Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento lavoro
Titolo: Tutele per il lavoro autonomo e disciplina del 'lavoro agile' Legge n. 81/2017 - A.C. 4135-B
Riferimenti:
AC N. 4135-B/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 516    Progressivo: 2
Data: 21/06/2017
Organi della Camera: XI-Lavoro pubblico e privato

 

 

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

 

Tutele per il lavoro autonomo e disciplina del “lavoro agile”

Legge n. 81/2017

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento lavoro

( 066760-4884 – * st_lavoro@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier:

Dipartimento Giustizia

Dipartimento Bilancio

Dipartimento Finanze

Dipartimento Ambiente

Dipartimento Attività produttive.

 

 

 

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File: LA0685b.docx


INDICE

Schede di lettura

Premessa  1

Capo I – Tutele per i lavoratori autonomi 3

§  Articolo 1 (Ambito di applicazione) 3

§  Articolo 2 (Tutela del lavoratore autonomo nelle transazioni commerciali) 4

§  Articolo 3 (Clausole e condotte abusive) 6

§  Articolo 4 (Apporti originali e invenzioni del lavoratore) 8

§  Articolo 5 (Delega al Governo in materia di atti pubblici rimessi alle professioni organizzate in ordini o collegi) 10

§  Articolo 6 (Sicurezza e protezione sociale dei professionisti iscritti a ordini o collegi e maternità e malattia per autonomi iscritti alla Gestione separata) 15

§  Articolo 7 (Stabilizzazione ed estensione DIS-COLL) 19

§  Articolo 8 (Disposizioni fiscali e sociali) 21

§  Articolo 9 (Deducibilità delle spese di formazione e accesso alla formazione permanente) 26

§  Articolo 10 (Sportello per il lavoro autonomo) 27

§  Articolo 11 (Semplificazione delle disposizioni sulla salute e sicurezza degli studi professionali) 29

§  Articolo 12 (Partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici e ai bandi per l'assegnazione di incarichi e appalti privati) 31

§  Articolo 13 (Indennità di maternità) 37

§  Articolo 14 (Tutela della gravidanza, malattia e infortunio) 38

§  Articolo 15 (Collaborazioni coordinate e continuative) 40

§  Articolo 17 (Tavolo tecnico di confronto permanente sul lavoro autonomo) 43

Capo II – Lavoro agile  44

§  Articolo 18 (Lavoro agile) 44

§  Articoli 19 e 21 (Modalità di svolgimento e recesso) 46

§  Articolo 20 (Trattamento economico e normativo) 48

§  Articolo 22 (Sicurezza sul lavoro) 49

§  Articolo 23 (Tutela contro infortuni sul lavoro e malattie professionali) 50

§  Articolo 24 (Aliquote contributive assistenti infanzia Bolzano) 52

Capo III - Disposizioni finali 55

§  Articolo 25 (Disposizioni finanziarie) 55

§  Articolo 26 (Entrata in vigore) 58

 


Schede di lettura

 


 

Premessa

La legge 81/2017 contiene misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato.

 

La legge è collegata alla manovra di finanza pubblica per il 2016.

 

Si compone di 26 articoli, suddivisi in tre Capi.

Il Capo I (articoli 1-17) contiene le norme per la tutela del lavoro autonomo.

Il Capo II (articoli 18-24) contiene le norme sul lavoro agile, relative all’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato.

Il Capo III (articoli 25-26) contiene le disposizioni finanziarie e sull’entrata in vigore della legge.


Capo I – Tutele per i lavoratori autonomi

Articolo 1
(Ambito di applicazione)

 

L’articolo 1 definisce l’ambito di applicazione delle disposizioni contenute nel Capo I, stabilendo che esse riguardano i rapporti di lavoro autonomo[1], mentre sono esclusi gli imprenditori (ivi compresi i piccoli imprenditori)[2].

I rapporti di lavoro autonomo sono definiti dall'articolo 2222 del codice civile come quelli derivanti dai contratti con cui il lavoratore si obbliga a compiere, verso un corrispettivo, un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente.

La disposizione specifica, altresì, che sono compresi nell’ambito applicativo del Capo I anche i lavoratori autonomi i cui rapporti di lavoro siano inquadrati in una delle tipologie contrattuali di cui al libro IV del codice civile.

 


Articolo 2
(Tutela del lavoratore autonomo nelle transazioni commerciali)

 

L’articolo 2 precisa l’applicabilità delle disposizioni del D.Lgs. 231/2002 anche alle transazioni commerciali

§  tra lavoratori autonomi e imprese;

§  tra lavoratori autonomi e amministrazioni pubbliche[3];

§  tra lavoratori autonomi.

Viene fatta salva l'applicazione di disposizioni più favorevoli.

 

Si segnala che le norme del D.Lgs. n. 231/2002 – che com’è noto è stato consistentemente modificato, da ultimo, dal decreto legislativo 9 novembre 2011 per l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali - si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale, ove per transazioni commerciali si intendono “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo” e per imprenditore si intende “ogni soggetto esercente un'attività economica organizzata o una libera professione”.

 Le uniche esclusioni previste dall’articolo 1, comma 2, del citato decreto riguardano

a) debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito;

b) pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un assicuratore.

In ogni caso, l’applicazione delle norme che tutelano contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali comporta, fra l’altro, l’applicazione automatica degli interessi di mora, che decorrono dalla scadenza dei termini fissati contrattualmente, e quindi senza alcuna specifica costituzione in mora. Sui termini di pagamento, l’articolo 4 del decreto legislativo n. 231/2002, salve le eccezioni previste, prevede che il periodo di pagamento non possa superare i seguenti termini:

a) trenta giorni dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente. Non hanno effetto sulla decorrenza del termine le richieste di integrazione o modifica formali della fattura o di altra richiesta equivalente di pagamento;

b) trenta giorni dalla data di ricevimento dalla data di prestazione dei servizi, quando non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento;

c) trenta giorni dalla data di ricevimento dalla prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è anteriore a quella della prestazione dei servizi;

d) trenta giorni dalla data dell'accettazione o della verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini dell'accertamento della conformità dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data.

Nelle transazioni commerciali tra imprese (e questo è il caso delle ipotesi di transazioni commerciali tra lavoratori autonomi e imprese, e tra lavoratori autonomi) le parti possono pattuire un termine per il pagamento superiore rispetto a quelli elencati, ma con pattuizione espressa se superiori a sessanta giorni. Nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione le parti possono pattuire, purché in modo espresso, un termine per il pagamento superiore (ma in ogni caso non superiore a sessanta giorni) quando ciò sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche.

 


Articolo 3
(Clausole e condotte abusive)

 

L'articolo 3 definisce le clausole e le condotte abusive delineandone gli effetti.

 

In particolare, il comma 1 qualifica come clausole abusive le clausole che attribuiscono al committente:

·  la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto;

·  nel caso di contratto avente ad oggetto una prestazione continuativa, di recedere senza congruo preavviso.

Sono abusive anche le clausole mediante le quali le parti concordano termini di pagamento superiori a 60 giorni dalla data del ricevimento, da parte del committente, della fattura o della richiesta di pagamento.

 

Si ricorda che l'art. 4 del D.Lgs. 231/2002 (Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali) prevede termini diversi a seconda che la transazione commerciale sia tra imprese oppure tra impresa e pubblica amministrazione; in sintesi, l'ipotesi di termini superiori a sessanta giorni è ammessa nel caso di transazioni commerciali tra imprese, purché il termine non sia gravemente iniquo per il creditore e sia pattuito espressamente[4].

Il carattere abusivo delle clausole è previsto ad esempio dal codice del consumo (D.Lgs. 206/2005), che vi associa la declaratoria di nullità (art. 36).

 

In base al comma 1 le clausole abusive sono prive di effetto

 

Il comma 2 qualifica come condotta abusiva il rifiuto del committente di stipulare il contratto in forma scritta.

 

Il comma 3 prevede che in entrambi i casi – clausole abusive o condotte abusive - il lavoratore autonomo abbia diritto al risarcimento del danno. Il riconoscimento del diritto e la quantificazione del danno potranno eventualmente essere frutto di un procedimento di conciliazione presso gli organismi abilitati.

 

Il comma 4 estende ai lavoratori autonomi, in quanto compatibile, la disciplina di cui all'art. 9 della legge 192/1998, e successive modificazioni, relativa all'abuso, da parte di una o più imprese, dello stato di dipendenza economica (dalla medesima o dalle medesime) nel quale si trova un'impresa cliente o fornitrice.

 

L'articolo 9 della legge 192/1998 vieta l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice.

Lo stesso articolo precisa in cosa consista la dipendenza economica.

Si considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi e che la dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti (comma 1).

L'abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto (comma 2).

Il patto attraverso il quale si realizzi l'abuso di dipendenza economica è nullo. Il giudice ordinario competente conosce delle azioni in materia di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il risarcimento dei danni (comma 3). In fine, il comma 3-bis dell'art. 9 fa salva l'eventuale applicazione della disciplina antitrust sull'abuso di posizione dominante e prevede che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell'attivazione dei propri poteri di indagine ed esperimento dell'istruttoria, possa procedere alle diffide e sanzioni previste dalla legge nei confronti dell'impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso. In caso di violazione diffusa e reiterata della disciplina di cui al decreto legislativo n. 231/2002, posta in essere ai danni delle imprese, con particolare riferimento a quelle piccole e medie, l'abuso si configura a prescindere dall'accertamento della dipendenza economica.

Più in generale, l'abuso di dipendenza economica viene generalmente sviluppato all'interno del divieto antitrust relativo all'abuso di posizione dominante: la c.d. "posizione dominante relativa" (e non assoluta) è considerata anche "dipendenza economica" di una impresa rispetto a un'altra. Spettano espressamente al tribunale delle imprese le controversie fondate su violazioni delle disposizioni antitrust sull'abuso di posizione dominante, non anche quelle relative all'abuso di dipendenza economica.

 

Per quanto concerne i principali indirizzi giurisprudenziali, si ricorda che l'abuso di dipendenza economica, disciplinato nel contesto della legge 192/1999 sulla subfornitura nelle attività produttive, è ritenuta fattispecie di applicazione generale, come tale invocabile in ogni rapporto contrattuale nel quale sia ravvisabile un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti (Cass. civ., Sez. Unite, 25-11-2011, n. 24906).

Sempre secondo la Corte di Cassazione, (Sez. III, 23-07-2014, n. 16787) il divieto di abuso di dipendenza economica costituisce peculiare applicazione di un principio generale che si vorrebbe caratterizzasse l'intero sistema dei rapporti di mercato. L'abuso di dipendenza economica di cui alla L. n. 192 del 1998, art. 9, può quindi venire in considerazione in un ambito più ampio di quello formato dalle parti del singolo contratto, per estendersi al rapporto commerciale più complesso in cui esso si inserisca, qualora proprio tramite un tale rapporto si realizzi l'abuso. In precedenza, la stessa Corte (Sez. Unite, 25 novembre 2011, n. 24906) aveva sottolineato che l'abuso di dipendenza economica di cui all'art. 9 della legge n. 192 del 1998 che si concretizza nell'eccessivo squilibrio di diritti e obblighi tra le parti nell'ambito di rapporti commerciali, presuppone che siffatti rapporti siano regolati da un contratto (tanto ciò è vero che il comma terzo del citato articolo statuisce la nullità del patto che realizza l'abuso di dipendenza economica).


Articolo 4
(Apporti originali e invenzioni del lavoratore)

 

L’articolo 4 conferisce al lavoratore autonomo i diritti di utilizzazione economica relativi ad apporti originali e invenzioni realizzati nell’esecuzione del contratto, facendo salva l’ipotesi in cui l’attività inventiva costituisca oggetto del contratto e a tale scopo sia compensata.

La disposizione estende dunque al lavoratore autonomo una disciplina già prevista nell’ordinamento – segnatamente dalla legge sul diritto d’autore e dal codice della proprietà industriale (di cui alla L. 633/1941, appositamente richiamati) per il lavoratore dipendente.

Ai sensi dell’articolo 2575 cc., formano oggetto del diritto d’autore tutte le opere dell’ ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. L’articolo 2577 cc. dispone che l'autore ha il diritto esclusivo di pubblicare l'opera e di utilizzarla economicamente in ogni forma e modo, nei limiti e per gli effetti fissati dalla legge. Il successivo articolo 2590 cc. dispone che il prestatore di lavoro ha diritto di essere riconosciuto autore dell'invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro (la giurisprudenza ha interpretato nel senso che il diritto del lavoratore dipendente, ivi sancito, non riguarda i profili di utilizzazione economica).

La legge sul diritto d’autore (legge n. 633 del 1944), pur non affermando un principio generale, valido per tutte le opere intellettuali, agli articoli 12-bis (software e banche dati), 12-ter (opera di disegno industriale) e 88 (opere fotografiche), riconosce al datore di lavoro la titolarità dei diritti esclusivi di utilizzazione economica dell'opera creata dal lavoratore dipendente nell'esercizio delle sue mansioni. I presupposti per tale attribuzione sono stati individuati dalla giurisprudenza nella creazione dell’opera da parte del lavoratore dipendente nell'esecuzione delle sue mansioni, o su istruzioni impartitegli dal datore di lavoro (cfr. Cassazione civ. Sez. lavoro, 17-09-2012, n. 15534).

Nei casi non espressamente normati dal legislatore è la giurisprudenza ad aver richiesto, ai fini dell’attribuzione al datore di lavoro anziché al lavoratore, dei diritti patrimoniali conseguenti ad una opera creativa tutelata dal diritto di autore di «verificare in modo rigoroso l'esistenza di uno stretto nesso di causalità fra l'attività dovuta e la creazione realizzata, accertando se questa costituisca o meno l'esito programmato della prima. Peraltro, qualora risulti che la prestazione è stata intesa dalle parti come funzionale ad uno specifico risultato (quale la realizzazione di un bene immateriale) considerato come la ragione stessa del rapporto, i diritti patrimoniali sono attribuiti totalmente al datore di lavoro, con la conseguenza che, ferma restando la piena libertà dispositiva delle parti, non sarà il datore di lavoro a dover provare quali diritti sono trasferiti, bensì il lavoratore a dover dimostrare che le parti, secondo quanto risulta dall'accordo, dal comportamento delle stesse o da un eventuale patto contrario, hanno inteso limitare l'attribuzione solo a talune facoltà patrimoniali» (Sez. Lav., sent. n. 12089 del 01-07-2004).

Il D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, relativamente alle invenzioni industriali, dispone, all’articolo 38, comma 3, che salvo patto contrario, la registrazione per disegni e modelli, che siano opera di dipendenti, in quanto tale opera rientri tra le loro mansioni, spetta al datore di lavoro, fermo restando il diritto del dipendente di essere riconosciuto come autore del disegno o modello e di fare inserire il suo nome nell'attestato di registrazione.

Mentre, l’articolo 64 del medesimo D.Lgs. 30/2005 (come modificato da ultimo dall’art. 37, comma 1 del D.Lgs. n. 131/2010), concernente le invenzioni dei dipendenti, dispone che quando l'invenzione industriale è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego, in cui l'attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall'invenzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all'inventore di esserne riconosciuto autore (comma 1).

Se non è prevista e stabilita una retribuzione, in compenso dell'attività inventiva, e l'invenzione è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, i diritti derivanti dall'invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all'inventore, salvo sempre il diritto di essere riconosciuto autore, spetta, qualora il datore di lavoro o suoi aventi causa ottengano il brevetto o utilizzino l'invenzione in regime di segretezza industriale, un equo premio per la determinare il quale si terrà conto dell'importanza dell'invenzione, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall'inventore, nonché del contributo che questi ha ricevuto dall'organizzazione del datore di lavoro (comma 2).

Se non ricorrono le condizioni sopra indicate e si tratti di invenzione industriale che rientri nel campo di attività del datore di lavoro, quest'ultimo ha il diritto di opzione per l'uso, esclusivo o non esclusivo, dell'invenzione o per l'acquisto del brevetto, nonché per la facoltà di chiedere od acquisire, per la medesima invenzione, brevetti all'estero verso corresponsione del canone o del prezzo, da fissarsi con deduzione di una somma corrispondente agli aiuti che l'inventore abbia comunque ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all'invenzione. Il datore di lavoro potrà esercitare il diritto di opzione entro tre mesi dalla data di ricevimento della comunicazione dell'avvenuto deposito della domanda di brevetto. I rapporti costituiti con l'esercizio dell'opzione si risolvono di diritto, ove non venga integralmente pagato alla scadenza il corrispettivo dovuto (comma 3).

