget di Triton salirà a 38 milioni di euro per il 2015 mentre quello di Poseidon mare si attesterà a 18 milioni per lo stesso anno.
Secondo il bilancio rettificativo è inoltre richiesto per il Fondo Asilo, migrazione e integrazione (AMIF) 2015 un importo supplementare di 57 milioni di euro in stanziamenti di impegno e 45,6 milioni di euro in stanziamenti di pagamento. Questo importo sarà utilizzato per raddoppiare l'assistenza di emergenza (25 milioni di EUR) erogata dalla Commissione per aiutare gli Stati membri in prima linea che accolgono il maggior numero di migranti in arrivo/soccorsi per effetto del rafforzamento delle operazioni Triton e Poseidon, per tutte le fasi della procedura successiva al primo arrivo e allo screening dei migranti, e per attuare un regime di reinsediamento a livello dell'UE (25 milioni di EUR). Inoltre, saranno rafforzati i programmi di sviluppo e protezione regionale a favore del Nord Africa e del Corno d'Africa (7 milioni di EUR);
Per quanto riguarda il Fondo sicurezza interna, per il 2015 è richiesto un importo supplementare di 5 milioni di EUR in stanziamenti di impegno e 4 milioni di EUR in stanziamenti di pagamento. Il rafforzamento riguarderà l'assistenza di emergenza per le attività di sorveglianza svolte nel contesto delle operazioni Triton e Poseidon. Verranno rafforzate le attività di prima accoglienza quali l'identificazione, il primo soccorso medico, l'acquisto di attrezzature per i controlli alle frontiere e il trasporto dei migranti.
Anche il
bilancio 2016 presentato dalla Commissione europea prevede un aumento dei
fondi per affrontare le sfide in materia di migrazione. In particolare il
bilancio prevede finanziamenti aggiuntivi per le operazioni Triton e Poseidon
(45 milioni di euro), un rafforzamento dell'assistenza di emergenza agli Stati
membri in prima linea, il finanziamento di un programma di reinsediamento a
livello di UE e il potenziamento di agenzie come FRONTEX e l'Ufficio europeo di
sostegno per l’asilo (EASO).
Si propone inoltre di stanziare per il 2016 833 milioni per il Fondo asilo, migrazione e integrazione e per il Fondo Sicurezza interna, le due principali fonti di finanziamento delle misure adottate nell'ambito della politica UE su migrazione e sicurezza. In particolare nel quadro del bilancio generale dell'Unione europea per l'esercizio finanziario 2016, dovrà essere utilizzato uno strumento di flessibilità per aumentare di circa 124 milioni di euro gli stanziamenti di impegno della rubrica Sicurezza e cittadinanza (rubrica 3). Tale importo sarà utilizzato per integrare il finanziamento di una serie di misure temporanee nel settore dell'asilo per contribuire ad alleviare la pressione immediata ed eccezionale in materia di asilo e sistemi di migrazione di Italia e Grecia.
Secondo la
Commissione europea l’incremento dei fondi e dei mezzi per le operazioni
Frontex citate consentirà un aumento della capacità e del raggio di
azione (138 miglia marine dalla Sicilia) delle operazioni congiunte, in
modo tale che tale Agenzia possa adempiere alla “duplice funzione di
sorveglianza delle frontiere e di aiuto al salvataggio dei migranti in mare”.
In proposito, appare necessario chiarire se l’aumento della dotazione di risorse e mezzi a giudizio della Commissione europea sarebbe di per sé sufficiente a consentire a Frontex di svolgere quella che nella comunicazione viene qualificata come “duplice funzione di sorveglianza delle frontiere e di aiuto al salvataggio dei migranti in mare”, anche in assenza di un esplicito mandato dell’Agenzia.
In sostanza, si tratta di chiarire se, con tale potenziamento, la mutata situazione di fatto risulterebbe tale da non richiedere una modifica del quadro giuridico che regola Frontex.
Peraltro è la stesa comunicazione, in una diversa sezione, a prevedere esplicitamente (de iure condendo) la necessità di una modifica dell’assetto giuridico di Frontex nel senso di rafforzarne i compiti in materia di rimpatrio.
Potrebbe infine risultare opportuno acquisire informazioni puntuali sulla consistenza dei mezzi messi a disposizione dagli Stati membri per le operazioni congiunte Triton e Poseidon anche in raffronto a quelli già impiegati nell’operazione Mare nostrum che utilizzava una quota consistente di personale civile.
La comunicazione fa riferimento a possibili operazioni nel quadro della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) destinate ad identificare catturare e mettere fuori uso sistematicamente le imbarcazioni sfruttate dai trafficanti di persone
Al
riguardo, in esito al Consiglio affari esteri del 18 maggio 2015, si è
stabilito di attivare una missione
navale militare (EUNAVFOR MED) con base operativa a Roma, che
opererà nel Mediterraneo centro-meridionale, alla guida della quale è stato
nominato l’ammiraglio Credendino.
La missione si articolerà in tre fasi successive:
a) in una prima fase, sosterrà l'individuazione e il monitoraggio delle reti di migrazione attraverso la raccolta d'informazioni e il pattugliamento in alto mare conformemente al diritto internazionale;
b) in una seconda fase:
- procederà a fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti in alto mare di imbarcazioni sospettate di essere usate per il traffico e la tratta di esseri umani, alle condizioni previste dal diritto internazionale applicabile, in particolare la convenzione UNCLOS e il protocollo per combattere il traffico di migranti;
- conformemente alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite applicabili o al consenso dello Stato costiero interessato, procederà a fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti, in alto mare o nelle acque territoriali e interne di tale Stato, di imbarcazioni sospettate di essere usate per il traffico e la tratta di esseri umani, alle condizioni previste da detta risoluzione o detto consenso;
c) in una terza fase, conformemente alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite applicabili o al consenso dello Stato costiero interessato, adotterà tutte le misure necessarie nei confronti di un'imbarcazione e relativi mezzi che sono sospettati di essere usati per il traffico e la tratta di esseri umani, anche mettendoli fuori uso o rendendoli inutilizzabili, nel territorio di tale Stato, alle condizioni previste da detta risoluzione o detto consenso
L'importo di riferimento finanziario per i costi comuni della missione è stato stimato in 11,82 milioni di EUR.
Per ricollocazione deve intendersi il trasferimento delle persone che hanno bisogno di una forma di protezione internazionale da uno Stato membro dell'UE a un altro Stato membro dell'Unione europea in cui spetterebbe loro analoga protezione.
In
sintesi, la Commissione europea propone un meccanismo temporaneo di
redistribuzione di richiedenti asilo con evidente bisogno di protezione
internazionale tra gli Stati membri regolato da una chiave di
distribuzione determinata da alcuni criteri obiettivi. Tali criteri,
ponderati a seconda dell’importanza, rifletterebbero, a giudizio della
Commissione, la capacità degli Stati membri di assorbire e integrare i
rifugiati.
La chiave si basa sui seguenti elementi:
· popolazione complessiva (40%);
· PIL totale (40%);
· media delle domande di asilo presentate spontaneamente e numero di rifugiati reinsediati per milione di abitanti nel periodo 2010-2014 (10%);
· tasso di disoccupazione (10%).
Il 27 maggio 2015, con la proposta di decisione del Consiglio COM(2015)286, la Commissione ha precisato i contorni di tale misura di emergenza. La proposta concerne uno schema di ricollocazione a favore di Italia e Grecia che si applica ai richiedenti asilo appartenenti a nazionalità per le quali il tasso di riconoscimento dello status di protezione internazionale sia pari o superiore al 75% (si tratta dei cittadini siriani ed eritrei) bisognosi di protezione internazionale che siano arrivati o arriveranno in Italia o in Grecia a partire dal 15 aprile 2015.
La Commissione europea propone la ricollocazione di 40 mila persone (24 mila dall’Italia, 16 mila dalla Grecia) nei prossimi due anni (circa il 40% del totale dei richiedenti asilo con chiara necessità di protezione internazionale).
La durata del meccanismo di distribuzione è di 24 mesi. La Commissione ha altresì precisato che le autorità italiane e greche saranno coadiuvate dall’EASO-Ufficio europeo per l’asilo per quanto riguarda l’individuazione dei richiedenti asilo da ricollocare (quelli che prima facie hanno evidente bisogno di protezione).
A fronte della ricollocazione Italia e Grecia dovranno procedere alla identificazione dei soggetti interessati.
Si tratta, in sostanza, di effettuare il riconoscimento e la fotosegnalazione, con il prelievo delle impronte digitali, operazioni non agevoli per un duplice ordine di motivi: in primo luogo per il fatto che alcuni dei soggetti interessati si rifiutano di sottoporvisi o non dispongono di documenti identificativi; in secondo luogo per le difficoltà di carattere gestionale palesate dalle amministrazioni pubbliche competenti. Al riguardo, appare opportuno che il Governo chiarisca se le strutture competenti del nostro Paese siano nelle condizioni di effettuare sistematicamente le operazioni di identificazione richieste con riferimento al flusso di tutti i soggetti che possono approdare dopo il 15 aprile e che potrebbero essere interessati alla ricollocazione.
In sintesi la procedura prevede che Italia e Grecia comunichino al punto di contatto nazionale di un altro Stato membro il numero di richiedenti asilo da ricollocare, mentre gli altri Stati membri indicano il numero di richiedenti che possono essere ricollocati nel loro territorio. La decisione formale di ricollocamento spetta a Grecia e Italia; tuttavia gli Stati membri possano rifiutare la ricollocazione di un richiedente asilo per ragioni di sicurezza nazionale o di ordine pubblico
Tale meccanismo – ha annunciato la Commissione – sarà sostenuto da un extra budget di 240 milioni di euro in 24 mesi. Ciascuno Stato membro riceverà 6 mila euro per ogni persona ricollocata nel suo territorio nell’ambito del Fondo asilo migrazione e integrazione (AMIF).
Per quanto concerne i criteri per la determinazione delle quote-parte di richiedenti asilo che verrebbero attribuite a ciascuno degli Stati membri si segnala che la Commissione sembra aver considerato, nella stima della capacità di assorbimento di ciascun sistema economico nazionale, esclusivamente il PIL nel suo valore assoluto e non anche il livello del PIL pro capite. In sostanza si può al riguardo rilevare che il valore assoluto del PIL, prescindendo dal dato pro capite, non è di per sé sufficiente a valutare la capacità di assorbimento di un sistema economico, tanto più che il tasso di disoccupazione conterebbe soltanto per il 10%.
