Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari
Titolo: Legge di delegazione europea 2016 - A.S. 2834
Serie: Progetti di legge    Numero: 583
Data: 13/06/2017
Organi della Camera: XIV - Politiche dell'Unione europea
Altri riferimenti:
AS N. 283/XVII     

A.S. n. 2834

 

Legge di delegazione europea 2016

 

Schede di lettura

giugno 2017


 

 

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Dossier n. 504

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Progetti di legge n. 583

 

 

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I N D I C E

 

 

Premessa. 5

Schede di lettura

Schede di lettura. 13

Articolo 1 (Delega al Governo per l'attuazione di direttive europee) 15

Articolo 2 (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell’Unione europea) 19

Articolo 3 (Delega al Governo per l’attuazione della Direttiva (UE) 2015/2436 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, nonché per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento (UE) n. 2424/2015 sul marchio europeo) 23

Articolo 4 (Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 gennaio 2016, sulla distribuzione assicurativa) 37

Articolo 5 (Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/425 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio) 43

Articolo 6 (Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/426 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sugli apparecchi che bruciano carburanti gassosi e che abroga la direttiva 2009/142/CE) 47

Articolo 7 (Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato) e che abroga la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione) 51

Articolo 8 (Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/1011 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2016, sugli indici usati come indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari o per misurare la performance di fondi di investimento e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE e del regolamento (UE) n. 596/2014) 59

Articolo 9  (Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2015/2365 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, sulla trasparenza delle operazioni di finanziamento tramite titoli e del riutilizzo e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012) 63

Articolo 10  (Criterio direttivo per l’attuazione della direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio) 67

Articolo 11   (Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2016/681 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, sull'uso dei dati del codice di prenotazione (PNR) a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi) 71

Articolo 12  (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero) 73

Allegato A

Allegato A.. 81

Direttiva (UE) 2015/1794. 83

Direttiva (UE) 2015/2302. 85

Direttiva (UE) 2016/97. 87

Direttiva (UE) 2016/343. 89

Direttiva (UE) 2016/680. 91

Direttiva (UE) 2016/681. 95

Le Direttive concernenti il quarto pacchetto ferroviario (direttiva (UE) 2016/797; direttiva (UE) 2016/798, direttiva (UE) 2016/2370) 99

Direttiva (UE) 2016/800. 113

Direttiva (UE) 2016/801. 119

Direttiva (UE) 2016/844. 121

Direttiva (UE) 2016/881. 123

Direttiva (UE) 2016/943. 125

Direttiva (UE) 2016/1034. 131

Direttiva (UE) 2016/1065. 135

Direttiva (UE) 2016/1148. 137

Direttiva (UE) 2016/1164. 141

Direttiva (UE) 2016/1214. 143

Direttiva (UE) 2016/1629. 145

Direttiva (UE) 2016/1919. 149

Direttiva (UE) 2016/2102. 151

Direttiva (UE) 2016/2284. 155

Direttiva (UE) 2016/2341. 159

 


SIWEB

Premessa

 

 

Il 19 maggio 2017 il Governo ha presentato al Senato della Repubblica il disegno di legge A.S. 2834, recante Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2016.

Il testo del disegno di legge sottoposto all'esame del Senato si compone di 12 articoli, che recano disposizioni di delega riguardanti il recepimento di 5 direttive europee nonché l’adeguamento della normativa nazionale a 6 regolamenti europei. L'Allegato A elenca invece 24 direttive, da recepire con decreto legislativo.

 

Si ricorda che la legge di delegazione europea è uno dei due strumenti di adeguamento all’ordinamento dell’Unione europea introdotti dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234, che ha attuato una riforma organica delle norme che regolano la partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea.

In base all’articolo 29 della legge n. 234 del 2012, infatti, la legge comunitaria annuale (prevista dalla legge n. 11 del 2005) è stata sostituita da due distinti provvedimenti:

· la legge di delegazione europea, il cui contenuto è limitato alle disposizioni di delega necessarie per il recepimento delle direttive e degli altri atti dell’Unione europea;

· la legge europea, che contiene norme di diretta attuazione volte a garantire l’adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento europeo, con particolare riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea[1].

Il comma 4 dell’articolo 29 prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, presenta alle Camere, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, un disegno di legge di delegazione europea, con l’indicazione dell'anno di riferimento.

Il termine per la presentazione è posto entro il 28 febbraio di ogni anno.

Il contenuto del disegno di legge di delegazione europea è stabilito all’articolo 30, comma 2, della legge n. 234 del 2012:

a)     disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa volta esclusivamente all'attuazione delle direttive europee e delle decisioni quadro da recepire nell'ordinamento nazionale, esclusa ogni altra disposizione di delegazione legislativa non direttamente riconducibile al recepimento degli atti legislativi europei;

b)     disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa, diretta a modificare o abrogare disposizioni statali vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la conformità dell'ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati all'Italia dalla Commissione europea o al dispositivo di sentenze di condanna per inadempimento emesse della Corte di giustizia dell'Unione europea;

c)     disposizioni che autorizzano il Governo a recepire le direttive in via regolamentare;

d)     delega legislativa al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea;

e)     delega legislativa al Governo limitata a quanto necessario per dare attuazione a eventuali disposizioni non direttamente applicabili contenute in regolamenti europei;

f)      disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per l'emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni UE recepite dalle regioni e dalle province autonome;

g)     disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per recepire o per assicurare l'applicazione di atti dell'Unione europea nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione;

h)     disposizioni che, nell'ambito del conferimento della delega legislativa per il recepimento o l'attuazione degli atti di cui alle lettere a), b) ed e), autorizzano il Governo a emanare testi unici per il riordino e per l'armonizzazione di normative di settore, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome;

i)      delega legislativa al Governo per l'adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati.

 

Nell’esercizio delle deleghe legislative conferite, il Governo è tenuto al rispetto dei principi e criteri generali di delega[2], nonché degli specifici principi e criteri direttivi aggiuntivi eventualmente stabiliti dalla legge di delegazione europea, come previsto all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012.

 

Ai sensi dell’articolo 29, comma 7, il Governo deve inoltre dare conto dell’eventuale omesso inserimento delle direttive il cui termine di recepimento è scaduto o scade nel periodo di riferimento, considerati i tempi previsti per l’esercizio della delega, e fornire dati sullo stato delle procedure di infrazione, l’elenco delle direttive recepite o da recepire in via amministrativa, l’elenco delle direttive recepite con regolamento e l’elenco dei provvedimenti con i quali le singole regioni e province autonome hanno provveduto a recepire direttive nelle materie di loro competenza. Tutte queste informazioni sono contenute nella articolata ed estesa relazione illustrativa[3] che precede il testo del disegno di legge.

Si fa, inoltre, presente che, successivamente all’entrata in vigore della legge n. 234 del 2012, sono state approvate 4 leggi di delegazione europea, di cui 2 riferite all’anno 2013 e una rispettivamente agli anni 2014 e 2015.

La legge di delegazione europea 2013 (legge 6 agosto 2013, n. 96) è composta da 13 articoli e tre allegati, ed ha conferito al Governo deleghe legislative per il recepimento di 40 direttive, il coordinamento della normativa nazionale alle rettifiche di 5 direttive e l’adeguamento a 2 regolamenti.

La legge di delegazione europea 2013 - secondo semestre (legge 7 ottobre 2014, n. 154) consta di 9 articoli e due allegati e conferisce al Governo deleghe legislative per il recepimento di 19 direttive, l’attuazione di 2 decisioni quadro, l'adeguamento a un regolamento (UE) e l'adozione di un testo unico.

La legge di delegazione europea 2014 (legge 9 luglio 2015, n. 114), che consta di 21 articoli e due allegati, reca disposizioni di delega per il recepimento di 58 direttive europee, per l'adeguamento della normativa nazionale a 6 regolamenti (UE), nonché per l'attuazione di 10 decisioni quadro.

Da ultimo, la legge 12 agosto 2016, n. 170 (legge di delegazione europea 2015) si articola in 21 articoli e due allegati, conferendo deleghe per il recepimento di 7 regolamenti, 16 direttive, una raccomandazione del Comitato europeo per il rischio sistemico ed una decisione quadro GAI. L'articolo 7 contiene, inoltre, una delega generale per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni dell'Unione europea e agli accordi internazionali in materia di prodotti e tecnologia a duplice uso, di sanzioni ed embarghi commerciali, di commercio di strumenti di tortura e per ogni tipologia di operazione di esportazione di materiali proliferanti.

 

Segue un elenco di tutti gli atti legislativi dell'UE contenuti nella legge di delegazione europea 2016, con l'indicazione della parte del disegno di legge in cui vengono disciplinati (articolato o Allegato A).


 

 

Tabella I -Elenco degli atti legislativi dell'unione europea contenuti nel disegno di legge

Atto UE

Collocazione

Regolamento (UE) 596/2014

Articolo 7

Regolamento (UE) 2015/2365

Articolo 9

Regolamento (UE) 2015/2424

Articolo 3

Regolamento (UE) 2016/425

Articolo 5

Regolamento (UE) 2016/426

Articolo 6

Regolamento (UE) 2016/1011

Articolo 8

Direttiva (UE) 2015/720

Articolo 12

Direttiva (UE) 2015/1794

Allegato A (n. 1)

Direttiva (UE) 2015/2302

Allegato A (n. 2)

Direttiva (UE) 2015/2436

Articolo 3

Direttiva (UE) 2016/97

Articolo 4 e Allegato A (n. 3)

Direttiva (UE) 2016/343

Allegato A (n. 4)

Direttiva (UE) 2016/680

Articolo 10 e Allegato A (n. 5)

Direttiva (UE) 2016/681

Articolo 11 e Allegato A (n. 6)

Direttiva (UE) 2016/797

Allegato A (n. 7)

Direttiva (UE) 2016/798

Allegato A (n. 8)

Direttiva (UE) 2016/800

Allegato A (n. 9)

Direttiva (UE) 2016/801

Allegato A (n. 10)

Direttiva (UE) 2016/844

Allegato A (n. 11)

Direttiva (UE) 2016/881

Allegato A (n. 12)

Direttiva (UE) 2016/943

Allegato A (n. 13)

Direttiva (UE) 2016/1034

Allegato A (n. 14)

Direttiva (UE) 2016/1065

Allegato A (n. 15)

Direttiva (UE) 2016/1148

Allegato A (n. 16)

Direttiva (UE) 2016/1164

Allegato A (n. 17)

Direttiva (UE) 2016/1214

Allegato A (n. 18)

Direttiva (UE) 2016/1629

Allegato A (n. 19)

Direttiva (UE) 2016/1919

Allegato A (n. 20)

Direttiva (UE) 2016/2102

Allegato A (n. 21)

Direttiva (UE) 2016/2284

Allegato A (n. 22)

Direttiva (UE) 2016/2341

Allegato A (n. 23)

Direttiva (UE) 2016/2370

Allegato A (n. 24)

 


 

Tabella II - Regolamenti per anno di emanazione

Regolamenti

Anno di emanazione

Totale (6)

§  (UE) n. 596/2014

2014

1

§  (UE) n. 2015/2365

§  (UE) n. 2015/2424

2015

2

§  (UE) n. 2016/425

§  (UE) n. 2016/426

§  (UE) n. 2016/1011

2016

3

 

Tabella III - direttive per anno di emanazione

Direttive

Anno di emanazione

Totale (26)

§  (UE) 2015/720

§  (UE) 2015/1794

§  (UE) 2015/2302

§  (UE) 2015/2436

2015

4

§  (UE) 2016/97

§  (UE) 2016/343

§  (UE) 2016/680

§  (UE) 2016/681

§  (UE) 2016/797

§  (UE) 2016/798

§  (UE) 2016/800

§  (UE) 2016/801

§  (UE) 2016/844

§  (UE) 2016/881

§  (UE) 2016/943

§  (UE) 2016/1034

§  (UE) 2016/1065

§  (UE) 2016/1148

§  (UE) 2016/1164

§  (UE) 2016/1214

§  (UE) 2016/1629

§  (UE) 2016/1919

§  (UE) 2016/2102

§  (UE) 2016/2284

§  (UE) 2016/2341

§  (UE) 2016/2370

2016

22

 

 

Tabella IV - direttive per termine di recepimento

Direttive

Termine di recepimento

Totale (26)

§  (UE) 2015/720

§  (UE) 2016/881

Fino al 15 giugno 2017

2

§  (UE) 2015/1794

§  (UE) 2016/844

§  (UE) 2016/1034

Tra il 16 giugno e il 31 dicembre 2017

3

§  (UE) 2015/2302

§  (UE) 2016/97

§  (UE) 2016/343

§  (UE) 2016/680

§  (UE) 2016/681

§  (UE) 2016/801

§  (UE) 2016/943

§  (UE) 2016/1065

§  (UE) 2016/1148

§  (UE) 2016/1164

§  (UE) 2016/1214

§  (UE) 2016/1629

§  (UE) 2016/2102

§  (UE) 2016/2284

§  (UE) 2016/2370

Tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2018

15

§  (UE) 2015/2436

§  (UE) 2016/797

§  (UE) 2016/798

§  (UE) 2016/800

§  (UE) 2016/1919

§  (UE) 2016/2341

Dopo il 1° gennaio 2019

6

 

Ai sensi dell’articolo 32, comma 1, della legge n. 234 del 2012, il disegno di legge di delegazione europea 2016 stabilisce - con riferimento ad alcuni atti dell’Unione europea - specifici principi e criteri direttivi cui il Governo deve attenersi nell’esercizio della delega, in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare e a quelli generali di delega, richiamati alle lettere da a) a i) del citato comma 1.

In particolare, sono stati introdotti principi e criteri direttivi specifici di delega riferiti ai seguenti atti:

 

Direttive:

·       (UE) 2015/2346 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi di impresa (articolo 3);

·    (UE) 2016/97 sulla distribuzione assicurativa (articolo 4);

·    (UE) 2016/680 relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti ai fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali (articolo 10);

·    (UE) 2016/681 sull'uso dei dati del codice di prenotazione (PNR) ai fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi (articolo 11);

·    (UE) 2015/720 sulla riduzione dell'utilizzo di plastica in materiale leggero (articolo 12).

 

Regolamenti:

·       (UE) 2015/2424 sul marchio comunitario (articolo 3);

·    (UE) 2016/425 sui dispositivi di protezione individuale (articolo 5);

·    (UE) 2016/426 sugli apparecchi che bruciano carburanti gassosi (articolo 6);

·    (UE) 596/2014 relativo agli abusi di mercato (articolo 7);

·    (UE) 2016/1011 sugli indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari (articolo 8);

·    (UE) 2015/2365 sulla trasparenza delle operazioni di finanziamento tramite titoli e del riutilizzo (articolo 9).

 

 

Il presente dossier contiene le schede di lettura riferite ai singoli articoli del disegno di legge di delegazione europea 2016 e una descrizione delle direttive elencate nell'Allegato A.

 


Schede di lettura


Articolo 1
(Delega al Governo per l'attuazione di direttive europee)

 

 

Il comma 1 dell’articolo 1 reca la delega al Governo per l’attuazione delle direttive elencate nell'allegato A.

 

L’allegato A elenca ventiquattro direttive da recepire con decreto legislativo, il cui testo deve essere preliminarmente sottoposto all'esame delle competenti Commissioni parlamentari per l'espressione di un parere.

Si tratta - specifica la relazione illustrativa del disegno di legge - di tutte le direttive UE pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea successivamente alla data di approvazione in prima lettura del disegno di legge annuale di delegazione europea 2015[4] e per la cui attuazione sono necessarie norme di rango primario.

 

Per quanto riguarda i termini, le procedure, i princìpi e i criteri direttivi della delega, il citato comma 1 rinvia alle disposizioni previste dagli articoli 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234.

 

L’articolo 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012 dispone che il termine per l’esercizio delle deleghe conferite al Governo con la legge di delegazione europea sia di quattro mesi antecedenti il termine di recepimento indicato in ciascuna delle direttive[5]. Per le direttive il cui termine così determinato sia già scaduto alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea, o scada nei tre mesi successivi, la delega deve essere esercitata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Per le direttive che non prevedono un termine di recepimento, il termine per l’esercizio della delega è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea.

L’articolo 31, comma 5, della legge n. 234 del 2012 prevede inoltre che il Governo possa adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in base alla delega conferita con la legge di delegazione entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, sempre nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla legge stessa.

L’articolo 32 della legge n. 234 del 2012 detta i seguenti princìpi e criteri direttivi generali di delega:

a)      le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti;

b)      ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, anche attraverso il riassetto e la semplificazione della normativa;

c)       gli atti di recepimento di direttive dell'Unione europea non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse (c.d. gold plating);

d)      ove necessario, al fine di assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. In ogni caso le sanzioni penali sono previste "solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti";

e)       al recepimento di direttive o di altri atti che modificano precedenti direttive o di atti già attuati con legge o con decreto legislativo si procede apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione;

f)        nella redazione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;

g)      quando si verificano sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, l’efficacia e la trasparenza dell’azione amministrativa, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e delle competenze delle regioni e degli enti territoriali;

h)      le direttive che riguardano le stesse materie o che comunque comportano modifiche degli stessi atti normativi vengono attuate con un unico decreto legislativo, compatibilmente con i diversi termini di recepimento;

i)        è sempre assicurata la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea e non può essere previsto in ogni caso un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani.

 

Il comma 2 dell’articolo 1 prevede che gli schemi di decreto legislativo recanti attuazione delle direttive incluse nell’allegato A siano sottoposti al parere delle competenti Commissioni parlamentari.

 

La disposizione segue lo schema procedurale disciplinato in via generale dall’articolo 31, comma 3, della legge 234 del 2012. Esso prevede che gli schemi di decreto legislativo, una volta acquisiti gli altri pareri previsti dalla legge, siano trasmessi alle Camere per l’espressione del parere e che, decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti siano emanati anche in mancanza del parere.

Qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare scada nei trenta giorni che precedono il termine per l’esercizio della delega o successivamente, il termine per la delega è prorogato di tre mesi. Si intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l’eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni emerse in sede parlamentare.

Il comma 9 del medesimo articolo 31 prevede altresì che ove il Governo non intenda conformarsi ai pareri espressi dagli organi parlamentari relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi, ritrasmette i testi alle Camere, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.

 

Il comma 3 dell’articolo in esame dispone che eventuali spese non contemplate dalla legislazione vigente che non riguardano l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi attuativi delle direttive di cui all'Allegato A esclusivamente nei limiti necessari per l’adempimento degli obblighi di attuazione dei medesimi provvedimenti.

Alla copertura degli oneri recati dalle spese eventualmente previste nei decreti legislativi attuativi, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, qualora non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del Fondo per il recepimento della normativa europea, di cui all’articolo 41-bis della legge n. 234/2012.

 

Il Fondo per il recepimento della normativa europea è stato istituito dalla legge 29 luglio 2015, n. 115 (Legge europea 2014) attraverso l’introduzione dell'articolo 41-bis della legge 234/2012, al fine di consentire il tempestivo adeguamento dell'ordinamento interno agli obblighi imposti dalla normativa europea, nei soli limiti occorrenti per l'adempimento di tali obblighi e soltanto in quanto non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni dalla legislazione vigente.

Il Fondo aveva una dotazione iniziale di 10 milioni di euro per il 2015 e di 50 milioni annui a partire dal 2016.

Il comma 810 dell’articolo unico della legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208) ha previsto che la dotazione di tale Fondo sia ulteriormente incrementata di 50 milioni di euro per l'anno 2016 e di 100 milioni di euro annui per il periodo 2017-2020. Il comma 813 della medesima legge ha posto a carico del Fondo il pagamento degli oneri finanziari derivanti dall'esecuzione delle sentenze di condanna inflitte dalla Corte di giustizia dell'Unione europea a carico dell'Italia (articolo 43, comma 9-bis, della legge n. 234/2012). Viene inoltre specificato che "a fronte dei pagamenti effettuati, il Ministero dell'economia e delle finanze attiva il procedimento di rivalsa a carico delle amministrazioni responsabili delle violazioni che hanno determinato le sentenze di condanna, anche con compensazione con i trasferimenti da effettuare da parte dello Stato in favore delle amministrazioni stesse".

Si segnala, infine, che l'articolo 36 della legge europea 2015-2016 (legge 7 luglio 2016, n. 122) ha incrementato il fondo di cui all’articolo 156, comma 10, del Codice in materia di protezione dei dati personali (D. Lgs. n. 196/ 2003), al fine di assicurare il funzionamento del Garante per la protezione dei dati personali e il regolare svolgimento dei poteri di controllo ad esso affidati dalla normativa dell’Unione europea. La disposizione prevede che a tale onere si provveda mediante la corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 41-bis, comma 1, della legge 234/2012, nella misura di 12 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017.

 

Lo stesso comma 3 prevede inoltre che, in caso di incapienza del Fondo per il recepimento della normativa europea, i decreti legislativi attuativi delle direttive dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie, in conformità all'articolo 17, comma 2, della legge di contabilità e finanza pubblica (legge 31 dicembre 2009, n. 196).

 

Il comma 2 dell’articolo 17 della legge n. 196/2009 ha introdotto specifiche disposizioni relative alla copertura degli oneri recati dall’attuazione di deleghe legislative. In particolare, è espressamente sancito il principio in base al quale le leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura finanziaria necessari per l’adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, a tale quantificazione si procede al momento dell’adozione dei singoli decreti.

A tal fine, si dispone, in primo luogo, che ciascuno schema di decreto sia corredato di una relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo provvedimento ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura. In secondo luogo, la norma dispone che l’individuazione dei mezzi di copertura deve in ogni caso precedere l’entrata in vigore dei decreti medesimi, subordinando l’emanazione dei decreti legislativi alla previa entrata in vigore degli atti legislativi recanti lo stanziamento delle relative risorse finanziarie.

 

È altresì previsto il parere delle Commissioni parlamentari competenti anche per i profili finanziari sugli schemi dei decreti legislativi in questione, come richiesto dall'articolo 31, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, che disciplina le procedure per l'esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea.

 

In particolare, il citato comma 4 dell’articolo 31 prevede che gli schemi dei decreti legislativi recanti recepimento delle direttive che comportino conseguenze finanziarie sono corredati della relazione tecnica, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge di contabilità pubblica (legge n. 196/2009). Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi d'informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.

 


Articolo 2
(Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell’Unione europea)

 

 

L'articolo 2 conferisce al Governo, ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 234 del 2012, una delega biennale per l'emanazione di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi discendenti da precetti europei non trasfusi in leggi nazionali. Può trattarsi di direttive attuate in via regolamentare o amministrativa, quindi trasposte con fonti secondarie, come tali inidonee a istituire sanzioni penali. Può, infine, altresì trattarsi di violazioni di regolamenti dell'Unione europea.

La delega è conferita per gli atti pubblicati a partire dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea 2016, per i quali non siano già previste sanzioni.

 

Gli atti legislativi dell'Unione europea non introducono né disciplinano di norma sanzioni, rimandando invece agli ordinamenti nazionali, in virtù della netta diversità dei sistemi giuridici nazionali.

 

La disposizione è analoga a quella contenuta nelle leggi di delegazione europea relative agli anni precedenti. Risponde all'esigenza di prevedere con fonte normativa interna di rango primario - atta ad introdurre norme di natura penale o amministrativa nell’ordinamento nazionale - l'eventuale disciplina sanzionatoria necessaria all’attuazione di direttive in via regolamentare o amministrativa. La stessa necessità si ravvisa per eventuali sanzioni da introdurre per violazione di norme contenute in regolamenti dell’Unione europea che, come è noto, non richiedono leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale.

La finalità dell’articolo è pertanto quella di consentire al Governo, fatte salve le norme penali vigenti, di introdurre sanzioni volte a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative dell’Unione europea, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni vengono trasposte nell’ordinamento interno.

 

L’articolo 33 della legge n. 234 del 2012 individua la delega stessa come contenuto proprio della legge di delegazione europea. Il comma 2 dell’art. 33 prevede che i decreti legislativi siano adottati, in base all'art. 14 della legge n. 400 del 1988[6], su proposta del Presidente del Consiglio o del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia

La tipologia e la scelta delle sanzioni deve essere effettuata, oltre che secondo i princìpi e i criteri direttivi generali indicati all’articolo 32, comma 1, lettera d), della legge n. 234 del 2012, secondo quelli specifici eventualmente indicati nella legge di delegazione europea.

La citata lettera d) dell’articolo 32, comma 1, della legge n. 234 del 2012 indica i principi e criteri di delega per l’adozione della disciplina sanzionatoria corrispondente. In particolare, al di fuori dei casi previsti dalla norme penali vigenti, al fine di assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, possono essere previste sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi è prevista la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. In luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere anche previste le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo n. 274 del 2000, e la relativa competenza del giudice di pace. Tali sanzioni consistono nell’obbligo di permanenza domiciliare, nel divieto di accesso a luoghi determinati e nello svolgimento di lavori di pubblica utilità (su richiesta dell’imputato). È altresì prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. L’entità delle sanzioni è determinata tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, con particolare riguardo a quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste inoltre le sanzioni amministrative accessorie della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi, della privazione definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione, nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti dal codice penale. Sempre al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria delle cose utilizzate per commettere l'illecito amministrativo o il reato previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti dall'articolo 240, commi 3 e 4, del codice penale e dall'articolo 20 della legge n. 689 del 1981. Entro i limiti di pena indicati sono previste sanzioni anche accessorie identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto a quelle previste nei decreti legislativi. Infine, nelle materie di cui all'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni.

 

Sugli schemi di decreto legislativo adottati in virtù della delega conferita dal presente articolo è prevista l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari, secondo le modalità previste dal comma 3 del citato articolo 33.

 


Articolo 3
(Delega al Governo per l’attuazione della Direttiva (UE) 2015/2436 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, nonché per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento (UE) n. 2424/2015 sul marchio europeo)

 

 

L’articolo 3 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per l’attuazione della Direttiva (UE) n. 2015/2436, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, nonché per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento (UE) n. 2424/2015 sul marchio d’impresa dell’UE (comma 1).

 

Si ricorda che il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea TFUE (articolo 118) prevede che nell'ambito dell'instaurazione o del funzionamento del mercato interno, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscano misure per la creazione di titoli europei al fine di garantire una protezione uniforme dei diritti di proprietà intellettuale nell'Unione e per l'istituzione di regimi di autorizzazione, di coordinamento e di controllo centralizzati a livello di Unione.

Sulla base di tale previsione, il Regolamento (CE) n. 40/94, codificato nel 2009 come Regolamento (CE) n. 207/2009, ha creato un sistema specifico di protezione del marchio per l'Unione europea, in parallelo alla protezione dei marchi già disponibile a livello degli Stati membri in conformità ai rispettivi sistemi nazionali di protezione (i marchi, infatti, come rileva l’Analisi d’Impatto della Regolamentazione -AIR del provvedimento in esame, sono diritti territoriali: essi, dunque, garantiscono protezione dei loro proprietari nel territorio del paese o dei paesi interessati[7]).

Il Regolamento del 2009 sul marchio europeo è stato recentemente modificato dal Regolamento (UE) n. 2424/2015. Tale regolamento ha introdotto importanti innovazioni, per ciò che concerne i segni idonei a costituire marchio UE, lo snellimento delle procedure per la registrazione del marchio UE, e la riorganizzazione dell’«Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli)» che è stato sostituito con «Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale» (UIPO).

Parallelamente, i sistemi nazionali di protezione dei marchi all’interno dei diversi Stati dell’UE sono stati armonizzati dalla Direttiva 89/104/CEE del Consiglio, poi codificata come Direttiva 2008/95/CE. Le Direttive in questione hanno trovato recepimento in Italia con il Decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, come modificato dal Decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 131.

La recente Direttiva (UE) 2015/2436 mira ad un più stringente ravvicinamento delle legislazioni sostanziali e procedurali degli Stati membri in materia di marchi di impresa, muovendosi in sostanziale simmetria con le modifiche adottate con il Regolamento (UE) n. 2424/2015 relativo al marchio d’impresa UE. A tal fine, la nuova Direttiva abroga, a decorrere dal 15 gennaio 2019, la pregressa Direttiva 2008/95/CE.

Scopo della Direttiva di armonizzazione - mette in evidenza l’AIR al provvedimento in esame - è quello di garantire che i marchi nazionali registrati tramite gli uffici per la proprietà industriale degli Stati membri siano soggetti alle stesse norme sostanziali in termini di registrabilità ed alle stesse condizioni di protezione in base alle leggi di tutti gli Stati Membri.

Insieme al Regolamento (UE) n. 2424/2015, la Direttiva (UE) 2015/2436 costituisce dunque il cd. “pacchetto marchi”, ossia l’intervento normativo voluto dal legislatore europeo non soltanto per armonizzare tra loro gli ordinamenti degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, ma anche per rendere il più possibile omogenei gli ordinamenti nazionali e quella parte di ordinamento europeo che disciplina in maniera diretta il “marchio dell’Unione europea”, ossia il titolo di proprietà industriale rilasciato dall’EUIPO (Ufficio europeo per la proprietà intellettuale) che ha effetto in tutti gli Stati membri.

 

Ai sensi dell’articolo in esame, i decreti legislativi delegati debbono essere adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia e dell'economia e delle finanze (comma 2).

Nell’attuazione della delega, che deve essere esercitata entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, il Governo è tenuto a seguire, oltre alle procedure generali per l'esercizio delle deleghe legislative conferite con la legge di delegazione europea delineate nell’articolo 31 della legge n. 234/2012, e ai principi e criteri generali di delega per l'attuazione del diritto dell'Unione europea contenuti nell’articolo 32 della legge n. 234/2012 (comma 1), anche i seguenti principi e criteri direttivi (comma 3):

a)     adeguare le disposizioni del Codice della proprietà industriale (D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30) alle previsioni della Direttiva 2015/2436 e del Regolamento (UE) 2424/2015, con abrogazione espressa delle disposizioni superate;

b)     salvaguardare la possibilità di adottare disposizioni attuative della Direttiva 2015/2436, anche attraverso decreti ministeriali di natura regolamentare di cui all’articolo 17, comma 3, della legge n. 400/1988, nelle materie non coperte da riserva di legge e già disciplinate attraverso regolamenti, compreso l’eventuale aggiornamento delle norme contenute nel Regolamento attuativo del Codice della proprietà industriale (D.M. 13 gennaio 2010, n. 33).

L’articolo 17 della legge n. 400/1988 disciplina i regolamenti, prevedendo al comma 2 che con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

Il comma 3 del medesimo articolo 17 dispone che con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del Ministro o di autorità sottordinate al Ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione con legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione;

c)     introdurre, conformemente alla Direttiva 2015/2436, i casi in cui un marchio debba essere escluso dalla registrazione o, se registrato, debba essere dichiarato nullo o decaduto, sia in relazione agli impedimenti alla registrazione e ai motivi di nullità, sia in relazione all’individuazione dei segni suscettibili di costituire un marchio d’impresa.

Si prevede dunque l’adeguamento della disciplina nazionale alla nuova disciplina europea per ciò che concerne i motivi di decadenza. Si richiama, in particolare, in proposito, la Direttiva 2015/2436 nella parte in cui essa prevede (articolo 16) che, nel caso in cui l’uso del marchio venga contestato in azioni in sede giudiziaria o amministrativa o nel corso di un procedimento di opposizione, grava sul titolare del marchio anteriore l’onere di provarne l’uso effettivo per i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato e su cui si fonda l’azione ovvero gravi su di esso l’onere di provare la sussistenza di motivi legittimi per il suo mancato uso, nei termini temporali indicati dalla Direttiva stessa (agli articoli 17, 44 e 46, cfr. sul punto, infra, il Box sulla disciplina contenuta nella Direttiva).

Per ciò che concerne la decadenza, la Direttiva n. 2015/2436, all’articolo 19, dispone che un marchio di impresa è suscettibile di decadenza se, entro un periodo ininterrotto di cinque anni, esso non ha formato oggetto di uso effettivo nello Stato membro interessato, a meno che non sussistano motivi legittimi per il suo mancato uso[8].

La Direttiva inoltre dispone, all’articolo 17, che il titolare di un marchio d'impresa ha il diritto di vietare l'uso di un segno solo nella misura in cui non possa essere incorso nella decadenza dai suoi diritti nel momento in cui è avviata l'azione per contraffazione. Nell’ambito dell’azione di contraffazione intentata dal titolare del marchio stesso, questi, su richiesta del convenuto, ha l’onere di provare l’effettivo uso del marchio nei cinque anni precedenti l’avvio dell’azione, o che sussistono motivi legittimi per il suo mancato uso.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 44, nei procedimenti di opposizione, è in capo all’opponente l’onere della prova dell’effettivo uso del proprio marchio anteriore.

Anche nei procedimenti per nullità, è in capo all’opponente, ai sensi dell’articolo 46, l’onere della prova dell’effettivo uso del proprio marchio anteriore.

Con il principio e criterio direttivo di cui alla lettera c) sopra indicato e con il successivo principio di cui alla lettera g) (cfr. infra), si provvede ad armonizzare nell’ordinamento interno i diversi istituti amministrativi e quello giurisdizionale sotto il profilo probatorio, con un ampliamento degli istituti di ricorso amministrativo in caso di decadenza e nullità nonché ad adeguare, sempre sotto il profilo probatorio, i medesimi istituti nazionali con gli analoghi istituti previsti da Regolamento (UE) n. 2424/2015 per il marchio d’impresa UE.

Come ricorda l’AIR, in Italia, dal luglio 2011 è attiva presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi UIBM la procedura amministrativa di opposizione alla registrazione dei marchi nei termini e con le modalità di cui all’art. 174 e ss. del codice della proprietà industriale (D.Lgs. n. 30/2005). La legislazione vigente non prevede tuttavia una procedura amministrativa per chiedere l’annullamento di un marchio illegittimamente registrato o l’accertamento della decadenza di un marchio. In tali casi, è possibile agire esclusivamente in via giurisdizionale nelle forme previste dagli artt. 117 e ss. del Codice della proprietà industriale.

 

d)    prevedere conformemente alla Direttiva n. 2015/2436 il diritto di vietare l’uso di un segno a fini diversi da quello di contraddistinguere prodotti o servizi;

  La relazione illustrativa afferma in proposito che in ciò la direttiva del 2015 non è innovativa rispetto a quella del 2008, ma tale principio non è stato recepito dal legislatore nazionale del 2010, pur essendo già acquisito dalla giurisprudenza.

  Poiché tale principio è comunque riconosciuto da altri ordinamenti, il suo inserimento nel CPI mira ad aumentare la tutela riconosciuta al marchio registrato e al suo titolare ed è funzionale ad evitare possibili discriminazioni.

e)     uniformare la disciplina dei marchi collettivi alle disposizioni in materia contenute nella della Direttiva (UE) 2015/2436, prevedendo che costituiscano marchi collettivi anche i segni e le indicazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi e stabilendo le opportune disposizioni di coordinamento con la disciplina dei marchi di garanzia e di certificazione.

Il legislatore nazionale, dunque, esercita la facoltà consentita dalla Direttiva (UE) n. 2015/2436, la quale, agli articoli 28 e 29, consente agli Stati membri la facoltà di disporre che i segni o le indicazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi costituiscano marchi di garanzia o di certificazione ovvero costituiscano marchi collettivi.

f)      prevedere, in tema di marchi di garanzia o di certificazione, l’adeguamento della normativa nazionale alla direttiva 2015/2436 e al Regolamento n. 2424/2015, ed in particolare:

1) prevedere che i segni e le indicazioni che, nel commercio, possano servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi, costituiscano marchi di garanzia o di certificazione.

Si noti che la Direttiva diverge parzialmente rispetto al Regolamento Ue sul marchio di certificazione comunitario, per cui è esplicitamente esclusa la provenienza geografica come elemento idoneo a qualificare il marchio di certificazione UE (articolo 74-bis Regolamento UE n. 207/2009, come inserito dal Regolamento n. 2015/2424).

Mentre, per il marchio collettivo UE possono essere usati segni o indicazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi (articolo 66).

2) prevedere che possano essere titolari di un marchio di certificazione o garanzia le persone fisiche o giuridiche competenti, ai sensi della vigente normativa, a certificare i prodotti o i servizi per i quali il marchio deve essere registrato, a condizione che non svolgano un’attività che comporta la fornitura di prodotti o servizi del tipo certificato;

3) prevedere l’obbligatorietà della presentazione del regolamento d’uso del marchio di garanzia o di certificazione e della comunicazione di ogni successiva modifica, a pena di decadenza.

Si ricorda, in proposito, che la Direttiva 2015/2436 dispone come obbligatoria la presentazione da parte del richiedente un marchio collettivo del relativo regolamento d’uso, in cui debbono quantomeno essere indicate le persone autorizzate a usare il marchio e le relative condizioni di appartenenza all’associazione e di utilizzo, comprese le sanzioni (articolo 30). E’ poi disciplinato il rigetto della domanda (che interviene se non soddisfa la definizione di marchio collettivo, o per assenza di regolamento d’uso o per contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume del regolamento stesso). La direttiva specifica che la domanda è respinta se il pubblico rischia di essere indotto in errore circa il carattere o il significato del marchio, in particolare quando questi non sembri un marchio collettivo (articoli 31-33). Quanto ai motivi di decadenza, oltre al non uso e alla subentrata genericità del marchio, sono enunciati dalla Direttiva i seguenti ulteriori motivi:

il titolare non adotta misure ragionevoli per prevenire un'utilizzazione del marchio incompatibile con le condizioni del regolamento d'uso;

il modo di utilizzo del marchio rischia di indurre in errore il pubblico circa il carattere significativo del marchio stesso;

la modifica del regolamento d'uso del marchio non è conforme alle condizioni previste, a meno che non vi sia una nuova modifica (articolo 36).

4) prevedere le condizioni di esclusione dalla registrazione, di decadenza e di nullità dei marchi di garanzia o di certificazione, per motivi diversi da quelli indicati dalla direttiva (UE) 2015/2436 (agli articoli 4, 19 e 20), nella misura in cui la funzione di detti marchi lo richieda ed in particolare che la decadenza per non uso sia accertata in caso di inadeguato controllo sull’impiego del marchio da parte dei licenziatari ed in caso di uso improprio o discriminatorio del marchio da parte del titolare del marchio.

 La Direttiva enuncia all’articolo 4 gli impedimenti alla registrazione e i motivi di nullità assoluti.

Ai sensi di tale articolo, sono esclusi dalla registrazione o, se registrati, possono essere dichiarati nulli:

a) i segni che non possono costituire un marchio d'impresa;

b) i marchi d'impresa privi di carattere distintivo;

c) i marchi d'impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che nel commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l'epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio;

d) i marchi d'impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che siano divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi leali e costanti del commercio;

e) i segni costituiti esclusivamente:

i) dalla forma, o altra caratteristica, imposta dalla natura stessa del prodotto;

ii) dalla forma, o altra caratteristica, del prodotto, necessaria per ottenere un risultato tecnico;

iii) dalla forma, o altra caratteristica, dei prodotti, che dà un valore sostanziale al prodotto;

f) i marchi d'impresa contrari all'ordine pubblico o al buon costume;

g) i marchi d'impresa che possono indurre in errore il pubblico, per esempio circa la natura, la qualità o la provenienza geografica del prodotto o del servizio;

h) i marchi d'impresa che, in mancanza di autorizzazione delle autorità competenti, devono essere esclusi dalla registrazione o dichiarati nulli a norma dell'articolo 6 ter della convenzione di Parigi;

i) i marchi d'impresa che sono esclusi dalla registrazione - conformemente alla legislazione dell'Unione, al diritto nazionale dello Stato membro interessato o ad accordi internazionali di cui l'Unione o lo Stato membro interessato è parte - relativi alla protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche;

j) i marchi d'impresa esclusi dalla registrazione conformemente alla legislazione dell'Unione relativa alla protezione delle menzioni tradizionali per i vini o ad accordi internazionali in materia di cui l'Unione è parte;

k) i marchi d'impresa esclusi dalla registrazione conformemente alla legislazione dell'Unione relativa alla protezione delle specialità tradizionali garantite o ad accordi internazionali in materia di cui l'Unione è parte;

l) i marchi d'impresa che sono costituiti da o che riproducono nei loro elementi essenziali una denominazione di varietà vegetale anteriore registrata ai sensi della legislazione dell'Unione, del diritto nazionale dello Stato membro interessato o di accordi internazionali di cui l'Unione o lo Stato membro interessato è parte, relativi alla protezione della privativa per varietà vegetali e che riguardano varietà vegetali della stessa specie o di specie apparentate.

Le lettere da i) ad l) costituiscono una novità della Direttiva, simmetrica alle novità introdotte dal “Regolamento Marchi” n. 2424/2015, (cfr. considerando n. 15 della Direttiva).

 

Si ricorda inoltre che tra i motivi di decadenza la Direttiva prevede la mancanza di uso effettivo del marchio (articolo 19). La Direttiva contempla inoltre il marchio d'impresa divenuto generico l’indicazione ingannevole come motivo di decadenza (articolo 20).

 

g)    fatto salvo il diritto delle parti al ricorso davanti agli organi giurisdizionali, dovrà prevedersi una procedura amministrativa efficiente e rapida per la decadenza o la dichiarazione di nullità di un marchio d’impresa, da espletare dinanzi l’Ufficio italiano brevetti e marchi, soggetta al pagamento dei diritti di deposito delle relative domande, nei termini e con le modalità stabiliti dal decreto previsto dall’articolo 226 del Codice della proprietà industriale (CPI), la cui omissione determini l’irricevibilità delle domande stesse

L’articolo 226 CPI demanda ad un decreto del Ministro delle attività produttive la determinazione dei termini e delle modalità per il pagamento dei diritti e delle tasse di concessione governativa. In attuazione di tale previsione è stato adottato il D.M. 11 maggio 2011.

h)     modificare e integrare la disciplina delle procedure dinanzi alla Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell’Ufficio italiano brevetti e marchi, al fine di garantirne l’efficienza e la rapidità complessive, anche in riferimento alle impugnazioni dei provvedimenti in tema di decadenza e nullità.

La relazione illustrativa afferma, in proposito, la necessità di adeguare la sommaria procedura vigente alle disposizioni generali del codice di procedura civile in tema di ammissibilità e presentazione delle domande, certezza dei termini e clausole di preclusione, anche in considerazione dell’incremento dei motivi di ricorso conseguenti all’introduzione delle procedure amministrative di decadenza e nullità, che saranno impugnabili davanti alla Commissione.

 

La Direttiva (UE) 2015/2436

La Direttiva n. 2015/2436 (testo per rifusione della pregressa direttiva 2008/95/UE) sancisce il principio per cui l'acquisizione e la conservazione del diritto sul marchio d'impresa registrato debbano essere in linea di massima subordinate, in tutti gli Stati membri, alle stesse condizioni (considerando n. 12).

Si prefigge pertanto di ravvicinare non solo le disposizioni di diritto sostanziale, ma anche le principali norme procedurali in materia di registrazione del marchio d'impresa degli Stati membri, in simmetria con il sistema del marchio UE come riformato dal Regolamento (UE) 2424/2015 (considerando n. 9).

Quanto all’ambito di applicazione della Direttiva, esso è costituito da tutti i marchi d'impresa relativi a prodotti o servizi oggetto di una registrazione o di una domanda di registrazione come marchi d'impresa individuali, marchi di garanzia o di certificazione, ovvero marchi collettivi in uno Stato membro o presso l'ufficio Benelux per la proprietà intellettuale o che sono oggetto di una registrazione internazionale che produce effetti in uno Stato membro (articolo 1 della Direttiva).

Le principali novità della Direttiva sono così riassumibili:

- sono suscettibili di costituire marchio d’impresa tutti i segni rappresentati in qualsiasi forma idonea utilizzando la tecnologia generalmente disponibile, come i suoni, e quindi non più necessariamente i segni rappresentati mediante strumenti grafici. Il segno deve comunque essere suscettibile di essere rappresentato in modo chiaro, tale da distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli delle altre e in modo tale da consentire alle autorità competenti e al pubblico di determinare precisamente ed esattamente l’oggetto della protezione (articolo 3 e Considerando n. 13 della Direttiva). Il segno deve dunque essere preciso, autonomo, facilmente accessibile, intelligibile, durevole e oggettivo (Considerando n. 13 della Direttiva).

- nella casistica degli impedimenti alla registrazione e ai motivi di nullità assoluti vengono introdotti, anche in questo caso in simmetria con le novità del “Regolamento Marchi” n. 2424/2015, i segni esclusi dalla registrazione in virtù della disciplina nazionale, europea o derivante da accordi internazionali di cui l’Unione o lo Stato membro fa parte, sulle denominazioni di origine, sulle indicazioni geografiche, sulle menzioni tradizionali protette per vini, sulle specialità tradizionali garantite nonché quelli che contengono o riproducono nei loro elementi essenziali una varietà vegetale precedente registrata conformemente alla legislazione dell'Unione o al diritto nazionale o ad accordi internazionali di cui l'Unione o lo Stato membro interessato sono parte (articolo 4 e Considerando n. 15 della Direttiva);

- nella casistica degli impedimenti alla registrazione e ai motivi di nullità relativi vengono introdotti, anche in questo caso in simmetria con le novità del “Regolamento Marchi” n. 2424/2015, i seguenti casi:

- il caso in cui l'agente o il rappresentante del titolare del marchio ha presentato domanda di registrazione a proprio nome senza l'autorizzazione del titolare (a meno che tale agente o rappresentante non giustifichi il proprio modo di agire);

- il caso in cui era già stata presentata una domanda di denominazione di origine o di indicazione geografica prima della data di presentazione della domanda di registrazione del marchio d'impresa

- tale denominazione di origine o indicazione geografica conferisce alla persona autorizzata dal diritto pertinente ad esercitare i diritti da essa derivanti il diritto di vietare l'uso di un marchio d'impresa posteriore.

La Direttiva inoltre disciplina ora puntualmente l’ipotesi di mancanza di carattere distintivo o di notorietà di un marchio d'impresa anteriore, che preclude la dichiarazione di nullità di un marchio d'impresa registrato. L’assenza del carattere distintivo o l’assenza di notorietà del marchio anteriore devono esservi alla data di deposito o alla data di priorità del marchio d’impresa posteriore (articolo 8);

- per ciò che concerne i diritti conferiti dal marchio d'impresa al suo titolare, la Direttiva interviene in vario modo.

In particolare, rende da facoltativa ad obbligatoria l’inclusione, all’interno della disciplina degli Stati membri, del diritto del titolare del marchio di vietare ai terzi qualsiasi segno identico o simile al marchio a prescindere dal fatto che sia utilizzato per prodotti o servizi identici, simili o non simili a quelli per cui esso è stato registrato, laddove il marchio gode di notorietà nello Stato membro e se l'uso immotivato del segno consente di trarre un indebito vantaggio o reca pregiudizio al marchio registrato.

La Direttiva inoltre introduce il diritto del titolare del marchio registrato di vietare a terzi di apporre segni identici o simili al marchio d’impresa sull’imballaggio dei loro prodotti; di utilizzare il segno come nome commerciale o denominazione sociale o come parte di tali nomi e denominazioni; di utilizzare il segno nella pubblicità comparativa.

La Direttiva, altresì, aggiunge il diritto del titolare del marchio registrato di vietare a terzi di introdurre prodotti, in ambito commerciale, nello Stato membro di registrazione, senza la loro immissione in libera pratica in tale Stato, quando tali prodotti, compreso il loro imballaggio, provengono da paesi terzi e recano senza autorizzazione un marchio che è identico al marchio registrato o che non ne può essere distinto nei suoi aspetti essenziali. Il diritto del titolare del marchio comunque si estingue se, nel corso del procedimento per la verifica della contraffazione, il dichiarante o il detentore dei prodotti dimostra che il titolare del marchio registrato non ha diritto a vietare l'immissione in commercio dei prodotti stessi nel paese di destinazione finale (articolo 10).

La Direttiva inoltre sancisce il principio per cui ai titolari di marchi d'impresa dovrebbe essere attribuito il diritto di impedire l'ingresso di prodotti contraffatti e la loro immissione in tutte le situazioni doganali, compresi, in particolare, il transito, il trasbordo, il deposito, le zone franche, la custodia temporanea, il perfezionamento attivo o l'ammissione temporanea, anche nel caso in cui i prodotti non siano destinati ad essere immessi sul mercato dello Stato membro interessato. Dunque, nell'effettuare i controlli doganali le autorità doganali si dovrebbero avvalere dei poteri e delle procedure consentite dalla disciplina europea (Regolamento (UE) n. 608/2013) anche su richiesta dei titolari dei diritti (Considerando n. 23).

La Direttiva, a tal fine, introduce il diritto per i titolari di marchi d'impresa registrati di vietare:

- l'apposizione di un segno identico o simile al marchio sull'imballaggio, etichette, cartellini, caratteristiche o dispositivi di sicurezza o autenticazione o qualsiasi altro mezzo su cui lo stesso può essere apposto;

- l'offerta, l'immissione in commercio, lo stoccaggio, o l'importazione o l'esportazione di imballaggi, etichette, cartellini, caratteristiche o dispositivi di sicurezza o autenticazione o qualsiasi altro mezzo su cui il marchio è apposto (articolo 11)

Le novità di cui sopra – in simmetria con le novità del “Regolamento marchi” del 2015 rispondo alla necessità, esplicitata nella Direttiva, di introdurre misure più stringenti per la lotta alla contraffazione, anche per ciò che concerne i farmaci generici (Considerando da 19 a 22 e 25-26 della Direttiva)

Ulteriori forme di tutela del marchio registrato sono inserite dalla Direttiva, sempre in simmetria con il “Regolamento Marchi” del 2015, per ciò che concerne:

- la riproduzione del marchio stesso in dizionari, in enciclopedie o opere di consultazione cartacee o elettroniche (in tal caso, anche su richiesta del titolare del marchio, la riproduzione deve essere corredata dell'indicazione che si tratta di un marchio registrato) (articolo 12);

- il divieto d'uso del marchio a nome di un agente o rappresentante, senza il consenso del titolare del marchio stesso (articolo 13)

Quanto alla limitazione degli effetti del marchio di impresa, viene specificato che il titolare del marchio non può vietare a terzi l’uso del marchio nel commercio del nome o dell’indirizzo del terzo, qualora si tratti di una persona fisica (articolo 14, paragrafo 1, lettere a)).

Per ciò che concerne la decorrenza del periodo dei cinque anni, trascorsi i quali il non uso effettivo del marchio ne comporta la decadenza, la Direttiva interviene al fine di uniformare il dies a quo del periodo in questione, prevedendo che:

- qualora uno Stato membro preveda una procedura di opposizione successiva alla registrazione, il termine di cinque anni decorre dalla data in cui il marchio non può più essere oggetto di opposizione o dalla data della decisione di chiusura definitiva della procedura di opposizione o di ritiro dell'opposizione;

- per i marchi d'impresa oggetto di registrazione internazionale e con effetto nello Stato membro, il termine di cinque anni decorre dalla data in cui il marchio non può più essere escluso dalla registrazione o essere oggetto di opposizione. Ovvero, se è stata presentata un'opposizione, decorre dalla data in cui la decisione che chiude la procedura di opposizione è diventata definitiva o l'opposizione è stata ritirata.

La data di decorrenza del periodo di cinque anni deve essere iscritta nel Registro dei marchi (articolo 16).

In relazione a quanto sopra previsto, la Direttiva dispone che il titolare di un marchio d'impresa ha il diritto di vietare l'uso di un segno solo nella misura in cui non possa essere incorso nella decadenza dai suoi diritti nel momento in cui è avviata l'azione per contraffazione.

Nell’ambito dell’azione di contraffazione intentata dal titolare del marchio stesso, questi, su richiesta del convenuto, ha l’onere di provare l’effettivo uso del marchio nei cinque anni precedenti l’avvio dell’azione, o che sussistono motivi legittimi per il suo mancato uso (articolo 17).

Parallelamente, nelle azioni per contraffazione, il titolare di un marchio d'impresa non ha il diritto di vietare l'uso di un marchio d'impresa registrato posteriormente quando tale marchio posteriore non sarebbe dichiarato nullo ai sensi della disciplina della direttiva (art. 8, art. 9, par. 1 o 2, art. 46, par. 3, art. 53, parr. 1 e 4, art. 54, parr. 1 o 2, art. 57, par. 2) (articolo 18).

 

La Direttiva opera poi un allineamento delle norme applicabili ai marchi d'impresa quali oggetto di proprietà rispetto a quelle già in vigore per i marchi UE. Tali norme riguardano:

- la cessione (articolo 22), che viene consentita per la totalità o parte dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio è stato registrato;

- la costituzione di diritti reali, tra i quali i pegno (articolo 23) e l’esecuzione forzata (articolo 24)

- la concessione di licenze, la cui disciplina rimane comunque identica a quella già in vigore con la Direttiva n. 2008/95/CE (articolo 25).

 

La Direttiva introduce poi un’apposita Sezione (artt. da 27-36) volta la disciplinare e qualificare i “marchi collettivi” ed i “marchi di garanzia o di certificazione”, in simmetria con la disciplina del “Regolamento marchi” UE n. 207/2009 come riformato dal nuovo Regolamento n. 2015/2424.

Viene pertanto definito:

- «marchio di garanzia o di certificazione»: un marchio d'impresa idoneo a distinguere i prodotti o servizi certificati dal titolare del marchio in relazione al materiale, al procedimento di fabbricazione dei prodotti o alla prestazione dei servizi, alla qualità, alla precisione o ad altre caratteristiche da prodotti e servizi che non sono certificati;

- «marchio collettivo»: un marchio d'impresa idoneo a distinguere i prodotti o servizi dei membri dell'associazione titolare da quelli di altre imprese (articolo 27).

Dunque, nella normativa riformata si distingue tra marchio collettivo in senso stretto, (collective mark cioè marchio che identifica la provenienza di prodotti o servizi da certe imprese associate o consorziate) dal marchio di garanzia o di certificazione (certification mark), che ha invece la funzione esclusiva di garantire natura e qualità di certi prodotti.

Inoltre, la previsione all’interno degli ordinamenti nazionali di “marchi di garanzia o di certificazione” è facoltativa per gli Stati membri.

Si osservi che la definizione di marchio di certificazione contenuto nella Direttiva è sostanzialmente identica a quella dell’art. 67 del Regolamento marchi UE, ma con la differenza che nel marchio di certificazione UE è esplicitamente esclusa la provenienza geografica come elemento idoneo a qualificare il marchio di certificazione UE.

La Direttiva, invece, al riguardo consente agli Stati membri la facoltà di disporre che i segni o le indicazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi costituiscano marchi di garanzia o di certificazione.

Il marchio di garanzia o di certificazione non autorizza il titolare a vietare a un terzo l'uso nel commercio di tali segni o indicazioni, purché l'uso del terzo sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale o commerciale. In particolare un marchio di tale tipo non può essere opposto a un terzo abilitato a utilizzare una denominazione geografica (articolo 28).

Per ciò che concerne i marchi collettivi, essi devono essere previsti all’interno degli ordinamenti nazionali.

La Direttiva dispone che possono depositare domanda di marchio collettivo le associazioni di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi o commercianti che, conformemente al diritto loro applicabile, hanno la capacità, a proprio nome, di essere titolari di diritti e obblighi, di stipulare contratti o compiere altri atti giuridici e di stare in giudizio, nonché le persone giuridiche di diritto pubblico. Anche in questo caso la Direttiva consente agli Stati membri la facoltà di disporre che i segni o le indicazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi costituiscano marchi collettivi.

I marchi collettivi non autorizzano il titolare a vietare a un terzo l'uso nel commercio di tali segni o indicazioni, purché l'uso da parte del terzo sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale o commerciale (articolo 29). E’ prevista poi la presentazione da parte del richiedente un marchio collettivo del relativo regolamento d’uso, in cui debbono quantomeno essere indicate le persone autorizzate a usare il marchio e le relative condizioni di appartenenza all’associazione e di utilizzo, comprese le sanzioni (articolo 30). E’ poi disciplinato il rigetto della domanda (che interviene se non soddisfa la definizione di marchio collettivo, o per assenza di regolamento d’uso o per contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume del regolamento stesso). La direttiva specifica che la domanda è respinta se il pubblico rischia di essere indotto in errore circa il carattere o il significato del marchio, in particolare quando questi non sembri un marchio collettivo (articoli 31-33). Quanto ai motivi di decadenza, oltre al non uso e alla subentrata genericità del marchio, sono enunciati dalla Direttiva i seguenti ulteriori motivi:

- il titolare non adotta misure ragionevoli per prevenire un'utilizzazione del marchio incompatibile con le condizioni del regolamento d'uso;

- il modo di utilizzo del marchio rischia di indurre in errore il pubblico circa il carattere significativo del marchio stesso;

- la modifica del regolamento d'uso del marchio non è conforme alle condizioni previste, a meno che non vi sia una nuova modifica (articolo 36).

 

La Direttiva introduce poi ulteriori disposizioni di armonizzazione della disciplina degli Stati membri per ciò che attiene alla procedura di registrazione del marchio d’impresa (artt.37-50). Vengono dunque indicati i seguenti elementi essenziali della domanda di registrazione:

a) una richiesta di registrazione;

b) informazioni che permettano di identificare il richiedente;

c) l'elenco dei prodotti o dei servizi per i quali si chiede la registrazione;

d) una rappresentazione del marchio che soddisfa i requisiti di identificazione da parte delle autorità e del pubblico.

La domanda di marchio comporta il pagamento di una tassa stabilita dallo Stato membro (art. 37) e la data di deposito della domanda è quella in cui la documentazione di cui sopra viene presentata all’ufficio (art. 38). Come per il Marchio dell’UE, si prevede che i prodotti ed i servizi per i quali è chiesta la protezione sono identificati dal richiedente con chiarezza e precisione sufficienti a consentire alle autorità competenti e agli operatori economici di determinare, esclusivamente su tale base, la portata della protezione richiesta e che tali prodotti e servizi sono classificati secondo il sistema stabilito dall’Accordo di Nizza (art. 39).

La Direttiva facoltizza gli Stati membri a prevedere che, prima della registrazione di un marchio, terzi legittimati possano inviare all’ufficio osservazioni scritte fondate su motivi specifici per cui la domanda di marchio (individuale o collettivo o di certificazione) dovrebbe essere respinta (art. 40). E’ ammessa la divisione delle diverse domande presentate e relative registrazioni (art. 41). Si consente inoltre agli Stati membri di prevedere che la domanda ed il rinnovo di marchi di impresa debbano essere soggetti ad una tassa supplementare per classe dei prodotti (art. 42).

La Direttiva disciplina poi taluni aspetti essenziali delle procedure di opposizione, decadenza e nullità del marchio d’impresa (artt. 43-47). Si obbliga in particolare gli Stati membri a prevedere una procedura di opposizione in via amministrativa avverso una domanda di registrazione di marchio, indicando come soggetti legittimati almeno il titolare di un marchio d’impresa anteriore e la persona autorizzata ad esercitare i diritti conferiti da una denominazione di origine o da un’indicazione geografica protetta. Il termine per la eventuale composizione amichevole è di almeno due mesi (art. 43). Nei procedimenti di opposizione, è in capo all’opponente l’onere della prova dell’effettivo uso del proprio marchio anteriore (art. 44).

 

La Direttiva dispone inoltre che gli Stati membri, fatto salvo il diritto delle parti al ricorso dinanzi agli organi giurisdizionali, debbano prevedere una procedura amministrativa efficiente e rapida per la decadenza e la dichiarazione di nullità.

I motivi di decadenza sono i tassativi: mancanza d’uso effettivo, ingannevolezza o genericità sopravvenuta (sono i motivi di cui agli artt. 19 e 20 della Direttiva).

La procedura amministrativa per la nullità prevede che il marchio debba essere dichiarato nullo almeno per i seguenti motivi:

a) impedimenti assoluti (di cui all’art. 4 della Direttiva)

b) diritto anteriore (di cui all’art. 5 , par. 1-3 della Direttiva)

I soggetti autorizzati a presentare domanda di decadenza/nullità debbono essere almeno le persone fisiche o giuridiche e i gruppi o gli organismi costituiti per rappresentare gli interessi di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi, commercianti o consumatori e che, a norma del diritto applicabile, hanno la capacità di stare in giudizio in nome proprio; e nel caso di nullità per diritto anteriore, la persona interessata, nonché nel caso di una denominazione di origine o un’indicazione geografica protetta i soggetti autorizzati ad esercitarne i diritti.

La domanda di decadenza e di dichiarazione di nullità può essere anche parziale, cioè può vertere su una parte o sulla totalità dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio contestato è registrato. Può essere presentata un’unica domanda per più diritti appartenenti allo stesso titolare.

Anche nei procedimenti per nullità, è in capo all’opponente l’onere della prova dell’effettivo uso del proprio marchio anteriore (art. 46). Gli effetti della dichiarazione di decadenza decorrono dalla data della relativa domanda di decadenza (art. 47).

 

Per ciò che attiene alla durata della registrazione essa è di dieci anni dalla data di deposito della domanda. La registrazione è rinnovabile di dieci anni (art. 48), secondo la procedura delineata nella stessa Direttiva (l’ufficio, almeno sei mesi prima della scadenza, deve informare il titolare e la domanda di rinnovo deve essere presentata in un arco di almeno sei mesi precedenti la scadenza) (art. 49 e 50).

Vi sono poi una serie di disposizioni (artt. 51-52) volte a promuovere la cooperazione tra i diversi Uffici per la proprietà industriale degli Stati membri e per la protezione dei dati personali dei soggetti interessati (art. 53).

 

Il termine dato dalla Direttiva per il suo recepimento (recepimento degli artt. 3 a 6, da 8 a 14, 16, 17 e 18, da 22 a 39, 41, 43 e 44 e da 46 a 50) è fissato al 14 gennaio 2019, tranne che per ciò che riguarda l’introduzione all’interno degli Stati membri della procedura per la decadenza o la dichiarazione di nullità, di cui all’art. 45 della Direttiva, il cui termine di recepimento è più lungo ed è fissato al 14 gennaio 2023.

La precedente direttiva 2008/95/CE è abrogata a decorrere dal 15 gennaio 2019 (articolo 55).

A decorrere da tale data si applicano i seguenti articoli:

- articolo 1, sull’ambito di applicazione della Direttiva

- articolo 7, sugli impedimenti alla registrazione e motivi di nullità soltanto per una parte dei prodotti o servizi per cui il marchio è chiesto o registrato

- articolo 15, sull’esaurimento dei diritti conferiti dal marchio d'impresa

- articoli da 19-21, concernenti la decadenza dei diritti di marchio d'impresa

- articoli da 54-57, su recepimento, abrogazione, entrata in vigore e destinatari della direttiva.

La direttiva è entrata in vigore il 12 gennaio 2016 (articolo 56).


Articolo 4
(Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 gennaio 2016, sulla distribuzione assicurativa)

 

 

L’articolo 4 reca i principi e criteri direttivi specifici relativi alla delega per l’attuazione della direttiva  2016/97, sulla distribuzione assicurativa, che abroga la direttiva 2002/92/CE (direttiva sulla intermediazione assicurativa). L’individuazione di specifici criteri di delega è dovuta alle diverse opzioni che la direttiva consente di esercitare o meno da parte del legislatore nazionale. Inoltre si rende necessario coordinare e armonizzazione la disciplina vigente con le nuove norme.

La direttiva deve essere recepita negli ordinamenti nazionali entro il 23 febbraio 2018.

 

Le lettere a) e b) prevedono criteri volti al coordinamento con la normativa europea della disciplina vigente in ambito assicurativo e finanziario, con espressa abrogazione delle disposizioni incompatibili. Sono individuati in particolare il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (CAP – Codice delle assicurazioni private), il decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF - Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) e il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 che ha istituito e regolamentato l’IVASS (sopprimendo l’ISVAP). Rimane ferma la normativa vigente per quanto riguarda la potestà regolamentare degli organismi di vigilanza previsti (IVASS, CONSOB, Banca d’Italia) con riferimento ai rispettivi aspetti organizzativi, funzionali e di vigilanza.

Si prevede, in particolare, di attribuire all’IVASS e alla CONSOB, nell’ambito delle rispettive competenze, i necessari poteri di vigilanza, di indagine e sanzionatori conseguenti all’adozione della direttiva 2016/97, avuto riguardo all’esigenza di semplificare gli oneri per i soggetti vigilati. Devono essere stabilite forme di collaborazione e poteri regolamentari, da esercitarsi entro dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo di recepimento.

La disposizione, nel richiamare la normativa sul riparto di competenze in materia di vigilanza, cita il regolamento n. 1286/2014 il quale disciplina i documenti informativi di accompagnamento dei prodotti d'investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (packaged retail and insurancebased investment products - PRIIPs). Il regolamento stabilisce regole uniformi sul formato e sul contenuto del documento contenente le informazioni chiave (cd. KID - key information document) che deve essere redatto dagli ideatori di PRIIPs, nonché sulla diffusione del documento stesso agli investitori al dettaglio, al fine di consentire a questi ultimi di comprendere e raffrontare le caratteristiche e i rischi chiave dei PRIIPs. La normativa italiana, in particolare il TUF (D.Lgs. n. 58 del 1998), è stata adeguata al regolamento  n. 1286/2014 tramite il D.Lgs. n. 224 del 2016.

Il coordinamento della disciplina sulla distribuzione assicurativa con la normativa in via di introduzione nei settori bancario, creditizio e finanziario, si rende necessario in vista del recepimento della direttiva MiFID II i cui termini sono stati prorogati di un anno (3 gennaio 2018) dal regolamento 2016/1033 e dalla direttiva 2016/1034. Per ragioni di armonizzazione con i settori affini (la distribuzione dei prodotti assicurativi, unitariamente disciplinata con la direttiva da recepire, può avvenire sia attraverso intermediari bancari che di assicurazione) i criteri individuati, nel rispetto delle competenze attribuite alle diverse autorità di vigilanza nazionali di settore, sono volti a garantire una omogeneizzazione dei precetti avuto riguardo alla disciplina sanzionatoria recata dall’ordinamento, recentemente novellata a livello europeo, sia per quanto riguarda gli intermediari, sia per quanto riguarda il settore bancario, creditizio e finanziario.

Si segnala che il 28 aprile 2017 il Consiglio dei ministri ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo di attuazione della direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari (cosiddetta MiFID II) e di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento  600/2014 sulla stessa materia (cosiddetto MiFIR) (Atto del Governo n. 413, attualmente all’esame delle Camere per il parere).

 

Le lettere c) e d) hanno ad oggetto i criteri direttivi in materia di obblighi e requisiti di registrazione per gli intermediari. In particolare, a fronte delle opzioni previste dalla direttiva (articolo 3, paragrafo 1, commi 3, 4 e 5) si prevede che gli intermediari assicurativi e riassicurativi e gli intermediari assicurativi a titolo accessorio siano registrati direttamente da apposito organismo posto sotto il controllo dell’IVASS, secondo le modalità da quest’ultima stabilite con regolamento. Si ricorda che la direttiva dispone che le imprese di assicurazione e riassicurazione e i loro dipendenti non sono, invece, tenuti a registrarsi. Le imprese di assicurazione e riassicurazione e gli intermediari assicurativi e riassicurativi devono collaborare nella registrazione degli intermediari assicurativi e riassicurativi e degli intermediari assicurativi a titolo accessorio che agiscono sotto la loro responsabilità, verificandone contestualmente il rispetto delle condizioni di registrazione.

Esercitando le opzioni previste nella direttiva (articolo 10, paragrafo 2, comma 4, e paragrafo 3, comma 2), si prevede che le imprese di assicurazione e riassicurazione e gli intermediari assicurativi e riassicurativi provvedano direttamente alla verifica del possesso dei requisiti professionali e di onorabilità dei propri dipendenti nonché degli intermediari assicurativi e riassicurativi e degli intermediari assicurativi a titolo accessorio che agiscono sotto la loro responsabilità, eventualmente impartendo essi stessi la formazione o fornendo essi stessi appositi strumenti di aggiornamento professionale corrispondenti ai requisiti relativi ai prodotti proposti.

 

Le lettere e), f) e g) riguardano le informative contrattuali e le vendite contestuali di prodotti di tipo diverso (cross selling).

Si dispone in primo luogo che il documento informativo standardizzato sia fornito dal distributore contestualmente alle altre informazioni richieste dalla normativa vigente, secondo le modalità stabilite da IVASS (lettera e) che esercita l’opzione prevista dall’articolo 20, paragrafo 7, comma 2, della direttiva).

Deve essere inoltre attribuito all’IVASS il potere di vietare la vendita di un’assicurazione assieme a un servizio o prodotto accessorio diverso da un’assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, quando tale pratica sia dannosa per i consumatori (lettera f) che esercita l’opzione prevista dall’articolo 24, paragrafo 7, della direttiva).

Si prevede, altresì, che lo stesso Istituto possa adottare provvedimenti secondari al fine di introdurre, in tema di obblighi di informazione a tutela degli assicurati, disposizioni più rigorose di quelle previste dal Capo V della direttiva, tenuto conto del carattere di armonizzazione minima della stessa direttiva (lettera g) che esercita l’opzione prevista dall’articolo 22, paragrafo 2, comma 1).

La lettera h) prevede che le informazioni obbligatorie da fornire al cliente e quelle riguardanti la valutazione dell’idoneità e dell’adeguatezza dei prodotti (articoli 29 e 30 della direttiva) siano fornite anche ai clienti professionali (come individuati dall’allegato II della direttiva MiFID II). Anche in questo caso è esercitata un’opzione, in senso più gravoso, prevista dalla direttiva (articolo 22, paragrafo 1, comma 2).

La lettera i) prevede che sia disciplinata la prestazione di consulenza da parte dell’intermediario assicurativo o dell’impresa di assicurazione nel caso di vendita di un prodotto d’investimento assicurativo. Tale disposizione non si pronuncia in merito all’opzione prevista dall’articolo 29, paragrafo 3, comma 3, della direttiva che consente agli Stati di rendere obbligatoria la consulenza per la vendita di un prodotto d’investimento assicurativo.

La lettera l), al fine di omologare la disciplina in materia di risoluzione delle controversie sorte tra consumatori e imprese di assicurazioni con quella innovata dalla direttiva 2016/97 riguardante il segmento della distribuzione assicurativa, è volta a dare attuazione all'articolo 15 della direttiva introducendo procedure di reclamo e di risoluzione stragiudiziale delle controversie, anche fra i clienti e le imprese di assicurazione e riassicurazione, aventi ad oggetto i diritti e gli obblighi derivanti dalla direttiva  2016/97, nonché dalle altre disposizioni applicabili ai soggetti vigilati, nel rispetto dei principi, delle procedure e dei requisiti previsti dal Codice del consumo (decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206: il quale disciplina una procedura di risoluzione extragiudiziale delle controversie eseguita da un organismo ADR-Alternative Dispute Resolution).

 Secondo la relazione governativa, la creazione di un sistema unico di ADR, valido per entrambi i settori di mercato, distributori e imprese di assicurazione, è funzionale a garantire la parità di trattamento nell’interesse dei consumatori.

La lettera m) prevede di modificare, con riguardo alle imprese di assicurazione e ai distributori assicurativi e riassicurativi, l’impianto relativo alle sanzioni amministrative pecuniarie contenuto nel CAP, anche prevedendo misure alternative e misure accessorie alle sanzioni amministrative pecuniarie, al fine di armonizzare la predetta disciplina con il sistema sanzionatorio previsto per le violazioni di obblighi contenuti nella direttiva. Non è invece esercitata l’opzione (prevista dall’articolo 33, paragrafo 4, della direttiva) con la quale possono essere previste nuove ipotesi sanzionatorie.

Si prevede inoltre di realizzare, nel rispetto della specificità del settore assicurativo, una armonizzazione con l’analoga disciplina stabilita dal TUB. A tal fine si prevede di:

1) attribuire all’IVASS il potere di applicare, in via generale, le sanzioni amministrative pecuniarie alle imprese di assicurazione o di riassicurazione, o alle imprese di partecipazione assicurativa, o alle imprese di partecipazione finanziaria mista, nei cui confronti siano accertate le violazioni della normativa primaria e secondaria di riferimento;

2) introdurre una più estesa responsabilizzazione delle persone fisiche rispetto all’attuale disciplina prevista dal CAP, con la possibilità - fermi i casi di inosservanza dei doveri nei confronti dell’autorità di vigilanza (previsti nel Titolo XVIII, Capo V, del CAP) - che la sanzione sia irrogata anche nei confronti dei soggetti che svolgono le funzioni di amministrazione, direzione, controllo nonché dei dipendenti o di coloro che operano sulla base di rapporti che ne determinano l’inserimento nell’organizzazione del soggetto vigilato anche in forma diversa dal rapporto di lavoro subordinato, individuando le tipologie di violazione, i presupposti che determinano la responsabilità delle persone fisiche, le condizioni in relazione alle funzioni ricoperte nella struttura dell’impresa che ne determinano la sanzionabilità;

3) nel rispetto del riparto di competenze attribuite alle altre autorità nei settori bancario, creditizio e finanziario:

3.1) prevedere in capo all’IVASS il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie secondo importi edittali minimi e massimi in coerenza con i limiti indicati dalla direttiva e, per le violazioni diverse da quelle concernenti l’attività di distribuzione assicurativa, con i limiti minimi e massimi previsti per le persone fisiche e le persone giuridiche dal TUB, assicurando il rispetto dei principi di proporzionalità, dissuasività, adeguatezza e coerenza con la capacità finanziaria del soggetto responsabile della violazione, ovvero, in base ai criteri e nei limiti massimi previsti dal regolamento  n. 1286/2014, relativo ai documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d’investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (PRIIPs);

il regolamento  n. 1286/2014, alla norma citata dalla disposizione in commento (articolo 24, paragrafo 2, lettera e)), prevede che le autorità competenti devono avere il potere di irrogare, in conformità del diritto nazionale, sanzioni pecuniarie amministrative di almeno:

i)  persona giuridica:

-  fino a 5 000 000 EUR oppure, negli Stati membri la cui moneta non è l'euro, il valore corrispondente nella valuta nazionale al 30 dicembre 2014, o fino al 3 % del fatturato totale annuo di tale persona giuridica in base agli ultimi bilanci d'esercizio disponibili approvati dall'organo di amministrazione; o

-  fino al doppio dell'ammontare dei profitti ricavati o delle perdite evitate grazie alla violazione, se possono essere determinati;

ii)  persona fisica:

-  fino a 700 000 EUR, oppure, negli Stati membri la cui moneta non è l'euro, il valore corrispondente nella valuta nazionale al 30 dicembre 2014; o

-   fino al doppio dell'ammontare dei profitti ricavati o delle perdite evitate grazie alla violazione, se possono essere determinati.

3.2) prevedere l’introduzione di specifiche misure per la deflazione dei procedimenti sanzionatori, stabilendo che più violazioni commesse in un determinato arco temporale costituiscono oggetto di accertamento unitario da parte dell’IVASS e che le violazioni della stessa indole sono contestate con un unico atto;

4) l’entità delle sanzioni amministrative, applicabili alle violazioni diverse da quelle concernenti l’attività di distribuzione assicurativa, è determinata nel seguente modo:

4.1) la sanzione applicabile alle società sarà compresa tra un minimo di euro trentamila ed un massimo pari al dieci per cento del fatturato;

4.2) la sanzione applicabile alle persone fisiche sarà compresa tra un minimo di euro cinquemila ed un massimo di euro cinque milioni;

4.3) qualora il vantaggio ottenuto dall’autore della violazione sia superiore ai limiti indicati ai punti 4.1) e 4.2), le sanzioni sono elevate fino al doppio dell’ammontare del vantaggio ottenuto, purché tale vantaggio sia determinabile; 

5) per le violazioni concernenti l’attività di distribuzione assicurativa, l’entità delle sanzioni amministrative è determinata nel seguente modo:

5.1) la sanzione applicabile alle società sarà compresa tra un minimo di cinquemila euro ed un massimo di cinque milioni di euro, oppure, se superiore, corrispondente al 5 per cento del fatturato complessivo annuo risultante dall’ultimo bilancio disponibile approvato;

5.2) la sanzione applicabile alle persone fisiche sarà compresa tra un minimo di euro mille ed un massimo di euro settecentomila;

6) per le violazioni connesse alla distribuzione dei prodotti d’investimento assicurativi le sanzioni amministrative pecuniarie a carico dei distributori sono definite in base ai criteri e nei limiti massimi di cui all’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva  n. 2016/97:

- nel caso persona giuridica, le seguenti sanzioni amministrative pecuniarie massime:

i)  almeno 5 000 000 EUR o fino al 5 % del fatturato totale annuo in base all'ultimo bilancio disponibile approvato dall'organo di amministrazione o, negli Stati membri la cui moneta ufficiale non è l'euro, il valore corrispondente nella valuta nazionale alla data di entrata in vigore della presente direttiva. Se la persona giuridica è un'impresa madre o una filiazione dell'impresa madre che deve redigere bilanci consolidati ai sensi della direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, il fatturato complessivo da considerare è il fatturato complessivo annuo risultante dagli ultimi conti consolidati disponibili approvati dall'organo di amministrazione dell'impresa madre capogruppo; oppure

ii)  fino al doppio dell'ammontare dei profitti ricavati o delle perdite evitate grazie alla violazione, se possono essere determinati;

- nel caso di una persona fisica, le seguenti sanzioni amministrative pecuniarie massime:

i)  almeno 700 000 EUR o, negli Stati membri la cui moneta non è l'euro, il valore corrispondente nella valuta nazionale alla data di entrata in vigore della presente direttiva; oppure

ii)  fino al doppio dell'ammontare dei profitti ricavati o delle perdite evitate grazie alla violazione, se possono essere determinati.

 

 

 


Articolo 5
(Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/425 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio)

 

 

L’articolo 5 reca i principi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega legislativa per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/425, sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio. Il legislatore nazionale dovrà pertanto abrogare le disposizioni legislative corrispondenti preesistenti e non adeguate alle sopraggiunte esigenze di armonizzazione, per evitare elementi di possibile confusione. Dovranno altresì essere individuate le autorità nazionali competenti in materia di sorveglianza del mercato e controlli, nonché allo svolgimento delle attività prescritte dal regolamento in tema di notifica degli organismi di valutazione della conformità dei prodotti in questione. Verrà esercitata l’opzione relativa alla possibilità di affidare all’organismo unico nazionale di accreditamento la valutazione ed il controllo dei predetti organismi da notificare.

