Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
| |||||
---|---|---|---|---|---|
Autore: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||||
Titolo: | Conferenza interparlamentare sulle politiche estera e di sicurezza e di difesa comuni (PESC-PSDC). Vilnius, 4-6 settembre 2013 | ||||
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari Numero: 9 | ||||
Data: | 30/08/2013 | ||||
Descrittori: |
|
Camera dei deputati
XVII LEGISLATURA
Documentazione per le Commissioni
riunioni interparlamentari
Conferenza interparlamentare sulle politiche estera
e di sicurezza e di difesa comuni (PESC-PSDC)
Vilnius, 4 – 6 settembre 2013
n. 9
30 agosto 2013
Il dossier è stato curato dall’Ufficio rapporti con l’Unione europea
(' 066760.2145 - * cdrue@camera.it)
Alla redazione del dossier ha collaborato il Servizio Studi, Dipartimento affari esteri e Dipartimento difesa (' 066760.4939 - 066760.4172)
________________________________________________________________
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
I N D I C E
La Conferenza interparlamentare per il controllo sulla PESC/PSDC
La Commissione ad hoc per il riesame
Emendamenti e proposte di modifica al regolamento della Conferenza sulla PESC e PSDC
Le azioni dell’UE a tutela della democrazia e dei diritti umani nei Paesi terzi
· Le disposizioni del Trattato
· L’Agenda dell’UE per l’azione di sostegno alla democrazia nelle relazioni esterne dell’UE
· Sostegno dell’UE ai paesi in fase di transizione
· Il quadro strategico dell’UE su diritti umani e democrazia
· Strumenti per la promozione della democrazia e dei diritti umani
· Finanziamento delle attività di promozione della democrazia e dei diritti umani
· Attività del Parlamento europeo
Priorità della Presidenza lituana nel settore dell’azione esterna dell’UE
La Politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona
· La Politica estera e di sicurezza comune (PESC)
· La Politica di sicurezza e difesa comune (PSDC)
La revisione del Servizio per l’azione esterna dell’UE (SEAE)
· Organizzazione e funzionamento del SEAE
· Il rapporto dell’Alto rappresentante, Catherine Ashton, sulla revisione del SEAE
· La risoluzione del Parlamento europeo recante raccomandazioni per la revisione del SEAE
· Cooperazione nelle missioni internazionali
· La posizione delle istituzioni dell'UE
· L’istituzione del Partenariato orientale
· Gli ambiti del Partenariato orientale
· Il mandato del Consiglio europeo
· Il draft del rapporto dell’Alto rappresentante in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013
· Posizione del Parlamento europeo
· Posizioni espresse dal Governo Italiano in sede europea
· Tabelle
Regolamento della Conferenza: emendamenti e le proposte di modifica (testo in inglese) 93
La Conferenza per il controllo parlamentare sulla politica estera e di sicurezza comune (PESC) e sulla politica di sicurezza e difesa comune (PSDC) è stata istituita dalla Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’UE che si è svolta a Varsavia il 19-21 aprile 2012.
Successivamente all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1° dicembre 2009), e in particolare delle disposizioni in materia di politica estera e di difesa comune - tra cui la clausola di mutua assistenza in caso di aggressione armata - il 31 marzo 2010 la Presidenza spagnola dell’Unione dell’Europa occidentale (UEO), a nome degli Stati membri effettivi del Trattato UEO, ha annunciato la decisione collettiva di ritirarsi dal Trattato stesso, determinandone così la dissoluzione avvenuta il 30 giugno 2011. Conseguentemente sono cessate anche le attività dell’Assemblea parlamentare dell’UEO. Ciò ha posto dunque la questione della sede e delle modalità con le quali esercitare il controllo parlamentare sulla PESC/PSDC.
Le conclusioni della Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti di Varsavia fissano i seguenti princìpi istitutivi:
· la Conferenza interparlamentare per la PESC/PSDC è composta da delegazioni dei Parlamenti nazionali degli Stati membri dell'Unione europea e del Parlamento europeo, e sostituisce le riunioni dei Presidenti delle Commissioni affari esteri dei Parlamenti dell’UE (COFACC) e dei Presidenti delle Commissioni difesa (CODAC);
· ogni Parlamento decide autonomamente sulla composizione della sua delegazione. I Parlamenti nazionali sono rappresentati da delegazioni composte da 6 membri. Per i Parlamenti bicamerali il numero dei membri potrà essere distribuito con accordi interni. Il Parlamento europeo è rappresentato da una delegazione di 16 membri. I Parlamenti dei paesi candidati all’adesione ed i Parlamenti di paesi europei membri della NATO potranno partecipare con una delegazione composta da 4 osservatori[1];
· la Conferenza si riunisce due volte l'anno nel Paese che esercita la Presidenza semestrale del Consiglio o presso il Parlamento europeo a Bruxelles. La decisione spetta alla Presidenza. La Conferenza può tenere riunioni straordinarie in caso di necessità o urgenza;
· la Presidenza delle riunioni è esercitata dal Parlamento nazionale dello Stato membro che ricopre la Presidenza di turno dell’UE, in stretta cooperazione con il Parlamento europeo;
· Il Segretariato della Conferenza spetta al Parlamento nazionale dello Stato membro che esercita la Presidenza di turno dell’UE, in stretta cooperazione con il Parlamento europeo, e dei Parlamenti nazionali della precedente e successiva Presidenza di turno dell’UE;
· l'Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza è invitato alle riunioni della Conferenza per esporre le linee d’indirizzo e le strategie della politica estera e di difesa comune dell'Unione;
· la Conferenza può adottare per consenso conclusioni non vincolanti;
· sulla base dei principi sopra esposti, la Conferenza approva i propri regolamento interno e metodi di lavoro.
La Conferenza dei Presidenti di Varsavia ha, previsto inoltre, che, al termine di due anni dalla prima riunione della Conferenza interparlamentare si procederà ad una revisione della formula adottata per la sua composizione.
In occasione della prima Conferenza per il controllo parlamentare sulla PESC/PSDC, che è svolta a Paphos (Cipro) dal 9 all’10 settembre 2012, è stato adottato il regolamento interno.
La seconda Conferenza si è svolta a Dublino il 24 e 25 marzo 2013.
La Commissione ad hoc per il riesame del funzionamento della Conferenza per il controllo parlamentare sulla PESC/PSDC
In occasione della prima riunione della Conferenza sulla politica estera e di sicurezza comune (PESC) e sulla politica di sicurezza e difesa comune (PSDC), che si è svolta a Paphos (Cipro) il 9 e 10 Settembre 2012, la Conferenza ha adottato il proprio regolamento che, all’articolo 9, prevede la possibilità di nominare una Commissione ad hoc con il compito di riesaminare, 18 mesi dopo la prima riunione, eventuali modifiche alle regole di funzionamento della Conferenza stessa, da sottoporre alla Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’UE.
La seconda Conferenza interparlamentare per il controllo sulla PESC/PSDC, che si è svolta a Dublino il 24 e 25 marzo 2013, ha proceduto all’istituzione della Commissione ad hoc per il riesame, definendone la composizione ed un calendario orientativo dei lavori, e ha invitato la Presidenza lituana ad avviarne i lavori.
In particolare, la Conferenza ha previsto che:
· la Commissione ad hoc per il riesame sia composta da un rappresentante per ciascuna della delegazioni dei Parlamenti nazionali degli Stati membri dell’UE e del Parlamento europeo e sia presieduta dal Parlamento che detiene la Presidenza di turno, in stretta cooperazione con i Parlamenti nazionali dell’attuale Trio di Presidenza (Irlanda, Lituania e Grecia), il Parlamento europeo, Cipro e l’Italia (in quanto eserciterà il proprio turno di Presidenza del Consiglio dell’Unione europea nel secondo semestre 2014 e avrà la Presidenza della Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’UE che si svolgerà nella primavera del 2015 e che, presumibilmente, dovrà decidere sull’esito del riesame);
· sia istituito un gruppo di lavoro che prepari l’attività della Commissione ad hoc per il riesame, procedendo ad una valutazione preliminare del funzionamento della Conferenza. Tale gruppo di lavoro è composto da un rappresentante per ciascuna delle delegazioni dei Parlamenti che presiedono il suddetto Comitato e presieduto dal Parlamento che detiene la Presidenza di turno.
· la Commissione ad hoc per il riesame dovrà presentare le sue raccomandazioni in occasione della Conferenza sul controllo parlamentare sulla PESC/PSDC che si svolgerà sotto la Presidenza greca nella primavera del 2014, a conclusione della quale cesserà la sua esistenza;
· l’intera procedura per il riesame si dovrebbe concludere indicativamente con una decisione della Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’UE, che si svolgerà nella primavera del 2015, sotto la Presidenza dell’Italia.
La prima riunione del gruppo di lavoro e della Comissione ad hoc per il riesame si svolgerà a Vilnius (Lituania) il 5 settembre 2013, a margine della Conferenza per il controllo della PESC e PSDC.
In vista della prima riunione del gruppo di lavoro e della Commissione ad hoc per il riesame del funzionamento della Conferenza, che si svolgerà a Vilnius il 5 settembre 2013, la Presidenza Lituana ha fatto circolare un documento di lavoro contente il testo del regolamento della Conferenza corredato dagli emendamenti ed osservazioni presentati dalle delegazioni.
Di seguito si segnalano, per ciascuna disposizione del regolamento, gli emendamenti presentati, che in alcuni casi non sono formulati in termini di modifica puntuale al testo vigente, ma come principi emendativi o come richieste di approfondimento su questioni emerse in sede di prima applicazione del regolamento stesso.
Il Parlamento croato propone di sostituire nel testo del regolamento il termine “conferenza interparlamentare” con l’abbreviazione “COFDAC” (attualmente la conferenza viene nella prassi indicata generalmente con l’abbreviazione COPESC).
La House of Lords e la House of Commons britanniche chiedono di valutare in quale misura la dimensione della Conferenza abbia un impatto sullo svolgimento delle sue riunioni e dibattiti e sulle procedure con le quali le conclusioni della Conferenza sono redatte e approvate.
In particolare si osserva come, in occasione dell’ultima conferenza che si è svolta a Dublino, i membri della delegazione del Parlamento britannico non abbiano avuto sufficiente opportunità di esaminare il progetto di conclusioni. Le Camere del Parlamento britannico osservano inoltre che i lavori del Comitato ad hoc per il riesame non devono condurre ad una estensione del ruolo della Conferenza al di là dei principi stabiliti dalla Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’UE.
2.1 membri
Il Bundestag tedesco, ripresentando una proposta già respinta in occasione dell’adozione del regolamento della Conferenza, chiede che il numero dei membri della delegazione di ogni Parlamento sia basato, in proporzione di 2/3, sulla distribuzione dei membri nell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, secondo una tabella allegata all’emendamento.
In base alla distribuzione proposta, le delegazioni comprenderebbero un minimo di 4 membri per i Parlamenti degli Stati membri più piccoli (Malta, Cipro e Lussemburgo) e 12 per i Parlamenti degli Stati più grandi (Francia, Germania, Italia e Regno Unito) contro gli attuali 6 membri per ciascuna delegazione dei Parlamenti nazionali. La delegazione del Parlamento europeo manterrebbe invece i 16 membri attualmente previsti.
La Camera dei rappresentanti ed il Senato del Parlamento olandese riaffermano invece l’esigenza che la composizione delle delegazioni dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo sia limitata ai numeri attuali (6 per i Parlamenti nazionali e 16 per il Parlamento europeo).
2.3 Alto rappresentante, ospiti speciali ed esperti
Il Parlamento spagnolo chiede di rafforzare le funzioni di controllo sull’operato dell’Alto rappresentante, prevedendo che quest’ultimo discuta e definisca le priorità e le strategie dell’UE sulla PESC e PSDC nell’ambito della conferenza interparlamentare. A tal fine si propone che l’Alto rappresentante sottoponga in anticipo alla Conferenza una dichiarazione al riguardo e presenti una relazione annuale sulle conclusioni e raccomandazioni adottate dalla Conferenza.
Anche il Bundestag tedesco e il Parlamento croato propongono che l’Alto rappresentante sottoponga in anticipo alla Conferenza una dichiarazione scritta sulle priorità e strategie nel settore della PESC e PSDC.
Il Parlamento olandese propone di:
· migliorare la comunicazione tra le delegazioni istituendo una mailing list per i delegati, che potrebbe essere ristretta ai capi delegazione funzionari e che si aggiungerebbe a quella già esistente dei funzionari dei Parlamenti nazionali presenti a Bruxelles;
· articolare i lavori della conferenza in gruppi e sessioni di lavoro accanto o in sostituzione delle riunioni plenarie.
Il Parlamento britannico:
· appoggia l’ipotesi di articolare ulteriormente i lavori della Conferenza, a margine della riunione plenaria, in gruppi più ristretti in grado di esaminare questioni specifiche;
· propone di ri-bilanciare i tempi delle discussioni dando più tempo per domande e risposte e per la presentazione dei contributi da parte di ciascun parlamento.
Il Bundestag tedesco propone che almeno 6 membri provenienti da almeno 5 differenti delegazioni possano formare un gruppo politico in seno alla Conferenza.
Il Parlamento olandese, per contro, ritiene che la creazione di gruppi politici all’interno della conferenza interparlamentare per il controllo della PESC e PSDC sia contraria alla prassi della cooperazione interparlamentare in sede europea.
4.1 ordine del giorno
Il Bundestag tedesco propone che l’ordine del giorno della Conferenza sia approvato a maggioranza prima dell’inizio di ciascuna riunione e che proposte per modificare l’ordine del giorno possano essere sottoposte da almeno 3 membri provenienti da almeno 2 delegazioni.
Il Parlamento olandese propone che tutte le delegazioni siano consultate sul programma della Conferenza prima che il progetto di ordine del giorno sia inviato.
La previsione di un’approvazione a maggioranza dell’odg delle riunioni, così come di ogni altro documento discusso, costituirebbe una deroga al principio consolidato in base al quale le sedi di cooperazione interparlamentare deliberano per consenso, al fine di garantire la parità tra tutti i parlamenti nazionali. L’unica deroga sinora prevista concerne l’approvazione delle conclusioni e del contributo della Conferenza degli organi parlamentari specializzati negli affari dell’Unione - COSAC (v. infra).
4.2 altri documenti
Il Bundestag tedesco propone che eventuali discussion paper possano essere aggiunti ai documenti della Conferenza su richiesta di 3 membri e con una decisione adottata a maggioranza semplice (si ribadisce quanto osservato sopra con riferimento alla deliberazione a maggioranza).
Il Parlamento olandese, al fine di rafforzare la continuità tra le successive Presidenze della Conferenza, propone che prima di ogni riunione sia pubblicata una relazione sui lavori della Presidenza in corso e sulle priorità di quella successiva, che dia anche conto del seguito delle conclusioni e raccomandazioni adottate dalla Conferenza e delle dichiarazioni ed impegni dell’Alto rappresentante.
Articolo 5 (Lingue)
Il Bundestag tedesco, riproponendo un emendamento già respinto in occasione dell’adozione del regolamento interno da parte della Conferenza di Paphos nel settembre 2012, chiede di dare alla lingua tedesca uno status in linea con il fatto che la Conferenza è un organismo interparlamentare dell’UE.
La portata dell’emendamento non è chiara, non avendo sinora la lingua tedesca uno status particolare rispetto alle altre lingue; è infatti consolidato il principio per cui le sedi di cooperazione interparlamentare (ad eccezione della COSAC e della Conferenza dei Presidenti che hanno un regime specifico), utilizzano quali lingue veicolari l’inglese e il francese (cui si aggiunge di volta in volta la lingua della Presidenza di turno); ciascun parlamento può chiedere che siano messe a disposizione per ciascuna riunione cabine per assicurare, a proprie spese, l’interpretariato da e verso la rispettiva lingua.
Articolo 6 (Segretariato)
Il Parlamento olandese è contrario ad istituire forme di istituzionalizzazione della Conferenza quali una Presidenza permanente e un segretariato permanente.
Articolo 7 (Conclusioni)
Il Bundestag tedesco ha presentato emendamenti volti a:
· sostituire la regola del consenso per l’adozione delle conclusioni della conferenza con una votazione a maggioranza dei 3/4 dei voti espressi;
· configurare il voto come un diritto individuale dei membri della Conferenza (anziché di ciascuna delegazione, secondo un principio consolidato nelle sedi di cooperazione interparlamentare in ambito UE);
· a stabilire che la Presidenza, all’atto della trasmissione delle conclusioni all’Alto rappresentante ai Presidenti del Consiglio europeo e della Commissione europea, chieda loro di esprimere un parere.
Il primo emendamento, come già ricordato, sembra volto ad estendere alla conferenza le regole previste per l’approvazione del contributo e delle conclusioni della COSAC, in deroga al principio consolidato in base al quale le sedi di cooperazione interparlamentare deliberano per consenso, al fine di garantire la parità tra tutti i parlamenti nazionali.
Nella logica complessiva degli emendamenti tedeschi la previsione del voto individuale anziché per delegazione sembra intesa:
● a superare il principio di parità tra i Parlamenti nazionali sinora consolidato (e riconosciuto anche dai Protocolli allegati al Trattato di Lisbona con riguardo al controllo di sussidiarietà, mediante l’attribuzione di due voti al parere motivato di ciascun parlamento nazionale). Ove fosse accolta la proposta di rimodulare la dimensione delle delegazioni si riconoscerebbe infatti un numero maggiore di voti, anche se esercitabile in modo disgiunto, ai maggiori stati membri;
● a consentire la formazione di maggioranze in base alla affiliazione politica (in seno ai gruppi) anziché alla nazionalità.
Il Parlamento lituano propone un emendamento volto a prevedere che il progetto di conclusioni sia presentato non più nel corso della riunione, ma con sufficiente anticipo prima del suo svolgimento.
Articolo 7 (Regolamento)
Il Bundestag tedesco ha presentato un emendamento volto a consentire la presentazione di emendamenti al regolamento della Conferenza oltre che alle delegazioni dei Parlamenti anche ai gruppi politici (che con un diverso emendamento ha proposto di costituire). Inoltre, propone che le modifiche al regolamento siano adottate non più per consenso ed entro i principi di funzionamento della conferenza definiti dalla Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’UE, ma a maggioranza di 3/4 con un quorum minimo di 2/3 dei voti di tutti i membri.
L’emendamento costituirebbe una novità assoluta, essendo previsto anche in seno alla COSAC il voto all’unanimità per le modifiche del regolamento.
Articolo 9 (Verifica del funzionamento della Conferenza)
Il Parlamento di Cipro ha proposto –come già fatto in vista della Conferenza PESC/PSDC di Dublino del 24 e 25 marzo 2013 – che la Conferenza istituisca una missione conoscitiva per monitorare il processo democratico nel vicinato del sud ed est del Mediterraneo. Tale missione dovrebbe recarsi in visita presso i Paesi della cosiddetta “Primavera araba” e successivamente riferire alla Conferenza.
Tale missione dovrebbe essere composta da un numero massimo di 8 componenti su decisione della Conferenza attraverso un invito a presentare candidature. La missione potrebbe avere un coordinatore e la sua composizione potrebbe essere rinnovata ad ogni missione. La missione avrebbe un mandato fino alla prossima Conferenza, che potrebbe essere rinnovato. Il segretariato della missione dovrebbe essere assicurato dal Parlamento del coordinatore, in cooperazione con la troika Presidenziale e con il Parlamento europeo. I costi della missione sarebbero a carico dei Parlamenti dei membri che vi partecipano.
Un’accurata valutazione della praticabilità della proposta cipriota dovrà considerare l’esigenza di evitare duplicazioni con analoghe iniziative adottate nell’ambito della cooperazione interparlamentare, con particolare riferimento all’Unione per il Mediterraneo (UPM). Vi è, inoltre, l’impossibilità, allo stato, di quantificare gli oneri che potrebbero derivarne per le Camere interessate a partecipare.
Sessione I
Ai sensi dell’articolo 2 del Trattato sull’Unione (TUE), l'Unione europea si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze.
L’articolo 3 del TUE prevede che nelle relazioni con il resto del mondo, l'Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all'eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, segnatamente al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite.
Oltre che da alcune dichiarazioni[2], l’azione della UE in materia di diritti umani è vincolata anche dalla Carta dei diritti fondamentali, proclamata nel 2000 e alla quale il TUE attribuisce lo stesso valore giuridico dei trattati.
Il Consiglio dell’UE nella riunione del 17 novembre 2009 ha adottato conclusioni in merito all’Agenda dell’UE per l’azione di sostegno alla democrazia nelle relazione esterne dell’UE.
L’Agenda fissa, in particolare, i seguenti principi dell’azione dell’UE in tale ambito:
· la tutela dei diritti umani e la promozione democrazia sono inestricabilmente collegati e si rafforzano reciprocamente;
· ai fini della lotta contro la povertà e per lo sviluppo sostenibile è essenziale compiere progressi in materia di protezione dei diritti dell'uomo, buon governo e democratizzazione;
· pur non essendovi un unico modello di democrazia, le democrazie presentano talune caratteristiche comuni, fra cui il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, incluso il principio di non discriminazione, secondo il quale ognuno ha diritto di godere di tutti i diritti umani senza discriminazione di razza, sesso, lingua, religione, opinioni politiche o di altra natura, nazionalità o origine sociale, nascita o altro status;
· la capacità di uomini e donne di partecipare a parità di condizioni alla vita politica e al processo decisionale è un prerequisito di una vera democrazia;
· l'UE rispetta il principio della titolarità dei programmi e delle strategie di sviluppo da parte dei paesi partner;
· il sostegno dell'UE alla democrazia rivolge particolare attenzione al ruolo dei rappresentanti eletti, dei partiti politici e delle istituzioni, dei media indipendenti e della società civile;
· l'UE riconosce l'essenziale ruolo di controllo dei rappresentanti dei cittadini democraticamente eletti ed incoraggia un maggiore coinvolgimento delle assemblee nazionali, dei parlamenti e delle autorità locali nel processo decisionale nazionale;
· l'obbligo per i leader e i funzionari pubblici di rendere conto ai cittadini è un elemento fondamentale della democrazia. In tale contesto l'UE ribadisce il suo sostegno agli sforzi volti a combattere la corruzione.