Si considera fatta durante l'esecuzione del contratto o del rapporto di lavoro o d'impiego l'invenzione industriale per la quale sia chiesto il brevetto entro un anno da quando l'inventore ha lasciato l'azienda privata o l'amministrazione pubblica nel cui campo di attività l'invenzione rientra (comma 6).

 


Articolo 5
(Delega al Governo in materia di atti pubblici rimessi alle professioni organizzate in ordini o collegi)

 

Per finalità di semplificazione e di riduzione dei tempi di produzione degli atti pubblici, l'articolo 5 delega il Governo ad individuare categorie di atti pubblici che possono essere rimessi anche alle professioni organizzate in ordini o collegi (in relazione al carattere di terzietà di queste ultime).

 

Le professioni ordinistiche sono le professioni intellettuali il cui esercizio è riservato dalla legge a soggetti iscritti in appositi albi (tenuti dagli ordini professionali), subordinatamente al possesso di qualifiche professionali o all'accertamento delle specifiche professionalità. Come quelle ordinistiche, sono professioni regolamentate anche quelle per il cui esercizio è analogamente necessario l'iscrizione in  appositi albi ma che sono organizzate in collegi.

 

Tale affidamento sembra essere ricollegato, in particolare, all'attività di tali professionisti che non si esaurisce nel rapporto col cliente ma investe una dimensione pubblicistica connessa sia alla terzietà delle professioni, sia all'impatto sociale che l'attività professionale produce in relazione all'affidamento della tutela dei terzi e degli interessi generali coinvolti.

Nonostante la delega appaia coerente con le previsioni dell'art. 118 Cost., quarto comma, che - sulla base del principio di sussidiarietà – stabilisce che lo Stato, le regioni e le autonomie locali favoriscono l'autonoma iniziativa di cittadini singoli e associati per lo svolgimento di attività di interesse generale, va segnalato come, attualmente, ad esclusione dei notai, gli appartenenti alle professioni ordinistiche non hanno alcun potere generale di autentica o certificazione. In particolare, per quanto riguarda gli avvocati, le loro prerogative in tal senso incontrano una duplice limitazione: valgono soltanto per gli specifici atti previsti dalla legge, nonché per gli atti relativi a procedimenti in cui il professionista è rappresentante di una delle parti. In tal senso si ricordano il potere di autentica attribuito ai difensori dall'art. 16-bis, comma 9-bis del DL 179/2012 in materia di processo civile telematico. Il difensore, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore e il commissario giudiziale possono, infatti, autonomamente estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche di provvedimenti del giudice, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice presenti nel fascicolo informatico, attestandone la conformità all'originale. Il successivo art 16-decies dello stesso DL 179 (introdotto con il DL 83/2015) estende ai medesimi soggetti il potere di attestare la conformità di un atto processuale di parte o di un provvedimento del giudice formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, quando depositano con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine. La copia munita dell'attestazione di conformità equivale all'originale o alla copia conforme dell'atto o del provvedimento. Nel pignoramento mobiliare, sia presso il debitore che presso terzi, l'avvocato ha potere di attestazione della conformità all'originale delle copie del processo verbale, del titolo esecutivo e del precetto depositate dal creditore, con la nota d'iscrizione a ruolo, nella cancelleria del tribunale (art. 518, sesto comma e 553, quarto comma, c.p.c.). Analogo potere di attestazione di conformità è concesso all'avvocato per il deposito dell'atto di pignoramento e altri documenti nell'espropriazione immobiliare (art. 557, secondo comma, c.p.c.) In caso di notifica di atti a mezzo PEC è attribuito all'avvocato il potere di asseverazione di conformità all'originale dell'atto da notificare, nel caso il documento informatico sia stato ottenuto per scansione o copia per immagine da un originale analogico (art 3-bis, comma 2, L 53/1994); analogamente, quando non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell'atto notificato a norma dell'articolo 3-bis, l'avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte.

 

La delega (per la quale sono poste le clausole di invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica, in base al comma 2) dovrà essere esercitata entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge (e dunque entro il 14 giugno 2018) nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

     la concreta individuazione degli atti pubblici di cui è possibile la rimessione anche ai professionisti, in considerazione del carattere di terzietà della professione svolta (lett. a);

     la previsione di misure che garantiscano, anche quando gli atti pubblici sono rimessi a professionisti, il rispetto dei dati personali (lett. b);

     l’individuazione delle circostanze che possano determinare condizioni di conflitto di interessi nell’esercizio delle funzioni così rimesse ai professionisti (lett. c).

La procedura per l'esercizio della delega è specificamente disciplinata dal successivo articolo 16, cui si rinvia. Essa prevede, tra l'altro, la previa intesa in sede di Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali, il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari e la possibilità di adottare decreti legislativi correttivi entro dodici mesi dall'entrata in vigore del rispettivo decreto legislativo.

 

La certificazione energetica degli edifici  

Con riferimento alla certificazione energetica degli edifici, si ricorda che il D.Lgs 192/2005 (Attuazione della direttiva 2002/91/UE relativa al rendimento energetico nell'edilizia) ha disciplinato la metodologia per il calcolo delle prestazioni energetiche integrate degli edifici e ha stabilito (in attuazione dell'art. 7 della direttiva 2002/91/UE ora articolo 12 della Direttiva 2010/31/UE) i criteri generali per la certificazione energetica degli edifici, prevedendone l'obbligo per gli edifici di nuova costruzione.

In particolare il D.Lgs. n.192/2005 ha previsto che entro un anno dalla data della sua entrata in vigore (cioè entro l'8 ottobre 2006), gli edifici di nuova costruzione dovessero essere dotati, al termine della costruzione, di un attestato di certificazione energetica (per esso intendendosi ai sensi dell'art. 2, lett. d) del D.Lgs.192/2005 "il documento redatto nel rispetto delle norme del decreto, attestante la prestazione energetica ed eventualmente alcuni parametri energetici caratteristici dell'edificio". Tale definizione è stata abrogata successivamente dal D.L. n. 63/2013 che, come meglio si dirà (cfr. infra), ha introdotto, in luogo dell’ attestato di certificazione energetica, l'Attestato di Prestazione Energetica (APE).

Ai sensi del D.Lgs. n. 192/2005 (disciplina tutt'ora vigente) la certificazione, per gli appartamenti di un condominio, può basarsi, oltre che sulla valutazione dell'appartamento interessato, su una certificazione comune dell'intero edificio (per i condomini dotati di un impianto termico comune) o sulla valutazione di un altro appartamento rappresentativo del medesimo condominio e della medesima tipologia. L'attestato ha una validità massima di 10 anni dal rilascio e deve essere aggiornato ad ogni intervento di ristrutturazione modificante le prestazioni energetiche dell'edificio. L'attestato comprende i dati relativi all'efficienza energetica propri dell'edificio, i valori vigenti a norma di legge e valori di riferimento, che consentano ai cittadini di valutare e confrontare la prestazione energetica dell'edificio. E' inoltre corredato da suggerimenti in merito agli interventi più significativi ed economicamente convenienti per il miglioramento della prestazione energetica.

Con il decreto legislativo n. 311 del 2006, recante disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, l'obbligo della certificazione energetica è stato esteso gradualmente a tutti gli edifici preesistenti all'entrata in vigore del D.Lgs. 192/2005 (8 ottobre 2005), purché oggetto di compravendita o locazione, al fine di rendere il provvedimento maggiormente aderente alle disposizioni dell'articolo 7 della direttiva 2002/91/UE ora articolo 12 della Direttiva 2010/31/UE.

A partire dal 1° gennaio 2007, l'attestato di certificazione energetica è diventato prerequisito essenziale per accedere ad incentivi ed agevolazioni di qualsiasi natura destinati al miglioramento delle prestazioni energetiche – sia sgravi fiscali, sia contributi a carico di fondi pubblici o degli utenti – ed è stato reso obbligatorio per tutti gli edifici pubblici (o comunque in cui figura come committente un soggetto pubblico) in concomitanza con la stipula o il rinnovo dei contratti di gestione degli impianti termici o di climatizzazione, entro i primi sei mesi di vigenza contrattuale.

Il D.L.n. 63/2013, convertito nella Legge 3 agosto 2013, n.90, ha modificato i contenuti del D.Lgs.n. 192/2005, disponendo il passaggio dall'Attestato di Certificazione Energetica (ACE) all'Attestato di Prestazione Energetica (APE).

Il decreto interministeriale attuativo, D.M. del 26 giugno 2015, che ha sostituito il precedente D.M. 26 giugno 2009, è entrato in vigore dal 1° ottobre 2015.

L'APE è un certificato unico per tutto il territorio nazionale, basato su una metodologia di calcolo omogenea (articolo 1), al quale le Regioni dovranno adeguarsi entro due anni (articolo 3). Il nuovo APE deve contenere la prestazione energetica globale dell'edificio, sia in termini di energia primaria totale che di energia primaria non rinnovabile (articolo 4, comma 4, lettera a)); la qualità energetica del fabbricato, ai fini del contenimento dei consumi energetici per il riscaldamento e il raffrescamento (articolo 4, comma 4, lettera c)); i dati relativi all'uso di fonti rinnovabili (articolo 3, comma 1, lettera b)), le emissioni di anidride carbonica e l'energia esportata(articolo 4, comma 4, lettera e) ed f)).

L'indice di prestazione energetica globale, espresso in energia primaria non rinnovabile, determinerà la classe energetica dell'edificio[5] (articolo 4, comma 4, lettera b)).

Il decreto conferma che l'APE deve essere redatto da un certificatore energetico abilitato ai sensi del D.P.R. n.75 del 2013 (articolo 4, comma 1) e aggiunge che il certificatore che redige l'APE "deve effettuare almeno un sopralluogo presso l'edificio o l'unità immobiliare oggetto di attestazione, al fine di reperire e verificare i dati necessari alla sua predisposizione" (articolo 4, comma 6).

 

La certificazione della sicurezza degli edifici e il fascicolo del fabbricato

Per quanto riguarda la normativa in materia di sicurezza degli edifici, si osserva che la sicurezza di un edificio deve essere valutata in termini statici, in termini impiantistici, nonché in materia di prevenzione incendi.

Per quanto riguarda il primo aspetto, si ricorda che l'ordinanza n. 3274 del 2003 ha provveduto alla classificazione sismica dell'intero territorio nazionale in quattro zone a diversa pericolosità (a cui ha fatto seguito l'approvazione della "mappa di pericolosità sismica di riferimento a scala nazionale" operata con l'ordinanza n. 3519/2006), mentre il nuovo testo unico sulle norme tecniche delle costruzioni è stato approvato con il D.M. 14 gennaio 2008 (sostitutivo del precedente D.M. 14 settembre 2005) e la sua applicazione è divenuta obbligatoria dal 1° luglio 2009.

L’installazione degli impianti negli edifici è invece regolata dal D.M. Sviluppo economico 22 gennaio 2008, n. 37, mentre la disciplina in materia di prevenzione incendi è contenuta nel capo III del D.Lgs. 139/2006 e nel D.P.R. 151/2011 (e relativi provvedimenti di attuazione), che individuano le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi e disciplinano la verifica delle condizioni di sicurezza antincendio attribuite alla competenza del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

 

L’istituzione obbligatoria di un c.d. fascicolo del fabbricato, inteso come strumento di controllo permanente sulle condizioni di ogni fabbricato, è stata fino ad oggi disciplinata solamente dalla legislazione regionale.

A livello statale, nel corso delle passate legislature, le Commissioni parlamentari competenti hanno esaminato alcune proposte di legge, senza però mai terminarne l’esame[6].

A livello regionale, le prime esperienze sono state quelle delle regioni Lazio e Campania, che hanno introdotto norme sul fascicolo del fabbricato, rispettivamente, con la L.R. 31/2002 e con la L.R. 27/2002.

La legge della Regione Campania è stata però giudicata parzialmente incostituzionale dalla sentenza n. 315 del 28 ottobre 2003 della Corte costituzionale, in quanto, come ricordato dalla sentenza n. 312/2010, “ciò che nella richiamata decisione ha determinato la declaratoria di illegittimità costituzionale di alcune norme della citata legge regionale è stata la considerazione che le specifiche modalità di predisposizione e tenuta del registro fossero contrarie al generale canone di ragionevolezza, a cagione della eccessiva gravosità degli obblighi imposti ai proprietari e dei conseguenti oneri economici, nonché al principio di buon andamento della pubblica amministrazione, data la ritenuta intima contraddittorietà della imposta necessità di richiedere ad una pluralità di tecnici privati informazioni già in possesso delle competenti amministrazioni”.

Quanto alla legge della Regione Lazio, la sentenza del TAR Lazio n. 12320 del 2006 (confermata dall’ordinanza del Consiglio di Stato n. 1580 del 2007) ha annullato la delibera n. 27 del 24 febbraio 2004 del Comune di Roma istitutiva del fascicolo.

Successive disposizioni sono state adottate nell’ambito del c.d. Piano casa.

In particolare si ricorda l’art. 9 della L.R. Campania n. 19/2009, che ha condizionato l’efficacia delle istanze finalizzate ad ottenere i titoli abilitativi, alla valutazione della sicurezza dell’intero fabbricato oggetto di intervento. La questione di legittimità costituzionale relativa a tale disposizione è stata giudicata inammissibile dalla Corte costituzionale (sentenza n. 312/2010).

Altre disposizioni regionali relative al fascicolo del fabbricato, nelle regioni Emilia-Romagna, Puglia e Basilicata, sono state abrogate dalla normativa regionale successivamente emanata[7].


Articolo 6
(Sicurezza e protezione sociale dei professionisti iscritti a ordini o collegi e maternità e malattia per autonomi iscritti alla Gestione separata)

 

L'articolo 6 delega il Governo ad adottare provvedimenti aventi ad oggetto la sicurezza e protezione sociale delle professioni ordinistiche (comma 1), nonché la modifica dei requisiti delle indennità di maternità e di malattia per gli iscritti alla Gestione separata (comma 2).

La delega contenuta nel comma 1 è volta ad abilitare gli enti di previdenza di diritto privato, relativi a professionisti iscritti ad ordini o a collegi, ad attivare, anche in forma associata, ove autorizzati dagli organi di vigilanza, oltre a prestazioni complementari di tipo previdenziale e socio-sanitario, altre prestazioni sociali, finanziate da apposita contribuzione, con particolare riferimento agli iscritti che abbiano subìto una significativa riduzione del reddito professionale per ragioni non dipendenti dalla propria volontà o che siano stati colpiti da gravi patologie.

La delega di cui al comma 2 è diretta all’incremento delle prestazioni legate al versamento della contribuzione aggiuntiva per gli iscritti alla Gestione separata (non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali), attraverso una modifica dei requisiti per le indennità di maternità e di malattia dei medesimi iscritti.

Con riferimento all’indennità di maternità, i principi di delega prevedono:

§  l’incremento dell'attuale arco temporale di 12 mesi (precedenti il periodo oggetto della prestazione[8]) entro cui sia possibile considerare utile la contribuzione ai fini della sussistenza del requisito delle 3 mensilità di contribuzione;

§  l’introduzione di minimali e massimali per le suddette prestazioni.

La disciplina dell’indennità di maternità è contenuta nel DM 4 aprile 2002, che la riconosce, per i due mesi antecedenti ed i tre mesi successivi alla data del parto, alle lavoratrici iscritte alla gestione separata in favore delle quali, nei dodici mesi precedenti i due mesi anteriori alla data del parto, risultino attribuite almeno tre mensilità della contribuzione maggiorata (0,5%) prevista dal richiamato art. 59, c. 16, della legge n.449/1997. Tale indennità è determinata per ciascuna giornata del periodo indennizzabile in misura pari all'80 per cento di 1/365 del reddito, derivante da attività di collaborazione coordinata e continuativa o libero professionale, utile ai fini contributivi, per i dodici mesi precedenti l'inizio del periodo indennizzabile.

 

Con riferimento all’indennità di malattia, i principi di delega prevedono[9]:

§  l'incremento dell'ambito dei beneficiari, mediante l'inclusione anche di soggetti che superino l'attuale limite massimo di reddito individuale (relativo all'anno solare precedente l'inizio dell'evento), pari al 70 per cento del massimale di contribuzione pensionistica vigente nel sistema contributivo integrale;

§  l'eventuale introduzione dell'esclusione dell'indennità per i soli eventi di durata inferiore a tre giorni.

Si ricorda che, in base a quanto disposto dal D.M. 12 gennaio 2001, l'indennità di malattia per gli iscritti alla Gestione separata è riconosciuta per i casi di degenza ospedaliera e, in particolare, per ogni giornata di degenza presso strutture ospedaliere (pubbliche e private) accreditate dal Servizio sanitario nazionale ovvero di degenza, autorizzata o riconosciuta dal Servizio stesso, presso strutture ospedaliere estere.