Da ultimo, essendo esplicitamente prevista la facoltà degli Stati potenzialmente destinatari di una quota di soggetti ricollocabili di rifiutarsi, non è chiaro quale esito concreto potrà avere la procedura indicata.
La Commissione preannuncia
poi l’intenzione di presentare, entro il 2015, una proposta legislativa
che preveda un sistema permanente di ricollocazione obbligatorio da
attivare automaticamente in caso di afflusso massiccio, che distribuisca
all’interno dell’UE le persone con evidente bisogno di protezione
internazionale; tale sistema tiene conto degli sforzi già compiuti dagli
Stati membri su base volontaria.
E’ presumibile che la Commissione europea voglia verificare gli esiti delle procedure sperimentali previste per i prossimi due anni; in tal senso le reazioni ed eventuali resistenze di alcuni Stati membri, già in parte preannunciate, dovranno essere attentamente valutate anche ai fini dell’accoglimento di una successiva proposta volta a rendere vincolante la ricollocazione.
Durante il Consiglio giustizia e affari interni del 20 luglio 2015 è stato raggiunto un orientamento generale sulla decisione che istituisce misure provvisorie in materia di protezione internazionale a beneficio di Italia e Grecia, ossia il meccanismo di trasferimento temporaneo ed eccezionale in due anni da Italia e Grecia ad altri Stati membri di persone in evidente bisogno di protezione internazionale.
L’adozione formale della decisione avverrà una volta emesso il parere del Parlamento europeo, previsto nel mese di settembre.
Il Consiglio ha approvato come primo passo un piano di ricollocazione relativo a 32.256 persone (7.744 in meno delle 40 mila unità previste dalla Commissione europea).
Gli Stati membri hanno convenuto infine di aggiornare i dati relativi ai richiedenti asilo da ricollocare entro dicembre 2015, al fine di raggiungere il numero complessivo di 40.000, in linea con l'impegno assunto in occasione del Consiglio europeo del 25-26 giugno 2015.
Nelle conclusioni del Consiglio non viene indicato il dato disaggregato della ricollocazione dei richiedenti asilo provenienti dall’Italia e di quelli provenienti dalla Grecia, bensì solo il numero di posti complessivi messi a disposizione dai singoli Stati membri. Si segnala che alcuni Stati membri (Austria e Ungheria) non si sono resi disponibili alla ricollocazione di richiedenti asilo, mentre altri (ad esempio la Spagna e la Polonia) hanno offerto un numero di posti inferiore a quello proposto dalla Commissione europea.
In particolare i soggetti interessati saranno ricollocati nei seguenti termini:
Stato interessato |
Ricollocazione dall’Italia proposta dalla Commissione europea |
Ricollocazione dalla Grecia proposta dalla Commissione europea |
Totale ricollocazione proposta della Commissione europea |
Ricollocazione (dato relativo a Italia e Grecia insieme) : accordo in seno al Consiglio UE |
Austria |
728 |
485 |
1 213 |
0 |
Belgio |
818 |
546 |
1 364 |
1 346 |
Bulgaria |
343 |
229 |
572 |
450 |
Croazia |
448 |
299 |
747 |
400 |
Cipro |
104 |
69 |
173 |
173 |
Repubblica Ceca |
797 |
531 |
1 328 |
1 100 |
Estonia |
443 |
295 |
738 |
130 |
Finlandia |
475 |
317 |
792 |
792 |
Francia |
4 051 |
2 701 |
6 752 |
6 752 |
Germania |
5 258 |
3 505 |
8 763 |
10 500 |
Ungheria |
496 |
331 |
827 |
0 |
Irlanda |
0 |
0 |
0 |
600 |
Lettonia |
310 |
207 |
517 |
200 |
Lituania |
302 |
201 |
503 |
255 |
Lussemburgo |
221 |
147 |
368 |
320 |
Malta |
175 |
117 |
292 |
60 |
Paesi Bassi |
1 228 |
819 |
2 047 |
2 047 |
Polonia |
1 595 |
1 064 |
2 659 |
1 100 |
Portogallo |
1 021 |
680 |
1 701 |
1 309 |
Romania |
1 023 |
682 |
1 705 |
1 705 |
Slovacchia |
471 |
314 |
785 |
100 |
Slovenia |
297 |
198 |
495 |
230 |
Spagna |
2 573 |
1 717 |
4 290 |
1 300 |
Svezia |
821 |
548 |
1 369 |
1 369 |
Come
ha annunciato nella comunicazione, la Commissione il 27 maggio ha presentato la
raccomandazione (C(2015)3560/2) concernente un programma di reinsediamento
dell’UE di 20 mila persone in due anni, da applicarsi a tutti gli
Stati membri secondo chiavi di distribuzione analoghe a quelle previste per la
redistribuzione straordinaria illustrata. La Commissione ha precisato che il
reinsediamento è su base volontaria.
Le regioni prioritariamente interessate dal programma di reinsediamento sono il Nord Africa, il Medio Oriente e il Corno d’Africa (con particolare riguardo a quelle regioni in cui sono attuati programmi UE di sviluppo regionale e protezione).
Nella raccomandazione citata si definisce reinsediamento il trasferimento di una persona in evidente stato di necessità di protezione internazionale, su richiesta dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, da uno Stato terzo a uno Stato membro, in accordo con quest’ultimo, con l’obiettivo di ammetterlo e di garantirgli il diritto di restare e ogni altro diritto analogo a quelli garantiti ad un beneficiario di protezione.
Il programma riguarda tutti gli Stati membri.
Il programma è sostenuto da un finanziamento supplementare di 50 milioni per il biennio 2015-2016 al Fondo asilo migrazione e integrazione (AMIF).
Se ritenuto necessario, la Commissione ha annunciato che presenterà una proposta relativa a un approccio legislativo vincolante ed obbligatorio per il periodo successivo al 2016.
Con riguardo al ruolo che è chiamato a svolgere in questa procedura l’UNHCR - individuare i soggetti potenzialmente interessati al reinsediamento - si segnala l’esigenza di chiarire quale regime si applicherebbe nel caso in cui l’ordinamento giuridico del Paese destinatario non riconosca lo status già attribuito dall’UNHCR.
A conclusione del Consiglio giustizia e affari interni del 20 luglio 2015 gli Stati membri hanno trovato l’accordo sul programma volontario di reinsediamento per un totale di 22.504 persone sfollate in evidente bisogno di protezione internazionale (oltre dunque la soglia di 20 mila inizialmente proposta dalla Commissione europea).
In particolare gli Stati membri hanno convenuto:
- di reinsediare (come indicato in tabella), persone in evidente bisogno di protezione internazionale, attraverso programmi multilaterali e nazionali, rispecchiando le situazioni specifiche degli Stati membri, su richiesta dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), da un paese terzo in uno Stato membro consenziente, allo scopo di proteggerle dal respingimento e di riconoscere loro il diritto di soggiorno e tutti gli altri diritti analoghi a quelli riconosciuti ai beneficiari di protezione internazionale o, nel caso di uno Stato membro non vincolato né dalla direttiva 2011/95 né dalla direttiva 2004/83, in conformità della Convenzione di Ginevra relativa allo status di rifugiati;
- di tenere conto delle regioni prioritarie per il reinsediamento, inclusi il Nord Africa, il Medio Oriente e il Corno d'Africa, con particolare attenzione ai paesi di attuazione dei programmi di sviluppo e protezione regionale;
- di prendere misure efficaci per evitare movimenti secondari delle persone reinsediate, in linea con l’acquis dell’UE.
I soggetti interessati saranno reinsediati nei seguenti termini:
Stato interessato |
Reinsediamento: proposta della Commissione europea |
Reinsediamento: accordo in seno al Consiglio UE |
Austria |
444 |
1900 |
Belgio |
490 |
1 100 |
Bulgaria |
216 |
50 |
Croazia |
315 |
150 |
Cipro |
69 |
69 |
Repubblica Ceca |
525 |
400 |
Danimarca |
345 |
1 000 |
Estonia |
326 |
20 |
Finlandia |
293 |
293 |
Francia |
2 375 |
2 375 |
Germania |
3 086 |
1 600 |
Grecia |
323 |
354 |
Ungheria |
307 |
0 |
Irlanda |
272 |
520 |
Italia |
1 989 |
1989 |
Lettonia |
220 |
50 |
Lituania |
207 |
70 |
Lussemburgo |
147 |
30 |
Malta |
121 |
14 |
Paesi bassi |
732 |
1 000 |
Polonia |
962 |
900 |
Portogallo |
704 |
191 |
Romania |
657 |
80 |
Slovacchia |
319 |
100 |
Slovenia |
207 |
20 |
Spagna |
1 549 |
1 449 |
Svezia |
491 |
491 |
Regno Unito |
2 309 |
2 200 |
Norvegia |
0 |
3 500 |
Islanda |
0 |
50 |
Liechtenstein |
0 |
20 |
Svizzera |
0 |
519 |
Merita sottolineare che hanno partecipato al reinsediamento anche i seguenti Stati non membri UE: Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.
In tale ambito si tratta di intervenire nelle zone di origine e di transito. La comunicazione fa riferimento in particolare alla creazione o al rafforzamento di programmi di sviluppo e di protezione regionale in Africa settentrionale, nel Corno d’Africa, e nel Medio oriente. A tal fine la Commissione intende rendere disponibile nel 2015-2016 un importo di 30 milioni cui dovrebbero integrarsi contributi dei singoli Stati membri.
La Comunicazione prevede inoltre la creazione di un centro polifunzionale in Niger, con la funzione di offrire informazioni, protezione locale, e opportunità di reinsediamento alle persone in stato di necessità.
I principali interventi previsti dalla Commissione europea in tale ambito sono:
· la mobilitazione di un importo supplementare di 60 milioni di EUR in finanziamenti di emergenza, destinati tra l’altro a sostenere gli Stati membri sottoposti a particolare pressione ai fini dell’accoglienza dei migranti e della capacità di prestare loro assistenza sanitaria;
· l’istituzione di un nuovo metodo basato su ‘‘punti di crisi’’: in altre parole si tratta di attività di sostegno fornite dall’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo - EASO, da Frontex e da Europol (coordinati dalla Commissione), sul territorio degli Stati membri in prima linea, in particolare ai fini delle operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo e del coordinamento delle attività di rimpatrio.