La Commissione europea e l’Alto rappresentante hanno presentato il 3 ottobre 2012 una comunicazione congiunta intitolata “Sostegno dell’UE a un cambiamento sostenibile nelle società in fase di transizione” (JOIN(2012) 27) che illustra l’approccio e le iniziative dell’UE volte a promuovere nei paesi in fase di transizione la governance democratica, i diritti umani e lo stato di diritto, il benessere economico e sociale, nonché la pace e la stabilità.
In particolare, per contribuire a un cambiamento sostenibile nelle società in via di transizione, l’UE dovrebbe perseguire i seguenti obiettivi:
· mobilitare tutti i suoi strumenti in una risposta organica e a lungo termine che tenga conto delle esigenze del paese partner e delle motivazioni profonde che alimentano l’aspirazione della popolazione al cambiamento sociale;
· promuovere la governance democratica, i diritti dell’uomo e lo Stato di diritto, il benessere economico e sociale a livello nazionale e regionale, nonché la pace e la stabilità;
· agire in modo da aumentare la titolarità dei paesi partner nei confronti del processo di riforma, e incoraggiare lo scambio di esperienze senza imporre modelli specifici.
Per raggiungere tali obiettivi, l’azione dell’UE dovrebbe:
· fondarsi su un’adeguata valutazione delle esigenze, tenendo pienamente conto delle principali sfide che i paesi partner devono affrontare;
· esplorare le possibilità di realizzare velocemente progressi sugli aspetti concernenti le libertà fondamentali, la produzione di reddito e la fornitura di servizi pubblici nella fase iniziale della transizione, per incoraggiare la popolazione a continuare a sostenere le riforme;
· usare incentivi e condizionalità in modo più coerente ed efficiente;
· coinvolgere nei processi di riforma e nei dialoghi politici tutti i soggetti e gli organismi portatori di interesse, quali le parti sociali ed economiche, il settore privato, altre associazioni della società civile, e le organizzazioni regionali;
· investire di più nella creazione di istituzioni imparziali – espressione dello Stato di diritto - per garantire che le riforme intraprese siano anche attuate e applicate nella pratica ed estendere lo sviluppo delle capacità al di là delle istituzioni per migliorare l’accesso dei cittadini ai servizi pubblici, come la sicurezza e la giustizia;
· avviare una cooperazione e un coordinamento efficienti con gli Stati membri dell’UE, compresa l’eventuale programmazione comune, e con altri donatori e operatori.
Il Consiglio dell’UE ha adottato il 31 gennaio 2013 delle conclusioni sulla comunicazione congiunta della Commissione europea e dell’Alto rappresentante nelle quali in particolare indica che:
· l'approccio dell'UE dovrebbe essere oggetto di uno stretto coordinamento tra le istituzioni e gli strumenti di politica estera dell'UE e mirare a consolidare riforme sociali, economiche, politiche e ambientali sostenibili. L'obiettivo ultimo dovrebbe essere quello di pervenire ad una democrazia inclusiva, nonché ad una crescita sostenibile, compresa un'economia verde e a basse emissioni di carbonio, e alla riduzione della povertà;
· fondamento della risposta politica dell'UE dovrebbe essere il contesto del paese: l'UE dovrebbe agire a livello di paese e dietro richiesta dei paesi partner, sulla base delle esigenze e degli obiettivi dei medesimi, e rafforzare la titolarità dei processi di riforma condotti localmente, senza imporre modelli specifici;
· l'UE sottolinea il ruolo cruciale della società civile, tra cui le ONG, le parti sociali e i partner economici, nonché il settore privato e le autorità locali, i parlamenti nazionali e i partiti politici, nel premere in favore di riforme interne e nel realizzarle;
· l'UE dovrebbe fare un uso più efficiente della condivisione delle conoscenze e dei metodi di sviluppo delle capacità, promuovendo scambi di esperti e gemellaggi, ove opportuno, e l'uso dell'esperienza in materia di transizione eventualmente maturata dagli Stati membri.
Con il quadro strategico dell’UE su diritti umani e democrazia con annesso piano d’azione, adottato dal Consiglio il 25 giugno 2012, l’UE si è dotata per la prima volta di un quadro unificato di obiettivi, corredato da una serie azioni ad ampio raggio in materia di diritti umani e democrazia.
Il quadro strategico definisce principi, obiettivi e priorità - tutti finalizzati a migliorare l’efficacia e la consistenza della politica UE nei prossimi dieci anni - e fornisce una base concordata per uno sforzo realmente collettivo che coinvolge Stati membri e istituzioni UE.
Gli aspetti chiave sono:
· i diritti umani in tutte le politiche dell'UE;
· promuovere l’universalità dei diritti umani;
· perseguire obiettivi coerenti;
· porre i diritti umani al centro di tutte le politiche esterne dell’UE;
· attuare le priorità dell’UE in materia di diritti umani;
· lavorare con partner bilaterali;
· lavorare tramite le istituzioni multilaterali;
· cooperare in seno all’UE.
Il quadro strategico è stato costruito sulla base della comunicazione congiunta “Diritti umani e democrazia al cuore dell’azione esterna dell’UE - verso un approccio più efficace”, adottata dalla Commissione e dall’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di difesa (AR) il 12 dicembre 2011. Tale comunicazione è il risultato di un ampio processo di consultazione, avviato a partire dalla riunione informale del Consiglio dei ministri degli affari esteri di Cordoba del marzo 2012.
Il piano d’azione allegato al quadro strategico copre il periodo fino al 31 dicembre 2014 e prevede 97 azioni sotto 36 capitoli, coinvolgendo Commissione e Stati membri che sono responsabili congiuntamente della attuazione.
L’UE è impegnata a rendere conto dello stato di attuazione del piano e dell’avanzamento delle sue iniziative nell’ambito della relazione annuale su diritti umani e democrazia nel mondo presentata dal Consiglio ed articolata in una parte tematica ed una parte per paese. La relazione annuale per il 2012 è stata presentata il 13 maggio 2013.
Per favorire l’attuazione del piano d’azione è stato istituito un rappresentante speciale dell’UE per i diritti umani con il mandato di rendere più efficace e visibile la politica dell’UE. Al momento l’incarico è ricoperto, fino al 30 giugno 2014, da Stavros Lambrinidis.
Il Consiglio dell’Ue ha adottato il 25 luglio 2013 delle conclusioni in occasione del primo anniversario del quadro strategico e del piano d'azione dell'UE in materia di diritti umani e di democrazia. In particolare, il Consiglio ribadisce la sua determinazione a promuovere e tutelare i diritti umani e la democrazia in tutto il mondo e l'importanza di porre i diritti umani al centro delle politiche e delle relazioni dell'UE con i paesi terzi e di affrontare in modo efficace le questioni relative ai diritti umani facendo ricorso all'intera gamma di strumenti di cui l'UE dispone.
L’Unione europea ha a disposizione diversi strumenti per promuovere i diritti umani nei paesi terzi, in primo luogo gli strumenti tipici della PESC, vale a dire le decisioni del Consiglio, attraverso le quali vengono imposte misure restrittive – dal divieto di visto per l’ingresso nell’UE al congelamento dei beni eventualmente posseduti in Stati membri - nei confronti dei responsabili di violazioni gravi dei diritti umani.
Altri strumenti sono quelli tipici della politica estera e diplomazia tradizionale, vale a dire rimostranze diplomatiche e dichiarazioni. Le rimostranze diplomatiche sono in genere di natura confidenziale, condotte dalla Presidenza o dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (AR), spesso attraverso le delegazioni dell’UE nei paesi terzi. In aggiunta, l’UE può rilasciare, attraverso l’AR, dichiarazioni in cui esprime la propria posizione rispetto ad eventuali violazioni dei diritti umani nei paesi terzi. Anche le conclusioni del Consiglio possono ugualmente affrontare la questioni dei diritti umani. Tali strumenti sono largamente utilizzati per richiamare i governi o altre parti al rispetto dei diritti umani e per manifestare preoccupazioni su diverse questioni, tra le quali la protezione dei difensori dei diritti umani, detenzioni illegali e sparizioni forzate, condanne alla pena capitale, casi di torture, protezione dei bambini e dei rifugiati, diritto a libere elezioni.
Tra gli strumenti adottati dall’UE in materia di tutela e promozione dei diritti umani si segnalano anche le iniziative e gli interventi nei consessi internazionali, a cominciare dalle Nazioni Unite, dal Consiglio d’Europa e dall’OSCE. A questo proposito, si ricordano, in particolare, il ruolo decisivo svolto dall’UE durante l’intero processo di istituzione del Consiglio per i diritti umani nell’ambito delle Nazioni Unite nonché il contribuito fornito per arrivare alla adozione della risoluzione su una moratoria internazionale in materia di pena di morte il 18 dicembre 2007 da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
In aggiunta a quelli sopraindicati, nel corso del tempo l’UE ha disegnato nuovi strumenti nell’ambito della PESC, e in particolare le linee guida specifiche adottate per costituire il quadro generale della protezione e della promozione dei diritti umani nei paesi terzi e per consentire, se necessario, di assumere azioni comuni e di condurre interventi rapidi e coerenti in caso di violazioni. Si tratta di linee guida sui diritti umani, dedicate a temi di particolare rilevanza e adottate dal Consiglio a partire dal 1998: pena di morte (1998, aggiornato nel 2008); dialoghi in materia di diritti umani con i paesi terzi (2001); tortura e altre pene o trattamenti crudeli disumani o degradanti (2001; aggiornamento del 2008); bambini e conflitti armati (2003, aggiornamento del 2008); difensori dei diritti umani (2004); promozione del diritto umanitario internazionale (2005); promozione e tutela dei diritti del bambino (2007); violenze contro le donne e lotta contro tutte le forme di discriminazione nei loro confronti (2008); libertà di religione e di credo (adottate il 24 giugno 2013); diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (adottate il 24 giugno 2013).
Nell’ambito delle linee guida, assumono particolare rilevanza quelle relative ai dialoghi in materia di diritti umani con i paesi terzi, sulla cui base l’UE si è impegnata in dialoghi specifici con diversi paesi (al momento oltre 30).
I temi da trattare nel quadro dei dialoghi sui diritti umani vengono determinati caso per caso. Tuttavia, devono sempre essere toccati alcuni argomenti principali, vale a dire:
- la firma, la ratifica e l'attuazione degli strumenti internazionali in materia di diritti umani;
- la cooperazione con gli strumenti internazionali nel settore dei diritti umani;
- la lotta contro la pena di morte;
- la lotta contro la tortura;
- la lotta contro ogni forma di discriminazione;
- il rispetto dei diritti dei bambini;
- il rispetto dei diritti delle donne;
- la libertà di espressione;
- il ruolo della società civile;
- la cooperazione in materia di giustizia internazionale;
- la prevenzione dei conflitti;
- la promozione della democrazia e la buona gestione degli affari pubblici.
In linea generale, i dialoghi hanno lo scopo di: raccogliere informazioni sulla situazione dei diritti umani nel paese interessato; esprimere le preoccupazioni dell’UE sulle diverse questioni e ad identificare iniziative concrete per risolverle, in particolare attraverso progetti di cooperazione; discutere questioni di reciproco interesse; rafforzare la cooperazione in materia di diritti umani nei forum internazionali. Tali dialoghi possono essere utili anche per esporre ai governi standard internazionali e pratiche dell’UE. In molti casi, essi hanno consentito inoltre di identificare in una fase iniziale problemi che sarebbero potuti sfociare in conflitti.
La decisione di avviare un dialogo in materia di diritti umani con un paese terzo spetta al Consiglio dell'UE e deve sempre essere preceduta da una valutazione della situazione. Quest'ultima tiene conto dell'atteggiamento del governo rispetto ai diritti umani, dell'impegno del paese riguardo agli strumenti internazionali interessati, della volontà di cooperazione con le procedure delle Nazioni Unite, dell'atteggiamento del governo nei confronti della società civile e dell'andamento della situazione generale in materia di diritti umani. La valutazione è basata sui rapporti in materia realizzati da organizzazioni non governative (ONG), dalle Nazioni Unite e da altre organizzazioni internazionali, dal Parlamento europeo e dalla Commissione europea.
Come indicato nelle linee guida, ogni dialogo sui diritti umani con un paese terzo deve essere valutato, se possibile, una volta l'anno, con l’eventuale partecipazione della società civile. La valutazione tiene conto degli obiettivi che l'Unione si era prefissata prima dell'inizio del dialogo. In base al risultato della valutazione, l'Unione può affinare il dialogo, decidere di proseguirlo tale e quale o porvi fine (se gli obiettivi delle linee direttive non sono raggiunti o se i risultati non sono soddisfacenti).
Clausole relative ai diritti umani
Dal 1995 l’UE inserisce una clausola sui diritti umani negli accordi politici quadro con i paesi terzi e ha riconfermato tale politica nel 2010. La clausola, attualmente contenuta in accordi con più di 120 Stati e in altri in fase di negoziazione, costituisce la base della cooperazione sui diritti umani e della loro promozione in tutti i settori interessati da questi accordi. La clausola forma anche la base giuridica delle misure prese in seguito a violazioni dei diritti dell’uomo: queste possono comprendere la sospensione delle riunioni e dei programmi di cooperazione tecnica con il paese interessato.
Le missioni di osservazione elettorale sono uno strumento importante a disposizione dell’UE per promuovere processi democratici. Esse contribuiscono a rafforzare le istituzioni democratiche, accrescere la confidenza dell’opinione pubblica con i processi elettorali, evitare frodi, intimidazioni e violenza.
A partire dal 2000, oltre 60 missioni di osservazione elettorale sono state dislocate dall’UE in tutti i continenti, con l’eccezione della regione OSCE dove l’iniziativa spetta all’Ufficio dell’OSCE per le istituzioni democratiche e i diritti umani.
Per il futuro, l’UE intende prestare maggiore attenzione, nelle sue attività di osservazione elettorale, alla partecipazione delle donne, delle minoranze nazionali e dei disabili, sia in qualità di candidati che di elettori.
Consapevole che le elezioni da sole non bastano a sostenere la democrazia, l’UE si prefigge di creare sinergie tra il sostegno diretto al processo elettorale (parlamenti e partiti politici, società civile e media) e il sostegno ad altre componenti fondamentali per il rafforzamento dello Stato, quali lo Stato di diritto, il sistema giudiziario, la riforma della pubblica amministrazione e il decentramento.
Dal 1994 al 2006, l’UE ha finanziato le attività in materia di promozione dei diritti umani, democratizzazione e prevenzione dei conflitti attraverso l’Iniziativa europea a favore della democrazia e dei diritti dell’uomo, un capitolo di bilancio specifico, istituito su iniziativa del Parlamento europeo.
A partire dal 1° gennaio 2007, l’Iniziativa europea è stata sostituita dallo strumento finanziario per la promozione della democrazia e dei diritti umani nel mondo (Regolamento (CE) n. 1889/2006, del 20 dicembre 2006).
L'assistenza fornita nel quadro di questo strumento ha puntato in particolare:
L'assistenza è attuata attraverso documenti di strategia e relative revisioni, programmi annuali di azione e provvedimenti speciali (che non sono previsti nei documenti di strategia e che possono essere adottati dalla Commissione). Sono previste anche misure ad hoc, con le quali la Commissione può destinare piccole sovvenzioni a difensori dei diritti umani che necessitino di protezione urgente.
Possono beneficiare di un finanziamento: organizzazioni della società civile, enti, istituzioni e organizzazioni pubblici non a scopo di lucro, organismi parlamentari a livello nazionale, regionale e internazionale. I finanziamenti comunitari possono assumere le forme seguenti: progetti e programmi, sovvenzioni finalizzate al finanziamento di progetti presentati dalle organizzazioni intergovernative internazionali e regionali, piccole sovvenzioni destinate a sostenere i difensori dei diritti umani, sovvenzioni destinate a sostenere i costi operativi dell'Ufficio dell'Alto commissario ONU per i diritti dell'uomo e del Centro interuniversitario europeo per i diritti dell'uomo e la democratizzazione (EIUC), contributi a fondi internazionali, risorse per le missioni di osservazione elettorale dell'UE, appalti pubblici.
La dotazione finanziaria per la sua attuazione nel periodo 2007-2013 è di 1,104 miliardi di euro.
Per quanto riguarda le prossime prospettive finanziarie 2014-2020, la Commissione ha presentato nel dicembre 2011 una proposta di regolamento (COM(2011)844), volta a sostituire il vigente regolamento (CE) n. 1889/2006, nel quale ha proposto di aumentare il suo finanziamento a 1,578 miliardi di euro (prezzi 2011) nonché di rendere lo strumento più flessibile così da agire in modo più efficace, più rapidamente e su più vasta scala, per consentire a un maggior numero di organismi di accedere ai finanziamenti e garantire una risposta tempestiva alle esigenze della società civile nei paesi che si trovano ad affrontare le situazioni più urgenti e difficili.
La proposta è all’esame del Parlamento europeo che si dovrebbe esprimere nell’ambito della sessione del 9-12 dicembre 2013.
La Commissione europea ha istituito nel gennaio 2013 il Fondo europeo per la Democrazia, con uno stanziamento iniziale di 15 milioni di euro (di cui 6 da parte della Commissione e i restanti dagli Stati membri), che attraverso un meccanismo di finanziamento rapido e flessibile permette di finanziare le attività di giornalisti, ONG, movimenti politici, bloggers anche in esilio. Sarà quindi uno strumento utile a rafforzare i processi di democratizzazione pacifica nei paesi vicini, attraverso il sostegno a coloro che si battono quotidianamente per il riconoscimento dei diritti. Il focus geografico sarà inizialmente, anche se non esclusivamente, la regione europea di vicinato.
Il sostegno alla transizione democratica e alla tutela dei diritti umani viene fornito indirettamente anche attraverso altri strumenti finanziari, quali lo strumento per la stabilità, lo strumento per la cooperazione allo sviluppo, lo strumento per il partenariato e il vicinato europeo e il fondo europeo per lo sviluppo.
La tutela dei diritti umani è una priorità assoluta del Parlamento europeo che, attraverso la commissione per gli affari esteri (AFET), si occupa direttamente della tutela dei diritti umani all’esterno dell’Unione.
La commissione affari esteri è assistita da una sottocommissione per i diritti umani. Una parte considerevole dell'attività della sottocommissione si fonda sugli orientamenti dell'Unione europea in materia di diritti umani (la lotta contro la tortura, la pena di morte e la violenza nei confronti delle donne, la tutela dei diritti dell'infanzia e dei bambini in occasione di conflitti armati nonché dei difensori dei diritti umani), che contribuisce ad attuare.
Al tempo stesso, la sottocommissione si adopera per intensificare la cooperazione con le altre istituzioni europee e con i partner internazionali e per contribuire a dare maggiore visibilità all’azione dell’UE nella difesa dei diritti umani universali e fondamentali.
Il Parlamento europeo dibatte regolarmente durante ciascuna tornata plenaria mensile casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello stato di diritto. Nel corso del tempo il Parlamento ha adottato una serie di risoluzioni che condannano i governi responsabili di violazioni dei diritti umani, che valutano la situazione di uno specifico paese in materia di diritti umani o che intervengono su singoli avvenimenti.
Il Parlamento europeo ha, infine, istituito nel 1988 il premio Sacharov per la libertà di pensiero, attribuito, ogni anno ad una personalità o un'organizzazione internazionale che, come il fisico nucleare russo Andrej Sacharov, Premio Nobel per la pace nel 1975, si sia distinta nel settore dei diritti dell'uomo. Il 12 dicembre 2012, il premio è stato attribuito a due attivisti iraniani, l'avvocato Nasrin Sotoudeh e il regista cinematografico Jafar Panahi.
Il 1° luglio 2013, in occasione dell’avvio del suo semestre di Presidenza del Consiglio dell’Unione europea la Lituania, ha presentato le proprie priorità programmatiche.
La Lituania esercita la Presidenza per la prima volta dalla sua adesione all’Unione europea e sarà seguita dalla Grecia (1° gennaio - 30 giugno 2014) e l’Italia (1° luglio - 31 dicembre 2014).
Per quanto riguarda i settori relativi all’azione esterna dell’UE, la Presidenza lituana intende in particolare:
· promuovere una più stretta integrazione con i paesi del partenariato orientale (Armenia, Azerbaijan, Belarus, Georgia, Moldavia e Ucraina), anche in vista della riunione del partenariato orientale che si svolgerà a Vilnius il 28 e 29 novembre 2013;
· proseguire nel processo di allargamento;
· assicurare un più efficace controllo alle frontiere esterne dell’UE;
· procedere ad un migliore coordinamento nella dimensione esterna della politica energetica dell’Unione;
· promuovere la politica commerciale con partner strategici come USA, Giappone e Canada;
· definire la posizione dell’UE nella definizione dell’agenda post 2015 per la politica di sviluppo;
· definire una più stretta cooperazione nel settore della politica di sicurezza e di difesa comune e la promozione della cooperazione tra la UE e la Nato.
Per quanto riguarda in particolare la politica di sicurezza e difesa, la Presidenza Lituana intende contribuire attivamente ai lavori di preparazione del Consiglio europeo di dicembre 2013. La Presidenza intende, inoltre, promuovere il rafforzamento del dialogo e della cooperazione pratica con i partner orientali dell’UE, anche in vista di un loro coinvolgimento nelle missioni ed operazioni condotte in tale ambito. La Presidenza lituana intende sottolineare l’importanza di una capacità di reazione dell’Europa in particolare alle sfide relative alla dimensione della sicurezza energetica nell’ambito della PSDC. La Presidenza ritiene inoltre di focalizzare l’attenzione sulla necessità di rafforzare la cooperazione pratica tra la UE e la NATO. Nell’ambito delle operazioni e missioni condotte dall’UE, la Presidenza giudica opportuno un rafforzamento della cooperazione militare e civile e una ulteriore integrazione nella gestione delle frontiere esterne.
Il Trattato di Lisbona prevede la realizzazione di una politica estera e di sicurezza comune fondata sullo sviluppo della reciproca solidarietà politica degli Stati membri, sull'individuazione delle questioni di interesse generale e sulla realizzazione di un livello di convergenza delle azioni degli Stati membri.
