Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento lavoro
Titolo: Le donne condizione della crescita
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 261
Data: 25/10/2016
Organi della Camera: XI-Lavoro pubblico e privato

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Le donne condizione della crescita

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 261

 

 

 

28 ottobre 2016

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Lavoro

( 066760-4884 – * st_lavoro@camera.it

 

 

 

 

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File: LA0698

 


INDICE

Condizione della donna nel mondo del lavoro

§  Introduzione  3

§  Gli interventi nell’attuale legislatura  4

-     Conciliazione vita-lavoro  4

-     Dimissioni in bianco  6

-     Violenza di genere  7

-     Welfare aziendale  7

-     Occupazione femminile  7

§  Divario retributivo di genere  8

§  Crescita della partecipazione delle donne al mercato del lavoro  8

Imprenditoria femminile: dati statistici e ricostruzione normativa

§  Dati statistici sulle imprese femminili 13

§  Le norme di incentivazione dal 1992 ad oggi 15

§  Provvedimenti recenti 15

Parità di genere

§  Accesso agli organi apicali delle società (legge 210/2011) 21

§  Accesso alle cariche elettive  21

 

 


Condizione della donna nel mondo del lavoro

 


Introduzione

Negli ultimi decenni la condizione delle donne nel mercato del lavoro in Italia è stata oggetto di numerosi interventi normativi volti a riconoscere equiparazione dei diritti e maggiori tutele. In questa direzione vanno anche le disposizioni varate nell’attuale legislatura, dirette in particolar modo a  favorire la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro (anche attraverso il bonus per servizi di babysitting e la possibilità per le donne lavoratrici di richiedere la trasformazione del contratto da tempo pieno a tempo parziale), l’introduzione di un congedo per le donne vittime di violenza di genere, la previsione di una normativa per il contrasto della pratica delle cosiddette dimissioni in bianco e per la valorizzazione del welfare aziendale (la conversione in benefit dei premi di produttività)

 

 


 

Gli interventi nell’attuale legislatura

Conciliazione vita-lavoro

Nell'attuale legislatura, le politiche in favore delle donne in materia di lavoro sono riconducibili in particolare a quanto previsto da uno dei decreti legislativi attuativi del Jobs act, relativo alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (d.lgs. n.80/2015).

Il decreto contiene misure dirette, in particolare, alla tutela della maternità e a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, allo scopo di garantire adeguato sostegno alle cure parentali.

Di seguito, le principali novità introdotte:

§  il congedo di maternità (obbligatorio e retribuito della durata complessiva di cinque mesi):

-     in caso di parto anticipato i giorni di maternità obbligatoria e non goduti prima del parto possono essere aggiunti a quelli successivi alla nascita, anche se si supera il previsto limite di 5 mesi;

-     in caso di ricovero del neonato si può chiedere la sospensione del congedo (una sola volta per ogni figlio) e goderne dalla data di dimissioni del neonato;

§  il congedo di paternità (ossia il diritto del padre lavoratore di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre, o di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre) è riconosciuto anche se la madre è una lavoratrice autonoma e, in caso di adozione internazionale, il congedo previsto per la lavoratrice per il periodo di permanenza all'estero può essere utilizzato dal padre anche se la madre non è una lavoratrice;

§  il congedo parentale (astensione facoltativa dal lavoro della lavoratrice o del lavoratore per un limite complessivo massimo di 10 mesi) viene esteso dall'ottavo al dodicesimo anno di vita del bambino e la fruizione può essere anche su base oraria. Lo stesso termine si applica anche in caso di adozione e affidamento e di prolungamento del congedo parentale (per un periodo massimo non superiore a tre anni), in presenza di figlio minore portatore di handicap. L’indennizzo (nella misura del 30% per un periodo massimo complessivo di 6 mesi) viene esteso dal terzo al sesto anno di vita del bambino.

§  l’indennità di maternità (pari all’80% della retribuzione) viene corrisposta:

-     anche nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa, derivante da colpa grave della lavoratrice, che si verifichi durante i periodi di congedo di maternità[1];

-     alle lavoratrici iscritte alla Gestione separata INPS anche nel caso di mancato versamento dei contributi da parte del committente e, in caso di adozione o affidamento, per i 5 mesi successivi dall’ingresso del minore in famiglia

-     alle lavoratrici autonome anche nel caso di adozione o affidamento, alle stesse condizioni previste per le altre lavoratrici;

§  tra le lavoratrici che non possono essere obbligate a svolgere lavoro notturno, viene inserita anche la lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore, nei primi tre anni dall'ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il dodicesimo anno di età (o, in alternativa ed alle stesse condizioni, il lavoratore padre adottivo o affidatario convivente con la stessa)[2];

§  in via sperimentale, per il triennio 2016-2018, si prevede che parte delle risorse del Fondo per la contrattazione di secondo livello sia destinato alla promozione della conciliazione tra lavoro e vita privata (38,3 milioni di euro per l'anno 2016, 36,2 milioni di euro per l'anno 2017 e 35,6 milioni di euro per l'anno 2018).

