Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento lavoro | ||||
Titolo: | Testo organico delle tipologie contrattuali e revisione della disciplina delle mansioni - Schema di D.Lgs. n. 158 - Schede di lettura | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Atti del Governo Numero: 160 | ||||
Data: | 15/04/2015 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | XI-Lavoro pubblico e privato |
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Camera dei deputati |
XVII LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Testo organico
delle tipologie contrattuali e revisione della disciplina delle mansioni Schema di D.Lgs. n. 158 (art. 1, co. 7 e 11, L.183 del 2014) |
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Schede di
lettura |
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n. 160 |
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15 aprile 2015 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Lavoro ( 066760-4884 – * st_lavoro@camera.it |
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La
documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle
esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e
dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la
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File: LA0383 |
INDICE
§ Lavoro a tempo indeterminato (art. 1)
§ Lavoro a tempo parziale (artt. 2-10)
§ Lavoro intermittente (artt. 11-16)
§ Lavoro a tempo determinato (artt. 17-27)
§ Somministrazione di lavoro (artt. 28-38)
Titolo II (Disposizioni in materia
di collaborazioni e associazioni in partecipazione)
§ Rapporti di collaborazione (artt. 47-49)
§ Associazione in partecipazione (art. 50)
Titolo III (Altre forme di lavoro)
§ Lavoro accessorio (artt. 51-54)
Titolo IV (Disposizioni in materia
di lavoro subordinato)
§ Disciplina delle mansioni (art. 55)
Titolo V (Disposizioni finali)
§ Copertura finanziaria, clausola di salvaguardia ed
entrata in vigore (artt. 56-57)
Lo schema di decreto
legislativo n. 158, composto di 57
articoli, è adottato in attuazione
della legge delega n. 183/2014.
Il provvedimento è adottato, in particolare, in attuazione dell’articolo 1, comma 7, della legge, il quale “allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo” ha delegato il Governo ad “adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi, di cui uno recante un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro”.
I principi e criteri direttivi da tenere in considerazione nell’esercizio della delega sono:
· la lettera a), recante il criterio di delega volto a individuare e analizzare tutte le forme contrattuali esistenti, ai fini di poterne valutare l'effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali;
· la lettera b), recante il criterio di delega volto a promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti;
· la lettera d), recante il criterio di delega volto a rafforzare gli strumenti per favorire l'alternanza tra scuola e lavoro;
· la lettera e), recante il criterio di delega che prevede la revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi, contemperando l'interesse dell'impresa all'utile impiego del personale con l'interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo limiti alla modifica dell'inquadramento; previsione che la contrattazione collettiva, anche aziendale ovvero di secondo livello, stipulata con le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria possa individuare ulteriori ipotesi rispetto a quelle disposte ai sensi della presente lettera;
· la lettera h), recante il criterio di delega volto a prevedere, tenuto conto di quanto disposto dall'articolo 70 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, della possibilità di estendere, secondo linee coerenti con quanto disposto dalla lettera a), il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali nei diversi settori produttivi, fatta salva la piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati, con contestuale rideterminazione contributiva di cui all'articolo 72, comma 4, ultimo periodo, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;
· la lettera i), recante il criterio di delega per l’abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con le disposizioni del testo organico semplificato, al fine di eliminare duplicazioni normative e difficoltà interpretative e applicative.
Per quanto riguarda le
modalità di esercizio della delega, il comma 10 prevede che il decreto legislativo venga adottato nel
rispetto della procedura di cui all’articolo 14 della legge n. 400 del 1988[1].
Il comma 11 dispone che lo schema di decreto legislativo deve essere corredato di relazione tecnica (che dia conto della neutralità finanziaria dei medesimi ovvero dei nuovi o maggiori oneri da essi derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura). Lo schema di decreto, a seguito di deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, è trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di esso siano espressi, entro trenta giorni dalla data di trasmissione, i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari. Decorso tale termine, il decreto è emanato anche in mancanza dei pareri.
Il parere parlamentare
dovrà pertanto essere espresso entro il 10
maggio 2015.
Il comma 12 prevede che dall'attuazione
delle deleghe non devono derivare nuovi
o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tale fine, per gli
adempimenti previsti dai decreti legislativi attuativi, le amministrazioni
competenti provvedono attraverso una diversa allocazione delle ordinarie
risorse umane, finanziarie e strumentali, allo stato in dotazione alle medesime
amministrazioni. Si prevede, inoltre, che qualora uno o più decreti attuativi
determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio
interno, i decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori oneri siano
emanati solo successivamente o contestualmente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi, ivi compresa la
legge di stabilità, che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.
Il comma 13 prevede che entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può adottare, con la medesima procedura di cui ai commi 1 e 2, disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, tenuto conto delle evidenze attuative nel frattempo emerse.
Il comma 15 prevede che le legge e i decreti legislativi di attuazione entrino in vigore il giorno successivo a quello della loro pubblicazione in Gazzetta ufficiale.
In attuazione dei suddetti principi e criteri direttivi, lo schema di decreto legislativo in esame reca una disciplina organica dei contratti di lavoro, raccogliendo in un unico testo disposizioni attualmente contenute in diverse fonti normative, fra cui il decreto legislativo n. 66 del 2000 sul lavoro a tempo parziale, il decreto legislativo 368 del 2001 sul lavoro a tempo determinato, il decreto legislativo n. 276 del 2003 sulla somministrazione di lavoro, il lavoro a progetto, il lavoro accessorio e il lavoro intermittente, nonché il decreto legislativo n. 167 del 2011 sull’apprendistato. Per quanto riguarda la disciplina delle mansioni sono state apportate modificazioni all’articolo 2103 del codice civile.
L’intervento normativo è diretto essenzialmente a semplificare la disciplina vigente, sia tramite interventi diretti su singole disposizioni, sia tramite la riscrittura e la conseguente abrogazione, in tutto o in parte, di testi normativi riguardanti specifiche tipologie contrattuali. Infine, il provvedimento mira a chiarire il contenuto di alcune disposizioni oggetto di dubbi interpretativi, dando copertura legislativa ad alcuni consolidati orientamenti giurisprudenziali, nonché a introdurre modifiche formali e di drafting.
Lo schema di decreto legislativo si compone di 57 articoli, suddivisi in 5 Titoli, riguardanti, rispettivamente, il lavoro subordinato (Titolo I, articoli 1-46), le collaborazioni e le associazioni in partecipazione (Titolo II, articoli 47-50), le altre forme di lavoro (Titolo III, articoli 51-54), disposizioni in materia di lavoro subordinato (essenzialmente una nuova disciplina delle mansioni) (Titolo IV, articolo 55) e le disposizioni finali (Titolo V, articoli 56-57).
Nel commento che segue si illustra il contenuto delle
disposizioni contenute nel provvedimento, dando conto, per ciascun istituto,
delle principali modifiche rispetto alla normativa vigente. Per un raffronto
puntuale tra le disposizioni introdotte dal provvedimento e la normativa
vigente in ciascuna materia si rinvia agli appositi testi a fronte in calce a ciascuna scheda del presente dossier.
Il Titolo
I, composto dagli articoli da 1 a 46,
riguarda il lavoro subordinato, si
suddivide in sei Capi e reca, in
particolare, la disciplina del lavoro a
tempo parziale (Capo II, Sezione I, articoli 2-10), del lavoro intermittente (Capo II, Sezione
II, articoli 11-16), del lavoro a tempo
determinato (Capo III, articoli 17-27), della somministrazione di lavoro (Capo IV, articoli 28-38) e dell’apprendistato (Capo V, articoli 39-45).
Il capo
I, composto del solo articolo 1,
dispone che il contratto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di
lavoro.
Si fa presente che tale disposizione
riproduce il contenuto dell’articolo 1, comma 01, del decreto legislativo n. 368/2001[2], di cui l’articolo 46, comma 1, lettera a), dello schema di decreto in
esame prevede l’abrogazione (a fronte della nuova disciplina del lavoro a tempo
determinato introdotta dagli articoli 17-27).
Il Capo
II disciplina il lavoro a orario
ridotto e flessibile.
La Sezione
I, articoli 2-10, interviene sul lavoro
a tempo parziale.
Il Capo I del Titolo I, composto dagli articoli da 2 a 10, reca norme sulla disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale.
Gli articoli da 2 a 10 sostituiscono la disciplina contenuta nel D.Lgs. 61/2000, che disciplina il rapporto di lavoro a tempo parziale (che viene contestualmente abrogato dall’articolo 46, comma 1, lettera a), dello schema di decreto), prevedendo, in particolare, le seguenti modifiche rispetto alla normativa vigente:
· che, nel caso in cui i contratti collettivi applicati al rapporto di lavoro non contengano una specifica disciplina del lavoro supplementare, è prevista la facoltà, per il datore di lavoro, di richiedere al lavoratore lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare[3], in ogni caso in una percentuale non superiore al 15% delle ore di lavoro settimanali concordate. In tale ipotesi il lavoro supplementare è retribuito con una percentuale di maggiorazione sull'importo della retribuzione oraria globale di fatto pari al 15%, comprensiva dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti[4] (articolo 4, comma 5); inoltre non viene riprodotta la norma la quale attualmente prevede che in caso di richiesta del datore di lavoro al lavoratore di prestazioni di lavoro supplementare, il rifiuto da parte di quest’ultimo non possa integrare in nessun caso gli estremi del giustificato motivo di licenziamento (previsto dall’articolo 3, comma 3, del D.Lgs. 61/2000);
· per quanto riguarda le clausole elastiche e flessibili[5] si prevede la possibilità delle parti di concordare, nel caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto non contenga una specifica disciplina della materia, avanti alle commissioni di certificazione (di cui all'articolo 76 del D.Lgs. 276/2003), clausole flessibili relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa; nonché, nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto, clausole elastiche relative alla variazione in aumento della prestazione medesima. Le richiamate clausole devono prevedere, a pena di nullità, le condizioni e le modalità con le quali il datore di lavoro, con preavviso di 2 giorni lavorativi, possa modificare la collocazione temporale della prestazione e variare in aumento la durata della stessa, nonché la misura massima dell'aumento, che non può eccedere il limite del 25% della normale prestazione annua a tempo parziale. Tali modifiche dell'orario comportano il diritto del lavoratore ad una maggiorazione della retribuzione oraria pari al 15%, comprensiva dell'incidenza della retribuzione sugli istituti retributivi indiretti e differiti (articolo 4, comma 9); inoltre, non vengono riprodotte le norme le quali attualmente prevedono che la disponibilità all’inserimento di clausole flessibili od elastiche richieda il consenso del lavoratore formalizzato attraverso uno specifico patto scritto (anche contestuale al contratto di lavoro) reso, su richiesta del lavoratore, con l'assistenza di un componente della rappresentanza sindacale aziendale indicato dal lavoratore medesimo, e che l'eventuale rifiuto del lavoratore non integra, in ogni caso, gli estremi del giustificato motivo di licenziamento (articolo 3, comma 9, del D.Lgs. 61/2000);
· per quanto attiene ai principi di non discriminazione, si estende anche all’ipotesi di infortunio la possibilità (già prevista attualmente per l’ipotesi di malattia) di rimodulazione da parte dei contratti collettivi (per i contratti part-time di tipo verticale) la durata del periodo di prova e del periodo di conservazione del posto di lavoro (articolo 5, comma 2);
· viene esteso il campo di applicazione degli istituti della trasformazione di diritto e della trasformazione prioritaria del rapporto di lavoro a tempo pieno in part-time (attualmente previsti, rispettivamente, per i lavoratori affetti da patologie oncologiche, ed in caso di patologie oncologiche riguardanti il coniuge, i figli o i genitori dei lavoratori, nonché in caso di assistenza di una persona convivente con grave, totale e permanente inabilità lavorativa) anche alle gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti (articolo 6, commi 3 e 4);
· si precisa che il diritto di precedenza all’assunzione con contratto a tempo pieno per il lavoratore che abbia trasformato il rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto part-time, si eserciti per l’espletamento delle stesse mansioni o di mansioni di pari livello a quello oggetto del part-time (articolo 6, comma 6);
· si introduce la possibilità, per il lavoratore, di chiedere, per una sola volta, in luogo del congedo parentale (spettante ai sensi del Capo V del D.Lgs. 151/2001) la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale per un periodo corrispondente, con una riduzione d'orario non superiore al 50% (articolo 6, comma 7);
· in relazione alla determinazione da parte del giudice delle modalità temporali della prestazione, si fa riferimento al criterio della valutazione equitativa (articolo 8, comma 2)[6];
· sempre nell’ipotesi di determinazione del giudice delle modalità temporali della prestazione (nonché della durata), nel confermare il diritto del lavoratore ad un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno, lo schema (articolo 8, comma 2), non fa più riferimento al criterio della valutazione equitativa, presente, invece (articolo 8, comma 2, del D.Lgs. 61/2000) nella normativa vigente;
· viene prevista l’abrogazione dell’obbligo, per il datore di lavoro (di cui all’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. 61/2000), di informare le R.S.A. (ove esistenti) sull’andamento delle assunzioni a tempo parziale, sulla relativa tipologia e sul ricorso al lavoro supplementare;
Tale abrogazione va valutata con riferimento alle clausole 5 e 6 dell’allegato alla Direttiva 97/81/CE, che prevedono specifici obblighi a carico dei datori di lavoro in relazioni alle informazioni da dare ai lavoratori sul ricorso al tempo parziale.
· non viene riprodotta la previsione che prevede l’obbligo, per i centri per l’impiego e le agenzie per il lavoro, di informare sul contenuto di specifiche norme del contratto part-time i lavoratori interessati ad offerte in materia, prima della stipula del contratto (articolo 3, comma 14, del D.Lgs. 61/2000);
· si prevede la soppressione della possibilità, per i contratti collettivi, di stabilite i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa (articolo 3, comma 7, numero 3), del D:Lgs. 61/2000);
· non viene più riprodotta la norma in base alla quale i contratti collettivi o il contratto individuale di lavoro possono prevedere una corresponsione ai lavoratori part-time di emolumenti retributivi in misura più che proporzionale (articolo 4, comma 2, lettera b), del D.Lgs. 61/2000);
· non è più espressamente prevista, nel caso in cui la scrittura del contratto part-time risulti mancante, la prova per testimoni nei limiti di cui all'articolo 2725 c.c. (articolo 8, comma 1, del D.Lgs. 61/2000);
· non viene più esplicitamente previsto che i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali, possano determinare condizioni e modalità della prestazione lavorativa del rapporto di lavoro part-time, nonché che i contratti collettivi nazionali possano, altresì, prevedere, per specifiche figure o livelli professionali, modalità particolari di attuazione delle discipline rimesse alla contrattazione collettiva (articolo 2, commi 2 e 3, del D.Lgs. 61/2000);
· non vengono confermate le disposizioni che prevedono la possibilità, per il contratto individuale part-time, di contemplare un diritto di precedenza, con riferimento ad attività relative ad unità produttive site nello stesso ambito comunale, nonché alle stesse mansioni (o mansioni equivalenti), e il risarcimento del danno in caso di violazione di tale diritto di precedenza da parte del datore di lavoro (rispettivamente articolo 5, comma 2, e articolo 8, comma 3, del D.Lgs. 261/2000).
Il
lavoro a tempo parziale (part time): la normativa vigente
Il lavoro a tempo parziale (o "part-time"),
disciplinato dal D.Lgs.25 febbraio 2000,
n. 61 (nonché dalle norme regolanti il rapporto di lavoro a tempo pieno in
quanto compatibili), consiste in un rapporto di lavoro subordinato, a tempo
determinato o indeterminato, caratterizzato dallo svolgimento di attività per
un orario, stabilito dal contratto individuale di lavoro, inferiore rispetto a
quello normale previsto dalla legge e dalla contrattazione collettiva per i
lavoratori a tempo pieno.
Ai sensi dell’articolo 1 del D.Lgs. 61/2000, il lavoro
a tempo parziale può assumere le seguenti forme:
-
part-time di tipo orizzontale, nel caso in cui la
riduzione dell'orario di lavoro rispetto al tempo pieno è prevista in relazione
all'orario normale giornaliero di lavoro;
-
part-time di tipo
verticale, se l'attività lavorativa
viene svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso
della settimana, del mese o dell'anno;
-
part-time di tipo
misto, se si svolge secondo una
combinazione delle modalità del part-time orizzontale con quello verticale[7].
Le condizioni e le modalità della prestazione
lavorativa del rapporto di lavoro a tempo parziale sono rimesse alla contrattazione collettiva nazionale,
territoriale e aziendale.
Una profondo riordino della normativa è stato
effettuato dal D.Lgs. 276/2003 (le cui modifiche introdotte trovano comunque
applicazione, ai sensi della circolare del Ministero del lavoro n. 9/2004,
esclusivamente per il settore privato).
Il contratto di lavoro a tempo parziale può essere
stipulato dalla generalità dei lavoratori e dei datori di lavoro, compreso il
settore agricolo, nonché con riferimento ad ogni ipotesi di contratto a
termine, come ad esempio per le assunzioni a tempo determinato concluse ai
sensi dell'articolo 8 della L. 223/1991 (lavoratori in mobilità) ovvero del
D.Lgs. 151/2001 (sostituzione di maternità).
Inoltre, il rapporto a tempo parziale è compatibile con il contratto di
apprendistato (qualora la peculiare articolazione dell'orario non sia di
ostacolo al raggiungimento delle finalità tipiche del contratto), nonché con la
qualifica di dirigente e con il lavoratore socio di cooperativa. Il rapporto a
tempo parziale è, altresì, compatibile con il contratto di somministrazione di
lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato (ai sensi dell’articolo 22,
comma 3-bis, del D.Lgs. 276/2003).
Inoltre, nessuna norma vieta la possibilità di
svolgere più rapporti di lavoro
part-time alle dipendenze di più datori di lavoro, entro comunque specifici
limiti (garanzia, da parte del datore di lavoro, di una durata massima
settimanale, e onere per il lavoratore di comunicare l’ammontare delle ore)
Ai sensi dell’articolo 2, comma 1-2, e 8, comma 1, per
il contratto di lavoro a tempo parziale è richiesta la forma scritta ai soli fini della prova, indicando la durata della
prestazione lavorativa e la collocazione temporale dell'orario con riferimento
al giorno, alla settimana, al mese e all'anno[8]. I contratti
collettivi possono determinare le condizioni e le modalità per l'esercizio del
potere di variazione della collocazione temporale della prestazione rispetto a
quella concordata inizialmente con il lavoratore, introducendo una clausola di
tipo flessibile o di tipo elastico. Il datore di lavoro è tenuto ad informare
annualmente le rappresentanze sindacali aziendali sull'andamento delle
assunzioni a tempo parziale, la relativa tipologia ed il ricorso al lavoro
supplementare.
Nel caso in cui manchi la forma scritta, è ammessa la prova per testimoni, nei
limiti previsti dall'art. 2725 c.c.. In difetto della prova, il lavoratore può
chiedere in via giudiziale, o mediante le procedure di conciliazione o di
arbitrato, la sussistenza di un rapporto a tempo pieno a partire dalla data in
cui la mancanza di scrittura sia giudizialmente accertata. Il lavoratore ha
comunque diritto alle retribuzioni per le prestazioni effettivamente svolte
antecedentemente a tale data (articolo 8, comma 1, del D.Lgs. 61/2000).
L'eventuale mancanza o indeterminatezza nel contratto
scritto della indicazione della durata della prestazione lavorativa e della
collocazione temporale dell'orario non comportano invece la nullità del contratto. Tuttavia,
l'articolo 8, comma 2, del D.Lgs. 61/2000 ha previsto una diversa disciplina a
seconda che nel contratto manchi l'indicazione della durata della prestazione
lavorativa ovvero la sua collocazione.
Nel primo caso, infatti, su richiesta del lavoratore,
può essere dichiarata dal giudice la sussistenza di un rapporto di lavoro a
tempo pieno a partire dalla data della sentenza. Nel secondo caso il giudice
provvede a determinare le modalità temporali di svolgimento della prestazione
lavorativa a tempo parziale, con riferimento alle previsioni della
contrattazione collettiva o, in mancanza, con valutazione equitativa. In
entrambe le ipotesi, per il periodo antecedente la pronuncia della sentenza, il
lavoratore ha diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, al risarcimento
del danno.
In applicazione del principio di non discriminazione, nell’esecuzione del rapporto di
lavoro part-time il lavoratore non deve ricevere un trattamento meno favorevole
rispetto a quello ottenuto dal lavoratore a tempo pieno con identico livello
(articolo 4). Ciò comporta che il lavoratore part-time benefici dei medesimi
diritti con il lavoratore a tempo pieno comparabile riguardo agli istituti
caratteristici del rapporto di lavoro.
Ai sensi dell’articolo 4, comma 2, inoltre, nel
contratto part-time è possibile prevedere un periodo di prova, nei limiti e con
le modalità previste per il tempo pieno. La contrattazione collettiva può,
comunque, rideterminare la durata del periodo di prova nel caso in cui
l’assunzione avvenga con part-time verticale.
Il D.Lgs. 61/2000 ha previsto degli strumenti
finalizzati ad una maggiore flessibilità della prestazione lavorativa, con
l'introduzione delle cd. clausole
elastiche e flessibili, anche se nei rapporti di lavoro part-time di tipo
orizzontale possono essere pattuite soltanto clausole flessibili, mentre nei
rapporti a tempo parziale di tipo verticale o misto possono concordarsi
entrambe le tipologie di clausole (articolo 3, commi 7-10, D.Lgs. 61/2000.
Articolo 22, comma 4, L. 183/2011, articolo 1, comma 20, L. 92/2012).
Più specificamente, gli articoli 7 e 8 del D.Lg.
61/2000 hanno disposto che (fermo restando quanto disposto dall'articolo 2,
comma 2 dello stesso provvedimento) i contratti collettivi stipulati dalle
organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale possono, nel rispetto di specifiche disposizioni, stabilire clausole
flessibili relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione
stessa. Nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto
possono essere stabilite anche clausole elastiche relative alla variazione in
aumento della durata della prestazione lavorativa. I predetti contratti
collettivi stabiliscono:
1) condizioni e modalità in relazione alle quali
il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione
lavorativa (cd. clausole flessibili);
2) condizioni e modalità in relazioni alle quali
il datore di lavoro può variare in aumento la durata della prestazione lavorativa
(cd. clausole elastiche).
Le clausole per essere valide devono essere
sottoscritte dal lavoratore. L’eventuale rifiuto del lavoratore all’adozione di
clausole elastiche e flessibili non costituisce giustificato motivo di
licenziamento.
L’esercizio, ove previsto dai contratti collettivi e
nei termini, condizioni e modalità ivi stabiliti, da parte del datore di lavoro
del potere di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa, nonché
di modificare la collocazione temporale della stessa, comporta in favore del
prestatore di lavoro un preavviso, fatte salve le intese fra le parti, di
almeno cinque giorni lavorativi, nonché il diritto a specifiche compensazioni,
nella misura ovvero nelle forme fissate dai contratti collettivi.
Infine, i contratti
collettivi stabiliscono altresì condizioni e modalità che consentano al
lavoratore di richiedere l'eliminazione o la modifica delle clausole flessibili
ed elastiche, nonché i casi in cui al lavoratore è riconosciuta la facoltà di
revocare il consenso prestato all’inserimento di clausole flessibili od
elastiche ,
Per lavoro
supplementare si intende, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera e),
quello corrispondente alle prestazioni lavorative svolte oltre l'orario di
lavoro concordato tra le parti nel contratto individuale ed entro il limite del
tempo pieno. Nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale,
anche a tempo determinato, il datore di lavoro ha facoltà di richiedere al
lavoratore lo svolgimento delle suddette prestazioni supplementari. Il ricorso
al lavoro supplementare è consentito anche nel lavoro a tempo parziale di tipo
verticale o misto, quando il tempo pieno non sia stato raggiunto.
L'effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare
è subordinata al consenso del
lavoratore interessato soltanto nel caso in cui l'istituto del lavoro
supplementare non sia previsto né regolamentato dal contratto collettivo.
Infatti se esiste una disciplina collettiva questa può essere richiesta dal
datore anche senza il consenso del lavoratore (nota del Ministero del lavoro n.
659/2005).
Ai sensi dell’articolo 3, comma 5, il lavoro
straordinario, da intendersi come il lavoro prestato oltre il normale orario di
lavoro full time, è ammissibile solo nel rapporto di lavoro part-time di tipo
verticale o misto anche a tempo determinato. E' possibile il ricorso al lavoro
straordinario solo dove il tempo pieno settimanale sia stato raggiunto; in caso
contrario, l'aumento di orario può essere gestito con il ricorso a clausole
elastiche ovvero al lavoro supplementare (secondo quanto riportato nella
circolare del Ministero del lavoro n.
9/2004).
Secondo quanto riportato nell’articolo 4, il
lavoratore part-time non può ricevere
un trattamento meno favorevole
rispetto al lavoratore a tempo pieno inquadrato nel medesimo livello
contrattuale (c.d. principio di non
discriminazione)[9], con ciò
beneficiando degli stessi diritti di un lavoratore a tempo pieno per quanto
riguarda, in particolare, l'importo della retribuzione oraria; la durata del
periodo di prova e delle ferie annuali; la durata del periodo di astensione
obbligatoria e facoltativa per maternità; la durata di conservazione del posto
di lavoro in caso di malattia, infortuni sul lavoro e malattia professionale; l'applicazione
delle norme di tutela della salute e sicurezza sul lavoro; l'accesso ad
iniziative di formazione professionale organizzate dal datore di lavoro e i
diritti sindacali. Nei rapporti di lavoro part-time di tipo verticale, la
contrattazione collettiva può provvedere a modulare la durata del periodo di
comporto di malattia e del periodo di prova.
Per quanto attiene alla retribuzione (articolo 4), il lavoratore a tempo parziale ha
diritto ad un trattamento riproporzionato alla ridotta prestazione lavorativa
per quanto riguarda l'importo della retribuzione globale e delle singole
componenti di ess, l'importo della retribuzione feriale nonché l'importo dei
trattamenti economici per malattia, infortuni sul lavoro, malattia
professionale e maternità.
Le parti possono stabilire la trasformazione dell’originario rapporto di lavoro a tempo pieno in
rapporto part-time (o viceversa). L’articolo 5, comma 1, infatti, ammette, su
accordo delle parti risultante da atto scritto, della trasformazione del
rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale, con
contestuale obbligo di comunicazione entro 5 giorni agli uffici competenti.
Il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio
rapporto di lavoro da part-time a tempo pieno e viceversa[10], non
costituisce giustificato motivo di licenziamento[11].
Alla trasformazione hanno diritto anche i lavoratori
affetti da patologie oncologiche, per i quali residui una ridotta capacità
lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita.
L’articolo 12-bis ha introdotto una trasformazione di diritto del rapporto
di lavoro a tempo pieno in part-time per i lavoratori affetti da patologie
oncologiche, nonché una priorità nella
trasformazione in caso di patologie oncologiche riguardanti il coniuge, i
figli o i genitori del lavoratore o della lavoratrice, nonché nel caso in cui
il lavoratore o la lavoratrice assista una persona convivente con totale e
permanente inabilità lavorativa, che assuma connotazione di gravità ai sensi
dell'articolo 3, comma 3, della L. 104/1992, alla quale è stata riconosciuta
una percentuale di invalidità pari al 100%, con necessità di assistenza
continua.
Il D.Lgs. 61/2000 riconosce 2 ipotesi di diritto di precedenza per
trasformazione del rapporto da part-time a tempo pieno: in caso di nuova
assunzione di personale a tempo pieno, il contratto individuale di lavoro può
prevedere tale diritto in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale che
svolgono mansioni identiche od equivalenti rispetto a quelle per le quali è
prevista l'assunzione ed esplicano la loro attività presso unità produttive
site nello stesso ambito comunale (articolo 5, comma 2); inoltre, il lavoratore
che abbia trasformato il rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro
a tempo parziale ha diritto di precedenza nelle assunzioni con contratto a
tempo pieno per l'espletamento delle stesse mansioni o di quelle equivalenti a
quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale (articolo 12-ter). La
violazione del diritto di precedenza, comporta in favore del lavoratore il
diritto al risarcimento del danno pari alla differenza tra la retribuzione
percepita e quella che gli sarebbe spettata nei sei mesi successivi in caso di
trasformazione a tempo pieno (articolo 8, comma 3).
Inoltre, In tutte le ipotesi in cui, per disposizione
di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l'accertamento della
consistenza dell'organico, i lavoratori a tempo parziale sono computati nel complesso del numero dei
lavoratori dipendenti in proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo
pieno (articolo 6).
Per quanto attiene, infine, all’aspetto previdenziale, In linea generale ai
lavoratori a tempo parziale si applicano gli stessi contributi previdenziali e
premi assicurativi previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti a tempo
pieno. Sono invece specifici i criteri di determinazione del minimale
contributivo stabilito su base oraria, che deve essere riproporzionato alle
giornate di lavoro settimanale ad orario normale e rapportandolo al numero di
ore di orario normale settimanale prevista dai contratti collettivi per i
lavoratori a tempo pieno.
Nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro da
tempo pieno in part-time e viceversa ai fini dell’ammontare della pensione si
computa per intero l’anzianità relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno,
mentre l’anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale si computa e
proporzionalmente all’orario effettivamente svolto (articolo 9, comma 4).
Infine, le indennità per congedi di maternità, paternità
e parentale spettano per tutto il periodo di astensione sia nel caso di
part-time orizzontale sia in caso di part-time verticale o misto.
LAVORO A TEMPO PARZIALE |
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D.Lgs. 25
febbraio 2000, n. 61 |
Schema di
decreto legislativo |
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CAPO II Lavoro ad orario ridotto e flessibile Lavoro a tempo parziale |
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Articolo 1 |
Articolo 2 |
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1. Nel
rapporto di lavoro subordinato l'assunzione può avvenire a tempo pieno o a
tempo parziale. |
1. Nel
rapporto di lavoro subordinato, anche
a tempo determinato, l'assunzione può avvenire a tempo pieno o a tempo
parziale. |
2. Ai fini del
presente decreto legislativo si intende: |
2. Ai fini della disciplina della presente sezione
si intendono per: |
a) per "tempo pieno" l'orario
normale di lavoro di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 8
aprile 2003, n. 66, o l'eventuale minor orario normale fissato dai contratti
collettivi applicati; |
a) «tempo pieno»
l'orario normale di lavoro di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto
legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o l'eventuale minor orario normale fissato
dai contratti collettivi applicati; |
b) per "tempo parziale"
l'orario di lavoro, fissato dal contratto individuale, cui sia tenuto un
lavoratore, che risulti comunque inferiore a quello indicato nella lettera
a); |
b) «tempo
parziale» l'orario di lavoro, fissato dal contratto individuale, cui sia
tenuto un lavoratore, che risulti comunque inferiore a quello indicato nella
lettera a); |
c) per "rapporto di lavoro a tempo
parziale di tipo orizzontale" quello in cui la riduzione di orario
rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all'orario normale
giornaliero di lavoro; |
c) «rapporto
di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale» quello in cui la riduzione di
orario rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all'orario normale
giornaliero di lavoro; |
d) per "rapporto di lavoro a tempo
parziale di tipo verticale" quello in relazione al quale risulti previsto
che l'attività lavorativa sia svolta a tempo pieno, ma limitatamente a
periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno; |
d) «rapporto
di lavoro a tempo parziale di tipo verticale» quello in cui risulti previsto
che l'attività lavorativa sia svolta a tempo pieno, ma limitatamente a
periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno; |
d-bis) per "rapporto di lavoro a tempo
parziale di tipo misto” quello che si svolge secondo una combinazione delle
due modalità indicate nelle lettere c) e d); |
e) «rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo misto»
quello che si svolge secondo una combinazione delle due modalità indicate
nelle lettere e) e d); |
e) per "lavoro supplementare"
quello corrispondente alle prestazioni lavorative svolte oltre l'orario di
lavoro concordato fra le parti ai sensi dell'articolo 2, comma 2, ed entro il
limite del tempo pieno. |
f) «lavoro supplementare» quello corrispondente alle
prestazioni lavorative svolte oltre l'orario di lavoro concordato fra le
parti ai sensi dell'articolo 3,
comma 2, ed entro il limite del tempo pieno; |
3. I contratti
collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e
prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale
e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali
aziendali di cui all'articolo 19 della
legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero dalle
rappresentanze sindacali unitarie possono
determinare condizioni e modalità della prestazione lavorativa del rapporto
di lavoro di cui al comma 2. I contratti collettivi nazionali possono,
altresì, prevedere per specifiche figure o livelli professionali modalità
particolari di attuazione delle discipline rimesse alla contrattazione
collettiva ai sensi del presente decreto. |
g) «contratti
collettivi» i contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da
associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze
sindacali aziendali ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie. Soppresso |
4. Le assunzioni a termine, di cui al decreto
legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni, di cui
all'articolo 8 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e di cui all'articolo 4
del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, possono essere effettuate
anche con rapporto a tempo parziale, ai sensi dei commi 2 e 3. |
Soppresso |
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Articolo 2 |
Articolo 3 |
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1. Il
contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai fini e
per gli effetti di cui all'articolo 8, comma 1. Fatte salve eventuali più favorevoli previsioni dei
contratti collettivi di cui all'articolo 1, comma 3, il datore di lavoro è
altresì tenuto ad informare le rappresentanze sindacali aziendali, ove
esistenti, con cadenza annuale, sull'andamento delle assunzioni a tempo
parziale, la relativa tipologia ed il ricorso al lavoro supplementare. |
1. Il
contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai fini della prova. Soppresso |
2. Nel
contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della
durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale
dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno. Clausole difformi sono ammissibili solo
nei termini di cui all'articolo 3, comma 7. |
2. Nel
contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della
durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale
dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno. |
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Articolo 3 |
Articolo 4 |
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1. Nelle
ipotesi di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, anche a tempo determinato ai sensi dell'articolo 1 del decreto
legislativo 6 settembre 2001, n. 368, il datore di lavoro ha facoltà di
richiedere lo svolgimento di prestazioni supplementari rispetto a quelle concordate con il lavoratore ai sensi dell'articolo
2, comma 2, nel rispetto di quanto previsto dai commi 2, 3 e 4. |
1. Nelle
ipotesi di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale il datore di lavoro ha
la facoltà di richiedere lo svolgimento di prestazioni supplementari nel
rispetto di quanto previsto dai commi 2,3,4 e 5. (v. articolo 2, comma 1) |
2. I contratti
collettivi stipulati dai soggetti indicati nell'articolo 1, comma 3,
stabiliscono il numero massimo delle ore di lavoro supplementare effettuabili
e le relative causali in relazione alle quali si consente di richiedere ad un
lavoratore a tempo parziale lo svolgimento di lavoro supplementare, nonché le
conseguenze del superamento delle ore di lavoro supplementare consentite dai
contratti collettivi stessi. |
2. I contratti collettivi stabiliscono il
numero massimo delle ore di lavoro supplementare effettuabili, nonché le
conseguenze del suo superamento. |
3.
L'effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare richiede il consenso
del lavoratore interessato ove non prevista e regolamentata dal contratto
collettivo. Il rifiuto da parte del
lavoratore non può integrare in nessun caso gli estremi del giustificato
motivo di licenziamento. |
3.
L'effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare richiede il consenso
del lavoratore interessato ove non prevista e regolamentata dal contratto
collettivo. |
4. I contratti
collettivi di cui al comma 2 possono
prevedere una percentuale di maggiorazione sull'importo della retribuzione
oraria globale di fatto, dovuta in relazione al lavoro supplementare. In alternativa a quanto previsto in
proposito dall'articolo 4, comma 2, lettera a), i contratti collettivi di cui al comma 2 possono anche
stabilire che l'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli
istituti retributivi indiretti e differiti sia determinata convenzionalmente
mediante l'applicazione di una maggiorazione forfettaria sulla retribuzione
dovuta per la singola ora di lavoro supplementare. |
4. I contratti
collettivi possono prevedere una percentuale di maggiorazione sull'importo
della retribuzione oraria globale di fatto, dovuta in relazione al lavoro
supplementare. I contratti collettivi possono anche stabilire che l'incidenza
della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi
indiretti e differiti sia determinata convenzionalmente mediante
l'applicazione di una maggiorazione forfettaria sulla retribuzione dovuta per
la singola ora di lavoro supplementare. |
5. Nel
rapporto di lavoro a tempo parziale verticale o misto, anche a tempo
determinato, è consentito lo
svolgimento di prestazioni lavorative straordinarie. A tali prestazioni si applica la disciplina legale e contrattuale
vigente ed eventuali successive modifiche ed integrazioni in materia di
lavoro straordinario nei rapporti a tempo pieno. |
6. Nel rapporto di lavoro a tempo
parziale verticale o misto è
consentito lo svolgimento di prestazioni lavorative straordinarie. |
|
5. Nel caso in cui il contratto collettivo applicato
al rapporto di lavoro non contenga una specifica disciplina del lavoro
supplementare, il datore di lavoro può richiedere al lavoratore lo
svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare in misura non superiore al
15 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate. In tale ipotesi il
lavoro supplementare è retribuito con una percentuale di maggiorazione
sull'importo della retribuzione oraria globale di fatto pari al 15 per cento,
comprensiva dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli
istituti retributivi indiretti e differiti. |
7. Fermo
restando quanto disposto dall'articolo 2, comma 2, le parti del contratto di
lavoro a tempo parziale possono, nel
rispetto di quanto previsto dal presente comma e dai commi 8 e 9,
concordare clausole flessibili relative alla variazione della collocazione
temporale della prestazione stessa. Nei rapporti di lavoro a tempo parziale
di tipo verticale o misto possono essere stabilite anche clausole elastiche
relative alla variazione in aumento della durata della prestazione
lavorativa. I contratti collettivi,
stipulati dai soggetti indicati nell'articolo 1, comma 3, stabiliscono: |
7. Nel rispetto di quanto previsto dai
contratti collettivi le parti del contratto di lavoro a tempo parziale
possono pattuire, per iscritto, clausole flessibili
relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa. Nei rapporti di lavoro a
tempo parziale di tipo verticale o misto possono essere pattuite, per iscritto, anche clausole elastiche relative alla
variazione in aumento della durata della stessa.
|
|
8. I contratti collettivi stabiliscono: |
1) condizioni
e modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può modificare la
collocazione temporale della prestazione lavorativa; |
a) condizioni e modalità che consentono al datore di lavoro di modificare la collocazione temporale della prestazione
lavorativa; |
2) condizioni
e modalità in relazioni alle quali il datore di lavoro può variare in aumento
la durata della prestazione lavorativa; |
b) condizioni e modalità che consentono al datore di lavoro di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa e i limiti massimi della variazione; |
3) i limiti
massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa; |
Soppresso; |
3-bis)
condizioni e modalità che consentono al lavoratore di richiedere
l'eliminazione ovvero la modifica delle clausole flessibili e delle clausole
elastiche stabilite ai sensi del presente comma. |
c) condizioni e modalità che consentono al lavoratore
di richiedere l'eliminazione ovvero la modifica delle clausole flessibili e
delle clausole elastiche pattuite
ai sensi del comma 7. |
8. L'esercizio
da parte del datore di lavoro del potere di variare in aumento la durata
della prestazione lavorativa, nonché di modificare la collocazione temporale
della stessa comporta in favore del prestatore di lavoro un preavviso, fatte
salve le intese tra le parti, di almeno due giorni lavorativi, nonché il
diritto a specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme fissate
dai contratti collettivi di cui
all'articolo 1, comma 3. |
9. L'esercizio da parte del datore di lavoro del
potere di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa, nonché
di modificare la collocazione temporale della stessa comporta in favore del
prestatore di lavoro un preavviso, fatte salve le intese tra le parti, di due
giorni lavorativi, nonché il diritto a specifiche compensazioni, nella misura
ovvero nelle forme fissate dai contratti collettivi. |
9. La disponibilità allo svolgimento del rapporto di
lavoro a tempo parziale ai sensi del comma 7 richiede il consenso del
lavoratore formalizzato attraverso uno specifico patto scritto, anche
contestuale al contratto di lavoro, reso, su richiesta del lavoratore, con
l'assistenza di un componente della rappresentanza sindacale aziendale
indicato dal lavoratore medesimo. L'eventuale rifiuto del lavoratore non
integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento. Segue comma 9 |
Soppresso |
Ferme restando
le ulteriori condizioni individuate dai contratti collettivi ai sensi del
comma 7, al lavoratore che si trovi nelle condizioni di cui all'articolo
12-bis del presente decreto ovvero in quelle di cui all'articolo 10, primo
comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, è riconosciuta la facoltà di
revocare il predetto consenso. |
11. Ferme restando le ulteriori condizioni individuate
dai contratti collettivi ai sensi del comma
8, lettera c), al lavoratore che si trovi nelle condizioni di cui
all'articolo 6, commi da 3 a 5, ovvero
in quelle di cui all'articolo 10, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n.
300, è riconosciuta la facoltà di revocare il consenso prestato alla clausola flessibile o elastica. |
10.
L'inserzione nel contratto di lavoro a tempo parziale di clausole flessibili
o elastiche ai sensi del comma 7 è possibile anche nelle ipotesi di contratto
di lavoro a termine. |
(v. articolo 2, comma 1) |
|
10. Nel caso in
cui il contratto collettivo applicato al rapporto non contenga una specifica
disciplina delle clausole flessibili ed elastiche, le parti del contratto di
lavoro a tempo parziale possono pattuire per iscritto, avanti alle
commissioni di certificazione di cui all'articolo 76 del decreto legislativo
10 settembre 2003, n. 276, clausole flessibili relative alla variazione della
collocazione temporale della prestazione lavorativa e, nei rapporti di lavoro
a tempo parziale di tipo verticale o misto, clausole elastiche relative alla
variazione in aumento della stessa. Le predette clausole prevedono, a pena di
nullità, le condizioni e le modalità con le quali il datore di lavoro, con
preavviso di due giorni lavorativi, può modificare la collocazione temporale
della prestazione e variarne in aumento la durata, nonché la misura massima
dell'aumento, che non può eccedere il limite del 25 per cento della normale
prestazione annua a tempo parziale. Le modifiche dell'orario di cui al
secondo periodo comportano il diritto del lavoratore ad una maggiorazione
della retribuzione oraria pari al 15 per cento, comprensiva dell'incidenza
della retribuzione sugli istituti retributivi indiretti e differiti. |
14. I centri per l'impiego e i soggetti autorizzati
all'attività di mediazione fra domanda ed offerta di lavoro, di cui
rispettivamente agli articoli 4 e 10 del decreto legislativo 23 dicembre
1997, n. 469, sono tenuti a dare, ai lavoratori interessati ad offerte di
lavoro a tempo parziale, puntuale informazione della disciplina prevista dai
commi 3, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 13, preventivamente alla stipulazione del
contratto di lavoro. Per i soggetti di cui all'articolo 10 del decreto
legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, la mancata fornitura di detta
informazione costituisce comportamento valutabile ai fini dell'applicazione
della norma di cui al comma 12, lettera b), del medesimo articolo 10. |
Soppresso |
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Articolo 4 |
Articolo 5 |
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1. Fermi restando i divieti di
discriminazione diretta ed indiretta previsti dalla legislazione vigente,
il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno
favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, intendendosi per
tale quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di
classificazione stabiliti dai contratti collettivi di cui all'articolo 1, comma 3, per il solo motivo di lavorare a
tempo parziale. |
1. Il
lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole
rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, intendendosi per tale
quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di
classificazione stabiliti dai contratti collettivi per il solo fatto di lavorare a tempo parziale. |
2.