La PESC resta fondamentalmente un settore d'azione intergovernativo nel quale il ruolo del Consiglio europeo e del Consiglio dei ministri dell’UE (di seguito “Consiglio”) è preponderante.
Le disposizioni sulla politica estera e di sicurezza comune e sulla politica di sicurezza e difesa comune sono essenzialmente contenute nel titolo V del Trattato sull’Unione europea (artt. 21 – 46) e nel Protocollo (n. 10) sulla cooperazione strutturata nel settore della difesa.
In particolare l’articolo 21 del TUE indica i seguenti obiettivi per la politica estera comune dell’UE:
L’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (AR) guida la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione, che rappresenta per le materie che rientrano in tale ambito, e contribuisce con proposte alla sua elaborazione e la attua in qualità di mandatario del Consiglio; assicura la coerenza dell’azione esterna dell’Unione; presiede il Consiglio “Affari esteri” ed è uno dei Vicepresidenti della Commissione. Conduce, a nome dell'Unione, il dialogo politico con i paesi terzi ed esprime la posizione dell'Unione nelle organizzazioni internazionali e in seno alle conferenze internazionali. Il Consiglio europeo del 1° dicembre 2009 ha nominato la britannica Catherine Ashton Alto rappresentante, incarico che dura cinque anni, rinnovabile.
Il “Servizio europeo per l’azione esterna” (SEAE) ha il compito di assistere l’Alto rappresentante, lavora in collaborazione con i servizi diplomatici degli Stati membri ed è composto da funzionari del Segretariato generale del Consiglio e della Commissione e da personale distaccato dai servizi diplomatici nazionali. Il Servizio è un organo funzionalmente autonomo, distinto dalla Commissione e dal segretariato del Consiglio, posto sotto l’autorità dell’Alto rappresentante e composto da una amministrazione centrale e 141 delegazioni dell’Unione nei paesi terzi e presso le organizzazioni internazionali.
La decisione del 2010, che ha disciplinato il funzionamento del SEAE, ne prevede un riesame del suo funzionamento nel 2013.
Il Presidente del Consiglio europeo, eletto a maggioranza qualificata per un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una volta, ha tra i suoi compiti quello di assicurare la rappresentanza esterna dell’Unione per le materie relative alla PESC, fatte salve le responsabilità dell’Alto rappresentante. Herman Van Rompuy è stato nominato presidente del Consiglio europeo dal 1º dicembre 2009 e confermato al suo secondo mandato.
Con il Trattato di Lisbona la prospettiva di una difesa comune, o comunque la definizione di una politica di difesa comune, i cui principi erano già stati stabiliti nel trattato di Maastricht, è diventa più realistica.
La decisione di creare una difesa comune è adottata dal Consiglio europeo che delibera all'unanimità; essa esige anche l'approvazione di tutti gli Stati membri secondo le rispettive procedure costituzionali.
Il Consiglio europeo del 13 e 14 dicembre 2012, ha indicato la necessità di rafforzare la collaborazione europea nella la politica comune di sicurezza e difesa, sollecitando gli Stati membri a fornire capacità adeguate alle future sfide, sia nel settore civile che in quello della difesa.
Il Consiglio europeo ha quindi indicato che il Consiglio europeo di dicembre 2013 procederà alla valutazione dei progressi compiuti e alla definizione di orientamenti, anche stabilendo priorità e termini in tre aree nella quali rafforzare la collaborazione tra Stati membri:
● aumentare l'efficacia, la visibilità e l'impatto della PSDC;
● potenziare lo sviluppo delle capacità di difesa;
● rafforzare l'industria europea della difesa.
Il Consiglio europeo ha altresì invitato l’Alto rappresentante e la Commissione europea ad elaborare entro settembre 2013 proposte volte al rafforzamento della PSDC e al miglioramento delle capacità militari e civili.
(per l’approfondimento sulle iniziative dell’UE sulla PSDC in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013 si rinvia all’ apposita scheda)
La PSDC conferisce all'Unione una capacità operativa basata su strumenti civili e militari. Il Trattato di Lisbona ribadisce che il perseguimento della politica di sicurezza e di difesa comune non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri e rispetta gli obblighi derivanti dal Trattato del Nord-Atlantico, per gli Stati membri che ritengono che la loro difesa comune si realizzi tramite la NATO.
Tra le principali innovazioni si ricordano:
· la possibilità di creare, con decisione del Consiglio che delibera a maggioranza qualificata, una cooperazione strutturata permanente in materia di difesa tra gli Stati membri che hanno le capacità militari necessarie e la volontà politica di aderirvi;
· l’istituzionalizzazione dell’Agenzia europea per la difesa, posta sotto l’autorità del Consiglio e incaricata di: individuare le esigenze operative; contribuire a individuare e, se del caso, mettere in atto qualsiasi misura utile a rafforzare la base industriale e tecnologica del settore della difesa; partecipare alla definizione di una politica europea delle capacità e degli armamenti. L’Agenzia europea per la difesa ha sede a Bruxelles;
· l’istituzione di un fondo iniziale per finanziare le attività preparatorie delle attività militari dell’Unione europea; il fondo dovrebbe facilitare il dispiegamento delle operazioni militari;
· la semplificazione delle condizioni relative alla minoranza di blocco e al sistema dell’astensione costruttiva nel quadro delle decisioni PESC.
Il Trattato di Lisbona rafforza inoltre la solidarietà tra gli Stati membri attraverso:
· la creazione di una clausola di solidarietà tra gli Stati membri in caso di attacco terroristico o di catastrofe naturale o di origine umana;
· la creazione di una clausola di mutua assistenza in caso di aggressione armata.
Per quanto riguarda in particolare le missioni PSDC, si segnala che il Trattato ha disposto l’estensione delle cosiddette missioni di Petersberg - missioni umanitarie e di soccorso, missioni di mantenimento della pace (peace-keeping), missioni di unità di combattimento nella gestione di crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace (peace making) - integrandole con ulteriori compiti relativi alle missioni di disarmo, di consulenza ed assistenza in materia militare, di stabilizzazione al termine dei conflitti. Il Trattato specifica che tutte queste missioni possono contribuire alla lotta contro il terrorismo, anche tramite il sostegno a paesi terzi per combattere il terrorismo sul loro territorio.
Per quanto riguarda in particolare le missioni, il Consiglio europeo del dicembre 2008 ha fissato alcuni obiettivi per rafforzare le capacità europee e in particolare il dispiegamento di 60.000 uomini in 60 giorni per un'operazione importante e la capacità di pianificare e condurre simultaneamente: due importanti operazioni di stabilizzazione e ricostruzione, con un'adeguata componente civile sostenuta da un massimo di 10.000 uomini per almeno due anni; due operazioni di reazione rapida di durata limitata utilizzando segnatamente i gruppi tattici dell'UE; un'operazione di evacuazione d'emergenza di cittadini europei (in meno di 10 giorni), tenendo conto del ruolo primario di ciascuno Stato membro nei confronti dei suoi cittadini e ricorrendo al concetto di Stato guida consolare; una missione di sorveglianza/interdizione marittima o aerea; un'operazione civile-militare di assistenza umanitaria della durata massima di 90 giorni; una dozzina di missioni civili PSDC (segnatamente, missioni di polizia, di Stato di diritto, di amministrazione civile, di protezione civile, di riforma del settore della sicurezza o di vigilanza) in forme diverse, incluso in situazione di reazione rapida, tra cui una missione importante (eventualmente fino a 3000 esperti) che potrebbe durare vari anni.
Il Trattato di Lisbona dispone che gli Stati membri che rispondono ai criteri più elevati di capacità militari e che hanno sottoscritto gli impegni sulle capacità militari previsti dagli articoli 1 e 2 del protocollo sulla cooperazione strutturata permanente (Protocollo n. 10 del Trattato Lisbona), possono stabilire una cooperazione strutturata permanente nell’ambito dell’Unione. La procedura prevede che gli Stati membri intenzionati a partecipare alla cooperazione strutturata notifichino la loro intenzione al Consiglio e all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Entro tre mesi dalla notifica, il Consiglio adotta una decisione che istituisce la cooperazione strutturata permanente e fissa l'elenco degli Stati membri partecipanti. Il Consiglio delibera a maggioranza qualificata previa consultazione dell’Alto rappresentante.
In base all’art. 238, par. 3, punto a, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea - TFUE, per maggioranza qualificata si intende almeno il 55 % dei membri del Consiglio rappresentanti gli Stati membri partecipanti, che totalizzino almeno il 65 % della popolazione di tali Stati. La minoranza di blocco deve comprendere almeno il numero minimo di membri del Consiglio che rappresentano oltre il 35 % della popolazione degli Stati membri partecipanti, più un altro membro; in caso contrario la maggioranza qualificata si considera raggiunta.
Il Protocollo n. 10 in materia di cooperazione strutturata permanente prevede, agli artt. 1 e 2, che essa sia aperta ad ogni Stato membro che si impegni, in particolare, a:
· procedere più intensamente allo sviluppo delle sue capacità di difesa;
· fornire entro il 2010, sia a titolo nazionale, sia come componente di gruppi multinazionali di forze, unità di combattimento capaci di intraprendere missioni previste entro un termine da 5 a 30 giorni, per rispondere alle richieste dell’ONU e sostenerle per un periodo iniziale di 30 giorni, prorogabile di 120 giorni;
· riesaminare regolarmente gli obiettivi relativi al livello delle spese di investimento per equipaggiamenti di difesa, alla luce della situazione internazionale e delle responsabilità dell’Unione;
· ravvicinare, nella misura del possibile, gli strumenti di difesa e prendere misure per rafforzare la disponibilità, interoperabilità, flessibilità e dispiegamento delle forze;
· cooperare per assicurare l’adozione delle misure necessarie per colmare le lacune che siano state constatate nel quadro del meccanismo di sviluppo delle capacità;
· partecipare allo sviluppo di programmi comuni o europei nel quadro delle attività promosse dall’Agenzia europea per la difesa.
La politica estera e di sicurezza comune – e di conseguenza la PSDC - è soggetta a norme e procedure specifiche. Essa è definita e attuata dal Consiglio europeo e dal Consiglio che deliberano all'unanimità, salvo nei casi in cui i trattati dispongano diversamente. È esclusa l'adozione di atti legislativi.
Il Consiglio europeo individua gli interessi strategici dell'Unione e fissa gli obiettivi della sua politica estera e di sicurezza comune.
Il Consiglio elabora tale politica nel quadro delle linee strategiche definite dal Consiglio europeo.
L’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e gli Stati membri attuano la politica estera e di sicurezza comune, ricorrendo ai mezzi nazionali e a quelli dell'Unione.
Gli Stati membri si concertano in sede di Consiglio europeo e di Consiglio su qualsiasi questione di politica estera e di sicurezza di interesse generale per definire un approccio comune. Prima di intraprendere qualsiasi azione sulla scena internazionale o di assumere qualsiasi impegno che possa incidere sugli interessi dell'Unione, ciascuno Stato membro consulta gli altri in sede di Consiglio europeo o di Consiglio.
In materia di politica estera e di sicurezza comune la procedura legislativa ordinaria non si applica. La disciplina di tale settore è affidata alle decisioni europee adottate dal Consiglio europeo e dal Consiglio all'unanimità - salvo i casi previsti di voto a maggioranza qualificata da parte del Consiglio (vedi oltre) - su iniziativa di uno Stato membro, su proposta dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, o su proposta di quest'ultimo con l'appoggio della Commissione.
In caso di astensione dal voto, ciascun membro del Consiglio dei ministri può motivare la propria astensione con una dichiarazione formale. In tal caso non è obbligato ad applicare la decisione europea, ma accetta che questa impegni l'Unione. In uno spirito di reciproca solidarietà, lo Stato membro interessato si astiene da azioni che possano contrastare o impedire l'azione dell'Unione basata su tale decisione. Qualora i membri del Consiglio dei ministri che motivano in tal modo l'astensione rappresentino almeno un terzo degli Stati membri che totalizzano almeno un terzo della popolazione dell'Unione, la decisione non è adottata.
Per quanto riguarda in particolare le missioni PSDC, il Consiglio adotta le relative decisioni stabilendone l'obiettivo, la portata e le modalità generali di realizzazione. L'Alto rappresentante, sotto l'autorità del Consiglio e in stretto e costante contatto con il comitato politico e di sicurezza, provvede a coordinare gli aspetti civili e militari di tali missioni.
Nel quadro di tali decisioni, il Consiglio può affidare la realizzazione di una missione a un gruppo di Stati che lo desiderano e dispongono delle capacità necessarie. Gli Stati membri che partecipano alla realizzazione della missione informano periodicamente il Consiglio dell'andamento della missione.
Gli Stati membri partecipanti investono immediatamente il Consiglio della questione se la realizzazione di tale missione genera conseguenze di ampia portata o se impone una modifica dell'obiettivo, della portata o delle modalità della missione.
In deroga alla regola generale dell’unanimità, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata nel settore della politica estera e di sicurezza comune quando adotta una decisione europea – che non abbia implicazioni militari o rientri nel settore della difesa – relativa a:
· un'azione o una posizione dell'Unione, sulla base di una decisione europea del Consiglio europeo relativa agli interessi e obiettivi strategici dell'Unione;
· un'azione o una posizione dell'Unione in base a una proposta dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza presentata in seguito a una richiesta specifica rivolta a quest'ultimo dal Consiglio europeo di sua iniziativa o su iniziativa dell’Alto Rappresentante;
· l’attuazione di una decisione europea che definisce un'azione o posizione dell'Unione;
· la nomina di un rappresentante speciale.
Se un membro del Consiglio dichiara che, per vitali ed espliciti motivi di politica nazionale, intende opporsi all'adozione di una decisione europea che richiede la maggioranza qualificata, non si procede alla votazione. Il Ministro degli affari esteri dell'Unione cerca, in stretta consultazione con lo Stato membro interessato, una soluzione accettabile per quest'ultimo. In mancanza di un risultato il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può chiedere che della questione sia investito il Consiglio europeo, in vista di una decisione europea all'unanimità.
Il Consiglio europeo può decidere all'unanimità di estendere i casi in cui il Consiglio deliberi a maggioranza qualificata.
Il Parlamento europeo è consultato regolarmente dall’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza comune sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali della politica di sicurezza e di difesa comune. L’Alto rappresentante provvede affinché le opinioni del Parlamento europeo siano debitamente prese in considerazione.
Il Parlamento europeo può rivolgere interrogazioni o formulare raccomandazioni al Consiglio e all’Alto rappresentante. Il Trattato prevede inoltre che il Parlamento europeo svolga due volte l’anno il dibattito sui progressi compiuti nell’attuazione della politica estera e di sicurezza comune, compresa la politica di sicurezza e difesa comune.
Il Parlamento europeo, in quanto codecisore insieme al Consiglio sul bilancio dell’UE, esercita inoltre un controllo sul bilancio della PESC.
Il controllo parlamentare sulla politica estera e di sicurezza comune (PESC) e sulla politica di sicurezza e difesa comune (PSDC) è svolto anche dalla apposita conferenza composta da delegazioni dei Parlamenti nazionali degli Stati membri dell'Unione europea (6 rappresentanti per ogni Parlamento, 3 per ogni Camera nei Parlamenti bicamerali) e del Parlamento europeo (16 rappresentanti).
La competenza della Corte di giustizia è invece limitata alla delimitazione fra la PESC e gli altri settori di intervento dell'UE nonché al controllo della legalità delle decisioni europee che comportano misure restrittive nei confronti dei privati.
L’articolo 13, paragrafo 3, della decisione del Consiglio 2010/427/UE del 26 luglio 2010 che ha istituito il SEAE, prevede che l’Alto Rappresentante, entro il primo semestre 2013, effettui un riesame dell’organizzazione e del funzionamento del SEAE e presenti se necessario proposte per la revisione della decisione. L’Alto Rappresentante ha presentato il suo rapporto a luglio 2013.
Il servizio europeo per l'azione esterna (SEAE) è un organo istituito dal Trattato di Lisbona, volto ad attuare la politica estera dell'Unione europea (UE) entrato in funzione dal 1 dicembre 2010, sulla base della decisione del Consiglio del 26 luglio 2010.
Il SEAE ha sede a Bruxelles ed opera sotto l'autorità dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, carica che dal 1° dicembre 2009 è ricoperta da Catherine Ashton (UK).
Il SEAE è organo autonomo rispetto al Segretariato Generale del Consiglio e della Commissione europea.
Il SEAE assiste l’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza nell'esecuzione dei suoi mandati, per quanto riguarda:
Il SEAE assiste il presidente del Consiglio europeo, il Presidente della Commissione europea e la Commissione nell’esercizio delle loro rispettive funzioni nel settore delle relazioni esterne.
Il SEAE sostiene, inoltre, la Commissione nello sviluppo e nell'attuazione dei programmi e degli strumenti finanziari dell'azione esterna dell'UE.
Il Trattato prevede che tale Servizio lavori in collaborazione con i servizi diplomatici degli Stati membri e sia composto da funzionari dei servizi competenti del Segretariato generale del Consiglio, della Commissione europea e da personale distaccato dai servizi diplomatici nazionali.
Il SEAE è gestito dal Corporate board composta dal Segretario generale esecutivo (Pierre Vimont, francese), dal Direttore esecutivo del SEAE (David O'Sullivan, irlandese) e due Segretari generali aggiunti (Helga Schmidt, tedesca, per gli affari politici e Maciej Popowski, polacco, per gli affari interistituzionali).
L’amministrazione centrale del SEAE è articolata in direzioni generali dedicate a:
- settori di azioni tematiche e geografiche, che comprendono tutti i paesi e tutte le regioni del mondo;
- gestione amministrativa, sicurezza dei sistemi di comunicazione e informazione, gestione del bilancio e del personale;
- gestione delle crisi e pianificazione, lo stato maggiore dell'Unione europea e il Centro situazione dell'Unione europea (Sitcen), per la guida della PESC.
Il SEAE è composto inoltre da 139 delegazioni dell'UE nei paesi terzi e presso varie organizzazioni internazionali. Ciascuna delegazione è posta sotto l'autorità del capodelegazione, che risponde all'alto rappresentante e al SEAE. Il capodelegazione rappresenta l'Unione europea nel paese pertinente.
L’Alto rappresentante dell’Unione per la politica estera e di sicurezza, Catherine Asthon, ha pubblicato a fine luglio 2013 un rapporto sul funzionamento del SEAE che contiene una serie di raccomandazioni e proposte per migliorare il funzionamento del SEAE, tra le quali in particolare:
· considerata la concentrazione di numerose responsabilità e compiti nella figura dell’Alto rappresentante, prevedere la possibilità di creare forme di supplenza dell’Alto rappresentante per compiti specifici, attraverso una maggiore formalizzazione degli accordi esistenti ad hoc, che prevedono il coinvolgimento dei Ministeri degli affari esteri dello Stato che esercita la Presidenza del Consiglio dell’UE, dei Commissari europei con responsabilità geografiche, dei rappresentanti speciali e degli alti funzionari dell’UE. In alternativa, procedere alla creazione della figura di Vice Alto rappresentanti dell’Unione, in grado di sostituire l’Alto rappresentante. Tale ultima soluzione sarebbe però più complessa in termini istituzionali in quanto non avrebbe una base giuridica nel Trattato di Lisbona e implicherebbe una discussione sulla composizione della Commissione europea;
· rafforzare il ruolo dell’Alto rappresentante per quanto riguarda la programmazione, in particolare prevedendo che esso possa fare proposte su questioni relative alle relazioni esterne da includere nel programma di lavoro annuale della Commissione europea e che il SEAE possa contribuire alla definizione del Programma di lavoro del trio delle Presidenze del Consiglio dell’UE e possa presentare strategie a medio termine per specifiche regioni o questioni da discutere a livello di Consiglio dell’UE, secondo un calendario condiviso;
· rafforzare l’attività del SEAE in alcune politiche chiave delle relazioni esterne dell’UE quali: la sicurezza energetica, l’ambiente, l’immigrazione, la lotta contro il terrorismo e le relazione economiche esterne;
· rivedere, anche in vista del Consiglio europeo del dicembre 2013 dedicato alla difesa, la gestione e le procedure per le operazioni di politica di sicurezza e difesa dell’UE e creare un centro comune per le questioni di logistica, appalti e gestione amministrativa per le missioni PESD;
· integrare pienamente nel SEAE la figura dei rappresentanti speciali dell’UE (che attualmente sono dodici) e dei relativi staff;
· nelle future distribuzioni dei portfolio tra i membri della Commissione europea, prevedere un rafforzamento dell’Alto rappresentante per i programmi di assistenza esterna e chiarire la sua responsabilità principale per le relazioni con i paesi dei Balcani occidentali e del partenariato orientale;
· promuovere una maggiore integrazione tra le delegazioni dell’UE nei paesi terzi e le ambasciate degli Stati membri dell’UE;
· semplificare la struttura di gestione dell’amministrazione del SEAE: direzione del solo Segretario generale esecutivo, eliminazione della carica di Direttore esecutivo, mantenimento dei due vicesegretari generali.
Il Parlamento europeo il 13 giugno 2013 – sulla base della relazione degli onorevoli Elmar Brok e Roberto Gualtieri approvata dalla Commissione affari esteri del PE – ha approvato una raccomandazione sulla revisione del Servizio dell’azione esterna dell’UE (SEAE) destinata all’Alto Rappresentante dell’Unione per la politica estera e di sicurezza.
Il Presidente dalla Commissione Affari esteri del Parlamento europeo, Elmar Brok, aveva trasmesso ai Parlamenti nazionali, la relazione adottata dalla Commissione Affari esteri del PE il 23 aprile 2013 invitando ad esprimere osservazioni. I Presidenti delle Commissioni affari esteri di Camera e Senato in una lettera congiunta di risposta al Presidente Brok hanno sottolineato l’importanza del SEAE nell’ottica di un rafforzamento della politica estera e di difesa dell’Unione e la necessità di svilupparne appieno le potenzialità e, in particolare, il ruolo di coordinamento ed impulso dell’Alto rappresentante e un più incisivo raccordo delle strutture e procedure amministrative del SEAE con le diplomazie nazionali, nell’’ottica di una generale semplificazione.