 

Anche la legge delega di Riforma della P.A. (L. 124/2015) ha introdotto alcune disposizioni volte a favorire la conciliazione tra vita e lavoro.

In particolare, in tema di passaggio di personale tra amministrazioni diverse, dispone:

§  che il genitore, dipendente di amministrazioni pubbliche, con figli minori fino a tre anni di età può chiedere di essere assegnato (per un periodo non superiore a tre anni, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione) ad una sede presente nella stessa provincia o regione nella quale lavora l'altro genitore. L'eventuale dissenso deve essere motivato.

In tema di cure parentali, dispone che le amministrazioni pubbliche:

§  adottino misure organizzative per l'attuazione del telelavoro e di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa, anche al fine di tutelare le cure parentali;

§  stipulino convenzioni con asili nido e scuole dell'infanzia e organizzano, anche attraverso accordi con altre amministrazioni pubbliche, servizi di supporto alla genitorialità, aperti durante i periodi di chiusura scolastica

 

Nell’ambito delle politiche dirette alla conciliazione vita-lavoro rientra anche il cosiddetto voucher babysitting, ossia una misura sperimentale (introdotta dall’art. 4, c. 24, lett. b), della L. 92/2012 per il triennio 2013-2015 e prorogata per il 2016 dall’articolo 1, comma 282, della L. 208/2015 - stabilità 2016) che riconosce alla madre lavoratrice dipendente, pubblica o privata, nonché alle madre lavoratrice iscritta alla gestione separata, la possibilità di richiedere (al termine del periodo di congedo di maternità e negli undici mesi successivi), in sostituzione, anche parziale, del congedo parentale, un contributo economico (pari ad un importo massimo di 600 euro mensili, per un periodo complessivo non superiore a sei mesi) da impiegare per il servizio di baby-sitting o per i servizi per l'infanzia (erogati da soggetti pubblici o da soggetti privati accreditati).

L’articolo 1, comma 283, della legge 208/2015 (Stabilità 2016) ha inoltre esteso, per il 2016, il voucher babysitting alle madri lavoratrici autonome o imprenditrici, nel limite di spesa di 2 milioni di euro, demandando ad un apposito decreto la definizione dei criteri di accesso e delle modalità di utilizzo del beneficio per le nuove categorie interessate (sul punto si veda il DM 1° settembre 2016).

 

Nelle misure volte a favorire la conciliazione vita-lavoro rientra anche quanto previsto dall’articolo 8, comma 7, del D.Lgs. 81/2015 (attuativo del D.Lgs. 183/2014, cd. Jobs act), secondo cui Il lavoratore può chiedere, per una sola volta, in luogo del congedo parentale od entro i limiti del congedo ancora spettante, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, purché con una riduzione d'orario non superiore al 50 per cento; il datore di lavoro è tenuto a dar corso alla trasformazione entro quindici giorni dalla richiesta.

 

Dimissioni in bianco

Per contrastare la pratica (riguardante prevalentemente le lavoratrici) delle cd. dimissioni "in bianco", consistente nel far firmare le dimissioni al lavoratore al momento dell'assunzione (in bianco, appunto) e quindi nel momento in cui la sua posizione è più debole, il decreto legislativo n.151/2015 (attuativo del Jobs act) modifica la disciplina delle dimissioni volontarie e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, prevedendo che le dimissioni sono valide solo se redatte in modalità telematica su appositi moduli, resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Come disposto recentemente dal primo decreto correttivo del Jobs act (D.Lgs. 185/2016) la procedura prevista per le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro non si applica ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001).

 

Violenza di genere

Il decreto legislativo 80/2015 (attuativo del Jobs act) ha introdotto il congedo per le donne vittime di violenza di genere, riconosciuto alle lavoratrici dipendenti, pubbliche e private (con esclusione del lavoro domestico) e alle lavoratrici titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, inserite in percorsi certificati di protezione relativi alla violenza di genere, le quali possono astenersi dal lavoro, per motivi legati al suddetto percorso, per un periodo massimo di tre mesi.

Inoltre, la legge delega di riforma della P.A. dispone che la dipendente vittima di violenza di genere, inserita in specifici percorsi di protezione debitamente certificati, può chiedere il trasferimento ad altra amministrazione pubblica presente in un comune diverso da quello di residenza, previa comunicazione all’amministrazione di appartenenza che, entro quindici giorni, dispone il trasferimento presso l’amministrazione indicata dalla dipendente, ove vi siano posti vacanti corrispondenti alla sua qualifica professionale.