Alla suddetta degenza ospedaliera Inoltre l’art. 8, c. 10, del provvedimento in esame equipara i periodi di malattia certificata come conseguente a trattamenti terapeutici di malattie oncologiche e i periodi di gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti o che comunque comportino un'inabilità lavorativa temporanea del 100%.

Tra  criteri di delega viene inoltre previsto un aumento dell'aliquota aggiuntiva a carico degli iscritti in via esclusiva alla Gestione separata in una misura possibilmente non superiore a 0,5 punti percentuali e comunque tale da non comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Si ricorda che l’articolo 59, comma 16, della L. 449/1997 ha istituito un'ulteriore aliquota contributiva dello 0,5% al fine di finanziare l'onere derivante dall'estensione agli iscritti alla gestione separata INPS delle tutele relative alla maternità, agli assegni al nucleo familiare e alla malattia in caso di degenza ospedaliera, demandandone la disciplina a successivi decreti interministeriali.

Entrambe le deleghe devono essere esercitate entro dodici mesi dall'entrata in vigore del provvedimento in esame.

Il comma 3 dispone che dall’attuazione dei decreti legislativi non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

La procedura per l'esercizio della delega è specificamente disciplinata dal successivo articolo 16. Essa prevede, che i decreti legislativi attuativi siano adottati su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (di concerto con i Ministri competenti), la previa intesa in sede di Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali, il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia (da esprimere entro 30 giorni dalla data di trasmissione degli schemi di decreto legislativo[10]) e per i profili finanziari e la possibilità di adottare decreti legislativi correttivi entro 12 mesi dall'entrata in vigore del rispettivo decreto legislativo.

 

Quadro della normativa vigente

Per quanto concerne gli enti gestori di forme di previdenza per i liberi professionisti, occorre ricordare che le Casse di previdenza cui sono iscritti coloro che esercitano attività professionali sono state privatizzate, dal 1° gennaio 1995, nell’ambito del riordino generale degli enti previdenziali disposto con l’articolo 1, commi da 32 a 38, della legge 24 dicembre 1993, n. 537.

In attuazione della delega è stato emanato il D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, che ha disposto la trasformazione in associazione o fondazione, con decorrenza dal 1° gennaio 1995, dei seguenti enti:

-    Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense;

-    Cassa di previdenza tra dottori commercialisti;

-    Cassa nazionale previdenza e assistenza geometri;

-    Cassa nazionale previdenza e assistenza architetti ed ingegneri liberi professionisti;

-    Cassa nazionale del notariato;

-    Cassa nazionale previdenza e assistenza ragionieri e periti commerciali;

-    Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio (ENASARCO);

-    Ente nazionale di previdenza e assistenza consulenti del lavoro (ENPACL);

-    Ente nazionale di previdenza e assistenza medici (ENPAM);

-    Ente nazionale di previdenza e assistenza farmacisti (ENPAF);

-    Ente nazionale di previdenza e assistenza veterinari (ENPAV);

-    Ente nazionale di previdenza e assistenza per gli impiegati dell'agricoltura (ENPAIA);

-    Fondo di previdenza per gli impiegati delle imprese di spedizione e agenzie marittime (FASC);

-    Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (INPGI);

-    Opera nazionale assistenza orfani sanitari italiani (ONAOSI);

-    Istituto Nazionale di Previdenza per i Dirigenti di Aziende Industriali (INPDAI).

 

Successivamente, il comma 25 dell’articolo 2 della L. 8 agosto 1995, n. 335 ha delegato il Governo ad emanare norme volte ad assicurare la tutela previdenziale in favore dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione, senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio è subordinato all'iscrizione ad appositi albi o elenchi.

In attuazione di tale delega è stato emanato il D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103, che ha assicurato, a decorrere dal 1° gennaio 1996, la tutela previdenziale per i richiamati soggetti.

In attuazione del D.Lgs. 103/1996 sono stati istituiti i seguenti enti privatizzati:

-    Ente nazionale di previdenza e assistenza psicologi (ENPAP);

-    Ente nazionale di previdenza e assistenza periti industriali (EPPI);

-    Ente nazionale di previdenza e assistenza infermieri professionali, assistenti sanitari e vigilatrici d’infanzia (IPASVI);

-    Ente nazionale di previdenza e assistenza biologi (ENPAB);

-    Ente nazionale di previdenza e assistenza pluricategoriale per agronomi forestali, attuari, chimici e geologi (EPAB).

 

Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. 509/1994, le associazioni o le fondazioni hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei princìpi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell'attività svolta.

L’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. 103/1996 ha disposto l’applicazione, per gli enti privatizzati, indipendentemente dalla forma gestoria prescelta, del sistema di calcolo contributivo, con aliquota di finanziamento non inferiore a quella di computo, e secondo specifiche modalità attuative.

In merito alla contribuzione, si ricorda che il contributo posto a carico di ciascun iscritto alla Cassa previdenziale, di norma, è composto:

-    da un contributo soggettivo, la cui misura è legata principalmente al reddito dell’iscritto;

-    da un contributo integrativo, la cui misura è autonomamente stabilita con apposite delibere di ciascuna Cassa, approvate dai Ministeri vigilanti e deve essere compresa tra il 2 il 5 per cento del fatturato lordo[11];

-    dal contributo di maternità, in genere determinato in misura fissa;

-    da un contributo di solidarietà, riconosciuto solamente da alcune Casse.

 

Le Casse, inoltre, possono concedere agli iscritti (colpiti da infortunio o malattia o da eventi di particolare gravità e che versino in precarie condizioni economiche, ai superstiti che si trovino in particolari condizioni di bisogno ed ai loro familiari) un'indennità una tantum o provvidenze a carattere continuativo[12].


Articolo 7
(Stabilizzazione ed estensione DIS-COLL)

L’articolo 7 rende permanente l'istituto, finora sperimentale, della DIS-COLL, l'indennità di disoccupazione riconosciuta ai lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, iscritti in via esclusiva alla cosiddetta Gestione separata INPS (non pensionati e privi di partita IVA) che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione.

     Più nel dettaglio, il comma 1 (attraverso l’introduzione dei nuovi commi da 15-bis a 15-quater all’art. 15 del D.Lgs. 22/2015), oltre a mettere a regime la suddetta indennità, riconoscendola per gli eventi di disoccupazione involontaria verificatisi a decorrere dal 1º luglio 2017, la estende anche agli assegnisti e ai dottorandi di ricerca con borsa di studio (in relazione ai medesimi eventi). Inoltre, sempre a decorrere dal 1º luglio 2017, per i collaboratori, gli assegnisti e i dottorandi di ricerca con borsa di studio che hanno diritto alla DIS-COLL, nonché per gli amministratori e i sindaci (che restano esclusi dall’applicazione dell’istituto), è dovuta un'aliquota contributiva pari allo 0,51 per cento (nuovo comma 15-bis).

     Alla copertura degli oneri che derivano dalla suddetta stabilizzazione ed estensione della DIS-COLL (pari a 14,4 milioni di euro per il 2017, 39 milioni di euro per il 2018, 39,6 milioni di euro per il 2019, 40,2 milioni di euro per il 2020, 40,8 milioni di euro per il 2021, 41,4 milioni di euro per il 2022, 42 milioni di euro per il 2023, 42,7 milioni di euro per il 2024, 43,3 milioni di euro per il 2025 e 44 milioni di euro annui a decorrere dal 2026) si provvede mediante l'utilizzo delle maggiori entrate derivanti dall'incremento della suddetta aliquota contributiva (nuovo comma 15-ter).

     Infine, l'INPS trasmette tempestivamente al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze i dati relativi all'andamento delle entrate contributive e del costo della suddetta prestazione, ai fini di una eventuale revisione della aliquota contributiva in caso di scostamenti della spesa rispetto alle entrate contributive (nuovo comma 15-quater).

Istituita dall’articolo 15 del D.Lgs. 22/2015 in via sperimentale per il 2015 e in relazione ai nuovi eventi di disoccupazione involontaria verificatisi nel corso del medesimo anno[13], la DIS-COLL è un’indennità di disoccupazione mensile riconosciuta ai collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, con esclusione degli amministratori e dei sindaci, iscritti in via esclusiva alla gestione separata dell’INPS, che non siano pensionati o titolari di partita IVA. I requisiti che i lavoratori debbono possedere per il riconoscimento delle indennità sono: stato di disoccupazione al momento della presentazione della domanda; almeno 3 mesi di contribuzione nel periodo intercorrente tra il 1° gennaio dell’anno solare precedente la cessazione dell’attività lavorativa e la cessazione dell’attività stessa; almeno un mese di contribuzione, oppure un rapporto di collaborazione di durata almeno pari a un mese dal quale sia derivato un reddito almeno pari alla metà dell’importo che dà diritto all’accredito di un mese di contribuzione, nell’anno solare in cui si verifica la cessazione dell’attività lavorativa. L’indennità (che spetta a decorrere dall’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro o, nel caso in cui la domanda sia presentata successivamente a tale data, dal primo giorno successivo alla data di presentazione della domanda) è rapportata al reddito imponibile ai fini previdenziali derivante da rapporti di collaborazione dell’anno in cui si è verificata la cessazione dell’attività lavorativa e dell’anno solare precedente, diviso per il numero di mesi di contribuzione (o frazioni di essi) ed è pari al 75% del reddito medio mensile così calcolato. L’indennità non può in ogni caso superare l’importo massimo mensile di 1.300 euro nel 2015. A decorrere dal primo giorno del quarto mese di fruizione dell’indennità è ridotta progressivamente nella misura del 3% al mese. L’indennità è corrisposta mensilmente per un numero di mesi pari alla metà dei mesi di contribuzione versata nel periodo intercorrente tra il 1° gennaio dell’anno solare precedente la cessazione dell’attività lavorativa e la cessazione dell’attività stessa; in ogni caso, la durata massima dell’indennità non può superare i sei mesi. Per i periodi di fruizione dell’indennità non sono riconosciuti i contributi figurativi.

Si ricorda, infine, che ai sensi dell’articolo 21 del D.Lgs. 150/2015 la domanda per beneficiare della DIS-COLL equivale a dichiarazione di immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa; inoltre i beneficiari di DIS-COLL ancora privi di occupazione devono essere convocati dalla sede competente, entro 30 giorni dalla data di decorrenza della prestazione, per la stipulazione del Patto di servizio personalizzato, al quale poi devono attenersi.

 

 

 

 

 

 

 


Articolo 8
(Disposizioni fiscali e sociali)

 

L’articolo 8 detta una serie di disposizioni di carattere fiscale e sociale.

 

Il comma 1 interviene sulla disciplina delle deduzioni dal reddito di lavoro autonomo, prevedendo che tutte le spese (vitto, alloggio, viaggio, trasporto, ecc.) relative all’esecuzione dell’incarico di lavoro conferito e sostenute direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista. Pertanto i valori corrispondenti a tali spese sono irrilevanti per il professionista; i costi sono deducibili per il committente in base alle ordinarie regole applicabili alla categoria di reddito.

Si prevede, inoltre, che le spese di vitto e di alloggio sostenute dal lavoratore autonomo nell’esercizio dell’incarico e addebitate analiticamente al committente non sono sottoposte alle soglie di deducibilità ordinariamente previste (limite di deducibilità del 75%, nel limite del 2% del reddito di lavoro autonomo professionale).

In particolare, il comma 1 interviene sulla determinazione del reddito di lavoro autonomo, sostituendo il secondo periodo dell’art. 54, comma 5, del TUIR (D.P.R. n. 917 del 1986) riguardante il trattamento fiscale delle spese di vitto e alloggio sostenute direttamente dal committente.

 

Si ricorda che la disposizione in esame è stata oggetto di recenti interventi da parte del legislatore. In particolare con l’articolo 10 del D.Lgs. 175/2014 (semplificazioni fiscali e dichiarazione precompilata, in attuazione della delega fiscale) è stato previsto che le prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande (vitto e alloggio) acquistate direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista. Con tale norma è stato sostituito il precedente sistema con il quale si richiedeva, ai fini della deducibilità, la fatturazione delle prestazioni da parte del professionista e la sua consegna al committente.

 

Come chiarito dall’Agenzia delle entrate nella circolare 31/E del 2014 a seguito della novità normativa il committente riceve da colui che presta il servizio alberghiero o di ristorazione il documento fiscale a lui intestato con l’esplicito riferimento al professionista che ha fruito del servizio. Il committente non è più tenuto a comunicare al professionista l’ammontare della spesa effettivamente sostenuta e non deve inviargli copia della relativa documentazione fiscale (in quanto tali costi non saranno inclusi nella parcella). Il costo è deducibile per il committente in base alle ordinarie regole applicabili alla propria categoria di reddito (lavoro autonomo o impresa). Il professionista emette la parcella non comprendendo le spese sostenute dal committente per l’acquisto di prestazioni alberghiere e per la somministrazione di alimenti e bevande e considera non deducibili le spese sostenute dal committente per l’acquisto di prestazioni alberghiere e per la somministrazione di alimenti e bevande.

Con l’articolo 7-quater del D.L. 193/2016 tale meccanismo è stato esteso anche alle prestazioni di viaggio e trasporto acquistate direttamente dal committente.

 

Lo stesso comma, inoltre, estende a tutte le spese relative all’esecuzione di un incarico conferito e sostenute direttamente dal committente il criterio secondo cui esse non costituiscono compensi in natura per il professionista.

Inoltre si prevede che le spese di vitto e di alloggio sostenute dal lavoratore autonomo nell’esercizio dell’incarico e addebitate analiticamente al committente non sono sottoposte alle soglie di deducibilità ordinariamente previste (limite di deducibilità del 75 per cento, nel limite del 2 per cento del reddito di lavoro autonomo professionale).

 

Al riguardo si rammenta che, come chiarito dalla citata circolare n. 31/E del 2014, la modifica normativa in esame, stabilendo l’irrilevanza quale compenso in natura delle prestazioni e somministrazioni acquistate dal committente, è diretta a semplificare gli adempimenti in precedenza previsti per dare piena rilevanza fiscale per il professionista delle spese alberghiere e per la somministrazione di alimenti e bevande, ma non comporta, per il committente, un trattamento fiscale delle spese in questione peggiorativo rispetto a quello applicabile prima della modifica stessa. Per tale motivo il suddetto limite di deducibilità del 75 per cento  non opera per il committente per le spese sostenute per l’acquisto di prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande, di cui sono beneficiari i professionisti nel contesto di una prestazione di servizi resa al committente, imprenditore o lavoratore autonomo. La circolare richiedeva che fosse dimostrabile l’inerenza della spesa rispetto all’attività del committente, l’effettività della stessa e che dalla documentazione fiscale risultassero gli estremi del professionista o dei professionisti che hanno fruito delle prestazioni e somministrazioni. Tali requisiti sono ricavabili dal fatto che le spese devono essere addebitate analiticamente al committente.

 

Il comma 2 prevede la decorrenza della disposizione sopra descritta e di quella prevista dall’articolo 9, comma 1, in tema di deducibilità delle spese di formazione e accesso alla formazione permanente, a partire dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2017.

 

Il comma 3 provvede alla copertura finanziari dei maggiori oneri derivanti dalla disposizione introdotta dal comma 1 (minori entrate valutate in 3 milioni di euro per l'anno 2018 e in 1,8 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2019), mediante il richiamo a quanto stabilito dall’articolo 25, comma 3.

 

I commi da 4 a 8 modificano, dal 2017, la disciplina del congedo parentale per le lavoratrici ed i lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata I.N.P.S., non iscritti ad altra forma pensionistica obbligatoria né titolari di trattamento pensionistico.

Le disposizioni, estendendo la durata del congedo parentale e l’arco temporale entro il quale esso può essere fruito, prevedono, in particolare:

·      il prolungamento della durata del congedo parentale da 3 mesi (come precedentemente previsto[14]) a 6 mesi (comma 4);

·      la possibilità di fruire del congedo parentale non solo entro il primo anno di vita del bambino (come precedentemente previsto[15]), ma fino al terzo anno di vita del bambino (comma 4);

·      l’introduzione di un tetto massimo di 6 mesi di congedo complessivamente fruibile dai genitori (anche se fruiti in altra gestione o cassa di previdenza) (comma 4);

·      il trattamento economico per i congedi parentali fruiti entro i primi tre anni di vita del bambino è corrisposto a condizione che si rispetti il requisito contributivo previsto dalla normativa vigente[16] ed è calcolato per ciascuna giornata del periodo indennizzabile, in misura pari al 30 per cento del reddito di lavoro relativo alla predetta contribuzione (comma 5);

·      l’introduzione della previsione secondo cui Il trattamento economico per i periodi di congedo parentale fruiti, entro il primo anno di vita del bambino è corrisposto a prescindere dal predetto requisito contributivo, anche alle lavoratrici ed ai lavoratori iscritti alla Gestione separata (aventi le caratteristiche sopra elencate) che abbiano titolo all'indennità di maternità o paternità. In tal caso l'indennità è calcolata come previsto anche dalla normativa vigente, ossia in misura pari al 30 per cento del reddito preso a riferimento per la corresponsione dell'indennità di maternità o paternità (comma 6) [17];

·      l’applicazione delle nuova disciplina anche ai casi di adozione e affidamento preadottivo (comma 7)[18].