La raccomandazione del PE, per la revisione del SEAE, contiene le seguenti osservazioni:
· prevedere la designazione di uno o più vice politici dell’Alto Rappresentante e garantire un coinvolgimento più regolare dei ministri degli Esteri degli Stati membri per missioni e compiti specifici per conto dell'Unione;
· semplificare la struttura di comando del SEAE e potenziare il ruolo del suo segretario generale esecutivo;
· migliorare e rafforzare il ruolo di coordinamento dell’Alto Rappresentante;
· prevedere la possibilità di un voto a maggioranza qualificata sulle questioni relative alla PESC, a norma dell'articolo 31, paragrafo 2, del trattato sull'Unione europea, e vagliare formalmente l'opportunità di estendere il voto a maggioranza qualificata sulle questioni in materia di PESC in virtù della relativa clausola "passerella";
· assicurare che il SEAE svolga un ruolo guida nella definizione delle strategie dei pertinenti strumenti di assistenza finanziaria esterna;
· salvaguardare il carattere "comunitario" della politica di vicinato;
· garantire che i rappresentanti speciali dell'Unione europea siano strettamente integrati nelle attività del SEAE;
· superare le attuali duplicazioni delle strutture collegate alla politica esterna istituite dalla Commissione e dal segretariato del Consiglio;
· ottenere economie di scala tra i servizi diplomatici degli Stati membri e il SEAE nei paesi terzi, anche per quanto riguarda la fornitura di servizi consolari;
· garantire che gli Stati membri sostengano la politica estera e di sicurezza dell'Unione attivamente e senza riserve, in uno spirito di lealtà e solidarietà reciproca, e che si conformino alle azioni dell'UE e assistano il SEAE nella realizzazione del suo mandato;
· realizzare il pieno potenziale del trattato di Lisbona perseguendo un approccio globale che integri i mezzi diplomatici, economici, di sviluppo e (in ultima istanza e in piena conformità alla Carta dell'ONU) militari;
· assicurare inoltre che il SEAE abbia la capacità di formulare una riflessione strategica e di presentare proposte per l'attuazione di importanti innovazioni previste dal trattato di Lisbona, ad esempio di affidare l'attuazione di taluni compiti a gruppi di Stati membri capaci e sviluppare una cooperazione strutturata permanente, anche mediante lo spiegamento di gruppi tattici;
· sviluppare ulteriormente una "struttura adeguata" (ad esempio sotto forma di “Consiglio di crisi) che integri prevenzione dei conflitti, risposta alle crisi, costruzione della pace e strutture della PSDC e che assicuri il coordinamento con gli uffici geografici, le delegazioni e altri dipartimenti politici interessati nel settore della gestione delle crisi;
· garantire una pianificazione efficace e integrata, nonché un più rapido processo decisionale, per le operazioni della PSDC e creare una struttura di condotta permanente, istituendo un quartier generale operativo militare permanente, che consenta l'efficace attuazione delle operazioni militari e civili salvaguardando, al contempo, le loro rispettive catene di comando;
· sfruttare le possibilità di flessibilità previste dal regolamento finanziario in relazione alla gestione delle spese amministrative, rivedendo la regolamentazione relativa alle decisioni sulla programmazione e la spesa per gli strumenti finanziari esterni;
· conferire al SEAE maggiore voce in capitolo nella ridistribuzione del personale della Commissione nelle delegazioni dell'UE;
· adottare le misure necessarie per garantire che i capi delle delegazioni dell'UE siano nominati in base al merito e a una profonda conoscenza degli interessi, dei valori e delle politiche dell'Unione
· rafforzare l'autorità del capo delegazione su tutto il personale, incluso quello della Commissione;
· potenziare il ruolo di coordinamento delle delegazioni, specialmente nelle situazioni di crisi, nonché consentire loro di fornire protezione consolare ai cittadini dell'UE che provengono da Stati membri non rappresentati in un determinato paese;
· assicurare l’introduzione della dimensione dei diritti umani e delle donne in ogni delegazione dell'UE;
· garantire che ogni delegazione disponga di un addetto alla politica di sicurezza e difesa.
· tenere debitamente conto delle opinioni del Parlamento europeo attraverso una consultazione proattiva e sistematica con la commissione pertinente del Parlamento prima dell'adozione di strategie e mandati nel settore della PESC/PSDC;
· assicurare la piena rendicontazione politica delle delegazioni dell'UE ai dirigenti del Parlamento europeo con accesso regolato;
· assicurare che il Parlamento europeo sia immediatamente e pienamente informato in tutte le fasi della procedura per i negoziati sugli accordi internazionali, inclusi gli accordi nel settore della PESC;
· assicurare che, una volta nominati dell’Alto Rappresentante, i nuovi capi delegazione siano ufficialmente confermati dalla commissione competente del Parlamento europeo;
· tenere uno scambio di opinioni sistematico con la commissione competente del Parlamento europeo prima di ogni Consiglio Affari esteri, e fornire a tale commissione un resoconto dopo ogni riunione del Consiglio;
· promuovere la formazione comune per il consolidamento di uno spirito di corpo tra il personale del SEAE con diverse culture diplomatiche e diversi percorsi istituzionali, e valutare iniziative di formazione congiunta per il personale del SEAE e i diplomatici nazionali;
· conseguire un migliore equilibrio geografico e di genere, tenendo debitamente conto del merito e delle competenze;
· evitare una concentrazione del personale proveniente dai ministeri nazionali ai livelli dirigenziali;
· respingere qualunque tentativo degli Stati membri di interferire nel processo di assunzione del personale del SEAE e garantire, una volta concluso il periodo di transizione, che esso possa sviluppare una procedura di assunzione propria e indipendente, aperta anche ai funzionari di tutte le istituzioni dell'UE e ai candidati esterni attraverso concorsi generali;
· Prevedere che, nell'ambito di una futura Convenzione, sia inserito all'ordine del giorno un ulteriore sviluppo della PESC/PESD e del ruolo del SEAE, compreso un cambio di denominazione.
Allegato - Composizione dell’organico del Servizio per l’azione esterna (dati al giugno 2013)*
DIPLOMATICI DEGLI STATI MEMBRI E FUNZIONARI |
Altro Personale |
Agenti a contratto |
||||||
Paesi |
Diplomatici degli Stati membri |
% |
Funzionari |
% |
Totale |
% |
||
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Austria |
11 |
1,2% |
17 |
1,8% |
28 |
3,0% |
11 |
7 |
Belgio |
16 |
1,7% |
49 |
5,2% |
65 |
7,0% |
166 |
85 |
Bulgaria |
10 |
1,1% |
3 |
0,3% |
13 |
1,4% |
5 |
5 |
Cipro |
1 |
0,1% |
3 |
0,3% |
4 |
0,4% |
2 |
0 |
Danimarca |
10 |
1,1% |
17 |
1,8% |
27 |
2,9% |
16 |
1 |
Estonia |
7 |
0,7% |
5 |
0,5% |
12 |
1,3% |
10 |
0 |
Finlandia |
7 |
0,7% |
13 |
1,4% |
20 |
2,1% |
17 |
4 |
Francia |
39 |
4,2% |
83 |
8,9% |
122 |
13,0% |
51 |
68 |
Germania |
22 |
2,4% |
69 |
7,4% |
91 |
9,7% |
42 |
19 |
Grecia |
9 |
1,0% |
26 |
2,8% |
35 |
3,7% |
28 |
3 |
Irlanda |
7 |
0,7% |
15 |
1,6% |
22 |
2,4% |
14 |
3 |
Italia |
15 |
1,6% |
84 |
9,0% |
99 |
10,6% |
53 |
39 |
Lettonia |
7 |
0,7% |
4 |
0,4% |
11 |
1,2% |
3 |
1 |
Lituania |
4 |
0,4% |
5 |
0,5% |
9 |
1,0% |
5 |
2 |
Lussemburgo |
0 |
0,0% |
2 |
0,2% |
2 |
0,2% |
0 |
0 |
Malta |
6 |
0,6% |
2 |
0,2% |
8 |
0,9% |
4 |
0 |
Paesi Bassi |
10 |
1,1% |
21 |
2,2% |
31 |
3,3% |
25 |
2 |
Polonia |
10 |
1,1% |
27 |
2,9% |
37 |
4,0% |
24 |
4 |
Portogallo |
9 |
1,0% |
20 |
2,1% |
29 |
3,1% |
29 |
12 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Repubblica ceca |
12 |
1,3% |
11 |
1,2% |
23 |
2,5% |
13 |
2 |
Regno Unito |
25 |
2,7% |
46 |
4,9% |
71 |
7,6% |
29 |
9 |
Romania |
14 |
1,5% |
4 |
0,4% |
18 |
1,9% |
16 |
12 |
Slovacchia |
4 |
0,4% |
3 |
0,3% |
7 |
0,7% |
4 |
3 |
Slovenia |
9 |
1,0% |
2 |
0,2% |
11 |
1,2% |
10 |
0 |
Spagna |
22 |
2,4% |
61 |
6,5% |
83 |
8,9% |
44 |
36 |
Svezia |
11 |
1,2% |
25 |
2,7% |
36 |
3,9% |
28 |
1 |
Ungheria |
11 |
1,2% |
10 |
1,1% |
21 |
2,2% |
10 |
2 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Totale |
308 |
32,9% |
627 |
67,1% |
935 |
100,0% |
659 |
320 |
* Tabella estratta dal rapporto dell’Alto rappresentante sulla revisione del SEAE pubblicato a fine luglio 2013
Nella seduta del 24 luglio 2013 si è insediato il Comitato per la Politica estera e le relazioni esterne dell'Unione europea istituito anche nella corrente XVII legislatura in seno alla Commissione Affari esteri, al fine di proseguire l'attività avviata nella legislatura precedente, alla luce del rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali sulla base del Trattato di Lisbona.
Il mandato del Comitato, che è presieduto dall’on. Deborah Bergamini, si fonda sulla delega da parte della Commissione plenaria per l'esame degli atti europei in materia di politica estera che sono trasmessi al Parlamento, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento.
Il Comitato potrà discutere tali atti sulla base di una relazione ed eventualmente predisporre un documento finale da sottoporre alla Commissione.
Per connessione tematica, il Comitato potrà procedere anche all'esame degli atti del Parlamento europeo e delle Assemblee parlamentari internazionali (quali, ad esempio, Consiglio d'Europa, NATO, OSCE) che sono trasmesse al Parlamento, ai sensi dell'articolo 125 del Regolamento. Anche in tal caso, il Comitato potrà predisporre una risoluzione da sottoporre alla Commissione plenaria.
Il Comitato potrà svolgere, nelle forme previste, ogni attività conoscitiva volta ad acquisire elementi di valutazione, sia generali sia specifici, nella materia di competenza.
In particolare il Comitato è chiamato a controllare l'azione dell'Italia in seno all'Unione europea nell'ambito della politica estera e delle relazioni esterne, ed a monitorare l'azione delle stesse istituzioni europee, con particolare riferimento al Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE).
Nel corso del dibattito, al fine di delineare una forma particolarmente incisiva di controllo, è stata prospettata l’eventualità che il Comitato proceda ad audizioni del Governo ogni mese, in vista delle riunioni del Consiglio Affari esteri dell’UE.
Attualmente sono 21 i Paesi che fanno parte sia dell’Unione europea sia della NATO.
Sono membri NATO i seguenti Paesi: Albania, Belgio, Bulgaria, Canada, Croazia, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Slovacchia, Spagna, Stati Uniti, Turchia, Ungheria.
Degli Stati membri dell’UE non aderiscono alla NATO la Svezia, la Finlandia, Malta, la Repubblica di Cipro, l’Austria e l’Irlanda.
Il quadro giuridico che regola la cooperazione tra l'Alleanza Atlantica e l'Unione europea è costituito dalle cosiddette intese Berlin Plus. Con tale termine si indica l'insieme degli accordi – conclusi nel marzo del 2003, dopo oltre tre anni di complesse trattative definito come partenariato strategico tra la NATO e l'Unione Europea, vale a dire un processo di cooperazione in divenire di notevole valenza politica e strategica, ai fini del consolidamento della sicurezza a livello sia regionale sia globale.
Come affermato dalle Parti, la relazione tra l'Unione europea e l’Alleanza atlantica si fonda sui seguenti princìpi:
· partenariato;
· concertazione, dialogo, cooperazione e trasparenza effettivi;
· uguaglianza e rispetto dell'autonomia decisionale e degli interessi dell'Unione europea e della NATO;
· rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite;
· sviluppo coerente, trasparente che si rafforzi reciprocamente per quanto riguarda le esigenze in materia di capacità militari comuni.
Il Trattato di Lisbona, all’articolo 42, stabilisce che la NATO è pienamente compatibile con la politica di sicurezza e difesa comune (PSDC); non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri; rispetta gli obblighi di alcuni Stati membri, i quali ritengono che la loro difesa comune si realizzi tramite l'Organizzazione del Trattato del Nordatlantico (NATO), nell'ambito del trattato dell'Atlantico del Nord.
Il personale delle due organizzazioni si incontra con cadenza regolare a livello di Segretario generale-Alto rappresentante, di Ministri degli esteri (due volte l’anno), di Rappresentanti permanenti nella formula Comitato politico e di sicurezza-Consiglio Nord Atlantico (almeno tre volte per semestre)[3], di comitati militari (due volte per semestre), di gruppi di lavoro. L’UE mantiene anche una cellula di collegamento permanente presso il quartier generale militare della Nato (Shape), mentre la Nato ha un ufficiale di contatto presso lo Stato maggiore UE.
In occasione del Vertice dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri della NATO, svoltosi a Lisbona nel novembre 2010, gli alleati hanno manifestato la loro determinazione a migliorare il partenariato UE-NATO e hanno incoraggiato il Segretario generale a proseguire il lavoro in tal senso con l’Alto rappresentante, sulla base delle linea guida fornite dal nuovo concetto strategico approvato dal Vertice.
Secondo quanto fissato dallo stesso, NATO e UE possono e dovrebbero giocare ruoli complementari e reciprocamente rafforzati nel sostegno alla pace e alla sicurezza internazionali. Gli alleati sono determinati a dare il loro contributo per creare condizioni più favorevoli attraverso le quali:
· rafforzare il partenariato strategico con l’UE, nello spirito di apertura reciproca, trasparenza, complementarietà e rispetto per l’autonomia e l’integrità istituzionale di entrambe le organizzazioni;
· incrementare la cooperazione pratica nelle operazioni, durante l’intero spettro delle attività, dalla pianificazione coordinata al sostegno reciproco sul campo;
· ampliare le consultazioni politiche, includendo tutti i temi di comune preoccupazione, per condividere valutazioni e prospettive;
· cooperare maggiormente allo sviluppo delle capacità per minimizzare le duplicazioni e massimizzare l’efficacia delle spese sostenute.
Il Vertice di Chicago di maggio 2012 ha ribadito tali principi sottolineando che NATO e UE condividono valori e interessi strategici e che il pieno rafforzamento del partenariato strategico, come concordato dalle due organizzazioni, è particolarmente importante nell’attuale situazione di austerità.
Negli ultimi mesi il Segretario generale della NATO, Rasmussen, ha ribadito in più occasioni la necessità del rafforzamento della difesa europea, della complementarietà degli sforzi NATO ed UE e l’opportunità di bilanciare con un crescente impegno degli Alleati continentali il nuovo orientamento militare americano verso i quadranti asiatico e pacifico.
NATO e UE hanno cooperato e cooperano in una serie di missioni internazionali. La prima è stata quella, conclusasi alla fine del 2003, svoltasi nella ex Repubblica jugoslava di Macedonia, cui hanno fatto seguito le missioni in Bosnia Erzegovina e in Kosovo. Successivamente, le due organizzazioni hanno cooperato nella missione in Afghanistan, nel Darfur (Sudan) e nel contrasto alla pirateria lungo le coste della Somalia.
Balcani
Nel luglio 2003 UE e NATO hanno concertato un approccio per i Balcani occidentali che delinea le aree di cooperazione ed enfatizza la visione comune e la determinazione di entrambe le organizzazioni a dare stabilità alla regione:
Afghanistan
La NATO e l’UE svolgono un ruolo chiave per cercare di portare pace e stabilità in Afghanistan. La forza di sicurezza internazionale a guida NATO ha l’ambizione di contribuire a creare un ambiente stabile e sicuro in cui il Governo afgano e gli altri attori internazionali possano costruire le istituzioni democratiche, estendere lo Stato di diritto e ricostruire il paese. La NATO ha accolto con soddisfazione il lancio della missione PSDC sullo Stato di diritto (EUPOL) nel giugno 2007. L’UE ha anche iniziato un programma di riforme del sistema giudiziario e sta aiutando a finanziare progetti civili nell’ambito delle Squadre di ricostruzione provinciale Provincial Reconstruction Teams (PRTs) a conduzione NATO.
Darfur
Sia la NATO sia l’UE hanno sostenuto la missione dell’Unione africana in Darfur, in particolare per quanto riguarda l’avvicendamento nei ponti aerei.
Pirateria
A partire dal settembre 2008 le forza navali UE e NATO sono dispiegate fianco e fianco lungo le coste somale per missioni anti prateria.
Insieme alla conduzione di operazioni, lo sviluppo delle capacità è l’area in cui la cooperazione è essenziale e dove vi è un alto potenziale di crescita. Il gruppo UE-NATO sulle capacità è stato istituito nel maggio 2003 per assicurare coerenza e reciproco rafforzamento degli sforzi di sviluppo delle capacità messi in campo dalle due organizzazioni. Negli ultimi anni la NATO e l’UE hanno infatti lanciato ambiziosi programmi di sviluppo di nuove capacità[4], in termini sia di forze sia di equipaggiamento militare, per adattarsi ad un contesto internazionale mutevole e ad impegni in aree di crisi spesso lontane dal teatro euro-atlantico. Sia la NATO sia l’UE si sono concentrate in particolare sulla creazione di forze di spedizione di rapido impiego, in grado di affrontare un ampio ventaglio di compiti, nonché sullo sviluppo delle dotazioni necessarie a proteggersi dalle nuove minacce (come per es. la difesa da attacchi terroristici nucleari, biologici, chimici o radiologici) e a garantire il funzionamento delle forze di spedizione (tramite, per esempio, il trasporto aereo).
A tale proposito si ricordano in particolare i Battle groups dell’UE, sviluppati nell’ambito dell’Obiettivo primario per il 2010, e la NATO Response Force nonché gli sforzi di entrambe le organizzazioni per migliorare la disponibilità di elicotteri per le operazioni.
NATO e UE sono inoltre impegnate a combattere il terrorismo e la proliferazione delle armi di distruzione di massa. Si scambiano informazioni sulle loro attività nel campo della protezione della popolazione civile contro attacchi chimici, biologici e radiologici. Le due organizzazioni cooperano nel settore dell’emergenza civile, pianificando scambi di informazioni sulle misure assunte in quest’area.
Italia, Lituania, Polonia e Paesi Bassi, nell’ambito della discussione sul rafforzamento della politica di sicurezza e difesa dell’UE in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013 che dovrebbe assumere decisioni in tal senso, hanno presentato nel aprile del 2013 un documento di riflessione sul rafforzamento della collaborazione UE-NATO.
Nel documento di riflessione si propone in particolare di:
· dare più regolarità ai contatti e al dialogo fra le due Organizzazioni, allargando lo spettro delle tematiche discusse;
· rafforzare i meccanismi di cooperazione come l’UE-NATO Capability Group e istituire un comitato congiunto per la gestione delle crisi;
· lavorare allo sviluppo di capacità militari condivise, ad esempio armonizzando l’European Capability Development Plan con il NATO Defence Planning Process. E’ importante assicurare che nello sviluppo di capacità nelle due Organizzazioni si evitino duplicazioni;
· migliorare la reazione alle crisi e lo scambio di informazioni;
· ampliare l’interazione civile-militare nei teatri di crisi;
· estendere la cooperazione a nuovi settori, come la sicurezza energetica e le minacce cibernetiche.
Nella risoluzione del 19 febbraio 2009 il Parlamento europeo si è soffermato sul ruolo della NATO nell’architettura di sicurezza dell’UE sottolineando che l'UE e la NATO potrebbero rafforzarsi vicendevolmente «evitando gli antagonismi e sviluppando una cooperazione più solida nelle operazioni di gestione delle crisi, basata su una divisione pragmatica delle attività», per conseguire l'obiettivo comune di lungo termine della costruzione di un mondo più sicuro. Un partenariato ancor più stretto e un rafforzamento del potenziale di base dell'UE e della NATO sono quindi necessari, nel giudizio del Parlamento europeo, per affrontare i rischi legati alla sicurezza nel mondo moderno, quali il terrorismo internazionale, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, il collasso di Stati, la criminalità organizzata, le minacce cibernetiche, il degrado ambientale e i connessi rischi di sicurezza.
Per permettere alle due organizzazioni di intervenire ed apportare un aiuto efficace nell'ambito delle attuali crisi, che richiedono una risposta civile e militare su molteplici fronti, il Parlamento europeo ritiene indispensabile “la creazione di strutture di cooperazione a carattere permanente, senza tuttavia pregiudicare la natura indipendente e autonoma di entrambe le organizzazioni e senza escludere la partecipazione di tutti i membri della NATO e di tutti gli Stati membri dell'UE che desiderino associarvisi”. Riconosce inoltre l'importanza vitale di un miglioramento delle sinergie fra i servizi di intelligence degli alleati NATO e dei partner dell'UE.
Il Parlamento europeo sostiene in particolare l'istituzione di un quartiere generale operativo permanente dell'UE sotto l'autorità dell’Alto rappresentante, che includa nel suo mandato la pianificazione e la condotta delle operazioni militari PESD. Inoltre, propone che, d'intesa con la NATO, ogni Stato membro dell'UE che è contemporaneamente membro dell'Alleanza tenga separate le forze impiegabili per le sole operazioni UE, «per evitare che il loro dislocamento possa essere bloccato dai membri della NATO che non sono Stati membri dell'UE».