L'applicazione del principio di non discriminazione comporta che: |
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a) il
lavoratore a tempo parziale benefici dei medesimi diritti di un lavoratore a
tempo pieno comparabile in particolare per quanto riguarda l'importo della
retribuzione oraria; la durata del periodo di prova e delle ferie annuali; la
durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità; la
durata del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia,
infortuni sul lavoro, malattie professionali; l'applicazione delle norme di
tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro;
l'accesso ad iniziative di formazione professionale organizzate dal datore di
lavoro; l'accesso ai servizi sociali aziendali; i criteri di calcolo delle
competenze indirette e differite previsti dai contratti collettivi di lavoro;
i diritti sindacali, ivi compresi quelli di cui al titolo III della legge 20
maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni. I contratti collettivi di
cui all'articolo 1, comma 3, possono provvedere a modulare la durata del
periodo di prova e quella del periodo di conservazione del posto di lavoro in
caso di malattia qualora l'assunzione avvenga con contratto di lavoro a tempo
parziale di tipo verticale; |
2. Il lavoratore a tempo parziale ha i
medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile ed il suo
trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta
entità della prestazione lavorativa. I contratti collettivi possono modulare
la durata del periodo di prova e quella del periodo di conservazione del
posto di lavoro in caso di malattia ed infortunio qualora l'assunzione
avvenga con contratto a tempo parziale di tipo verticale. |
b) il trattamento del lavoratore a tempo parziale
sia riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione
lavorativa in particolare per quanto riguarda l'importo della retribuzione
globale e delle singole componenti di essa; l'importo della retribuzione
feriale; l'importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul
lavoro, malattia professionale e maternità. Resta ferma la facoltà per il
contratto individuale di lavoro e per i contratti collettivi, di cui
all'articolo 1, comma 3, di prevedere che la corresponsione ai lavoratori a
tempo parziale di emolumenti retributivi, in particolare a carattere
variabile, sia effettuata in misura più che proporzionale. |
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Articolo 5 |
Articolo 6 |
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|
1. Il rifiuto
di un lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno
in rapporto a tempo parziale, o il proprio rapporto di lavoro a tempo
parziale in rapporto a tempo pieno, non costituisce giustificato motivo di
licenziamento. Su accordo
delle parti risultante da atto scritto è ammessa la trasformazione del
rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale. Al rapporto di lavoro a tempo parziale
risultante dalla trasformazione si applica la disciplina di cui al presente
decreto legislativo. |
1. Il rifiuto del lavoratore di trasformare il
proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce
giustificato motivo di licenziamento. 9. Il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell'orario di lavoro non costituisce
giustificato motivo di licenziamento. 2. Su accordo
delle parti risultante da atto scritto è ammessa la trasformazione del
rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale. |
2. Il contratto individuale può prevedere, in caso
di assunzione di personale a tempo pieno, un diritto di precedenza in favore
dei lavoratori assunti a tempo parziale in attività presso unità produttive
site nello stesso ambito comunale, adibiti alle stesse mansioni od a mansioni
equivalenti rispetto a quelle con riguardo alle quali è prevista
l'assunzione. |
Soppresso |
3. In caso di
assunzione di personale a tempo parziale il datore di lavoro è tenuto a darne
tempestiva informazione al personale già dipendente con rapporto a tempo
pieno occupato in unità produttive site nello stesso ambito comunale, anche
mediante comunicazione scritta in luogo accessibile a tutti nei locali
dell'impresa, ed a prendere in considerazione le eventuali domande di
trasformazione a tempo parziale del rapporto dei dipendenti a tempo pieno. I
contratti collettivi di cui
all'articolo 1, comma 3, possono provvedere
ad individuare criteri applicativi con riguardo a tale disposizione. |
8. In caso di
assunzione di personale a tempo parziale il datore di lavoro è tenuto a darne
tempestiva informazione al personale già dipendente con rapporto a tempo
pieno occupato in unità produttive site nello stesso ambito comunale, anche
mediante comunicazione scritta in luogo accessibile a tutti nei locali
dell'impresa ed a prendere in considerazione le eventuali domande di
trasformazione a tempo parziale del rapporto dei dipendenti a tempo pieno. I
contratti collettivi possono individuare criteri applicativi della disposizione di cui al presente
comma. |
4. Gli incentivi economici all'utilizzo del lavoro a
tempo parziale, anche a tempo determinato, saranno definiti, compatibilmente
con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato, nell'ambito della
riforma del sistema degli incentivi all'occupazione. |
Soppresso |
|
7. Il lavoratore può chiedere, per una sola volta,
in luogo del congedo parentale spettante ai sensi del Capo V del decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151, la trasformazione del rapporto di lavoro a
tempo pieno in rapporto a tempo parziale per un periodo corrispondente, con
una riduzione d'orario non superiore al 50 per cento. |
|
|
Articolo 6 |
Articolo 7 |
|
|
1. In tutte le
ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda
necessario l'accertamento della consistenza dell'organico, i lavoratori a
tempo parziale sono computati nel complesso del numero dei lavoratori
dipendenti in proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo pieno così
come definito ai sensi dell'articolo 1; ai fini di cui sopra l'arrotondamento
opera per le frazioni di orario eccedenti la somma degli orari individuati a
tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno. |
1. Ai fini della applicazione di qualsiasi
disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il
computo dei dipendenti del datore di lavoro, i lavoratori a tempo parziale
sono computati in proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo pieno.
Al fine, l'arrotondamento opera per le frazioni di orario eccedenti la somma
degli orari a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo
pieno. |
|
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Articolo 8 |
Articolo 8 |
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1. Nel
contratto di lavoro a tempo parziale la forma scritta è richiesta a fini di
prova. Qualora la scrittura risulti mancante, è ammessa la prova per
testimoni nei limiti di cui all'articolo 2725 del codice civile. In difetto
di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di
lavoro, su richiesta del lavoratore potrà essere dichiarata la sussistenza
fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data in
cui la mancanza della scrittura sia giudizialmente accertata. Resta fermo il
diritto alle retribuzioni dovute per le prestazioni effettivamente rese
antecedentemente alla data suddetta. |
1. In difetto di prova alla stipulazione a
tempo parziale del contratto di lavoro, su domanda del lavoratore il giudice
dichiara la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno,
fermo restando, per il periodo antecedente alla data della pronuncia, il
diritto alle retribuzioni ed al versamento dei contributi previdenziali
dovuti per le prestazioni effettivamente rese. |
2. L'eventuale
mancanza o indeterminatezza nel contratto scritto delle indicazioni di cui
all'articolo 2, comma 2, non comporta la nullità del contratto di lavoro a
tempo parziale. Qualora l'omissione riguardi la durata della prestazione
lavorativa, su richiesta del lavoratore può essere dichiarata la sussistenza
fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data del
relativo accertamento giudiziale. Qualora invece l'omissione riguardi la sola
collocazione temporale dell'orario, il giudice provvede a determinare le
modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo
parziale con riferimento alle
previsioni dei contratti collettivi di cui all'articolo 3, comma 7, o, in
mancanza, con valutazione equitativa, tenendo conto in particolare delle
responsabilità familiari del lavoratore interessato, della sua necessità di
integrazione del reddito derivante dal
rapporto a tempo parziale mediante lo svolgimento di altra attività
lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro. Per il periodo
antecedente la data della pronuncia della sentenza, il lavoratore ha in
entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla
corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno,
da liquidarsi con valutazione
equitativa. Nel corso del successivo svolgimento del rapporto, è fatta salva
la possibilità di concordare per iscritto clausole elastiche o flessibili ai
sensi dell'articolo 3, comma 3. In luogo del ricorso all'autorità
giudiziaria, le controversie di cui al presente comma ed al comma 1 possono
essere risolte mediante le procedure di conciliazione ed eventualmente di
arbitrato previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro di cui
all'articolo 1, comma 3. |
2. Qualora nel contratto scritto non sia
determinata la durata della prestazione lavorativa, su domanda del lavoratore
il giudice dichiara la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a
tempo pieno a partire dalla data della pronuncia. Qualora
l'omissione riguardi la sola collocazione temporale dell'orario, il giudice determina le modalità temporali di
svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale con valutazione
equitativa, tenendo conto in particolare delle responsabilità familiari del
lavoratore interessato, della sua necessità di integrazione del reddito
mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze
del datore di lavoro. Per il periodo antecedente alla data della pronuncia,
il lavoratore ha in entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione e al versamento dei contributi previdenziali
dovuti per le prestazioni effettivamente rese, alla corresponsione di un
ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno. |
2-bis. Lo
svolgimento di prestazioni elastiche o flessibili di cui all'articolo 3, comma 7, senza il rispetto di quanto
stabilito dall'articolo 3, commi 7, 8, 9 comporta a favore del prestatore di
lavoro il diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla corresponsione
di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno. |
3. Lo svolgimento di prestazioni elastiche o
flessibili senza il rispetto delle
condizioni, delle modalità e dei limiti previsti dalla legge o dai contratti
collettivi comporta il diritto del
lavoratore, in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla corresponsione di
un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno. |
3. In caso di violazione da parte del datore di
lavoro del diritto di precedenza di cui all'articolo 5, comma 2, il
lavoratore ha diritto al risarcimento del danno in misura corrispondente alla
differenza fra l'importo della retribuzione percepita e quella che gli
sarebbe stata corrisposta a seguito del passaggio al tempo pieno nei sei mesi
successivi a detto passaggio. |
Soppresso |
4. La mancata comunicazione alla direzione
provinciale del lavoro, di cui all'articolo 2, comma 1, secondo periodo,
comporta l'applicazione di una sanzione amministrativa di lire trentamila per
ciascun lavoratore interessato ed ogni giorno di ritardo. I corrispondenti
importi sono versati a favore della gestione contro la disoccupazione dell'Istituto
nazionale della previdenza sociale (INPS). |
Soppresso |
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Articolo 9 |
Articolo 9 |
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1. La
retribuzione minima oraria, da assumere quale base per il calcolo dei
contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale, si
determina rapportando alle giornate di lavoro settimanale ad orario normale
il minimale giornaliero di cui all'articolo 7 del decreto-legge 12 settembre
1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n.
638, e dividendo l'importo così ottenuto per il numero delle ore di orario
normale settimanale previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria
per i lavoratori a tempo pieno. |
1. Identico |
2. Gli assegni
per il nucleo familiare spettano ai lavoratori a tempo parziale per l'intera
misura settimanale in presenza di una prestazione lavorativa settimanale di
durata non inferiore al minimo di ventiquattro ore. A tal fine sono cumulate
le ore prestate in diversi rapporti di lavoro. In caso contrario spettano
tanti assegni giornalieri quante sono le giornate di lavoro effettivamente
prestate, qualunque sia il numero delle ore lavorate nella giornata. Qualora
non si possa individuare l'attività principale per gli effetti dell'articolo
20 del testo unico delle norme sugli assegni familiari, approvato con decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797, e successive
modificazioni, gli assegni per il nucleo familiare sono corrisposti
direttamente dall'INPS. Il comma 2
dell'articolo 26 del citato testo unico è sostituito dal seguente: "Il
contributo non è dovuto per i lavoratori cui non spettano gli assegni a norma
dell'articolo 2.". |
2. Gli assegni
per il nucleo familiare spettano ai lavoratori a tempo parziale per l'intera
misura settimanale in presenza di una prestazione lavorativa settimanale di
durata non inferiore al minimo di ventiquattro ore. A tal fine sono cumulate
le ore prestate in diversi rapporti di lavoro. In caso contrario spettano
tanti assegni giornalieri quante sono le giornate di lavoro effettivamente
prestate, qualunque sia il numero delle ore lavorate nella giornata. Qualora
non si possa individuare l’attività principale per gli effetti dell'articolo
20 del testo unico delle norme sugli assegni familiari, approvato con decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797, e successive
modificazioni, gli assegni per il nucleo familiare sono corrisposti
direttamente dall'INPS. |
3. La
retribuzione da valere ai fini dell'assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali dei lavoratori a tempo parziale è uguale
alla retribuzione tabellare prevista dalla contrattazione collettiva per il
corrispondente rapporto di lavoro a tempo pieno. La retribuzione tabellare è
determinata su base oraria in relazione alla durata normale annua della
prestazione di lavoro espressa in ore. La retribuzione minima oraria da
assumere quale base di calcolo dei premi per l'assicurazione di cui al
presente comma è stabilita con le modalità di cui al comma 1. |
3. La
retribuzione dei lavoratori a tempo
parziale a valere ai fini dell'assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali è uguale alla retribuzione tabellare
prevista dalla contrattazione collettiva per il corrispondente rapporto di
lavoro a tempo pieno. La retribuzione tabellare è determinata su base oraria
in relazione alla durata normale annua della prestazione di lavoro espressa
in ore. La retribuzione minima oraria da assumere quale base di calcolo dei
premi per l'assicurazione di cui al presente comma è stabilita con le
modalità di cui al comma 1. |
4. Nel caso di
trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e
viceversa, ai fini della determinazione dell'ammontare del trattamento di
pensione si computa per intero l'anzianità relativa ai periodi di lavoro a
tempo pieno e proporzionalmente all'orario effettivamente svolto l'anzianità
inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale. |
4. 4. Nel caso
di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo
parziale e viceversa, ai fini della determinazione dell'ammontare del
trattamento di pensione si computa per intero l'anzianità relativa ai periodi
di lavoro a tempo pieno e proporzionalmente all'orario effettivamente svolto
l'anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale |
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Articolo 10 |
Articolo 10 |
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1. Ai sensi
dell'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, le
disposizioni del presente decreto si applicano, ove non diversamente
disposto, anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche, con esclusione di quelle contenute negli articoli 2, comma 1, 5,
commi 2 e 4, e 8, e comunque fermo restando quanto previsto da disposizioni
speciali in materia ed, in
particolare, dall'articolo 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662,
dall'articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, dall'articolo 22 della
legge 23 dicembre 1998, n. 448, e dall'articolo 20 della legge 23 dicembre
1999, n. 488. |
1. Ai sensi
dell'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le disposizioni della presente sezione si applicano, ove non diversamente
disposto, anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche, con esclusione di quelle contenute nell’articolo 8, e 4,
commi 5 e 10, comunque, fermo restando quanto previsto da disposizioni
speciali in materia. |
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Articolo
11 |
Soppresso |
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1. Sono abrogati: |
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a) l'articolo 5 del decreto-legge 30 ottobre 1984,
n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863; |
|
b) la lettera a) del comma 1 dell'articolo 7 del
decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla
legge 19 luglio 1994, n. 451, limitatamente alle parole: "alla data di
entrata in vigore del presente decreto ovvero sulla base di accordi
collettivi di gestione di eccedenze di personale che contemplino la
trasformazione di contratti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale",
nonché l'articolo 13, comma 7, della legge 24 giugno 1997, n. 196. |
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Articolo
12 |
Soppresso |
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1. Entro il 31 dicembre 2000 il Ministro del lavoro
e della previdenza sociale procede ad una verifica, con le organizzazioni
sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale, degli effetti delle disposizioni dettate
dal presente decreto legislativo, con particolare riguardo alle previsioni
dell'articolo 3, comma 2, in materia di lavoro supplementare e all'esigenza
di controllare le ricadute occupazionali delle misure di incentivazione
introdotte, anche ai fini dell'eventuale esercizio del potere legislativo
delegato di cui all'articolo 1, comma 4, della legge 5 febbraio 1999, n. 25. |
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Segue |
Articolo 12-bis |
Articolo 6 |
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1. I
lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie
oncologiche, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a
causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una
commissione medica istituita presso l'azienda unità sanitaria locale
territorialmente competente, hanno diritto alla trasformazione del rapporto
di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale.
Il rapporto di lavoro a tempo
parziale deve essere trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo
pieno a richiesta del lavoratore. Restano
in ogni caso salve disposizioni più favorevoli per il prestatore di lavoro. |
3. I
lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie
oncologiche nonché da gravi patologie
cronico-degenerative ingravescenti, per i quali residui una ridotta
capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti di
terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso
l'azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, hanno diritto
alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo
parziale verticale od orizzontale. A
richiesta del lavoratore il rapporto di lavoro a tempo parziale è trasformato
nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno. |
2. In caso di
patologie oncologiche riguardanti il coniuge, i figli o i genitori del
lavoratore o della lavoratrice, nonché nel caso in cui il lavoratore o la lavoratrice assista una persona
convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, che assuma
connotazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5
febbraio 1992, n. 104, alla quale è stata riconosciuta una percentuale di
invalidità pari al 100 per cento, con necessità di assistenza continua in
quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, ai sensi di quanto previsto dalla tabella
di cui al decreto del Ministro della sanità 5 febbraio 1992, pubblicato nel
supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 1992,
è riconosciuta la priorità della trasformazione del contratto di lavoro da
tempo pieno a tempo parziale. |
4. In caso di
patologie oncologiche o gravi
patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il coniuge, i
figli o i genitori del lavoratore, nonché nel caso in cui il lavoratore o la
lavoratrice assista una persona convivente con totale e permanente inabilità
lavorativa, che assuma connotazione di gravità ai sensi dell'articolo 3,
comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, alla quale è stata riconosciuta
una percentuale di invalidità pari al 100 per cento, con necessità di
assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani
della vita, è riconosciuta la priorità nella trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno in rapporto a tempo parziale. |
3. In caso di
richiesta del lavoratore o della
lavoratrice, con figlio convivente di età non superiore agli anni tredici
o con figlio convivente portatore di handicap ai sensi dell'articolo 3 della
legge 5 febbraio 1992, n. 104, è riconosciuta la priorità alla trasformazione
del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. |
5. In caso di richiesta del lavoratore, con figlio
convivente di età non superiore agli anni tredici o con figlio convivente
portatore di handicap ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992,
n. 104, è riconosciuta la priorità alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno in rapporto a tempo parziale |
|
Segue |
Articolo 12-ter |
Articolo 6 |
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|
1. Il
lavoratore che abbia trasformato il rapporto di lavoro a tempo pieno in
rapporto di lavoro a tempo parziale ha diritto di precedenza nelle assunzioni
con contratto a tempo pieno per l'espletamento delle stesse mansioni o di
quelle equivalenti a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale. |
6. Il
lavoratore che abbia trasformato il rapporto di lavoro a tempo pieno in
rapporto di lavoro a tempo parziale ha diritto di precedenza nelle assunzioni
con contratto a tempo pieno per l'espletamento delle stesse mansioni o di mansioni di pari livello a
quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale |
|
|
Il Capo
II, Sezione II, articoli 11-16,
interviene sul lavoro intermittente (c.d.
lavoro a chiamata o Job on call), attraverso l’abrogazione e la complessiva
riscrittura delle disposizioni[12] che
attualmente regolano tale forma contrattuale.
In particolare, vengono introdotte le
seguenti modificazioni rispetto alla disciplina vigente:
·
esclusione del risarcimento del danno
(nella misura fissata dai contratti collettivi o, in mancanza, dal contratto di
lavoro) da parte del lavoratore nel caso in cui egli, obbligato
contrattualmente a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, rifiuti senza
giustificazione di rispondere ad essa (articolo
14, comma 5);
Sarebbe opportuno chiarire se con tale
modifica si intende unicamente eliminare il rinvio alla contrattazione
collettiva (attualmente previsto) per la quantificazione del danno (fermo
restando l’obbligo di risarcirlo) o, al contrario, escludere ogni risarcimento
(risarcimento che, peraltro, potrebbe essere comunque dovuto in virtù dei
principi civilistici in materia di responsabilità derivante da inadempimento contrattuale).
·
esclusione
del rinvio alla contrattazione collettiva per il superamento del divieto (che
diviene, quindi, tassativo) di ricorso al lavoro intermittente in determinate
ipotesi (per mansioni svolte da lavoratori oggetto di licenziamenti collettivi
negli ultimi sei mesi o in unità produttive ove è in atto una sospensione del
lavoro o una riduzione dell’orario) (articolo
12, comma 3);
·
estensione
a tutti i datori di lavoro (e non
solo alle imprese) del divieto di ricorrere al lavoro intermittente nel caso in
cui non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi della normativa
vigente (articolo 12, comma 4, lettera c));
·
previsione
dell’obbligo per il datore di lavoro di
informare le RSU (e non solo le RSA) sull’andamento del ricorso al lavoro
intermittente (articolo 13, comma 2);
·
previsione
che per la determinazione, con
proprio decreto, della misura minima dell’indennità di disponibilità, il
Ministro del lavoro senta le sole associazioni sindacali (e non anche quelle
datoriali) (si segnala che per l’adozione
del decreto non viene fissato un termine) (articolo 14, comma 1);
·
estensione
anche alle discipline di fonte contrattuale (e non solo legale) del criterio di
computo in base al quale i lavori intermittenti sono considerati nell’organico
dell’impresa (articolo 16, comma 1).
Il lavoro intermittente: la normativa vigente
Il contratto di lavoro
intermittente (o a chiamata), introdotto dagli articoli da 33 a 40 del
D.Lgs. 276/2003, è stato abrogato dall’articolo 1, comma 45, della L. 247/2007
e successivamente ha riacquistato efficacia con il D.L. 112/2008 (articolo 39,
comma 10).
Successivamente, l'articolo
1, comma 21, della L. 92/2012 ha modificato il campo di applicazione del
lavoro intermittente eliminando la possibilità - prima ammessa - di ricorrervi
nei c.d. periodi predeterminati di cui all'articolo 37 del D.Lgs. 276/2003
(ovvero durante il fine settimana, nei periodi estivi, o di vacanze natalizie e
pasquali) e in relazione alle prestazioni rese da soggetti con meno di 25 anni
di età ovvero da lavoratori con più di 45 anni di età, anche pensionati.
Il contratto di lavoro intermittente, quindi,
attualmente può essere concluso:
-
per lo
svolgimento di prestazioni di carattere
discontinuo e saltuario secondo le esigenze individuate dai contratti
collettivi stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero
per periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno
(articolo 34, comma 1, D.Lgs. 276/2003)[13];
-
con soggetti con più di 55 anni di età e con soggetti con
meno di 24 anni di età, fermo restando che le prestazioni contrattuali
devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età (articolo 34, comma
2, D.Lgs. 276/2003)[14].
In ogni caso, è stabilito un limite di 400 giornate annue di lavoro effettivo nell’arco di 3 anni solari, riferito a ciascun
lavoratore con il medesimo datore di lavoro, superato il quale il rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, restano esclusi da tale limite i
settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo[15].
La modifica al campo di applicazione del lavoro
intermittente ha reso necessaria anche l'introduzione di una disciplina transitoria, ai sensi della
quale i contratti di lavoro intermittente già sottoscritti alla data di entrata
in vigore della L. 92/2012 (18 luglio 2012), che non siano compatibili con le
nuove disposizioni cessano di produrre effetti decorsi 12 mesi dalla sua
entrata in vigore (pertanto dal 18 luglio 2013). Tale termine (ai sensi
dell’articolo 7, comma 2, lettera a), n. 2), del D.L. 76/2013) è stato da
ultimo prorogato al 1° gennaio 2014.
Va in ogni caso ricordato che, ai sensi dell'art. 40
del D.Lgs. 276/2003, in assenza di una regolamentazione da parte della
contrattazione collettiva, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali
individua in via provvisoria e con proprio decreto i casi in cui è ammissibile
il ricorso al lavoro intermittente[16].
Il Ministro del lavoro con il D.M. 23 ottobre 2004 ha
indicato nelle occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo (elencate nella
tabella approvata con R.D. 2657/1923) le ipotesi oggettive per le quali in via
provvisoriamente sostitutiva della contrattazione collettiva è possibile
stipulare i contratti di lavoro intermittente.
L'articolo 34, comma 3, del D.Lgs. 276/2003 ha
elencato tassativamente i casi nei quali non
è possibile la stipulazione del contratto, e cioè:
-
per la
sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
-
salva diversa
disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si
sia proceduto, entro i 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi
degli articoli 4 e 24 della L. 223/1991, che abbiano riguardato lavoratori
adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a chiamata
ovvero presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei
rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di
integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si
riferisce il contratto a chiamata;
-
da parte delle
imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.
In caso di assenza delle condizioni legittimanti la
stipulazione del contratto (v. supra), nonché in caso di violazione dei divieti
indicati dall'art. 34, comma 3, del D.Lgs. 276/2003, i rapporti di lavoro
saranno considerati a tempo pieno e indeterminato.
Ai sensi dell'articolo 35 del D.Lgs. 276/2003 il
contratto di lavoro intermittente deve essere stipulato in forma scritta ai fini della prova di determinati elementi
(indicazione della durata e delle ipotesi, oggettive o soggettive che
consentono la stipulazione del contratto; luogo e la modalità della
disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore, e del relativo preavviso
di chiamata del lavoratore che in ogni caso non può essere inferiore a un
giorno lavorativo; trattamento economico e normativo spettante al lavoratore
per la prestazione eseguita e la relativa indennità di disponibilità[17], ove
prevista; indicazione delle forme e
modalità, con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l'esecuzione
della prestazione di lavoro, nonché delle modalità di rilevazione della
prestazione adottate in azienda; tempi e modalità di pagamento della
retribuzione e della indennità di disponibilità; eventuali misure di sicurezza
specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto).
Ai fini del trattamento
economico, normativo e previdenziale occorre distinguere i periodi in cui
il lavoratore effettivamente svolge la prestazione lavorativa rispetto a quelli
di inattività.
Infatti, per i periodi lavorati si applica il
principio di non discriminazione in base al quale, fermi restando i divieti di
discriminazione diretta e indiretta previsti dalla legislazione vigente, il
lavoratore intermittente non deve ricevere un trattamento economico e normativo
complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a
parità di mansioni svolte (articolo 38, comma 1, del D.Lgs. 276/2003).
Il trattamento economico, normativo e previdenziale
del lavoratore intermittente è riproporzionato, in ragione della prestazione
lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda
l'importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché
delle ferie e dei trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia
professionale, maternità, congedi parentali (articolo 38, comma 2, del D.Lgs.
276/2003).
Nel periodo durante il quale il lavoratore resta
disponibile a rispondere alla chiamata del datore di lavoro ma non lavora,
invece, esso non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori
subordinati né matura alcun trattamento economico e normativo, salvo
l'indennità di disponibilità (articolo 38, comma 3, del D.Lgs. 276/2003).
Ai fini della applicazione di normative di legge, il
prestatore di lavoro intermittente è computato
nell'organico dell'impresa in proporzione all'orario di lavoro effettivamente
svolto nell'arco di ciascun semestre (articolo 39 del D.Lgs. 276/2003).
Si ricorda, infine, che non è previsto alcun divieto
per quanto riguarda la stipulazione di più contratti di lavoro intermittente
con datori di lavoro differenti.
Nulla vieta, inoltre, l'ammissibilità di porre in
essere un contratto intermittente e altre differenti tipologie contrattuali a
patto che siano tra loro compatibili e che non risultino di ostacolo con i vari
impegni negoziali assunti dalle parti (C.M. n. 4/2005).
LAVORO
INTERMITTENTE |
|
D.Lgs. 10
settembre 2003, n. 276 |
Schema di
decreto legislativo |
Articolo 33 (Definizione e tipologie) |
Articolo 11 (Definizione e tipologie) |
1. Il
contratto di lavoro intermittente è il contratto mediante il quale un
lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può
utilizzare la prestazione lavorativa nei limiti di cui all'articolo 34. |
1. Il
contratto di lavoro intermittente è il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un lavoratore si
pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la
prestazione lavorativa nei limiti di cui all'articolo 12. |
2. Il contratto di lavoro intermittente può
essere stipulato anche a tempo determinato. |
Soppresso (v. comma 1) |
|
2. La disposizioni della presente sezione non
trovano applicazione nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche |
|
|
Articolo 34 (Casi di ricorso al lavoro intermittente) |
Articolo 12 (Casi di ricorso al lavoro intermittente) |
1.Il contratto
di lavoro intermittente può essere concluso per lo svolgimento di prestazioni
di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai
contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di
lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o
territoriale ovvero per periodi predeterminati nell'arco della settimana, del
mese o dell'anno. (V. anche articolo 40) |
1. Il
contratto di lavoro intermittente può essere concluso per lo svolgimento di
prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze
individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale o territoriale, anche
con riferimento alla possibilità di stipulare tale contratto in periodi
predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno. In mancanza di contratto collettivo,
all'individuazione dei casi di utilizzo del lavoro intermittente si provvede
con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. |
2. Il
contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con
soggetti con più di cinquantacinque anni di
età e con soggetti con meno di
ventiquattro anni di età, fermo restando in tale caso che le prestazioni
contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età. |
2. Il
contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con
soggetti con più di cinquantacinque anni e con meno di ventiquattro anni di
età, fermo restando in tale caso che le prestazioni lavorative devono essere
svolte entro il venticinquesimo anno di età |
2-bis. In ogni
caso, fermi restando i presupposti di
instaurazione del rapporto e con l'eccezione dei settori del turismo, dei
pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è
ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un
periodo complessivamente non superiore alle quattrocento giornate di
effettivo lavoro nell'arco di tre anni solari. In caso di superamento del
predetto periodo il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a
tempo pieno e indeterminato. |
3. In ogni caso, con l'eccezione dei settori del
turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro
intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di
lavoro, per un periodo complessivamente non superiore a quattrocento giornate di effettivo lavoro nell'arco di tre anni
solari. In caso di superamento del predetto periodo il relativo rapporto si
trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato. |
3. E' vietato
il ricorso al lavoro intermittente: |
4. È vietato il ricorso al lavoro intermittente: |
a) per la
sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; |
a) Identica; |
b) salva diversa disposizione degli
accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto,
entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli
articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223,
che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si
riferisce il contratto di lavoro intermittente ovvero presso unità produttive
nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione
dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che
interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di
lavoro intermittente; |
b) presso
unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a
licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio
1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni
cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente ovvero presso unità
produttive nelle quali sia operante una sospensione del lavoro o una riduzione dell'orario, in regime di cassa integrazione guadagni, che interessino
lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro
intermittente; |
c) da parte
delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi
dell'articolo 4 del decreto
legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni. |
c) da parte di datori di lavoro che non abbiano
effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 28 e seguenti del decreto legislativo
9 aprile 2008, n. 81, e successive
modificazioni. |
|
|
Articolo 35 (Forma e comunicazioni) |
Articolo 13 (Forma e
comunicazioni) |
1. Il contratto
di lavoro intermittente è stipulato in forma scritta ai fini della prova dei
seguenti elementi: |
1. Il
contratto di lavoro intermittente è stipulato in forma scritta ai fini della
prova dei seguenti elementi |
a) indicazione della durata e delle ipotesi, oggettive o
soggettive, previste dall'articolo 34 che consentono la stipulazione del
contratto; |
a) durata e
ipotesi, oggettive o soggettive, previste dall'articolo 12, che consentono la stipulazione del contratto; |
b) luogo e la modalità della disponibilità,
eventualmente garantita dal lavoratore, e del relativo preavviso di chiamata
del lavoratore che in ogni caso
non può essere inferiore a un giorno lavorativo; |
b) luogo e
modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore, e del
relativo preavviso di chiamata del lavoratore che non può essere inferiore a
un giorno lavorativo; |
c) il trattamento economico e normativo
spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e la relativa indennità
di disponibilità, ove prevista, nei
limiti di cui al successivo articolo
36; |
c) trattamento
economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e
relativa indennità di disponibilità, ove prevista; |
d) indicazione delle forme e modalità,
con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l'esecuzione della
prestazione di lavoro, nonché delle modalità di rilevazione della
prestazione; |
d) forme e
modalità, con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l'esecuzione
della prestazione di lavoro, nonché delle modalità di rilevazione della
prestazione; |
e) i tempi e le modalità di pagamento della retribuzione e della indennità di
disponibilità; |
Identico |
f) le eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al
tipo di attività dedotta in contratto. |
f) misure di
sicurezza necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto. |
2. Nell'indicare gli elementi di cui al
comma 1, le parti devono recepire le indicazioni contenute nei contratti
collettivi ove previste. |
Soppresso |
3. Fatte salve
previsioni più favorevoli dei contratti collettivi, il datore di lavoro è
altresì tenuto a informare con cadenza annuale le rappresentanze sindacali
aziendali, ove esistenti, sull'andamento del ricorso al contratto di lavoro
intermittente. |
2. Fatte salve previsioni più favorevoli dei contratti
collettivi, il datore di lavoro è altresì tenuto a informare con cadenza
annuale le rappresentanze sindacali aziendali o la rappresentanza sindacale unitaria, sull'andamento del
ricorso al contratto di lavoro intermittente. |
3-bis. Prima
dell'inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di
prestazioni di durata non superiore a trenta giorni, il datore di lavoro è
tenuto a comunicarne la durata con modalità semplificate alla Direzione
territoriale del lavoro competente per territorio, mediante sms, o posta
elettronica. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro del lavoro
e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la pubblica
amministrazione e la semplificazione, possono essere individuate modalità
applicative della disposizione di cui al precedente periodo, nonché ulteriori
modalità di comunicazione in funzione dello sviluppo delle tecnologie. In
caso di violazione degli obblighi di cui al presente comma si applica la sanzione
amministrativa da euro 400 ad euro 2.400 in relazione a ciascun lavoratore
per cui è stata omessa la comunicazione. Non si applica la procedura di
diffida di cui all'articolo 13 del
decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124. |
3. Prima dell'inizio della prestazione lavorativa o di
un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni, il
datore di lavoro è tenuto a comunicarne la durata con modalità semplificate
alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, mediante
sms o posta elettronica. Con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, possono
essere individuate modalità applicative della disposizione di cui al primo periodo, nonché ulteriori
modalità di comunicazione in funzione dello sviluppo delle tecnologie. In
caso di violazione degli obblighi di cui al presente comma si applica la
sanzione amministrativa da euro 400 ad euro 2.400 in relazione a ciascun
lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. Non si applica la
procedura di diffida di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 23 aprile
2004, n. 124. |
|
|
Articolo 36 (Indennità di disponibilità) |
Articolo 14 (Indennità
di disponibilità) |
1. Nel
contratto di lavoro intermittente è stabilita la misura della indennità
mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta al
lavoratore per i periodi nei quali il
lavoratore stesso garantisce la disponibilità al datore di lavoro in attesa
di utilizzazione. La misura di detta
indennità è stabilita dai contratti collettivi e comunque non è inferiore alla misura prevista, ovvero aggiornata periodicamente, con
decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le
associazioni dei datori e dei
prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale. |
1. Nel
contratto di lavoro intermittente è stabilita la misura della indennità
mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta al
lavoratore per i periodi nei quali ha
garantito la disponibilità al datore di lavoro. La misura dell'indennità
è prevista dai contratti
collettivi e, comunque, non è inferiore a
quanto previsto con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, sentite le associazioni sindacali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. |
2. Sulla indennità
di disponibilità di cui al comma 1 i contributi sono versati per il loro
effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in materia di
minimale contributivo. |
3. Identico |
3. L'indennità
di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di
contratto collettivo. |
2. Identico |
4. In caso di
malattia o di altro evento che renda temporaneamente impossibile rispondere
alla chiamata, il lavoratore è tenuto a informare tempestivamente il datore
di lavoro, specificando la durata dell'impedimento. Nel periodo di temporanea
indisponibilità non matura il diritto alla indennità di disponibilità. |
4. In caso di
malattia o di altro evento che renda temporaneamente impossibile rispondere
alla chiamata, il lavoratore è tenuto a informare tempestivamente il datore
di lavoro, specificando la durata dell'impedimento. Nel periodo di temporanea
indisponibilità non matura il diritto alla indennità di disponibilità. |
5. Ove il
lavoratore non provveda all'adempimento di cui al comma che precede, perde il
diritto alla indennità di disponibilità per un periodo di quindici giorni,
salva diversa previsione del contratto individuale. |
(Segue comma 4) Ove il
lavoratore non provveda all'adempimento di cui al periodo precedente, perde il diritto alla indennità di
disponibilità per un periodo di quindici giorni, salva diversa previsione del
contratto individuale. |
6. Le
disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 si applicano soltanto nei casi in cui
il lavoratore si obbliga contrattualmente a rispondere alla chiamata del
datore di lavoro. In tal caso, il rifiuto ingiustificato di rispondere alla
chiamata può comportare la risoluzione del contratto, la restituzione della
quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo
all'ingiustificato rifiuto, nonché un
congruo risarcimento del danno nella misura fissata dai contratti collettivi
o, in mancanza, dal contratto di lavoro. |
5. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4 si applicano soltanto nei casi in
cui il lavoratore si obbliga contrattualmente a rispondere alla chiamata del
datore di lavoro. In tal caso, il rifiuto ingiustificato di rispondere alla
chiamata può costituire un motivo di licenziamento e comportare la
restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo
successivo all'ingiustificato rifiuto. |
7. Con decreto
del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze, è stabilita la misura della
retribuzione convenzionale in riferimento alla quale i lavoratori assunti ai
sensi dell'articolo 33
possono versare la differenza contributiva per i periodi in cui abbiano
percepito una retribuzione inferiore rispetto a quella convenzionale ovvero
abbiano usufruito della indennità di disponibilità fino a concorrenza della
medesima misura. |
6. Con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze,
è stabilita la misura della retribuzione convenzionale in riferimento alla
quale il lavoratore intermittente può versare
la differenza contributiva per i periodi in cui abbiano percepito una
retribuzione inferiore rispetto a quella convenzionale ovvero abbiano
usufruito della indennità di disponibilità fino a concorrenza della medesima
misura |
|
|
Articolo 38 (Principio di non discriminazione) |
Articolo 15 (Principio
di non discriminazione) |
1. Fermi restando i divieti di
discriminazione diretta e indiretta previsti dalla legislazione vigente,
il lavoratore intermittente non deve ricevere, per i periodi lavorati, un
trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto
al lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte. |
1. Il
lavoratore intermittente non deve ricevere, per i periodi lavorati e a parità di mansioni svolte, un
trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto
al lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte. |
2. Il
trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente
è riproporzionato, in ragione della prestazione lavorativa effettivamente
eseguita, in particolare per quanto riguarda l'importo della retribuzione
globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei
trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale,
maternità, congedi parentali. |
Identico |
3. Per tutto
il periodo durante il quale il lavoratore resta disponibile a rispondere alla
chiamata del datore di lavoro non è
titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati né
matura alcun trattamento economico e normativo, salvo l'indennità di
disponibilità di cui all'articolo 36. |
3. Per tutto
il periodo durante il quale il lavoratore resta disponibile a rispondere alla
chiamata del datore di lavoro non
matura alcun trattamento economico e normativo, salvo l'indennità di
disponibilità di cui all'articolo 14. |
|
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Articolo 39 (Computo del lavoratore intermittente) |
Articolo 16 (Computo
del lavoratore intermittente) |
1. Il
prestatore di lavoro intermittente è computato nell'organico dell'impresa, ai fini della applicazione di normative
di legge, in proporzione all'orario di lavoro effettivamente svolto
nell'arco di ciascun semestre. |
1. Ai fini della applicazione di qualsiasi
disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il
computo dei dipendenti del datore di lavoro, il lavoratore intermittente
è computato nell'organico dell'impresa in proporzione all'orario di lavoro
effettivamente svolto nell'arco di ciascun semestre. |
|
|
Articolo 40 (Sostegno e valorizzazione della autonomia
collettiva) |
|
1. Qualora, entro cinque mesi dalla data di
entrata in vigore del presente decreto legislativo, non sia intervenuta, ai
sensi dell'articolo 34, comma 1, e dell'articolo 37, comma 2, la
determinazione da parte del contratto collettivo nazionale dei casi di
ricorso al lavoro intermittente, il Ministro del lavoro e delle politiche
sociali convoca le organizzazioni sindacali interessate dei datori di lavoro
e dei lavoratori e le assiste al fine di promuovere l'accordo. In caso di
mancata stipulazione dell'accordo entro i quattro mesi successivi, il
Ministro del lavoro e delle politiche sociali individua in via provvisoria e
con proprio decreto, tenuto conto delle indicazioni contenute nell'eventuale
accordo interconfederale di cui all'articolo 86, comma 13, e delle prevalenti
posizioni espresse da ciascuna delle due parti interessate, i casi in cui è
ammissibile il ricorso al lavoro intermittente ai sensi della disposizione di
cui all'articolo 34, comma 1, e dell'articolo 37, comma 2. |
Soppresso (v. articolo 12, comma 1,
ultimo periodo) |
Il Capo
III (articoli 17-27) interviene sul lavoro
a tempo determinato, attraverso l’abrogazione e la complessiva riscrittura,
in un’ottica di semplificazione e consolidamento del testo, delle disposizioni[18] che
attualmente regolano tale forma contrattuale:
Le modifiche
più significative riguardano:
·
l’esclusione esplicita della sanzione della
trasformazione, in contratti a tempo indeterminato, dei contratti a termine
stipulati in violazione del limite
percentuale del 20%[19]
(articolo 21, comma 4);
·
la
possibilità (non solo attraverso contratti collettivi nazionali, come previsto
dalla normativa vigente, ma) anche attraverso contratti collettivi di livello aziendale (ma sempre se stipulati
dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale), di individuare un limite
percentuale superiore a quello del 20% stabilito per legge (articolo 21, comma 1);
·
la
previsione che nel caso di inizio
dell’attività in corso d’anno, il limite percentuale del 20% si computa sui
lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento dell’assunzione (e non già
sui lavoratori in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione) (articolo 21, comma 1);
·
la
previsione che possono stipulare contratti a termine in deroga al limite
percentuale del 20% anche università
pubbliche e private, nonché istituti culturali ed enti pubblici e privati
(derivanti da precedenti enti pubblici vigilati dal Ministero dei beni e delle
attività culturali) per il personale da adibire a mostre, eventi e manifestazioni di interesse culturale (articolo 21, comma 3);
·
la
previsione che l’eventuale ulteriore
contratto a termine stipulato (presso la Direzione territoriale del lavoro)
al termine di un rapporto di lavoro a tempo determinato che abbia raggiunto la
durata massima di 36 mesi, possa avere una durata
massima di 12 mesi (diversamente dalla normativa vigente, che rimette la
determinazione della durata di tale ulteriore contratto alle parti sociali) (articolo 17, comma 3);
·
per
quanto riguarda i contratti a termine
stipulati da start up innovative[20],
nel confermare sostanzialmente l’attuale disciplina derogatoria[21],
la soppressione della disposizione che attualmente prevede una durata
contrattuale minima di sei mesi (articolo 19, comma 3; articolo 21, comma 1, lettera b); articolo 46, comma 1, lettera i));
·
la
previsione che le attività stagionali
(ai fini dell’applicazione della disciplina speciale in materia di riassunzioni
successive alla scadenza di un contratto a termine), debbano essere individuate
con apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (fino all’adozione
del decreto continuano a trovare applicazione le disposizioni vigenti[22])
(articolo 19, comma 2);
·
l’elevazione
da 60 a 120 giorni del termine per
l’impugnazione giudiziale[23]
del contratto a tempo determinato (articolo
26, comma 1);
·
la
soppressione della norma[24]
che attualmente esclude dalla disciplina sui contratti a termine il settore ortofrutticolo;
·
la
soppressione della norma[25]
che attualmente prevede che i contratti collettivi nazionali,
stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori
comparativamente più rappresentative, definiscono le modalità per le informazioni da rendere ai lavoratori a
tempo determinato relativamente ai posti
vacanti che si rendessero disponibili nell'impresa, in modo da garantire
loro le stesse possibilità di ottenere posti duraturi che hanno gli altri
lavoratori[26];
Al riguardo si fa presente che la
clausola 6 dell'allegato della Direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28
giugno 1999 (cui il decreto legislativo n.368/2001 ha dato attuazione) prevede
che i "datori di lavoro informano i lavoratori a tempo determinato dei
posti vacanti che si rendano disponibili nell'impresa o stabilimento, in modo
da garantire loro le stesse possibilità di ottenere posti duraturi che hanno
gli altri lavoratori" (la norma europea specifica altresì che tali
informazioni possono essere fornite sotto forma di annuncio pubblico, in un
luogo adeguato dell'impresa o dello stabilimento).
·
l’espressa
previsione che qualora il giudice, nei casi di conversione del contratto a
tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, condanni il datore di
lavoro al risarcimento del lavoratore (stabilendo un’indennità onnicomprensiva
nella misura, invariata rispetto alla normativa attualmente vigente, compresa
tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto), l’indennità ristora
per intero il pregiudizio subito dal
lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al
periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento
con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro
(articolo 26, comma 2).
Altre modifiche
riguardano:
·
l’abrogazione,
a decorrere da 18 mesi successivi alla data di entrata in vigore del decreto
legislativo, della disciplina speciale[27]
relativa ai settori del trasporto aereo e
dei servizi aeroportuali (articolo 46,
comma 2);
·
l’estensione
alle società di gestione aeroportuale e ai vettori aerei del divieto (dal quale
sono attualmente esclusi) di stipulazione di contratti a termine nel caso in
cui operi una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario all’interno
dell’azienda (articolo 18, comma 1,
lettera c) e articolo 46, comma 1,
lettera e));
·
l’introduzione
dell’espressa previsione che nel caso in cui si disponga la sesta proroga di un contratto a tempo
determinato (in violazione, quindi, del limite di cinque proroghe, che viene
confermato), il contratto si considera a tempo indeterminato a decorrere dalla
data di decorrenza della sesta proroga (articolo
19, comma 1);
·
l’esclusione
del rinvio alla contrattazione collettiva per il superamento del divieto (che
diviene, quindi, tassativo) di ricorso al lavoro a termine in determinate
ipotesi (per mansioni svolte da lavoratori oggetto di licenziamenti collettivi
negli ultimi sei mesi) (articolo 18,
comma 1, lettera b));
·
la
soppressione della norma[28]
in base alla quale il diritto di
precedenza deve essere espressamente previsto nell’atto scritto con cui si
stabilisce il termine al contratto;
·
la
soppressione delle norme[29]
che attualmente escludono dalla disciplina sui contratti a termine i rapporti di apprendistato e le
tipologie contrattuali legate a fenomeni di
formazione;
·
la
soppressione della norma[30]
in base alla quale, in caso di assunzioni
successive a termine senza soluzione di continuità, il rapporto di lavoro
si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo
contratto;
·
la
previsione che, nel caso di stipulazione, presso la Direzione territoriale del
lavoro, di un ulteriore contratto a
termine dopo la scadenza del termine massimo di durata di 36 mesi, questo
possa avere una durata massima di 12
mesi (la normativa vigente prevede, al contrario, che tale durata sia
stabilita dalle associazioni sindacali e dei datori più rappresentative sul
piano nazionale), con contestuale soppressione della norma che per tale
stipulazione attualmente prevede l’assistenza necessaria di un’organizzazione
sindacale (articolo 17, comma 3);
Si fa presente che la rubrica
dell’articolo 19 parla di “rinnovi” benché questi non siano più menzionati nel
testo.