Per le modalità operative è stata emanata la circolare INPS 65/16

 

Welfare aziendale

La legge di stabilità 2016) ha reintrodotto, in via permanente, una tassazione sostitutiva per i premi di produttività e per le somme erogate a titolo di partecipazione agli utili dell’azienda, prevedendo anche, al fine di dare impulso allo sviluppo del welfare aziendale, la possibilità di convertire i premi in denaro in prestazioni di welfare aziendale (servizi di assistenza ad anziani, servizi di istruzione, ecc.) esclusi dall'imposizione IRPEF.

 

Occupazione femminile

Nell'ambito delle misure riferite al Mezzogiorno, l’art. 1, c. 109 e 110, della L. 208/2015 estende l’esonero contributivo previsto per il 2016 dalla medesima L. 208/2015 alle assunzioni a tempo indeterminato dell'anno 2017 realizzate dai datori di lavoro privati operanti nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna. È prevista una maggiorazione della percentuale di decontribuzione per l'assunzione di donne di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi.

Divario retributivo di genere

Da dati Eurostat emerge che in Italia il divario retributivo di genere medio (ossia la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è del 6,5% (al di sotto della media europea che è del 16,1%)[3], mentre il divario retributivo di genere complessivo (ossia la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini) è pari al 44,3% (al di sopra della media europea che è invece pari al 41,1%)[4].

Una recente analisi del Fondo monetario internazionale ha evidenziato come l’eliminazione di tale divario retributivo comporterebbe un aumento di almeno il 15% del PIL.

Crescita della partecipazione delle donne al mercato del lavoro

(Fonte: ISTAT - Rapporto annuale 2016, dati su 2015)

Cresce la partecipazione femminile al mercato del lavoro: il tasso di attività femminile passa dal 31,0 del 1976 al 45,9 del 1996 fino al 54,1 per cento del 2015, anche se resta ancora lontano dai livelli di attività maschili. Il lavoro diventa sempre più una componente importante della vita delle donne, che influisce sui percorsi di vita e sulle scelte riproduttive: non più solamente mogli e madri, ma protagoniste della vita economica e sociale. Basti pensare che il numero di donne che al momento del matrimonio sono in condizione non professionale cade vertiginosamente nel quarantennio, assestandosi nel 2014 al 18,0 per cento, con una diminuzione, rispetto al passato, del peso percentuale delle casalinghe.”

“Nella media dei paesi Ue l’incremento del tasso di occupazione nel corso dell’ultimo anno interessa sia gli uomini (0,7) sia le donne (0,9). Tuttavia, rispetto al 2008, mentre per le donne l’indicatore cresce di 1,5 punti percentuali, raggiungendo il 60,4 per cento, per gli uomini il tasso di occupazione (70,8 per cento) non raggiunge il livello pre-crisi (-1,8 punti percentuali). Pertanto, tra il 2008 e il 2015 nei tassi di occupazione si riduce il divario di genere, che scende a 10,4 punti (dai 13,7 del 2008). In alcuni paesi le distanze restano elevate: è il caso dell’Italia, dove il tasso d’occupazione maschile è del 65,5 per cento e quello femminile del 47,2 per cento, con un divario di 18,3 punti percentuali nel 2015.”[5]

“In Italia nel 2015 la crescita dell’occupazione ha riguardato soprattutto gli uomini, che nel corso della crisi avevano subito le maggiori perdite di occupazione. Il numero di occupati uomini aumenta dell’1,1 per cento tra il 2014 e il 2015, ma rimane comunque più basso di 736 mila unità rispetto al 2008; le donne occupate, aumentate dello 0,5 per cento nell’ultimo anno, superano di 110 mila unità il numero di sette anni prima. La crescita contenuta del tasso di occupazione femminile (47,2 per cento nel 2015) non è in grado di ridurre il divario dalla media Ue (60,4 per cento), che è anzi aumentato dal 2008 di 1,5 punti. L’incremento del tasso di occupazione delle donne interessa prevalentemente le regioni del Centro e del Mezzogiorno, mentre quello maschile è diffuso sul territorio.”

“La lettura degli andamenti di occupazione e disoccupazione tra il 1993 e il 2015 per classi quinquennali restituisce un panorama caratterizzato dalla forte riduzione di occupazione tra i giovanissimi, dall’incremento dell’occupazione femminile, soprattutto tra le adulte di 35-49 anni, dal ridimensionamento della componente maschile tra gli adulti e dall’incremento di occupazione tra le persone di 50 anni e più. Contestualmente, la disoccupazione è cresciuta soprattutto tra i giovani fino a 29 anni nella recente crisi 2008-2014 […] Tra il 1993 e il 2015, tra le persone di 25-29 anni, a fronte di un calo di oltre venti punti percentuali del tasso di occupazione maschile, quello femminile, comunque più basso, scende di soli 3,9 punti. La dinamica si differenzia ulteriormente nelle classi più adulte. Dai trent’anni in su, infatti, l’occupazione femminile aumenta rispetto all’inizio degli anni Novanta, mentre quella maschile continua a diminuire fino ai 50 anni.”