La Commissione europea ha individuato i seguenti quattro pilastri su cui fondare la nuova gestione dei flussi migratori: ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare; salvare vite umane e rendere sicure le frontiere esterne; una politica di asilo forte; una nuova politica di migrazione legale.
La Commissione intende anzitutto arricchire i partenariati con i paesi di origine e di transito (si citano tra l’altro i processi di Rabat e di Karthoum che consistono in fori di dialogo regionale tra l’UE ed i Paesi dell’Africa occidentale, centrale e mediterranea sui temi migratori), ampliando il ruolo nel campo della migrazione delle delegazioni dell’UE nei paesi strategici. Si tratta in particolare di distaccare presso tali delegazioni dei funzionari di collegamento europei per la migrazione al fine, tra l’altro, di raccogliere, scambiare e analizzare informazioni sulle migrazioni.
In
tale ambito di intervento il 27 maggio 2015 la Commissione ha presentato un piano
di azione 2015-2020 contro il traffico dei migranti (COM(2015)285.
Si tratta di un insieme di misure volte a potenziare le indagini e il perseguimento delle reti criminali di trafficanti, contribuire a smantellarle, consegnare i colpevoli alla giustizia e sequestrarne i beni.
Il piano prevede in particolare:
· la revisione della legislazione UE sul traffico di migranti entro il 2016;
· la previsione di un elenco e del monitoraggio delle imbarcazioni sospette;
· il sostegno agli Stati membri per trainare a terra o distruggere in mare le imbarcazioni che potrebbero usare i trafficanti;
· la presentazione di proposte per avviare negoziati su accordi di riammissione con i principali Paesi di origine dei migranti irregolari;
· la definizione di obiettivi per quanto riguarda il numero di ispezioni da effettuare ogni anno nei settori economici più esposti al lavoro illegale;
· il rafforzamento di Jot Mare[8] come polo di informazione dell’UE sul traffico di migranti;
· lo sviluppo di una rete comunitaria di intelligence Africa Frontex;
· il finanziamento di progetti per aiutare i Paesi terzi a predisporre strategie di lotta al traffico di migranti , intensificare le risposte di polizia e giudiziaria e sviluppare la gestione integrata delle frontiere;
· il sostegno alle indagini finanziarie attraverso una maggiore collaborazione con unità di informazione finanziaria, e con istituti finanziari quali banche, servizi internazionali di trasferimento di denaro ed emittenti di carte di credito.
In materia di rimpatri dei cittadini di paesi terzi che non hanno titolo ad entrare o a rimanere nell’UE la comunicazione intende migliorare il dato secondo il quale nel 2013 solo il 39,2% delle decisioni di rimpatrio sono state effettivamente eseguite.
A tal proposito le azioni previste dalla Commissione europea sono:
· un manuale sul rimpatrio destinato ad armonizzare le prassi di tutti gli Stati membri;
· l’aiuto a paesi terzi interessati al rimpatrio, mediante lo sviluppo di capacità di gestione dei rimpatri, campagne di informazione e sensibilizzazione, e sostegno alle misure di reintegrazione dei rimpatriati, mettendo tali paesi in condizione di rispettare gli obblighi di riammissione dei rispettivi cittadini;
· il rafforzamento del ruolo di Frontex nelle operazioni di rimpatrio, in particolare con una proposta di modifica della attuale base giuridica dell’Agenzia, che allo stato può solo coordinare operazioni di rimpatrio ma non può autonomamente avviarne.
La Commissione europea propone anzitutto un rafforzamento del coordinamento a livello UE delle funzioni di guardia costiera. Inoltre, attesa una certa disomogeneità nella gestione delle frontiere da parte degli Stati membri, nella Comunicazione si annuncia l’intenzione di presentare nel 2016 una norma dell’Unione sulla gestione delle frontiere.
Non è chiaro che tipo di norma la Commissione europea intenda presentare in materia di gestione delle frontiere, considerato che è già all’esame delle istituzioni legislative europee una proposta di regolamento (COM(2015)8) che codifica il codice Schengen, il cui contenuto è peraltro solo compilativo della disciplina vigente e non introduce alcuna novità normativa.
La
Commissione europea intende inoltre presentare una proposta riveduta in materia
di cosiddette frontiere intelligenti (smart borders).
Frontiere intelligenti
Il 28 febbraio 2013 la Commissione ha presentato il pacchetto "Frontiere intelligenti", un complesso di proposte di regolamento volte ad accelerare, facilitare e rafforzare le procedure di controllo dei viaggiatori di paesi terzi alle frontiere (esterne) dell’Unione europea. Il pacchetto ricomprende:
• una proposta di regolamento COM(2013)95 che istituisce un sistema di ingressi/uscite per la registrazione dei dati di ingresso e uscita dei cittadini di paesi terzi che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea;
• una proposta di regolamento COM(2013)97 che istituisce un programma per i viaggiatori registrati;
• una proposta di regolamento COM(2013)96 che modifica il regolamento (CE) n. 562/2006 per quanto riguarda l'uso del sistema di ingressi/uscite e il programma per i viaggiatori registrati.
Il programma per viaggiatori registrati (RTP) prevede controlli semplificati per i “viaggiatori frequenti” (ad esempio, imprenditori, lavoratori con contratti a breve termine, ricercatori e studenti, cittadini di paesi terzi che hanno stretti legami di parentela con cittadini dell’UE o che vivono nelle regioni confinanti) che entrano nell’UE, resi possibili da un insieme di esami preventivi e controlli di sicurezza preliminari, ed attraverso meccanismi di controllo automatizzato alle frontiere ("porte automatiche") presso i principali valichi di frontiera, quali gli aeroporti che dispongono di questa moderna tecnologia.
Il nuovo sistema UE di ingressi/uscite sostituisce l’attuale procedura basata in linea di massima sull’apposizione di timbri nel documento di viaggio; mediante tale sistema è possibile: registrare data e luogo di ingresso (e di uscita) dei cittadini di paesi terzi che viaggiano nell’Unione europea; calcolare elettronicamente la durata del soggiorno breve autorizzato; inviare una segnalazione alle autorità nazionali qualora alla scadenza del periodo autorizzato non sia stata registrata l’uscita del viaggiatore dal territorio dell'UE.
La terza proposta COM(2013)96 è stata adottata al fine di adeguare il vigente Codice Schengen alle misure contenute nelle prime due proposte.
Il pacchetto è stato in sostanza lasciato cadere dalle istituzioni legislative europee, che attendono dalla Commissione una nuova proposta.
La Commissione europea intende infine rafforzare le capacità dei paesi terzi (in particolare quelli dell’Africa settentrionale) di gestire le loro frontiere, ai fini soprattutto del salvataggio dei migranti in pericolo
La Commissione europea
intende in primo luogo garantire l’attuazione piena e coerente del sistema
europeo comune di asilo. Si tratta in particolare di istituire un nuovo
processo di monitoraggio sistematico che esamini l’attuazione e l’applicazione
delle norme in materia di asilo e promuova la fiducia reciproca.
La Commissione intende in sintesi dotare gli Stati membri di indicatori di qualità semplici e ben definiti e di rafforzare la tutela dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo, in particolare di quelli che appartengono a categorie vulnerabili come i minori. È inoltre previsto che la Commissione dia priorità al recepimento e all’attuazione delle norme del pacchetto del sistema comune europeo di asilo ai fini delle procedure di infrazione. La comunicazione prevede altresì che l’EASO - Ufficio europeo per l’asilo intensifichi la cooperazione pratica affermandosi in particolare come principale referente per le informazioni nazionali sul paese di origine del richiedente asilo.
L’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) è un organismo decentrato dell’Unione europea (UE) istituito con il regolamento (UE) n. 439/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio. L’Ufficio svolge un ruolo centrale nella concreta attuazione del sistema europeo comune di asilo (CEAS). L’EASO è stato infatti istituito al fine di rafforzare la cooperazione pratica in materia di asilo e di assistere gli Stati membri nell'assolvimento dei propri obblighi europei e internazionali di fornire protezione alle persone in difficoltà. L’EASO agisce in qualità di centro specializzato in materia di asilo. Fornisce inoltre sostegno agli Stati membri i cui sistemi di asilo e accoglienza sono sottoposti a una pressione particolare.
La Comunicazione prevede inoltre maggiori sforzi per contrastare gli abusi nelle richieste di asilo, alla luce del fatto che nel 2014 il 55% delle domande di asilo ha avuto risposta negativa, (percentuale che per certe nazionalità di richiedenti asilo sale alla quasi totalità).
La Commissione ritiene infine che il meccanismo di ripartizione delle responsabilità per l’esame delle domande di asilo (fondato sul cosiddetto regolamento Dublino) non funzioni come dovrebbe, atteso che nel 2014 solo cinque Stati membri (tra i quali l’Italia) hanno trattato il 72% di tutte le domande di asilo presentate nell’UE.
Oltre al già citato metodo dei punti di crisi volti ad assistere gli Stati membri gravati da un sovraccarico di domande di asilo, la Commissione intende fornire orientamenti per facilitare il rilevamento sistematico delle impronte digitali, nonché valutare le possibili modalità per consentire l’uso di ulteriori identificatori biometrici nel sistema Eurodac .
Il Sistema Eurodac permette
alle autorità nazionali di verificare, tramite una banca dati delle impronte
digitali (per le persone di età non inferiore a 14 anni), se una domanda di
protezione internazionale è già stata presentata in un altro Paese membro o se
il richiedente è entrato illegalmente nell'UE in passato. Il nuovo regolamento
mira a semplificare le procedure esistenti e a permettere agli Stati membri di
determinare in modo rapido lo Stato membro responsabile dell'esame di una
domanda d'asilo. In sintesi, ove l’autorità competente riscontri che le
impronte del richiedente asilo sono già state inserite nella banca dati da
autorità di altro Stato membro (che ha ricevuto richiesta di asilo o che abbia
rilevato l’ingresso irregolare di un migrante) demanda a quest’ultimo la
gestione della relativa domanda di asilo mediante la cosiddetta procedura
Dublino. La disciplina, d’altra parte, consente (in casi determinati e a
condizioni limitate) anche la consultazione della banca dati a fini di
prevenzione e per indagare su reati di terrorismo; sono inoltre state
introdotte disposizioni più rigorose di protezione dei dati e nuove garanzie
per assicurare che i dati non siano utilizzati per altri fini.