A seguito dell’introduzione dei suddetti commi 6 e 7, vengono contestualmente abrogati il settimo e l’ottavo periodo dell’art. 1, c. 788, della L. 296/2006 contenenti previsioni analoghe (comma 8).

 

Per i restanti profili restano ferme le disposizioni vigenti in ordine ai requisiti contributivi per l’accesso al beneficio (versamento di almeno 3 mensilità di contribuzione aggiuntiva dello 0,5% nei 12 mesi precedenti i due mesi antecedenti al parto[19]), nonché alla misura e alle modalità di calcolo dell’indennità (definite, rispettivamente, dall’articolo 1, comma 788, della legge n.296 del 2006 e dall’articolo 4, commi 2-3[20], del DM 4 aprile 2002).

Comma 9

 

Per una più ampia esposizione della normativa vigente in materia si rinvia all’apposito paragrafo nella presente scheda, nonché alla scheda di lettura relativa all’articolo 12.

 

Il comma 10 concerne l'indennità di malattia per gli iscritti Gestione separata I.N.P.S. e, ai fini della sua corresponsione, equipara alla degenza ospedaliera i periodi di malattia certificata come conseguente a trattamenti terapeutici di malattie oncologiche e i periodi di gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti o che comunque comportino un'inabilità lavorativa temporanea del 100%.

I commi 9 e 11 contengono la copertura degli oneri derivanti dalle predette disposizioni (per le quali si rinvia alla scheda di lettura relativa all’articolo 25, c. 3 del presente dossier).

 

Maternità e congedo parentale per gli iscritti alla Gestione separata INPS[21]

Aliquota contributiva

L’articolo 59, comma 16, della L. 449/1997 ha istituito un'ulteriore aliquota contributiva dello 0,5% al fine di finanziare l'onere derivante dall'estensione agli iscritti alla gestione separata INPS delle tutele relative alla maternità, agli assegni al nucleo familiare e alla malattia in caso di degenza ospedaliera, demandandone la disciplina a successivi decreti interministeriali.

L’articolo 80, comma 12, della L. 388/2000, con una disposizione di interpretazione autentica, ha chiarito che l’estensione delle tutela relativa alla maternità e agli assegni al nucleo familiare ai soggetti iscritti alla gestione separata INPS deve avvenire nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente.

 

Tutela relativa alla maternità ed agli assegni al nucleo familiare

Il D.M. 4 aprile 2002 riconosce alle madri lavoratrici tenute al versamento della contribuzione maggiorata dello 0,5%[22] (e a cui risultino attribuite almeno 3 mensilità della predetta contribuzione nei 12 mesi precedenti i 2 mesi anteriori alla data del parto) la corresponsione di un'indennità di maternità per i 2 mesi antecedenti la data del parto ed i 3 mesi successivi. Lo stesso diritto è riconosciuto (per 5 mesi e secondo specifiche modalità) in caso di adozione, nazionale o internazionale, e di affidamento preadottivo di un minore.

È inoltre riconosciuta un’indennità di paternità per il padre lavoratore iscritto alla Gestione separata INPS (sempre a condizione che nei 12 mesi precedenti i 2 mesi anteriori alla data del parto, risultino attribuite almeno 3 mensilità della richiamata contribuzione) per i 3 mesi successivi alla data effettiva del parto, o per il periodo residuo che sarebbe spettato alla lavoratrice madre, in caso di morte o grave infermità della madre o di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre. In caso di adozione o affidamento l'indennità spetta, sulla base degli stessi requisiti richiesti alle lavoratrici madri), anche in alternativa alla madre lavoratrice che non ne faccia richiesta.

L’indennità è determinata, per ciascuna giornata del periodo indennizzabile, in misura pari all'80% di 1/365 del reddito, derivante da attività di collaborazione coordinata e continuativa o libero professionale, utile ai fini contributivi, per i 12 mesi precedenti l'inizio del periodo indennizzabile. Il richiamato reddito è calcolato prendendo a riferimento, per ciascuno dei mesi d'interesse, 1/12 del reddito risultante dalla denuncia dei redditi da attività libero professionale relativa all'anno o agli anni in cui sono ricompresi i suddetti 12 mesi.

Successivamente, in materia di congedo parentale per gli iscritti alla gestione separata è intervenuto l’articolo 1, comma 788, della L. 296/2006, i cui periodi settimo ed ottavo sono abrogati dalla legge in commento.

 

Il congedo parentale per i lavoratori subordinati: quadro normativo

Per quanto concerne il lavoro subordinato, ai sensi dell’articolo 32 del D.Lgs. 151/2001 ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro nei primi 12 anni di vita del bambino, con un limite complessivo massimo di 10 mesi (lo stesso termine si applica anche in caso di adozione e affidamento).

Tale diritto spetta:

-    alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità (astensione obbligatoria), per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi;

-    al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi, elevabile a 7 mesi qualora usufruisca dell'astensione facoltativa per un periodo continuativo non inferiore a 3 mesi (in quest'ultimo caso, il periodo massimo utilizzabile da entrambi i genitori viene elevato a 11 mesi);

-    nel caso in cui vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 10 mesi.

L’articolo 34 del D.Lgs. 151/2001 riconosce alle lavoratrici e ai lavoratori, fino al sesto anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30% della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di 6 mesi.

Per i periodi di congedo parentale ulteriori è dovuta, fino all’ottavo anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30% della retribuzione, a condizione che il reddito individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria.


Articolo 9
(Deducibilità delle spese di formazione e accesso alla formazione permanente)

 

L’articolo 9, mediante la modifica dell’ultima parte dell’articolo 54, comma 5, del TUIR, dispone che sono integralmente deducibili ai fini Irpef dal reddito di lavoro autonomo, nel limite di 10.000 euro all’anno, le spese sostenute per l’iscrizione a master e a corsi di formazione o di aggiornamento professionale, nonché le spese di iscrizione a convegni e congressi, comprese quelle di viaggio e soggiorno.

Si ricorda che la norma previgente prevedeva la deducibilità nella misura del 50 per cento delle spese di partecipazione a convegni, congressi e simili o a corsi di aggiornamento professionale, incluse quelle di viaggio e soggiorno.

Sono integralmente deducibili, nel limite di 5.000 euro all’anno, le spese sostenute per i servizi personalizzati di certificazione delle competenze, orientamento, ricerca e sostegno all'auto-imprenditorialità, mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e appropriati in relazione alle condizioni del mercato del lavoro, erogati dagli organismi accreditati ai sensi della disciplina vigente.

Le spese in argomento sono quelle sostenute per il pagamento di servizi specialistici per il lavoro e le politiche attive del lavoro offerti dai soggetti accreditati di cui al D.Lgs. n. 150 del 2015 (agenzie del lavoro) e consistenti nell’assistenza prestata al lavoratore autonomo per il suo inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro.

Sono altresì integralmente deducibili (senza indicazione di limiti) gli oneri sostenuti per la garanzia contro il mancato pagamento delle prestazioni di lavoro autonomo fornita da forme assicurative o di solidarietà.

Si tratta di spese per il pagamento di premi per polizze assicurative facoltative contro il rischio del mancato pagamento delle prestazioni di lavoro autonomo.

 

Come previsto dall’articolo 8, comma 2, la presente disposizione si applica a partire dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2017.

 


Articolo 10
(Sportello per il lavoro autonomo)

 

L'articolo 10 dispone che i centri per l'impiego ed i soggetti autorizzati alle attività di intermediazione in materia di lavoro[23] si dotino, in ogni sede aperta al pubblico, di uno sportello dedicato al lavoro autonomo.

 

Compiti dello sportello del lavoro autonomo sono:

§  raccogliere le domande e le offerte di lavoro autonomo, consentendo l'accesso alle relative informazioni ai professionisti ed alle imprese che ne facciano richiesta;

§  fornisca indicazioni sulle procedure per l’avvio di attività autonome, per le eventuali trasformazioni e per l’accesso a commesse ed appalti pubblici;

§  fornire informazioni relative alle opportunità di credito ed alle agevolazioni pubbliche nazionali e locali.

 

Lo sportello del lavoro autonomo può essere costituito anche attraverso la stipula di convenzioni non onerose con:

§  gli ordini e i collegi professionali;

§  le associazioni delle professioni non organizzate in ordini o collegi e le associazioni che rappresentano forme aggregative delle suddette associazioni, costituite ai sensi dell’articolo 4, comma 1, e dell’articolo 5 della legge n. 4 del 2013[24];

§  le associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale dei lavoratori autonomi (ivi compresi i lavoratori autonomi appartenenti a categorie non organizzate mediante albi professionali).

 

L'elenco dei soggetti convenzionati è pubblicato sul sito internet dell'Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL[25]).

Si demanda, inoltre, ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, la definizione delle modalità di trasmissione all'ANPAL delle convenzioni e degli statuti dei soggetti convenzionati.

I centri per l'impiego, ai fini dello svolgimento delle proprie attività in favore di lavoratori autonomi disabili, si avvalgono dei servizi pubblici per l'inserimento lavorativo dei disabili di cui all'art. 6 della L. 12 marzo 1999, n. 68[26].


Articolo 11
(Semplificazione delle disposizioni sulla salute e sicurezza
degli studi professionali)

 

L'articolo 11, comma 1, delega il Governo al riassetto delle disposizioni vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori applicabili agli studi professionali (si suppone al fine di armonizzare la disciplina di tali studi alla normativa generale). La delega (per la quale, ai sensi del comma 2, sono poste specifiche clausole di invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica e delle amministrazioni interessate) deve essere esercitata mediante l’adozione, entro un anno dall'entrata in vigore del provvedimento in esame, di uno o più decreti legislativi, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:

§  individuazione delle misure di prevenzione e protezione idonee a garantire la tutela della salute e sicurezza delle persone che svolgono attività lavorativa negli studi professionali (con o senza retribuzione e anche al fine di apprendere un'arte un mestiere o una professione), previa identificazione delle condizioni in presenza delle quali i rischi per la salute e sicurezza negli studi professionali siano da equiparare a quelli nelle abitazioni (lettera a));

§  determinazione di misure tecniche ed amministrative di prevenzione compatibili con le caratteristiche gestionali ed organizzative degli studi professionali (lettera b));

§  semplificazione degli adempimenti meramente formali in materia di salute e sicurezza negli studi professionali, anche per mezzo di forme di unificazione documentale (lettera c));

§  riformulazione e razionalizzazione dell'apparato sanzionatorio, amministrativo e penale (per la violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro negli studi professionali), avuto riguardo ai poteri del soggetto contravventore e alla natura sostanziale o formale della violazione (lettera d)).

 

La procedura per l'esercizio della delega è specificamente disciplinata dal successivo articolo 16. Essa prevede, che i decreti legislativi attuativi siano adottati su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (di concerto con i Ministri competenti), la previa intesa in sede di Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali, il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia (da esprimere entro 30 giorni dalla data di trasmissione degli schemi di decreto legislativo[27]) e per i profili finanziari e la possibilità di adottare decreti legislativi correttivi entro 12 mesi dall'entrata in vigore del rispettivo decreto legislativo.

 

Si ricorda che ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 81/2008, è tenuto ad adempiere agli obblighi in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro il datore di lavoro, ossia il soggetto titolare (a seconda del tipo e dell’assetto organizzativo) della responsabilità dell’organizzazione. In caso di associazione professionale, tutti i titolari assumono quindi la veste di datore di lavoro. Allo stesso tempo, l’articolo 2, comma 1, lettera a), dello stesso D.Lgs. 81/2008, introducendo una nozione di lavoratore molto ampia, dispone che per lavoratore si debba intendere la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolga un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi[28].

In questo senso, i titolari di studi professionali che nelle loro strutture abbiano anche solo un praticante debbono assolvere gli obblighi richiesti dal D.Lgs. 81/2008.

Più specificamente, il titolare dello studio professionale che abbia al suo interno una struttura che impiega lavoratori (anche tirocinanti e/o stagisti) è tenuto a:

§  effettuare la valutazione dei rischi ed elaborare il documento di valutazione dei rischi (DVR)[29];

§  nominare il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione;

§  eleggere il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza;

§  nominare il Medico competente, nelle ipotesi di sorveglianza sanitaria;

§  definire gli adempimenti per la gestione delle emergenze e fornire adeguata formazione ed informazione dei dipendenti.

 


Articolo 12
(Partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici e ai bandi per l'assegnazione di incarichi e appalti privati)

 

L’articolo 12 contiene disposizioni volte a favorire la partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici per la prestazione di servizi e ai bandi per l’assegnazione di incarichi.

Il comma 1 prevede che le amministrazioni pubbliche promuovono, in qualità di stazioni appaltanti, la partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici per la prestazione di servizi o ai bandi per l’assegnazione di incarichi individuali di consulenza o ricerca, in particolare favorendo il loro accesso alle informazioni relative alle gare pubbliche, anche attraverso gli appositi sportelli costituiti presso i centri per l'impiego (ai sensi dell’articolo 10, comma 1), e la partecipazione alle procedure di aggiudicazione.

 

Il decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, che contiene la nuova disciplina in materia di contratti pubblici, ha recepito le direttive europee n. 23, n. 24 e n. 25 del 2014, rispettivamente riguardanti l’aggiudicazione delle concessioni e gli appalti nei settori ordinari e speciali, nonché ha riordinato complessivamente la relativa normativa.

Il Codice reca una serie di definizioni essenziali ai fini dell’applicazione della nuova disciplina, mutuate dalle direttive europee, tra le quali rileva – relativamente all’ambito soggettivo – quella di “operatore economico” in cui rientrano “una persona fisica o giuridica, un ente pubblico, un raggruppamento di tali persone o enti, compresa qualsiasi associazione temporanea di imprese, un ente senza personalità giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) costituito ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240, che offre sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi” (art. 3, comma 1, lettera p). Il Codice, all’articolo 45, precisa che rientrano nella definizione di operatori economici i seguenti soggetti: gli imprenditori individuali, anche artigiani, e le società, anche cooperative; i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro e i consorzi tra imprese artigiane; i consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile, tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro; i raggruppamenti temporanei di concorrenti; i consorzi ordinari di concorrenti di cui all'articolo 2602 del codice civile, anche in forma di società ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile; le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell'articolo 3, comma 4-ter, del decreto legge 10 febbraio 2009, n. 5; i soggetti che abbiano stipulato il contratto di gruppo europeo di interesse economico (GEIE).

Un esplicito riferimento ai professionisti si rinviene a proposito della partecipazione agli appalti di servizi di architettura e ingegneria (art. 46) laddove si fa riferimento, tra l’altro, ai professionisti singoli, associati, nonché alle società di professionisti “costituite esclusivamente tra professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, nelle forme delle società di persone di cui ai capi II, III e IV del titolo V del libro quinto del codice civile ovvero nella forma di società cooperativa di cui al capo I del titolo VI del libro quinto del codice civile, che svolgono per committenti privati e pubblici servizi di ingegneria e architettura quali studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di congruità tecnico economica o studi di impatto ambientale”.

I “servizi di architettura e ingegneria e gli altri servizi tecnici” sono, infatti, riservati ad operatori economici esercenti una professione regolamentata ai sensi dell'art. 3 della Direttiva 2005/36/CE, ossia “attività, o insieme di attività professionali, l'accesso alle quali e il cui esercizio, o una delle cui modalità di esercizio, sono subordinati direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali”.

Con il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 2 dicembre 2016, n. 263, sono stati definiti i requisiti che devono possedere gli operatori economici per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria, e sono stati individuati i criteri per garantire la presenza di giovani professionisti, in forma singola o associata, nei gruppi concorrenti ai bandi relativi a incarichi di progettazione, concorsi di progettazione e di idee, di cui le stazioni appaltanti tengono conto ai fini dell'aggiudicazione (art. 24, comma 5).