“Anche il tasso di disoccupazione è stato caratterizzato da fasi alterne di crescita e contrazione. Tra 1993 e 1998 l’indicatore cresce dal 9,8 all’11,3 per cento, poi cala nei successivi dieci anni toccando il minimo del 6,1 per cento nel 2007 e risale, a partire dal 2008, raggiungendo il 12,7 per cento nel 2014. Nell’ultimo anno scende all’11,9 per cento. In tutto il periodo il tasso aumenta di 4,2 punti per la componente maschile (dal 7,2 all’11,4[6] per cento), mentre diminuisce di 1,3 punti per quella femminile (dal 14,0 al 12,7[7] per cento). Tra gli uomini l’indicatore aumenta in tutte le classi di età, mentre tra le donne diminuisce per le ultraquarantanovenni e cresce per le altre classi.”

 

 (Fonte: ISTAT – Dati occupati e disoccupati mensili – 30 settembre 2016)

“Ad agosto l’aumento degli occupati rispetto al mese precedente interessa le donne (+0,4%), mentre si registra un calo tra gli uomini (-0,2%). Il tasso di occupazione femminile, pari al 48,0%, aumenta di 0,2 punti percentuali, mentre quello maschile, pari al 66,6%, cala di 0,2 punti. Al contrario il lieve calo della disoccupazione nell’ultimo mese è attribuibile alla componente maschile (-0,7%) a fronte di un aumento per quella femminile (+0,6%). Il tasso di disoccupazione maschile si attesta al 10,5%, quello femminile al 12,6%, entrambi invariati rispetto al mese precedente. La stabilità registrata per gli inattivi tra i 15 e i 64 anni nell’ultimo mese è frutto di un aumento tra gli uomini (+1,2%) e un calo tra le donne (-0,6%). Il tasso di inattività maschile, pari al 25,4%, aumenta di 0,3 punti percentuali rispetto a luglio, mentre quello femminile si attesta al 45,0%, in diminuzione di 0,3 punti.”

 

Tasso occupazione femminile 2015 (Fonte Eurostat – 15-64 anni)

47,2% Italia

60,4% media UE 28

 

 


Imprenditoria femminile: dati statistici e ricostruzione normativa

 


Dati statistici sulle imprese femminili

Secondo i dati tratti dal 3° Rapporto nazionale sulla imprenditoria femminile "Impresa in genere" di Unioncamere del 21 giugno 2016, le imprese femminili sono 1 milione e 312mila (il 21,7% del totale) e danno lavoro a quasi 3 milioni di persone.

Tra il 2010 e il 2015, le imprese femminili in più sono 35mila. Il loro aumento rappresenta il 65% dell'incremento complessivo dell'intero tessuto imprenditoriale italiano (+53mila imprese) nello stesso periodo. Più dinamiche quindi (+3,1% il tasso di crescita nel periodo a fronte del +0,5% degli imprenditori uomini), ma anche sempre più digitali e innovative, più giovani, più multiculturali. Innovare è la parola d'ordine anche tra le donne d'impresa: tra il 2010 e il 2015, le imprese femminili legate al mondo digitale sono aumentate del 9,5% contro il +3% del totale.

In valori assoluti, il settore dell'Information and Communication Technology (ICT) a trazione femminile è aumentato di circa 1.800 unità, passando dalle 18.700 del 2010 alle 20.500 del 2015. Anche nel mondo delle startup innovative i progressi sono evidenti: se nel 2010 le startup innovative femminili erano solo il 9,1% del totale, nel 2014 sono diventate il 15,4%, pari a circa 600 imprese. Tra le attività maggiormente diffuse, la produzione di software e consulenza informatica (pari al 24,3% del totale start up femminili), ricerca e sviluppo (17,4%) e fornitura di servizi di ICT (13,7%).

Nel complesso, l'universo dell'impresa femminile riflette lo stesso processo di terziarizzazione in atto in tutto il sistema produttivo nazionale: le aziende "rosa" nei servizi sono aumentate in 5 anni del 6,2% (+42.500) mentre sono diminuite del 13,4% (-32.600) nel settore primario e dell'1% (-800) nel manifatturiero.