Si evidenzia, inoltre,
l’opportunità di chiarire se la nuova disciplina del lavoro a termine recata
dal provvedimento trovi applicazione per il personale delle fondazioni
lirico-sinfoniche[31].
Le modifiche ai contratti a
tempo determinato nel D.L. n.34/2014
La disciplina del contratto
a termine è stata di recente rivista con il D.L. 34/2014 con l'obiettivo di
facilitare il ricorso a tali tipologia contrattuale. Il provvedimento ha
modificato in più parti il decreto legislativo n.368/2001 e il decreto
legislativo n.276 del 2003, prevedendo, in primo luogo, l'innalzamento da 1 a 3
anni, comprensivi di un massimo di 5
proroghe, della durata del rapporto a tempo determinato (anche in
somministrazione) che non necessita dell'indicazione della causale per la sua
stipulazione (c.d. acausalità).
A fronte dell'eliminazione
della causale, è stato introdotto un "tetto" all'utilizzo del
contratto a tempo determinato, stabilendo che il numero complessivo di rapporti
di lavoro a termine costituiti da ciascun datore di lavoro non può eccedere il limite del 20% dei lavoratori a tempo
indeterminato alle sue dipendenze. Il superamento del limite comporta una
sanzione amministrativa pari al 20% e al 50% della retribuzione per ciascun
mese di durata del rapporto di lavoro, se il numero di lavoratori assunti in
violazione del limite sia, rispettivamente, inferiore o superiore a uno. Per i
datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti è comunque sempre possibile
stipulare un contratto a tempo determinato. Il limite del 20% non trova
applicazione nel settore della ricerca, limitatamente ai contratti a tempo
determinato che abbiano ad oggetto esclusivo lo svolgimento di attività di
ricerca scientifica, i quali possono avere durata pari al progetto di ricerca
al quale si riferiscono.
Attraverso una disciplina transitoria (articolo
2-bis)) si prevede che (fermi restando comunque i diversi limiti quantitativi
stabiliti dai vigenti contratti collettivi nazionali) per i datori che alla
data di entrata in vigore del decreto-legge occupino lavoratori a termine oltre
tale soglia, l'obbligo di adeguamento al tetto legale del 20% scatta a
decorrere dal 2015, sempre che la contrattazione collettiva (anche aziendale)
non fissi un limite percentuale o un termine più favorevoli.
Specifiche disposizioni
sono volte ad ampliare e rafforzare il diritto
di precedenza delle donne in congedo di maternità per le assunzioni da
parte del datore di lavoro, nei 12 mesi successivi, in relazione alle medesime
mansioni oggetto del contratto a termine. A tale riguardo si prevede che ai
fini dell'integrazione del limite minimo di 6 mesi di durata del rapporto a
termine (durata minima che la normativa vigente richiede per il riconoscimento
del diritto di precedenza) devono computarsi anche i periodi di astensione
obbligatoria per le lavoratrici in congedo di maternità. Si prevede, altresì,
che il diritto di precedenza valga non solo per le assunzioni con contratti a
tempo indeterminato (come già previsto dalla normativa vigente), ma anche per
le assunzioni a tempo determinato effettuate dal medesimo datore di lavoro.
Infine, si stabilisce che il datore di lavoro ha l'obbligo di richiamare
espressamente il diritto di precedenza del lavoratore nell'atto scritto con cui
viene fissato il termine del contratto.
LAVORO A
TEMPO DETERMINATO |
|
D.Lgs. 6 settembre
2001, n. 368 |
Schema di decreto
legislativo |
|
|
Articolo 1 (Apposizione del
termine) |
Art. 17 (Apposizione del termine e durata massima) |
01.
Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma
comune di rapporto di lavoro. |
Identico (v.
articolo 1 dello schema di decreto) |
1. È consentita
l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato
di durata non superiore a trentasei mesi, comprensiva di eventuali proroghe,
concluso fra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di
qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo
determinato, sia nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo
determinato ai sensi del comma 4 dell'articolo 20 del decreto legislativo 10
settembre 2003, n. 276. Fatto salvo quanto disposto dall'articolo 10, comma
7, il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da
ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo non può eccedere il
limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in
forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione. Per i datori di lavoro che
occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto
di lavoro a tempo determinato. |
1. È consentita
l'apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato, di durata non
superiore a trentasei mesi. Articolo 21 (Numero
complessivo di contratti a tempo determinato) 1.
Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, anche aziendali,
stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale, non possono essere assunti lavoratori a tempo
determinato in misura superiore al 20
per cento del numero dei
lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di
assunzione, con un arrotondamento del
decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5. In
caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si
computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento
dell’assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque
dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo
determinato. |
|
|
|
Segue - Art. 17 (Apposizione del termine e durata massima) |
2. L'apposizione del termine di cui al
comma 1 è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da
atto scritto. 3. Copia dell'atto scritto deve essere
consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque giorni lavorativi
dall'inizio della prestazione. 4. La scrittura non è tuttavia necessaria
quando la durata del rapporto di lavoro, puramente
occasionale, non sia superiore a dodici giorni. |
4.
Con l’eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a dodici
giorni,
l'apposizione del termine al contratto è priva di effetto se non risulta,
direttamente o indirettamente, da atto scritto, una copia del quale deve
essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque giorni
lavorativi dall'inizio della prestazione. |
|
|
Articolo 2 (Disciplina aggiuntiva per il trasporto aereo ed
i servizi aeroportuali) 1.
E' consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro
subordinato quando l'assunzione sia effettuata da aziende di trasporto aereo
o da aziende esercenti i servizi aeroportuali ed abbia luogo per lo
svolgimento dei servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo
ai passeggeri e merci, per un periodo massimo complessivo di sei mesi,
compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi
diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al quindici per
cento dell'organico aziendale che, al 1° gennaio dell'anno a cui le
assunzioni si riferiscono, risulti complessivamente adibito ai servizi sopra
indicati. Negli aeroporti minori detta percentuale può essere aumentata da
parte delle aziende esercenti i servizi aeroportuali, previa autorizzazione
della direzione provinciale del lavoro, su istanza documentata delle aziende
stesse. In ogni caso, le organizzazioni sindacali provinciali di categoria
ricevono comunicazione delle richieste di assunzione da parte delle aziende
di cui al presente articolo. 1-bis.
Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche quando l’assunzione sia
effettuata da imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste per
un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di
ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella
percentuale non superiore al 15 per cento dell’organico aziendale, riferito
al 1° gennaio dell’anno cui le assunzioni si riferiscono. Le organizzazioni sindacali
provinciali di categoria ricevono comunicazione delle richieste di assunzione
da parte delle aziende di cui al presente comma. |
Abrogazione
prevista a decorrere dal 18° mese successivo alla data di entrata in vigore
del decreto legislativo (v.
articolo 46, comma 2) |
Articolo 3 (Divieti) |
Articolo 18 (Divieti) |
1.
L'apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato
non è ammessa: |
1. L'apposizione
di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa: |
a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di
sciopero; |
a) Identica |
b) salva diversa disposizione degli accordi
sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i
sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e
24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori
adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo
determinato, salvo che tale contratto sia concluso per provvedere a sostituzione
di lavoratori assenti, ovvero sia concluso ai sensi dell'articolo 8, comma 2,
della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero abbia una durata iniziale non
superiore a tre mesi; |
b) presso unità produttive nelle quali
si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai
sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, che abbiano
riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto
di lavoro a tempo determinato, salvo che il contratto sia concluso per
provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti, per assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, o abbia
una durata iniziale non superiore a tre mesi; |
c) presso unità
produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una
riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale,
che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il
contratto a termine; |
c) presso unità produttive nelle quali sia
operante una sospensione del lavoro
o una riduzione dell'orario, in regime
di cassa integrazione guadagni, che interessino lavoratori adibiti alle
mansioni cui si riferisce il contratto a
tempo determinato; |
d) da parte
delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi
dell'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e
successive modificazioni. |
d) da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei
rischi ai sensi dell'articolo 28 e
seguenti del decreto legislativo n. 81 del 2008, e successive
modificazioni. |
|
|
Articolo 4 (Disciplina della proroga) |
Segue - Articolo 19 (Proroghe
e rinnovi) |
1.
Il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il
consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del
contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi le proroghe sono ammesse,
fino ad un massimo di cinque volte, nell'arco dei complessivi trentasei mesi, indipendentemente dal numero dei
rinnovi, a condizione che si
riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato
stipulato a tempo determinato. Con
esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a
termine non potrà essere superiore ai tre anni |
1. Il termine del contratto a tempo
determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale del
contratto sia inferiore a trentasei
mesi, e, comunque, per un
massimo di cinque volte nell'arco di trentasei mesi a prescindere dal numero
dei contratti. Qualora il numero
delle proroghe sia superiore, il contratto si considera a tempo indeterminato
dalla data di decorrenza della sesta proroga. |
|
|
Articolo 4-bis (Disposizione transitoria concernente
l’indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione e di
proroga del termine) |
|
1.
Con riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della
presente disposizione, e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in
caso di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il
datore di lavoro è tenuto unicamente ad indennizzare il prestatore di lavoro
con un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di
sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai
criteri indicati nell’ articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e
successive modificazioni. |
Abrogato |
|
|
Articolo 5 (Scadenza del termine e sanzioni -
Successione dei contratti) |
Articolo 20 (Continuazione
del rapporto oltre la scadenza del termine) |
1. Se il
rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato
o successivamente prorogato ai sensi dell'articolo 4, il datore di lavoro è
tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per
ogni giorno di continuazione del rapporto pari al venti per cento fino al
decimo giorno successivo, al quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore. |
1. Fermi
i limiti di durata massima di cui all’articolo 17, se il rapporto di
lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o
successivamente prorogato ai sensi dell'articolo 19, comma 1, il datore
di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della
retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20 per cento fino al decimo giorno
successivo ed al 40 per cento per
ciascun giorno ulteriore. |
2. Se il rapporto di lavoro continua oltre
il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, nonché decorso il periodo complessivo di
cui al comma 4-bis, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri
casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei
predetti termini. |
2. Qualora
il rapporto di lavoro continui
oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei
mesi, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si
considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. |
|
Segue Articolo 19 (Proroghe
e rinnovi) |
3. Qualora il lavoratore venga riassunto a
termine, ai sensi dell'articolo 1,
entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di
durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un
contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera
a tempo indeterminato. Le disposizioni di cui al presente comma, nonché di cui al comma 4, non trovano
applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali
di cui al comma 4-ter nonché in relazione alle ipotesi individuate dai
contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni
sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale. |
2. Qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un
contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di
scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto
si considera a tempo indeterminato. Le disposizioni di cui al presente comma
non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle
attività stagionali individuate con
apposito decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali,
stipulati dalle associazioni sindacali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Fino all’adozione del decreto di cui al
secondo periodo continuano a trovare applicazione le disposizioni del decreto
del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525. |
|
|
L. 179/2012 Articolo 28 |
|
(Disposizioni in
materia di rapporto di lavoro subordinato in start-up innovative) |
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3. Il contratto a tempo determinato di cui
al comma 2 può essere stipulato per una durata minima di sei mesi ed una
massima di trentasei mesi, ferma restando la possibilità di stipulare un
contratto a termine di durata inferiore a sei mesi, ai sensi della normativa
generale vigente. Entro il predetto limite di durata massima, più successivi
contratti a tempo determinato possono essere stipulati, per lo svolgimento
delle attività di cui al comma 2, senza l'osservanza dei termini di cui
all'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, o
anche senza soluzione di continuità. In deroga al predetto limite di durata
massima di trentasei mesi, un ulteriore successivo contratto a tempo
determinato tra gli stessi soggetti e sempre per lo svolgimento delle
attività di cui al comma 2 può essere stipulato per la durata residua
rispetto al periodo di cui al comma 1, a condizione che la stipulazione
avvenga presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio.
I contratti stipulati ai sensi del presente comma sono in ogni caso esenti
dalle limitazioni quantitative di cui all'articolo 10, comma 7, del decreto
legislativo 6 settembre 2001, n. 368. |
3.
I limiti previsti dal presente articolo non si applicano alle imprese
start-up innovative di cui di cui all’articolo 25, comma 2, del decreto-legge
18 ottobre 2012, n. 179, convertito con legge 17 dicembre 2012, n. 221, per
il periodo di quattro anni dalla costituzione della società, ovvero per il
più limitato periodo previsto dal comma 3 dell’articolo 25 per le società già
costituite. |
Segue – articolo 5 |
|
4.
Quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per
tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di
lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del
primo contratto. |
Abrogato |
|
Segue Art. 17 (Apposizione del termine e durata massima) |
4-bis. Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai
commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti
collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le
organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo
svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso
datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i
trentasei mesi comprensivi di proroghe
e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra
un contratto e l'altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo
indeterminato ai sensi del comma 2; ai fini del suddetto computo del
periodo massimo di durata del contratto a tempo determinato, pari a trentasei
mesi, si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto
mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003,
n. 276, e successive modificazioni, inerente alla somministrazione di
lavoro a tempo determinato. In deroga a quanto disposto dal primo periodo del
presente comma, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi
soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula
avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l'assistenza di un rappresentante
di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le
organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con
avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di
mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo
contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato. |
2. Fatte salve diverse
disposizioni di contratti collettivi,
anche aziendali, stipulati dalle
associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale, e con l’eccezione delle
attività stagionali di cui all’articolo 19, comma 2, la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra
lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo
svolgimento di mansioni di pari livello ed indipendentemente dai periodi di
interruzione tra un contratto e l’altro, non può superare i trentasei
mesi. Ai fini del computo di tale
periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto
mansioni di pari livello svolti
tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo
determinato. Qualora il limite dei
trentasei mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una
successione di contratti, il rapporto di lavoro si considera a tempo
indeterminato dalla data di tale superamento. 3. Fermo
quanto disposto al comma 2, un ulteriore contratto a tempo determinato fra
gli stessi soggetti, della durata massima di dodici mesi, può essere
stipulato presso la Direzione territoriale del lavoro competente per
territorio. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché
di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, lo stesso si considera a tempo
indeterminato dalla data della stipula. |
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Segue
Articolo 21 (Numero complessivo di
contratti a tempo determinato) |
4-ter. Le disposizioni di cui al comma
4-bis non trovano applicazione nei confronti delle attività stagionali
definite dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525,
e successive modifiche e integrazioni, nonché di quelle che saranno individuate
dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle
organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più
rappresentative. (v.
articolo 10, comma 7) |
2.
Sono esenti dal limite di cui al comma 1, nonché da eventuali limitazioni
quantitative previste da contratti collettivi, i contratti a tempo
determinato conclusi: a) nella fase di
avvio di nuove attività, per i periodi definiti dai contratti collettivi
nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree
geografiche e comparti merceologici; b)
da imprese start-up innovative di cui all’articolo 25, comma 2, del
decreto-legge n. 179 del 2012, convertito con legge n. 221 del 2012, per il
periodo di quattro anni dalla costituzione della società, ovvero per il più
limitato periodo previsto dal comma 3 del suddetto articolo 25 per le società
già costituite; c) per lo svolgimento di attività stagionali di cui all’articolo 19, comma 2; d) per specifici
spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi; e) per
sostituzione di lavoratori assenti; f) con
lavoratori di età superiore a 55 anni. |
(v.
articolo 10, comma 5-bis) |
3.
Il limite
percentuale di cui al comma 1 non si applica, inoltre, ai contratti di lavoro
a tempo determinato stipulati tra
università pubbliche o private, istituti pubblici di ricerca ovvero enti
privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere attività di insegnamento, ricerca scientifica o tecnologica, di
assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa, tra istituti della cultura di
appartenenza statale ovvero enti, pubblici e privati derivanti da
trasformazione di precedenti enti pubblici, vigilati dal Ministero dei beni e
delle attività culturali e del turismo, ad esclusione delle fondazioni
lirico-sinfoniche, e lavoratori impiegati per soddisfare esigenze temporanee
legate alla realizzazione di mostre, eventi e manifestazioni di interesse
culturale. I contratti di
lavoro a tempo determinato che hanno ad oggetto in via esclusiva lo
svolgimento di attività' di ricerca scientifica possono avere durata pari a
quella del progetto di ricerca al quale si riferiscono |
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Articolo 22 (Diritti di precedenza) |
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4-quater. Il lavoratore che,
nell'esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda,
abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha
diritto di precedenza, fatte salve diverse disposizioni di contratti
collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le
organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale, nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di
lavoro entro i successivi dodici
mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a
termine. Fermo
restando quanto già previsto dal presente articolo per il diritto di
precedenza,
per le lavoratrici il congedo di maternità di cui all'articolo 16, comma 1,
del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e
successive modificazioni, intervenuto nell'esecuzione di un contratto a
termine presso la stessa azienda, concorre a determinare il periodo di
attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza di cui al
primo periodo. Alle medesime lavoratrici è altresì riconosciuto, con le stesse modalità di cui al
presente comma, il diritto di precedenza anche nelle assunzioni a tempo
determinato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi,
con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti
rapporti a termine. |
1. Il lavoratore che nell'esecuzione di uno
o più contratti a tempo determinato presso la stessa azienda, ha prestato attività lavorativa per
un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza, fatte salve diverse
disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale,
territoriale o aziendale con le associazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale, nelle assunzioni a tempo indeterminato
effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con
riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine. 2. Per le lavoratrici il congedo di
maternità di cui all'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo n. 151 del
2001, e successive modificazioni, usufruito
nell'esecuzione di un contratto a tempo
determinato presso lo stesso
datore di lavoro, concorre a determinare il periodo di attività
lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza di cui al comma 1. Alle medesime lavoratrici è
altresì riconosciuto, alle stesse
condizioni di cui al comma 1, il diritto di precedenza anche nelle
assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro entro i
successivi dodici mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in
esecuzione dei precedenti rapporti a termine. |
4-quinquies. Il lavoratore assunto a
termine per lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di precedenza,
rispetto a nuove assunzioni a termine da parte dello stesso datore di lavoro
per le medesime attività stagionali. |
3. Il lavoratore assunto a tempo determinato per lo svolgimento di attività stagionali ha
diritto di precedenza, rispetto a nuove assunzioni a tempo determinato da
parte dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali. |
4-sexies. Il diritto di precedenza di cui
ai commi 4-quater e 4-quinquies può essere esercitato a condizione che il
lavoratore manifesti in tal senso la propria volontà al datore di lavoro
entro rispettivamente sei mesi e
tre mesi dalla data di cessazione del rapporto stesso e si estingue entro un
anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Il diritto di
precedenza di cui ai commi 4-quater e
4-quinquies deve essere espressamente richiamato nell'atto scritto di cui
all'articolo 1, comma 2. |
4. Il diritto di precedenza deve essere espressamente richiamato nell'atto scritto di cui all'articolo 17,
comma 4, può essere esercitato a condizione che il lavoratore manifesti
in tal senso la propria volontà al datore di lavoro entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, nei casi
di cui ai commi 1 e 2, ed entro tre mesi nei casi di cui al comma 3. Il
diritto di precedenza si estingue
trascorso un anno dalla data di cessazione del rapporto. |
|
Segue Articolo 21 (Numero
complessivo di contratti a tempo determinato) |
4-septies. In caso di violazione del
limite percentuale di cui all'articolo
1, comma 1, per ciascun lavoratore si applica la sanzione amministrativa: |
4. In caso di violazione del limite percentuale di
cui comma 1, restando esclusa la
trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato,
per ciascun lavoratore si applica una
sanzione amministrativa di importo
pari: |
a) pari
al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese
superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero
dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non sia superiore
a uno; |
a) al 20 per cento della retribuzione, per
ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del
rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del
limite percentuale non è superiore
a uno; |
b) pari
al 50 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese
superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero
dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a
uno. |
b) al 50 per cento della retribuzione, per
ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del
rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del
limite percentuale è superiore a
uno. |
4-octies. I maggiori introiti derivanti
dalle sanzioni di cui al comma 4-septies sono versati ad apposito capitolo
dell'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati al Fondo sociale
per occupazione e formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a),
del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni,
dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2. |
5. I maggiori introiti derivanti dalle
sanzioni di cui al comma 4 sono
versati ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato per essere
riassegnati al Fondo sociale per l’occupazione e la formazione, di cui
all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n.
185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 |
(v.
articolo 9, comma 1) |
6. I contratti collettivi nazionali di
lavoro stipulati da associazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale definiscono modalità e contenuti delle
informazioni da rendere alle rappresentanze sindacali aziendali o alle
rappresentanze sindacali unitarie dei lavoratori in merito all’utilizzo del
lavoro a tempo determinato. |
Articolo 6 (Principio di non discriminazione) |
Articolo 23 (Principio di non discriminazione) |
Al prestatore di lavoro con contratto a
tempo determinato spettano le ferie e la gratifica natalizia o la tredicesima
mensilità, il trattamento di fine rapporto e ogni altro trattamento in atto
nell'impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato
comparabili, intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in
forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione
collettiva, ed in proporzione al periodo lavorativo prestato sempre che non
sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine. |
1. Al lavoratore
a tempo determinato spetta il
trattamento economico e normativo in atto nell'impresa per i lavoratori
con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali quelli
inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione
stabiliti dalla contrattazione collettiva, ed in proporzione al periodo
lavorativo prestato, sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la
natura del contratto a tempo
determinato. |
|
|
|
|
Articolo 7
(Formazione) |
Articolo 24 (Formazione) |
1.
Il lavoratore assunto con contratto a tempo determinato dovrà ricevere una
formazione sufficiente ed adeguata alle caratteristiche delle mansioni
oggetto del contratto, al fine di prevenire rischi specifici connessi alla
esecuzione del lavoro. |
|
2.
I contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati
comparativamente più rappresentativi possono prevedere modalità e strumenti
diretti ad agevolare l'accesso dei lavoratori a tempo determinato ad
opportunità di formazione adeguata, per aumentarne la qualificazione,
promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale. |
1. I contratti collettivi nazionali di
lavoro stipulati da associazioni
sindacali comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale possono
prevedere modalità e strumenti diretti ad agevolare l'accesso dei lavoratori
a tempo determinato a opportunità
di formazione adeguata, per aumentarne la qualificazione, promuoverne la
carriera e migliorarne la mobilità occupazionale |
|
|
Articolo 8 (Criteri di
computo) |
Articolo 25
(Criteri di computo) |
1. I limiti prescritti dal primo e dal
secondo comma dell'articolo 35 della legge 20 maggio 1970, n. 300, per il
computo dei dipendenti si basano sul numero medio mensile di lavoratori a
tempo determinato impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell'effettiva
durata dei loro rapporti di lavoro. |
1.
Salvo che sia diversamente disposto, ai fini dell’applicazione di qualsiasi
disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il
computo dei dipendenti del datore di lavoro, si tiene conto del numero medio mensile di lavoratori a
tempo determinato, compresi i
dirigenti, impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell'effettiva
durata dei loro rapporti di lavoro. |
|
|
Articolo 9 (Informazioni) |
|
1. I
contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati
comparativamente più rappresentativi definiscono le modalità per le
informazioni da rendere ai lavoratori a tempo determinato circa i posti
vacanti che si rendessero disponibili nell'impresa, in modo da garantire loro
le stesse possibilità di ottenere posti duraturi che hanno gli altri
lavoratori. |
Abrogato |
2. I medesimi contratti collettivi
nazionali di lavoro definiscono modalità e contenuti delle informazioni da
rendere alle rappresentanze dei lavoratori in merito al lavoro a tempo
determinato nelle aziende. |
(v.
articolo 21, comma 6) |
|
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Articolo 26 (Decadenza e tutele) |
|
1.
L’impugnazione del contratto a tempo determinato deve avvenire, con le
modalità previste dal primo comma dell’articolo 6 della legge 15 luglio 1966,
n. 604, entro centoventi giorni dalla cessazione del singolo contratto. Trova
altresì applicazione il secondo comma del predetto articolo 6. |
L 183/2010 Articolo 32 (Decadenze e disposizioni in materia di
contratto di lavoro a tempo determinato) 5. Nei casi di conversione del contratto a
tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento
del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa
tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’ articolo 8 della
legge 15 luglio 1966, n. 604. (v.
anche articolo 4-bis) |
2.
Nei
casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del
danno a favore del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella
misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati
nell’articolo 8 della legge n. 604 del 1966. La predetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal
lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al
periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il
giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro. |
6. In presenza di contratti ovvero accordi
collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le
organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di
lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche
graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto
alla metà. |
3.
In
presenza di contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali,
stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul
piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di
lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche
graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 2 è ridotto alla metà. 4.
Nel caso di violazione dei limiti di cui all’articolo 19, commi 1 e 2, da
parte di una società che non risulti avere i requisiti di start up innovativa
di cui all’articolo 25, commi 2 e 3, del decreto-legge n. 179 del 2012,
convertito dalla legge n. 221 del 2012, il contratto si considera stipulato a
tempo indeterminato. |
|
|
|
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Articolo 10 (Esclusioni e discipline specifiche) |
Articolo 27 (Esclusioni e discipline specifiche) |
1. Sono esclusi dal campo di applicazione
del presente decreto legislativo in quanto già disciplinati da specifiche
normative: |
1. Sono esclusi dal campo di applicazione
del presente capo, in quanto già
disciplinati da specifiche normative: |
a)
i contratti di lavoro temporaneo di cui alla legge 24 giugno 1997, n. 196, e
successive modificazioni; |
Abrogata |
b)
i contratti di formazione e lavoro; |
Abrogata |
c)
i rapporti di apprendistato, nonché le tipologie contrattuali legate a
fenomeni di formazione attraverso il lavoro che, pur caratterizzate
dall'apposizione di un termine, non costituiscono rapporti di lavoro; |
Abrogata |
c-bis) i richiami in servizio del
personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che ai sensi dell'articolo 6, comma 1,
del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, non costituiscono rapporti di
impiego con l'Amministrazione; |
c) i richiami in servizio del personale
volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; |
c-ter) ferme restando le disposizioni di
cui agli articoli 6 e 8, i rapporti instaurati ai sensi dell'articolo 8,
comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223. |
a) ferme restando le disposizioni di cui
agli articoli 23 e 25, i rapporti
instaurati ai sensi dell’articolo 8, comma 2, della legge n. 223 del 1991; |
2. Sono esclusi dalla disciplina del
presente decreto legislativo i rapporti di lavoro tra i datori di lavoro
dell'agricoltura e gli operai a tempo determinato così come definiti
dall'articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 375. |
b) i rapporti di lavoro tra i datori di
lavoro dell’agricoltura e gli operai a tempo determinato, così come definiti
dall’ articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 375. |
|
2.
Sono, altresì, esclusi dal campo di applicazione del presente capo: |
3. Nei settori del turismo e dei pubblici
esercizi è ammessa l'assunzione
diretta di manodopera per l'esecuzione di speciali servizi di durata non
superiore a tre giorni, determinata dai contratti collettivi stipulati con i
sindacati locali o nazionali aderenti alle confederazioni maggiormente
rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione dell'assunzione deve
essere effettuata al centro per l'impiego entro il giorno antecedente
l'instaurazione del rapporto di lavoro. Tali rapporti sono esclusi dal campo
di applicazione del presente decreto legislativo. |
b) i
rapporti per l’esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a tre
giorni, nel settore del turismo e dei pubblici esercizi nei casi individuati dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale, fermo l’obbligo
di comunicare l’instaurazione del rapporto di lavoro entro il giorno
antecedente; |
4. In deroga a quanto previsto dall'articolo
5, comma 4-bis, è consentita la stipulazione di contratti di lavoro a tempo
determinato, purché di durata non superiore a cinque anni, con i dirigenti, i
quali possono comunque recedere da essi trascorso un triennio e osservata la
disposizione dell'articolo 2118 del codice civile. Tali rapporti sono esclusi
dal campo di applicazione del presente decreto legislativo, salvo per quanto concerne le previsioni
di cui agli articoli 6 e 8. |
a) i
contratti di lavoro a tempo determinato con i dirigenti, che non possono
avere una durata superiore a cinque anni, salvo il diritto del dirigente di
recedere ai sensi dell’articolo 2118 del codice civile una volta trascorso un
triennio |
4-bis. Stante quanto stabilito dalle
disposizioni di cui all’ articolo 40, comma 1, della legge 27 dicembre 1997,
n. 449, e successive modificazioni, all’ articolo 4, comma 14-bis, della
legge 3 maggio 1999, n. 124, e all’ articolo 6, comma 5, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono altresì esclusi dall'applicazione del
presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il
conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la
necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed
educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA
con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. In ogni
caso non si applica l'articolo 5, comma 4-bis, del presente decreto. Per
assicurare il diritto all'educazione, negli asili nidi e nelle scuole dell'infanzia
degli enti locali, le deroghe di cui al presente comma si applicano, nel
rispetto del patto di stabilità e dei vincoli finanziari che limitano per gli
enti locali la spesa per il personale e il regime delle assunzioni, anche al
relativo personale educativo e scolastico. |
c)
i contratti a tempo determinato stipulati con il personale docente ed ATA per
il conferimento delle supplenze e con il personale sanitario, anche
dirigente, del Servizio sanitario nazionale. |
4-ter. Nel rispetto dei vincoli finanziari
che limitano, per il Servizio sanitario nazionale, la spesa per il personale
e il regime delle assunzioni, sono esclusi dall'applicazione del presente
decreto i contratti a tempo determinato del personale sanitario del medesimo
Servizio sanitario nazionale, ivi compresi quelli dei dirigenti, in
considerazione della necessità di garantire la costante erogazione dei
servizi sanitari e il rispetto dei livelli essenziali di assistenza. La
proroga dei contratti di cui al presente comma non costituisce nuova
assunzione. In ogni caso non trova applicazione l'articolo 5, comma 4-bis. |
|
5.
Sono esclusi i rapporti instaurati con le aziende che esercitano il commercio
di esportazione, importazione ed all'ingresso di prodotti ortofrutticoli. |
Abrogato |
5-bis. Il limite percentuale di cui
all'articolo 1, comma 1, non si applica ai contratti di lavoro a tempo
determinato stipulati tra istituti pubblici di ricerca ovvero enti privati di
ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in
via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di
assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa. I
contratti di lavoro a tempo determinato che abbiano ad oggetto in via
esclusiva lo svolgimento di attività di ricerca scientifica possono avere
durata pari a quella del progetto di ricerca al quale si riferiscono |
(v.
articolo 21, comma 3) |
7. La individuazione, anche in misura non
uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione dell'istituto del contratto
a tempo determinato stipulato ai sensi dell'articolo 1, comma 1, è affidata
ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati
comparativamente più rappresentativi. Sono in ogni caso esenti da limitazioni
quantitative i contratti a tempo determinato conclusi: |
(v.
articolo 21, comma 2) |
a) nella fase di avvio di nuove attività
per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di
lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o
comparti merceologici; |
|
b) per ragioni di carattere sostitutivo, o
di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell'elenco allegato
al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, e
successive modificazioni; |
|
c) per specifici spettacoli ovvero specifici
programmi radiofonici o televisivi; |
|
d) con lavoratori di età superiore a 55
anni |
|
|
3.
Resta fermo quanto disposto dall’articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165. |
Articolo 11 (Abrogazioni
e disciplina transitoria) |
|
1. Dalla data di entrata in vigore del
presente decreto legislativo sono abrogate la legge 18 aprile 1962, n. 230, e
successive modificazioni, l'articolo 8-bis della legge 25 marzo 1983, n. 79,
l'articolo 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, nonché tutte le
disposizioni di legge che sono comunque incompatibili e non sono
espressamente richiamate nel presente decreto legislativo. |
|
2. In relazione agli effetti derivanti dalla
abrogazione delle disposizioni di cui al comma 1, le clausole dei contratti
collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell'articolo 23 della
citata legge n. 56 del 1987 e vigenti alla data di entrata in vigore del
presente decreto legislativo, manterranno, in via transitoria e salve diverse
intese, la loro efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi
nazionali di lavoro. |
|
3.
I contratti individuali definiti in attuazione della normativa previgente,
continuano a dispiegare i loro effetti fino alla scadenza. |
|
4.
Al personale artistico e tecnico delle fondazioni di produzione musicale
previste dal decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, non si applicano le
norme di cui agli articoli 4 e 5 |
|
|
|
Articolo 12
(Sanzioni) |
Segue Articolo 23 (Principio
di non discriminazione) |
1. Nei casi di inosservanza degli obblighi
derivanti dall'articolo 6, il datore di lavoro è punito con la sanzione
amministrativa da L. 50.000 (pari a 25,82 euro) a L. 300.000 (pari a 154,94
euro). Se l'inosservanza si riferisce a più di cinque lavoratori, si applica
la sanzione amministrativa da L. 300.000 (pari a 154,94 euro) a L. 2.000.000
(pari a 1.032,91 euro). |
2. Nel caso di inosservanza degli obblighi di cui al comma 1, il datore di
lavoro è punito con la sanzione amministrativa da 25,82 euro a 154,94 euro.
Se l’inosservanza si riferisce a più di cinque lavoratori, si applica la
sanzione amministrativa da 154,94 euro a 1.032,91 euro. |
Il Capo
IV (articoli 28-38) interviene sulla somministrazione
di lavoro, attraverso l’abrogazione e la complessiva riscrittura delle
disposizioni[32] che
attualmente regolano tale forma contrattuale.
La principale modifica rispetto alla
normativa vigente riguarda la
somministrazione a tempo indeterminato (c.d. staff leasing), per la quale vengono
rimosse le norme che attualmente ne consentono l’utilizzo solo in relazione a
un elenco tassativo di attività e settori lavorativi; a fronte di ciò,
tuttavia, viene previsto un limite
quantitativo per l’utilizzo di tale forma contrattuale, pari al 10% della forza lavoro a tempo indeterminato dell’utilizzatore, applicabile
nel caso in cui limiti quantitativi diversi non siano stabiliti dai contratti
collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale (articolo
29, comma 1).
Vengono introdotte, inoltre, le seguenti ulteriori
modificazioni rispetto alla disciplina vigente:
·
vengono
sistematizzati i casi in cui è esclusa l’applicazione di limiti
quantitativi per la somministrazione di lavoro a tempo determinato,
relativamente ai lavoratori in mobilità, ai soggetti disoccupati che
percepiscono trattamenti di disoccupazione non agricola da meno sei mesi, ai
soggetti percettori di ammortizzatori sociali da almeno sei mesi e ai
lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati (di cui al regolamento CE n.
800/2008) (articolo 29, comma 2, secondo
periodo);
·
vengono
resi più stringenti i divieti di
somministrazione vigenti in talune ipotesi (dopo licenziamenti collettivi
nei sei mesi precedenti o se operanti sospensioni/riduzioni di orario),
prevedendo che essi (diversamente da quanto stabilito dalla normativa vigente[33])
non sono superabili attraverso accordi
sindacali (articolo 30, comma 1,
lettere b) e c));
·
si
esclude dall'àmbito di applicazione del limite generale di durata per i contratti
di lavoro a termine (pari a 36 mesi), il contratto
a tempo determinato tra somministratore e lavoratore[34]
(articolo 32, comma 2);
·
vengono
eliminati, con finalità di semplificazione, una serie di contenuti obbligatori del contratto di somministrazione[35]
(articolo 31, comma 1);
·
viene
soppressa la norma[36]
in base alla quale i lavoratori dipendenti dal somministratore sono informati dall'utilizzatore (mediante
un avviso generale opportunamente affisso all'interno dei locali
dell'utilizzatore) dei posti vacanti
presso quest'ultimo, affinché possano aspirare, al pari dei dipendenti del
medesimo utilizzatore, a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato;
Si
fa presente che tale obbligo informativo è previsto, in termini sostanzialmente
identici, dall’'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/104/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 19 novembre 2008, relativa al lavoro tramite agenzia interinale.
·
viene
soppressa la norma[37]
che fa salva salva la facoltà per il somministratore e l'utilizzatore di
pattuire, per i servizi resi a quest'ultimo, un "compenso ragionevole" (in relazione alla missione, all'impiego
e alla formazione del lavoratore), con riferimento all'ipotesi in cui, al
termine della missione, l'utilizzatore assuma il lavoratore;
·
vengono
soppresse le norme[38]
secondo cui la disciplina in materia di assunzioni
obbligatorie e la disciplina relativa alla possibilità per le regioni di
prevedere che una quota delle assunzioni effettuate da datori di lavoro privati
sia riservata a particolari categorie di
lavoratori a rischio di esclusione sociale, non si applicano nel caso di
somministrazione (articolo 32);
·
viene
soppressa la norma[39]
in base alla quale il contratto di somministrazione può prevedere che gli
obblighi di informazione, formazione ed addestramento a carico del
somministratore e rilevanti ai fini della sicurezza sul lavoro[40]
siano adempiuti dall'utilizzatore (anziché dal somministratore)[41];
·
si
prevede che l’indennità di disponibilità
sia riconosciuta anche nel caso di somministrazione a tempo determinato (e
non solo a tempo indeterminato); inoltre, viene soppressa la norma[42] che attualmente prevede la proporzionale
riduzione dell’indennità in caso di assegnazione ad attività lavorativa a tempo
parziale anche presso il somministratore (articolo
32, comma 1);
·
viene
riscritta la disciplina relativa alla somministrazione
irregolare, prevedendo espressamente la nullità del contratto privo di
forma scritta (articolo 36) e viene
eliminata la disciplina relativa alla somministrazione
fraudolenta[43];
·
si
prevede che qualora il lavoratore, a fronte di irregolarità nella
somministrazione, chieda la costituzione
del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore (con effetto a
decorrere dall’inizio della somministrazione), può proporre l’azione entro il
termine di 60 giorni decorrente dalla cessazione dell’attività lavorativa
presso l’utilizzatore; nel caso in cui il giudice accolga la domanda del
lavoratore, condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno in favore
del lavoratore, stabilendo un’indennità
onnicomprensiva[44]
nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto (articolo
37);
·
si
prevede che la disciplina della somministrazione di lavoro non trovi
applicazione nei confronti delle pubbliche
amministrazioni, fermo restando quanto disposto dall’articolo 36 del
decreto legislativo n. 165 del 2001 [45]
(articolo 29, comma 3).
SOMMINISTRAZIONE
DI LAVORO |
|
D.Lgs. 10 settembre
2003, n. 276 |
Schema di decreto
legislativo |
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Titolo III SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO APPALTO DI SERVIZI,
DISTACCO |
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Capo I Somministrazione di lavoro |
Capo IV |
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Articolo 20 |
Articolo 28 |
|
|
1. Il
contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto,
di seguito denominato utilizzatore, che si rivolga ad altro soggetto, di
seguito denominato somministratore, a ciò autorizzato ai sensi delle
disposizioni di cui agli articoli 4 e 5. 2. Per tutta
la durata della missione i lavoratori
svolgono la propria attività nell'interesse nonché sotto la direzione e il
controllo dell'utilizzatore. Nell'ipotesi
in cui i lavoratori vengano assunti con contratto di lavoro a tempo
indeterminato essi rimangono a disposizione del somministratore per i periodi
in cui non sono in missione presso un utilizzatore, salvo che esista una
giusta causa o un giustificato motivo di risoluzione del contratto di lavoro. |
1. Il contratto di somministrazione di
lavoro è il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale
un’agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del decreto legislativo
n. 276 del 2003, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori
suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la
propria attività nell'interesse nonché sotto la direzione e il controllo
dell'utilizzatore. |
|
|
|
Articolo
29 |
|
|
|
1. Salvo diversa previsione dei contratti collettivi
nazionali di lavoro stipulati da associazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale, il numero dei lavoratori somministrati
con contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato non può
eccedere il 10 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in
forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipula del predetto
contratto, con un arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora
esso sia eguale o superiore a 0,5. In caso di inizio dell’attività nel corso
dell’anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo
indeterminato in forza al momento della stipula del contratto di
somministrazione di lavoro a tempo indeterminato. |
3. Il contratto di somministrazione di lavoro può
essere concluso a termine o a tempo indeterminato. La somministrazione di
lavoro a tempo indeterminato è ammessa: |
Soppresso |
a) per servizi di consulenza e assistenza nel
settore informatico, compresa la progettazione e manutenzione di reti
intranet e extranet, siti internet, sistemi informatici, sviluppo di software
applicativo, caricamento dati; |
|
b) per servizi di pulizia, custodia, portineria; |
|
c) per servizi, da e per lo stabilimento, di trasporto
di persone e di trasporto e movimentazione di macchinari e merci; |
|
d) per la gestione di biblioteche, parchi, musei,
archivi, magazzini, nonché servizi di economato; |
|
e) per attività di consulenza direzionale,
assistenza alla certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo
organizzativo e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del
personale; |
|
f) per attività di marketing, analisi di mercato,
organizzazione della funzione commerciale; |
|
g) per la gestione di call-center, nonché per
l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali nelle aree Obiettivo 1 di cui al
regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, recante
disposizioni generali sui Fondi strutturali; |
|
h) per costruzioni edilizie all'interno degli stabilimenti,
per installazioni o smontaggio di impianti e macchinari, per particolari
attività produttive, con specifico riferimento all'edilizia e alla
cantieristica navale, le quali richiedano più fasi successive di lavorazione,
l'impiego di manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente
impiegata nell'impresa; |
|
i) in tutti gli altri casi previsti dai contratti
collettivi di lavoro nazionali, territoriali o aziendali stipulati da
associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più
rappresentative; |
|
i-bis) in tutti i settori produttivi, pubblici e
privati, per l’esecuzione di servizi di cura e assistenza alla persona e di
sostegno alla famiglia; |
|
i-ter) in tutti i settori produttivi, in caso di
utilizzo da parte del somministratore di uno o più lavoratori assunti con
contratto di apprendistato. |
|
4. La
individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di
utilizzazione della somministrazione di lavoro a tempo determinato è affidata
ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati
comparativamente più rappresentativi in conformità alla disciplina di cui
all'articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368. 5-quater. Le disposizioni di cui al primo periodo
del comma 4 non operano nelle ulteriori ipotesi individuate dai contratti
collettivi nazionali, territoriali ed aziendali stipulati dalle
organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei lavoratori
e dei datori di lavoro. |
2. La somministrazione di lavoro a tempo determinato
è utilizzata nei limiti quantitativi individuati dai contratti collettivi
nazionali di lavoro stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente
più rappresentative sul piano nazionale. Soppresso |
|
3. Fermo quanto disposto dall’articolo 36 del
decreto legislativo n. 165 del 2001, la disciplina della somministrazione di
lavoro non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni. |
|
|
|
Articolo 30 |
|
|
5. Il
contratto di somministrazione di lavoro è vietato: |
1. Il contratto di somministrazione di lavoro è
vietato: |
a) per la
sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; |
a) identica |
b) salva diversa disposizione degli accordi
sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i
sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e
24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori
adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di
somministrazione , a meno che tale contratto sia stipulato per provvedere
alla sostituzione di lavoratori assenti ovvero sia concluso ai sensi dell’
articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero abbia una
durata iniziale non superiore a tre mesi. Salva diversa disposizione degli accordi sindacali, il divieto opera
altresì presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione
dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di
integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle stesse
mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione; |
b) presso
unità produttive nelle quali si è
proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi
degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, che abbiano riguardato
lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di
somministrazione di lavoro, salvo che
il contratto sia concluso per provvedere alla
sostituzione di lavoratori assenti ovvero
per assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, o abbia una
durata iniziale non superiore a tre mesi; c) presso
unità produttive nelle quali è
operante una sospensione del lavoro
o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione
salariale, che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si
riferisce il contratto di somministrazione di lavoro; |
c) da parte
delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi
dell'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e
successive modifiche. |
d) da parte di datori di lavoro che non abbiano
effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 28 e seguenti del decreto legislativo n.