È infine previsto che nel 2016 si intraprenda una valutazione del sistema Dublino al fine di stabilire se sia necessaria una revisione dei parametri giuridici al fine di una più equa distribuzione anche alla luce dei meccanismi di ricollocazione e di reinsediamento sopra citati.
Il regolamento (604/2013) cosiddetto Dublino III stabilisce quale Stato membro sia
responsabile dell'esame di una domanda di asilo. La disciplina recentemente
modificata prevede tra l’altro che i richiedenti asilo non possano essere
trasferiti verso Paesi dell'Unione europea in cui sussista il rischio di trattamenti
inumani o degradanti.
Il Regolamento Dublino III conserva lo stesso principio generale previsto dalla vecchia Convenzione di Dublino del 1990 e dal regolamento Dublino II, per il quale: la domanda di asilo deve essere esaminata da un solo Stato membro e la competenza per l'esame di una domanda di protezione internazionale è assegnata principalmente allo Stato di ingresso del richiedente, salvo eccezioni previste mediante criteri speciali di competenza (ad esempio, nel caso di minori, è competente lo Stato in cui risiedono i relativi familiari).
In particolare l’articolo 13 del regolamento Dublino III prevede tra l’altro che, quando sia accertato, sulla base degli elementi di prova e delle circostanze indiziarie, che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale.
Gli elementi chiave del nuovo regolamento sono:
• l’introduzione di un meccanismo di allerta rapido, di preparazione e di gestione delle crisi in caso di rischio di speciale pressione sul sistema di asilo di un Paese e/o in caso di problemi nel funzionamento dello stesso;
• una serie di disposizioni in materia di protezione dei richiedenti, come il colloquio obbligatorio, garanzie per i minori (una descrizione dettagliata dei fattori che dovrebbero essere alla base della valutazione nell'interesse di un minore), compresa la possibilità di una loro riunificazione con i parenti;
• la possibilità di sospendere l'esecuzione della decisione di trasferimento, da uno Stato membro all’altro, in caso di ricorso e per tutto il tempo del relativo giudizio, e la garanzia del diritto di rimanere sul territorio in attesa della decisione di un tribunale sulla sospensione del trasferimento in attesa dell’appello;
• l'obbligo di garantire l'assistenza legale gratuita su richiesta;
• un unico motivo del fermo, in caso di rischio di fuga, e la rigorosa limitazione della durata della detenzione;
• la possibilità per i richiedenti asilo, che in certi casi potrebbero essere considerati migranti irregolari (quindi rimpatriati ai sensi della direttiva rimpatri), di essere trattati nel quadro della procedura di Dublino offrendo a tali persone maggiore protezione rispetto alla direttiva sui rimpatri;
• l'obbligo di garantire il diritto di ricorso contro la decisione di trasferimento;
• norme più chiare per quanto riguarda le procedure Dublino tra gli Stati membri ad esempio in materia di termini: l'intera procedura di Dublino non può durare più di 11 mesi per la presa in carico di una persona, o 9 mesi per la ripresa in carico (escluso il caso di fuga o di imprigionamento della persona interessata).
L’impegno a valutare nel 2016 se sia necessaria una revisione dei parametri giuridici che stabiliscono le competenze a trattare le domande di asilo nella direzione di una più equa ripartizione rinvia, dunque, di un anno e come mera eventualità il processo di revisione del sistema Dublino. In particolare, non sembra messo in discussione in modo concreto il principio generale (confermato nel recente regolamento Dublino III) che assegna la competenza a trattare le domande di asilo agli Stati membri di primo approdo.
Peraltro, il testo della Comunicazione non fornisce elementi utili per chiarire su quali aspetti e in che termini si prospetti una rivalutazione del sistema Dublino, limitandosi ad affermare che “quando intraprenderà la valutazione del sistema Dublino nel 2016 sarà anche in grado di attingere all’esperienza maturata con i meccanismi di ricollocazione e reinsediamento”, e che “questo l’aiuterà a decidere se sia necessario rivedere i parametri giuridici del sistema Dublino per ottenere una più equa distribuzione dei richiedenti asilo in Europa”.
Tali considerazioni sembrano prefigurare una valutazione limitata agli aspetti quantitativi, vale a dire ad una più equa distribuzione delle domande di asilo tra i diversi Stati membri senza rimettere in discussione i criteri che presiedono alla individuazione della competenza territoriale, e non anche ai profili qualitativi per la persistenza di criteri non uniformi per il riconoscimento dei requisiti.
Secondo la Commissione europea l’invecchiamento della popolazione UE presenta ritmi tali che la popolazione lavorativa diminuirà di 17,5 milioni di persone nel prossimo decennio. Per tale ragione considera l’Europa in competizione con altre economie per attirare lavoratori dotati delle competenze di cui ha bisogno. La Commissione richiama anzitutto l’importanza di approvare in tempi rapidi la proposta di direttiva sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi per motivi di ricerca, studio, scambio scolastico, tirocinio (remunerato e non), attività di volontariato e alla pari.
Presentata dalla Commissione europea il 25 marzo 2013, si tratta di una proposta di rifusione delle direttive “studenti 2004/114/CE e “ricercatori” 2005/71/CE che pertanto, in caso di approvazione, risulteranno modificate e sostituite.
La Commissione mira in particolare ad ottimizzare alcuni aspetti dell’iter burocratico seguito a livello nazionale per le richieste di soggiorno negli Stati membri inoltrate dalle categorie indicate. Le nuove norme prevedono, tra l’altro: la fissazione di un tempo limite di 60 giorni entro il quale le autorità degli Stati sono obbligate a dare risposta nei confronti della richiesta di visto o di permesso di soggiorno; maggiore flessibilità per quanto riguarda gli spostamenti interni, con specifico riferimento agli studenti e ricercatori coinvolti in programmi congiunti; una serie limitata di diritti alla mobilità anche per i familiari dei ricercatori; la possibilità per gli studenti di lavorare per un minimo di 20 ore settimanali; la facoltà - in determinate circostanze – per ricercatori e studenti di rimanere sul territorio anche nei 12 mesi successivi al completamento degli studi o della ricerca, senza che ciò comporti automaticamente un diritto al lavoro (il rilascio del permesso di lavoro rimarrebbe comunque di competenza nazionale); una tutela generale per persone alla pari, studenti del ciclo secondario e tirocinanti remunerati (al momento non contemplati dal diritto UE vigente).
La Commissione intende inoltre rivedere la direttiva Carta blu, nata per attrarre personale altamente qualificato. Si tratta di uno strumento normativo quasi inutilizzato, atteso che nei suoi primi due anni di vigenza sono state emesse 16 mila Carte blu di cui 13 mila da parte di un solo Stato membro.
A tal fine, secondo quanto annunciato il 27 maggio 2015, la Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica con la quale si invitano le parti interessate (migranti, datori di lavoro, organizzazioni non governative, sindacati, agenzie di lavoro) a condividere le loro opinioni sulla Carta blu UE e sulle misure per migliorarla.
La direttiva 2009/50/CE del Consiglio, del 25 maggio 2009, sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati (cosiddetta Direttiva Carta blu) ha come obiettivi: facilitare l’ammissione dei cittadini in questione, armonizzando le condizioni del loro ingresso e soggiorno nell’Unione europea; semplificare le procedure di ammissione; migliorare lo status giuridico di coloro che sono già presenti sul territorio degli Stati membri. La direttiva si applica a cittadini di paesi terzi altamente qualificati che chiedono di essere ammessi nel territorio di uno Stato membro per svolgere un lavoro per più di tre mesi, nonché ai loro familiari.
La Commissione europea intende inoltre istituire un’apposita piattaforma di cooperazione con gli Stati membri, le imprese e i sindacati e le altre parti sociali sulla migrazione economica, allo scopo di aumentare i vantaggi della migrazione per l’economia europea e per i migranti stessi.
Infine nella Comunicazione si indica come uno dei modi in cui l’UE può aiutare i paesi di origine a trarre vantaggio dalla migrazione il rendere meno costosi, più rapidi e più sicuri i trasferimenti delle rimesse. Secondo la Commissione la proposta di “direttiva sui servizi di pagamento II”, se sarà adottata, dovrebbe aiutare a rafforzare il contesto normativo che disciplina le rimesse; la Commissione intende inoltre mettere a disposizione almeno 15 milioni di EUR tramite lo strumento di cooperazione allo sviluppo per sostenere iniziative-faro nei paesi in via di sviluppo.
La direttiva riveduta sui servizi di pagamento:
• agevola e rende più sicuro l'impiego di servizi di pagamento via internet a basso costo includendo nell'ambito di applicazione i cosiddetti nuovi servizi di ordine di pagamento;
• migliora la tutela dei consumatori dalla frode e dall'eventualità di abusi e incidenti di pagamento (ad es., in caso di operazioni di pagamento controverse o non correttamente eseguite);
• aumenta i diritti dei consumatori in caso di bonifici o rimesse di denaro al di fuori dell'Europa o in caso di pagamenti in valute extra-UE;
• promuove l'emergere di operatori nuovi e lo sviluppo di pagamenti innovativi via internet e tramite dispositivo mobile in Europa, a beneficio della competitività dell'Unione nel mondo.
La Commissione esprime nell’ultima sezione della Comunicazione l’intenzione di avviare la riflessione su una serie di settori.
Per quanto riguarda il sistema comune europeo di asilo si tratta in particolare di riflettere sulla possibilità di realizzare un codice comune di asilo e il riconoscimento reciproco delle decisioni in materia di asilo. La Comunicazione fa riferimento in particolare alla possibilità di istituire un unico processo decisionale in materia di asilo al fine di garantire la parità di trattamento dei richiedenti in tutta Europa.
In materia di gestione delle frontiere le ipotesi a lungo termine più rilevanti sono la creazione di un sistema europeo di guardie di frontiera e di una vera e propria guardia costiera europea.
In materia di migrazione legale la Commissione intende, in particolare, vagliare la possibilità di sviluppare insieme agli Stati membri un sistema di manifestazione di interesse mediante il quale, in base a criteri verificabili, sarebbe effettuata una prima selezione dei potenziali migranti dalle cui liste i datori di lavoro potrebbero selezionare i candidati prioritari, con la conseguenza che la migrazione avverrebbe soltanto una volta offerto il lavoro.