Esortando l'UE e la NATO a evitare la duplicazione delle operazioni e promuovere la coerenza, il PE invita gli Stati membri a mettere in comune, condividere e sviluppare congiuntamente le capacità militari, «per evitare sprechi, realizzare economie di scala e rafforzare la base industriale e tecnologica nel settore della difesa». Ritiene inoltre che, insieme all'esigenza di utilizzare molto più efficacemente le risorse militari, un migliore e più efficiente coordinamento degli investimenti nella difesa da parte degli Stati membri dell'UE dettato da esigenze di sinergia «sia essenziale per gli interessi della sicurezza europea». In tale contesto, chiede anche un forte incremento della quota di costi comuni in ogni operazione militare NATO e UE, ma invita gli USA a mostrare maggiore disponibilità a consultare gli alleati europei su questioni attinenti alla pace e alla sicurezza.
L’argomento è stato ripreso nelle tre risoluzioni che il Parlamento europeo ha approvato l’11 maggio 2011, rispettivamente sullo sviluppo della politica di sicurezza e di difesa comune dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona; sulla relazione annuale del Consiglio al Parlamento europeo sui principali aspetti e le scelte basilari della politica estera e di sicurezza comune (PESC) nel 2009; sul ruolo dell’UE nelle organizzazioni multilaterali.
Da ultimo, il 29 maggio 2013 la Commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo (AFET) ha adottato la Relazione Giannakou sullo stato delle strutture militari europee che, tra l’altro, si sofferma sui rapporti UE-NATO sostenendo che quest’ultima fornisce ottimi esempi di standardizzazione e cooperazione e che la NATO e le forze militari UE sono complementari e si rafforzano a vicenda; è fondamentale, quindi, che esista una forte sinergia attraverso un dialogo strategico volto ad esaminare gli sforzi operativi e a concordare gli obiettivi strategici.
In più occasioni il Consiglio ha ricordato nelle sue conclusioni l'obiettivo di rafforzare il partenariato strategico UE-NATO per la gestione delle crisi. Il Consiglio ha inoltre accolto con favore gli sforzi dell'Alto rappresentante e del Segretario generale della NATO per progredire maggiormente in questo settore e in tale contesto ha incoraggiato gli sforzi volti a promuovere la trasparenza, la coerenza e l'inclusione tra l'UE e la NATO laddove opportuno.
Sull’argomento si è espresso il Consiglio europeo del 16 settembre 2010 che ha invitato l'Alto rappresentante a sviluppare idee su come rafforzare ulteriormente la cooperazione UE-NATO nella gestione delle crisi, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e alle pertinenti relazioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Ciò dovrebbe essere effettuato in uno spirito di reciproco rafforzamento e nel rispetto dell'autonomia decisionale, facendo seguito alle raccomandazioni di misure concrete trasmesse dall'UE alla NATO nel febbraio 2010.
II 22 luglio 2013 si è tenuto l’annuale incontro ministeriale del Partenariato orientale, incaricato di fare il punto dell’iniziativa a quasi quattro anni dalla sua istituzione (vedi infra) e preparare il prossimo Vertice dei Capi di Stato e di Governo che si terrà a Vilnius il prossimo novembre.
Per quanto riguarda i risultati ottenuti, sono stati sostanzialmente completati i negoziati per accordi di associazione, comprensivi di zone di libero scambio (vedi infra), con Moldova, Georgia e Armenia. L’obiettivo è quello di inizializzare tali accordi in occasione del Vertice di Vilnius. Inoltre, la Commissione è impegnata a chiarire con l’Ucraina gli ulteriori progressi richiesti al paese in occasione del Consiglio europeo di dicembre 2012, per arrivare alla firma dell’accordo. In particolare, l’UE ha espresso la propria preoccupazione per quanto riguarda lo Stato di diritto e la giustizia selettiva. Continuano i negoziati con l’Azerbaigian.
Per quanto riguarda il futuro, come indicato anche dal commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato, Štefan Füle, l’aspettativa è che il Vertice di Vilnius definisca un’agenda ambiziosa per i prossimi due anni, concentrandosi soprattutto su un più forte coinvolgimento della società civile, e in particolare dei giovani e della comunità degli affari, e sull’avanzamento del processo di liberalizzazione dei visti in corso e sulle altre questioni connesse al tema della mobilità.
Una volta completati gli accordi di associazione, l’impegno dell’UE sarà inoltre rivolto all’individuazione di una lista di progetti da sviluppare insieme alle istituzioni finanziarie internazionali e agli altri soggetti interessati, specialmente alla Banca europea per gli investimenti. Inoltre, una volta firmati gli accordi, i paesi interessati avvieranno il lavoro di approssimazione della legislazione nazionale all’acquis dell’UE con il sostegno fornito dalla Commissione attraverso la condivisione del know-how e l’erogazione di assistenza finanziaria.
Intervenendo all’incontro, il commissario Füle ha segnalato tra le questioni ancora da risolvere i conflitti regionali tuttora in corso e la non adeguata tutela dei diritti umani, in particolar modo in Bielorussia, nonché il progetto di unione doganale e unione euroasiatica con la Russia che sta assumendo sempre maggiore importanza[5]. Secondo il commissario, è cruciale a tale proposito definire una strategia per la coesistenza e il mutuo arricchimento dei progetti regionali in modo da non arrivare a due differenti set di regole nello spazio economico dell’UE e nell’unione doganale. La Commissione europea ha già affrontato il tema con la Russia, avviando una discussione su come rendere il quadro regolamentare della futura Unione doganale il più compatibile possibile con le regole dell’UE.
Con il partenariato orientale - rivolto ad Armenia, Azerbaigian, Bielorussia Georgia, Moldavia e Ucraina – l’Unione europea si prefigge di rafforzare la dimensione orientale della politica europea di vicinato (PEV), in modo complementare rispetto all’iniziativa dell’Unione per il Mediterraneo, che coinvolge i partner del vicinato meridionale.
Inaugurata dalla Commissione con la comunicazione “Europa ampliata - Prossimità: Un nuovo contesto per le relazioni con i nostri vicini orientali e meridionali”, presentata l’11 marzo 2003 e a più riprese rafforzata, la politica europea di vicinato ha l’obiettivo di creare ai confini dell’Unione una zona di prosperità condivisa e buon vicinato. La PEV, distinta dalla questione della potenziale adesione all’UE, propone un nuovo approccio nei confronti dei paesi interessati: in cambio dei progressi concreti compiuti in termini di riconoscimento dei valori comuni e di attuazione effettiva di riforme politiche, economiche e istituzionali, si riconosce loro una partecipazione al mercato interno dell’UE, nonché un’ulteriore integrazione e liberalizzazione per favorire la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali.
Il Vertice inaugurale del Partenariato orientale si è tenuto a Praga il 7 maggio 2009, alla presenza dei rappresentanti degli Stati membri dell’UE e dei sei Paesi partner che, a conclusione dell’incontro, hanno approvato una dichiarazione congiunta in cui è espressa la comune volontà di attuare un partenariato più ambizioso fondato su interessi e impegni reciproci e su responsabilità condivise, nella quale sono richiamati gli aspetti qualificanti dell’iniziativa (vedi infra).
Il partenariato orientale – fondato sull'approfondimento delle relazioni bilaterali e la realizzazione di un nuovo quadro multilaterale di cooperazione - è inteso come un ulteriore passo avanti rispetto alla PEV e ai risultati da essa conseguiti nell'intensificare le relazioni tra l'UE e i paesi confinanti. Come dettagliato più avanti, gli strumenti principali attraverso i quali si propone l’avanzamento e il rafforzamento delle relazioni sono:
· relazioni contrattuali nuove e più approfondite tramite accordi di associazione - che subentrerebbero a quelli di partenariato – e maggiore integrazione economica, con la creazione di zone di libero scambio globali e approfondite (DCFTA);
· mobilità dei cittadini e liberalizzazione del visto in un ambiente sicuro e ben gestito. La mobilità dei cittadini dei paesi partner è promossa in un primo momento tramite accordi di riammissione e facilitazione del visto miranti in ultima istanza a regimi di esenzione dal visto;
· rafforzamento della cooperazione settoriale, in particolare nel settore energetico, e facilitazione della partecipazione dei paesi partner ai programmi e alle agenzie dell'Unione.
Improntato all'idea di offrire quanto più possibile, nel rispetto della realtà politica e economica del paese partner interessato e del relativo stato delle riforme, il partenariato dovrebbe apportare massimi benefici ai cittadini di ciascun paese. Esso sarà incentrato sull'impegno dell'UE ad assecondare maggiormente lo sforzo riformatore dei singoli partner. Secondo la Commissione, è fondamentale che il partenariato si avvalga del pieno impegno politico degli Stati membri dell'UE, nonché dei contatti e degli scambi attivi a livello parlamentare.
Anche il Partenariato orientale è interessato dagli aggiustamenti di recente introdotti nella PEV e illustrati nella comunicazione del 25 maggio 2011 “Una nuova risposta ad un vicinato in mutamento”[6]. Sulla base dei risultati di un’ampia consultazione con le parti interessate avviata già nell’estate 2010 e alla luce dei recenti avvenimenti nei paesi del bacino meridionale del Mediterraneo, l’UE ha aggiornato la politica europea di vicinato attraverso un nuovo approccio, definito more for more, vale a dire “più fondi per più riforme”. Come indicato nella comunicazione, gli avvenimenti del Mediterraneo e i risultati della consultazione hanno mostrato che il sostegno dell’UE alle riforme politiche nei paesi vicini ha ottenuto risultati limitati; è emersa dunque la necessità di una maggiore flessibilità e di risposte più adeguate, in linea con la rapida evoluzione della situazione nei partner. Il nuovo approccio dovrebbe essere basato su mutua affidabilità e impegno condiviso nei valori universali di rispetto dei diritti umani, democrazia e stato di diritto e comporterà un più alto livello di differenziazione per consentire a ciascun paese di sviluppare legami con l’UE corrispondenti alle proprie aspirazioni, necessità e capacità.
L'approccio “more for more” prevede maggiori finanziamenti per lo sviluppo socioeconomico, programmi globali di sviluppo istituzionale, un più ampio accesso al mercato interno dell'Unione, maggiori finanziamenti dell'Unione per gli investimenti (prestiti della BEI e sovvenzioni dal bilancio dell'UE combinati a prestiti della BEI e di altre istituzioni finanziarie internazionali) e un dialogo politico potenziato. I progressi sulla strada delle riforme saranno valutati ogni anno nell'ambito delle relazioni della PEV per paese.
Per tradurre in pratica il principio more for more e realizzare gli obiettivi appena indicati, il 15 maggio 2012, nell’ambito del pacchetto sul vicinato, è stata presentata una roadmap che definisce un ambizioso programma di lavoro fino al prossimo Vertice del Partenariato orientale, previsto per l’autunno 2013.
Per ciascuno degli ambiti sopra indicati (associazione politica e integrazione economica; accresciuta mobilità dei cittadini in un ambiente sicuro e ben gestito; cooperazione settoriale rafforzata) la roadmap individua:
· gli obiettivi stabiliti in comune dall'Unione e dai paesi partner nell'ambito del partenariato orientale in base alle dichiarazioni del vertice di Praga del 2009 e del successivo vertice di Varsavia del 2011;
· le riforme e i progressi che i paesi partner devono conseguire per realizzare gli obiettivi delle diverse tappe stabilite in comune;
· i vari strumenti e il sostegno che l'Unione garantisce tramite la cooperazione finanziaria e il dialogo politico.
Per favorire la realizzazione della roadmap sono stati previsti finanziamenti aggiuntivi. Di recente è stato infatti istituito il nuovo programma EaPIC (programma di integrazione e cooperazione del partenariato orientale) con una dotazione indicativa di 130 milioni di euro per il periodo 2012-2013 che va ad aggiungersi all'impegno 2010-2013 di 1,9 miliardi di euro a favore dei partner dell'Europa orientale. Il programma EaPIC mira a promuovere la trasformazione democratica e il consolidamento istituzionale, a stimolare la crescita sostenibile e inclusiva e a incentivare misure di rafforzamento della fiducia. Inoltre, per permettere ai partner orientali di partecipare ai programmi di cooperazione per l'istruzione superiore la dotazione di bilancio è stata raddoppiata nel caso di Erasmus e aumentata sostanzialmente per il programma Tempus.
Sul versante dell’approfondimento delle relazioni bilaterali, i principali strumenti dell'iniziativa si possono così riassumere:
rapporti contrattuali più stretti.
Come anticipato, il Partenariato orientale si prefigge di instaurare un partenariato più ambizioso, attraverso accordi di associazione - comprendenti accordi di libero scambio globali e approfonditi. Secondo l'articolo 217 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, gli accordi di associazione sono accordi che istituiscono "un'associazione caratterizzata da diritti ed obblighi reciproci, da azioni in comune e da procedure particolari." La caratteristica di questo tipo di intese risiede nel grado piuttosto elevato di collaborazione che si pone in essere tra le parti. Secondo quanto indicato dalla Commissione nella proposta iniziale di istituzione del PO, i negoziati prendono avvio a fronte di un livello sufficiente di progresso in termini di democrazia, stato di diritto e tutela dei diritti umani e, più in particolare, soltanto in caso di conformità del quadro legislativo e delle prassi elettorali alle norme internazionali.
Attualmente le relazioni tra l’UE e i paesi interessati dal Partenariato orientale sono disciplinate da accordi di partenariato e cooperazione, con l’eccezione della Bielorussia, il cui accordo – firmato nel 1995 – non è mai entrato in vigore. In più occasioni l’UE ha manifestato alla Bielorussia la propria disponibilità a integrarla completamente nella politica di vicinato a condizione che migliorasse la situazione del paese per quanto riguarda democratizzazione, Stato di diritto e rispetto dei diritti umani.
graduale integrazione nell'economia dell'UE
Tale integrazione – ritenuta essenziale per lo sviluppo dei paesi partner - avverrà con ritmo diseguale, per tenere opportunamente conto del diverso livello di sviluppo economico dei singoli paesi partner, segnatamente mediante impegni giuridicamente vincolanti sul ravvicinamento delle normative. L’obiettivo finale è la creazione di una zona di libero scambio globale e approfondita con ogni paese partner che interessi sostanzialmente tutti gli scambi, compresi quelli energetici, e miri al massimo grado di liberalizzazione.
Alla luce di tale obiettivo, e in considerazione delle diseguaglianze sul piano sociale ed economico presenti all’interno dei paesi partner, si prevede l’attuazione di programmi di sostegno allo sviluppo socioeconomico, volti a consentire a tali paesi di ispirarsi ai meccanismi delle politiche socioeconomiche dell’UE;
misure in materia di mobilità e sicurezza.
Nell’ambito del Partenariato orientale si prevede la conclusione di "patti in materia di mobilità e sicurezza" volti ad intensificare le iniziative di lotta alla corruzione, alla criminalità organizzata e alla migrazione illegale, in linea con l’approccio definito dall’UE con il Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo adottato dal Consiglio europeo di ottobre 2008[7].
I patti in materia di mobilità e sicurezza dovrebbero prevedere l'adeguamento alle normative comunitarie dei sistemi di asilo e l'istituzione di strutture di gestione integrata delle frontiere, con l'obiettivo ultimo di creare un regime di esenzione dall'obbligo del visto con tutti i partner che intendono aderirvi. La politica di facilitazione dei visti – che si prefigge l’obiettivo finale della completa liberalizzazione – verrà attuata in maniera graduale. Nell’ambito di tale processo la Commissione procederà ad una valutazione dei costi e benefici di una possibile mobilità della forza lavoro ai fini di una maggiore apertura del mercato del lavoro UE. Si prevede inoltre l’elaborazione di un piano coordinato per potenziare la copertura consolare degli Stati membri nella regione.
Con la Repubblica moldova, l’Ucraina e la Georgia, che attuano da qualche anno gli accordi di riammissione delle persone illegalmente residenti e di facilitazione delle procedure di visto, sono attualmente in corso i piani d'azione per la liberalizzazione del visto. Per quanto riguarda l’Armenia, ad aprile sono stati firmati gli accordi di riammissione delle persone illegalmente residenti e di facilitazione delle procedure di visto, che tuttavia non sono ancora entrati in vigore. A marzo 2012 la Commissione europea, in base al mandato conferitole dal Consiglio dei ministri dell'UE a dicembre 2011, ha avviato i negoziati per accordi omologhi con l’Azerbaigian. Un'offerta in tal senso è stata fatta anche alla Bielorussia a giugno 2011, per favorire i cittadini del paese, ma il governo di Minsk non ha ancora risposto. Per facilitare il rilascio dei visti ai cittadini bielorussi, gli Stati membri dell'Unione si impegnano a sfruttare al massimo la flessibilità offerta dal codice dei visti, soprattutto per quanto riguarda l'esenzione o la riduzione dei diritti di rilascio dei visti per alcune categorie di cittadini bielorussi o in casi singoli.
Con la Georgia e la Repubblica moldova, e più di recente anche con l'Armenia, sono stati istituiti partenariati per la mobilità. Proseguono i negoziati con l’Azerbaigian, I partenariati per la mobilità - strumento elaborato dall’Unione europea a partire dal 2007 – sono concertati a livello politico tra l’UE e i suoi Stati membri, da un lato, e il paese partner interessato, dall’altro, e riguardano tutte le misure (legislative od operative) atte a garantire che la circolazione delle persone tra l’UE e il paese partner sia gestita correttamente ed avvenga in condizioni di sicurezza. L’Unione europea sostiene, sia tecnicamente che economicamente, gli sforzi compiuti dal paese partner, anche tramite le sue agenzie (FRONTEX, EASO ed EUROPOL).
sicurezza energetica
Uno degli obiettivi del Partenariato orientale è quello di garantire un livello rafforzato di sicurezza energetica per l'Unione e per i paesi partner orientali, da raggiungersi attraverso una serie di iniziative (prevedere negli accordi di associazione disposizioni in materia di “interdipendenza energetica”; se del caso, concludere memorandum d’intesa su questioni energetiche con Moldova, Georgia e Armenia quali strumenti flessibili supplementari per sostenere e controllare la sicurezza della fornitura e del transito di energia; sottoscrivere un maggior impegno politico con l’Azerbaigian, in quanto unico partner orientale che esporta idrocarburi nell’UE). Come previsto dalla Commissione, sono stati conclusi celermente i negoziati per la partecipazione dell’Ucraina e della Moldova alla Comunità dell’energia – che, istituita nell’ottobre 2005, instaura un mercato integrato dell'energia elettricità e del gas tra l'Unione europea e gli Stati balcanici – mentre l’Armenia e la Georgia vi partecipano con lo status di osservatore. Un altro obiettivo della Commissione consiste nel fornire maggior sostegno alla piena integrazione del mercato energetico dell’Ucraina nel mercato UE, riconoscendo l’importanza di una valutazione soddisfacente del livello di sicurezza nucleare di tutte le centrali nucleari ucraine in funzione. E’ inoltre prioritario secondo la Commissione ripristinare la rete ucraina di gasdotti e oleodotti, anche tramite un controllo più scrupoloso dell’afflusso di gas e petrolio provenienti dalla Russia.
Come anticipato, il partenariato orientale è caratterizzato anche da un nuovo ambito multilaterale di cooperazione tra l’UE e i suoi partner, che si articola dal punto di vista organizzativo su quattro livelli:
· riunioni biennali dei Capi di Stato e di governo del partenariato orientale;
· riunioni annuali di primavera tra i ministri degli esteri dell’UE e dei partner orientali, con l’eventuale partecipazione della Bielorussia;
· al terzo livello quattro piattaforme tematiche nei principali ambiti di cooperazione: democrazia, governance e stabilità; integrazione economica e convergenza con le politiche comunitarie; sicurezza energetica; e, infine, contatti con la società civile per consolidare il sostegno alle iniziative puntuali di riforma dei partner;
· il lavoro delle piattaforme tematiche nei settori specifici sarà sostenuto al quarto livello da una serie di panel il cui formato e la cui composizione varieranno a seconda delle esigenze.
Sul versante della cooperazione multilaterale, si prevede inoltre:
· l’incoraggiamento dei paesi partner a costituire tra loro una rete di libero scambio che potrebbe trasformarsi, a lungo termine, in una comunità economica di vicinato;
· l’avvio di cinque iniziative “faro”: programma di gestione integrata delle frontiere; strumento per le piccole e medie imprese; sviluppo dei mercati regionali dell'energia elettrica e promozione dell'efficienza energetica e delle fonti energetiche rinnovabili; realizzazione del corridoio energetico meridionale; cooperazione in materia di prevenzione, preparazione e risposta alle calamità naturali e alle catastrofi causate dall'azione dell'uomo. Tali iniziative sono state avviate nel corso del 2010;
· maggiori contatti con la società civile e un più ampio coinvolgimento di quest'ultima e di altre parti interessate. A tal fine nel 2009 è stato istituito un forum della società civile con lo scopo di promuovere i contatti tra le diverse organizzazioni implicate e facilitare il dialogo tra queste e i pubblici poteri[8]. Inoltre, la cooperazione parlamentare proposta dal Parlamento europeo con “EuroNest” (assemblea parlamentare UE-Vicinato orientale) è diventata parte integrante del partenariato. La Commissione ha invitato inoltre il Comitato delle regioni a dar vita ad un’assemblea locale e regionale per l’Europa orientale e il Caucaso meridionale.
Nella dichiarazione congiunta i partecipanti al Vertice inaugurale di Praga del 2009 hanno invitato i parlamenti dell’UE e dei Paesi partner ad attuare la proposta del Parlamento europeo di istituire un’Assemblea parlamentare del vicinato orientale (EURO.NEST PA).
Il 15 gennaio 2009 la Conferenza dei Presidenti dei gruppi del PE ha deciso di istituire l'Assemblea parlamentare Euronest per associare il Parlamento europeo ai parlamenti di Ucraina, Moldova, Bielorussia, Armenia, Azerbaigian e Georgia.
L’Assemblea è costituita da due componenti: la delegazione del PE, composta da 60 membri, e le delegazioni dei Paesi partner, ciascuna composta da 10 membri (ad eccezione della Bielorussia, che per il momento non partecipa).