81 del 2008, e successive modificazioni. |
5-bis. Qualora
il contratto di somministrazione preveda l’utilizzo di lavoratori assunti dal
somministratore ai sensi dell’ articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio
1991, n. 223, non operano le disposizioni di cui ai commi 3 e 4 del presente
articolo. Ai contratti di lavoro stipulati con lavoratori in mobilità ai
sensi del presente comma si applica il citato articolo 8, comma 2, della
legge n. 223 del 1991. 5-ter. Le
disposizioni di cui al comma 4 non operano qualora il contratto di
somministrazione preveda l'utilizzo: a) di soggetti
disoccupati percettori dell'indennità ordinaria di disoccupazione non
agricola con requisiti normali o ridotti, da almeno sei mesi; b) di soggetti
comunque percettori di ammortizzatori sociali, anche in deroga, da almeno sei
mesi. Resta comunque fermo quanto previsto dei commi 4 e 5 dell'articolo 8
del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla
legge 20 maggio 1988, n. 160; c) di
lavoratori definiti «svantaggiati» o «molto svantaggiati» ai sensi dei numeri
18) e 19) dell'articolo 2 del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione,
del 6 agosto 2008. Con decreto di natura non regolamentare del Ministero del
lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro novanta giorni dalla data
di entrata in vigore della presente disposizione, si provvede
all'individuazione dei lavoratori di cui alle lettere a), b) ed e) del n. 18)
dell'articolo 2 del suddetto regolamento (CE) n. 800/2008. |
Segue Articolo 29 E’ in ogni caso esente da limiti quantitativi la
somministrazione di lavoro a tempo determinato di lavoratori di cui
all’articolo 8, comma 2, della legge n. 223 del 1991, di soggetti disoccupati
che godono, da almeno sei mesi, di trattamenti di disoccupazione non agricola
o di ammortizzatori sociali, e di lavoratori «svantaggiati» o «molto
svantaggiati» ai sensi dei numeri 4) e 99) dell'articolo 2 del regolamento
(UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014 come individuati da
decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. |
|
|
Articolo 21 |
Articolo 31 |
|
|
1. Il
contratto di somministrazione di manodopera
è stipulato in forma scritta e contiene i seguenti elementi: |
1. Il
contratto di somministrazione di lavoro
è stipulato in forma scritta e contiene i seguenti elementi: |
a) gli estremi
dell'autorizzazione rilasciata al somministratore; |
a) identica |
b) il numero
dei lavoratori da somministrare; |
b) identica |
c) i casi e le ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui al comma 3
dell'articolo 20; |
Soppressa |
d) l'indicazione della presenza di eventuali rischi per
l'integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione
adottate; |
c)
l’indicazione di eventuali rischi per la
salute e la sicurezza del lavoratore e le misure di prevenzione adottate; |
e) la data di
inizio e la durata prevista del contratto di somministrazione; |
d) la data di
inizio e la durata prevista della
somministrazione di lavoro; |
f) le mansioni
alle quali saranno adibiti i lavoratori e il loro inquadramento; |
e) identica |
g) il luogo,
l'orario e il trattamento economico e normativo delle prestazioni lavorative; |
f) il luogo e l'orario
di lavoro e il trattamento economico e normativo dei lavoratori. |
h) assunzione da parte del somministratore della
obbligazione del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico,
nonché del versamento dei contributi previdenziali; |
Soppressa |
i) assunzione
dell'obbligo dell'utilizzatore di rimborsare al somministratore gli oneri
retributivi e previdenziali da questa effettivamente sostenuti in favore dei
prestatori di lavoro; |
2. Con il contratto di somministrazione di
lavoro l’utilizzatore assume l’obbligo di rimborsare al somministratore
gli oneri retributivi e previdenziali da questo
effettivamente sostenuti in favore dei lavoratori. |
j) assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di
comunicare al somministratore i trattamenti retributivi applicabili ai
lavoratori comparabili; |
Soppressa |
k) assunzione da parte dell'utilizzatore, in caso di
inadempimento del somministratore, dell'obbligo del pagamento diretto al
lavoratore del trattamento economico nonché del versamento dei contributi
previdenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore. |
Soppressa (v. anche articolo 33, comma 2) |
2. Nell'indicare gli elementi di cui al comma 1, le
parti devono recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi. |
Soppresso |
3. Le informazioni
di cui al comma 1, nonché la data di inizio e la durata prevedibile della
missione, devono essere comunicate per iscritto al prestatore di lavoro da
parte del somministratore all'atto della stipulazione del contratto di lavoro
ovvero all'atto dell'invio presso l'utilizzatore. |
3. Le
informazioni di cui al comma 1 , nonché la data di inizio e la durata
prevedibile della missione, devono essere comunicate per iscritto al lavoratore da parte del
somministratore all'atto della stipulazione del contratto di lavoro ovvero
all'atto dell'invio presso l'utilizzatore. |
|
|
Articolo 22 |
Articolo 32 |
|
|
1. In caso di
somministrazione a tempo indeterminato i rapporti di lavoro tra somministratore
e prestatori di lavoro sono soggetti alla disciplina generale dei rapporti di
lavoro di cui al codice civile e alle leggi speciali. |
1. In caso di
assunzione a tempo indeterminato il
rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore
è soggetto alla disciplina generale dei rapporti di lavoro di cui al
codice civile e alle leggi speciali. |
2. In caso di
somministrazione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra
somministratore e prestatore di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al
decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, per quanto compatibile, e in
ogni caso con esclusione delle disposizioni di cui all'articolo 5, commi 3 e
seguenti. Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni
caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei
casi e per la durata prevista dal contratto collettivo applicato dal
somministratore. |
2. In caso di assunzione a tempo determinato il
rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore
è soggetto alla disciplina di cui al Capo
III per quanto compatibile, e in ogni caso con esclusione delle
disposizioni di cui agli articoli 17,
commi 1, 2 e 3, 19 e 21. Il termine inizialmente posto al contratto di
lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e
per atto scritto, nei casi e per la durata prevista dal contratto collettivo
applicato dal somministratore. |
|
Segue comma
1 |
3. Nel caso in cui il prestatore di lavoro
sia assunto con contratto stipulato a tempo indeterminato, nel medesimo è
stabilita la misura della indennità mensile di disponibilità, divisibile in
quote orarie, corrisposta dal somministratore al lavoratore per i periodi nei
quali il lavoratore stesso rimane in attesa di assegnazione. La misura di
tale indennità è stabilita dal contratto collettivo applicabile al
somministratore e comunque non è inferiore alla misura prevista, ovvero
aggiornata periodicamente, con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali. La predetta misura
è proporzionalmente ridotta in caso di assegnazione ad attività lavorativa a
tempo parziale anche presso il somministratore. L'indennità di
disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto
collettivo. |
Nel contratto è stabilita
la misura della indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote
orarie, corrisposta dal somministratore al lavoratore per i periodi nei quali
il lavoratore stesso rimane in attesa di assegnazione. La misura di tale
indennità è prevista dal contratto collettivo applicabile al somministratore
e comunque non è inferiore a quanto
previsto con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
L'indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge
o di contratto collettivo. |
3-bis. Le assunzioni a tempo indeterminato e a tempo
determinato, ai sensi del presente articolo, possono essere effettuate anche
con rapporto di lavoro a tempo parziale. In tale caso, trova applicazione il
decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, e successive modificazioni, in
quanto compatibile con le disposizioni del presente decreto. |
Soppresso |
4. Le
disposizioni di cui all'articolo 4 della legge 23 luglio 1991, n. 223, non
trovano applicazione anche nel caso di fine dei lavori connessi alla
somministrazione a tempo indeterminato. In questo caso trovano applicazione
l'articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e le tutele del lavoratore di cui all'articolo 12. |
4. Le disposizioni di cui all'articolo
4 della legge n. 223 del 1991 non trovano applicazione anche nel caso di fine
dei lavori connessi alla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato,
cui si applica l'articolo 3 della legge n. 604 del 1966. |
5. In caso di
contratto di somministrazione, il prestatore di lavoro non è computato
nell'organico dell'utilizzatore ai fini della applicazione di normative di
legge o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla
materia dell'igiene e della sicurezza sul lavoro. |
3. Il
lavoratore somministrato non è computato nell'organico dell'utilizzatore
ai fini della applicazione di normative di legge o di contratto collettivo,
fatta eccezione per quelle relative alla salute e alla sicurezza sul lavoro. |
6. La disciplina in materia di assunzioni
obbligatorie e la riserva di cui all'articolo 4-bis, comma 3, del decreto
legislativo n. 181 del 2000, non si applicano in caso di somministrazione. |
Soppresso |
|
|
Articolo 23 |
Articolo 33 |
|
|
1. Per tutta
la durata della missione presso un utilizzatore, e ferma restando l'integrale applicabilità delle disposizioni in
materia di salute e sicurezza sul lavoro di cui al decreto legislativo 9
aprile 2008, n. 81 i lavoratori dipendenti dal somministratore hanno
diritto a condizioni di base di lavoro e d'occupazione complessivamente non
inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità
di mansioni svolte. Restano in ogni caso salve le clausole dei contratti
collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell'articolo 1, comma 3,
della legge 24 giugno 1997, n. 196. |
1. Per tutta
la durata della missione presso l’utilizzatore,
i lavoratori del somministratore
hanno diritto, a parità di mansioni svolte, a condizioni di base di lavoro e
d'occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari
livello dell'utilizzatore. |
3.
L'utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore a corrispondere
ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali. (v.anche art.20, co.1, lett. k)) |
2. L'utilizzatore è obbligato in solido con il
somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e a versare i relativi contributi
previdenziali, salvo il diritto di
rivalsa verso il somministratore. |
4. I contratti
collettivi applicati dall'utilizzatore stabiliscono modalità e criteri per la
determinazione e corresponsione delle erogazioni economiche correlate ai
risultati conseguiti nella realizzazione di programmi concordati tra le parti
o collegati all'andamento economico dell'impresa. I lavoratori dipendenti dal somministratore hanno
altresì diritto a fruire di tutti i servizi sociali e assistenziali di cui
godono i dipendenti dell'utilizzatore addetti alla stessa unità produttiva,
esclusi quelli il cui godimento sia condizionato alla iscrizione ad
associazioni o società cooperative o al conseguimento di una determinata
anzianità di servizio. |
3. I contratti collettivi applicati dall'utilizzatore
stabiliscono modalità e criteri per la determinazione e corresponsione delle
erogazioni economiche correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione
di programmi concordati tra le parti o collegati all'andamento economico
dell'impresa. I lavoratori del
somministratore hanno altresì diritto a fruire dei servizi sociali e assistenziali di cui godono i dipendenti
dell'utilizzatore addetti alla stessa unità produttiva, esclusi quelli il cui
godimento sia condizionato alla iscrizione ad associazioni o società
cooperative o al conseguimento di una determinata anzianità di servizio. |
5. Il
somministratore informa i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute
connessi alle attività produttive in generale e li forma e addestra all'uso
delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento della attività
lavorativa per la quale essi vengono assunti in conformità alle disposizioni recate dal decreto
legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed
integrazioni. Il contratto di
somministrazione può prevedere che tale obbligo sia adempiuto
dall'utilizzatore; in tale caso ne va fatta indicazione nel contratto con il
lavoratore. Nel caso in cui le mansioni cui è adibito il prestatore di lavoro
richiedano una sorveglianza medica speciale o comportino rischi specifici,
l'utilizzatore ne informa il lavoratore conformemente a quanto previsto dal
decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed
integrazioni. L'utilizzatore osserva altresì, nei confronti del medesimo
prestatore, tutti gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei
propri dipendenti ed è responsabile per la violazione degli obblighi di
sicurezza individuati dalla legge e dai contratti collettivi. |
4. Il somministratore informa i lavoratori sui rischi
per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive in generale e
li forma e addestra all'uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo
svolgimento della attività lavorativa per la quale essi vengono assunti, in
conformità al decreto legislativo n.
81 del 2008. |
6. Nel caso in
cui adibisca il lavoratore a mansioni superiori o comunque a mansioni non
equivalenti a quelle dedotte in contratto, l'utilizzatore deve darne
immediata comunicazione scritta al somministratore consegnandone copia al
lavoratore medesimo. Ove non abbia adempiuto all'obbligo di informazione,
l'utilizzatore risponde in via esclusiva per le differenze retributive
spettanti al lavoratore occupato in mansioni superiori e per l'eventuale
risarcimento del danno derivante dalla assegnazione a mansioni inferiori. |
5. Nel caso in cui adibisca il lavoratore a mansioni
superiori o inferiori a quelle
dedotte in contratto, l'utilizzatore deve darne immediata comunicazione
scritta al somministratore consegnandone copia al lavoratore medesimo. Ove
non abbia adempiuto all'obbligo di informazione, l'utilizzatore risponde in
via esclusiva per le differenze retributive spettanti al lavoratore occupato
in mansioni superiori e per l'eventuale risarcimento del danno derivante
dalla assegnazione a mansioni inferiori. |
7. Ai fini
dell'esercizio del potere disciplinare, che è riservato al somministratore,
l'utilizzatore comunica al somministratore gli elementi che formeranno
oggetto della contestazione ai sensi dell'articolo 7 della legge 20 maggio
1970, n. 300. |
6. Identico |
7-bis. I lavoratori dipendenti dal somministratore
sono informati dall'utilizzatore dei posti vacanti presso quest'ultimo,
affinché possano aspirare, al pari dei dipendenti del medesimo utilizzatore,
a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato. Tali informazioni possono
essere fornite mediante un avviso generale opportunamente affisso all'interno
dei locali dell'utilizzatore presso il quale e sotto il cui controllo detti
lavoratori prestano la loro opera. |
Soppresso |
8. E' nulla
ogni clausola diretta a limitare, anche indirettamente, la facoltà
dell'utilizzatore di assumere il lavoratore al termine della sua missione. |
8. E' nulla
ogni clausola diretta a limitare, anche indirettamente, la facoltà
dell'utilizzatore di assumere il lavoratore al termine della sua missione, fatta salva l’ipotesi in cui al
lavoratore sia corrisposta una adeguata indennità, secondo quanto stabilito
dal contratto collettivo applicabile al somministratore. |
9. La
disposizione di cui al comma 8 non trova applicazione nel caso in cui al
lavoratore sia corrisposta una adeguata indennità, secondo quanto stabilito
dal contratto collettivo applicabile al somministratore. |
|
9-bis. Resta salva la facoltà per il somministratore
e l'utilizzatore di pattuire un compenso ragionevole per i servizi resi a
quest'ultimo in relazione alla missione, all'impiego e alla formazione del
lavoratore per il caso in cui, al termine della missione, l'utilizzatore
assuma il lavoratore. |
Soppresso |
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Articolo 24 |
Articolo 34 |
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1. Ferme restando le disposizioni specifiche
per il lavoro in cooperativa, ai lavoratori delle società o imprese di somministrazione
e degli appaltatori si applicano i diritti sindacali previsti dalla legge 20
maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni. |
1. Ai
lavoratori delle agenzie di
somministrazione si applicano i diritti sindacali previsti dalla legge n. 300
del 1970 e successive modificazioni. |
2. Il
prestatore di lavoro ha diritto a esercitare presso l'utilizzatore, per tutta
la durata della somministrazione, i diritti di libertà e di attività
sindacale nonché a partecipare alle assemblee del personale dipendente delle
imprese utilizzatrici. |
2. Il lavoratore ha diritto a esercitare
presso l'utilizzatore, per tutta la durata della missione, i diritti di libertà e di attività sindacale nonché a
partecipare alle assemblee del personale dipendente delle imprese utilizzatrici. |
3. Ai prestatori di lavoro che dipendono da uno
stesso somministratore e che operano presso diversi utilizzatori compete uno
specifico diritto di riunione secondo la normativa vigente e con le modalità
specifiche determinate dalla contrattazione collettiva. |
Soppresso |
4.
L'utilizzatore comunica alla rappresentanza sindacale unitaria, ovvero alle
rappresentanze aziendali e, in mancanza, alle associazioni territoriali di
categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale: |
3. L'utilizzatore comunica alle rappresentanze sindacali aziendali ovvero alla rappresentanza
sindacale unitaria o, in mancanza, agli
organismi territoriali di categoria delle
associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale: |
a) il numero e
i motivi del ricorso alla somministrazione di lavoro prima della stipula del
contratto di somministrazione; ove ricorrano motivate ragioni di urgenza e
necessità di stipulare il contratto, l'utilizzatore fornisce le predette
comunicazioni entro i cinque giorni successivi; |
a) prima della stipula del contratto o, nel
caso in cui ricorrano motivate ragioni di urgenza entro i cinque giorni
successivi, il numero e i motivi del ricorso alla somministrazione di lavoro; |
b) ogni dodici
mesi, anche per il tramite della associazione dei datori di lavoro alla quale
aderisce o conferisce mandato, il numero e i motivi dei contratti di
somministrazione di lavoro conclusi, la durata degli stessi, il numero e la
qualifica dei lavoratori interessati. |
b) identica |
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Articolo 25 |
Articolo 35 |
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1. Gli oneri
contributivi, previdenziali, assicurativi ed assistenziali, previsti dalle
vigenti disposizioni legislative, sono a carico del somministratore che, ai
sensi e per gli effetti di cui all'articolo 49 della legge 9 marzo 1989, n.
88, è inquadrato nel settore terziario. Sulla indennità di disponibilità di
cui all'articolo 22, comma 3, i contributi sono versati per il loro effettivo
ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in materia di minimale
contributivo. |
1. Gli oneri
contributivi, previdenziali, assicurativi ed assistenziali, previsti dalle
vigenti disposizioni legislative, sono a carico del somministratore che, ai
sensi e per gli effetti di cui all'articolo 49 della legge 9 marzo 1989, n.
88, è inquadrato nel settore terziario. Sulla indennità di disponibilità di
cui all'articolo 32, comma 1, i contributi sono versati per il
loro effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in materia
di minimale contributivo. |
2. Il
somministratore non è tenuto al versamento della aliquota contributiva di cui
all'articolo 25, comma 4, della legge 21 dicembre 1978, n. 845. |
2. Identico |
3. Gli
obblighi per l'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali
previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124,
e successive modificazioni, sono determinati in relazione al tipo e al
rischio delle lavorazioni svolte. I premi e i contributi sono determinati in
relazione al tasso medio, o medio ponderato, stabilito per la attività svolta
dall'impresa utilizzatrice, nella quale sono inquadrabili le lavorazioni
svolte dai lavoratori temporanei, ovvero sono determinati in base al tasso
medio, o medio ponderato, della voce di tariffa corrispondente alla
lavorazione effettivamente prestata dal lavoratore temporaneo, ove presso
l'impresa utilizzatrice la stessa non sia già assicurata. |
3. Gli
obblighi dell'assicurazione contro
gli infortuni e le malattie professionali previsti dal decreto del Presidente
della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive modificazioni, sono
determinati in relazione al tipo e al rischio delle lavorazioni svolte. I
premi e i contributi sono determinati in relazione al tasso medio, o medio
ponderato, stabilito per la attività svolta dall'impresa utilizzatrice, nella
quale sono inquadrabili le lavorazioni svolte dai lavoratori somministrati, ovvero sono
determinati in base al tasso medio, o medio ponderato, della voce di tariffa
corrispondente alla lavorazione effettivamente prestata dal lavoratore somministrato, ove presso l'impresa
utilizzatrice la stessa non sia già assicurata. |
4. Nel settore
agricolo e in caso di somministrazione di lavoratori domestici trovano
applicazione i criteri erogativi,
gli oneri previdenziali e assistenziali previsti dai relativi settori. |
4. Nel settore
agricolo e in caso di somministrazione di lavoratori domestici trovano
applicazione i criteri erogativi, gli oneri previdenziali e assistenziali
previsti dai relativi settori. |
|
Segue |
Articolo 26 |
Articolo 33 |
|
|
1. Nel caso di somministrazione di lavoro
l'utilizzatore risponde nei confronti dei terzi dei danni a essi arrecati dal
prestatore di lavoro nell'esercizio delle sue mansioni. |
7. L'utilizzatore risponde nei confronti dei terzi dei
danni a essi arrecati dal prestatore di lavoro nello svolgimento delle sue
mansioni. |
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Segue articolo 21 |
Articolo 36 |
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4.In mancanza
di forma scritta il contratto di somministrazione di lavoro è nullo e i
lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze
dell'utilizzatore Articolo 27 Somministrazione
irregolare |
1.In mancanza di forma scritta il contratto di
somministrazione di lavoro è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti
gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore. |
1. Quando la
somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni
di cui agli articoli 20 e 21, comma 1, lettere a), b), c), d) ed e), il
lavoratore può chiedere, mediante
ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile,
notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la
costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, con
effetto dall'inizio della somministrazione. |
2. Quando la
somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni
di cui agli articoli 29, commi 1 e 2,
30, 31, comma 1, lettere a), b),
c) e d), il lavoratore può chiedere, anche
soltanto nei confronti dell’utilizzatore, la costituzione di un rapporto
di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, con effetto dall'inizio della
somministrazione. |
2. Nelle
ipotesi di cui al comma 1 tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a
titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il
soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito
corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti
gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del
rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo,
si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione. |
3. Nelle
ipotesi di cui al comma 2 tutti i
pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di
contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha
effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a
concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il
periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono
come compiuti o ricevuti dal
soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione. |
3. Ai fini della valutazione delle ragioni di cui
all'articolo 20, commi 3 e 4, che consentono la somministrazione di lavoro il
controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi
generali dell'ordinamento, all'accertamento della esistenza delle ragioni che
la giustificano e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito
valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano
all'utilizzatore. |
Soppresso (v. articolo 29) |
|
4. La disposizione non trova applicazione nei
confronti delle pubbliche amministrazioni. |
|
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Articolo 28 |
Articolo 37 Decadenza e tutele |
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|
1. Ferme
restando le sanzioni di cui all'articolo 18, quando la somministrazione di
lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme
inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore,
somministratore e utilizzatore sono puniti con una ammenda di 20 euro per
ciascun lavoratore coinvolto e ciascun giorno di somministrazione. |
1. Nel caso in cui il lavoratore chieda la
costituzione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore, ai sensi
dell’articolo 36, comma 2, trovano applicazione le disposizioni dell’articolo
6 della legge n. 604 del 1966 e il termine di cui al primo comma del predetto
articolo decorre dalla data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la
propria attività presso l’utilizzatore. |
|
2. Nel caso in cui il giudice accolga la domanda di
cui al comma 1, condanna, altresì, il datore di lavoro al risarcimento del
danno in favore del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella
misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati
nell’articolo 8 della legge n. 604 del 1966. La predetta indennità ristora
per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze
retributive e contributive, relativo al periodo compreso tra la data in cui
il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso
l’utilizzatore e la pronuncia con il quale il giudice abbia ordinato la
costituzione del rapporto di lavoro. |
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Articolo 38 |
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|
1. La violazione degli obblighi e dei divieti di cui
agli articoli 29, 30, 31, comma 1, nonché, per il solo somministratore, la
violazione del disposto di cui all’articolo 31, comma 3, sono punite con la
sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.250. |
|
2. La violazione delle disposizioni di cui all’art.
33, comma 1, e per il solo utilizzatore, di cui all’articolo 33, comma 3,
secondo periodo, e 34, comma 3, sono punite con la sanzione amministrativa
pecuniaria prevista dal comma 1. |
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Il Capo V del Titolo I, composto dagli articoli da 39 a 45, reca norme sulla disciplina del contratto di apprendistato, sostituendo interamente il Testo unico dell’apprendistato di cui al decreto legislativo n.167/2011 (che viene contestualmente abrogato dall’articolo 46, comma 1, lettera i), dello schema di decreto)[46].
Per quanto riguarda la disciplina generale dell’istituto:
· si dispone l’applicazione delle sanzioni previste dalla normativa vigente per il licenziamento illegittimo nel contratto a tempo indeterminato. Inoltre, nel contratto di apprendistato per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale costituisce giustificato motivo di licenziamento anche il mancato raggiungimento degli obiettivi formativi come attestato dall'istituzione formativa di provenienza (articolo 40, comma 3);
· si specifica che la forma scritta è richiesta ai fini della prova (articolo 40, comma 1);
· si prevede che il piano formativo nell'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e la specializzazione professionale (che presenta una nuova denominazione) e nell’apprendistato di alta formazione non sia predisposto sulla base di moduli e formulari predisposti dalla contrattazione collettiva e dagli enti bilaterali[47], bensì dall’istituzione formativa di provenienza dello studente con il coinvolgimento dell'impresa. In ogni caso, al piano formativo individuale si provvede (per la quota a carico dell’istituzione formativa) nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente (articolo 40, comma 1);
· si prevede la possibilità per le parti di recedere dal contratto al termine del periodo di apprendistato ai sensi dell'articolo 2118 c.c., con preavviso decorrente dal medesimo termine (articolo 40, comma 4)
· si prevede che la disposizione che attualmente, nelle imprese con più di 50 dipendenti, consente l’assunzione di nuovi apprendisti solo a condizione che vengano trasformati in rapporti a tempo indeterminato (al termine del periodo di apprendistato e nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione) almeno il 20 per cento dei contratti degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro (c.d. obbligo di stabilizzazione), valga unicamente per l'assunzione di nuovi apprendisti con contratto di apprendistato professionalizzante (e non con qualsiasi tipo di contratto di apprendistato, come attualmente previsto dalla normativa vigente) (articolo 40, comma 8).
Per quanto riguarda l'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e la specializzazione professionale[48] si prevede:
§ che tale istituto debba essere strutturato in modo da coniugare la formazione sul lavoro effettuata in azienda con l'istruzione e formazione professionale svolta dalle istituzioni formative che operano nell'ambito dei sistemi regionali di istruzione e formazione, sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, di cui al D.Lgs. 226/2005, nonché di quelli di cui al successivo articolo 44 dello schema di decreto in esame(articolo 41, comma 1);
§ l’esonero del datore di lavoro da ogni obbligo retributivo per le ore di formazione svolte nella istituzione formativa (tranne diversa previsione dei contratti collettivi). Inoltre, viene diminuita la retribuzione dell’apprendista riconosciuta per le ore di formazione a carico del datore di lavoro, che passa al 10% di quella che gli sarebbe dovuta[49] (articolo 41, comma 7).
§ che tale istituto (insieme a quello di alta formazione e ricerca) integri organicamente, in un sistema duale, formazione e lavoro per l'occupazione dei giovani, con riferimento ai titoli di istruzione e formazione e alle qualificazioni professionali contenuti nel Repertorio nazionale di cui all'articolo 8 del D.Lgs. 13/2013[50], nell'ambito del Quadro europeo delle qualificazioni (articolo 39, comma 3);
§ la soppressione del riferimento alla componente formativa del contratto in relazione alla durata massima dello stesso, che ora non può essere superiore in ogni caso a 3 anni (4 nel caso di diploma quadriennale professionale) (articolo 41, comma 2);
§ che l’attivazione dell’istituto, in assenza di regolamentazione regionale, sia rimessa al ministero del lavoro e delle politiche sociali, che ne disciplina l‘esercizio con propri atti (articolo 41, comma 3);
Si segnala
l’opportunità di indicare a quale tipologia di provvedimenti si intende fare
riferimento con l’espressione “propri atti”.
§ la facoltà, per i datori di lavoro, in relazione alle qualificazioni contenute nel Repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali di prorogare fino ad un anno il contratto dei giovani qualificati e diplomati (a condizione che abbiano concluso positivamente gli appositi percorsi formativi), per il consolidamento e l'acquisizione di ulteriori competenze tecnico-professionali e specialistiche, spendibili anche ai fini dell'acquisizione di certificati di specializzazione tecnica superiore. Inoltre, si prevede la proroga annuale anche nel caso in cui, al termine del periodo di formazione, l'apprendista non abbia conseguito il titolo di qualifica, diploma o specializzazione professionale (articolo 41, comma 4);
§ che possano essere stipulati contratti di apprendistato, di durata non superiore a tre anni, rivolti ai giovani iscritti al quarto e quinto anno degli istituti tecnici e professionali, di istruzione secondaria superiore, al fine di acquisire ulteriori competenze tecnico professionali (rispetto a quelle previste dai vigenti regolamenti scolastici) utili anche ai fini del conseguimento di un certificato di specializzazione tecnica superiore (articolo 41, comma 5)
Si fa presente che una disposizione di contenuto analogo è recata
dall’articolo 8-bis, comma 2, del DL n.104/2010[51];,rispetto
alla quale sarebbe opportuno prevedere una clausola di coordinamento.
§ l’obbligo, per il datore di lavoro che intenda stipulare il contratto di apprendistato, di sottoscrivere un protocollo con l'istituzione formativa a cui lo studente è iscritto, secondo uno schema definito con specifico decreto interministeriale (al riguardo si segnala che il testo non individua la data entro la quale il richiamato decreto debba essere emanato) nel quale siano stabiliti il contenuto e la durata degli obblighi formativi del datore. Lo stesso decreto definisce i criteri generali per la realizzazione dei percorsi di apprendistato negli istituti tecnici e professionali, di istruzione secondaria superiore, e, in particolare, il monte orario massimo del percorso scolastico che può essere svolta in apprendistato ed i requisiti delle imprese nelle quali si svolge, nel rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche e delle competenze delle regioni e delle province autonome. In particolare, con riferimento all’apprendistato che si svolge nell’ambito del sistema di istruzione e formazione professionale regionale, la formazione esterna all'azienda si svolge nell'istituzione formativa cui è iscritto lo studente e non può essere superiore al 60% dell'orario ordinamentale per il secondo anno e del 50% per il terzo e quarto anno, nonché per l'anno successivo finalizzato al conseguimento del certificato di specializzazione tecnica, In ogni caso nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente (articolo 41, comma 6);
Al riguardo, si valuti l’opportunità di esplicitare che per contratto di apprendistato si intende l'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e la specializzazione professionale;
§ la possibilità di trasformazione dell’istituto in apprendistato professionalizzante, successivamente al conseguimento della qualifica o diploma professionale ai sensi del D.Lgs. 226/2005, allo scopo di conseguire la qualificazione professionale ai finì contrattuali. In tal caso, la durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato non può eccedere quella individuata dalla contrattazione collettiva di cui all'articolo 40, comma 5 (articolo 41, comma 9);
Per quanto riguarda l'apprendistato professionalizzante (che perde l’ulteriore definizione di contratto di mestiere) si prevede:
§ che la qualificazione professionale (al cui conseguimento è finalizzato il contratto) venga determinata dalle parti sulla base dei profili o qualificazioni professionali previsti per il settore di riferimento dai sistemi di inquadramento del personale di cui ai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (articolo 42, comma 1);
§ non vengono invece riprodotte le norme che prevedono che gli accordi sindacali o i contratti collettivi contemplino una modulazione della durata e delle modalità di erogazione della formazione, anche in relazione all’età dell’apprendista, e che l’offerta formativa pubblica sia disciplinata dalle regioni anche in relazione dell’età dell’apprendista (rispettivamente, articolo 4, commi 2 e 3, del D.Lgs. 167/2011).
Per quanto riguarda l'apprendistato di alta formazione e ricerca si prevede:
§ che possano essere assunti in tutti i settori di attività, pubblici o privati, con tale contratto, i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni in possesso di diploma di istruzione secondaria superiore o di un diploma professionale conseguito nei percorsi di istruzione e formazione professionale, integrato da un certificato di istruzione e formazione tecnica superiore. Non è invece più prevista la possibilità, per soggetti in possesso di una qualifica professionale conseguita ai sensi del D.Lgs. 226/2005, di stipulare il contratto in oggetto a partire dal diciassettesimo anno di età (articolo 43, comma 1);
§ l’obbligo (analogamente a quanto previsto per l'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e la specializzazione professionale), per il datore di lavoro che intenda stipulare il contratto di apprendistato, di sottoscrivere un protocollo con l'istituzione formativa a cui lo studente è iscritto, o con l'ente di ricerca di riferimento, secondo uno schema definito con uno specifico decreto interministeriale (al riguardo si segnala che il testo non individua la data entro la quale il richiamato decreto debba essere emanato) che stabilisce l'entità e le modalità, anche temporali, della formazione a carico del datore di lavoro. Il richiamato protocollo stabilisce altresì il numero dei crediti formativi riconoscibili a ciascuno studente per la formazione a carico del datore di lavoro (entro il massimo di 60), anche in deroga al limite di cui all'articolo 2, comma 147, del D.L. 262/2006, la formazione esterna all'azienda è svolta nell'istituzione formativa cui è iscritto lo studente, nei percorsi di Istruzione Tecnica Superiore non può, in ogni caso, essere superiore al 60% (articolo 43, comma 2);
§ l’esonero del datore di lavoro da ogni obbligo retributivo per le ore di formazione svolte nella istituzione formativa (tranne diversa previsione dei contratti collettivi). Inoltre, viene prevista l’erogazione di una retribuzione per l’apprendista per le ore di formazione a carico del datore di lavoro, in misura pari al 10% di quella che gli sarebbe dovuta (articolo 43, comma 3);
Al riguardo non appare chiaro se i contratti collettivi possano
stabilire una retribuzione dell’apprendista, per le ore di formazione a carico
del datore di lavoro, diversa da quella stabilita nella misura del 10%.
§ che tale istituto (insieme a quello di per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale) integri organicamente, in un sistema duale, formazione e lavoro per l'occupazione dei giovani, con riferimento ai titoli di istruzione e formazione e alle qualificazioni professionali contenuti nel Repertorio nazionale di cui all'articolo 8 del D.Lgs. 13/2013[52], nell'ambito del Quadro europeo delle qualificazioni (articolo 39, comma 3);
Per quanto riguarda la definizione degli standard formativi, si precisa:
§ che per l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e la specializzazione professionale nel decreto interministeriale di definizione degli stessi standard venga stabilito il numero di ore da effettuare in azienda[53]. Inoltre, si stabilisce che i richiamati standard costituiscono livelli essenziali delle prestazioni ai sensi dell'articolo 16 del D.Lgs. 226/2005 (articolo 44, comma 1);
§ il soggetto tenuto ad effettuare la registrazione nel libretto formativo del cittadino della formazione effettuata per il conseguimento della qualificazione professionale ai fini contrattuali (datore di lavoro nel contratto di apprendistato professionalizzante, istituzione formativa di appartenenza dello studente per l'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e la specializzazione professionale e dell'istituzione formativa di appartenenza, o dell'ente di ricerca, per l'apprendistato di alta formazione e ricerca, ai sensi del D.Lgs. 13/2013) (articolo 44, comma 2);
§ che l’istituzione delle repertorio delle professioni presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali avvenga senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (articolo 44, comma 3);
§ che le competenze acquisite dallo studente siano certificate dall’istituzione formativa di provenienza dell'allievo secondo le disposizioni di cui al D.Lgs. 13/2013 (in particolare, nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni disciplinati dallo stesso provvedimento) (articolo 44, comma 4).
Infine, ulteriori disposizioni riguardano:
· l’estensione di taluni benefici (contributivi) ai lavoratori titolari (oltre che di un’indennità di mobilità, come attualmente previsto, anche) di un trattamento di disoccupazione, nel solo caso di contratto di apprendistato professionalizzante (in luogo della possibilità, prevista dalla normativa vigente, di assumere tali lavoratori con tutte le forme di apprendistato) e senza limiti di età (articolo 45, comma 4);
· il rinvio al decreto legislativo di attuazione dell’articolo 1, comma 4, lettera a), della L. 183/2014 (che prevede, nell’ambito del riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, la razionalizzazione degli incentivi all'assunzione esistenti, da collegare alle caratteristiche osservabili per le quali l'analisi statistica evidenzi una minore probabilità di trovare occupazione, e a criteri di valutazione e di verifica dell'efficacia e dell'impatto) della definizione degli incentivi per i datori di lavoro che assumono con l’apprendistato per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale e con l’apprendistato di alta formazione e ricerca (articolo 45, comma 10).
Sotto il profilo della tecnica legislativa, si segnala che il
riferimento di cui all’articolo 40, comma 6, lettera f), andrebbe fatto, oltre che all’ASPI, anche alla NASPI (introdotta
dagli articoli da 1 a 14 de D.Lgs. 22/2015, sostitutiva, a decorrere dal 1°
maggio 2015, delle prestazioni di ASpI e mini-ASpI, previste dalla normativa
vigente). Si segnala, inoltre, che il richiamo dell’articolo 20 del D.Lgs.
276/2003, operato dall’articolo 40, comma 7, dello schema di decreto, in
relazione alle agenzie di somministrazione di lavoro, risulta errato in quanto
lo stesso articolo 20 viene soppresso dall’articolo 46, comma 1, lettera g),
dello schema di decreto; si valuti quindi l’opportunità di fare più
correttamente riferimento all’articolo 4, comma 1, lettera a), dello stesso
D.Lgs. 276/2003 (ossia alla disposizione che enuclea le diverse tipologie di
agenzie del lavoro).
Apprendistato: la normativa vigente
Con il D.Lgs.
14 settembre 2011, n. 167, è stato approvato il Testo Unico
dell'apprendistato.
Il provvedimento (come modificato dalla L. 92/2012 di
riforma del mercato del lavoro) definisce l'apprendistato come un contratto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato finalizzato alla formazione e all'occupazione dei giovani,
articolato in tre diverse tipologie
contrattuali: apprendistato per la qualifica e per il diploma
professionale; apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere e
apprendistato di alta formazione e ricerca.
Il provvedimento, inoltre, unifica all'interno di una
sola disposizione (articolo 2) la regolamentazione normativa, economica e
previdenziale del contratto, garantendo la semplificazione dell'istituto e
l'uniformità di disciplina a livello nazionale.
In particolare, la
disciplina del contratto è rimessa totalmente alle parti sociali,
attraverso il rinvio alla disciplina attuativa recata da appositi accordi
interconfederali o da contratti collettivi di lavoro stipulati a livello
nazionale dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano
nazionale, nel rispetto di una serie di principi:
· forma scritta del contratto, del patto di prova e del
relativo piano formativo individuale da definire, anche sulla base di moduli e
formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali,
entro 30 giorni dalla stipulazione del contratto;
· previsione (secondo quanto disposto dall'articolo 1,
comma 16, della L. 92/2012) di una durata
minima del rapporto di apprendistato non inferiore a sei mesi (fatte salve
le attività stagionali);
· divieto di retribuzione a cottimo;
· possibilità di inquadrare
il lavoratore fino a 2 livelli inferiori rispetto alla categoria spettante, in
applicazione del CCNL, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che
richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali
è finalizzato il contratto ovvero, in alternativa, di stabilire la retribuzione
dell'apprendista in misura percentuale e in modo graduale all'anzianità di
servizio;
· presenza di un tutore o referente aziendale;
· possibilità di finanziare i percorsi formativi
aziendali degli apprendisti per il tramite dei fondi paritetici
interprofessionali (articolo 118 della L. 388/2000 e articolo 12 del D.Lgs.
276/2003) anche attraverso accordi con le Regioni;
· possibilità del riconoscimento della qualifica
professionale ai fini contrattuali e delle competenze acquisite ai fini del
proseguimento degli studi nonché nei percorsi di istruzione degli adulti;
· registrazione della formazione effettuata e della
qualifica professionale a fini contrattuali;
· possibilità di prolungare il periodo di apprendistato
in caso di malattia, infortunio o altra causa di sospensione involontaria del
rapporto, superiore a trenta giorni, secondo quanto previsto dai contratti
collettivi;
· possibilità di conferma in servizio, senza nuovi o
maggiori oneri per la finanza pubblica, al termine del percorso formativo, al
fine di ulteriori assunzioni in apprendistato;
· divieto per le parti di recedere dal contratto durante
il periodo di formazione in assenza di una giusta causa o di un giustificato
motivo. In caso di licenziamento privo di giustificazione trovano applicazione
le sanzioni previste dalla normativa vigente;
· possibilità per le parti di recedere dal contratto con
preavviso decorrente dal termine del periodo di formazione (ai sensi di quanto
disposto dall'articolo 2118 c.c.). Nel periodo di preavviso (secondo
quanto disposto dall'articolo 1, comma 16, della L. 92/2012) continua a trovare
applicazione la disciplina del contratto di apprendistato. Se nessuna delle
parti esercita la facoltà di recesso al termine del periodo di formazione, il
rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato.
Per gli apprendisti è prevista l'estensione delle norme sulla previdenza
e assistenza sociale obbligatoria (comma 2). Si segnala, al riguardo, che
l'articolo 2, comma 36, della L. 92/2012, con effetto sui periodi contributivi
a decorrere dal 1° gennaio 2013, ha disposto un contributo addizionale per il
finanziamento dell'ASPI pari all'1,31% della retribuzione imponibile, posto a
carico dei datori di lavoro per gli apprendisti artigiani e non artigiani.
Infine, si conferma che il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere con
contratto di apprendistato, direttamente o indirettamente per il tramite di
agenzie di somministrazione, non possa superare rapporto di 3 a 2 (come specificato dall'articolo 1, comma 16,
della L. 92/2012) in luogo del precedente rapporto di 1 a 1 (100%), delle
maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il datore di lavoro
stesso. Tale rapporto si applica esclusivamente ai datori di lavoro che
occupano fino a 10 dipendenti.
Specifiche disposizioni inoltre sono previste per i datori alle cui dipendenze
non ci siano lavoratori qualificati o specializzati, e per le imprese artigiane
(comma 3).
Inoltre, è in ogni caso esclusa la possibilità di
assumere in somministrazione apprendisti con contratto di somministrazione a
tempo determinato. Infine, una particolare clausola prevede che nel caso in cui
il datore di lavoro non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o
specializzati, o che comunque ne abbia in numero inferiore a 3, possa assumere
apprendisti in numero non superiore a 3. Le richiamate disposizioni non si
applicano alle imprese artigiane (per le quali trovano applicazione le
disposizioni di cui all'articolo 4 della L. 443/1985).
E' stata inoltre introdotta (nuovo comma 3-bis
dell'articolo 2, aggiunto dall'articolo 1, comma 16, della L. 92/2012,
successivamente modificata dall'articolo 2 del D.L. 34/2014) secondo cui, ferma
restando la possibilità per i contratti collettivi nazionali di lavoro,
(stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale)
di individuare limiti diversi da quelli previsti dalla legge, l'assunzione di
nuovi apprendisti (esclusivamente per i datori di lavoro che occupino almeno 50
dipendenti) è subordinata alla prosecuzione, a tempo indeterminato, del
rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, nei 36 mesi
precedenti la nuova assunzione, di almeno il 20% degli apprendisti dipendenti
dallo stesso datore di lavoro[54]. Dal computo
della predetta percentuale sono esclusi i rapporti cessati per recesso durante
il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa.
Qualora non venga rispettata la richiamata percentuale, è consentita
l'assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati,
ovvero di un apprendista in caso di totale mancata conferma degli apprendisti
pregressi. Gli apprendisti assunti in violazione dei limiti indicati sono
considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato sin dalla data di
costituzione del rapporto, senza che trovi tuttavia applicazione la sanzione di
cui all'articolo 7, comma 1, del D.Lgs. 167/2011, ricollegabile esclusivamente
ad un inadempimento sul piano formativo[55].
L'articolo 3 disciplina l'apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale.
Tale contratto è inteso alla stregua di un titolo di studio del secondo ciclo
di istruzione e formazione (così come definito dal D.Lgs. 226/2005), la cui
regolamentazione dei profili formativi è rimessa alle Regioni e alle province
autonome di Trento e Bolzano, previo accordo in Conferenza Stato-Regioni (comma
2). Possono essere assunti con tale contratto i soggetti con un età compresa tra 15 e 25 anni. La durata
massima del contratto è di 3 anni, elevabili a 4 nel caso di diploma
quadriennale regionale (comma 1).
La regolamentazione dei profili formativi di tale
istituto è rimessa alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano,
previo accordo in Conferenza Stato-Regioni secondo specifici criteri e principi
direttivi (definizione della qualifica o diploma professionale; previsione di
un monte ore di formazione, esterna od interna alla azienda, congruo al
conseguimento della qualifica o del diploma professionale; rinvio ai contratti
collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale
per la determinazione delle modalità di erogazione della formazione aziendale
nel rispetto degli standard generali fissati dalle regioni). Con l'Accordo
Stato-Regioni del 15 marzo 2012, sono state attuate le richiamate disposizioni.
Il nuovo comma 2-bis
(introdotto dall'articolo articolo 9, comma 3, del D.L. 76/2013) ha previsto la
possibilità di trasformazione del
contratto, successivamente al conseguimento della qualifica o diploma
professionale, in apprendistato professionalizzante (o contratto di mestiere),
allo scopo di conseguire la qualifica professionale ai fini contrattuali. In
tal caso la durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato non può
eccedere quella individuata dalla contrattazione collettiva.
Il successivo comma 2-ter (introdotto dall’articolo 2, comma 1, lettera b), del D.L. 34/2014), ha stabilito che,
fatta salva l'autonomia della contrattazione collettiva, in considerazione
della componente formativa del contratto in oggetto, al lavoratore è
riconosciuta una retribuzione che tenga conto delle ore di lavoro
effettivamente prestate nonché delle ore di formazione almeno nella misura del
35% del relativo monte ore complessivo.