Nel terziario l'aumento delle imprese femminili ha riguardato quasi tutti i comparti, a cominciare da turismo (+17,9%; +15.200), sanità-assistenza sociale e istruzione (+21% in entrambi i casi; rispettivamente +2.100 e +1.300), cultura-intrattenimento (+12,8%; +1.700).

Nel manifatturiero, avanza l'alimentare grazie all'aumento del 13% di imprese femminili.

La maggiore velocità di espansione delle imprese guidate da donne, rispetto a quelle maschili, si riscontra in tutte le aree del paese: Nord-Ovest (+3,4 contro -0,5%), Nord-Est (+2,6 contro -2,6%), Centro (+6,3 contro +4%), Meridione (+1,4 contro +0,8%).

Tra le caratteristiche del sistema produttivo al femminile anche la più diffusa presenza di giovani e di donne provenienti da altri Paesi. Quasi 14 imprese femminili su 100 sono guidate infatti da under 35 (circa 178mila in valori assoluti), a fronte delle circa 10 su 100 tra le imprese maschili. Nel 2014, poi, le imprese straniere femminili sono più di 121mila (9,3% del totale delle imprese capitanate da donne), mentre tra quelle maschili le imprese straniere sono l'8,5% del totale. Ampia la presenza straniera nel settore della moda, dove quasi 30 imprese su 100, fra quelle femminili, sono straniere (quasi 10mila in valori assoluti), mentre sono solo 17 su 100 tra quelle maschili. Cina, Romania e Marocco sono le comunità straniere prevalenti all'interno dell'economia femminile del Paese. Le imprenditrici cinesi primeggiano nel sistema moda e in quello dei servizi. Le comunità imprenditoriale rumena e marocchina, invece, nel settore delle costruzioni.

Per quanto mediamente piccole di dimensioni (sono 2,2 gli addetti medi per impresa nel caso delle aziende femminili contro i 3,9 di quelle maschili), le imprese femminili danno un contributo formidabile all'occupazione del Paese.

Sono quasi 3 milioni gli addetti  che lavorano all'interno delle attività a trazione femminile, pari al 13,4% del totale degli addetti nel settore privato.

Anche sotto il profilo occupazionale la crisi è stata un po' meno dura per le donne. Tra il 2010 e il 2014, secondo i dati Istat, l'occupazione femminile è aumentata (+1,7%; pari a +156mila lavoratrici), dimostrandosi in controtendenza rispetto alla flessione subita da quella maschile (-3,8%; -498 mila). Marcato soprattutto l'aumento delle occupate laureate (+15,8%; +324mila), superiore alla corrispondente media Ue (+14,3%). A questa dinamica si contrappone la contrazione delle occupate con al massimo la licenza media (-8,2%; -205mila) e il lieve incremento di quelle con diploma (+0,8%; +37 mila).

L'occupazione giovanile femminile (15-34 anni), però, ha subito una significativa flessione (-15,4%; -392 mila in valori assoluti) che, per quanto più contenuta di quella maschile (-18,8%), si è dimostrata ben più elevata della media europea (-4,4%).

Ad oggi, comunque, tutte le classifiche relative al lavoro femminile vedono l'Italia in posizioni critiche: il nostro Paese registra uno dei tassi di disoccupazione femminile più elevati (13,8% nel 2014), peggiori solo in Grecia, Spagna, Croazia, Cipro e Portogallo. Solo la Grecia sta peggio di noi nella classifica Ue per tasso di occupazione femminile, mentre nella classifica per tasso di inattività femminile, l'Italia è al secondo posto, dopo Malta, con una quota del 45,6% (a fronte di una media Ue del 33,5%).

Il tasso di inattività, poi, calcolato sulle motivazioni legate a impegni e responsabilità di famiglia (accudimento figli, cura di persone non autosufficienti o anziani.), è per l'Italia superiore alla media europea (11,3 contro 8,3%). E' il terzo valore più elevato fra i 28 paesi comunitari.

 

 

Le norme di incentivazione dal 1992 ad oggi

Nel 1992 è stata emanata la legge n. 215/1992, recante Azioni positive per l'imprenditoria femminile, con l'obiettivo di promuovere l'uguaglianza sostanziale e le pari opportunità per uomini e donne nell'attività economica e imprenditoriale. Con l'entrata in vigore del Codice delle pari opportunità nel 2006 (D.Lgs. n.198/2006), la legge n. 215/1992 è stata abrogata, ad eccezione degli articoli 10, comma 6, 12 e 13, dall'articolo 57 del citato Codice, nel quale sono confluite varie disposizioni della legge stessa (artt. 21-22 e 52-55). Successivamente il comma 6 dell'art. 10 è stato abrogato dall'art. 4, D.P.R. 14 maggio 2007, n. 101.