Poiché la Commissione europea non fornisce alcuna scadenza temporale con riferimento agli spunti di riflessione sopra indicati, non è possibile prefigurare entro quali tempi si possa avviare la discussione concreta, in particolare da parte delle altre istituzioni legislative europee, delle proposte da ultimo indicate.
Introduzione
Fin dalla sua costituzione, l’Unione europea interviene in tutte le fasi del ciclo delle crisi, dalle strategie preventive al risanamento e alla ricostruzione successive a situazioni di crisi. L’UE gestisce risorse sostanziali a sostegno dei paesi in preda a una crisi politica attraverso i suoi programmi per paese e tramite strumenti specifici come lo Strumento per la stabilità.
La Commissione vigila sulla coerenza dell’azione dell’UE nelle situazioni di crisi, assicurando la complementarità tra i suoi strumenti e quelli della PSDC. Sono strettamente associati alle azioni sia le delegazioni sul posto che i partner locali.
L’art. 42, paragrafo 1 del Trattato
sull’Unione europea (TUE) stabilisce che la politica di sicurezza e di
difesa comune (PSDC) costituisce parte integrante della politica estera e di
sicurezza comune (PESC). La PSDC assicura che l’Unione disponga di una capacità
operativa ricorrendo a mezzi civili e militari dei quali si può avvalere in
missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace, la
prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale,
conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. L’esecuzione di tali
compiti si basa sulle capacità fornite dagli Stati membri.
L’art. 42, paragrafo 4 del TUE prevede che decisioni relative alla politica di sicurezza e di difesa comune, comprese quelle inerenti all’avvio di una missione sono adottate dal Consiglio all’unanimità su proposta dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza o su iniziativa di uno Stato membro. L’alto rappresentante può proporre il ricorso sia ai mezzi nazionali sia agli strumenti dell’Unione, se del caso congiuntamente alla Commissione.
Ai sensi degli artt. 42, paragrafo 5, e 44 del TUE, il Consiglio può affidare la realizzazione di una missione a un gruppo di Stati membri che lo desiderano e dispongono delle capacità necessarie. Tali Stati membri, in associazione con l’alto rappresentante, si accordano sulla gestione della missione.
L’articolo 43, paragrafo 1 del TUE disciplina la tipologia delle missioni con mezzi civili e militari in ambito PSDC, prevedendo che esse possano intraprendere:
§ azioni congiunte in materia di disarmo;
§ missioni umanitarie e di soccorso;
§ missioni di consulenza e assistenza in materia militare;
§ missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace;
§ missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti.
Si prevede, inoltre, che tutte le sopra indicate missioni possano contribuire alla lotta contro il terrorismo, anche tramite il sostegno a paesi terzi.
Si ricorda che le missioni umanitarie e di soccorso, di mantenimento della pace, di unità di combattimento nella gestione di crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace rientravano tra le cosiddette missioni di Petersberg, che il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009, ha integrato con ulteriori compiti relativi alle missioni di disarmo, di consulenza ed assistenza in materia militare, di stabilizzazione al termine dei conflitti.
L’articolo 43, paragrafo 2 del TUE prevede che il Consiglio adotti le decisioni relative alle missioni stabilendone l’obiettivo, la portata e le modalità generali di realizzazione.
Il coordinamento degli aspetti civili e militari delle missioni è esercitato dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, sotto l’autorità del Consiglio e in stretto e costante contatto con il Comitato politico e di sicurezza.
L’art. 42, paragrafo 3 del TUE prevede che gli Stati membri che hanno costituito fra loro forze multinazionali possono metterle a disposizione della politica di sicurezza e di difesa comune.
L’art. 41 del TUE stabilisce i principi per il finanziamento delle missioni civili e militari dell’UE, prevedendo che i costi per le missioni civili siano a carico del Bilancio dell’UE, mentre non lo sono i costi per le missioni militari, a meno che il Consiglio non decida altrimenti all’unanimità.
L’art. 41, paragrafo 3 del TUE prevede, inoltre, la possibilità di creare uno start up fund per le missioni PSDC urgenti basato su contributi degli Stati membri, al fine di rendere più veloce ed efficace il finanziamento, e quindi la pianificazione di missioni di reazione rapida.
Missioni nell’ambito della PSDC si sono svolte nei seguenti paesi e territori: ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Kosovo, Bosnia-Erzegovina, Territori palestinesi occupati, Guinea-Bissau, Repubblica democratica del Congo, Sudan/Darfur, Ciad, Repubblica centrafricana, Somalia, Afghanistan, Moldova, Ucraina, Iraq, Georgia e Aceh (una provincia dell’Indonesia).
Si tratta in larga parte di azioni a sostegno di riforme della polizia, del sistema giudiziario e delle dogane e di rafforzamento della capacità, che facilitano accordi di cessazione delle ostilità e ne assicurano il rispetto. Possono essere decise missioni nell’ambito della PSDC anche con finalità specifiche, come la sorveglianza delle frontiere o la lotta contro la pirateria.
Per quanto concerne le missioni militari dell’UE, sono
attualmente operative:
- EUFOR ALTHEA, lanciata nel 2004 per il mantenimento della sicurezza in Bosnia-Erzegovina, e attualmente riconfigurata, con un contingente significativamente inferiore, in termine di sostegno al paese negli sforzi volti a garantire un ambiente sicuro e di formazione e capacity-building per il Ministero della Difesa e per le forze armate;
- EUNAVFOR ATLANTA, missione navale istituita nel 2008 per contrastare le azioni di pirateria sulle coste della Somalia, proteggendo le navi noleggiate dal Programma alimentare mondiale (PAM) e le navi mercantili – sulla base di una valutazione di necessità da effettuarsi caso per caso – e monitorando le attività di pesca nell’area;
- EUTM SOMALIA, lanciata nel 2010 e con sede in Uganda, per contribuire al rafforzamento del Governo federale di transizione e favorire lo sviluppo sostenibile del settore di sicurezza somalo, anche attraverso la fornitura di consulenza strategica e politica;
- EUTM MALI, lanciata nel febbraio del 2013 con lo scopo di fornire, nel sud del Mali, formazione e consulenza militare alle forze armate maliane (FAM) che operano sotto il controllo delle legittime autorità civili, per consentire loro di condurre operazioni militari volte a ripristinare l’integrità territoriale maliana e ridurre la minaccia rappresentata dai gruppi terroristici;
- EUFOR RCA, istituita nel febbraio 2014 nella Repubblica centrafricana, con l’obiettivo di contribuire alla fornitura di un ambiente sicuro e protetto, sulla base del mandato definito nella risoluzione del Consiglio di sicurezza ONU 2134/2014;
- EUNAVFOR MED, missione navale istituita nel giugno 2015 a fini di lotta contro i trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo, con una prima fase orientata alla raccolta di informazioni di intelligence e due successive che riguarderanno la caccia attiva ai trafficanti, prima in acque internazionali, poi nelle acque territoriali e interne della Libia, previo mandato delle Nazioni Unite e approvazione del paese interessato.
Per quanto concerne invece le missioni civili,
sono oggi operative:
- EULEX KOSOVO, sullo stato di diritto e il sistema giudiziario;
- EU BAM MOLDAVIA E UCRAINA, per il controllo delle frontiere, in particolare nella regione della Transnistria;
- EU BAM RAFAH, per il controllo di frontiera al valico di Rafah, tra la striscia di Gaza e l’Egitto;
- EUPOL ed EUSEC CONGO, a sostegno delle riforme nei settori della sicurezza e della giustizia nella Repubblica democratica del Congo;
- EUPOL AFGHANISTAN, a sostegno e formazione delle forze di polizia nel paese;
- EUMM GEORGIA, missione di monitoraggio al fine di contribuire al ristabilimento e la normalizzazione dell’area;
- EUCAP SAHEL NIGER, a sostegno delle autorità nigeriane nello sviluppo di capacità proprie di lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo nel Sahel;
- EUCAP NESTORE, con il fine di rafforzare la capacità degli Stati della regione del Corno d’Africa e dell’Oceano Indiano occidentale a gestire efficacemente le rispettive acque territoriali;
- EUBAM LIBIA, istituita nel 2013 – mandato di due anni e sede a Tripoli - con l’obiettivo di fornire alle autorità libiche sostegno per sviluppare la capacità di accrescere la sicurezza delle frontiere terrestri, marine e aeree, a breve termine, e per implementare una strategia più ampia di gestione integrata delle frontiere a più lungo termine;
- EUAM UCRAINA, istituita quest’anno per la riforma del settore della sicurezza civile in Ucraina;
- EUCAP SAHEL-MALI, anch’essa istituita nel 2015, a fini di sostegno alle forze di sicurezza interna del Mali.
La ridefinizione dei confini dell'Unione europea a 28, la crescente instabilità dello scenario internazionale e l'apertura di nuovi scenari di crisi in paesi del vicinato - dall'Ucraina alla Siria e la Libia - rendono sempre più necessaria e sentita un'azione di rafforzamento delle missioni civili delle PSDC, in termini tanto di impatto strategico, quanto di risorse utilizzate.
Il dibattito sul rafforzamento della gestione civile
delle crisi si è ovviamente intrecciato con la riflessione più generale sul
rafforzamento della politica di sicurezza e difesa comune, che ha avuto nel
Consiglio europeo del dicembre 2013 - il primo a ospitare un dibattito sui temi
della difesa - uno snodo fondamentale. Le preoccupazioni di esperti e attori
istituzionali si sono concentrate in particolare sulle seguenti questioni,
considerate primarie in termini di necessità e urgenza:
- Il rafforzamento delle strutture dell'UE per la gestione civile delle crisi, anche attraverso un maggior coinvolgimento di esperti in campo civile nella programmazione strategica. In questa direzione sembra procedere il processo di revisione delle strutture preposte alla gestione civile delle crisi all'interno del SEAE, di cui molti tra i contributori al dibattito hanno auspicato la rapida implementazione;
- Una maggiore efficienza delle strutture già esistenti, per esempio riducendo il numero di strutture parallele che operano nella gestione delle crisi, in modo da consentire una risposta più rapida e appropriata;
- La preservazione e il rafforzamento del carattere distinto dell'approccio civile alla prevenzione e alla gestione delle crisi, anche attraverso la piena implementazione e la revisione, ove necessario, dei Civilian Headline Goals;
- Un intervento deciso sui fattori di debolezza strutturale nella gestione civile delle crisi, in primis l'eccessiva lunghezza e la scarsa flessibilità dei processi decisionali;
- La necessità di intervenire con maggiore decisione sul persistente problema connesso al reclutamento di esperti e di personale qualificato dagli Stati membri per le missioni civili, attraverso l'avvio di un vero e proprio Civilian Capability Process e un rafforzamento degli strumenti e delle occasioni di formazione;
- Un impegno rafforzato per una risposta rapida, efficace e il più possibile preventiva alle minacce alla sicurezza, anche tramite un rafforzamento delle capacità civili;
- Il potenziamento delle sinergie tra le dimensioni militare e civile della PSDC, anche attraverso una cooperazione più strutturata e costante in settori quali la formazione, le infrastrutture, la logistica, i trasporti e la protezione degli operatori sul campo;
- Lo sviluppo, in linea con le conclusioni del Consiglio difesa di novembre 2014, di maggiori sinergie tra la PSDC, nelle sue dimensioni militare e civile, e gli attori istituzionali dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in particolare EUROPOL, CEPOL e FRONTEX.