Da ultimo, il comma 2-quater (introdotto dall’articolo 2, comma 1, lettera b-bis), del
D.L. 34/2014), ha disposto che per le Regioni e le Province autonome che
abbiano definito un sistema di alternanza scuola-lavoro, i contratti collettivi
di lavoro stipulati da associazioni di datori e prestatori di lavoro
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere specifiche
modalità di utilizzo del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato,
per lo svolgimento di attività stagionali.
L'articolo 4 disciplina l'apprendistato professionalizzante (o contratto di mestiere). Tale
istituto si applica si applica ai settori di attività pubblici e privati (comma
1). Possono essere assunti con tale contratto i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni (a
partire dai 17 anni per i soggetti in possesso di una qualifica professionale).
La durata e le modalità di erogazione della formazione per l'acquisizione delle
competenze tecnico-professionali e specialistiche sono stabiliti dagli accordi
interconfederali e i contratti collettivi, in ragione dell'età dell'apprendista
e del tipo di qualificazione contrattuale da conseguire, nonché in funzione dei
profili professionali stabiliti nei sistemi di classificazione e inquadramento
del personale. Agli stessi accordi e contratti è rimandata la durata, anche
minima, del contratto che, per la sua componente formativa, non può comunque
essere superiore a 3 anni (5 anni per le figure professionali dell'artigianato
individuate dalla contrattazione collettiva di riferimento) (comma 2). E'
inoltre prevista l'integrazione della formazione di tipo professionalizzante e
di mestiere, svolta sotto la responsabilità della azienda, da parte della
offerta formativa pubblica (comma 3), nonché la possibilità, per le Regioni e i
sindacati dei datori di lavoro, di definire le modalità per il riconoscimento
della qualifica di maestro artigiano o di mestiere (comma 4). Infine, sono
previste specifiche modalità di svolgimento dell'apprendistato per le
lavorazioni in cicli stagionali (comma 5).
Successivamente il D.L. 76/2013 ha previsto (articolo
2, commi 2 e 3) l'adozione, in sede di Conferenza stato-Regioni, di linee guida
volte a disciplinare il contratto di apprendistato professionalizzante, anche
in vista di una disciplina maggiormente uniforme sull'intero territorio
nazionale dell'offerta formativa pubblica (in aggiunta a quella posta in essere
dalle imprese). Le linee guida possono prevedere anche specifiche deroghe al
D.Lgs. 167/2011. Con l'obiettivo di semplificare l'accesso all'istituto, il
D.L. 76/2013 ha inoltre disposto che il piano formativo individuale sia
obbligatorio esclusivamente in relazione alla formazione per l'acquisizione
delle competenze tecnico-professionali e specialistiche; che la registrazione
della formazione e della qualifica professionale a fini contrattuali
eventualmente acquisita deve essere effettuata in uno specifico documento
avente i contenuti minimi del libretto formativo del cittadino; che in caso di
imprese multilocalizzate la formazione deve avvenire nel rispetto della
disciplina della regione ove l'impresa ha la propria sede legale. Inoltre
(secondo quanto disposto dall’articolo 2, comma 1, lettera c), del D.L. 34/2014), è previsto l’obbligo, per la regione, di
comunicare al datore di lavoro, entro 45 giorni dalla comunicazione
dell'instaurazione del rapporto, le modalità di svolgimento dell'offerta
formativa pubblica, anche con riferimento alle sedi e al calendario delle
attività previste, avvalendosi anche dei datori di lavoro e delle loro
associazioni che si siano dichiarate disponibili, ai sensi delle Linee guida
adottate dalla Conferenza Stato-Regioni il 20 febbraio 2014. La comunicazione
dell'instaurazione del rapporto di lavoro si intende effettuata dal datore di
lavoro ai sensi dell'art. 9-bis del D.L. n. 510/1996
La Conferenza Stato-Regioni ha, come accennato in
precedenza, adottato le linee guida il
20 febbraio 2014. Le linee guida disciplinano l'offerta formativa pubblica
per l'acquisizione di competenze di base e trasversali in termini di durata,
contenuti e modalità di realizzazione. Oltre a recepire quanto disposto dalle
norme del D.L. 76/2013, le linee guida hanno comportato una semplificazione
della procedura obbligatoria per le aziende, stabilendo altresì che l'offerta
formativa pubblica per l'apprendistato debba essere obbligatoria e
disciplinata, quando le linee guida saranno pienamente operative, dalla
regolamentazione regionale. Inoltre, la durata e i contenuti della formazione
sono stati legati alle competenze acquisite nella formazione scolastica,
prevedendo, in particolare, un diverso monte ore di formazione a seconda dei
titoli posseduti (120 ore per i soggetti in possesso della licenza di scuola
secondaria di primo grado, 80 ore per i soggetti in possesso di un diploma di
scuola secondaria di secondo grado e 40 ore per gli apprendisti laureati).
L'articolo 5 disciplina l'apprendistato di alta formazione e ricerca. Possono essere
assunti (comma 1) in tutti i settori di attività, pubblici o privati, con tale
contratto (compresi i dottorati di ricerca, per la specializzazione tecnica
superiore di cui all'articolo 69 della L. 144/1999, con particolare riferimento
ai diplomi relativi ai percorsi di specializzazione tecnologica degli istituti
tecnici superiori di nonché il praticantato per l'accesso alle professioni
ordinistiche o per esperienze professionali) i soggetti di età compresa tra i 18 ed i 29 anni (a partire dai 17
anni per i soggetti in possesso di una qualifica professionale). La
regolamentazione e la durata dell'istituto sono rimesse alle Regioni e, per i
soli profili che attengono alla formazione, in accordo anche con altre
istituzioni di ricerca (comma 2). In assenza di regolamentazioni regionali
l'attivazione dell'istituto è rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai
singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le Università, gli
istituti tecnici e professionali e le istituzioni formative o di ricerca, senza
nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (comma 3).
L'articolo 6 disciplina le procedure di definizione degli standard formativi
e professionali. In particolare, tali standard sono definiti
mediante un apposito decreto interministeriale da emanare entro 12 mesi dalla
data di entrata in vigore del provvedimento, nel rispetto delle competenze
delle Regioni e delle Province autonome e di quanto stabilito nella richiamata
intesa Stato-regioni del 17 febbraio 2010. Gli standard professionali sono
definiti nei contratti collettivi nazionali di categoria o, in mancanza,
attraverso intese specifiche da sottoscrivere a livello nazionale o
interconfederale. Viene altresì specificato che ai fini della verifica dei
percorsi formativi in apprendistato professionalizzante e in apprendistato di
ricerca, i profili di riferimento debbano essere legati a quelli definiti nei
contratti collettivi (commi 1 e 2). Al fine di armonizzare le diverse qualifiche
professionali acquisite, inoltre, si prevede che il repertorio delle
professioni (già istituito) presso il Ministero del lavoro e delle politiche
sociali, sia predisposto sulla base dei sistemi di classificazione del
personale previsti nei contratti collettivi di lavoro e (in coerenza con quanto
previsto nella richiamata intesa del 17 febbraio 2010) da un apposito organismo
tecnico, composto dal MIUR, dai sindacati comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale e dai rappresentanti della Conferenza Stato-Regioni (comma
3). Infine, si stabilisce che la certificazione delle competenze acquisite
dall'apprendista venga effettuata secondo specifiche modalità definite dalle
Regioni e dalle Province autonome (comma 4).
Con l'Accordo della Conferenza Stato-Regioni del 19
aprile 2012, recepito con il D.M. 26 settembre 2012, è stato definito un
sistema nazionale di certificazione delle competenze acquisite in
apprendistato.
L'articolo 7 detta una serie di disposizioni finali.
In primo luogo, è presente un apposito apparato
ispettivo e sanzionatorio (commi 1 e 2), operante in caso di inadempimento
nella erogazione della formazione di cui sia esclusivamente responsabile il
datore di lavoro e che sia tale da impedire la realizzazione delle finalità di
cui ai precedenti articoli 3, 4 e 5. In tali casi il datore di lavoro è tenuto
a versare la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con
riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe
stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato,
maggiorata del 100%, con esclusione di qualsiasi altra sanzione per omessa
contribuzione. Ulteriori disposizioni concernono gli inadempimenti nella
erogazione della formazione prevista nel piano formativo individuale e le
violazioni delle disposizioni contrattuali collettive attuative di determinati
principi di cui all'articolo 2, comma 1.
Tranne specifiche eccezioni, i lavoratori assunti con
contratto di apprendistato sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti
da leggi e contratti collettivi per l'applicazione di particolari normative e
istituti (comma 3).
Si dispone inoltre la possibilità di assumere come
apprendisti i lavoratori in mobilità (comma 4). Per tali soggetti trovano
applicazione le disposizioni in materia di licenziamenti individuali (di cui
alla L. 604/1966), nonché il regime contributivo agevolato di cui all'articolo
25, comma 9, della L. 223/1991 (aliquota contributiva agevolata del 10% per i
primi 18 mesi) e l'incentivo di cui all'articolo 8, comma 4, della stessa L.
223/1991 (concessione di un contributo mensile, a favore del datore di lavoro
che assume a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nella lista di
mobilità, pari al 50% dell'indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta
al lavoratore).
Inoltre, il comma 8 ha previsto l'utilizzabilità del
contratto di apprendistato anche nel settore pubblico. In particolare, la
disciplina del reclutamento e dell'accesso, nonché l'applicazione del contratto
di apprendistato professionalizzante e di alta formazione per i settori di
attività pubblici non è immediatamente applicabile ma deve essere definita con
D.P.C.M. entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del T.U. (e cioè il 25
ottobre 2011).
Si ricorda, infine, che l'apprendistato gode di una
serie di agevolazioni contributive e
fiscali. In particolare, le aliquote contributive a carico dei datori di
lavoro proprietari di aziende fino a 9 dipendenti sono pari all'1,50% (per il
primo anno di contratto), al 3% (per il secondo anno di contratto) e al 10%
(per gli anni successivi). Per le aziende con oltre 9 dipendenti l'aliquota a
carico del datore di lavoro è pari al 10% (per l'apprendista è sempre pari al
5,84%). Merita ricordare, inoltre, che l'articolo 22, comma 1, della L. 12 novembre
2011, n. 183 (legge di stabilità per il 2012), ha previsto l'azzeramento, per i primi 3 anni, della quota di
contribuzione a carico del datore di lavoro che occupi fino a 9 addetti, per i
contratti di apprendistato stipulati negli anni 2012-2016.
Sotto il profilo
fiscale, il costo degli apprendisti è escluso dalla base per il calcolo
I.R.A.P. (ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera a), n. 5, del
D.Lgs. 446/1997). Tale deduzione (ai sensi dell'articolo 11, comma 4-septies)
è alternativa rispetto alla deduzione prevista dalle norme I.R.A.P. (ai sensi
dell'articolo 11, comma 1, lettera a), n. 2) per il personale dipendente
a tempo indeterminato (che è maggiore per i lavoratori di sesso femminile e per
quelli di età inferiore ai 35 anni). Il datore quindi dovrà optare per l'una o
per l'altra.
APPRENDISTATO |
|
D.Lgs. 14
settembre 2011, n. 167 |
Schema di
decreto legislativo |
|
|
Articolo 1 (Definizione) |
Articolo 39 (Definizione) |
1. L'apprendistato è un
contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla
occupazione dei giovani. |
1. Identico. |
2. Il contratto di
apprendistato è definito secondo le seguenti tipologie: |
2. Identico. |
a) apprendistato per la
qualifica e per il diploma
professionale; |
a)
apprendistato per la qualifica e il
diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e la
specializzazione professionale; |
b) apprendistato
professionalizzante o contratto di
mestiere; |
b)
apprendistato professionalizzante; |
c) apprendistato di alta formazione e ricerca. |
c) Identico. |
|
3.
L'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di
istruzione secondaria superiore e la specializzazione professionale e quello
di alta formazione e ricerca integrano organicamente, in un sistema duale, formazione e lavoro per l'occupazione dei
giovani con riferimento ai titoli di istruzione e formazione e alle
qualificazioni professionali contenuti nel Repertorio nazionale di cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13, nell'ambito
del Quadro europeo delle qualificazioni. |
|
|
Articolo 2 (Disciplina generale) |
Articolo 40 (Disciplina generale) |
1. La
disciplina del contratto di apprendistato è rimessa ad appositi accordi
interconfederali ovvero ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello
nazionale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente
più rappresentative sul piano nazionale nel rispetto dei seguenti principi: |
5. Salvo quanto disposto dai commi da 1 a 4, la disciplina
del contratto di apprendistato è rimessa ad appositi accordi interconfederali
ovvero ai contratti collettivi nazionali
di lavoro stipulati da associazioni sindacali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nel rispetto dei
seguenti principi: |
a) forma scritta del contratto e del patto di prova.
Il contratto di apprendistato contiene, in forma sintetica, il piano
formativo individuale definito anche sulla base di moduli e formulari
stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali; |
1. Il contratto di apprendistato è stipulato
in forma scritta ai fini della prova. Il contratto di apprendistato
contiene, in forma sintetica, il piano formativo individuale definito anche
sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o
dagli enti bilaterali di cui
all'articolo 2, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 276 del 2003.
Nell'apprendistato per la qualifica e
il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e la
specializzazione professionale e nell'apprendistato di alta formazione e
ricerca il piano formativo individuale è predisposto dalla istituzione
formativa di provenienza dello studente con il coinvolgimento dell'impresa.
Al piano formativo individuale, per la
quota a carico dell’istituzione formativa, si provvede nell’ambito delle
risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente. |
a-bis)
previsione di una durata minima del contratto non inferiore a sei mesi, fatto
salvo quanto previsto dall'articolo 4, comma 5; |
2. Il contratto di apprendistato ha una
durata minima non inferiore a sei mesi, fatto salvo quanto previsto
dall'articolo 42, comma 5. |
b) divieto di retribuzione a cottimo; |
comma 5, a): Identico |
c) possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli
inferiori rispetto alla categoria
spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai
lavoratori addetti a mansioni o
funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al
conseguimento delle quali è finalizzato il contratto ovvero, in alternativa,
di stabilire la retribuzione dell'apprendista in misura percentuale e in modo
graduale all'anzianità di servizio; |
comma 5, b): possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori
rispetto a quello spettante in applicazione del contratto collettivo
nazionale di lavoro ai lavoratori addetti a mansioni che richiedono
qualificazioni corrispondenti a quelle al cui conseguimento è finalizzato il contratto, ovvero, in
alternativa, di stabilire la retribuzione dell'apprendista in misura
percentuale e proporzionata all’anzianità
di servizio |
d) presenza di un tutore
o referente aziendale; |
comma 5, c): Identico. |
e) possibilità
di finanziare i percorsi formativi aziendali degli apprendisti per il tramite
dei fondi paritetici interprofessionali di cui all'articolo 118 della legge
23 dicembre 2000, n. 388 e all'articolo 12 del decreto legislativo 10
settembre 2003, n. 276 e successive modificazioni anche attraverso accordi
con le Regioni; |
comma 5, d): Identico; |
f) possibilità del riconoscimento, sulla base dei
risultati conseguiti all'interno del percorso di formazione, esterna e
interna alla impresa, della qualifica professionale ai fini contrattuali e
delle competenze acquisite ai fini del proseguimento degli studi nonché nei
percorsi di istruzione degli adulti; |
comma 5, d): Identico. |
g)
registrazione della formazione effettuata e della qualifica professionale a
fini contrattuali eventualmente acquisita nel libretto formativo del
cittadino di cui all'articolo 2, comma 1, lettera i), del decreto legislativo
10 settembre 2003, n. 276; |
comma 5, f): registrazione
della formazione effettuata e della qualificazione
professionale ai fini contrattuali eventualmente acquisita nel libretto
formativo del cittadino di cui all'articolo 2, comma 1, lettera i), del
decreto legislativo n. 276 del 2003; |
h) possibilità
di prolungare il periodo di apprendistato in caso di malattia, infortunio o
altra causa di sospensione involontaria del rapporto, superiore a trenta
giorni, secondo quanto previsto dai
contratti collettivi; |
g) possibilità di prolungare il periodo di
apprendistato in caso di malattia, infortunio o altra causa di sospensione
involontaria del lavoro, di durata
superiore a trenta giorni; |
i) possibilità di forme e modalità per la conferma
in servizio, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, al termine
del percorso formativo, al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato, fermo restando quanto previsto dal comma
3 del presente articolo; |
comma 5,
h): possibilità di forme e modalità per la conferma in
servizio, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, al termine
del percorso formativo, al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato. |
l) divieto per
le parti di recedere dal contratto durante il periodo di formazione in
assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. In caso di
licenziamento privo di giustificazione trovano applicazione le sanzioni
previste dalla normativa vigente; |
3. Durante l'apprendistato trovano applicazione le
sanzioni previste dalla normativa vigente per il licenziamento illegittimo.
Nel contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale,
il diploma di istruzione secondaria superiore e la specializzazione
professionale costituisce giustificato motivo di licenziamento anche il
mancato raggiungimento degli obiettivi formativi come attestato
dall'istituzione formativa di provenienza |
m) possibilità
per le parti di recedere dal contratto con preavviso decorrente dal termine
del periodo di formazione ai sensi di
quanto disposto dall'articolo 2118 del codice civile; nel periodo di
preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di
apprendistato. Se nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso al termine del periodo di formazione, il rapporto prosegue
come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. |
4. Al termine del periodo
di apprendistato le parti possono recedere dal contratto ai sensi dell'articolo 2118 del codice civile, con preavviso
decorrente dal medesimo termine. Durante il periodo di preavviso
continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato.
Se nessuna delle parti recede il
rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato. |
2. Per gli apprendisti l'applicazione delle norme
sulla previdenza e assistenza sociale obbligatoria si estende alle seguenti
forme: |
6. Per gli apprendisti
l'applicazione delle norme sulla previdenza e assistenza sociale obbligatoria
si estende alle seguenti forme: |
a) assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e
le malattie professionali; |
a) Identica |
b)
assicurazione contro le malattie; |
b) Identica |
c)
assicurazione contro l'invalidità e vecchiaia; |
c) Identico |
d) maternità; |
d) Identica |
e) assegno
familiare; |
e) Identica |
e-bis)
assicurazione sociale per l'impiego in relazione alla quale, in via
aggiuntiva a quanto previsto in relazione al regime contributivo per le
assicurazioni di cui alle precedenti lettere ai sensi della disciplina di cui
all'articolo 1, comma 773, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, con effetto
sui periodi contributivi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2013 è dovuta
dai datori di lavoro per gli apprendisti artigiani e non artigiani una
contribuzione pari all'1,31 per cento della retribuzione imponibile ai fini
previdenziali. Resta fermo che con riferimento a tale contribuzione non
operano le disposizioni di cui all'articolo 22, comma 1, della legge 12
novembre 2011, n. 183. |
f) assicurazione sociale per l'impiego in relazione
alla quale, in via aggiuntiva a quanto previsto in relazione al regime
contributivo per le assicurazioni di cui alle precedenti lettere, ai sensi
della disciplina di cui all'articolo 1, comma 773, della legge 27 dicembre
2006, n. 296, con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dal
1° gennaio 2013 è dovuta dai datori di lavoro per gli apprendisti artigiani e
non artigiani una contribuzione pari all'1,31 per cento della retribuzione
imponibile ai fini previdenziali, con
riferimento alla quale non operano le disposizioni di cui all'articolo
22, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183. |
3. Il numero
complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere, direttamente
o indirettamente per il tramite delle agenzie di somministrazione di lavoro
ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, non può
superare il rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e
qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro; tale rapporto
non può superare il 100 per cento per i datori di lavoro che occupano un
numero di lavoratori inferiore a dieci unità. È in ogni caso esclusa la
possibilità di assumere in somministrazione apprendisti con contratto di
somministrazione a tempo determinato di
cui all'articolo 20, comma 4, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n.
276. Il datore di lavoro che non abbia alle proprie dipendenze lavoratori
qualificati o specializzati, o che comunque ne abbia in numero inferiore a
tre, può assumere apprendisti in numero non superiore a tre. Le disposizioni
di cui al presente comma non si applicano alle imprese artigiane per le quali
trovano applicazione le disposizioni di cui all'articolo 4 della legge 8
agosto 1985, n. 443. |
7. Il numero complessivo di apprendisti che un datore
di lavoro può assumere, direttamente o indirettamente per il tramite delle
agenzie di somministrazione di lavoro ai sensi dell'articolo 20 del decreto
legislativo n. 276 del 2003 non può superare il rapporto di 3 a 2 rispetto
alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo
datore di lavoro. Tale rapporto
non può superare il 100 per cento per i datori di lavoro che occupano un
numero di lavoratori inferiore a dieci unità. E' in ogni caso esclusa la
possibilità di utilizzare
apprendisti con contratto di somministrazione a tempo determinato. Il datore
di lavoro che non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o
specializzati, o che comunque ne abbia in numero inferiore a tre, può
assumere apprendisti in numero non superiore a tre. Le disposizioni di cui al
presente comma non si applicano alle imprese artigiane per le quali trovano
applicazione le disposizioni di cui all'articolo 4 della legge 8 agosto 1985,
n. 443. |
3-bis. Ferma
restando la possibilità per i contratti collettivi nazionali di lavoro,
stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano
nazionale, di individuare limiti diversi da quelli previsti dal presente
comma, esclusivamente per i datori di lavoro che occupano almeno cinquanta
dipendenti l'assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione,
a tempo indeterminato, del rapporto di lavoro al termine del periodo di
apprendistato, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno
il 20 per cento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro.
Dal computo della predetta percentuale sono esclusi i rapporti cessati per
recesso durante il periodo di prova, per
dimissioni o per licenziamento per
giusta causa. Qualora non sia rispettata la predetta percentuale, è
consentita l'assunzione di un ulteriore
apprendista rispetto a quelli già
confermati, ovvero di un apprendista in caso di totale mancata conferma degli
apprendisti pregressi. Gli apprendisti assunti in violazione dei limiti
di cui al presente comma sono considerati lavoratori subordinati a tempo
indeterminato, al di fuori delle
previsioni del presente decreto, sin dalla data di costituzione del
rapporto. |
8. Ferma restando la possibilità per i contratti
collettivi nazionali di lavoro, stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, di individuare limiti
diversi da quelli previsti dal presente comma, esclusivamente per i datori di
lavoro che occupano almeno cinquanta dipendenti, l'assunzione di nuovi apprendisti con contratto di apprendistato professionalizzante è subordinata
alla prosecuzione, a tempo indeterminato, del rapporto di lavoro al termine
del periodo di apprendistato, nei trentasei mesi precedenti la nuova
assunzione, di almeno il 20 per cento degli apprendisti dipendenti dallo
stesso datore di lavoro, restando
esclusi dal computo i rapporti cessati per recesso durante il periodo di
prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa. Qualora non sia
rispettata la predetta percentuale, è in
ogni caso consentita l'assunzione
di un apprendista con contratto professionalizzante. Gli apprendisti
assunti in violazione dei limiti di cui al presente comma sono considerati ordinari lavoratori subordinati a
tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto. |
|
|
Articolo 3 (Apprendistato per la qualifica e per il diploma
professionale) |
Articolo 41 (Apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria
superiore e la specializzazione professionale) |
|
1.
L'apprendistato per la qualifica e il diploma e la specializzazione
professionale è strutturato in modo da coniugare la formazione sul lavoro
effettuata in azienda con l'istruzione e formazione professionale svolta
dalle istituzioni formative che operano nell'ambito dei sistemi regionali di
istruzione e formazione sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni
di cui al decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, e di quelli di cui
all'articolo 44. |
1. Possono
essere assunti con contratto di apprendistato per la qualifica e per il
diploma professionale, in tutti i settori di attività, anche per l'assolvimento dell'obbligo di istruzione, i soggetti
che abbiano compiuto quindici anni e fino al compimento del venticinquesimo
anno di età. La durata del contratto è determinata in considerazione della
qualifica o del diploma da conseguire e non può in ogni caso essere
superiore, per la sua componente
formativa, a tre anni ovvero quattro nel caso di diploma quadriennale
regionale. |
2. Possono
essere assunti con il contratto di cui
al comma 1, in tutti i settori di attività, i giovani che hanno compiuto i 15 anni di età e fino
al compimento dei 25. La durata
del contratto è determinata in considerazione della qualifica o del diploma
da conseguire e non può in ogni caso essere superiore a tre anni ovvero
quattro nel caso di diploma quadriennale professionale. |
2. La
regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato per la qualifica e
per il diploma professionale è rimessa alle regioni e alle province autonome
di Trento e Bolzano, previo accordo in
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
Autonome di Trento e di Bolzano, e sentite le associazioni dei datori di
lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul
piano nazionale, nel rispetto dei seguenti criteri e principi direttivi: |
3. La regolamentazione dei profili formativi
dell'apprendistato per la qualifica e
il diploma e la specializzazione
professionale è rimessa alle regioni e alle province autonome di Trento e
Bolzano. In assenza di
regolamentazione regionale l’attivazione dell’apprendistato per la qualifica,
il diploma e la specializzazione professionale è rimessa al ministero del
lavoro e delle politiche sociali che ne disciplina l’esercizio con propri
atti. |
a) definizione della qualifica o diploma
professionale ai sensi del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226; |
|
b) previsione di un monte ore di formazione, esterna
od interna alla azienda, congruo al conseguimento della qualifica o del
diploma professionale in funzione di quanto stabilito al comma 1 e secondo
standard minimi formativi definiti ai sensi del decreto legislativo 17
ottobre 2005, n. 226; |
|
c) rinvio ai contratti collettivi di lavoro
stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei
datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative per la
determinazione, anche all'interno degli enti bilaterali, delle modalità di
erogazione della formazione aziendale nel rispetto degli standard generali
fissati dalle regioni. |
|
|
|
2-ter. Fatta
salva l'autonomia della contrattazione collettiva, in considerazione della
componente formativa del contratto di apprendistato per la qualifica e per il
diploma professionale, al lavoratore è riconosciuta una retribuzione che
tenga conto delle ore di lavoro effettivamente prestate nonché delle ore di
formazione almeno nella misura del 35% del relativo monte ore complessivo. |
7. Salvo diversa previsione dei contratti
collettivi, per le ore di formazione svolte nella istituzione formativa il
datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo. Per le ore di
formazione a carico del datore di lavoro è riconosciuta al lavoratore una
retribuzione pari al 10 per cento di quella che gli sarebbe dovuta. |
2-quater. Per
le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano che abbiano definito
un sistema di alternanza scuola-lavoro, i contratti collettivi di lavoro
stipulati da associazioni di datori e prestatori di lavoro comparativamente
più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere specifiche modalità
di utilizzo del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato, per lo
svolgimento di attività stagionali. |
8. Per le regioni e le province autonome di Trento e
di Bolzano che abbiano definito un sistema di alternanza scuola-lavoro, i
contratti collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale possono prevedere specifiche modalità di utilizzo del contratto di
apprendistato, anche a tempo determinato, per lo svolgimento di attività
stagionali. |
|
4. In relazione alle qualificazioni contenute nel
Repertorio di cui all'articolo 39, comma 3, i datori di lavoro hanno la
facoltà di prorogare fino ad un anno il contratto di apprendistato dei
giovani qualificati e diplomati, che hanno concluso positivamente i percorsi
di cui al comma 1, per il consolidamento e l'acquisizione di ulteriori
competenze tecnico-professionali e specialistiche, spendibili anche ai fini
dell'acquisizione di certificati di specializzazione tecnica superiore. Il
contratto di apprendistato può essere prorogato di un anno anche nel caso in
cui, al termine del periodo di formazione, l'apprendista non abbia conseguito
il titolo di qualifica, diploma o specializzazione professionale. |
|
5. Possono essere, altresì, stipulati contratti di
apprendistato, di durata non superiore a tre anni, rivolti ai giovani
iscritti al quarto e quinto anno degli istituti tecnici e professionali, di
istruzione secondaria superiore, per il conseguimento del diploma e
l'acquisizione di ulteriori competenze tecnico professionali rispetto a
quelle previste dai vigenti regolamenti scolastici, utili anche ai fini del
conseguimento di un certificato di specializzazione tecnica superiore. |
|
6. Il datore di lavoro che intende stipulare il
contratto di apprendistato sottoscrive un protocollo con l'istituzione
formativa a cui lo studente è iscritto, secondo uno schema definito con
decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il
Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca e il Ministro
dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di. Trento e
Bolzano, che stabilisce il contenuto e la durata degli obblighi formativi del
datore. Con il medesimo decreto sono, altresì, definiti i criteri generali
per la realizzazione dei percorsi di apprendistato negli istituti tecnici e
professionali di istruzione secondaria superiore, e, in particolare, il monte
orario massimo del percorso scolastico che può essere svolto in apprendistato
ed i requisiti delle imprese nelle quali si svolge, nel rispetto
dell'autonomia delle istituzioni scolastiche e delle competenze delle regioni
e delle province autonome. Con riferimento all’apprendistato che si svolge
nell’ambito del sistema di istruzione e formazione professionale regionale,
la formazione esterna all'azienda si svolge nell'istituzione formativa cui è
iscritto lo studente e non può essere superiore al 60 per cento dell'orario
ordinamentale per il secondo anno e del 50 per cento per il terzo e quarto
anno, nonché per l'anno successivo finalizzato al conseguimento del
certificato di specializzazione tecnica, in ogni caso nell’ambito delle
risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili nel rispetto di quanto
stabilito dalla legislazione vigente. |
2-bis.
Successivamente al conseguimento della qualifica o diploma professionale ai
sensi del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, allo scopo di
conseguire la qualifica professionale ai fini contrattuali, è possibile la
trasformazione del contratto in apprendistato professionalizzante o contratto
di mestiere; in tal caso la durata massima complessiva dei due periodi di
apprendistato non può eccedere quella individuata dalla contrattazione
collettiva di cui al presente decreto legislativo. |
9.
Successivamente al conseguimento della qualifica o diploma professionale ai
sensi del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, allo scopo di
conseguire la qualificazione
professionale ai finì contrattuali, è possibile la trasformazione del
contratto in apprendistato professionalizzante. In tal caso, la durata
massima complessiva dei due periodi di apprendistato non può eccedere quella
individuata dalla contrattazione collettiva di cui all'articolo 40, comma 5. |
|
|
Articolo 4 |
Articolo 42 Apprendistato professionalizzante) |
(Apprendistato
professionalizzante o contratto di
mestiere) |
|
1. Possono
essere assunti in tutti i settori di attività, pubblici o privati, con
contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere per il
conseguimento di una qualifica professionale a fini contrattuali i soggetti
di età compresa tra i diciotto anni e i ventinove anni. Per i soggetti in
possesso di una qualifica professionale, conseguita ai sensi del decreto
legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, il contratto di apprendistato
professionalizzante o di mestiere può essere stipulato a partire dal
diciassettesimo anno di età. |
1. Possono
essere assunti in tutti i settori di attività, pubblici o privati, con
contratto di apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una
qualificazione professionale ai fini contrattuali i soggetti di età compresa
tra i 18 e i 29 anni. Per i soggetti in possesso di una qualifica
professionale, conseguita ai sensi del decreto legislativo n. 226 del 2005,
il contratto di apprendistato professionalizzante può essere stipulato a
partire dal diciassettesimo anno di età. La
qualificazione professionale al cui conseguimento è finalizzato il contratto
è determinata dalle parti del contratto sulla base dei profili o
qualificazioni professionali previsti per il settore di riferimento dai
sistemi di inquadramento del personale di cui ai contratti collettivi
stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale. |
2. Gli accordi
interconfederali e i contratti collettivi stabiliscono, in ragione dell'età
dell'apprendista e del tipo di qualificazione contrattuale da conseguire, la
durata e le modalità di erogazione della formazione per l'acquisizione delle
competenze tecnico-professionali e specialistiche in funzione dei profili professionali stabiliti nei sistemi di
classificazione e inquadramento del personale, nonché la durata, anche minima, del contratto che, per
la sua componente formativa, non può comunque essere superiore a tre anni
ovvero cinque per i profili professionali caratterizzanti la figura
dell'artigiano individuati dalla contrattazione collettiva di riferimento. |
2. Gli accordi
interconfederali e i contratti collettivi stabiliscono, in ragione del tipo
di qualificazione professionale ai fini contrattuali da conseguire, la durata
e le modalità di erogazione della formazione per l'acquisizione delle relative competenze
tecnico-professionali e specialistiche, nonché la durata anche minima del periodo di apprendistato, che non
può comunque essere superiore a tre anni,
ovvero cinque per i profili professionali caratterizzanti la figura
dell'artigiano individuati dalla contrattazione collettiva di riferimento. |
3. La
formazione di tipo professionalizzante e di mestiere, svolta sotto la
responsabilità della azienda, è integrata, nei limiti delle risorse
annualmente disponibili, dalla offerta formativa pubblica, interna o esterna
alla azienda, finalizzata alla acquisizione di competenze di base e
trasversali per un monte complessivo non superiore a centoventi ore per la
durata del triennio e disciplinata dalle Regioni sentite le parti sociali e
tenuto conto dell'età, del titolo
di studio e delle competenze dell'apprendista. La Regione provvede a
comunicare al datore di lavoro, entro quarantacinque giorni dalla
comunicazione dell'instaurazione del rapporto, le modalità di svolgimento
dell'offerta formativa pubblica, anche con riferimento alle sedi e al calendario
delle attività previste, avvalendosi anche dei datori di lavoro e delle loro
associazioni che si siano dichiarati disponibili, ai sensi delle linee guida
adottate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le province autonome di Trento e di Bolzano in data 20 febbraio 2014. La
comunicazione dell'instaurazione del rapporto di lavoro si intende effettuata
dal datore di lavoro ai sensi dell'articolo 9-bis del decreto-legge 1°
ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre
1996, n. 608, e successive modificazioni. |
3. La
formazione di tipo professionalizzante, svolta sotto la responsabilità del datore di lavoro, è integrata,
nei limiti delle risorse annualmente disponibili, dalla offerta formativa
pubblica, interna o esterna alla azienda, finalizzata alla acquisizione di
competenze di base e trasversali per un monte complessivo non superiore a
centoventi ore per la durata del triennio e disciplinata dalle regioni
sentite le parti sociali e tenuto conto del titolo di studio e delle
competenze dell'apprendista. La regione comunica
al datore di lavoro, entro quarantacinque giorni dalla comunicazione
dell'instaurazione del rapporto, effettuata
ai sensi dell'articolo 9-bis del decreto-legge 1 ottobre 1996, n. 510,
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, le
modalità di svolgimento dell'offerta formativa pubblica, anche con
riferimento alle sedi e al calendario delle attività previste, avvalendosi
anche dei datori di lavoro e delle loro associazioni che si siano dichiarate
disponibili, ai sensi delle linee guida adottate dalla Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano in data 20 febbraio 2014. |
4. Le Regioni e le associazioni di categoria dei
datori di lavoro possono definire, anche nell'ambito della bilateralità, le
modalità per il riconoscimento della qualifica di maestro artigiano o di
mestiere. |
4. Identico. |
5. Per i
datori di lavoro che svolgono la propria attività in cicli stagionali i
contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale da associazioni
dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul
piano nazionale possono prevedere specifiche modalità di svolgimento del contratto
di apprendistato, anche a tempo determinato. |
5. 5. Per i
datori di lavoro che svolgono la propria attività in cicli stagionali i
contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale da associazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale possono prevedere specifiche modalità di
svolgimento del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato |
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Articolo 5 (Apprendistato di alta
formazione e ricerca) |
Articolo 43 (Apprendistato di alta formazione e ricerca) |
1. Possono essere assunti in tutti i settori
di attività, pubblici o privati, con contratto di apprendistato per attività di
ricerca, per il conseguimento di un diploma di istruzione secondaria
superiore, di titoli di studio universitari e della alta formazione, compresi
i dottorati di ricerca, per la specializzazione tecnica superiore di cui
all'articolo 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144, con particolare
riferimento ai diplomi relativi ai percorsi di specializzazione tecnologica
degli istituti tecnici superiori di cui all'articolo 7 del decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 25 gennaio 2008, nonché per il
praticantato per l'accesso alle professioni ordinistiche o per esperienze
professionali i soggetti di età compresa tra i diciotto anni e i ventinove
anni. Per soggetti in possesso di una qualifica professionale conseguita
ai sensi del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, il contratto di
apprendistato di alta formazione può essere stipulato a partire dal
diciassettesimo anno di età. |
1. Possono essere assunti in tutti i settori di attività, pubblici o
privati, con contratto di apprendistato per attività di ricerca, per il
conseguimento di titoli di studio
universitari e della alta formazione, compresi i dottorati di ricerca, i diplomi relativi ai percorsi degli istituti tecnici superiori di cui
all'articolo 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25
gennaio 2008, nonché per il praticantato per l'accesso alle professioni
ordinistiche i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni in possesso di diploma di istruzione
secondaria superiore o di un diploma professionale conseguito nei percorsi di
istruzione e formazione professionale integrato da un certificato di
istruzione e formazione Tecnica Superiore. |
2. La regolamentazione e la durata del
periodo di apprendistato per attività di ricerca, per l'acquisizione di un
diploma o per percorsi di alta formazione è rimessa alle Regioni, per i
soli profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni
territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente
più rappresentative sul piano nazionale, le università, gli istituti tecnici e
professionali e altre istituzioni formative o di ricerca comprese quelle
in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale o
regionale e aventi come oggetto la promozione delle attività imprenditoriali,
del lavoro, della formazione, della innovazione e del trasferimento
tecnologico. |
4. La regolamentazione e la durata del periodo di apprendistato per
attività di ricerca o per percorsi di alta formazione è rimessa alle regioni e alle province autonome, per i soli
profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni
territoriali dei datori di lavoro e dei lavoratori
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le università, gli
istituti tecnici superiori e le
altre istituzioni formative o di ricerca comprese quelle in possesso di
riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale o regionale e aventi come
oggetto la promozione delle attività imprenditoriali, del lavoro, della
formazione, della innovazione e del trasferimento tecnologico. |
3. In assenza di regolamentazioni regionali
l'attivazione dell'apprendistato di alta formazione o ricerca è rimessa ad
apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro
associazioni con le Università, gli istituti tecnici e professionali e
le istituzioni formative o di ricerca di cui al comma che precede, senza
nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. |
5. In assenza delle regolamentazioni regionali di cui al comma 4, l'attivazione dell'apprendistato di alta
formazione o ricerca è rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai singoli
datori di lavoro o dalle loro associazioni con le università, gli istituti
tecnici superiori e le altre
istituzioni formative o di ricerca di cui al comma 4, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. |
|
2. Il datore di lavoro che intende stipulare un contratto di cui al
comma 1 sottoscrive un protocollo con l'istituzione formativa a cui lo
studente è iscritto, o con l'ente di ricerca di cui al comma 4, secondo uno
schema definito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali
di concerto con il Ministro dell'istruzione dell'Università e della ricerca,
sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e Bolzano, che stabilisce l'entità e le modalità,
anche temporali, della formazione a carico del datore di lavoro. Il suddetto
protocollo stabilisce altresì il numero dei crediti formativi riconoscibili a
ciascuno studente per la formazione a carico del datore di lavoro entro il
massimo di sessanta, anche in deroga al limite di cui all'articolo 2, comma
147, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni,
dalla legge 24 novembre 2006, n. 286. La formazione esterna all'azienda è
svolta nell'istituzione formativa cui è iscritto lo studente e nei percorsi di Istruzione Tecnica
Superiore non può, di norma, essere superiore al 60 per cento dell'orario
ordinamentale. |
|
3. Salvo diversa
previsione dei contratti collettivi, per le ore di formazione svolte nella
istituzione formativa il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo
retributivo. Per le ore di formazione a carico del datore di lavoro è
riconosciuta al lavoratore una retribuzione pari al 10 per cento di quella
che gli sarebbe dovuta. |
|
|
Articolo 6 (Standard professionali, standard formativi e certificazione delle competenze) |
Articolo 44 (Standard professionali e formativi e certificazione delle competenze) |
1. Entro dodici mesi dalla entrata in vigore del presente decreto,
il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e previa intesa
con le Regioni e le province autonome definisce, nel rispetto delle
competenze delle Regioni e province autonome e di quanto stabilito
nell'intesa tra Governo, Regioni e parti sociali del 17 febbraio 2010, gli
standard formativi per la verifica dei percorsi formativi in apprendistato
per la qualifica e il diploma professionale e in apprendistato di alta
formazione. |
1. Con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, di concerto con il Ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ai sensi dell'articolo 3 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono definiti gli standard formativi dell'apprendistato stabilendo, per
l’apprendistato di cui all'articolo 41, il numero di ore da effettuare in
azienda. Tali standard costituiscono livelli essenziali delle prestazioni ai
sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo n. 226 del 2005. |
2. Ai fini della verifica dei
percorsi formativi in apprendistato professionalizzante e in apprendistato di
ricerca gli standard professionali di riferimento sono quelli definiti nei
contratti collettivi nazionali di categoria o, in mancanza, attraverso intese
specifiche da sottoscrivere a livello nazionale o interconfederale anche in
corso della vigenza contrattuale. La registrazione nel libretto formativo
del cittadino della formazione effettuata e della qualifica professionale a
fini contrattuali eventualmente acquisita è di competenza del datore di
lavoro. |
2. La registrazione nel
libretto formativo del cittadino della formazione effettuata per il conseguimento della qualifica
professionale ai fini contrattuali
è di competenza del datore di lavoro nel
contratto di apprendistato professionalizzante, dell'istituzione formativa di
appartenenza dello studente per l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma
di istruzione secondaria superiore e la specializzazione professionale e dell'istituzione formativa
di appartenenza o dell'ente di ricerca per l'apprendistato di alta formazione
e ricerca, ai sensi del decreto legislativo n. 13 del 2013. |
3. Allo scopo di armonizzare le diverse qualifiche professionali
acquisite secondo le diverse tipologie di apprendistato e consentire una
correlazione tra standard formativi e standard professionali è istituito,
senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, presso il
Ministero del lavoro e delle politiche sociali il repertorio delle
professioni predisposto sulla base dei sistemi di classificazione del
personale previsti nei contratti collettivi di lavoro e in coerenza con
quanto previsto nelle premesse dalla intesa tra Governo, Regioni e parti
sociali del 17 febbraio 2010, da un apposito organismo tecnico di cui fanno
parte il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, le
associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale e i rappresentanti della Conferenza
Stato-regioni. |
3. Allo scopo di
armonizzare le diverse qualifiche e
qualificazioni professionali acquisite in apprendistato e consentire una correlazione tra standard
formativi e standard professionali è istituito, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica,
presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il repertorio delle
professioni predisposto sulla base dei sistemi di classificazione del
personale previsti nei contratti collettivi di lavoro e in coerenza con
quanto previsto nelle premesse dalla intesa tra Governo, regioni e parti
sociali del 17 febbraio 2010, da un apposito organismo tecnico di cui fanno
parte il Ministero dell'istruzione, della università e della ricerca, le
associazioni dei datori e lavoratori
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i rappresentanti
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e Bolzano. |
4. Le competenze acquisite dall'apprendista potranno essere certificate secondo
le modalità definite dalle Regioni e Provincie Autonome di Trento e Bolzano
sulla base del repertorio delle professioni di cui al comma 3 e registrate
sul libretto formativo del cittadino sulla base del repertorio delle
professioni di cui al comma 3 e nel rispetto delle intese raggiunte tra
Governo, Regioni e parti sociali nell'accordo del 17 febbraio 2010. Nelle
more della definizione del repertorio delle professioni di cui al comma 3, si
fa riferimento ai sistemi di standard regionali esistenti. |
4. Le competenze acquisite dall'apprendista sono certificate dalla
istituzione formativa di provenienza dello studente secondo le disposizioni
di cui al decreto legislativo n. 13 del 2013 e, in particolare, nel rispetto
dei livelli essenziali delle prestazioni ivi disciplinati. |
|
|
Articolo 7 (Disposizioni finali) |
Articolo 45 (Disposizioni finali) |
1. In caso di
inadempimento nella erogazione della formazione di cui sia esclusivamente
responsabile il datore di lavoro e che sia tale da impedire la realizzazione
delle finalità di cui agli articoli 3, 4 e 5, il datore di lavoro è tenuto a
versare la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con
riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe
stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato,
maggiorata del 100 per cento, con esclusione di qualsiasi altra sanzione per
omessa contribuzione. Qualora a seguito di attività di vigilanza sul
contratto di apprendistato in corso di esecuzione emerga un inadempimento
nella erogazione della formazione prevista nel piano formativo individuale,
il personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
adotterà un provvedimento di disposizione, ai sensi dell'articolo 14 del decreto
legislativo 23 aprile 2004, n. 124, assegnando un congruo termine al datore
di lavoro per adempiere. |
1. In caso di inadempimento nella erogazione della
formazione a carico del datore di
lavoro, di cui egli sia
esclusivamente responsabile, e che sia tale da impedire la realizzazione
delle finalità di cui agli articoli 41,
42 e 43, il datore di lavoro è tenuto a versare la differenza tra la
contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di
inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal
lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100 per
cento, con esclusione di qualsiasi sanzione per omessa contribuzione. Nel caso in cui rilevi un
inadempimento nella erogazione della formazione prevista nel piano formativo
individuale, il personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali adotta un
provvedimento di disposizione, ai sensi dell'articolo 14 del decreto
legislativo n. 124 del 2004, assegnando un congruo termine al datore di lavoro
per adempiere. |
2. Per ogni violazione delle disposizioni contrattuali collettive
attuative dei principi di cui all'articolo 2, comma 1, lettere a), b), c) e
d), il datore di lavoro è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da
100 a 600 euro. In caso di recidiva la sanzione amministrativa pecuniaria
varia da 300 a 1500 euro. Alla contestazione delle sanzioni amministrative di
cui al presente comma provvedono gli organi di vigilanza che effettuano
accertamenti in materia di lavoro e previdenza nei modi e nelle forme di cui
all'articolo 13 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, come
sostituito dall'articolo 33 della legge 4 novembre 2010, n. 183. Autorità
competente a ricevere il rapporto ai sensi dell'articolo 17 della legge 24
novembre 1981, n. 689 è la Direzione del lavoro territorialmente competente. |
2. Per la violazione della disposizione di cui all'articolo 40, comma 1, nonché per la
violazione delle previsioni contrattuali collettive attuative dei
principi di cui all'articolo 40, comma
5, lettere a), b) e c), il datore di lavoro è punito con la sanzione
amministrativa pecuniaria da 100 a 600 euro. In caso di recidiva la sanzione
amministrativa pecuniaria è aumentata da 300 a 1500 euro. Alla contestazione
delle sanzioni amministrative di cui al presente comma provvedono gli organi
di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro e legislazione sociale nei modi e nelle
forme di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 124 del 2004. L'autorità competente a ricevere il
rapporto ai sensi dell'articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689 è la
Direzione territoriale del lavoro
competente. |
3. Fatte salve specifiche previsioni di legge o di contratto
collettivo, i lavoratori assunti con contratto di apprendistato sono esclusi
dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per
l'applicazione di particolari normative e istituti. |
3. Identico. |
4. Ai fini della loro
qualificazione o riqualificazione professionale è possibile assumere in
apprendistato i lavoratori in mobilità. Per essi trovano applicazione, in
deroga alle previsioni di cui all'articolo 2, comma 1, lettera m), le
disposizioni in materia di licenziamenti individuali di cui alla legge 15
luglio 1966, n. 604, nonché il regime contributivo agevolato di cui
all'articolo 25, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223 e l'incentivo di
cui all'articolo 8, comma 4, della medesima legge. |
4. Ai fini della loro
qualificazione o riqualificazione professionale è possibile assumere in
apprendistato professionalizzante,
senza limiti di età, i lavoratori beneficiari
di indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione. Per essi
trovano applicazione, in deroga alle previsioni di cui all'articolo 40, comma 4, le disposizioni in
materia di licenziamenti individuali di cui alla legge n. 604 del 1966,
nonché il regime contributivo agevolato di cui all'articolo 25, comma 9,
della legge n. 223 del 1991 e l'incentivo di cui all'articolo 8, comma 4,
della medesima legge |
5. Ai fini del presente
decreto legislativo per enti bilaterali si intendono esclusivamente quelli
definiti all'articolo 2, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 10
settembre 2003, n. 276. |
Soppresso |
6. Ferma restando la
disciplina di regolazione dei contratti di apprendistato già in essere, con
l'entrata in vigore del presente decreto sono abrogati la legge 19 gennaio
1955, n. 25, gli articoli 21 e 22 della legge 28 febbraio 1987, n. 56,
l'articolo 16 della legge 24 giugno 1997, n. 196 e gli articoli da 47 a 53
del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. |
Soppresso |
7. Per le Regioni e i settori ove la disciplina di cui al presente
decreto non sia immediatamente operativa, trovano applicazione, in via transitoria e non oltre sei mesi
dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le regolazioni
vigenti. In assenza della offerta formativa pubblica di cui all'articolo 4,
comma 3, trovano immediata applicazione le regolazioni contrattuali vigenti. |
5. Per le regioni e i settori ove la disciplina di cui al presente Capo non sia immediatamente
operativa, trovano applicazione le regolazioni vigenti. In assenza della
offerta formativa pubblica di cui all'articolo 42, comma 3, trovano immediata applicazione le regolazioni
contrattuali vigenti |
8. La disciplina del reclutamento e dell'accesso, nonché
l'applicazione del contratto di apprendistato per i settori di attività
pubblici, di cui agli articoli 4 e 5 del
presente decreto, è definita con decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e
l'innovazione e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto
con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le parti sociali e la
Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del
1997, entro dodici mesi dalla data di
entrata in vigore del presente decreto. |
6. La disciplina del reclutamento e dell'accesso, nonché l'applicazione
del contratto di apprendistato per i settori di attività pubblici, di cui
agli articoli 42 e 43, sono definite con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica
amministrazione e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le parti
sociali e la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto
legislativo n. 281 del 1997 |
9. In attesa della riforma degli incentivi alla occupazione, restano
fermi gli attuali sistemi di incentivazione economica dell'apprendistato.