 

Il comma 1 prevede che il Governo adotti, con delega da esercitare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) n. 2016/425, sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio. Tale regolamento è stato adottato con il fine di semplificare e chiarire il quadro esistente per l'immissione sul mercato dei dispositivi di protezione individuale, nonché di migliorare la trasparenza, l'efficacia e l'armonizzazione delle misure esistenti tenendo, altresì, conto del nuovo quadro normativo generale adottato per l'armonizzazione europea e, in particolare, del regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, che pone norme generali in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti, che stabilisce norme riguardanti l'accreditamento degli organismi di valutazione della conformità, fornisce un quadro per la vigilanza del mercato dei prodotti e per i controlli sui prodotti provenienti dai paesi terzi e stabilisce i principi generali della marcatura CE. 

I decreti delegati sono adottati con le procedure di cui all’articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari; il comma 2 prevede che la relativa proposta spetti al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Ministri dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri della giustizia, degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dell'economia e delle finanze e dell'interno.

Per il comma 3, la delega dovrà essere esercitata anche nel rispetto di princìpi e criteri direttivi specifici, Tra di essi, il criterio di cui alla lettera a) prevede l’aggiornamento delle disposizioni del decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475, come modificato dal decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 10, per l'adeguamento alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/425 e alle altre innovazioni intervenute nella normativa nazionale. Il regolamento chiede agli Stati membri di mettere in campo una serie di azioni attuative o correttive alle disposizioni di settore nazionali preesistenti, al fine di superare le carenze nonché le incongruenze nella copertura dei prodotti e nelle procedure di valutazione della conformità evidenziate nell'applicazione della direttiva 89/686/CEE. In particolare, si tratta del necessario coordinamento con le disposizioni generali in materia di mercato, sicurezza e conformità dei prodotti contenute nel citato regolamento (CE) n. 765/2008, nonché nella decisione n. 768/2008/CE, relativa a un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti, che stabilisce principi generali e disposizioni di riferimento da applicare in tutta la normativa settoriale, in modo da fornire una base coerente per la revisione o la rifusione di tale normativa. Si tratta, altresì: dell’inclusione nell’ambito di applicazione della nuova disciplina di alcuni prodotti sul mercato che svolgono una funzione protettiva per l'utilizzatore in precedenza invece esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva 89/686/CEE; della maggiore responsabilizzazione di tutti gli operatori economici interessati; della semplificazione e l’adeguamento di alcuni requisiti essenziali di sicurezza previsti dalle norme oggi vigenti, secondo criteri di praticabilità e proporzionalità; della maggiore qualificazione dei requisiti da applicare alle autorità di notifica e agli altri organismi coinvolti nella valutazione, nella notifica e nella sorveglianza degli organismi notificati.

Il criterio di cui alla lettera b) fa salva la possibilità di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/425 ed agli atti delegati e di esecuzione del medesimo regolamento europeo con successivo regolamento ministeriale, nelle materie non riservate alla legge e già eventualmente regolate a rango equiordinato. Ai sensi del criterio di cui alla lettera c) è individuato il Ministero dello sviluppo economico quale autorità notificante ai sensi dell'articolo 21 del regolamento (UE) n. 2016/425. La relazione illustrativa precisa che dovranno altresì essere individuate le autorità nazionali competenti in materia di sorveglianza del mercato e controlli, nonché allo svolgimento delle attività prescritte dal regolamento in tema di notifica degli organismi di valutazione della conformità dei prodotti in questione, confermate nelle autorità già attualmente individuate nel Ministero dello sviluppo economico e, in parte, nel Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

In effetti, il criterio di cui alla lettera d) fissa i criteri e le procedure necessari per la valutazione, la notifica e il controllo degli organismi da autorizzare per svolgere compiti di parte terza nel processo di valutazione e verifica della conformità dei dispositivi di protezione individuale ai requisiti essenziali di salute e sicurezza posti dal regolamento unionale. Ciò risponde anche al fine di prevedere che tali compiti di valutazione e di controllo degli organismi siano affidati mediante apposite convenzioni non onerose all'organismo unico nazionale di accreditamento ai sensi dell'articolo 4 della legge 23 luglio 2009, n. 99. Si tratta di un’opzione relativa alla possibilità di affidare all’organismo unico nazionale di accreditamento la valutazione ed il controllo dei predetti organismi da notificare: la relazione illustrativa tiene conto "del particolare favore con cui il regolamento europeo in questione valuta il ricorso all’accreditamento trasparente, quale previsto dal regolamento (CE) n. 765/2008, che garantisce il necessario livello di fiducia nei certificati di conformità e che, sempre secondo tale atto normativo dell’Unione europea, dovrebbe essere considerato dalle autorità pubbliche nazionali in tutta l'Unione lo strumento preferenziale per dimostrare la competenza tecnica degli organismi di valutazione della conformità".

Il criterio di cui alla lettera e) prevede l’adozione di disposizioni in tema di proventi e tariffe per le attività connesse all'attuazione del regolamento (UE) 2016/425, conformemente a quanto il comma 4 dell'articolo 30 della legge n. 234/2012 prevede ai fini dell'attuazione delle disposizioni dell'Unione europea di cui alla legge di delegazione europea e alla legge europea per l'anno di riferimento: pertanto gli oneri relativi a prestazioni e a controlli, da eseguire da parte di uffici pubblici, sono posti a carico dei soggetti interessati, ove ciò non risulti in contrasto con la disciplina dell'Unione europea, secondo tariffe predeterminate e pubbliche, nonché determinate sulla base del costo effettivo del servizio reso.

Ai sensi del criterio di cui alla lettera f) sono previste le sanzioni penali o amministrative pecuniarie efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità delle violazioni degli obblighi derivanti dal regolamento unionale citato: ciò conformemente alle previsioni dell'articolo 32, comma 1, lettera d)[9], e dell'articolo 33, commi 2 e 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 234. Poiché tale ultimo riferimento attiene all'esercizio della delega (con decreti legislativi adottati ai sensi dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, previa trasmissione per il parere parlamentare, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia) "di concerto con i Ministri competenti per materia" - e poiché con essa si individueranno anche le procedure per la vigilanza sul mercato dei dispositivi di protezione individuale (ai sensi del capo VI del predetto regolamento unionale) -, assume rilievo il predetto inciso della relazione illustrativa, che nell'individuazione delle autorità nazionali competenti in materia di sorveglianza del mercato e controlli ravvisa anche un ruolo, in parte, nel Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Ai sensi del criterio di cui alla lettera g) è prevista l’abrogazione espressa delle disposizioni di legge o di regolamento incompatibili con i decreti legislativi di cui al comma 1.

Il comma 4 contiene la clausola di neutralità finanziaria dell’attuazione della delega e dei conseguenti adempimenti a carico delle amministrazioni. La relazione tecnica - considerato che il provvedimento disciplina attività che attengono a competenze istituzionali già previste dall’ordinamento interno - ribadisce che alle stesse si farà fronte con le risorse disponibili a legislazione vigente; essa ricorda, altresì, che le convenzioni di cui al comma 3, lettera d), non saranno onerose.

 


Articolo 6
(Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/426 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sugli apparecchi che bruciano carburanti gassosi e che abroga la direttiva 2009/142/CE)

 

 

L’articolo 6 conferisce la delega per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/426 sugli apparecchi che bruciano carburanti gassosi e che abroga la direttiva 2009/142/CE. Segue una delega all’adozione di regolamenti ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

 

Il comma 1 contiene una delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/426, sugli apparecchi che bruciano carburanti gassosi e che abroga la direttiva 2009/142/CE, che a sua volta codificava con marginali aggiornamenti la direttiva 90/396/CE, recepita con il decreto del Presidente della Repubblica 15 novembre 1996, n. 661. La materia è regolata in Italia anche dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1083, recante norme per la sicurezza dell'impiego del gas combustibile.

Il regolamento europeo (UE) n. 2016/426 semplifica e chiarisce il quadro esistente per l'immissione sul mercato degli apparecchi che bruciano carburanti gassosi e migliora la trasparenza, l'efficacia e l'armonizzazione delle misure esistenti tenendo, altresì, conto del nuovo quadro normativo generale adottato per l'armonizzazione europea e, in particolare, del regolamento (CE) n. 765/2008.

 

Il citato regolamento europeo (UE) n. 2016/426 dispone il superamento delle carenze evidenziate nell'applicazione della direttiva 2009/142/CE; il necessario coordinamento con le disposizioni generali in materia di mercato, sicurezza e conformità dei prodotti contenute nel regolamento (CE) n. 765/2008 e nella decisione n. 768/2008/CE; la maggiore responsabilizzazione degli operatori economici interessati; la maggiore qualificazione dei requisiti da applicare alle autorità di notifica e agli altri organismi coinvolti nella valutazione, nella notifica e nella sorveglianza degli organismi notificati. 

La maggior parte delle disposizioni contenute nel regolamento (UE) n. 2016/426 saranno direttamente applicabili nell’ordinamento interno dei singoli Stati europei a decorrere dal 21 marzo 2018 e dal 21 aprile 2018, salvo alcuni articoli, in particolare quelli relativi alla nuova disciplina degli organismi notificati, che si applicano dal 21 ottobre 2016.

Il legislatore nazionale dovrà sostanzialmente abrogare espressamente, per evitare elementi di possibile confusione, le disposizioni legislative e regolamentari corrispondenti preesistenti e non adeguate; dovrà individuare le autorità nazionali competenti in materia di sorveglianza del mercato e controlli, nonché allo svolgimento delle attività prescritte dal regolamento (CE) n. 765/2008 in tema di notifica degli organismi di valutazione della conformità dei prodotti in questione, confermando espressamente le medesime autorità individuate dalla norma vigente nel Ministero dello sviluppo economico e in parte nel Ministero dell’interno e, infine, dovrà esercitare l’opzione relativa alla possibilità di affidare all’organismo unico nazionale di accreditamento la valutazione ed il controllo dei predetti organismi da notificare, tenendo conto del particolare favore con cui il regolamento europeo in questione valuta il ricorso all’accreditamento trasparente, quale previsto dal regolamento (CE) n. 765/2008, che garantisce il necessario livello di fiducia nei certificati di conformità e che, sempre secondo tale atto normativo dell’Unione europea, dovrebbe essere considerato dalle autorità pubbliche nazionali in tutta l'Unione lo strumento preferito per dimostrare la competenza tecnica degli organismi di valutazione della conformità. Anche per questo aspetto l’opzione del ricorso all’accreditamento, peraltro, è già in corso di esercizio in tal senso a livello nazionale sulla base delle norme vigenti e va solo espressamente confermata nella presente sede legislativa.

 

La disposizione in esame si articola in una delega legislativa (commi 1, 2 e 3) ed in una delega all’adozione di regolamenti ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (commi 4 e 5).

Per quanto riguarda la delega legislativa - la cui proposta è attribuita dal comma 2 al Presidente del Consiglio, al Ministro dello sviluppo economico e dell'interno, di concerto col MAE, il ministro della giustizia ed il MEF - il criterio di cui al comma 3, lettera a), prevede l’aggiornamento delle disposizioni della legge 6 dicembre 1971, n. 1083, per l’adeguamento alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/426, con abrogazione espressa delle disposizioni superate dal regolamento (UE) n. 2016/426 e coordinamento delle residue disposizioni.

Il criterio di cui al comma 3, lettera b), fa salva la possibilità di adeguare la normativa nazionale regolamentare vigente nelle materie non riservate alla legge alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/426, alle sue eventuali successive modifiche, nonché agli atti delegati e di esecuzione del medesimo regolamento europeo, con i regolamenti governativi previsti dal successivo comma 4.

Ai sensi del criterio di cui al comma 3, lettera c), viene confermata l’individuazione del Ministero dello sviluppo economico e, per quanto di competenza, del Ministero dell’interno e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, quali autorità di vigilanza del mercato.

Il criterio di cui al comma 3, lettera d), prevede l’adozione di sanzioni penali o amministrative efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità delle violazioni degli obblighi derivanti dal regolamento (UE) n. 2016/426, conformemente alle previsioni pertinenti della legge 24 dicembre 2012, n. 234.

Ai fini dell’adeguamento della normativa nazionale regolamentare vigente nelle materie non coperte da riserva di legge, alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/426, alle sue eventuali successive modifiche, nonché agli atti delegati e di esecuzione del medesimo regolamento europeo, il comma 4 prevede l’adozione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al presente articolo, di uno o più regolamenti ai sensi dell'articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

I princìpi e criteri direttivi specifici relativi a tale delega sono contemplati al comma 5.

In particolare, il criterio di cui al comma 5, lettera a), prevede l’aggiornamento delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 15 novembre 1996, n. 661, per adeguamento alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/426, con abrogazione espressa delle disposizioni già superate dal regolamento (UE) n. 2016/426 e coordinamento delle residue disposizioni.

Il criterio di cui al comma 5, lettera b), prevede l’individuazione del Ministero dello sviluppo economico quale autorità notificante ai sensi dell'articolo 20 del regolamento (UE) n. 2016/426.

Ai sensi del criterio di cui al comma 5, lettera c), occorrerà fissare i criteri e le procedure necessari per la valutazione, la notifica e il controllo degli organismi da autorizzare per svolgere compiti di parte terza nel processo di valutazione e verifica della conformità degli apparecchi che bruciano carburanti gassosi, ai requisiti essenziali di salute e sicurezza di cui agli articoli 5 e 14 del regolamento (UE) n. 2016/426, anche al fine di prevedere che tali compiti di valutazione e di controllo degli organismi siano affidati mediante apposite convenzioni non onerose all'organismo unico nazionale di accreditamento ai sensi dell'articolo 4 della legge 23 luglio 2009, n. 99.

 

Verrà, quindi, esercitata l’opzione relativa alla possibilità di affidare all’organismo unico nazionale di accreditamento la valutazione ed il controllo dei predetti organismi da notificare, tenendo conto del particolare favore con cui il regolamento europeo in questione valuta il ricorso all’accreditamento trasparente, quale previsto dal regolamento (CE) n. 765/2008, che garantisce il necessario livello di fiducia nei certificati di conformità e che, sempre secondo tale atto normativo dell’Unione europea, dovrebbe essere considerato dalle autorità pubbliche nazionali in tutta l'Unione lo strumento preferenziale per dimostrare la competenza tecnica degli organismi di valutazione della conformità. Tale opzione, già esercitata in tal senso a livello nazionale sulla base delle norme vigenti, verrà confermata nella presente sede legislativa.

 

Il criterio di cui al comma 5, lettera d), prevede l’individuazione delle procedure per la vigilanza sul mercato degli apparecchi che bruciano carburanti gassosi ai sensi del capo V del regolamento (UE) n. 2016/426.

 

In base al criterio di cui al comma 5, lettera e), è prevista l’adozione di disposizioni in tema di proventi e tariffe per le attività connesse all'attuazione del regolamento (UE) n. 2016/426.

 

Si tratta di disposizioni assunte conformemente al comma 4 dell'articolo 30 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, secondo cui gli oneri relativi a prestazioni e a controlli da eseguire da parte di uffici pubblici, ai fini dell'attuazione delle disposizioni dell'Unione europea di cui alla legge di delegazione europea per l'anno di riferimento e alla legge europea per l'anno di riferimento, sono posti a carico dei soggetti interessati, ove ciò non risulti in contrasto con la disciplina dell'Unione europea, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo del servizio reso. Le tariffe in questione sono predeterminate e pubbliche. Le entrate derivanti dalle tariffe così determinate sono attribuite, nei limiti previsti dalla legislazione vigente, alle amministrazioni che effettuano le prestazioni e i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469.


Articolo 7
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato) e che abroga la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione)

 

 

L’articolo 7 delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame uno o più decreti legislativi per adeguare la normativa nazionale al regolamento (UE) n. 596/2014, relativo agli abusi di mercato.

Tra i principi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega (comma 3) si segnala la necessità di garantire un appropriato grado di protezione dell'investitore, di tutela della stabilità finanziaria e dell'integrità dei mercati finanziari. La CONSOB viene designata quale autorità competente. Infine, viene estesa la disciplina in materia di confisca ai casi di violazione delle disposizioni del predetto regolamento UE.

 

Più in dettaglio, il comma 1 dell’articolo 7 delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame e secondo le ordinarie procedure di recepimento degli atti normativi UE (di cui all’articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, per cui si veda più diffusamente l’introduzione al presente lavoro), acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi per adeguare la normativa nazionale al regolamento (UE) n. 596/2014, relativo agli abusi di mercato, che abroga la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/ CE e 2004/72/CE della Commissione.

Trattandosi di un regolamento, le norme ivi contenute sono direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale a partire dalla sua entrata in vigore (3 luglio 2016). Le norme in esame intendono quindi delegare il Governo all’adeguamento della disciplina nazionale alle prescrizioni già in forza.

 

La regolamentazione del market abuse

 

Il 3 luglio 2016 è entrato in vigore il Regolamento (UE) n. 596/2014 (Market Abuse Regulation - MAR), che ha sostituito le disposizioni contenute nella  Direttiva 2003/6/CE (MAD1) relativa agli abusi di mercato, istituendo un quadro comune di regolamentazione in materia di abuso di informazioni privilegiate, comunicazioni illecite di informazioni previlegiate e manipolazione del mercato.

Il MAR mira a garantire che la normativa dell'Unione europea sia al passo con gli sviluppi di mercato al fine di contrastare gli abusi sui mercati finanziari, nonché sui mercati dei prodotti primari e dei relativi derivati (ossia mercati sui quali si scambiano prodotti primari quali oro, frumento, ecc. e strumenti finanziari basati su di essi).

In particolare, si vieta esplicitamente la manipolazione dei parametri di riferimento (quali il London Interbank Offered Rate, conosciuto come tasso LIBOR). Sono rafforzati i poteri di indagine e sanzione dei regolatori indicati dai paesi dell'UE. al fine di garantire il corretto funzionamento dei loro mercati finanziari. Viene garantito un corpus normativo unico europeo riducendo al contempo gli oneri amministrativi, laddove possibile, degli emittenti di piccole e medie dimensioni.

Le norme individuano tre tipi di abusi:

a) manipolazione del mercato; essa rientra fra le transazioni o i comportamenti che danno o potrebbero dare segnali falsi o fuorvianti riguardo all'offerta/domanda di uno strumento finanziario, garantiscono o potrebbero garantire il prezzo di uno strumento finanziario a un livello anormale. La manipolazione di mercato può inoltre consistere in una transazione o un comportamento che fa uso di un dispositivo fittizio o altra forma di inganno; diffusione di informazioni fuorvianti; trasmissione di informazioni false o fuorvianti, fornitura di dati falsi o fuorvianti o qualsiasi azione che manipoli il calcolo di un parametro di riferimento;

b) abuso di informazioni privilegiate; esso si configura laddove una persona usi informazioni privilegiate effettuando transazioni, per proprio conto o per conto terzi, su uno strumento finanziario cui tali informazioni privilegiate si riferiscono. Le informazioni privilegiate hanno natura precisa, non pubblica, riguardano l'emittente (o gli emittenti) di strumenti finanziari e, se rese pubbliche, avrebbero un effetto significativo sui prezzi;

c) comunicazione illecita di informazioni privilegiate, che si configura qualora una persona possieda informazioni privilegiate e le comunichi a un'altra persona (ad esempio facendo trapelare documenti riservati che contengono informazioni privilegiate), tranne nel caso in cui la comunicazione avvenga nel normale esercizio di una mansione, di una professione o di obblighi.

Le norme del MAR si applicano a persone o imprese che commettono abusi di mercato in merito allo scambio di strumenti finanziari attraverso piattaforme di scambio o negoziati privatamente in transazioni fuori borsa.

E’ compito dei Paesi membri specificare le sanzioni amministrative pecuniarie, pari ad almeno 15 milioni di euro o al 15 per cento del fatturato annuale totale per le persone giuridiche (come le aziende), e a 5 milioni di euro per le persone fisiche, applicabili dalle autorità competenti.

Come anticipato, il MAR rafforza i poteri di controllo e indagine delle autorità di regolamentazione indicate da ogni Paese UE, per garantire il corretto funzionamento dei mercati finanziari. Per esempio, fra altri poteri, le Autorità possono condurre ispezioni e indagini sul posto e richiedere il congelamento o il sequestro dei beni.

Dall'adozione del regolamento sugli abusi di mercato, la Commissione europea ha adottato un insieme di regolamenti che integrano o chiarificano ulteriormente determinati aspetti del regolamento. Essi riguardano, fra le altre cose:

- dettagli riguardanti gli elenchi interni che gli emittenti di strumenti finanziari devono redigere (regolamento (UE) 2016/347);

- norme riguardanti la comunicazione di ordini o transazioni sospetti (regolamenti (UE) 2016/378 e 2016/957);

- norme sulla presentazione di raccomandazioni di investimento [regolamento (UE) 2016/958] e sondaggi di mercato [regolamenti (UE) 2016/959 e 2016/960].

Accanto al regolamento sugli abusi di mercato, la Direttiva 2014/57/UE relativa alle sanzioni penali in caso di abusi di mercato richiede che tutti i paesi dell'UE armonizzino le proprie leggi sui reati penali per gli abusi di mercato.

La Consob nel mese di dicembre 2016 ha reso noto di aver recepito le disposizioni europee che riguardano il ritardo nella pubblicazione al pubblico di informazioni privilegiate e i sondaggi di mercato.

In particolare sono stati recepiti gli orientamenti EBA pubblicati sul sito dell’organismo di vigilanza europeo rispettivamente il 20 ottobre e il 10 novembre 2016. Essi sono entrati in vigore il 20 dicembre 2016 e il 10 gennaio 2017.

Il primo orientamento prevede che un emittente di strumenti finanziari comunichi al pubblico, quanto prima possibile, le informazioni privilegiate che riguardano direttamente l’emittente stesso, a specifiche condizioni.

Con riferimento ai sondaggi di mercato, l’articolo 10 del Regolamento MAR definisce l’abuso relativo alla comunicazione illecita di informazioni privilegiate. L’orientamento ESMA offre una specifica protezione per i soggetti incaricati di effettuare sondaggi di mercato, per conto di chi detiene una rilevante partecipazione azionaria, al fine di sondare la disponibilità di potenziali investitori a prendere parte ad un’operazione di mercato.

L’ESMA ha successivamente pubblicato specifici orientamenti relativi ai mercati degli strumenti derivati su merci o ai mercati a pronti su merci, ai sensi degli articoli 7 e 10 del regolamento MAR, con l’obiettivo di illustrare gli ambiti della definizione di “informazione privilegiata” in relazione agli strumenti derivati su merci. La Consob ha comunicato all’ESMA la decisione di conformarsi agli Orientamenti in parola (Comunicazione del 16 marzo 2017). Detti orientamenti si applicano a partire dal 17 marzo 2017.

 

Ai sensi del comma 2,  i predetti decreti legislativi sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con i Ministri della giustizia, degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dello sviluppo economico.

 

Il comma 3 reca gli specifici principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega.

Più in dettaglio il Governo deve:

a) modificare la normativa vigente in conformità alle definizioni e alla disciplina del regolamento MAR, al fine di coordinarla con le altre disposizioni vigenti, assicurando un appropriato grado di protezione dell'investitore, di tutela della stabilità finanziaria e dell'integrità dei mercati finanziari;

b) apportare al TUF - Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (D. Lgs. n. 58 del 1998) le modifiche e le integrazioni necessarie per dare attuazione alle disposizioni del regolamento MAR e provvedere ad abrogare espressamente le norme dell'ordinamento nazionale riguardanti gli istituti disciplinati dal regolamento anzidetto;

c) prevedere la CONSOB quale autorità competente ai fini del regolamento, assicurando che la stessa autorità possa esercitare i poteri di vigilanza e di indagine di cui agli articoli 22 e 23 e i poteri sanzionatori di cui all'articolo 30 del regolamento.

Ai sensi del richiamato articolo 22, ogni Stato membro designa un’unica autorità amministrativa competente, da comunicare alla Commissione, all’ESMA ed alle altre autorità competenti degli altri Stati membri.

L’articolo 23 prevede le modalità con cui le autorità competenti esercitano le loro funzioni e i loro poteri: direttamente, in collaborazione con altre autorità o con imprese che gestiscono il mercato, sotto la loro responsabilità mediante delega a tali autorità o a imprese che gestiscono il mercato, ovvero rivolgendosi alle competenti autorità giudiziarie.

Tra i poteri di controllo e di indagine a disposizione delle autorità vi sono: il potere di accedere a documenti e di richiedere informazioni a chiunque; il potere di eseguire ispezioni o indagini in siti diversi dalle residenze private di persone fisiche; di entrare nei locali di persone fisiche o giuridiche a specifiche condizioni, per sequestrare documenti e dati sotto qualsiasi forma, quando esista un ragionevole sospetto che documenti o dati connessi all’oggetto dell’ispezione o dell’indagine possano avere rilevanza per provare un caso di abuso di informazioni privilegiate o di manipolazione del mercato in violazione del regolamento; di chiedere le registrazioni esistenti relative a conversazioni telefoniche, comunicazioni elettroniche e allo scambio di dati conservate da società di investimento, istituti di credito o istituti finanziari; di chiedere il congelamento o il sequestro di beni, o entrambi; di sospendere la negoziazione dello strumento finanziario interessato; di richiedere la cessazione temporanea di qualsiasi pratica che l’autorità competente reputi contraria al regolamento e di imporre un’interdizione temporanea dall’esercizio dell’attività professionale.

Le autorità designate possono inoltre adottare tutte le misure necessarie a garantire che il pubblico sia correttamente informato, anche imponendo all’emittente o ad altri che abbiano pubblicato o diffuso informazioni false o fuorvianti di pubblicare una dichiarazione di rettifica.

Come anticipato in precedenza, è compito degli Stati membri provvedere affinché le autorità competenti abbiano il potere di adottare le sanzioni amministrative e altre misure amministrative adeguate in relazione alle violazioni del regolamento (articolo 30). Si precisa che gli Stati membri possono decidere di non stabilire norme relative alle sanzioni amministrative se le violazioni sono già soggette a sanzioni penali, nel rispettivo diritto nazionale entro il 3 luglio 2016. In questo caso, gli Stati membri comunicano dettagliatamente alla Commissione e all’ESMA le pertinenti norme di diritto penale.

Tra i poteri sanzionatori che gli Stati membri devono conferire alle Autorità competenti, in specifici casi individuati dal regolamento, vi sono poteri di tipo interdittivo e inibitorio (revoca o sospensione dell’autorizzazione di una società di investimento; interdizione temporanea o permanente, nei confronti di chiunque eserciti responsabilità di direzione in una società di investimento o di qualsiasi altra persona fisica ritenuta responsabile della violazione, dall’esercizio di funzioni dirigenziali in società di investimento) nonché il potere di comminare le anticipate sanzioni amministrative pecuniarie;

 

d) prevedere, in linea con quanto già stabilito dal TUF, il ricorso alla disciplina secondaria adottata dalla CONSOB nell'ambito e per le finalità specificamente previste dal regolamento MAR e dalla legislazione dell'Unione europea attuativa del medesimo regolamento;

e) coordinare le vigenti disposizioni del TUF con quelle degli articoli 24, 25 e 26 del regolamento (UE) n. 596/2014 in materia di cooperazione e scambio di informazioni con l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), con le autorità competenti degli Stati membri, nonché con le autorità di vigilanza di Paesi terzi.

I richiamati articoli 24 e 25 del regolamento MAR disciplinano le modalità di cooperazione con l’ESMA e con le autorità degli altri Stati membri.

Si segnala che il regolamento disciplina specificamente le circostanze eccezionali in cui un’autorità competente può rifiutarsi di dare seguito a una richiesta di informazioni o di cooperazione nell’ambito di un’indagine (ove la comunicazione di informazioni pertinenti potrebbe pregiudicare la sicurezza dello Stato membro destinatario della richiesta, con particolare riferimento alla lotta contro il terrorismo e altre forme di criminalità grave; ove l’accoglimento della richiesta potrebbe nuocere alle proprie indagini, attività di contrasto o, se del caso, a un’indagine penale; ove sia stato avviato un procedimento giudiziario per le stesse azioni e nei confronti delle stesse persone dinanzi alle autorità dello Stato membro destinatario della richiesta; ove nello Stato membro destinatario della richiesta sia già stata pronunciata una sentenza definitiva a carico delle suddette persone per le stesse azioni).

Si prescrive che le autorità competenti e l’ESMA cooperino anche con l’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (ACER). Sono previste forme di assistenza e di cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri nello svolgimento dei poteri di indagine e di ispezione.

L’articolo 26 reca le norme relative alla cooperazione con i paesi terzi, con la possibilità per le autorità competenti degli Stati membri, ove necessario, di concludere accordi di cooperazione con le relative autorità di vigilanza in merito allo scambio di informazioni e all’applicazione degli obblighi derivanti dal regolamento MAR nei paesi terzi. In ogni caso, dell’intento di sottoscrivere tali accordi sono informate l’ESMA e le altre autorità competenti;

 

f) attribuire alla CONSOB il potere di imporre le sanzioni e le altre misure amministrative per le violazioni espressamente elencate dal già illustrato articolo 30 del regolamento MAR, nel rispetto dei criteri, dei limiti e delle procedure stabilite dal regolamento medesimo, nonché e della Parte V del TUF, che reca l’impianto sanzionatorio applicabile in Italia;

g) prevedere che la disciplina in materia di confisca, di cui all’articolo 187-sexies del TUF, trovi applicazione anche nei casi di violazione delle disposizioni del regolamento UE.

Il predetto articolo 187-sexies del TUF chiarisce che l'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal capo V del medesimo Testo Unico importa sempre la confisca del prodotto o del profitto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo. Qualora non sia possibile eseguire la confisca, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente. In nessun caso può essere disposta la confisca di beni che non appartengono ad una delle persone cui è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria;

Si segnala al riguardo che né la direttiva né il regolamento prevedono la confisca dei beni.

Tuttavia, l’articolo 30, comma 2, lettera b), prevede la restituzione dei guadagni realizzati o delle perdite evitate grazie alla violazione, per quanto possano essere determinati.

 

h) prevedere che, per stabilire il tipo ed il livello di sanzione amministrativa per le violazioni delle previsioni stabilite dal regolamento MAR, si tenga conto delle circostanze pertinenti, elencate dall'articolo 31 del medesimo regolamento.

Ai sensi del richiamato articolo 31, paragrafo 1, gli Stati membri devono garantire che, nello stabilire il tipo e il livello di sanzioni amministrative, le autorità competenti tengano conto di tutte le circostanze pertinenti, tra cui:

a) la gravità e la durata della violazione;

b) il grado di responsabilità dell’autore della violazione;

c) la capacità finanziaria dell’autore della violazione, quale risulta, per esempio, dal fatturato complessivo della persona giuridica o dal reddito annuo della persona fisica;

d) l’ammontare dei profitti realizzati e delle perdite evitate da parte dell’autore della violazione, nella misura in cui possano essere determinati;

e) il livello di cooperazione che l’autore della violazione ha dimostrato con l’autorità competente, ferma restando la necessità di garantire la restituzione dei guadagni realizzati o delle perdite evitate;

f) precedenti violazioni da parte dell’autore della violazione;

g) misure adottate dall’autore della violazione al fine di evitarne il ripetersi.

 

i) adottare le opportune misure per dare attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 32 del regolamento MAR, che disciplina la segnalazione all'autorità di vigilanza competente di violazioni effettive o potenziali del medesimo regolamento, tenendo anche conto dei profili di riservatezza e di protezione dei soggetti coinvolti.

L’articolo 32 impone agli Stati membri di provvedere affinché le autorità competenti mettano in atto dispositivi efficaci per consentire la segnalazione, alle stesse autorità competenti, di violazioni effettive o potenziali del regolamento MAR. Essi includono almeno:

a) procedure specifiche per il ricevimento di segnalazioni di violazioni e per le relative verifiche, compresa l’instaurazione di canali di comunicazione sicuri per tali segnalazioni;

b) in ambito lavorativo, un’adeguata protezione delle persone che, impiegate in base a un contratto di lavoro, segnalano violazioni o sono a loro volta accusate di violazioni, contro ritorsioni, discriminazioni o altri tipi di trattamento iniquo;

c) la protezione dei dati personali sia della persona che segnala la violazione, sia della persona fisica presunta responsabile della violazione, comprese misure di protezione atte a preservare la riservatezza della loro identità durante tutte le fasi della procedura, fatte salve le disposizioni nazionali che impongano la comunicazione di informazioni nel contesto di indagini o di successivi procedimenti giudiziari.

Inoltre gli Stati membri devono prescrivere ai datori di lavoro che svolgono attività regolamentate dalla normativa in materia di servizi finanziari di mettere in atto procedure interne adeguate affinché i propri dipendenti possano segnalare violazioni del presente regolamento (cd. whistleblowing).

E’ possibile disciplinare incentivi finanziari, conformemente al diritto nazionale, a quanti offrono informazioni pertinenti in merito a potenziali violazioni del regolamento MAR, se tali persone non sono tenute da altri doveri preesistenti di natura legale o contrattuale a comunicare tali informazioni e purché si tratti di informazioni prima ignorate e che portano all’imposizione di sanzioni amministrative o penali o all’adozione di altre misure amministrative, per una violazione del presente regolamento.

 

l) prevedere, nei termini di cui all'articolo 34 del regolamento, la pubblicazione da parte della CONSOB nel proprio sito internet delle decisioni relative all'imposizione di misure e sanzioni amministrative per le violazioni del regolamento medesimo.

Salvi casi specifici disciplinati dal regolamento, il regolamento MAR prevede (articolo 34) che le autorità competenti pubblichino le decisioni relative all’imposizione di una sanzione amministrativa o altra misura amministrativa in caso di violazione del presente regolamento, sui propri siti internet, immediatamente dopo che la persona destinataria di tale decisione sia stata informata di tale decisione. Tale norma non si applica alle decisioni che impongono misure di natura investigativa.

La pubblicazione può essere rinviata, pubblicata in forma anonima o evitata in specifiche ipotesi valutate dall’autorità competente in relazione agli interessi in campo (ove l’autorità ritenga che la pubblicazione dell’identità della persona giuridica destinataria della decisione, o dei dati personali di una persona fisica sia sproporzionata a seguito di una valutazione condotta caso per caso sulla proporzionalità della pubblicazione di tali dati o qualora tale pubblicazione comprometterebbe un’indagine in corso o la stabilità dei mercati finanziari).  Le autorità competenti provvedono a che ogni decisione pubblicata ai sensi del presente articolo rimanga accessibile sul loro sito internet per almeno cinque anni dopo la pubblicazione.

 

Il comma 4 reca la clausola di invarianza finanziaria.


Articolo 8
(Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/1011 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2016, sugli indici usati come indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari o per misurare la performance di fondi di investimento e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE e del regolamento (UE) n. 596/2014)

 

 

L'articolo reca la delega al Governo per la predisposizione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di uno più decreti legislativi per la completa attuazione del regolamento (UE) n. 2016/1011, sugli indici usati come indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari o per misurare la performance di fondi di investimento e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE e del regolamento (UE) n. 596/2014.

 

Il regolamento (UE) n. 2016/1011, entrato in vigore il 30 giugno 2016 (di seguito anche "Regolamento benchmarks" o Regolamento) ai sensi dell'articolo 59, si applica a decorrere dal 1° gennaio 2018, con l'eccezione di alcune disposizioni applicabili dal 30 giugno 2016 e della disposizione di cui all'articolo 56, che si applica a decorrere dal 3 luglio 2016. Relativamente ai termini per la comunicazione alla Commissione europea e all'AESFEM delle disposizioni ex art. 42 del Regolamento in materia di sanzioni e altre misure amministrative, nonché per la facoltà per gli Stati membri di prevedere sanzioni penali, la scadenza è il 1° gennaio 2018. Per l'adeguamento dell'ordinamento interno alle disposizioni del predetto Regolamento occorre pertanto inserire parti della nuova disciplina in materia nel testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF). Alcune misure di adeguamento e conformità da parte degli Stati membri sono espressamente indicate dallo stesso regolamento. Sebbene le norme regolamentari europee rappresentino fonti del diritto immediatamente applicabili nell'ordinamento italiano, si ritiene che la delega al Governo debba almeno consentire di poter operare gli interventi espressamente richiesti agli Stati membri dal regolamento.

 

Il "Regolamento benchmarks" introduce pertanto un quadro normativo comune, teso ad assicurare accuratezza e integrità degli indici di riferimento, c.d. appunto benchmarks. L'ambito oggettivo di applicazione del Regolamento è in ogni caso circoscritto alla fornitura dei predetti indici di riferimento, alla contribuzione di dati per tali benchmarks e al loro uso nell'Unione europea. Vengono dettate norme più stringenti per i parametri di riferimento utilizzati nell'UE per gli strumenti e i contratti finanziari, nonché per misurare la performance di fondi di investimento.

 

I parametri di riferimento, i benchmarks, sono indici che vengono utilizzati per confrontare il prezzo di strumenti finanziari o pagamenti nell'ambito di contratti finanziari. Tra gli esempi si riportato il LIBOR (London Interbank Offered Rate) e l'EURIBOR (Euro Interbank Offered Rate) - entrambi indici dei tassi d'interesse interbancari, le valutazioni del prezzo del petrolio e gli indici del mercato azionario. I benchmarks costituiscono un elemento importante del sistema finanziario, nel senso che esercitano un'influenza sugli investitori e sui consumatori in quanto determinano il valore degli strumenti finanziari e dei pagamenti nell'ambito di contratti finanziari, come ad esempio i mutui.

 

La nuova disciplina legislativa europea prevede la necessità di regolamentare gli amministratori dei parametri. Questi ora vengono sottoposti alla supervisione delle autorità nazionali competenti, in coordinamento con l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati. Per i parametri più critici è prevista la costituzione di collegi di supervisori nazionali.

La normativa prevede anche il rafforzamento delle procedure di governance e sorveglianza su tutti coloro che calcolano i parametri o forniscono informazioni utilizzate per il calcolo, specie per evitare conflitti d'interesse, oltre alla messa a disposizione del pubblico dei dati utilizzati per il calcolo dei parametri, nonché delle informazioni riguardanti l'oggetto e le finalità di ogni parametro.

Le norme prevedono infine l'obbligo per le banche di valutare l'adeguatezza dei parametri utilizzati prima di concludere qualsiasi contratto finanziario (ad esempio mutui) con un cliente e di avvisare la clientela in caso di inadeguatezza.

 

II comma 3 dell'articolo elenca i princìpi e criteri direttivi specifici alla base dell'esercizio della delega governativa.

Sulla base dei criteri di cui alle lettere a) e b) dovranno essere adottate le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, anche di derivazione europea, per i settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti, con l'obiettivo di assicurare l'integrità dei mercati finanziari e la stabilità finanziaria e un appropriato grado di tutela degli investitori. Si dovranno quindi apportare al predetto testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, le modifiche e le integrazioni necessarie per dare attuazione alle disposizioni del citato Regolamento (UE) n. 2016/1011 e alle inerenti norme tecniche di regolamentazione e di attuazione che lo richiedono, nonché provvedere ad abrogare espressamente le eventuali norme dell'ordinamento nazionale riguardanti gli istituti disciplinati dal regolamento anzidetto.

I criteri di cui alle lettere c) e d) prevedono la designazione della CONSOB e delle altre autorità nazionali competenti, ai sensi dell'articolo 40, comma 1, del Regolamento benchmarks, per quanto attiene alla vigilanza sia degli amministratori di indici che degli altri soggetti elencati dal Regolamento (cfr. art. 3, paragrafo 1, punto 17, lett. da a) a k), nonché per l'attribuzione dei poteri previsti dallo stesso regolamento.

Ai sensi della lettera e), la CONSOB viene designata quale autorità responsabile del coordinamento e dello scambio di informazioni con la Commissione europea, l'AESFEM e le altre autorità competenti degli Stati membri.

Sulla base della lettera f), occorre attribuire alla CONSOB e alle altre autorità nazionali competenti i poteri di imporre sanzioni per le violazioni previste dall'articolo 42 del Regolamento, prevedendo peraltro che, nello stabilire il tipo e il livello di sanzione, si tenga conto delle circostanze pertinenti elencate dall'articolo 43 del Regolamento medesimo.

II        criterio di cui alla lettera g) prevede che, per stabilire il tipo e il livello di sanzione amministrativa per le violazioni delle previsioni stabilite dal Regolamento, si tenga conto delle circostanze pertinenti, elencate dall'articolo 43 del medesimo Regolamento.

 

Il comma 4 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che dalle misure di applicazione del Regolamento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le autorità interessate, gia competenti per materia, svolgeranno le attività previste con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 


Articolo 9
(Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2015/2365 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, sulla trasparenza delle operazioni di finanziamento tramite titoli e del riutilizzo e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012)

 

 

L'articolo 9 reca la delega al Governo per la predisposizione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di uno più decreti legislativi per la completa attuazione del Regolamento (UE) n. 2015/2365 sulla trasparenza delle operazioni di finanziamento tramite titoli e del riutilizzo e che modifica il Regolamento (UE) n. 648/2012.

Le nuove norme sulla trasparenza completano peraltro le disposizioni della direttiva 2009/65/CE riguardante gli OICVM e della direttiva 2011/61/UE sui GEFIA. Tali disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni di finanziamento tramite titoli (c.d. SFTs, Securities Financing Transactions) e le altre norme in tema di strutture di finanziamento sono strettamente collegate alle citate direttive, che costituiscono il quadro giuridico disciplinante 1a creazione, la gestione e la commercializzazione degli OICVM.

L'inclusione nell'informativa periodica di informazioni dettagliate al riguardo è finalizzata a consentire agli investitori di conoscere i rischi associati all'uso di SFTs e delle altre strutture di finanziamento qualora i gestori dei fondi utilizzino queste tecniche.

 

II Regolamento (UE) n. 2015/2365 (di seguito anche "Regolamento SFTs o SFT-R) fissa le norme in materia di trasparenza delle operazioni di finanziamento tramite titoli e di riutilizzo.

Esso istituisce un quadro normativo armonizzato in materia di trasparenza delle operazioni di finanziamento tramite titoli (SFTs) e di riutilizzo. La nuova disciplina legislativa europea affianca la riforma strutturale delle banche e tende ad introdurre più trasparenza nel sistema bancario ombra (c.d. shadow banking) allo scopo di evitare che parte della regolamentazione del settore bancario venga aggirata. La genesi dell'intervento comunitario è da rinvenirsi nella consapevolezza, emersa nel corso delle crisi finanziarie recenti, della necessità di migliorare la trasparenza e il controllo non solo nel settore bancario tradizionale, ma anche in settori in cui soggetti non bancari svolgono attività creditizie (il c.d. "sistema bancario ombra"). Le operazioni di finanziamento tramite titoli (STFs) possono infatti determinare l'accumulo di leva finanziaria, prociclicità e interconnessione dei mercati finanziari. In particolare, la mancanza di trasparenza nell'uso delle SFTs e di altre strutture di finanziamento assimilabili ha talvolta reso più complessa sia l'azione delle autorità di regolamentazione e di vigilanza che la possibilità in concreto per gli investitori, di valutare e monitorare correttamente i rischi analoghi ai rischi bancari e il livello di interconnessione nel sistema finanziario. Nello specifico, l'obiettivo della regolamentazione dell'Unione è quello di incrementare la trasparenza delle c.d. securities financing transactions (SFTs), negoziazioni sinteticamente definibili come quelle che usano valori mobiliari dati in garanzia (i.e. collaterale) e quindi titoli di proprietà della controparte. Per questo genere di operazioni, il Regolamento SFTs prevede degli obblighi informativi (c.d. di reporting) a carico delle controparti contraenti, sia finanziarie che non finanziarie, verso i repertori di dati (trade repositories, TRs), al fine di permettere alle autorità di vigilanza europee di monitorare complessivamente i rischi derivanti da tali tipologie di transazioni. Fra i soggetti sottoposti a tali obblighi vi sono i gestori di fondi di investimento che saranno obbligati a rendere trasparente agli investitori 1'uso di tali operazioni. Infine, la normativa impone taluni requisiti anche informativi sul reimpiego di collaterale. II regolamento si applica alle controparti in dette operazioni, o che svolgono attività di riutilizzo, oltreché alle società di gestione o di investimento OICVM e ai gestori di fondi alternativi (cd. GEFIA).

 

II Regolamento SFT crea un quadro dell'Unione in materia di segnalazione ai repertori di dati sulle negoziazioni delle informazioni relative alle SFTs da parte delle controparti finanziarie e non finanziarie di tali operazioni. Dette informazioni saranno conservate a livello centralizzato e facilmente e direttamente accessibili alle competenti autorità, quali l'AESFEM (ESMA), il CERS e il SEBC, ai fini dell'individuazione e del monitoraggio dei rischi per la stabilita finanziaria derivanti da attività di shadow banking effettuate da entità regolamentate e non regolamentate. La segnalazione dovrebbe comportare costi operativi minimi per i partecipanti al mercato poiché basata su infrastrutture e procedure gia esistenti.

Ulteriori requisiti minimi in materia di informativa ai fini dell'accrescimento della trasparenza contrattuale e operativa sono previsti a carico delle controparti che effettuano operazioni di c.d. riutilizzo. II riutilizzo dovrebbe avvenire solo in caso di conoscenza esplicita dei rischi intrinseci e con il previo consenso della controparte fornitrice, espresso in un accordo contrattuale, e dovrebbe trovare adeguata conferma nel conto titoli. La controparte che riceve gli strumenti finanziari a titolo di garanzia reale sarà autorizzata ad effettuare operazioni di riutilizzo sugli stessi strumenti solo con il consenso espresso della controparte fornitrice e solo dopo averli trasferiti sul proprio conto. L'ambito oggettivo di applicazione del regolamento è circoscritto alla trasparenza di alcune attività di mercato, quali le SFTs, le altre strutture di finanziamento aventi effetto economico equivalente e il riutilizzo. II Regolamento si applica a tutte le controparti nei mercati delle operazioni di finanziamento tramite titoli, ai fondi di investimento (quali definiti dalle direttive 2009/65/CE e 2011/61/UE) e a tutte le controparti che effettuano il riutilizzo, e copre tutti gli strumenti finanziari di cui all'articolo 4, paragrafo 1, punto 15, della direttiva 2014/65/UE (c.d. MiFID2) forniti come garanzia reale. Ai sensi dell'articolo 33 del Regolamento (UE) n. 2015/2365, lo stesso si applica dal 12 gennaio 2016, con l'eccezione di alcune disposizioni applicabili dal 13 luglio 2016 (articolo 15), altre applicabili dal 13 gennaio e dal 13 luglio 2017 (rispettivamente articolo 13 e articolo 14), nonché, riguardo all'articolo 4, paragrafo 1, per il quale sono previste scadenze differenziate di 12, 15, 18 e 21 mesi susseguenti alla pubblicazione dei relativi atti delegati adottati dalla Commissione europea a seconda della rispettiva tipologia di controparte interessata.

 

Per operazione di finanziamento tramite titoli si intendono l'operazione di vendita con patto di riacquisto, la concessione e assunzione di titoli o merci in prestito, l'operazione di buy-sell back o di sell-buy back, il finanziamento con margine.

Per riutilizzo s'intende 1'utilizzo da parte della controparte ricevente, a proprio nome e per proprio conto o per conto di un'altra controparte (comprese eventuali persone fisiche), di strumenti finanziari ricevuti nell'ambito di un contratto di garanzia reale. Tale utilizzo comprende il trasferimento del titolo o l'esercizio del diritto di utilizzo a norma dell'articolo 5 della direttiva 2002/47/CE, relativa ai contratti di garanzia finanziaria, ma non include la liquidazione dello strumento finanziario in caso di inadempimento della controparte fornitrice.

 

Relativamente ai termini per la comunicazione alla Commissione europea e all'AESFEM delle disposizioni in materia di sanzioni e altre misure amministrative, nonché la facoltà per gli Stati membri di prevedere sanzioni penali, ex articolo 22 del regolamento (UE) n. 2015/2365, la scadenza è il 31 luglio 2017.

 

La delega al Governo è finalizzata a consentire di poter operare gli interventi espressamente richiesti agli Stati membri dal Regolamento per quanto attiene ai seguenti ambiti:

     per le sanzioni amministrative e le altre misure amministrative che l'autorità competente dovrà adottare in caso di violazione delle disposizioni di SFT-R (articolo 22);

     le modalità di esercizio del potere sanzionatorio da parte dell'autorità competente (articolo 23);

     le modalità di pubblicazione delle decisioni assunte dall'autorità competente (articolo 26) e del diritto di ricorso (articolo 27).

Per l'adeguamento dell'ordinamento interno alle disposizioni del Regolamento occorre inserire parti della nuova disciplina in materia nel testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), e nella regolamentazione secondaria della CONSOB e/o della Banca d'Italia.

Alcune misure di adeguamento e conformità da parte degli Stati membri sono espressamente indicate dallo stesso regolamento SFT-R dalle previsioni agli articoli 22, 23, 26 e 27.

 

II comma 3 dell'articolo elenca i principi e criteri direttivi specifici alla base dell'esercizio della delega governativa.

Sulla base dei criteri di cui alle lettere a) e b) dovranno essere adottate le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, anche di derivazione europea, per i settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti, assicurando un appropriato grado di protezione dell'investitore, di tutela della stabilita finanziaria e dell'integrità dei mercati finanziari. Si dovranno inoltre apportare al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), le modifiche e le integrazioni necessarie per dare attuazione alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2015/2365 che richiedono la abrogazione esplicita di norme dell'ordinamento nazionale riguardanti gli istituti disciplinati dal regolamento anzidetto.

Ai sensi della lettera c) dovranno essere apportate le opportune modifiche e integrazioni alle disposizioni in materia di sanzioni contenute nel testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998 sulla base di quanto previsto nel Capo VIII del Regolamento, affinché le autorità di vigilanza di settore, secondo le rispettive competenze, possano imporre le sanzioni e le altre misure amministrative previste dagli articoli 22 e 28 del Regolamento  in caso di violazione delle disposizioni indicate dai medesimi articoli, garantendo che, nello stabilire il tipo e il livello delle sanzioni e delle altre misure amministrative, si tenga conto di tutte le circostanze pertinenti, secondo quanto previsto dall'articolo 23 del medesimo Regolamento, attenendosi, con riferimento alle sanzioni pecuniarie, ai pertinenti limiti edittali indicati nel citato articolo 22.

La lettera d) prevede la pubblicazione delle decisioni che impongono sanzioni o altre misure amministrative, nei limiti e secondo le previsioni dell'articolo 26 del Regolamento, nonché di assicurare che le decisioni e le misure adottate a norma del regolamento siano adeguatamente motivate e soggette al diritto di ricorso giurisdizionale, secondo quanto previsto dall'articolo 27 del Regolamento.

La lettera e) provvede affinché siano messi in atto i dispositivi e le procedure per la segnalazione di violazioni di cui all'articolo 24 del medesimo Regolamento.

Il comma 4 prevede la clausola di invarianza finanziaria, attestante che dalle misure di applicazione del Regolamento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le autorità interessate, gia competenti per materia, svolgeranno le attività previste con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.


Articolo 10
 (Criterio direttivo per l’attuazione della direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio)

 

 

L’articolo 10 individua uno specifico principio al quale il Governo deve attenersi nell'esercitare la delega per l'attuazione della direttiva (UE) 2016/680, in materia di protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati, inclusa la salvaguardia e la prevenzione di minacce alla sicurezza pubblica.

 

La direttiva (UE) 2016/680[10], adottata il 27 aprile 2016, interviene in materia di protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati. Tale direttiva, che deve essere attuata negli ordinamenti degli Stati membri entro il 6 maggio 2018 (salva la possibilità di attuazioni posticipate, secondo quanto specificamente disposto all'articolo 63), abroga la decisione quadro 2008/977/GAI, che ha rappresentato il primo strumento sulla protezione dei dati personali nell'ambito dell'ex Terzo Pilastro.

La direttiva (UE) 2016/680 costituisce insieme al regolamento (UE) 2016/679, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, destinato ad abrogare la direttiva 95/46/CE, e alla direttiva (UE) 2016/681, sull'uso dei dati del codice di prenotazione (PNR)[11], il c.d. “Pacchetto protezione dati personali”. Tale pacchetto definisce un quadro comune in materia di tutela dei dati personali per tutti gli Stati membri dell'UE. I ricordati atti normativi si inseriscono, più in generale, nel quadro dell'azione del legislatore europeo volta al progressivo rafforzamento dei diritti fondamentali processuali ed extraprocessuali. Si tratta di un percorso iniziato con la Road map del Consiglio del 2009, che si è successivamente esteso anche ad ambiti diversi dai c.d. fair trial rights.

 

Più in particolare, nell'esercizio della delega, il Governo, oltre a dover seguire i principi e criteri direttivi dei cui all’articolo 1, comma 1 (vedi supra), deve prevedere - ferma restando la disciplina sanzionatoria vigente - per le violazioni delle disposizioni adottate a norma della direttiva, fattispecie incriminatrici punite con la pena detentiva non inferiore nel minimo a mesi sei e non superiore nel massimo ad anni cinque.

 

Come si precisa nella relazione illustrativa e nell'analisi di impatto della regolamentazione (AIR), tale principio di delega risponde all'esigenza di assicurare un'adeguata risposta sanzionatoria per la violazione delle disposizioni che tutelano il diritto alla protezione dei dati personali. Ciò dal momento che la previsione della pena di natura contravvenzionale, nei limiti di cui all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea)[12] non solo non risulterebbe idonea a rispettare i principi di effettività, proporzionalità e dissuasione richiesti dall'articolo 57 della direttiva[13], ma non sarebbe neppure coerente con le fattispecie di reato previste e punite dal decreto legislativo n. 196 del 2003, recante codice in materia di protezione dei dati personali (c.d. Codice della privacy).

Con riguardo alla disciplina sanzionatoria vigente in materia di dati personali, il Codice della privacy già prevede sanzioni per le violazioni amministrative e penali alla disciplina del data retention.

Più in particolare:

·       gli illeciti amministrativi (artt. 161-164) riguardano: l'omessa o inidonea informativa all'interessato, la cessione dei dati in violazione delle norme, l'omessa o incompleta notificazione, l'omessa informazione o esibizione di documenti richiesti al Garante per la protezione dei dati personali;

·       gli illeciti penali di natura contravvenzionale (artt. 167-171) riguardano invece: il trattamento illecito di dati, le falsità nelle dichiarazioni e notificazioni al Garante, l'omessa adozione delle misure minime di sicurezza, l’inosservanza di provvedimenti del Garante e la violazione di disposizioni volte a tutelare i lavoratori.

 

Ulteriori fattispecie di reato a tutela dei dati personali sono previste dalla Sezione V (Dei delitti con l'inviolabilità dei segreti), del Capo III, del Titolo XII, del Libro II del codice penale (articoli 616 e seguenti).  Infine si segnala il reato di frode informatica di cui all'articolo 640-ter c.p.[14]

 

Il comma 2  reca, infine, la clausola di neutralità finanziaria, prevedendo, fra l'altro, che le amministrazioni interessate debbano provvedere agli adempimenti previsti dal presente articolo con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

 


Articolo 11
 (Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2016/681 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, sull'uso dei dati del codice di prenotazione (PNR) a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi)

 

 

L’articolo 11 reca specifici principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2016/681, sull'uso dei dati del codice di prenotazione (PNR) a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi.

È opportuno ricordare che i "reati gravi" sono definiti in un elenco allegato (II) alla direttiva, che comprende tra l'altro fatti di associazione criminale, di narcotraffico, di violenza sessuale, di "corruzione", nonché vari altri reati gravi contro la vita e l'incolumità delle persone, oppure contro il patrimonio. La direttiva impone inoltre (articolo 3, n. 9) che i fatti in questioni siano puniti con una pena detentiva pari almeno a tre anni.

La disposizione in esame prevede due soli principi di delega ulteriori rispetto a quelli previsti dall'articolo 1, comma 1, del disegno di legge. Ciò in quanto, come si rileva anche nella relazione illustrativa, la direttiva (UE) 2016/681, recando prescrizioni di dettaglio, lascia scarsa discrezionalità al legislatore nazionale, in sede di recepimento.

Si ricorda che gli Stati membri devono recepire la direttiva entro il 25 maggio 2018.

Più nel dettaglio il Governo dovrà, in sede di attuazione, collocare l’Unità d'informazione sui passeggeri (UIP), di cui all’articolo 4 della direttiva[15], presso il Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza (comma 1, lettera a).

 

Tale scelta - precisa la relazione - è strettamente connessa al fatto che i dati raccolti, costituendo un patrimonio informativo rilevante in materia di prevenzione e accertamento dei reati, sono destinati ad essere trattati a fini di polizia.

 

Il secondo criterio di delega (comma 1, lettera b) prevede che il trasferimento a cura dei vettori aerei dei dati del PNR comprenda anche i voli  intra-UE.

 

L'articolo 2 della direttiva consente agli Stati membri di applicare la disciplina della raccolta e del trattamento dei dati concernenti le persone che utilizzano vettori aerei per viaggi che riguardino Paesi interni all'Unione. Si tratta di una possibilità finalizzata ad assicurare livelli di sicurezza elevati anche in relazione agli spostamenti interni al territorio dell'Unione di soggetti pericolosi che siano riusciti a varcare le frontiere.

Occorre in proposito rilevare che gli Stati membri hanno dichiarato che entro la data di recepimento della direttiva intendono avvalersi pienamente della possibilità di cui all'articolo 2 di comprendere anche i voli intra UE (si veda la dichiarazione del Consiglio del 18 aprile 2016).

 

Il comma 2 dell'articolo reca la clausola di neutralità finanziaria, prevedendo che dall'attuazione della delega non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le Amministrazioni interessate sono tenute a provvedere agli adempimenti di cui al presente articolo con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 


Articolo 12
 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero)

 

 

L’articolo 12 delega il Governo ad adottare, entro il 31 dicembre 2017, uno o più decreti legislativi per l'attuazione della direttiva (UE) 2015/720, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero.

Il comma 1 delega il Governo ad adottare, entro il 31 dicembre 2017, uno o più decreti legislativi per l'attuazione della direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero.

La relazione illustrativa chiarisce che la delega si rende necessaria a seguito dell'avvenuta scadenza della precedente delega contenuta nell'articolo 4 della legge n. 170 del 2016 (legge di delegazione europea 2015). Essa riferisce, inoltre, che lo schema di decreto legislativo, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 9 novembre 2016, è stato notificato alla Commissione europea, ai sensi della direttiva (UE) 2015/1535 che impone agli Stati membri di informare la Commissione di ogni progetto di regolamentazione tecnica, prima della sua adozione: dalla data di notifica, decorre il termine di tre mesi - prorogabile di ulteriori tre mesi - per l'esame del testo notificato e l'eventuale emanazione di pareri circostanziati. Al riguardo, riferisce sempre la Relazione, la scadenza di tale termine, il 20 febbraio 2017, ha comportato l'infruttuosa decorrenza del termine per l'esercizio della delega di cui al ricordato art. 4 della legge n. 170 del 2016.

Si ricorda che, per il mancato recepimento della direttiva 2015/720 nei termini previsti, è stato comunicato l'avvio di una procedura di infrazione, con lettera di costituzione in mora, ai sensi dell'articolo 258 del TFUE, in data 24 gennaio 2017. L'Italia è stata quindi invitata a trasmettere le proprie risposte nel termine di due mesi, entro il 24 marzo 2017, alla Commissione europea, in ordine al recepimento della direttiva 2015/720.

La direttiva (UE) 2015/720 modifica la direttiva 94/62/CE inserendovi misure specifiche per le borse di plastica in materiale leggero, allo scopo di limitarne l'utilizzo e ridurre l'impatto negativo sull'ambiente.

La prima modifica è volta ad inserire alcune definizioni. La seconda inserisce l'obbligo per gli Stati membri di adottare le misure necessarie per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero.

La terza modifica prevede che, entro il 27 maggio 2017, la Commissione europea elabori norme di esecuzione sulle etichette e i marchi per l'identificazione delle borse biodegradabili e compostabili.

Il termine per il recepimento è stato fissato al 27 novembre 2016.

Il comma 1 prevede che si provveda con le procedure di cui all'articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari.

Si ricorda che l'indicato art. 31 reca le norme sulle procedure per l'esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea.

Al riguardo, appare tuttavia opportuno indicare correttamente i riferimenti alla legge n. 234 del 2012, inserendo il numero della legge.

In base al comma 2, i decreti legislativi in questione sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia, dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico e della salute.

Rispetto alla precedente delega, contenuta nel citato art. 4 della legge n. 170 del 2016, viene introdotto il concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia, dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico e della salute.

Il comma 3 stabilisce che nell'esercizio della delega il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:

a) fatta salva comunque la commercializzazione delle borse di plastica biodegradabili e compostabili, divieto di commercializzazione delle borse di plastica in materiale leggero e adozione di tutte le misure ritenute ammesse ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1-ter, della direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 1994;

L'articolo 4, paragrafo 1-ter, della direttiva 94/62/CE autorizza gli Stati membri ad "adottare misure, tra cui strumenti economici e obiettivi di riduzione nazionali, in ordine a qualsiasi tipo di borse di plastica, indipendentemente dal loro spessore".

Si ricorda come la precedente delega già richiamata, venuta a scadere, prevedeva quale principio e criterio direttivo specifico "la garanzia del medesimo livello di tutela ambientale assicurato dalla legislazione già adottata in materia, prevedendo il divieto di commercializzazione, le tipologie delle borse di plastica commercializzabili e gli spessori già stabiliti".

b) divieto di fornitura a titolo gratuito delle borse di plastica ammesse al commercio;

Tale criterio riprende quello già previsto, nella precedente legge di delegazione europea, sopra richiamata, al comma 2, lettera b), del citato art. 4.

c) progressiva riduzione della commercializzazione delle borse di plastica fornite a fini di igiene o come imballaggio primario per alimenti sfusi diverse da quelli compostabili e realizzate, in tutto o in parte, con materia prima rinnovabile;

In tema di gerarchia dei rifiuti, si ricorda che è all'esame delle istituzioni dell'Unione europea il cd. "pacchetto sull'economia circolare", un insieme di proposte legislative sui rifiuti che definiscono obiettivi chiari in materia di riduzione dei rifiuti e stabiliscono un percorso a lungo termine per la loro gestione e riciclaggio[16].

Analogo criterio era dettato dal comma 2, lettera c), della norma citata contenuta nella precedente legge di delegazione europea.

d) abrogazione, a decorrere dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, delle seguenti norme:

-              i commi 1129, 1130 e 1131 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni (legge finanziaria 2007). Il comma 1129 ha istituito, a decorrere dall'anno 2007, un programma sperimentale nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l'asporto delle merci non biodegradabili; il comma 1130 poneva la prospettiva del divieto di commercializzazione di tutti i sacchi non biodegradabili; il comma 1131 assicurava la copertura finanziaria dei primi due commi a valere sul bilancio del Ministero dell'ambiente;

-              articolo 2 del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 28, ("Disposizioni in materia di commercializzazione di sacchi per asporto merci nel rispetto dell'ambiente"), che ha previsto la proroga del termine di divieto definitivo di commercializzazione degli shopper non biodegradabili, limitatamente ad alcune tipologie di sacchi indicati dalla norma, fino all'emanazione - entro il 31 dicembre 2012 - di un decreto interministeriale di natura non regolamentare. Il comma 4 dell'articolo 2 del decreto-legge n. 2 del 2012 ha introdotto sanzioni amministrative pecuniarie, nelle ipotesi di inosservanza del divieto di commercializzazione di sacchi non conformi a quanto prescritto, rese applicabili dall'articolo 11, comma 2-bis, del decreto-legge n. 91 del 2014.

 

Il criterio ripropone quanto previsto al comma 2, lettera d), della citata disposizione della precedente legge di delegazione europea.

e) previsione di una campagna di informazione dei consumatori diretta ad aumentare la loro consapevolezza in merito agli impatti delle borse di plastica sull'ambiente e a eliminare la convinzione che la plastica sia un materiale innocuo e poco costoso, favorendo il raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell'utilizzo di borse di plastica;

Il criterio ripropone quanto previsto al comma 2, lettera e), della citata disposizione della precedente legge di delegazione europea.

 

Si richiamano al riguardo gli obiettivi di utilizzo nazionali di cui all'articolo 4, paragrafo 1-bis, della direttiva 94/62/CE (introdotto dall'articolo 1, paragrafo 2, della direttiva (UE) 2015/720).

L'articolo 4, comma 1-bis, prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero. Tali misure possono comprendere il ricorso a obiettivi di riduzione a livello nazionale, il mantenimento o l'introduzione di strumenti economici, nonché restrizioni alla commercializzazione proporzionate e non discriminatorie, per le sole borse di plastica con uno spessore inferiore a 50 micron. Esse possono includere una delle seguenti opzioni o entrambe:

·       l'adozione di misure atte ad assicurare che il livello di utilizzo annuale non superi le 90 buste di plastica di materiale leggero pro capite entro fine 2019 e 40 entro fine 2025 o obiettivi equivalenti in peso;

·       l'adozione di strumenti con cui assicurare che, entro fine 2018, le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti di vendita di merci o prodotti.

In entrambi i casi è espressamente prevista (articolo 4, paragrafo 1-bis, comma 4, lettere a) e b)) la possibilità di escludere le borse di plastica in materiale ultraleggero.

f) previsione di programmi di sensibilizzazione per i consumatori in generale e di programmi educativi per i bambini, diretti alla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica nonché, anche nelle more dell'adozione da parte della Commissione europea delle misure specifiche previste dall'articolo 8-bis della direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 1994, per le borse di plastica biodegradabili e compostabili, di programmi di sensibilizzazione per i consumatori che forniscano le informazioni corrette sulle proprietà e sullo smaltimento delle borse di plastica biodegradabili e compostabili, di quelle oxo-degradabili e delle altre borse di plastica.

Si veda, al riguardo, il criterio già previsto, sostanzialmente riproposto, dal comma 2, lettera f), della citata disposizione della precedente legge di delegazione europea.

 

L'articolo 8-bis della direttiva 94/62, in materia di misure specifiche per le borse di plastica biodegradabili e compostabili, ha previsto che, entro il 27 maggio 2017, la Commissione adotti un atto di esecuzione che stabilisce il disciplinare delle etichette o dei marchi per garantire il riconoscimento, a livello di Unione, delle borse di plastica biodegradabili e compostabili e per fornire ai consumatori le informazioni corrette sulle proprietà di compostaggio di tali borse, secondo la procedura di regolamentazione prevista dalla direttiva medesima. Si prevede, inoltre, che al più tardi 18 mesi dopo l'adozione di tale atto di esecuzione, gli Stati membri provvedono ad assicurare che le borse di plastica biodegradabili e compostabili siano etichettate conformemente al disciplinare di cui a tale atto di esecuzione.

Si segnala, inoltre, che nella direttiva 2015/720/CE, si fa riferimento (considerando 18) alle buste «oxo-biodegradabili» o «oxo-degradabili», rilevando che queste incorporano nella plastica convenzionale degli additivi, per effetto dei quali col tempo la plastica si scompone in particelle minute che permangono nell'ambiente. La direttiva rileva quindi che appare fuorviante definire «biodegradabili» borse di questo tipo, posto che potrebbero non essere una soluzione alla dispersione dei rifiuti, ma potrebbero al contrario aumentare l'inquinamento. Nel considerando citato, si prevede, al riguardo, che la Commissione esamini l'impatto sull'ambiente dell'utilizzo di borse di plastica oxo-degradabili e presenti una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio comprendente, se opportuno, una serie di misure volte a limitarne l'utilizzo o a ridurne l'impatto nocivo.

Il comma 4 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che dall'attuazione dell'articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le amministrazioni interessate provvedono ai relativi adempimenti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Procedure di contenzioso

Il 28 aprile 2016 la Commissione europea ha provveduto all'archiviazione della procedura di infrazione n. 2011/4030 che era stata avviata per la eccepita incompatibilità con il diritto UE del divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabili per asporto di merci, introdotto nell’ordinamento italiano dalla legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) a decorrere dal 1° gennaio 2011.

In particolare, si lamentava la violazione dell’articolo 18 della direttiva 94/62/CE, che - fino all’entrata in vigore delle modifiche introdotte con la direttiva (UE) 2015/720 - recava il divieto per gli Stati membri di ostacolare l’immissione sul mercato di imballaggi conformi alle disposizioni della direttiva.

Successivamente, le autorità italiane avevano trasmesso il testo dell’articolo 2 del DL n. 2/2012, che prevedeva una sospensione del divieto di commercializzazione limitata ad alcune tipologie, misura che la Commissione aveva giudicato non proporzionata.

Infatti, secondo la Commissione, la sospensione del divieto limitatamente ad alcune tipologie di sacchetti di plastica con determinate caratteristiche, non rientranti tra i requisiti essenziali definiti dalla direttiva, non era conforme al diritto europeo in quanto la direttiva medesima non consente agli Stati membri di condizionare la commerciabilità degli imballaggi né alla conformità a norme autorizzate (come la UNI EN 13432:2002 prevista dal DL n. 2/2012), né a requisiti di spessore minimo, né alla presenza di una percentuale minima di plastica riciclata nella composizione degli imballaggi.

Tuttavia, il 7 agosto 2015, le autorità italiane hanno inviato una nota alla Commissione europea, con la quale hanno persuaso quest'ultima della sostanziale conformità della normativa italiana, sulla commercializzazione dei sacchetti di plastica da asporto merci, alla disciplina UE vigente in materia. Il 28 aprile 2016, come detto, la procedura di infrazione è stata archiviata.

 

Risulta, inoltre, che la Commissione europea abbia ipotizzato un'ulteriore violazione della normativa comunitaria ed inviato una richiesta di informazioni al Governo tramite il sistema "EU Pilot".

In particolare, nell’ambito del Caso EU Pilot 8311/16/GROW, avviato nel febbraio 2016, sono stati chiesti chiarimenti in merito alle summenzionate misure nazionali, con riferimento all’adeguatezza agli obiettivi perseguiti, alla giustificazione e alla proporzionalità sotto il profilo della libera circolazione delle merci nel mercato interno, al fine di valutare se tali misure possano ritenersi giustificate da motivi di interesse generale, ai sensi dell'articolo 36 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

La direttiva 2015/720 (articolo 1-bis, commi 1 e 2) consente misure di restrizione alla commercializzazione, proporzionate e non discriminatorie, solo per le "borse di plastica in materiale leggero". Queste ultime sono definite, ai sensi del punto 1-quater) della direttiva 94/62/CE, come "borse di plastica con uno spessore inferiore a 50 micron".

In Italia, invece, vige un divieto di commercializzazione delle borse "non biodegradabili" (articolo 1, commi 1129 e 1130, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che risultano oggetto di abrogazione in base al disegno di legge di delegazione europea in esame), dicitura che può comprendere anche tipologie diverse da quelle previste nella normativa dell'Unione.

Come già ricordato, a seguito dell'avvenuta scadenza della precedente delega contenuta nell'articolo 4 della legge n. 170 del 2016 (legge di delegazione europea 2015), la Commissione europea ha comunicato l'avvio di una procedura di infrazione, la n. 2017_0127, per mancato recepimento della direttiva 2015/720. La lettera di costituzione in mora al Governo italiano, ai sensi dell'articolo 258 del TFUE, è datata 24 gennaio 2017, con l'invito all'Italia a trasmettere alla Commissione europea stessa le proprie risposte nel termine di due mesi.


Allegato A


Direttiva (UE) 2015/1794

(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 ottobre 2015, che modifica le direttive 2008/94/CE, 2009/38/CE e 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 98/59/CE e 2001/23/CE del Consiglio, per quanto riguarda i marittimi)

 

 

Il provvedimento in titolo ha novellato diverse direttive relative a tutele lavoristiche, in particolare sopprimendo esclusioni e deroghe - rispetto all'ambito di applicazione delle medesime norme - che erano ammesse per alcune categorie di lavoratori marittimi. Da tali esclusioni e deroghe derivava - a giudizio delle istituzioni dell'Unione - una "disparità di trattamento per la medesima categoria di lavoratori da parte di diversi Stati membri" (punto n. 5 delle Premesse).

In particolare, il testo apporta modifiche alle seguenti direttive:

1)    direttiva 2008/94/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2008[17], relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (versione consolidata). L'articolo 1 del provvedimento in titolo - modificando l'articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2008/94/CE - riconduce i pescatori retribuiti a percentuale nell'ambito di applicazione della direttiva. Ne rimangono esclusi i soli "lavoratori domestici al servizio di una persona fisica", nel caso in cui "il diritto nazionale preveda già disposizioni in tal senso";

2)    direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 maggio 2009, riguardante l'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie (versione consolidata). L'articolo 2 del provvedimento in titolo ha abrogato la norma che permetteva di escludere il personale navigante della marina mercantile dall'applicazione del testo. Ha inoltre inserito una disposizione (nuovo articolo 10, par. 3) in virtù della quale i membri dell'equipaggio di una nave marittima che siano membri di delegazioni speciali di negoziazione o di comitati aziendali europei[18] sono autorizzati a partecipare alle relative riunioni, qualora non siano in mare e non si trovino all'estero. Le riunioni sono anzi fissate in modo tale da facilitarne la partecipazione, considerando l'ipotesi di fare ricorso a "nuove tecnologie d'informazione e di comunicazione";

3)    direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori (versione consolidata). L'articolo 3 della direttiva (UE) 2015/1794 in esame ha eliminato la possibilità, per gli Stati membri, di prevedere disposizioni particolari di deroga applicabili agli equipaggi delle navi d'alto mare;

4)    direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi (versione consolidata). L'articolo 4 del provvedimento in titolo ha eliminato la norma che, nel testo originario, escludeva gli equipaggi di navi marittime dall'applicazione della direttiva (articolo 1, par. 2, lett. c)). Ha inoltre inserito l'obbligo, per il datore di lavoro che intenda effettuare il licenziamento collettivo dei membri dell'equipaggio di una nave marittima, di inviare una notifica "all'autorità competente dello Stato di cui la nave batte bandiera";

5)    direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti ovvero di parti di imprese o di stabilimenti (versione consolidata). L'articolo 5 sostituisce il paragrafo 3 dell'articolo 1 della direttiva, specificando che la medesima non si applica "qualora l'oggetto del trasferimento consista esclusivamente in una o più navi marittime" (comma 2), mentre trova applicazione (comma 1) qualora il trasferimento di una nave marittima abbia luogo "quale parte del trasferimento di un'impresa, di uno stabilimento o di parte di un'impresa o di uno stabilimento" e sempre che il cessionario si trovi oppure che l'impresa, lo stabilimento o la parte di impresa o di stabilimento trasferiti rimangano nell'ambito di applicazione territoriale del Trattato sull'Unione europea.

 

L'articolo 6 della direttiva (UE) 2015/1794 stabilisce che l'attuazione della stessa non può, in ogni caso, giustificare "una riduzione del livello generale di protezione delle persone cui si applica la presente direttiva già assicurato negli Stati membri" ai sensi delle direttive modificate.

Il termine per il recepimento della direttiva in esame è fissato dall'articolo 8 al 10 ottobre 2017.

 

La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2013) 798, sulla quale l'11a Commissione permanente del Senato della Repubblica ha espresso, il 18 dicembre 2013, un parere favorevole (Doc XVIII, n. 41).


Direttiva (UE) 2015/2302

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 90/314/CEE del Consiglio

 

 

La direttiva (UE) 2015/2302 mira a garantire un livello sempre più elevato di protezione per i consumatori che usufruiscono di contratti per pacchetti turistici e servizi turistici collegati (articolo 1)  fissando un adeguato livello di armonizzazione tra gli Stati membri (articolo 4).

 

Ciò si è reso necessario a causa dei notevoli cambiamenti che il mercato del turismo ha subito dal momento dell'adozione della direttiva 90/314/CEE, dovuti anche al crescente utilizzo delle prenotazioni online e al ricorso a servizi sempre più personalizzati, nonché delle divergenze nelle legislazioni degli Stati membri.

 

Tra i punti salienti della direttiva - che non si applica ai pacchetti di durata inferiore alle 24 ore, a quelli senza fini di lucro e a quelli acquistati all'interno di un accordo generale di viaggio relativo ad un'attività commerciale o professionale (articolo 2) - rientrano disposizioni in materia di:

ü  obbligo di informazione e contenuto dei contratti (capo II);

ü  modifiche dei contratti prima della loro esecuzione (Capo III);

ü  esecuzione dei pacchetti (Capo IV);

ü  protezione in caso di insolvenza (Capo V).

 

In particolare, in materia di obblighi informativi la direttiva prevede che prima della sottoscrizione del contratto, il venditore, o l'organizzatore, fornisca al viaggiatore una serie di dati, secondo dei moduli standard, nonché informazioni sulle caratteristiche dei servizi (tra cui destinazione, alloggio, pasti, escursioni), sul venditore, sui prezzi e costi aggiuntivi, sulle modalità di pagamento, sul numero minimo di partecipanti, sulle facoltà di risolvere il contratto e su eventuali coperture assicurative (articolo 5). Tutte le suddette informazioni devono essere parte integrante del contratto e non potranno essere modificate, salvo accordo esplicito tra le parti (articolo 6). Il contratto dovrà essere formulato in linguaggio semplice e comprensibile e dovrà  precisare, tra l'altro: le richieste specifiche del viaggiatore accettate dall'organizzatore; la responsabilità dell'organizzatore  per l'esecuzione dei servizi turistici e in caso di difficoltà del viaggiatore; i recapiti dell'organismo incaricato della protezione in caso di insolvenza; l'obbligo di comunicazione per il viaggiatore in caso di difetti di conformità, le procedure per il trattamento dei reclami (articolo 7).

Per quanto riguarda eventuali modifiche al contratto, la direttiva prevede la possibilità di cedere lo stesso ad un altro viaggiatore, purché se ne dia un ragionevole preavviso (articolo 9). Eventuali aumenti di prezzi (limitati all'8% nella maggioranza dei casi) sono autorizzati solo se espressamente previsti dal contratto e se risultano legati al costo del carburante, alle tasse imposte da terzi e ai tassi di cambio. Tali aumenti dovranno essere comunicati venti giorni prima dell'inizio del pacchetto (articolo 10). Qualora l'organizzatore imponga in modo unilaterale un aumento dei prezzi superiore all'8%, oppure modifichi il contratto in modo significativo, il viaggiatore potrà accettare le modifiche, accettare un eventuale pacchetto sostitutivo oppure risolvere il contratto ottenendo un rimborso completo entro quattordici giorni (articolo 11). Il viaggiatore inoltre potrà rescindere il contratto in qualsiasi momento pagando una penale. Quest'ultima non dovrà essere corrisposta in caso di circostanze inevitabili e straordinarie verificatesi nel luogo di destinazione o nelle sue immediate vicinanze. In questo caso anche l'organizzatore può risolvere il contratto offrendo al viaggiatore un rimborso integrale (articolo 12).