In particolare, gli articoli 21-22 del Codice disciplinano, rispettivamente, la composizione e l'attività del Comitato per l'imprenditoria femminile istituito, con compiti di indirizzo e di programmazione generale, presso il Ministero delle attività produttive, ai sensi dell'articolo 10 della L. 215/1992, che i suddetti articoli riproducono pressoché integralmente. L'articolo 52 fissa i principi generali cui si ispirano le disposizioni del capo II del Codice per promuovere l'uguaglianza e le pari opportunità tra uomini e donne nell'ambito dell'attività economica, riproducendo le disposizioni dell'art. 1, commi 1 e 2 della L. 215/1992. L'articolo 53 individua i soggetti cui si rivolgono i principi in materia di azioni a favore dell'imprenditoria femminile, come previsto dall'art. 2, comma 1, della L. 215/1992: società, imprese, consorzi, associazioni, enti, centri di formazione ecc. costituiti da donne o a cui le donne partecipano in varia misura. L'articolo 54 riproduce le disposizioni della legge sull'imprenditoria femminile che prevedono l'istituzione di un Fondo nazionale per lo sviluppo dell'imprenditoria (art. 3, co. 1, L. 215/1992). Infine, l'art. 55 prevede l'invio da parte del Ministero delle attività produttive di una relazione annuale al Parlamento per la verifica dello stato di attuazione dei principi del Capo II del Codice.

Le funzioni di competenza statale attribuite all'ex Ministero delle attività produttive in materia di interventi a favore dell'imprenditoria femminile dalla legge 25 febbraio 1992, n. 215, e dagli articoli 21-22 e 52-55 del citato Codice sono assegnate (ai sensi della lettera g) del comma 19, art. 1, del D.L. n.181/2006) alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

Provvedimenti recenti

Con il D.L. 145/2013, c.d. Destinazione Italia (convertito in legge n. 9/2014) si è inteso riformare la disciplina degli incentivi all'imprenditorialità, con misure volte prevalentemente a sostenere la creazione e lo sviluppo, attraverso migliori condizioni di accesso al credito, di piccole imprese possedute in prevalenza da giovani e da donne. Gli incentivi sono applicabili in tutto il territorio nazionale: viene infatti soppressa la disposizione che ne limitava l'applicazione alle aree svantaggiate del Paese. E' stata specificamente destinata per gli interventi a favore delle imprese femminili una quota pari a 20 milioni di euro a valere sul Fondo di garanzia PMI alla Sezione speciale "Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le pari opportunità" istituita presso il medesimo Fondo (articolo 2, comma 1-bis).

La Sezione Speciale "Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità" è riservata alle imprese a prevalente partecipazione femminile. La Sezione Speciale è stata istituita con convenzione del 14 marzo 2013 tra Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Pari Opportunità, Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero dell'Economia e delle Finanze, sottoscritta ai sensi del decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico del 26 gennaio 2012. La dotazione iniziale è stata pari a 10 milioni di euro, da impiegare per la compartecipazione alla copertura del rischio sulle operazioni di garanzia ammissibili, con una ripartizione del 50% tra le risorse del Fondo e quelle della Sezione Speciale che, di fatto, può contare su una dotazione finanziaria complessiva di 20 milioni di euro. Nell'ambito della Sezione Speciale, una quota pari al 50% della dotazione è riservata alle nuove imprese. Con il decreto del Ministro dello sviluppo economico del 27 dicembre 2013 sono state inoltre introdotte modalità semplificate di accesso.Per quanto riguarda i benefici , essi consistono nella concessione di mutui agevolati per gli investimenti, a tasso zero, per una durata massima di otto anni e per un importo non superiore al 75 per cento della spesa ammissibile ai sensi della normativa comunitaria. Rispetto alla disciplina previgente, la principale novità consiste nella soppressione dei contributi a fondo perduto. Scompare inoltre dalla tipologia di benefici concedibili il riferimento all'assistenza tecnica in fase di realizzazione degli investimenti e all'attività di formazione funzionale alla realizzazione del progetto. Le imprese femminili sono le micro, piccole e medie imprese con le seguenti caratteristiche: 1. società cooperative e le società di persone costituite in misura non inferiore al 60% da donne 2. società di capitali le cui quote di partecipazione spettano in misura non inferiore ai due terzi a donne e i cui organi di amministrazione siano costituiti per almeno i due terzi da donne 3. imprese individuali gestite da donne. Per approfondimenti si veda il link http://www.fondidigaranzia.it/femminili.html

Agevolazioni riservate a micro e piccole nuove imprese a partecipazione giovanile o femminile.