Particolarmente rilevante, nel dibattito sul rafforzamento delle missioni civili, è stato il contributo del Parlamento europeo, che nella sua risoluzione del 21 maggio scorso sull’attuazione della PSDC ha dedicato una sezione apposita alle missioni e operazioni UE.
In tale sezione, tra l’altro:
-
Esprime
preoccupazione per il fatto che le più recenti operazioni civili e militari
siano state fortemente compromesse da carenze strutturali ormai evidenti
da anni, come ad esempio “l’inefficienza della reazione immediata alle azioni
civili e militari, processi decisionali lunghi e rigidi, la necessità di una
maggiore solidarietà tra gli Stati membri nel finanziamento delle missioni,
l’inadeguatezza dei mandati delle missioni rispetto al contesto evolutivo, il
problema della costituzione della forza e la mancanza di reattività logistica e
finanziaria;
- Ritiene che la questione del finanziamento delle missioni e delle operazioni PSDC sia fondamentale per garantire il futuro di tale politica, e che per le missioni civili – dipendenti in toto dal bilancio dell’Unione – sia necessario garantire una maggior disponibilità di fondi;
-
Incoraggia
a compiere sforzi aggiuntivi per semplificare le procedure decisionali e
l’attuazione, introducendo norme specifiche in materia di appalti che
disciplinino le misure di gestione delle crisi nel quadro della PSDC, onde
consentire che le operazioni siano condotte in modo rapido e flessibile;
- Osserva che le missioni civili e militari avviate dall’Unione dal 2009 sono state concepite troppo spesso per dare visibilità all’UE nella sua risposta a una crisi, anziché come strumento strategico frutto di un’analisi e una pianificazione approfondita;
-
Ritiene
che il successo di una missione dipenda anche dalla presenza di personale
adeguato e qualificato in termini di formazione, competenza e leadership;
- Ritiene opportuno condurre una valutazione dell’efficienza delle missioni dell’UE in corso all’estero;
- Mette in dubbio la necessità di dispiegare e mantenere la missione EUBAM LIBIA, “in un contesto istituzionale e di sicurezza in cui non è mai stata in grado di realizzare gli obiettivi minimi individuati";
- Rileva che dal giugno 2013 esiste un deposito che permette il rapido dispiego dei mezzi necessari alle missioni civili della PSDC e ritiene che, per essere utilizzato efficacemente, tale deposito dovrebbe essere posto al servizio dei relativi capimissione per soddisfare le esigenze da essi identificate, anziché dipendere dalle decisioni della Commissione.
Alcune delle considerazioni svolte dal Parlamento europeo nella sua risoluzione sono state sviluppate anche nelle conclusioni sulla PSDC adottate dal Consiglio Difesa del 18 maggio, in preparazione del Consiglio europeo di giugno.
Più nel dettaglio, il Consiglio, sottolineato l’importante contributo delle missioni e operazioni della PSDC alla pace e alla stabilità internazionali:
- Ribadisce l’importanza di disporre di strutture di gestione delle crisi più efficienti all’interno del SEAE, e in particolare la necessità di maggiori e più ampie competenze nel settore civile, nonché l’opportunità di conseguire ulteriori progressi nella programmazione e conduzione delle missioni e delle operazioni in ambito PSDC;
- Considerato l’impegno crescente dell’UE in missioni civili, e l’ampio spettro di compiti che tali missioni sono chiamate a svolgere, ribadisce la necessità di dare piena attuazione al Piano di sviluppo delle capacità civili e di favorire lo sviluppo, la disponibilità e la generazione di capacità civili. A tal fine, saluta con favore la finalizzazione di una Lista generica delle mansioni civili comuni a tutte le missioni in ambito PSDC, che rappresenta un importante contributo alla piena implementazione del Piano di sviluppo delle capacità civili, anche in vista del Consiglio europeo di giugno. Guarda altresì con favore a una soluzione sostenibile che consenta di coprire le esigenze formative della dimensione civile della PSDC, e chiede di completare i lavori per la creazione della piattaforma informatica Goalkeeper, snodo per lo scambio di informazioni tra Stati membri e SEAE in materia di formazione, reclutamento e sviluppo di roster nazionali.
Il Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015 aveva, tra i punti essenziali all'ordine del giorno, la prosecuzione dei lavori su una politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) più efficace, visibile e orientata ai risultati, al centro delle conclusioni del Consiglio europeo del dicembre 2013.
L'emergenza migratoria, il dibattito serrato
sull'individuazione di strumenti di emergenza per fronteggiarla (in primis,
attraverso programmi di ricollocazione e reinsediamento), l'incombere della
crisi greca, hanno ridotto in modo assai significativo gli spazi per un
dibattito sulla PSDC, e il
testo licenziato dal Consiglio europeo appare assai stringato. Constatati i
cambiamenti radicali nel contesto europeo della sicurezza, il Consiglio europeo
ha rilevato la necessità di interventi in tre settori interconnessi:
- In linea con l'Agenda europea sulla sicurezza della Commissione e con le conclusioni del Consiglio del 16 giugno 2015 (cfr. scheda sulla sessione 1), la prosecuzione dei lavori sulla rinnovata strategia di sicurezza interna dell'Unione, con priorità alla piena attuazione degli orientamenti in materia di lotta al terrorismo;
- Continuazione, da parte dell'Alto Rappresentante, del processo di riflessione strategica al fine di preparare una strategia globale dell'UE in materia di politica estera e di sicurezza, in stretta cooperazione con gli Stati membri, da sottoporre al Consiglio europeo entro giugno 2016;
- Prosecuzione, come già ricordato, dei lavori per una PSDC più efficace, visibile e orientata ai risultati, in linea, oltre che con quanto stabilito dal Consiglio europeo di dicembre 2013, anche con le conclusioni del Consiglio difesa del 18 maggio 2015.
Per quanto concerne in
particolare la PSDC, il Consiglio europeo ha ricordato la necessità:
- Che gli Stati membri destinino un livello sufficiente di spesa per la difesa, puntando altresì a un utilizzo il più possibile efficace delle risorse;
- Che il bilancio UE assicuri finanziamenti adeguati all'azione preparatoria sulla ricerca connessa alla PSDC, aprendo la strada a un eventuale futuro programma di ricerca e tecnologia nel settore della difesa;
- Di promuovere una cooperazione europea in materia di difesa rafforzata e più sistematica, al fine di creare le capacità chiave e ricorrendo anche a fondi dell'Unione;
- Di mobilitare tutti gli strumenti dell'UE che possano contribuire a contrastare le minacce ibride;
- Di intensificare i partenariati con ONU, NATO, OSCE e Unione Africana;
- Di mettere i partner in condizione di prevenire e gestire le crisi, anche attraverso progetti concreti di sviluppo di capacità in un ambito geografico flessibile.
Il
Consiglio europeo ha infine espresso la determinazione a mantenere regolarmente
la PSDC all'ordine del giorno dei suoi lavori.
La parte delle Conclusioni del Consiglio europeo di giugno dedicate alla PSDC è stata ritenuta carente e povera di ambizione da molti commentatori e attori politici. Già in fase preparatoria del Consiglio europeo, e in particolare in occasione del COREPER del 17 giugno e del Consiglio affari generali del 23 giugno, i rappresentanti di diversi Stati membri avevano evidenziato l'opportunità di rafforzare l'impianto e il wording delle conclusioni, ottenendo tuttavia risultati solo parziali. Più nel dettaglio, la Commissione europea aveva posto l'accento sulla piena attuazione dell'iniziativa sul capacity building per la sicurezza e lo sviluppo, sull'assegnazione di risorse adeguate all'azione preparatoria in materia di ricerca connessa alla difesa e sull'indicazione di una rendez-vous clause nel 2017. Il SEAE si era pronunciato in favore di un'impostazione più ambiziosa del testo di conclusioni, con riferimenti più puntuali (in parte accolti nel testo definitivo) agli investimenti per la difesa, all'assegnazione di risorse adeguate per l'azione preparatoria in materia di ricerca connessa alla difesa, alla guerra ibrida, all'iniziativa sul capacity building per la sicurezza e lo sviluppo, ai partenariati dell'UE con altre organizzazioni internazionali (ONU, NATO, OSCE e Unione africana) e al contrasto al terrorismo. Particolarmente critico era risultato l'atteggiamento della Francia, che, con il sostanziale sostegno di Germania e Italia, aveva elencato alcuni aspetti sui quali il Consiglio europeo avrebbe dovuto esprimere orientamenti più precisi e vincolanti: azione preparatoria e relativo budget, attuazione dell'iniziativa sul capacity building, incentivi ai progetti di cooperazione per lo sviluppo di capacità militari, reazione rapida e battlegroups e, infine, una rendez-vous clause legata a una data precisa.
a) Il Consiglio europeo di dicembre 2013 e la relazione della Commissione europea di giugno 2014
Il Consiglio
europeo di dicembre 2013, a conclusione di un processo avviato dalla
comunicazione della Commissione "Verso un settore della difesa e della
sicurezza più concorrenziale ed efficiente" (COM
(2013) 542), ha adottato un quadro di azioni e iniziative volte a
rilanciare la PSDC suddiviso in tre grandi clusters:
- aumento dell'efficacia, della visibilità e dell'impatto della PSDC;
- potenziamento dello sviluppo delle capacità militari;
- rafforzamento dell'industria europea della difesa.