Si articola in Assemblea plenaria, quattro commissioni permanenti (affari politici, diritti umani e democrazia; integrazione economica, approssimazione normativa e convergenza con le politiche UE; sicurezza energetica; affari sociali, istruzione, cultura e società civile) e due gruppi di lavoro (uno sulla Bielorussia e l’altro sulle regole).
Dovrebbe rappresentare il forum parlamentare per accelerare l’associazione politica e l’integrazione economica tra UE e paesi del Partenariato orientale, senza pregiudicare le aspirazioni individuali e le agende dei singoli partner. Contribuirà al rafforzamento sviluppo e visibilità del Partenariato orientale, si riunirà di norma una volta l’anno, alternativamente in un Paese partner e presso il Parlamento europeo, in una delle sedi di lavoro (Bruxelles, Lussemburgo o Strasburgo).
Sulla questione si è espressa anche la Commissione affari esteri della Camera dei deputati che, nel parere favorevole approvato il 14 luglio 2009 sulla proposta di istituzione del Partenariato orientale, ha impegnato il Governo italiano a “favorire il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali degli Stati membri dell'Unione europea nell'Assemblea parlamentare del Partenariato orientale, contrastando ogni suo eventuale riconoscimento di natura istituzionale ove tale condizione non sia assicurata”. Nel citato parere la Commissione affari esteri impegna inoltre il Governo “a sostenere convintamente l'evoluzione del Partenariato orientale, ferma restando l'esigenza che esso proceda in parallelo con il Partenariato strategico con la Russia e non alteri, con riferimento alla determinazione delle risorse finanziarie, il rapporto attualmente esistente con il Partenariato euro-mediterraneo di un terzo e due terzi”.
Il Consiglio europeo del 13 e 14 dicembre 2012, ha indicato la necessità di rafforzare la collaborazione europea nella la politica comune di sicurezza e difesa, sollecitando gli Stati membri a fornire capacità adeguate alle future sfide, sia nel settore civile che in quello della difesa giudicando necessario il rafforzamento della collaborazione per la situazione di ristrettezza finanziaria e per i potenziali benefici in termini di occupazione, crescita, innovazione e competitività industriale.
Il Consiglio europeo ha quindi:
· invitato l’Alto rappresentante e la Commissione europea ad elaborare entro settembre 2013 proposte volte al rafforzamento della PSDC e al miglioramento delle capacità militari e civili;
· indicato che il Consiglio europeo di dicembre 2013 procederà alla valutazione dei progressi compiuti e alla definizione di orientamenti, anche stabilendo priorità e termini
Il Consiglio europeo del dicembre 2012 ha indicato tre aree (cosiddette cluster) nella quali rafforzare la collaborazione tra Stati membri in ambito PSDC:
1. aumentare l'efficacia, la visibilità e l'impatto della PSDC
· sviluppando l'approccio generale alla prevenzione dei conflitti, alla gestione delle crisi e alla stabilizzazione e la capacità di far fronte alle sfide che si profilano in termini di sicurezza;
· rafforzando la capacità dell'UE di spiegare con rapidità ed efficacia le capacità e il personale civili e militari negli interventi di gestione delle crisi.
2. potenziare lo sviluppo delle capacità di difesa
· individuando le ridondanze e le carenze di capacità e stabilendo un ordine di priorità delle esigenze future per le capacità civili e militari;
· facilitando una cooperazione più sistematica, attraverso la "messa in comune e condivisione" delle capacità militari e nella pianificazione della rispettiva difesa nazionale degli Stati membri;
· facilitando le sinergie tra iniziative bilaterali, europee e multilaterali, comprese la "messa in comune e condivisione" dell'UE e la "smart defence" della NATO.
3. Rafforzare l'industria europea della difesa
· sviluppando una base industriale e tecnologica di difesa europea integrata, sostenibile, innovativa e competitiva;
· sviluppando sinergie tra attività di ricerca e sviluppo civili e militari;
· promuovendo un mercato della difesa, aperto alle PMI, anche con un'attuazione efficace delle direttive sugli appalti pubblici e sui trasferimenti intra-UE.
Su mandato del Consiglio europeo di dicembre 2012 l’Alto Rappresentante, Catherine Ashton, dovrà presentare entro settembre 2013 un rapporto recante proposte per il rafforzamento della PSDC.
Il draft del rapporto che circola non ufficialmente sottolinea come l’Europa si trovi di fronte a sfide crescenti alla sua sicurezza, legate alla trasformazione ed evoluzione del contesto strategico e agli effetti della crisi finanziaria sulle proprie capacità nel settore della sicurezza e della difesa.
Le proposte e le linee d’azione individuate dall’Alto Rappresentante per rafforzare la PSDC si articolano intorno alle tre aree (clusters) definiti dal Consiglio europeo di dicembre 2012, e in particolare:
Accrescere l’efficacia, la visibilità e l’impatto della PSDC:
· sviluppare ulteriormente l’approccio globale alla prevenzione dei conflitti, alla gestione delle crisi e alla stabilizzazione rafforzando una prospettiva di tipo regionale e garantendo una stretta cooperazione e un allineamento tra le diverse missioni e operazioni che insistono su una medesima regione;
· accrescere la visibilità della PSDC, anche mediante una strategia dei comunicazione nei confronti dell’opinione pubblica;
· rispondere alle nuove o imminenti sfide alla sicurezza, con particolare riguardo ai temi della cyber-sicurezza, dell’integrità e disponibilità dei sistemi spaziali, della sicurezza energetica;
· potenziare la capacità di risposta alla sfide che premono sui confini dell’Unione, rafforzando in particolare la sicurezza dei mari in termini di interoperabilità delle forze e di capacità di risposta collettiva;
· rafforzare la rapidità e l’efficacia delle operazioni di gestione delle crisi, avviando una riflessione sull’art. 44 del TUE, che prevede la possibilità che il Consiglio affidi incarichi in tal senso a un gruppo ristretto di Stati membri; procedendo a implementare la roadmap per l’avvio rapido delle missioni civili e avviando una discussione con gli Stati membri sulla possibilità di nuove misure di finanziamento comune delle missioni stesse;
· accrescere la focalizzazione sulla prevenzione dei conflitti e sulla gestione dei processi di pace e di stabilizzazione, estendendo l’uso degli strumenti di analisi preventiva, la programmazione comune;
Rafforzare le capacità di difesa:
· creare le condizioni per una cooperazione europea nel settore della difesa più sistematica e a lungo termine, attraverso la convergenza dei sistemi di programmazione degli Stati membri, estendendo la cooperazione nelle attività di supporto come la logistica e l’addestramento, promuovendo una roadmap strategica per una cooperazione di lungo termine che individui obiettivi e scadenze e rilanciando la riflessione comune su forme di cooperazione strutturata permanente previste dal Trattato di Lisbona;
· concentrare l’impegno comune sullo sviluppo di capacità-chiave, come il rifornimento di carburante in volo, i sistemi di volo comandati a distanza, la cyber difesa e le comunicazioni satellitari;
· facilitare le sinergie tra iniziative bilaterali, sub-regionali, europee e multilaterali, utilizzando a pieno il modello già sperimentato con il Comando europeo di trasporto aereo;
· rafforzare le capacità civili, rafforzando in particolare i legami tra la PSDC e gli attori che operano all’interno dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (Europol, Interpol, Frontex).
Rafforzare l’industria europea della difesa:
· garantire una base industriale e tecnologica per l’industria della difesa competitiva su scala globale, lavorando in particolare sulla sicurezza degli approvvigionamenti, sugli “standard ibridi”, sulla certificazione, e incentivando l’avvio di programmi di collaborazione e condivisione delle risorse;
· stimolare le sinergie nel campo della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dell’innovazione, impegnandosi a invertire il processo di tagli alla ricerca nel settore della difesa e a rafforzare la cooperazione tra Stati membri attraverso programmi di ricerca congiunti, appoggiando con forza e convinzione una strategia globale volta a sfruttare al massimo le sinergie tra i programmi nazionali dual use e la ricerca europea e studiando forme di finanziamento innovative allo scopo di attrarre capitali privati.
La Commissione europea ha presentato il 24 luglio 2013 una comunicazione intitolata “Verso un settore della difesa e della sicurezza più concorrenziale ed efficiente” (COM(2013)542).
Nella comunicazione la Commissione europea rileva come dal 2001 al 2010 la spesa complessiva dell’UE per la difesa si sia ridotta da 251 a 194 miliardi di euro. Le riduzioni hanno interessato in particolare gli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore della difesa: tra il 2005 e il 2010 gli stanziamenti complessivi a livello europeo si sono ridotti del 14% (ammonterebbero attualmente a 9 miliardi di euro). La Commissione calcola che gli Stati Uniti spendono per la ricerca nel settore della difesa sette volte di più della spesa complessiva degli Stati membri dell’UE.
Nella comunicazione la Commissione europea propone un piano d’azione volto in particolare a:
· potenziare il mercato interno della difesa e della sicurezza. La Commissione intende garantire la piena applicazione della direttiva 2009/81 in materia di appalti nel settore della difesa e delle sicurezza e della direttiva 2009/43 relativa ai trasferimenti intra-UE di prodotti per la difesa. In particolare, la Commissione affronterà le distorsioni del mercato, assicurando la rapida eliminazione delle compensazioni economiche utilizzate dagli Stati membri per difendersi dagli acquisti di fornitori non nazionali e promuoverà un cambiamento della prassi in uso negli Stati membri in tema di appalti. La Commissione intende, inoltre, contribuire a migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento tra Stati membri, avviando un processo consultivo con l’obiettivo di indurre gli Stati membri ad assumere un impegno a livello politico per garantire reciprocamente la fornitura, commissionata o concordata, di beni, materiali o servizi della difesa e pubblicherà un libro verde sul controllo delle capacità industriali nel settore della difesa e sicurezza;
· rafforzare la concorrenzialità dell'industria europea. A tale scopo la Commissione svilupperà una politica industriale della difesa basata su due direttrici: a) sostegno alla concorrenzialità - compresa l'elaborazione di standard di normalizzazione “ibridi" su prodotti per applicazioni sia civili che militari, promuoverà un approccio comune per la certificazione a livello europeo dei prodotti per la difesa a vantaggio dei mercati della difesa e della sicurezza; b) sostegno alle PMI — compreso lo sviluppo di strumenti strategici europei per la partnership di cluster atti a fornire collegamenti con altri cluster e sostenere le PMI della difesa nel contesto della concorrenza globale, avvalendosi anche di strumenti di sostegno alla PMI come il Programma COSME e il ricorso ai fondi strutturali e di investimento europei.
· sfruttare il potenziale a duplice uso della ricerca e rafforzare l’innovazione al fine di garantire l’uso più efficiente delle risorse dei contribuenti europei. In particolare: a) incentrando il proprio impegno sull'eventuale arricchimento reciproco fra l'ambito della ricerca civile e militare, sul potenziale a duplice uso nel settore dello spazio, sulle comunicazioni satellitari governative militari e sulla sviluppo di capacità dell’UE di immagini satellitari ad alta risoluzione; b) sviluppando un progetto globale per aiutare le forze armate a ridurre il loro consumo di energia e promuovere azioni concordate in tema di energie rinnovabili ed efficienza energetica;
· rafforzamento della dimensione internazionale dell’industria della difesa europea. In particolare, la Commissione europea intende istituire un dialogo con le parti interessate sulle modalità di sostegno dell’industria europea della difesa sui mercati terzi, valutando altresì le modalità con cui le istituzioni dell'UE potrebbero favorire i fornitori europei nei casi in cui una sola società europea si trovi a competere con fornitori di altre parti del mondo. In tema di controllo delle esportazioni la Commissione presenterà un rapporto sulla valutazione d'impatto relativa all'applicazione del regolamento (CE) n. 428/2009 e darà seguito al documento con una comunicazione che delinea una visione a lungo termine per i controlli sulle esportazioni strategiche dell'UE e le iniziative concrete per adeguare i controlli sulle esportazioni alle condizioni tecnologiche, economiche e politiche in rapido mutamento. A tale proposito la Commissione indica che è possibile che vengano elaborate proposte di modifiche legislative al sistema UE di controllo sulle esportazioni.
Nella comunicazione la Commissione invita il Consiglio europeo di dicembre 2013 ad avviare un dibattito sulla base delle seguenti raccomdazioni di carattere generale:
· le decisioni in materia di investimenti e capacità per la sicurezza e la difesa dovrebbero essere fondate su una comprensione comune delle minacce e degli interessi. Occorre pertanto che l'Europa sviluppi, a tempo debito, un approccio strategico che comprenda tutti gli aspetti della sicurezza militare e non militare;
· la politica di sicurezza e di difesa comune è una necessità e deve essere supportata da una nuova politica europea comune delle capacità e degli armamenti di cui all'articolo 42 del TUE;
· al fine di garantire la coerenza degli sforzi la PSDC deve essere strettamente coordinata con altre politiche pertinenti dell'UE;
· sviluppare una strategia industriale per la difesa europea, basata sulla comune comprensione del grado di autonomia che l'Europa intende mantenere nelle aree tecnologiche critiche;
· per mantenere un'industria concorrenziale, in grado di produrre le capacità necessarie a prezzi accessibili, è essenziale rafforzare il mercato interno della difesa e della sicurezza e creare condizioni che consentano alle imprese europee di operare liberamente in tutti gli Stati membri;
· in tempi caratterizzati da forti restrizioni di bilancio è particolarmente importante stanziare ed impiegare le risorse finanziarie in modo efficiente. Ciò implica, tra l'altro, la riduzione dei costi operativi nonché la messa in comune della domanda e l'armonizzazione delle prescrizioni in campo militare;
· per dimostrare il reale vantaggio del contesto UE è necessario individuare un progetto comune per le capacità fondamentali nel settore della difesa, per le quali potrebbero essere pienamente mobilitate le politiche dell'UE
In base alle discussioni che verranno condotte dal Consiglio europeo nel dicembre del 2013, la Commissione svilupperà, per i settori definiti nella comunicazione, una tabella di marcia dettagliata con l'indicazione di azioni concrete e del calendario di attuazione.
Per la preparazione e l'applicazione di tale tabella di marcia la Commissione istituirà un apposito meccanismo di consultazione, con il coinvolgimento del AED e del SEAE, che fungerà da interfaccia con le autorità nazionali.
La Commissione affari esteri del Parlamento europeo ha approvato il 29 maggio 2013 la relazione presentata dall’on. Giannakou sullo stato attuale delle strutture militari europee e le loro prospettive future.
La relazione sarà esaminata dall’Assemblea plenaria del Parlamento europeo l’11 settembre 2013.
La relazione evidenzia come, nonostante il dialogo politico che all’inizio del millennio ha portato alla nascita della politica di sicurezza e difesa ed al crescente impegno militare dell’UE in diverse aree del globo, ancora oggi l’Unione soffra di un’insufficiente capacità di reagire alle crisi internazionali.
Nella relazione si esprime preoccupazione per le riduzioni dei bilanci nazionali per la difesa e per l’assenza di un effettivo coordinamento tra gli Stati membri per colmare i divari in termini di capacità.
La relazione invita gli Stati membri a migliorare la qualità della difesa europea attraverso il rafforzamento delle strutture militari dell'UE. In particolare, la relazione:
· propone di istituire all’interno del Servizio per l’azione esterna (SEAE) un quartier generale permanente civile e militare – anche attraverso il ricorso ad una cooperazione strutturata permanente - al fine di mantenere una migliore continuità istituzionale ed esercitare una gestione più organica e strutturata delle diverse missioni civili e militari attive, a beneficio della generale coerenza ed efficacia della PSDC e più in generale della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC);
Si ricorda al proposito che già in passato alcuni Stati membri si erano fatti portavoce di questa richiesta, l’ultima volta nel novembre 2011, quando Francia, Germania, Italia, Polonia e Spagna avevano chiesto formalmente all’Alto Rappresentante di studiare misure in grado di fornire all’UE “capacità critiche”, come appunto un quartier generale che rafforzasse le capacità di conduzione integrata dell’UE;
· lamenta una forte carenza nelle capacità di risposta rapida delle forze europee. La relazione chiama in causa direttamente i gruppi tattici europei, i cosiddetti Battlegroups, unità militari multinazionali di circa 1500 uomini, pronte al dispiegamento in ogni momento grazie ad un sistema di rotazione delle truppe. Nonostante siano pienamente operativi già dal 2007, questi battaglioni non sono stati mai utilizzati. Si propone di avviare una riflessione su procedure semplificate per l’impiego dei gruppi tattici europei per periodi di tempo limitato e si chiede di avviare una revisione del meccanismo Athena, che regola il finanziamento dei costi comuni necessari per l'attuazione delle operazioni dell'Unione europea con implicazioni nel settore militare o della difesa, prevedendo un ampliamento della tipologia dei costi da considerare comuni. La relazione sottolinea come i gruppi tattici restino una risorsa limitata nelle dimensioni e nella sostenibilità, ben lontana dunque da uno strumento di intervento a carattere universale previsto dagli obiettivi di Helsinki del 1999 di creare una forza di 60 mila uomini dispiegabile in 60 giorni, obiettivo del tutto fuori portata dalle attuali capacità europee;
· auspica una cooperazione più strutturata per eliminare i punti deboli delle attuali capacità europee nell’ambito delle missioni ISR (intelligence, sorveglianza e ricognizione), come ad esempio il rifornimento in volo, assistenza medica, trasporto strategico, nonché la condivisone delle spese più onerose (capacità spaziali, un sistema unico di pilotaggio a distanza MALE, ossia a media altitudine e lunga percorrenza);
· invita ad un ruolo più attivo della Agenzia della difesa europea nel promuovere lo sviluppo da parte dei sistemi di difesa nazionale di capacità integrate e coordinate;
· sottolinea l’importanza strategica della industria della difesa europea e rileva con preoccupazione la crescente dipendenza da tecnologie non europee che potrebbero minare l’autonomia europea. Si deplora la riduzione degli stanziamenti previsti dai bilanci nazionali e favore della ricerca nel settore della difesa e la loro frammentazione su base nazionale;
· per quanto riguarda rapporti UE-NATO si evidenza come quest’ultima fornisca ottimi esempi di standardizzazione e cooperazione e che la NATO e le forze militari UE sono complementari e si rafforzano a vicenda; è fondamentale, quindi, che esista una forte sinergia attraverso un dialogo strategico volto ad esaminare gli sforzi operativi e a concordare gli obiettivi strategici e che l’UE sviluppi capacità proprie che siano pienamente interoperabili con l’organizzazione atlantica.
In occasione della stessa riunione, la Commissione affari esteri del Parlamento europeo ha approvato anche la relazione sulla dimensione marittima per la PSDC. La relazione, in particolare, pur riconoscendo gli sforzi sinora compiuti, principalmente nel Golfo di Aden e con la creazione di un centro operativo a Bruxelles, evidenzia una serie di aspetti a cui la PSDC non dedica la necessaria attenzione, come ad esempio la sicurezza delle rotte commerciali, il trasporto di merci illegali, l’immigrazione, la protezione ambientale.
Il Governo italiano ha presentato a marzo 2013 ai partner europei, in sede di Consiglio dell’UE, proposte sulla difesa europea in vista del Consiglio europeo del dicembre 2013, sotto forma di un non paper intitolato “More Europe”.
Nel documento si indica le necessità di gettare le basi per una rinnovata comunità transatlantica di sicurezza sulla base di una più forte presenza europea sia per quanti riguarda le capacità che per quanto riguarda l’impegno politico, che non sia sostitutiva della NATO, ma che anzi rinforzi la operazione euro-atlantica. Senza una reale ed efficace coordinazione delle pianificazioni di difesa nazionali gli Stati europei sono destinati a perdere la capacità di garantire la propria sicurezza. Gli Stati membri devono dunque superare le riserve nazionali ed essere pronti a concordare un certo livello di reciproca interdipendenza. Tale cooperazione si rende necessaria sia per motivi di bilancio (diminuzione delle risorse finanziarie disponibili) sia per motivi strategici e geopolitici (sfide alla sicurezza con carattere ormai globale). Una PSDC più forte ed efficiente è considerata come il prerequisito per condividere una maggior parte delle sfide globali con i partner ed alleati dell’Europa.
Il non paper indica, in particolare la necessità di sviluppare un confronto in sede europea sui seguenti argomenti:
· superamento della distinzione tradizionale tra dimensione interna ed esterna della sicurezza attraverso un approccio alle sfide globali di “diplomazia preventiva”. A tal fine si propone di esplorare la possibilità di una interpretazione più ampia delle disposizioni relative alla clausola di solidarietà (art. 222 del Trattato sul funzionamento dell’UE), che la lettera del Trattato limiterebbe ad eventi all’interno del territorio dell’UE, in cui la territorialità strettamente europea non sarebbe più una precondizione per la sua applicazione;
· integrazione e coordinamento della pianificazione delle operazioni militari e delle missioni civili, riorganizzando le strutture e le procedure per lo sviluppo di missioni con maggiore integrazione degli aspetti strategici militari e civili;
· definizione di nuovo processo di pianificazione delle difesa europea, con il quale preservare le complessive capacità europee attraverso una migliore allocazione e coordinazione delle risorse disponibili. A tal fine, il piano europeo di sviluppo delle capacità dovrebbe: funzionare automaticamente sulla base di un ciclo predefinito; essere sincronizzato con il processo di pianificazione della difesa in ambito NATO; essere capace di orientare i processi di sviluppo delle capacità nazionali; assicurare che il contributo di forze e capacità di ciascuno Stato sia consistente con il suo effettivo potenziale, al fine di un miglior equilibrio nella condivisione degli sforzi;
· sviluppo maggiore di forze multinazionali, al fine non solo di condividere i costi, ma anche di promuovere una maggiore integrazione tecnica ed operativa. A tal fine occorre una discussione su un incremento dell’utilizzo e della flessibilità dei battaglioni tattici (battlegroups);
· creazione di un vero mercato unico delle difesa europea, rafforzando altresì la base industriale e tecnologica della difesa europea. A tal fine occorre incoraggiare la cooperazione industriale, aumentare la concorrenza, in particolare a vantaggio delle piccole e medie imprese. Occorrerebbe valutare la possibilità di estendere il ricorso a strumenti finanziari innovativi come i project bonds anche per il finanziamento della industria e della ricerca tecnologica nel settore della difesa;
· promuovere una rete di formazione militare europea, con un maggior ruolo del College per la sicurezza e la difesa europea, promuovendo una maggiore integrazione dei processi di formazione militare e lo sviluppo di un curriculum comune.