La direttiva conferisce poi all'organizzatore la responsabilità dell'esecuzione dei servizi turistici previsti dal contratto, indipendentemente dal fatto che essi siano prestati da altri fornitori. In particolare l'organizzatore dovrà: porre rimedio ad eventuali difetti di conformità segnalati dal venditore (salvo impossibilità o costi sproporzionati); offrire soluzioni alternative; in caso di "circostanze straordinarie" assicurare il rientro del viaggiatore o, ove ciò non sia possibile, sostenere i costi dell'alloggio (per non più di tre notti). Quanto al viaggiatore, questi potrà risolvere il contratto senza spese qualora l'organizzatore non ponga rimedio ad un difetto di conformità che incida in modo significativo sull'esecuzione del pacchetto (articolo 13). Inoltre, in caso di danni subiti a seguito di un difetto di conformità, il viaggiatore avrà diritto ad un risarcimento, da erogare senza indebito ritardo, a meno che il difetto di conformità sia imputabile al viaggiatore stesso o a circostanze inevitabili e straordinarie, nel qual caso non sono previsti rimborsi (articolo 14). Ai viaggiatori deve inoltre essere garantita la possibilità di inviare messaggi, reclami e richieste ai venditori, che dovranno inoltrarli all'organizzatore (articolo 15). Quest'ultimo dovrà poi prestare adeguata assistenza al viaggiatore in difficoltà, fornendo informazioni riguardanti, tra l'altro, l'assistenza consolare e servizi turistici alternativi (articolo 16).

Nei casi di insolvenza da parte dell'organizzatore e di mancata erogazione dei servizi pattuiti, il viaggiatore avrà diritto al rimborso delle somme pagate indipendentemente dal luogo di residenza, da quello di partenza e di vendita del pacchetto (articolo 17). Al fine di migliorare la cooperazione internazionale, negli Stati membri è istituita una rete di punti di contatto centrali che mettono a disposizione dei loro omologhi tutte le informazioni sui rispettivi obblighi nazionali in materia di protezione in caso di insolvenza (articolo 18).

Altre disposizioni riguardano le responsabilità in caso di errore di prenotazione (articolo 21), il regime sanzionatorio (articolo 25), il riesame da parte della Commissione europea (articolo 26), le modifiche da apportare al regolamento (CE) 2006/2004 e alla direttiva 2011/83/UE  (articolo 27).

Il termine fissato per il recepimento è il 1° gennaio 2018.


Direttiva (UE) 2016/97

(Distribuzione assicurativa)

 

 

La direttiva (UE) 2016/97 rifonde e abroga la direttiva 2002/92/CE (direttiva sulla intermediazione assicurativa, Insurance Mediation Directive - IMD1) cambiandone la denominazione in direttiva sulla distribuzione assicurativa (IDD) al fine di sottolineare come essa sia rivolta non solo agli intermediari assicurativi, ma a tutti i soggetti che distribuiscono prodotti assicurativi (agenti, mediatori e operatori di «bancassicurazione», imprese di assicurazione, agenzie di viaggio e autonoleggi).

Nella definizione di distribuzione assicurativa è ricompresa, oltre alla vendita diretta di prodotti assicurativi da parte delle imprese di assicurazione, anche l’attività di comparazione tramite internet quando il sito consenta al cliente di stipulare direttamente o indirettamente anche il contratto di assicurazione. Sono previsti requisiti proporzionati per i singoli che vendono prodotti assicurativi a titolo accessorio. Sono introdotti, inoltre, requisiti di professionalità e trasparenza, nonché norme di comportamento e nuove regole di informazione.

In particolare la nuova direttiva è volta a disciplinare, in modo più ampio, l'attività di distribuzione assicurativa introducendo sistemi semplificati di gestione dei registri e di vigilanza sulle imprese e sugli intermediari. La direttiva mira a realizzare un’armonizzazione minima tra le legislazioni e non impedisce, pertanto, agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più rigorose per tutelare i consumatori, a condizione che tali disposizioni siano coerenti con il diritto dell’Unione.

 

La direttiva dovrà essere recepita negli ordinamenti nazionali entro il 23 febbraio 2018.

 

Si evidenzia, in particolare, che la direttiva (UE) 2016/97 ha ampliato il quadro regolamentare relativo ai prodotti d’investimento assicurativo con riferimento ai conflitti d’interesse, alla informativa precontrattuale e agli incentivi e alla valutazione dell’idoneità e dell’adeguatezza del prodotto. Il Capo VI (articoli 26 e seguenti) prevede, infatti, alcuni requisiti supplementari in relazione ai prodotti di investimento assicurativi.

La direttiva ha contestualmente soppresso, a decorrere dal 23 febbraio 2016, il Capo III-bis della IMD (2002/92/CE) in tema di prodotti d’investimento assicurativo, che era stato introdotto dalla direttiva 2014/65/UE (MFID II).

 

Tra le altre novità della IDD si segnalano:

·       il Registro Unico Elettronico degli intermediari trasfrontalieri tenuto dall’EIOPA (art. 3, par. 4);

·       le nuove informazioni richieste in fase di registrazione dell’intermediario nello Stato di origine: a) identificazione delle partecipazioni superiori al 10%; b) nominativi di persone che hanno stretti legami con l’intermediario; c) informazioni sull’irrilevanza di esse nell’esercizio delle funzioni di vigilanza (art. 3, par. 4-5);

·       la formazione richiesta per i dipendenti che si occupano della distribuzione da parte delle imprese che effettuano vendita diretta (art. 10, par. 8);

·       l’obbligo di collocare il prodotto solo se rispetta le esigenze assicurative del cliente (demands and needs test);

·       nuovi obblighi informativi precontrattuali per consentire al cliente di prendere una decisione informata;

·       obbligo di strutturare le pratiche di remunerazione degli intermediari e dei dipendenti dell’impresa in modo da evitare che il distributore sia indotto a non perseguire l’interesse del cliente; l’intermediario è anche obbligato a fornire informazioni in merito alla natura del compenso;

·       in caso di attività transfrontaliera, rafforzamento del ruolo dello Stato ospitante rispetto alle attività illegittimamente compiute nell’ambito della distribuzione di prodotti assicurativi da un intermediario registrato in un altro Stato membro;

·       la disciplina della “vendita abbinata” (articolo 24);

·       il rafforzamento del sistema sanzionatorio.

 


Direttiva (UE) 2016/343

(Presunzione di innocenza e diritto di presenziare al processo penale)

 

 

La Direttiva (UE) 2016/343, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, intende tutelare (art. 1):

§  la presunzione di innocenza di chiunque sia accusato o sospettato di un crimine da parte delle autorità giudiziarie o di polizia;

§  il diritto di una persona accusata di presenziare al proprio processo penale.

 

La direttiva si inserisce nella tabella di marcia tracciata dalle istituzioni europee (Risoluzione del Consiglio europeo del 30 novembre 2009) per raggiungere l’obiettivo fissato nell’articolo 82, par. 2 del Trattato di Lisbona ossia l’attuazione dei diritti della persona nei procedimenti penali, funzionale a incrementare i diritti di indagati e imputati. In merito, sino alla direttiva in commento, erano intervenute:

- Direttiva 2010/64/UE – sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, attuata in Italia con il decreto legislativo n. 32 del 2014;

- Direttiva 2012/13/UE – sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, attuata in Italia dal decreto legislativo n. 101 del 2014;

- Direttiva 2013/48/UE – sul diritto al difensore e alla comunicazione con i terzi, attuata in Italia dal decreto legislativo n. 184 del 2016.

 

La direttiva si applica a qualsiasi persona indagata o imputata in un procedimento penale e riguarda tutte le fasi di quel procedimento, dal momento in cui una persona è sospettata o accusata di aver commesso un reato alla decisione finale (art. 2).

Alla persona indagata o imputata in un procedimento penale, la direttiva riconosce, anzitutto, la presunzione di innocenza, finché non ne sia dimostrata la colpevolezza.

In merito (artt. 3-5), gli Stati UE dovranno adottare misure per garantire che nelle dichiarazioni pubbliche da parte delle autorità procedenti non ci si riferisca alla persona come colpevole e dovranno altresì garantire che le persone indagate o imputate non siano presentate come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica (a meno che tali misure non siano necessarie per garantire la sicurezza o evitare il pericolo di fuga).

 

Corollari della presunzione d’innocenza sono i seguenti principi, che gli Stati dovranno garantire:

§  l’onere della prova della colpevolezza incombe sulla pubblica accusa. L’art. 6 della direttiva fa salvo l'eventuale obbligo per il PM o il giudice di ricercare le prove sia a carico sia a discarico e il diritto della difesa di produrre proprie prove. Dall’affermazione del principio deriva l’obbligo per gli Stati di garantire che in caso di dubbio sulla colpevolezza, l’imputato sia assolto;

§  l’indagato ha diritto di rimanere in silenzio e di non autoincriminarsi (art. 7) e tale silenzio non dovrà essere utilizzato contro di lui né in alcun modo valutato ai fini della commissione del reato. La Direttiva consente peraltro agli Stati di prevedere che, in relazione ai reati minori, lo svolgimento del procedimento, o di alcune sue fasi, possa avvenire per iscritto o senza un interrogatorio dell'indagato o imputato «purché ciò rispetti il diritto a un equo processo». In base all’art. 10 della Direttiva, inoltre, se il diritto al silenzio o il diritto di non autoincriminarsi viene violato, gli Stati UE devono garantire che siano rispettati i diritti alla difesa e l’equità del procedimento all’atto di valutare le dichiarazioni rese.

 

La Direttiva riconosce inoltre alla persona indagata o imputata in un procedimento penale, il diritto di presenziare al proprio processo (art. 8). Ciò nonostante, il processo può essere celebrato in assenza dell’indagato o imputato, nelle seguenti ipotesi:

§  la persona è stata informata a tempo debito del processo e delle conseguenze di una mancata comparizione;

§  la persona ha conferito mandato a un difensore per rappresentarla in giudizio.

Se non è possibile rispettare le suddette condizioni e il processo penale si tiene lo stesso in assenza dell’imputato, gli Stati devono garantire alla persona, una volta informata della decisione presa in sua assenza, mezzi di impugnazione o il diritto a un nuovo processo (art. 9), che consenta di riesaminare il merito della causa, incluso l'esame di nuove prove, e possa condurre alla riforma della decisione originaria.

 

Se il principio della presunzione di innocenza e il diritto di presenziare al proprio processo penale sono violati, gli Stati devono garantire mezzi di ricorso adeguati (art. 10).

 

Infine, tenuto conto che i principi affermati dalla direttiva sono già patrimonio dei diritti fondamentali europei, sanciti sia dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (artt. 47 e 48), sia dalla Convenzione EDU (art. 6), nella direttiva è stata inserita una clausola di non regressione rispetto al consolidamento di tali diritti nell’ambito della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 13).

 

Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 10 aprile 2018.


Direttiva (UE) 2016/680

(Trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti)

 

 

Direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio.

 

La direttiva fa parte di un pacchetto di riforme legislative sulla protezione dei dati nell’Unione europea il quale comprende, oltre alla direttiva in oggetto, il regolamento (UE) 2016/679 ("regolamento generale sulla protezione dei dati")[19].

Obiettivo della direttiva è stabilire le norme relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, incluse la salvaguardia e la prevenzione di minacce alla sicurezza pubblica.

Ai sensi della direttiva, gli Stati membri sono tenuti a:

·       tutelare i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare il diritto alla protezione dei dati personali; 

·       garantire che lo scambio dei dati personali da parte delle autorità competenti all'interno dell'Unione, qualora tale scambio sia richiesto dal diritto dell'Unione o da quello dello Stato membro, non sia limitato né vietato per motivi attinenti alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali.

L'art. 4 della direttiva detta i princìpi applicabili al trattamento dei dati personali e prescrive che i dati raccolti dalle autorità di polizia siano:

-      trattati in modo lecito e corretto;

-      raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, e trattati in modo non incompatibile con tali finalità;

-      adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono trattati;

-      esatti e, se necessario, aggiornati;

-      conservati in una forma che consenta l’identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati;

-      trattati in modo da garantire un'adeguata sicurezza, compresa la protezione da trattamenti non autorizzati o illeciti e dalla perdita, dalla distruzione o dal danno accidentali.

Gli Stati membri devono disporre che siano fissati termini adeguati per la cancellazione dei dati personali o per un esame periodico della necessità della conservazione di tali dati (art. 5).

La direttiva prescrive che i "titolari del trattamento"[20], se del caso e nella misura del possibile, operino una "chiara distinzione" tra i dati personali delle diverse categorie di interessati, quali:

-      le persone per le quali vi sono fondati motivi di ritenere che abbiano commesso o stiano per commettere un reato;

-      le persone condannate per un reato;

-      le vittime di reato o le persone che alcuni fatti autorizzano a considerare potenziali vittime di reato;

-      altre parti rispetto a un reato, tra cui i potenziali testimoni (art. 6).

Per quanto concerne le informazioni disponibili o da fornire agli interessati, il titolare del trattamento deve mettere a disposizione almeno le seguenti informazioni (art. 13):

-      l'identità e i dati di contatto del titolare del trattamento;

-      i dati di contatto del responsabile della protezione dei dati, se del caso;

-      le finalità del trattamento;

-      il diritto di proporre reclamo a un’autorità di controllo;

-      l’esistenza del diritto di chiedere l’accesso ai dati e la rettifica o la cancellazione dei propri dati personali e la limitazione del trattamento dei propri dati personali.

Per prevenire trattamenti che violino la direttiva in oggetto, le autorità nazionali devono porre in atto misure tecniche e organizzative che garantiscano un livello di sicurezza dei dati personali adeguato.

In caso di trattamento dei dati automatizzato, la direttiva impone che vengano prese misure volte a:

a)     vietare alle persone non autorizzate l'accesso alle attrezzature utilizzate per il trattamento ("controllo dell'accesso alle attrezzature");

b)    impedire che supporti di dati possano essere letti, copiati, modificati o asportati da persone non autorizzate ("controllo dei supporti di dati");

c)     impedire che i dati personali siano inseriti senza autorizzazione e che i dati personali conservati siano visionati, modificati o cancellati senza autorizzazione ("controllo della conservazione");

d)    impedire che persone non autorizzate utilizzino sistemi di trattamento automatizzato mediante attrezzature per la trasmissione di dati ("controllo dell'utente");

e)     garantire che le persone autorizzate a usare un sistema di trattamento automatizzato abbiano accesso solo ai dati personali cui si riferisce la loro autorizzazione d'accesso ("controllo dell'accesso ai dati");

f)      garantire la possibilità di verificare e accertare gli organismi ai quali siano stati o possano essere trasmessi o resi disponibili i dati personali utilizzando attrezzature per la trasmissione di dati ("controllo della trasmissione");

g)    garantire la possibilità di verificare e accertare a posteriori quali dati personali sono stati introdotti nei sistemi di trattamento automatizzato, il momento della loro introduzione e la persona che l'ha effettuata ("controllo dell'introduzione");

h)    impedire che i dati personali possano essere letti, copiati, modificati o cancellati in modo non autorizzato durante i trasferimenti di dati personali o il trasporto di supporti di dati ("controllo del trasporto");

i)      garantire che, in caso di interruzione, i sistemi utilizzati possano essere ripristinati ("recupero");

j)      garantire che le funzioni del sistema siano operative, che eventuali errori di funzionamento siano segnalati ("affidabilità") e che i dati personali conservati non possano essere falsati da un errore di funzionamento del sistema ("integrità").

· 

La direttiva 2016/680/UE è entrata in vigore il 5 maggio 2016.

Il termine per il recepimento negli ordinamenti nazionali è fissato al 6 maggio 2018.

 

Nel gennaio del 2012 la Commissione europea aveva presentato un pacchetto costituito da: una proposta di direttiva concernente la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, volta a sostituire la decisione quadro 2008/977/GAI (COM(2012)10); una proposta di regolamento concernente la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e la libera circolazione di tali dati  (regolamento generale sulla protezione dei dati), volta a sostituire la direttiva 95/46/CE (COM(2012)11).

Il 13 giugno 2012 la 14a Commissione (Politiche dell'Unione europea) del Senato della Repubblica si è espressa con risoluzione su entrambe le proposte (doc. XVIII-bis n. 73), formulando osservazioni complessivamente favorevoli pur con alcuni rilievi critici. Nel merito, sottolineava positivamente come le proposte recepiscano l’esigenza di una risposta coordinata a livello europeo al fine di tutelare i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare il diritto alla protezione dei dati personali, garantendo al tempo stesso lo scambio di dati personali a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali. Invitava tuttavia a chiarire e meglio definire il concetto di "sicurezza nazionale" espresso all’art. 2 della proposta di direttiva. La Commissione europea ha fornito chiarimenti sulle criticità segnalate con la risposta inviata il 21 febbraio 2013 (C(2013)357).


Direttiva (UE) 2016/681

(Uso dei dati del codice di prenotazione a fini di prevenzione dei reati di terrorismo e dei reati gravi)

 

 

Direttiva (UE) 2016/681 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, sull'uso dei dati del codice di prenotazione (PNR) a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi.

 

La direttiva prevede:

 

Ai fini della direttiva, si intende per "codice di prenotazione" (PNR) le informazioni relative al viaggio di ciascun passeggero comprendenti i dati necessari per il trattamento e il controllo delle prenotazioni a cura dei vettori aerei, siano esse registrate in sistemi di prenotazione, in sistemi di controllo delle partenze utilizzati per la registrazione dei passeggeri sui voli, o in altri sistemi equivalenti con le stesse funzionalità.

I dati del codice di prenotazione raccolti dai vettori aerei sono elencati all'allegato I e comprendono:

  1. il codice PNR di identificazione della pratica;
  2. la data di prenotazione/emissione del biglietto;
  3. le date di viaggio;
  4. il nome;
  5. indirizzo, recapito telefonico e indirizzo di posta elettronica;
  6. le informazioni sui viaggiatori abituali;
  7. l’itinerario di viaggio;
  8. l'agenzia di viaggio;
  9. lo status di viaggio del passeggero, inclusi conferme, check-in, precedenti assenze all'imbarco o passeggero senza prenotazione;
  10. PNR scissi/divisi;
  11. osservazioni generali (comprese tutte le informazioni sui minori non accompagnati di età inferiore a 18 anni);
  12. i dati sull'emissione del biglietto;
  13. le informazioni sul posto, compreso il numero di posto assegnato;
  14. le informazioni sul code share (codici comuni);
  15. le informazioni sui bagagli;
  16. il numero di viaggiatori e altri nomi figuranti nel PNR;
  17. le informazioni anticipate sui passeggeri (API) eventualmente raccolte (tra cui: tipo, numero, Paese di rilascio e data di scadenza del documento, cittadinanza, cognome, nome, sesso, data di nascita, compagnia aerea, numero di volo, data di partenza, data di arrivo, aeroporto di partenza, aeroporto di arrivo, ora di partenza e ora di arrivo);
  18. cronistoria delle modifiche dei dati PNR.

 

Ciascuno Stato membro deve stabilire o designare un'autorità competente in materia di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi che agisca in qualità di "unità d'informazione sui passeggeri" (UIP) (art. 4).

La UIP è incaricata di:

·       raccogliere i dati PNR presso i vettori aerei, conservare, trattare e trasferire tali dati o i risultati del loro trattamento alle autorità nazionali competenti;

·       scambiare i dati PNR e i risultati del trattamento dei dati con le UIP degli altri Stati membri e con Europol.

Per quanto concerne il trattamento dei dati PNR, la direttiva prescrive che l'UIP dello Stato membro interessato provveda al trattamento unicamente a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi.

In particolare, a norma dell'art. 6, i dati possono essere trattati per le seguenti finalità:

 

I vettori aerei che effettuano voli extra-UE hanno l'obbligo di trasferire i dati PNR raccolti (art. 8).

Gli Stati membri sono pertanto tenuti ad adottare i necessari provvedimenti affinché i vettori aerei trasferiscano, attraverso il "metodo push", i dati PNR alla banca dati dell'UIP dello Stato membro nel cui territorio atterra o dal cui territorio parte il volo[22].

La direttiva definisce "metodo push" il metodo in base al quale i vettori aerei trasferiscono i dati PNR alla banca dati dell'autorità richiedente. Questo si differenzia dal "metodo pull", in base al quale le autorità competenti dello Stato membro che chiede i dati PNR possono accedere al sistema di prenotazione del vettore aereo ed estrarre una copia dei dati PNR richiesti.

La direttiva consente agli Stati membri di estendere tale obbligo ai vettori aerei che effettuano voli intra-UE, o solo a voli intra-UE selezionati (art. 2).

Gli Stati membri devono provvedere affinché, per quanto riguarda le persone identificate da un'UIP ai fini del trattamento dei dati PNR, vengano trasmessi tutti i dati PNR "pertinenti e necessari" o i risultati del loro trattamento alle corrispondenti UIP degli altri Stati membri (scambio di informazioni tra Stati membri, art. 9).

I dati PNR possono essere trasferiti a un Paese terzo soltanto caso per caso e a determinate condizioni (art. 11).

I dati PNR trasmessi dai vettori aerei all'UIP devono essere da questa conservati in una banca dati per un periodo di cinque anni dal trasferimento all'UIP dello Stato membro dal cui territorio parte o nel cui territorio atterra il volo (art. 12).

Allo scadere del periodo di sei mesi dal trasferimento, tutti i dati PNR devono essere "resi anonimi" mediante mascheratura degli elementi che potrebbero servire a identificare direttamente il passeggero cui si riferiscono i dati PNR o altre persone.

Tali informazioni comprendono:

Allo scadere del periodo di sei mesi, la comunicazione dei dati PNR integrali è consentita solo se:

 

La direttiva 2016/681/UE è entrata in vigore il 24 maggio 2016.

Il termine per il recepimento è fissato al 25 maggio 2018.

 

Sulla proposta di direttiva (COM(2011)32)[23], la 1a Commissione (Affari costituzionali) del Senato della Repubblica si è pronunciata in senso favorevole con risoluzione del 30 marzo 2011 (doc. XVIII n. 86). Ha tuttavia formulato le seguenti osservazioni: 1) si è invitato a valutare l’effettiva necessità di trattare tutti i dati PNR elencati nell’allegato alla proposta; si è rilevato inoltre come particolarmente importante che per ciascuna delle diciannove categorie di dati PNR venga fornita "un’adeguata motivazione" circa la pertinenza dell’acquisizione del dato ai fini del contrasto degli specifici reati che la proposta mira a prevenire; 2) nel merito, si è sottolineato come la proposta imponga ai vettori aerei l’obbligo giuridico di fornire agli Stati membri dell’Unione i dati del codice di prenotazione elencati, ovvero dati che consentano alle autorità di contrasto di identificare anche persone "non note", ossia mai sospettate prima di reati gravi o di terrorismo, ma il cui probabile coinvolgimento è rilevato da un’analisi dei dati. Si è invitato pertanto a valutare "con estrema attenzione e cautela" l’ipotesi di estendere il campo di applicazione all’acquisizione dei dati PNR dei voli interni all’Unione Europea.

La Commissione europea ha risposto in data 11 gennaio 2012 (C(2012)52), dichiarando che avrebbe preso "debitamente atto degli specifici punti relativi alla motivazione dell'acquisizione di tutti gli elementi rientranti nella lista dei dati PNR contenuta nell'allegato alla proposta e alla cautela da riservare alla tematica dei voli interni all'Unione Europea".


Le Direttive concernenti il quarto pacchetto ferroviario (direttiva (UE) 2016/797; direttiva (UE) 2016/798, direttiva (UE) 2016/2370)

 

 

Nell’allegato A al disegno di legge di delegazione europea per il 2016 si procede al recepimento di tre importanti direttive concernenti il sistema ferroviario dell’Unione.

Si tratta in particolare:

della direttiva (UE) 2016/797 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2016 concernente l’interoperabilità del sistema ferroviario dell’Unione;

della direttiva (UE) 2016/798 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2016 sulla sicurezza delle ferrovie;

e della direttiva (UE) 2016/2370 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2016 modifica la direttiva 2012/34/UE per quanto riguarda l'apertura del mercato dei servizi di trasporto ferroviario nazionale di passeggeri e la governance dell'infrastruttura ferroviaria;

 

Le tre direttive citate sono ricomprese nel “quarto pacchetto ferroviario”. In particolare le prime due direttive afferiscono al cosiddetto “pilastro tecnico” mentre la terza direttiva completa il “pilastro politico” dell’iniziativa europea (vedi box).

 

 

 

Il quarto pacchetto ferroviario

 

Il "quarto pacchetto ferroviario", presentato dalla Commissione europea il 30 gennaio 2013, propone un approccio integrato volto a rivitalizzare il trasporto ferroviario dell'UE per favorire la creazione di uno spazio ferroviario unico europeo.

Il pacchetto comprende:

 

- la comunicazione "Quarto pacchetto ferroviario – Completare lo spazio ferroviario europeo unico per favorire la competitività e la crescita europee" (COM(2013)25);

- un regolamento relativo alla normalizzazione dei conti delle aziende ferroviarie;

- un regolamento relativo all'Agenzia dell'Unione europea per le ferrovie;

- un regolamento sull'apertura del mercato dei servizi di trasporto nazionale di passeggeri per ferrovia;

- una direttiva sullo spazio ferroviario europeo;

- una direttiva e una relazione (COM(2013)32) relative all'interoperabilità del sistema ferroviario europeo;

 - una direttiva sulla sicurezza delle ferrovie;

 - una relazione sul profilo e i compiti degli altri membri del personale viaggiante (COM(2013)33);

 

 

 - una relazione sulla liberalizzazione del mercato del trasporto ferroviario internazionale di passeggeri (COM(2013)34).

 

Tutte le disposizioni sopra indicate hanno completato il loro iter a livello di Unione europea innovando profondamente il quadro regolamentare nel settore ferroviario.

A maggio 2016 sono stati infatti pubblicati gli atti riconducibili al “pilastro tecnico” del pacchetto, il cui obiettivo è accrescere le economie di scala per le imprese ferroviarie nell'UE e ridurre i costi e i tempi delle procedure amministrative. Si tratta del Regolamento (UE) 2016/796 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un'Agenzia dell'Unione europea per le ferrovie e che abroga il Regolamento (CE) n. 881/2004, della direttiva (UE) 2016/797 relativa all'interoperabilità del sistema ferroviario europeo e della direttiva (UE) 2016/798 sulla sicurezza delle ferrovie.

A dicembre 2016 sono infine stati pubblicati gli atti riferiti al “pilastro politico” che vertono sull’assetto del comparto ossia: il Regolamento (UE) 2237/2016 relativo alla normalizzazione dei conti delle aziende ferroviarie che abroga il Regolamento (CEE) n. 1192/69 del Consiglio il quale permetteva agli Stati membri di compensare 40 imprese ferroviarie che figurano in un elenco per il pagamento di obblighi che le imprese operanti in altri settori di trasporto non devono sostenere; il Regolamento (UE) 2238/2016 che, modificando il Regolamento (CE) 1370/2007, introduce norme sull'apertura del mercato dei servizi di trasporto nazionale di passeggeri per ferrovia e la direttiva (UE) 2016/2370 che riguarda l'apertura del mercato dei servizi di trasporto ferroviario nazionale di passeggeri e la governance dell'infrastruttura ferroviaria, modificando la direttiva 2012/34/UE, ossia la direttiva che istituisce lo spazio ferroviario unico europeo, recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n.112/2015. Gli atti citati trattano delle questioni relative alla separazione tra le funzioni di gestore della rete ferroviaria e di prestatore di servizi ferroviari all'interno delle cosiddette "imprese integrate", nonché delle questioni riguardanti l'aggiudicazione dei contratti di servizio pubblico per il trasporto ferroviario mediante gara ovvero affidamento diretto.


Direttiva (UE) 2016/797

(del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'interoperabilità del sistema ferroviario dell'Unione europea dell’11 maggio 2016 (rifusione))

 

(termine di recepimento 16 giugno 2019)

 

La direttiva (UE) 2016/797 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2016 sull’interoperabilità del sistema ferroviario dell’Unione europea procede alla rifusione della direttiva 2005/57/CE avente il medesimo oggetto.

Tale direttiva, unitamente alla direttiva (UE) 2016/798 (su cui vedi infra), è diretta a fornire un quadro di riferimento volto a favorire il superamento della frammentazione della regolamentazione tecnica nel settore ferroviario.

La direttiva (UE) 2016/797 si concentra in particolare sugli aspetti concernenti la progettazione, la costruzione, l’immissione sul mercato, l’esercizio, la manutenzione e il rinnovo dei sistemi e dei mezzi ferroviari oltre che sulle modalità secondo le quali tutti gli elementi costituenti il sistema ferroviario interagiscono tra loro al fine di garantire la sicurezza e l’efficienza del trasporto ferroviario. A tal fine si propone di semplificare ed omogeneizzare l’insieme di autorizzazioni e regole tecniche che governano tale complesso sistema, superando le disposizioni della direttiva 2005/57/CE che viene abrogata.

 

Il sistema attuale di norme tecniche e autorizzazioni, pur garantendo un elevato livello di sicurezza, è infatti frammentato tra l’Agenzia ferroviaria europea e le autorità nazionali, con conseguenti elevati costi amministrativi e ostacoli eccessivi in termini di acceso al mercato, soprattutto per i nuovi operatori e i costruttori di veicoli ferroviari.

Uno dei principali ostacoli per le imprese ferroviarie è rappresentato dalla coesistenza, da un lato, di norme nazionali tecniche e di sicurezza e, dall’altro, di specifiche tecniche di interoperabilità dell’UE (STI). Secondo stime dell’Agenzia ferroviaria europea, allo stato attuale nell’UE coesistono più di 11 mila regole di questo tipo. Esistono inoltre notevoli differenze nel modo in cui le agenzie nazionali di sicurezza gestiscono le procedure di autorizzazione dei veicoli e di certificazione di sicurezza.

Gli articoli 170-172 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, riguardanti la realizzazione delle reti transeuropee di trasporto (TEN-T), stabiliscono che l’azione dell’UE in questo settore mira a favorire l’interconnessione e l’interoperabilità delle reti nazionali nonché l’accesso a tali reti, mediante l’adozione di adeguate misure in particolare nel campo dell’armonizzazione delle norme tecniche.

 

La direttiva sottolinea l’esigenza di conseguire un forte livello di interoperabilità tra sistemi afferenti alla rete e sistemi afferenti ai veicoli ferroviari in quanto da questa forte integrazione dipendono l’affidabilità, la sicurezza e la rilevanza dei servizi ferroviari. Per questo è centrale nella direttiva la disciplina concernente le specifiche tecniche di interoperabilità (STI) dei sistemi e dei sottosistemi.

 

Gli specifici interventi della direttiva possono essere così riassunti:

 

- per quanto riguarda l'ambito di applicazione, l’interoperabilità dei sistemi locali, urbani e suburbani non è contemplata dalla direttiva (art. 1);

- alcune definizioni sono state riformulate (applicazione delle STI ai sistemi esistenti, deroghe alle STI, carenze delle STI e applicabilità delle norme nazionali) o aggiunte (il concetto di autorizzazione d’immissione del veicolo sul mercato e alcune disposizioni relative ai registri) rispetto a quanto previsto dalla precedente direttiva 2008/57/CE (art. 2);

- è definito dettagliatamente l’oggetto, la procedura di elaborazione, adozione e revisione delle STI (art. 4 - 5);

- l'articolo 6 specifica che, in seguito all'identificazione di alcune carenze e in attesa della modifica delle STI, la Commissione potrà chiedere un parere dell'Agenzia che, su richiesta della Commissione stessa, costituirà strumento di conformità;

- sono identificati i casi di eventuale non applicazione delle STI (art. 7);

- è disciplinata l’immissione sul mercato dei componenti di interoperabilità ed è stabilito il principio di libera circolazione dei sottosistemi conformi ai requisiti essenziali (artt. 8-12);

- sono specificati il ruolo delle norme nazionali, il loro rapporto con le STI, i casi in cui le norme nazionali possono essere introdotte e le procedure per la loro revoca o pubblicazione, nonché le circostanze che attivano una nuova dichiarazione "CE" di verifica (artt. 13-15);

-  sono disciplinati l’autorizzazione per la messa in servizio di impianti fissi e l’attuazione armonizzata del sistema di controllo del traffico ferroviario europeo (European Rail Traffic Management System, ERMTS) (artt. 18-19);

- l'art. 20 regola l'immissione sul mercato di sottosistemi mobili, che potrà essere effettuata sia dalle imprese ferroviarie che dai produttori;

- l'art. 21 introduce il concetto di autorizzazione di immissione del veicolo sul mercato. Tale autorizzazione dovrà essere rilasciata dall'Agenzia e dovrà contenere tutte le informazioni di cui necessiterà in seguito l'impresa ferroviaria per mettere un veicolo in servizio commerciale. Sarà possibile chiedere una dichiarazione complementare finalizzata a semplificare all'impresa ferroviaria il compito di mettere in servizio il veicolo;

- sono disciplinate la registrazione dei veicoli autorizzati all’immissione sul mercato e la loro immissione sul mercato (artt. 22 - 26);

- gli artt. da 27 a 45 relativi agli organismi di valutazione della conformità sostituiscono e integrano l’ex articolo 28 e l’ex allegato VIII per includere le disposizioni del nuovo quadro legislativo per la commercializzazione dei prodotti, come definito nella decisione 768/2008/CE;

- gli artt. da 46 a 49 disciplinano il numero europeo del veicolo (NEV) e i registri nazionali. Sono inoltre disciplinati il registro europeo dei tipi di veicoli autorizzati e il registro dell’infrastruttura;

-a seguito dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona, una serie di allegati della direttiva 2008/57/CE sono convertiti in atti di esecuzione che dovranno essere adottati dalla Commissione.

La direttiva procede infine all’abrogazione della precedente direttiva 2008/57/CE, relativa all'interoperabilità a far data dal 16 giugno 2020 (fatto salvo comunque il recepimento e l’applicazione della direttiva medesima e delle altre previste nell’allegato IV, parte B alla direttiva in commento). E’ altresì previsto per un periodo transitorio compreso tra il 15 giugno 2016 e il 16 giugno 2019 che l’autorizzazione dei veicoli continua ad essere effettuata ai sensi della direttiva 2008/57/CE.

 

Quanto al recepimento della direttiva gli Stati membri entro il 16 giugno 2019 devono adottare e pubblicare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie a conformarsi alla direttiva, ma è riconosciuto agli Stati membri, previa comunicazione da effettuarsi entro il 18 dicembre 2018, all’Agenzia europea e alla Commissione, con indicazione delle motivazioni, la possibilità di prorogare di un anno il periodo di recepimento delle prescrizioni della direttiva (in tal caso essi possono continuare fino alla scadenza del 16 giugno 2020 a rilasciare autorizzazioni ai sensi della direttiva 2008/57/CE).


Direttiva (UE) 2016/798

(del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2016 sulla sicurezza delle ferrovie (rifusione))

 

(termine di recepimento 16 giugno 2019)

 

 

La direttiva (UE) 2016/798 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2016 sulla sicurezza delle ferrovie provvede alla rifusione della direttiva 2004/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio avente ad oggetto, tra l’altro, la sicurezza delle ferrovie comunitarie.

La direttiva (UE) 798/2016 contiene disposizioni volte a sviluppare e a migliorare la sicurezza del sistema ferroviario dell'Unione e a migliorare l'accesso al mercato per la prestazione di servizi ferroviari e si applica al sistema ferroviario degli Stati membri (art. 1).

La direttiva in primo luogo descrive il sistema della sicurezza ferroviaria (artt. 1-9), successivamente vengono disciplinate la certificazione di sicurezza unica e le autorizzazioni di sicurezza nonché i compiti delle autorità nazionali di sicurezza (artt. 10 -19); sono poi normate le indagini sugli incidenti ferroviari (artt 20 - 26) e, in conclusione, si trovano le disposizioni transitorie e finali (artt. 27 – 36).

La direttiva identifica innanzi tutto i principali attori nel sistema ferroviario dell'Unione in materia di sicurezza ferroviaria nei gestori dell'infrastruttura e nelle imprese ferroviarie prevedendo che essi assumano piena responsabilità per la sicurezza della propria parte del sistema e cooperino nell'attuare le misure di controllo del rischio. Gli Stati membri, a loro volta, fanno sì che questi soggetti svolgano adeguatamente i loro compiti (art. 4).

La direttiva definisce gli obiettivi comuni di sicurezza (CST) che stabiliscono i livelli minimi di sicurezza che devono essere raggiunti dal sistema nel suo insieme, e ove possibile, dalle diverse parti del sistema ferroviario in ogni Stato membro e nell'Unione. Tali obiettivi sono soggetti a revisione periodica, precisando che la Commissione, mediante atti di esecuzione, assegna un mandato all'Agenzia dell'Unione europea per le ferrovie (istituita dal regolamento (UE) 2016/796 del Parlamento europeo e del Consiglio) per elaborare i CST e le relative modifiche nonché per presentare le pertinenti raccomandazioni alla Commissione (art. 7)

Accanto agli obiettivi comuni di sicurezza la direttiva definisce anche i metodi comuni di sicurezza (CSM) che descrivono la valutazione dei livelli di sicurezza, la realizzazione degli obiettivi di sicurezza e la conformità con gli altri requisiti in materia di sicurezza (art. 6), gli indicatori comuni di sicurezza (ICS) che servono a valutare l’effettivo livello di conseguimento degli obiettivi comuni di sicurezza (art. 5) e sono individuati nell’allegato 1 alla direttiva stessa. Sono inoltre previste disposizioni con riferimento alle specifiche tecniche di interoperabilità (STI).

Tale sistema di regole è diretto a conseguire un livello analogo di sicurezza e ad omogeneizzare il sistema di norme nazionali di volta in volta elaborate. Nel dodicesimo considerando si segnala peraltro espressamente che “le norme nazionali, spesso fondate su standard tecnici nazionali, sono gradualmente sostituite da norme fondate su standard comuni, sviluppati sulla base dei CST, dei CSM e delle specifiche tecniche di interoperabilità (STI)”.

Spetta poi ai gestori dell'infrastruttura e alle imprese ferroviarie elaborare i propri sistemi di gestione della sicurezza, definiti in dettaglio ai sensi dell’articolo 9, al fine di garantire che il sistema ferroviario dell'Unione possa raggiungere almeno i CST, sia conforme ai requisiti di sicurezza contenuti nelle STI e che siano applicati gli elementi pertinenti dei CSM e le norme nazionali.

La direttiva disciplina i contenuti e la procedura per il certificato di sicurezza unico rilasciato o dall’Agenzia dell'Unione europea per le ferrovie ovvero dalle autorità nazionali (queste ultime solo nel caso in cui l’area di esercizio dell’impresa ferroviaria sia limitato a uno Stato membro). Tale certificato costituisce il presupposto essenziale affinché un’impresa ferroviaria possa accedere all’infrastruttura ferroviaria. L’Agenzia o le autorità nazionali si assumono la piena responsabilità dei certificati unici che rilasciano (art. 10).

E’ inoltre previsto il rilascio al gestore dell’infrastruttura ferroviaria di una autorizzazione di sicurezza. L'autorizzazione di sicurezza comprende un'autorizzazione che attesta l'accettazione del sistema di gestione della sicurezza del gestore dell'infrastruttura di cui all'articolo 9, e che contiene le procedure e le disposizioni per soddisfare i requisiti necessari per la progettazione, la manutenzione e il funzionamento, in condizioni di sicurezza, dell'infrastruttura ferroviaria, compresi, se del caso, la manutenzione e il funzionamento del sistema di controllo del traffico e di segnalamento (art. 12).

L’articolo 14 prevede il regime della manutenzione dei veicoli ferroviari stabilendo che a ciascun veicolo, prima dell'utilizzo sulla rete, è assegnato un soggetto responsabile della manutenzione che assicura che i veicoli della cui manutenzione è responsabile siano in condizioni di utilizzo in sicurezza. Il responsabile pone in essere un sistema di manutenzione dei veicoli e assicura la tracciabilità della manutenzione. Una specifica disciplina riguarda i soggetti manutentori di carri merci.

Gli articoli 15 e 16 definiscono i compiti minimi e le modalità di intervento delle autorità nazionali responsabili della sicurezza ferroviaria (in Italia è l’Autorità nazionale per la sicurezza ferroviaria) mentre il Capo V (artt. 20-26) concerne le indagini in caso di incidenti o inconvenienti ferroviari. In particolare le disposizioni della direttiva prevedono che ciascuno Stato membro provvede affinché le indagini sugli incidenti e gli inconvenienti siano svolte da un organismo permanente, che comprende almeno un investigatore in grado di assolvere la funzione di investigatore incaricato in caso di incidente o di inconveniente. L’organismo di indagine è caratterizzato da indipendenza ed autonomia e ad esso sono assicurate adeguate risorse. Oltre ai compiti assegnatigli dalla presente direttiva in termini di intervento nel caso di incidenti e inconvenienti ferroviari, l'organismo investigativo può indagare su eventi diversi, purché tali altre indagini non compromettano la sua indipendenza. La direttiva disciplina anche, a grandi linee, la procedura d’indagine.

Nell’ambito delle disposizioni transitorie e finali si segnala l’articolo 33, che disciplina il recepimento della direttiva. In particolare è stabilito che gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 16 giugno 2019, ma è riconosciuto agli Stati membri, previa notifica all’Agenzia europea e alla Commissione, con indicazione delle motivazioni, la possibilità di prorogare di un anno il periodo di recepimento delle prescrizioni della direttiva.

Infine l’articolo 34 stabilisce l’abrogazione della direttiva 2004/49/CE, a decorrere dal 16 giugno 2020 (fatto salvo comunque il recepimento e l’applicazione della direttiva medesima e delle altre previste nell’allegato IV, parte B alla direttiva in commento).

 


Direttiva (UE) 2016/2370

(che modifica la direttiva 2012/34/UE per quanto riguarda l'apertura del mercato dei servizi di trasporto ferroviario nazionale di passeggeri e la governance dell'infrastruttura ferroviaria)

 

(termine di recepimento 25 dicembre 2018)

 

 

La direttiva (UE) 2016/2370 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2016 modifica la direttiva 2012/34/UE per quanto riguarda l'apertura del mercato dei servizi di trasporto ferroviario nazionale di passeggeri e la governance dell'infrastruttura ferroviaria.

 

La direttiva 2012/34/UE, recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 112 del 2015, ha istituito lo spazio ferroviario unico europeo. Essa contiene le disposizioni fondamentali con riferimento all’utilizzo ed alla gestione dell’infrastruttura ferroviaria adibita a servizi ferroviari nazionali e internazionali ed alle attività di trasporto delle imprese ferroviarie operanti in Italia, ai criteri che disciplinano il rilascio, la proroga o la modifica delle licenze per la prestazione di servizi di trasporto ferroviario, i principi e le procedure da applicare nella determinazione e nella riscossione dei canoni dovuti per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria e le modalità per l’assegnazione della capacità di tale infrastruttura. La direttiva contiene anche norme in tema di contabilità e bilancio delle imprese ferroviarie (prevedendo la separazione contabile per gli aspetti afferenti alla gestione dell’infrastruttura ferroviaria e per quelli relativi alla prestazione di servizi di trasporto ferroviario) e sancisce il principio secondo il quale alle imprese ferroviarie sia concesso, a condizioni eque, non discriminatorie e trasparenti, il diritto di accesso all’infrastruttura ferroviaria. La direttiva contiene inoltre la disciplina dei rapporti tra il gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale e lo Stato, in particolare con riferimento al contenuto del contratto di programma e definisce il ruolo dell'organismo di regolazione nell'ambito delle attività nel campo dell'accesso all'infrastruttura e alla cooperazione con altri regolatori europei.

 

L’articolo 1 della direttiva in commento novella la direttiva 2012/34/UE in più punti.

Per quanto riguarda l'ambito di applicazione sono innanzi tutto escluse dall’applicazione delle disposizioni introdotte dalla stessa sul rafforzamento delle misure di separazione tra gestore dell’infrastruttura ferroviaria e impresa ferroviaria alcune reti regionali e locali a bassa intensità di traffico nonché, a determinate condizioni, le imprese ferroviarie private che abbiano concluso accordi di partenariato pubblico privato.

Quanto alle definizioni è riformulata quella di “gestore dell’infrastruttura” e ne vengono aggiunte ulteriori (tra queste, oltre a diverse definizioni relative alle attività connesse all’infrastruttura ferroviaria, quali gestione, esercizio, manutenzione, rinnovo, ecc. assume rilevanza quella di impresa a integrazione verticale).

Passando all’esame delle novità più significative la direttiva introduce norme volte a rafforzare l’indipendenza del gestore dell’infrastruttura ferroviaria con specifico riferimento ai casi in cui il gestore sia integrato verticalmente con un’impresa che offre servizi di trasporto ferroviario.

A tale scopo sono introdotte nel testo della direttiva 2012/34/UE norme dirette a evitare che, in tali imprese, l’imparzialità del gestore sia compromessa da un qualsivoglia conflitto di interesse e disposizioni affinché ne sia garantita l’indipendenza (artt. 7 e 7-bis).

Sono previste anche norme che consentono, a determinate condizioni, al gestore dell’infrastruttura ferroviaria di delegare funzioni, sempre evitando la possibilità di conflitti di interesse (art. 7 quater) nonché disposizioni sulla trasparenza finanziaria relativa alla gestione delle entrate derivanti dalla gestione dell’infrastruttura ferroviaria comportanti fondi pubblici e concernenti aspetti riguardanti il rapporto tra imprese ferroviarie e gestori dell’infrastruttura (quali la gestione di prestiti e la contabilità). Anche in tal caso si rileva una specifica focalizzazione sulle imprese integrate verticalmente (art. 7 quinquies).

Un ulteriore prescrizione a garanzia dell’imparzialità del gestore è introdotta con riferimento alla gestione del traffico, precisando che il gestore dell’infrastruttura metta a disposizione delle imprese ferroviarie, in maniera non discriminatoria, le informazioni relative sia all’interruzione del traffico sia agli interventi di manutenzione e rinnovo dell’infrastruttura, la cui programmazione a lungo termine deve essere oggetto di consultazione (art. 7-ter).

E’ previsto anche un meccanismo di coordinamento tra gestori dell’infrastruttura principale e imprese ferroviarie nonché l’istituzione di una rete europea dei gestori dell’infrastruttura di cui la medesima Commissione europea è membro, volta a porre in essere le attività necessarie per il progressivo sviluppo integrato della rete ferroviaria comune (artt. 7 sexies e 7 septies).

Il secondo ambito di intervento della direttiva concerne l’ulteriore apertura del mercato ferroviario, con specifico riferimento alla possibilità di accesso per le imprese ferroviarie, a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie all’infrastruttura ferroviaria di tutti gli Stati membri. La direttiva interviene modificando gli articoli 10 e 11 della direttiva 2012/34/UE, ed introducendo nella medesima un nuovo articolo 11-bis.

A seguito di tali interventi l’unico limite che la direttiva pone alla possibilità di accesso alle reti ferroviarie dei Paesi membri è rappresentato dall’esistenza di un contratto di servizio pubblico in relazione al quale l’accesso al mercato di altre imprese ferroviarie sulle medesime tratte cagionerebbe la compromissione dell'equilibrio economico del contratto di servizio medesimo.

In ogni caso si prevede che qualora l'organismo di regolazione decida che l'equilibrio economico di un contratto pubblico sarebbe compromesso dal previsto servizio di trasporto di passeggeri indica le eventuali modifiche a tale servizio che permetterebbero di soddisfare le condizioni per la concessione del diritto di accesso.

Con riferimento ai servizi di trasporto di passeggeri ad alta velocità il diritto d’accesso è ancora più ampio e può essere soggetto soltanto ai requisiti stabiliti dall’organismo di regolazione.

Nel caso in cui su tali reti siano stati sottoscritti contratti di servizio pubblico e la richiesta di accesso comprometta l'equilibrio economico di un contratto di servizio pubblico che copre lo stesso percorso o un percorso alternativo, l'organismo di regolazione indica le eventuali modifiche al servizio che permetterebbero di soddisfare le condizioni per la concessione del diritto di accesso. Tali modifiche possono includere una modifica del servizio previsto (art. 11-bis).

Le ulteriori disposizioni della direttiva concernono l’introduzione della possibilità che gli Stati membri richiedano alle imprese ferroviarie che effettuano servizi di trasporto nazionale di passeggeri di partecipare ad un sistema comune d'informazione e di biglietteria integrata ai fini dell'offerta di biglietti, biglietti cumulativi e prenotazioni (art. 13-bis). Sono previste poi alcune modifiche relativamente alla possibilità di differenziare i canoni per l’utilizzo dell’infrastruttura di specifici corridoi ferroviari mentre la massima parte delle ulteriori disposizioni presenti nella direttiva concerne l’adeguamento al nuovo sistema di regole dei poteri di controllo dell’autorità di regolazione.

Quanto al recepimento della direttiva l’articolo 2 prevede che gli Stati membri adottino e pubblichino entro il 25 dicembre 2018 le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie. Le norme concernenti l’ulteriore apertura del mercato ferroviario si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2019, in tempo utile per l’orario di servizio che inizia il 14 dicembre 2020 (art. 3, comma 2).


Direttiva (UE) 2016/800

(Garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali)

 

 

Direttiva (UE) 2016/800 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2016, sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali.

 

Obiettivo della direttiva è stabilire garanzie procedurali affinché i minori indagati o imputati nei procedimenti penali siano in grado di comprendere e seguire il procedimento, esercitare il loro diritto a un equo processo, evitare la recidiva ed essere reinseriti socialmente.

La direttiva fa parte delle misure volte a istituire norme minime per i diritti procedurali in tutta l'Unione Europea (UE), conformemente a quanto previsto nella Risoluzione del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativa alla "tabella di marcia" per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali.

Seguendo un approccio a tappe, la tabella di marcia ha evidenziato la necessità di adottare misure concernenti il diritto alla traduzione e all'interpretazione (misura A), il diritto alle informazioni relative ai diritti e all'accusa (misura B), il diritto alla consulenza legale e all'assistenza legale (misura C), il diritto alla comunicazione con familiari, datori di lavoro e autorità consolari (misura D) e garanzie speciali per indagati e imputati vulnerabili (misura E).

In linea con la Tabella di marcia, oltre alla direttiva in oggetto, sono state quindi adottate quattro misure in materia di diritti procedurali nei procedimenti penali:

-      la direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali;

-      la direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all'informazione nei procedimenti penali;

-      la direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari;

-      la direttiva 2016/343/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali.

 

Obiettivo della direttiva 2016/800/UE è stabilire norme minime comuni relative ai diritti di minori che sono:

-      indagati o imputati in procedimenti penali;

-      oggetto di un procedimento di esecuzione di un mandato di arresto europeo, ai sensi della decisione quadro 2002/584/GAI.

Si definisce "minore" una persona di età inferiore a 18 anni.

La direttiva trova applicazione fino alla decisione definitiva sulla colpevolezza, incluse, se previste, la pronuncia della condanna e la decisione sull'impugnazione.

I diritti procedurali che devono essere garantiti ai minori comprendono:

-      il diritto all'informazione (art. 4).

La direttiva stabilisce che al minore siano fornite tempestivamente le informazioni concernenti i suoi diritti e gli aspetti generali dello svolgimento del processo;

-      il diritto del minore a che sia informato il titolare della responsabilità genitoriale (art. 5).

La direttiva prescrive che sia informato il titolare della responsabilità genitoriale, per iscritto e/o oralmente, in merito ai diritti procedurali applicabili, così da garantire l'equità del procedimento e l'esercizio effettivo dei diritti del minore. Le informazioni di cui sopra devono essere fornite a un altro adulto idoneo nominato dal minore e approvato in tale qualità dall'autorità competente, qualora la comunicazione delle informazioni al titolare della responsabilità genitoriale: a) sia contraria all'interesse superiore del minore; b) non sia possibile perché, nonostante siano stati compiuti ragionevoli sforzi, nessuno dei titolari della responsabilità genitoriale è reperibile o l'identità è ignota; c) potrebbe, sulla base di circostanze oggettive e concrete, compromettere in modo sostanziale il procedimento penale;

-      il diritto di avvalersi dell'assistenza di un difensore (art. 6).

La direttiva impone l'obbligatorietà del diritto di avvalersi di un difensore per i minori indagati o imputati in procedimenti penali, ai sensi della direttiva 2013/48/UE, e prescrive che, in ogni caso, gli Stati membri garantiscano l'assistenza di un difensore, sia quando il minore viene condotto dinanzi a un giudice o tribunale competente per decidere in merito alla detenzione, in qualsiasi fase del procedimento, sia durante la detenzione. Gli Stati membri devono inoltre provvedere affinché non siano applicabili al minore condanne che impongano la privazione della libertà personale, a meno che il minore sia stato assistito da un difensore in modo da consentirgli di esercitare efficacemente i propri diritti di difesa;

-      il diritto a una valutazione individuale (art. 7).

Gli Stati membri devono provvedere affinché sia tenuto conto delle specifiche esigenze del minore in materia di protezione, istruzione, formazione e reinserimento sociale. La valutazione individuale deve tener conto, in particolare, della personalità e maturità del minore, della sua situazione economica, sociale e familiare, nonché di eventuali vulnerabilità specifiche.

Le informazioni relative alle circostanze e alle caratteristiche individuali del minore potrebbero essere utili alle autorità competenti al fine di: determinare la necessità di adottare eventuali misure specifiche a beneficio del minore; valutare l'adeguatezza e l'efficacia di eventuali misure cautelari; assumere decisioni o linee d'azione nel procedimento penale, anche in sede di pronuncia della sentenza. La valutazione individuale deve essere effettuata nella "prima fase appropriata" del procedimento e prima dell'imputazione[24];

-      il diritto all'esame medico (art. 8).

Il minore privato della libertà ha diritto, senza indebito ritardo, a un esame medico volto a valutarne lo stato fisico e mentale generale. L'esame è effettuato su iniziativa delle autorità competenti, in particolare se lo richiedono indicazioni sanitarie specifiche, oppure su richiesta del minore, del titolare della responsabilità genitoriale, di altro adulto idoneo o del difensore del minore. I risultati dell'esame medico devono essere tenuti in considerazione al momento di stabilire se il minore possa essere sottoposto a interrogatorio, ad altri atti di indagine o di raccolta di prove o alle eventuali misure adottate o previste nei suoi confronti;

-      la registrazione audiovisiva dell'interrogatorio (art. 9).

L'interrogatorio del minore condotto dalla polizia o da altre autorità di contrasto durante il procedimento penale deve essere oggetto di registrazione audiovisiva quando ciò risulti proporzionato nelle circostanze del caso, tenuto conto, fra l'altro, del fatto che sia presente o meno un difensore e del fatto che il minore sia privato o meno della libertà personale, purché il suo interesse superiore sia sempre considerato preminente (all'art. 14, sul diritto alla protezione della vita privata, la direttiva prescrive che le registrazioni non siano rese pubbliche);

-      la limitazione della privazione della libertà personale (art. 10).

La direttiva stabilisce che, in qualsiasi fase del procedimento, la privazione della libertà personale del minore deve essere limitata al più breve periodo possibile e che, in particolare, la detenzione sia disposta nei confronti di minori solo come misura di ultima istanza. Gli Stati membri devono garantire che la detenzione sia basata su una decisione motivata soggetta a controllo giurisdizionale da parte di un giudice o tribunale. Tale decisione è altresì soggetta, "a intervalli di tempo ragionevoli", a un controllo periodico da parte di un giudice o tribunale, o d'ufficio o su richiesta del minore, del suo difensore o di un'autorità giudiziaria diversa da un giudice o tribunale.

La direttiva prescrive inoltre che, ogniqualvolta sia possibile, le autorità competenti ricorrano a "misure alternative" alla detenzione (art. 11);

-      il diritto a un trattamento specifico in caso di privazione della libertà personale (art. 12).

La direttiva evidenzia che specifica attenzione deve essere riservata al modo in cui è trattato il minore detenuto, in considerazione della sua intrinseca vulnerabilità. In particolare, il minore deve essere detenuto separatamente dagli adulti (a norma dell'art. 37, lettera c), della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo), salvo che: non si ritenga preferibile non farlo nell'interesse superiore del minore; o in circostanze eccezionali, ciò non sia in concreto possibile, purché il minore sia tenuto insieme agli adulti in maniera compatibile con il suo interesse superiore.

Nel caso di minori detenuti, gli Stati membri devono inoltre adottare misure opportune per: garantire e preservare la loro salute e il loro sviluppo fisico e mentale; garantire il loro diritto all'istruzione e alla formazione, anche nel caso di minori con disabilità fisiche, sensoriali o difficoltà di apprendimento; garantire l'esercizio effettivo e regolare del loro diritto alla vita familiare; garantire l'accesso a programmi che favoriscano il loro sviluppo e il loro futuro reinserimento sociale; garantire il rispetto della loro libertà di religione o credo;

-      il trattamento tempestivo e diligente delle cause (art. 13).

Gli Stati membri devono adottare "misure appropriate" per garantire che i procedimenti penali riguardanti minori siano trattati con urgenza e con la dovuta diligenza. La direttiva specifica che i minori devono essere sempre trattati in un modo che ne protegga la dignità e adeguato all'età, al grado di maturità e al livello di comprensione del minore stesso;

-      il diritto alla protezione della vita privata (art. 14).

Gli Stati membri devono provvedere affinché le udienze che coinvolgono minori si svolgano di norma a porte chiuse o consentire ai giudici di decidere di tenere tali udienze a porte chiuse;

-      il diritto del minore di essere accompagnato dal titolare della responsabilità genitoriale durante il procedimento (art. 15).

Il minore ha il diritto di essere accompagnato durante le udienze da un adulto idoneo diverso dal titolare della responsabilità genitoriale qualora la presenza di quest'ultimo: sia contraria all'interesse superiore del minore; non sia possibile perché, nonostante siano stati compiuti ragionevoli sforzi, nessuno dei titolari della responsabilità genitoriale risulta reperibile o l'identità è sconosciuta; possa, sulla base di circostanze oggettive e concrete, compromettere in modo sostanziale il procedimento penale (in particolare, qualora vi sia il sospetto che possano essere distrutte o alterate le prove, i testimoni possano essere influenzati o il titolare della responsabilità genitoriale possa essere stato coinvolto nella presunta attività criminale insieme al minore);

-      il diritto del minore di presenziare e di partecipare al proprio processo (art. 16).

Gli Stati membri devono assicurare che il minore che non ha presenziato al proprio processo abbia diritto a un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, ai sensi della direttiva 2016/343/UE.

 

L'art. 17 specifica che i diritti di cui sopra trovano applicazione anche nei confronti di un minore ricercato, dal momento in cui è arrestato in forza di un procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo (a norma della decisione quadro 2002/584/GAI).

Il personale delle autorità di contrasto e delle strutture di detenzione, i giudici, i magistrati inquirenti e i difensori che si occupano di procedimenti penali riguardanti minori devono avere una competenza specifica o accesso a una formazione specifica, di livello appropriato al tipo di contatto che intrattengono con i minori (art. 20).

Attraverso i servizi pubblici o finanziando organizzazioni che sostengono i minori, gli Stati membri devono inoltre incoraggiare iniziative che consentano agli operatori che offrono servizi di sostegno ai minori e di giustizia riparativa di ricevere un'adeguata formazione e di rispettare le norme professionali a garanzia di servizi forniti "in modo imparziale, rispettoso e professionale".

All'art. 23 (non regressione) si precisa, infine, che nessuna disposizione della direttiva deve essere interpretata in modo tale da limitare o derogare ai diritti e alle garanzie procedurali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), da altre pertinenti disposizioni di diritto internazionale, in particolare la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, o dal diritto degli Stati membri che assicurano un livello di protezione più elevato.

 

La direttiva 2016/800/UE è in vigore dal 10 giugno 2016. Il termine per il recepimento è fissato all' 11 giugno 2019.

 

La direttiva trae origine dalla proposta della Commissione europea COM(2013)822[25], sulla quale la 2a Commissione (Giustizia) del Senato della Repubblica si è espressa con risoluzione favorevole dell'11 febbraio 2014 (doc. XVIII n. 47). La Commissione europea ha risposto il 15 aprile 2014 (C(2014)2583).

 


Direttiva (UE) 2016/801

(del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2016, relativa alle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di paesi terzi per motivi di ricerca, studio, tirocinio, volontariato, programmi di scambio di alunni o progetti educativi, e collocamento alla pari (rifusione))

 

 

La Direttiva (UE) 2016/801 che fonde, modificandole, due direttive preesistenti (la direttiva 2004/114/CE e la direttiva 2005/71/CE) stabilisce le condizioni di ingresso e di soggiorno,  per un periodo superiore ai 90 giorni, applicabili ai cittadini di Paesi terzi e ai loro familiari che si recano nell'Ue per motivi di studio, ricerca, volontariato, programmi di scambio di alunni e progetti educativi, facilitando altresì la loro mobilità all'interno degli Stati membri. In estrema sintesi, la direttiva mira ad ottimizzare i seguenti elementi: durata della permanenza, garanzie procedurali, aspetti burocratici, accesso al mercato del lavoro.

 

Più nel dettaglio, la direttiva contiene disposizioni in materia di:

ü  ammissione (Capo II);

ü  autorizzazione e durata del soggiorno (Capo III);

ü  rifiuto e revoca delle autorizzazioni (Capo IV);

ü  diritti (Capo V);

ü  mobilità tra Stati membri (Capo VI);

ü  procedure e trasparenza (Capo VII).

 

Per quanto riguarda l'ammissione, la direttiva definisce, tra l'altro, le condizioni generali (articolo 7), nonché i requisiti specifici per i ricercatori (articolo 8), gli studenti (articolo 11), gli alunni (articolo 12), i tirocinanti (articolo 13), i volontari (articolo 14) e le persone collocate alla pari (articolo 16).

La direttiva stabilisce poi il regime delle autorizzazioni, rilasciate sotto forma di permesso di soggiorno, di visto a lunga durata o programma che prevede mobilità (articolo 17), e definisce la loro durata a seconda che si tratti di ricercatori, studenti o programma di scambio di alunni (articolo 19). Precisa inoltre i motivi di rifiuto di una domanda di autorizzazione (articolo 20), nonché quelli alla base della revoca o del non rinnovo della stessa (articolo 20). Tali motivi includono la non sussistenza delle condizioni generali, documenti falsificati o manomessi, irregolarità da parte dell'ente, dell'impresa o della famiglia ospitante. Fatta eccezione per i ricercatori, nel caso in cui si presenti una domanda di rinnovo per instaurare o continuare un rapporto di lavoro in uno Stato membro, quest'ultimo può verificare se il posto in questione non possa essere occupato da propri cittadini, o da altri cittadini dell'Unione, o da cittadini di paesi terzi che soggiornano da lungo periodo in tale Stato (articolo 20, paragrafo 5). Nel caso in cui lo Stato non intenda rinnovare o intenda revocare l'autorizzazione agli studenti, questi ultimi potranno presentare una domanda di accoglienza presso un altro istituto superiore per seguire un programma di studi equivalente rimanendo nello Stato membro fino alla decisione delle autorità competenti in merito alla domanda (articolo 20, paragrafo 6).

Quanto ai diritti, la direttiva stabilisce che, nei rapporti di lavoro, i ricercatori, i tirocinanti, i volontari e le persone alla pari abbiano un trattamento pari a quello riservato ai cittadini dello Stato membro interessato, salvo alcuni casi particolari (articolo 22), e concede ai ricercatori il diritto ad insegnare, lasciando agli Stati membri la facoltà di fissare un numero di ore o di giorni prestabilito (articolo 23). I ricercatori, inoltre, avranno il diritto di farsi accompagnare dai familiari, ai quali è ugualmente riconosciuto il diritto di lavorare durante il soggiorno nell'Ue (articolo 26).

Tra le novità introdotte dalla direttiva, quella di concedere agli studenti, durante la durata della loro attività di studio, la possibilità di lavorare per almeno 15 ore settimanali (articolo 24). Inoltre, studenti e ricercatori potranno risiedere nel territorio dell’Unione almeno 9 mesi dopo il completamento dei loro studi o del loro periodo di ricerca allo scopo di cercare un’occupazione o avviare un’impresa (articolo 25).

Un'altra novità riguarda il diritto per studenti e ricercatori a muoversi tra i Paesi membri con maggiore facilità e a lavorare (o insegnare, se si tratta di ricercatori) contestualmente alle loro attività di studio o ricerca. Essi non dovranno presentare nuove richieste per il rilascio del permesso di soggiorno (articolo 27). Per i ricercatori la mobilità intra-Ue può essere di breve durata (fino a 180 giorni) (articolo 28) o di lunga durata (non inferiore a 360 giorni) (articolo 29). Essi potranno portare con sé i propri familiari, ai quali dovrà essere consentito di lavorare durante il loro periodo di permanenza nell’Ue (articolo 30). Per gli studenti la mobilità è prevista invece per un periodo massimo di 360 giorni (articolo 31).  

La direttiva stabilisce poi una serie di garanzie procedurali e obblighi in materia di trasparenza, tra cui l'obbligo di informare i cittadini circa la necessità di integrare la documentazione fornita a sostegno di una domanda di autorizzazione o circa i motivi di inammissibilità o rigetto di una domanda (articolo 34), nonché l'obbligo di provvedere affinché siano facilmente accessibili ai richiedenti le informazioni su tutti i documenti giustificativi richiesti per una domanda e le informazioni sulle condizioni di ingresso e soggiorno (articolo 35).

Infine, altre disposizioni riguardano la designazione di punti di contatto (articolo 37) e l'elaborazione di statistiche sul numero di autorizzazioni rilasciate (articolo 38).

Il termine fissato per il recepimento è il 23 maggio 2018.

 


Direttiva (UE) 2016/844

(Sicurezza per le navi da passeggeri)

 

 

La direttiva 2016/844/UE procede ad una modifica tecnica dell’Allegato I della direttiva 2009/45/CE, con la quale si è introdotto un livello uniforme di sicurezza per le navi da passeggeri.

La modifica si rende necessaria, come previsto dall’art. 10, par. 2, della direttiva 2009/45, in quanto alcune convenzioni internazionali definite all'articolo 2, lettera a), della direttiva stessa  sono state modificate. L’art. 10, par. 2 prevede infatti che gli allegati della direttiva possano essere modificati in modo da applicare le modifiche apportate alle convenzioni internazionali.

La direttiva 2009/45/CE all’art. 2, lett. a) fa riferimento alla convenzione SOLAS del 1974 (convenzione internazionale del 1974 per la salvaguardia della vita umana in mare), più volte modificata, e alla convenzione internazionale del 1966 sulle linee di massimo carico, unitamente ai rispettivi protocolli e successive modifiche.

La Convenzione SOLAS è stata più volte modificata: dopo il disastro nel 1994 del traghetto Estonia l’Organizzazione marittima internazionale (OMI) l’ha modificata elevando tra l’altro i requisiti di stabilità delle navi ro-ro quando sono danneggiate. Altri incidenti hanno poi indotto l’introduzione, negli ultimi due decenni, di norme supplementari per la sicurezza delle navi passeggeri, tra cui alcune norme specifiche, ad esempio, la registrazione delle persone a bordo.

Le modifiche all’allegato riguardano una serie di regole costruttive da applicare alle navi. Tra queste:

·       la protezione contro il rumore, per la quale viene aggiunta all’Allegato I, cap. II, una nuova regola, relativa alle navi delle classi B, C e D, costruite a partire dal 1° gennaio 2018, prevedendo che le navi di stazza lorda pari o superiore a 1.600 tonnellate dovranno essere costruite in modo da ridurre i livelli di rumore a bordo e proteggere il personale dai rumori conformemente al codice IMO relativo al livello acustico a bordo delle navi;

·       regole tecniche relative al timone;

·       caratteristiche delle serrande tagliafuoco e tagliafumo;

·       caratteristiche dell’apparecchio autorespiratore ad aria compressa compreso negli equipaggiamenti da vigile del fuoco;

·       caratteristiche di resistenza al fuoco delle paratie e dei ponti;

·       caratteristiche tecniche delle condotte e degli impianti di ventilazione delle navi;

·       piani e procedure per il recupero di persone dall’acqua.

 

Il termine per il recepimento della direttiva 2016/844/UE è fissato al 1° luglio 2017.


Direttiva (UE) 2016/881

(del Consiglio del 25 maggio 2016 recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale)

 

 

La direttiva (UE) 2016/881 risponde all'esigenza di fare fronte a pratiche di pianificazione fiscale aggressiva da parte, soprattutto, delle società multinazionali, le quali possono strutturare le proprie dichiarazioni fiscali in diversi Stati in modo tale da minimizzare l'impatto del fisco sulle proprie attività.

In particolare, la direttiva introduce (articolo 1, par. 2) l'obbligo, per le imprese controllanti capogruppo di un gruppo di imprese multinazionali fiscalmente residenti in uno Stato membro, di presentare una rendicontazione paese per paese relativamente al periodo d'imposta di rendicontazione. La presentazione deve avere luogo entro 12 mesi dall'ultimo giorno del periodo d'imposta di rendicontazione del gruppo di imprese multinazionali, come specificato nell'Allegato III ("Regole di compilazione per i gruppi di imprese multinazionali"). La rendicontazione paese per paese è oggetto di scambio obbligatorio delle informazioni al fine di valutare il comportamento fiscale delle imprese, ma anche "a fini di analisi economiche e statistiche" (articolo 1, par. 3).

Il paragrafo n. 6 delle Premesse specifica che nella rendicontazione per paese "i gruppi di imprese multinazionali dovrebbero fornire ogni anno e per ogni giurisdizione fiscale in cui operano l'importo dei ricavi, gli utili al lordo delle imposte sul reddito e le imposte sul reddito pagate e maturate" assieme al "numero di addetti, il capitale dichiarato, gli utili non distribuiti e le immobilizzazioni materiali per ciascuna giurisdizione fiscale". Dovrebbero infine essere individuate tutte le imprese del gruppo che operano in una determinata giurisdizione fiscale, fornendo un'indicazione dell'attività che ciascuna di esse svolge.

Le seguenti principali modifiche sono inoltre apportate alla direttiva 2011/16/UE:

1)    l'introduzione di una complessa definizione di "scambio automatico" (articolo 1, par. 1), che assume connotazioni diverse a seconda che lo scambio sia relativo a:

·       informazioni disponibili su periodi d'imposta riguardanti le persone fisiche residenti in altro Stato membro (articolo 8, par. 1), informazioni su un ruling preventivo transfrontaliero[26] o un accordo preventivo sui prezzi di trasferimento[27] (articolo 8-bis) o rendicontazione paese per paese (articolo 8 bis bis). In questo caso ha luogo una comunicazione sistematica, senza richiesta preventiva a intervalli regolari prestabiliti;

·       informazioni finalizzate all'applicazione, da parte delle Istituzioni finanziarie, delle norme di comunicazione e di adeguata verifica in materia fiscale (due diligence, articolo 8, par. 3-bis). Tali informazioni sono oggetto di "scambio automatico".

In tutti gli altri casi ha luogo la "comunicazione sistematica di informazioni predeterminate";

2)    l'articolo 1, par. 4, specifica le modalità dello scambio automatico di informazioni in materia di rendicontazione paese per paese, rinviando ad atti di esecuzione della Commissione europea per il relativo regime linguistico. La procedura di Comitato applicabile è regolata dall'articolo 1, par. 8, che modifica l'articolo 26 della direttiva 2011/16/UE;

3)    il rinvio alla legislazione nazionale per l'introduzione di sanzioni "effettive, proporzionate e dissuasive" in caso di violazione delle norme poste dalla direttiva (articolo 1, par. 7).

 

Il termine di recepimento è stabilito dall'articolo 2 al 4 giugno 2017 ai finni dell'applicazione delle misure medesime a partire dal giorno successivo.

 

La direttiva deriva dalla proposta della Commissione europea COM(2016) 25.


Direttiva (UE) 2016/943

(Protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate)

 

 

La Direttiva (UE) 2016/943, detta un quadro giuridico comune per la protezione dei segreti commerciali: know-how e informazioni commerciali riservate.

La necessità dell’adozione di regole comuni deriva dal livello non omogeneo della protezione assicurata nel settore del segreto commerciale dai vari Stati membri, che provoca una frammentazione del mercato interno ed indebolisce l’effetto deterrente delle norme di tutela.

 

La direttiva rileva che uno dei mezzi per appropriarsi dei risultati delle attività innovative delle imprese consiste nel proteggere l'accesso e lo sfruttamento di conoscenze che sono preziose per l'ente che le detiene e non sono diffuse. Questo prezioso patrimonio di know-how e di informazioni commerciali, che non è divulgato ed è destinato a rimanere riservato, si definisce segreto commerciale (considerando 1).

Le imprese, infatti, a prescindere dalla loro dimensione, attribuiscono ai segreti commerciali lo stesso valore dei brevetti e di altre forme di diritto di proprietà intellettuale. La direttiva riconosce l’esigenza di sviluppare (in particolar modo, tra le PMI), una vera e propria cultura della tutela dei segreti commerciali che – permettendo di trarre profitto dalle proprie creazioni o innovazioni –risultano vitali per la competitività delle imprese nonché per il loro sviluppo e capacità innovativa (considerando 2).

Proprio per le recenti tendenze in atto (nella stessa direttiva vengono menzionati la globalizzazione, il maggiore ricorso all’esternalizzazione, catene di approvvigionamento più lunghe e un uso più diffuso delle nuove tecnologie) viene riconosciuto che “senza strumenti giuridici di tutela del segreto efficaci e comparabili in tutta l’Unione, gli incentivi ad intraprendere attività transfrontaliere innovative risultano indeboliti e i segreti non sono in grado di mettere a frutto le loro potenzialità di motori della ricerca economica e dell’occupazione”.

 

Il primo dei quattro Capi della direttiva (art. 1 e 2) riguarda il suo oggetto e ambito di applicazione, ovvero: la tutela contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti dei segreti commerciali.

In particolare, sono dettate alcune definizioni, la più rilevante delle quali è quella di “segreto commerciale” ai fini della direttiva. Costituiscono «segreto commerciale» le informazioni che soddisfano tutti i seguenti requisiti:

a) sono segrete nel senso che non sono, nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi, generalmente note o facilmente accessibili a persone che normalmente si occupano del tipo di informazioni in questione;

b) hanno valore commerciale in quanto segrete;

c) sono state sottoposte a misure ragionevoli di segretezza, secondo le circostanze, da parte della persona che ne ha il legittimo controllo.

 

Nonostante l’accordo TRIPS sulla proprietà intellettuale (Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Right), concluso nel quadro dell’Organizzazione mondiale sul commercio – di cui è parte la UE e che contiene anche la protezione dei segreti commerciali – non tutti gli Stati membri hanno adottato definizioni nazionali dei segreti commerciali o dell'acquisizione, utilizzo o divulgazione illeciti di un segreto commerciale.

La direttiva ritiene che detta definizione dovrebbe pertanto essere costruita in modo da comprendere il know-how, le informazioni commerciali e le informazioni tecnologiche quando esiste un legittimo interesse a mantenere la riservatezza nonché una legittima aspettativa circa la tutela di tale riservatezza.

Inoltre, tali know-how o informazioni dovrebbero avere un valore commerciale, sia esso effettivo o potenziale. Tali know-how o informazioni dovrebbero considerarsi come aventi un valore commerciale, ad esempio, laddove l'acquisizione, l'utilizzo o la divulgazione non autorizzati degli stessi rischino di recare danno agli interessi della persona che li controlla lecitamente, poiché pregiudicano il potenziale scientifico e tecnico, gli interessi commerciali o finanziari, le posizioni strategiche o la capacità di competere di detta persona. La definizione di segreto commerciale esclude le informazioni trascurabili, l'esperienza e le competenze acquisite dai dipendenti nel normale svolgimento del loro lavoro, ed esclude altresì le informazioni che sono generalmente note o facilmente accessibili alle persone all'interno delle cerchie che normalmente si occupano del tipo di informazioni in questione.

Si ricorda che l'accordo TRIPS – Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights - disciplina, fra l'altro, la protezione dei segreti commerciali contro l'acquisizione, l'utilizzo o la divulgazione illecita da parte di terzi, Tale accordo, adottato a Marrakech il 15 aprile 1994, è stato ratificato dall'Italia con la legge 29 dicembre 1994, n. 747.

In Italia, il segreto industriale è in particolare protetto dal Codice della Proprietà Industriale (D.Lgs. n. 30/20015). L’articolo 98 del Codice prevede la tutela delle informazioni aziendali e delle esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni:

a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;

b) abbiano valore economico in quanto segrete;

c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.

Costituiscono altresì oggetto di protezione i dati relativi a prove o altri dati segreti, la cui elaborazione comporti un considerevole impegno ed alla cui presentazione sia subordinata l'autorizzazione dell'immissione in commercio di prodotti chimici, farmaceutici o agricoli implicanti l'uso di nuove sostanze chimiche.

L’articolo 99 - ferma restando la disciplina della concorrenza sleale – attribuisce al legittimo detentore delle informazioni e delle esperienze aziendali di cui sopra ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di acquisire, rivelare a terzi od utilizzare, in modo abusivo, tali informazioni ed esperienze, salvo che siano state conseguite in modo indipendente dal terzo.

L'articolo 99 del Codice della proprietà industriale (c.p.i) prevede comunque - per il tipo di informazioni sopra indicate - una tutela più ampia che, non solo ricomprende quella disposta dall'articolo 2598 c.c in materia di concorrenza sleale[28], ma si estende fino a quella riconosciuta ai tradizionali diritti di privativa industriale (marchi, brevetti, etc.).

La giurisprudenza in merito ha affermato che il rimedio di cui agli artt. 98 e 99 c.p.i. e quello apprestato dalla disciplina della concorrenza sleale nel codice civile si modulano infatti in un rapporto di complementarietà (cfr, da ultimo, Tribunale delle imprese di Milano, sentenza n. 23/02/2017)

Sempre secondo la giurisprudenza, nell'ambito delle informazioni aziendali segrete è riconducibile anche il cd. know-how (cfr. Tribunale delle Imprese di Bologna, Sentenza n. 2340/2015). In particolare, la Corte di Cassazione ha affermato che la rivelazione di segreti scientifici e industriali sanzionata dall’art. 623 cp. può riguardare anche il know how aziendale, ritenendo applicabile la norma anche alla fattispecie di divulgazione di know how da parte di ex dipendenti di una società a vantaggio di altra società concorrente (sentenza n. 25008/2001).

La definizione primaria di know how  si rinviene nel Regolamento CE 772/04 sugli accordi di trasferimento di tecnologia, che, all’articolo 1, paragrafo 1, lett. i) definisce «know-how»: un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate, derivanti da esperienze e da prove, patrimonio che è: i) segreto, vale a dire non generalmente noto, né facilmente accessibile; ii) sostanziale, vale a dire significativo e utile per la produzione dei prodotti contrattuali; e iii) individuato, vale a dire descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità.