Nelle Linee guida n. 1 del 14 settembre 2016, recanti “Indirizzi generali sull’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria”, l’ANAC sottolinea che “il quadro normativo vigente non fornisce più indicazioni in ordine ai requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa in modo specifico per la partecipazione alle procedure di affidamento dei servizi di ingegneria e di architettura e gli altri servizi tecnici”. Tuttavia, l’ANAC tra i requisiti indicati prevede “per i professionisti singoli e associati, numero di unità minime di tecnici, in misura proporzionata alle unità stimate nel bando per lo svolgimento dell’incarico e, al massimo, non superiore al doppio, da raggiungere anche mediante la costituzione di un raggruppamento temporaneo di professionisti”.

 

Merita ricordare che, in materia di contratti pubblici, i criteri di selezione riguardano esclusivamente: i requisiti di idoneità professionale, la capacità economica e finanziaria e le capacità tecniche e professionali (art. 83, comma 1). Per gli appalti di servizi e forniture (art. 83, comma 4), ai fini della verifica del possesso dei requisiti di capacità economica e finanziaria, le stazioni appaltanti, nel bando di gara, possono richiedere:

a)  che gli operatori economici abbiano un fatturato minimo annuo, compreso un determinato fatturato minimo nel settore di attività oggetto dell'appalto;

b)  che gli operatori economici forniscano informazioni riguardo ai loro conti annuali che evidenzino in particolare i rapporti tra attività e passività;

c)  un livello adeguato di copertura assicurativa contro i rischi professionali.

 

Si tenga altresì presente che il Codice definisce come “attività di committenza ausiliarie” (art. 3, comma 1, lettera m)) le “attività che consistono nella prestazione di supporto alle attività di committenza anche nella forma della consulenza sullo svolgimento o sulla progettazione delle procedure di appalto” e che detta una specifica disciplina per le consultazioni preliminari di mercato (art. 66), che sono svolte prima dell'avvio di una procedura di appalto da parte delle amministrazioni aggiudicatrici e che consentono a quest’ultime di acquisire consulenze, relazioni o altra documentazione tecnica da parte di esperti, di partecipanti al mercato nel rispetto delle disposizioni stabilite nel medesimo codice, o da parte di autorità indipendenti.

 

La Corte dei conti (sezione Regione Liguria), nella deliberazione n. 79 del 2015, rileva, inoltre, che “il confine fra contratto d’opera intellettuale (artt. 2222 e 2229 del codice civile) e contratto d’appalto di servizi (art. 1665 del codice civile) è individuabile, in base al Codice civile, in base al carattere personale o intellettuale delle prestazioni, nel primo caso, ed alla natura imprenditoriale del soggetto esecutore, nel secondo… Il codice dei contratti pubblici (la determinazione fa riferimento al decreto legislativo n. 163 del 2006 abrogato dal citato decreto legislativo n. 50 del 2016) adotta certamente una nozione ampia di appalto di servizi, che comprende, in alcuni casi, anche l’attività del professionista intellettuale”. La Corte evidenzia che “la qualificazione di un rapporto negoziale in termini di contratto d’opera (o di opera intellettuale), di appalto di servizi o di altra forma di contratto di lavoro c.d. flessibile dipende dalla concreta regolamentazione della fattispecie negoziale e che il conferimento di un incarico di consulenza ad un professionista esterno, qualificabile in termini di contratto d’opera, di appalto di servizi, o in altra forma di contratto di lavoro c.d. flessibile, richiede il preventivo accertamento dei presupposti legislativi atti a dimostrare, tra l’altro, la carenza interna di professionalità…”.

 

Da ultimo, in merito al principio di accesso alle informazioni sulle gare pubbliche, il Codice dispone che tali atti devono essere pubblicati e aggiornati sul profilo del committente, nella sezione “Amministrazione trasparente”, con l'applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (recante la disciplina sul diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni). In tale ambito, al fine di non limitare la partecipazione degli operatori economici agli appalti pubblici, rileva inoltre quanto stabilito dall'articolo 30 del Codice, che specifica, al comma 2, che le stazioni appaltanti non possono limitare in alcun modo artificiosamente la concorrenza allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici, e, al comma 7, che i criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le MPMI (microimprese, piccole e medie imprese).

 

Il comma 2 equipara i lavoratori autonomi di cui al Capo I del provvedimento in esame[30] alle PMI ai fini dell'accesso ai piani operativi regionali e nazionali a valere sui fondi strutturali europei e, contestualmente, abroga il comma 821 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016 (L. n. 208/2015), il quale equipara i liberi professionisti alle PMI come esercenti attività economica ai fini dell’accesso ai Fondi strutturali europei (Fondi FSE e FESR) per il periodo 2014/2020.

 

Dunque, rispetto alla disciplina previgente, il comma 2:

·      elimina il vincolo temporale al periodo di programmazione 2014/2020 ai fini del riconoscimento del diritto di accesso ai Fondi UE;

·      supera, dal punto di vista soggettivo, il richiamo ai liberi professionisti (la cui definizione non trova sede nella disciplina vigente), e riconosce l’equiparazione alle PMI ad ogni forma di lavoro autonomo non imprenditoriale, come individuato dal provvedimento legislativo in esame.

 

Il vigente comma 821 della richiamata Legge di stabilità 2016 (L. 208/2015) dispone che i Piani operativi POR e PON dei fondi Fondo sociale europeo (FSE) e Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), rientranti nella Programmazione dei fondi strutturali europei 2014/2020, si intendono estesi anche ai liberi professionisti, in quanto equiparati alle PMI come esercenti attività economica, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, dalla Raccomandazione della Commissione europea 6 maggio 2003/361/CE e dal Regolamento UE n. 1303/2013, ed espressamente individuati, dalle Linee d'azione per le libere professioni, del Piano d'azione imprenditorialità 2020, come destinatari a tutti gli effetti dei fondi europei stanziati fino al 2020, sia diretti che erogati tramite Stati e regioni.

La Raccomandazione 6 maggio 2003, n. 2003/361/CE della Commissione UE relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese già considera (Allegato, Titolo I) all’articolo 1, impresa ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un'attività economica. In particolare sono considerate tali le entità che esercitano un'attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che esercitino un'attività economica.

Ai sensi dell’articolo 2 dell’Allegato sono micro, piccole e medie imprese quelle imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR o il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR. In particolare, si definisce piccola impresa un'impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR. È micro impresa un'impresa che occupa meno di 10 persone con un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR[31].

Il Regolamento UE n. 1303/2013[32] che disciplina – per il periodo 2014/2020 - i Fondi strutturali e di investimento europei (Fondi SIE) nell’ambito di un quadro strategico comune, definisce - ai fini delle disposizioni in esso contenute - PMI le microimprese, le piccole imprese o le medie imprese quali definite nella sopra citata Raccomandazione 2003/361/CE della Commissione (articolo 2, n. 28).

Si osserva che i Fondi strutturali – antecedentemente all’intervento legislativo previsto nella legge di stabilità 2016 - sono stati essenzialmente diretti a soggetti esercenti attività d’impresa che rientrano nei campi di intervento consentiti dai medesimi Fondi, campi individuati negli atti esecutivi del Quadro strategico comune dei Fondi SIE di cui al Regolamento UE n. 1303/2013.

Ciò non di meno, si consideri che alcune regioni – prima ancora dell’intervento contenuto nella legge di stabilità 2016 - hanno già consentito a professionisti la possibilità di accedere ai fondi stanziati dall’Unione Europea per le PMI, sulla base di taluni bandi già dalle stessi adottati, quali ad esempio la Regione Lombardia, con il Bando Start Restart regione Lombardia: la Giunta regionale ha adottato la delibera X/3960 del 31 luglio 2015 circa il Programma operativo regionale (Por) per il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) 2014-2020- la delibera dispone l’istituzione della “Linea Start e Restart”, volta a sostenere la nascita e lo sviluppo di nuovi soggetti imprenditoriali (imprese e liberi professionisti)[33].

Quanto al comma 821 della legge di stabilità 2016, che la disposizione qui in esame propone di abrogare e di sostituire, si evidenzia che l’Agenzia per la coesione territoriale – con nota n. 8321 del 10 ottobre 2016 – ha diramato una circolare applicativa.

La circolare è stata adottata a seguito di specifiche sollecitazioni da parte delle Autorità di Gestione (AdG) dei Programmi operativi (PO) cofinanziati dai Fondi Strutturali e di Investimento Europei (SIE). L’Agenzia ha dunque rilevato la necessità di fornire indicazioni utili a risolvere specifiche questioni sollevate dalla AdG per l’individuazione dei criteri per l'accesso dei liberi professionisti alle misure cofinanziate a valere sui predetti Fondi. L’Agenzia ha rilevato che il comma 821 “ha funzione di "chiarimento" circa il fatto che i liberi professionisti possono accedere alle misure previste dai POR e PON FSE e FESR, in quanto qualificati PMI ai sensi della Raccomandazione CE 2003/361/CE, del 6 maggio 2003.

 

Il comma 3, ai fini della partecipazione ai bandi e del concorso all’assegnazione di incarichi e appalti privati, consente ai soggetti che svolgono attività professionale di costituire reti, di partecipare a reti di imprese, sotto forma di reti miste, con accesso alle relative provvidenze, e di costituire consorzi stabili professionali.

 

 

In particolare, il comma 3 riconosce, ai soggetti che svolgono attività professionale a prescindere dalla forma giuridica rivestita, la possibilità:

§  di costituire reti di esercenti la professione estendendo ad essi la possibilità di partecipare a reti di imprese, in forma di reti miste, di cui all’articolo 3, comma 4-ter e seguenti del D.L. n. 5/2009, con accesso alle relative provvidenze (lettera a));

Il contratto di rete è stato istituito dall’articolo 3 del D.L. n. 5/2009 (convertito con modificazioni in legge n. 33/2009 e ss. mod.) con il fine di introdurre una modalità di aggregazione in grado di superare alcuni nodi strutturali del nostro sistema produttivo imputabili prevalentemente alle modeste dimensioni delle imprese italiane.

Il citato articolo 3, infatti, dispone al comma 4-ter, che con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese, ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso.

Il comma 3-quater dispone che “il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante”. L’iscrizione è funzionale alla fruibilità degli incentivi sottesi alle reti impresa.

In un parere (alla Camera di commercio di Crotone del 9 aprile 2015 - prot. n. 50217 relativo alla partecipazione di un soggetto non imprenditore al contratto di rete) il MISE ha precisato che attualmente la disciplina contenuta nell’articolo 3 del D.L. n. 5/2009 richiede il duplice requisito della natura imprenditoriale del partecipante al contratto di rete sia sotto il profilo sostanziale che formale (iscrizione dell’impresa nel registro delle imprese -sezione ordinaria o sezione speciale).

§  di costituire consorzi stabili professionali (lettera b));

Per quanto riguarda i consorzi stabili di società di professionisti, l’art. 46 include i medesimi consorzi stabili e i raggruppamenti temporanei tra gli operatori economici che possono partecipare alle procedure di affidamento dei servizi di architettura e ingegneria.

§  di costituire associazioni temporanee professionali, secondo la disciplina dell’art. 48 del Codice dei contratti pubblici, in quanto compatibile (lettera c)).

L'articolo 48 del Codice dei contratti pubblici disciplina i raggruppamenti temporanei e i consorzi ordinari di operatori economici provvedendo a distinguere le fattispecie di affidamento di lavori e di forniture e servizi. Nel raggruppamento di tipo verticale, un operatore economico realizza i lavori della categoria prevalente e gli altri mandanti i cd. lavori scorporabili non appartenenti alla categoria prevalente, mentre nel raggruppamento di tipo orizzontale gli operatori economici raggruppati realizzano i lavori della stessa categoria.


Articolo 13
(Indennità di maternità)

 

L’articolo 13 consente alle lavoratrici iscritte alla Gestione separata (e non iscritte ad altre forme obbligatorie) di fruire del trattamento di maternità a prescindere (per quanto concerne l'indennità di maternità spettante per i 2 mesi antecedenti la data del parto e per i 3 mesi successivi) dall’effettiva astensione dall'attività lavorativa.

In particolare, la disposizione (comma 1) modifica in tal senso l’articolo 64 del D.Lgs. 151/2001, il quale prevede che l’indennità di maternità spetta, nelle forme e modalità previste per le lavoratrici dipendenti (ossia con obbligo di astensione dal lavoro), anche alle lavoratrici iscritte alla Gestione separata INPS, non iscritte ad altre forme obbligatorie, e che alle stesse si applichi quanto previsto dall’articolo 59, comma 16, della L. 449/2007, secondo cui è dovuta una ulteriore aliquota contributiva pari allo 0,5% per il finanziamento dell'onere derivante dall'estensione ai soggetti iscritti alla gestione separata INPS (e non iscritti ad altre forme obbligatorie) della tutela relativa alla maternità, agli assegni al nucleo familiare e alla malattia in caso di degenza ospedaliera.

     Agli oneri derivanti dall'attuazione della richiamata disposizione, valutati in 10,7 milioni di euro per il 2017, 11,1 milioni di euro per il 2018, 11,3 milioni di euro per il 2019, 11,4 milioni di euro per il 2020, 11,9 milioni di euro per il 2021, 12 milioni di euro per il 2022, 12,3 milioni di euro per il 2023, 12,4 milioni di euro per il 2024 e 12,6 milioni di euro annui a decorrere dal 2025, si provvede (comma 2) ai sensi dell'articolo 25, comma 3 (alla cui scheda si rimanda).

La disciplina dell’indennità di maternità è contenuta nel DM 4 aprile 2002, che la riconosce, per i due mesi antecedenti ed i tre mesi successivi alla data del parto, alle lavoratrici iscritte alla gestione separata in favore delle quali, nei dodici mesi precedenti i due mesi anteriori alla data del parto, risultino attribuite almeno tre mensilità della contribuzione maggiorata (0,5%) prevista dal richiamato articolo 59, comma 16, della legge n.449/1997. Tale indennità è determinata per ciascuna giornata del periodo indennizzabile in misura pari all'80% di 1/365 del reddito, derivante da attività di collaborazione coordinata e continuativa o libero professionale, utile ai fini contributivi, per i dodici mesi precedenti l'inizio del periodo indennizzabile.

 

Per ulteriori approfondimenti sulla normativa in materia si rinvia alla scheda di lettura relativa all’articolo 8, commi da 4 a 11, del presente dossier.

 


Articolo 14
(Tutela della gravidanza, malattia e infortunio)

 

L’articolo 14 introduce una disciplina più favorevole per i lavoratori autonomi in caso di malattia, infortunio e gravidanza.

In pratica, si prevede:

§  che il rapporto di lavoro non si estingua in caso di gravidanza, malattia e infortunio dei lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il committente; fatto salvo il venir meno dell'interesse del committente, il lavoratore può richiedere la sospensione (senza diritto al corrispettivo) dell’esecuzione del rapporto di lavoro per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno solare (comma 1);

 

Sul punto, il comma in esame sembra riproporre una disciplina analoga a quella dettata dall’art. 66 del D.Lgs. 276/2003 (ora abrogato) nel caso di malattia, infortunio o gravidanza del collaboratore a progetto. Il richiamato art. 66 prevedeva, in caso di malattia o infortunio, che il rapporto contrattuale rimanesse sospeso (senza erogazione del corrispettivo) per un periodo non superiore ad un sesto della durata stabilita nel contratto, qualora la stessa fosse determinata, ovvero non superiore a trenta giorni, per i contratti di durata determinabile, mentre, in caso di gravidanza, che la durata del rapporto fosse prorogata per un periodo di centottanta giorni (salva disposizione più favorevole del contratto individuale). Tale disciplina è stata abrogata a seguito della soppressione dell'istituto del lavoro a progetto disposta dal D.Lgs. 151/2015 (attuativo della legge delega in materia di lavoro 183/2014, cd Jobs act).

 

§  che, previo consenso del committente, la lavoratrice autonoma in maternità possa essere sostituita, totalmente o parzialmente, dai suoi familiari, (individuati sulla base dell’articolo 230-bis c.c., ossia il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo), nonché dai soci, anche attraverso forme di compresenza della lavoratrice e del suo sostituto (comma 2);

 

La normativa vigente (art. 4, c. 5, D.Lgs. 151/2001) prevede la possibilità, per le aziende in cui operano lavoratrici autonome, di procedere, in caso di maternità delle suddette lavoratrici (e comunque entro il primo anno di età del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento), all'assunzione di personale a tempo determinato e di personale temporaneo, per un periodo massimo di dodici mesi. Si ricorda che nei suddetti casi all’azienda che impiega meno di 20 dipendenti è riconosciuto uno sgravio contributivo del 50%.