Successivamente Italia, Lituania, Polonia e Paesi Bassi hanno presentato nell’aprile 2013 un documento di riflessione sul rafforzamento della collaborazione UE-NATO, che auspica una più stretta collaborazione UE-NATO e propone di:
· dare più regolarità ai contatti e al dialogo fra le due Organizzazioni, allargando lo spettro delle tematiche discusse;
· rafforzare i meccanismi di cooperazione come l’UE-NATO Capability Group e istituire un comitato congiunto per la gestione delle crisi;
· lavorare allo sviluppo di capacità militari condivise, ad esempio armonizzando l’European Capability Development Plan con il NATO Defence Planning Process. E’ importante assicurare che nello sviluppo di capacità nelle due Organizzazioni si evitino duplicazioni;
· migliorare la reazione alle crisi e lo scambio di informazioni;
· ampliare l’interazione civile-militare nei teatri di crisi;
· estendere la cooperazione a nuovi settori, come la sicurezza energetica e le minacce cibernetiche.
Negli ultimi mesi il Segretario generale della NATO, Rasmussen, ha ribadito in più occasioni la necessità del rafforzamento della difesa europea, della complementarietà degli sforzi NATO ed UE e l’opportunità di bilanciare con un crescente impegno degli Alleati continentali il nuovo orientamento militare americano verso i quadranti asiatico e pacifico.
Fluttuazione della spesa per la difesa a livello regionale, espressa in %, 2011-2012
Previsioni di spesa per attività di ricerca e sviluppo nel settore della difesa (FR, D, UK vs BRIC)
Imprese europee operanti nel settore della difesa che occupano i posti più alti della top-100 a livello mondiale
Spese per la difesa di Stati membri della NATO (in % del PIL)
Personale militare e civile, 2006-2010
Destinazione dell’export
dell’Ue nel settore della difesa (dati al 2011)
Maggiori 5 Stati esportatori di armi nel periodo 2007-2012 (dati in milioni di dollari)
![]() |
Maggiori 5 Stati importatori di armi nel
periodo 2007-2012 (dati in milioni di dollari)
Il tema della Politica europea di vicinato (PEV) è tra quelli al centro dell’attenzione della Commissione Affari esteri già dai primi mesi della XVII legislatura.
All’esame, infatti, della comunicazione congiunta della Commissione europea e dell’Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza – Politica europea di vicinato: contribuire a un partenariato più forte (JOIN(2013) 4 final) rilasciata a Bruxelles il 20 marzo 2013, sono state dedicate le sedute della Commissione dell’11 e 18 giugno e quella, finale, del 16 luglio 2013.
Si rammenta che la comunicazione, presentata congiuntamente dall’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza e dalla Commissione europea, fa parte dell’annuale pacchetto sulla politica di vicinato insieme a due relazioni sui progressi a livello regionale - una per il vicinato orientale e una per il vicinato meridionale-, un allegato statistico e report sui singoli paesi interessati.
La comunicazione all’esame della Commissione Affari esteri, in particolare, propone il riepilogo dei progressi compiuti nel corso del 2012 dai paesi partner del vicinato meridionale (Algeria, Autorità Palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco e Tunisia) e da quelli del vicinato orientale (Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldova ed Ucraina) nel raggiungimento degli obiettivi di riforma concordati.
Nel corso dell’esame in Commissione (seduta dell’11 giugno 2013) è stato ribadito che gli obiettivi della PEV (adottata nel 2003) dopo l’aggiornamento del 2011 prevedono la costruzione di una democrazia solida e il sostegno ad una crescita economica inclusiva e sostenibile. La revisione della Politica europea di vicinato era intervenuta – si è rammentato nel dibattito - dopo che gli eventi occorsi in alcuni paesi della sponda sud del Mediterraneo avevano evidenziato la necessità di un approccio più attento alle aspirazioni delle popolazioni locali e al rispetto dei diritti umani e più flessibile in relazione all’evoluzione del quadro nei paesi partner.
Tale approccio ha portato all’introduzione del principio del «more for more», che parametra l’incremento degli aiuti ai progressi compiuti sulla strada delle riforme. Gli assi portanti della nuova PEV sono, pertanto, l'associazione politica e l'integrazione economica per un partenariato rafforzato con la società civile fondato su interessi e valori comuni rappresentati da democrazia, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani e coesione sociale.
Nel dibattito si è preso atto che nella comunicazione, pur sottolineando la differenziazione del processo evolutivo di ciascun paese, viene riconosciuta la carenza delle politiche poste in essere e la limitatezza dei risultati ottenuti in entrambi i contesti geografici di riferimento.
In particolare, con riferimento al vicinato meridionale, è stato evidenziato che la complessità della transizione democratica nei paesi del Nord Africa si riverbera nella lentezza ed in un andamento non sempre lineare del processo (come nei casi di Libia, Tunisia ed Egitto) mentre permangono in attesa di riscontro la maggior parte delle raccomandazioni principali rivolte alle parti nel conflitto israelo-palestinese.
Se poi le scadenze elettorali hanno fatto registrare generali miglioramenti in termini di regolarità formale, sussistono tuttavia ancora molte preoccupazioni su aspetti quali la libertà di riunione e di associazione nonché sull'indipendenza della magistratura e dei mezzi di comunicazione.
Tra i temi di criticità in tale ambito geografico è stata evidenziato il permanere della discriminazione culturale e sociale delle donne, nonostante la loro attiva partecipazione ai movimenti di protesta della cosiddetta «primavera araba», nonché il persistere di un elevato tasso di disoccupazione giovanile.
Quanto all’obiettivo PEV dello sviluppo economico e sociale sostenibile, è stato rilevato che al netto di alcune eccezioni (Georgia e Azerbaigian), la ripresa economica è rallentata, sia a causa della situazione di crisi mondiale, sia a causa i conflitti interni che influenzano negativamente le prospettive di ripresa, atteso che assenza di riforme e non rafforzamento dello Stato di diritto rappresentano anch’esse un ostacolo alla crescita economica. E’ stato altresì rammentato che l’UE resta il principale partner commerciale per quasi tutti i Paesi del vicinato; con riferimento alla politica delle imprese, l’obiettivo principale è l'attuazione dello Small Business Act, un quadro normativo di politica imprenditoriale favorevole alle PMI.
Positivo il quadro della circolazione delle persone tra l'UE ed i Paesi partner, che ha denotato continui miglioramenti in particolare con riferimento ai programmi volti a promuovere la mobilità di studenti, ricercatori e giovani.
Quanto ai finanziamenti alla PEV nel dibattito è stato evidenziato che lo strumento finanziario per il vicinato e partenariato (denominato ENPI) è stato incrementato di 1 miliardo di euro per il periodo 2011-2013, da dividere tra i partner del vicinato meridionale ed orientale e da fornire sulla base del principio “more for more”, incremento che ha portato il totale del finanziamento a 6,5 miliardi di euro. Inoltre, nelle proposte di bilancio 2014-2020 la Commissione aveva raccomandato di allocare 18,1 miliardi di euro con un incremento pari a quasi il 40%; tuttavia l'accordo raggiunto in sede di Consiglio europeo a febbraio ha disposto un drastico taglio agli stanziamenti per la politica estera che fa presumere un sostanziale ridimensionamento di tale importo.
E’ stato altresì rammentato che la Banca europea per gli investimenti (BEI) ha portato da 4 a 5 miliardi di euro i contributi per la regione mediterranea e che la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) ha esteso la propria copertura geografica al vicinato meridionale fornendo annualmente 2,5 miliardi di euro agli investitori del settore privato e pubblico per sostenere l’espansione degli affari e il finanziamento delle infrastrutture. Si è fatto riferimento, altresì, all'istituzione di un Fondo società civile con un budget di 22 milioni di euro annui rivolto ad attori non statali ed all’imminente piena operatività del Fondo europeo per la democrazia che permetterà di finanziare l'attività di giornalisti, ONG, movimenti politici, bloggers anche in esilio.
Il rafforzamento della componente politica di entrambi i partenariati è stato operato – si è sottolineato nel dibattito – sul lato del Partenariato orientale attraverso l'introduzione dei cosiddetti dialoghi informali, in cui l'Alto rappresentante ed il Commissario responsabile di politica di vicinato incontrano i ministri degli esteri dei sei Paesi partner e su quello dei Paesi del Mediterraneo meridionale, grazie all'azione del Rappresentante speciale dell'Unione europea (lo spagnolo Bernardino Leon) ed alla creazione di task force per Tunisia, Giordania ed Egitto.
La dimensione regionale del Partenariato orientale, è stato rilevato, avrà un importante appuntamento nel prossimo mese di novembre con il vertice previsto a Vilnius.
Il dibattito ha evidenziato che la PEV - esempio di approccio alla politica estera che si avvale di tutti gli strumenti e di tutte le politiche comunitarie, combinando l'associazione politica a lungo termine con la cooperazione finanziaria e commerciale, ma anche con strategie e misure a breve termine rappresentate dagli strumenti della PESC-PSDC - funziona soltanto in sinergia con volontà di riforma e ruolo attivo della società; valori, modelli di governo o interventi riformatori non attecchiscono, infatti, se imposti dall'esterno ma solo se fatti propri dai cittadini. In tale ottica, si è segnalata l’opportunità di rafforzare il ruolo dei Parlamenti e promuovere la cooperazione interparlamentare e, soprattutto, il ruolo della società civile.
Nel corso della seduta del 18 giugno 2013 è stata rappresentata l’esigenza,affinché che il principio del more for more non si trasformi in un automatismo, che venga prestata particolare cura alla verifica che progressi compiuti dai Paesi del vicinato nel consolidamento dei diritti, delle libertà e delle istituzioni democratiche siano progressi strutturali e non solo di facciata e formali.
Con riferimento all’obiettivo PEV di incrementare la mobilità delle persone nei territori dell'Unione europea e dei Paesi Partner, è stata segnalata criticità del programma Frontex, “che si pone in contrasto proprio con l'obiettivo dell'incremento della mobilità all'interno dell'Unione europea”. E’ stato altresì discusso il tema dell’influenza della Turchia nelle vicende di paesi partner orientali nonché la necessità del rilancio da parte dell’UE di una visione euro-mediterranea della propria politica estera e di vicinato capace di superare l’impasse dell’esperienza dell’Unione per il Mediterraneo.
Nella seduta del 16 luglio 2013 la Commissione esteri ha approvato un documento finale, che tiene conto anche del parere reso sulla Comunicazione congiunta dalla Commissione XIV (Politiche dell’Unione europea) nel quale, valutata favorevolmente la Comunicazione «Politica europea di vicinato: contribuire ad un partenariato più forte», presentata il 20 marzo 2013 dall'Alto rappresentante e dalla Commissione europea, si impegna il Governo:
Stante il difficile avvio della XVII legislatura, un primo dibattito sulle materie della PESC e della PSDC si è svolto il 15 maggio 2013, in occasione delle distinte audizioni del Ministro degli Affari esteri, Emma Bonino, e del Ministro della difesa, Mario Mauro, rispettivamente presso le Commissioni esteri e le Commissioni difesa riunite dei due rami del Parlamento, in ordine alle linee programmatiche dei loro Dicasteri .
Il Ministro Bonino, in particolare, ha inquadrato le questioni afferenti politica di difesa comune europea nell'ambito delle sinergie che, mediante la condivisione di alcune politiche, è del tutto ragionevole possano garantire migliori risultati e risparmi sul piano finanziario ai vari paesi dell'Europa.
In tal senso il Ministro ha fatto riferimento al Consiglio europeo del prossimo dicembre, nel quale appunto si dovrà discutere approfonditamente di una politica di difesa comune, per attenuare almeno le diseconomie che comporta l'esistenza di 27 eserciti nazionali, con circa 250 miliardi di euro annui di spese militari, ma con un'efficacia tutta da provare.
A maggior ragione, il tema della difesa comune europea assume per l’Italia peculiare rilevanza in ragione della Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, prevista per il secondo semestre del 2014, subito dopo l'elezione del nuovo Parlamento europeo, la nomina della nuova Commissione e la designazione del Presidente del Consiglio europeo, dunque in un momento strategicamente assai peculiare.
Il Ministro, accennando alle politiche verso l’esterno dell'Unione europea, ha posto particolare enfasi sull'efficacia, quali fattori di crescita e di stabilizzazione, delle politiche di allargamento dell'Unione, che prossimamente dovranno riguardare i paesi dei Balcani occidentali ed in prospettiva anche la Turchia.
Il Ministro della difesa, Mario Mauro, ha ribadito che la PSDC dell’UE è uno dei pilastri dell’UE che deve crescere in contenuti e credibilità e che la dimensione politica del progetto europeo passa attraverso lo sviluppo di una politica estere e di difesa. Ha altresì sottolineato l’esigenza di fornire alla difesa europea più capacità operative. Il Ministro ha richiamato la necessità di favorire una integrazione a livello europeo dell’industria della difesa italiana, assicurandone la competitività su scala continentale.
Particolare rilievo, sempre, in tema di PSDC, ha assunto l’approvazione mozione presentata dalle forze di maggioranza (onn. Speranza, Brunetta, Dellai, Pisicchio e Formisano) n. 1/00125 circa la partecipazione italiana al programma di realizzazione dell'aereo Joint Strike Fighter-F35: l’atto d’indirizzo, adottato dalla Camera il 26 giugno 2013 dopo un articolato dibattito, che impegna il Governo a dare impulso, a partire dal Consiglio europeo di dicembre, a concrete iniziative per la crescita della dimensione di Difesa comune europea in una prospettiva di condivisa razionalizzazione della spesa; al pieno rispetto di quanto previsto dall'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244, allo scopo di garantire al Parlamento di esercitare le proprie prerogative; in particolare, relativamente al programma F35, a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito, ai sensi della legge di delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia (legge n. 244 del 2012)[9].
Il 23 luglio 2013, nell'ambito dell'indagine conoscitiva della Commissione difesa della Camera sui sistemi d'arma destinati alla difesa in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013, il Ministro della difesa Mario Mauro si è ampiamente riferito alla politica europea di difesa comune, ricordando anzitutto la rilevanza del Trattato di Lisbona: tale Trattato ha introdotto importanti novità proprio in tema di politica estera e di sicurezza dell'Europa, che è rimasta sì una materia intergovernativa (con il protagonismo del Consiglio dei Ministri), ma ha visto cionondimeno importanti innovazioni, quali la possibilità di creare una cooperazione strutturata permanente in materia di difesa tra gli Stati membri in grado di fare ciò.
Il Trattato provvede altresì inoltre ad istituzionalizzare l'Agenzia europea per la difesa, con l'incarico di individuare le esigenze operative ed eventualmente di mettere in atto misure utili a rafforzare la base industriale e tecnologica nel settore della difesa, partecipando altresì alla definizione della politica europea degli armamenti anche in funzione di assistenza al Consiglio dei ministri UE. È stata altresì prevista la creazione di una clausola di solidarietà tra gli Stati membri in caso di attacco terroristico, di catastrofe naturale o causata dall'Uomo. È stata infine prevista una clausola di aiuto e assistenza in caso di aggressione armata.
Il Ministro ha poi tratteggiato i caratteri della via europea alla gestione delle crisi internazionali, un modello di gestione della conflittualità di tipo multidisciplinare (Comprehensive Approach), con strumenti civili e militari operativi in sinergia.
Tra i compiti della componente militare può prevedersi anche l'uso della forza per il ristabilimento della legalità e della pace internazionale. Conseguentemente, le componenti militari che i paesi membri devono mettere a disposizione dell'Unione dovranno in primo luogo essere prontamente impiegabili, dispiegabili in tempi ragionevoli anche in teatri geograficamente lontani dai confini europei, sostenibili nella loro operatività anche per periodi prolungati, possedere un elevato livello di interoperabilità - in tal senso proprio il Trattato di Lisbona indica con chiarezza alcune formazioni militari multinazionali permanenti come primo pilastro per giungere a una vera e propria difesa comune europea.
Il 25 luglio 2013 il Governo, nella persona del sottosegretario alla difesa Gioacchino Alfano, è intervenuto nell'ambito di interrogazioni a risposta immediata presso la Commissione Difesa della Camera, in particolare in riferimento all'interrogazione 5-00730 dell'on. Ottobre sull'istituzione di un esercito europeo.
Il Sottosegretario ha ricordato il processo di riduzione delle spese militari in atto in tutti i paesi europei sotto la spinta della grave crisi finanziaria che essi attraversano, tagli che sembrano dirigersi prevalentemente sulle capacità militari più costose ma proprio perciò di più alta valenza operativa. Tutto ciò rende necessaria un’assai maggiore concertazione tra i paesi europei per una giusta allocazione delle risorse sempre più scarse, nel contesto però di un’accelerazione dei meccanismi di difesa comune europea.
In tal senso il Sottosegretario ha indicato uno snodo essenziale nel Consiglio europeo sulla difesa - programmato per il prossimo mese di dicembre 2013 - dal quale dovranno uscire due acquisizioni fondamentali, ovvero la riaffermazione dell'importanza capitale della difesa per le istituzioni europee, e l'avvio di una nuova fase di progettualità in questo settore.
Mediante ciò l'Europa dovrebbe poter conseguire una maggiore tutela dei propri interessi globali, e anche un riequilibrio dei rapporti con gli Stati Uniti d'America quale precondizione per rinsaldare le relazioni transatlantiche. L'Europa potrebbe conseguire anche importanti obiettivi di rilancio economico e tecnologico per l'elevata valenza in tal senso che comportano gli investimenti nel campo della difesa.
Il Ministro della Difesa è tornato su temi analoghi nell’audizione nell'ambito di un'altra indagine conoscitiva, quella che le Commissioni riunite Affari esteri, Difesa e Politiche dell'Unione europea del Senato stanno conducendo sulle linee programmatiche e di indirizzo italiane in relazione al prossimo Consiglio europeo sulla difesa che avrà luogo nel mese di dicembre 2013.
Nella seduta del 31 luglio 2013 il Ministro Mauro ha inquadrato il proprio intervento nella triplice esigenza dell'Europa di riuscire a darsi una sviluppo istituzionale che superi le indecisioni emerse in ordine alla crisi finanziaria internazionale, di stabilire con chiarezza i rapporti con la NATO, nonchè i contorni del modello di difesa europeo.
Il Ministro ha osservato che prioritaria ad una completa integrazione delle forze armate europee è la convergenza delle politiche nazionali di difesa verso un modello comune: in particolare, visto che la crisi finanziaria in atto obbliga tutti paesi ad operare tagli ai bilanci della difesa, è essenziale evitare che i tagli colpiscano ovunque gli stessi settori. L'obiettivo tendenziale deve essere quello dell'equilibrio standard definito a livello europeo, in base al quale la spesa militare deve ripartirsi per metà circa al personale e per la parte restante in un’equa suddivisione tra spese di esercizio spese di investimento.
Per quanto concerne i rapporti con la NATO, essi rimangono ovviamente fondamentali, ma appare necessario un riequilibrio nell'assunzione di responsabilità militari da parte dell'Europa, il cui apporto non può limitarsi a un successivo intervento sul mero piano umanitario ed economico: in tal senso il Ministro ha riportato anche l'opinione espressa dal Segretario generale della NATO Rasmussen il 6 maggio 2013 davanti alle Commissioni affari esteri e sicurezza e difesa del Parlamento europeo.
Infine il Ministro, constatando previa fornitura di una serie di dati come l'Europa non sia affatto riuscita fino a questo punto a operare un'effettiva convergenza dei paesi membri verso politiche almeno coordinate in tema di difesa, ha anticipato la posizione dell'Italia nel prossimo Consiglio europeo di dicembre, in favore dell'approvazione di un’integrazione delle decisioni sulla pianificazione delle rispettive capacità militari e di conseguenza di una più marcata integrazione anche nei programmi di investimento dei vari paesi. Il Ministro ha infine ricordato che la necessaria forte accelerazione del percorso di integrazione in tema di difesa europea vede nel nostro Paese un attore fondamentale anche in ragione della Presidenza italiana del Consiglio dei ministri della UE nel secondo semestre del 2014.
Infine, il Ministro della difesa è tornato a riferire alla Camera sugli orientamenti del Governo in vista del Consiglio europeo sulla difesa di dicembre 2013, rispondendo il 7 agosto 2013 ad interrogazioni a risposta immediata in Assemblea, in particolare all'interrogazione 3-00265 del presidente Vito e dell’on. Cicu.
Il Ministro ha fatto esplicito riferimento all’audizione sopra ricordata del 31 luglio, aggiornando il Parlamento sulle modalità con cui il Governo italiano si muove in vista del Consiglio europeo di dicembre: in tal senso il Ministero della Difesa si coordina con la Presidenza del Consiglio dei ministri e con il Ministero degli Esteri, mentre sul piano internazionale il ministro Mauro ha riferito di aver avuto approfonditi colloqui con i colleghi di Germania, Francia, Regno Unito e Spagna, nonché con il Presidente della Commissione Barroso e con il Commissario UE al mercato interno e ai servizi Barnier.
L'obiettivo dell'Italia naturalmente è quello di ottenere l'accoglimento della maggior parte delle istanze nazionali nei documenti predisposti dalle Istituzioni europee. In tal senso il percorso verso il Consiglio europeo prevedde riunioni formali e informali dei Ministri della difesa e degli esteri per la messa a punto dei documenti pertinenti.
Tra gli auspici dell'Italia per il Consiglio europeo di dicembre vi è che da esso emerga la possibilità di un aggiornamento nella Strategia di sicurezza europea del 2003, l'approvazione di una campagna di sensibilizzazione sulla difesa a livello europeo, lo sviluppo della formazione e dell'addestramento militare congiunti, la trasformazione dei raggruppamenti tattici in una vera forza europea di intervento rapido. Speciale importanza avrebbe poi le creazione di capacità militari comuni europee in settori ad alta tecnologia quali quello degli aerei senza pilota e quello spaziale.