 

Il secondo Capo della Direttiva disciplina l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione dei segreti commerciali.

Sono individuati, in particolare, i modi di acquisto leciti del segreto commerciale individuando ipotesi eccezionali in cui le misure di tutela non sono applicate.

In accordo con le previsioni del considerando 16 - secondo cui “le disposizioni della direttiva non dovrebbero creare alcun diritto esclusivo sul know-how o sulle informazioni che godono di protezione in quanto segreti commerciali – tra le attività lecite di acquisizione del segreto commerciale (art. 3), oltre la scoperta indipendente di uno stesso know-how, si segnala l’ingegneria inversa (c.d. reverse engineering), cioè la “osservazione, studio, smontaggio o prova di un prodotto o di un oggetto messo a disposizione del pubblico o lecitamente in possesso del soggetto che acquisisce le informazioni; sono tuttavia fatte salve eventuali diverse pattuizioni.

Gli articoli 4 e 5 della direttiva definiscono, invece, le modalità illecite di acquisizione, utilizzo e divulgazione di un segreto commerciale (artt. 4 e 5) senza il consenso del detentore; con riferimento all’acquisizione, l’accesso non autorizzato, l’appropriazione di copie di oggetti, documenti, software che consentono l’accesso al segreto commerciale e, comunque, ogni altra condotta contraria sleale nelle pratiche commerciali. All’acquisizione illecita corrisponde l’illeceità dell’utilizzo e della divulgazione del segreto commerciale, prevista anche ove sia violato un obbligo di riservatezza o contrattuale in materia (art. 4).

Tra le ipotesi eccezionali che, invece, permettono la violazione della disciplina in questione (e quindi la liceità della divulgazione del segreto commerciale) è compreso il fenomeno del c.d. whistleblowing cioè il caso in cui l’utilizzo o la rivelazione del segreto commerciale siano avvenuti “per rilevare una condotta scorretta, un’irregolarità o un’attività illecita, a condizione che il convenuto abbia agito per proteggere l’interesse pubblico generale” (art. 5, par. 1, lett. b).

 

In materia di whistleblowing si ricorda che la Camera ha approvato il 21 gennaio 2016 una proposta di legge di iniziativa parlamentare (ora all’esame del Senato, A.S. 2208) volta a tutelare i lavoratori che segnalino o denuncino reati o altre condotte illecite di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito del proprio rapporto di lavoro.

Il provvedimento, oltre a modificare l'attuale disciplina in materia relativa ai lavoratori pubblici (art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001) estende anche al settore privato (art. 2) la tutela del dipendente o collaboratore che segnali illeciti attraverso l’integrazione dei modelli di organizzazione previsti dall’art. 6 del D.Lgs. n. 231/2001, la cui adozione esenta l’ente privato dalla responsabilità amministrativa da reato. Tali modelli dovranno contemplare norme specifiche: sugli obblighi di segnalazione di illeciti da parte dei dirigenti e rappresentanti dell’ente; sulla riservatezza dell’identità e il divieto di misure ritorsive contro i dipendenti che segnalino eventuali illeciti dei propri colleghi; sulla possibile denuncia all’Ispettorato del lavoro dell'adozione di misure discriminatorie nei confronti dei segnalanti; sulla nullità dei licenziamenti o di altre misure ritorsive o discriminatorie, adottati nei confronti di questi ultimi.

Infine, si pone a carico del datore di lavoro l'onere della prova che eventuali sanzioni disciplinari o misure organizzative adottate successivamente alla segnalazione (demansionamenti, trasferimenti ecc.) siano fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa.

 

Il terzo e il quarto Capo della direttiva riguardano infine le misure, le procedure, gli strumenti di tutela e le sanzioni.

Criterio ispiratore di tali disposizioni è, nella direttiva, il principio di proporzionalità: le misure a tutela del segreto commerciale non dovrebbero, infatti, comprimere i diritti e le libertà fondamentali nonché l’interesse pubblico ad un corretto funzionamento del mercato interno; in tal senso, le autorità giudiziarie dovranno ponderare gli interessi delle parti in causa nonché dei consumatori.

Viene stabilita, in particolare, l’equità, efficacia e dissuasività degli strumenti di tutela nonché la necessità che essi che non siano costosi o complessi. In sede di applicazione le tutele dovranno essere proporzionate agli interessi in gioco e dovranno garantire da eventuali abusi.

In tal senso, va segnalata la previsione dell’abuso del processo (art. 7, par. 2) ovvero il caso in cui le procedure e le tutele richieste per la presunta violazione di un segreto commerciale intendano perseguire intenti illeciti. Si tratta del ricorso al giudice manifestamente infondato in cui l’attore avvia l’azione in modo abusivo o in malafede. In tali ipotesi, sono previste misure come il riconoscimento di un risarcimento del danno al convenuto, l’imposizione di sanzioni all’attore o la pubblicazione della decisione.

Per quanto concerne il termine di prescrizione delle violazioni dei diritti e delle azioni per chiedere l’applicazione delle misure di tutela, la direttiva stabilisce un termine di 6 anni (art. 8).

Oltre a prevedere disposizioni a tutela della riservatezza dei segreti commerciali nel corso di procedimenti giudiziari (art. 9), la direttiva stabilisce la tipologia di misure che possono essere adottate nei confronti dell’autore della violazione, presunto o accertato, su richiesta del detentore legittimo del segreto commerciale.

Nel primo caso, si tratta di misure cautelari e provvisorie, assunte dal giudice su richiesta del detentore del segreto commerciale (art. 10), che si concretano in misure di natura inibitoria (cessazione o divieto di utilizzo e divulgazione del segreto commerciale; divieto di produrre o commercializzare merci “sospettate” nonché sequestro o consegna delle merci stesse); analoga funzione cautelare svolge la possibile costituzione di garanzie in funzione risarcitoria.  E’, tuttavia, prevista, la revoca delle misure se l’attore non avvia un procedimento sul merito della violazione entro un termine ragionevole.

A seguito del procedimento di merito - ove sia accertata la violazione della disciplina del segreto commerciale - l’autorità giudiziaria può ordinare le citate misure inibitorie (relative all’utilizzo, divulgazione e commercializzazione del segreto commerciale) nonché la distruzione totale o parziale degli oggetti, materiali, files, che contengono o sono manifestazione del segreto commerciale ovvero la loro consegna al suo legittimo detentore (art. 12).

Ulteriori misure di tutela in favore di quest’ultimo sono il risarcimento del danno (art. 14) nonché, a spese del convenuto, la pubblicazione della decisione assunta dell’autorità giudiziaria (art.15).

 

Il termine di recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è stabilito al 9 giugno 2018.


Direttiva (UE) 2016/1034

(MiFID II)

 

 

La Direttiva (UE) 2016/1034, allo scopo di garantire la certezza del diritto ed evitare potenziali perturbazioni del mercato, ha prorogato la data di applicazione del nuovo quadro normativo relativo alla disciplina dei mercati finanziari, posticipando dunque la data di applicazione della direttiva 2014/65/UE (MiFID II) al 3 gennaio 2018.

Ha inoltre prorogato dal 3 luglio 2016 al 3 luglio 2017 il termine entro cui gli Stati membri adottano e pubblicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva.

 

Si segnala che il 28 aprile 2017 il Consiglio dei ministri ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo di attuazione della direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari (cosiddetta MiFID II) e di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento  600/2014 sulla stessa materia (cosiddetto MiFIR) (Atto del Governo n. 413, attualmente all’esame delle Camere per il parere).

 

La Direttiva MiFID II

 

Si ricorda che la Direttiva 2004/39/CE, in materia di mercati degli strumenti finanziari, alla quale ci si riferisce comunemente con l'acronimo MiFID (Market in Financial Instruments Directive), è stata in parte rifusa nella Direttiva 2014/65/UE e in parte sostituita dal Regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio. La Direttiva 2014/65/UE, denominata MiFID II, ed il Regolamento n. 600/2014, noto come MiFIR, sono stati redatti con lo scopo di normare un mercato sempre più complesso, caratterizzato da un notevole incremento degli strumenti finanziari e dei sistemi di trading ad alta frequenza, attraverso i quali ha luogo una quota rilevante delle transazioni sui mercati telematici più evoluti.

Si intende aumentare la trasparenza delle negoziazioni e la tutela degli investitori, attraverso una maggiore responsabilizzazione degli intermediari, una più approfondita consapevolezza degli investitori (grazie alla disponibilità di informazioni più dettagliate e più frequenti) ed un rafforzamento dei poteri - sia ex-ante che ex post - delle Autorità di vigilanza.

In particolare, per la prima volta sono contenute misure specifiche in tema di prodotti finanziari, come quelle finalizzate a ridurre il rischio che i prodotti finanziari emessi e/o collocati non siano adeguati al cliente finale. Si prevede inoltre che le Autorità nazionali, l’ESMA e l’EBA (per i depositi strutturati) possono proibire o restringere la negoziazione e il collocamento di alcuni strumenti finanziari o depositi strutturati e le attività o pratiche finanziarie potenzialmente riduttive della protezione degli investitori, della stabilità finanziaria o dell’ordinato funzionamento dei mercati.

Già in base alle disposizioni della MiFID, l’impresa di investimento erogante servizi di consulenza o di gestione del portafoglio è tenuta ad acquisire informazioni in merito alle conoscenze ed esperienze del cliente in materia di investimenti e ai suoi obiettivi di investimento. Con la MiFID II tale norma viene integrata, sia perché nel definire gli strumenti finanziari adeguati al cliente si fa esplicito riferimento alla necessità di individuare la capacità dello stesso di fronteggiare eventuali perdite e la sua predisposizione al rischio, sia in quanto, nel caso in cui l’impresa raccomandi una pluralità di prodotti o servizi, la valutazione di adeguatezza deve avvenire in relazione all’intero pacchetto. Inoltre l'impresa, quando effettua consulenza agli investimenti, prima che la transazione sia conclusa, deve condividere con il cliente le motivazioni che hanno portato a ritenere che l'operazione di investimento consigliata sia realmente rispondente alle sue aspettative. Si ampliano poi gli obblighi di comunicazione alla clientela su costi e oneri connessi ai servizi di investimento o accessori che devono includere anche il costo della consulenza (se rilevante), il costo dello strumento finanziario raccomandato o venduto al cliente e le modalità con cui il cliente può remunerare il servizio di investimento ricevuto. Le informazioni circa tutte le voci di costo devono essere presentate in forma aggregata, per consentire al cliente di conoscere il costo complessivo ed il suo impatto sul rendimento atteso dall'investimento.

L’articolo 93, paragrafo 1 della Direttiva (UE) 2016/1034 ha posticipato la data di applicazione della direttiva 2014/65/UE (MiFID II) al 3 gennaio 2018. Ha inoltre prorogato dal 3 luglio 2016 al 3 luglio 2017 il termine entro cui gli Stati membri adottano e pubblicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva.

Più in particolare, per quanto rileva in questa sede la revisione della disciplina è intervenuta sui seguenti fronti:

- ambito di applicazione della Direttiva stessa;

- tutela degli investitori;

- disciplina dei mercati;

- rapporti con i Paesi terzi.

Con riferimento all’ambito applicativo, si estende l’operatività della disciplina UE in quanto (articolo 4, paragrafo 1, n. 23) si introduce la definizione di un nuovo servizio di investimento, la cosiddetta gestione di sistemi organizzati di negoziazione (Organised Trading Facilities - OTF) e viene definita altresì una nuova categoria di strumenti finanziari, e cioè le quote di emissione. Sono inoltre modificati in senso restrittivo taluni regimi di esenzione dagli obblighi della direttiva; la gestione di OTF, rientrando nel novero dei servizi di investimento, costituisce attività riservata agli intermediari in possesso di apposita autorizzazione.

L’OTF è come un sistema multilaterale diverso da un mercato regolamentato e da un sistema multilaterale di negoziazione che consente l’interazione tra interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a obbligazioni, strumenti finanziari strutturati, quote di emissione e strumenti derivati, in modo da dare luogo a contratti conformi alla disciplina della direttiva. Si tratta di un sistema multilaterale di negoziazione o una piattaforma di negoziazione più semplice rispetto al mercato regolamentato ed al sistema multilaterale di negoziazione, in quanto privo di una struttura specifica e svincolato dalla disciplina prevista per gli altri sistemi. Tale definizione ampia consente di ricondurre alla disciplina UE i sistemi in precedenza esclusi dalla disciplina MiFID.

La MiFID II introduce una disciplina più specifica per le quote di emissione di gas a effetto serra (definite nella direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, in materia di sistemi per lo scambio di quote di emissione) e di contratti derivati aventi ad oggetto quote di emissione, allo scopo di contrastare pratiche irregolari nel mercato secondario a pronti delle quote.

Sono inoltre riformulate alcune esenzioni dalla disciplina UE, allo scopo di adeguarsi alla pratica invalsa e alle principali criticità emerse dall’applicazione della direttiva MiFID.

 

Con riferimento alla tutela degli investitori, la MiFID II ha il precipuo scopo di rafforzarne i presidi, rendendo più stringente la disciplina applicabile alle imprese di investimento. Anche in relazione all’attività di consulenza, la MIFID II intende riformarne le caratteristiche, in particolare della consulenza offerta su base indipendente.

Gli enti territoriali non sono più qualificati in automatico come clienti professionali o controparti qualificate, salvo che essi non abbiano specificamente optato per il relativo regime e l'impresa di investimento abbia verificato la sussistenza in capo agli stessi dei necessari requisiti di esperienza e competenza.

Per quanto concerne gli obblighi di verifica relativi all’adeguatezza degli investimenti, sono introdotti anzitutto requisiti più onerosi per effettuare tale valutazione. I soggetti che forniscono servizi di consulenza sono tenuti a specificare se forniranno una valutazione continuativa circa l'adeguatezza degli investimenti e comunicazioni periodiche al riguardo. Le imprese offrono servizi di consulenza in materia di investimenti devono comunicare il costo del servizio, devono chiarire la base della consulenza che forniscono, in particolare la gamma di prodotti che esse considerano nel fornire raccomandazioni personalizzate ai clienti, specificare se offrono consulenza in materia di investimento su base indipendente e se forniscono ai clienti la valutazione periodica dell’adeguatezza degli strumenti finanziari da esse raccomandati Esse sono inoltre tenute a spiegare ai loro clienti i motivi della consulenza loro fornita (articolo 24, paragrafo 4, lettera a) e considerando n. 72).

La MiFID II e il regolamento MiFIR introducono una disciplina più stringente anche con riferimento ai mercati finanziari.

Scopo della legislazione è quello di ricondurre le negoziazioni all’interno di sistemi di negoziazione regolamentati o cd. “internalizzatori sistematici”, estendendo i regimi di trasparenza che precedono o seguono la negoziazione ad un più ampio novero di strumenti negoziati. Viene chiarito che si definiscono “internalizzatori sistemici” le imprese di investimento che, in modo organizzato, frequente, sistematico e sostanziale, negoziano per conto proprio eseguendo gli ordini dei clienti al di fuori di un mercato regolamentato, di un sistema multilaterale di negoziazione o di un sistema organizzato di negoziazione (articolo 4, paragrafo 1, n. 20); scopo delle norme è di qualificare un più ampio novero di intermediari quali “internalizzatori sistemici”, con riferimento a una gamma più ampia di strumenti finanziari.

Per garantire che le azioni siano negoziate solo presso sedi di negoziazione in cui si applicano i requisiti di trasparenza, il regolamento MiFIR introduce l’obbligo di negoziare azioni ammesse alla negoziazione su mercati regolamentati o negoziate sugli MTF od OTF ovvero da internalizzatori sistematici esclusivamente presso tali sedi.

Di conseguenza le imprese di investimento possono negoziare azioni al di fuori delle sedi individuate dalle norme UE solo in maniera non sistematica, regolare o frequente, ovvero su base “ad hoc”, oppure in quei casi in cui la negoziazione non contribuisce alla formazione dei prezzi. Il considerando n. 6 del regolamento MiFIR chiarisce infatti l’importanza di garantire che la negoziazione di strumenti finanziari avvenga per quanto possibile in sedi organizzate e che tutte queste sedi siano regolamentate in modo adeguato.

La direttiva MiFID IIpresta particolare attenzione alle imprese che effettuano negoziazioni mediante l’utilizzo di algoritmi; tale negoziazione comprende ogni modalità di negoziazione in cui un algoritmo calcolato tramite computer determina automaticamente parametri individuali di ordini senza alcun intervento umano. Le predette imprese sono obbligate ad adottare sistemi e controlli del rischio atti ad assicurare che i sistemi di negoziazione siano flessibili, efficienti e siano soggetti a limiti e soglie idonei a prevenire l’erronea immissione di ordini o altre disfunzioni che potrebbero pregiudicare l’ordinato svolgimento delle negoziazioni sul mercato. Esse sono inoltre tenute ad assicurare che i loro sistemi non siano utilizzati per commettere abusi di mercato (considerando 59-68 della Direttiva MiFID II)..

Più in generale, MiFID II e MiFIR intendono ampliare il regime di trasparenza pre e post-negoziazione attualmente previsto per le azioni ad una più ampia gamma di strumenti finanziari, tra cui gli strumenti di capitale.

Con riferimento ai rapporti coi Paesi terzi, si intende introdurre un regime unico per accedere ai mercati UE da parte di soggetti con sede in Paesi terzi,  basato su una valutazione di equivalenza svolta dalla Commissione. Detto regime trova applicazione con riferimento alla prestazione di servizi e alle attività di investimento su base transfrontaliera nei confronti di investitori professionali e di controparti qualificate. Si prevede un periodo transitorio di tre anni; successivamente, in pendenza delle valutazioni di equivalenza da parte della Commissione, continueranno a trovare applicazione le disposizioni degli ordinamenti nazionali circa l’accesso al mercato domestico da parte di intermediari di paesi terzi (articolo 46 e ss.gg. MiFIR).

Si rammenta che la delega al recepimento della predetta direttiva è contenuta nell’articolo 9 della legge di delegazione europea 2014 (legge n. 114 del 2015), che contiene altresì specifici criteri e principi per l’esercizio del relativo potere di delega.


Direttiva (UE) 2016/1065

(Trattamento IVA dei buoni)

 

 

La direttiva (UE) 2016/1065 del Consiglio modifica la direttiva sul sistema comune dell’IVA (direttiva 2006/112/CE del Consiglio) con riferimento alle operazioni che comportano l'utilizzo di buoni, introducendo allo scopo una specifica normativa.

Tra gli scopi della disciplina speciale vi è quello di evitare l’elusione fiscale nonché, alla luce delle nuove norme sul luogo delle prestazioni di servizi di telecomunicazione, servizi di teleradiodiffusione e servizi forniti per via elettronica, garantire che non si verifichino disallineamenti in materia di buoni forniti tra Stati membri.

Oggetto delle nuove disposizioni sono i buoni che possono essere utilizzati per il riscatto contro beni o servizi, escludendo dunque gli strumenti che conferiscono al titolare il diritto ad uno sconto all'atto dell'acquisto di beni o servizi, ma che non danno diritto a ricevere tali beni o servizi.

L’articolo 1, n. 1 della direttiva in esame anzitutto introduce l’articolo 30-bis nella direttiva 112/2006/CE, che reca alcune definizioni: si definisce buono (n. 1) lo strumento che contiene l'obbligo di essere accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo, a fronte di una cessione di beni o una prestazione di servizi, e nel quale i beni o i servizi da cedere o prestare o le identità dei potenziali cedenti o prestatori sono indicati sullo strumento medesimo o nella relativa documentazione, ivi incluse le condizioni generali di utilizzo ad esso relative.  All’interno di tale categoria, il n. 2 dell’articolo 30-bis identifica i cd. buoni monouso, in relazione ai quali sono noti, al momento dell’emissione, sia il luogo della cessione dei beni o della prestazione dei servizi cui il buono si riferisce, sia l'IVA dovuta su tali beni o servizi. Per esclusione, sono buoni multiuso quelli che non rientrano nella predetta categoria (n. 3).

 

La disciplina dei buoni è contenuta nell’introdotto articolo 30-ter della direttiva 2006/112/CE.

In particolare l'IVA è esigibile per ogni trasferimento, compresa l'emissione, del buono monouso. La consegna fisica dei beni o la concreta prestazione dei servizi dietro presentazione di un buono monouso non sono considerate operazioni indipendenti.

Con riferimento ai buoni multiuso, il paragrafo 2 dell’articolo 30-ter  dispone che la consegna fisica dei beni o la concreta prestazione dei servizi effettuate dietro presentazione di tali buoni sono soggette all'IVA ai sensi delle regole ordinarie (articolo 2 della direttiva 2006/112/CE), ossia l’imposta è esigibile quando i beni o i servizi cui il buono si riferisce sono ceduti o prestati, mentre ogni trasferimento precedente di tale buono non è soggetto all'IVA.

 

L’articolo 1, n. 2, della direttiva 1065/2016/UE, introducendo l’articolo 73-bis nella direttiva 2006/112/CE, fissa la base imponibile della cessione di beni o della prestazione di servizi effettuate a fronte di un buono multiuso nella misura del corrispettivo versato per il buono o, in assenza di informazioni su tale corrispettivo, al valore monetario indicato sul buono multiuso stesso o nella relativa documentazione diminuito dell'importo dell'IVA relativo ai beni ceduti o ai servizi prestati.

 

Il successivo n. 3 dell’articolo 1 inserisce gli articoli 410-bis e 410-ter nella direttiva 112/2006/CE, che recano le misure transitorie per l’applicazione delle norme sui buoni.

In particolare, esse trovano applicazione (articolo 410-bis) ai buoni emessi successivamente al 31 dicembre 2018. Sono inoltre disciplinate le procedure (articolo 410-ter) con le quali la Commissione deve presentare al Parlamento e al Consiglio, entro il 31 dicembre 2022, la relazione di valutazione sulle nuove norme.

 

L’articolo 2 della direttiva fissa il termine di recepimento per gli Stati membri al 31 dicembre 2018; l’applicazione delle nuove disposizioni da parte degli Stati membri è fissata a decorrere dal 1° gennaio 2019.

 

 


Direttiva (UE) 2016/1148

(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2016, recante misure per un livello comune elevato di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi nell'Unione)

 

 

La direttiva 2016/1148, recante misure per un livello comune elevato di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi nell’Unione (c.d. “Direttiva NIS”), rappresenta il primo provvedimento di carattere generale adottato in ambito europeo sul tema della sicurezza informatica.

Attraverso l’adozione da parte dei singoli Stati membri di una di una serie di misure strategiche e organizzative comuni in materia di sicurezza cibernetica, la direttiva mira a raggiungere un livello elevato di sicurezza dei sistemi, delle reti e delle informazioni in ambito europeo, nella convinzione che il rafforzamento del dominio digitale rappresenti un importante volano di crescita del sistema economico dell’Unione, incidendo, positivamente sulla propensione ad investire degli operatori economici, con particolare riferimento al commercio internazionale. 

Nello specifico, la direttiva in esame prevede l’adozione di una serie di iniziative da parte degli stati membri volte  a migliorare le capacità di sicurezza cibernetica dei singoli Paesi, aumentare il livello di collaborazione in ambito europeo nella prevenzione delle minacce cibernetiche e nelle eventuali misure di risposta ad attacchi cyber, sviluppare una cultura della sicurezza con particolare riferimento a quei settori vitali per l’economia e la società e che si basano sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Relativamente al miglioramento delle capacità dei singoli Stati dell’Unione, la direttiva “fa obbligo a tutti gli Stati membri di adottare una strategia nazionale in materia di sicurezza della rete e dei sistemi informativi” (articoli 1 e 7), definendo, in particolare:

1.     gli obiettivi strategici;

2.     le opportune misure strategiche e regolamentari al fine di conseguire e mantenere un livello elevato di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi;

3.     gli operatori di servizi essenziali nei settori reputati essenziali dal punto di vista della sicurezza cibernetica. In relazione all’individuazione degli operatori essenziali la direttiva fornisce alcuni criteri per la loro individuazione.

In particolare, è qualificato come operatore di servizio essenziale il soggetto pubblico o privato che appartiene alle categorie elencate nell’allegato 2 della medesima direttiva (energia, trasporti, settore bancario, settore sanitario, fornitura e distribuzione di acqua potabile, infrastrutture digitali, infrastrutture dei mercati finanziari), il quale fornisce un servizio reputato essenziale per il mantenimento di attività sociali e/o economiche fondamentali. Si prevede, inoltre, che la fornitura di tale servizio dipenda dalla rete e dai sistemi informativi e che un eventuale incidente avrebbe effetti negativi rilevanti sulla fornitura di tale servizio.

In relazione all’adempimento di cui al precedente n. 3 la direttiva fissa il termine del il 9 novembre 2018.

Con riferimento all'obbligo posto dalla direttiva di definire una strategia nazionale in materia di sicurezza cibernetica si segnala che con il DPCM 24 gennaio 2013 il Governo ha delineato per la prima volta in Italia l’architettura strategica nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica. In attuazione di quanto previsto dal richiamato DPCM sono stati successivamente adottati il Quadro Strategico Nazionale per la sicurezza dello spazio cibernetico ed il Piano Nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica che contengono gli obiettivi strategici e operativi della cyber security italiana. Da ultimo, nelle Gazzetta ufficiali del 17 febbraio e del 1° giugno 2017 sono stati, rispettivamente pubblicati il nuovo DPCM in materia protezione cibernetica ed il Piano Nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica relativo al 2017.

In relazione al tema della sicurezza e difesa nello spazio cibernetico è in corso di svolgimento un’indagine conoscitiva da parte della Commissione difesa della Camera.

Sempre con riferimento al miglioramento delle capacità di sicurezza cibernetica e alla cooperazione a livello europeo ed internazionale in materia di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi la direttiva (artt.8 e 9) stabilisce l’obbligo per gli Stati membri di:

1.     individuare una o più autorità nazionali in materia di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi, con funzioni, tra le altre, di controllo circa l’applicazione della direttiva;

2.     designare un punto di contatto unico  nazionale in materia di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi (“punto di contatto unico”);

3.     istituire uno o più Gruppi di intervento per la sicurezza informatica in caso di incidente (Computer Security Incident Response Team CSIRT) responsabili del monitoraggio degli incidenti a livello nazionale, fornendo allarmi tempestivi, avvisi ed annunci con lo scopo di diffondere informazioni su rischi ed incidenti.

In particolare, il punto di contatto dovrà garantire la cooperazione transfrontaliera tra le autorità nazionali competenti in materia di sicurezza cibernetica e il gruppo di cooperazione di cui all’articolo 11 della direttiva, composto da rappresentati degli Stati membri, dalla Commissione e dall’ENISA (European Union for Network and Information Security Agency).

Il punto di contatto dovrà, altresì, svolgere un ruolo di coordinamento tra i richiamati organismi nazionali e la rete di Computer Security Incident Response Team formata da rappresentanti dei CSIRT degli Stati membri e del CERT-UE.

Spetterà, invece, ai Gruppi di intervento per la sicurezza informatica (CSIRT), gestire gli incidenti e i rischi cibernetici secondo una procedura ben definita dai singoli ordinamenti. A tal fine gli Stati membri dovranno garantire  le necessarie risorse finanziarie.

In relazione ai richiamati articoli della direttiva si segnala che in Italia il CERT nazionale è una struttura individuata dall’articolo 16 - bis del D.Lgs. n. 259 del 2003, recante il Codice delle Comunicazioni elettroniche. Si tratta di una struttura destinata a potenziare i meccanismi di risposta agli incidenti informatici e gli strumenti di rilevazione e contrasto alle minacce. Il CERT nazionale ha avviato le sue attività a partire dal 5 giugno 2014. Il CERT nazionale opera a supporto di cittadini ed imprese con l’obiettivo di incrementare la consapevolezza e la cultura della sicurezza nell’utilizzo di servizi on line, fornendo informazioni tempestive su potenziali minacce informatiche, raccomandazioni e consigli utili per la prevenzione, contromisure per la risoluzione di incidenti informatici con impatto significativo (www.certnazionale.it). Il CERT opera sulla base di un modello cooperativo pubblico-privato. Il CERT nazionale ha avviato, infatti, la collaborazione con imprese che gestiscono infrastrutture informatizzate. Sulla base di tale collaborazione è stato istituito un Tavolo tecnico permanente per garantire un confronto costante tra i principali attori coinvolti e quindi migliorare e velocizzare le azioni di risposta ad eventuali incidenti informatici. il CERT nazionale ha, altresì, avviato una stretta collaborazione con il CERT-PA (CERT delle Pubbliche Amministrazioni che opera all’interno dell’Agenzia per l’Italia Digitale), CERT Difesa e CNAIPIC (Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche che opera nell’ambito del Servizio di polizia postale e delle comunicazioni). In ambito internazionale, il CERT nazionale ha già avviato forme di dialogo con CERT europei, extra-europei e con il CERT EU (CERT dell’Unione Europea sostenuto dall’Agenzia europea per la sicurezza ENISA).

A sua volta spetterà ai CSIRT trattare gli incidenti e i rischi di natura cibernetica secondo una procedura definita dai singoli ordinamenti

In relazione alla tempistica entro il mese di agosto 2017 i fornitori di servizi digitali dovranno adottare i requisiti minimi di sicurezza e di notifica degli incidenti. Entro novembre novembre 2018 ogni Stato membro dovrà identificare gli operatori di servizi essenziali. Nel 2019 la commissione europea valuterà la coerenza dell’identificazione degli operatori di servizi essenziali da parte degli Stati membri e nel 2021 verrà esaminato il funzionamento delle direttiva con particolare attenzione alla cooperazione strategica e operativa degli Stati e l’applicazione da parte dei gestori di servizi essenziali e dei fornitori di servizi digitali.


Direttiva (UE) 2016/1164

(Anti Tax Avoidance Directive - ATAD 3)

 

 

La direttiva 2016/1164/UE (cosiddetta Anti Tax Avoidance Directive - ATAD 3) fa parte del pacchetto antielusione (Anti Tax Avoidance Package) varato dalla Commissione Europea per introdurre negli Stati membri un insieme di misure di contrasto alle pratiche di elusione fiscale.

Essa si basa sulle raccomandazioni dell'OCSE del 2015 volte ad affrontare l'erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (progetto BEPS).

In particolare, la direttiva n. 2016/1164/UE intende contrastare quelle pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno.

Essa concretamente stabilisce una serie di limiti alla pianificazione fiscale aggressiva, con particolare riferimento alle situazioni in cui i gruppi societari sfruttano le disparità esistenti fra i sistemi fiscali nazionali.

 

Le aree tematiche che sono affrontate dalla Direttiva sono le seguenti:

-        limiti alla deducibilità degli interessi passivi. Per contrastare lo spostamento dei profitti attraverso operazioni di indebitamento all’interno delle società del gruppo, l’articolo 4 della direttiva introduce la c.d earning-stripping rule, che impone agli Stati membri di dotarsi di una normativa che limiti la deducibilità degli interessi passivi ad un importo non superiore al 30 per cento degli utili imponibili del contribuente al lordo di interessi, imposte, deprezzamento e ammortamento (cd. EBITDA). La direttiva fa salve eventuali disposizione specifiche contro la thin capitalisation le quali, qualora già presenti nella legislazione domestica, non dovranno essere abrogate, ma potranno convivere con il limite stabilito dalla direttiva;

-        con riferimento alla tassazione in uscita (cd. exit tax), per evitare che i gruppi spostino i propri assets (specialmente quelli immateriali, quali brevetti e proprietà intellettuali) verso Stati con tassazione più favorevole, l’articolo 5 stabilisce che gli Stati membri devono dotarsi di una disciplina specifica della tassazione in uscita, che deve essere computata come la differenza tra valore di mercato degli assets al momento dell’uscita dallo Stato e il loro valore fiscale;

-        con l’articolo 6 viene introdotta la General Anti-Abuse Rule (clausola generale antiabuso) secondo cui, per l’imposizione delle società, gli Stati membri sono tenuti a ignorare le costruzioni (giuridiche o fiscali) che, poste in essere allo scopo principale di ottenere un vantaggio fiscale in contrasto con l'oggetto o la finalità del diritto applicabile, non sono genuine avendo riguardo a tutti i fatti e le circostanze pertinenti. Una costruzione o una serie di costruzioni sono considerate “non genuine” nella misura in cui non sono state poste in essere per valide ragioni commerciali che rispecchiano la realtà economica;

-        con riferimento alle società controllate estere (controlled foreign companies – CFC), la direttiva (articolo 7) persegue lo scopo di evitare che i gruppi societari trasferiscano i propri utili verso società del gruppo aventi sede in Stati con un’imposizione più favorevole allo scopo di ridurre gli oneri fiscali complessivi. Come emerge anche dai considerando, le norme sulle CFC intendono riattribuire i redditi di una società controllata soggetta a bassa imposizione alla società madre; quest’ultima è quindi tassabile per i redditi che le sono stati attribuiti nello Stato in cui è residente a fini fiscali. Gli Stati membri possono esentare da tale disciplina alcune entità con scarsi utili o uno scarso margine di profitto che comportano rischi minori di elusione fiscale;

-        la direttiva si occupa anche di disciplinare il fenomeno dei cd. disallineamenti da ibridi (articolo 9).

Si tratta (articolo 2, punto 9) della direttiva) della situazione che insorge tra un contribuente in uno Stato membro e un'impresa associata in un altro Stato membro, ovvero di una modalità strutturata tra parti negli Stati membri, in cui il seguente risultato è imputabile a differenze della caratterizzazione giuridica di uno strumento finanziario o di un'entità: lo stesso pagamento, le stesse spese o le stesse perdite sono dedotti sia nello Stato membro in cui il pagamento ha origine, le spese sono sostenute o le perdite sono subite sia in un altro Stato membro (doppia deduzione); o a un pagamento è applicata una deduzione nello Stato membro in cui il pagamento ha origine senza una corrispondente inclusione, a fini fiscali, dello stesso nell'altro Stato membro (deduzione senza inclusione).

Per evitare che i gruppi transnazionali possano avvantaggiarsi delle differenze dei sistemi legislativi dei Paesi membri per ridurre il loro onere fiscale, l’articolo 9 della direttiva prevede che nella misura in cui un disallineamento da ibridi determini una doppia deduzione, la deduzione si applica unicamente nello Stato membro in cui il pagamento ha origine. Viceversa, nella misura in cui un disallineamento da ibridi determini una deduzione senza inclusione, la deduzione viene negata.

 

Il termine di recepimento della direttiva antielusione è fissato al 31 dicembre 2018 (ad eccezione delle norme sull’exit tax,  per le quali il termine è fissato al 31 dicembre 2019). Si specifica che gli Stati membri nei quali sono vigenti norme equivalenti a quelle sui limiti alla deducibilità degli interessi passivi possono applicarle fino a quando l’OCSE non avrà raggiunto un accordo su una norma minima o al più tardi fino all'1 gennaio 2024.

 


Direttiva (UE) 2016/1214

(della Commissione, del 25 luglio 2016, recante modifica della direttiva 2005/62/CE per quanto riguarda le norme e le specifiche del sistema di qualità per i servizi trasfusionali)

 

 

La direttiva in titolo modifica la direttiva 2005/62/CE[29] inserendovi un riferimento alle Linee direttrici di buone prassi per i servizi trasfusionali. Quest'ultimo documento è stato elaborato congiuntamente dalla Commissione europea e dalla Direzione europea per la qualità dei medicinali e dell'Assistenza Sanitaria del Consiglio d'Europa, è stato approvato dal Comitato europeo sulle trasfusioni ematiche del Consiglio d'Europa nel novembre 2016 e, per effetto della direttiva in oggetto, sarà applicato negli Stati dell'Unione europea (nonché in quelli dello Spazio economico europeo)[30].

In particolare, la novella di cui alla direttiva (UE) 2016/1214 in esame prevede che, al fine di attuare le norme e le specifiche tecniche contenute nella suddetta direttiva del 2005 e nel relativo allegato, gli Stati membri garantiscano la sussistenza di "linee direttrici di buone prassi disponibili e utilizzate da tutti i servizi trasfusionali nel loro sistema di qualità"; tali linee direttrici devono tener conto delle citate linee direttrici di buone prassi della Commissione europea e della Direzione europea per la qualità dei medicinali e dell'assistenza sanitaria del Consiglio d'Europa, nonché, ove pertinente per i servizi trasfusionali, dei principi e orientamenti dettagliati delle buone prassi di fabbricazione dei medicinali[31].

 

La direttiva 2005/62/CE impone agli Stati membri di provvedere a che "il sistema di qualità in atto in tutti i servizi trasfusionali sia conforme alle norme e specifiche" contenute nell'Allegato della direttiva medesima (articolo 2). L'Allegato detta, tra l'altro, norme relative al personale ed all'organizzazione (capitolo 2); ai locali (capitolo 3); alle attrezzature e materiali (capitolo 4); alla raccolta, analisi e lavorazione del sangue (capitolo 6); alla conservazione e distribuzione (capitolo 7).

Si evidenzia che sia la direttiva in titolo sia la direttiva 2005/62/CE sono atti legislativi secondari, adottati cioè dalla Commissione per meglio precisare il testo primario (adottato da Parlamento europeo e Consiglio secondo la procedura legislativa dettata dai Trattati istitutivi) costituito dalla direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio[32].

 

Il termine per il recepimento della direttiva (UE) 2016/1214 in esame è fissato al 15 febbraio 2018 (articolo 2).


Direttiva (UE) 2016/1629

(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 settembre 2016, che stabilisce i requisiti tecnici per le navi adibite alla navigazione interna, che modifica la direttiva 2009/100/CE e abroga la direttiva 2006/87/CE)

 

 

La direttiva 2016/1629 del 14 settembre 2016, stabilisce i requisiti tecnici per le navi adibite alla navigazione interna e la classificazione delle vie navigabili interne nell’Unione europea. Essa sostituisce la precedente direttiva 2006/87/CE, che aveva stabilito le condizioni armonizzate per il rilascio di certificati tecnici per le navi adibite alla navigazione interna su tutte le vie navigabili interne dell'Unione, che verrà abrogata dal 7 ottobre 2018, e modifica la precedente direttiva 2009/100/CE.

L'obiettivo della direttiva 2016/1629 è quello di stabilire i requisiti tecnici necessari a garantire la sicurezza delle unità navali in navigazione sulle vie navigabili interne dell'Unione. La direttiva si applica (art. 2) a:

a)     navi di lunghezza pari o superiore a 20 metri;

b)    navi per le quali il prodotto fra lunghezza, larghezza e immersione è pari o superiore in volume a 100 metri cubi;

c)     rimorchiatori e spintori destinati a rimorchiare o a spingere oppure alla propulsione in formazione di coppia delle unità navali di cui alle lettere a) e b) o dei galleggianti speciali;

d)    navi da passeggeri;

e)     galleggianti speciali.

Le misure della direttiva 2009/100/CE, che viene modificata per mantenere la complementarietà con la direttiva 2016/1629, rimangono in vigore per le navi che non sono contemplate dalla nuova direttiva. Si tratta delle seguenti, a cui non si applica quindi la direttiva 2016/1629:

-        navi traghetto;

-        navi da guerra;

-        navi adibite alla navigazione marittima, compresi i rimorchiatori e gli spintori, che navigano o si trovano nelle acque soggette a formazione di marea oppure navigano temporaneamente sulle vie navigabili interne, qualora ricorrano particolari condizioni.

La direttiva provvede a classificare le vie navigabili interne dell’Unione in 4 zone (indicate in Allegato I) più la zona speciale (R) del Reno. La direttiva 2006/87/CE, identifica quattro categorie di vie navigabili elencandole in Allegato I. Le vie navigabili italiane sono attualmente ricomprese nella zona 4. Si tratta delle seguenti:

-        Fiume Po: da Piacenza alla foce;

-        Canale Milano-Cremona, fiume Po: tratto terminale di 15 km fino al Po;

-        Fiume Mincio: da Mantova, Governolo al Po;

-        Idrovia ferrarese: dal Po (Pontelagoscuro), Ferrara a Porto Garibaldi;

-        Canali di Brondolo e Valle: dal Po orientale alla laguna di Venezia;

-        Canale Fissero-Tartaro-Canalbianco: da Adria al Po orientale;

-        Litoranea veneta: dalla laguna di Venezia a Grado.

L'Idrovia Padana, per l'importanza strategica che riveste, è stata inserita nel 1996 nella Rete trans-europea delle vie navigabili (Decisione n. 1692/96/CE) ed in occasione della revisione 2011 delle Reti di trasporto trans-europee (TEN-T) è stata, inoltre, ridefinita la Rete di navigazione interna di rilevanza europea: il Regolamento UE 1315/2013 ha riconosciuto la navigazione interna del Nord d'Italia, quale infrastruttura completata ed operativa al servizio dell'economia dell'intera Pianura Padana.

 

Nella nuova direttiva 2016/1629 sono considerate incluse nella zona 4, ma non vengono più espressamente elencate in Allegato I, “tutte le altre vie navigabili interne che possono essere navigate conformemente al diritto nazionale da unità navali rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva”. Le vie navigabili italiane rientrano in questa fattispecie, quindi sono da considerarsi in zona 4 anche se in allegato non sono più riportate, in quanto in Allegato I vengono elencate solo le vie navigabili che rientrano nelle zone 1, 2, e 3.

Si ricorda che per recepire i principi stabiliti dall'accordo europeo sulle grandi vie navigabili di importanza internazionale, con annessi, fatto a Ginevra il 19 gennaio 1996, la legge n. 16 del 2000 ha istituito un piano coordinato di sviluppo e costruzione di una rete di vie navigabili d'importanza internazionale al fine di rendere più efficiente e vantaggioso il trasporto internazionale in Europa per via navigabile.

 

L’art. 5 prevede che gli Stati membri provvedano affinché le unità navali siano costruite e mantenute conformemente ai requisiti stabiliti nella direttiva e l’art. 6 stabilisce che i certificati dell'Unione per la navigazione interna siano rilasciati a seguito di un'ispezione tecnica effettuata prima dell'entrata in servizio dell'unità navale e intesa a verificare che la stessa sia conforme ai requisiti degli allegati II e V. Il rilascio avviene da parte dalle competenti autorità degli Stati membri ed il certificato deve essere conforme al modello indicato in Allegato II.

Il periodo massimo di validità del certificato dell'Unione per la navigazione interna rilasciato alle unità navali di nuova fabbricazione è stabilito in cinque anni per le navi da passeggeri e le unità veloci ed in dieci anni per tutti gli altri tipi di unità navale.

L’art. 18 prevede un numero unico europeo di identificazione delle navi (ENI).

Per assicurare che la direttiva sia attuata in modo efficiente, è previsto l’inserimento delle informazioni relative alle unità navali delle vie navigabili interne nella banca dati europea degli scafi (European Hull Data Base — EHDB) perché possano essere utilizzate dalle autorità competenti (art. 19).

L’art. 28 prevede che i documenti che rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva e che siano stati rilasciati dalle autorità competenti degli Stati membri a norma della direttiva 2006/87/CE prima del 6 ottobre 2016, restino validi fino alla loro scadenza.

 

Gli Stati membri possono derogare alla direttiva in alcuni casi riguardanti le vie navigabili che non sono collegate alle vie navigabili interne di altri Stati membri o unità navali che operano esclusivamente su una rete navigabile nazionale, mantenendo al contempo un adeguato livello di sicurezza.

Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 7 ottobre 2018.

 

La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2013) 622, sulla quale il Parlamento italiano non si è espresso in sede di esame.


Direttiva (UE) 2016/1919

(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2016, sull'ammissione al patrocinio a spese dello Stato per indagati e imputati nell'ambito di procedimenti penali e per le persone ricercate nell'ambito di procedimenti di esecuzione del mandato d'arresto europeo)

 

 

Il provvedimento in titolo ha lo scopo di garantire l'effettività del diritto di avvalersi di un difensore, previsto dalla direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, rendendo disponibile l'assistenza di un difensore retribuito dagli Stati membri agli indagati e agli imputati in procedimenti penali, nonché alle persone oggetto di procedimenti di esecuzione del mandato d'arresto europeo ai sensi della decisione-quadro 2002/584/GAI del Consiglio.

Il testo consta di 14 articoli. Più nel dettaglio, dopo aver fissato l'oggetto (art. 1), l'ambito di applicazione (art. 2) e la definizione (art. 3), la direttiva fissa agli artt. 4 e 5 l'obbligo, per gli Stati membri, di assicurare che gli indagati o imputati privi di risorse sufficienti a coprire i costi dell'assistenza di un difensore godano del diritto al patrocinio a spese dello Stato sia nel corso di un procedimento penale, sia nel periodo intercorrente tra il momento dell'arresto eseguito in conformità del mandato d'arresto europeo e quello della consegna, o fino al momento in cui la decisione sulla mancata consegna divenga definitiva.

La decisione sulla concessione o meno del patrocinio, che può essere preceduta da una valutazione delle risorse e/o del merito che tenga conto "di tutti i fattori pertinenti e obiettivi quali il reddito, il patrimonio e la situazione familiare dell'interessato", deve essere adottata senza indebito ritardo (art.6). Lo Stato membro interessato deve inoltre adottare tutte le misure necessarie, anche per quanto riguarda il finanziamento, al fine di assicurare che esista un sistema di patrocinio a spese dello Stato efficace e di qualità adeguata "a salvaguardare l'equità del provvedimento, nel dovuto rispetto dell'indipendenza della professione forense" (art. 7).

Sempre agli Stati membri spetta garantire che gli indagati, gli imputati e le persone ricercate dispongano di mezzi di ricorso effettivi (art. 8) e che, nell'attuazione della direttiva, si tenga conto delle particolari esigenze di indagati, imputati e persone ricercate vulnerabili.

 

La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2013) 824, sulla quale la 2a Commissione permanente del Senato della Repubblica ha espresso, l'11 febbraio 2014, un parere favorevole (Doc XVIII, n. 48).


Direttiva (UE) 2016/2102

(Accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici)

 

 

La direttiva 2016/2102/UE interviene per disciplinare in termini organici l’accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili delle pubbliche amministrazioni.

Secondo quanto indicato nel secondo considerando l’accessibilità si riferisce ai principi e alle tecniche da rispettare nella progettazione, nella costruzione, nella manutenzione e nell'aggiornamento di siti internet e di applicazioni mobili per rendere il loro contenuto più accessibile agli utenti, in particolare alle persone con disabilità.

L’obiettivo della direttiva, indicato all’articolo 1, è quindi quello di garantire il ravvicinamento delle misure nazionali a livello di Unione europea sulla base di prescrizioni in materia di accessibilità concordate da applicare ai siti web e alle relative applicazioni mobili degli enti pubblici che favoriranno una maggiore accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili di enti pubblici (nono considerando).

Tale necessità, come risulta dal quinto considerando, discende dal fatto che diversi Stati membri hanno adottato misure basate su linee guida internazionali per la progettazione di siti web accessibili, ma tali misure spesso si riferiscono a versioni o livelli di conformità diversi di tali linee guida, oppure hanno introdotto differenze tecniche a livello nazionale con riguardo ai siti web accessibili. Ciò ha comportato una frammentazione del mercato accrescendo le difficoltà, specie delle piccole e medie imprese operanti nel settore ad intervenire al di fuori del mercato nazionale.

 

La legge italiana definisce l’accessibilità come “la capacità dei sistemi informatici, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze tecnologiche, di erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, anche da parte di coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari” (art. 2, comma 1, lett. a), legge 4/2004).

Pertanto, un sito web è accessibile nella misura in cui fornisce informazioni fruibili da parte di tutti gli utenti, compresi coloro che si trovino in situazioni di disabilità.

Il principio della accessibilità dei siti web delle pubbliche amministrazioni è sancito dal codice dell’amministrazione digitale laddove si prevede che le pubbliche amministrazioni realizzino siti istituzionali su reti telematiche che rispettano i principi di accessibilità, nonché di elevata usabilità e reperibilità, anche da parte delle persone disabili, completezza di informazione, chiarezza di linguaggio, affidabilità, semplicità dì consultazione, qualità, omogeneità ed interoperabilità (D.Lgs. 82/2005, art. 53).

Conseguentemente, le regole tecniche per l’attuazione del codice (da adottare, ai sensi dell’art. 71 del CAD, con decreto del Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, su proposta dell'AgID, di concerto con il Ministro della giustizia e con i Ministri competenti, sentita la Conferenza unificata e il Garante per la protezione dei dati personali nelle materie di competenza) sono dettate in conformità a:

-       i requisiti tecnici di accessibilità di cui all'articolo 11 della legge 9 gennaio 2004, n. 4;

-       le discipline risultanti dal processo di standardizzazione tecnologica a livello internazionale;

-       le normative dell'Unione europea.

 

I requisiti tecnici e i diversi livelli per l'accessibilità agli strumenti informatici sono attualmente regolati dal D.M. 8 luglio 2005, adottato in attuazione della citata legge 4/2004.

Per quanto riguarda, l’accessibilità degli strumenti informatici delle pubbliche amministrazioni, un ruolo centrale è rivestito dall'Agenzia per l'Italia Digitale (AgID) che tra l’altro presta assistenza alle pubbliche amministrazioni sull’applicazione della normativa in materia di accessibilità; effettua il monitoraggio dei siti web della pubblica amministrazione al fine di fornire indicazioni e suggerimenti agli enti per il rispetto dei requisiti tecnici di accessibilità; presta assistenza in relazione a quesiti tecnici inviati da enti per l’adeguamento alla normativa dei siti web istituzionali.

Per approfondire l’attività svolta in questo settore dall’AgID si veda l’Accessibilità dei siti web: il coordinamento e le attività dell'Agenzia per l'Italia Digitale in relazione alla normativa vigente.

 

L’articolo 1, oltre alle finalità della direttiva individua gli ambiti esclusi dalla sua applicazione. In particolare sono esclusi i siti web e applicazioni mobili delle emittenti di servizio pubblico (il cui regime di accessibilità è più adeguatamente disciplinato dalle norme relative al settore di riferimento) e i siti web e applicazioni mobili di ONG che non forniscono servizi pubblici essenziali per il pubblico (o specificamente per persone disabili) per le quali l’onere di adempiere alle prescrizioni della direttiva è ritenuto, nell’ambito del venticinquesimo considerando, sproporzionato.

Sono inoltre esclusi alcuni specifici contenuti web, finanziati o realizzati dalle pubbliche amministrazioni o sottoposti al loro controllo:

·       i formati di file per ufficio pubblicati prima del 23 settembre 2018 (quali pdf o file word), a meno che tali contenuti non siano necessari per i processi amministrativi attivi relativi alle funzioni assolte dall'ente pubblico interessato;

·       media basati sul tempo preregistrati pubblicati prima del 23 settembre 2020 e quelli basati sulla trasmissione in diretta;

·       le  carte e servizi di cartografia online, a condizione che le informazioni essenziali siano fornite in modalità digitale accessibile per le carte per la navigazione;

·       riproduzioni di pezzi provenienti da collezioni del patrimonio storico-culturale che non possono essere resi pienamente accessibili per specifiche ragioni;

·       contenuti di extranet o intranet ossia siti web disponibili soltanto per un gruppo chiuso di persone e non per il grande pubblico in quanto tale, pubblicati prima del 23 settembre 2019 fino a una loro revisione sostanziale;

·       contenuti di siti web e applicazioni mobili considerati archivi nel senso che contengono soltanto contenuti che non sono né necessari per processi amministrativi attivi né aggiornati o rielaborati dopo il 23 settembre 2019.

E’ data agli stati membri la facoltà di escludere dall'applicazione della presente direttiva i siti web e le applicazioni mobili di scuole, giardini d'infanzia o asili nido, ad eccezione dei contenuti relativi a funzioni amministrative essenziali online.

L’articolo 2 precisa che gli Stati membri possono mantenere o introdurre misure conformi al diritto dell'Unione che vadano al di là delle prescrizioni minime per l'accessibilità web di siti internet e applicazioni mobili stabilite dalla direttiva, mentre l’articolo 3 contiene le definizioni.

L’articolo 4 individua quattro principi ai quali gli enti pubblici degli Stati membri devono conformarsi in termini di accessibilità. Tali principi vengono delineati al trentasettesimo considerando:

·       percepibilità, le informazioni e i componenti dell'interfaccia utente devono essere presentabili agli utenti in modalità percepibili;

·       utilizzabilità, i componenti e la navigazione dell'interfaccia utente devono essere utilizzabili;

·       comprensibilità, le informazioni e il funzionamento dell'interfaccia utente devono essere comprensibili;

·       solidità, nel senso che i contenuti devono essere abbastanza solidi da poter essere interpretati con sicurezza da una vasta gamma di programmi utente, comprese le tecnologie assistive.

L’articolo 5 consente di non applicare i principi di accessibilità nel caso in cui ciò determini oneri sproporzionati. Secondo il trentanovesimo considerando per misure che imporrebbero un onere sproporzionato si dovrebbero intendere le misure che imporrebbero a un ente pubblico un onere organizzativo o finanziario eccessivo, o metterebbero a rischio la sua capacità di adempiere al suo scopo o di pubblicare le informazioni necessarie o pertinenti per i suoi compiti e servizi, pur tenendo conto del probabile beneficio o danno che ne deriverebbe per i cittadini, in particolare per le persone con disabilità. La mancanza di carattere prioritario, di tempo o di conoscenze non possono tuttavia essere considerati un motivo legittimo per derogare alle norme in tema di accessibilità.

Per valutare la sussistenza di oneri sproporzionati le pubbliche amministrazioni valutino l’onere tenendo conto delle dimensioni, delle risorse e della natura dell'ente pubblico interessato e della stima dei costi e dei benefici per l'ente pubblico interessato in rapporto ai benefici previsti per le persone con disabilità, e qualora l’onere sia sproporzionato indicano nell’apposito documento di accessibilità quali siano le parti delle prescrizioni in materia di accessibilità cui non è stato possibile conformarsi e se de caso fornire alternative accessibili.

L’articolo 6 sancisce una presunzione di conformità alle prescrizioni in tema di accessibilità per i contenuti di siti web e applicazioni mobili che rispettano le norme armonizzate (o parte di esse) nonché per le applicazioni mobili che rispettano le specifiche tecniche definite dalla Commissione in assenza di norme armonizzate, o parti di esse. Sono inoltre presunti conformi i contenuti dei siti web che, in assenza di norme armonizzate, soddisfano i requisiti pertinenti, o parti di essi, della norma europea EN 301 549 V1.1.2 (2015-04) concernente i requisiti di accessibilità per l’acquisizione di prodotti e servizi ITC, nonché i contenuti delle applicazioni mobili che soddisfano i requisiti pertinenti, o parti di esse, della medesima norma tecnica in assenza sia di norme armonizzate che di specifiche tecniche.

L’articolo 7 prevede che le pubbliche amministrazioni debbano dichiarazione di accessibilità sulla conformità dei rispettivi siti web e applicazioni mobili alla direttiva, indicandone i contenuti e prevedendo che la Commissione adotti atti di esecuzione per stabilire un modello di dichiarazione di accessibilità. Si prevede anche l’obbligo degli Stati membri di programmi di formazione in materia di accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili, destinati alle parti interessate e al personale degli enti pubblici nonché misure necessarie per sensibilizzare sulle prescrizioni in materia di accessibilità sui benefici per gli utenti e i proprietari di siti web e applicazioni mobili e sulla possibilità di fornire un feedback in caso di mancata conformità alla direttiva.

L’articolo 8 disciplina il monitoraggio sulla conformità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici alle prescrizioni in materia di accessibilità cui sono tenuti gli Stati membri individuandone il regime. Entro il 23 dicembre 2021 e successivamente ogni tre anni, gli Stati membri presentano alla Commissione una relazione sugli esiti del monitoraggio, includendo i dati misurati.

L’articolo 9 concerne la procedura di attuazione di quanto previsto dalla direttiva per gli stati membri. In particolare prevede che entro il 23 settembre 2018 gli Stati membri informino la Commissione circa l'ente responsabile dell'attuazione della direttiva.

Gli ulteriori articoli disciplinano le modalità di emanazione degli atti delegati da parte della Commissione (articolo 10), la procedura di comitato (articolo 11), il riesame della direttiva (articolo 13) e l’entrata in vigore (articolo 14)

Il termine per il recepimento della direttiva 2016/2102/UE è fissato al 23 settembre 2018. L’applicazione delle disposizioni di recepimento della direttiva, si applicano nel seguente modo: per i siti web di enti pubblici non pubblicati prima del 23 settembre 2018 a decorrere dal 23 settembre 2019; per i siti web di enti pubblici pubblicati successivamente a tale data si applicano a decorrere dal 23 settembre 2020, mentre per le applicazioni mobili di enti pubblici a decorrere dal 23 giugno 2021.


Direttiva (UE) 2016/2284

(Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 dicembre 2016, concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici, che modifica la direttiva 2003/35/CE e abroga la direttiva 2001/81/CE)

 

 

La direttiva (UE) 2016/2284 rivede i limiti nazionali di emissione annuali di una serie di inquinanti particolarmente dannosi definiti dalla direttiva 2001/81/CE, di cui stabilisce l'abrogazione.

I limiti,  riferiti al periodo compreso tra il 2010 e il 2020, erano stati fissati  per ridurre l’inquinamento atmosferico e il suo impatto sulla salute pubblica e sull’ambiente in tutta l’Ue, ma anche per conformarsi agli impegni internazionali assunti con il Protocollo di Göteborg sull’inquinamento atmosferico a grande distanza[33] adottato nel 1999. La successiva modifica del Protocollo di Göteborg, nel 2012, ha comportato nuovi impegni internazionali di riduzione dal 2020 in poi, a cui la direttiva (UE) 2016/2284 si allinea.

In particolare, la direttiva stabilisce impegni di riduzione delle emissioni per gli Stati membri dei seguenti inquinanti:

ü  biossido di zolfo (SO2);

ü  ossidi di azoto (NOx);

ü  composti organici volatili non metanici (COVNM);

ü  ammoniaca (NH3);

ü  particolato fine (PM2,5)

Per i suddetti inquinanti, e per altri elencati nell'Allegato I, è prevista l'elaborazione e l'attuazione di piani nazionali di controllo dell'inquinamento atmosferico e sono stabiliti obblighi di monitoraggio e comunicazione (articolo 1).

 Per ciascuno degli inquinanti sopraelencati sono stabiliti dei limiti di emissione ("impegni di riduzione") riferiti al periodo 2020-2029 conformemente al Protocollo di Göteborg, e dal 2030 in poi (articolo 4). L'Allegato II riporta, per ogni Stato membro, le percentuali di riduzione delle emissioni rispetto all'anno di riferimento 2005.

Per l'Italia, le percentuali fissate sono: per l’SO2, 35% dal 2020 al 2029 e 71% dal 2030; per i NOx, rispettivamente 40% e 65%; per i COVNM, 35% e 46%; per l’NH3, 5% e 16%; per i PM2,5, 10% e 40%.

Fatti salvi i suddetti impegni di riduzione, sono previsti degli impegni indicativi di emissione per il 2025 stabiliti secondo una traiettoria lineare definita tra i livelli fissati al 2020 e quelli al 2030, dalla quale è tuttavia possibile discostarsi se ciò risulta economicamente e tecnicamente più efficiente, purché dal 2025 in poi la traiettoria applicata coincida con quella lineare e non pregiudichi gli impegni di riduzione al 2030 (articolo 4, paragrafo 2).

Sono poi previsti dei meccanismi di flessibilità che, in determinate circostanze e a determinate condizioni, consentono agli Stati membri di discostarsi dai loro impegni di riduzione. Tali meccanismi possono essere applicati ad esempio in presenza di un inverno particolarmente freddo e di un'estate particolarmente calda, oppure quando gli impegni di riduzione non risultano efficienti sotto il profilo dei costi, o ancora al verificarsi di un'improvvisa ed eccezionale interruzione o perdita di capacità nel sistema di produzione o di fornitura di elettricità e/o di calore (articolo 5).

Agli Stati membri spetta l'obbligo di elaborare e attuare dei piani nazionali di controllo, da aggiornare ogni 4 anni, nei quali dovrà essere precisato, tra l'altro, in quale modo essi soddisferanno i loro impegni di riduzione. Tali programmi, prima della loro adozione, dovranno essere sottoposti ad una consultazione pubblica. Le consultazioni, se del caso, dovranno essere condotte anche a livello transfrontaliero. I primi piani saranno presentati entro il 1° aprile 2019 (articolo 6).

          Gli Stati membri dovranno inoltre: elaborare inventari delle emissioni, proiezioni delle emissioni e relazioni di inventario (articolo 8); monitorare gli impatti negativi dell'inquinamento atmosferico sugli ecosistemi (articolo 9); trasmettere i programmi nazionali di controllo, gli inventari delle emissioni e le relazioni di inventario alla Commissione europea che provvederà ad esaminarli (articolo 10).

La Commissione europea, dal canto suo, dovrà: trasmettere al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sui progressi compiuti nell'attuazione della direttiva (la prima entro il entro il 1° aprile 2020 e successivamente ogni 4 anni) (articolo 11); facilitare l'accesso ai fondi dell'Unione (articolo 7); facilitare l'attuazione coordinata della legislazione dell'Ue in materia di qualità dell'aria (articolo 12); provvedere al riesame della direttiva entro il 31 dicembre 2025 (articolo 13).

La direttiva contiene infine disposizioni in materia di diffusione elettronica delle informazioni (articolo 14), cooperazione con i Paesi terzi e con le organizzazioni internazionali (articolo 15), sanzioni (articolo 18).

Il termine fissato per il recepimento è il 1° luglio 2018.  

Iter di approvazione

La direttiva trae origine dalla proposta della Commissione europea COM(2013)920[34], sulla quale la 13a Commissione (territorio, ambiente, beni ambientali) del Senato ha emesso la risoluzione DOC XVIII n. 49, pronunciandosi in senso favorevole.


Direttiva (UE) 2016/2341

(Enti pensionistici)

 

 

La Direttiva (UE) 2016/2341 del 14 dicembre 2016 (di seguito Direttiva) reca disposizioni sull’attività e la vigilanza degli enti pensionistici aziendali o professionali (EPAP).

Essa interviene sulla disciplina attualmente contenuta nella Direttiva 2003/41/CE del 3 giugno 2003, volta a regolamentare a livello di Unione le attività e la supervisione degli EPAP[35], in quanto (“Considerando” n. 1) la Direttiva 2003/41/CE ha subito varie e sostanziali modifiche[36], e poiché si sono rese necessarie ulteriori nuove modifiche alla disciplina in oggetto, si è proceduto alla sua rifusione[37]. Entro il 13 gennaio 2019 gli Stati membri hanno l’obbligo di attuare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla Direttiva in esame (articolo 64). Dalla stessa data è abrogata la Direttiva 2003/41/CE, come modificata dai successivi interventi del legislatore europeo (articolo 65).

La Direttiva, in generale, ha come obiettivo la creazione di un ambito normativo unitario minimo e armonizzato per lo sviluppo del mercato europeo dei fondi pensione transfrontalieri, pur lasciando ai vari Stati Membri la competenza per l’organizzazione dei propri sistemi pensionistici (“Considerando n. 3”). In particolare, si rafforza il sistema di governance e di gestione del rischio, si rimuovono alcune barriere che ostacolano l’attività transfrontaliera dei fondi pensione (regolati diversamente nei vari Paesi), si consolida la trasparenza e l’informazione agli iscritti e ai pensionati. Inoltre, la Direttiva ha lo scopo di assicurare che le autorità competenti abbiano tutti gli strumenti necessari per poter effettivamente svolgere la vigilanza ed il controllo sugli EPAP.

 

Si ricorda che per ente pensionistico aziendale o professionale (articolo 6, paragrafo 1) si intende un ente (a prescindere dalla sua forma giuridica), operante secondo il principio di capitalizzazione, distinto da qualsiasi impresa promotrice o associazione di categoria, costituito al fine di erogare prestazioni pensionistiche in relazione a un'attività lavorativa sulla base di un accordo o di un contratto stipulato individualmente o collettivamente tra datore di lavoro e lavoratore (o i loro rispettivi rappresentanti), oppure con lavoratori autonomi, individualmente o collettivamente, conformemente alla legislazione dello Stato membro di origine e dello Stato membro ospitante. Inoltre, l’ente può esercitare le attività direttamente connesse.

 

La Direttiva mira a garantire una sana governance, l'informazione degli aderenti allo schema pensionistico, la trasparenza e la sicurezza delle pensioni aziendali o professionali (“Considerando” n. 4), al fine di garantire l’equilibrio intergenerazionale degli schemi pensionistici aziendali o professionali, mirando a un'equa ripartizione dei rischi e dei benefici tra le generazioni (articolo 7, paragrafo 1, comma 3 e “Considerando” n. 7).

La necessità di una nuova disciplina discende anche dal fatto che l’attività transfrontaliera (che comunque non deve pregiudicare le norme nazionali in materia, ai sensi del “Considerando” n. 13) è stata limitata a causa dell'eterogeneità delle norme nazionali di diritto della sicurezza sociale e del lavoro e dall’esistenza di importanti barriere prudenziali che rendono più costosa per gli EPAP la gestione di schemi pensionistici su base transfrontaliera.

Le disposizioni prudenziali della Direttiva, quindi, sono intese (“Considerando” n. 17) sia a garantire un elevato livello di sicurezza per tutti i futuri pensionati, attraverso la prescrizione di norme prudenziali rigorose, sia a favorire una gestione sana, prudente ed efficiente degli schemi pensionistici aziendali e professionali. D’altronde, nell'ambito del principio della «persona prudente», la Direttiva prevede che gli Stati membri debbano consentire agli EPAP di tenere conto del potenziale impatto a lungo termine delle decisioni di investimento sui fattori ambientali, sociali e di governance (articolo 19, paragrafo 1, lettera b)). In ogni caso, la Direttiva mira a garantire il trasferimento dello schema pensionistico da un ente all’altro in ambito transfrontaliero all’interno della UE (“Considerando” n. 37), specificando le relative procedure di autorizzazione anche in relazione all’impresa promotrice (articolo 11).

Tenendo conto delle divergenze che esistono negli Stati Membri in ordine alla partecipazione dei lavoratori autonomi agli EPAP e della necessità di escludere gli enti che gestiscono sistemi di sicurezza sociale già coordinati a livello di Unione e quelli che operano in base al principio della capitalizzazione nell'ambito dei sistemi di sicurezza sociale obbligatori (“Considerando” nn. 21, 22 e 23), gli EPAP sono considerati enti pensionistici con un fine sociale che forniscono servizi finanziari (“Considerando” n. 32), e dato il loro numero elevato in alcuni Stati membri, si rende necessaria un’autorizzazione preventiva da parte dello Stato membro di origine nel caso in cui l’ente intenda gestire uno schema pensionistico in un altro Stato membro (“Considerando” n. 34).

 

Ambito soggettivo di applicazione

Rispetto alla Direttiva 2003/41/CE l’articolo 2 della Direttiva in esame non reca modifiche in relazione all’ambito di applicazione, mentre si precisa, per gli EPAP minori e per gli schemi pensionistici pubblici, che gli Stati membri applicano le regole sugli investimenti e sulla governance agli EPAP registrati o autorizzati nel loro territorio che gestiscono schemi pensionistici che contano congiuntamente più di 15 aderenti in totale.

Gli Stati membri possono decidere di applicare la disciplina sul campo di applicazione e sulla gestione degli investimenti agli enti che gestiscono schemi pensionistici aziendali e professionali stabiliti ai sensi del diritto nazionale e garantiti da una pubblica autorità (articolo 5).

La Direttiva reca inoltre alcune nuove definizioni (articolo 6):

§  EPAP trasferente: l'EPAP che trasferisce tutte o parte delle passività, delle riserve tecniche, delle altre obbligazioni e diritti, nonché le attività corrispondenti o il relativo equivalente in contanti di uno schema pensionistico a un EPAP registrato o autorizzato in un altro Stato membro;

§  EPAP ricevente: l'EPAP che riceve tutte o parte delle passività, delle riserve tecniche, delle altre obbligazioni e diritti nonché le attività corrispondenti o il relativo equivalente in contanti di uno schema pensionistico da un EPAP registrato o autorizzato in un altro Stato membro;

§  mercato regolamentato: un mercato regolamentato quale definito all'articolo 4, paragrafo 1, punto 21, della direttiva 2014/65/UE;

§  sistema multilaterale di negoziazione (MTF): un sistema multilaterale di negoziazione o MTF quale definito all'articolo 4, paragrafo 1, punto 22, della direttiva 2014/65/UE;

§  sistema organizzato di negoziazione (OTF): un sistema organizzato di negoziazione od OTF quale definito all'articolo 4, paragrafo 1, punto 23, della direttiva 2014/65/UE;

§  supporto durevole: uno strumento che permetta agli aderenti o ai beneficiari di conservare le informazioni a loro personalmente dirette in modo che possano essere accessibili per la futura consultazione e per un periodo di tempo adeguato ai fini cui sono destinate le informazioni, e che consenta la riproduzione senza modifiche delle informazioni conservate;

§  funzione fondamentale: nell'ambito di un sistema di governance, una capacità interna di svolgere compiti pratici, ivi comprese la funzione di gestione dei rischi, la funzione di audit interno e la funzione attuariale;

§  attività transfrontaliera: la gestione di uno schema pensionistico in cui il rapporto tra impresa promotrice e gli aderenti e i beneficiari è disciplinato dal diritto della sicurezza sociale e del lavoro pertinente in materia di schemi pensionistici aziendali o professionali di uno Stato membro diverso dallo Stato membro di origine.

 

Registrazione ed autorizzazione

Viene inoltre delineata una disciplina più articolata della registrazione o autorizzazione dell’ente (articolo 11) soprattutto in riferimento al trasferimento transfrontaliero, consentendo (articolo 12) agli Stati membri di far trasferire agli EPAP registrati o autorizzati nel proprio territorio tutte o parte delle passività, delle riserve tecniche e delle altre obbligazioni e diritti, nonché le attività corrispondenti o il relativo equivalente in contanti di uno schema pensionistico a un EPAP ricevente.

 

Gestione finanziaria ed investimenti

In materia di investimenti, gli EPAP possono investire in strumenti con orizzonte di investimento a lungo termine e non scambiati in mercati regolamentati, MTF o OTF; o in strumenti emessi o garantiti dalla BEI e forniti nel quadro del Fondo europeo per gli investimenti strategici, dei fondi di investimento europei a lungo termine, dei fondi europei per l'imprenditoria sociale e dei fondi europei per il venture capital (articolo 19, paragrafo 6, comma 2, lettere c) e d)).

Inoltre, si prevede, nel confermare la facoltà per gli EPAP di esternalizzare le loro attività e funzioni fondamentali, la garanzia (fornita dagli Stati membri) che gli stessi siano pienamente responsabili degli obblighi anche in seguito all’esternalizzazione (articolo 31).

 

Governance

Gli articoli da 20 a 30 definiscono la Governance degli EPAP, in maniera molto più articolata rispetto alle disposizioni presenti nella Direttiva 2003/41/CE.

In particolare, si stabilisce:

§  la responsabilità ultima dell’organo direttivo o di vigilanza dell’EPAP (articolo 20);

§  i requisiti generali relativi al sistema di Governance (proporzionati alla dimensione, alla natura, alla portata e alla complessità degli EPAP), stabilendo in particolare (articolo 21), l’obbligo di produrre politiche scritte in relazione alla gestione del rischio, l’elaborazione di piani di emergenza, l’obbligo di essere gestiti da almeno 2 persone;

§  i requisiti di competenza e onorabilità nella gestione (articolo 22), stabilendo un’apposita procedura per il riconoscimento dei richiamati requisiti, soprattutto in ordine alle prove documentali;

§  l’obbligo per gli EPAP di stabilire e applicare una sana politica di remunerazione a tutte le persone che effettivamente gestiscono l’EPAP secondo specifici principi, nonché rendendo note con regolarità le informazioni essenziali e pertinenti relative alle proprie politiche remunerative (articolo 23);

§  l’obbligo per gli EPAP di dotarsi degli strumenti per lo svolgimento di specifiche funzioni fondamentali (quali la gestione del rischio, l’audit interno e, ove applicabile, attuariale) (articoli 24, 26 e 27);

§  l’obbligo per gli EPAP di disporre di un efficace sistema di gestione dei rischi, proporzionato alla loro dimensione e organizzazione interna (articoli 25 e 28);

§  l’obbligo per gli EPAP di nominare uno o più depositari (“considerando” n. 62 e articolo 33) per la custodia dell’attività e dei compiti di vigilanza (articoli 34 e 35).

 

 

 

 

Informazioni

La Direttiva, inoltre, ridefinisce le informazioni da fornire agli aderenti (anche potenziali) e beneficiari da parte degli EPAP (“Considerando” nn. 4, 16 e 63, articoli da 36 a 44), individuando specifici obblighi, in particolare, l’obbligo di fornire le informazioni generali sullo schema pensionistico e ai soggetti interessati (articolo 37 e articoli 41-44), nonché l’obbligo di redazione di un prospetto delle prestazioni (articoli 38-40.

 

Vigilanza

Al fine di tutelare i diritti degli aderenti e dei beneficiari e per garantire la stabilità e solidità degli EPAP, la Direttiva, infine, amplia gli obiettivi di vigilanza prudenziale (articoli da 45 a 58), introducendo altresì specifiche disposizioni in ordine alla trasparenza e responsabilità nelle attività delle autorità competenti (articolo 51), al segreto professionale e all’utilizzo delle informazioni riservate (articoli 52 e 53)[38], allo scambio di informazioni tra autorità (articoli 55 e 58), alla trasmissione delle informazioni alle banche centrali, alle autorità monetarie, alle autorità europee di vigilanza e al Comitato europeo per il rischio sistemico (articolo 56), alla comunicazione di informazioni alle amministrazioni pubbliche responsabili della normativa finanziaria (articolo 57).

 



[1] Il disegno di legge europea 2017 (A.C. 4505) è stato presentato alla Camera dei deputati il 19 maggio 2017 ed è attualmente all'esame della XIV Commissione permanente.

[2] Per maggiori dettagli sui criteri generali di delega posti dall'articolo 32 della legge n. 234 del 2012, si rinvia alla scheda relativa all'articolo 1.

[3] Le informazioni fornite nella relazione illustrativa contengono dati aggiornati al 31 dicembre 2016. Con riguardo alle procedure d’infrazione ufficialmente aperte nei confronti dell’Italia, la relazione presenta altresì un aggiornamento alla data del 15 febbraio 2017. Quanto alle direttive europee, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea negli anni 2015 e 2016, da attuare con decreto ministeriale e non ancora attuate, sono forniti dati ulteriori, aggiornati al 21 aprile 2017.

[4] Il disegno di legge di delegazione europea relativo all'anno 2015 è stato approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 27 aprile 2016 (Atto Camera 3540).

[5] Il termine è stato esteso da due a quattro mesi dall’articolo 29 della legge n. 115 del 2015 (legge europea 2014).

[6] L'articolo 14 della legge n. 400/1988 ("Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri") contiene la disciplina di riferimento per i decreti legislativi. Questi sono emanati dal Presidente della Repubblica (comma 1) entro il termine fissato dalla legge di delegazione (comma 2). Se la delega legislativa si riferisce ad una pluralità di oggetti distinti suscettibili di separata disciplina, il Governo può esercitarla mediante più atti successivi per uno o più degli oggetti predetti; il Governo informa inoltre periodicamente le Camere sui criteri che segue nell'organizzazione dell'esercizio della delega (comma 3). Si evidenzia la norma di cui al comma 4, secondo il quale "qualora il termine previsto per l'esercizio della delega ecceda i due anni, il Governo è tenuto a richiedere il parere delle Camere sugli schemi dei decreti delegati. Il parere è espresso dalle Commissioni permanenti delle due Camere competenti per materia entro sessanta giorni, indicando specificamente le eventuali disposizioni non ritenute corrispondenti alle direttive della legge di delegazione. Il Governo, nei trenta giorni successivi, esaminato il parere, ritrasmette, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, i testi alle Commissioni per il parere definitivo che deve essere espresso entro trenta giorni".

[7] Esistono dunque diversi sistemi di protezione dei marchi. Come già sopra esposto, ed evidenziato dall’AIR del provvedimento in esame, i marchi nazionali, registrati dagli Uffici della proprietà intellettuale degli Stati membri (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi -UIBM, per l’Italia) sulla base di un sistema armonizzato a livello UE.

I marchi dell’Unione europea (già denominati marchi comunitari) che hanno effetto generale in tutti i paesi dell’Ue e sono disciplinati dal predetto Regolamento (CE) n. 207/2009, come modificato dal Regolamento (UE) n. 2424/2015. Il marchio UE non sostituisce i sistemi nazionali di marchio, ma fornisce un quadro giuridico parallelo e supplementare per ottenere la protezione del marchi nel territorio degli Stati membri dell’UE.

I marchi internazionali, amministrati dall’Organizzazione Internazionale della proprietà Intellettuale (OMPI), i quali conferiscono una protezione in diversi paesi attraverso la Convenzione di Madrid ed il relativo protocollo aggiuntivo. Come evidenzia l’AIR, questi marchi possono essere ottenuti con un unico procedimento (cfr. art. 17 e art. 151 del Codice della Proprietà industriale, D.Lgs. n. 30/2005); tuttavia, una volta registrati, i marchi non diventano un diritto di proprietà industriale unitario, ma diventano un fascio di marchi nazionali e/o dell’UE, a seconda della scelta del richiedente. Le domande internazionali di marchi hanno limitato valore aggiunto all’interno dell’UE e sono più vantaggiose per gli utenti che cercano la protezione del marchio in paesi fuori dell’UE e/o a livello mondiale.

[8]  Per ciò che concerne la decorrenza del periodo dei cinque anni, trascorsi i quali il non uso effettivo del marchio ne comporta la decadenza, la Direttiva interviene per uniformare il dies a quo del periodo in questione, prevedendo, all’articolo 16, che:

·         qualora uno Stato membro preveda una procedura di opposizione successiva alla registrazione, il termine di cinque anni decorre dalla data in cui il marchio non può più essere oggetto di opposizione o dalla data della decisione di chiusura definitiva della procedura di opposizione o di ritiro dell'opposizione;

·         per i marchi d'impresa oggetto di registrazione internazionale e con effetto nello Stato membro, il termine di cinque anni decorre dalla data in cui il marchio non può più essere escluso dalla registrazione o essere oggetto di opposizione. Ovvero, se è stata presentata un'opposizione, decorre dalla data in cui la decisione che chiude la procedura di opposizione è diventata definitiva o l'opposizione è stata ritirata.

La data di decorrenza del periodo di cinque anni deve essere iscritta nel Registro dei marchi.