Tale quadro, esplicitato in una specifica roadmap, è dunque entrato in fase attuativa a partire dal 2014; il Consiglio europeo si era altresì impegnato a valutare i progressi concreti su ciascuno dei clusters nel giugno 2015.
Sulla roadmap la Commissione ha presentato una relazione nel giugno 2014 (COM (2014) 387), soffermandosi in particolare sui seguenti obiettivi:
-
un mercato interno della
difesa in cui le imprese europee possano operare liberamente e senza
discriminazioni in tutti gli Stati membri;
- una condizione di sicurezza dell'approvvigionamento su tutto il territorio dell'UE che dia alle forze armate la certezza di ricevere forniture sufficienti in ogni circostanza, a prescindere dallo Stato membro in cui ha sede il fornitore;
- un'azione preparatoria sulla ricerca connessa con la PSDC, per esplorare le potenzialità di un programma di ricerca europeo che in futuro possa riguardare sia la sicurezza che la difesa;
- una politica industriale che favorisca la competitività delle industrie europee della sicurezza e contribuisca a fornire a prezzi accessibili tutte le capacità di cui l'Europa ha bisogno per garantire la propria sicurezza.
b) Il Consiglio Difesa del 18 novembre 2014
Il
Consiglio dell'UE del 18 novembre 2014 ha adottato delle specifiche
conclusioni sulle prospettive della PSDC, in vista del Consiglio europeo di
giugno 2015, nelle quali, tra l'altro:
- invita l'Alto Rappresentante a valutare l'impatto dei cambiamenti a livello globale e a riferire al Consiglio nel corso del 2015, presentando altresì una proposta di approccio strategico che tenga conto del ruolo e delle competenze degli Stati membri e proponga un coordinamento e meccanismi di finanziamento adeguati, in base a una valutazione congiunta delle necessità e a un'analisi comune dei rischi;
- sottolinea ulteriormente la necessità di aumentare l'efficacia della PSDC ricorrendo a una cooperazione e a un coordinamento sistematici tra Istituzioni e Stati membri e a un uso coerente ed efficace degli strumenti e delle politiche dell'Unione, e di potenziare lo sviluppo e/o il mantenimento delle capacità di difesa degli Stati membri, avvalendosi di una base industriale e tecnologica di difesa europea (EDTIB) più integrata, sostenibile, innovativa e competitiva, in grado altresì di garantire occupazione, crescita e innovazione e di rafforzare l'autonomia strategica dell'Unione;
- ribadisce l'importanza della cooperazione con i partner, in particolare ONU, NATO, OSCE e Unione Africana, nonché con i partner strategici e con i Paesi del Vicinato;
- sottolinea i progressi compiuti in particolare sui quattro progetti chiave approvati dal Consiglio europeo di dicembre 2013, vale a dire rifornimento aria-aria, sistemi aerei pilotati a distanza, comunicazione satellitare governativa e ciberdifesa;
- ribadisce come l'azione preparatoria sulla ricerca connessa al settore della difesa, svolta dalla Commissione e che riunisce Stati membri, Agenzia europea della difesa (AED) e il Servizio europeo di azione esterna (SEAE) rappresenti un importante passo sulla via di un più vasto programma di ricerca a sostegno della PSDC;
- sottolinea l'importanza della base industriale e tecnologica di difesa europea (EDTIB), accogliendo con favore le misure dell'AED e della Commissione volte a migliorare la sicurezza degli approvvigionamenti, sostenere le PMI, migliorare l'efficacia in termini di costi e l'efficienza del mercato.
Il Consiglio UE di novembre ha altresì adottato il quadro strategico in materia di ciberdifesa - incentrato sul sostegno allo sviluppo delle capacità di ciberdifesa degli Stati membri, sul rafforzamento della protezione delle reti di comunicazione in ambito PSDC, sulla promozione della cooperazione e delle sinergie con le altre politiche UE in materia di cibernetica e sul miglioramento delle potenzialità in materia di istruzione, formazione ed esercitazioni -, nonché il quadro strategico per la cooperazione sistematica e a lungo termine in materia di difesa, volto a rafforzare gli aspetti cooperativi nello sviluppo delle capacità di difesa attraverso un miglior coordinamento degli autonomi processi decisionali nazionali.
Il Consiglio UE ha esortato a un maggiore impegno nel perseguimento delle seguenti misure:
- lo sviluppo di un piano d'azione per l'attuazione dell'approccio globale dell'UE entro il primo trimestre del 2015;
- la predisposizione di un piano d'azione per l'attuazione della strategia per la sicurezza marittima, adottata nel giugno del 2014;
- l'avvio di una concreta azione di sostegno della PSDC alla gestione delle frontiere nella regione del Sahel e del Sahara;
- il rafforzamento del coordinamento tra sicurezza interna ed esterna mediante una maggior cooperazione tra missioni PSDC e gli attori dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (EUROPOL, FRONTEX, CEPOL) e Interpol;
- una riflessione a tutto campo sulle possibilità d'uso dell'art. 44 TUE (in base al quale il Consiglio può affidare la realizzazione di missioni in ambito PSDC a un gruppo di Stati membri che lo desideri e disponga di capacità adeguate);
- il pieno sfruttamento del valore aggiunto del centro operativo dell'UE, in linea con il suo mandato riveduto e con i nuovi mandati del centro satellitare dell'UE e dell'Accademia europea per la sicurezza e la difesa;
- la prosecuzione e accelerazione dei lavori per l'istituzione di un Centro servizi condivisi, che contribuisca alla razionalizzazione delle funzioni di supporto alle missioni civili in ambito PSDC.
Il Consiglio UE si è infine impegnato ad adottare nel mese di maggio 2015 ulteriori conclusioni sulla PSDC, in vista del Consiglio europeo di giugno.
c) Le relazioni della Commissione europea e dell'Alto Rappresentante dell'8 maggio 2015
In vista del Consiglio affari esteri del 18 maggio e del Consiglio europeo del 25 e 26 giugno, la Commissione europea e l’Alto Rappresentante hanno presentato l’8 maggio 2015:
- una relazione sulle iniziative in corso per la promozione di una base industriale e tecnologica di difesa europea, con particolare riferimento all’area del mercato interno, ricerca e politica industriale;
- una relazione sulle iniziative in corso per aumentare l’efficacia, l’impatto e la visibilità della PSDC.
Nella
premessa ai documenti, si sottolinea che dal dicembre 2013 la situazione
della sicurezza nel vicinato europeo è significativamente
peggiorata: ad Est con l’annessione della Crimea da parte della Russia e le
azioni conseguenti in Ucraina; a Sud conflitti e instabilità creano forti
pressioni migratorie; l’azione del Da’esh ha destabilizzato la regione e gli
attacchi terroristici negli Stati membri dell’UE impattano sulla sicurezza
interna. La percezione delle minacce è dunque aumentata sia negli Stati membri
sia tra la popolazione in generale e l’Unione europea si trova ad affrontare
vecchie e nuove sfide che rendono sempre più evidente la sua responsabilità
crescente insieme a quella degli Stati membri, ma anche la necessità di fornire
una risposta comune alla richiesta di protezione da parte dei cittadini, anche
attraverso un uso più estensivo degli strumenti di difesa.
In particolare nella relazione sull’efficacia, l’impatto e la visibilità della PSDC, l’Alto rappresentante presenta le seguenti valutazioni e proposte sulle prospettive future della PSDC:
-
le
missioni e le operazioni in ambito PSDC costituiscono la parte più
concreta e visibile dell’azione dell’UE, ma esse sono efficaci se gli Stati
membri vi destinano le risorse necessarie e se sono basate su una forte
volontà politica e su chiari mandati ed obiettivi;
- è fondamentale, a lungo termine, rafforzare la capacità dei paesi partner e delle organizzazioni regionali di assumere direttamente le responsabilità per la prevenzione e gestione delle crisi;
- l’UE deve ulteriormente ampliare i partenariati in ambito PSDC, in particolare attraverso il dialogo politico e la partecipazione di Stati terzi a missioni ed operazioni dell’UE;
- il mutato contesto geostrategico fornisce uno stimolo ulteriore al rafforzamento della cooperazione tra l’UE e la NATO, in particolare per quanto riguarda gli strumenti di pianificazione, la sicurezza marittima, la cooperazione con Stati terzi, le minacce ibride, la comunicazione strategica, la cibersicurezza, le forze di intervento rapido;
- è necessario dedicare maggiore attenzione e risorse allo sviluppo delle capacità civili delle missioni dell’UE;
- gli Stati membri si devono impegnare ad investire di più e meglio nel settore della difesa, con riguardo anche agli investimenti nel settore della ricerca e sviluppo tecnologico. Occorre promuovere misure volte a stimolare gli investimenti degli Stati membri in progetti di ricerca nei settori della difesa, con l’obiettivo di raggiungere un’autonomia europea in tecnologie fondamentali per garantire la autonomia strategica dell’Europa;
- occorre promuovere una cooperazione sistematica e a lungo termine tra gli Stati membri nel settore della difesa, che deve diventare la regola e non l’eccezione. A tale proposito occorre sfruttare a pieno le disposizioni del Trattato di Lisbona per sviluppare tale cooperazione;
- nel settore spaziale, la difesa europea deve sfruttare meglio i progetti esistenti come Galileo e Copernicus e promuovere migliori sinergie tra progetti del settore civile e di quello militare.
d) Il Consiglio difesa del 18 maggio 2015
Dando seguito all'impegno succitato, il Consiglio Difesa del 18 maggio ha approvato ulteriori conclusioni sulla PSDC, che sono espressamente citate nelle conclusioni del Consiglio europeo di giugno, e che ribadiscono molte delle proposte e degli auspici formulati a novembre.