RULES OF PROCEDURE OF THE INTER-PARLIAMENTARY CONFERENCE
FOR THE COMMON FOREIGN AND SECURITY POLICY AND THE COMMON SECURITY AND DEFENCE POLICY
PREAMBLE
The Inter-Parliamentary Conference for the Common Foreign and Security Policy (CFSP) and the Common Security and Defence Policy (CSDP), hereinafter referred to as the “Inter-Parliamentary Conference”,
Croatia (The Croatian Parliament) |
Amendments to Preamble - Paragraph 1:
The Inter-Parliamentary Conference for the Common Foreign and Security
Policy (CFSP) and the Common Security and Defence Policy (CSDP), hereinafter
referred to as the
Reasoning of proposal: The Croatian delegation proposes the replacement of the abbreviation “Inter-Parliamentary Conference” with the abbreviation “COFDAC” throughout the entire text. |
In accordance with to Protocol 1 of the Lisbon Treaty on the role of national parliaments in the European Union,
In accordance with the decisions of the Conference of Speakers of the European Union (EU) Parliaments, at its meetings in Brussels, on 4-5 April 2011 and in Warsaw, on 20-21 April 2012, establishing an Inter-Parliamentary Conference for the Common Foreign and Security Policy (CFSP) and the Common Security and Defence Policy (CSDP),
Endorsing the recommendations of the Conference of Speakers meeting in Warsaw in April 2012 that the Conference of Speakers should conduct a review of arrangements for the Inter-Parliamentary Conference two years after its first meeting,
The Inter-Parliamentary Conference is established in the spirit of the strengthened role of national Parliaments of the EU Member States, hereinafter referred to as “national Parliaments” and the European Parliament, by virtue of the Treaty of Lisbon, more particularly in the context of interparliamentary cooperation, as per Protocol (1) on the Role of National Parliaments in the EU.
The Inter-Parliamentary Conference is part of the activities of the parliamentary dimension of the Presidency of the Council of the EU, undertaken by the national Parliament of the EU Member State holding the Presidency of the Council of the EU, hereinafter referred to as the “Presidency Parliament” and the “Presidency Member State”, respectively.
Adopted the present rules of procedure at its first meeting, in Cyprus, on 9-10 September 2012.
ARTICLE 1 – AIMS
1.1. The Inter-Parliamentary Conference shall provide a framework for the exchange of information and best practices in the area of CFSP and CSDP, to enable national Parliaments and the European Parliament to be fully informed when carrying out their respective roles in this policy area.
1.2. The Inter-Parliamentary Conference shall debate matters of Common Foreign and Security Policy, including Common Security and Defence Policy.
1.3 The Inter-Parliamentary Conference shall replace the Conference of Foreign Affairs Committee Chairpersons (COFACC) and the Conference of Defence Affairs Committee Chairpersons (CODACC).Taking into account these matters dealt with by the Conference, Parliaments shall freely and autonomously decide on the composition of their delegations.
1.4 The Inter-Parliamentary Conference may in accordance with the procedures laid down in article 7. adopt conclusions on matters related to the CFSP and CSDP of the EU. The conclusions do not bind national Parliaments or the European Parliament or prejudge their positions.
The United Kingdom (The House of Lords and The House of Commons) |
Amendments to the Article 1, reasoning and aim of proposal:
More generally, we would like to emphasise our belief that the purpose of the AHRC and its recommendations should be to provide suggestion on how the effective functioning of the Conference should be improved. In particular, consideration may be given to how the size of the Conference impacts upon debate and the general efficiency of the Conference, and the process by which the formal Conclusion of the conference are formulated and agreed. On the latter point, some of the UK delegates to the Dublin meeting were concerned they were not given sufficient opportunity to consider the draft Conclusion. Finally, the AHRC should not look to expand the remit or role of the Conference beyond the principles and framework agreed by Speakers, which were reached after some difficulty at the EU Speakers’ Conferences in Warsaw on 20-21 April 2012 and Brussels in 4-5 April 2011. |
ARTICLE 2. – COMPOSITION
2.1. Members
a) The Inter-Parliamentary Conference is composed of delegations of the national Parliaments of the EU Members States and the European Parliament. National Parliaments are represented by six (6) Members of Parliament each. In case of a national Parliament consisting of two Chambers, the number of Members of its delegations shall be allocated according to their internal agreement.
Germany (The German Bundestag) |
Amendments to Article 2 - 2.1., a), reasoning and aim of proposal:
The German delegation proposes that the number of members from each parliament could be based, perhaps proportionally, on the distribution formula used for the Parliamentary Assembly of the Council of Europe. See Annex. |
b) The European Parliament shall be represented by sixteen (16) Members of the European Parliament.
The Netherlands (The House of Representatives and The Senate) |
Amendments to Article 2 – 2.1., reasoning and aim of proposal:
For budgetary and practical reasons, the delegations should be restricted to six delegates of each national parliament and to sixteen delegates of the European Parliament (at maximum). |
2.2. Observers
a) National Parliaments of an EU candidate country and each of the European member country of NATO, excluding those covered by article 2.1., can be represented by a delegation of four (4) observers each.
2.3. The High Representative, special guests and specialists
a) The High Representative for Foreign Affairs and Security Policy of the European Union shall be invited to the meetings of the Inter-Parliamentary Conference to set out the priorities and strategies of the EU in the area of CFSP and CSDP.
Spain (The Cortes Generales) |
Amendments to Article 2 – 2.3., a):
a) The High
Representative for Foreign Affairs and Security Policy of the European Union
shall discuss and set out, in the framework of the Inter-Parliamentary
conference, |
Germany (The German Bundestag) |
Amendments to Article 2 – 2.3.,a):
2.3. The High Representative, special guests and specialists a) The High Representative for Foreign Affairs and Security Policy of the European Union shall be invited to the meetings of the Inter-Parliamentary Conference to set out the priorities and strategies of the EU in the area of CFSP and CSDP. A written statement should be communicated in advance by the High Representative. |
Croatia (The Croatian Parliament)
|
Amendments to Article 2 - 2.3.,a):
2.3. The High Representative, special guests and specialists a) The High Representative for Foreign Affairs and Security Policy of the European Union shall be invited to the meetings of the Inter-Parliamentary Conference to set out the priorities and strategies of the EU in the area of CFSP and CSDP. A written statement or report should be communicated in advance by the High Representative. |
b)*
Spain (The Cortes Generales) |
Supplementing the text with Article 2 - 2.3., b):
b) To that effect, the High Representative shall submit to the conference in advance a statement in review. On an annual basis, the High Representative shall prepare a report related to the conclusions and recommendations agreed by the Inter-Parliamentary conference. That report may be review every six months. |
Croatia (The Croatian Parliament) |
Supplementing the text with Article 2 - 2.3., b):
b) The Presidency Parliament may invite, in close cooperation with the national Parliaments and the European Parliament, special guests and specialists to address the meetings on matters relating to the agenda of the Inter-Parliamentary Conference |
2.4. Public access to meetings
Meetings of the Inter-Parliamentary Conference shall be public, unless otherwise determined.
ARTICLE 3. ROLE OF THE PRESIDENCY AND ORGANISATION
3.1. The Inter-Parliamentary Conference shall convene once every six months in the country of the Presidency Parliament or in the European Parliament in Brussels. The Presidency shall decide on the matter. Extraordinary meetings shall be held when deemed necessary or urgent.
3.2. The Inter-Parliamentary Conference shall be presided over by the Presidency Parliament, in close cooperation with the European Parliament.
3.3. At the beginning of each session, the Presidency Parliament shall set the timetable for the session, the order of interventions and the length of speeches which, in any case, may not exceed three (3) minutes each.
The Netherlands (The House of Representatives and The Senate) |
Amendments to Article 3, reasoning and aim of proposal: On a practical level, the communication and cooperation between conference delegations can be improved by setting up an e-mail group list for delegates (i.e. Heads of Delegation) and their clerks, in addition to the network of parliaments’ permanent representatives in Brussels. |
The Netherlands (The House of Representatives and The Senate) |
Amendments to Article 3, reasoning and aim of proposal: The effectiveness of the conference and the interaction between the delegates can be improved by organising a number of (small group) topical debates, working groups, breakout sessions, presentations, side events et cetera instead of or next to the plenary meeting. |
The United Kingdom (The House of Lords and The House of Commons) |
Amendments to Article 3, reasoning and aim of proposal: One change which we would suggest is the use of concurrent “break-out” session, in addition to the plenary sessions, where interested groups could assemble in smaller numbers to address specific issues of a more strategic nature. We know from our informal discussion with you and your colleagues in Paphos that this is something you were already considering and we would certainly like to encourage it. |
The United Kingdom (The House of Lords and The House of Commons) |
Amendments to Article 3, reasoning and aim of proposal: Another improvement would be to shift the balance from lengthy presentation by the speakers to more time for questions and answers, which is the fundamental purpose of the meetings. It is also important to ensure that each chamber present is able to contribute during each debate should they wish. |
ARTICLE 4. POLITICAL GROUPS*
Germany (The German Bundestag) |
Supplementing the text with Article 4. POLITICAL GROUPS:
4. At least six (6) members from at least five (5) different delegations have the right to create a political group. |
The Netherlands (The House of Representatives and The Senate) |
Amendments, reasoning and aim of proposal: The Dutch parliament considers the CFSP/CSDP conference to be a formal platform consisting of delegations of the national parliaments in the EU and of the European Parliament. Political groups cannot have an official status or formal rights in the CFSP/CSDP conference (contrary to the practices in the European Parliament and in certain parliamentary assemblies). |
ARTICLE 4. DOCUMENTATION OF THE MEETINGS
4.1. Agenda
a) The agenda of each meeting shall include matters relating to CFSP and CSDP, in line with the scope and role of the Inter-Parliamentary Conference.
b) A draft agenda shall be communicated to all Parliaments no later than eight (8) weeks prior to each meeting.
Germany (The German Bundestag) |
Amendments to Article 4 - 4.1., b):
(b) A draft agenda shall be communicated to all Parliaments no later than eight (8) weeks prior to each meeting. The agenda must be approved by a majority prior to the start of the meeting. Motions to amend the agenda must be submitted by at least three (3) members from at least two (2) different delegations and substantiated prior to the adoption of the agenda; decisions on such amendments shall be made by majority. |
The Netherlands (The House of Representatives and The Senate) |
Amendments to Article 4 - 4.1., reasoning and aim of proposal:
It is recommended that all delegations are consulted about the programme of the next conference before the draft is conveyed. This practice will give all delegations the opportunity to actively suggest agenda topics. It will strengthen the commitment to the conference and will facilitate the preparations as well. |
4.2. Other documents
Prior to each meeting, delegations may send any documents relating to items of the agenda to the Secretariat of the Presidency Parliament. The Presidency Parliament may also draw up discussion documents for the Inter-Parliamentary Conference.
Germany (The German Bundestag) |
Amendments to Article 4 – 4.2: 4.2. Other documents
Prior to each meeting, delegations may send any documents relating to items of the agenda to the Secretariat of the Presidency Parliament. The Presidency Parliament may also draw up discussion documents for the Inter-Parliamentary Conference. Discussion papers may be added at the request of three (3) members, subject to a decision adopted by a simple majority. |
The Netherlands (The House of Representatives and The Senate) |
Amendments to Article 4 - 4.2, reasoning and aim of proposal: The continuity of the CFSP/CSDP conference is better served by a good transfer between the consecutive presidencies. It is suggested to publish a (public) transfer report prior to the conference, elaborating on the efforts that have been made by the preceding presidency and on the priorities of the succeeding one. |
The Netherlands (The House of Representatives and The Senate) |
Amendments to Article 4 - 4.2, reasoning and aim of proposal:
The impact of the contributions delivered by the CFSP/CSDP conference towards the European institutions and the High Representative can be increased by better monitoring of the implementation of the conference conclusions and the follow up on the statements and commitments by the High Representative to the conference. These matters can be addressed in the suggested bi-annual ‘transfer report’. |
ARTICLE 5. LANGUAGES
5.1. The working languages of the Inter-Parliamentary Conference shall be English and French. Simultaneous interpretation from and into these languages, as well as from and into the language of the Presidency Member State shall be provided by the host parliament.
5.2. Simultaneous interpretation into additional languages may be provided if technically possible and its costs will be borne by the relevant national delegation.
5.3. Documents of the Inter-Parliamentary Conference shall be communicated to national Parliaments and the European Parliament in English and French.
Germany (The German Bundestag) |
Amendments to Article 5, reasoning and aim of proposal:
The German delegation proposes that German is given a status in line with the fact that the IPC is a EU interparliamentary body (Oral Amendment presented 9/11/2012 by the Head of the German delegation) |
ARTICLE 6. THE SECRETARIAT
6.1. The Inter-Parliamentary Conference Secretariat shall be provided by the Presidency Parliament, in close cooperation with the European Parliament and with the previous and next Presidency Parliaments.
6.2. The Secretariat shall assist the Presidency Parliament in preparing the documents for each meeting and in communicating them to national Parliaments and the European Parliament.
The Netherlands (The House of Representatives and The Senate) |
Amendments to Article 6, reasoning and aim of proposal: In order to guarantee cost effectiveness and the involvement of all delegations to the conference, no permanent presidency or permanent secretariat or other form of institutionalisation should be established. |
ARTICLE 7. CONCLUSIONS
7.1. The Inter-Parliamentary Conference may by consensus adopt non-binding conclusions on CFSP and CSDP matters related to the agenda of the Inter-Parliamentary Conference.
Germany (The German Bundestag) |
Amendments to Article 7 – 7.1.:
7.1. The
Inter-Parliamentary Conference, acting by a three-quarters majority of
votes cast, may |
7.2. Draft conclusions of the Inter-Parliamentary Conference shall be drawn up by the Presidency Parliament in English and French and communicated to the delegations of national Parliaments and the European Parliament during the meeting in a reasonable time before their adoption for any amendments to be submitted and considered.
Lithuania (Seimas of the Republic of Lithuania) |
Amendments to Article 7 – 7.2.:
7.2. Draft
conclusions of the Inter-Parliamentary Conference shall be drawn up by the
Presidency Parliament in English and French and communicated to the
delegations of national Parliaments and the European Parliament |
7.3. Once the conclusions have been adopted, the Presidency Parliament shall communicate the final texts in English and French, each of these texts being equally authentic, to all delegations, to the Presidents of national Parliaments and of the European Parliament, to the Presidents of the European Council and the Commission and the High Representative for Foreign Affairs and Security Policy, for their information.
Germany (The German Bundestag) |
Supplementing the text with new Article 7 - 7.3.:
7.3. Voting rights shall be exercised individually. |
Germany (The German Bundestag) |
Amendments to Article 7 – 7.3.:
7.3. Once the conclusions have been adopted, the Presidency Parliament shall communicate the final texts in English and French, each of these texts being equally authentic, to all delegations, to the Presidents of national Parliaments and the European Parliament, to the Presidents of the European Council and the Commission and the High Representative for Foreign Affairs and Security Policy, for their information. The Presidency Parliament shall also communicate the final texts to the High Representative and to the Presidents of the Council and the Commission and ask them to deliver an opinion. |
ARTICLE 8. RULES OF PROCEDURE
8.1. Any national Parliament and the European Parliament may submit proposals to amend these Rules of Procedure. Amendments shall be submitted in writing to all national Parliaments and the European Parliament at least one month before meetings of the Inter-Parliamentary Conference.
8.2. Any amendments, which the delegations of national Parliaments and the European Parliament may propose to the Rules of Procedure, are subject to a decision by consensus, and must be in accordance with the framework set by the Conference of Speakers of the EU Parliaments.
Germany (The German Bundestag) |
Amendments to Article 8 – 8.2.:
8.2. Any
amendments, which the delegations of national Parliaments, political
groups and the European Parliament may propose to the Rules of Procedure,
are subject to a decision by consensus, |
ARTICLE 9. REVIEW OF THE FUNCTIONING OF THE CONFERENCE
9. The Inter-Parliamentary Conference may appoint an ad hoc review committee which would, eighteen (18) months from the first meeting of the Inter-Parliamentary Conference, evaluate the workings of the Inter-Parliamentary Conference and make recommendations thereon to be deliberated upon by the Conference of EU Speakers.
Cyprus (The House of Representatives) |
Amendments, reasoning and aim of proposal: Paragraphs 7, 8 and 9 of the Conclusions of the inaugural Meeting of the Interparliamentary Conference on the CFSP and CSDP held in Paphos, on 9-10 September 2012, stipulate that:
"7. [The Inter-Parliamentary Conference] is convinced that Parliaments have a crucial role in promoting democratic values and accountable systems of good governance and emphasizes, therefore, the need for an enhanced role of parliaments, particularly in supporting the democratic transitions in its Southern and Eastern Neighbourhood;
8. Takes the view that this requires, inter alia, enhanced monitoring of the democratic processes in the Union’s Southern and Eastern Neighbourhood and coordination, through joint initiatives and improved exchange of information, as well as parliamentary activities in support to these countries;
9. Requests the Presidency to develop proposals to this effect before the next Inter-Parliamentary Conference Meeting;"
In accordance with paragraph 9, the Cyprus House of Representatives suggests that a fact-finding mission be set up by the Inter-Parliamentary Conference to monitor the democratic processes in the Southern and Eastern Mediterranean Neighbourhood. For this purpose, the mission will pay visits to Arab Spring countries and report its findings to the Conference.
The mission can be composed of up to eight members to be decided upon by the Conference, through an open call. A coordinator can be decided from within the group. The composition can be renewed for each mission.
The duration of the mission’s mandate can extend until the next Conference and can be renewed.
The Secretariat can be ensured by the Parliament of which the Coordinator is a Member, acting in cooperation with the Presidency Troika and the European Parliament.
The cost of missions can be covered by participating Parliaments. |
*new article
Annex to Statement for the minutes on Article 2 - 2.1.
|
|
||
|
CoE PA votes |
multiplied by 2/3 |
rounded up; minimum 4 |
Austria |
6 |
4,00 |
4,00 |
Belgium |
7 |
4,67 |
5,00 |
Bulgaria |
6 |
4,00 |
4,00 |
Croatia |
5 |
3,33 |
4,00 |
Cyprus |
3 |
2,00 |
4,00 |
Czech Republic |
7 |
4,67 |
5,00 |
Denmark |
5 |
3,33 |
4,00 |
Estonia |
3 |
2,00 |
4,00 |
Finland |
5 |
3,33 |
4,00 |
France |
18 |
12,00 |
12,00 |
Germany |
18 |
12,00 |
12,00 |
Greece |
7 |
4,67 |
5,00 |
Hungary |
7 |
4,67 |
5,00 |
Ireland |
4 |
2,67 |
4,00 |
Italy |
18 |
12,00 |
12,00 |
Latvia |
3 |
2,00 |
4,00 |
Lithuania |
4 |
2,67 |
4,00 |
Luxembourg |
3 |
2,00 |
4,00 |
Malta |
3 |
2,00 |
4,00 |
Netherlands |
7 |
4,67 |
5,00 |
Poland |
12 |
8,00 |
8,00 |
Portugal |
7 |
4,67 |
5,00 |
Romania |
10 |
6,67 |
7,00 |
Slovakia |
5 |
3,33 |
4,00 |
Slovenia |
3 |
2,00 |
4,00 |
Spain |
12 |
8,00 |
8,00 |
Sweden |
6 |
4,00 |
4,00 |
United Kingdom |
18 |
12,00 |
12,00 |
|
212 |
141,33 |
161,00 |
European Parliament |
18 |
12,00 |
16,00 |
Total: |
230 |
153,33 |
177,00 |
[1] Si tratta di Islanda e Turchia in quanto candidati all’adesione e Norvegia e Albania, in quanto Paesi europei membri della NATO;
[2] Si segnalano: la Dichiarazione sui Diritti umani adottata al Consiglio europeo di Lussemburgo del 28 e 29 giugno 1991, la risoluzione su diritti umani, democrazia e sviluppo, adottata dal Consiglio il 28 novembre 1991; la Dichiarazione adottata dall’Unione il 10 dicembre 1998 in occasione del cinquantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.
[3] Il Comitato politico e di sicurezza (Cps) è l’organo ausiliario dell’AR in materia di politica di sicurezza e difesa. Gli incontri tra Cps e Consiglio Nord Atlantico si tengono a livello di ambasciatori.
[4] Il Prague Capabilities Commitment (Pcc) della Nato e lo European Capability Action Plan (Ecap) dell’UE.
[5] L'Unione Eurasiatica è un'ipotetica unione politica ed economica tra Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Tajikistan e altri paesi ex-sovietici. L'idea, ispirata all'integrazione tra i paesi dell'Unione Europea, è stata annunciata nell'ottobre 2011 dal presidente russo Vladimir Putin. I presidenti di Bielorussia, Kazakistan e Russia hanno firmato un accordo che stabilisce l'obiettivo di fondare l'Unione Eurasiatica entro il 2015. L'accordo include piani per la futura integrazione e la creazione di una Commissione Eurasiatica (modellata sulla base della Commissione Europea) e di uno Spazio Economico Eurasiatico, entrato in vigore il 1° gennaio 2012.
[6] COM (2011) 313
[7] Tale Patto è fondato su cinque impegni politici principali: organizzare l’immigrazione legale; combattere l’immigrazione clandestina, in particolare assicurando il ritorno nel loro paese o in un paese di transito degli stranieri in posizione irregolare; rafforzare l’efficacia dei controlli alle frontiere; costruire una Europa dell’asilo, attraverso l’introduzione di una procedura unica in materia di asilo che preveda garanzie comuni, l’adozione di status uniformi per i rifugiati e i beneficiari di protezione sussidiaria e l’intensificazione della cooperazione pratica tra Stati membri; creare un partenariato globale con i paesi di origine e di transito favorendo le sinergie tra migrazione e sviluppo.
[8] La prima riunione del forum della società civile si è tenuta a Bruxelles, il 16 e 17 novembre 2009.
[9] Una mozione di analogo tenore, presentata dai gruppi di maggioranza, è stata approvata dal Senato nella seduta antimeridiana del 16 luglio scorso.