[9] "Ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro è prevista per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli indicati dalla presente lettera. Nell'ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni indicate dalla presente lettera sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole ovvero alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste inoltre le sanzioni amministrative accessorie della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi, della privazione definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione, nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti dal codice penale. Al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere l'illecito amministrativo o il reato previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti dall'articolo 240, terzo e quarto comma, del codice penale e dall'articolo 20 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Entro i limiti di pena indicati nella presente lettera sono previste sanzioni anche accessorie identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi. Nelle materie di cui all'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni".

[10] Per un'analisi dettagliata si rinvia alla relativa scheda.

[11] Per l'attuazione si rinvia all'articolo 11 del disegno di legge.

[12] Articolo 32 (Principi e criteri direttivi generali di delega per l'attuazione del diritto dell'Unione europea) -1. Salvi gli specifici principi e criteri direttivi stabiliti dalla legge di delegazione europea e in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all'articolo 31 sono informati ai seguenti principi e criteri direttivi generali: ...omissis.. d) al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro è prevista per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli indicati dalla presente lettera. Nell'ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni indicate dalla presente lettera sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole ovvero alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste inoltre le sanzioni amministrative accessorie della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi, della privazione definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione, nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti dal codice penale. Al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere l'illecito amministrativo o il reato previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti dall'articolo 240, terzo e quarto comma, del codice penale e dall'articolo 20 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Entro i limiti di pena indicati nella presente lettera sono previste sanzioni anche accessorie identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi. Nelle materie di cui all'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni; ...omissis...

[13] Articolo 57 (Sanzioni) - Gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni adottate a norma della presente direttiva e adottano tutti i provvedimenti necessari per assicurarne l'applicazione. Le sanzioni previste devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.

[14] Articolo 640-ter (Frode informatica) - Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 51 euro a 1.032 euro. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da 309 euro a 1.549 euro se ricorre una delle circostanze previste dal numero 1) del secondo comma dell'articolo 640, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema. La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 600 a euro 3.000 se il fatto è commesso con furto o indebito utilizzo dell'identità digitale in danno di uno o più soggetti.Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo e terzo comma o un'altra circostanza aggravante.

[15] L'articolo 4 della direttiva attribuisce all'UIP il compito di: a) raccogliere i dati PNR presso i vettori aerei, conservare, trattare e trasferire tali dati o i risultati del loro trattamento alle autorità competenti;  b) scambiare sia i dati PNR che i risultati del trattamento di tali dati con le UIP degli altri Stati membri e con Europol.

 

[16] Si tratta della Comunicazione "L'anello mancante - piano d'azione dell'unione europea per l'economia circolare" (COM(2015) 614), della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2008/98 relativa ai rifiuti (COM(2015) 595), della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (COM(2015) 596), della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (COM(2015) 593) e della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti (COM(2015) 594). Per maggiori dettagli, su queste proposte e sul pacchetto nel suo insieme, si rinvia al Dossier, predisposto dal Servizio studi del Senato della Repubblica assieme all'Ufficio rapporti con l'Unione europea della Camera dei deputati, "Le proposte sull'economia circolare", gennaio 2016. Sul tema, si veda inoltre, più di recente, la Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni sull'attuazione del piano d'azione per l'economia circolare (COM (2017) 33 definitivo)  (Atto comunitario n. 317), attualmente all'esame della 13a Commissione ambiente e territorio del Senato, e il relativo Dossier europeo - n. 62/DE.

 

[17] Per ogni direttiva oggetto di modifica si riportano i link ipertestuali sia al testo antecedente alla modifica sia alla versione consolidata, che contiene quindi le modifiche apportate dalla direttiva (UE) 2015/1794.

[18] I comitati aziendali europei e le delegazioni speciali sono, ai sensi della direttiva 2009/38/CE, strumenti attraverso i quali "migliorare il diritto all'informazione e alla consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie" (articoli 1 e 5).

[19] Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE.

[20] La direttiva definisce "titolare del trattamento" l'autorità competente che, singolarmente o insieme ad altri, determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali; quando le finalità e i mezzi di tale trattamento sono determinati dal diritto dell'Unione o dello Stato membro, il titolare del trattamento o i criteri specifici applicabili alla sua nomina possono essere previsti dal diritto dell'Unione o dello Stato membro.

Viene definito "responsabile del trattamento" la persona fisica o giuridica, l'autorità pubblica, il servizio o altro organismo che tratta dati personali per conto del titolare del trattamento.

[21] Viene definito "volo extra-UE" un volo di linea o non di linea effettuato da un vettore aereo in provenienza da un Paese terzo e che deve atterrare nel territorio di uno Stato membro oppure in partenza dal territorio di uno Stato membro e che deve atterrare in un Paese terzo, compresi, in entrambi i casi, i voli con scali nel territorio di Stati membri o di Paesi terzi.

[22] Qualora il volo sia operato in code-sharing da uno o più vettori aerei, l'obbligo di trasferire i dati PNR di tutti i passeggeri del volo spetta al vettore aereo che opera il volo. Qualora un volo extra-UE faccia uno o più scali negli aeroporti degli Stati membri, i vettori aerei trasferiscono i dati PNR di tutti i passeggeri alle UIP di tutti gli Stati membri interessati. Lo stesso vale qualora un volo intra-UE faccia uno o più scali negli aeroporti di diversi Stati membri, ma solo in relazione agli Stati membri che raccolgono i dati PNR dei voli intra-UE.

[23] Per approfondimenti sulla proposta vd. la Scheda di valutazione n. 10/2011, a cura dell'Ufficio dei rapporti con le Istituzioni dell'Unione europea del Senato della Repubblica.

[24] In assenza di una valutazione individuale, è comunque possibile formulare un'imputazione purché ciò sia nell'interesse superiore del minore e la valutazione individuale sia in ogni caso disponibile all'inizio delle udienze del processo dinanzi a un giudice o tribunale.

[25] Per approfondimenti sulla proposta, vd. la Scheda di lettura n. 85, a cura dell'Ufficio dei rapporti con le Istituzioni dell'UE del Senato della Repubblica.

[26] L'articolo 3, par. 14, della direttiva 2011/16/UE fornisce una definizione dettagliata di "ruling preventivo transfrontaliero". In linea generale, il "ruling" (o interpello) consiste nella facoltà riconosciuta al contribuente di richiedere all’amministrazione finanziaria una valutazione sulla disciplina tributaria applicabile, concretamente, ad un fatto, atto o negozio che lo riguarda, al fine di conoscerne, a priori, il giudizio ed evitare, a posteriori, le conseguenze sfavorevoli derivanti da un comportamento rischioso. Di per sé gli interpelli sono perfettamente legali: vengono emanati principalmente per fornire certezza giuridica e in linea di principio non sono problematici. Tuttavia, quando sono utilizzati per offrire vantaggi fiscali selettivi o per trasferire artificiosamente gli utili in luoghi in cui l'imposizione è bassa o inesistente, essi falsano la concorrenza ed erodono le basi imponibili degli Stati membri.

[27] Per la definizione di "accordo preventivo sui prezzi" si rinvia all'articolo 3, par. 15, della direttiva 2011/16/UE. In termini generali, consiste in un accordo che fissa, prima della realizzazione delle transazioni tra imprese associate, un insieme appropriato di criteri (riguardanti, per esempio, il metodo di calcolo, gli elementi comparabili, le rettifiche appropriate da apportare, le ipotesi di base riguardanti gli sviluppi futuri) per la determinazione dei prezzi di trasferimento applicati a quelle transazioni nel corso di un determinato periodo di tempo. Si vuole così evitare che le società sussidiarie di un gruppo siano considerate come compagnie indipendenti e le loro transazioni organizzate in modo tale da attribuire reddito a paesi a bassa tassazione, gonfiando arbitrariamente i prezzi di beni e servizi.

[28] Ai sensi del citato art. 2598 cc. compie atti di concorrenza sleale chiunque: usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente; diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente; si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda.

 

[29] Direttiva 2005/62/CE della Commissione del 30 settembre 2005 recante applicazione della direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le norme e le specifiche comunitarie relative ad un sistema di qualità per i servizi trasfusionali.

[30] Questo documento disciplina nel dettaglio, oltre ad alcuni principi generali (che regolano tra l'altro il sistema di qualità e le buone prassi, capitolo 1), anche il personale e l'organizzazione (capitolo 2); i locali (capitolo 3); l'equipaggiamento ed i materiali (capitolo 4); la documentazione (capitolo 5); la raccolta del sangue, le analisi e l'elaborazione (capitolo 6); la conservazione e la distribuzione (capitolo 7); la gestione delle attività esternalizzate (capitolo 8); la non conformità ed il richiamo (capitolo 9); l'autoispezione, l'audit ed i miglioramenti (capitolo 10); i monitoraggi di qualità ed il  controllo (capitolo 11).

[31] Per i principi ed orientamenti delle buone prassi di fabbricazione dei medicinali, la novella rimanda all'art. 47 della direttiva 2001/83/CE.

[32] Direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 gennaio 2003 che stabilisce norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti e che modifica la direttiva 2001/83/CE.

[33] Il Protocollo relativo alla riduzione dell'acidificazione, dell'eutrofizzazione e dell'ozono troposferico. Il Protocollo di Göteborg è uno dei tanti protocolli annessi alla Convenzione del 1979 sull'inquinamento atmosferico transfrontaliero a grande distanza (CLRTAP) a cui hanno aderito i 51 paesi della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite (UNECE), compresi gli Stati membri dell'Ue, il Canada, gli Stati Uniti e vari paesi dell'Asia centrale.

[34] Si veda al riguardo la Scheda di lettura predisposta dall'Ufficio dei Rapporti con l'Unione europea del Senato della Repubblica.

[35] Nel nostro ordinamento la materia è disciplinata dal D.Lgs. 28/2007, emanato in attuazione della delega di cui all’articolo 69-bis della L. 69/2005 (legge comunitaria per il 2005), volto a recepire la direttiva 2003/41/CE, il quale, tra gli altri, ha apportato alcune modifiche al D.Lgs. 252/2005, soprattutto per quanto attiene alle modalità gestionali dei fondi pensione.

[36] In particolare la Direttiva 2003/41/CE è stata modificata ed integrata dalle Direttive 2009/138/CE, 2010/78/UE, 2011/61/UE e 2013/14/UE

[37] L’istituto della rifusione legislativa comporta, in sostanza, un nuovo atto che integra in un unico testo le disposizioni dell’atto iniziale, le modificazioni successive subite dal medesimo e le nuove modificazioni sostanziali intervenute, sostituendosi all’atto (o agli atti) esistente.

[38] Tali disposizioni lasciano comunque impregiudicato il diritto d’inchiesta del Parlamento europeo ai sensi dell’articolo 226 del trattato sul funzionamento della UE /articolo 54).

STUD - Dossier - 504

A.S. n. 2834

 

Legge di delegazione europea 2016

 

Schede di lettura

giugno 2017


 

 

Servizio Studi

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Dossier n. 504

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Servizio Studi

Dipartimento Affari comunitari

Tel. 06 6760-9148 - st_affari_comunitari@camera.it -  @CD_europa

Progetti di legge n. 583

 

 

Ufficio Rapporti con l'Unione Europea

Tel. 06/6760-2145 - cdrue@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ID0029

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I N D I C E

 

 

Premessa. 5

Schede di lettura

Schede di lettura. 13

Articolo 1 (Delega al Governo per l'attuazione di direttive europee) 15

Articolo 2 (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell’Unione europea) 19

Articolo 3 (Delega al Governo per l’attuazione della Direttiva (UE) 2015/2436 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, nonché per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento (UE) n. 2424/2015 sul marchio europeo) 23

Articolo 4 (Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 gennaio 2016, sulla distribuzione assicurativa) 37

Articolo 5 (Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/425 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio) 43

Articolo 6 (Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/426 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sugli apparecchi che bruciano carburanti gassosi e che abroga la direttiva 2009/142/CE) 47

Articolo 7 (Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato) e che abroga la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione) 51

Articolo 8 (Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/1011 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2016, sugli indici usati come indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari o per misurare la performance di fondi di investimento e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE e del regolamento (UE) n. 596/2014) 59

Articolo 9  (Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2015/2365 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, sulla trasparenza delle operazioni di finanziamento tramite titoli e del riutilizzo e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012) 63

Articolo 10  (Criterio direttivo per l’attuazione della direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio) 67

Articolo 11   (Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2016/681 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, sull'uso dei dati del codice di prenotazione (PNR) a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi) 71

Articolo 12  (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero) 73

Allegato A

Allegato A.. 81

Direttiva (UE) 2015/1794. 83

Direttiva (UE) 2015/2302. 85

Direttiva (UE) 2016/97. 87

Direttiva (UE) 2016/343. 89

Direttiva (UE) 2016/680. 91

Direttiva (UE) 2016/681. 95

Le Direttive concernenti il quarto pacchetto ferroviario (direttiva (UE) 2016/797; direttiva (UE) 2016/798, direttiva (UE) 2016/2370) 99

Direttiva (UE) 2016/800. 113

Direttiva (UE) 2016/801. 119

Direttiva (UE) 2016/844. 121

Direttiva (UE) 2016/881. 123

Direttiva (UE) 2016/943. 125

Direttiva (UE) 2016/1034. 131

Direttiva (UE) 2016/1065. 135

Direttiva (UE) 2016/1148. 137

Direttiva (UE) 2016/1164. 141

Direttiva (UE) 2016/1214. 143

Direttiva (UE) 2016/1629. 145

Direttiva (UE) 2016/1919. 149

Direttiva (UE) 2016/2102. 151

Direttiva (UE) 2016/2284. 155

Direttiva (UE) 2016/2341. 159

 


SIWEB

Premessa

 

 

Il 19 maggio 2017 il Governo ha presentato al Senato della Repubblica il disegno di legge A.S. 2834, recante Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2016.

Il testo del disegno di legge sottoposto all'esame del Senato si compone di 12 articoli, che recano disposizioni di delega riguardanti il recepimento di 5 direttive europee nonché l’adeguamento della normativa nazionale a 6 regolamenti europei. L'Allegato A elenca invece 24 direttive, da recepire con decreto legislativo.

 

Si ricorda che la legge di delegazione europea è uno dei due strumenti di adeguamento all’ordinamento dell’Unione europea introdotti dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234, che ha attuato una riforma organica delle norme che regolano la partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea.

In base all’articolo 29 della legge n. 234 del 2012, infatti, la legge comunitaria annuale (prevista dalla legge n. 11 del 2005) è stata sostituita da due distinti provvedimenti:

· la legge di delegazione europea, il cui contenuto è limitato alle disposizioni di delega necessarie per il recepimento delle direttive e degli altri atti dell’Unione europea;

· la legge europea, che contiene norme di diretta attuazione volte a garantire l’adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento europeo, con particolare riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea[1].

Il comma 4 dell’articolo 29 prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, presenta alle Camere, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, un disegno di legge di delegazione europea, con l’indicazione dell'anno di riferimento.

Il termine per la presentazione è posto entro il 28 febbraio di ogni anno.

Il contenuto del disegno di legge di delegazione europea è stabilito all’articolo 30, comma 2, della legge n. 234 del 2012:

a)     disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa volta esclusivamente all'attuazione delle direttive europee e delle decisioni quadro da recepire nell'ordinamento nazionale, esclusa ogni altra disposizione di delegazione legislativa non direttamente riconducibile al recepimento degli atti legislativi europei;

b)     disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa, diretta a modificare o abrogare disposizioni statali vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la conformità dell'ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati all'Italia dalla Commissione europea o al dispositivo di sentenze di condanna per inadempimento emesse della Corte di giustizia dell'Unione europea;

c)     disposizioni che autorizzano il Governo a recepire le direttive in via regolamentare;

d)     delega legislativa al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea;

e)     delega legislativa al Governo limitata a quanto necessario per dare attuazione a eventuali disposizioni non direttamente applicabili contenute in regolamenti europei;

f)      disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per l'emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni UE recepite dalle regioni e dalle province autonome;

g)     disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per recepire o per assicurare l'applicazione di atti dell'Unione europea nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione;

h)     disposizioni che, nell'ambito del conferimento della delega legislativa per il recepimento o l'attuazione degli atti di cui alle lettere a), b) ed e), autorizzano il Governo a emanare testi unici per il riordino e per l'armonizzazione di normative di settore, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome;

i)      delega legislativa al Governo per l'adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati.

 

Nell’esercizio delle deleghe legislative conferite, il Governo è tenuto al rispetto dei principi e criteri generali di delega[2], nonché degli specifici principi e criteri direttivi aggiuntivi eventualmente stabiliti dalla legge di delegazione europea, come previsto all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012.

 

Ai sensi dell’articolo 29, comma 7, il Governo deve inoltre dare conto dell’eventuale omesso inserimento delle direttive il cui termine di recepimento è scaduto o scade nel periodo di riferimento, considerati i tempi previsti per l’esercizio della delega, e fornire dati sullo stato delle procedure di infrazione, l’elenco delle direttive recepite o da recepire in via amministrativa, l’elenco delle direttive recepite con regolamento e l’elenco dei provvedimenti con i quali le singole regioni e province autonome hanno provveduto a recepire direttive nelle materie di loro competenza. Tutte queste informazioni sono contenute nella articolata ed estesa relazione illustrativa[3] che precede il testo del disegno di legge.

Si fa, inoltre, presente che, successivamente all’entrata in vigore della legge n. 234 del 2012, sono state approvate 4 leggi di delegazione europea, di cui 2 riferite all’anno 2013 e una rispettivamente agli anni 2014 e 2015.

La legge di delegazione europea 2013 (legge 6 agosto 2013, n. 96) è composta da 13 articoli e tre allegati, ed ha conferito al Governo deleghe legislative per il recepimento di 40 direttive, il coordinamento della normativa nazionale alle rettifiche di 5 direttive e l’adeguamento a 2 regolamenti.

La legge di delegazione europea 2013 - secondo semestre (legge 7 ottobre 2014, n. 154) consta di 9 articoli e due allegati e conferisce al Governo deleghe legislative per il recepimento di 19 direttive, l’attuazione di 2 decisioni quadro, l'adeguamento a un regolamento (UE) e l'adozione di un testo unico.

La legge di delegazione europea 2014 (legge 9 luglio 2015, n. 114), che consta di 21 articoli e due allegati, reca disposizioni di delega per il recepimento di 58 direttive europee, per l'adeguamento della normativa nazionale a 6 regolamenti (UE), nonché per l'attuazione di 10 decisioni quadro.

Da ultimo, la legge 12 agosto 2016, n. 170 (legge di delegazione europea 2015) si articola in 21 articoli e due allegati, conferendo deleghe per il recepimento di 7 regolamenti, 16 direttive, una raccomandazione del Comitato europeo per il rischio sistemico ed una decisione quadro GAI. L'articolo 7 contiene, inoltre, una delega generale per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni dell'Unione europea e agli accordi internazionali in materia di prodotti e tecnologia a duplice uso, di sanzioni ed embarghi commerciali, di commercio di strumenti di tortura e per ogni tipologia di operazione di esportazione di materiali proliferanti.

 

Segue un elenco di tutti gli atti legislativi dell'UE contenuti nella legge di delegazione europea 2016, con l'indicazione della parte del disegno di legge in cui vengono disciplinati (articolato o Allegato A).


 

 

Tabella I -Elenco degli atti legislativi dell'unione europea contenuti nel disegno di legge

Atto UE

Collocazione

Regolamento (UE) 596/2014

Articolo 7

Regolamento (UE) 2015/2365

Articolo 9

Regolamento (UE) 2015/2424

Articolo 3

Regolamento (UE) 2016/425

Articolo 5

Regolamento (UE) 2016/426

Articolo 6

Regolamento (UE) 2016/1011

Articolo 8

Direttiva (UE) 2015/720

Articolo 12

Direttiva (UE) 2015/1794

Allegato A (n. 1)

Direttiva (UE) 2015/2302

Allegato A (n. 2)

Direttiva (UE) 2015/2436

Articolo 3

Direttiva (UE) 2016/97

Articolo 4 e Allegato A (n. 3)

Direttiva (UE) 2016/343

Allegato A (n. 4)

Direttiva (UE) 2016/680

Articolo 10 e Allegato A (n. 5)

Direttiva (UE) 2016/681

Articolo 11 e Allegato A (n. 6)

Direttiva (UE) 2016/797

Allegato A (n. 7)

Direttiva (UE) 2016/798

Allegato A (n. 8)

Direttiva (UE) 2016/800

Allegato A (n. 9)

Direttiva (UE) 2016/801

Allegato A (n. 10)

Direttiva (UE) 2016/844

Allegato A (n. 11)

Direttiva (UE) 2016/881

Allegato A (n. 12)

Direttiva (UE) 2016/943

Allegato A (n. 13)

Direttiva (UE) 2016/1034

Allegato A (n. 14)

Direttiva (UE) 2016/1065

Allegato A (n. 15)

Direttiva (UE) 2016/1148

Allegato A (n. 16)

Direttiva (UE) 2016/1164

Allegato A (n. 17)

Direttiva (UE) 2016/1214

Allegato A (n. 18)

Direttiva (UE) 2016/1629

Allegato A (n. 19)

Direttiva (UE) 2016/1919

Allegato A (n. 20)

Direttiva (UE) 2016/2102

Allegato A (n. 21)

Direttiva (UE) 2016/2284

Allegato A (n. 22)

Direttiva (UE) 2016/2341

Allegato A (n. 23)

Direttiva (UE) 2016/2370

Allegato A (n. 24)

 


 

Tabella II - Regolamenti per anno di emanazione

Regolamenti

Anno di emanazione

Totale (6)

§  (UE) n. 596/2014

2014

1

§  (UE) n. 2015/2365

§  (UE) n. 2015/2424

2015

2

§  (UE) n. 2016/425

§  (UE) n. 2016/426

§  (UE) n. 2016/1011

2016

3

 

Tabella III - direttive per anno di emanazione

Direttive

Anno di emanazione

Totale (26)

§  (UE) 2015/720

§  (UE) 2015/1794

§  (UE) 2015/2302

§  (UE) 2015/2436

2015

4

§  (UE) 2016/97

§  (UE) 2016/343

§  (UE) 2016/680

§  (UE) 2016/681

§  (UE) 2016/797

§  (UE) 2016/798

§  (UE) 2016/800

§  (UE) 2016/801

§  (UE) 2016/844

§  (UE) 2016/881

§  (UE) 2016/943

§  (UE) 2016/1034

§  (UE) 2016/1065

§  (UE) 2016/1148

§  (UE) 2016/1164

§  (UE) 2016/1214

§  (UE) 2016/1629

§  (UE) 2016/1919

§  (UE) 2016/2102

§  (UE) 2016/2284

§  (UE) 2016/2341

§  (UE) 2016/2370

2016

22

 

 

Tabella IV - direttive per termine di recepimento

Direttive

Termine di recepimento

Totale (26)

§  (UE) 2015/720

§  (UE) 2016/881

Fino al 15 giugno 2017

2

§  (UE) 2015/1794

§  (UE) 2016/844

§  (UE) 2016/1034

Tra il 16 giugno e il 31 dicembre 2017

3

§  (UE) 2015/2302

§  (UE) 2016/97

§  (UE) 2016/343

§  (UE) 2016/680

§  (UE) 2016/681

§  (UE) 2016/801

§  (UE) 2016/943

§  (UE) 2016/1065

§  (UE) 2016/1148

§  (UE) 2016/1164

§  (UE) 2016/1214

§  (UE) 2016/1629

§  (UE) 2016/2102

§  (UE) 2016/2284

§  (UE) 2016/2370

Tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2018

15

§  (UE) 2015/2436

§  (UE) 2016/797

§  (UE) 2016/798

§  (UE) 2016/800

§  (UE) 2016/1919

§  (UE) 2016/2341

Dopo il 1° gennaio 2019

6

 

Ai sensi dell’articolo 32, comma 1, della legge n. 234 del 2012, il disegno di legge di delegazione europea 2016 stabilisce - con riferimento ad alcuni atti dell’Unione europea - specifici principi e criteri direttivi cui il Governo deve attenersi nell’esercizio della delega, in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare e a quelli generali di delega, richiamati alle lettere da a) a i) del citato comma 1.

In particolare, sono stati introdotti principi e criteri direttivi specifici di delega riferiti ai seguenti atti:

 

Direttive:

·       (UE) 2015/2346 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi di impresa (articolo 3);

·    (UE) 2016/97 sulla distribuzione assicurativa (articolo 4);

·    (UE) 2016/680 relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti ai fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali (articolo 10);

·    (UE) 2016/681 sull'uso dei dati del codice di prenotazione (PNR) ai fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi (articolo 11);

·    (UE) 2015/720 sulla riduzione dell'utilizzo di plastica in materiale leggero (articolo 12).

 

Regolamenti:

·       (UE) 2015/2424 sul marchio comunitario (articolo 3);

·    (UE) 2016/425 sui dispositivi di protezione individuale (articolo 5);

·    (UE) 2016/426 sugli apparecchi che bruciano carburanti gassosi (articolo 6);

·    (UE) 596/2014 relativo agli abusi di mercato (articolo 7);

·    (UE) 2016/1011 sugli indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari (articolo 8);

·    (UE) 2015/2365 sulla trasparenza delle operazioni di finanziamento tramite titoli e del riutilizzo (articolo 9).

 

 

Il presente dossier contiene le schede di lettura riferite ai singoli articoli del disegno di legge di delegazione europea 2016 e una descrizione delle direttive elencate nell'Allegato A.

 


Schede di lettura


Articolo 1
(Delega al Governo per l'attuazione di direttive europee)

 

 

Il comma 1 dell’articolo 1 reca la delega al Governo per l’attuazione delle direttive elencate nell'allegato A.

 

L’allegato A elenca ventiquattro direttive da recepire con decreto legislativo, il cui testo deve essere preliminarmente sottoposto all'esame delle competenti Commissioni parlamentari per l'espressione di un parere.

Si tratta - specifica la relazione illustrativa del disegno di legge - di tutte le direttive UE pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea successivamente alla data di approvazione in prima lettura del disegno di legge annuale di delegazione europea 2015[4] e per la cui attuazione sono necessarie norme di rango primario.

 

Per quanto riguarda i termini, le procedure, i princìpi e i criteri direttivi della delega, il citato comma 1 rinvia alle disposizioni previste dagli articoli 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234.

 

L’articolo 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012 dispone che il termine per l’esercizio delle deleghe conferite al Governo con la legge di delegazione europea sia di quattro mesi antecedenti il termine di recepimento indicato in ciascuna delle direttive[5]. Per le direttive il cui termine così determinato sia già scaduto alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea, o scada nei tre mesi successivi, la delega deve essere esercitata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Per le direttive che non prevedono un termine di recepimento, il termine per l’esercizio della delega è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea.

L’articolo 31, comma 5, della legge n. 234 del 2012 prevede inoltre che il Governo possa adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in base alla delega conferita con la legge di delegazione entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, sempre nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla legge stessa.

L’articolo 32 della legge n. 234 del 2012 detta i seguenti princìpi e criteri direttivi generali di delega:

a)      le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti;

b)      ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, anche attraverso il riassetto e la semplificazione della normativa;

c)       gli atti di recepimento di direttive dell'Unione europea non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse (c.d. gold plating);

d)      ove necessario, al fine di assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. In ogni caso le sanzioni penali sono previste "solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti";

e)       al recepimento di direttive o di altri atti che modificano precedenti direttive o di atti già attuati con legge o con decreto legislativo si procede apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione;

f)        nella redazione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;

g)      quando si verificano sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, l’efficacia e la trasparenza dell’azione amministrativa, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e delle competenze delle regioni e degli enti territoriali;

h)      le direttive che riguardano le stesse materie o che comunque comportano modifiche degli stessi atti normativi vengono attuate con un unico decreto legislativo, compatibilmente con i diversi termini di recepimento;

i)        è sempre assicurata la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea e non può essere previsto in ogni caso un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani.

 

Il comma 2 dell’articolo 1 prevede che gli schemi di decreto legislativo recanti attuazione delle direttive incluse nell’allegato A siano sottoposti al parere delle competenti Commissioni parlamentari.

 

La disposizione segue lo schema procedurale disciplinato in via generale dall’articolo 31, comma 3, della legge 234 del 2012. Esso prevede che gli schemi di decreto legislativo, una volta acquisiti gli altri pareri previsti dalla legge, siano trasmessi alle Camere per l’espressione del parere e che, decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti siano emanati anche in mancanza del parere.

Qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare scada nei trenta giorni che precedono il termine per l’esercizio della delega o successivamente, il termine per la delega è prorogato di tre mesi. Si intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l’eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni emerse in sede parlamentare.

Il comma 9 del medesimo articolo 31 prevede altresì che ove il Governo non intenda conformarsi ai pareri espressi dagli organi parlamentari relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi, ritrasmette i testi alle Camere, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.

 

Il comma 3 dell’articolo in esame dispone che eventuali spese non contemplate dalla legislazione vigente che non riguardano l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi attuativi delle direttive di cui all'Allegato A esclusivamente nei limiti necessari per l’adempimento degli obblighi di attuazione dei medesimi provvedimenti.

Alla copertura degli oneri recati dalle spese eventualmente previste nei decreti legislativi attuativi, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, qualora non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del Fondo per il recepimento della normativa europea, di cui all’articolo 41-bis della legge n. 234/2012.

 

Il Fondo per il recepimento della normativa europea è stato istituito dalla legge 29 luglio 2015, n. 115 (Legge europea 2014) attraverso l’introduzione dell'articolo 41-bis della legge 234/2012, al fine di consentire il tempestivo adeguamento dell'ordinamento interno agli obblighi imposti dalla normativa europea, nei soli limiti occorrenti per l'adempimento di tali obblighi e soltanto in quanto non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni dalla legislazione vigente.

Il Fondo aveva una dotazione iniziale di 10 milioni di euro per il 2015 e di 50 milioni annui a partire dal 2016.

Il comma 810 dell’articolo unico della legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208) ha previsto che la dotazione di tale Fondo sia ulteriormente incrementata di 50 milioni di euro per l'anno 2016 e di 100 milioni di euro annui per il periodo 2017-2020. Il comma 813 della medesima legge ha posto a carico del Fondo il pagamento degli oneri finanziari derivanti dall'esecuzione delle sentenze di condanna inflitte dalla Corte di giustizia dell'Unione europea a carico dell'Italia (articolo 43, comma 9-bis, della legge n. 234/2012). Viene inoltre specificato che "a fronte dei pagamenti effettuati, il Ministero dell'economia e delle finanze attiva il procedimento di rivalsa a carico delle amministrazioni responsabili delle violazioni che hanno determinato le sentenze di condanna, anche con compensazione con i trasferimenti da effettuare da parte dello Stato in favore delle amministrazioni stesse".

Si segnala, infine, che l'articolo 36 della legge europea 2015-2016 (legge 7 luglio 2016, n. 122) ha incrementato il fondo di cui all’articolo 156, comma 10, del Codice in materia di protezione dei dati personali (D. Lgs. n. 196/ 2003), al fine di assicurare il funzionamento del Garante per la protezione dei dati personali e il regolare svolgimento dei poteri di controllo ad esso affidati dalla normativa dell’Unione europea. La disposizione prevede che a tale onere si provveda mediante la corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 41-bis, comma 1, della legge 234/2012, nella misura di 12 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017.

 

Lo stesso comma 3 prevede inoltre che, in caso di incapienza del Fondo per il recepimento della normativa europea, i decreti legislativi attuativi delle direttive dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie, in conformità all'articolo 17, comma 2, della legge di contabilità e finanza pubblica (legge 31 dicembre 2009, n. 196).

 

Il comma 2 dell’articolo 17 della legge n. 196/2009 ha introdotto specifiche disposizioni relative alla copertura degli oneri recati dall’attuazione di deleghe legislative. In particolare, è espressamente sancito il principio in base al quale le leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura finanziaria necessari per l’adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, a tale quantificazione si procede al momento dell’adozione dei singoli decreti.

A tal fine, si dispone, in primo luogo, che ciascuno schema di decreto sia corredato di una relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo provvedimento ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura. In secondo luogo, la norma dispone che l’individuazione dei mezzi di copertura deve in ogni caso precedere l’entrata in vigore dei decreti medesimi, subordinando l’emanazione dei decreti legislativi alla previa entrata in vigore degli atti legislativi recanti lo stanziamento delle relative risorse finanziarie.

 

È altresì previsto il parere delle Commissioni parlamentari competenti anche per i profili finanziari sugli schemi dei decreti legislativi in questione, come richiesto dall'articolo 31, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, che disciplina le procedure per l'esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea.

 

In particolare, il citato comma 4 dell’articolo 31 prevede che gli schemi dei decreti legislativi recanti recepimento delle direttive che comportino conseguenze finanziarie sono corredati della relazione tecnica, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge di contabilità pubblica (legge n. 196/2009). Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi d'informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.

 


Articolo 2
(Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell’Unione europea)

 

 

L'articolo 2 conferisce al Governo, ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 234 del 2012, una delega biennale per l'emanazione di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi discendenti da precetti europei non trasfusi in leggi nazionali. Può trattarsi di direttive attuate in via regolamentare o amministrativa, quindi trasposte con fonti secondarie, come tali inidonee a istituire sanzioni penali. Può, infine, altresì trattarsi di violazioni di regolamenti dell'Unione europea.

La delega è conferita per gli atti pubblicati a partire dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea 2016, per i quali non siano già previste sanzioni.

 

Gli atti legislativi dell'Unione europea non introducono né disciplinano di norma sanzioni, rimandando invece agli ordinamenti nazionali, in virtù della netta diversità dei sistemi giuridici nazionali.

 

La disposizione è analoga a quella contenuta nelle leggi di delegazione europea relative agli anni precedenti. Risponde all'esigenza di prevedere con fonte normativa interna di rango primario - atta ad introdurre norme di natura penale o amministrativa nell’ordinamento nazionale - l'eventuale disciplina sanzionatoria necessaria all’attuazione di direttive in via regolamentare o amministrativa. La stessa necessità si ravvisa per eventuali sanzioni da introdurre per violazione di norme contenute in regolamenti dell’Unione europea che, come è noto, non richiedono leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale.

La finalità dell’articolo è pertanto quella di consentire al Governo, fatte salve le norme penali vigenti, di introdurre sanzioni volte a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative dell’Unione europea, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni vengono trasposte nell’ordinamento interno.

 

L’articolo 33 della legge n. 234 del 2012 individua la delega stessa come contenuto proprio della legge di delegazione europea. Il comma 2 dell’art. 33 prevede che i decreti legislativi siano adottati, in base all'art. 14 della legge n. 400 del 1988[6], su proposta del Presidente del Consiglio o del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia

La tipologia e la scelta delle sanzioni deve essere effettuata, oltre che secondo i princìpi e i criteri direttivi generali indicati all’articolo 32, comma 1, lettera d), della legge n. 234 del 2012, secondo quelli specifici eventualmente indicati nella legge di delegazione europea.

La citata lettera d) dell’articolo 32, comma 1, della legge n. 234 del 2012 indica i principi e criteri di delega per l’adozione della disciplina sanzionatoria corrispondente. In particolare, al di fuori dei casi previsti dalla norme penali vigenti, al fine di assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, possono essere previste sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi è prevista la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. In luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere anche previste le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo n. 274 del 2000, e la relativa competenza del giudice di pace. Tali sanzioni consistono nell’obbligo di permanenza domiciliare, nel divieto di accesso a luoghi determinati e nello svolgimento di lavori di pubblica utilità (su richiesta dell’imputato). È altresì prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. L’entità delle sanzioni è determinata tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, con particolare riguardo a quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste inoltre le sanzioni amministrative accessorie della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi, della privazione definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione, nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti dal codice penale. Sempre al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria delle cose utilizzate per commettere l'illecito amministrativo o il reato previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti dall'articolo 240, commi 3 e 4, del codice penale e dall'articolo 20 della legge n. 689 del 1981. Entro i limiti di pena indicati sono previste sanzioni anche accessorie identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto a quelle previste nei decreti legislativi. Infine, nelle materie di cui all'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni.

 

Sugli schemi di decreto legislativo adottati in virtù della delega conferita dal presente articolo è prevista l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari, secondo le modalità previste dal comma 3 del citato articolo 33.

 


Articolo 3
(Delega al Governo per l’attuazione della Direttiva (UE) 2015/2436 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, nonché per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento (UE) n. 2424/2015 sul marchio europeo)

 

 

L’articolo 3 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per l’attuazione della Direttiva (UE) n. 2015/2436, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, nonché per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento (UE) n. 2424/2015 sul marchio d’impresa dell’UE (comma 1).

 

Si ricorda che il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea TFUE (articolo 118) prevede che nell'ambito dell'instaurazione o del funzionamento del mercato interno, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscano misure per la creazione di titoli europei al fine di garantire una protezione uniforme dei diritti di proprietà intellettuale nell'Unione e per l'istituzione di regimi di autorizzazione, di coordinamento e di controllo centralizzati a livello di Unione.

Sulla base di tale previsione, il Regolamento (CE) n. 40/94, codificato nel 2009 come Regolamento (CE) n. 207/2009, ha creato un sistema specifico di protezione del marchio per l'Unione europea, in parallelo alla protezione dei marchi già disponibile a livello degli Stati membri in conformità ai rispettivi sistemi nazionali di protezione (i marchi, infatti, come rileva l’Analisi d’Impatto della Regolamentazione -AIR del provvedimento in esame, sono diritti territoriali: essi, dunque, garantiscono protezione dei loro proprietari nel territorio del paese o dei paesi interessati[7]).

Il Regolamento del 2009 sul marchio europeo è stato recentemente modificato dal Regolamento (UE) n. 2424/2015. Tale regolamento ha introdotto importanti innovazioni, per ciò che concerne i segni idonei a costituire marchio UE, lo snellimento delle procedure per la registrazione del marchio UE, e la riorganizzazione dell’«Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli)» che è stato sostituito con «Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale» (UIPO).

Parallelamente, i sistemi nazionali di protezione dei marchi all’interno dei diversi Stati dell’UE sono stati armonizzati dalla Direttiva 89/104/CEE del Consiglio, poi codificata come Direttiva 2008/95/CE. Le Direttive in questione hanno trovato recepimento in Italia con il Decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, come modificato dal Decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 131.

La recente Direttiva (UE) 2015/2436 mira ad un più stringente ravvicinamento delle legislazioni sostanziali e procedurali degli Stati membri in materia di marchi di impresa, muovendosi in sostanziale simmetria con le modifiche adottate con il Regolamento (UE) n. 2424/2015 relativo al marchio d’impresa UE. A tal fine, la nuova Direttiva abroga, a decorrere dal 15 gennaio 2019, la pregressa Direttiva 2008/95/CE.

Scopo della Direttiva di armonizzazione - mette in evidenza l’AIR al provvedimento in esame - è quello di garantire che i marchi nazionali registrati tramite gli uffici per la proprietà industriale degli Stati membri siano soggetti alle stesse norme sostanziali in termini di registrabilità ed alle stesse condizioni di protezione in base alle leggi di tutti gli Stati Membri.

Insieme al Regolamento (UE) n. 2424/2015, la Direttiva (UE) 2015/2436 costituisce dunque il cd. “pacchetto marchi”, ossia l’intervento normativo voluto dal legislatore europeo non soltanto per armonizzare tra loro gli ordinamenti degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, ma anche per rendere il più possibile omogenei gli ordinamenti nazionali e quella parte di ordinamento europeo che disciplina in maniera diretta il “marchio dell’Unione europea”, ossia il titolo di proprietà industriale rilasciato dall’EUIPO (Ufficio europeo per la proprietà intellettuale) che ha effetto in tutti gli Stati membri.

 

Ai sensi dell’articolo in esame, i decreti legislativi delegati debbono essere adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia e dell'economia e delle finanze (comma 2).

Nell’attuazione della delega, che deve essere esercitata entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, il Governo è tenuto a seguire, oltre alle procedure generali per l'esercizio delle deleghe legislative conferite con la legge di delegazione europea delineate nell’articolo 31 della legge n. 234/2012, e ai principi e criteri generali di delega per l'attuazione del diritto dell'Unione europea contenuti nell’articolo 32 della legge n. 234/2012 (comma 1), anche i seguenti principi e criteri direttivi (comma 3):

a)     adeguare le disposizioni del Codice della proprietà industriale (D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30) alle previsioni della Direttiva 2015/2436 e del Regolamento (UE) 2424/2015, con abrogazione espressa delle disposizioni superate;

b)     salvaguardare la possibilità di adottare disposizioni attuative della Direttiva 2015/2436, anche attraverso decreti ministeriali di natura regolamentare di cui all’articolo 17, comma 3, della legge n. 400/1988, nelle materie non coperte da riserva di legge e già disciplinate attraverso regolamenti, compreso l’eventuale aggiornamento delle norme contenute nel Regolamento attuativo del Codice della proprietà industriale (D.M. 13 gennaio 2010, n. 33).

L’articolo 17 della legge n. 400/1988 disciplina i regolamenti, prevedendo al comma 2 che con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

Il comma 3 del medesimo articolo 17 dispone che con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del Ministro o di autorità sottordinate al Ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione con legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione;

c)     introdurre, conformemente alla Direttiva 2015/2436, i casi in cui un marchio debba essere escluso dalla registrazione o, se registrato, debba essere dichiarato nullo o decaduto, sia in relazione agli impedimenti alla registrazione e ai motivi di nullità, sia in relazione all’individuazione dei segni suscettibili di costituire un marchio d’impresa.

Si prevede dunque l’adeguamento della disciplina nazionale alla nuova disciplina europea per ciò che concerne i motivi di decadenza. Si richiama, in particolare, in proposito, la Direttiva 2015/2436 nella parte in cui essa prevede (articolo 16) che, nel caso in cui l’uso del marchio venga contestato in azioni in sede giudiziaria o amministrativa o nel corso di un procedimento di opposizione, grava sul titolare del marchio anteriore l’onere di provarne l’uso effettivo per i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato e su cui si fonda l’azione ovvero gravi su di esso l’onere di provare la sussistenza di motivi legittimi per il suo mancato uso, nei termini temporali indicati dalla Direttiva stessa (agli articoli 17, 44 e 46, cfr. sul punto, infra, il Box sulla disciplina contenuta nella Direttiva).

Per ciò che concerne la decadenza, la Direttiva n. 2015/2436, all’articolo 19, dispone che un marchio di impresa è suscettibile di decadenza se, entro un periodo ininterrotto di cinque anni, esso non ha formato oggetto di uso effettivo nello Stato membro interessato, a meno che non sussistano motivi legittimi per il suo mancato uso[8].

La Direttiva inoltre dispone, all’articolo 17, che il titolare di un marchio d'impresa ha il diritto di vietare l'uso di un segno solo nella misura in cui non possa essere incorso nella decadenza dai suoi diritti nel momento in cui è avviata l'azione per contraffazione. Nell’ambito dell’azione di contraffazione intentata dal titolare del marchio stesso, questi, su richiesta del convenuto, ha l’onere di provare l’effettivo uso del marchio nei cinque anni precedenti l’avvio dell’azione, o che sussistono motivi legittimi per il suo mancato uso.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 44, nei procedimenti di opposizione, è in capo all’opponente l’onere della prova dell’effettivo uso del proprio marchio anteriore.

Anche nei procedimenti per nullità, è in capo all’opponente, ai sensi dell’articolo 46, l’onere della prova dell’effettivo uso del proprio marchio anteriore.

Con il principio e criterio direttivo di cui alla lettera c) sopra indicato e con il successivo principio di cui alla lettera g) (cfr. infra), si provvede ad armonizzare nell’ordinamento interno i diversi istituti amministrativi e quello giurisdizionale sotto il profilo probatorio, con un ampliamento degli istituti di ricorso amministrativo in caso di decadenza e nullità nonché ad adeguare, sempre sotto il profilo probatorio, i medesimi istituti nazionali con gli analoghi istituti previsti da Regolamento (UE) n. 2424/2015 per il marchio d’impresa UE.

Come ricorda l’AIR, in Italia, dal luglio 2011 è attiva presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi UIBM la procedura amministrativa di opposizione alla registrazione dei marchi nei termini e con le modalità di cui all’art. 174 e ss. del codice della proprietà industriale (D.Lgs. n. 30/2005). La legislazione vigente non prevede tuttavia una procedura amministrativa per chiedere l’annullamento di un marchio illegittimamente registrato o l’accertamento della decadenza di un marchio. In tali casi, è possibile agire esclusivamente in via giurisdizionale nelle forme previste dagli artt. 117 e ss. del Codice della proprietà industriale.

 

d)    prevedere conformemente alla Direttiva n. 2015/2436 il diritto di vietare l’uso di un segno a fini diversi da quello di contraddistinguere prodotti o servizi;

  La relazione illustrativa afferma in proposito che in ciò la direttiva del 2015 non è innovativa rispetto a quella del 2008, ma tale principio non è stato recepito dal legislatore nazionale del 2010, pur essendo già acquisito dalla giurisprudenza.

  Poiché tale principio è comunque riconosciuto da altri ordinamenti, il suo inserimento nel CPI mira ad aumentare la tutela riconosciuta al marchio registrato e al suo titolare ed è funzionale ad evitare possibili discriminazioni.

e)     uniformare la disciplina dei marchi collettivi alle disposizioni in materia contenute nella della Direttiva (UE) 2015/2436, prevedendo che costituiscano marchi collettivi anche i segni e le indicazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi e stabilendo le opportune disposizioni di coordinamento con la disciplina dei marchi di garanzia e di certificazione.

Il legislatore nazionale, dunque, esercita la facoltà consentita dalla Direttiva (UE) n. 2015/2436, la quale, agli articoli 28 e 29, consente agli Stati membri la facoltà di disporre che i segni o le indicazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi costituiscano marchi di garanzia o di certificazione ovvero costituiscano marchi collettivi.

f)      prevedere, in tema di marchi di garanzia o di certificazione, l’adeguamento della normativa nazionale alla direttiva 2015/2436 e al Regolamento n. 2424/2015, ed in particolare:

1) prevedere che i segni e le indicazioni che, nel commercio, possano servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi, costituiscano marchi di garanzia o di certificazione.

Si noti che la Direttiva diverge parzialmente rispetto al Regolamento Ue sul marchio di certificazione comunitario, per cui è esplicitamente esclusa la provenienza geografica come elemento idoneo a qualificare il marchio di certificazione UE (articolo 74-bis Regolamento UE n. 207/2009, come inserito dal Regolamento n. 2015/2424).

Mentre, per il marchio collettivo UE possono essere usati segni o indicazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi (articolo 66).

2) prevedere che possano essere titolari di un marchio di certificazione o garanzia le persone fisiche o giuridiche competenti, ai sensi della vigente normativa, a certificare i prodotti o i servizi per i quali il marchio deve essere registrato, a condizione che non svolgano un’attività che comporta la fornitura di prodotti o servizi del tipo certificato;

3) prevedere l’obbligatorietà della presentazione del regolamento d’uso del marchio di garanzia o di certificazione e della comunicazione di ogni successiva modifica, a pena di decadenza.

Si ricorda, in proposito, che la Direttiva 2015/2436 dispone come obbligatoria la presentazione da parte del richiedente un marchio collettivo del relativo regolamento d’uso, in cui debbono quantomeno essere indicate le persone autorizzate a usare il marchio e le relative condizioni di appartenenza all’associazione e di utilizzo, comprese le sanzioni (articolo 30). E’ poi disciplinato il rigetto della domanda (che interviene se non soddisfa la definizione di marchio collettivo, o per assenza di regolamento d’uso o per contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume del regolamento stesso). La direttiva specifica che la domanda è respinta se il pubblico rischia di essere indotto in errore circa il carattere o il significato del marchio, in particolare quando questi non sembri un marchio collettivo (articoli 31-33). Quanto ai motivi di decadenza, oltre al non uso e alla subentrata genericità del marchio, sono enunciati dalla Direttiva i seguenti ulteriori motivi:

il titolare non adotta misure ragionevoli per prevenire un'utilizzazione del marchio incompatibile con le condizioni del regolamento d'uso;

il modo di utilizzo del marchio rischia di indurre in errore il pubblico circa il carattere significativo del marchio stesso;

la modifica del regolamento d'uso del marchio non è conforme alle condizioni previste, a meno che non vi sia una nuova modifica (articolo 36).

4) prevedere le condizioni di esclusione dalla registrazione, di decadenza e di nullità dei marchi di garanzia o di certificazione, per motivi diversi da quelli indicati dalla direttiva (UE) 2015/2436 (agli articoli 4, 19 e 20), nella misura in cui la funzione di detti marchi lo richieda ed in particolare che la decadenza per non uso sia accertata in caso di inadeguato controllo sull’impiego del marchio da parte dei licenziatari ed in caso di uso improprio o discriminatorio del marchio da parte del titolare del marchio.

 La Direttiva enuncia all’articolo 4 gli impedimenti alla registrazione e i motivi di nullità assoluti.

Ai sensi di tale articolo, sono esclusi dalla registrazione o, se registrati, possono essere dichiarati nulli:

a) i segni che non possono costituire un marchio d'impresa;

b) i marchi d'impresa privi di carattere distintivo;

c) i marchi d'impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che nel commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l'epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio;

d) i marchi d'impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che siano divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi leali e costanti del commercio;

e) i segni costituiti esclusivamente:

i) dalla forma, o altra caratteristica, imposta dalla natura stessa del prodotto;

ii) dalla forma, o altra caratteristica, del prodotto, necessaria per ottenere un risultato tecnico;

iii) dalla forma, o altra caratteristica, dei prodotti, che dà un valore sostanziale al prodotto;

f) i marchi d'impresa contrari all'ordine pubblico o al buon costume;

g) i marchi d'impresa che possono indurre in errore il pubblico, per esempio circa la natura, la qualità o la provenienza geografica del prodotto o del servizio;

h) i marchi d'impresa che, in mancanza di autorizzazione delle autorità competenti, devono essere esclusi dalla registrazione o dichiarati nulli a norma dell'articolo 6 ter della convenzione di Parigi;

i) i marchi d'impresa che sono esclusi dalla registrazione - conformemente alla legislazione dell'Unione, al diritto nazionale dello Stato membro interessato o ad accordi internazionali di cui l'Unione o lo Stato membro interessato è parte - relativi alla protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche;

j) i marchi d'impresa esclusi dalla registrazione conformemente alla legislazione dell'Unione relativa alla protezione delle menzioni tradizionali per i vini o ad accordi internazionali in materia di cui l'Unione è parte;

k) i marchi d'impresa esclusi dalla registrazione conformemente alla legislazione dell'Unione relativa alla protezione delle specialità tradizionali garantite o ad accordi internazionali in materia di cui l'Unione è parte;

l) i marchi d'impresa che sono costituiti da o che riproducono nei loro elementi essenziali una denominazione di varietà vegetale anteriore registrata ai sensi della legislazione dell'Unione, del diritto nazionale dello Stato membro interessato o di accordi internazionali di cui l'Unione o lo Stato membro interessato è parte, relativi alla protezione della privativa per varietà vegetali e che riguardano varietà vegetali della stessa specie o di specie apparentate.

Le lettere da i) ad l) costituiscono una novità della Direttiva, simmetrica alle novità introdotte dal “Regolamento Marchi” n. 2424/2015, (cfr. considerando n. 15 della Direttiva).

 

Si ricorda inoltre che tra i motivi di decadenza la Direttiva prevede la mancanza di uso effettivo del marchio (articolo 19). La Direttiva contempla inoltre il marchio d'impresa divenuto generico l’indicazione ingannevole come motivo di decadenza (articolo 20).

 

g)    fatto salvo il diritto delle parti al ricorso davanti agli organi giurisdizionali, dovrà prevedersi una procedura amministrativa efficiente e rapida per la decadenza o la dichiarazione di nullità di un marchio d’impresa, da espletare dinanzi l’Ufficio italiano brevetti e marchi, soggetta al pagamento dei diritti di deposito delle relative domande, nei termini e con le modalità stabiliti dal decreto previsto dall’articolo 226 del Codice della proprietà industriale (CPI), la cui omissione determini l’irricevibilità delle domande stesse

L’articolo 226 CPI demanda ad un decreto del Ministro delle attività produttive la determinazione dei termini e delle modalità per il pagamento dei diritti e delle tasse di concessione governativa. In attuazione di tale previsione è stato adottato il D.M. 11 maggio 2011.

h)     modificare e integrare la disciplina delle procedure dinanzi alla Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell’Ufficio italiano brevetti e marchi, al fine di garantirne l’efficienza e la rapidità complessive, anche in riferimento alle impugnazioni dei provvedimenti in tema di decadenza e nullità.

La relazione illustrativa afferma, in proposito, la necessità di adeguare la sommaria procedura vigente alle disposizioni generali del codice di procedura civile in tema di ammissibilità e presentazione delle domande, certezza dei termini e clausole di preclusione, anche in considerazione dell’incremento dei motivi di ricorso conseguenti all’introduzione delle procedure amministrative di decadenza e nullità, che saranno impugnabili davanti alla Commissione.

 

La Direttiva (UE) 2015/2436

La Direttiva n. 2015/2436 (testo per rifusione della pregressa direttiva 2008/95/UE) sancisce il principio per cui l'acquisizione e la conservazione del diritto sul marchio d'impresa registrato debbano essere in linea di massima subordinate, in tutti gli Stati membri, alle stesse condizioni (considerando n. 12).

Si prefigge pertanto di ravvicinare non solo le disposizioni di diritto sostanziale, ma anche le principali norme procedurali in materia di registrazione del marchio d'impresa degli Stati membri, in simmetria con il sistema del marchio UE come riformato dal Regolamento (UE) 2424/2015 (considerando n. 9).

Quanto all’ambito di applicazione della Direttiva, esso è costituito da tutti i marchi d'impresa relativi a prodotti o servizi oggetto di una registrazione o di una domanda di registrazione come marchi d'impresa individuali, marchi di garanzia o di certificazione, ovvero marchi collettivi in uno Stato membro o presso l'ufficio Benelux per la proprietà intellettuale o che sono oggetto di una registrazione internazionale che produce effetti in uno Stato membro (articolo 1 della Direttiva).

Le principali novità della Direttiva sono così riassumibili:

- sono suscettibili di costituire marchio d’impresa tutti i segni rappresentati in qualsiasi forma idonea utilizzando la tecnologia generalmente disponibile, come i suoni, e quindi non più necessariamente i segni rappresentati mediante strumenti grafici. Il segno deve comunque essere suscettibile di essere rappresentato in modo chiaro, tale da distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli delle altre e in modo tale da consentire alle autorità competenti e al pubblico di determinare precisamente ed esattamente l’oggetto della protezione (articolo 3 e Considerando n. 13 della Direttiva). Il segno deve dunque essere preciso, autonomo, facilmente accessibile, intelligibile, durevole e oggettivo (Considerando n. 13 della Direttiva).

- nella casistica degli impedimenti alla registrazione e ai motivi di nullità assoluti vengono introdotti, anche in questo caso in simmetria con le novità del “Regolamento Marchi” n. 2424/2015, i segni esclusi dalla registrazione in virtù della disciplina nazionale, europea o derivante da accordi internazionali di cui l’Unione o lo Stato membro fa parte, sulle denominazioni di origine, sulle indicazioni geografiche, sulle menzioni tradizionali protette per vini, sulle specialità tradizionali garantite nonché quelli che contengono o riproducono nei loro elementi essenziali una varietà vegetale precedente registrata conformemente alla legislazione dell'Unione o al diritto nazionale o ad accordi internazionali di cui l'Unione o lo Stato membro interessato sono parte (articolo 4 e Considerando n. 15 della Direttiva);

- nella casistica degli impedimenti alla registrazione e ai motivi di nullità relativi vengono introdotti, anche in questo caso in simmetria con le novità del “Regolamento Marchi” n. 2424/2015, i seguenti casi:

- il caso in cui l'agente o il rappresentante del titolare del marchio ha presentato domanda di registrazione a proprio nome senza l'autorizzazione del titolare (a meno che tale agente o rappresentante non giustifichi il proprio modo di agire);

- il caso in cui era già stata presentata una domanda di denominazione di origine o di indicazione geografica prima della data di presentazione della domanda di registrazione del marchio d'impresa

- tale denominazione di origine o indicazione geografica conferisce alla persona autorizzata dal diritto pertinente ad esercitare i diritti da essa derivanti il diritto di vietare l'uso di un marchio d'impresa posteriore.

La Direttiva inoltre disciplina ora puntualmente l’ipotesi di mancanza di carattere distintivo o di notorietà di un marchio d'impresa anteriore, che preclude la dichiarazione di nullità di un marchio d'impresa registrato. L’assenza del carattere distintivo o l’assenza di notorietà del marchio anteriore devono esservi alla data di deposito o alla data di priorità del marchio d’impresa posteriore (articolo 8);

- per ciò che concerne i diritti conferiti dal marchio d'impresa al suo titolare, la Direttiva interviene in vario modo.

In particolare, rende da facoltativa ad obbligatoria l’inclusione, all’interno della disciplina degli Stati membri, del diritto del titolare del marchio di vietare ai terzi qualsiasi segno identico o simile al marchio a prescindere dal fatto che sia utilizzato per prodotti o servizi identici, simili o non simili a quelli per cui esso è stato registrato, laddove il marchio gode di notorietà nello Stato membro e se l'uso immotivato del segno consente di trarre un indebito vantaggio o reca pregiudizio al marchio registrato.

La Direttiva inoltre introduce il diritto del titolare del marchio registrato di vietare a terzi di apporre segni identici o simili al marchio d’impresa sull’imballaggio dei loro prodotti; di utilizzare il segno come nome commerciale o denominazione sociale o come parte di tali nomi e denominazioni; di utilizzare il segno nella pubblicità comparativa.

La Direttiva, altresì, aggiunge il diritto del titolare del marchio registrato di vietare a terzi di introdurre prodotti, in ambito commerciale, nello Stato membro di registrazione, senza la loro immissione in libera pratica in tale Stato, quando tali prodotti, compreso il loro imballaggio, provengono da paesi terzi e recano senza autorizzazione un marchio che è identico al marchio registrato o che non ne può essere distinto nei suoi aspetti essenziali. Il diritto del titolare del marchio comunque si estingue se, nel corso del procedimento per la verifica della contraffazione, il dichiarante o il detentore dei prodotti dimostra che il titolare del marchio registrato non ha diritto a vietare l'immissione in commercio dei prodotti stessi nel paese di destinazione finale (articolo 10).

La Direttiva inoltre sancisce il principio per cui ai titolari di marchi d'impresa dovrebbe essere attribuito il diritto di impedire l'ingresso di prodotti contraffatti e la loro immissione in tutte le situazioni doganali, compresi, in particolare, il transito, il trasbordo, il deposito, le zone franche, la custodia temporanea, il perfezionamento attivo o l'ammissione temporanea, anche nel caso in cui i prodotti non siano destinati ad essere immessi sul mercato dello Stato membro interessato. Dunque, nell'effettuare i controlli doganali le autorità doganali si dovrebbero avvalere dei poteri e delle procedure consentite dalla disciplina europea (Regolamento (UE) n. 608/2013) anche su richiesta dei titolari dei diritti (Considerando n. 23).

La Direttiva, a tal fine, introduce il diritto per i titolari di marchi d'impresa registrati di vietare:

- l'apposizione di un segno identico o simile al marchio sull'imballaggio, etichette, cartellini, caratteristiche o dispositivi di sicurezza o autenticazione o qualsiasi altro mezzo su cui lo stesso può essere apposto;

- l'offerta, l'immissione in commercio, lo stoccaggio, o l'importazione o l'esportazione di imballaggi, etichette, cartellini, caratteristiche o dispositivi di sicurezza o autenticazione o qualsiasi altro mezzo su cui il marchio è apposto (articolo 11)

Le novità di cui sopra – in simmetria con le novità del “Regolamento marchi” del 2015 rispondo alla necessità, esplicitata nella Direttiva, di introdurre misure più stringenti per la lotta alla contraffazione, anche per ciò che concerne i farmaci generici (Considerando da 19 a 22 e 25-26 della Direttiva)

Ulteriori forme di tutela del marchio registrato sono inserite dalla Direttiva, sempre in simmetria con il “Regolamento Marchi” del 2015, per ciò che concerne:

- la riproduzione del marchio stesso in dizionari, in enciclopedie o opere di consultazione cartacee o elettroniche (in tal caso, anche su richiesta del titolare del marchio, la riproduzione deve essere corredata dell'indicazione che si tratta di un marchio registrato) (articolo 12);

- il divieto d'uso del marchio a nome di un agente o rappresentante, senza il consenso del titolare del marchio stesso (articolo 13)

Quanto alla limitazione degli effetti del marchio di impresa, viene specificato che il titolare del marchio non può vietare a terzi l’uso del marchio nel commercio del nome o dell’indirizzo del terzo, qualora si tratti di una persona fisica (articolo 14, paragrafo 1, lettere a)).

Per ciò che concerne la decorrenza del periodo dei cinque anni, trascorsi i quali il non uso effettivo del marchio ne comporta la decadenza, la Direttiva interviene al fine di uniformare il dies a quo del periodo in questione, prevedendo che:

- qualora uno Stato membro preveda una procedura di opposizione successiva alla registrazione, il termine di cinque anni decorre dalla data in cui il marchio non può più essere oggetto di opposizione o dalla data della decisione di chiusura definitiva della procedura di opposizione o di ritiro dell'opposizione;

- per i marchi d'impresa oggetto di registrazione internazionale e con effetto nello Stato membro, il termine di cinque anni decorre dalla data in cui il marchio non può più essere escluso dalla registrazione o essere oggetto di opposizione. Ovvero, se è stata presentata un'opposizione, decorre dalla data in cui la decisione che chiude la procedura di opposizione è diventata definitiva o l'opposizione è stata ritirata.

La data di decorrenza del periodo di cinque anni deve essere iscritta nel Registro dei marchi (articolo 16).

In relazione a quanto sopra previsto, la Direttiva dispone che il titolare di un marchio d'impresa ha il diritto di vietare l'uso di un segno solo nella misura in cui non possa essere incorso nella decadenza dai suoi diritti nel momento in cui è avviata l'azione per contraffazione.

Nell’ambito dell’azione di contraffazione intentata dal titolare del marchio stesso, questi, su richiesta del convenuto, ha l’onere di provare l’effettivo uso del marchio nei cinque anni precedenti l’avvio dell’azione, o che sussistono motivi legittimi per il suo mancato uso (articolo 17).

Parallelamente, nelle azioni per contraffazione, il titolare di un marchio d'impresa non ha il diritto di vietare l'uso di un marchio d'impresa registrato posteriormente quando tale marchio posteriore non sarebbe dichiarato nullo ai sensi della disciplina della direttiva (art. 8, art. 9, par. 1 o 2, art. 46, par. 3, art. 53, parr. 1 e 4, art. 54, parr. 1 o 2, art. 57, par. 2) (articolo 18).

 

La Direttiva opera poi un allineamento delle norme applicabili ai marchi d'impresa quali oggetto di proprietà rispetto a quelle già in vigore per i marchi UE. Tali norme riguardano:

- la cessione (articolo 22), che viene consentita per la totalità o parte dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio è stato registrato;

- la costituzione di diritti reali, tra i quali i pegno (articolo 23) e l’esecuzione forzata (articolo 24)

- la concessione di licenze, la cui disciplina rimane comunque identica a quella già in vigore con la Direttiva n. 2008/95/CE (articolo 25).

 

La Direttiva introduce poi un’apposita Sezione (artt. da 27-36) volta la disciplinare e qualificare i “marchi collettivi” ed i “marchi di garanzia o di certificazione”, in simmetria con la disciplina del “Regolamento marchi” UE n. 207/2009 come riformato dal nuovo Regolamento n. 2015/2424.

Viene pertanto definito:

- «marchio di garanzia o di certificazione»: un marchio d'impresa idoneo a distinguere i prodotti o servizi certificati dal titolare del marchio in relazione al materiale, al procedimento di fabbricazione dei prodotti o alla prestazione dei servizi, alla qualità, alla precisione o ad altre caratteristiche da prodotti e servizi che non sono certificati;

- «marchio collettivo»: un marchio d'impresa idoneo a distinguere i prodotti o servizi dei membri dell'associazione titolare da quelli di altre imprese (articolo 27).

Dunque, nella normativa riformata si distingue tra marchio collettivo in senso stretto, (collective mark cioè marchio che identifica la provenienza di prodotti o servizi da certe imprese associate o consorziate) dal marchio di garanzia o di certificazione (certification mark), che ha invece la funzione esclusiva di garantire natura e qualità di certi prodotti.

Inoltre, la previsione all’interno degli ordinamenti nazionali di “marchi di garanzia o di certificazione” è facoltativa per gli Stati membri.

Si osservi che la definizione di marchio di certificazione contenuto nella Direttiva è sostanzialmente identica a quella dell’art. 67 del Regolamento marchi UE, ma con la differenza che nel marchio di certificazione UE è esplicitamente esclusa la provenienza geografica come elemento idoneo a qualificare il marchio di certificazione UE.

La Direttiva, invece, al riguardo consente agli Stati membri la facoltà di disporre che i segni o le indicazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi costituiscano marchi di garanzia o di certificazione.

Il marchio di garanzia o di certificazione non autorizza il titolare a vietare a un terzo l'uso nel commercio di tali segni o indicazioni, purché l'uso del terzo sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale o commerciale. In particolare un marchio di tale tipo non può essere opposto a un terzo abilitato a utilizzare una denominazione geografica (articolo 28).

Per ciò che concerne i marchi collettivi, essi devono essere previsti all’interno degli ordinamenti nazionali.

La Direttiva dispone che possono depositare domanda di marchio collettivo le associazioni di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi o commercianti che, conformemente al diritto loro applicabile, hanno la capacità, a proprio nome, di essere titolari di diritti e obblighi, di stipulare contratti o compiere altri atti giuridici e di stare in giudizio, nonché le persone giuridiche di diritto pubblico. Anche in questo caso la Direttiva consente agli Stati membri la facoltà di disporre che i segni o le indicazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi costituiscano marchi collettivi.

I marchi collettivi non autorizzano il titolare a vietare a un terzo l'uso nel commercio di tali segni o indicazioni, purché l'uso da parte del terzo sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale o commerciale (articolo 29). E’ prevista poi la presentazione da parte del richiedente un marchio collettivo del relativo regolamento d’uso, in cui debbono quantomeno essere indicate le persone autorizzate a usare il marchio e le relative condizioni di appartenenza all’associazione e di utilizzo, comprese le sanzioni (articolo 30). E’ poi disciplinato il rigetto della domanda (che interviene se non soddisfa la definizione di marchio collettivo, o per assenza di regolamento d’uso o per contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume del regolamento stesso). La direttiva specifica che la domanda è respinta se il pubblico rischia di essere indotto in errore circa il carattere o il significato del marchio, in particolare quando questi non sembri un marchio collettivo (articoli 31-33). Quanto ai motivi di decadenza, oltre al non uso e alla subentrata genericità del marchio, sono enunciati dalla Direttiva i seguenti ulteriori motivi:

- il titolare non adotta misure ragionevoli per prevenire un'utilizzazione del marchio incompatibile con le condizioni del regolamento d'uso;

- il modo di utilizzo del marchio rischia di indurre in errore il pubblico circa il carattere significativo del marchio stesso;

- la modifica del regolamento d'uso del marchio non è conforme alle condizioni previste, a meno che non vi sia una nuova modifica (articolo 36).

 

La Direttiva introduce poi ulteriori disposizioni di armonizzazione della disciplina degli Stati membri per ciò che attiene alla procedura di registrazione del marchio d’impresa (artt.37-50). Vengono dunque indicati i seguenti elementi essenziali della domanda di registrazione:

a) una richiesta di registrazione;

b) informazioni che permettano di identificare il richiedente;

c) l'elenco dei prodotti o dei servizi per i quali si chiede la registrazione;

d) una rappresentazione del marchio che soddisfa i requisiti di identificazione da parte delle autorità e del pubblico.

La domanda di marchio comporta il pagamento di una tassa stabilita dallo Stato membro (art. 37) e la data di deposito della domanda è quella in cui la documentazione di cui sopra viene presentata all’ufficio (art. 38). Come per il Marchio dell’UE, si prevede che i prodotti ed i servizi per i quali è chiesta la protezione sono identificati dal richiedente con chiarezza e precisione sufficienti a consentire alle autorità competenti e agli operatori economici di determinare, esclusivamente su tale base, la portata della protezione richiesta e che tali prodotti e servizi sono classificati secondo il sistema stabilito dall’Accordo di Nizza (art. 39).

La Direttiva facoltizza gli Stati membri a prevedere che, prima della registrazione di un marchio, terzi legittimati possano inviare all’ufficio osservazioni scritte fondate su motivi specifici per cui la domanda di marchio (individuale o collettivo o di certificazione) dovrebbe essere respinta (art. 40). E’ ammessa la divisione delle diverse domande presentate e relative registrazioni (art. 41). Si consente inoltre agli Stati membri di prevedere che la domanda ed il rinnovo di marchi di impresa debbano essere soggetti ad una tassa supplementare per classe dei prodotti (art. 42).

La Direttiva disciplina poi taluni aspetti essenziali delle procedure di opposizione, decadenza e nullità del marchio d’impresa (artt. 43-47). Si obbliga in particolare gli Stati membri a prevedere una procedura di opposizione in via amministrativa avverso una domanda di registrazione di marchio, indicando come soggetti legittimati almeno il titolare di un marchio d’impresa anteriore e la persona autorizzata ad esercitare i diritti conferiti da una denominazione di origine o da un’indicazione geografica protetta. Il termine per la eventuale composizione amichevole è di almeno due mesi (art. 43). Nei procedimenti di opposizione, è in capo all’opponente l’onere della prova dell’effettivo uso del proprio marchio anteriore (art. 44).

 

La Direttiva dispone inoltre che gli Stati membri, fatto salvo il diritto delle parti al ricorso dinanzi agli organi giurisdizionali, debbano prevedere una procedura amministrativa efficiente e rapida per la decadenza e la dichiarazione di nullità.

I motivi di decadenza sono i tassativi: mancanza d’uso effettivo, ingannevolezza o genericità sopravvenuta (sono i motivi di cui agli artt. 19 e 20 della Direttiva).

La procedura amministrativa per la nullità prevede che il marchio debba essere dichiarato nullo almeno per i seguenti motivi:

a) impedimenti assoluti (di cui all’art. 4 della Direttiva)

b) diritto anteriore (di cui all’art. 5 , par. 1-3 della Direttiva)

I soggetti autorizzati a presentare domanda di decadenza/nullità debbono essere almeno le persone fisiche o giuridiche e i gruppi o gli organismi costituiti per rappresentare gli interessi di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi, commercianti o consumatori e che, a norma del diritto applicabile, hanno la capacità di stare in giudizio in nome proprio; e nel caso di nullità per diritto anteriore, la persona interessata, nonché nel caso di una denominazione di origine o un’indicazione geografica protetta i soggetti autorizzati ad esercitarne i diritti.

La domanda di decadenza e di dichiarazione di nullità può essere anche parziale, cioè può vertere su una parte o sulla totalità dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio contestato è registrato. Può essere presentata un’unica domanda per più diritti appartenenti allo stesso titolare.

Anche nei procedimenti per nullità, è in capo all’opponente l’onere della prova dell’effettivo uso del proprio marchio anteriore (art. 46). Gli effetti della dichiarazione di decadenza decorrono dalla data della relativa domanda di decadenza (art. 47).

 

Per ciò che attiene alla durata della registrazione essa è di dieci anni dalla data di deposito della domanda. La registrazione è rinnovabile di dieci anni (art. 48), secondo la procedura delineata nella stessa Direttiva (l’ufficio, almeno sei mesi prima della scadenza, deve informare il titolare e la domanda di rinnovo deve essere presentata in un arco di almeno sei mesi precedenti la scadenza) (art. 49 e 50).

Vi sono poi una serie di disposizioni (artt. 51-52) volte a promuovere la cooperazione tra i diversi Uffici per la proprietà industriale degli Stati membri e per la protezione dei dati personali dei soggetti interessati (art. 53).

 

Il termine dato dalla Direttiva per il suo recepimento (recepimento degli artt. 3 a 6, da 8 a 14, 16, 17 e 18, da 22 a 39, 41, 43 e 44 e da 46 a 50) è fissato al 14 gennaio 2019, tranne che per ciò che riguarda l’introduzione all’interno degli Stati membri della procedura per la decadenza o la dichiarazione di nullità, di cui all’art. 45 della Direttiva, il cui termine di recepimento è più lungo ed è fissato al 14 gennaio 2023.

La precedente direttiva 2008/95/CE è abrogata a decorrere dal 15 gennaio 2019 (articolo 55).

A decorrere da tale data si applicano i seguenti articoli:

- articolo 1, sull’ambito di applicazione della Direttiva

- articolo 7, sugli impedimenti alla registrazione e motivi di nullità soltanto per una parte dei prodotti o servizi per cui il marchio è chiesto o registrato

- articolo 15, sull’esaurimento dei diritti conferiti dal marchio d'impresa

- articoli da 19-21, concernenti la decadenza dei diritti di marchio d'impresa

- articoli da 54-57, su recepimento, abrogazione, entrata in vigore e destinatari della direttiva.

La direttiva è entrata in vigore il 12 gennaio 2016 (articolo 56).


Articolo 4
(Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 gennaio 2016, sulla distribuzione assicurativa)

 

 

L’articolo 4 reca i principi e criteri direttivi specifici relativi alla delega per l’attuazione della direttiva  2016/97, sulla distribuzione assicurativa, che abroga la direttiva 2002/92/CE (direttiva sulla intermediazione assicurativa). L’individuazione di specifici criteri di delega è dovuta alle diverse opzioni che la direttiva consente di esercitare o meno da parte del legislatore nazionale. Inoltre si rende necessario coordinare e armonizzazione la disciplina vigente con le nuove norme.

La direttiva deve essere recepita negli ordinamenti nazionali entro il 23 febbraio 2018.

 

Le lettere a) e b) prevedono criteri volti al coordinamento con la normativa europea della disciplina vigente in ambito assicurativo e finanziario, con espressa abrogazione delle disposizioni incompatibili. Sono individuati in particolare il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (CAP – Codice delle assicurazioni private), il decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF - Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) e il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 che ha istituito e regolamentato l’IVASS (sopprimendo l’ISVAP). Rimane ferma la normativa vigente per quanto riguarda la potestà regolamentare degli organismi di vigilanza previsti (IVASS, CONSOB, Banca d’Italia) con riferimento ai rispettivi aspetti organizzativi, funzionali e di vigilanza.

Si prevede, in particolare, di attribuire all’IVASS e alla CONSOB, nell’ambito delle rispettive competenze, i necessari poteri di vigilanza, di indagine e sanzionatori conseguenti all’adozione della direttiva 2016/97, avuto riguardo all’esigenza di semplificare gli oneri per i soggetti vigilati. Devono essere stabilite forme di collaborazione e poteri regolamentari, da esercitarsi entro dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo di recepimento.

La disposizione, nel richiamare la normativa sul riparto di competenze in materia di vigilanza, cita il regolamento n. 1286/2014 il quale disciplina i documenti informativi di accompagnamento dei prodotti d'investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (packaged retail and insurancebased investment products - PRIIPs). Il regolamento stabilisce regole uniformi sul formato e sul contenuto del documento contenente le informazioni chiave (cd. KID - key information document) che deve essere redatto dagli ideatori di PRIIPs, nonché sulla diffusione del documento stesso agli investitori al dettaglio, al fine di consentire a questi ultimi di comprendere e raffrontare le caratteristiche e i rischi chiave dei PRIIPs. La normativa italiana, in particolare il TUF (D.Lgs. n. 58 del 1998), è stata adeguata al regolamento  n. 1286/2014 tramite il D.Lgs. n. 224 del 2016.

Il coordinamento della disciplina sulla distribuzione assicurativa con la normativa in via di introduzione nei settori bancario, creditizio e finanziario, si rende necessario in vista del recepimento della direttiva MiFID II i cui termini sono stati prorogati di un anno (3 gennaio 2018) dal regolamento 2016/1033 e dalla direttiva 2016/1034. Per ragioni di armonizzazione con i settori affini (la distribuzione dei prodotti assicurativi, unitariamente disciplinata con la direttiva da recepire, può avvenire sia attraverso intermediari bancari che di assicurazione) i criteri individuati, nel rispetto delle competenze attribuite alle diverse autorità di vigilanza nazionali di settore, sono volti a garantire una omogeneizzazione dei precetti avuto riguardo alla disciplina sanzionatoria recata dall’ordinamento, recentemente novellata a livello europeo, sia per quanto riguarda gli intermediari, sia per quanto riguarda il settore bancario, creditizio e finanziario.

Si segnala che il 28 aprile 2017 il Consiglio dei ministri ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo di attuazione della direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari (cosiddetta MiFID II) e di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento  600/2014 sulla stessa materia (cosiddetto MiFIR) (Atto del Governo n. 413, attualmente all’esame delle Camere per il parere).

 

Le lettere c) e d) hanno ad oggetto i criteri direttivi in materia di obblighi e requisiti di registrazione per gli intermediari. In particolare, a fronte delle opzioni previste dalla direttiva (articolo 3, paragrafo 1, commi 3, 4 e 5) si prevede che gli intermediari assicurativi e riassicurativi e gli intermediari assicurativi a titolo accessorio siano registrati direttamente da apposito organismo posto sotto il controllo dell’IVASS, secondo le modalità da quest’ultima stabilite con regolamento. Si ricorda che la direttiva dispone che le imprese di assicurazione e riassicurazione e i loro dipendenti non sono, invece, tenuti a registrarsi. Le imprese di assicurazione e riassicurazione e gli intermediari assicurativi e riassicurativi devono collaborare nella registrazione degli intermediari assicurativi e riassicurativi e degli intermediari assicurativi a titolo accessorio che agiscono sotto la loro responsabilità, verificandone contestualmente il rispetto delle condizioni di registrazione.

Esercitando le opzioni previste nella direttiva (articolo 10, paragrafo 2, comma 4, e paragrafo 3, comma 2), si prevede che le imprese di assicurazione e riassicurazione e gli intermediari assicurativi e riassicurativi provvedano direttamente alla verifica del possesso dei requisiti professionali e di onorabilità dei propri dipendenti nonché degli intermediari assicurativi e riassicurativi e degli intermediari assicurativi a titolo accessorio che agiscono sotto la loro responsabilità, eventualmente impartendo essi stessi la formazione o fornendo essi stessi appositi strumenti di aggiornamento professionale corrispondenti ai requisiti relativi ai prodotti proposti.