I benefici contributivi in materia di previdenza e assistenza sociale sono
mantenuti per un anno dalla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine
del periodo di formazione, con esclusione dei lavoratori assunti ai sensi del
comma 4 del presente articolo. |
7. I benefici contributivi
in materia di previdenza e assistenza sociale sono mantenuti per un anno
dalla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato con esclusione dei
lavoratori assunti ai sensi del comma 4 del presente articolo |
10. I datori di lavoro che hanno sedi in più Regioni possono fare
riferimento al percorso formativo della Regione dove è ubicata la sede legale
e possono altresì accentrare le comunicazioni di cui all'articolo 1, commi
1180 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 nel servizio
informatico dove è ubicata la sede legale. |
8. I datori di lavoro che
hanno sedi in più Regioni possono fare riferimento al percorso formativo
della Regione dove è ubicata la sede legale e possono altresì accentrare le
comunicazioni di cui all'articolo 9-bis
del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni,
dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, nel servizio informatico dove è
ubicata la sede legale. |
11. Restano in ogni caso ferme le competenze delle Regioni a Statuto
speciale e delle Province Autonome di Trento e di Bolzano ai sensi dello
statuto speciale e delle relative norme di attuazione. |
9. identico |
|
10. Con successivo
decreto, ai sensi dell’art. 1, comma 4, lettera a), della legge 10 dicembre
2014, n. 183, sono definiti gli incentivi per i datori di lavoro che assumono
con l’apprendistato per la
qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria
superiore e la specializzazione professionale e con l’apprendistato di
alta formazione e ricerca |
|
|
Il Capo
VI (articolo 46) prevede l’abrogazione delle normative vigenti
sostituite dalle nuove disposizioni introdotte dal Titolo I del provvedimento.
Le disposizioni abrogate riguardano i seguenti settori:
Contratto a tempo parziale (lettera a))
Decreto legislativo n.61/2000, che reca la disciplina generale del lavoro a tempo parziale.
Lavoro intermittente (lettera b))
Articoli da 33 a 40 del D.Lgs. 276/2003, che disciplinano il lavoro intermittente.
Contratto a tempo determinato (lettere c), d), e), f),
h) ed i))
· Decreto legislativo n.368/2001, che contiene la disciplina generale della materia (con esclusione del solo articolo 2, che reca una disciplina speciale del contratto a tempo determinato nelle aziende di trasporto aereo o esercenti servizi aeroportuali, la cui abrogazione è prevista a partire dai 18 mesi successivi all’entrata in vigore del provvedimento in esame, secondo quanto stabilito all’articolo 46, comma 2);
· articolo 3-bis del D.L. 108/2002, che reca una norma di interpretazione autentica dell’articolo 3, comma 1, lett. c), del decreto legislativo n.368/2001 (ove si prevede il divieto di apposizione del termine al contratto presso unità produttive in cui vi sia una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario con diritto al trattamento di integrazione salariale);
· articolo 32, comma 3, lett. a), della legge n.183/2010, per la parte che prevede che i termini per l’impugnazione del licenziamento si applicano anche ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni attinenti alla legittimità del termine apposto al contratto[56];
· articolo 32, commi 5 e 6, della legge n.183/2010, che disciplinano il risarcimento del lavoratore nel caso in cui, a seguito della violazione delle norme relative al contratto di lavoro a tempo determinato, sia prevista la sua trasformazione in contratto a tempo indeterminato. Abrogata anche la relativa interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, c. 13, della L. 92/2012;
· articolo 28, commi da 1 a 6 e 9, del D.L. 179/2012, che recano una specifica disciplina per le assunzioni effettuate da parte delle società start-up innovative con contratti a tempo determinato, anche in somministrazione.
Per gli effetti
delle sopraindicate abrogazioni sulla nuova disciplina del contratto a termine
si rinvia alle schede relative al contratto a tempo determinato (articoli
17-27) nel presente dossier.
Somministrazione di lavoro (lettera g))
Articoli da 20 a 28 (che recano la disciplina generale della somministrazione di lavoro) e articolo 18, commi 3 e 3-bis, del decreto legislativo n.276/2003 (questi ultimi commi prevedono sanzioni in caso di violazione di norme in materia di somministrazione di lavoro).
Apprendistato (lettera l))
Decreto legislativo n.167/2001, recante il Testo unico dell’apprendistato.
Lavoro ripartito (lettera m))
Titolo V, Capo II, del decreto legislativo n.276/2003, che reca la disciplina generale del lavoro ripartito.
Una norma di chiusura prevede, infine, l’abrogazione delle disposizioni di legge comunque incompatibili con la disciplina introdotta dal provvedimento (lettera n)).
Si evidenzia l’opportunità di prevedere espressamente che restano
comunque salve le modificazioni che le disposizioni oggetto di abrogazione
hanno apportato ad altre disposizioni vigenti.
Il Titolo
II, composto dagli articoli da 47 a
50, detta norme in materia di collaborazioni
e associazione in partecipazione.
L’articolo
47 prevede che ai rapporti di
collaborazione che si concretino in una prestazione di lavoro
esclusivamente personale, continuativa[57], di
contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente[58], anche
con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, a decorrere dal 1° gennaio 2016 si applichi la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
Si evidenzia l’opportunità di
coordinare la decorrenza del 1° gennaio 2016 con la sostanziale abrogazione
della normativa sul lavoro a progetto, prevista a decorrere dalla data di
entrata in vigore del provvedimento (dall’articolo 49, comma 1).
Tale previsione non si applica alle seguenti
fattispecie (articolo 47, comma 2):
·
collaborazioni per le quali la
contrattazione collettiva prevede discipline specifiche
relative al trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative
del relativo settore[59] (lettera a));
·
le
collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni
intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi
professionali[60] (lettera b));
·
le
attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle
società e dai partecipanti a collegi e commissioni (lettera c));
·
le
prestazioni di lavoro rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive
dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle
discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal
C.O.N.I. come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 289/2002[61] (lettera d)).
Si fa presente che per effetto
delle modifiche previste dallo schema di decreto legislativo verrebbe meno la
deroga attualmente prevista per i pensionati di vecchiaia. La normativa
vigente, infatti, all’articolo 61 del decreto legislativo n.276/2003, esclude
dal campo di applicazione della disciplina del lavoro a progetto, consentendo
quindi di regolare i relativi rapporti di collaborazione su base individuale e
senza alcun vincolo legislativo (oltre alle prestazioni sopra indicate:
professioni intellettuali regolate da albi; federazioni e associazioni
sportive; componenti di organi di società, anche) “coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia”.
Verrebbe altresì meno la
deroga che attualmente esclude la
necessità di un progetto per le prestazioni occasionali, definite come rapporti
di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare
ovvero, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, non
superiore a 240 ore, con lo stesso committente, salvo che il compenso
complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5 mila
euro.
Per tali fattispecie occorre verificare
quale sia la disciplina applicabile a decorrere dal 1° gennaio 2016, con
particolare riferimento ai casi nei quali non sussistano i requisiti di cui
all’articolo 47, comma 1.
Infine, si prevede che la disposizione non trovi applicazione nei confronti delle
pubbliche amministrazioni fino al completo riordino della
disciplina dell’utilizzo dei contratti di lavoro flessibile da parte delle
stesse[62]. Dal 1° gennaio 2017, in ogni caso, è
vietato alle pubbliche amministrazioni stipulare i richiamati contratti di
collaborazione coordinata e continuativa (comma
3).
Le collaborazioni coordinate e continuative
(co.co.co): quadro normativo
L’attività di collaborazione coordinata e continuativa
si riferisce a prestazioni d’opera prevalentemente personali, svolte senza
vincolo di subordinazione in un rapporto unitario e continuativo, senza impiego
di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita.
Le collaborazioni coordinate e continuative, infatti,
non rientrano nelle tradizionali tipologie del lavoro subordinato e di quello
autonomo. Tali rapporti, pur non svolgendosi alle dipendenze e sotto la
direzione del datore di lavoro (secondo la definizione del prestatore di lavoro
subordinato di cui all’articolo 2094 c.c. ), hanno caratteristiche di
continuità e di coordinamento rispetto alla complessiva attività del
committente cui i lavoratori prestano la propria collaborazione. Allo stesso
tempo, sono accomunati al lavoro autonomo da caratteristiche specifiche, quali
la mancanza sia di un legame diretto tra retribuzione e disponibilità temporale
del lavoratore, sia della tendenziale esclusività del rapporto.
Precedentemente alla riforma disposta dal D.Lgs.
276/2003[63], infatti, anche
se una prima traccia sulle collaborazioni coordinate e continuative può
trovarsi nell’articolo 2 della L. 741/1959 , e successivamente, nel nuovo testo
dell’articolo 409 c.p.c. (introdotto dall’articolo 1 della L. 733/1973), le
collaborazioni coordinate e continuative erano regolamentate solamente in
relazione agli aspetti fiscali e previdenziali. Nessuna specifica disciplina
era invece prevista sul piano del diritto del lavoro .
L’articolo 409
c.p.c. annovera, fra le controversie individuali di lavoro, anche quelle
che originano da "rapporti di
collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e
coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere
subordinato". In tale categoria trovano collocazione anche (ma non solo)
le collaborazioni coordinate e continuative che sono, invece, elencate nella
lettera c-bis) del primo comma dell'art. 50 del D.P.R. 917/1986[64].
Da tale definizione si possono distinguere
sostanzialmente i rapporti di collaborazione in due grandi categorie:
-
rapporti di
collaborazione tipici, nei quali vanno ricompresi gli uffici di amministratore,
sindaco o revisore di società, associazione e altri enti, la collaborazione a
giornali, riviste, enciclopedie e simili e la partecipazione a collegi e
commissioni;
-
rapporti di
collaborazione "non tipizzati", individuati sulla base di criteri di
carattere oggettivo quali la continuità nel tempo della prestazione lavorativa
e la coordinazione, che si realizza attraverso l'inserimento funzionale del
parasubordinato nell'organizzazione economica del committente. Tali attività
devono, inoltre, essere svolte senza vincolo di subordinazione, senza impiego
di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita.
In origine i cosiddetti “rapporti atipici” erano
disciplinati fiscalmente dall’attuale articolo 53, comma 2, lettera a), del
TUIR, come redditi da lavoro autonomo.
In seguito alla modifica effettuata dalla L. 342/2000,
a decorrere dal 1° gennaio 2001 il testo relativo ai lavoratori che svolgono la
propria attività con un rapporto di collaborazione è stato inserito
nell’attuale articolo 50, comma 1, lettera c-bis), del TUIR; come conseguenza
sono considerati redditi assimilati a
quelli di lavoro dipendente, tra gli altri, i redditi percepiti “in
relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione
di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato
soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di
mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita, sempreché gli
uffici o le collaborazioni non rientrino nei compiti istituzionali compresi
nell'attività di lavoro dipendente di cui all'articolo 49, comma 1, concernente
redditi di lavoro dipendente, o nell'oggetto dell'arte o professione di cui
all'articolo 53, comma 1, concernente redditi di lavoro autonomo, esercitate
dal contribuente”.
Gli elementi
costitutivi di un rapporto di lavoro parasubordinato sono stati rinvenuti
dalla Corte di Cassazione nella continuità, nella coordinazione e nel carattere
prevalentemente personale della prestazione di lavoro; non costituisce, invece,
elemento essenziale lo stato di debolezza contrattuale del lavoratore.
Di fatto, per ritenere esistente un rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa, occorre verificare la sussistenza di
tre requisiti :
-
la continuità,
che ricorre quando la prestazione non sia occasionale, ma perduri nel tempo con
un legame funzionale fra collaborato e collaboratore;
-
la coordinazione,
intesa come inserimento del collaboratore nell'organizzazione del committente
e, in senso lato, nelle finalità perseguite dal committente;
-
la prevalenza del
lavoro del collaboratore, rispetto ai mezzi da lui forniti.
L'esistenza dei requisiti per il riconoscimento della
parasubordinazione comporta l'applicazione, ai rapporti interessati, della
disciplina processuale propria del rito del lavoro, ivi compreso il diritto
alla rivalutazione monetaria per i crediti di lavoro e il diritto agli
interessi di mora.
Per quanto riguarda i requisiti fiscali della collaborazione coordinata e continuativa,
si ricorda che tali rapporti devono essere caratterizzati dallo svolgimento di
una attività:
-
non rientrante
nell'oggetto dell'arte o della professione esercitata abitualmente dal
contribuente ai sensi dell'art. 53, comma 1, TUIR ;
-
svolta senza
vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto;
-
esercitata nel
quadro di un rapporto unitario e continuativo;
-
senza impiego di
mezzi;
-
con retribuzione
periodica prestabilita.
Riguardo la disciplina
previdenziale, con la L. 335/1995, è stato creato presso l’I.N.P.S. uno
schema di previdenza obbligatoria allo scopo di offrire una copertura
previdenziale pubblica ai lavoratori “parasubordinati”, così come definiti
genericamente dall’I.N.P.S.. In particolare, dal 1° gennaio 1996 l’articolo 2,
commi da 26 a 32, della L. 335/1995 ha introdotto l’obbligo di iscrizione in
una apposita Gestione separata gestita dall’INPS , finalizzata all'estensione
dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i
superstiti, a favore, tra gli altri, dei soggetti che esercitano per
professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di
cui al richiamato comma 1 dell'articolo 53 del TUIR, nonché dei titolari di
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2,
lettera a), del medesimo articolo. La generalità dei lavoratori interessati
dall’obbligo di iscrizione alla Gestione separata risulta però distinta in due
principali categorie: da un lato i lavoratori non iscritti ad alcuna altra
forma di previdenza obbligatoria, e, dall’altro, i lavoratori già iscritti a
un’altra forma di previdenza obbligatoria, o che siano già titolari di una
pensione. Le due categorie di lavoratori sono oggi facilmente riconoscibili in
funzione delle diverse aliquote con cui è previsto il versamento dei contributi
previdenziali alla gestione.
L'aliquota di contribuzione alla Gestione separata,
inizialmente fissata dall’articolo 2, comma 29, della L. 335/1995, nella misura
del 10%, è stata poi differenziata a seconda che si tratti di soggetti privi di
altra tutela previdenziale obbligatoria o di soggetti già pensionati o già
iscritti ad altra gestione previdenziale obbligatoria. Per il 2015 le aliquote
sono pari al 30% (per i soggetti non assicurati presso altre forme
pensionistiche obbligatorie, tranne che per i titolari di partita IVA, per i
quali l’aliquota, ai sensi dell’articolo 10-bis del D.L. 192/2013, e ari al
27%) e al 23% (per i soggetti titolari di pensione (diretta e indiretta) o
assicurati presso altre forme previdenziali obbligatorie).
Il lavoro a progetto (co.co.pro): quadro normativo
Gli articoli
61-69 del D.Lgs. 276/2003 hanno introdotto una specifica disciplina delle
collaborazioni coordinate e continuative, il lavoro a progetto, applicabile al
solo settore lavorativo privato, finalizzata a superare gli abusi che hanno
condotto all’uso talvolta improprio di tale strumento contrattuale, per eludere
la disciplina del rapporto di lavoro subordinato[65].
Con la nuova fattispecie del lavoro a progetto è stato
previsto l’obbligo (articolo 61 del D.Lgs. 276/2003) di ricondurre i rapporti
di collaborazione coordinata e continuativa ad uno o più progetti specifici o
programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti
autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del
coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal
tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa.
Sono escluse dal campo di applicazione della
disciplina del lavoro a progetto:
· le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria
l'iscrizione in appositi albi professionali (esistenti alla data di entrata in
vigore del presente decreto legislativo);
· i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa
comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e
società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali,
alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva
riconosciute dal C.O.N.I., come individuate e disciplinate dall’articolo 90
della legge n.289/2002;
· i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e i
partecipanti a collegi e commissioni;
· coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia.
L’articolo
1, commi 23-25, della L. 92/2012 (di riforma del mercato del lavoro)
ha apportato importanti modifiche alla disciplina del lavoro a progetto.
In particolare, il nuovo testo dell’articolo 61 (ferma
restando la disciplina degli agenti e rappresentanti di commercio, nonché le
attività di vendita diretta di beni e servizi[66] realizzate
attraverso call center
"outbound", per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a
progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla
contrattazione collettiva nazionale di riferimento, i rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza
vincolo di subordinazione, di cui all'articolo 409, n. 3, c.p.c.) consente che
il contratto di lavoro a progetto sia riconducibile unicamente a progetti
specifici (e non più anche a “programmi di lavoro o a fasi di questi ultimi”,
come previsto dalla normativa previgente), escludendo che il progetto possa
consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente o
nello svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi (questi ultimi
possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle
organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale)[67].
Inoltre, si prevede la prosecuzione automatica del
progetto nel caso in cui questo riguardi l’attività di ricerca scientifica, a
condizione che la stessa venga ampliata per temi connessi e/o prorogata nel
tempo.
I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa
instaurati senza l'individuazione di uno
specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, sono considerati
rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione
del rapporto[68].
Tra gli elementi essenziali da indicare in forma scritta (sempre richiesta e non
più soltanto ai fini della prova) deve esserci anche il risultato finale che si
intende conseguire attraverso il contratto di lavoro a progetto.
Il corrispettivo,
secondo quanto disposto dall’articolo 63 del D.Lgs. 276/2003 (come modificato
dalla L. 92/2012) non può essere inferiore ai minimi stabiliti per ciascun
settore di attività (eventualmente articolati per i relativi profili
professionali tipici e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati
nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori
subordinati), dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni
sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria
(ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati). In assenza di contrattazione
collettiva specifica, il compenso non può essere inferiore, a parità di
estensione temporale dell'attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni
minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel
settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e
di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto (la
formulazione previgente si limitava a richiedere che il compenso corrisposto ai
collaboratori a progetto dovesse essere proporzionato alla quantità e qualità
del lavoro eseguito, e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti
per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del
rapporto).
Ai sensi del successivo articolo 67 (anch’esso
modificato dalla L. 92/2012), il lavoro a progetto si risolve al momento della
realizzazione del progetto che ne costituisce l'oggetto. Le parti possono
recedere prima della scadenza del termine per giusta causa, ed il committente
può altresì recedere prima della scadenza del termine qualora siano emersi
oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere
impossibile la realizzazione del progetto. Il collaboratore può recedere prima
della scadenza del termine, dandone preavviso, nel caso in cui tale facoltà sia
prevista nel contratto individuale di lavoro.
L’articolo 69 del D.Lgs. 276/2003 disciplina la trasformazione del contratto a progetto, prevedendo che nel caso in cui i rapporti
di lavoro siano instaurati senza individuare uno specifico progetto, programma
di lavoro o fase di esso, siano considerati rapporti di lavoro subordinato a
tempo indeterminato fin dalla data di costituzione del rapporto (comma 1). Al
riguardo, l’articolo 1, comma 24, della L. 92/2012, dettando una norma di
interpretazione autentica (con effetto, quindi, retroattivo) dell’articolo 69,
comma 1, ha chiarito che tale disposizione si interpreta nel senso che
l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di
validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui
mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato.
In seguito alle modificazioni recate dalla L. 92/2012,
i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto,
vengono considerati rapporti di lavoro subordinato, sin dalla data di
costituzione del rapporto, nel caso in cui l’attività del collaboratore sia
svolta con modalità analoghe rispetto a quella svolta dai lavoratori dipendenti
dell’impresa committente (articolo 69, comma 2), fatte salve la prova contraria
a carico del committente, nonché le prestazioni di elevata professionalità (le
quali possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle
organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale).
Qualora nel corso di un rapporto venga invece
accertato dal giudice che lo stesso si configura come un contratto di lavoro
subordinato per difetto del requisito dell'autonomia, esso si trasforma in un
rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto
realizzatasi tra le parti.
Ulteriori disposizioni sull’istituto riguardano la
possibilità, per il collaboratore a progetto, di svolgere l’attività nei riguardi di più committenti, anche se lo stesso non
può svolgere attività concorrenziale nei confronti dei committenti stessi né
può venire meno all’obbligo di riservatezza (articolo 64).
Lo stesso D.Lgs. 276/2003 ha individuato (articoli 65
e 66) alcuni diritti del collaboratore a progetto. In
particolare (articolo 65), il collaboratore ha il diritto ad essere
riconosciuto autore dell’invenzione eventualmente fatta nello svolgimento del
rapporto. In ogni caso, i diritti e gli obblighi delle parti sono regolati da
leggi speciali, comprese le disposizioni di cui all’articolo 12-bis della L. 633/1941. Il successivo
articolo 66 disciplina ulteriori diritti del collaboratore a progetto. In
particolare, si stabilisce che gravidanza, malattia ed infortunio non
comportino estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso, senza
erogazione del corrispettivo. In caso di gravidanza, inoltre, la durata del
rapporto è prorogata di 180 giorni, salvo previsione contrattuale più
favorevole. Inoltre, in caso di infortunio o malattia, salvo diversa previsione
contrattuale, la sospensione del rapporto non comporta una proroga della durata
del contratto, che si estingue alla scadenza. Il contratto si intende comunque
risolto se la sospensione si protrae per un periodo superiore ad un sesto della
durata stabilita nel contratto, se determinata, ovvero superiore a 30 giorni
per i contratti a durata determinabile. Infine, ai rapporti che rientrano nel
campo di applicazione del capo in esame si applicano specifiche norme, tra le
quali si ricordano quelle sul processo del lavoro, sulla tutela della maternità
per le lavoratrici iscritte alla gestione separata INPS, sulla sicurezza e
igiene del lavoro, (di cui al D.Lgs. 81/2008), nonché le norme di tutela contro
gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e quelle di cui
all’articolo 51, comma 1, della L. 488/1999 (finanziaria 2002) .
E’ stato previsto, poi, che nella riconduzione a un
progetto, programma di lavoro o fase di esso delle collaborazioni coordinate e
continuative, i diritti derivanti da un rapporto di lavoro già in essere
possono essere oggetto di rinunzie o transazioni (articolo 68, così come
modificato dal richiamato D.Lgs. 251/2004) tra le parti in sede di
certificazione del rapporto di lavoro, anche in deroga alle disposizioni sulle
rinunce e transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro
derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi
collettivi concernenti le controversie individuali di lavoro, di cui
all’articolo 2113 del codice civile.
Merita inoltre ricordare che l’articolo 2, commi
51-56, della L. 92/2012, disciplina, a decorrere dal 2013, una specifica indennità una tantum per i collaboratori coordinati e continuativi in
regime di monocomittenza, iscritti in via esclusiva alla gestione pensionistica
INPS separata e non titolari anche di reddito di lavoro autonomo, in quanto
esclusi dall’ambito di applicazione della ASPI.
Infine, l’articolo 69-bis disciplina ulteriori prestazioni lavorative rese in regime di
lavoro autonomo. In particolare, si prevede, ai fini della presunzione che le
prestazioni effettuate siano connotate come collaborazioni coordinate e
continuative, che le prestazioni rese da titolari di partita IVA siano da
considerare come rapporti di collaborazione coordinata e continuativa,
prevedendo che la durata della collaborazione con lo stesso committente debba
essere superiore a 8 mesi annui per 2 anni consecutivi, che il corrispettivo
annuo debba superare l’80% del fatturato complessivo per due anni solari
consecutivi e che il collaboratore disponga di una postazione fissa di
lavoro presso una delle sedi del committente.
La presunzione non opera non opera qualora la
prestazione lavorativa presenti specifici requisiti (e cioè che sia connotata
da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi
percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso
rilevanti esperienze maturate nell'esercizio concreto di attività, che sia
svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non
inferiore a 1,25 volte il livello minimo retributivo imponibile, nonché con
riferimento alle prestazioni lavorative svolte nell'esercizio di attività
professionali per le quali l'ordinamento richiede l'iscrizione ad un ordine
professionale, o ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali
qualificati).
L’articolo
48 è volto a promuovere la
stabilizzazione di lavoratori con contratti di collaborazione, anche a
progetto e titolari di partita IVA.
In particolare, la disposizione riconosce ai
datori di lavoro i quali, dal 1° gennaio
2016 assumano, con contratto di
lavoro a tempo indeterminato, soggetti con i quali avevano già stipulato
contratti di collaborazione coordinata e continuativa (anche a progetto) o
titolari di partita IVA, l'estinzione
degli illeciti, previsti dalle disposizioni in materia di versamenti
contributivi, assicurativi e fiscali connessi alla eventuale erronea
qualificazione del rapporto di lavoro pregresso, con esclusione delle sole violazioni
accertate prima dell’assunzione.
Condizioni per il godimento del beneficio
sono che i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano, con
riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del
pregresso rapporto di lavoro, atti di
conciliazione in una delle sedi c.d. protette[69] e
che, nei dodici mesi successivi alle assunzioni, i datori di lavoro non
recedano dal rapporto di lavoro, salvo che per giusta causa ovvero per
giustificato motivo soggettivo.
Con riferimento alle “persone titolari di partita IVA”, sarebbe
opportuno circoscrivere la portata applicativa della norma ai soli soggetti, titolari
di partita IVA, che intrattengano rapporti professionali con i datori di lavoro
interessati.
L’articolo 49 prevede il superamento del contratto di lavoro a progetto, disponendo l’abrogazione delle disposizioni che attualmente regolano tale fattispecie (articoli 61-69-bis del D.Lgs. 276/2003), le quali continuano ad applicarsi esclusivamente per la regolazione dei contratti già in atto alla data di entrata in vigore dello schema di decreto in esame (comma 1). A partire da tale data, quindi, tali contratti non potranno più essere stipulati.
Si evidenzia l’opportunità di coordinare la decorrenza del 1° gennaio
2016 di cui all’articolo 47, comma 1, con la sostanziale abrogazione della normativa
sul lavoro a progetto prevista a decorrere dalla data di entrata in vigore del
provvedimento (articolo 49, comma 1).
Occorre chiarire, poi, se sussista ancora la possibilità, dopo il 1°
gennaio 2016, di stipulare contratti di collaborazione per rapporti che non
presentino le caratteristiche di cui al comma 1 dell’articolo 47. In questa
ottica deve, infatti, valutarsi l’interpretazione dell’articolo 49, comma 2,
dello schema di decreto, ai sensi del quale resta ferma la competenza del
giudice del lavoro per una serie di controversie concernenti, in particolare, i
rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera
continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere
subordinato. Tale norma sembrerebbe indurre a ritenere che permanga la
possibilità di stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa
senza che sia richiesta la presenza di uno specifico progetto, purché non
ricorrano gli elementi che caratterizzano le prestazioni in termini di lavoro
subordinato, ai sensi dell'articolo 47, comma 1.
Infine, sotto il profilo del coordinamento normativo, l’effetto
abrogativo dell’articolo 49, comma 1, andrebbe esteso anche ai commi 24 e 27
dell’articolo1 della legge n. 92 del 2012, che recano disposizioni
interpretative delle norme del decreto legislativo n. 276 del 2003 di cui si
prevede l’abrogazione.
Allo stesso tempo, viene abrogato anche l’articolo 69-bis del d.Lgs. 276/2003, che ha disciplinato ulteriori prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo, in particolare prevedendo specifici requisiti da possedere da parte dei soggetti interessati ai fini della presunzione della connotazione di alcune prestazioni lavorative come collaborazioni coordinate e continuative.
Resta comunque fermo quanto disposto dall’articolo 409 c.p.c., che prevede la competenza del giudice del lavoro per una serie di controversie (tra cui i rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato).
Sulla normativa vigente in materia di collaborazioni, v. la scheda in calce
all’articolo 47.
L’articolo 69-bis del D.Lgs. 276/2003 (introdotto
dall’articolo 1, comma 26, della L. 92/2012[70]) ha introdotto
norme relative alle prestazioni lavorative dei titolari di partita IVA rese in
regime di lavoro autonomo, con l’obiettivo di contrastare il fenomeno delle c.d. false partite IVA. Tale
disposizione, in particolare, ha introdotto la presunzione che prestazioni rese da titolari di partita IVA sono da
considerarsi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa qualora
ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:
· che la durata
della collaborazione sia superiore a 8 mesi nell’arco di due anni solari[71];
· che il ricavo dei corrispettivi percepiti dal
collaboratore nell’arco dello stesso anno solare superi la misura dell’80 per cento dei corrispettivi complessivamente
percepiti dal collaboratore nell’arco di due
anni solari consecutivi[72];
· che il prestatore abbia la disponibilità di una postazione fissa di lavoro presso il committente.
La configurazione del rapporto come collaborazione
coordinata e continuativa implica l’applicazione di tutte le norme che
disciplinano tale contratto, incluse quelle relative al regime previdenziale e
all’eventuale trasformazione della collaborazione in un rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato qualora sia stata instaurata senza
l’individuazione di uno specifico progetto[73].
Si prevede, poi, che la suddetta presunzione non operi:
· qualora la prestazione lavorativa sia connotata da
competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi
percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso
rilevanti esperienze maturate nell'esercizio concreto di attività, e sia svolta
da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo
imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui
all'articolo 1, comma 3, della L. 2 agosto 1990, n. 233[74], relativo alla
gestione dei commercianti;
· con riferimento alle prestazioni lavorative svolte
nell'esercizio di attività professionali per le quali l'ordinamento richiede
l'iscrizione ad un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi,
ruoli o elenchi professionali qualificati e detta specifici requisiti e
condizioni. La ricognizione delle predette attività è demandata a un decreto
del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da emanarsi, in fase di
prima applicazione, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, sentite le parti sociali.
L’articolo 50 interviene sulla disciplina dell’associazione in partecipazione. La norma apporta alcune modifiche alla normativa vigente, stabilendo che l’apporto dell’associato può avvenire esclusivamente tramite conferimento di capitali (non più, quindi, tramite apporto di lavoro) (comma 1, lettera a)).
In relazione a ciò, vengono abrogati il secondo ed il terzo comma dell’articolo 2549 c.c. (comma 1, lettera b)), nonché l’articolo 1, comma 30, della L. 92/2012 (comma 2), che contengono disposizioni concernenti l’associazione in partecipazione con apporto di lavoro.
Il comma 3, infine, salvaguarda i contratti di associazione in partecipazione nei quali l’apporto dell’associato consista anche in prestazioni lavorative, fino alla loro cessazione.
Al riguardo sarebbe opportuno definire in modo più puntuale la
disciplina transitoria, fissando il termine entro il quale i contratti di
associazione con apporto di lavoro devono essere stati stipulati affinché
vengano fatti salvi fino alla loro cessazione.
L’associazione in partecipazione: quadro normativo
Il contratto di
associazione in partecipazione, regolato dagli articoli 2549 – 2554 del
codice civile, è il contratto in base al quale l’associante (imprenditore)
attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa (o di
uno o più affari), verso il corrispettivo di un determinato apporto che può
consistere nel versamento di capitale o nell’esecuzione di un’attività
lavorativa.
Recentemente, l’articolo
1, commi da 28 a 31, della L. 92/2012, ha introdotto alcune modifiche al
contratto di associazione in partecipazione qualora l'apporto dell'associato
preveda anche una prestazione di lavoro (solo lavoro o capitale e lavoro).
Il numero degli associati non può essere superiore a tre, indipendentemente dal numero
degli associanti (salvo si tratti di soggetti legati all'associante da rapporto
coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo).
La violazione di tale limite comporta che il rapporto associativo viene
considerato rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Le caratteristiche fondamentali del contratto di
associazione in partecipazione si possono riassumere:
· nella gestione dell’impresa o dell’affare da parte
dell’associante;
· nella partecipazione agli utili dell’impresa, se
presenti, da parte dell’associato;
· nell’assunzione del rischio di impresa da parte dell’associato (diritto agli utili solo se
prodotti, responsabilità per le perdite non oltre il valore apportato);
· diritto al rendiconto dell’affare o al rendiconto
annuale di gestione da parte dell’associato.
Nel contratto di associazione in partecipazione con
apporto di lavoro, la prestazione lavorativa dell’associato si realizza secondo
i canoni del lavoro autonomo, per cui è l’apporto lavorativo dell’associato si
attua in assenza di vincolo di subordinazione nei confronti dell’associante, al
quale competerà solo un potere generico di coordinamento dell’attività
dell’associato (e non già il potere gerarchico e disciplinare tipico del
rapporto di lavoro subordinato)
Inoltre, secondo la previsione di cui all'articolo 1, comma 30, della L. 92/2012,
si presumono, salvo prova contraria,
rapporti di lavoro subordinato a tempo
indeterminato i contratti di associazione in partecipazione con apporto di
lavoro realizzati senza che:
· vi sia stata un'effettiva partecipazione
dell'associato agli utili d'impresa;
· non sia stato consegnato il rendiconto annuale di
gestione all'associato;
· l'apporto dell'associato non sia connotato da
competenze teoriche di grado elevato ovvero da capacità tecnico - pratiche
acquisite da precedenti rilevanti esperienze.
Al fine di prevenire contenziosi è prevista la
possibilità di certificare il contratto
di associazione in partecipazione secondo la procedura volontaria
indicata negli articoli 76 – 81 del D.Lgs. 276/2003.
I contratti di associazione in partecipazione in
essere alla data del 18 luglio 2012 (data di entrata in vigore della L.
92/2012) e certificati mantengono
validità fino alla loro cessazione.
Successivamente, in materia è intervenuto il D.L. 76/2013.
Più specificamente, l’articolo 7, comma 5, del D.L. 76/2013 ha esteso a tale forma
contrattuale le tutele (introdotte dall’articolo 4, commi da 16 a 23, della L.
92/2012) in materia di contrasto del fenomeno delle cosiddette “dimissioni in
bianco”. Lo stesso comma, inoltre, ha escluso dall’ambito applicativo della
sanzione (consistente nella trasformazione del rapporto in contratto a tempo
indeterminato) per violazione del numero massimo di associati (tre) in una
medesima attività, gli associati nell’ambito di imprese mutualistiche individuati mediante elezione dell’assemblea
(il cui contratto sia comunque certificato dagli appositi organismi di
certificazione), nonché i rapporti tra produttori e artisti, interpreti ed
esecutori, volto alla realizzazione di registrazioni (sonore, audiovisive o di
sequenze di immagini in movimento).
Il successivo articolo
7-bis del D.L. 76/2013 ha invece
introdotto un procedimento per la stabilizzazione degli associati in
partecipazione con apporto di lavoro.
La stabilizzazione avviene sulla base di contratti
collettivi stipulati dai datori di lavoro (anche assistiti dalla propria
organizzazione di categoria) con le organizzazioni sindacali più
rappresentative a livello nazionale e si attua mediante la stipula, tra il 1°
giugno 2013 e il 31 marzo 2014[75], di contratti di
lavoro a tempo indeterminato (anche di apprendistato) con i soggetti in
precedenza associati in partecipazione.
A fronte dell’assunzione, il lavoratore è tenuto a
sottoscrivere un atto di conciliazione riguardante la pregressa associazione in
partecipazione (che vale come sanatoria di tutti i contenziosi eventualmente in
atto), mentre il datore di lavoro deve versare (alla gestione separata INPS di
cui all’articolo 2, comma 26, della L. 335/1995) un contributo straordinario
integrativo pari al 5% della quota di contribuzione a carico degli associati,
per un periodo massimo di 6 mesi.
I nuovi contratti, gli atti di conciliazione e
l’attestazione dell’avvenuto versamento del contributo straordinario, devono
essere depositati dai datori di lavoro, entro il 31 luglio 2014[76], presso le sedi
competenti dell’INPS, il quale trasmette alle Direzioni territoriali del lavoro
gli esiti delle conseguenti verifiche.
Il buon esito delle verifiche comporta l’estinzione
degli illeciti relativi ai pregressi rapporti di associazione in partecipazione
e tirocinio.
Da ultimo è intervenuto l’articolo 1, comma 30, della L. 92/2012 ha introdotto una più
efficace disciplina antielusiva,
disponendo che i rapporti di associazione in partecipazione con apporto di
lavoro, instaurati o attuati senza che vi sia stata un'effettiva partecipazione
dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare, ovvero senza consegna del
rendiconto (previsto dall’articolo 2552 c.c.), si presumono, salva prova
contraria, rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Infine, si
precisa che tale presunzione opera nel caso in cui l'apporto di lavoro non
presenti specifici requisiti.
ASSOCIAZIONE
IN PARTECIPAZIONE |
|
Codice
civile, art. 2549 |
Schema di
decreto legislativo |
|
|
|
Articolo 50 (Superamento dell’associazione in partecipazione con
apporto di lavoro) |
|
|
1.
Con il contratto di associazione in partecipazione l'associante attribuisce
all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più
affari verso il corrispettivo di un determinato apporto. |
1. Con il
contratto di associazione in partecipazione l'associante attribuisce
all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più
affari verso il corrispettivo di un determinato apporto di capitale. |
2. Qualora
l'apporto dell'associato consista anche in una prestazione di lavoro, il
numero degli associati impegnati in una medesima attività non può essere
superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associanti, con l'unica
eccezione nel caso in cui gli associati siano legati all'associante da
rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il
secondo. In caso di violazione del divieto di cui al presente comma, il
rapporto con tutti gli associati il cui apporto consiste anche in una
prestazione di lavoro si considera di lavoro subordinato a tempo
indeterminato. |
Abrogato |
3. Le disposizioni di cui al secondo comma non si
applicano, limitatamente alle imprese a scopo mutualistico, agli associati
individuati mediante elezione dall'organo assembleare di cui all'articolo
2540, il cui contratto sia certificato dagli organismi di cui all'articolo 76
del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive
modificazioni, nonché in relazione al rapporto fra produttori e artisti,
interpreti, esecutori, volto alla realizzazione di registrazioni sonore,
audiovisive o di sequenze di immagini in movimento. |
Abrogato |
|
|
ASSOCIAZIONE
IN PARTECIPAZIONE |
|
L. 28 giugno 2012, n. 92 |
Schema di decreto legislativo |
|
|
Articolo 1 |
Articolo 50 (Superamento
dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro) |
|
|
30. I rapporti di associazione in
partecipazione con apporto di lavoro instaurati o attuati senza che vi sia
stata un'effettiva partecipazione dell'associato agli utili dell'impresa o
dell'affare, ovvero senza consegna del rendiconto previsto dall'articolo 2552
del codice civile, si presumono, salva prova contraria, rapporti di lavoro
subordinato a tempo indeterminato. La predetta presunzione si applica,
altresì, qualora l'apporto di lavoro non presenti i requisiti di cui all'articolo 69-bis, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 10
settembre 2003, n. 276,
introdotto dal comma 26 del presente articolo. |
Abrogato. |
Il Titolo III, composto dagli articoli da 51 a 54, reca disposizioni sul lavoro accessorio.
Le norme sono volte a dare attuazione all’articolo 1, comma 7, lettera h), della legge delega, il quale
prevede - tenuto conto di quanto disposto dall’articolo 70 del D.Lgs. 276/2003
in materia di definizione della nozione
di lavoro accessorio e del relativo campo di applicazione - la possibilità di
estendere il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività
lavorative discontinue e occasionali nei diversi settori produttivi, fatta
salva la piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati, con contestuale
rideterminazione contributiva connessa alle prestazioni di lavoro accessorio
(articolo 72, comma 4, ultimo periodo, del D.Lgs. 276/2003).
Gli
articoli da 51 a 54 sostituiscono gli articoli da 70 a 73 del D.Lgs.
276/2003 (che vengono contestualmente abrogati dall’articolo 54, comma 1, dello
schema di decreto), che attualmente disciplinano il lavoro accessorio,
prevedendo, in particolare, le seguenti modifiche:
·
l’innalzamento, da 5.000 a 7.000 euro nel corso di un anno civile (non più solare)[77], del
limite massimo entro cui deve rientrare la retribuzione perché la prestazione
possa configurarsi come lavoro accessorio (articolo
51, comma 1);
· la messa a regime della previsione, attualmente disposta in via sperimentale per il 2013 e il 2014, che consente ai percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito di rendere prestazioni di lavoro accessorio, rese nell’ambito di qualsiasi settore produttivo, compresi gli enti locali, entro il limite complessivo di 3000 euro di compenso per anno civile (articolo 51, comma 2);
Si segnala che, nel caso del suddetto limite
(e differentemente dal limite di cui all’articolo 51, comma 1), lo schema di
decreto non prevede un meccanismo di rivalutazione annua.