 

§  la sospensione del versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi in caso di malattia o infortunio di gravità tale da impedire lo svolgimento dell’attività lavorativa per oltre sessanta giorni; la sospensione opera per l'intera durata della malattia o dell'infortunio, fino ad un massimo di due anni, decorsi i quali il lavoratore è tenuto a versare i contributi e i premi maturati durante il periodo di sospensione in un numero di rate mensili pari a tre volte i mesi di sospensione (comma 3)[34];

 

§  che agli oneri derivanti dall'attuazione del precedente comma 3, valutati in 70.000 euro per l'anno 2017, si provveda (comma 4) ai sensi dell'articolo 25, comma 3 (alla cui scheda si rimanda).

 


Articolo 15
(Collaborazioni coordinate e continuative)

 

L’articolo 15 modifica alcune disposizioni del codice di procedura civile, in materia di collaborazioni coordinate e continuative.

In primo luogo si prevede la modifica dell’articolo 409, comma 1, numero 3), del codice di procedura civile, che individua i rapporti di lavoro in relazione ai quali si applica il rito speciale per le controversie in materia di lavoro. In particolare, la modifica è volta a precisare la definizione di collaborazione coordinata e continuativa (alla luce della nuova disciplina della materia introdotta dall’articolo 2 del decreto legislativo n.81 del 2015), specificando che la collaborazione si intende “coordinata” quando “nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo tra le parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa” (lettera a));

In secondo luogo si prevede la modifica dell’articolo 634, comma 2, del codice di procedura civile, che disciplina la prova scritta nel procedimento di ingiunzione, estendendone l’applicazione anche ai lavoratori autonomi non imprenditori (lettera b)).

Si ricorda che l’articolo 634, comma 2, del codice di procedura civile, stabilisce che per i crediti relativi a somministrazioni di merci e di danaro o a prestazioni di servizi “fatte da imprenditori che esercitano una attività commerciale” sono considerate prove scritte (idonee ai fini dell’ammissibilità della domanda di ingiunzione) anche agli estratti autentici delle scritture contabili, purché bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute, nonché agli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalla legislazione tributaria, purché siano tenute con l'osservanza delle norme stabilite per le medesime.

 

Le collaborazioni coordinate e continuative (co.co.co.): quadro normativo

L’attività di collaborazione coordinata e continuativa si riferisce a prestazioni d’opera prevalentemente personali, svolte senza vincolo di subordinazione in un rapporto unitario e continuativo, senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita.

Le collaborazioni coordinate e continuative, infatti, non rientrano nelle tradizionali tipologie del lavoro subordinato e di quello autonomo. Tali rapporti, pur non svolgendosi alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro (secondo la definizione del prestatore di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 c.c. ), hanno caratteristiche di continuità e di coordinamento rispetto alla complessiva attività del committente cui i lavoratori prestano la propria collaborazione. Allo stesso tempo, sono accomunati al lavoro autonomo da caratteristiche specifiche, quali la mancanza sia di un legame diretto tra retribuzione e disponibilità temporale del lavoratore, sia della tendenziale esclusività del rapporto.

Una prima disciplina organica delle collaborazioni è stata introdotta dal decreto legislativo n.276 del 2003[35] (in precedenza, infatti, le collaborazioni erano regolamentate solamente in relazione agli aspetti fiscali e previdenziali, mentre nessuna specifica disciplina era invece prevista sul piano del diritto del lavoro).

Da ultimo è intervenuto il decreto legislativo n.81 del 2015, che ha abrogato il decreto legislativo n.276 del 2003 e dettato una nuova disciplina della materia. In particolare, l’articolo 2 ha stabilito l’applicazione, dal 1° gennaio 2016 (con talune eccezioni specificamente individuate ), della disciplina del rapporto di lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione che si concretano in una prestazione di lavoro esclusivamente personale, continuativa  e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente , anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. Tali collaborazioni, quindi, vengono disciplinate dalle sole norme civilistiche. Si prevede inoltre che la citata disposizione non trovi applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni fino al completo riordino della disciplina dell’utilizzo dei contratti di lavoro flessibile da parte delle stesse. Dal 1° gennaio 2017, in ogni caso, è vietato alle pubbliche amministrazioni stipulare i richiamati contratti di collaborazione.

Da ultimo, l’articolo 2 del D.Lgs. 81/2015 ha stabilito l’applicazione, dal 1° gennaio 2016 (con talune eccezioni specificamente individuate[36]), della disciplina del rapporto di lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione che si concretano in una prestazione di lavoro esclusivamente personale, continuativa[37] e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente[38], anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. Tali collaborazioni, quindi, vengono disciplinate dalle sole norme civilistiche. Si prevede inoltre che la citata disposizione non trovi applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni fino al completo riordino della disciplina dell’utilizzo dei contratti di lavoro flessibile da parte delle stesse. Dal 1° gennaio 2017, in ogni caso, è vietato alle pubbliche amministrazioni stipulare i richiamati contratti di collaborazione.


Articolo 17
(Tavolo tecnico di confronto permanente sul lavoro autonomo)

 

L'articolo 17 istituisce presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un tavolo tecnico di confronto permanente sul lavoro autonomo, al fine di coordinare e di monitorare gli interventi in materia di lavoro autonomo. Il tavolo è composto da rappresentanti designati dal suddetto Ministero, nonché dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro e dalle associazioni di settore comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Compito del tavolo è formulare proposte e indirizzi operativi in materia di politiche del lavoro autonomo, con particolare riferimento ai modelli previdenziali e di welfare ed alla formazione professionale.

Capo II – Lavoro agile

Articolo 18
(Lavoro agile)

 

L’articolo 18 definisce il lavoro agile ed i suoi elementi costitutivi.

Più nel dettaglio, il lavoro agile, promosso allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione vita-lavoro, viene configurato non come una nuova tipologia contrattuale, ma come una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato” (comma 1):

·      stabilita mediante accordo tra le parti (anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro);

·      con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici (sul punto, il comma 2 prevede che il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa);

·      eseguita in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale (stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva).

La disciplina prevista per il lavoro agile dal Capo II si applica, in quanto compatibile e fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente previste, anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni[39], secondo le direttive emanate per la promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche (ex art. 14 della L. 124/2015[40]) (comma 3).

L’applicabilità degli incentivi (fiscali o contributivi) riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato è riconosciuta anche quando l'attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile (comma 4).

Infine, viene prevista una clausola di invarianza degli oneri di finanza pubblica, per cui agli adempimenti derivanti dall’articolo in esame si provvede senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente (comma 5).

 

Lavoro agile

Con il termine lavoro agile (o smart working) non si intende una tipologia contrattuale autonoma, ma ci si riferisce ad una particolare modalità di esecuzione del lavoro, consistente in una prestazione di lavoro subordinato che si svolge al di fuori dei locali aziendali, basata su una flessibilità di orari e di sede, caratterizzata principalmente da una maggiore utilizzazione degli strumenti informatici e telematici e delle possibilità tecnologiche esistenti, nonché dall'assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti al di fuori dei locali aziendali. Il lavoro agile rappresenta una evoluzione del telelavoro, ma se ne differenzia in quanto caratterizzato da una maggiore flessibilità di tempi e luoghi.

Attualmente, la modalità di lavoro agile non è oggetto di una disciplina organica, ma è tuttavia richiamato (utilizzando formule diverse) in alcune disposizioni legislative.

Per il settore pubblico, si ricorda l'articolo 14 della L. 124/2015 (di riforma della Pubblica amministrazione), che detta norme volte a favorire e promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche. In particolare, si dispone che le amministrazioni pubbliche adottino misure organizzative per l'attuazione del telelavoro e di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa, anche al fine di tutelare le cure parentali.

Si segnala, inoltre, che l'articolo 1, comma 204, della L. 208/2015 (Stabilità 2016) ha istituito, nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un Fondo per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e l'articolazione flessibile, con riferimento ai tempi e ai luoghi, del lavoro subordinato a tempo indeterminato, con una dotazione di 10 milioni di euro per il 2016 e di 50 milioni di euro annui a decorrere dal 2017.

Infine, per quanto concerne la disciplina contrattuale dello smart working, si segnala l’ampio studio[41] realizzato da ADAPT (del 2016) dal quale emerge che si tratta di un fenomeno ancora assai limitato. Nell’ambito di un campione di 915 contratti aziendali, infatti, ne sono stati individuati solo 8 aventi al proprio interno clausole volte a disciplinare lo smart working (di cui 5 nel settore bancario/assicurativo, 1 nel settore alimentare, 1 nel settore metalmeccanico e 1 nel settore energia/petrolio).

 


Articoli 19 e 21
(Modalità di svolgimento e recesso)

 

Gli articoli 19 e 21 dispongono che lo svolgimento dell’attività lavorativa in modalità di lavoro agile deve essere disciplinata da un apposito accordo, specificandone forma, contenuto e modalità di recesso.

 

Forma e contenuto dell’accordo (articoli 19, comma 1, e 21)

Per quanto concerne la forma dell’accordo relativo alla modalità di lavoro agile, si dispone che lo stesso sia stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova (articolo 19, comma 1).

Per quanto riguarda il contenuto dell’accordo, questo deve contenere:

§  la disciplina dell’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore (articolo 19, comma 1);

§  con riferimento alle prestazioni svolte al di fuori dei locali aziendali, la disciplina dell’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 4 della L. 300/1970[42] (articolo 21, comma 1), nonché l’individuazione delle condotte che danno luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari (articolo 21, comma 2);

§  la disciplina dei tempi di riposo del lavoratore, nonché le misure (tecniche ed organizzative) necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro (articolo 19, comma 1).

 

Recesso (articolo 19, comma 2)

L’accordo sul lavoro agile può essere a tempo determinato o indeterminato.

Nel caso di accordo a tempo indeterminato, per il recesso (dalla modalità di lavoro agile e non dal rapporto di lavoro in quanto tale) è richiesto un preavviso non inferiore a 30 giorni; il termine di preavviso è elevato a 90 giorni nel caso in cui il recesso da parte del datore di lavoro riguardi un rapporto di lavoro agile con un lavoratore disabile (per consentirgli un'adeguata riorganizzazione del proprio percorso lavorativo in relazione alle esigenze di vita e di cura).

La presenza di un giustificato motivo consente di recedere senza preavviso nell’accordo a tempo indeterminato e prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato.

 


Articolo 20
(Trattamento economico e normativo)

L’articolo 20 disciplina il trattamento economico e normativo del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile.

In particolare, il lavoratore ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore, in attuazione dei contratti collettivi di cui all’articolo 51 del D.Lgs. 81/2015[43], a quello riconosciuto ai lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda (comma 1).

Inoltre, nell’ambito dell’accordo di lavoro agile, al lavoratore può essere riconosciuto (nell’ambito dell’accordo di cui al precedente articolo 19) il diritto all’apprendimento permanente[44], in modalità formali, non formali o informali, e alla periodica certificazione delle competenze[45] (comma 2).

 


Articolo 22
(Sicurezza sul lavoro)

 

L’articolo 22 definisce gli obblighi del datore di lavoro e del lavoratore in materia di sicurezza sul lavoro nel caso di svolgimento della prestazione in modalità di lavoro agile.

Il datore di lavoro, al fine di garantire la salute e sicurezza del lavoratore, consegna a quest’ultimo e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta in cui sono individuati i rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro (comma 1).

Al riguardo merita ricordare che, ai sensi della normativa vigente, tra gli obblighi del datore di lavoro rientrano anche quelli di informazione e formazione, previsti dagli articoli 36 e 37 del D.Lgs. 81/2008 (che non vengono modificati dall’articolo in esame) i quali riguardano tutti i lavoratori dipendenti, compresi quelli a domicilio (art. 3 del citato D.Lgs. 81/2008). In particolare:

§  vengono elencati gli obblighi di informazione del datore di lavoro disponendo, tra l’altro, che il contenuto della informazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le relative conoscenze (se l’informazione riguarda lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione della lingua utilizzata nel percorso informativo) (art. 36);

§  viene disciplinata la formazione dei lavoratori e delle loro rappresentanze, stabilendo che il datore di assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche (art. 37).

Nel caso di violazione dei suddetti obblighi, l’art. 55, c. 5, lett. c), del D.Lgs. 81/2008 prevede che siano comminate delle sanzioni[46] al datore di lavoro, commisurate al numero di lavoratori impiegati.

Il lavoratore deve cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all'esecuzione della prestazione all'esterno dei locali aziendali (comma 2).


Articolo 23
(Tutela contro infortuni sul lavoro e malattie professionali)

 

L’articolo 23 disciplina il diritto del lavoratore agile alla tutela contro gli infortuni (anche in itinere) e le malattie professionali.

Viene innanzitutto disposto che l'accordo per lo svolgimento dell’attività lavorativa in modalità di lavoro agile e le sue modificazioni rientrano tra gli atti soggetti da comunicare obbligatoriamente al Centro per l’impiego territorialmente competente (comma 1).

La disposizione richiama l’art. 9-bis del D.L. 510/1996, il quale dispone che, in caso di instaurazione del rapporto di lavoro subordinato e di lavoro autonomo in forma coordinata e continuativa (anche nella modalità a progetto), di socio lavoratore di cooperativa e di associato in partecipazione con apporto lavorativo, i datori di lavoro privati e gli enti pubblici economici sono tenuti a darne comunicazione al Servizio territorialmente competente entro il giorno antecedente quello di instaurazione dei relativi rapporti. La comunicazione deve indicare i dati anagrafici del lavoratore, la data di assunzione, la data di cessazione qualora il rapporto non sia a tempo indeterminato, la tipologia contrattuale, la qualifica professionale e il trattamento economico e normativo applicato (nei settori agricolo, turistico e dei pubblici esercizi il datore di lavoro che non sia in possesso di uno o più dati anagrafici inerenti al lavoratore può integrare la comunicazione entro il terzo giorno successivo a quello dell'instaurazione del rapporto di lavoro, purché dalla comunicazione preventiva risultino in maniera inequivocabile la tipologia contrattuale e l'identificazione del prestatore di lavoro). La medesima procedura si applica ai tirocini di formazione e di orientamento e ad ogni altro tipo di esperienza lavorativa ad essi assimilata.

Le Agenzie di lavoro autorizzate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali devono comunicare, entro il ventesimo giorno del mese successivo alla data di assunzione, al Servizio territorialmente competente, l'assunzione, la proroga e la cessazione dei lavoratori temporanei assunti nel mese precedente. Anche le pubbliche amministrazioni sono tenute a comunicare, entro il ventesimo giorno del mese successivo alla data di assunzione, di proroga, di trasformazione e di cessazione, al servizio territorialmente competente, l'assunzione, la proroga, la trasformazione e la cessazione dei rapporti di lavoro relativi al mese precedente.

Si ricorda che sulla materia è intervenuto anche l’articolo 4-bis del D. Lgs. 181/2000, che dispone, tra l’altro, che all'atto dell'instaurazione del rapporto di lavoro, prima dell'inizio della attività di lavoro, i datori di lavoro privati, sono tenuti a consegnare ai lavoratori una copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro

Da ultimo, allo scopo di semplificare gli adempimenti per i datori di lavoro, l’articolo 13, c. 4, del D.Lgs. 150/2015 ha disposto che le comunicazioni previste dai richiamati artt. 9-bis del D.L. 510/1996 e 4-bis del D.Lgs. 181/2000 (nonché quelle previste dall’art. 11 del D.P.R. 231/2006, sulle assunzioni della gente di mare, e dall’art. 21 della L. 264/1949, riguardanti determinate cessazioni di rapporti di lavoro) sono comunicate per via telematica all'ANPAL che le mette a disposizione dei centri per l'impiego, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'INPS, dell'INAIL e dell'Ispettorato nazionale del lavoro per le attività di rispettiva competenza.

 

Viene poi specificato che il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali:

§  dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all'esterno dei locali aziendali (comma 2);

§  occorsi in itinere, ossia durante il percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali (nei limiti e secondo le condizioni previsti dall’art. 2 del D.P.R. 1124/1965), quando il luogo sia stato scelto, secondo criteri di ragionevolezza, per esigenze connesse alla prestazione stessa o alla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative (comma 3).

 

In generale, l'assicurazione sugli infortuni sul lavoro, gestita dall’I.N.A.I.L., comprende anche gli infortuni in itinere - disciplinati dal richiamato art. 2, terzo comma (per l’industria) e dall’art. 210 (per l’agricoltura) del D.P.R. 1124/1965 - cioè gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro e viceversa. La tutela comprende, inoltre, anche gli infortuni avvenuti durante il percorso che collega due luoghi di lavoro (nel caso in cui il lavoratore abbia più rapporti di lavoro) e, nel caso in cui nel luogo di lavoro non ci sia un servizio di mensa, anche durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti.