 

Le lettere e), f) e g) riguardano le informative contrattuali e le vendite contestuali di prodotti di tipo diverso (cross selling).

Si dispone in primo luogo che il documento informativo standardizzato sia fornito dal distributore contestualmente alle altre informazioni richieste dalla normativa vigente, secondo le modalità stabilite da IVASS (lettera e) che esercita l’opzione prevista dall’articolo 20, paragrafo 7, comma 2, della direttiva).

Deve essere inoltre attribuito all’IVASS il potere di vietare la vendita di un’assicurazione assieme a un servizio o prodotto accessorio diverso da un’assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, quando tale pratica sia dannosa per i consumatori (lettera f) che esercita l’opzione prevista dall’articolo 24, paragrafo 7, della direttiva).

Si prevede, altresì, che lo stesso Istituto possa adottare provvedimenti secondari al fine di introdurre, in tema di obblighi di informazione a tutela degli assicurati, disposizioni più rigorose di quelle previste dal Capo V della direttiva, tenuto conto del carattere di armonizzazione minima della stessa direttiva (lettera g) che esercita l’opzione prevista dall’articolo 22, paragrafo 2, comma 1).

La lettera h) prevede che le informazioni obbligatorie da fornire al cliente e quelle riguardanti la valutazione dell’idoneità e dell’adeguatezza dei prodotti (articoli 29 e 30 della direttiva) siano fornite anche ai clienti professionali (come individuati dall’allegato II della direttiva MiFID II). Anche in questo caso è esercitata un’opzione, in senso più gravoso, prevista dalla direttiva (articolo 22, paragrafo 1, comma 2).

La lettera i) prevede che sia disciplinata la prestazione di consulenza da parte dell’intermediario assicurativo o dell’impresa di assicurazione nel caso di vendita di un prodotto d’investimento assicurativo. Tale disposizione non si pronuncia in merito all’opzione prevista dall’articolo 29, paragrafo 3, comma 3, della direttiva che consente agli Stati di rendere obbligatoria la consulenza per la vendita di un prodotto d’investimento assicurativo.

La lettera l), al fine di omologare la disciplina in materia di risoluzione delle controversie sorte tra consumatori e imprese di assicurazioni con quella innovata dalla direttiva 2016/97 riguardante il segmento della distribuzione assicurativa, è volta a dare attuazione all'articolo 15 della direttiva introducendo procedure di reclamo e di risoluzione stragiudiziale delle controversie, anche fra i clienti e le imprese di assicurazione e riassicurazione, aventi ad oggetto i diritti e gli obblighi derivanti dalla direttiva  2016/97, nonché dalle altre disposizioni applicabili ai soggetti vigilati, nel rispetto dei principi, delle procedure e dei requisiti previsti dal Codice del consumo (decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206: il quale disciplina una procedura di risoluzione extragiudiziale delle controversie eseguita da un organismo ADR-Alternative Dispute Resolution).

 Secondo la relazione governativa, la creazione di un sistema unico di ADR, valido per entrambi i settori di mercato, distributori e imprese di assicurazione, è funzionale a garantire la parità di trattamento nell’interesse dei consumatori.

La lettera m) prevede di modificare, con riguardo alle imprese di assicurazione e ai distributori assicurativi e riassicurativi, l’impianto relativo alle sanzioni amministrative pecuniarie contenuto nel CAP, anche prevedendo misure alternative e misure accessorie alle sanzioni amministrative pecuniarie, al fine di armonizzare la predetta disciplina con il sistema sanzionatorio previsto per le violazioni di obblighi contenuti nella direttiva. Non è invece esercitata l’opzione (prevista dall’articolo 33, paragrafo 4, della direttiva) con la quale possono essere previste nuove ipotesi sanzionatorie.

Si prevede inoltre di realizzare, nel rispetto della specificità del settore assicurativo, una armonizzazione con l’analoga disciplina stabilita dal TUB. A tal fine si prevede di:

1) attribuire all’IVASS il potere di applicare, in via generale, le sanzioni amministrative pecuniarie alle imprese di assicurazione o di riassicurazione, o alle imprese di partecipazione assicurativa, o alle imprese di partecipazione finanziaria mista, nei cui confronti siano accertate le violazioni della normativa primaria e secondaria di riferimento;

2) introdurre una più estesa responsabilizzazione delle persone fisiche rispetto all’attuale disciplina prevista dal CAP, con la possibilità - fermi i casi di inosservanza dei doveri nei confronti dell’autorità di vigilanza (previsti nel Titolo XVIII, Capo V, del CAP) - che la sanzione sia irrogata anche nei confronti dei soggetti che svolgono le funzioni di amministrazione, direzione, controllo nonché dei dipendenti o di coloro che operano sulla base di rapporti che ne determinano l’inserimento nell’organizzazione del soggetto vigilato anche in forma diversa dal rapporto di lavoro subordinato, individuando le tipologie di violazione, i presupposti che determinano la responsabilità delle persone fisiche, le condizioni in relazione alle funzioni ricoperte nella struttura dell’impresa che ne determinano la sanzionabilità;

3) nel rispetto del riparto di competenze attribuite alle altre autorità nei settori bancario, creditizio e finanziario:

3.1) prevedere in capo all’IVASS il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie secondo importi edittali minimi e massimi in coerenza con i limiti indicati dalla direttiva e, per le violazioni diverse da quelle concernenti l’attività di distribuzione assicurativa, con i limiti minimi e massimi previsti per le persone fisiche e le persone giuridiche dal TUB, assicurando il rispetto dei principi di proporzionalità, dissuasività, adeguatezza e coerenza con la capacità finanziaria del soggetto responsabile della violazione, ovvero, in base ai criteri e nei limiti massimi previsti dal regolamento  n. 1286/2014, relativo ai documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d’investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (PRIIPs);

il regolamento  n. 1286/2014, alla norma citata dalla disposizione in commento (articolo 24, paragrafo 2, lettera e)), prevede che le autorità competenti devono avere il potere di irrogare, in conformità del diritto nazionale, sanzioni pecuniarie amministrative di almeno:

i)  persona giuridica:

-  fino a 5 000 000 EUR oppure, negli Stati membri la cui moneta non è l'euro, il valore corrispondente nella valuta nazionale al 30 dicembre 2014, o fino al 3 % del fatturato totale annuo di tale persona giuridica in base agli ultimi bilanci d'esercizio disponibili approvati dall'organo di amministrazione; o

-  fino al doppio dell'ammontare dei profitti ricavati o delle perdite evitate grazie alla violazione, se possono essere determinati;

ii)  persona fisica:

-  fino a 700 000 EUR, oppure, negli Stati membri la cui moneta non è l'euro, il valore corrispondente nella valuta nazionale al 30 dicembre 2014; o

-   fino al doppio dell'ammontare dei profitti ricavati o delle perdite evitate grazie alla violazione, se possono essere determinati.

3.2) prevedere l’introduzione di specifiche misure per la deflazione dei procedimenti sanzionatori, stabilendo che più violazioni commesse in un determinato arco temporale costituiscono oggetto di accertamento unitario da parte dell’IVASS e che le violazioni della stessa indole sono contestate con un unico atto;

4) l’entità delle sanzioni amministrative, applicabili alle violazioni diverse da quelle concernenti l’attività di distribuzione assicurativa, è determinata nel seguente modo:

4.1) la sanzione applicabile alle società sarà compresa tra un minimo di euro trentamila ed un massimo pari al dieci per cento del fatturato;

4.2) la sanzione applicabile alle persone fisiche sarà compresa tra un minimo di euro cinquemila ed un massimo di euro cinque milioni;

4.3) qualora il vantaggio ottenuto dall’autore della violazione sia superiore ai limiti indicati ai punti 4.1) e 4.2), le sanzioni sono elevate fino al doppio dell’ammontare del vantaggio ottenuto, purché tale vantaggio sia determinabile; 

5) per le violazioni concernenti l’attività di distribuzione assicurativa, l’entità delle sanzioni amministrative è determinata nel seguente modo:

5.1) la sanzione applicabile alle società sarà compresa tra un minimo di cinquemila euro ed un massimo di cinque milioni di euro, oppure, se superiore, corrispondente al 5 per cento del fatturato complessivo annuo risultante dall’ultimo bilancio disponibile approvato;

5.2) la sanzione applicabile alle persone fisiche sarà compresa tra un minimo di euro mille ed un massimo di euro settecentomila;

6) per le violazioni connesse alla distribuzione dei prodotti d’investimento assicurativi le sanzioni amministrative pecuniarie a carico dei distributori sono definite in base ai criteri e nei limiti massimi di cui all’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva  n. 2016/97:

- nel caso persona giuridica, le seguenti sanzioni amministrative pecuniarie massime:

i)  almeno 5 000 000 EUR o fino al 5 % del fatturato totale annuo in base all'ultimo bilancio disponibile approvato dall'organo di amministrazione o, negli Stati membri la cui moneta ufficiale non è l'euro, il valore corrispondente nella valuta nazionale alla data di entrata in vigore della presente direttiva. Se la persona giuridica è un'impresa madre o una filiazione dell'impresa madre che deve redigere bilanci consolidati ai sensi della direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, il fatturato complessivo da considerare è il fatturato complessivo annuo risultante dagli ultimi conti consolidati disponibili approvati dall'organo di amministrazione dell'impresa madre capogruppo; oppure

ii)  fino al doppio dell'ammontare dei profitti ricavati o delle perdite evitate grazie alla violazione, se possono essere determinati;

- nel caso di una persona fisica, le seguenti sanzioni amministrative pecuniarie massime:

i)  almeno 700 000 EUR o, negli Stati membri la cui moneta non è l'euro, il valore corrispondente nella valuta nazionale alla data di entrata in vigore della presente direttiva; oppure

ii)  fino al doppio dell'ammontare dei profitti ricavati o delle perdite evitate grazie alla violazione, se possono essere determinati.

 

 

 


Articolo 5
(Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/425 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio)

 

 

L’articolo 5 reca i principi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega legislativa per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/425, sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio. Il legislatore nazionale dovrà pertanto abrogare le disposizioni legislative corrispondenti preesistenti e non adeguate alle sopraggiunte esigenze di armonizzazione, per evitare elementi di possibile confusione. Dovranno altresì essere individuate le autorità nazionali competenti in materia di sorveglianza del mercato e controlli, nonché allo svolgimento delle attività prescritte dal regolamento in tema di notifica degli organismi di valutazione della conformità dei prodotti in questione. Verrà esercitata l’opzione relativa alla possibilità di affidare all’organismo unico nazionale di accreditamento la valutazione ed il controllo dei predetti organismi da notificare.

 

Il comma 1 prevede che il Governo adotti, con delega da esercitare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) n. 2016/425, sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio. Tale regolamento è stato adottato con il fine di semplificare e chiarire il quadro esistente per l'immissione sul mercato dei dispositivi di protezione individuale, nonché di migliorare la trasparenza, l'efficacia e l'armonizzazione delle misure esistenti tenendo, altresì, conto del nuovo quadro normativo generale adottato per l'armonizzazione europea e, in particolare, del regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, che pone norme generali in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti, che stabilisce norme riguardanti l'accreditamento degli organismi di valutazione della conformità, fornisce un quadro per la vigilanza del mercato dei prodotti e per i controlli sui prodotti provenienti dai paesi terzi e stabilisce i principi generali della marcatura CE. 

I decreti delegati sono adottati con le procedure di cui all’articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari; il comma 2 prevede che la relativa proposta spetti al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Ministri dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri della giustizia, degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dell'economia e delle finanze e dell'interno.

Per il comma 3, la delega dovrà essere esercitata anche nel rispetto di princìpi e criteri direttivi specifici, Tra di essi, il criterio di cui alla lettera a) prevede l’aggiornamento delle disposizioni del decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475, come modificato dal decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 10, per l'adeguamento alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/425 e alle altre innovazioni intervenute nella normativa nazionale. Il regolamento chiede agli Stati membri di mettere in campo una serie di azioni attuative o correttive alle disposizioni di settore nazionali preesistenti, al fine di superare le carenze nonché le incongruenze nella copertura dei prodotti e nelle procedure di valutazione della conformità evidenziate nell'applicazione della direttiva 89/686/CEE. In particolare, si tratta del necessario coordinamento con le disposizioni generali in materia di mercato, sicurezza e conformità dei prodotti contenute nel citato regolamento (CE) n. 765/2008, nonché nella decisione n. 768/2008/CE, relativa a un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti, che stabilisce principi generali e disposizioni di riferimento da applicare in tutta la normativa settoriale, in modo da fornire una base coerente per la revisione o la rifusione di tale normativa. Si tratta, altresì: dell’inclusione nell’ambito di applicazione della nuova disciplina di alcuni prodotti sul mercato che svolgono una funzione protettiva per l'utilizzatore in precedenza invece esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva 89/686/CEE; della maggiore responsabilizzazione di tutti gli operatori economici interessati; della semplificazione e l’adeguamento di alcuni requisiti essenziali di sicurezza previsti dalle norme oggi vigenti, secondo criteri di praticabilità e proporzionalità; della maggiore qualificazione dei requisiti da applicare alle autorità di notifica e agli altri organismi coinvolti nella valutazione, nella notifica e nella sorveglianza degli organismi notificati.

Il criterio di cui alla lettera b) fa salva la possibilità di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/425 ed agli atti delegati e di esecuzione del medesimo regolamento europeo con successivo regolamento ministeriale, nelle materie non riservate alla legge e già eventualmente regolate a rango equiordinato. Ai sensi del criterio di cui alla lettera c) è individuato il Ministero dello sviluppo economico quale autorità notificante ai sensi dell'articolo 21 del regolamento (UE) n. 2016/425. La relazione illustrativa precisa che dovranno altresì essere individuate le autorità nazionali competenti in materia di sorveglianza del mercato e controlli, nonché allo svolgimento delle attività prescritte dal regolamento in tema di notifica degli organismi di valutazione della conformità dei prodotti in questione, confermate nelle autorità già attualmente individuate nel Ministero dello sviluppo economico e, in parte, nel Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

In effetti, il criterio di cui alla lettera d) fissa i criteri e le procedure necessari per la valutazione, la notifica e il controllo degli organismi da autorizzare per svolgere compiti di parte terza nel processo di valutazione e verifica della conformità dei dispositivi di protezione individuale ai requisiti essenziali di salute e sicurezza posti dal regolamento unionale. Ciò risponde anche al fine di prevedere che tali compiti di valutazione e di controllo degli organismi siano affidati mediante apposite convenzioni non onerose all'organismo unico nazionale di accreditamento ai sensi dell'articolo 4 della legge 23 luglio 2009, n. 99. Si tratta di un’opzione relativa alla possibilità di affidare all’organismo unico nazionale di accreditamento la valutazione ed il controllo dei predetti organismi da notificare: la relazione illustrativa tiene conto "del particolare favore con cui il regolamento europeo in questione valuta il ricorso all’accreditamento trasparente, quale previsto dal regolamento (CE) n. 765/2008, che garantisce il necessario livello di fiducia nei certificati di conformità e che, sempre secondo tale atto normativo dell’Unione europea, dovrebbe essere considerato dalle autorità pubbliche nazionali in tutta l'Unione lo strumento preferenziale per dimostrare la competenza tecnica degli organismi di valutazione della conformità".

Il criterio di cui alla lettera e) prevede l’adozione di disposizioni in tema di proventi e tariffe per le attività connesse all'attuazione del regolamento (UE) 2016/425, conformemente a quanto il comma 4 dell'articolo 30 della legge n. 234/2012 prevede ai fini dell'attuazione delle disposizioni dell'Unione europea di cui alla legge di delegazione europea e alla legge europea per l'anno di riferimento: pertanto gli oneri relativi a prestazioni e a controlli, da eseguire da parte di uffici pubblici, sono posti a carico dei soggetti interessati, ove ciò non risulti in contrasto con la disciplina dell'Unione europea, secondo tariffe predeterminate e pubbliche, nonché determinate sulla base del costo effettivo del servizio reso.

Ai sensi del criterio di cui alla lettera f) sono previste le sanzioni penali o amministrative pecuniarie efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità delle violazioni degli obblighi derivanti dal regolamento unionale citato: ciò conformemente alle previsioni dell'articolo 32, comma 1, lettera d)[9], e dell'articolo 33, commi 2 e 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 234. Poiché tale ultimo riferimento attiene all'esercizio della delega (con decreti legislativi adottati ai sensi dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, previa trasmissione per il parere parlamentare, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia) "di concerto con i Ministri competenti per materia" - e poiché con essa si individueranno anche le procedure per la vigilanza sul mercato dei dispositivi di protezione individuale (ai sensi del capo VI del predetto regolamento unionale) -, assume rilievo il predetto inciso della relazione illustrativa, che nell'individuazione delle autorità nazionali competenti in materia di sorveglianza del mercato e controlli ravvisa anche un ruolo, in parte, nel Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Ai sensi del criterio di cui alla lettera g) è prevista l’abrogazione espressa delle disposizioni di legge o di regolamento incompatibili con i decreti legislativi di cui al comma 1.

Il comma 4 contiene la clausola di neutralità finanziaria dell’attuazione della delega e dei conseguenti adempimenti a carico delle amministrazioni. La relazione tecnica - considerato che il provvedimento disciplina attività che attengono a competenze istituzionali già previste dall’ordinamento interno - ribadisce che alle stesse si farà fronte con le risorse disponibili a legislazione vigente; essa ricorda, altresì, che le convenzioni di cui al comma 3, lettera d), non saranno onerose.

 


Articolo 6
(Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/426 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sugli apparecchi che bruciano carburanti gassosi e che abroga la direttiva 2009/142/CE)

 

 

L’articolo 6 conferisce la delega per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/426 sugli apparecchi che bruciano carburanti gassosi e che abroga la direttiva 2009/142/CE. Segue una delega all’adozione di regolamenti ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

 

Il comma 1 contiene una delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/426, sugli apparecchi che bruciano carburanti gassosi e che abroga la direttiva 2009/142/CE, che a sua volta codificava con marginali aggiornamenti la direttiva 90/396/CE, recepita con il decreto del Presidente della Repubblica 15 novembre 1996, n. 661. La materia è regolata in Italia anche dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1083, recante norme per la sicurezza dell'impiego del gas combustibile.

Il regolamento europeo (UE) n. 2016/426 semplifica e chiarisce il quadro esistente per l'immissione sul mercato degli apparecchi che bruciano carburanti gassosi e migliora la trasparenza, l'efficacia e l'armonizzazione delle misure esistenti tenendo, altresì, conto del nuovo quadro normativo generale adottato per l'armonizzazione europea e, in particolare, del regolamento (CE) n. 765/2008.

 

Il citato regolamento europeo (UE) n. 2016/426 dispone il superamento delle carenze evidenziate nell'applicazione della direttiva 2009/142/CE; il necessario coordinamento con le disposizioni generali in materia di mercato, sicurezza e conformità dei prodotti contenute nel regolamento (CE) n. 765/2008 e nella decisione n. 768/2008/CE; la maggiore responsabilizzazione degli operatori economici interessati; la maggiore qualificazione dei requisiti da applicare alle autorità di notifica e agli altri organismi coinvolti nella valutazione, nella notifica e nella sorveglianza degli organismi notificati. 

La maggior parte delle disposizioni contenute nel regolamento (UE) n. 2016/426 saranno direttamente applicabili nell’ordinamento interno dei singoli Stati europei a decorrere dal 21 marzo 2018 e dal 21 aprile 2018, salvo alcuni articoli, in particolare quelli relativi alla nuova disciplina degli organismi notificati, che si applicano dal 21 ottobre 2016.

Il legislatore nazionale dovrà sostanzialmente abrogare espressamente, per evitare elementi di possibile confusione, le disposizioni legislative e regolamentari corrispondenti preesistenti e non adeguate; dovrà individuare le autorità nazionali competenti in materia di sorveglianza del mercato e controlli, nonché allo svolgimento delle attività prescritte dal regolamento (CE) n. 765/2008 in tema di notifica degli organismi di valutazione della conformità dei prodotti in questione, confermando espressamente le medesime autorità individuate dalla norma vigente nel Ministero dello sviluppo economico e in parte nel Ministero dell’interno e, infine, dovrà esercitare l’opzione relativa alla possibilità di affidare all’organismo unico nazionale di accreditamento la valutazione ed il controllo dei predetti organismi da notificare, tenendo conto del particolare favore con cui il regolamento europeo in questione valuta il ricorso all’accreditamento trasparente, quale previsto dal regolamento (CE) n. 765/2008, che garantisce il necessario livello di fiducia nei certificati di conformità e che, sempre secondo tale atto normativo dell’Unione europea, dovrebbe essere considerato dalle autorità pubbliche nazionali in tutta l'Unione lo strumento preferito per dimostrare la competenza tecnica degli organismi di valutazione della conformità. Anche per questo aspetto l’opzione del ricorso all’accreditamento, peraltro, è già in corso di esercizio in tal senso a livello nazionale sulla base delle norme vigenti e va solo espressamente confermata nella presente sede legislativa.

 

La disposizione in esame si articola in una delega legislativa (commi 1, 2 e 3) ed in una delega all’adozione di regolamenti ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (commi 4 e 5).

Per quanto riguarda la delega legislativa - la cui proposta è attribuita dal comma 2 al Presidente del Consiglio, al Ministro dello sviluppo economico e dell'interno, di concerto col MAE, il ministro della giustizia ed il MEF - il criterio di cui al comma 3, lettera a), prevede l’aggiornamento delle disposizioni della legge 6 dicembre 1971, n. 1083, per l’adeguamento alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/426, con abrogazione espressa delle disposizioni superate dal regolamento (UE) n. 2016/426 e coordinamento delle residue disposizioni.

Il criterio di cui al comma 3, lettera b), fa salva la possibilità di adeguare la normativa nazionale regolamentare vigente nelle materie non riservate alla legge alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/426, alle sue eventuali successive modifiche, nonché agli atti delegati e di esecuzione del medesimo regolamento europeo, con i regolamenti governativi previsti dal successivo comma 4.

Ai sensi del criterio di cui al comma 3, lettera c), viene confermata l’individuazione del Ministero dello sviluppo economico e, per quanto di competenza, del Ministero dell’interno e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, quali autorità di vigilanza del mercato.

Il criterio di cui al comma 3, lettera d), prevede l’adozione di sanzioni penali o amministrative efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità delle violazioni degli obblighi derivanti dal regolamento (UE) n. 2016/426, conformemente alle previsioni pertinenti della legge 24 dicembre 2012, n. 234.

Ai fini dell’adeguamento della normativa nazionale regolamentare vigente nelle materie non coperte da riserva di legge, alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/426, alle sue eventuali successive modifiche, nonché agli atti delegati e di esecuzione del medesimo regolamento europeo, il comma 4 prevede l’adozione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al presente articolo, di uno o più regolamenti ai sensi dell'articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

I princìpi e criteri direttivi specifici relativi a tale delega sono contemplati al comma 5.

In particolare, il criterio di cui al comma 5, lettera a), prevede l’aggiornamento delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 15 novembre 1996, n. 661, per adeguamento alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/426, con abrogazione espressa delle disposizioni già superate dal regolamento (UE) n. 2016/426 e coordinamento delle residue disposizioni.

Il criterio di cui al comma 5, lettera b), prevede l’individuazione del Ministero dello sviluppo economico quale autorità notificante ai sensi dell'articolo 20 del regolamento (UE) n. 2016/426.

Ai sensi del criterio di cui al comma 5, lettera c), occorrerà fissare i criteri e le procedure necessari per la valutazione, la notifica e il controllo degli organismi da autorizzare per svolgere compiti di parte terza nel processo di valutazione e verifica della conformità degli apparecchi che bruciano carburanti gassosi, ai requisiti essenziali di salute e sicurezza di cui agli articoli 5 e 14 del regolamento (UE) n. 2016/426, anche al fine di prevedere che tali compiti di valutazione e di controllo degli organismi siano affidati mediante apposite convenzioni non onerose all'organismo unico nazionale di accreditamento ai sensi dell'articolo 4 della legge 23 luglio 2009, n. 99.

 

Verrà, quindi, esercitata l’opzione relativa alla possibilità di affidare all’organismo unico nazionale di accreditamento la valutazione ed il controllo dei predetti organismi da notificare, tenendo conto del particolare favore con cui il regolamento europeo in questione valuta il ricorso all’accreditamento trasparente, quale previsto dal regolamento (CE) n. 765/2008, che garantisce il necessario livello di fiducia nei certificati di conformità e che, sempre secondo tale atto normativo dell’Unione europea, dovrebbe essere considerato dalle autorità pubbliche nazionali in tutta l'Unione lo strumento preferenziale per dimostrare la competenza tecnica degli organismi di valutazione della conformità. Tale opzione, già esercitata in tal senso a livello nazionale sulla base delle norme vigenti, verrà confermata nella presente sede legislativa.

 

Il criterio di cui al comma 5, lettera d), prevede l’individuazione delle procedure per la vigilanza sul mercato degli apparecchi che bruciano carburanti gassosi ai sensi del capo V del regolamento (UE) n. 2016/426.

 

In base al criterio di cui al comma 5, lettera e), è prevista l’adozione di disposizioni in tema di proventi e tariffe per le attività connesse all'attuazione del regolamento (UE) n. 2016/426.

 

Si tratta di disposizioni assunte conformemente al comma 4 dell'articolo 30 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, secondo cui gli oneri relativi a prestazioni e a controlli da eseguire da parte di uffici pubblici, ai fini dell'attuazione delle disposizioni dell'Unione europea di cui alla legge di delegazione europea per l'anno di riferimento e alla legge europea per l'anno di riferimento, sono posti a carico dei soggetti interessati, ove ciò non risulti in contrasto con la disciplina dell'Unione europea, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo del servizio reso. Le tariffe in questione sono predeterminate e pubbliche. Le entrate derivanti dalle tariffe così determinate sono attribuite, nei limiti previsti dalla legislazione vigente, alle amministrazioni che effettuano le prestazioni e i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469.


Articolo 7
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato) e che abroga la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione)

 

 

L’articolo 7 delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame uno o più decreti legislativi per adeguare la normativa nazionale al regolamento (UE) n. 596/2014, relativo agli abusi di mercato.

Tra i principi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega (comma 3) si segnala la necessità di garantire un appropriato grado di protezione dell'investitore, di tutela della stabilità finanziaria e dell'integrità dei mercati finanziari. La CONSOB viene designata quale autorità competente. Infine, viene estesa la disciplina in materia di confisca ai casi di violazione delle disposizioni del predetto regolamento UE.

 

Più in dettaglio, il comma 1 dell’articolo 7 delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame e secondo le ordinarie procedure di recepimento degli atti normativi UE (di cui all’articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, per cui si veda più diffusamente l’introduzione al presente lavoro), acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi per adeguare la normativa nazionale al regolamento (UE) n. 596/2014, relativo agli abusi di mercato, che abroga la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/ CE e 2004/72/CE della Commissione.

Trattandosi di un regolamento, le norme ivi contenute sono direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale a partire dalla sua entrata in vigore (3 luglio 2016). Le norme in esame intendono quindi delegare il Governo all’adeguamento della disciplina nazionale alle prescrizioni già in forza.

 

La regolamentazione del market abuse

 

Il 3 luglio 2016 è entrato in vigore il Regolamento (UE) n. 596/2014 (Market Abuse Regulation - MAR), che ha sostituito le disposizioni contenute nella  Direttiva 2003/6/CE (MAD1) relativa agli abusi di mercato, istituendo un quadro comune di regolamentazione in materia di abuso di informazioni privilegiate, comunicazioni illecite di informazioni previlegiate e manipolazione del mercato.

Il MAR mira a garantire che la normativa dell'Unione europea sia al passo con gli sviluppi di mercato al fine di contrastare gli abusi sui mercati finanziari, nonché sui mercati dei prodotti primari e dei relativi derivati (ossia mercati sui quali si scambiano prodotti primari quali oro, frumento, ecc. e strumenti finanziari basati su di essi).

In particolare, si vieta esplicitamente la manipolazione dei parametri di riferimento (quali il London Interbank Offered Rate, conosciuto come tasso LIBOR). Sono rafforzati i poteri di indagine e sanzione dei regolatori indicati dai paesi dell'UE. al fine di garantire il corretto funzionamento dei loro mercati finanziari. Viene garantito un corpus normativo unico europeo riducendo al contempo gli oneri amministrativi, laddove possibile, degli emittenti di piccole e medie dimensioni.

Le norme individuano tre tipi di abusi:

a) manipolazione del mercato; essa rientra fra le transazioni o i comportamenti che danno o potrebbero dare segnali falsi o fuorvianti riguardo all'offerta/domanda di uno strumento finanziario, garantiscono o potrebbero garantire il prezzo di uno strumento finanziario a un livello anormale. La manipolazione di mercato può inoltre consistere in una transazione o un comportamento che fa uso di un dispositivo fittizio o altra forma di inganno; diffusione di informazioni fuorvianti; trasmissione di informazioni false o fuorvianti, fornitura di dati falsi o fuorvianti o qualsiasi azione che manipoli il calcolo di un parametro di riferimento;

b) abuso di informazioni privilegiate; esso si configura laddove una persona usi informazioni privilegiate effettuando transazioni, per proprio conto o per conto terzi, su uno strumento finanziario cui tali informazioni privilegiate si riferiscono. Le informazioni privilegiate hanno natura precisa, non pubblica, riguardano l'emittente (o gli emittenti) di strumenti finanziari e, se rese pubbliche, avrebbero un effetto significativo sui prezzi;

c) comunicazione illecita di informazioni privilegiate, che si configura qualora una persona possieda informazioni privilegiate e le comunichi a un'altra persona (ad esempio facendo trapelare documenti riservati che contengono informazioni privilegiate), tranne nel caso in cui la comunicazione avvenga nel normale esercizio di una mansione, di una professione o di obblighi.

Le norme del MAR si applicano a persone o imprese che commettono abusi di mercato in merito allo scambio di strumenti finanziari attraverso piattaforme di scambio o negoziati privatamente in transazioni fuori borsa.

E’ compito dei Paesi membri specificare le sanzioni amministrative pecuniarie, pari ad almeno 15 milioni di euro o al 15 per cento del fatturato annuale totale per le persone giuridiche (come le aziende), e a 5 milioni di euro per le persone fisiche, applicabili dalle autorità competenti.

Come anticipato, il MAR rafforza i poteri di controllo e indagine delle autorità di regolamentazione indicate da ogni Paese UE, per garantire il corretto funzionamento dei mercati finanziari. Per esempio, fra altri poteri, le Autorità possono condurre ispezioni e indagini sul posto e richiedere il congelamento o il sequestro dei beni.

Dall'adozione del regolamento sugli abusi di mercato, la Commissione europea ha adottato un insieme di regolamenti che integrano o chiarificano ulteriormente determinati aspetti del regolamento. Essi riguardano, fra le altre cose:

- dettagli riguardanti gli elenchi interni che gli emittenti di strumenti finanziari devono redigere (regolamento (UE) 2016/347);

- norme riguardanti la comunicazione di ordini o transazioni sospetti (regolamenti (UE) 2016/378 e 2016/957);

- norme sulla presentazione di raccomandazioni di investimento [regolamento (UE) 2016/958] e sondaggi di mercato [regolamenti (UE) 2016/959 e 2016/960].

Accanto al regolamento sugli abusi di mercato, la Direttiva 2014/57/UE relativa alle sanzioni penali in caso di abusi di mercato richiede che tutti i paesi dell'UE armonizzino le proprie leggi sui reati penali per gli abusi di mercato.

La Consob nel mese di dicembre 2016 ha reso noto di aver recepito le disposizioni europee che riguardano il ritardo nella pubblicazione al pubblico di informazioni privilegiate e i sondaggi di mercato.

In particolare sono stati recepiti gli orientamenti EBA pubblicati sul sito dell’organismo di vigilanza europeo rispettivamente il 20 ottobre e il 10 novembre 2016. Essi sono entrati in vigore il 20 dicembre 2016 e il 10 gennaio 2017.

Il primo orientamento prevede che un emittente di strumenti finanziari comunichi al pubblico, quanto prima possibile, le informazioni privilegiate che riguardano direttamente l’emittente stesso, a specifiche condizioni.

Con riferimento ai sondaggi di mercato, l’articolo 10 del Regolamento MAR definisce l’abuso relativo alla comunicazione illecita di informazioni privilegiate. L’orientamento ESMA offre una specifica protezione per i soggetti incaricati di effettuare sondaggi di mercato, per conto di chi detiene una rilevante partecipazione azionaria, al fine di sondare la disponibilità di potenziali investitori a prendere parte ad un’operazione di mercato.

L’ESMA ha successivamente pubblicato specifici orientamenti relativi ai mercati degli strumenti derivati su merci o ai mercati a pronti su merci, ai sensi degli articoli 7 e 10 del regolamento MAR, con l’obiettivo di illustrare gli ambiti della definizione di “informazione privilegiata” in relazione agli strumenti derivati su merci. La Consob ha comunicato all’ESMA la decisione di conformarsi agli Orientamenti in parola (Comunicazione del 16 marzo 2017). Detti orientamenti si applicano a partire dal 17 marzo 2017.

 

Ai sensi del comma 2,  i predetti decreti legislativi sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con i Ministri della giustizia, degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dello sviluppo economico.

 

Il comma 3 reca gli specifici principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega.

Più in dettaglio il Governo deve:

a) modificare la normativa vigente in conformità alle definizioni e alla disciplina del regolamento MAR, al fine di coordinarla con le altre disposizioni vigenti, assicurando un appropriato grado di protezione dell'investitore, di tutela della stabilità finanziaria e dell'integrità dei mercati finanziari;

b) apportare al TUF - Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (D. Lgs. n. 58 del 1998) le modifiche e le integrazioni necessarie per dare attuazione alle disposizioni del regolamento MAR e provvedere ad abrogare espressamente le norme dell'ordinamento nazionale riguardanti gli istituti disciplinati dal regolamento anzidetto;

c) prevedere la CONSOB quale autorità competente ai fini del regolamento, assicurando che la stessa autorità possa esercitare i poteri di vigilanza e di indagine di cui agli articoli 22 e 23 e i poteri sanzionatori di cui all'articolo 30 del regolamento.

Ai sensi del richiamato articolo 22, ogni Stato membro designa un’unica autorità amministrativa competente, da comunicare alla Commissione, all’ESMA ed alle altre autorità competenti degli altri Stati membri.

L’articolo 23 prevede le modalità con cui le autorità competenti esercitano le loro funzioni e i loro poteri: direttamente, in collaborazione con altre autorità o con imprese che gestiscono il mercato, sotto la loro responsabilità mediante delega a tali autorità o a imprese che gestiscono il mercato, ovvero rivolgendosi alle competenti autorità giudiziarie.

Tra i poteri di controllo e di indagine a disposizione delle autorità vi sono: il potere di accedere a documenti e di richiedere informazioni a chiunque; il potere di eseguire ispezioni o indagini in siti diversi dalle residenze private di persone fisiche; di entrare nei locali di persone fisiche o giuridiche a specifiche condizioni, per sequestrare documenti e dati sotto qualsiasi forma, quando esista un ragionevole sospetto che documenti o dati connessi all’oggetto dell’ispezione o dell’indagine possano avere rilevanza per provare un caso di abuso di informazioni privilegiate o di manipolazione del mercato in violazione del regolamento; di chiedere le registrazioni esistenti relative a conversazioni telefoniche, comunicazioni elettroniche e allo scambio di dati conservate da società di investimento, istituti di credito o istituti finanziari; di chiedere il congelamento o il sequestro di beni, o entrambi; di sospendere la negoziazione dello strumento finanziario interessato; di richiedere la cessazione temporanea di qualsiasi pratica che l’autorità competente reputi contraria al regolamento e di imporre un’interdizione temporanea dall’esercizio dell’attività professionale.

Le autorità designate possono inoltre adottare tutte le misure necessarie a garantire che il pubblico sia correttamente informato, anche imponendo all’emittente o ad altri che abbiano pubblicato o diffuso informazioni false o fuorvianti di pubblicare una dichiarazione di rettifica.

Come anticipato in precedenza, è compito degli Stati membri provvedere affinché le autorità competenti abbiano il potere di adottare le sanzioni amministrative e altre misure amministrative adeguate in relazione alle violazioni del regolamento (articolo 30). Si precisa che gli Stati membri possono decidere di non stabilire norme relative alle sanzioni amministrative se le violazioni sono già soggette a sanzioni penali, nel rispettivo diritto nazionale entro il 3 luglio 2016. In questo caso, gli Stati membri comunicano dettagliatamente alla Commissione e all’ESMA le pertinenti norme di diritto penale.

Tra i poteri sanzionatori che gli Stati membri devono conferire alle Autorità competenti, in specifici casi individuati dal regolamento, vi sono poteri di tipo interdittivo e inibitorio (revoca o sospensione dell’autorizzazione di una società di investimento; interdizione temporanea o permanente, nei confronti di chiunque eserciti responsabilità di direzione in una società di investimento o di qualsiasi altra persona fisica ritenuta responsabile della violazione, dall’esercizio di funzioni dirigenziali in società di investimento) nonché il potere di comminare le anticipate sanzioni amministrative pecuniarie;

 

d) prevedere, in linea con quanto già stabilito dal TUF, il ricorso alla disciplina secondaria adottata dalla CONSOB nell'ambito e per le finalità specificamente previste dal regolamento MAR e dalla legislazione dell'Unione europea attuativa del medesimo regolamento;

e) coordinare le vigenti disposizioni del TUF con quelle degli articoli 24, 25 e 26 del regolamento (UE) n. 596/2014 in materia di cooperazione e scambio di informazioni con l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), con le autorità competenti degli Stati membri, nonché con le autorità di vigilanza di Paesi terzi.

I richiamati articoli 24 e 25 del regolamento MAR disciplinano le modalità di cooperazione con l’ESMA e con le autorità degli altri Stati membri.

Si segnala che il regolamento disciplina specificamente le circostanze eccezionali in cui un’autorità competente può rifiutarsi di dare seguito a una richiesta di informazioni o di cooperazione nell’ambito di un’indagine (ove la comunicazione di informazioni pertinenti potrebbe pregiudicare la sicurezza dello Stato membro destinatario della richiesta, con particolare riferimento alla lotta contro il terrorismo e altre forme di criminalità grave; ove l’accoglimento della richiesta potrebbe nuocere alle proprie indagini, attività di contrasto o, se del caso, a un’indagine penale; ove sia stato avviato un procedimento giudiziario per le stesse azioni e nei confronti delle stesse persone dinanzi alle autorità dello Stato membro destinatario della richiesta; ove nello Stato membro destinatario della richiesta sia già stata pronunciata una sentenza definitiva a carico delle suddette persone per le stesse azioni).

Si prescrive che le autorità competenti e l’ESMA cooperino anche con l’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (ACER). Sono previste forme di assistenza e di cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri nello svolgimento dei poteri di indagine e di ispezione.

L’articolo 26 reca le norme relative alla cooperazione con i paesi terzi, con la possibilità per le autorità competenti degli Stati membri, ove necessario, di concludere accordi di cooperazione con le relative autorità di vigilanza in merito allo scambio di informazioni e all’applicazione degli obblighi derivanti dal regolamento MAR nei paesi terzi. In ogni caso, dell’intento di sottoscrivere tali accordi sono informate l’ESMA e le altre autorità competenti;

 

f) attribuire alla CONSOB il potere di imporre le sanzioni e le altre misure amministrative per le violazioni espressamente elencate dal già illustrato articolo 30 del regolamento MAR, nel rispetto dei criteri, dei limiti e delle procedure stabilite dal regolamento medesimo, nonché e della Parte V del TUF, che reca l’impianto sanzionatorio applicabile in Italia;

g) prevedere che la disciplina in materia di confisca, di cui all’articolo 187-sexies del TUF, trovi applicazione anche nei casi di violazione delle disposizioni del regolamento UE.

Il predetto articolo 187-sexies del TUF chiarisce che l'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal capo V del medesimo Testo Unico importa sempre la confisca del prodotto o del profitto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo. Qualora non sia possibile eseguire la confisca, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente. In nessun caso può essere disposta la confisca di beni che non appartengono ad una delle persone cui è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria;

Si segnala al riguardo che né la direttiva né il regolamento prevedono la confisca dei beni.

Tuttavia, l’articolo 30, comma 2, lettera b), prevede la restituzione dei guadagni realizzati o delle perdite evitate grazie alla violazione, per quanto possano essere determinati.

 

h) prevedere che, per stabilire il tipo ed il livello di sanzione amministrativa per le violazioni delle previsioni stabilite dal regolamento MAR, si tenga conto delle circostanze pertinenti, elencate dall'articolo 31 del medesimo regolamento.

Ai sensi del richiamato articolo 31, paragrafo 1, gli Stati membri devono garantire che, nello stabilire il tipo e il livello di sanzioni amministrative, le autorità competenti tengano conto di tutte le circostanze pertinenti, tra cui:

a) la gravità e la durata della violazione;

b) il grado di responsabilità dell’autore della violazione;

c) la capacità finanziaria dell’autore della violazione, quale risulta, per esempio, dal fatturato complessivo della persona giuridica o dal reddito annuo della persona fisica;

d) l’ammontare dei profitti realizzati e delle perdite evitate da parte dell’autore della violazione, nella misura in cui possano essere determinati;

e) il livello di cooperazione che l’autore della violazione ha dimostrato con l’autorità competente, ferma restando la necessità di garantire la restituzione dei guadagni realizzati o delle perdite evitate;

f) precedenti violazioni da parte dell’autore della violazione;

g) misure adottate dall’autore della violazione al fine di evitarne il ripetersi.

 

i) adottare le opportune misure per dare attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 32 del regolamento MAR, che disciplina la segnalazione all'autorità di vigilanza competente di violazioni effettive o potenziali del medesimo regolamento, tenendo anche conto dei profili di riservatezza e di protezione dei soggetti coinvolti.

L’articolo 32 impone agli Stati membri di provvedere affinché le autorità competenti mettano in atto dispositivi efficaci per consentire la segnalazione, alle stesse autorità competenti, di violazioni effettive o potenziali del regolamento MAR. Essi includono almeno:

a) procedure specifiche per il ricevimento di segnalazioni di violazioni e per le relative verifiche, compresa l’instaurazione di canali di comunicazione sicuri per tali segnalazioni;

b) in ambito lavorativo, un’adeguata protezione delle persone che, impiegate in base a un contratto di lavoro, segnalano violazioni o sono a loro volta accusate di violazioni, contro ritorsioni, discriminazioni o altri tipi di trattamento iniquo;

c) la protezione dei dati personali sia della persona che segnala la violazione, sia della persona fisica presunta responsabile della violazione, comprese misure di protezione atte a preservare la riservatezza della loro identità durante tutte le fasi della procedura, fatte salve le disposizioni nazionali che impongano la comunicazione di informazioni nel contesto di indagini o di successivi procedimenti giudiziari.

Inoltre gli Stati membri devono prescrivere ai datori di lavoro che svolgono attività regolamentate dalla normativa in materia di servizi finanziari di mettere in atto procedure interne adeguate affinché i propri dipendenti possano segnalare violazioni del presente regolamento (cd. whistleblowing).

E’ possibile disciplinare incentivi finanziari, conformemente al diritto nazionale, a quanti offrono informazioni pertinenti in merito a potenziali violazioni del regolamento MAR, se tali persone non sono tenute da altri doveri preesistenti di natura legale o contrattuale a comunicare tali informazioni e purché si tratti di informazioni prima ignorate e che portano all’imposizione di sanzioni amministrative o penali o all’adozione di altre misure amministrative, per una violazione del presente regolamento.

 

l) prevedere, nei termini di cui all'articolo 34 del regolamento, la pubblicazione da parte della CONSOB nel proprio sito internet delle decisioni relative all'imposizione di misure e sanzioni amministrative per le violazioni del regolamento medesimo.

Salvi casi specifici disciplinati dal regolamento, il regolamento MAR prevede (articolo 34) che le autorità competenti pubblichino le decisioni relative all’imposizione di una sanzione amministrativa o altra misura amministrativa in caso di violazione del presente regolamento, sui propri siti internet, immediatamente dopo che la persona destinataria di tale decisione sia stata informata di tale decisione. Tale norma non si applica alle decisioni che impongono misure di natura investigativa.

La pubblicazione può essere rinviata, pubblicata in forma anonima o evitata in specifiche ipotesi valutate dall’autorità competente in relazione agli interessi in campo (ove l’autorità ritenga che la pubblicazione dell’identità della persona giuridica destinataria della decisione, o dei dati personali di una persona fisica sia sproporzionata a seguito di una valutazione condotta caso per caso sulla proporzionalità della pubblicazione di tali dati o qualora tale pubblicazione comprometterebbe un’indagine in corso o la stabilità dei mercati finanziari).  Le autorità competenti provvedono a che ogni decisione pubblicata ai sensi del presente articolo rimanga accessibile sul loro sito internet per almeno cinque anni dopo la pubblicazione.

 

Il comma 4 reca la clausola di invarianza finanziaria.


Articolo 8
(Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/1011 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2016, sugli indici usati come indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari o per misurare la performance di fondi di investimento e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE e del regolamento (UE) n. 596/2014)

 

 

L'articolo reca la delega al Governo per la predisposizione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di uno più decreti legislativi per la completa attuazione del regolamento (UE) n. 2016/1011, sugli indici usati come indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari o per misurare la performance di fondi di investimento e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE e del regolamento (UE) n. 596/2014.

 

Il regolamento (UE) n. 2016/1011, entrato in vigore il 30 giugno 2016 (di seguito anche "Regolamento benchmarks" o Regolamento) ai sensi dell'articolo 59, si applica a decorrere dal 1° gennaio 2018, con l'eccezione di alcune disposizioni applicabili dal 30 giugno 2016 e della disposizione di cui all'articolo 56, che si applica a decorrere dal 3 luglio 2016. Relativamente ai termini per la comunicazione alla Commissione europea e all'AESFEM delle disposizioni ex art. 42 del Regolamento in materia di sanzioni e altre misure amministrative, nonché per la facoltà per gli Stati membri di prevedere sanzioni penali, la scadenza è il 1° gennaio 2018. Per l'adeguamento dell'ordinamento interno alle disposizioni del predetto Regolamento occorre pertanto inserire parti della nuova disciplina in materia nel testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF). Alcune misure di adeguamento e conformità da parte degli Stati membri sono espressamente indicate dallo stesso regolamento. Sebbene le norme regolamentari europee rappresentino fonti del diritto immediatamente applicabili nell'ordinamento italiano, si ritiene che la delega al Governo debba almeno consentire di poter operare gli interventi espressamente richiesti agli Stati membri dal regolamento.

 

Il "Regolamento benchmarks" introduce pertanto un quadro normativo comune, teso ad assicurare accuratezza e integrità degli indici di riferimento, c.d. appunto benchmarks. L'ambito oggettivo di applicazione del Regolamento è in ogni caso circoscritto alla fornitura dei predetti indici di riferimento, alla contribuzione di dati per tali benchmarks e al loro uso nell'Unione europea. Vengono dettate norme più stringenti per i parametri di riferimento utilizzati nell'UE per gli strumenti e i contratti finanziari, nonché per misurare la performance di fondi di investimento.

 

I parametri di riferimento, i benchmarks, sono indici che vengono utilizzati per confrontare il prezzo di strumenti finanziari o pagamenti nell'ambito di contratti finanziari. Tra gli esempi si riportato il LIBOR (London Interbank Offered Rate) e l'EURIBOR (Euro Interbank Offered Rate) - entrambi indici dei tassi d'interesse interbancari, le valutazioni del prezzo del petrolio e gli indici del mercato azionario. I benchmarks costituiscono un elemento importante del sistema finanziario, nel senso che esercitano un'influenza sugli investitori e sui consumatori in quanto determinano il valore degli strumenti finanziari e dei pagamenti nell'ambito di contratti finanziari, come ad esempio i mutui.

 

La nuova disciplina legislativa europea prevede la necessità di regolamentare gli amministratori dei parametri. Questi ora vengono sottoposti alla supervisione delle autorità nazionali competenti, in coordinamento con l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati. Per i parametri più critici è prevista la costituzione di collegi di supervisori nazionali.

La normativa prevede anche il rafforzamento delle procedure di governance e sorveglianza su tutti coloro che calcolano i parametri o forniscono informazioni utilizzate per il calcolo, specie per evitare conflitti d'interesse, oltre alla messa a disposizione del pubblico dei dati utilizzati per il calcolo dei parametri, nonché delle informazioni riguardanti l'oggetto e le finalità di ogni parametro.

Le norme prevedono infine l'obbligo per le banche di valutare l'adeguatezza dei parametri utilizzati prima di concludere qualsiasi contratto finanziario (ad esempio mutui) con un cliente e di avvisare la clientela in caso di inadeguatezza.

 

II comma 3 dell'articolo elenca i princìpi e criteri direttivi specifici alla base dell'esercizio della delega governativa.

Sulla base dei criteri di cui alle lettere a) e b) dovranno essere adottate le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, anche di derivazione europea, per i settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti, con l'obiettivo di assicurare l'integrità dei mercati finanziari e la stabilità finanziaria e un appropriato grado di tutela degli investitori. Si dovranno quindi apportare al predetto testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, le modifiche e le integrazioni necessarie per dare attuazione alle disposizioni del citato Regolamento (UE) n. 2016/1011 e alle inerenti norme tecniche di regolamentazione e di attuazione che lo richiedono, nonché provvedere ad abrogare espressamente le eventuali norme dell'ordinamento nazionale riguardanti gli istituti disciplinati dal regolamento anzidetto.

I criteri di cui alle lettere c) e d) prevedono la designazione della CONSOB e delle altre autorità nazionali competenti, ai sensi dell'articolo 40, comma 1, del Regolamento benchmarks, per quanto attiene alla vigilanza sia degli amministratori di indici che degli altri soggetti elencati dal Regolamento (cfr. art. 3, paragrafo 1, punto 17, lett. da a) a k), nonché per l'attribuzione dei poteri previsti dallo stesso regolamento.

Ai sensi della lettera e), la CONSOB viene designata quale autorità responsabile del coordinamento e dello scambio di informazioni con la Commissione europea, l'AESFEM e le altre autorità competenti degli Stati membri.

Sulla base della lettera f), occorre attribuire alla CONSOB e alle altre autorità nazionali competenti i poteri di imporre sanzioni per le violazioni previste dall'articolo 42 del Regolamento, prevedendo peraltro che, nello stabilire il tipo e il livello di sanzione, si tenga conto delle circostanze pertinenti elencate dall'articolo 43 del Regolamento medesimo.

II        criterio di cui alla lettera g) prevede che, per stabilire il tipo e il livello di sanzione amministrativa per le violazioni delle previsioni stabilite dal Regolamento, si tenga conto delle circostanze pertinenti, elencate dall'articolo 43 del medesimo Regolamento.

 

Il comma 4 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che dalle misure di applicazione del Regolamento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le autorità interessate, gia competenti per materia, svolgeranno le attività previste con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 


Articolo 9
(Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2015/2365 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, sulla trasparenza delle operazioni di finanziamento tramite titoli e del riutilizzo e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012)

 

 

L'articolo 9 reca la delega al Governo per la predisposizione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di uno più decreti legislativi per la completa attuazione del Regolamento (UE) n. 2015/2365 sulla trasparenza delle operazioni di finanziamento tramite titoli e del riutilizzo e che modifica il Regolamento (UE) n. 648/2012.

Le nuove norme sulla trasparenza completano peraltro le disposizioni della direttiva 2009/65/CE riguardante gli OICVM e della direttiva 2011/61/UE sui GEFIA. Tali disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni di finanziamento tramite titoli (c.d. SFTs, Securities Financing Transactions) e le altre norme in tema di strutture di finanziamento sono strettamente collegate alle citate direttive, che costituiscono il quadro giuridico disciplinante 1a creazione, la gestione e la commercializzazione degli OICVM.

L'inclusione nell'informativa periodica di informazioni dettagliate al riguardo è finalizzata a consentire agli investitori di conoscere i rischi associati all'uso di SFTs e delle altre strutture di finanziamento qualora i gestori dei fondi utilizzino queste tecniche.

 

II Regolamento (UE) n. 2015/2365 (di seguito anche "Regolamento SFTs o SFT-R) fissa le norme in materia di trasparenza delle operazioni di finanziamento tramite titoli e di riutilizzo.

Esso istituisce un quadro normativo armonizzato in materia di trasparenza delle operazioni di finanziamento tramite titoli (SFTs) e di riutilizzo. La nuova disciplina legislativa europea affianca la riforma strutturale delle banche e tende ad introdurre più trasparenza nel sistema bancario ombra (c.d. shadow banking) allo scopo di evitare che parte della regolamentazione del settore bancario venga aggirata. La genesi dell'intervento comunitario è da rinvenirsi nella consapevolezza, emersa nel corso delle crisi finanziarie recenti, della necessità di migliorare la trasparenza e il controllo non solo nel settore bancario tradizionale, ma anche in settori in cui soggetti non bancari svolgono attività creditizie (il c.d. "sistema bancario ombra"). Le operazioni di finanziamento tramite titoli (STFs) possono infatti determinare l'accumulo di leva finanziaria, prociclicità e interconnessione dei mercati finanziari. In particolare, la mancanza di trasparenza nell'uso delle SFTs e di altre strutture di finanziamento assimilabili ha talvolta reso più complessa sia l'azione delle autorità di regolamentazione e di vigilanza che la possibilità in concreto per gli investitori, di valutare e monitorare correttamente i rischi analoghi ai rischi bancari e il livello di interconnessione nel sistema finanziario. Nello specifico, l'obiettivo della regolamentazione dell'Unione è quello di incrementare la trasparenza delle c.d. securities financing transactions (SFTs), negoziazioni sinteticamente definibili come quelle che usano valori mobiliari dati in garanzia (i.e. collaterale) e quindi titoli di proprietà della controparte. Per questo genere di operazioni, il Regolamento SFTs prevede degli obblighi informativi (c.d. di reporting) a carico delle controparti contraenti, sia finanziarie che non finanziarie, verso i repertori di dati (trade repositories, TRs), al fine di permettere alle autorità di vigilanza europee di monitorare complessivamente i rischi derivanti da tali tipologie di transazioni. Fra i soggetti sottoposti a tali obblighi vi sono i gestori di fondi di investimento che saranno obbligati a rendere trasparente agli investitori 1'uso di tali operazioni. Infine, la normativa impone taluni requisiti anche informativi sul reimpiego di collaterale. II regolamento si applica alle controparti in dette operazioni, o che svolgono attività di riutilizzo, oltreché alle società di gestione o di investimento OICVM e ai gestori di fondi alternativi (cd. GEFIA).

 

II Regolamento SFT crea un quadro dell'Unione in materia di segnalazione ai repertori di dati sulle negoziazioni delle informazioni relative alle SFTs da parte delle controparti finanziarie e non finanziarie di tali operazioni. Dette informazioni saranno conservate a livello centralizzato e facilmente e direttamente accessibili alle competenti autorità, quali l'AESFEM (ESMA), il CERS e il SEBC, ai fini dell'individuazione e del monitoraggio dei rischi per la stabilita finanziaria derivanti da attività di shadow banking effettuate da entità regolamentate e non regolamentate. La segnalazione dovrebbe comportare costi operativi minimi per i partecipanti al mercato poiché basata su infrastrutture e procedure gia esistenti.

Ulteriori requisiti minimi in materia di informativa ai fini dell'accrescimento della trasparenza contrattuale e operativa sono previsti a carico delle controparti che effettuano operazioni di c.d. riutilizzo. II riutilizzo dovrebbe avvenire solo in caso di conoscenza esplicita dei rischi intrinseci e con il previo consenso della controparte fornitrice, espresso in un accordo contrattuale, e dovrebbe trovare adeguata conferma nel conto titoli. La controparte che riceve gli strumenti finanziari a titolo di garanzia reale sarà autorizzata ad effettuare operazioni di riutilizzo sugli stessi strumenti solo con il consenso espresso della controparte fornitrice e solo dopo averli trasferiti sul proprio conto. L'ambito oggettivo di applicazione del regolamento è circoscritto alla trasparenza di alcune attività di mercato, quali le SFTs, le altre strutture di finanziamento aventi effetto economico equivalente e il riutilizzo. II Regolamento si applica a tutte le controparti nei mercati delle operazioni di finanziamento tramite titoli, ai fondi di investimento (quali definiti dalle direttive 2009/65/CE e 2011/61/UE) e a tutte le controparti che effettuano il riutilizzo, e copre tutti gli strumenti finanziari di cui all'articolo 4, paragrafo 1, punto 15, della direttiva 2014/65/UE (c.d. MiFID2) forniti come garanzia reale. Ai sensi dell'articolo 33 del Regolamento (UE) n. 2015/2365, lo stesso si applica dal 12 gennaio 2016, con l'eccezione di alcune disposizioni applicabili dal 13 luglio 2016 (articolo 15), altre applicabili dal 13 gennaio e dal 13 luglio 2017 (rispettivamente articolo 13 e articolo 14), nonché, riguardo all'articolo 4, paragrafo 1, per il quale sono previste scadenze differenziate di 12, 15, 18 e 21 mesi susseguenti alla pubblicazione dei relativi atti delegati adottati dalla Commissione europea a seconda della rispettiva tipologia di controparte interessata.

 

Per operazione di finanziamento tramite titoli si intendono l'operazione di vendita con patto di riacquisto, la concessione e assunzione di titoli o merci in prestito, l'operazione di buy-sell back o di sell-buy back, il finanziamento con margine.

Per riutilizzo s'intende 1'utilizzo da parte della controparte ricevente, a proprio nome e per proprio conto o per conto di un'altra controparte (comprese eventuali persone fisiche), di strumenti finanziari ricevuti nell'ambito di un contratto di garanzia reale. Tale utilizzo comprende il trasferimento del titolo o l'esercizio del diritto di utilizzo a norma dell'articolo 5 della direttiva 2002/47/CE, relativa ai contratti di garanzia finanziaria, ma non include la liquidazione dello strumento finanziario in caso di inadempimento della controparte fornitrice.

 

Relativamente ai termini per la comunicazione alla Commissione europea e all'AESFEM delle disposizioni in materia di sanzioni e altre misure amministrative, nonché la facoltà per gli Stati membri di prevedere sanzioni penali, ex articolo 22 del regolamento (UE) n. 2015/2365, la scadenza è il 31 luglio 2017.

 

La delega al Governo è finalizzata a consentire di poter operare gli interventi espressamente richiesti agli Stati membri dal Regolamento per quanto attiene ai seguenti ambiti:

     per le sanzioni amministrative e le altre misure amministrative che l'autorità competente dovrà adottare in caso di violazione delle disposizioni di SFT-R (articolo 22);

     le modalità di esercizio del potere sanzionatorio da parte dell'autorità competente (articolo 23);

     le modalità di pubblicazione delle decisioni assunte dall'autorità competente (articolo 26) e del diritto di ricorso (articolo 27).

Per l'adeguamento dell'ordinamento interno alle disposizioni del Regolamento occorre inserire parti della nuova disciplina in materia nel testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), e nella regolamentazione secondaria della CONSOB e/o della Banca d'Italia.

Alcune misure di adeguamento e conformità da parte degli Stati membri sono espressamente indicate dallo stesso regolamento SFT-R dalle previsioni agli articoli 22, 23, 26 e 27.

 

II comma 3 dell'articolo elenca i principi e criteri direttivi specifici alla base dell'esercizio della delega governativa.

Sulla base dei criteri di cui alle lettere a) e b) dovranno essere adottate le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, anche di derivazione europea, per i settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti, assicurando un appropriato grado di protezione dell'investitore, di tutela della stabilita finanziaria e dell'integrità dei mercati finanziari. Si dovranno inoltre apportare al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), le modifiche e le integrazioni necessarie per dare attuazione alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2015/2365 che richiedono la abrogazione esplicita di norme dell'ordinamento nazionale riguardanti gli istituti disciplinati dal regolamento anzidetto.

Ai sensi della lettera c) dovranno essere apportate le opportune modifiche e integrazioni alle disposizioni in materia di sanzioni contenute nel testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998 sulla base di quanto previsto nel Capo VIII del Regolamento, affinché le autorità di vigilanza di settore, secondo le rispettive competenze, possano imporre le sanzioni e le altre misure amministrative previste dagli articoli 22 e 28 del Regolamento  in caso di violazione delle disposizioni indicate dai medesimi articoli, garantendo che, nello stabilire il tipo e il livello delle sanzioni e delle altre misure amministrative, si tenga conto di tutte le circostanze pertinenti, secondo quanto previsto dall'articolo 23 del medesimo Regolamento, attenendosi, con riferimento alle sanzioni pecuniarie, ai pertinenti limiti edittali indicati nel citato articolo 22.

La lettera d) prevede la pubblicazione delle decisioni che impongono sanzioni o altre misure amministrative, nei limiti e secondo le previsioni dell'articolo 26 del Regolamento, nonché di assicurare che le decisioni e le misure adottate a norma del regolamento siano adeguatamente motivate e soggette al diritto di ricorso giurisdizionale, secondo quanto previsto dall'articolo 27 del Regolamento.

La lettera e) provvede affinché siano messi in atto i dispositivi e le procedure per la segnalazione di violazioni di cui all'articolo 24 del medesimo Regolamento.

Il comma 4 prevede la clausola di invarianza finanziaria, attestante che dalle misure di applicazione del Regolamento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le autorità interessate, gia competenti per materia, svolgeranno le attività previste con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.


Articolo 10
 (Criterio direttivo per l’attuazione della direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio)

 

 

L’articolo 10 individua uno specifico principio al quale il Governo deve attenersi nell'esercitare la delega per l'attuazione della direttiva (UE) 2016/680, in materia di protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati, inclusa la salvaguardia e la prevenzione di minacce alla sicurezza pubblica.

 

La direttiva (UE) 2016/680[10], adottata il 27 aprile 2016, interviene in materia di protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati. Tale direttiva, che deve essere attuata negli ordinamenti degli Stati membri entro il 6 maggio 2018 (salva la possibilità di attuazioni posticipate, secondo quanto specificamente disposto all'articolo 63), abroga la decisione quadro 2008/977/GAI, che ha rappresentato il primo strumento sulla protezione dei dati personali nell'ambito dell'ex Terzo Pilastro.

La direttiva (UE) 2016/680 costituisce insieme al regolamento (UE) 2016/679, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, destinato ad abrogare la direttiva 95/46/CE, e alla direttiva (UE) 2016/681, sull'uso dei dati del codice di prenotazione (PNR)[11], il c.d. “Pacchetto protezione dati personali”. Tale pacchetto definisce un quadro comune in materia di tutela dei dati personali per tutti gli Stati membri dell'UE. I ricordati atti normativi si inseriscono, più in generale, nel quadro dell'azione del legislatore europeo volta al progressivo rafforzamento dei diritti fondamentali processuali ed extraprocessuali. Si tratta di un percorso iniziato con la Road map del Consiglio del 2009, che si è successivamente esteso anche ad ambiti diversi dai c.d. fair trial rights.

 

Più in particolare, nell'esercizio della delega, il Governo, oltre a dover seguire i principi e criteri direttivi dei cui all’articolo 1, comma 1 (vedi supra), deve prevedere - ferma restando la disciplina sanzionatoria vigente - per le violazioni delle disposizioni adottate a norma della direttiva, fattispecie incriminatrici punite con la pena detentiva non inferiore nel minimo a mesi sei e non superiore nel massimo ad anni cinque.

 

Come si precisa nella relazione illustrativa e nell'analisi di impatto della regolamentazione (AIR), tale principio di delega risponde all'esigenza di assicurare un'adeguata risposta sanzionatoria per la violazione delle disposizioni che tutelano il diritto alla protezione dei dati personali. Ciò dal momento che la previsione della pena di natura contravvenzionale, nei limiti di cui all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea)[12] non solo non risulterebbe idonea a rispettare i principi di effettività, proporzionalità e dissuasione richiesti dall'articolo 57 della direttiva[13], ma non sarebbe neppure coerente con le fattispecie di reato previste e punite dal decreto legislativo n. 196 del 2003, recante codice in materia di protezione dei dati personali (c.d. Codice della privacy).

Con riguardo alla disciplina sanzionatoria vigente in materia di dati personali, il Codice della privacy già prevede sanzioni per le violazioni amministrative e penali alla disciplina del data retention.

Più in particolare:

·       gli illeciti amministrativi (artt. 161-164) riguardano: l'omessa o inidonea informativa all'interessato, la cessione dei dati in violazione delle norme, l'omessa o incompleta notificazione, l'omessa informazione o esibizione di documenti richiesti al Garante per la protezione dei dati personali;

·       gli illeciti penali di natura contravvenzionale (artt. 167-171) riguardano invece: il trattamento illecito di dati, le falsità nelle dichiarazioni e notificazioni al Garante, l'omessa adozione delle misure minime di sicurezza, l’inosservanza di provvedimenti del Garante e la violazione di disposizioni volte a tutelare i lavoratori.

 

Ulteriori fattispecie di reato a tutela dei dati personali sono previste dalla Sezione V (Dei delitti con l'inviolabilità dei segreti), del Capo III, del Titolo XII, del Libro II del codice penale (articoli 616 e seguenti).  Infine si segnala il reato di frode informatica di cui all'articolo 640-ter c.p.[14]

 

Il comma 2  reca, infine, la clausola di neutralità finanziaria, prevedendo, fra l'altro, che le amministrazioni interessate debbano provvedere agli adempimenti previsti dal presente articolo con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

 


Articolo 11
 (Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2016/681 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, sull'uso dei dati del codice di prenotazione (PNR) a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi)

 

 

L’articolo 11 reca specifici principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2016/681, sull'uso dei dati del codice di prenotazione (PNR) a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi.

È opportuno ricordare che i "reati gravi" sono definiti in un elenco allegato (II) alla direttiva, che comprende tra l'altro fatti di associazione criminale, di narcotraffico, di violenza sessuale, di "corruzione", nonché vari altri reati gravi contro la vita e l'incolumità delle persone, oppure contro il patrimonio. La direttiva impone inoltre (articolo 3, n. 9) che i fatti in questioni siano puniti con una pena detentiva pari almeno a tre anni.

La disposizione in esame prevede due soli principi di delega ulteriori rispetto a quelli previsti dall'articolo 1, comma 1, del disegno di legge. Ciò in quanto, come si rileva anche nella relazione illustrativa, la direttiva (UE) 2016/681, recando prescrizioni di dettaglio, lascia scarsa discrezionalità al legislatore nazionale, in sede di recepimento.

Si ricorda che gli Stati membri devono recepire la direttiva entro il 25 maggio 2018.

Più nel dettaglio il Governo dovrà, in sede di attuazione, collocare l’Unità d'informazione sui passeggeri (UIP), di cui all’articolo 4 della direttiva[15], presso il Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza (comma 1, lettera a).

 

Tale scelta - precisa la relazione - è strettamente connessa al fatto che i dati raccolti, costituendo un patrimonio informativo rilevante in materia di prevenzione e accertamento dei reati, sono destinati ad essere trattati a fini di polizia.

 

Il secondo criterio di delega (comma 1, lettera b) prevede che il trasferimento a cura dei vettori aerei dei dati del PNR comprenda anche i voli  intra-UE.

 

L'articolo 2 della direttiva consente agli Stati membri di applicare la disciplina della raccolta e del trattamento dei dati concernenti le persone che utilizzano vettori aerei per viaggi che riguardino Paesi interni all'Unione. Si tratta di una possibilità finalizzata ad assicurare livelli di sicurezza elevati anche in relazione agli spostamenti interni al territorio dell'Unione di soggetti pericolosi che siano riusciti a varcare le frontiere.

Occorre in proposito rilevare che gli Stati membri hanno dichiarato che entro la data di recepimento della direttiva intendono avvalersi pienamente della possibilità di cui all'articolo 2 di comprendere anche i voli intra UE (si veda la dichiarazione del Consiglio del 18 aprile 2016).

 

Il comma 2 dell'articolo reca la clausola di neutralità finanziaria, prevedendo che dall'attuazione della delega non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le Amministrazioni interessate sono tenute a provvedere agli adempimenti di cui al presente articolo con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 


Articolo 12
 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero)

 

 

L’articolo 12 delega il Governo ad adottare, entro il 31 dicembre 2017, uno o più decreti legislativi per l'attuazione della direttiva (UE) 2015/720, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero.

Il comma 1 delega il Governo ad adottare, entro il 31 dicembre 2017, uno o più decreti legislativi per l'attuazione della direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero.

La relazione illustrativa chiarisce che la delega si rende necessaria a seguito dell'avvenuta scadenza della precedente delega contenuta nell'articolo 4 della legge n. 170 del 2016 (legge di delegazione europea 2015). Essa riferisce, inoltre, che lo schema di decreto legislativo, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 9 novembre 2016, è stato notificato alla Commissione europea, ai sensi della direttiva (UE) 2015/1535 che impone agli Stati membri di informare la Commissione di ogni progetto di regolamentazione tecnica, prima della sua adozione: dalla data di notifica, decorre il termine di tre mesi - prorogabile di ulteriori tre mesi - per l'esame del testo notificato e l'eventuale emanazione di pareri circostanziati. Al riguardo, riferisce sempre la Relazione, la scadenza di tale termine, il 20 febbraio 2017, ha comportato l'infruttuosa decorrenza del termine per l'esercizio della delega di cui al ricordato art. 4 della legge n. 170 del 2016.

Si ricorda che, per il mancato recepimento della direttiva 2015/720 nei termini previsti, è stato comunicato l'avvio di una procedura di infrazione, con lettera di costituzione in mora, ai sensi dell'articolo 258 del TFUE, in data 24 gennaio 2017. L'Italia è stata quindi invitata a trasmettere le proprie risposte nel termine di due mesi, entro il 24 marzo 2017, alla Commissione europea, in ordine al recepimento della direttiva 2015/720.

La direttiva (UE) 2015/720 modifica la direttiva 94/62/CE inserendovi misure specifiche per le borse di plastica in materiale leggero, allo scopo di limitarne l'utilizzo e ridurre l'impatto negativo sull'ambiente.

La prima modifica è volta ad inserire alcune definizioni. La seconda inserisce l'obbligo per gli Stati membri di adottare le misure necessarie per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero.

La terza modifica prevede che, entro il 27 maggio 2017, la Commissione europea elabori norme di esecuzione sulle etichette e i marchi per l'identificazione delle borse biodegradabili e compostabili.

Il termine per il recepimento è stato fissato al 27 novembre 2016.

Il comma 1 prevede che si provveda con le procedure di cui all'articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari.

Si ricorda che l'indicato art. 31 reca le norme sulle procedure per l'esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea.

Al riguardo, appare tuttavia opportuno indicare correttamente i riferimenti alla legge n. 234 del 2012, inserendo il numero della legge.

In base al comma 2, i decreti legislativi in questione sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia, dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico e della salute.

Rispetto alla precedente delega, contenuta nel citato art. 4 della legge n. 170 del 2016, viene introdotto il concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia, dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico e della salute.

Il comma 3 stabilisce che nell'esercizio della delega il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:

a) fatta salva comunque la commercializzazione delle borse di plastica biodegradabili e compostabili, divieto di commercializzazione delle borse di plastica in materiale leggero e adozione di tutte le misure ritenute ammesse ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1-ter, della direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 1994;

L'articolo 4, paragrafo 1-ter, della direttiva 94/62/CE autorizza gli Stati membri ad "adottare misure, tra cui strumenti economici e obiettivi di riduzione nazionali, in ordine a qualsiasi tipo di borse di plastica, indipendentemente dal loro spessore".

Si ricorda come la precedente delega già richiamata, venuta a scadere, prevedeva quale principio e criterio direttivo specifico "la garanzia del medesimo livello di tutela ambientale assicurato dalla legislazione già adottata in materia, prevedendo il divieto di commercializzazione, le tipologie delle borse di plastica commercializzabili e gli spessori già stabiliti".

b) divieto di fornitura a titolo gratuito delle borse di plastica ammesse al commercio;

Tale criterio riprende quello già previsto, nella precedente legge di delegazione europea, sopra richiamata, al comma 2, lettera b), del citato art. 4.

c) progressiva riduzione della commercializzazione delle borse di plastica fornite a fini di igiene o come imballaggio primario per alimenti sfusi diverse da quelli compostabili e realizzate, in tutto o in parte, con materia prima rinnovabile;

In tema di gerarchia dei rifiuti, si ricorda che è all'esame delle istituzioni dell'Unione europea il cd. "pacchetto sull'economia circolare", un insieme di proposte legislative sui rifiuti che definiscono obiettivi chiari in materia di riduzione dei rifiuti e stabiliscono un percorso a lungo termine per la loro gestione e riciclaggio[16].

Analogo criterio era dettato dal comma 2, lettera c), della norma citata contenuta nella precedente legge di delegazione europea.

d) abrogazione, a decorrere dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, delle seguenti norme:

-              i commi 1129, 1130 e 1131 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni (legge finanziaria 2007). Il comma 1129 ha istituito, a decorrere dall'anno 2007, un programma sperimentale nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l'asporto delle merci non biodegradabili; il comma 1130 poneva la prospettiva del divieto di commercializzazione di tutti i sacchi non biodegradabili; il comma 1131 assicurava la copertura finanziaria dei primi due commi a valere sul bilancio del Ministero dell'ambiente;

-              articolo 2 del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 28, ("Disposizioni in materia di commercializzazione di sacchi per asporto merci nel rispetto dell'ambiente"), che ha previsto la proroga del termine di divieto definitivo di commercializzazione degli shopper non biodegradabili, limitatamente ad alcune tipologie di sacchi indicati dalla norma, fino all'emanazione - entro il 31 dicembre 2012 - di un decreto interministeriale di natura non regolamentare. Il comma 4 dell'articolo 2 del decreto-legge n. 2 del 2012 ha introdotto sanzioni amministrative pecuniarie, nelle ipotesi di inosservanza del divieto di commercializzazione di sacchi non conformi a quanto prescritto, rese applicabili dall'articolo 11, comma 2-bis, del decreto-legge n. 91 del 2014.

 

Il criterio ripropone quanto previsto al comma 2, lettera d), della citata disposizione della precedente legge di delegazione europea.

e) previsione di una campagna di informazione dei consumatori diretta ad aumentare la loro consapevolezza in merito agli impatti delle borse di plastica sull'ambiente e a eliminare la convinzione che la plastica sia un materiale innocuo e poco costoso, favorendo il raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell'utilizzo di borse di plastica;

Il criterio ripropone quanto previsto al comma 2, lettera e), della citata disposizione della precedente legge di delegazione europea.

 

Si richiamano al riguardo gli obiettivi di utilizzo nazionali di cui all'articolo 4, paragrafo 1-bis, della direttiva 94/62/CE (introdotto dall'articolo 1, paragrafo 2, della direttiva (UE) 2015/720).

L'articolo 4, comma 1-bis, prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero. Tali misure possono comprendere il ricorso a obiettivi di riduzione a livello nazionale, il mantenimento o l'introduzione di strumenti economici, nonché restrizioni alla commercializzazione proporzionate e non discriminatorie, per le sole borse di plastica con uno spessore inferiore a 50 micron. Esse possono includere una delle seguenti opzioni o entrambe:

·       l'adozione di misure atte ad assicurare che il livello di utilizzo annuale non superi le 90 buste di plastica di materiale leggero pro capite entro fine 2019 e 40 entro fine 2025 o obiettivi equivalenti in peso;

·       l'adozione di strumenti con cui assicurare che, entro fine 2018, le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti di vendita di merci o prodotti.

In entrambi i casi è espressamente prevista (articolo 4, paragrafo 1-bis, comma 4, lettere a) e b)) la possibilità di escludere le borse di plastica in materiale ultraleggero.

f) previsione di programmi di sensibilizzazione per i consumatori in generale e di programmi educativi per i bambini, diretti alla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica nonché, anche nelle more dell'adozione da parte della Commissione europea delle misure specifiche previste dall'articolo 8-bis della direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 1994, per le borse di plastica biodegradabili e compostabili, di programmi di sensibilizzazione per i consumatori che forniscano le informazioni corrette sulle proprietà e sullo smaltimento delle borse di plastica biodegradabili e compostabili, di quelle oxo-degradabili e delle altre borse di plastica.

Si veda, al riguardo, il criterio già previsto, sostanzialmente riproposto, dal comma 2, lettera f), della citata disposizione della precedente legge di delegazione europea.

 

L'articolo 8-bis della direttiva 94/62, in materia di misure specifiche per le borse di plastica biodegradabili e compostabili, ha previsto che, entro il 27 maggio 2017, la Commissione adotti un atto di esecuzione che stabilisce il disciplinare delle etichette o dei marchi per garantire il riconoscimento, a livello di Unione, delle borse di plastica biodegradabili e compostabili e per fornire ai consumatori le informazioni corrette sulle proprietà di compostaggio di tali borse, secondo la procedura di regolamentazione prevista dalla direttiva medesima. Si prevede, inoltre, che al più tardi 18 mesi dopo l'adozione di tale atto di esecuzione, gli Stati membri provvedono ad assicurare che le borse di plastica biodegradabili e compostabili siano etichettate conformemente al disciplinare di cui a tale atto di esecuzione.

Si segnala, inoltre, che nella direttiva 2015/720/CE, si fa riferimento (considerando 18) alle buste «oxo-biodegradabili» o «oxo-degradabili», rilevando che queste incorporano nella plastica convenzionale degli additivi, per effetto dei quali col tempo la plastica si scompone in particelle minute che permangono nell'ambiente. La direttiva rileva quindi che appare fuorviante definire «biodegradabili» borse di questo tipo, posto che potrebbero non essere una soluzione alla dispersione dei rifiuti, ma potrebbero al contrario aumentare l'inquinamento. Nel considerando citato, si prevede, al riguardo, che la Commissione esamini l'impatto sull'ambiente dell'utilizzo di borse di plastica oxo-degradabili e presenti una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio comprendente, se opportuno, una serie di misure volte a limitarne l'utilizzo o a ridurne l'impatto nocivo.

Il comma 4 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che dall'attuazione dell'articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le amministrazioni interessate provvedono ai relativi adempimenti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Procedure di contenzioso

Il 28 aprile 2016 la Commissione europea ha provveduto all'archiviazione della procedura di infrazione n. 2011/4030 che era stata avviata per la eccepita incompatibilità con il diritto UE del divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabili per asporto di merci, introdotto nell’ordinamento italiano dalla legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) a decorrere dal 1° gennaio 2011.

In particolare, si lamentava la violazione dell’articolo 18 della direttiva 94/62/CE, che - fino all’entrata in vigore delle modifiche introdotte con la direttiva (UE) 2015/720 - recava il divieto per gli Stati membri di ostacolare l’immissione sul mercato di imballaggi conformi alle disposizioni della direttiva.