· l’introduzione del divieto di ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio per l’esecuzione di appalti di opere o servizi (ad eccezione di specifiche ipotesi individuate con DM da adottare entro sei mesi dall'entrata in vigore del decreto in esame) (articolo 51, comma 6);
· la specificazione dei soggetti legittimati ad acquistare i buoni orari necessari per ricorrere a prestazioni di tipo accessorio, disponendo che questi possono essere acquistati da committenti imprenditori o professionisti, esclusivamente attraverso modalità telematiche, e da committenti non imprenditori o non professionisti, anche presso le rivendite autorizzate (articolo 52, comma 1);
· l’adozione di un DM per la determinazione del valore nominale dei buoni orari in attesa del quale esso resta fissato in 10 euro[78] (mentre nel settore agricolo è pari all'importo della retribuzione oraria delle prestazioni di natura subordinata individuata dal contratto collettivo stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) (articolo 52, commi 1 e 2);
·
l’eliminazione, ai fini della
determinazione del valore nominale dei buoni orari, del riferimento al costo di gestione del servizio (articolo 52, comma 1);
· la previsione, per gli imprenditori e i professionisti, dell’obbligo di comunicare, prima dell'inizio della prestazione, alla Direzione territoriale del lavoro competente, con modalità telematiche (anche attraverso sms o posta elettronica), i dati anagrafici e il codice fiscale del lavoratore (attualmente registrati dal concessionario tenuto al pagamento delle spettanze), nonché il luogo della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore ai trenta giorni successivi (articolo 52, comma 3);
· la previsione che il prestatore di lavoro accessorio riceva il proprio compenso dal concessionario successivamente all’accreditamento dei buoni da parte del beneficiario (in luogo del momento della restituzione dei buoni, come attualmente disposto) (articolo 52, comma 4);
· l’eliminazione della disposizione che attualmente prevede la redazione da parte dell’INPS e dell’INAIL di una relazione sull’andamento del lavoro accessorio da trasmettere al Parlamento[79];
· l’abrogazione degli articoli da 70 a 73 del D.Lgs. 276/2003 (che attualmente disciplinano il lavoro accessorio), fermo restando l'utilizzo, secondo la previgente disciplina e fino al 31 dicembre 2015, dei buoni per prestazioni di lavoro accessorio, purché già richiesti alla data di entrata in vigore del presente decreto (articolo 54, comma 1);
· la vigenza dell’attuale disciplina, fino al 31 dicembre 2015, per l’utilizzo dei buoni già richiesti alla data di entrata in vigore del decreto in esame (articolo 54, comma 2).
Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, lo schema di decreto in esame fa salva la disciplina vigente in materia di utilizzo del lavoro accessorio di cui all’articolo 36 del D.Lgs. 165/2001 (articolo 51, comma 7)[80].
Il lavoro accessorio: la normativa vigente
Il lavoro
accessorio è disciplinato dagli articoli da 70 a 74 del D.Lgs. 276/2003.
Ai sensi dell’articolo 70, comma 1, per prestazioni di lavoro accessorio si
intendono tutte le attività lavorative[81] che diano
complessivamente luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi non superiori a 5.000 euro nel
corso di un anno solare (annualmente rivalutati sulla base della variazione
dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli
impiegati intercorsa nell'anno precedente). Le prestazioni possono essere rese in tutti i settori, da parte di
qualsiasi committente, con qualsiasi lavoratore (salvo alcuni limiti nel
settore agricolo), mentre per quanto concerne le prestazioni rese nei confronti
di imprenditori commerciali o professionisti (fermo restando il limite dei
compensi fissato in linea generale a 5.000 euro annui), si prevede che le
attività svolte a favore di ciascun committente non possono comunque superare i
2.000 euro annui.
La L. 92/2012 ha soppresso le discipline sperimentali
(previste dalla normativa previgente fino al 31 dicembre 2012) che consentivano
prestazioni di lavoro accessorio da parte di titolari di contratti di lavoro a
tempo parziale nonché di percettori di prestazioni integrative del salario o
sostegno al reddito, a condizione che fosse rispettato un limite massimo degli
emolumenti ricevuti, pari a 3.000 euro per anno solare e che tali prestazioni
fossero comunque compatibili con quanto disposto dall’articolo 19, comma 10,
del D.L. 185/2008, il quale subordina il diritto a percepire qualsiasi
trattamento di sostegno al reddito previsto dalla legislazione vigente in
materia di ammortizzatori sociali, alla dichiarazione di immediata disponibilità
al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale.
Si ricorda, inoltre, che l’ultimo periodo del comma 1
dell’articolo 70 del D.Lgs. 276/2003 (aggiunto dall’articolo 46-bis, comma 1, lett. d), del D.L. 83/2012) ha disposto, per il 2013, che i percettori di
prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito possano svolgere
prestazioni di lavoro accessorio in tutti i settori produttivi (compresi gli
enti locali, fermi restando i vincoli vigenti in materia di contenimento delle
spese di personale) nel limite massimo di 3.000 euro di corrispettivo per anno
solare (lettera d)). L’INPS provvede
a sottrarre dalla contribuzione figurativa, relativa alle prestazioni
integrative del salario o di sostegno al reddito, gli accrediti contributivi derivanti
dalle prestazioni di lavoro accessorio. Successivamente, l’articolo 8, comma
2-ter, del D.L. 150/2013 ha prorogato tale possibilità per il 2014.
L’articolo 72 disciplina le modalità di assolvimento
dell’obbligo retributivo e contributivo connesso alle prestazioni, prevedendo
che esso avvenga attraverso l’acquisto presso le rivendite autorizzate, da
parte dei datori di lavoro, di uno o più carnet
di buoni per prestazioni di lavoro
accessorio (cd. voucher), che garantiscono la retribuzione nonché la copertura
previdenziale ed assicurativa, da consegnare al prestatore di lavoro
accessorio. Il valore nominale dei buoni è fissato con specifico decreto, con
il quale vengono anche stabiliti gli aggiornamenti periodici del valore stesso,
ed è stabilito tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le
attività lavorative affini a quelle richiamate in precedenza, nonché del costo
di gestione del servizio. Inoltre, i buoni devono essere orari, numerati
progressivamente e datati; si prevede, quindi, che in sede di adozione del
decreto ministeriale chiamato ad aggiornare periodicamente il valore nominale
dei buoni, si dovrà tener conto delle “risultanze istruttorie del confronto con
le parti sociali”.
Attualmente il valore
nominale del buono, fissato inizialmente con D.M. 30 settembre 2005 e
confermato dal D.M. 12 marzo 2008[82], è pari a 10 euro e non è ricollegato ad una
retribuzione minima oraria (nota INAIL n. 6464/2010).
Sempre riguardo alle caratteristiche dei buoni, la
circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 4/2013 ha
sottolineato che, “considerata la natura preventiva della comunicazione
sull’utilizzo del lavoro accessorio, al fine di consentire la massima
flessibilità sia del voucher
telematico, sia di quello cartaceo, il riferimento alla data non può che
implicare che la stessa vada intesa come un arco temporale di utilizzo del voucher non superiore ai 30 giorni
decorrenti dal suo acquisto”.
Il monitoraggio sui dati relativi ai voucher riscossi, venduti e sul numero
dei lavoratori così retribuiti è effettuato dall’INPS.
Il prestatore di lavoro accessorio percepisce il
proprio compenso presso il concessionario (individuato dal Ministro del lavoro
e delle politiche sociali con apposito decreto, con il quale sono anche
regolamentati i criteri e le modalità per il versamento dei contributi e delle
relative coperture assicurative e previdenziali), all'atto della restituzione
dei buoni ricevuti dal beneficiario della prestazione di lavoro accessorio.
Tale compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo
stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio.
Spetta al concessionario provvedere al pagamento delle
spettanze alla persona che presenta i buoni, registrandone i dati anagrafici e
il codice fiscale, nonché effettuare il versamento per suo conto dei contributi
per fini previdenziali alla Gestione separata INPS (in misura pari al 13% del
valore nominale del buono, e per fini assicurativi contro gli infortuni
all'INAIL (in misura pari al 7% del valore nominale del buono), trattenendo
l'importo autorizzato dal decreto a titolo di rimborso spese.
L’articolo 72, comma 4, dispone l’adeguamento delle
aliquote dei contributi previdenziali rispetto a quelle previste per gli
iscritti alla Gestione separata dell’INPS, da rideterminare con decreto del
Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Si ricorda che (nota del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali n. 5425 del 2011) al lavoro accessorio non è applicabile il
criterio generale di ripartizione del carico previdenziale tra committente e
prestatore di lavoro, previsto dall'articolo 2, comma 30, della L. 335/1995,
con la conseguenza che i contributi previdenziali, compresi nel valore nominale
del voucher, sono a totale carico del
committente.
Inoltre, si prevede che il Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, con decreto, possa stabilire specifiche condizioni, modalità
e importi dei buoni orari, in "considerazione delle particolari e
oggettive condizioni sociali di specifiche categorie di soggetti correlate allo
stato di disabilità, di detenzione, di tossicodipendenza o di fruizione di
ammortizzatori sociali per i quali è prevista una contribuzione figurativa,
utilizzati nell’ambito di progetti promossi da amministrazioni pubbliche (articolo
72, comma 4-bis[83]).
Come specificato nella circolare INPS n. 88/2009 (e
successivamente confermato dalla circolare INPS n. 17/2010 e dalla circolare
del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 4 del 18 gennaio 2013),
le prestazioni accessorie devono essere svolte direttamente a favore
dell'utilizzatore della prestazione, senza il tramite di intermediari.
Pertanto, è da ritenersi escluso che un'impresa possa utilizzare lavoratori per
svolgere prestazioni a favore di terzi, come nel caso dell'appalto o della
somministrazione di lavoro.
Infine, ulteriori disposizioni in materia sono state
recate dall’articolo 9, comma 2, del D.L. 76/2013, il quale, apportando
modifiche all’articolo 9, comma 28, quarto
periodo, del D.L. 78/2010, ha escluso la spesa sostenuta dagli enti locali per
lo svolgimento di attività sociali mediante forme di lavoro accessorio dai
vincoli alla spesa di personale. Dunque, tale tipologia di spesa viene
sottratta, a decorrere dall’anno 2013, dal limite del 50% della spesa sostenuta
per le stesse finalità nell’anno 2011.
LAVORO
ACCESSORIO |
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D.Lgs.
10 settembre 2003, n. 276 |
Schema di decreto legislativo |
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Articolo
70 (Definizione
e campo di applicazione) |
Articolo
51 (Definizione
e campo di applicazione) |
1. Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell'anno precedente. Fermo restando il limite complessivo di 5.000 euro nel corso di un anno solare, nei confronti dei committenti imprenditori commerciali o professionisti, le attività lavorative di cui al presente comma possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro, rivalutati annualmente ai sensi del presente comma. Per gli anni 2013 e 2014, prestazioni di lavoro accessorio possono essere altresì rese, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, fermo restando quanto previsto dal comma 3 e nel limite massimo di 3.000 euro di corrispettivo per anno solare, da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito. L'INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano in agricoltura: a) alle attività lavorative di natura occasionale rese nell'ambito delle attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di venticinque anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell'anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l'università; b) alle attività agricole svolte a favore di soggetti di cui all'articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, che non possono, tuttavia, essere svolte da soggetti iscritti l'anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli. 3. Il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio da parte di un committente pubblico è consentito nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno. 4. I compensi percepiti dal lavoratore secondo
le modalità di cui all'articolo 72 sono computati ai fini della
determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del
permesso di soggiorno. |
1. Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 7.000 euro nel corso di un anno civile, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati. Fermo restando il limite complessivo di 7.000 euro, nei confronti dei committenti imprenditori o professionisti, le attività lavorative possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro, rivalutati annualmente ai sensi del presente comma. 2. Prestazioni di lavoro accessorio possono essere altresì rese, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, fermo restando quanto previsto dal comma 4 e nel limite complessivo di 3.000 euro di compenso per anno civile, da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito. L'INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio. 3. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano in agricoltura Identica Identica 4. Identico 5. I compensi percepiti dal lavoratore secondo le modalità di cui all'articolo 52 sono computati ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno. 6. È vietato il ricorso a
prestazioni di lavoro accessorio nell'ambito della esecuzione di appalti di
opere o servizi, fatte salve specifiche ipotesi individuate con decreto del
Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentite le parti sociali, da
adottare entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente decreto. 7. Resta fermo quanto disposto dall’articolo 36 del decreto legislativo
n. 165 del 2001. |
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Articolo
72 (Disciplina
del lavoro accessorio) |
Articolo
52 (Disciplina
del lavoro accessorio) |
1. Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio, i beneficiari acquistano presso le rivendite autorizzate uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati, per prestazioni di lavoro accessorio il cui valore nominale è fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi entro trenta giorni e periodicamente aggiornato, tenuto conto delle risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali. 2. Tale valore nominale è stabilito tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le attività lavorative affini a quelle di cui all'articolo 70, comma 1, nonché del costo di gestione del servizio. 3. Il prestatore di lavoro accessorio percepisce il proprio compenso presso il concessionario, di cui al comma 5, all'atto della restituzione dei buoni ricevuti dal beneficiario della prestazione di lavoro accessorio. Tale compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio. 4. Fermo restando quanto disposto dal comma 4-bis, il concessionario provvede al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i buoni, registrandone i dati anagrafici e il codice fiscale, effettua il versamento per suo conto dei contributi per fini previdenziali all'INPS, alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in misura pari al 13 per cento del valore nominale del buono, e per fini assicurativi contro gli infortuni all'INAIL, in misura pari al 7 per cento del valore nominale del buono, e trattiene l'importo autorizzato dal decreto di cui al comma 1, a titolo di rimborso spese. La percentuale relativa al versamento dei contributi previdenziali è rideterminata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze in funzione degli incrementi delle aliquote contributive per gli iscritti alla gestione separata dell'INPS. 4-bis. In considerazione delle particolari e oggettive condizioni sociali di specifiche categorie di soggetti correlate allo stato di disabilità, di detenzione, di tossicodipendenza o di fruizione di ammortizzatori sociali per i quali è prevista una contribuzione figurativa, utilizzati nell'ambito di progetti promossi da amministrazioni pubbliche, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto, può stabilire specifiche condizioni, modalità e importi dei buoni orari. 5. Il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali individua con proprio decreto il concessionario del servizio e regolamenta i criteri e le modalità per il versamento dei contributi di cui al comma 4 e delle relative coperture assicurative e previdenziali. In attesa del decreto ministeriale i concessionari del servizio sono individuati nell'I.N.P.S. e nelle agenzie per il lavoro di cui agli articoli 4, comma 1, lettere a) e c) e 6, commi 1, 2 e 3 del presente decreto. |
1. Per ricorrere a
prestazioni di lavoro accessorio, i committenti
imprenditori o professionisti acquistano esclusivamente attraverso modalità telematiche uno o più carnet
di buoni orari, numerati progressivamente e datati, per prestazioni di lavoro
accessorio il cui valore nominale è fissato con decreto del Ministro del
lavoro e delle politiche sociali, tenendo
conto della media delle retribuzioni
rilevate per le diverse attività lavorative e delle risultanze
istruttorie del confronto con le parti sociali. I committenti non imprenditori o professionisti possono acquistare i
buoni anche presso le rivendite autorizzate.
2. In attesa della emanazione
del decreto di cui al comma 1, e fatte salve le prestazioni rese nel settore
agricolo, il valore nominale del buono orario è fissato in 10 curo e nel
settore agricolo è pari all'importo della retribuzione oraria delle
prestazioni di natura subordinata individuata dal contratto collettivo
stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale. 3. I committenti imprenditori
o professionisti che ricorrono a prestazioni occasionali di tipo accessorio
sono tenuti, prima dell'inizio della prestazione, a comunicare alla Direzione
territoriale del lavoro competente, attraverso modalità telematiche, ivi
compresi sms o posta elettronica, i dati anagrafici e il codice fiscale del
lavoratore, indicando, altresì, il luogo della prestazione con riferimento ad
un arco temporale non superiore ai trenta giorni successivi. 4. Il prestatore di lavoro accessorio percepisce il proprio compenso dal concessionario di cui al comma 7, successivamente all'accreditamento dei buoni da parte del beneficiario della prestazione di lavoro accessorio. Il compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio. 5. Fermo restando quanto disposto dal comma 6, il concessionario provvede al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i buoni, effettuando altresì il versamento per suo conto dei contributi previdenziali all'INPS, alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in misura pari al 13 per cento del valore nominale del buono, e per fini assicurativi contro gli infortuni all'INAIL, in misura pari al 7 per cento del valore nominale del buono, e trattiene l'importo autorizzato dal decreto di cui al comma 1, a titolo di rimborso spese. La percentuale relativa al versamento dei contributi previdenziali può essere rideterminata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze in funzione degli incrementi delle aliquote contributive per gli iscritti alla gestione separata dell'INPS. 6. Identico 7. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali individua con proprio decreto il concessionario del servizio e regolamenta i criteri e le modalità per il versamento dei contributi di cui al comma 5 e delle relative coperture assicurative e previdenziali. In attesa del decreto ministeriale i concessionari del servizio sono individuati nell'INPS e nelle agenzie per il lavoro di cui agli articoli 4, comma 1, lettere a) e c) e 6, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo n. 276 del 2003. |
Articolo
73 (Coordinamento
informativo a fini previdenziali) |
Articolo
53 (Coordinamento
informativo a fini previdenziali) |
1. Al fine di verificare, mediante apposita banca dati informativa, l'andamento delle prestazioni di carattere previdenziale e delle relative entrate contributive, conseguenti allo sviluppo delle attività di lavoro accessorio disciplinate dalla presente legge, anche al fine di formulare proposte per adeguamenti normativi delle disposizioni di contenuto economico di cui all'articolo che precede, l'INPS e l'INAIL stipulano apposita convenzione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 2. Decorsi diciotto mesi dalla
entrata in vigore del presente provvedimento il Ministero del lavoro e delle
politiche sociali predispone, d'intesa con INPS e INAIL, una relazione
sull'andamento del lavoro occasionale di tipo accessorio e ne riferisce al
Parlamento. |
Soppresso |
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Articolo
74 (Prestazioni che esulano dal mercato del lavoro) |
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1. Con specifico riguardo alle attività agricole non integrano in ogni caso un rapporto di lavoro autonomo o subordinato le prestazioni svolte da parenti e affini sino al quarto grado in modo meramente occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salvo le spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori. |
Identico |
Il Titolo
IV, composto del solo articolo 55,
reca norme sulla disciplina delle
mansioni.
La disposizione è volta a dare attuazione
all’articolo 1, comma 7, lettera e), della legge delega, il quale prevede
la revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di
riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla
base di parametri oggettivi, contemperando l'interesse dell'impresa all'utile
impiego del personale con l'interesse del lavoratore alla tutela del posto di
lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche,
prevedendo limiti alla modifica dell'inquadramento; previsione che la
contrattazione collettiva, anche aziendale ovvero di secondo livello, stipulata
con le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria
possa individuare ulteriori ipotesi rispetto a quelle disposte ai sensi della
presente lettera.
L’articolo
55 sostituisce l’articolo 2103 del
codice civile[84], che
attualmente disciplina le mansioni del lavoratore, prevedendo, in particolare,
le seguenti modificazioni:
·
introduzione
della possibilità di mutamento delle mansioni per tutte le mansioni rientranti nello stesso livello di inquadramento (e non
più soltanto per mansioni “equivalenti”[85]
(comma 1);
·
l’introduzione
della possibilità di assegnare il
lavoratore a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore[86]
(c.d. demansionamento) in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione
del lavoratore o nelle ulteriori ipotesi
previste da contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle
associazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale; in
tali casi il lavoratore ha diritto alla conservazione
del trattamento retributivo (fatta
eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di
svolgimento della precedente prestazione lavorativa[87])
ed è obbligato ad assolvere l’obbligo
formativo (il cui mancato adempimento non determina, comunque, la nullità
dell’atto di assegnazione alle nuove mansioni) (commi 2-5);
·
l’introduzione
della possibilità di stipulare, in specifiche sedi “assistite”[88],
accordi individuali di modifica delle
mansioni, del livello di
inquadramento[89] e della relativa retribuzione,
quando ciò corrisponda all'interesse del lavoratore alla conservazione
dell'occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalità o al
miglioramento delle condizioni di vita;
·
l’introduzione
della possibilità, per la contrattazione aziendale (e non solo per quella
nazionale), di fissare il periodo trascorso il quale l’assegnazione del lavoratore a mansioni superiori diviene
definitiva; inoltre, nel caso in cui la contrattazione collettiva non provveda
a stabilirlo, la durata massima del periodo di svolgimento delle mansioni
superiori è innalzata (da tre) a sei
mesi, che devono essere (diversamente dalla normativa vigente, che tace al
riguardo) “continuativi”.
Per quanto concerne i casi nei
quali è possibile procedere al demansionamento, si fa presente che la legge
delega[90] richiede che la revisione delle mansioni
sia giustificata da “processi di riorganizzazione, ristrutturazione o
conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi”, mentre la
disposizione in commento fa riferimento, in modo più generico, alla “modifica
degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del
lavoratore”.
Con riferimento al comma 9,
ove si prevede la nullità di ogni patto contrario, si osserva che il richiamo
alle condizioni di cui al comma 2 appare incongruo, in quanto sarebbe più
corretto richiamare il comma 7 (che, con riferimento all’assegnazione
definitiva a mansioni superiori, fa salva la diversa volontà del lavoratore).
Per quanto riguarda il rinvio
alla contrattazione aziendale della possibilità di individuare ulteriori
ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento
inferiore, si ricorda che la normativa vigente già prevede tale possibilità,
secondo quanto stabilito dall’articolo 8 del D.L. n.138/2011[91].
Infine, per quanto attiene
all’assolvimento dell’obbligo formativo, non
risulta chiaro se tale obbligo sorga nel solo caso di assegnazione a mansioni
inferiori ovvero anche in caso di assegnazione a mansioni di pari livello o
superiori: qualora la disposizione si riferisse anche a tali due ultime
fattispecie, sarebbe opportuno posizionarla dopo l'attuale settimo comma.
Disciplina
delle mansioni e jus variandi nella legge e nella giurisprudenza
La norma di riferimento in tema di mansioni nel
rapporto di lavoro è rappresentata dall’articolo
2103 del Codice civile, così come modificato dall’articolo 13 della Statuto
dei lavoratori (L. 300/1970), il quale dispone che il lavoratore deve essere
adibito alle mansioni per le quali è
stato assunto o a quelle
corrispondenti alla categoria superiore che abbia acquisito o a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente
svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione, sancendo la nullità di ogni patto contrario.
La disposizione in questione tutela quindi sia il
diritto del lavoratore ad essere adibito alle mansioni di assunzione (così
riconoscendo meritevole di tutela non solo il suo diritto alla retribuzione, ma
anche, quale bene ulteriore, la sua professionalità), sia quello del datore di
lavoro di modificare, in relazione a specifiche esigenze organizzative
dell’impresa, le mansioni disposte in sede di assunzione (jus variandi), attraverso l’assegnazione di mansioni equivalenti o
superiori[92]. Il precetto
civilistico nega però il cosiddetto “demansionamento”, ossia la modifica in pejus delle mansioni, pena la nullità
del relativo atto: il datore di lavoro, pur nell’esercizio dello jus variandi, non può, pertanto,
unilateralmente o contrattualmente, adibire il lavoratore a mansioni inferiori
rispetto a quelle in precedenza svolte[93].
Per il settore
pubblico, una esplicita deroga a quanto disposto dall’articolo 2103 c.c. è
stata introdotta, di recente, dall’articolo 5, comma 1, lett. b), del D.L. 90/2014, che interviene
sulla gestione del personale pubblico in disponibilità[94]: al fine di
ampliare le possibilità di ricollocamento, il personale in disponibilità può
presentare (nei 6 mesi anteriori alla data di scadenza del termine di 24 mesi
previsto come periodo massimo di godimento dell’indennità spettante al seguito
del collocamento in disponibilità) istanza di ricollocazione, nell’ambito dei
posti vacanti in organico, anche in una qualifica inferiore o in posizione
economica inferiore (della stessa o di inferiore area o categoria), in deroga a
quanto previsto dall’articolo 2103 del codice civile. La ricollocazione non può
comunque avvenire prima dei 30 giorni anteriori alla data di scadenza del
richiamato termine di 24 mesi.
La contrattazione
collettiva ribadisce sostanzialmente i principi della disciplina
legislativa. Ad esempio, gli articoli 3 e ss. del Titolo II del CCNL 5 dicembre
2012 per i lavoratori addetti all’industria metalmeccanica privata e alla
installazione di impianti (vigenza 1° gennaio 2013-31 dicembre 2015),
stabiliscono, in primo luogo, che il prestatore di lavoro debba essere adibito
alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla
categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni
equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della
retribuzione. Oltre a ciò, si prevede il passaggio alla categoria superiore se
si sono svolte mansioni superiori per un determinato periodo (salvo specifiche
eccezioni), l’attribuzione ala categoria corrispondente alle mansioni superiori
in caso di cumulo di mansioni e la tutela dei lavoratori con mansioni
discontinue[95].
La giurisprudenza
ha introdotto ulteriori deroghe, rispetto a quelle normativamente previste, al
divieto di cui all’articolo 2103 c.c..
Con la sentenza n. 4301/2013 della Cassazione (Sez. lavoro)
è stato sancito che è legittimo adibire il lavoratore a mansioni inferiori, se
questo avviene per esigenze di servizio e se viene assicurato, in modo
prevalente, l’espletamento delle mansioni ordinarie.
Una consolidata giurisprudenza ritiene ammissibile il
cosiddetto “patto di demansionamento”,
se questo rappresenta l’unica alternativa al licenziamento. Infatti, se il
demansionamento avviene con il consenso del lavoratore e in suo favore quale
unica alternativa al licenziamento, viene meno la ratio sottesa alla limitazione dello ius variandi del datore di lavoro, volta ad impedire che un
eventuale demansionamento possa essere adottato in danno e senza il consenso
del lavoratore[96]. In questi
casi, secondo la giurisprudenza, il patto di demansionamento non
rappresenterebbe una vera e propria deroga alla norma che limita l’esercizio
dello ius variandi in capo al datore
di lavoro, ma un adeguamento del contratto alla nuova situazione venutasi a
creare; in tal caso il datore di lavoro
ha l’onere di provare l’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni
equivalenti, mentre il lavoratore ha l’onere di allegazione in merito
all’esistenza di concrete possibilità di trovare una diversa collocazione[97].
La giurisprudenza, infine, ritiene che si debba
comunque tutelare il diritto del
lavoratore di richiedere il mutamento di mansioni o il trasferimento. “Le
limitazioni dello ius variandi sono
dirette ad incidere su quei provvedimenti unilaterali del datore di lavoro o su
quelle clausole contrattuali che prevedono il mutamento di mansioni o il
trasferimento non sorretti da ragioni tecniche, organizzative e produttive e
mirano ad impedire che il cambiamento di mansioni od il trasferimento siano
disposti contro la volontà del lavoratore ed in suo danno; dette limitazioni,
pertanto, non operano nel caso in cui - secondo un accertamento di fatto
riservato al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se
adeguatamente motivato - il mutamento di mansioni od il trasferimento siano
stati disposti a richiesta dello stesso lavoratore, ossia in base ad
un'esclusiva scelta dello stesso, pervenuto a tale unilaterale decisione senza
alcuna sollecitazione, neppure indiretta, del datore di lavoro, che l'abbia
invece subita” (Cass. Sez. lavoro Sentenza n. 17095/2011).
DISCIPLINA
DELLE MANSIONI |
|
Codice
civile |
Schema di
decreto legislativo (articolo
55) |
[Omissis…] |
|
Articolo 2103 c.c. (Mansioni del
lavoratore) |
Articolo 2103 c.c. (Prestazione
del lavoro) |
1.Il
prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato
assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni
equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di
assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento
corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo
per sostituzione di lavoratore assente
con diritto alla conservazione del
posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non
superiore a tre mesi. Egli non può
essere trasferito da una unità produttiva ad una altra se non per comprovate
ragioni tecniche, organizzative e produttive. (v. anche art.6 della legge n.190/1985) 2. Ogni patto
contrario è nullo. |
1. Il lavoratore deve essere adibito
alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia
successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso
livello di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. 2. In caso di modifica degli assetti organizzativi
aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere
assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore. 3. Il
mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall'assolvimento
dell'obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la
nullità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni. 4.
Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello dì
inquadramento inferiore possono essere previste da contratti collettivi,
anche aziendali, stipulati da associazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale. 5. Nelle
ipotesi di cui al secondo e quarto comma, il lavoratore ha diritto alla
conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in
godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a
particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa. 6. Nelle
sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di
certificazione di cui all'articolo 76 del decreto legislativo n. 10 settembre
2003, n. 276, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni,
del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell'interesse
del lavoratore alla conservazione dell'occupazione, all'acquisizione dí una
diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. 7. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento
corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione diviene definitiva, salva diversa volontà del lavoratore,
ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il
periodo fissato dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati
da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi. 8. Il
lavoratore non può essere trasferito da un'unità produttiva ad
un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. 9. Salvo
che ricorrano le condizioni di cui al secondo e quarto comma e fermo quanto
disposto al sesto comma, ogni patto contrario è nullo. |
DISCIPLINA
DELLE MANSIONI |
|
L. 190/1985 |
Schema di decreto legislativo |
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|
Articolo 6 |
|
In deroga
a quanto previsto dal primo comma dell'art. 2103 del codice civile, come
modificato dall'art. 13, L. 20 maggio 1970, n. 300, l'assegnazione del
lavoratore alle mansioni superiori di cui all'articolo 2 della presente legge
ovvero a mansioni dirigenziali, che non sia avvenuta in sostituzione di
lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto, diviene definitiva
quando si sia protratta per il periodo di tre mesi o per quello superiore
fissato dai contratti collettivi |
Soppresso |
Il Titolo V (articoli 56-57) reca la copertura finanziaria del provvedimento nonché una specifica clausola di salvaguardia, e le disposizioni sull’entrata in vigore del provvedimento.
L’articolo 56, comma 1, provvede alla copertura finanziaria degli oneri, connessi alla stabilizzazione dei collaboratori e degli associati in partecipazione e alle conseguenti minori entrate contributive derivanti dalle trasformazioni in rapporti di lavoro a tempo indeterminato nel 2015.
Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa
del provvedimento l’attuazione degli articoli da 47 a 50 “aumenterà la
propensione a trasformare i rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la
perdita contributiva conseguente alla vigenza nel 2015 dell’esonero
contributivo di cui all’articolo 1, comma 118, della legge 23 dicembre 2014, n.
190”.
Si ricorda, infatti, che l’articolo 1, comma 118,
della L. 190/2014 (legge di stabilità per il 2015) ha introdotto uno sgravio
contributivo per le assunzioni con contratto a tempo indeterminato. Lo sgravio (che
non è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento
previsti dalla normativa vigente) riguarda i contratti a tempo indeterminato
relativi a nuove assunzioni (ad eccezione di alcune specifiche fattispecie e
settori) decorrenti dal 1° gennaio 2015 e stipulati entro il 31 dicembre 2015 e
consiste nell’esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a
carico dei datori di lavoro (ferma restando l’aliquota di computo delle
prestazioni pensionistiche e con esclusione dei premi e contributi dovuti
all’INAIL), nel limite massimo di un importo di esonero pari a 8.060 euro su
base annua, per un periodo massimo di trentasei mesi.
Alla copertura degli oneri, valutati in 16 milioni di euro per il 2015, 58 milioni di euro per il 2016, 67 milioni di euro per il 2017, 53 milioni di euro per il 2018 e 8 milioni di euro per il 2019, mediante:
·
quanto
a 16 milioni di euro per il 2015, 52 milioni di euro per il 2016,
40 milioni di euro per il 2017, 28 milioni di euro per il 2018,
mediante corrispondente riduzione del Fondo
per la copertura degli oneri derivanti dall’attuazione della L. 183/2014,
di riforma del mercato del lavoro, di cui all'articolo 1, comma 107, della L.
190/2014 (lettera a));
L’articolo
1, comma 107, della L. 190/2014 ha stanziato risorse per la copertura degli
oneri derivanti dall’attuazione della legge delega 183/2014 (cd. Jobs act),
istituendo a tal fine un apposito fondo presso il Ministero del lavoro e delle
politiche sociali con una dotazione di 2,2 miliardi di euro annui per il
biennio 2015-2016 e 2 miliardi di euro a decorrere dal 2017[98].
·
quanto
a 6 milioni per il 2016, 20 milioni per il 2017, 16 milioni di euro per il 2018 e a 8 milioni di euro per il 2019
mediante le maggiori entrate
derivanti dall'attuazione delle medesime disposizioni (lettera b));
Relativamente
all'utilizzo delle maggiori entrate rivenienti dalle norme di cui agli articoli
da 47 a 50 e utilizzate a copertura degli oneri complessivi ai sensi
dell'articolo 56, comma 1, lettera b), si rimanda al dossier redatto sul provvedimento in esame dal
Servizio del Bilancio.
·
quanto
a 7 milioni di euro per il 2017 e a 9 milioni di euro per il 2018,
mediante utilizzo del Fondo sociale per
l'occupazione e la formazione[99],
in misura pari a 12 milioni di euro
per il 2017 e a 15 milioni di euro per il 2018,
al fine di garantire la necessaria compensazione sui saldi di finanza pubblica
(lettera c)).
Il successivo comma 2 prevede l’obbligo (ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della L. 196/2009) da parte del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, anche avvalendosi del sistema permanente di monitoraggio e valutazione di cui all’articolo 1, comma 2, della L. 92/2012, di assicurare, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, il monitoraggio degli effetti finanziari derivanti dalle disposizioni del provvedimento in esame. Nel caso in cui si verifichino, o siano in procinto di verificarsi, effetti finanziari negativi e in particolare scostamenti rispetto alla valutazione delle minori entrate in precedenza richiamate è altresì previsto che il Ministro dell'economia e delle finanze provveda (sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali) con proprio decreto, all'introduzione di un contributo aggiuntivo di solidarietà a favore delle gestioni previdenziali a carico dei datori di lavoro del settore privato e dei lavoratori autonomi.
Infine, si autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni dì bilancio (comma 3).
Ai sensi dell’articolo 57, infine, il provvedimento in oggetto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella G.U.[100].
[1] L’articolo 14 della legge n.400 del 1988 prevede i decreti legislativi adottati dal Governo ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione sono emanati dal Presidente della Repubblica con la denominazione di «decreto legislativo» e con l'indicazione, nel preambolo, della legge di delegazione, della deliberazione del Consiglio dei ministri e degli altri adempimenti del procedimento prescritti dalla legge di delegazione. L'emanazione del decreto legislativo deve avvenire entro il termine fissato dalla legge di delegazione; il testo del decreto legislativo adottato dal Governo è trasmesso al Presidente della Repubblica, per la emanazione, almeno venti giorni prima della scadenza. Se la delega legislativa si riferisce ad una pluralità di oggetti distinti suscettibili di separata disciplina, il Governo può esercitarla mediante più atti successivi per uno o più degli oggetti predetti. In relazione al termine finale stabilito dalla legge di delegazione, il Governo informa periodicamente le Camere sui criteri che segue nell'organizzazione dell'esercizio della delega.
[2] Il decreto legislativo n.368/2001 reca la disciplina del lavoro a tempo determinato, in attuazione della Direttiva 1999/70/CE.
[3] Si ricorda che secondo la giurisprudenza (Cass., sentenza 11905/2011) l’uso continuo di lavoro supplementare in un contratto part-time può ravvisare il presupposto di una trasformazione in contratto a tempo pieno. Più specificamente, per la Corte, “il rapporto a tempo parziale si trasforma in rapporto a tempo pieno per fatti concludenti, in relazione alla prestazione lavorativa resa, costantemente, secondo l’orario normale, o addirittura con orario superiore. Il comportamento negoziale concludente, nel senso di modificare stabilmente l’orario di lavoro, è conseguente all’accertamento che la prestazione eccedente quella inizialmente concordata – resa in modo continuativo secondo modalità orarie proprie del lavoro a tempo pieno, o addirittura con il superamento dell’orario normale – non risponda ad alcuna specifica esigenza di organizzazione del servizio, idonea a giustificare, secondo le previsioni della contrattazione collettiva, l’assegnazione di ore ulteriori rispetto a quelle negozialmente pattuite”. L’articolo 3 del D.Lgs. 61/2000, infatti (vedi infra), stabilisce che anche se il datore di lavoro nel part-time orizzontale ha la facoltà di richiedere lavoro supplementare, tuttavia è il contratto collettivo che ne prevede la misura e le modalità di utilizzo. La stessa Corte, inoltre (sent. 14833/2012) ha ribadito che non si giustifica il licenziamento di un lavoratore che si è rifiutato di modificare il suo orario di lavoro, senza però provare che la modifica all’orario si era resa necessaria per sopravvenute esigenze aziendali (nel qual caso il licenziamento sarebbe stato adottato per giustificato motivo oggettivo).
[4] Si ricorda che una previsione concernente l'applicazione di una maggiorazione sull'importo della retribuzione oraria in caso di lavoro supplementare era contenuta nell’articolo 3, comma 6, del D.Lgs. 61/2000, comma abrogato dall'articolo 46, comma 1, lettera i), dello stesso D.Lgs. 276/2003.
[5] Si ricorda che i contratti collettivi possono prevedere anche limiti di utilizzo sia delle clausole flessibili sia di quelle elastiche (vedi infra); in assenza di queste indicazioni, i limiti devono essere pattuiti nel contratto di lavoro individuale. In proposito, la sentenza della corte di Cassazione n. 23600/2014, in materia di lavoro intermittente e part-time, ha disposto che la prestazione aggiuntiva imposta unilateralmente dal datore di lavoro e non concordata con il lavoratore è illegittima. Al contempo, pur non potendosi equiparare ad un lavoro effettivo, deve comunque avere un compenso adeguato in relazione al tempo maggiore di quello normalmente lavorato, e tenendo conto di un complesso di circostanze a tal fine significative, quali l'incidenza sulla possibilità di attendere ad altre attività; il tempo di preavviso previsto o di fatto osservato per la richiesta di lavoro "a comando"; l'eventuale quantità di lavoro predeterminata in misura fissa; la convenienza dello stesso lavoratore a concordare di volta in volta le modalità della prestazione.
[6] Attualmente, l’articolo 8, comma 2, del D.Lgs. 61/2000 fa riferimento in primo luogo ai criteri contemplati nel contratto collettivo, e, in mancanza, a quello della valutazione equitativa;
[7] Al riguardo, la circolare del Ministero del lavoro n. 46/2001 ha chiarito che tale rapporto di lavoro è stato esplicitamente ammesso dalla legge e non più previsto quale semplice possibilità dai contratti collettivi, come invece stabiliva l'originaria formulazione dell'articolo 1 del D.Lgs. 61/2000.
[8] Nel contratto part-time di tipo verticale, però, è sufficiente indicare le giornate in cui è prestata l'attività lavorativa e non anche la distribuzione dell'orario di lavoro, cioè le fasce orarie in cui la prestazione viene svolta nell'ambito della singola giornata lavorativa.
[9] V. al riguardo Cass., sentenza 17726/2011.
[10] Secondo la Cassazione (sent. n. 16089/2014) il datore di lavoro non può in maniera unilaterale (e nonostante un accordo sindacale) trasformare un rapporto di lavoro a tempo pieno in uno a part-time, o ridurre la durata di quest’ultimo, senza un accordo scritto con il lavoratore, come d’altronde previsto dagli articoli 2 e 5 del D.Lgs. 61/2000.
[11] Merita ricordare, in proposito, che la clausola 5.2 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale allegato alla Direttiva 97/81/CE ha infatti stabilito che il rifiuto del lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale (o viceversa) non dovrebbe costituire motivo valido per il licenziamento “senza pregiudizio per la possibilità di procedere, conformemente alle leggi, ai contratti collettivi e alle prassi nazionali, a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessità di funzionamento dello stabilimento considerato”. La recente sentenza della Corte di giustizia europea del 15 ottobre 2014 (causa C-221/13), concernente un provvedimento di un’amministrazione pubblica che ha disposto la trasformazione di un contratto di lavoro a tempo parziale in uno a tempo pieno di una dipendente, ha disposto che la richiamata clausola 5.2 dell’accordo quadro “non osta a una normativa che consente al datore di lavoro di disporre, per ragioni di tal tipo, la trasformazione del contratto di lavoro da contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno senza il consenso del lavoratore interessato”. Questo perché, secondo la Corte, dal dettato della clausola medesima, da considerarsi nell’ambito delle prescrizioni minime di tutela su cui poi possono intervenire i singoli Stati membri, “si evince che la stessa non impone agli Stati membri di adottare una normativa che subordini al consenso del lavoratore la trasformazione del suo contratto di lavoro da contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno. Infatti, detta disposizione è volta unicamente ad escludere che l’opposizione di un lavoratore a una simile trasformazione del proprio contratto di lavoro possa costituire l’unico motivo del suo licenziamento, in assenza di altre ragioni obiettive”.
[12] Le norme che attualmente disciplinano il lavoro intermittente sono recate dagli articoli 33-40 del decreto legislativo n. 276/2003.
[13] In relazione a tale causale, il Ministero del lavoro con la circolare n. 20/2012, ritiene demandata alla contrattazione collettiva anche l'individuazione dei c.d. "periodi predeterminati". Tali periodi si devono collocare nel cd. contenitore/anno, pertanto, non risulta possibile prevedere che il periodo predeterminato sia riferito all'intero anno, ma occorre una precisa delimitazione temporale. Diversamente, i rapporti instaurati si intendono a tempo indeterminato (C.M. n. 7258/2013).
[14] In relazione a tale causale, la L. 92/2012 ha delimitato diversamente, rispetto alla previgente disciplina, anche la causale soggettiva che consente il ricorso al lavoro intermittente. Infatti ora è previsto, ai fini della stipulazione del contratto, che il lavoratore non abbia compiuto i 24 anni (quindi abbia al massimo 23 anni e 364 giorni); oppure abbia più di 55 anni (quindi almeno 55 anni e quindi possono essere anche pensionati).
[15] La circolare del Ministero del lavoro n. 35/2013 ha evidenziato che l'instaurazione del rapporto di lavoro intermittente rimane soggetto ai limiti di carattere oggettivo o soggettivo già individuati dagli articoli. 34 e 40 del D.Lgs. 276/2003, precisando altresì che il conteggio delle prestazioni deve essere effettuato, a partire dal giorno in cui si chiede la prestazione, a ritroso di 3 anni, tenendo conto, tuttavia (ai sensi dell'articolo 7, comma 3, del D.L. 76/2013), solo delle giornate di effettivo lavoro prestate successivamente all'entrata in vigore della disposizione stessa e, quindi, successivamente al 28 giugno 2013 (data di entrata in vigore del D.L. 76/2013).
[16] Ai sensi della circolare INAIL n. 64/2012.
[17] Ai sensi dell’articolo 36 del D.Lgs. 276/2003, l’indennità mensile di disponibilità è divisibile in quote orarie, ed è corrisposta al lavoratore per i periodi nei quali il lavoratore stesso garantisce la disponibilità al datore di lavoro in attesa di utilizzazione. La sua misura è stabilita dai contratti collettivi e comunque non è inferiore alla misura prevista, ovvero aggiornata periodicamente, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Sulla indennità di disponibilità i contributi sono versati per il loro effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in materia di minimale contributivo. Infine, l'indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo.
[18] Le norme che attualmente disciplinano il lavoro a tempo determinato sono recate dal decreto legislativo n.368/2001, di cui l’articolo 46, comma 1, lettera a), dello schema di decreto dispone l’abrogazione (con esclusione dell’articolo 2, relativo alla disciplina speciale per il trasporto aereo e i servizi aeroportuali, di cui l’articolo 46, comma 2, dello schema di decreto prevede l’abrogazione trascorsi diciotto mesi dalla tata della sue entrata in vigore), nonché dalle norme speciali e di interpretazione autentica di cui articolo 3-bis del D.L. 108/2002, all’articolo 32, comma 3, lett. a), della legge n.183/2010 (termini per l’impugnazione del licenziamento), all’articolo 32, commi 5 e 6, della legge n.183/201 (che disciplinano il risarcimento del lavoratore nel caso in cui, a seguito della violazione delle norme relative al contratto di lavoro a tempo determinato, sia prevista la sua trasformazione in contratto a tempo indeterminato) e all’articolo 28, commi 2-6, del D.L. 179/2012 (che recano una specifica disciplina per le assunzioni effettuate da parte delle società start-up innovative con contratti a tempo determinato, anche in somministrazione): anche di tali norme viene disposta l’abrogazione ad opera dell’articolo 46, comma 1, lettere c), d), e), f) e g), dello schema di decreto in esame.