È stato pubblicato il D.M. 8 luglio 2015, n. 140 (Regolamento recante criteri e modalità di concessione delle agevolazioni di cui al Capo 0I del titolo I del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185) del Ministero dello Sviluppo Economico (di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze), che regola i criteri e le modalità di concessione delle agevolazioni riservate a micro e piccole nuove imprese a partecipazione giovanile o femminile. I programmi di investimento saranno agevolati con un finanziamento a tasso zero, a copertura del 75% delle spese ammissibili: i progetti finanziabili dovranno essere caratterizzati da elementi come l'innovatività e la capacità di sostenere lo sviluppo di settori legati all'imprenditorialità giovanile, primi tra tutti la filiera turistico-culturale e l'innovazione sociale. Le agevolazioni sono gestite da Invitalia. Per approfondimenti, si veda la pagina dedicata: http://www.invitalia.it/site/new/home/chi-siamo/area-media/notizie-e-comunicati-stampa/regolamento-imprese-a-tasso-zero.html

 

 


Parità di genere

 


Accesso agli organi apicali delle società (legge 210/2011)

La legge 12 luglio 2011, n. 120, con lo scopo di tutelare la parità di genere, intende riequilibrare a favore delle donne l'accesso agli organi apicali delle società quotate. A tal fine è previsto un “doppio binario” normativo:

§  per le società non controllate da Pubbliche Amministrazioni, la disciplina in materia di equilibrio di genere è contenuta nelle disposizioni di rango primario. In sintesi, gli statuti e gli atti costitutivi delle società devono assicurare l'equilibrio tra i generi negli organi di vertice delle società quotate, con una specifica riserva di posti in favore del genere meno rappresentato;

§  per le società a controllo pubblico, accanto ai principi generali della legge, la normativa di dettaglio è contenuta nel D.P.R. 30 novembre 2012, n. 251. In particolare, anche per le società pubbliche non quotate gli organi di amministrazione e di controllo, se a composizione collegiale, sono costituiti con modalità tali da garantire una riserva di posti per il genere meno rappresentato. Sono tuttavia previste alcune peculiarità. In particolare, se per la nomina degli organi sociali è previsto il meccanismo del voto di lista,non è rispettato il criterio di riparto tra generi, ove le liste presentino un numero di candidati inferiore a tre.

Accesso alle cariche elettive

Nell'ordinamento italiano si rinvengono diverse norme, sia nazionali che regionali, finalizzate alla promozione della partecipazione delle donne alla politica e dell'accesso alle cariche elettive, emanate in attuazione degli articoli 51, primo comma, e 117, settimo comma, della Costituzione. In questo settore, peraltro, il Parlamento negli ultimi anni ha dato sempre maggiore attenzione al fenomeno, approvando importanti riforme aventi come obiettivo la promozione dell'equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza elettorale.

Da segnalare altresì che la proposta di riforma costituzionale, approvata definitivamente da entrambe le Camere, in seconda deliberazione, a maggioranza assoluta dei componenti introduce un nuovo secondo comma all'art. 55 Cost., in base al quale "le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere promuovono l'equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza". Tale disposizione specifica dunque, rafforzandolo, quanto già sancito dall'art. 51 Cost. e richiamato, con riferimento all'ordinamento regionale, dall'art 117. Cost. Viene infatti indicato come obiettivo dell'attività promozionale direttamente l'equilibrio tra donne e uomini.

 

A livello nazionale, il nuovo sistema elettorale della Camera dei deputati (cd. Italicum), approvato con la legge n. 52 del 2015, detta alcune norme in favore della rappresentanza di genere per le elezioni della Camera (non viene modificato il sistema elettorale del Senato, in attesa della riforma costituzionale all'esame del Parlamento, che dovrebbe superare la natura elettiva di questo organo).

Il nuovo sistema elettorale introduce, a pena di inammissibilità, un obbligo di rappresentanza paritaria dei due sessi nel complesso delle candidature circoscrizionali di ciascuna lista (quindi, a livello regionale) e prevede che, nella successione interna delle singole liste nei collegi, i candidati sono collocati secondo un ordine alternato di genere (quindi 1-1). Inoltre è stabilito, a pena di inammissibilità della lista, che nel numero complessivo dei capolista nei collegi di ogni circoscrizione non può esservi più del 60 per cento di candidati dello stesso sesso. Infine, è introdotta la c.d. doppia preferenza di genere, ossia, in caso di espressione della seconda preferenza, l'elettore deve scegliere un candidato di sesso diverso rispetto al primo, a pena di nullità della seconda preferenza.

 

Anche per le elezioni del Parlamento europeo sono state introdotte nuove disposizioni volte a rafforzare la rappresentanza di genere con la legge 22 aprile 2014, n. 65. A partire dal 2019, sono state introdotte la composizione paritaria delle liste dei candidati e la c.d. ‘tripla preferenza di genere', in base alla quale gli elettori possono esprimere fino a tre preferenze, purché riguardino candidati di sesso diverso, sia nel caso di due che di tre preferenze espresse.