Successivamente, le autorità italiane avevano trasmesso il testo dell’articolo 2 del DL n. 2/2012, che prevedeva una sospensione del divieto di commercializzazione limitata ad alcune tipologie, misura che la Commissione aveva giudicato non proporzionata.

Infatti, secondo la Commissione, la sospensione del divieto limitatamente ad alcune tipologie di sacchetti di plastica con determinate caratteristiche, non rientranti tra i requisiti essenziali definiti dalla direttiva, non era conforme al diritto europeo in quanto la direttiva medesima non consente agli Stati membri di condizionare la commerciabilità degli imballaggi né alla conformità a norme autorizzate (come la UNI EN 13432:2002 prevista dal DL n. 2/2012), né a requisiti di spessore minimo, né alla presenza di una percentuale minima di plastica riciclata nella composizione degli imballaggi.

Tuttavia, il 7 agosto 2015, le autorità italiane hanno inviato una nota alla Commissione europea, con la quale hanno persuaso quest'ultima della sostanziale conformità della normativa italiana, sulla commercializzazione dei sacchetti di plastica da asporto merci, alla disciplina UE vigente in materia. Il 28 aprile 2016, come detto, la procedura di infrazione è stata archiviata.

 

Risulta, inoltre, che la Commissione europea abbia ipotizzato un'ulteriore violazione della normativa comunitaria ed inviato una richiesta di informazioni al Governo tramite il sistema "EU Pilot".

In particolare, nell’ambito del Caso EU Pilot 8311/16/GROW, avviato nel febbraio 2016, sono stati chiesti chiarimenti in merito alle summenzionate misure nazionali, con riferimento all’adeguatezza agli obiettivi perseguiti, alla giustificazione e alla proporzionalità sotto il profilo della libera circolazione delle merci nel mercato interno, al fine di valutare se tali misure possano ritenersi giustificate da motivi di interesse generale, ai sensi dell'articolo 36 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

La direttiva 2015/720 (articolo 1-bis, commi 1 e 2) consente misure di restrizione alla commercializzazione, proporzionate e non discriminatorie, solo per le "borse di plastica in materiale leggero". Queste ultime sono definite, ai sensi del punto 1-quater) della direttiva 94/62/CE, come "borse di plastica con uno spessore inferiore a 50 micron".

In Italia, invece, vige un divieto di commercializzazione delle borse "non biodegradabili" (articolo 1, commi 1129 e 1130, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che risultano oggetto di abrogazione in base al disegno di legge di delegazione europea in esame), dicitura che può comprendere anche tipologie diverse da quelle previste nella normativa dell'Unione.

Come già ricordato, a seguito dell'avvenuta scadenza della precedente delega contenuta nell'articolo 4 della legge n. 170 del 2016 (legge di delegazione europea 2015), la Commissione europea ha comunicato l'avvio di una procedura di infrazione, la n. 2017_0127, per mancato recepimento della direttiva 2015/720. La lettera di costituzione in mora al Governo italiano, ai sensi dell'articolo 258 del TFUE, è datata 24 gennaio 2017, con l'invito all'Italia a trasmettere alla Commissione europea stessa le proprie risposte nel termine di due mesi.


Allegato A


Direttiva (UE) 2015/1794

(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 ottobre 2015, che modifica le direttive 2008/94/CE, 2009/38/CE e 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 98/59/CE e 2001/23/CE del Consiglio, per quanto riguarda i marittimi)

 

 

Il provvedimento in titolo ha novellato diverse direttive relative a tutele lavoristiche, in particolare sopprimendo esclusioni e deroghe - rispetto all'ambito di applicazione delle medesime norme - che erano ammesse per alcune categorie di lavoratori marittimi. Da tali esclusioni e deroghe derivava - a giudizio delle istituzioni dell'Unione - una "disparità di trattamento per la medesima categoria di lavoratori da parte di diversi Stati membri" (punto n. 5 delle Premesse).

In particolare, il testo apporta modifiche alle seguenti direttive:

1)    direttiva 2008/94/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2008[17], relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (versione consolidata). L'articolo 1 del provvedimento in titolo - modificando l'articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2008/94/CE - riconduce i pescatori retribuiti a percentuale nell'ambito di applicazione della direttiva. Ne rimangono esclusi i soli "lavoratori domestici al servizio di una persona fisica", nel caso in cui "il diritto nazionale preveda già disposizioni in tal senso";

2)    direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 maggio 2009, riguardante l'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie (versione consolidata). L'articolo 2 del provvedimento in titolo ha abrogato la norma che permetteva di escludere il personale navigante della marina mercantile dall'applicazione del testo. Ha inoltre inserito una disposizione (nuovo articolo 10, par. 3) in virtù della quale i membri dell'equipaggio di una nave marittima che siano membri di delegazioni speciali di negoziazione o di comitati aziendali europei[18] sono autorizzati a partecipare alle relative riunioni, qualora non siano in mare e non si trovino all'estero. Le riunioni sono anzi fissate in modo tale da facilitarne la partecipazione, considerando l'ipotesi di fare ricorso a "nuove tecnologie d'informazione e di comunicazione";

3)    direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori (versione consolidata). L'articolo 3 della direttiva (UE) 2015/1794 in esame ha eliminato la possibilità, per gli Stati membri, di prevedere disposizioni particolari di deroga applicabili agli equipaggi delle navi d'alto mare;

4)    direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi (versione consolidata). L'articolo 4 del provvedimento in titolo ha eliminato la norma che, nel testo originario, escludeva gli equipaggi di navi marittime dall'applicazione della direttiva (articolo 1, par. 2, lett. c)). Ha inoltre inserito l'obbligo, per il datore di lavoro che intenda effettuare il licenziamento collettivo dei membri dell'equipaggio di una nave marittima, di inviare una notifica "all'autorità competente dello Stato di cui la nave batte bandiera";

5)    direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti ovvero di parti di imprese o di stabilimenti (versione consolidata). L'articolo 5 sostituisce il paragrafo 3 dell'articolo 1 della direttiva, specificando che la medesima non si applica "qualora l'oggetto del trasferimento consista esclusivamente in una o più navi marittime" (comma 2), mentre trova applicazione (comma 1) qualora il trasferimento di una nave marittima abbia luogo "quale parte del trasferimento di un'impresa, di uno stabilimento o di parte di un'impresa o di uno stabilimento" e sempre che il cessionario si trovi oppure che l'impresa, lo stabilimento o la parte di impresa o di stabilimento trasferiti rimangano nell'ambito di applicazione territoriale del Trattato sull'Unione europea.

 

L'articolo 6 della direttiva (UE) 2015/1794 stabilisce che l'attuazione della stessa non può, in ogni caso, giustificare "una riduzione del livello generale di protezione delle persone cui si applica la presente direttiva già assicurato negli Stati membri" ai sensi delle direttive modificate.

Il termine per il recepimento della direttiva in esame è fissato dall'articolo 8 al 10 ottobre 2017.

 

La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2013) 798, sulla quale l'11a Commissione permanente del Senato della Repubblica ha espresso, il 18 dicembre 2013, un parere favorevole (Doc XVIII, n. 41).


Direttiva (UE) 2015/2302

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 90/314/CEE del Consiglio

 

 

La direttiva (UE) 2015/2302 mira a garantire un livello sempre più elevato di protezione per i consumatori che usufruiscono di contratti per pacchetti turistici e servizi turistici collegati (articolo 1)  fissando un adeguato livello di armonizzazione tra gli Stati membri (articolo 4).

 

Ciò si è reso necessario a causa dei notevoli cambiamenti che il mercato del turismo ha subito dal momento dell'adozione della direttiva 90/314/CEE, dovuti anche al crescente utilizzo delle prenotazioni online e al ricorso a servizi sempre più personalizzati, nonché delle divergenze nelle legislazioni degli Stati membri.

 

Tra i punti salienti della direttiva - che non si applica ai pacchetti di durata inferiore alle 24 ore, a quelli senza fini di lucro e a quelli acquistati all'interno di un accordo generale di viaggio relativo ad un'attività commerciale o professionale (articolo 2) - rientrano disposizioni in materia di:

ü  obbligo di informazione e contenuto dei contratti (capo II);

ü  modifiche dei contratti prima della loro esecuzione (Capo III);

ü  esecuzione dei pacchetti (Capo IV);

ü  protezione in caso di insolvenza (Capo V).

 

In particolare, in materia di obblighi informativi la direttiva prevede che prima della sottoscrizione del contratto, il venditore, o l'organizzatore, fornisca al viaggiatore una serie di dati, secondo dei moduli standard, nonché informazioni sulle caratteristiche dei servizi (tra cui destinazione, alloggio, pasti, escursioni), sul venditore, sui prezzi e costi aggiuntivi, sulle modalità di pagamento, sul numero minimo di partecipanti, sulle facoltà di risolvere il contratto e su eventuali coperture assicurative (articolo 5). Tutte le suddette informazioni devono essere parte integrante del contratto e non potranno essere modificate, salvo accordo esplicito tra le parti (articolo 6). Il contratto dovrà essere formulato in linguaggio semplice e comprensibile e dovrà  precisare, tra l'altro: le richieste specifiche del viaggiatore accettate dall'organizzatore; la responsabilità dell'organizzatore  per l'esecuzione dei servizi turistici e in caso di difficoltà del viaggiatore; i recapiti dell'organismo incaricato della protezione in caso di insolvenza; l'obbligo di comunicazione per il viaggiatore in caso di difetti di conformità, le procedure per il trattamento dei reclami (articolo 7).

Per quanto riguarda eventuali modifiche al contratto, la direttiva prevede la possibilità di cedere lo stesso ad un altro viaggiatore, purché se ne dia un ragionevole preavviso (articolo 9). Eventuali aumenti di prezzi (limitati all'8% nella maggioranza dei casi) sono autorizzati solo se espressamente previsti dal contratto e se risultano legati al costo del carburante, alle tasse imposte da terzi e ai tassi di cambio. Tali aumenti dovranno essere comunicati venti giorni prima dell'inizio del pacchetto (articolo 10). Qualora l'organizzatore imponga in modo unilaterale un aumento dei prezzi superiore all'8%, oppure modifichi il contratto in modo significativo, il viaggiatore potrà accettare le modifiche, accettare un eventuale pacchetto sostitutivo oppure risolvere il contratto ottenendo un rimborso completo entro quattordici giorni (articolo 11). Il viaggiatore inoltre potrà rescindere il contratto in qualsiasi momento pagando una penale. Quest'ultima non dovrà essere corrisposta in caso di circostanze inevitabili e straordinarie verificatesi nel luogo di destinazione o nelle sue immediate vicinanze. In questo caso anche l'organizzatore può risolvere il contratto offrendo al viaggiatore un rimborso integrale (articolo 12).

La direttiva conferisce poi all'organizzatore la responsabilità dell'esecuzione dei servizi turistici previsti dal contratto, indipendentemente dal fatto che essi siano prestati da altri fornitori. In particolare l'organizzatore dovrà: porre rimedio ad eventuali difetti di conformità segnalati dal venditore (salvo impossibilità o costi sproporzionati); offrire soluzioni alternative; in caso di "circostanze straordinarie" assicurare il rientro del viaggiatore o, ove ciò non sia possibile, sostenere i costi dell'alloggio (per non più di tre notti). Quanto al viaggiatore, questi potrà risolvere il contratto senza spese qualora l'organizzatore non ponga rimedio ad un difetto di conformità che incida in modo significativo sull'esecuzione del pacchetto (articolo 13). Inoltre, in caso di danni subiti a seguito di un difetto di conformità, il viaggiatore avrà diritto ad un risarcimento, da erogare senza indebito ritardo, a meno che il difetto di conformità sia imputabile al viaggiatore stesso o a circostanze inevitabili e straordinarie, nel qual caso non sono previsti rimborsi (articolo 14). Ai viaggiatori deve inoltre essere garantita la possibilità di inviare messaggi, reclami e richieste ai venditori, che dovranno inoltrarli all'organizzatore (articolo 15). Quest'ultimo dovrà poi prestare adeguata assistenza al viaggiatore in difficoltà, fornendo informazioni riguardanti, tra l'altro, l'assistenza consolare e servizi turistici alternativi (articolo 16).

Nei casi di insolvenza da parte dell'organizzatore e di mancata erogazione dei servizi pattuiti, il viaggiatore avrà diritto al rimborso delle somme pagate indipendentemente dal luogo di residenza, da quello di partenza e di vendita del pacchetto (articolo 17). Al fine di migliorare la cooperazione internazionale, negli Stati membri è istituita una rete di punti di contatto centrali che mettono a disposizione dei loro omologhi tutte le informazioni sui rispettivi obblighi nazionali in materia di protezione in caso di insolvenza (articolo 18).

Altre disposizioni riguardano le responsabilità in caso di errore di prenotazione (articolo 21), il regime sanzionatorio (articolo 25), il riesame da parte della Commissione europea (articolo 26), le modifiche da apportare al regolamento (CE) 2006/2004 e alla direttiva 2011/83/UE  (articolo 27).

Il termine fissato per il recepimento è il 1° gennaio 2018.


Direttiva (UE) 2016/97

(Distribuzione assicurativa)

 

 

La direttiva (UE) 2016/97 rifonde e abroga la direttiva 2002/92/CE (direttiva sulla intermediazione assicurativa, Insurance Mediation Directive - IMD1) cambiandone la denominazione in direttiva sulla distribuzione assicurativa (IDD) al fine di sottolineare come essa sia rivolta non solo agli intermediari assicurativi, ma a tutti i soggetti che distribuiscono prodotti assicurativi (agenti, mediatori e operatori di «bancassicurazione», imprese di assicurazione, agenzie di viaggio e autonoleggi).

Nella definizione di distribuzione assicurativa è ricompresa, oltre alla vendita diretta di prodotti assicurativi da parte delle imprese di assicurazione, anche l’attività di comparazione tramite internet quando il sito consenta al cliente di stipulare direttamente o indirettamente anche il contratto di assicurazione. Sono previsti requisiti proporzionati per i singoli che vendono prodotti assicurativi a titolo accessorio. Sono introdotti, inoltre, requisiti di professionalità e trasparenza, nonché norme di comportamento e nuove regole di informazione.

In particolare la nuova direttiva è volta a disciplinare, in modo più ampio, l'attività di distribuzione assicurativa introducendo sistemi semplificati di gestione dei registri e di vigilanza sulle imprese e sugli intermediari. La direttiva mira a realizzare un’armonizzazione minima tra le legislazioni e non impedisce, pertanto, agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più rigorose per tutelare i consumatori, a condizione che tali disposizioni siano coerenti con il diritto dell’Unione.

 

La direttiva dovrà essere recepita negli ordinamenti nazionali entro il 23 febbraio 2018.

 

Si evidenzia, in particolare, che la direttiva (UE) 2016/97 ha ampliato il quadro regolamentare relativo ai prodotti d’investimento assicurativo con riferimento ai conflitti d’interesse, alla informativa precontrattuale e agli incentivi e alla valutazione dell’idoneità e dell’adeguatezza del prodotto. Il Capo VI (articoli 26 e seguenti) prevede, infatti, alcuni requisiti supplementari in relazione ai prodotti di investimento assicurativi.

La direttiva ha contestualmente soppresso, a decorrere dal 23 febbraio 2016, il Capo III-bis della IMD (2002/92/CE) in tema di prodotti d’investimento assicurativo, che era stato introdotto dalla direttiva 2014/65/UE (MFID II).

 

Tra le altre novità della IDD si segnalano:

·       il Registro Unico Elettronico degli intermediari trasfrontalieri tenuto dall’EIOPA (art. 3, par. 4);

·       le nuove informazioni richieste in fase di registrazione dell’intermediario nello Stato di origine: a) identificazione delle partecipazioni superiori al 10%; b) nominativi di persone che hanno stretti legami con l’intermediario; c) informazioni sull’irrilevanza di esse nell’esercizio delle funzioni di vigilanza (art. 3, par. 4-5);

·       la formazione richiesta per i dipendenti che si occupano della distribuzione da parte delle imprese che effettuano vendita diretta (art. 10, par. 8);

·       l’obbligo di collocare il prodotto solo se rispetta le esigenze assicurative del cliente (demands and needs test);

·       nuovi obblighi informativi precontrattuali per consentire al cliente di prendere una decisione informata;

·       obbligo di strutturare le pratiche di remunerazione degli intermediari e dei dipendenti dell’impresa in modo da evitare che il distributore sia indotto a non perseguire l’interesse del cliente; l’intermediario è anche obbligato a fornire informazioni in merito alla natura del compenso;

·       in caso di attività transfrontaliera, rafforzamento del ruolo dello Stato ospitante rispetto alle attività illegittimamente compiute nell’ambito della distribuzione di prodotti assicurativi da un intermediario registrato in un altro Stato membro;

·       la disciplina della “vendita abbinata” (articolo 24);

·       il rafforzamento del sistema sanzionatorio.

 


Direttiva (UE) 2016/343

(Presunzione di innocenza e diritto di presenziare al processo penale)

 

 

La Direttiva (UE) 2016/343, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, intende tutelare (art. 1):

§  la presunzione di innocenza di chiunque sia accusato o sospettato di un crimine da parte delle autorità giudiziarie o di polizia;

§  il diritto di una persona accusata di presenziare al proprio processo penale.

 

La direttiva si inserisce nella tabella di marcia tracciata dalle istituzioni europee (Risoluzione del Consiglio europeo del 30 novembre 2009) per raggiungere l’obiettivo fissato nell’articolo 82, par. 2 del Trattato di Lisbona ossia l’attuazione dei diritti della persona nei procedimenti penali, funzionale a incrementare i diritti di indagati e imputati. In merito, sino alla direttiva in commento, erano intervenute:

- Direttiva 2010/64/UE – sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, attuata in Italia con il decreto legislativo n. 32 del 2014;

- Direttiva 2012/13/UE – sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, attuata in Italia dal decreto legislativo n. 101 del 2014;

- Direttiva 2013/48/UE – sul diritto al difensore e alla comunicazione con i terzi, attuata in Italia dal decreto legislativo n. 184 del 2016.

 

La direttiva si applica a qualsiasi persona indagata o imputata in un procedimento penale e riguarda tutte le fasi di quel procedimento, dal momento in cui una persona è sospettata o accusata di aver commesso un reato alla decisione finale (art. 2).

Alla persona indagata o imputata in un procedimento penale, la direttiva riconosce, anzitutto, la presunzione di innocenza, finché non ne sia dimostrata la colpevolezza.

In merito (artt. 3-5), gli Stati UE dovranno adottare misure per garantire che nelle dichiarazioni pubbliche da parte delle autorità procedenti non ci si riferisca alla persona come colpevole e dovranno altresì garantire che le persone indagate o imputate non siano presentate come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica (a meno che tali misure non siano necessarie per garantire la sicurezza o evitare il pericolo di fuga).

 

Corollari della presunzione d’innocenza sono i seguenti principi, che gli Stati dovranno garantire:

§  l’onere della prova della colpevolezza incombe sulla pubblica accusa. L’art. 6 della direttiva fa salvo l'eventuale obbligo per il PM o il giudice di ricercare le prove sia a carico sia a discarico e il diritto della difesa di produrre proprie prove. Dall’affermazione del principio deriva l’obbligo per gli Stati di garantire che in caso di dubbio sulla colpevolezza, l’imputato sia assolto;

§  l’indagato ha diritto di rimanere in silenzio e di non autoincriminarsi (art. 7) e tale silenzio non dovrà essere utilizzato contro di lui né in alcun modo valutato ai fini della commissione del reato. La Direttiva consente peraltro agli Stati di prevedere che, in relazione ai reati minori, lo svolgimento del procedimento, o di alcune sue fasi, possa avvenire per iscritto o senza un interrogatorio dell'indagato o imputato «purché ciò rispetti il diritto a un equo processo». In base all’art. 10 della Direttiva, inoltre, se il diritto al silenzio o il diritto di non autoincriminarsi viene violato, gli Stati UE devono garantire che siano rispettati i diritti alla difesa e l’equità del procedimento all’atto di valutare le dichiarazioni rese.

 

La Direttiva riconosce inoltre alla persona indagata o imputata in un procedimento penale, il diritto di presenziare al proprio processo (art. 8). Ciò nonostante, il processo può essere celebrato in assenza dell’indagato o imputato, nelle seguenti ipotesi:

§  la persona è stata informata a tempo debito del processo e delle conseguenze di una mancata comparizione;

§  la persona ha conferito mandato a un difensore per rappresentarla in giudizio.

Se non è possibile rispettare le suddette condizioni e il processo penale si tiene lo stesso in assenza dell’imputato, gli Stati devono garantire alla persona, una volta informata della decisione presa in sua assenza, mezzi di impugnazione o il diritto a un nuovo processo (art. 9), che consenta di riesaminare il merito della causa, incluso l'esame di nuove prove, e possa condurre alla riforma della decisione originaria.

 

Se il principio della presunzione di innocenza e il diritto di presenziare al proprio processo penale sono violati, gli Stati devono garantire mezzi di ricorso adeguati (art. 10).

 

Infine, tenuto conto che i principi affermati dalla direttiva sono già patrimonio dei diritti fondamentali europei, sanciti sia dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (artt. 47 e 48), sia dalla Convenzione EDU (art. 6), nella direttiva è stata inserita una clausola di non regressione rispetto al consolidamento di tali diritti nell’ambito della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 13).

 

Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 10 aprile 2018.


Direttiva (UE) 2016/680

(Trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti)

 

 

Direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio.

 

La direttiva fa parte di un pacchetto di riforme legislative sulla protezione dei dati nell’Unione europea il quale comprende, oltre alla direttiva in oggetto, il regolamento (UE) 2016/679 ("regolamento generale sulla protezione dei dati")[19].

Obiettivo della direttiva è stabilire le norme relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, incluse la salvaguardia e la prevenzione di minacce alla sicurezza pubblica.

Ai sensi della direttiva, gli Stati membri sono tenuti a:

·       tutelare i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare il diritto alla protezione dei dati personali; 

·       garantire che lo scambio dei dati personali da parte delle autorità competenti all'interno dell'Unione, qualora tale scambio sia richiesto dal diritto dell'Unione o da quello dello Stato membro, non sia limitato né vietato per motivi attinenti alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali.

L'art. 4 della direttiva detta i princìpi applicabili al trattamento dei dati personali e prescrive che i dati raccolti dalle autorità di polizia siano:

-      trattati in modo lecito e corretto;

-      raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, e trattati in modo non incompatibile con tali finalità;

-      adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono trattati;

-      esatti e, se necessario, aggiornati;

-      conservati in una forma che consenta l’identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati;

-      trattati in modo da garantire un'adeguata sicurezza, compresa la protezione da trattamenti non autorizzati o illeciti e dalla perdita, dalla distruzione o dal danno accidentali.

Gli Stati membri devono disporre che siano fissati termini adeguati per la cancellazione dei dati personali o per un esame periodico della necessità della conservazione di tali dati (art. 5).

La direttiva prescrive che i "titolari del trattamento"[20], se del caso e nella misura del possibile, operino una "chiara distinzione" tra i dati personali delle diverse categorie di interessati, quali:

-      le persone per le quali vi sono fondati motivi di ritenere che abbiano commesso o stiano per commettere un reato;

-      le persone condannate per un reato;

-      le vittime di reato o le persone che alcuni fatti autorizzano a considerare potenziali vittime di reato;

-      altre parti rispetto a un reato, tra cui i potenziali testimoni (art. 6).

Per quanto concerne le informazioni disponibili o da fornire agli interessati, il titolare del trattamento deve mettere a disposizione almeno le seguenti informazioni (art. 13):

-      l'identità e i dati di contatto del titolare del trattamento;

-      i dati di contatto del responsabile della protezione dei dati, se del caso;

-      le finalità del trattamento;

-      il diritto di proporre reclamo a un’autorità di controllo;

-      l’esistenza del diritto di chiedere l’accesso ai dati e la rettifica o la cancellazione dei propri dati personali e la limitazione del trattamento dei propri dati personali.

Per prevenire trattamenti che violino la direttiva in oggetto, le autorità nazionali devono porre in atto misure tecniche e organizzative che garantiscano un livello di sicurezza dei dati personali adeguato.

In caso di trattamento dei dati automatizzato, la direttiva impone che vengano prese misure volte a:

a)     vietare alle persone non autorizzate l'accesso alle attrezzature utilizzate per il trattamento ("controllo dell'accesso alle attrezzature");

b)    impedire che supporti di dati possano essere letti, copiati, modificati o asportati da persone non autorizzate ("controllo dei supporti di dati");

c)     impedire che i dati personali siano inseriti senza autorizzazione e che i dati personali conservati siano visionati, modificati o cancellati senza autorizzazione ("controllo della conservazione");

d)    impedire che persone non autorizzate utilizzino sistemi di trattamento automatizzato mediante attrezzature per la trasmissione di dati ("controllo dell'utente");

e)     garantire che le persone autorizzate a usare un sistema di trattamento automatizzato abbiano accesso solo ai dati personali cui si riferisce la loro autorizzazione d'accesso ("controllo dell'accesso ai dati");

f)      garantire la possibilità di verificare e accertare gli organismi ai quali siano stati o possano essere trasmessi o resi disponibili i dati personali utilizzando attrezzature per la trasmissione di dati ("controllo della trasmissione");

g)    garantire la possibilità di verificare e accertare a posteriori quali dati personali sono stati introdotti nei sistemi di trattamento automatizzato, il momento della loro introduzione e la persona che l'ha effettuata ("controllo dell'introduzione");

h)    impedire che i dati personali possano essere letti, copiati, modificati o cancellati in modo non autorizzato durante i trasferimenti di dati personali o il trasporto di supporti di dati ("controllo del trasporto");

i)      garantire che, in caso di interruzione, i sistemi utilizzati possano essere ripristinati ("recupero");

j)      garantire che le funzioni del sistema siano operative, che eventuali errori di funzionamento siano segnalati ("affidabilità") e che i dati personali conservati non possano essere falsati da un errore di funzionamento del sistema ("integrità").

· 

La direttiva 2016/680/UE è entrata in vigore il 5 maggio 2016.

Il termine per il recepimento negli ordinamenti nazionali è fissato al 6 maggio 2018.

 

Nel gennaio del 2012 la Commissione europea aveva presentato un pacchetto costituito da: una proposta di direttiva concernente la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, volta a sostituire la decisione quadro 2008/977/GAI (COM(2012)10); una proposta di regolamento concernente la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e la libera circolazione di tali dati  (regolamento generale sulla protezione dei dati), volta a sostituire la direttiva 95/46/CE (COM(2012)11).

Il 13 giugno 2012 la 14a Commissione (Politiche dell'Unione europea) del Senato della Repubblica si è espressa con risoluzione su entrambe le proposte (doc. XVIII-bis n. 73), formulando osservazioni complessivamente favorevoli pur con alcuni rilievi critici. Nel merito, sottolineava positivamente come le proposte recepiscano l’esigenza di una risposta coordinata a livello europeo al fine di tutelare i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare il diritto alla protezione dei dati personali, garantendo al tempo stesso lo scambio di dati personali a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali. Invitava tuttavia a chiarire e meglio definire il concetto di "sicurezza nazionale" espresso all’art. 2 della proposta di direttiva. La Commissione europea ha fornito chiarimenti sulle criticità segnalate con la risposta inviata il 21 febbraio 2013 (C(2013)357).


Direttiva (UE) 2016/681

(Uso dei dati del codice di prenotazione a fini di prevenzione dei reati di terrorismo e dei reati gravi)

 

 

Direttiva (UE) 2016/681 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, sull'uso dei dati del codice di prenotazione (PNR) a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi.

 

La direttiva prevede:

 

Ai fini della direttiva, si intende per "codice di prenotazione" (PNR) le informazioni relative al viaggio di ciascun passeggero comprendenti i dati necessari per il trattamento e il controllo delle prenotazioni a cura dei vettori aerei, siano esse registrate in sistemi di prenotazione, in sistemi di controllo delle partenze utilizzati per la registrazione dei passeggeri sui voli, o in altri sistemi equivalenti con le stesse funzionalità.

I dati del codice di prenotazione raccolti dai vettori aerei sono elencati all'allegato I e comprendono:

  1. il codice PNR di identificazione della pratica;
  2. la data di prenotazione/emissione del biglietto;
  3. le date di viaggio;
  4. il nome;
  5. indirizzo, recapito telefonico e indirizzo di posta elettronica;
  6. le informazioni sui viaggiatori abituali;
  7. l’itinerario di viaggio;
  8. l'agenzia di viaggio;
  9. lo status di viaggio del passeggero, inclusi conferme, check-in, precedenti assenze all'imbarco o passeggero senza prenotazione;
  10. PNR scissi/divisi;
  11. osservazioni generali (comprese tutte le informazioni sui minori non accompagnati di età inferiore a 18 anni);
  12. i dati sull'emissione del biglietto;
  13. le informazioni sul posto, compreso il numero di posto assegnato;
  14. le informazioni sul code share (codici comuni);
  15. le informazioni sui bagagli;
  16. il numero di viaggiatori e altri nomi figuranti nel PNR;
  17. le informazioni anticipate sui passeggeri (API) eventualmente raccolte (tra cui: tipo, numero, Paese di rilascio e data di scadenza del documento, cittadinanza, cognome, nome, sesso, data di nascita, compagnia aerea, numero di volo, data di partenza, data di arrivo, aeroporto di partenza, aeroporto di arrivo, ora di partenza e ora di arrivo);
  18. cronistoria delle modifiche dei dati PNR.

 

Ciascuno Stato membro deve stabilire o designare un'autorità competente in materia di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi che agisca in qualità di "unità d'informazione sui passeggeri" (UIP) (art. 4).

La UIP è incaricata di:

·       raccogliere i dati PNR presso i vettori aerei, conservare, trattare e trasferire tali dati o i risultati del loro trattamento alle autorità nazionali competenti;

·       scambiare i dati PNR e i risultati del trattamento dei dati con le UIP degli altri Stati membri e con Europol.

Per quanto concerne il trattamento dei dati PNR, la direttiva prescrive che l'UIP dello Stato membro interessato provveda al trattamento unicamente a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi.

In particolare, a norma dell'art. 6, i dati possono essere trattati per le seguenti finalità:

 

I vettori aerei che effettuano voli extra-UE hanno l'obbligo di trasferire i dati PNR raccolti (art. 8).

Gli Stati membri sono pertanto tenuti ad adottare i necessari provvedimenti affinché i vettori aerei trasferiscano, attraverso il "metodo push", i dati PNR alla banca dati dell'UIP dello Stato membro nel cui territorio atterra o dal cui territorio parte il volo[22].

La direttiva definisce "metodo push" il metodo in base al quale i vettori aerei trasferiscono i dati PNR alla banca dati dell'autorità richiedente. Questo si differenzia dal "metodo pull", in base al quale le autorità competenti dello Stato membro che chiede i dati PNR possono accedere al sistema di prenotazione del vettore aereo ed estrarre una copia dei dati PNR richiesti.

La direttiva consente agli Stati membri di estendere tale obbligo ai vettori aerei che effettuano voli intra-UE, o solo a voli intra-UE selezionati (art. 2).

Gli Stati membri devono provvedere affinché, per quanto riguarda le persone identificate da un'UIP ai fini del trattamento dei dati PNR, vengano trasmessi tutti i dati PNR "pertinenti e necessari" o i risultati del loro trattamento alle corrispondenti UIP degli altri Stati membri (scambio di informazioni tra Stati membri, art. 9).

I dati PNR possono essere trasferiti a un Paese terzo soltanto caso per caso e a determinate condizioni (art. 11).

I dati PNR trasmessi dai vettori aerei all'UIP devono essere da questa conservati in una banca dati per un periodo di cinque anni dal trasferimento all'UIP dello Stato membro dal cui territorio parte o nel cui territorio atterra il volo (art. 12).

Allo scadere del periodo di sei mesi dal trasferimento, tutti i dati PNR devono essere "resi anonimi" mediante mascheratura degli elementi che potrebbero servire a identificare direttamente il passeggero cui si riferiscono i dati PNR o altre persone.

Tali informazioni comprendono:

Allo scadere del periodo di sei mesi, la comunicazione dei dati PNR integrali è consentita solo se:

 

La direttiva 2016/681/UE è entrata in vigore il 24 maggio 2016.

Il termine per il recepimento è fissato al 25 maggio 2018.

 

Sulla proposta di direttiva (COM(2011)32)[23], la 1a Commissione (Affari costituzionali) del Senato della Repubblica si è pronunciata in senso favorevole con risoluzione del 30 marzo 2011 (doc. XVIII n. 86). Ha tuttavia formulato le seguenti osservazioni: 1) si è invitato a valutare l’effettiva necessità di trattare tutti i dati PNR elencati nell’allegato alla proposta; si è rilevato inoltre come particolarmente importante che per ciascuna delle diciannove categorie di dati PNR venga fornita "un’adeguata motivazione" circa la pertinenza dell’acquisizione del dato ai fini del contrasto degli specifici reati che la proposta mira a prevenire; 2) nel merito, si è sottolineato come la proposta imponga ai vettori aerei l’obbligo giuridico di fornire agli Stati membri dell’Unione i dati del codice di prenotazione elencati, ovvero dati che consentano alle autorità di contrasto di identificare anche persone "non note", ossia mai sospettate prima di reati gravi o di terrorismo, ma il cui probabile coinvolgimento è rilevato da un’analisi dei dati. Si è invitato pertanto a valutare "con estrema attenzione e cautela" l’ipotesi di estendere il campo di applicazione all’acquisizione dei dati PNR dei voli interni all’Unione Europea.

La Commissione europea ha risposto in data 11 gennaio 2012 (C(2012)52), dichiarando che avrebbe preso "debitamente atto degli specifici punti relativi alla motivazione dell'acquisizione di tutti gli elementi rientranti nella lista dei dati PNR contenuta nell'allegato alla proposta e alla cautela da riservare alla tematica dei voli interni all'Unione Europea".


Le Direttive concernenti il quarto pacchetto ferroviario (direttiva (UE) 2016/797; direttiva (UE) 2016/798, direttiva (UE) 2016/2370)

 

 

Nell’allegato A al disegno di legge di delegazione europea per il 2016 si procede al recepimento di tre importanti direttive concernenti il sistema ferroviario dell’Unione.

Si tratta in particolare:

della direttiva (UE) 2016/797 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2016 concernente l’interoperabilità del sistema ferroviario dell’Unione;

della direttiva (UE) 2016/798 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2016 sulla sicurezza delle ferrovie;

e della direttiva (UE) 2016/2370 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2016 modifica la direttiva 2012/34/UE per quanto riguarda l'apertura del mercato dei servizi di trasporto ferroviario nazionale di passeggeri e la governance dell'infrastruttura ferroviaria;

 

Le tre direttive citate sono ricomprese nel “quarto pacchetto ferroviario”. In particolare le prime due direttive afferiscono al cosiddetto “pilastro tecnico” mentre la terza direttiva completa il “pilastro politico” dell’iniziativa europea (vedi box).

 

 

 

Il quarto pacchetto ferroviario

 

Il "quarto pacchetto ferroviario", presentato dalla Commissione europea il 30 gennaio 2013, propone un approccio integrato volto a rivitalizzare il trasporto ferroviario dell'UE per favorire la creazione di uno spazio ferroviario unico europeo.

Il pacchetto comprende:

 

- la comunicazione "Quarto pacchetto ferroviario – Completare lo spazio ferroviario europeo unico per favorire la competitività e la crescita europee" (COM(2013)25);

- un regolamento relativo alla normalizzazione dei conti delle aziende ferroviarie;

- un regolamento relativo all'Agenzia dell'Unione europea per le ferrovie;

- un regolamento sull'apertura del mercato dei servizi di trasporto nazionale di passeggeri per ferrovia;

- una direttiva sullo spazio ferroviario europeo;

- una direttiva e una relazione (COM(2013)32) relative all'interoperabilità del sistema ferroviario europeo;

 - una direttiva sulla sicurezza delle ferrovie;

 - una relazione sul profilo e i compiti degli altri membri del personale viaggiante (COM(2013)33);

 

 

 - una relazione sulla liberalizzazione del mercato del trasporto ferroviario internazionale di passeggeri (COM(2013)34).

 

Tutte le disposizioni sopra indicate hanno completato il loro iter a livello di Unione europea innovando profondamente il quadro regolamentare nel settore ferroviario.

A maggio 2016 sono stati infatti pubblicati gli atti riconducibili al “pilastro tecnico” del pacchetto, il cui obiettivo è accrescere le economie di scala per le imprese ferroviarie nell'UE e ridurre i costi e i tempi delle procedure amministrative. Si tratta del Regolamento (UE) 2016/796 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un'Agenzia dell'Unione europea per le ferrovie e che abroga il Regolamento (CE) n. 881/2004, della direttiva (UE) 2016/797 relativa all'interoperabilità del sistema ferroviario europeo e della direttiva (UE) 2016/798 sulla sicurezza delle ferrovie.

A dicembre 2016 sono infine stati pubblicati gli atti riferiti al “pilastro politico” che vertono sull’assetto del comparto ossia: il Regolamento (UE) 2237/2016 relativo alla normalizzazione dei conti delle aziende ferroviarie che abroga il Regolamento (CEE) n. 1192/69 del Consiglio il quale permetteva agli Stati membri di compensare 40 imprese ferroviarie che figurano in un elenco per il pagamento di obblighi che le imprese operanti in altri settori di trasporto non devono sostenere; il Regolamento (UE) 2238/2016 che, modificando il Regolamento (CE) 1370/2007, introduce norme sull'apertura del mercato dei servizi di trasporto nazionale di passeggeri per ferrovia e la direttiva (UE) 2016/2370 che riguarda l'apertura del mercato dei servizi di trasporto ferroviario nazionale di passeggeri e la governance dell'infrastruttura ferroviaria, modificando la direttiva 2012/34/UE, ossia la direttiva che istituisce lo spazio ferroviario unico europeo, recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n.112/2015. Gli atti citati trattano delle questioni relative alla separazione tra le funzioni di gestore della rete ferroviaria e di prestatore di servizi ferroviari all'interno delle cosiddette "imprese integrate", nonché delle questioni riguardanti l'aggiudicazione dei contratti di servizio pubblico per il trasporto ferroviario mediante gara ovvero affidamento diretto.


Direttiva (UE) 2016/797

(del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'interoperabilità del sistema ferroviario dell'Unione europea dell’11 maggio 2016 (rifusione))

 

(termine di recepimento 16 giugno 2019)

 

La direttiva (UE) 2016/797 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2016 sull’interoperabilità del sistema ferroviario dell’Unione europea procede alla rifusione della direttiva 2005/57/CE avente il medesimo oggetto.

Tale direttiva, unitamente alla direttiva (UE) 2016/798 (su cui vedi infra), è diretta a fornire un quadro di riferimento volto a favorire il superamento della frammentazione della regolamentazione tecnica nel settore ferroviario.

La direttiva (UE) 2016/797 si concentra in particolare sugli aspetti concernenti la progettazione, la costruzione, l’immissione sul mercato, l’esercizio, la manutenzione e il rinnovo dei sistemi e dei mezzi ferroviari oltre che sulle modalità secondo le quali tutti gli elementi costituenti il sistema ferroviario interagiscono tra loro al fine di garantire la sicurezza e l’efficienza del trasporto ferroviario. A tal fine si propone di semplificare ed omogeneizzare l’insieme di autorizzazioni e regole tecniche che governano tale complesso sistema, superando le disposizioni della direttiva 2005/57/CE che viene abrogata.

 

Il sistema attuale di norme tecniche e autorizzazioni, pur garantendo un elevato livello di sicurezza, è infatti frammentato tra l’Agenzia ferroviaria europea e le autorità nazionali, con conseguenti elevati costi amministrativi e ostacoli eccessivi in termini di acceso al mercato, soprattutto per i nuovi operatori e i costruttori di veicoli ferroviari.

Uno dei principali ostacoli per le imprese ferroviarie è rappresentato dalla coesistenza, da un lato, di norme nazionali tecniche e di sicurezza e, dall’altro, di specifiche tecniche di interoperabilità dell’UE (STI). Secondo stime dell’Agenzia ferroviaria europea, allo stato attuale nell’UE coesistono più di 11 mila regole di questo tipo. Esistono inoltre notevoli differenze nel modo in cui le agenzie nazionali di sicurezza gestiscono le procedure di autorizzazione dei veicoli e di certificazione di sicurezza.

Gli articoli 170-172 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, riguardanti la realizzazione delle reti transeuropee di trasporto (TEN-T), stabiliscono che l’azione dell’UE in questo settore mira a favorire l’interconnessione e l’interoperabilità delle reti nazionali nonché l’accesso a tali reti, mediante l’adozione di adeguate misure in particolare nel campo dell’armonizzazione delle norme tecniche.

 

La direttiva sottolinea l’esigenza di conseguire un forte livello di interoperabilità tra sistemi afferenti alla rete e sistemi afferenti ai veicoli ferroviari in quanto da questa forte integrazione dipendono l’affidabilità, la sicurezza e la rilevanza dei servizi ferroviari. Per questo è centrale nella direttiva la disciplina concernente le specifiche tecniche di interoperabilità (STI) dei sistemi e dei sottosistemi.

 

Gli specifici interventi della direttiva possono essere così riassunti:

 

- per quanto riguarda l'ambito di applicazione, l’interoperabilità dei sistemi locali, urbani e suburbani non è contemplata dalla direttiva (art. 1);

- alcune definizioni sono state riformulate (applicazione delle STI ai sistemi esistenti, deroghe alle STI, carenze delle STI e applicabilità delle norme nazionali) o aggiunte (il concetto di autorizzazione d’immissione del veicolo sul mercato e alcune disposizioni relative ai registri) rispetto a quanto previsto dalla precedente direttiva 2008/57/CE (art. 2);

- è definito dettagliatamente l’oggetto, la procedura di elaborazione, adozione e revisione delle STI (art. 4 - 5);

- l'articolo 6 specifica che, in seguito all'identificazione di alcune carenze e in attesa della modifica delle STI, la Commissione potrà chiedere un parere dell'Agenzia che, su richiesta della Commissione stessa, costituirà strumento di conformità;

- sono identificati i casi di eventuale non applicazione delle STI (art. 7);

- è disciplinata l’immissione sul mercato dei componenti di interoperabilità ed è stabilito il principio di libera circolazione dei sottosistemi conformi ai requisiti essenziali (artt. 8-12);

- sono specificati il ruolo delle norme nazionali, il loro rapporto con le STI, i casi in cui le norme nazionali possono essere introdotte e le procedure per la loro revoca o pubblicazione, nonché le circostanze che attivano una nuova dichiarazione "CE" di verifica (artt. 13-15);

-  sono disciplinati l’autorizzazione per la messa in servizio di impianti fissi e l’attuazione armonizzata del sistema di controllo del traffico ferroviario europeo (European Rail Traffic Management System, ERMTS) (artt. 18-19);

- l'art. 20 regola l'immissione sul mercato di sottosistemi mobili, che potrà essere effettuata sia dalle imprese ferroviarie che dai produttori;

- l'art. 21 introduce il concetto di autorizzazione di immissione del veicolo sul mercato. Tale autorizzazione dovrà essere rilasciata dall'Agenzia e dovrà contenere tutte le informazioni di cui necessiterà in seguito l'impresa ferroviaria per mettere un veicolo in servizio commerciale. Sarà possibile chiedere una dichiarazione complementare finalizzata a semplificare all'impresa ferroviaria il compito di mettere in servizio il veicolo;

- sono disciplinate la registrazione dei veicoli autorizzati all’immissione sul mercato e la loro immissione sul mercato (artt. 22 - 26);

- gli artt. da 27 a 45 relativi agli organismi di valutazione della conformità sostituiscono e integrano l’ex articolo 28 e l’ex allegato VIII per includere le disposizioni del nuovo quadro legislativo per la commercializzazione dei prodotti, come definito nella decisione 768/2008/CE;

- gli artt. da 46 a 49 disciplinano il numero europeo del veicolo (NEV) e i registri nazionali. Sono inoltre disciplinati il registro europeo dei tipi di veicoli autorizzati e il registro dell’infrastruttura;

-a seguito dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona, una serie di allegati della direttiva 2008/57/CE sono convertiti in atti di esecuzione che dovranno essere adottati dalla Commissione.

La direttiva procede infine all’abrogazione della precedente direttiva 2008/57/CE, relativa all'interoperabilità a far data dal 16 giugno 2020 (fatto salvo comunque il recepimento e l’applicazione della direttiva medesima e delle altre previste nell’allegato IV, parte B alla direttiva in commento). E’ altresì previsto per un periodo transitorio compreso tra il 15 giugno 2016 e il 16 giugno 2019 che l’autorizzazione dei veicoli continua ad essere effettuata ai sensi della direttiva 2008/57/CE.

 

Quanto al recepimento della direttiva gli Stati membri entro il 16 giugno 2019 devono adottare e pubblicare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie a conformarsi alla direttiva, ma è riconosciuto agli Stati membri, previa comunicazione da effettuarsi entro il 18 dicembre 2018, all’Agenzia europea e alla Commissione, con indicazione delle motivazioni, la possibilità di prorogare di un anno il periodo di recepimento delle prescrizioni della direttiva (in tal caso essi possono continuare fino alla scadenza del 16 giugno 2020 a rilasciare autorizzazioni ai sensi della direttiva 2008/57/CE).


Direttiva (UE) 2016/798

(del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2016 sulla sicurezza delle ferrovie (rifusione))

 

(termine di recepimento 16 giugno 2019)

 

 

La direttiva (UE) 2016/798 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2016 sulla sicurezza delle ferrovie provvede alla rifusione della direttiva 2004/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio avente ad oggetto, tra l’altro, la sicurezza delle ferrovie comunitarie.

La direttiva (UE) 798/2016 contiene disposizioni volte a sviluppare e a migliorare la sicurezza del sistema ferroviario dell'Unione e a migliorare l'accesso al mercato per la prestazione di servizi ferroviari e si applica al sistema ferroviario degli Stati membri (art. 1).

La direttiva in primo luogo descrive il sistema della sicurezza ferroviaria (artt. 1-9), successivamente vengono disciplinate la certificazione di sicurezza unica e le autorizzazioni di sicurezza nonché i compiti delle autorità nazionali di sicurezza (artt. 10 -19); sono poi normate le indagini sugli incidenti ferroviari (artt 20 - 26) e, in conclusione, si trovano le disposizioni transitorie e finali (artt. 27 – 36).

La direttiva identifica innanzi tutto i principali attori nel sistema ferroviario dell'Unione in materia di sicurezza ferroviaria nei gestori dell'infrastruttura e nelle imprese ferroviarie prevedendo che essi assumano piena responsabilità per la sicurezza della propria parte del sistema e cooperino nell'attuare le misure di controllo del rischio. Gli Stati membri, a loro volta, fanno sì che questi soggetti svolgano adeguatamente i loro compiti (art. 4).

La direttiva definisce gli obiettivi comuni di sicurezza (CST) che stabiliscono i livelli minimi di sicurezza che devono essere raggiunti dal sistema nel suo insieme, e ove possibile, dalle diverse parti del sistema ferroviario in ogni Stato membro e nell'Unione. Tali obiettivi sono soggetti a revisione periodica, precisando che la Commissione, mediante atti di esecuzione, assegna un mandato all'Agenzia dell'Unione europea per le ferrovie (istituita dal regolamento (UE) 2016/796 del Parlamento europeo e del Consiglio) per elaborare i CST e le relative modifiche nonché per presentare le pertinenti raccomandazioni alla Commissione (art. 7)

Accanto agli obiettivi comuni di sicurezza la direttiva definisce anche i metodi comuni di sicurezza (CSM) che descrivono la valutazione dei livelli di sicurezza, la realizzazione degli obiettivi di sicurezza e la conformità con gli altri requisiti in materia di sicurezza (art. 6), gli indicatori comuni di sicurezza (ICS) che servono a valutare l’effettivo livello di conseguimento degli obiettivi comuni di sicurezza (art. 5) e sono individuati nell’allegato 1 alla direttiva stessa. Sono inoltre previste disposizioni con riferimento alle specifiche tecniche di interoperabilità (STI).

Tale sistema di regole è diretto a conseguire un livello analogo di sicurezza e ad omogeneizzare il sistema di norme nazionali di volta in volta elaborate. Nel dodicesimo considerando si segnala peraltro espressamente che “le norme nazionali, spesso fondate su standard tecnici nazionali, sono gradualmente sostituite da norme fondate su standard comuni, sviluppati sulla base dei CST, dei CSM e delle specifiche tecniche di interoperabilità (STI)”.

Spetta poi ai gestori dell'infrastruttura e alle imprese ferroviarie elaborare i propri sistemi di gestione della sicurezza, definiti in dettaglio ai sensi dell’articolo 9, al fine di garantire che il sistema ferroviario dell'Unione possa raggiungere almeno i CST, sia conforme ai requisiti di sicurezza contenuti nelle STI e che siano applicati gli elementi pertinenti dei CSM e le norme nazionali.

La direttiva disciplina i contenuti e la procedura per il certificato di sicurezza unico rilasciato o dall’Agenzia dell'Unione europea per le ferrovie ovvero dalle autorità nazionali (queste ultime solo nel caso in cui l’area di esercizio dell’impresa ferroviaria sia limitato a uno Stato membro). Tale certificato costituisce il presupposto essenziale affinché un’impresa ferroviaria possa accedere all’infrastruttura ferroviaria. L’Agenzia o le autorità nazionali si assumono la piena responsabilità dei certificati unici che rilasciano (art. 10).

E’ inoltre previsto il rilascio al gestore dell’infrastruttura ferroviaria di una autorizzazione di sicurezza. L'autorizzazione di sicurezza comprende un'autorizzazione che attesta l'accettazione del sistema di gestione della sicurezza del gestore dell'infrastruttura di cui all'articolo 9, e che contiene le procedure e le disposizioni per soddisfare i requisiti necessari per la progettazione, la manutenzione e il funzionamento, in condizioni di sicurezza, dell'infrastruttura ferroviaria, compresi, se del caso, la manutenzione e il funzionamento del sistema di controllo del traffico e di segnalamento (art. 12).

L’articolo 14 prevede il regime della manutenzione dei veicoli ferroviari stabilendo che a ciascun veicolo, prima dell'utilizzo sulla rete, è assegnato un soggetto responsabile della manutenzione che assicura che i veicoli della cui manutenzione è responsabile siano in condizioni di utilizzo in sicurezza. Il responsabile pone in essere un sistema di manutenzione dei veicoli e assicura la tracciabilità della manutenzione. Una specifica disciplina riguarda i soggetti manutentori di carri merci.

Gli articoli 15 e 16 definiscono i compiti minimi e le modalità di intervento delle autorità nazionali responsabili della sicurezza ferroviaria (in Italia è l’Autorità nazionale per la sicurezza ferroviaria) mentre il Capo V (artt. 20-26) concerne le indagini in caso di incidenti o inconvenienti ferroviari. In particolare le disposizioni della direttiva prevedono che ciascuno Stato membro provvede affinché le indagini sugli incidenti e gli inconvenienti siano svolte da un organismo permanente, che comprende almeno un investigatore in grado di assolvere la funzione di investigatore incaricato in caso di incidente o di inconveniente. L’organismo di indagine è caratterizzato da indipendenza ed autonomia e ad esso sono assicurate adeguate risorse. Oltre ai compiti assegnatigli dalla presente direttiva in termini di intervento nel caso di incidenti e inconvenienti ferroviari, l'organismo investigativo può indagare su eventi diversi, purché tali altre indagini non compromettano la sua indipendenza. La direttiva disciplina anche, a grandi linee, la procedura d’indagine.

Nell’ambito delle disposizioni transitorie e finali si segnala l’articolo 33, che disciplina il recepimento della direttiva. In particolare è stabilito che gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 16 giugno 2019, ma è riconosciuto agli Stati membri, previa notifica all’Agenzia europea e alla Commissione, con indicazione delle motivazioni, la possibilità di prorogare di un anno il periodo di recepimento delle prescrizioni della direttiva.

Infine l’articolo 34 stabilisce l’abrogazione della direttiva 2004/49/CE, a decorrere dal 16 giugno 2020 (fatto salvo comunque il recepimento e l’applicazione della direttiva medesima e delle altre previste nell’allegato IV, parte B alla direttiva in commento).

 


Direttiva (UE) 2016/2370

(che modifica la direttiva 2012/34/UE per quanto riguarda l'apertura del mercato dei servizi di trasporto ferroviario nazionale di passeggeri e la governance dell'infrastruttura ferroviaria)

 

(termine di recepimento 25 dicembre 2018)

 

 

La direttiva (UE) 2016/2370 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2016 modifica la direttiva 2012/34/UE per quanto riguarda l'apertura del mercato dei servizi di trasporto ferroviario nazionale di passeggeri e la governance dell'infrastruttura ferroviaria.

 

La direttiva 2012/34/UE, recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 112 del 2015, ha istituito lo spazio ferroviario unico europeo. Essa contiene le disposizioni fondamentali con riferimento all’utilizzo ed alla gestione dell’infrastruttura ferroviaria adibita a servizi ferroviari nazionali e internazionali ed alle attività di trasporto delle imprese ferroviarie operanti in Italia, ai criteri che disciplinano il rilascio, la proroga o la modifica delle licenze per la prestazione di servizi di trasporto ferroviario, i principi e le procedure da applicare nella determinazione e nella riscossione dei canoni dovuti per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria e le modalità per l’assegnazione della capacità di tale infrastruttura. La direttiva contiene anche norme in tema di contabilità e bilancio delle imprese ferroviarie (prevedendo la separazione contabile per gli aspetti afferenti alla gestione dell’infrastruttura ferroviaria e per quelli relativi alla prestazione di servizi di trasporto ferroviario) e sancisce il principio secondo il quale alle imprese ferroviarie sia concesso, a condizioni eque, non discriminatorie e trasparenti, il diritto di accesso all’infrastruttura ferroviaria. La direttiva contiene inoltre la disciplina dei rapporti tra il gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale e lo Stato, in particolare con riferimento al contenuto del contratto di programma e definisce il ruolo dell'organismo di regolazione nell'ambito delle attività nel campo dell'accesso all'infrastruttura e alla cooperazione con altri regolatori europei.

 

L’articolo 1 della direttiva in commento novella la direttiva 2012/34/UE in più punti.

Per quanto riguarda l'ambito di applicazione sono innanzi tutto escluse dall’applicazione delle disposizioni introdotte dalla stessa sul rafforzamento delle misure di separazione tra gestore dell’infrastruttura ferroviaria e impresa ferroviaria alcune reti regionali e locali a bassa intensità di traffico nonché, a determinate condizioni, le imprese ferroviarie private che abbiano concluso accordi di partenariato pubblico privato.

Quanto alle definizioni è riformulata quella di “gestore dell’infrastruttura” e ne vengono aggiunte ulteriori (tra queste, oltre a diverse definizioni relative alle attività connesse all’infrastruttura ferroviaria, quali gestione, esercizio, manutenzione, rinnovo, ecc. assume rilevanza quella di impresa a integrazione verticale).

Passando all’esame delle novità più significative la direttiva introduce norme volte a rafforzare l’indipendenza del gestore dell’infrastruttura ferroviaria con specifico riferimento ai casi in cui il gestore sia integrato verticalmente con un’impresa che offre servizi di trasporto ferroviario.

A tale scopo sono introdotte nel testo della direttiva 2012/34/UE norme dirette a evitare che, in tali imprese, l’imparzialità del gestore sia compromessa da un qualsivoglia conflitto di interesse e disposizioni affinché ne sia garantita l’indipendenza (artt. 7 e 7-bis).

Sono previste anche norme che consentono, a determinate condizioni, al gestore dell’infrastruttura ferroviaria di delegare funzioni, sempre evitando la possibilità di conflitti di interesse (art. 7 quater) nonché disposizioni sulla trasparenza finanziaria relativa alla gestione delle entrate derivanti dalla gestione dell’infrastruttura ferroviaria comportanti fondi pubblici e concernenti aspetti riguardanti il rapporto tra imprese ferroviarie e gestori dell’infrastruttura (quali la gestione di prestiti e la contabilità). Anche in tal caso si rileva una specifica focalizzazione sulle imprese integrate verticalmente (art. 7 quinquies).

Un ulteriore prescrizione a garanzia dell’imparzialità del gestore è introdotta con riferimento alla gestione del traffico, precisando che il gestore dell’infrastruttura metta a disposizione delle imprese ferroviarie, in maniera non discriminatoria, le informazioni relative sia all’interruzione del traffico sia agli interventi di manutenzione e rinnovo dell’infrastruttura, la cui programmazione a lungo termine deve essere oggetto di consultazione (art. 7-ter).

E’ previsto anche un meccanismo di coordinamento tra gestori dell’infrastruttura principale e imprese ferroviarie nonché l’istituzione di una rete europea dei gestori dell’infrastruttura di cui la medesima Commissione europea è membro, volta a porre in essere le attività necessarie per il progressivo sviluppo integrato della rete ferroviaria comune (artt. 7 sexies e 7 septies).

Il secondo ambito di intervento della direttiva concerne l’ulteriore apertura del mercato ferroviario, con specifico riferimento alla possibilità di accesso per le imprese ferroviarie, a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie all’infrastruttura ferroviaria di tutti gli Stati membri. La direttiva interviene modificando gli articoli 10 e 11 della direttiva 2012/34/UE, ed introducendo nella medesima un nuovo articolo 11-bis.

A seguito di tali interventi l’unico limite che la direttiva pone alla possibilità di accesso alle reti ferroviarie dei Paesi membri è rappresentato dall’esistenza di un contratto di servizio pubblico in relazione al quale l’accesso al mercato di altre imprese ferroviarie sulle medesime tratte cagionerebbe la compromissione dell'equilibrio economico del contratto di servizio medesimo.

In ogni caso si prevede che qualora l'organismo di regolazione decida che l'equilibrio economico di un contratto pubblico sarebbe compromesso dal previsto servizio di trasporto di passeggeri indica le eventuali modifiche a tale servizio che permetterebbero di soddisfare le condizioni per la concessione del diritto di accesso.

Con riferimento ai servizi di trasporto di passeggeri ad alta velocità il diritto d’accesso è ancora più ampio e può essere soggetto soltanto ai requisiti stabiliti dall’organismo di regolazione.

Nel caso in cui su tali reti siano stati sottoscritti contratti di servizio pubblico e la richiesta di accesso comprometta l'equilibrio economico di un contratto di servizio pubblico che copre lo stesso percorso o un percorso alternativo, l'organismo di regolazione indica le eventuali modifiche al servizio che permetterebbero di soddisfare le condizioni per la concessione del diritto di accesso. Tali modifiche possono includere una modifica del servizio previsto (art. 11-bis).

Le ulteriori disposizioni della direttiva concernono l’introduzione della possibilità che gli Stati membri richiedano alle imprese ferroviarie che effettuano servizi di trasporto nazionale di passeggeri di partecipare ad un sistema comune d'informazione e di biglietteria integrata ai fini dell'offerta di biglietti, biglietti cumulativi e prenotazioni (art. 13-bis). Sono previste poi alcune modifiche relativamente alla possibilità di differenziare i canoni per l’utilizzo dell’infrastruttura di specifici corridoi ferroviari mentre la massima parte delle ulteriori disposizioni presenti nella direttiva concerne l’adeguamento al nuovo sistema di regole dei poteri di controllo dell’autorità di regolazione.

Quanto al recepimento della direttiva l’articolo 2 prevede che gli Stati membri adottino e pubblichino entro il 25 dicembre 2018 le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie. Le norme concernenti l’ulteriore apertura del mercato ferroviario si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2019, in tempo utile per l’orario di servizio che inizia il 14 dicembre 2020 (art. 3, comma 2).


Direttiva (UE) 2016/800

(Garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali)

 

 

Direttiva (UE) 2016/800 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2016, sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali.

 

Obiettivo della direttiva è stabilire garanzie procedurali affinché i minori indagati o imputati nei procedimenti penali siano in grado di comprendere e seguire il procedimento, esercitare il loro diritto a un equo processo, evitare la recidiva ed essere reinseriti socialmente.

La direttiva fa parte delle misure volte a istituire norme minime per i diritti procedurali in tutta l'Unione Europea (UE), conformemente a quanto previsto nella Risoluzione del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativa alla "tabella di marcia" per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali.

Seguendo un approccio a tappe, la tabella di marcia ha evidenziato la necessità di adottare misure concernenti il diritto alla traduzione e all'interpretazione (misura A), il diritto alle informazioni relative ai diritti e all'accusa (misura B), il diritto alla consulenza legale e all'assistenza legale (misura C), il diritto alla comunicazione con familiari, datori di lavoro e autorità consolari (misura D) e garanzie speciali per indagati e imputati vulnerabili (misura E).

In linea con la Tabella di marcia, oltre alla direttiva in oggetto, sono state quindi adottate quattro misure in materia di diritti procedurali nei procedimenti penali:

-      la direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali;

-      la direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all'informazione nei procedimenti penali;

-      la direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari;

-      la direttiva 2016/343/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali.

 

Obiettivo della direttiva 2016/800/UE è stabilire norme minime comuni relative ai diritti di minori che sono:

-      indagati o imputati in procedimenti penali;

-      oggetto di un procedimento di esecuzione di un mandato di arresto europeo, ai sensi della decisione quadro 2002/584/GAI.

Si definisce "minore" una persona di età inferiore a 18 anni.

La direttiva trova applicazione fino alla decisione definitiva sulla colpevolezza, incluse, se previste, la pronuncia della condanna e la decisione sull'impugnazione.

I diritti procedurali che devono essere garantiti ai minori comprendono:

-      il diritto all'informazione (art. 4).

La direttiva stabilisce che al minore siano fornite tempestivamente le informazioni concernenti i suoi diritti e gli aspetti generali dello svolgimento del processo;

-      il diritto del minore a che sia informato il titolare della responsabilità genitoriale (art. 5).

La direttiva prescrive che sia informato il titolare della responsabilità genitoriale, per iscritto e/o oralmente, in merito ai diritti procedurali applicabili, così da garantire l'equità del procedimento e l'esercizio effettivo dei diritti del minore. Le informazioni di cui sopra devono essere fornite a un altro adulto idoneo nominato dal minore e approvato in tale qualità dall'autorità competente, qualora la comunicazione delle informazioni al titolare della responsabilità genitoriale: a) sia contraria all'interesse superiore del minore; b) non sia possibile perché, nonostante siano stati compiuti ragionevoli sforzi, nessuno dei titolari della responsabilità genitoriale è reperibile o l'identità è ignota; c) potrebbe, sulla base di circostanze oggettive e concrete, compromettere in modo sostanziale il procedimento penale;

-      il diritto di avvalersi dell'assistenza di un difensore (art. 6).

La direttiva impone l'obbligatorietà del diritto di avvalersi di un difensore per i minori indagati o imputati in procedimenti penali, ai sensi della direttiva 2013/48/UE, e prescrive che, in ogni caso, gli Stati membri garantiscano l'assistenza di un difensore, sia quando il minore viene condotto dinanzi a un giudice o tribunale competente per decidere in merito alla detenzione, in qualsiasi fase del procedimento, sia durante la detenzione. Gli Stati membri devono inoltre provvedere affinché non siano applicabili al minore condanne che impongano la privazione della libertà personale, a meno che il minore sia stato assistito da un difensore in modo da consentirgli di esercitare efficacemente i propri diritti di difesa;

-      il diritto a una valutazione individuale (art. 7).

Gli Stati membri devono provvedere affinché sia tenuto conto delle specifiche esigenze del minore in materia di protezione, istruzione, formazione e reinserimento sociale. La valutazione individuale deve tener conto, in particolare, della personalità e maturità del minore, della sua situazione economica, sociale e familiare, nonché di eventuali vulnerabilità specifiche.

Le informazioni relative alle circostanze e alle caratteristiche individuali del minore potrebbero essere utili alle autorità competenti al fine di: determinare la necessità di adottare eventuali misure specifiche a beneficio del minore; valutare l'adeguatezza e l'efficacia di eventuali misure cautelari; assumere decisioni o linee d'azione nel procedimento penale, anche in sede di pronuncia della sentenza. La valutazione individuale deve essere effettuata nella "prima fase appropriata" del procedimento e prima dell'imputazione[24];

-      il diritto all'esame medico (art. 8).

Il minore privato della libertà ha diritto, senza indebito ritardo, a un esame medico volto a valutarne lo stato fisico e mentale generale. L'esame è effettuato su iniziativa delle autorità competenti, in particolare se lo richiedono indicazioni sanitarie specifiche, oppure su richiesta del minore, del titolare della responsabilità genitoriale, di altro adulto idoneo o del difensore del minore. I risultati dell'esame medico devono essere tenuti in considerazione al momento di stabilire se il minore possa essere sottoposto a interrogatorio, ad altri atti di indagine o di raccolta di prove o alle eventuali misure adottate o previste nei suoi confronti;

-      la registrazione audiovisiva dell'interrogatorio (art. 9).

L'interrogatorio del minore condotto dalla polizia o da altre autorità di contrasto durante il procedimento penale deve essere oggetto di registrazione audiovisiva quando ciò risulti proporzionato nelle circostanze del caso, tenuto conto, fra l'altro, del fatto che sia presente o meno un difensore e del fatto che il minore sia privato o meno della libertà personale, purché il suo interesse superiore sia sempre considerato preminente (all'art. 14, sul diritto alla protezione della vita privata, la direttiva prescrive che le registrazioni non siano rese pubbliche);

-      la limitazione della privazione della libertà personale (art. 10).

La direttiva stabilisce che, in qualsiasi fase del procedimento, la privazione della libertà personale del minore deve essere limitata al più breve periodo possibile e che, in particolare, la detenzione sia disposta nei confronti di minori solo come misura di ultima istanza. Gli Stati membri devono garantire che la detenzione sia basata su una decisione motivata soggetta a controllo giurisdizionale da parte di un giudice o tribunale. Tale decisione è altresì soggetta, "a intervalli di tempo ragionevoli", a un controllo periodico da parte di un giudice o tribunale, o d'ufficio o su richiesta del minore, del suo difensore o di un'autorità giudiziaria diversa da un giudice o tribunale.

La direttiva prescrive inoltre che, ogniqualvolta sia possibile, le autorità competenti ricorrano a "misure alternative" alla detenzione (art. 11);

-      il diritto a un trattamento specifico in caso di privazione della libertà personale (art. 12).

La direttiva evidenzia che specifica attenzione deve essere riservata al modo in cui è trattato il minore detenuto, in considerazione della sua intrinseca vulnerabilità. In particolare, il minore deve essere detenuto separatamente dagli adulti (a norma dell'art. 37, lettera c), della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo), salvo che: non si ritenga preferibile non farlo nell'interesse superiore del minore; o in circostanze eccezionali, ciò non sia in concreto possibile, purché il minore sia tenuto insieme agli adulti in maniera compatibile con il suo interesse superiore.

Nel caso di minori detenuti, gli Stati membri devono inoltre adottare misure opportune per: garantire e preservare la loro salute e il loro sviluppo fisico e mentale; garantire il loro diritto all'istruzione e alla formazione, anche nel caso di minori con disabilità fisiche, sensoriali o difficoltà di apprendimento; garantire l'esercizio effettivo e regolare del loro diritto alla vita familiare; garantire l'accesso a programmi che favoriscano il loro sviluppo e il loro futuro reinserimento sociale; garantire il rispetto della loro libertà di religione o credo;

-      il trattamento tempestivo e diligente delle cause (art. 13).

Gli Stati membri devono adottare "misure appropriate" per garantire che i procedimenti penali riguardanti minori siano trattati con urgenza e con la dovuta diligenza. La direttiva specifica che i minori devono essere sempre trattati in un modo che ne protegga la dignità e adeguato all'età, al grado di maturità e al livello di comprensione del minore stesso;

-      il diritto alla protezione della vita privata (art. 14).

Gli Stati membri devono provvedere affinché le udienze che coinvolgono minori si svolgano di norma a porte chiuse o consentire ai giudici di decidere di tenere tali udienze a porte chiuse;

-      il diritto del minore di essere accompagnato dal titolare della responsabilità genitoriale durante il procedimento (art. 15).

Il minore ha il diritto di essere accompagnato durante le udienze da un adulto idoneo diverso dal titolare della responsabilità genitoriale qualora la presenza di quest'ultimo: sia contraria all'interesse superiore del minore; non sia possibile perché, nonostante siano stati compiuti ragionevoli sforzi, nessuno dei titolari della responsabilità genitoriale risulta reperibile o l'identità è sconosciuta; possa, sulla base di circostanze oggettive e concrete, compromettere in modo sostanziale il procedimento penale (in particolare, qualora vi sia il sospetto che possano essere distrutte o alterate le prove, i testimoni possano essere influenzati o il titolare della responsabilità genitoriale possa essere stato coinvolto nella presunta attività criminale insieme al minore);

-      il diritto del minore di presenziare e di partecipare al proprio processo (art. 16).

Gli Stati membri devono assicurare che il minore che non ha presenziato al proprio processo abbia diritto a un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, ai sensi della direttiva 2016/343/UE.

 

L'art. 17 specifica che i diritti di cui sopra trovano applicazione anche nei confronti di un minore ricercato, dal momento in cui è arrestato in forza di un procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo (a norma della decisione quadro 2002/584/GAI).

Il personale delle autorità di contrasto e delle strutture di detenzione, i giudici, i magistrati inquirenti e i difensori che si occupano di procedimenti penali riguardanti minori devono avere una competenza specifica o accesso a una formazione specifica, di livello appropriato al tipo di contatto che intrattengono con i minori (art. 20).

Attraverso i servizi pubblici o finanziando organizzazioni che sostengono i minori, gli Stati membri devono inoltre incoraggiare iniziative che consentano agli operatori che offrono servizi di sostegno ai minori e di giustizia riparativa di ricevere un'adeguata formazione e di rispettare le norme professionali a garanzia di servizi forniti "in modo imparziale, rispettoso e professionale".

All'art. 23 (non regressione) si precisa, infine, che nessuna disposizione della direttiva deve essere interpretata in modo tale da limitare o derogare ai diritti e alle garanzie procedurali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), da altre pertinenti disposizioni di diritto internazionale, in particolare la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, o dal diritto degli Stati membri che assicurano un livello di protezione più elevato.

 

La direttiva 2016/800/UE è in vigore dal 10 giugno 2016. Il termine per il recepimento è fissato all' 11 giugno 2019.

 

La direttiva trae origine dalla proposta della Commissione europea COM(2013)822[25], sulla quale la 2a Commissione (Giustizia) del Senato della Repubblica si è espressa con risoluzione favorevole dell'11 febbraio 2014 (doc. XVIII n. 47). La Commissione europea ha risposto il 15 aprile 2014 (C(2014)2583).

 


Direttiva (UE) 2016/801

(del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2016, relativa alle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di paesi terzi per motivi di ricerca, studio, tirocinio, volontariato, programmi di scambio di alunni o progetti educativi, e collocamento alla pari (rifusione))

 

 

La Direttiva (UE) 2016/801 che fonde, modificandole, due direttive preesistenti (la direttiva 2004/114/CE e la direttiva 2005/71/CE) stabilisce le condizioni di ingresso e di soggiorno,  per un periodo superiore ai 90 giorni, applicabili ai cittadini di Paesi terzi e ai loro familiari che si recano nell'Ue per motivi di studio, ricerca, volontariato, programmi di scambio di alunni e progetti educativi, facilitando altresì la loro mobilità all'interno degli Stati membri. In estrema sintesi, la direttiva mira ad ottimizzare i seguenti elementi: durata della permanenza, garanzie procedurali, aspetti burocratici, accesso al mercato del lavoro.

 

Più nel dettaglio, la direttiva contiene disposizioni in materia di:

ü  ammissione (Capo II);

ü  autorizzazione e durata del soggiorno (Capo III);

ü  rifiuto e revoca delle autorizzazioni (Capo IV);

ü  diritti (Capo V);

ü  mobilità tra Stati membri (Capo VI);

ü  procedure e trasparenza (Capo VII).

 

Per quanto riguarda l'ammissione, la direttiva definisce, tra l'altro, le condizioni generali (articolo 7), nonché i requisiti specifici per i ricercatori (articolo 8), gli studenti (articolo 11), gli alunni (articolo 12), i tirocinanti (articolo 13), i volontari (articolo 14) e le persone collocate alla pari (articolo 16).

La direttiva stabilisce poi il regime delle autorizzazioni, rilasciate sotto forma di permesso di soggiorno, di visto a lunga durata o programma che prevede mobilità (articolo 17), e definisce la loro durata a seconda che si tratti di ricercatori, studenti o programma di scambio di alunni (articolo 19). Precisa inoltre i motivi di rifiuto di una domanda di autorizzazione (articolo 20), nonché quelli alla base della revoca o del non rinnovo della stessa (articolo 20). Tali motivi includono la non sussistenza delle condizioni generali, documenti falsificati o manomessi, irregolarità da parte dell'ente, dell'impresa o della famiglia ospitante. Fatta eccezione per i ricercatori, nel caso in cui si presenti una domanda di rinnovo per instaurare o continuare un rapporto di lavoro in uno Stato membro, quest'ultimo può verificare se il posto in questione non possa essere occupato da propri cittadini, o da altri cittadini dell'Unione, o da cittadini di paesi terzi che soggiornano da lungo periodo in tale Stato (articolo 20, paragrafo 5). Nel caso in cui lo Stato non intenda rinnovare o intenda revocare l'autorizzazione agli studenti, questi ultimi potranno presentare una domanda di accoglienza presso un altro istituto superiore per seguire un programma di studi equivalente rimanendo nello Stato membro fino alla decisione delle autorità competenti in merito alla domanda (articolo 20, paragrafo 6).

Quanto ai diritti, la direttiva stabilisce che, nei rapporti di lavoro, i ricercatori, i tirocinanti, i volontari e le persone alla pari abbiano un trattamento pari a quello riservato ai cittadini dello Stato membro interessato, salvo alcuni casi particolari (articolo 22), e concede ai ricercatori il diritto ad insegnare, lasciando agli Stati membri la facoltà di fissare un numero di ore o di giorni prestabilito (articolo 23). I ricercatori, inoltre, avranno il diritto di farsi accompagnare dai familiari, ai quali è ugualmente riconosciuto il diritto di lavorare durante il soggiorno nell'Ue (articolo 26).

Tra le novità introdotte dalla direttiva, quella di concedere agli studenti, durante la durata della loro attività di studio, la possibilità di lavorare per almeno 15 ore settimanali (articolo 24). Inoltre, studenti e ricercatori potranno risiedere nel territorio dell’Unione almeno 9 mesi dopo il completamento dei loro studi o del loro periodo di ricerca allo scopo di cercare un’occupazione o avviare un’impresa (articolo 25).

Un'altra novità riguarda il diritto per studenti e ricercatori a muoversi tra i Paesi membri con maggiore facilità e a lavorare (o insegnare, se si tratta di ricercatori) contestualmente alle loro attività di studio o ricerca. Essi non dovranno presentare nuove richieste per il rilascio del permesso di soggiorno (articolo 27). Per i ricercatori la mobilità intra-Ue può essere di breve durata (fino a 180 giorni) (articolo 28) o di lunga durata (non inferiore a 360 giorni) (articolo 29). Essi potranno portare con sé i propri familiari, ai quali dovrà essere consentito di lavorare durante il loro periodo di permanenza nell’Ue (articolo 30). Per gli studenti la mobilità è prevista invece per un periodo massimo di 360 giorni (articolo 31).  

La direttiva stabilisce poi una serie di garanzie procedurali e obblighi in materia di trasparenza, tra cui l'obbligo di informare i cittadini circa la necessità di integrare la documentazione fornita a sostegno di una domanda di autorizzazione o circa i motivi di inammissibilità o rigetto di una domanda (articolo 34), nonché l'obbligo di provvedere affinché siano facilmente accessibili ai richiedenti le informazioni su tutti i documenti giustificativi richiesti per una domanda e le informazioni sulle condizioni di ingresso e soggiorno (articolo 35).

Infine, altre disposizioni riguardano la designazione di punti di contatto (articolo 37) e l'elaborazione di statistiche sul numero di autorizzazioni rilasciate (articolo 38).

Il termine fissato per il recepimento è il 23 maggio 2018.

 


Direttiva (UE) 2016/844

(Sicurezza per le navi da passeggeri)

 

 

La direttiva 2016/844/UE procede ad una modifica tecnica dell’Allegato I della direttiva 2009/45/CE, con la quale si è introdotto un livello uniforme di sicurezza per le navi da passeggeri.

La modifica si rende necessaria, come previsto dall’art. 10, par. 2, della direttiva 2009/45, in quanto alcune convenzioni internazionali definite all'articolo 2, lettera a), della direttiva stessa  sono state modificate. L’art. 10, par. 2 prevede infatti che gli allegati della direttiva possano essere modificati in modo da applicare le modifiche apportate alle convenzioni internazionali.

La direttiva 2009/45/CE all’art. 2, lett. a) fa riferimento alla convenzione SOLAS del 1974 (convenzione internazionale del 1974 per la salvaguardia della vita umana in mare), più volte modificata, e alla convenzione internazionale del 1966 sulle linee di massimo carico, unitamente ai rispettivi protocolli e successive modifiche.

La Convenzione SOLAS è stata più volte modificata: dopo il disastro nel 1994 del traghetto Estonia l’Organizzazione marittima internazionale (OMI) l’ha modificata elevando tra l’altro i requisiti di stabilità delle navi ro-ro quando sono danneggiate. Altri incidenti hanno poi indotto l’introduzione, negli ultimi due decenni, di norme supplementari per la sicurezza delle navi passeggeri, tra cui alcune norme specifiche, ad esempio, la registrazione delle persone a bordo.

Le modifiche all’allegato riguardano una serie di regole costruttive da applicare alle navi. Tra queste:

·       la protezione contro il rumore, per la quale viene aggiunta all’Allegato I, cap. II, una nuova regola, relativa alle navi delle classi B, C e D, costruite a partire dal 1° gennaio 2018, prevedendo che le navi di stazza lorda pari o superiore a 1.600 tonnellate dovranno essere costruite in modo da ridurre i livelli di rumore a bordo e proteggere il personale dai rumori conformemente al codice IMO relativo al livello acustico a bordo delle navi;

·       regole tecniche relative al timone;

·       caratteristiche delle serrande tagliafuoco e tagliafumo;

·       caratteristiche dell’apparecchio autorespiratore ad aria compressa compreso negli equipaggiamenti da vigile del fuoco;

·       caratteristiche di resistenza al fuoco delle paratie e dei ponti;

·       caratteristiche tecniche delle condotte e degli impianti di ventilazione delle navi;

·       piani e procedure per il recupero di persone dall’acqua.