[19] Si tratta del c.d. “tetto”, in quanto i lavoratori a tempo determinato non possono superare il 20%dei lavoratori a tempo indeterminato presenti in azienda.
[20] Ai sensi dell’art. 25, c. 2, del D.L. 179/2012, come modificato da ultimo dal D.L. 3/2015, la start-up innovativa è una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, che possieda specifici requisiti, tra cui: è costituita da non più di 60 mesi; è residente in Italia o in uno degli Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo (in tal caso purché abbia una sede produttiva o una filiale in Italia); ha una produzione annua non superiore a 5 milioni di euro; non distribuisce utili.
[21] In tema di rapporti di lavoro subordinato a termine, anche in somministrazione, nelle start-up innovative, è prevista una disciplina speciale rispetto alla normativa generale vigente in materia (art. 28 del citato D.L. 179/2012): per le nuove assunzioni, nelle start-up è prevista la possibilità di stipulare contratti con una durata variabile da un minimo di 6 mesi ad un massimo di 36 mesi, rinnovabili senza soluzione di continuità (“ferma restando la possibilità di stipulare un contratto a termine di durata inferiore a sei mesi, ai sensi della normativa generale vigente”). In deroga al predetto termine massimo di 36 mesi, è possibile stipulare un nuovo contratto a tempo determinato, tra gli stessi soggetti, per la durata residua rispetto al periodo di 4 anni dalla costituzione della start-up. Decorso il termine massimo di 4 anni il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato
[22] Decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525
[23] Termine a pena di decadenza e decorrente dalla cessazione del contratto.
[24] Si tratta del comma 5, dell’articolo 10, del decreto legislativo n.368/2001.
[25] Articolo 9, comma 1, del decreto legislativo n.368/2001.
[26] Al riguardo si fa presente che la clausola 6 dell'allegato della Direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999 (cui il decreto legislativo n.368/2001 ha dato attuazione) prevede che i "datori di lavoro informano i lavoratori a tempo determinato dei posti vacanti che si rendano disponibili nell'impresa o stabilimento, in modo da garantire loro le stesse possibilità di ottenere posti duraturi che hanno gli altri lavoratori" (la norma europea specifica altresì che tali informazioni possono essere fornite sotto forma di annuncio pubblico, in un luogo adeguato dell'impresa o dello stabilimento).
[27] Articolo 2 del decreto legislativo n.368/2001.
[28] Si tratta dell’ultimo periodo del comma 4-sexies dell’articolo 5 del decreto legislativo n.368/2001.
[29] Si tratta del comma 1, lettera a), dell’articolo 10, del decreto legislativo n.368/2001.
[30] Si tratta del comma 4 dell’articolo 5 del decreto legislativo n,368/2001.
[31] Si ricorda, infatti, che attualmente per il personale delle fondazioni lirico-sinfoniche sono previste una serie di deroghe alla disciplina generale del lavoro a tempo determinato, dall’articolo 11, comma 4, del decreto legislativo n.368/2001, dall’articolo 3, comma 6, del decreto legge n.64/2010 e dall’articolo 40 del decreto-legge n.69/2013. Sarebbe quindi opportuno chiarire se tali deroghe permangono e in quale misura.
[32] Le norme che attualmente disciplinano la somministrazione di lavoro sono recate dagli articoli 20-28 del decreto legislativo n.276/2003. La loro abrogazione è disposta dall’articolo 46, comma 1, lettera b), dello schema di decreto.
[33] Articolo 20, comma 5, del decreto legislativo n.276/2003.
[34] Mentre il limite continua ad applicarsi alle missioni a tempo determinato presso l'utilizzatore, secondo quanto previsto dall’articolo 17, comma 1, secondo periodo, dello schema di decreto legislativo in esame.
[35] Vengono eliminati (articolo 21, comma 1, lettere h, j) e k), del decreto legislativo n.276/2003):
- l’assunzione da parte del somministratore della obbligazione del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico, nonché del versamento dei contributi previdenziali;
- l’assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questa effettivamente sostenuti in favore dei prestatori di lavoro;
- l’assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di comunicare al somministratore i trattamenti retributivi applicabili ai lavoratori comparabili;
- l’assunzione da parte dell'utilizzatore, in caso di inadempimento del somministratore, dell'obbligo del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico nonché del versamento dei contributi previdenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore.
[36] Norma di cui all’articolo 23, comma 7-bis, del decreto legislativo n.276/2003; conseguentemente, l’articolo 46, comma 1, lettera g), dello schema di decreto legislativo in esame, abroga anche l’articolo 3, commi 3 e 3-bis, del decreto legislativo n.276/2003, ove per l'inadempimento di tale obbligo prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.250
[37] Norma di cui all'articolo 23, comma 9-bis, del decreto legislativo n.276/2003.
[38] Norme di cui all’articolo 22, comma 6, del decreto legislativo n.276/2003 e di cui all’articolo 4-bis, comma 3, del decreto legislativo n.181 del 2000.
[39] Norma di cui all’articolo 23, comma 5, del decreto legislativo n.276/2003.
[40] Obblighi confermati dall'articolo 33, comma 4, dello schema di decreto legislativo in esame.
[41] Si ricorda tuttavia che restano, in ogni caso, valide le norme sugli obblighi a carico degli utilizzatori, previste dalla disciplina generale in materia di sicurezza sul lavoro (decreto legislativo n.81/2008, articolo 3, comma 5).
[42] Norma di cui all’articolo 22, comma 3, penultimo periodo, del decreto legislativo n.276/2003.
[43] Disciplina attualmente recata dall’articolo 28 del decreto legislativo n.276/2003.
[44] Tale indennità ristora per intero ogni pregiudizio subito dal lavoratore, con riferimento al periodo compreso tra la data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l’utilizzatore e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la costituzione del rapporto di lavoro.
[45] Si ricorda che il richiamato articolo 36 del D.Lgs. 165/2001 prevede la possibilità, per le amministrazioni pubbliche, di avvalersi, in caso di esigenze di carattere esclusivamente temporaneo ed eccezionale, di contratti flessibili di assunzione e di impiego del personale e demanda ai contratti collettivi nazionali (ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine all’individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalla legge) la disciplina in materia di contratti di lavoro a tempo determinato, di contratti di formazione e lavoro, di altri rapporti formativi, di somministrazione di lavoro (alla quale comunque non è possibile ricorrere per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali) e di lavoro accessorio, in applicazione di quanto previsto dai provvedimenti legislativi riguardanti tali materie, con riferimento alla individuazione dei contingenti di personale utilizzabile.
[46] Secondo la relazione illustrativa al provvedimento, con tali disposizioni si semplifica e si riordina il D.Lgs. 167/2001, allo scopo di perseguire obiettivi quali l’aumento degli strumenti disponibili a contrastare la disoccupazione giovanile; la riduzione, attraverso una più estesa metodologia di apprendimento in contesto lavorativo, del distacco tra scuola e lavoro; il rafforzamento delle competenze tecnico-professionali, di significativa rilevanza per l’economia italiana (creando percorsi tesi al conseguimento di titoli che dall’uscita delle medie inferiori possano portare fino alla formazione terziaria) e l’introduzione di una metodologia di apprendimento esperienziale che favorisca il contrasto alla dispersione scolastica e formativa.
[47] Tali enti, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera h), del D.Lgs. 276/2003 sono gli organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro attraverso: la promozione di una occupazione regolare e di qualità; l'intermediazione nell'incontro tra domanda e offerta di lavoro.
[48] Si ricorda che l’articolo 4, comma 6, del disegno di legge governativo C. 2994, recante la riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti, attualmente all’esame della VII Commissione Cultura della Camera dei deputati, prevede, a decorrere dall’anno scolastico successivo alla data di entrata in vigore della legge, la possibilità per gli studenti, a partire dal secondo anno della scuola secondaria di secondo grado, di svolgere periodi di formazione in azienda attraverso la stipulazione di contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale “anche tenuto conto di quanto previsto dal decreto legislativo di cui all’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”. A tal fine lo stesso comma 6 prevede l’abrogazione del comma 2 dell’art. 8-bis del D.L. 104/2013 - che ha previsto l’avvio di un programma sperimentale per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado, con particolare riferimento a quelli degli istituti professionali, per il triennio 2014-2016, attraverso la stipula di contratti di apprendistato con oneri a carico delle imprese interessate - facendo però salvi, fino alla loro conclusione, i programmi sperimentali già attivati.
Dunque, mentre la sperimentazione avviata sulla base del D.L. 104/2013 riguarda studenti degli ultimi due anni di scuola secondaria di secondo grado e ha previsto l’attivazione di contratti di apprendistato di alta formazione, la nuova disciplina riguarderà gli studenti a partire dal secondo anno del medesimo grado di istruzione e prevederà l’attivazione di contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale (ovvero, di contratti di apprendistato per la qualifica, la specializzazione e il diploma professionale che, tuttavia, come si è visto, dovrebbero riguardare studenti iscritti al IV e V anno degli istituti tecnici e professionali).
[49] Si fa presente che attualmente l’articolo 3, comma 2-ter, del D.Lgs. 167/2011, riconosce all’apprendista (fatta salva l'autonomia della contrattazione collettiva, in considerazione della componente formativa del contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale) una retribuzione che tenga conto delle ore di lavoro effettivamente prestate nonché delle ore di formazione almeno nella misura del 35% del relativo monte ore complessivo.
[50] II D.Lgs. 13/2013, emanato in attuazione dell’articolo 4, commi 58 e 68, della L. 92/2012, ha definito le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni per l'individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali nonché degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze. In particolare, l’articolo 8 ha istituito il repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali, che costituisce il quadro di riferimento unitario per la certificazione delle competenze, da realizzarsi attraverso la progressiva standardizzazione degli elementi essenziali (anche descrittivi) dei titoli di istruzione e formazione, compresi quelli di istruzione e formazione professionale, nonché delle qualificazioni professionali mediante la loro correlabilità, anche tramite un sistema condiviso di riconoscimento di crediti formativi in chiave europea.
[51] L’articolo 8-bis, comma 2, del D.L. 104/2013 ha demandato ad uno specifico decreto interministeriale l’avvio di un programma sperimentale (per il triennio 2014-2016) per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi 2 anni delle scuole secondarie di secondo grado. Il programma deve contemplare la stipulazione di contratti di apprendistato che, ai fini del programma sperimentale, possono essere stipulati anche in deroga ai limiti di età stabiliti dall'articolo 5 D.Lgs. 167/2011 (tra 18 e 29 anni), con particolare riguardo agli studenti degli istituti professionali, ai fini della loro formazione e valorizzazione professionale, nonché del loro inserimento nel mondo del lavoro, con oneri a carico delle imprese interessate e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Lo stesso decreto definisce altresì la tipologia delle imprese che possono partecipare al programma, i loro requisiti, il contenuto delle convenzioni che devono essere concluse tra le istituzioni scolastiche e le imprese, i diritti degli studenti coinvolti, il numero minimo delle ore di didattica curriculare e i criteri per il riconoscimento dei crediti formativi. Con il D.I. n. 473 del 17 giugno 2014 sono state individuate l’oggetto, i soggetti e le finalità del programma sperimentale.
Merita peraltro ricordare che l’articolo 4, comma 6, del disegno di legge governativo C. 2994, (recante la riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), attualmente all’esame della VII Commissione Cultura della Camera dei deputati, prevede, a decorrere dall’anno scolastico successivo alla data di entrata in vigore della legge, la possibilità per gli studenti, a partire dal secondo anno della scuola secondaria di secondo grado, di svolgere periodi di formazione in azienda attraverso la stipulazione di contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale “anche tenuto conto di quanto previsto dal decreto legislativo di cui all’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”. A tal fine lo stesso comma 6 prevede l’abrogazione del comma 2 dell’art. 8-bis del D.L. 104/2013
[52] II D.Lgs. 13/2013, emanato in attuazione dell’articolo 4, commi 58 e 68, della L. 92/2012, ha definito le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni per l'individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali nonché degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze. In particolare, l’articolo 8 ha istituito il repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali, che costituisce il quadro di riferimento unitario per la certificazione delle competenze, da realizzarsi attraverso la progressiva standardizzazione degli elementi essenziali (anche descrittivi) dei titoli di istruzione e formazione, compresi quelli di istruzione e formazione professionale, nonché delle qualificazioni professionali mediante la loro correlabilità, anche tramite un sistema condiviso di riconoscimento di crediti formativi in chiave europea.
[53] Al riguardo si fa presente che sulla medesima materia sembra intervenire anche il decreto di cui all’articolo 41, comma 6, dello schema di decreto in esame, ponendo l’esigenza di un coordinamento tra i due atti.
[54] Nella formulazione introdotta dalla L. 92/2012, l'obbligo riguardava i datori di lavoro con più di 9 dipendenti e la percentuale degli apprendisti da confermare doveva essere almeno del 50%.
[55] Inoltre il D.L. 34/2014 ha abrogato il comma 3-ter dell’articolo 2, che prevedeva che tali disposizioni non si applicassero nei confronti dei datori di lavoro che occupassero alle loro dipendenze un numero di lavoratori inferiore a 10 unità.
[56] Alla lett. a) vengono eliminate le parole “ovvero alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni”;
[57]
La giurisprudenza di legittimità ha stabilito che
la continuità della prestazione
ricorra nel caso in cui vi sia una connessione funzionale derivante dalla non
occasionalità ma perdurante nel tempo e che comporti un impegno costanti del
prestatore a favore del committente (v. Cass., sentenze 7625/1996, 8033/1997,
12368/1997, 3485/2001). Va però rilevato che la stessa giurisprudenza – più
recente - ha sostenuto l’irrilevanza qualificatoria della durata delle
prestazioni e, quindi, dell’indice della continuità richiesto dalla novella
(Cass., sentenze 21031/2008 e 58/2009).
[58] Al riguardo, occorre segnalare come la giurisprudenza più recente abbia considerato come principale il criterio dell’etero-organizzazione, ritenendolo di per sé idoneo alla configurazione della natura subordinata delle prestazioni (v. Cass., sentenze 13829/2013 e 1318/2014). Più specificamente, la sentenza n. 13829/2013 ha stabilito che l'elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è “il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione, pur avendo natura meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire indici rivelatori della subordinazione, idonei anche a prevalere sull'eventuale volontà contraria manifestata dalle parti, ove incompatibili con l'assetto previsto dalle stesse (come già affermato da Cass., sentenza n. 5645/2009).
[59] Al riguardo si fa presente che il comma 1 dell'articolo 61del decreto legislativo n.276/2003 fa salva la disciplina delle attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call center “outbound” per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento. La disposizione dell'articolo 47, comma 2, sembra quindi analoga a quella vigente, prestandosi peraltro a un'estensione ad altri settori diversi dai call center.
[60] Il DPR 137 del 2012
(regolamento di delegificazione di riforma degli ordinamenti professionali,
adottato ai sensi dell’art. 3 del DL 138/2011) definisce la professione
regolamentata come l'attività o l'insieme delle attività, riservate o meno, il
cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in ordini o collegi,
quando l'iscrizione è subordinata al possesso di qualifiche professionali o
all'accertamento di specifiche professionalità (art. 1). Peraltro, se il
concetto stesso di ordine (o collegio) professionale implica quale necessario
presupposto quello di un albo, vi sono albi, ruoli, registri ed elenchi tenuti
da ministeri o altre pubbliche amministrazioni cui non sovrintende alcun ordine
professionale: in questi casi, i ruoli hanno generalmente una mera funzione
informativa. L’art. 2 del DPR 137 stabilisce che l'esercizio della professione
è libero e fondato sull'autonomia e indipendenza di giudizio, intellettuale e
tecnico. La formazione di albi la cui iscrizione legittimi
esercizio dell'attività professionale fondato su specializzazioni ovvero titoli
o esami ulteriori rispetto alla laurea (come l’esame di Stato) è ammessa solo
su previsione espressa di legge. E’ quindi la stessa legge
a determinare le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è
necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi (art. 2229 c.c.). Tale necessità
è generalmente collegata alla particolare delicatezza dell’attività
professionale ed ai suoi risvolti pubblicistici nonchè di tutela della salute.
L'albo adempie, inoltre, ad una funzione di certezza legale circa il numero e
la condizione degli iscritti e a quella di garanzia circa il possesso delle
qualità richieste per l'attività professionale; nei confronti del singolo
professionista.
[61] La disciplina delle società e associazioni sportive dilettantistiche è recata dall’art.
90 della L. 289/2002, il cui co. 17 – come successivamente modificato dall’art.
4 del D.L. 72/2004 (L. 128/2004) – specifica che esse possono assumere una
delle seguenti forme: associazione sportiva priva di personalità giuridica
(artt. 36 e ss. c.c).; associazione sportiva con personalità giuridica di
diritto privato (DPR 361/2000); società sportiva di capitali o cooperativa
senza scopo di lucro. Il co. 18 – anch’esso modificato dall’art. 4 del D.L.
72/2004 – dispone che lo statuto deve espressamente prevedere, tra l’altro, l'assenza
di fini di lucro e che i proventi delle attività non possono, in nessun caso,
essere divisi fra gli associati, anche in forme indirette. L’unico organismo
certificatore della effettiva attività sportiva svolta dalle società e dalle
associazioni dilettantistiche, ossia l’unico soggetto che può riconoscerle a
fini sportivi, è il CONI, come ha confermato l’art. 7 del D.L. 136/2004 (L.
186/2004). A tal fine, nonché allo scopo di trasmettere annualmente all’Agenzia
delle entrate l'elenco delle società e delle associazioni sportive
dilettantistiche riconosciute, il CONI ha istituito un registro telematico,
soggetto a verifica annuale (delibera del Consiglio Nazionale n. 1288 dell’11
novembre 2004, successivamente modificata dalla delibera del Consiglio Nazionale
n. 1394 del 19 giugno 2009). Al registro possono essere iscritte le
associazioni e le società sportive dilettantistiche affiliate a federazioni
sportive nazionali o a discipline sportive associate e/o a enti di promozione
sportiva.
Con riferimento alle federazioni sportive nazionali e alle discipline sportive associate, si ricorda che le stesse (art. 15
del d.lgs. 242/1999) hanno natura di associazione con personalità giuridica di
diritto privato. Esse svolgono l'attività sportiva in armonia con le deliberazioni
delle federazioni internazionali e del CONI; non perseguono fini di lucro e
sono soggette, per quanto non espressamente previsto dal d.lgs. citato, alla
disciplina recata dal codice civile. A fini sportivi, esse sono riconosciute
dal Consiglio nazionale.
Le discipline sportive associate sono
strutturate come le federazioni, ma, diversamente da queste, sono preposte al
governo ed all’organizzazione di discipline sportive non olimpiche.
Gli enti
di promozione sportiva sono organizzazioni polisportive d’importanza
nazionale che svolgono attività di diffusione e promozione dello sport: la
qualifica viene riconosciuta dal CONI (art. 32, co. 2, del DPR 157/1986) e ne
consegue l’attribuzione di contributi. In base allo Statuto del CONI e al
Regolamento degli enti di promozione sportiva, gli enti di promozione sportiva
– che, per statuto, non hanno fini di lucro – si distinguono in enti nazionali
e enti su base regionale. In particolare, per il riconoscimento a livello
nazionale, è necessario avere un numero di società o associazioni sportive
dilettantistiche affiliate non inferiore a 1.000, con un numero di iscritti
tesserati non inferiore a 100.000.
[62] Si ricorda che è attualmente in discussione al
Senato il disegno di legge governativo AS 1577, recante una serie di deleghe
legislative per la riorganizzazione della Pubblica amministrazione.
[63] Dall'entrata in vigore del D.Lgs. 276/2003 (24
ottobre 2003) i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa devono
essere, nel settore privato, sempre instaurati con riferimento ad uno o più
progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, altrimenti sono
considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data
di costituzione del rapporto. Fanno eccezione le collaborazioni "marginali"
(ossia le prestazioni occasionali di cui all'articolo 61, comma 2, D.Lgs.
276/2003) e i rapporti instaurati con soggetti appartenenti a categorie
specificamente individuate dalla legge (articolo 61, comma 3, del D.Lgs.
276/2003). In seguito a ciò, le collaborazioni coordinate e collaborative sono
rimaste attive solamente nel settore pubblico.
[64] E ricondotte "agli uffici di
amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni e altri enti con o
senza personalità giuridica, alla collaborazione a giornali, riviste,
enciclopedie e simili, alla partecipazione a collegi e commissioni, nonché
quelli percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per
oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a
favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e
continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica
prestabilita, sempreché gli uffici o le collaborazioni non rientrino nei
compiti istituzionali compresi nell'attività di lavoro dipendente di cui
all'articolo 49, comma 1, o nell'oggetto dell'arte o professione di cui
all'articolo 53, comma 1, esercitate dal contribuente".
[65] Si tratta, secondo anche le intenzioni del “Libro Bianco”, di una reazione a prassi affermatesi negli anni precedenti, allorquando il ricorso alla collaborazione coordinata e continuativa spesso ha nascosto rapporti di lavoro subordinato, al fine di eludere i conseguenti costi e le garanzie ad esso connesse. L’intenzione del legislatore non è stata solamente quella di proteggere il lavoratore, ma anche quella di limitare la distorsione della concorrenza tra imprese che sono determinate dall’utilizzo improprio delle collaborazioni e di garantire un incremento del gettito contributivo per l’I.N.P.S., a seguito dell’emersione del lavoro falsamente atipico.
[66] L’articolo 7, comma 2-bis, del D.L. 76/2013, con riferimento alle attività realizzate dai call-center “outbound” (escluse dall’ambito applicativo del lavoro a progetto ai sensi dell’articolo 61 del D.Lgs. 276/2003 e disciplinate dai contratti collettivi nazionali di riferimento), ha disposto, con una norma di interpretazione autentica, che l'espressione ''vendita diretta di beni e di servizi'' si interpreta nel senso di ricomprendere sia le attività di vendita diretta di beni, sia le attività di servizi.
[67] L’articolo 7, comma 2, lettere c) e d), e l’articolo 7, comma 2-bis, del D.L. 76/2013 hanno apportato alcune modifiche agli articoli 61 e 62 del D.Lgs. 276/2003. In particolare, con riferimento alle ipotesi in cui è vietato stipulare contratti a progetto, è stata modificata la norma che esclude il ricorso all'istituto del lavoro a progetto per lo svolgimento di "compiti meramente esecutivi o ripetitivi", riformulando la locuzione in forma congiuntiva "compiti meramente esecutivi e ripetitivi" (con l’effetto quindi di restringere l’ampiezza del divieto).
[68] Da tale previsione sono escluse le prestazioni meramente occasionali , cioè i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare ovvero, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, non superiore a 240 ore, con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5.000 euro (articolo 61, comma 2), i quali sono regolamentati dall’apposita disciplina contenuta nello stesso provvedimento. Pertanto vengono fissati due criteri alternativi, uno correlato alla durata della prestazione nei confronti dello stesso committente, l’altro correlato all’ammontare del corrispettivo, che servono a distinguere le prestazioni meramente occasionali dalle collaborazioni coordinate e continuative vere e proprie, che vengono disciplinate dalle disposizioni sul lavoro a progetto. Sono altresì escluse dal campo di applicazione della disciplina del lavoro a progetto anche le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi.
[69] Sedi di cui all’articolo 2113, comma 4, del codice civile, e all’articolo 76 del D.Lgs. 276/2003. Ai sensi dell’articolo 2113 c.c., il lavoratore può liberamente rinunciare ai diritti pattuiti con il datore di lavoro nel proprio contratto individuale concernenti le controversie di lavoro, a condizione che tali diritti non derivino da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi.
Il D.Lgs. 276/2003, conseguentemente all’introduzione delle nuove tipologie di lavoro flessibile, ha previsto un’apposita procedura di certificazione volontaria del contratto stipulato tra le parti, al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro, in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria stabilita dalla legge (articolo 75). Tale procedura, che sulla base delle modifiche apportate dal successivo D.Lgs. 6 ottobre 2004, n. 251, trova applicazione nei confronti di tutti i contratti e si attiva presso specifiche Commissioni di certificazione, sostanzialmente attribuisce piena forza legale al contratto, escludendo la possibilità di ricorso in giudizio se non in caso di erronea qualificazione del contratto, difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione o vizi del consenso e mantenendo la sua efficacia giuridica fino all’accoglimento di uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili.
Possono svolgere la procedura di certificazione, che è volontaria e consegue necessariamente a una istanza scritta comune delle parti del contratto di lavoro (articolo 78), le Commissioni di certificazione istituite presso (articolo 76):
· gli enti bilaterali costituiti su iniziativa di associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentativi. Tali enti possono altresì certificare le rinunzie e le transazioni di cui all’articolo 2113 c.c. (articolo 82);
· le Direzioni provinciali del lavoro, secondo quanto stabilito da apposito decreto del Ministro del lavoro;
· le Università, pubbliche e private, esclusivamente nell’ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo, ai sensi dell’articolo 66 del D.P.R. 382/1980;
· il Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, esclusivamente nei casi in cui il datore di lavoro abbia le proprie sedi di lavoro in almeno due province anche di regioni diverse, ovvero per quei datori di lavoro con unica sede di lavoro associati ad organizzazioni imprenditoriali che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificati dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del lavoro, nell'ambito delle risorse umane e strumentali già operanti presso la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro. In questo caso le commissioni di certificazione istituite presso le DPL e le province limitano la loro funzione alla ratifica di quanto certificato dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero stesso. In questo caso, le commissioni di certificazione istituite presso le direzioni provinciali del lavoro e le province limitano la loro funzione alla ratifica di quanto certificato dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
· i consigli provinciali dei consulenti del lavoro di cui alla L. 12/1979, esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell’ambito territoriale di riferimento e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e comunque unicamente nell’ambito di intese definite tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, con l’attribuzione, a quest’ultimo delle funzioni di coordinamento e vigilanza per gli aspetti organizzativi.
Tali sedi di certificazione svolgono anche funzioni di consulenza ed assistenza effettiva alle parti del contratto di lavoro (articolo 81).
L’articolo 78 disciplina il procedimento di certificazione, che è volontario e richiede una istanza scritta delle parti del contratto di lavoro. In particolare le procedure di certificazione sono determinate all’atto della costituzione delle commissioni di certificazione dalle Direzioni provinciali del lavoro, dagli enti bilaterali e dalle Università (pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie). Tali procedure, inoltre, sono svolte nel rispetto dei codici di buone pratiche, nonché di specifici principi.
Gli effetti della certificazione del contratto di lavoro permangono, anche verso i terzi, fino al momento dell’accoglimento, con sentenza di merito, di uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili, fatti salvi i provvedimenti cautelari. Gli stessi effetti, inoltre, nel caso di contratti in corso di esecuzione, si producono dal momento di inizio del contratto, ove la commissione abbia appurato che l’attuazione del medesimo è stata, anche nel periodo precedente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto appurato in tale sede. In caso di contratti non ancora sottoscritti dalle parti, gli effetti si producono soltanto ove e nel momento in cui queste ultime provvedano a sottoscriverli, con le eventuali integrazioni e modifiche suggerite dalla commissione adita.
Nei confronti dell’atto di certificazione le parti e i terzi interessati dagli effetti dello stesso possono proporre ricorso, presso il tribunale con funzioni del giudice del lavoro, per vizi del consenso, erronea qualificazione del contratto, oppure difformità tra il programma negoziale certificato e la sua attuazione. Tuttavia, chiunque intenda presentare ricorso giurisdizionale contro la certificazione, deve obbligatoriamente rivolgersi alla commissione di certificazione che ha adottato l’atto di certificazione per espletare un tentativo di obbligatorio di conciliazione, ai sensi dell’articolo 410 c.p.c. (articoli 79 e 80). L’accertamento giurisdizionale per erroneità della qualificazione ha effetto dal momento della conclusione dell’accordo contrattuale, mentre l’accertamento per difformità ha effetto a decorrere dal momento in cui la sentenza accerta l’inizio della difformità. Il giudice del lavoro, inoltre, terrà conto del comportamento complessivo tenuto dalle parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro e di definizione della controversia dinanzi alla commissione di certificazione, ai fini di quanto previsto dagli articoli. 9, 92 e 96 c.p.c..
Inoltre, le parti possono presentare ricorso contro l'atto certificatorio, dinnanzi al tribunale amministrativo regionale nella cui giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto, per violazione del procedimento o per eccesso di potere.
Infine, la disciplina in questione prevede ulteriori ipotesi in cui si può far ricorso alle procedure di certificazione: rinunce e transazioni del lavoratore (articolo 82), deposito del regolamento interno delle cooperative (articolo 83), stipulazione di appalto e attuazione del relativo programma negoziale anche ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto (articolo 84).
[70] Legge di riforma del mercato del lavoro (c.d. Legge Fornero). L’articolo
[71] In base alle modifiche recate dall’articolo 46-bis, comma 1, lettera c), del D.L. 83/2012.
[72] In base alle modifiche recate dall’articolo 46-bis, comma 1, lettera c), del D.L. 83/2012.
[73] Per quanto riguarda la normativa sul lavoro a progetto si rinvia alla scheda relativa all’articolo 1, commi 23-25, del presente dossier.
[74] “Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi”.
[75] Termine così prorogato dall’articolo 1, comma 133, della L. 147/2013.
[76] Termine così prorogato dall’articolo 1, comma 133, della L. 147/2013.
[77] Come precisato dalla circolare 2/2001 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per anno civile si intende il periodo compreso tra il 1 gennaio e il 31 dicembre di ogni anno, mentre per anno solare si intende il periodo di 365 giorni che decorre da un qualsiasi giorno dell’anno. La disposizione conferma l’interpretazione del MLPS e dell’INPS che, con la circolare 176 del 18 dicembre 2013, specifica che, nell’ambito del lavoro accessorio, per anno solare deve intendersi il periodo dal 1° gennaio al 31 dicembre
[78] Come attualmente previsto dal DM del 12 marzo 2008.
[79] L’unica relazione sull’andamento del lavoro occasionale, aggiornata al 30 giugno 2012, è stata trasmessa il 12 febbraio 2013 (Doc. XXVII n. 43).
[80] Si ricorda che il richiamato articolo 36 del D.Lgs. 165/2001 prevede la possibilità, per le amministrazioni pubbliche, di avvalersi, in caso di esigenze di carattere esclusivamente temporaneo ed eccezionale, di contratti flessibili di assunzione e di impiego del personale e demanda ai contratti collettivi nazionali (ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine all’individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalla legge) la disciplina in materia di contratti di lavoro a tempo determinato, di contratti di formazione e lavoro , di altri rapporti formativi, di somministrazione di lavoro (alla quale comunque non è possibile ricorrere per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali) e di lavoro accessorio, in applicazione di quanto previsto dai provvedimenti legislativi riguardanti tali materie, con riferimento alla individuazione dei contingenti di personale utilizzabile.
[81] L’articolo 7, comma 2, lettera e), del D.L. 76/2013 ha escluso la condizione che disponeva che le prestazioni di lavoro accessorio dovessero avere “natura meramente occasionale”.
[82] Tale D.M. ha anche annullato i DD.MM. 30 settembre 2005 e 1° marzo 2006 (modificativo ed integrativo del D.M. 30 settembre 2005).
[83] Tale comma, aggiunto dall’articolo 1-bis, comma 1, lettera f), del D.L. 35/2005, è stato da ultimo così modificato dall’articolo 7, comma 2, lettera f), del D.L. 76/2013, che contestualmente ha anche soppresso la previsione (contenuta nel testo originario) che, nell'ambito dell'impresa familiare (di cui all’articolo 230-bis c.c.), trovasse applicazione la normale disciplina contributiva e assicurativa del lavoro subordinato.
[84] L’articolo 2013 c.c., nel testo attualmente vigente, è stato introdotto dall’articolo 13 della legge n.300 del 1970 (Statuto dei lavoratori).
[85] Rispetto alla normativa vigente la differenza sostanziale consisterebbe nel fatto che il giudice non potrebbe più eccepire la non equivalenza delle mansioni quando queste rientrino nell’ambito dello stesso livello di inquadramento.
[86] La formulazione della norma porta a ritenere che il mutamento delle mansioni sia ammissibile solo con riferimento al livello di inquadramento immediatamente inferiore (diversamente da quanto previsto al comma 6, relativamente al mutamento di mansioni per effetto della stipula di accordi individuali tra datore di lavoro e lavoratore presso sedi assistite).
[87] Si fa presente che il testo vigente dell’articolo 2103 C.c. prevede che non debba “esservi alcuna diminuzione della retribuzione”.
[88] Sedi di cui all’articolo 2113, comma 4, del codice civile, e all’articolo 76 del D.Lgs. 276/2003. Ai sensi dell’articolo 2113, comma 4, c.c., il lavoratore può liberamente rinunciare ai diritti pattuiti con il datore di lavoro nel proprio contratto individuale concernenti le controversie di lavoro, a condizione che tali diritti non derivino da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi.
Il D.Lgs. 276/2003, conseguentemente all’introduzione delle nuove tipologie di lavoro flessibile, ha previsto un’apposita procedura di certificazione volontaria del contratto stipulato tra le parti, al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro, in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria stabilita dalla legge (articolo 75). Tale procedura sostanzialmente attribuisce piena forza legale al contratto, escludendo la possibilità di ricorso in giudizio se non in caso di erronea qualificazione del contratto, difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione o vizi del consenso e mantenendo la sua efficacia giuridica fino all’accoglimento di uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili. Possono svolgere la procedura di certificazione, che è volontaria e consegue necessariamente a una istanza scritta comune delle parti del contratto di lavoro (articolo 78), le Commissioni di certificazione istituite presso (articolo 76):
· gli enti bilaterali costituiti su iniziativa di associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentativi. Tali enti possono altresì certificare le rinunzie e le transazioni di cui all’articolo 2113 c.c. (articolo 82);
· le Direzioni provinciali del lavoro, secondo quanto stabilito da apposito decreto del Ministro del lavoro;
· le Università, pubbliche e private, esclusivamente nell’ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo, ai sensi dell’articolo 66 del D.P.R. 382/1980;
· il Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, esclusivamente nei casi in cui il datore di lavoro abbia le proprie sedi di lavoro in almeno due province anche di regioni diverse, ovvero per quei datori di lavoro con unica sede di lavoro associati ad organizzazioni imprenditoriali che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificati dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del lavoro, nell'ambito delle risorse umane e strumentali già operanti presso la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro. In questo caso le commissioni di certificazione istituite presso le DPL e le province limitano la loro funzione alla ratifica di quanto certificato dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero stesso. In questo caso, le commissioni di certificazione istituite presso le direzioni provinciali del lavoro e le province limitano la loro funzione alla ratifica di quanto certificato dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
· i consigli provinciali dei consulenti del lavoro di cui alla L. 12/1979, esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell’ambito territoriale di riferimento e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e comunque unicamente nell’ambito di intese definite tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, con l’attribuzione, a quest’ultimo delle funzioni di coordinamento e vigilanza per gli aspetti organizzativi.
Tali sedi di certificazione svolgono anche funzioni di consulenza ed assistenza effettiva alle parti del contratto di lavoro (articolo 81).
L’articolo 78 disciplina il procedimento di certificazione, che è volontario e richiede una istanza scritta delle parti del contratto di lavoro. In particolare le procedure di certificazione sono determinate all’atto della costituzione delle commissioni di certificazione dalle Direzioni provinciali del lavoro, dagli enti bilaterali e dalle Università (pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie). Tali procedure, inoltre, sono svolte nel rispetto dei codici di buone pratiche, nonché di specifici principi.
Gli effetti della certificazione del contratto di lavoro permangono, anche verso i terzi, fino al momento dell’accoglimento, con sentenza di merito, di uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili, fatti salvi i provvedimenti cautelari. Gli stessi effetti, inoltre, nel caso di contratti in corso di esecuzione, si producono dal momento di inizio del contratto, ove la commissione abbia appurato che l’attuazione del medesimo è stata, anche nel periodo precedente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto appurato in tale sede. In caso di contratti non ancora sottoscritti dalle parti, gli effetti si producono soltanto ove e nel momento in cui queste ultime provvedano a sottoscriverli, con le eventuali integrazioni e modifiche suggerite dalla commissione adita.
Nei confronti dell’atto di certificazione le parti e i terzi interessati dagli effetti dello stesso possono proporre ricorso, presso il tribunale con funzioni del giudice del lavoro, per vizi del consenso, erronea qualificazione del contratto, oppure difformità tra il programma negoziale certificato e la sua attuazione. Tuttavia, chiunque intenda presentare ricorso giurisdizionale contro la certificazione, deve obbligatoriamente rivolgersi alla commissione di certificazione che ha adottato l’atto di certificazione per espletare un tentativo di obbligatorio di conciliazione, ai sensi dell’articolo 410 c.p.c. (articoli 79 e 80). L’accertamento giurisdizionale per erroneità della qualificazione ha effetto dal momento della conclusione dell’accordo contrattuale, mentre l’accertamento per difformità ha effetto a decorrere dal momento in cui la sentenza accerta l’inizio della difformità. Il giudice del lavoro, inoltre, terrà conto del comportamento complessivo tenuto dalle parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro e di definizione della controversia dinanzi alla commissione di certificazione, ai fini di quanto previsto dagli articoli. 9, 92 e 96 c.p.c..
Inoltre, le parti possono presentare ricorso contro l'atto certificatorio, dinnanzi al tribunale amministrativo regionale nella cui giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto, per violazione del procedimento o per eccesso di potere.
Infine, la disciplina in questione prevede ulteriori ipotesi in cui si può far ricorso alle procedure di certificazione: rinunce e transazioni del lavoratore (articolo 82), deposito del regolamento interno delle cooperative (articolo 83), stipulazione di appalto e attuazione del relativo programma negoziale anche ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto (articolo 84).
[89] La formulazione della norma porta a ritenere che (diversamente da quanto previsto ai commi 2 e 4) il mutamento delle mansioni sia ammissibile anche con riferimento a livelli di inquadramento non immediatamente inferiori.
[90] Articolo 1, comma 7, lettera e), della legge n.183/2014.
[91] L’articolo 8 del decreto-legge n.138/2011 ha introdotto il principio che i contratti collettivi di lavoro aziendali o territoriali possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati (a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario di rappresentanza sindacale) finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività. Per essere efficaci tali contratti devono essere sottoscritti dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda in base alla legge e agli accordi confederali vigenti (compreso quello del 28 giugno 2011). In specifiche materie, le intese possano prevedere deroghe alle norme di fonte pubblica o contrattuale, fermo restando il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro. Si tratta delle materie concernenti: gli impianti audiovisivi e l’introduzione di nuove tecnologie; le mansioni del lavoratore; la classificazione e inquadramento del personale; i contratti a termine, i contratti a orario ridotto, modulato o flessibile; il regime della solidarietà negli appalti e i casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; la disciplina dell’orario di lavoro; le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese la trasformazione e conversione dei contratti di lavoro ed il recesso dal rapporto di lavoro, tranne alcune specifiche eccezioni (es. licenziamento discriminatorio e licenziamento nel periodo della maternità). Merita peraltro ricordare che la novità legislativa (nel frattempo ritenuta costituzionalmente legittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 221 del 2012) è stata accolta con freddezza dalle parti sociali, le quali, nel ribadire che le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate all’autonoma determinazione delle parti, si sono impegnate (con una postilla del 21 settembre 2012) “ad attenersi all’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, applicandone compiutamente le norme e facendo sì che le rispettive strutture a tutti i livelli si attengano a quanto concordato”. L’unitaria presa di posizione delle parti sociali (le quali, in sostanza, hanno dichiarato che non intendono avvalersi delle nuove opportunità offerte dal legislatore attraverso l’articolo 8 del D.L. 138/2011) ha fatto sì che la concreta attuazione della norma a livello aziendale e territoriale sia rimasta alquanto limitata.
[92] Sulla base di quanto disposto dal citato art. 2103 C.C., nel caso di assegnazione a mansioni di livello superiore, il dipendente ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta e l'assegnazione stessa diventa definitiva (se non ha avuto luogo per sostituzione di un lavoratore assente e con diritto alla conservazione del posto) dopo un periodo fissato dai contratti collettivi e, in ogni caso, non superiore a tre mesi.
[93] Si ricorda che la normativa vigente prevede, in casi particolari, alcune deroghe ai limiti posti dall’articolo 2103 c.c., tra cui:
· l’art. 4, comma 4, L. 68/1999, il quale ammette che il lavoratore possa essere adibito a mansioni inferiori qualora sia divenuto inabile a seguito di infortunio o malattia, con il riconoscimento del diritto alla conservazione del trattamento più favorevole corrispondente alle mansioni di provenienza;
· l’articolo 7 del Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (D.Lgs. 151/2001), il quale prevede che la lavoratrice in gravidanza sia adibita a mansioni inferiori rispetto a quelle di assunzione nel caso in cui queste siano ricomprese tra le mansioni a rischio o comunque interdette in relazione allo stato della lavoratrice, che conserva la retribuzione e la qualifica corrispondenti alle mansioni precedentemente svolte;
· l’art. 4 comma 11, della L. 223/1991, il quale stabilisce che gli accordi sindacali stipulati nel corso delle procedure di mobilità possano stabilire l’assegnazione dei lavoratori in esubero, in deroga a quanto disposto dal secondo comma dell’art. 2103 c.c., a mansioni diverse e quindi anche inferiori (allo scopo, appunto, di evitare il licenziamento).
[94] Ossia in eccedenza all’esito dei processi di riorganizzazione volti al contenimento delle spese di personale.
[95] Altri esempi sono costituiti dall’articolo 101 del CCNL 23 luglio 2008 per i dipendenti da aziende del terziario della distribuzione e dei servizi (vigenza 1° gennaio 2007-31 dicembre 2010), nonché dagli articoli 44-46 del CCNL del commercio (imprese aventi tra 15 e 50 dipendenti) del 28 settembre 2009 (vigenza 1° ottobre 2009-30 settembre 2012), che tra l’altro precisa (articolo 46) che l’inquadramento dei cd. lavoratori jolly (cioè i lavoratori senza specifica mansione utilizzati per mansioni tecnicamente diverse), debba essere “al livello immediatamente superiore a quello delle generalità delle singole mansioni svolte”.
[96] In questo senso: Cass. 7 febbraio 2005, 2375; Cass. 13 ottobre 2004, n. 2024; Cass. 5 ottobre 2000, n. 10339; Cass. 9 marzo 2004, n. 4790 e ML interpello n. 39/2011.
[97] In questo senso: Cass. 25 novembre 2010, n. 23926; Cass. 19 agosto 2009, n. 18387; Cass. 22 agosto 2006, n. 18269.
[98] Al riguardo si ricorda che parte di tali risorse sono state già in parte impegnate per la copertura finanziaria del decreto legislativo n. 22/2015 (ossia del primo decreto legislativo attuativo della legge delega n.183/2014, relativo agli ammortizzatori sociali, il quale prevede che agli oneri derivanti dagli articoli da 1 a 15, valutati in 751 milioni di euro per l'anno 2015, 1.574 milioni di euro per l'anno 2016, 1.902 milioni di euro per l'anno 2017, 1.794 milioni di euro per l'anno 2018, 1.707 milioni di euro per l'anno 2019, 1.706 milioni di euro per l'anno 2020, 1.709 milioni di euro per l'anno 2021, 1.712 milioni di euro per l'anno 2022, 1.715 milioni di euro per l'anno 2023 e 1.718 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2024, nonché agli oneri derivanti dagli articoli 16 e 17, pari a 232 milioni di euro per l'anno 2015 e a 200 milioni di euro per l'anno 2016, si provvede, quanto a 114 milioni di euro per l'anno 2015, a valere sulle risorse di cui all'articolo 15, comma 14 (ossia sulle risorse già previste per il finanziamento della tutela del sostegno al reddito dei collaboratori coordinati e continuativi di cui all'articolo 19, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185) e, per la restante parte, mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all'articolo 1, comma 107, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
[99] Il Fondo sociale per l’occupazione e la formazione è stato istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro dall’articolo 18 comma 1, lettera a), del D.L. 185/2008, con quota parte delle risorse nazionali disponibili sul Fondo aree sottoutilizzate (ora Fondo sviluppo e coesione), le quali sono state destinate alle attività di apprendimento, nonché di sostegno al reddito. In tale Fondo confluiscono ora le risorse del Fondo per l'occupazione nonché le risorse comunque destinate al finanziamento degli ammortizzatori sociali concessi in deroga alla normativa vigente e quelle destinate in via ordinaria dal CIPE alla formazione.
[100] Tale disposizione è in linea con l’articolo 1, comma 15, della legge delega (legge n.183/2014), il quale prevede che i decreti legislativi di attuazione entrino in vigore il giorno successivo a quello della loro pubblicazione in Gazzetta ufficiale.