A livello comunale, la legge 23 novembre 2012, n. 215 prevede strumenti diversi a seconda delle dimensioni del comune.

 

Per l'elezione dei consigli comunali nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, la legge contempla una duplice misura volta ad assicurare il riequilibrio di genere: da un lato, nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi (cd. quota di lista).

Dall’altro, la cd. doppia preferenza di genere, che consente all'elettore di esprimere due preferenze purché riguardanti candidati di sesso diverso, pena l'annullamento della seconda preferenza. Resta comunque ferma la possibilità di esprimere una singola preferenza.

Per i comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti è comunque previsto che nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi. Tale disposizione ha particolare rilievo per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, nei quali non si applica la quota di lista.

 

Ulteriori disposizioni sono previste a livello di città metropolitane e province a seguito della riforma prevista dalla legge 7 aprile 2014, n. 56 (c.d. Legge Delrio) che ha eliminato l'elezione diretta dei consigli provinciali.

I consigli metropolitani (organi delle nuove città metropolitane) ed i consigli provinciali sono divenuti organi elettivi di secondo grado; l'elettorato attivo e passivo spetta ai sindaci ed ai consiglieri comunali dei rispetti territori. L'elezione di questi due organi avviene con modalità parzialmente differenti, che comunque prevedono l'espressione di un voto di preferenza e la ponderazione del voto. Ai fini di promuovere la rappresentanza di genere, nelle liste nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all'unità superiore per i candidati del sesso meno rappresentato, a pena di inammissibilità. Tale disposizione troverà applicazione di fatto, dalle elezioni del 2018. Non è prevista invece la possibilità della doppia preferenza di genere, in quanto ritenuta incompatibile con il sistema del voto ponderato.

 

Anche a livello regionale, dopo la modifica degli articoli 122 e 123 della Costituzione, tutte le regioni che hanno adottato norme in materia elettorale hanno introdotto disposizioni specifiche per favorire la parità di accesso alle cariche elettive, in attuazione dell'art. 117, settimo comma, Cost.

Le misure introdotte sono diverse e sono prevalentemente incentrate sulle 'quote di lista', ossia sull'obbligo di inserire nelle liste di candidati una quota minima di candidati del genere meno rappresentato, variabile tra un terzo e la metà. Le quote di lista sono applicate in sistemi elettorali proporzionali, con premio di maggioranza e con voto di preferenza. Alcune regioni hanno messo a punto lo strumento ulteriore della ‘doppia preferenza di genere', misura adottata per la prima volta dalla regione Campania e successivamente ripresa dalla legge elettorale per i comuni e da altre leggi elettorali regionali.

Si segnala, infine, che nella legislatura in corso il Parlamento ha approvato la legge 15 febbraio 2016, n. 20, che introduce, tra i principi fondamentali in base ai quali le Regioni sono tenute a disciplinare con legge il sistema elettorale regionale, l'adozione di specifiche misure per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell'accesso alle cariche elettive.

A tal fine, modifica la legge n. 165/2004, che - in attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione - reca per l'appunto i principi fondamentali concernenti il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali. Con le modifiche introdotte, la legge nazionale non si limita a prevedere tra i principi, come stabilito finora, la "promozione della parità tra uomini e donne nell'accesso alle cariche elettive attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l'accesso del genere sottorappresentato alle cariche elettive", ma indica anche le specifiche misure adottabili, declinandole sulla base dei diversi sistemi elettorali per la scelta della rappresentanza dei consigli regionali.

 



[1]     Si ricorda che l’indennità di maternità viene corrisposta anche in caso di cessazione dell'attività dell'azienda, di ultimazione della prestazione per cui la lavoratrice è stata assunta o di scadenza del termine contrattuale che si verifichino durante i periodi di congedo di maternità.

[2]     Le altre categorie sono la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa e la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni. Si ricorda che è in ogni caso vietato adibire le donne al lavoro notturno (dalle 24 alle 6) dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino.

[3]     Dati al 2014

[4]     Dati al 2010

[5]     I dati riportati nel Rapporto annuale ISTAT 2016 si riferiscono al 2015. Secondo l’ultimo rapporto ISTAT “Dati occupati e disoccupati mensili”, ad agosto 2016 il tasso di occupazione femminile (15-64 anni) è del 48%, mentre quello maschile (15-64 anni) è del 66,6%, con un divario di 18,6 punti percentuali.

[6]     10,5% ad agosto 2016, secondo l’ultimo rapporto ISTAT “Dati occupati e disoccupati mensili”.

[7]     12,6% ad agosto 2016, secondo l’ultimo rapporto ISTAT “Dati occupati e disoccupati mensili”.