Non sono invece indennizzabili dall’assicurazione gli infortuni derivanti da interruzioni o deviazioni del percorso del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate (cioè le variazioni al normale tragitto dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili oppure all'adempimento di obblighi penalmente rilevanti) che si verificano durante il percorso casa-lavoro. Sono, invece, coperte dall'assicurazione le soste brevi che non espongono l'assicurato a un rischio diverso da quello che avrebbe dovuto affrontare se il normale percorso casa-lavoro fosse stato compiuto senza soluzione di continuità.

Gli stessi articoli 2 e 210 del D.P.R. 1124/1965 stabiliscono che l'assicurazione operi anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato, per assenza o insufficienza dei mezzi pubblici di trasporto e per la non percorribilità a piedi del tragitto, considerata la distanza tra l'abitazione ed il luogo di lavoro. Restano esclusi, in questo caso, gli infortuni direttamente causati dall'abuso di alcoolici e di psicofarmaci o dall'uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni, nonché quelli causati dal conducente sprovvisto della prescritta patente di guida. Si segnala che, per effetto di una modifica apportata recentemente dalla L. 221/2015 (in materia ambientale), l’uso della bicicletta, per i positivi riflessi ambientali, deve intendersi sempre necessitato.

 


Articolo 24
(Aliquote contributive assistenti infanzia Bolzano)

 

L’articolo 24, abrogando dal 1° settembre 2017 l’articolo 1, comma 793, della L. 296/2006, prevede la disapplicazione delle aliquote contributive previste per i rapporti di collaborazione domestica agli assistenti domiciliari all’infanzia, qualificati o accreditati presso la provincia autonoma di Bolzano.

 

Secondo quanto riportato nella Relazione Tecnica allegata, l’abrogazione del richiamato articolo 1, comma 793, dovrebbe comportare che i rapporti di lavoro istaurati dai soggetti richiamati dovrebbero avere la connotazione del lavoro subordinato, con aliquota contributiva quindi pari, in generale, al 33%[47]. 

 

L’articolo 1, comma 793, della L. 296/2006, disponeva che, con riferimento alla contribuzione previdenziale ed assicurativa dovuta per gli assistenti domiciliari all’infanzia, qualificati o accreditati presso la provincia autonoma di Bolzano, trovassero applicazione le aliquote contributive relative ai rapporti di lavoro di collaborazione domestica di cui dall'articolo 5 del D.P.R. 1403/1971[48], anche nel caso in cui le prestazioni di lavoro siano rese presso il domicilio delle lavoratrici e dei lavoratori interessati, sia che dipendano direttamente da persone fisiche o nuclei familiari, sia che dipendano da imprese individuali o persone giuridiche. Spettava all’INPS determinare le modalità ed i termini di versamento di tali contributi. La norma sembrava recare una agevolazione contributiva per i richiamati soggetti, uniformando le aliquote a quelle indicate nel citato D.P.R. 1403/1971.

 

Si ricorda che l’articolo 5 del richiamato D.P.R. 1403 del 1971 dispone l’applicazione delle seguenti aliquote di contribuzione per i lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari, che prestano lavoro subordinato presso uno o più datori di lavoro.

 

Gestione

Contributo base

Contributo integrativo

IVS

0,1375%

 

FPLD

10%
(6,67% a carico del datore di lavoro e 3,33% a carico del lavoratore)

 

Tubercolosi

0,0125%

2%

DS

0,0125%

2,30%

Ente nazionale assistenza orfani lavoratori italiani

0,0125%

0,15%

CUAF

5%

 

Malattia

assicurati: 5,28%
(5,13% a carico del datore di lavoro e 0,15% a carico del lavoratore)

assistenza pensionati: 3,80%

 

Tutela lavoratrici madri

0,31%

 

Infortuni sul lavoro

0,5%

 

 

 

Di seguito si riportano le retribuzioni convenzionali orarie alle quali si commisurano i contributi:

 

Retribuzioni effettive fino ad € 0,36 (lit. 700)

€ 0,21 (lit. 400)

Retribuzioni effettive superiori ad € 0,36 /lit. 700) e fino a € 0,52 (lit. 1.000)

€ 0,36 (lit. 700)

Retribuzioni superiori a € 0,52 (lit. 1.000)

€ 0,52 (lit. 1.000)


Capo III - Disposizioni finali

Articolo 25
(Disposizioni finanziarie)

 

Il comma 1 reca un incremento della dotazione del Fondo per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e l’articolazione flessibile di 4,5 milioni di euro per l’anno 2017, di 1,9 milioni di euro per l’anno 2018 e di 4,5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2019.

Tale Fondo è stato istituito dall’articolo 1, comma 204, della L. 208/2015, nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con una dotazione di 10 milioni di euro per il 2016 e di 50 milioni di euro annui a decorrere dal 2017), con corrispondente riduzione del Fondo istituito per l’attuazione del cd. Jobs act dall’articolo 1, comma 107, della legge n.190/2014[49].

 

Il comma 2 incrementa il Fondo sociale per occupazione e formazione di 35 mln di euro per il 2017.

Il Fondo sociale per occupazione e formazione è stato previsto dall’articolo 18, comma 1, lettera a), del D.L. 185/2008, il quale ha disposto che il CIPE, presieduto dal Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze - nonché di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per quanto attiene le risorse destinate alle infrastrutture – provveda ad assegnare, in coerenza con gli indirizzi assunti in sede europea, una quota delle risorse nazionali disponibili del Fondo aree sottoutilizzate ad una serie di fondi (gli altri sono il Fondo infrastrutture e il Fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale).

 

Il comma 3 reca la quantificazione degli oneri correlati al provvedimento, derivanti dagli articoli 8, 9, 13 e 14, nonché dai commi 1 e 2 dell’articolo 25 in esame, individuandone le corrispondenti coperture finanziarie, secondo lo schema riportato nella seguente tabella:

 

2017

2018

2019

2020

2021

2022

2023

2024

2025 e segg.

Oneri complessivi e minori entrate (articoli 8, 9, 13, 14 e 25, commi 1 e 2)

55,89

61,67

46,46

46,7

47,3

47,5

47,91

48,13

48,44

Coperture, di cui:

55,89

61,67

46,46

46,7

47,3

47,5

47,91

48,13

48,44

Riduzione Fondo per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e lavoro flessibile (lett. a))

46,21

43,61

41,96

42,20

42,80

43,00

43,41

43,63

43,94

Riduzione FISPE (lett. b))

0,18

Fondo speciale di parte corrente, accantonamento relativo al Ministero del lavoro (lett. c))

5,00

Versamento alla entrata del bilancio Stato dall'INPS di parte entrate derivanti da aumento contributivo ex art. 25 L. 845/78 (lett. d))

 

16,16

 

 

 

 

 

 

 

Riduzione aut. di spesa art 1, co. 107, l. 190/14 (fondo per attuazione riforme lavoro) (lett. e))

4,5

1,9

4,5

4,5

4,5

4,5

4,5

4,5

4,5

 

 

Il comma 4 reca il rinvio alla legge di contabilità e finanza pubblica, ai fini della compensazione finanziaria di eventuali ulteriori oneri che dovessero derivare dal provvedimento in esame.

In particolare, la norma dispone - nel caso in cui siano in procinto di verificarsi nuovi o maggiori oneri rispetto alle previsioni di spesa indicate agli articoli 8, commi 9 e 11, 13, comma 2, e 14, comma 4, del provvedimento in esame – l’applicazione delle procedure per la compensazione degli effetti finanziari previste dall’articolo 17, commi da 12 a 13, della legge di contabilità n. 196/2009, utilizzando prioritariamente le risorse accantonate e rese indisponibili a valere sul Fondo per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale[50], ai sensi di quanto disposto dal successivo comma 5.

A tal fine, si prevede che il Ministro dell’economia e delle finanze provveda al monitoraggio degli oneri derivanti dai suddetti articoli del provvedimento, anche avvalendosi del sistema permanente di monitoraggio e valutazione istituito ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge n. 92 del 2012[51].

 

In relazione ai richiamati commi dell’articolo 17 della legge di contabilità, si ricorda che con la recente riforma (di cui alla legge n. 163/2016), il previgente meccanismo delle clausole di salvaguardia è stato eliminato, prevedendosi contestualmente nuovi meccanismi di compensazione in caso di scostamento degli oneri rispetto alle previsioni, secondo cui:

·       nel caso di leggi i cui oneri siano individuati mediante previsioni di spesa -  – come prevede il comma 2 dell’articolo 25 in esame – è affidato al Ministero dell'economia e delle finanze il compito di provvedere al monitoraggio degli oneri, sulla base degli elementi di informazione trasmessi dal Ministero competente al fine di prevenire il verificarsi di eventuali scostamenti dell'andamento degli oneri rispetto alle previsioni di spesa (comma 12);

·       qualora siano in procinto di verificarsi i predetti scostamenti, quanto all’esercizio in corso, ai sensi del comma 12-bis, il Ministro dell'economia, in attesa delle misure correttive di cui al comma 12-quater, sentito il Ministro competente, con proprio decreto, provvede per l'esercizio in corso alla riduzione degli stanziamenti iscritti nello stato di previsione del Ministero competente e, qualora i suddetti stanziamenti non siano sufficienti alla copertura finanziaria del maggior onere, allo stesso si dovrà provvedere con DPCM, previa delibera del Consiglio dei ministri, mediante riduzione degli stanziamenti iscritti negli stati di previsione della spesa. Gli schemi di entrambi di decreti vanno trasmessi per il parere alle Commissioni bilancio delle Camere;

·       qualora gli scostamenti non siano compensabili nel corso dell’esercizio con tali misure, il comma 12-ter dispone che si debba provvedere ai sensi del comma 13 dell’articolo 17[52];

·       quanto agli esercizi successivi a quello in corso, ai sensi del comma 12-quater si provvede con la legge di bilancio, attraverso le misure correttive di cui all'articolo 21, comma 1-ter, lettera f)[53],

Resta ferma, in ogni caso, la possibilità (comma 13) di ricorrere a iniziative legislative allorché l'attuazione di una legge rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica o in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni suscettibili di determinare maggiori oneri.

 

Quale misura cautelativa, il comma 5 stabilisce che, a valere sul Fondo per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale, di cui all’articolo 1, comma 204, della legge n. 208/2015, venga accantonato e reso indisponibile un importo complessivo pari al 50 per cento degli oneri indicati dal comma 2, fino all’esito del monitoraggio previsto dal comma 4.

Le somme accantonate e non utilizzate all’esito del monitoraggio sono conservate nel conto dei residui per essere destinate al Fondo sociale per occupazione e formazione (articolo 18, comma 1, lettera a), del D.L. n. 185/2008).


Articolo 26
(Entrata in vigore)

 

L’articolo 26 dispone che la legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 



[1]     Il lavoro autonomo è disciplinato dal Titolo III del libro quinto del codice civile (artt.2221-2237).

[2]     Ai sensi dell’articolo 2083 del codice civile sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo,  gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.

[3]     Si tratta delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che ricomprendono tutte le amministrazioni dello Stato (inclusi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative), le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 e il CONI.

[4]     Sul punto v., più diffusamente, la scheda relativa all’articolo 2 del presente dossier.

[5]     Le classi energetiche passano da sette a dieci, dalla A4 (la migliore) alla G (la peggiore). È confermata, ai sensi di legge, la validità di 10 anni dell'APE (articolo 4, comma 3). Nell'APE dovranno, inoltre, essere indicate le proposte per migliorare l'efficienza energetica dell'edificio, distinguendo le ristrutturazioni importanti dagli interventi di riqualificazione energetica, e le informazioni su incentivi di carattere finanziario per realizzarli (articolo 4, comma 4, lettera g)). Entro il 1° ottobre 2015 l'Enea è stata obbligata ad aggiornare Docet, il software semplificato per il calcolo delle prestazioni energetiche.

[6]     Si ricordano l’Atto Senato, di iniziativa governativa, n. 4339-bis (presentato nel corso della XIII legislatura), l’Atto Senato n. 721 (XIV legislatura) e l’A.S. 3531 (XVI legislatura).

[7]     Per un approfondimento si veda il dossier, recentemente redatto dall’ANCE, dal titolo “Fascicolo di fabbricato nelle leggi regionali”.

[8]     Ossia  i due mesi precedenti la data del parto ed i tre mesi successivi.

[9]     In materia di indennità di malattia riconosciuta agli iscritti alla Gestione separata, si veda anche la scheda di lettura relativa all’articolo 8, comma 10.

[10]    Qualora il termine per l'espressione dei pareri parlamentari previsti dal comma 1 scada nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini di delega, ovvero successivamente, questi ultimi sono prorogati di 3 mesi.

[11]    Si ricorda che l’articolo 8, comma 3, del D.Lgs. 103/1996 - come modificato dall’articolo 1, comma 1, della L. 133/2011 - al fine di migliorare il trattamento pensionistico degli iscritti che adottano il sistema di calcolo contributivo (compresi gli iscritti alle casse di privatizzate ai sensi del D.Lgs. 509/1994), riconosce la facoltà (senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e garantendo comunque l’equilibrio economico, patrimoniale e finanziario delle Casse)  di destinare parte del contributo integrativo all’incremento dei montanti individuali, previa delibera degli organismi competenti, approvata dai Ministeri vigilanti che valutano la sostenibilità della gestione complessiva e le implicazioni in termini di adeguatezza delle prestazioni.

[12]    Ad esempio, la Cassa forense eroga prestazioni per casi di bisogno, prestazioni a sostegno della famiglia, prestazioni a sostegno della salute e prestazioni a sostegno della professione.

[13]    Prorogata, una prima volta, per il 2016 dall’art. 1, c. 310, della L. 208/2015 (Stabilità 2016) e una seconda volta, fino al 30 giugno 2017, dall’art. 3, c. 3-octies, del D.L. 244/2016 (cd. proroga termini).

[14]    Articolo 1, comma 788, della L. 296/2006.

[15]    Articolo 1, comma 788, della L. 296/2006.

[16]    Il requisito contributivo per l’accesso consiste nel versamento di almeno 3 mensilità di contribuzione aggiuntiva dello 0,5% nei 12 mesi precedenti i due mesi antecedenti al parto (articolo 59, comma 16, della legge n.449/1997).

[17]    Contestualmente viene abrogato il settimo periodo dell’art. 1, c. 788, della L. 296/2006 che conteneva una previsione analoga.

[18]    Contestualmente viene abrogato l’ottavo periodo dell’art. 1, c. 788, della L. 296/2006 che conteneva una previsione analoga.

[19]    Articolo 59, comma 16, della L. 449/1997.

[20]    L’art. 4, c. 2 e 3, del DM 4 aprile 2002 individua il reddito di riferimento per il calcolo dell’indennità di maternità di cui al precedente comma 1. Per i liberi professionisti iscritti alla gestione separata, il reddito è calcolato prendendo a riferimento, per ciascuno dei mesi d'interesse, 1/12 del reddito risultante dalla denuncia dei redditi da attività libero professionale relativa all'anno o agli anni in cui sono ricompresi i dodici mesi precedenti l'inizio del periodo indennizzabile. Per i collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla gestione separata, viene preso a riferimento il reddito dei suddetti dodici mesi risultante dai versamenti contributivi riferiti al lavoratore interessato sulla base della dichiarazione del committente.

[21]    Limitatamente ai soggetti non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie o pensionati.

[22]    Si fa presente che la previsione della contribuzione maggiorata dello 0,5%, inizialmente contenuta all’articolo 19, comma 16,  della legge n.449/1997, è successivamente rifluita nell’articolo 84 del decreto legislativo n.151/2001; inoltre, con l’articolo 7 del DM è stata introdotta una ulteriore aliquota aggiuntiva dello 0,22%.

[23]    Sulla base di quanto previsto dalla normativa vigente, i predetti soggetti sono quelli di cui all’art. 4, c. 1, lett. c), del D.Lgs. 276/2003, ossia le agenzie per il lavoro a ciò autorizzate ed iscritte in apposito Albo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, e quelli di cui all’art. 6, c. 1, del medesimo D.Lgs. 276/2003, ossia: a) gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e paritari, a condizione che rendano pubblici e gratuitamente accessibili sui relativi siti istituzionali i curricula dei propri studenti; b) le università, pubbliche e private, e i consorzi universitari, a condizione che rendano pubblici e gratuitamente accessibili sui relativi siti istituzionali i curricula dei propri studenti; c) i comuni, singoli o associati nelle forme delle unioni di comuni e delle comunità montane, e le camere di commercio; d) le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; e) i patronati, gli enti bilaterali e le associazioni senza fini di lucro che hanno per oggetto la tutela del lavoro, l'assistenza e la promozione delle attività imprenditoriali, la progettazione e l'erogazione di percorsi formativi e di alternanza, la tutela della disabilità; f) i gestori di siti internet a condizione che svolgano la predetta attività senza finalità di lucro; f-bis) l'Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo e dello sport professionistico.