Il Consiglio, tra l'altro:
-
Ha invitato l'Alto Rappresentante, in stretta
cooperazione con i servizi della Commissione e con l'AED, e in consultazione
con gli Stati membri, a presentare entro la fine del 2015 un quadro
congiunto inclusivo di proposte immediatamente realizzabili e che contribuisca
ad affrontare le minacce ibride, rafforzando la resilienza dell'UE, degli
Stati membri e dei partner;
- Ha ribadito la necessità di rafforzare l'efficacia della PSDC e lo sviluppo e il mantenimento delle capacità degli Stati membri, supportate da una Base industriale e tecnologica di difesa europea (EDTIB) più integrata, sostenibile, innovativa e competitiva;
- Ha sottolineato l'importanza di lavorare insieme ai partner, in particolare l'ONU, la NATO, l'OSCE, l'Unione africana, la Lega degli Stati arabi e l'ASEAN, nonché con i partner strategici e altri paesi partner, e si sofferma in particolare sulla solida cooperazione con le Nazioni Unite nella gestione delle crisi, con la NATO nelle aree di interesse condiviso, con l'Unione africana e i paesi partner di quel continente, dando seguito alla Dichiarazione finale del Vertice UE-Africa del 2014;
- Ha salutato con favore l'implementazione dell'Approccio globale dell'UE ai conflitti esterni e alle crisi, delineato nelle conclusioni del Consiglio del maggio 2014, anche attraverso il Piano d'azione per il 2015, e ha dichiarato di attendere con interesse la presentazione di un Piano d'azione aggiornato che tragga spunto dalle recenti esperienze e sia redatto in stretto coordinamento con gli Stati membri;
- Ha salutato altresì la presentazione, in vista del Consiglio europeo di giugno, della Comunicazione congiunta "Potenziare le capacità per promuovere sicurezza e sviluppo - Consentire ai partner di prevenire e gestire le crisi" (JOIN (2015) 17), con particolare riferimento alle proposte relative alla valutazione, al monitoraggio e a una metodologia per le gestione dei rischi;
- Ha preso atto con soddisfazione dei lavori in corso per implementare il Quadro europeo per la ciberdifesa e sottolineato la necessità di una maggior consapevolezza nei confronti delle minacce cibernetiche;
- Ha preso atto altresì dai lavori in corso per implementare il Piano d'azione del Dicembre 2014 per l'attuazione della Strategia dell'UE per la sicurezza marittima.
e) La risoluzione del Parlamento europeo del 21 maggio 2015 sull'attuazione della PSDC
Sui temi della PSDC
e del suo rafforzamento si è pronunciato, con dovizia di dettagli, anche il
Parlamento europeo, nella sua risoluzione
del 21 maggio scorso "sull'attuazione della politica di sicurezza e di
difesa comune".
Nel testo approvato a Strasburgo il Parlamento europeo, tra l'altro:
- Si rammarica per il fatto che lo slancio politico impresso nel 2013 non abbia portato a un rafforzamento della cooperazione né all'attuazione effettiva e rapida "di misure pratiche commisurate ai livelli dichiarati di ambizione;
- Si dichiara costernato per i continui problemi in termini di costituzione della forza riscontrati in occasione dell'avvio delle missioni militari, che, ad eccezione dell'EUTM Mali, non riguardano mai più di sei Stati membri;
- Apprezza l'impegno espresso dal Consiglio per un esame del potenziale dell'art. 44 del TUE ma si rammarica per il fatto che le divisioni sull'argomento non abbiano consentito per ora di compiere alcun progresso in merito alle modalità di applicazione di detto articolo, che consentirebbe all'Unione di intervenire in modo molto più flessibile e rapido, accrescendone la capacità di far fronte alle minacce che la circondano;
- Accoglie con favore l'adozione di un quadro strategico dell'UE in materia di ciberdifesa e sottolinea l'importanza di raggiungere un livello comune di sicurezza informatica tra gli Stati membri al fine rafforzare le capacità di reazione agli attacchi informatici e al ciberterrorismo;
- Ritiene che "gli effetti della crisi economica e finanziaria del 2008 abbiano comportato la riduzione delle spese nazionali per la difesa e che i tagli siano stati operati senza il minimo coordinamento tra gli Stati membri, mettendo a repentaglio l'autonomia strategica dell'Unione e la capacità degli Stati membri di far fronte al fabbisogno di capacità delle loro forze armate", e sottolinea pertanto l'importanza di stabilire una pianificazione preventiva per gli investimenti strategici nell'acquisto e nel rinnovamento di materiali tra gli Stati membri;
- Accoglie con favore l'adozione, durante il Consiglio del 18 novembre 2014, di un quadro politico per la cooperazione sistematica e a lungo termine in materia di difesa, fondato sulla convergenza dei processi di pianificazione delle capacità e sullo scambio di informazioni, nonché del piano di sviluppo delle capacità (PSC) dell'Agenzia europea delle difesa (AED);
- Esprime un giudizio positivo sui modelli di cooperazione esistenti come il Comando europeo di trasporto aereo (CETA) e deplora il fatto che essi non siano stati adattati ad altri tipi di capacità di difesa;
- Plaude ai progressi compiuti in materia di rifornimento in volo grazie all'acquisizione di una flotta di aerei multiruolo per il trasporto e il rifornimento (MRTT), deplorando al contempo che solo un numero molto limitato di Stati membri abbia finora partecipato al progetto;
- Prende atto dell'intenzione del Consiglio di elaborare dei progetti per il rafforzamento delle capacità dell'UE tra cui i Sistemi Aeromobili a Pilotaggio Remoto (RPAS) e sottolinea la necessità di elaborare un quadro normativo per l'integrazione iniziale, entro il 2016, dei sistemi RPAS nel sistema aereo europeo;
- Invita l'Unione a incoraggiare gli Stati membri a "conseguire gli obiettivi di capacità della NATO, che richiedono una spesa di difesa minima del 2% del PIL, e la destinazione di almeno il 20% della spesa di difesa alle principali esigenze in materia di equipaggiamenti, ivi compresi ricerca e sviluppo";
- Prende atto della comunicazione della Commissione del luglio 2013 "Verso un settore della difesa e della sicurezza più concorrenziale ed efficiente", nonché della tabella di marcia del giugno 2014 per l'attuazione della comunicazione e delle proposte in essa contenute, ma ritiene che tutte queste misure necessitino "di una preventiva definizione comune del perimetro della base industriale e tecnologica di difesa europea (BITDE) per poter individuare quali imprese o attività strategiche potranno beneficiarne, tenendo in considerazione il diverso potenziale tra le industrie della difesa degli Stati membri";
- Ritiene infine che nessun governo possa varare da solo dei programmi di ricerca e tecnologia di portata realmente ampia; accoglie con favore le proposte della Commissione relative alla creazione di sinergie tra ricerca civile e di difesa; invita la stessa Commissione e gli Stati membri ad appoggiare la missione di ricerca a sostegno delle politiche esterne dell'Unione, compreso lo sviluppo nel settore delle tecnologie a duplice uso per migliorare l'interoperabilità tra protezione civile e forze militari; accoglie con favore il lancio di "azioni preparatorie" e auspica che, nel settore della PSDC, il passo successivo sia il finanziamento "di un pertinente settore di ricerca nel prossimo quadro finanziario pluriennale.
[1] La missione EUBAM Rafah, istituita nel 2005, ha mandato di assicurare una presenza come parte terza al valico di Rafah. L’operatività della missione è stata sospesa il 13 giugno 2007, a seguito della presa di controllo della striscia di Gaza da parte di Hamas e della decisione di Israele di chiudere il valico di Rafah. La missione EUPOL COPPS, istituita nel 2006, è volta a sostenere la costruzione di una capacità istituzionale palestinese attraverso la creazione di un dispositivo di polizia efficace e la consulenza in materia di giustizia penale e Stato di diritto.
[2] La PEV - inaugurata dalla Commissione con una comunicazione presentata l’11 marzo 2003 - si rivolge ai nuovi Stati indipendenti (Bielorussia, Moldova, Ucraina), ai paesi del Mediterraneo meridionale (Algeria, Autorità palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia) e agli Stati del Caucaso (Armenia, Azerbaigian e Georgia).
[3] Alle quali si sono aggiunte, nel marzo 2015, altre due Conferenze ministeriali su ambiente ed energie rinnovabili e su ricerca, innovazione e istruzione superiore.
[4] Nel 2011 è stato creato il Fondo verde per il clima (Green Climate Fund – GCF), con l’obiettivo di raccogliere finanziamenti (non inferiori a 100 miliardi di dollari) dai paesi più sviluppati entro il 2020. Il Fondo verde per il clima è diventato operativo nel 2014: con la prima conferenza dei donatori per il GCF nel novembre 2014, gli impegni totali hanno raggiunto 9,6 miliardi di dollari. Gli Stati membri dell'UE si sono finora impegnati per più di 3,8 miliardi di dollari.
[5] Il sistema delle preferenze generalizzate (SPG), applicato dall’UE a partire dal 1971 sulla base di una raccomandazione dell’UNCTAD (Conferenza delle Nazioni Unite su commercio e sviluppo), consente di potenziare le esportazioni di prodotti originari dei paesi in via di sviluppo tramite la concessione di speciali preferenze tariffarie. Nell’ambito di tale sistema è previsto l’SPG+, un regime speciale di incentivazione, attraverso cui l’UE concede agevolazioni tariffarie aggiuntive ad alcuni PVS considerati particolarmente “vulnerabili” e che si impegnino a rispettare una serie di obblighi internazionali in materia di good governance e sviluppo sostenibile.
[6] L’Agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne – Frontex, con sede a Varsavia, è pienamente operativa dal 3 ottobre 2005. I principali compiti di Frontex sono: coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri nella gestione delle frontiere esterne; assistere gli Stati membri in circostanze che richiedono una maggiore assistenza tecnica e operativa alle frontiere esterne, in particolare quelli che fanno fronte a pressioni specifiche o sproporzionate, e tenendo conto del fatto che alcune situazioni possono comportare emergenze umanitarie e il soccorso in mare; istituire squadre europee di guardie di frontiera da impiegare durante le operazioni congiunte, i progetti pilota e gli interventi rapidi; offrire agli Stati membri il supporto necessario e, se richiesto, il coordinamento o l'organizzazione per quanto riguarda le operazioni congiunte di rimpatrio. Si ricorda che il regolamento che istituisce Frontex prevede diffusamente che l’Agenzia tenga conto dell’eventualità del soccorso in mare, e che rispetti il diritto internazionale in materia di intercettazione, soccorso in mare e sbarco, nonché i diritti fondamentali.
[7] A tal fine, i ministri di Francia, Germania e Italia chiedono che i ministri degli esteri e degli interni cooperino nella preparazione del prossimo Consiglio europeo.
[8] Il JOT MARE è un team d’intelligence congiunto formato da agenti dell’Europol ed esperti distaccati degli Stati membri, il cui scopo è affrontare i “gruppi criminali organizzati” che agevolano il movimento via nave dei migranti irregolari nel Mediterraneo verso l’UE e organizzano i successivi movimenti secondari all’interno dell’Unione.