[24]    La legge n.4 del 2013 ha introdotto una disciplina delle professioni non organizzate, prevedendo la possibilità di costituire associazioni a carattere professionale di natura privatistica, fondate su base volontaria, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva, con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza.

In particolare, le disposizioni richiamate  nel testo in commento (articolo 4, comma 1, e articolo 5 della legge n.4/2013) prevedono che le associazioni professionali  (e le loro forme aggregative) pubblichino nel proprio sito web gli elementi informativi che presentano utilità per il consumatore, secondo criteri di trasparenza, correttezza, veridicità, assicurando  la piena conoscibilità dei seguenti elementi:

a)   atto costitutivo e statuto;

b)   precisa identificazione delle attività professionali cui l'associazione si riferisce;

c)   composizione degli organismi deliberativi e titolari delle cariche sociali;

d)   struttura organizzativa dell'associazione;

e)   requisiti per la partecipazione all'associazione, con particolare riferimento ai titoli di studio relativi alle attività professionali oggetto dell'associazione, all'obbligo degli appartenenti di procedere all'aggiornamento professionale costante e alla predisposizione di strumenti idonei ad accertare l'effettivo assolvimento di tale obbligo e all'indicazione della quota da versare per il conseguimento degli scopi statutari;

f)    assenza di scopo di lucro.

[25]    L'A.N.P.A.L. è stata istituita, a decorrere dal 1° gennaio 2016, dall'articolo 4 del D.Lgs. 150/2015, con il principale di predisporre politiche per l’adeguamento del lavoro a formule in grado di sollecitare la collocazione, o ricollocazione, dei disoccupati, andando ad erogare parte dei servizi offerti dal Ministero del Lavoro.

Ai sensi dell'art. 6 del D.Lgs. n. 150/2015 sono organi dell'ANPAL il presidente, il consiglio di amministrazione, il consiglio di vigilanza e il collegio dei revisori. I mandati sono triennali e possono essere rinnovati una sola volta.

L'A.N.P.A.L. è dotata di personalità giuridica nonché di autonomia organizzativa, regolamentare, amministrativa, contabile e di bilancio. Ad essa si applica la disciplina delle agenzie di cui all'art. 8 del D.Lgs. 300/1999 per quanto non specificamente previsto. Vigilata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, essa coordina la rete dei servizi per le politiche del lavoro. Ai sensi dell'art. 4, comma 13, del D.Lgs. 150/2015, a far data dalla nomina del suo presidente, l'A.N.P.A.L. subentra nella titolarità delle azioni di Italia Lavoro S.p.a. e il suo presidente ne diviene amministratore unico.

Sono compiti dell’A.N.P.A.L. stabilire i programmi delle politiche attive, finanziati dall’FSE (Fondo Sociale Europeo), supervisionare la Rete Nazionale dei Servizi, archiviare tutti i fascicoli personali dei lavoratori e tenere un albo delle agenzie private del lavoro.

[26]    L’articolo 6 della legge n.68 del 1999 prevede che i centri per l’impiego provvedono, in raccordo con i servizi sociali, sanitari, educativi e formativi del territorio, secondo le specifiche competenze loro attribuite, alla programmazione, all'attuazione, alla verifica degli interventi volti a favorire l'inserimento dei soggetti di cui alla presente legge nonché all'avviamento lavorativo, alla tenuta delle liste, al rilascio delle autorizzazioni, degli esoneri e delle compensazioni territoriali, alla stipula delle convenzioni e all'attuazione del collocamento mirato.

Si ricorda che la legge n.68/1999 detta una organica disciplina per il diritto al lavoro dei disabili, i quali – attesa la comprovata difficoltà di rendersi “appetibili” sul mercato del lavoro -  usufruiscono di uno speciale regime di collocamento obbligatorio, in base al quale ai datori di lavoro viene imposto di assumere un certo numero di lavoratori disabili, i quali devono tuttavia possedere una (anche solo minima) capacità lavorativa residua. Le condizioni di disabilità vengono accertate attraverso apposita visita medica effettuata da commissioni mediche istituite presso le ASL. I datori di lavoro, pubblici e privati, hanno l’obbligo di impiegare un certo numero o una certa quota di lavoratori disabili (cd. quote di riserva).

[27]    Qualora il termine per l'espressione dei pareri parlamentari previsti dal comma 1 scada nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini di delega, ovvero successivamente, questi ultimi sono prorogati di 3 mesi.

[28]    Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell'ente stesso; l'associato in partecipazione di cui all'articolo 2549, e ss. c.c.; il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento di cui all’articolo 18 della L. 196/1997 (tenuto conto anche di specifiche regionali); l'allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l'allievo sia effettivamente applicato alle strumentazioni o ai laboratori in questione; i volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della protezione civile; il lavoratore impegnato in lavori socialmente utili.

[29]    A carico del datore di lavoro, in caso di omessa redazione del DVR, è prevista (articolo 55, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 81/2008) la sanzione dell’arresto da 3 a 6 mesi o l’ammenda da 2.740 a 7.014,40 euro. Per gli studi professionali rispettivamente con meno di 10 e 50 lavoratori, l’articolo 32, comma 1, lettera b), nn. 1 e 2, del D.L. 69/2013 (modificando l’articolo 29 commi 5 e 6, del D.Lgs. 81/2008) ha stabilito, dal 1° giugno 2013, la facoltà di ricorrere, in luogo del DVR, all’ausilio delle procedure standardizzate, cioè di modelli semplificati per adempiere all’obbligo della valutazione dei rischi.

[30]    Si ricorda che ai sensi dell’articolo 1, il Capo I si applica al lavoro autonomo non imprenditoriale, compresi i rapporti di lavoro autonomo ai sensi dell’articolo 2222 c.c., ossia quelli derivanti dai contratti con cui il lavoratore si obbliga a compiere, verso un corrispettivo, un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente

[31]    La disciplina degli aiuti di Stato alle PMI è contenuta nel nuovo Regolamento UE n. 651/2014, il quale richiama ai fini della definizione di PMI utilizzata la definizione di cui alla raccomandazione 2003/361/CE.

[32]    Regolamento UE 17 dicembre 2013 n. 1303/2013, del Parlamento Europeo e del Consiglio, recante Disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio.

[33]    Sulla questione delle libere professioni, nell'ambito del Piano d'azione imprenditorialità 2020 COM(2012) 795 final del 9 gennaio 2013 è stato istituito un gruppo di lavoro denominato "Bolstering the Business of Liberal Professions" (Rafforzamento dell'attività delle libere professioni), il cui scopo è esaminare le esigenze specifiche dei liberi professionisti, come ad esempio la semplificazione, l'internazionalizzazione e l'accesso ai finanziamenti. In occasione della conferenza sulle libere professioni del 9 aprile 2014 il gruppo di lavoro ha presentato una serie di linee d'azione: 1) istruzione e formazione all'imprenditorialità; 2) accesso ai mercati; 3) accesso ai finanziamenti; 4) riduzione degli oneri normativi e 5) rafforzamento della rappresentazione e della partecipazione a livello europeo.

Nell’accesso ai finanziamenti si cita la necessità di rafforzare l'accesso agli strumenti di finanziamento per la competitività e le PMI (COSME) e agli altri programmi. Nella Relazione del gruppo di lavoro si legge che per “libere professioni si intendono occupazioni che richiedono specifiche formazioni umanistiche o scientifiche, quali notai, ingegneri, architetti, medici e commercialisti”.

Si richiama inoltre la pubblicazione della Commissione europea e dell’OCSE Policy Brief on Sustaining Self-employment - Entrepreneurial Activities in Europe dell’8 maggio 2015.

[34]    Il testo non prevede espressamente se la sospensione operi anche nei confronti della contribuzione relativa alle forme di previdenza obbligatorie gestite da persone giuridiche di diritto privato (quali sono molte forme inerenti a liberi professionisti).

[35]    Dall'entrata in vigore del D.Lgs. 276/2003 (24 ottobre 2003) i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa dovevano essere, nel settore privato, sempre instaurati con riferimento ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, altrimenti sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto. Facevano eccezione le collaborazioni "marginali" (ossia le prestazioni occasionali di cui all'articolo 61, comma 2, D.Lgs. 276/2003) e i rapporti instaurati con soggetti appartenenti a categorie specificamente individuate dalla legge (articolo 61, comma 3, del D.Lgs. 276/2003).

[36]    Le eccezioni sono le seguenti: collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;       collaborazioni prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali;        attività prestate nell'esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;       collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall'articolo 90 della L. 289/2002; collaborazioni prestate nell'ambito della produzione e della realizzazione di spettacoli da parte delle fondazioni di cui al D.Lgs. 367/1996.

[37]    La giurisprudenza di legittimità ha stabilito che la continuità della prestazione ricorra nel caso in cui vi sia una connessione funzionale derivante dalla non occasionalità ma perdurante nel tempo e che comporti un impegno costanti del prestatore a favore del committente (v. Cass., sentenze 7625/1996, 8033/1997, 12368/1997, 3485/2001). Va però rilevato che la stessa giurisprudenza – più recente - ha sostenuto l’irrilevanza qualificatoria della durata delle prestazioni e, quindi, dell’indice della continuità richiesto dalla novella (Cass., sentenze 21031/2008 e 58/2009).

[38]    Al riguardo, occorre segnalare come la giurisprudenza più recente abbia considerato come principale il criterio dell’etero-organizzazione, ritenendolo di per sé idoneo alla configurazione della natura subordinata delle prestazioni (v. Cass., sentenze 13829/2013 e 1318/2014). Più specificamente, la sentenza n. 13829/2013 ha stabilito che l'elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è “il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione, pur avendo natura meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire indici rivelatori della subordinazione, idonei anche a prevalere sull'eventuale volontà contraria manifestata dalle parti, ove incompatibili con l'assetto previsto dalle stesse (come già affermato da Cass., sentenza n. 5645/2009).

[39]    Si tratta delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, c. 2, del D.Lgs. 165/2001 ossia tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’ARAN e le Agenzie istituite dal D.Lgs. 300 del 1999 (Agenzia industrie difesa; Agenzia per le normative e i controlli tecnici; Agenzia per la proprietà industriale; Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici; Agenzia dei rapporti terrestri e delle infrastrutture; Agenzia per la formazione e l’istruzione professionale; Agenzie fiscali (entrate, dogane, territorio, demanio).

[40]    L’art. 14 della L. 124/2015 promuove l’attuazione di misure per la conciliazione vita-lavoro e demanda la definizione degli indirizzi per l'attuazione delle suddette misure, nonché l’adozione di linee guida per l'organizzazione del lavoro, ad una direttiva del Presidente del Consiglio (che al momento non risulta ancora adottata).

[41]    http://www.bollettinoadapt.it/wp-content/uploads/2016/02/lavoro_agile_contrattazione_wp_3.2-1.pdf

[42]    L’art. 4 della L. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), così come modificato sostanzialmente dal D.Lgs. 151/2015 (attuativo del cd. Jobs act) e, da ultimo, dal D.Lgs. 185/2016 (primo decreto correttivo del Jobs act) dispone che gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla RSU o dalle RSA. In caso di imprese con unità produttive collocate in diverse province della stessa regione o in più regioni, l’accordo per l’installazione degli impianti può essere stipulato non solo con le RSA e RSU, ma anche con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo sindacale, i suddetti impianti audiovisivi e gli altri strumenti possono essere installati previa autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro; i suddetti provvedimenti autorizzatori sono definitivi. Infine, si segnala che, con la circolare dell’Ispettorato nazionale del lavoro del 7 novembre 2016, n. 2, sono state fornite indicazioni sull’interpretazione del richiamato art. 4 per quanto attiene all’installazione di apparecchiature di localizzazione satellitare GPS montate su autovetture aziendali.

[43]    Cioè i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.

[44]    Come sancito dall’art. 4, c. da 51 a 54, della L. 92/2012, per apprendimento permanente si intende, in linea con le indicazioni dell'UE, qualsiasi attività intrapresa dalle persone in modo formale (che si attua nel sistema di istruzione e formazione e che si conclude con il conseguimento di un titolo di studio), non formale (quello caratterizzato da una scelta intenzionale della persona, che si realizza al di fuori dei suddetti sistemi) e informale (quello che, anche a prescindere da una scelta intenzionale, si realizza nello svolgimento di attività nelle situazioni di vita quotidiana), nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale.

[45]    L’articolo 4, commi 64-68 della L. 92/2012 ha previsto una delega al Governo per la costituzione di un Sistema nazionale di certificazione delle competenze, basato su standard minimi di servizio omogenei su tutto il territorio nazionale, volto ad attestare le competenze acquisite nei contesti formali, non formali ed informali. In attuazione della delega è stato adottato il D.Lgs. 13/2013 con cui sono definite le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e la validazione degli apprendimenti non formali e informali, nonché degli standard minimi di servizio del Sistema nazionale di certificazione delle competenze.

[46]    L'arresto da due a quattro mesi o un'ammenda da 1.315,20 a 5.699,20 euro.

[47]    La stessa Relazione Tecnica tuttavia, ha evidenziato la necessità, ove non ricorrano le caratteristiche proprie della richiamata fattispecie lavoristica, di orientare l'individuazione dell'obbligo contributivo basandolo necessariamente sulla natura del reddito prodotto. Non rinvenendo i presupposti fiscali per la definizione del reddito d'impresa, mancandone il profilo soggettivo, si potrebbe verificare l'ipotesi (sempre secondo la Relazione Tecnica), in caso di presenza di partita IVA, di reddito prodotto e denunciato fiscalmente ex art. 53, comma 1 del TUIR. In assenza di partita IVA, in presenza di un contratto di collaborazione con persona fisica privata, mancando i presupposti per l'obbligo contributivo in GS, si ricadrebbe nella fattispecie del rapporto di lavoro domestico. Ove, al contrario, il committente fosse persona giuridica o persona fisica titolare di impresa, il reddito potrebbe essere collocato nell'art. 50 c-bis TUIR (parasubordinato).

[48] Si ricorda che l’articolo 5 del richiamato D.P.R. 1403 del 1971 dispone l’applicazione delle seguenti aliquote di contribuzione per i lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari, che prestano lavoro subordinato presso uno o più datori di lavoro.

 

Gestione

Contributo base

Contributo integrativo

IVS

0,1375%

 

FPLD

10%
(6,67% a carico del datore di lavoro e 3,33% a carico del lavoratore)

 

Tubercolosi

0,0125%

2%

DS

0,0125%

2,30%

Ente nazionale assistenza orfani lavoratori italiani

0,0125%

0,15%

CUAF

5%

 

Malattia

assicurati: 5,28%
(5,13% a carico del datore di lavoro e 0,15% a carico del lavoratore)

assistenza pensionati: 3,80%

 

Tutela lavoratrici madri

0,31%

 

Infortuni sul lavoro

0,5%

 

 

Di seguito si riportano le retribuzioni convenzionali orarie alle quali si commisurano i contributi:

 

Retribuzioni effettive fino ad € 0,36

€ 0,21

Retribuzioni effettive superiori ad € 0,36 e fino a € 0,52

€ 0,36

Retribuzioni superiori a € 0,52

€ 0,52

 

 

[49]    L'articolo 1, comma 107, della L. 190/2014 ha stanziato risorse per la copertura degli oneri derivanti dall’attuazione della legge delega 10 dicembre 2014, n. 183 (di riforma del mercato del lavoro, cd. jobs act), istituendo a tal fine un apposito fondo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con una dotazione di 2,2 miliardi di euro annui per il biennio 2015-2016 e 2 miliardi di euro a decorrere dal 2017.

[50]    Tale fondo è stato istituito con una dotazione finanziaria di 50 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017 nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al fine di favorire la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato a tempo indeterminato.

[51]    La legge citata (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), istituisce all’articolo 1, comma 2, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un sistema permanente di monitoraggio e valutazione basato su dati forniti dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e da altri soggetti del Sistema statistico nazionale (Sistan), al fine di monitorare lo stato di attuazione degli interventi e delle misure di cui alla legge e di valutarne gli effetti sull'efficienza del mercato del lavoro, sull'occupabilità dei cittadini, sulle modalità di entrata e di uscita nell'impiego.

[52]    Tale comma dispone che il Ministro dell'economia e delle finanze, allorché riscontri che l'attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, assume tempestivamente le conseguenti iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione.

[53]    Nella quale si prevede che la prima sezione della legge di bilancio include eventuali misure correttive delle leggi che abbiano fatto registrare scostamenti dalle previsioni e degli effetti finanziari derivanti da sentenze definitive), adottando prioritariamente le correzioni sul lato della spesa.