 

Il termine per il recepimento della direttiva 2016/844/UE è fissato al 1° luglio 2017.


Direttiva (UE) 2016/881

(del Consiglio del 25 maggio 2016 recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale)

 

 

La direttiva (UE) 2016/881 risponde all'esigenza di fare fronte a pratiche di pianificazione fiscale aggressiva da parte, soprattutto, delle società multinazionali, le quali possono strutturare le proprie dichiarazioni fiscali in diversi Stati in modo tale da minimizzare l'impatto del fisco sulle proprie attività.

In particolare, la direttiva introduce (articolo 1, par. 2) l'obbligo, per le imprese controllanti capogruppo di un gruppo di imprese multinazionali fiscalmente residenti in uno Stato membro, di presentare una rendicontazione paese per paese relativamente al periodo d'imposta di rendicontazione. La presentazione deve avere luogo entro 12 mesi dall'ultimo giorno del periodo d'imposta di rendicontazione del gruppo di imprese multinazionali, come specificato nell'Allegato III ("Regole di compilazione per i gruppi di imprese multinazionali"). La rendicontazione paese per paese è oggetto di scambio obbligatorio delle informazioni al fine di valutare il comportamento fiscale delle imprese, ma anche "a fini di analisi economiche e statistiche" (articolo 1, par. 3).

Il paragrafo n. 6 delle Premesse specifica che nella rendicontazione per paese "i gruppi di imprese multinazionali dovrebbero fornire ogni anno e per ogni giurisdizione fiscale in cui operano l'importo dei ricavi, gli utili al lordo delle imposte sul reddito e le imposte sul reddito pagate e maturate" assieme al "numero di addetti, il capitale dichiarato, gli utili non distribuiti e le immobilizzazioni materiali per ciascuna giurisdizione fiscale". Dovrebbero infine essere individuate tutte le imprese del gruppo che operano in una determinata giurisdizione fiscale, fornendo un'indicazione dell'attività che ciascuna di esse svolge.

Le seguenti principali modifiche sono inoltre apportate alla direttiva 2011/16/UE:

1)    l'introduzione di una complessa definizione di "scambio automatico" (articolo 1, par. 1), che assume connotazioni diverse a seconda che lo scambio sia relativo a:

·       informazioni disponibili su periodi d'imposta riguardanti le persone fisiche residenti in altro Stato membro (articolo 8, par. 1), informazioni su un ruling preventivo transfrontaliero[26] o un accordo preventivo sui prezzi di trasferimento[27] (articolo 8-bis) o rendicontazione paese per paese (articolo 8 bis bis). In questo caso ha luogo una comunicazione sistematica, senza richiesta preventiva a intervalli regolari prestabiliti;

·       informazioni finalizzate all'applicazione, da parte delle Istituzioni finanziarie, delle norme di comunicazione e di adeguata verifica in materia fiscale (due diligence, articolo 8, par. 3-bis). Tali informazioni sono oggetto di "scambio automatico".

In tutti gli altri casi ha luogo la "comunicazione sistematica di informazioni predeterminate";

2)    l'articolo 1, par. 4, specifica le modalità dello scambio automatico di informazioni in materia di rendicontazione paese per paese, rinviando ad atti di esecuzione della Commissione europea per il relativo regime linguistico. La procedura di Comitato applicabile è regolata dall'articolo 1, par. 8, che modifica l'articolo 26 della direttiva 2011/16/UE;

3)    il rinvio alla legislazione nazionale per l'introduzione di sanzioni "effettive, proporzionate e dissuasive" in caso di violazione delle norme poste dalla direttiva (articolo 1, par. 7).

 

Il termine di recepimento è stabilito dall'articolo 2 al 4 giugno 2017 ai finni dell'applicazione delle misure medesime a partire dal giorno successivo.

 

La direttiva deriva dalla proposta della Commissione europea COM(2016) 25.


Direttiva (UE) 2016/943

(Protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate)

 

 

La Direttiva (UE) 2016/943, detta un quadro giuridico comune per la protezione dei segreti commerciali: know-how e informazioni commerciali riservate.

La necessità dell’adozione di regole comuni deriva dal livello non omogeneo della protezione assicurata nel settore del segreto commerciale dai vari Stati membri, che provoca una frammentazione del mercato interno ed indebolisce l’effetto deterrente delle norme di tutela.

 

La direttiva rileva che uno dei mezzi per appropriarsi dei risultati delle attività innovative delle imprese consiste nel proteggere l'accesso e lo sfruttamento di conoscenze che sono preziose per l'ente che le detiene e non sono diffuse. Questo prezioso patrimonio di know-how e di informazioni commerciali, che non è divulgato ed è destinato a rimanere riservato, si definisce segreto commerciale (considerando 1).

Le imprese, infatti, a prescindere dalla loro dimensione, attribuiscono ai segreti commerciali lo stesso valore dei brevetti e di altre forme di diritto di proprietà intellettuale. La direttiva riconosce l’esigenza di sviluppare (in particolar modo, tra le PMI), una vera e propria cultura della tutela dei segreti commerciali che – permettendo di trarre profitto dalle proprie creazioni o innovazioni –risultano vitali per la competitività delle imprese nonché per il loro sviluppo e capacità innovativa (considerando 2).

Proprio per le recenti tendenze in atto (nella stessa direttiva vengono menzionati la globalizzazione, il maggiore ricorso all’esternalizzazione, catene di approvvigionamento più lunghe e un uso più diffuso delle nuove tecnologie) viene riconosciuto che “senza strumenti giuridici di tutela del segreto efficaci e comparabili in tutta l’Unione, gli incentivi ad intraprendere attività transfrontaliere innovative risultano indeboliti e i segreti non sono in grado di mettere a frutto le loro potenzialità di motori della ricerca economica e dell’occupazione”.

 

Il primo dei quattro Capi della direttiva (art. 1 e 2) riguarda il suo oggetto e ambito di applicazione, ovvero: la tutela contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti dei segreti commerciali.

In particolare, sono dettate alcune definizioni, la più rilevante delle quali è quella di “segreto commerciale” ai fini della direttiva. Costituiscono «segreto commerciale» le informazioni che soddisfano tutti i seguenti requisiti:

a) sono segrete nel senso che non sono, nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi, generalmente note o facilmente accessibili a persone che normalmente si occupano del tipo di informazioni in questione;

b) hanno valore commerciale in quanto segrete;

c) sono state sottoposte a misure ragionevoli di segretezza, secondo le circostanze, da parte della persona che ne ha il legittimo controllo.

 

Nonostante l’accordo TRIPS sulla proprietà intellettuale (Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Right), concluso nel quadro dell’Organizzazione mondiale sul commercio – di cui è parte la UE e che contiene anche la protezione dei segreti commerciali – non tutti gli Stati membri hanno adottato definizioni nazionali dei segreti commerciali o dell'acquisizione, utilizzo o divulgazione illeciti di un segreto commerciale.

La direttiva ritiene che detta definizione dovrebbe pertanto essere costruita in modo da comprendere il know-how, le informazioni commerciali e le informazioni tecnologiche quando esiste un legittimo interesse a mantenere la riservatezza nonché una legittima aspettativa circa la tutela di tale riservatezza.

Inoltre, tali know-how o informazioni dovrebbero avere un valore commerciale, sia esso effettivo o potenziale. Tali know-how o informazioni dovrebbero considerarsi come aventi un valore commerciale, ad esempio, laddove l'acquisizione, l'utilizzo o la divulgazione non autorizzati degli stessi rischino di recare danno agli interessi della persona che li controlla lecitamente, poiché pregiudicano il potenziale scientifico e tecnico, gli interessi commerciali o finanziari, le posizioni strategiche o la capacità di competere di detta persona. La definizione di segreto commerciale esclude le informazioni trascurabili, l'esperienza e le competenze acquisite dai dipendenti nel normale svolgimento del loro lavoro, ed esclude altresì le informazioni che sono generalmente note o facilmente accessibili alle persone all'interno delle cerchie che normalmente si occupano del tipo di informazioni in questione.

Si ricorda che l'accordo TRIPS – Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights - disciplina, fra l'altro, la protezione dei segreti commerciali contro l'acquisizione, l'utilizzo o la divulgazione illecita da parte di terzi, Tale accordo, adottato a Marrakech il 15 aprile 1994, è stato ratificato dall'Italia con la legge 29 dicembre 1994, n. 747.

In Italia, il segreto industriale è in particolare protetto dal Codice della Proprietà Industriale (D.Lgs. n. 30/20015). L’articolo 98 del Codice prevede la tutela delle informazioni aziendali e delle esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni:

a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;

b) abbiano valore economico in quanto segrete;

c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.

Costituiscono altresì oggetto di protezione i dati relativi a prove o altri dati segreti, la cui elaborazione comporti un considerevole impegno ed alla cui presentazione sia subordinata l'autorizzazione dell'immissione in commercio di prodotti chimici, farmaceutici o agricoli implicanti l'uso di nuove sostanze chimiche.

L’articolo 99 - ferma restando la disciplina della concorrenza sleale – attribuisce al legittimo detentore delle informazioni e delle esperienze aziendali di cui sopra ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di acquisire, rivelare a terzi od utilizzare, in modo abusivo, tali informazioni ed esperienze, salvo che siano state conseguite in modo indipendente dal terzo.

L'articolo 99 del Codice della proprietà industriale (c.p.i) prevede comunque - per il tipo di informazioni sopra indicate - una tutela più ampia che, non solo ricomprende quella disposta dall'articolo 2598 c.c in materia di concorrenza sleale[28], ma si estende fino a quella riconosciuta ai tradizionali diritti di privativa industriale (marchi, brevetti, etc.).

La giurisprudenza in merito ha affermato che il rimedio di cui agli artt. 98 e 99 c.p.i. e quello apprestato dalla disciplina della concorrenza sleale nel codice civile si modulano infatti in un rapporto di complementarietà (cfr, da ultimo, Tribunale delle imprese di Milano, sentenza n. 23/02/2017)

Sempre secondo la giurisprudenza, nell'ambito delle informazioni aziendali segrete è riconducibile anche il cd. know-how (cfr. Tribunale delle Imprese di Bologna, Sentenza n. 2340/2015). In particolare, la Corte di Cassazione ha affermato che la rivelazione di segreti scientifici e industriali sanzionata dall’art. 623 cp. può riguardare anche il know how aziendale, ritenendo applicabile la norma anche alla fattispecie di divulgazione di know how da parte di ex dipendenti di una società a vantaggio di altra società concorrente (sentenza n. 25008/2001).

La definizione primaria di know how  si rinviene nel Regolamento CE 772/04 sugli accordi di trasferimento di tecnologia, che, all’articolo 1, paragrafo 1, lett. i) definisce «know-how»: un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate, derivanti da esperienze e da prove, patrimonio che è: i) segreto, vale a dire non generalmente noto, né facilmente accessibile; ii) sostanziale, vale a dire significativo e utile per la produzione dei prodotti contrattuali; e iii) individuato, vale a dire descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità.

 

Il secondo Capo della Direttiva disciplina l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione dei segreti commerciali.

Sono individuati, in particolare, i modi di acquisto leciti del segreto commerciale individuando ipotesi eccezionali in cui le misure di tutela non sono applicate.

In accordo con le previsioni del considerando 16 - secondo cui “le disposizioni della direttiva non dovrebbero creare alcun diritto esclusivo sul know-how o sulle informazioni che godono di protezione in quanto segreti commerciali – tra le attività lecite di acquisizione del segreto commerciale (art. 3), oltre la scoperta indipendente di uno stesso know-how, si segnala l’ingegneria inversa (c.d. reverse engineering), cioè la “osservazione, studio, smontaggio o prova di un prodotto o di un oggetto messo a disposizione del pubblico o lecitamente in possesso del soggetto che acquisisce le informazioni; sono tuttavia fatte salve eventuali diverse pattuizioni.

Gli articoli 4 e 5 della direttiva definiscono, invece, le modalità illecite di acquisizione, utilizzo e divulgazione di un segreto commerciale (artt. 4 e 5) senza il consenso del detentore; con riferimento all’acquisizione, l’accesso non autorizzato, l’appropriazione di copie di oggetti, documenti, software che consentono l’accesso al segreto commerciale e, comunque, ogni altra condotta contraria sleale nelle pratiche commerciali. All’acquisizione illecita corrisponde l’illeceità dell’utilizzo e della divulgazione del segreto commerciale, prevista anche ove sia violato un obbligo di riservatezza o contrattuale in materia (art. 4).

Tra le ipotesi eccezionali che, invece, permettono la violazione della disciplina in questione (e quindi la liceità della divulgazione del segreto commerciale) è compreso il fenomeno del c.d. whistleblowing cioè il caso in cui l’utilizzo o la rivelazione del segreto commerciale siano avvenuti “per rilevare una condotta scorretta, un’irregolarità o un’attività illecita, a condizione che il convenuto abbia agito per proteggere l’interesse pubblico generale” (art. 5, par. 1, lett. b).

 

In materia di whistleblowing si ricorda che la Camera ha approvato il 21 gennaio 2016 una proposta di legge di iniziativa parlamentare (ora all’esame del Senato, A.S. 2208) volta a tutelare i lavoratori che segnalino o denuncino reati o altre condotte illecite di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito del proprio rapporto di lavoro.

Il provvedimento, oltre a modificare l'attuale disciplina in materia relativa ai lavoratori pubblici (art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001) estende anche al settore privato (art. 2) la tutela del dipendente o collaboratore che segnali illeciti attraverso l’integrazione dei modelli di organizzazione previsti dall’art. 6 del D.Lgs. n. 231/2001, la cui adozione esenta l’ente privato dalla responsabilità amministrativa da reato. Tali modelli dovranno contemplare norme specifiche: sugli obblighi di segnalazione di illeciti da parte dei dirigenti e rappresentanti dell’ente; sulla riservatezza dell’identità e il divieto di misure ritorsive contro i dipendenti che segnalino eventuali illeciti dei propri colleghi; sulla possibile denuncia all’Ispettorato del lavoro dell'adozione di misure discriminatorie nei confronti dei segnalanti; sulla nullità dei licenziamenti o di altre misure ritorsive o discriminatorie, adottati nei confronti di questi ultimi.

Infine, si pone a carico del datore di lavoro l'onere della prova che eventuali sanzioni disciplinari o misure organizzative adottate successivamente alla segnalazione (demansionamenti, trasferimenti ecc.) siano fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa.

 

Il terzo e il quarto Capo della direttiva riguardano infine le misure, le procedure, gli strumenti di tutela e le sanzioni.

Criterio ispiratore di tali disposizioni è, nella direttiva, il principio di proporzionalità: le misure a tutela del segreto commerciale non dovrebbero, infatti, comprimere i diritti e le libertà fondamentali nonché l’interesse pubblico ad un corretto funzionamento del mercato interno; in tal senso, le autorità giudiziarie dovranno ponderare gli interessi delle parti in causa nonché dei consumatori.

Viene stabilita, in particolare, l’equità, efficacia e dissuasività degli strumenti di tutela nonché la necessità che essi che non siano costosi o complessi. In sede di applicazione le tutele dovranno essere proporzionate agli interessi in gioco e dovranno garantire da eventuali abusi.

In tal senso, va segnalata la previsione dell’abuso del processo (art. 7, par. 2) ovvero il caso in cui le procedure e le tutele richieste per la presunta violazione di un segreto commerciale intendano perseguire intenti illeciti. Si tratta del ricorso al giudice manifestamente infondato in cui l’attore avvia l’azione in modo abusivo o in malafede. In tali ipotesi, sono previste misure come il riconoscimento di un risarcimento del danno al convenuto, l’imposizione di sanzioni all’attore o la pubblicazione della decisione.

Per quanto concerne il termine di prescrizione delle violazioni dei diritti e delle azioni per chiedere l’applicazione delle misure di tutela, la direttiva stabilisce un termine di 6 anni (art. 8).

Oltre a prevedere disposizioni a tutela della riservatezza dei segreti commerciali nel corso di procedimenti giudiziari (art. 9), la direttiva stabilisce la tipologia di misure che possono essere adottate nei confronti dell’autore della violazione, presunto o accertato, su richiesta del detentore legittimo del segreto commerciale.

Nel primo caso, si tratta di misure cautelari e provvisorie, assunte dal giudice su richiesta del detentore del segreto commerciale (art. 10), che si concretano in misure di natura inibitoria (cessazione o divieto di utilizzo e divulgazione del segreto commerciale; divieto di produrre o commercializzare merci “sospettate” nonché sequestro o consegna delle merci stesse); analoga funzione cautelare svolge la possibile costituzione di garanzie in funzione risarcitoria.  E’, tuttavia, prevista, la revoca delle misure se l’attore non avvia un procedimento sul merito della violazione entro un termine ragionevole.

A seguito del procedimento di merito - ove sia accertata la violazione della disciplina del segreto commerciale - l’autorità giudiziaria può ordinare le citate misure inibitorie (relative all’utilizzo, divulgazione e commercializzazione del segreto commerciale) nonché la distruzione totale o parziale degli oggetti, materiali, files, che contengono o sono manifestazione del segreto commerciale ovvero la loro consegna al suo legittimo detentore (art. 12).

Ulteriori misure di tutela in favore di quest’ultimo sono il risarcimento del danno (art. 14) nonché, a spese del convenuto, la pubblicazione della decisione assunta dell’autorità giudiziaria (art.15).

 

Il termine di recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è stabilito al 9 giugno 2018.


Direttiva (UE) 2016/1034

(MiFID II)

 

 

La Direttiva (UE) 2016/1034, allo scopo di garantire la certezza del diritto ed evitare potenziali perturbazioni del mercato, ha prorogato la data di applicazione del nuovo quadro normativo relativo alla disciplina dei mercati finanziari, posticipando dunque la data di applicazione della direttiva 2014/65/UE (MiFID II) al 3 gennaio 2018.

Ha inoltre prorogato dal 3 luglio 2016 al 3 luglio 2017 il termine entro cui gli Stati membri adottano e pubblicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva.

 

Si segnala che il 28 aprile 2017 il Consiglio dei ministri ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo di attuazione della direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari (cosiddetta MiFID II) e di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento  600/2014 sulla stessa materia (cosiddetto MiFIR) (Atto del Governo n. 413, attualmente all’esame delle Camere per il parere).

 

La Direttiva MiFID II

 

Si ricorda che la Direttiva 2004/39/CE, in materia di mercati degli strumenti finanziari, alla quale ci si riferisce comunemente con l'acronimo MiFID (Market in Financial Instruments Directive), è stata in parte rifusa nella Direttiva 2014/65/UE e in parte sostituita dal Regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio. La Direttiva 2014/65/UE, denominata MiFID II, ed il Regolamento n. 600/2014, noto come MiFIR, sono stati redatti con lo scopo di normare un mercato sempre più complesso, caratterizzato da un notevole incremento degli strumenti finanziari e dei sistemi di trading ad alta frequenza, attraverso i quali ha luogo una quota rilevante delle transazioni sui mercati telematici più evoluti.

Si intende aumentare la trasparenza delle negoziazioni e la tutela degli investitori, attraverso una maggiore responsabilizzazione degli intermediari, una più approfondita consapevolezza degli investitori (grazie alla disponibilità di informazioni più dettagliate e più frequenti) ed un rafforzamento dei poteri - sia ex-ante che ex post - delle Autorità di vigilanza.

In particolare, per la prima volta sono contenute misure specifiche in tema di prodotti finanziari, come quelle finalizzate a ridurre il rischio che i prodotti finanziari emessi e/o collocati non siano adeguati al cliente finale. Si prevede inoltre che le Autorità nazionali, l’ESMA e l’EBA (per i depositi strutturati) possono proibire o restringere la negoziazione e il collocamento di alcuni strumenti finanziari o depositi strutturati e le attività o pratiche finanziarie potenzialmente riduttive della protezione degli investitori, della stabilità finanziaria o dell’ordinato funzionamento dei mercati.

Già in base alle disposizioni della MiFID, l’impresa di investimento erogante servizi di consulenza o di gestione del portafoglio è tenuta ad acquisire informazioni in merito alle conoscenze ed esperienze del cliente in materia di investimenti e ai suoi obiettivi di investimento. Con la MiFID II tale norma viene integrata, sia perché nel definire gli strumenti finanziari adeguati al cliente si fa esplicito riferimento alla necessità di individuare la capacità dello stesso di fronteggiare eventuali perdite e la sua predisposizione al rischio, sia in quanto, nel caso in cui l’impresa raccomandi una pluralità di prodotti o servizi, la valutazione di adeguatezza deve avvenire in relazione all’intero pacchetto. Inoltre l'impresa, quando effettua consulenza agli investimenti, prima che la transazione sia conclusa, deve condividere con il cliente le motivazioni che hanno portato a ritenere che l'operazione di investimento consigliata sia realmente rispondente alle sue aspettative. Si ampliano poi gli obblighi di comunicazione alla clientela su costi e oneri connessi ai servizi di investimento o accessori che devono includere anche il costo della consulenza (se rilevante), il costo dello strumento finanziario raccomandato o venduto al cliente e le modalità con cui il cliente può remunerare il servizio di investimento ricevuto. Le informazioni circa tutte le voci di costo devono essere presentate in forma aggregata, per consentire al cliente di conoscere il costo complessivo ed il suo impatto sul rendimento atteso dall'investimento.

L’articolo 93, paragrafo 1 della Direttiva (UE) 2016/1034 ha posticipato la data di applicazione della direttiva 2014/65/UE (MiFID II) al 3 gennaio 2018. Ha inoltre prorogato dal 3 luglio 2016 al 3 luglio 2017 il termine entro cui gli Stati membri adottano e pubblicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva.

Più in particolare, per quanto rileva in questa sede la revisione della disciplina è intervenuta sui seguenti fronti:

- ambito di applicazione della Direttiva stessa;

- tutela degli investitori;

- disciplina dei mercati;

- rapporti con i Paesi terzi.

Con riferimento all’ambito applicativo, si estende l’operatività della disciplina UE in quanto (articolo 4, paragrafo 1, n. 23) si introduce la definizione di un nuovo servizio di investimento, la cosiddetta gestione di sistemi organizzati di negoziazione (Organised Trading Facilities - OTF) e viene definita altresì una nuova categoria di strumenti finanziari, e cioè le quote di emissione. Sono inoltre modificati in senso restrittivo taluni regimi di esenzione dagli obblighi della direttiva; la gestione di OTF, rientrando nel novero dei servizi di investimento, costituisce attività riservata agli intermediari in possesso di apposita autorizzazione.

L’OTF è come un sistema multilaterale diverso da un mercato regolamentato e da un sistema multilaterale di negoziazione che consente l’interazione tra interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a obbligazioni, strumenti finanziari strutturati, quote di emissione e strumenti derivati, in modo da dare luogo a contratti conformi alla disciplina della direttiva. Si tratta di un sistema multilaterale di negoziazione o una piattaforma di negoziazione più semplice rispetto al mercato regolamentato ed al sistema multilaterale di negoziazione, in quanto privo di una struttura specifica e svincolato dalla disciplina prevista per gli altri sistemi. Tale definizione ampia consente di ricondurre alla disciplina UE i sistemi in precedenza esclusi dalla disciplina MiFID.

La MiFID II introduce una disciplina più specifica per le quote di emissione di gas a effetto serra (definite nella direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, in materia di sistemi per lo scambio di quote di emissione) e di contratti derivati aventi ad oggetto quote di emissione, allo scopo di contrastare pratiche irregolari nel mercato secondario a pronti delle quote.

Sono inoltre riformulate alcune esenzioni dalla disciplina UE, allo scopo di adeguarsi alla pratica invalsa e alle principali criticità emerse dall’applicazione della direttiva MiFID.

 

Con riferimento alla tutela degli investitori, la MiFID II ha il precipuo scopo di rafforzarne i presidi, rendendo più stringente la disciplina applicabile alle imprese di investimento. Anche in relazione all’attività di consulenza, la MIFID II intende riformarne le caratteristiche, in particolare della consulenza offerta su base indipendente.

Gli enti territoriali non sono più qualificati in automatico come clienti professionali o controparti qualificate, salvo che essi non abbiano specificamente optato per il relativo regime e l'impresa di investimento abbia verificato la sussistenza in capo agli stessi dei necessari requisiti di esperienza e competenza.

Per quanto concerne gli obblighi di verifica relativi all’adeguatezza degli investimenti, sono introdotti anzitutto requisiti più onerosi per effettuare tale valutazione. I soggetti che forniscono servizi di consulenza sono tenuti a specificare se forniranno una valutazione continuativa circa l'adeguatezza degli investimenti e comunicazioni periodiche al riguardo. Le imprese offrono servizi di consulenza in materia di investimenti devono comunicare il costo del servizio, devono chiarire la base della consulenza che forniscono, in particolare la gamma di prodotti che esse considerano nel fornire raccomandazioni personalizzate ai clienti, specificare se offrono consulenza in materia di investimento su base indipendente e se forniscono ai clienti la valutazione periodica dell’adeguatezza degli strumenti finanziari da esse raccomandati Esse sono inoltre tenute a spiegare ai loro clienti i motivi della consulenza loro fornita (articolo 24, paragrafo 4, lettera a) e considerando n. 72).

La MiFID II e il regolamento MiFIR introducono una disciplina più stringente anche con riferimento ai mercati finanziari.

Scopo della legislazione è quello di ricondurre le negoziazioni all’interno di sistemi di negoziazione regolamentati o cd. “internalizzatori sistematici”, estendendo i regimi di trasparenza che precedono o seguono la negoziazione ad un più ampio novero di strumenti negoziati. Viene chiarito che si definiscono “internalizzatori sistemici” le imprese di investimento che, in modo organizzato, frequente, sistematico e sostanziale, negoziano per conto proprio eseguendo gli ordini dei clienti al di fuori di un mercato regolamentato, di un sistema multilaterale di negoziazione o di un sistema organizzato di negoziazione (articolo 4, paragrafo 1, n. 20); scopo delle norme è di qualificare un più ampio novero di intermediari quali “internalizzatori sistemici”, con riferimento a una gamma più ampia di strumenti finanziari.

Per garantire che le azioni siano negoziate solo presso sedi di negoziazione in cui si applicano i requisiti di trasparenza, il regolamento MiFIR introduce l’obbligo di negoziare azioni ammesse alla negoziazione su mercati regolamentati o negoziate sugli MTF od OTF ovvero da internalizzatori sistematici esclusivamente presso tali sedi.

Di conseguenza le imprese di investimento possono negoziare azioni al di fuori delle sedi individuate dalle norme UE solo in maniera non sistematica, regolare o frequente, ovvero su base “ad hoc”, oppure in quei casi in cui la negoziazione non contribuisce alla formazione dei prezzi. Il considerando n. 6 del regolamento MiFIR chiarisce infatti l’importanza di garantire che la negoziazione di strumenti finanziari avvenga per quanto possibile in sedi organizzate e che tutte queste sedi siano regolamentate in modo adeguato.

La direttiva MiFID IIpresta particolare attenzione alle imprese che effettuano negoziazioni mediante l’utilizzo di algoritmi; tale negoziazione comprende ogni modalità di negoziazione in cui un algoritmo calcolato tramite computer determina automaticamente parametri individuali di ordini senza alcun intervento umano. Le predette imprese sono obbligate ad adottare sistemi e controlli del rischio atti ad assicurare che i sistemi di negoziazione siano flessibili, efficienti e siano soggetti a limiti e soglie idonei a prevenire l’erronea immissione di ordini o altre disfunzioni che potrebbero pregiudicare l’ordinato svolgimento delle negoziazioni sul mercato. Esse sono inoltre tenute ad assicurare che i loro sistemi non siano utilizzati per commettere abusi di mercato (considerando 59-68 della Direttiva MiFID II)..

Più in generale, MiFID II e MiFIR intendono ampliare il regime di trasparenza pre e post-negoziazione attualmente previsto per le azioni ad una più ampia gamma di strumenti finanziari, tra cui gli strumenti di capitale.

Con riferimento ai rapporti coi Paesi terzi, si intende introdurre un regime unico per accedere ai mercati UE da parte di soggetti con sede in Paesi terzi,  basato su una valutazione di equivalenza svolta dalla Commissione. Detto regime trova applicazione con riferimento alla prestazione di servizi e alle attività di investimento su base transfrontaliera nei confronti di investitori professionali e di controparti qualificate. Si prevede un periodo transitorio di tre anni; successivamente, in pendenza delle valutazioni di equivalenza da parte della Commissione, continueranno a trovare applicazione le disposizioni degli ordinamenti nazionali circa l’accesso al mercato domestico da parte di intermediari di paesi terzi (articolo 46 e ss.gg. MiFIR).

Si rammenta che la delega al recepimento della predetta direttiva è contenuta nell’articolo 9 della legge di delegazione europea 2014 (legge n. 114 del 2015), che contiene altresì specifici criteri e principi per l’esercizio del relativo potere di delega.


Direttiva (UE) 2016/1065

(Trattamento IVA dei buoni)

 

 

La direttiva (UE) 2016/1065 del Consiglio modifica la direttiva sul sistema comune dell’IVA (direttiva 2006/112/CE del Consiglio) con riferimento alle operazioni che comportano l'utilizzo di buoni, introducendo allo scopo una specifica normativa.

Tra gli scopi della disciplina speciale vi è quello di evitare l’elusione fiscale nonché, alla luce delle nuove norme sul luogo delle prestazioni di servizi di telecomunicazione, servizi di teleradiodiffusione e servizi forniti per via elettronica, garantire che non si verifichino disallineamenti in materia di buoni forniti tra Stati membri.

Oggetto delle nuove disposizioni sono i buoni che possono essere utilizzati per il riscatto contro beni o servizi, escludendo dunque gli strumenti che conferiscono al titolare il diritto ad uno sconto all'atto dell'acquisto di beni o servizi, ma che non danno diritto a ricevere tali beni o servizi.

L’articolo 1, n. 1 della direttiva in esame anzitutto introduce l’articolo 30-bis nella direttiva 112/2006/CE, che reca alcune definizioni: si definisce buono (n. 1) lo strumento che contiene l'obbligo di essere accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo, a fronte di una cessione di beni o una prestazione di servizi, e nel quale i beni o i servizi da cedere o prestare o le identità dei potenziali cedenti o prestatori sono indicati sullo strumento medesimo o nella relativa documentazione, ivi incluse le condizioni generali di utilizzo ad esso relative.  All’interno di tale categoria, il n. 2 dell’articolo 30-bis identifica i cd. buoni monouso, in relazione ai quali sono noti, al momento dell’emissione, sia il luogo della cessione dei beni o della prestazione dei servizi cui il buono si riferisce, sia l'IVA dovuta su tali beni o servizi. Per esclusione, sono buoni multiuso quelli che non rientrano nella predetta categoria (n. 3).

 

La disciplina dei buoni è contenuta nell’introdotto articolo 30-ter della direttiva 2006/112/CE.

In particolare l'IVA è esigibile per ogni trasferimento, compresa l'emissione, del buono monouso. La consegna fisica dei beni o la concreta prestazione dei servizi dietro presentazione di un buono monouso non sono considerate operazioni indipendenti.

Con riferimento ai buoni multiuso, il paragrafo 2 dell’articolo 30-ter  dispone che la consegna fisica dei beni o la concreta prestazione dei servizi effettuate dietro presentazione di tali buoni sono soggette all'IVA ai sensi delle regole ordinarie (articolo 2 della direttiva 2006/112/CE), ossia l’imposta è esigibile quando i beni o i servizi cui il buono si riferisce sono ceduti o prestati, mentre ogni trasferimento precedente di tale buono non è soggetto all'IVA.

 

L’articolo 1, n. 2, della direttiva 1065/2016/UE, introducendo l’articolo 73-bis nella direttiva 2006/112/CE, fissa la base imponibile della cessione di beni o della prestazione di servizi effettuate a fronte di un buono multiuso nella misura del corrispettivo versato per il buono o, in assenza di informazioni su tale corrispettivo, al valore monetario indicato sul buono multiuso stesso o nella relativa documentazione diminuito dell'importo dell'IVA relativo ai beni ceduti o ai servizi prestati.

 

Il successivo n. 3 dell’articolo 1 inserisce gli articoli 410-bis e 410-ter nella direttiva 112/2006/CE, che recano le misure transitorie per l’applicazione delle norme sui buoni.

In particolare, esse trovano applicazione (articolo 410-bis) ai buoni emessi successivamente al 31 dicembre 2018. Sono inoltre disciplinate le procedure (articolo 410-ter) con le quali la Commissione deve presentare al Parlamento e al Consiglio, entro il 31 dicembre 2022, la relazione di valutazione sulle nuove norme.

 

L’articolo 2 della direttiva fissa il termine di recepimento per gli Stati membri al 31 dicembre 2018; l’applicazione delle nuove disposizioni da parte degli Stati membri è fissata a decorrere dal 1° gennaio 2019.

 

 


Direttiva (UE) 2016/1148

(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2016, recante misure per un livello comune elevato di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi nell'Unione)

 

 

La direttiva 2016/1148, recante misure per un livello comune elevato di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi nell’Unione (c.d. “Direttiva NIS”), rappresenta il primo provvedimento di carattere generale adottato in ambito europeo sul tema della sicurezza informatica.

Attraverso l’adozione da parte dei singoli Stati membri di una di una serie di misure strategiche e organizzative comuni in materia di sicurezza cibernetica, la direttiva mira a raggiungere un livello elevato di sicurezza dei sistemi, delle reti e delle informazioni in ambito europeo, nella convinzione che il rafforzamento del dominio digitale rappresenti un importante volano di crescita del sistema economico dell’Unione, incidendo, positivamente sulla propensione ad investire degli operatori economici, con particolare riferimento al commercio internazionale. 

Nello specifico, la direttiva in esame prevede l’adozione di una serie di iniziative da parte degli stati membri volte  a migliorare le capacità di sicurezza cibernetica dei singoli Paesi, aumentare il livello di collaborazione in ambito europeo nella prevenzione delle minacce cibernetiche e nelle eventuali misure di risposta ad attacchi cyber, sviluppare una cultura della sicurezza con particolare riferimento a quei settori vitali per l’economia e la società e che si basano sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Relativamente al miglioramento delle capacità dei singoli Stati dell’Unione, la direttiva “fa obbligo a tutti gli Stati membri di adottare una strategia nazionale in materia di sicurezza della rete e dei sistemi informativi” (articoli 1 e 7), definendo, in particolare:

1.     gli obiettivi strategici;

2.     le opportune misure strategiche e regolamentari al fine di conseguire e mantenere un livello elevato di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi;

3.     gli operatori di servizi essenziali nei settori reputati essenziali dal punto di vista della sicurezza cibernetica. In relazione all’individuazione degli operatori essenziali la direttiva fornisce alcuni criteri per la loro individuazione.

In particolare, è qualificato come operatore di servizio essenziale il soggetto pubblico o privato che appartiene alle categorie elencate nell’allegato 2 della medesima direttiva (energia, trasporti, settore bancario, settore sanitario, fornitura e distribuzione di acqua potabile, infrastrutture digitali, infrastrutture dei mercati finanziari), il quale fornisce un servizio reputato essenziale per il mantenimento di attività sociali e/o economiche fondamentali. Si prevede, inoltre, che la fornitura di tale servizio dipenda dalla rete e dai sistemi informativi e che un eventuale incidente avrebbe effetti negativi rilevanti sulla fornitura di tale servizio.

In relazione all’adempimento di cui al precedente n. 3 la direttiva fissa il termine del il 9 novembre 2018.

Con riferimento all'obbligo posto dalla direttiva di definire una strategia nazionale in materia di sicurezza cibernetica si segnala che con il DPCM 24 gennaio 2013 il Governo ha delineato per la prima volta in Italia l’architettura strategica nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica. In attuazione di quanto previsto dal richiamato DPCM sono stati successivamente adottati il Quadro Strategico Nazionale per la sicurezza dello spazio cibernetico ed il Piano Nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica che contengono gli obiettivi strategici e operativi della cyber security italiana. Da ultimo, nelle Gazzetta ufficiali del 17 febbraio e del 1° giugno 2017 sono stati, rispettivamente pubblicati il nuovo DPCM in materia protezione cibernetica ed il Piano Nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica relativo al 2017.

In relazione al tema della sicurezza e difesa nello spazio cibernetico è in corso di svolgimento un’indagine conoscitiva da parte della Commissione difesa della Camera.

Sempre con riferimento al miglioramento delle capacità di sicurezza cibernetica e alla cooperazione a livello europeo ed internazionale in materia di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi la direttiva (artt.8 e 9) stabilisce l’obbligo per gli Stati membri di:

1.     individuare una o più autorità nazionali in materia di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi, con funzioni, tra le altre, di controllo circa l’applicazione della direttiva;

2.     designare un punto di contatto unico  nazionale in materia di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi (“punto di contatto unico”);

3.     istituire uno o più Gruppi di intervento per la sicurezza informatica in caso di incidente (Computer Security Incident Response Team CSIRT) responsabili del monitoraggio degli incidenti a livello nazionale, fornendo allarmi tempestivi, avvisi ed annunci con lo scopo di diffondere informazioni su rischi ed incidenti.

In particolare, il punto di contatto dovrà garantire la cooperazione transfrontaliera tra le autorità nazionali competenti in materia di sicurezza cibernetica e il gruppo di cooperazione di cui all’articolo 11 della direttiva, composto da rappresentati degli Stati membri, dalla Commissione e dall’ENISA (European Union for Network and Information Security Agency).

Il punto di contatto dovrà, altresì, svolgere un ruolo di coordinamento tra i richiamati organismi nazionali e la rete di Computer Security Incident Response Team formata da rappresentanti dei CSIRT degli Stati membri e del CERT-UE.

Spetterà, invece, ai Gruppi di intervento per la sicurezza informatica (CSIRT), gestire gli incidenti e i rischi cibernetici secondo una procedura ben definita dai singoli ordinamenti. A tal fine gli Stati membri dovranno garantire  le necessarie risorse finanziarie.

In relazione ai richiamati articoli della direttiva si segnala che in Italia il CERT nazionale è una struttura individuata dall’articolo 16 - bis del D.Lgs. n. 259 del 2003, recante il Codice delle Comunicazioni elettroniche. Si tratta di una struttura destinata a potenziare i meccanismi di risposta agli incidenti informatici e gli strumenti di rilevazione e contrasto alle minacce. Il CERT nazionale ha avviato le sue attività a partire dal 5 giugno 2014. Il CERT nazionale opera a supporto di cittadini ed imprese con l’obiettivo di incrementare la consapevolezza e la cultura della sicurezza nell’utilizzo di servizi on line, fornendo informazioni tempestive su potenziali minacce informatiche, raccomandazioni e consigli utili per la prevenzione, contromisure per la risoluzione di incidenti informatici con impatto significativo (www.certnazionale.it). Il CERT opera sulla base di un modello cooperativo pubblico-privato. Il CERT nazionale ha avviato, infatti, la collaborazione con imprese che gestiscono infrastrutture informatizzate. Sulla base di tale collaborazione è stato istituito un Tavolo tecnico permanente per garantire un confronto costante tra i principali attori coinvolti e quindi migliorare e velocizzare le azioni di risposta ad eventuali incidenti informatici. il CERT nazionale ha, altresì, avviato una stretta collaborazione con il CERT-PA (CERT delle Pubbliche Amministrazioni che opera all’interno dell’Agenzia per l’Italia Digitale), CERT Difesa e CNAIPIC (Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche che opera nell’ambito del Servizio di polizia postale e delle comunicazioni). In ambito internazionale, il CERT nazionale ha già avviato forme di dialogo con CERT europei, extra-europei e con il CERT EU (CERT dell’Unione Europea sostenuto dall’Agenzia europea per la sicurezza ENISA).

A sua volta spetterà ai CSIRT trattare gli incidenti e i rischi di natura cibernetica secondo una procedura definita dai singoli ordinamenti

In relazione alla tempistica entro il mese di agosto 2017 i fornitori di servizi digitali dovranno adottare i requisiti minimi di sicurezza e di notifica degli incidenti. Entro novembre novembre 2018 ogni Stato membro dovrà identificare gli operatori di servizi essenziali. Nel 2019 la commissione europea valuterà la coerenza dell’identificazione degli operatori di servizi essenziali da parte degli Stati membri e nel 2021 verrà esaminato il funzionamento delle direttiva con particolare attenzione alla cooperazione strategica e operativa degli Stati e l’applicazione da parte dei gestori di servizi essenziali e dei fornitori di servizi digitali.


Direttiva (UE) 2016/1164

(Anti Tax Avoidance Directive - ATAD 3)

 

 

La direttiva 2016/1164/UE (cosiddetta Anti Tax Avoidance Directive - ATAD 3) fa parte del pacchetto antielusione (Anti Tax Avoidance Package) varato dalla Commissione Europea per introdurre negli Stati membri un insieme di misure di contrasto alle pratiche di elusione fiscale.

Essa si basa sulle raccomandazioni dell'OCSE del 2015 volte ad affrontare l'erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (progetto BEPS).

In particolare, la direttiva n. 2016/1164/UE intende contrastare quelle pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno.

Essa concretamente stabilisce una serie di limiti alla pianificazione fiscale aggressiva, con particolare riferimento alle situazioni in cui i gruppi societari sfruttano le disparità esistenti fra i sistemi fiscali nazionali.

 

Le aree tematiche che sono affrontate dalla Direttiva sono le seguenti:

-        limiti alla deducibilità degli interessi passivi. Per contrastare lo spostamento dei profitti attraverso operazioni di indebitamento all’interno delle società del gruppo, l’articolo 4 della direttiva introduce la c.d earning-stripping rule, che impone agli Stati membri di dotarsi di una normativa che limiti la deducibilità degli interessi passivi ad un importo non superiore al 30 per cento degli utili imponibili del contribuente al lordo di interessi, imposte, deprezzamento e ammortamento (cd. EBITDA). La direttiva fa salve eventuali disposizione specifiche contro la thin capitalisation le quali, qualora già presenti nella legislazione domestica, non dovranno essere abrogate, ma potranno convivere con il limite stabilito dalla direttiva;

-        con riferimento alla tassazione in uscita (cd. exit tax), per evitare che i gruppi spostino i propri assets (specialmente quelli immateriali, quali brevetti e proprietà intellettuali) verso Stati con tassazione più favorevole, l’articolo 5 stabilisce che gli Stati membri devono dotarsi di una disciplina specifica della tassazione in uscita, che deve essere computata come la differenza tra valore di mercato degli assets al momento dell’uscita dallo Stato e il loro valore fiscale;

-        con l’articolo 6 viene introdotta la General Anti-Abuse Rule (clausola generale antiabuso) secondo cui, per l’imposizione delle società, gli Stati membri sono tenuti a ignorare le costruzioni (giuridiche o fiscali) che, poste in essere allo scopo principale di ottenere un vantaggio fiscale in contrasto con l'oggetto o la finalità del diritto applicabile, non sono genuine avendo riguardo a tutti i fatti e le circostanze pertinenti. Una costruzione o una serie di costruzioni sono considerate “non genuine” nella misura in cui non sono state poste in essere per valide ragioni commerciali che rispecchiano la realtà economica;

-        con riferimento alle società controllate estere (controlled foreign companies – CFC), la direttiva (articolo 7) persegue lo scopo di evitare che i gruppi societari trasferiscano i propri utili verso società del gruppo aventi sede in Stati con un’imposizione più favorevole allo scopo di ridurre gli oneri fiscali complessivi. Come emerge anche dai considerando, le norme sulle CFC intendono riattribuire i redditi di una società controllata soggetta a bassa imposizione alla società madre; quest’ultima è quindi tassabile per i redditi che le sono stati attribuiti nello Stato in cui è residente a fini fiscali. Gli Stati membri possono esentare da tale disciplina alcune entità con scarsi utili o uno scarso margine di profitto che comportano rischi minori di elusione fiscale;

-        la direttiva si occupa anche di disciplinare il fenomeno dei cd. disallineamenti da ibridi (articolo 9).

Si tratta (articolo 2, punto 9) della direttiva) della situazione che insorge tra un contribuente in uno Stato membro e un'impresa associata in un altro Stato membro, ovvero di una modalità strutturata tra parti negli Stati membri, in cui il seguente risultato è imputabile a differenze della caratterizzazione giuridica di uno strumento finanziario o di un'entità: lo stesso pagamento, le stesse spese o le stesse perdite sono dedotti sia nello Stato membro in cui il pagamento ha origine, le spese sono sostenute o le perdite sono subite sia in un altro Stato membro (doppia deduzione); o a un pagamento è applicata una deduzione nello Stato membro in cui il pagamento ha origine senza una corrispondente inclusione, a fini fiscali, dello stesso nell'altro Stato membro (deduzione senza inclusione).

Per evitare che i gruppi transnazionali possano avvantaggiarsi delle differenze dei sistemi legislativi dei Paesi membri per ridurre il loro onere fiscale, l’articolo 9 della direttiva prevede che nella misura in cui un disallineamento da ibridi determini una doppia deduzione, la deduzione si applica unicamente nello Stato membro in cui il pagamento ha origine. Viceversa, nella misura in cui un disallineamento da ibridi determini una deduzione senza inclusione, la deduzione viene negata.

 

Il termine di recepimento della direttiva antielusione è fissato al 31 dicembre 2018 (ad eccezione delle norme sull’exit tax,  per le quali il termine è fissato al 31 dicembre 2019). Si specifica che gli Stati membri nei quali sono vigenti norme equivalenti a quelle sui limiti alla deducibilità degli interessi passivi possono applicarle fino a quando l’OCSE non avrà raggiunto un accordo su una norma minima o al più tardi fino all'1 gennaio 2024.

 


Direttiva (UE) 2016/1214

(della Commissione, del 25 luglio 2016, recante modifica della direttiva 2005/62/CE per quanto riguarda le norme e le specifiche del sistema di qualità per i servizi trasfusionali)

 

 

La direttiva in titolo modifica la direttiva 2005/62/CE[29] inserendovi un riferimento alle Linee direttrici di buone prassi per i servizi trasfusionali. Quest'ultimo documento è stato elaborato congiuntamente dalla Commissione europea e dalla Direzione europea per la qualità dei medicinali e dell'Assistenza Sanitaria del Consiglio d'Europa, è stato approvato dal Comitato europeo sulle trasfusioni ematiche del Consiglio d'Europa nel novembre 2016 e, per effetto della direttiva in oggetto, sarà applicato negli Stati dell'Unione europea (nonché in quelli dello Spazio economico europeo)[30].

In particolare, la novella di cui alla direttiva (UE) 2016/1214 in esame prevede che, al fine di attuare le norme e le specifiche tecniche contenute nella suddetta direttiva del 2005 e nel relativo allegato, gli Stati membri garantiscano la sussistenza di "linee direttrici di buone prassi disponibili e utilizzate da tutti i servizi trasfusionali nel loro sistema di qualità"; tali linee direttrici devono tener conto delle citate linee direttrici di buone prassi della Commissione europea e della Direzione europea per la qualità dei medicinali e dell'assistenza sanitaria del Consiglio d'Europa, nonché, ove pertinente per i servizi trasfusionali, dei principi e orientamenti dettagliati delle buone prassi di fabbricazione dei medicinali[31].

 

La direttiva 2005/62/CE impone agli Stati membri di provvedere a che "il sistema di qualità in atto in tutti i servizi trasfusionali sia conforme alle norme e specifiche" contenute nell'Allegato della direttiva medesima (articolo 2). L'Allegato detta, tra l'altro, norme relative al personale ed all'organizzazione (capitolo 2); ai locali (capitolo 3); alle attrezzature e materiali (capitolo 4); alla raccolta, analisi e lavorazione del sangue (capitolo 6); alla conservazione e distribuzione (capitolo 7).

Si evidenzia che sia la direttiva in titolo sia la direttiva 2005/62/CE sono atti legislativi secondari, adottati cioè dalla Commissione per meglio precisare il testo primario (adottato da Parlamento europeo e Consiglio secondo la procedura legislativa dettata dai Trattati istitutivi) costituito dalla direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio[32].

 

Il termine per il recepimento della direttiva (UE) 2016/1214 in esame è fissato al 15 febbraio 2018 (articolo 2).


Direttiva (UE) 2016/1629

(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 settembre 2016, che stabilisce i requisiti tecnici per le navi adibite alla navigazione interna, che modifica la direttiva 2009/100/CE e abroga la direttiva 2006/87/CE)

 

 

La direttiva 2016/1629 del 14 settembre 2016, stabilisce i requisiti tecnici per le navi adibite alla navigazione interna e la classificazione delle vie navigabili interne nell’Unione europea. Essa sostituisce la precedente direttiva 2006/87/CE, che aveva stabilito le condizioni armonizzate per il rilascio di certificati tecnici per le navi adibite alla navigazione interna su tutte le vie navigabili interne dell'Unione, che verrà abrogata dal 7 ottobre 2018, e modifica la precedente direttiva 2009/100/CE.

L'obiettivo della direttiva 2016/1629 è quello di stabilire i requisiti tecnici necessari a garantire la sicurezza delle unità navali in navigazione sulle vie navigabili interne dell'Unione. La direttiva si applica (art. 2) a:

a)     navi di lunghezza pari o superiore a 20 metri;

b)    navi per le quali il prodotto fra lunghezza, larghezza e immersione è pari o superiore in volume a 100 metri cubi;

c)     rimorchiatori e spintori destinati a rimorchiare o a spingere oppure alla propulsione in formazione di coppia delle unità navali di cui alle lettere a) e b) o dei galleggianti speciali;

d)    navi da passeggeri;

e)     galleggianti speciali.

Le misure della direttiva 2009/100/CE, che viene modificata per mantenere la complementarietà con la direttiva 2016/1629, rimangono in vigore per le navi che non sono contemplate dalla nuova direttiva. Si tratta delle seguenti, a cui non si applica quindi la direttiva 2016/1629:

-        navi traghetto;

-        navi da guerra;

-        navi adibite alla navigazione marittima, compresi i rimorchiatori e gli spintori, che navigano o si trovano nelle acque soggette a formazione di marea oppure navigano temporaneamente sulle vie navigabili interne, qualora ricorrano particolari condizioni.

La direttiva provvede a classificare le vie navigabili interne dell’Unione in 4 zone (indicate in Allegato I) più la zona speciale (R) del Reno. La direttiva 2006/87/CE, identifica quattro categorie di vie navigabili elencandole in Allegato I. Le vie navigabili italiane sono attualmente ricomprese nella zona 4. Si tratta delle seguenti:

-        Fiume Po: da Piacenza alla foce;

-        Canale Milano-Cremona, fiume Po: tratto terminale di 15 km fino al Po;

-        Fiume Mincio: da Mantova, Governolo al Po;

-        Idrovia ferrarese: dal Po (Pontelagoscuro), Ferrara a Porto Garibaldi;

-        Canali di Brondolo e Valle: dal Po orientale alla laguna di Venezia;

-        Canale Fissero-Tartaro-Canalbianco: da Adria al Po orientale;

-        Litoranea veneta: dalla laguna di Venezia a Grado.

L'Idrovia Padana, per l'importanza strategica che riveste, è stata inserita nel 1996 nella Rete trans-europea delle vie navigabili (Decisione n. 1692/96/CE) ed in occasione della revisione 2011 delle Reti di trasporto trans-europee (TEN-T) è stata, inoltre, ridefinita la Rete di navigazione interna di rilevanza europea: il Regolamento UE 1315/2013 ha riconosciuto la navigazione interna del Nord d'Italia, quale infrastruttura completata ed operativa al servizio dell'economia dell'intera Pianura Padana.

 

Nella nuova direttiva 2016/1629 sono considerate incluse nella zona 4, ma non vengono più espressamente elencate in Allegato I, “tutte le altre vie navigabili interne che possono essere navigate conformemente al diritto nazionale da unità navali rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva”. Le vie navigabili italiane rientrano in questa fattispecie, quindi sono da considerarsi in zona 4 anche se in allegato non sono più riportate, in quanto in Allegato I vengono elencate solo le vie navigabili che rientrano nelle zone 1, 2, e 3.

Si ricorda che per recepire i principi stabiliti dall'accordo europeo sulle grandi vie navigabili di importanza internazionale, con annessi, fatto a Ginevra il 19 gennaio 1996, la legge n. 16 del 2000 ha istituito un piano coordinato di sviluppo e costruzione di una rete di vie navigabili d'importanza internazionale al fine di rendere più efficiente e vantaggioso il trasporto internazionale in Europa per via navigabile.

 

L’art. 5 prevede che gli Stati membri provvedano affinché le unità navali siano costruite e mantenute conformemente ai requisiti stabiliti nella direttiva e l’art. 6 stabilisce che i certificati dell'Unione per la navigazione interna siano rilasciati a seguito di un'ispezione tecnica effettuata prima dell'entrata in servizio dell'unità navale e intesa a verificare che la stessa sia conforme ai requisiti degli allegati II e V. Il rilascio avviene da parte dalle competenti autorità degli Stati membri ed il certificato deve essere conforme al modello indicato in Allegato II.

Il periodo massimo di validità del certificato dell'Unione per la navigazione interna rilasciato alle unità navali di nuova fabbricazione è stabilito in cinque anni per le navi da passeggeri e le unità veloci ed in dieci anni per tutti gli altri tipi di unità navale.

L’art. 18 prevede un numero unico europeo di identificazione delle navi (ENI).

Per assicurare che la direttiva sia attuata in modo efficiente, è previsto l’inserimento delle informazioni relative alle unità navali delle vie navigabili interne nella banca dati europea degli scafi (European Hull Data Base — EHDB) perché possano essere utilizzate dalle autorità competenti (art. 19).

L’art. 28 prevede che i documenti che rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva e che siano stati rilasciati dalle autorità competenti degli Stati membri a norma della direttiva 2006/87/CE prima del 6 ottobre 2016, restino validi fino alla loro scadenza.

 

Gli Stati membri possono derogare alla direttiva in alcuni casi riguardanti le vie navigabili che non sono collegate alle vie navigabili interne di altri Stati membri o unità navali che operano esclusivamente su una rete navigabile nazionale, mantenendo al contempo un adeguato livello di sicurezza.

Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 7 ottobre 2018.

 

La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2013) 622, sulla quale il Parlamento italiano non si è espresso in sede di esame.


Direttiva (UE) 2016/1919

(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2016, sull'ammissione al patrocinio a spese dello Stato per indagati e imputati nell'ambito di procedimenti penali e per le persone ricercate nell'ambito di procedimenti di esecuzione del mandato d'arresto europeo)

 

 

Il provvedimento in titolo ha lo scopo di garantire l'effettività del diritto di avvalersi di un difensore, previsto dalla direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, rendendo disponibile l'assistenza di un difensore retribuito dagli Stati membri agli indagati e agli imputati in procedimenti penali, nonché alle persone oggetto di procedimenti di esecuzione del mandato d'arresto europeo ai sensi della decisione-quadro 2002/584/GAI del Consiglio.

Il testo consta di 14 articoli. Più nel dettaglio, dopo aver fissato l'oggetto (art. 1), l'ambito di applicazione (art. 2) e la definizione (art. 3), la direttiva fissa agli artt. 4 e 5 l'obbligo, per gli Stati membri, di assicurare che gli indagati o imputati privi di risorse sufficienti a coprire i costi dell'assistenza di un difensore godano del diritto al patrocinio a spese dello Stato sia nel corso di un procedimento penale, sia nel periodo intercorrente tra il momento dell'arresto eseguito in conformità del mandato d'arresto europeo e quello della consegna, o fino al momento in cui la decisione sulla mancata consegna divenga definitiva.

La decisione sulla concessione o meno del patrocinio, che può essere preceduta da una valutazione delle risorse e/o del merito che tenga conto "di tutti i fattori pertinenti e obiettivi quali il reddito, il patrimonio e la situazione familiare dell'interessato", deve essere adottata senza indebito ritardo (art.6). Lo Stato membro interessato deve inoltre adottare tutte le misure necessarie, anche per quanto riguarda il finanziamento, al fine di assicurare che esista un sistema di patrocinio a spese dello Stato efficace e di qualità adeguata "a salvaguardare l'equità del provvedimento, nel dovuto rispetto dell'indipendenza della professione forense" (art. 7).

Sempre agli Stati membri spetta garantire che gli indagati, gli imputati e le persone ricercate dispongano di mezzi di ricorso effettivi (art. 8) e che, nell'attuazione della direttiva, si tenga conto delle particolari esigenze di indagati, imputati e persone ricercate vulnerabili.

 

La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2013) 824, sulla quale la 2a Commissione permanente del Senato della Repubblica ha espresso, l'11 febbraio 2014, un parere favorevole (Doc XVIII, n. 48).


Direttiva (UE) 2016/2102

(Accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici)

 

 

La direttiva 2016/2102/UE interviene per disciplinare in termini organici l’accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili delle pubbliche amministrazioni.

Secondo quanto indicato nel secondo considerando l’accessibilità si riferisce ai principi e alle tecniche da rispettare nella progettazione, nella costruzione, nella manutenzione e nell'aggiornamento di siti internet e di applicazioni mobili per rendere il loro contenuto più accessibile agli utenti, in particolare alle persone con disabilità.

L’obiettivo della direttiva, indicato all’articolo 1, è quindi quello di garantire il ravvicinamento delle misure nazionali a livello di Unione europea sulla base di prescrizioni in materia di accessibilità concordate da applicare ai siti web e alle relative applicazioni mobili degli enti pubblici che favoriranno una maggiore accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili di enti pubblici (nono considerando).

Tale necessità, come risulta dal quinto considerando, discende dal fatto che diversi Stati membri hanno adottato misure basate su linee guida internazionali per la progettazione di siti web accessibili, ma tali misure spesso si riferiscono a versioni o livelli di conformità diversi di tali linee guida, oppure hanno introdotto differenze tecniche a livello nazionale con riguardo ai siti web accessibili. Ciò ha comportato una frammentazione del mercato accrescendo le difficoltà, specie delle piccole e medie imprese operanti nel settore ad intervenire al di fuori del mercato nazionale.

 

La legge italiana definisce l’accessibilità come “la capacità dei sistemi informatici, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze tecnologiche, di erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, anche da parte di coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari” (art. 2, comma 1, lett. a), legge 4/2004).

Pertanto, un sito web è accessibile nella misura in cui fornisce informazioni fruibili da parte di tutti gli utenti, compresi coloro che si trovino in situazioni di disabilità.

Il principio della accessibilità dei siti web delle pubbliche amministrazioni è sancito dal codice dell’amministrazione digitale laddove si prevede che le pubbliche amministrazioni realizzino siti istituzionali su reti telematiche che rispettano i principi di accessibilità, nonché di elevata usabilità e reperibilità, anche da parte delle persone disabili, completezza di informazione, chiarezza di linguaggio, affidabilità, semplicità dì consultazione, qualità, omogeneità ed interoperabilità (D.Lgs. 82/2005, art. 53).

Conseguentemente, le regole tecniche per l’attuazione del codice (da adottare, ai sensi dell’art. 71 del CAD, con decreto del Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, su proposta dell'AgID, di concerto con il Ministro della giustizia e con i Ministri competenti, sentita la Conferenza unificata e il Garante per la protezione dei dati personali nelle materie di competenza) sono dettate in conformità a:

-       i requisiti tecnici di accessibilità di cui all'articolo 11 della legge 9 gennaio 2004, n. 4;

-       le discipline risultanti dal processo di standardizzazione tecnologica a livello internazionale;

-       le normative dell'Unione europea.

 

I requisiti tecnici e i diversi livelli per l'accessibilità agli strumenti informatici sono attualmente regolati dal D.M. 8 luglio 2005, adottato in attuazione della citata legge 4/2004.

Per quanto riguarda, l’accessibilità degli strumenti informatici delle pubbliche amministrazioni, un ruolo centrale è rivestito dall'Agenzia per l'Italia Digitale (AgID) che tra l’altro presta assistenza alle pubbliche amministrazioni sull’applicazione della normativa in materia di accessibilità; effettua il monitoraggio dei siti web della pubblica amministrazione al fine di fornire indicazioni e suggerimenti agli enti per il rispetto dei requisiti tecnici di accessibilità; presta assistenza in relazione a quesiti tecnici inviati da enti per l’adeguamento alla normativa dei siti web istituzionali.

Per approfondire l’attività svolta in questo settore dall’AgID si veda l’Accessibilità dei siti web: il coordinamento e le attività dell'Agenzia per l'Italia Digitale in relazione alla normativa vigente.

 

L’articolo 1, oltre alle finalità della direttiva individua gli ambiti esclusi dalla sua applicazione. In particolare sono esclusi i siti web e applicazioni mobili delle emittenti di servizio pubblico (il cui regime di accessibilità è più adeguatamente disciplinato dalle norme relative al settore di riferimento) e i siti web e applicazioni mobili di ONG che non forniscono servizi pubblici essenziali per il pubblico (o specificamente per persone disabili) per le quali l’onere di adempiere alle prescrizioni della direttiva è ritenuto, nell’ambito del venticinquesimo considerando, sproporzionato.

Sono inoltre esclusi alcuni specifici contenuti web, finanziati o realizzati dalle pubbliche amministrazioni o sottoposti al loro controllo:

·       i formati di file per ufficio pubblicati prima del 23 settembre 2018 (quali pdf o file word), a meno che tali contenuti non siano necessari per i processi amministrativi attivi relativi alle funzioni assolte dall'ente pubblico interessato;

·       media basati sul tempo preregistrati pubblicati prima del 23 settembre 2020 e quelli basati sulla trasmissione in diretta;

·       le  carte e servizi di cartografia online, a condizione che le informazioni essenziali siano fornite in modalità digitale accessibile per le carte per la navigazione;

·       riproduzioni di pezzi provenienti da collezioni del patrimonio storico-culturale che non possono essere resi pienamente accessibili per specifiche ragioni;

·       contenuti di extranet o intranet ossia siti web disponibili soltanto per un gruppo chiuso di persone e non per il grande pubblico in quanto tale, pubblicati prima del 23 settembre 2019 fino a una loro revisione sostanziale;

·       contenuti di siti web e applicazioni mobili considerati archivi nel senso che contengono soltanto contenuti che non sono né necessari per processi amministrativi attivi né aggiornati o rielaborati dopo il 23 settembre 2019.

E’ data agli stati membri la facoltà di escludere dall'applicazione della presente direttiva i siti web e le applicazioni mobili di scuole, giardini d'infanzia o asili nido, ad eccezione dei contenuti relativi a funzioni amministrative essenziali online.

L’articolo 2 precisa che gli Stati membri possono mantenere o introdurre misure conformi al diritto dell'Unione che vadano al di là delle prescrizioni minime per l'accessibilità web di siti internet e applicazioni mobili stabilite dalla direttiva, mentre l’articolo 3 contiene le definizioni.

L’articolo 4 individua quattro principi ai quali gli enti pubblici degli Stati membri devono conformarsi in termini di accessibilità. Tali principi vengono delineati al trentasettesimo considerando:

·       percepibilità, le informazioni e i componenti dell'interfaccia utente devono essere presentabili agli utenti in modalità percepibili;

·       utilizzabilità, i componenti e la navigazione dell'interfaccia utente devono essere utilizzabili;

·       comprensibilità, le informazioni e il funzionamento dell'interfaccia utente devono essere comprensibili;

·       solidità, nel senso che i contenuti devono essere abbastanza solidi da poter essere interpretati con sicurezza da una vasta gamma di programmi utente, comprese le tecnologie assistive.

L’articolo 5 consente di non applicare i principi di accessibilità nel caso in cui ciò determini oneri sproporzionati. Secondo il trentanovesimo considerando per misure che imporrebbero un onere sproporzionato si dovrebbero intendere le misure che imporrebbero a un ente pubblico un onere organizzativo o finanziario eccessivo, o metterebbero a rischio la sua capacità di adempiere al suo scopo o di pubblicare le informazioni necessarie o pertinenti per i suoi compiti e servizi, pur tenendo conto del probabile beneficio o danno che ne deriverebbe per i cittadini, in particolare per le persone con disabilità. La mancanza di carattere prioritario, di tempo o di conoscenze non possono tuttavia essere considerati un motivo legittimo per derogare alle norme in tema di accessibilità.

Per valutare la sussistenza di oneri sproporzionati le pubbliche amministrazioni valutino l’onere tenendo conto delle dimensioni, delle risorse e della natura dell'ente pubblico interessato e della stima dei costi e dei benefici per l'ente pubblico interessato in rapporto ai benefici previsti per le persone con disabilità, e qualora l’onere sia sproporzionato indicano nell’apposito documento di accessibilità quali siano le parti delle prescrizioni in materia di accessibilità cui non è stato possibile conformarsi e se de caso fornire alternative accessibili.

L’articolo 6 sancisce una presunzione di conformità alle prescrizioni in tema di accessibilità per i contenuti di siti web e applicazioni mobili che rispettano le norme armonizzate (o parte di esse) nonché per le applicazioni mobili che rispettano le specifiche tecniche definite dalla Commissione in assenza di norme armonizzate, o parti di esse. Sono inoltre presunti conformi i contenuti dei siti web che, in assenza di norme armonizzate, soddisfano i requisiti pertinenti, o parti di essi, della norma europea EN 301 549 V1.1.2 (2015-04) concernente i requisiti di accessibilità per l’acquisizione di prodotti e servizi ITC, nonché i contenuti delle applicazioni mobili che soddisfano i requisiti pertinenti, o parti di esse, della medesima norma tecnica in assenza sia di norme armonizzate che di specifiche tecniche.

L’articolo 7 prevede che le pubbliche amministrazioni debbano dichiarazione di accessibilità sulla conformità dei rispettivi siti web e applicazioni mobili alla direttiva, indicandone i contenuti e prevedendo che la Commissione adotti atti di esecuzione per stabilire un modello di dichiarazione di accessibilità. Si prevede anche l’obbligo degli Stati membri di programmi di formazione in materia di accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili, destinati alle parti interessate e al personale degli enti pubblici nonché misure necessarie per sensibilizzare sulle prescrizioni in materia di accessibilità sui benefici per gli utenti e i proprietari di siti web e applicazioni mobili e sulla possibilità di fornire un feedback in caso di mancata conformità alla direttiva.

L’articolo 8 disciplina il monitoraggio sulla conformità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici alle prescrizioni in materia di accessibilità cui sono tenuti gli Stati membri individuandone il regime. Entro il 23 dicembre 2021 e successivamente ogni tre anni, gli Stati membri presentano alla Commissione una relazione sugli esiti del monitoraggio, includendo i dati misurati.

L’articolo 9 concerne la procedura di attuazione di quanto previsto dalla direttiva per gli stati membri. In particolare prevede che entro il 23 settembre 2018 gli Stati membri informino la Commissione circa l'ente responsabile dell'attuazione della direttiva.

Gli ulteriori articoli disciplinano le modalità di emanazione degli atti delegati da parte della Commissione (articolo 10), la procedura di comitato (articolo 11), il riesame della direttiva (articolo 13) e l’entrata in vigore (articolo 14)

Il termine per il recepimento della direttiva 2016/2102/UE è fissato al 23 settembre 2018. L’applicazione delle disposizioni di recepimento della direttiva, si applicano nel seguente modo: per i siti web di enti pubblici non pubblicati prima del 23 settembre 2018 a decorrere dal 23 settembre 2019; per i siti web di enti pubblici pubblicati successivamente a tale data si applicano a decorrere dal 23 settembre 2020, mentre per le applicazioni mobili di enti pubblici a decorrere dal 23 giugno 2021.


Direttiva (UE) 2016/2284

(Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 dicembre 2016, concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici, che modifica la direttiva 2003/35/CE e abroga la direttiva 2001/81/CE)

 

 

La direttiva (UE) 2016/2284 rivede i limiti nazionali di emissione annuali di una serie di inquinanti particolarmente dannosi definiti dalla direttiva 2001/81/CE, di cui stabilisce l'abrogazione.

I limiti,  riferiti al periodo compreso tra il 2010 e il 2020, erano stati fissati  per ridurre l’inquinamento atmosferico e il suo impatto sulla salute pubblica e sull’ambiente in tutta l’Ue, ma anche per conformarsi agli impegni internazionali assunti con il Protocollo di Göteborg sull’inquinamento atmosferico a grande distanza[33] adottato nel 1999. La successiva modifica del Protocollo di Göteborg, nel 2012, ha comportato nuovi impegni internazionali di riduzione dal 2020 in poi, a cui la direttiva (UE) 2016/2284 si allinea.

In particolare, la direttiva stabilisce impegni di riduzione delle emissioni per gli Stati membri dei seguenti inquinanti:

ü  biossido di zolfo (SO2);

ü  ossidi di azoto (NOx);

ü  composti organici volatili non metanici (COVNM);

ü  ammoniaca (NH3);

ü  particolato fine (PM2,5)

Per i suddetti inquinanti, e per altri elencati nell'Allegato I, è prevista l'elaborazione e l'attuazione di piani nazionali di controllo dell'inquinamento atmosferico e sono stabiliti obblighi di monitoraggio e comunicazione (articolo 1).

 Per ciascuno degli inquinanti sopraelencati sono stabiliti dei limiti di emissione ("impegni di riduzione") riferiti al periodo 2020-2029 conformemente al Protocollo di Göteborg, e dal 2030 in poi (articolo 4). L'Allegato II riporta, per ogni Stato membro, le percentuali di riduzione delle emissioni rispetto all'anno di riferimento 2005.

Per l'Italia, le percentuali fissate sono: per l’SO2, 35% dal 2020 al 2029 e 71% dal 2030; per i NOx, rispettivamente 40% e 65%; per i COVNM, 35% e 46%; per l’NH3, 5% e 16%; per i PM2,5, 10% e 40%.

Fatti salvi i suddetti impegni di riduzione, sono previsti degli impegni indicativi di emissione per il 2025 stabiliti secondo una traiettoria lineare definita tra i livelli fissati al 2020 e quelli al 2030, dalla quale è tuttavia possibile discostarsi se ciò risulta economicamente e tecnicamente più efficiente, purché dal 2025 in poi la traiettoria applicata coincida con quella lineare e non pregiudichi gli impegni di riduzione al 2030 (articolo 4, paragrafo 2).

Sono poi previsti dei meccanismi di flessibilità che, in determinate circostanze e a determinate condizioni, consentono agli Stati membri di discostarsi dai loro impegni di riduzione. Tali meccanismi possono essere applicati ad esempio in presenza di un inverno particolarmente freddo e di un'estate particolarmente calda, oppure quando gli impegni di riduzione non risultano efficienti sotto il profilo dei costi, o ancora al verificarsi di un'improvvisa ed eccezionale interruzione o perdita di capacità nel sistema di produzione o di fornitura di elettricità e/o di calore (articolo 5).

Agli Stati membri spetta l'obbligo di elaborare e attuare dei piani nazionali di controllo, da aggiornare ogni 4 anni, nei quali dovrà essere precisato, tra l'altro, in quale modo essi soddisferanno i loro impegni di riduzione. Tali programmi, prima della loro adozione, dovranno essere sottoposti ad una consultazione pubblica. Le consultazioni, se del caso, dovranno essere condotte anche a livello transfrontaliero. I primi piani saranno presentati entro il 1° aprile 2019 (articolo 6).

          Gli Stati membri dovranno inoltre: elaborare inventari delle emissioni, proiezioni delle emissioni e relazioni di inventario (articolo 8); monitorare gli impatti negativi dell'inquinamento atmosferico sugli ecosistemi (articolo 9); trasmettere i programmi nazionali di controllo, gli inventari delle emissioni e le relazioni di inventario alla Commissione europea che provvederà ad esaminarli (articolo 10).

La Commissione europea, dal canto suo, dovrà: trasmettere al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sui progressi compiuti nell'attuazione della direttiva (la prima entro il entro il 1° aprile 2020 e successivamente ogni 4 anni) (articolo 11); facilitare l'accesso ai fondi dell'Unione (articolo 7); facilitare l'attuazione coordinata della legislazione dell'Ue in materia di qualità dell'aria (articolo 12); provvedere al riesame della direttiva entro il 31 dicembre 2025 (articolo 13).

La direttiva contiene infine disposizioni in materia di diffusione elettronica delle informazioni (articolo 14), cooperazione con i Paesi terzi e con le organizzazioni internazionali (articolo 15), sanzioni (articolo 18).

Il termine fissato per il recepimento è il 1° luglio 2018.  

Iter di approvazione

La direttiva trae origine dalla proposta della Commissione europea COM(2013)920[34], sulla quale la 13a Commissione (territorio, ambiente, beni ambientali) del Senato ha emesso la risoluzione DOC XVIII n. 49, pronunciandosi in senso favorevole.


Direttiva (UE) 2016/2341

(Enti pensionistici)

 

 

La Direttiva (UE) 2016/2341 del 14 dicembre 2016 (di seguito Direttiva) reca disposizioni sull’attività e la vigilanza degli enti pensionistici aziendali o professionali (EPAP).

Essa interviene sulla disciplina attualmente contenuta nella Direttiva 2003/41/CE del 3 giugno 2003, volta a regolamentare a livello di Unione le attività e la supervisione degli EPAP[35], in quanto (“Considerando” n. 1) la Direttiva 2003/41/CE ha subito varie e sostanziali modifiche[36], e poiché si sono rese necessarie ulteriori nuove modifiche alla disciplina in oggetto, si è proceduto alla sua rifusione[37]. Entro il 13 gennaio 2019 gli Stati membri hanno l’obbligo di attuare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla Direttiva in esame (articolo 64). Dalla stessa data è abrogata la Direttiva 2003/41/CE, come modificata dai successivi interventi del legislatore europeo (articolo 65).

La Direttiva, in generale, ha come obiettivo la creazione di un ambito normativo unitario minimo e armonizzato per lo sviluppo del mercato europeo dei fondi pensione transfrontalieri, pur lasciando ai vari Stati Membri la competenza per l’organizzazione dei propri sistemi pensionistici (“Considerando n. 3”). In particolare, si rafforza il sistema di governance e di gestione del rischio, si rimuovono alcune barriere che ostacolano l’attività transfrontaliera dei fondi pensione (regolati diversamente nei vari Paesi), si consolida la trasparenza e l’informazione agli iscritti e ai pensionati. Inoltre, la Direttiva ha lo scopo di assicurare che le autorità competenti abbiano tutti gli strumenti necessari per poter effettivamente svolgere la vigilanza ed il controllo sugli EPAP.

 

Si ricorda che per ente pensionistico aziendale o professionale (articolo 6, paragrafo 1) si intende un ente (a prescindere dalla sua forma giuridica), operante secondo il principio di capitalizzazione, distinto da qualsiasi impresa promotrice o associazione di categoria, costituito al fine di erogare prestazioni pensionistiche in relazione a un'attività lavorativa sulla base di un accordo o di un contratto stipulato individualmente o collettivamente tra datore di lavoro e lavoratore (o i loro rispettivi rappresentanti), oppure con lavoratori autonomi, individualmente o collettivamente, conformemente alla legislazione dello Stato membro di origine e dello Stato membro ospitante. Inoltre, l’ente può esercitare le attività direttamente connesse.

 

La Direttiva mira a garantire una sana governance, l'informazione degli aderenti allo schema pensionistico, la trasparenza e la sicurezza delle pensioni aziendali o professionali (“Considerando” n. 4), al fine di garantire l’equilibrio intergenerazionale degli schemi pensionistici aziendali o professionali, mirando a un'equa ripartizione dei rischi e dei benefici tra le generazioni (articolo 7, paragrafo 1, comma 3 e “Considerando” n. 7).

La necessità di una nuova disciplina discende anche dal fatto che l’attività transfrontaliera (che comunque non deve pregiudicare le norme nazionali in materia, ai sensi del “Considerando” n. 13) è stata limitata a causa dell'eterogeneità delle norme nazionali di diritto della sicurezza sociale e del lavoro e dall’esistenza di importanti barriere prudenziali che rendono più costosa per gli EPAP la gestione di schemi pensionistici su base transfrontaliera.

Le disposizioni prudenziali della Direttiva, quindi, sono intese (“Considerando” n. 17) sia a garantire un elevato livello di sicurezza per tutti i futuri pensionati, attraverso la prescrizione di norme prudenziali rigorose, sia a favorire una gestione sana, prudente ed efficiente degli schemi pensionistici aziendali e professionali. D’altronde, nell'ambito del principio della «persona prudente», la Direttiva prevede che gli Stati membri debbano consentire agli EPAP di tenere conto del potenziale impatto a lungo termine delle decisioni di investimento sui fattori ambientali, sociali e di governance (articolo 19, paragrafo 1, lettera b)). In ogni caso, la Direttiva mira a garantire il trasferimento dello schema pensionistico da un ente all’altro in ambito transfrontaliero all’interno della UE (“Considerando” n. 37), specificando le relative procedure di autorizzazione anche in relazione all’impresa promotrice (articolo 11).

Tenendo conto delle divergenze che esistono negli Stati Membri in ordine alla partecipazione dei lavoratori autonomi agli EPAP e della necessità di escludere gli enti che gestiscono sistemi di sicurezza sociale già coordinati a livello di Unione e quelli che operano in base al principio della capitalizzazione nell'ambito dei sistemi di sicurezza sociale obbligatori (“Considerando” nn. 21, 22 e 23), gli EPAP sono considerati enti pensionistici con un fine sociale che forniscono servizi finanziari (“Considerando” n. 32), e dato il loro numero elevato in alcuni Stati membri, si rende necessaria un’autorizzazione preventiva da parte dello Stato membro di origine nel caso in cui l’ente intenda gestire uno schema pensionistico in un altro Stato membro (“Considerando” n. 34).

 

Ambito soggettivo di applicazione

Rispetto alla Direttiva 2003/41/CE l’articolo 2 della Direttiva in esame non reca modifiche in relazione all’ambito di applicazione, mentre si precisa, per gli EPAP minori e per gli schemi pensionistici pubblici, che gli Stati membri applicano le regole sugli investimenti e sulla governance agli EPAP registrati o autorizzati nel loro territorio che gestiscono schemi pensionistici che contano congiuntamente più di 15 aderenti in totale.

Gli Stati membri possono decidere di applicare la disciplina sul campo di applicazione e sulla gestione degli investimenti agli enti che gestiscono schemi pensionistici aziendali e professionali stabiliti ai sensi del diritto nazionale e garantiti da una pubblica autorità (articolo 5).

La Direttiva reca inoltre alcune nuove definizioni (articolo 6):

§  EPAP trasferente: l'EPAP che trasferisce tutte o parte delle passività, delle riserve tecniche, delle altre obbligazioni e diritti, nonché le attività corrispondenti o il relativo equivalente in contanti di uno schema pensionistico a un EPAP registrato o autorizzato in un altro Stato membro;

§  EPAP ricevente: l'EPAP che riceve tutte o parte delle passività, delle riserve tecniche, delle altre obbligazioni e diritti nonché le attività corrispondenti o il relativo equivalente in contanti di uno schema pensionistico da un EPAP registrato o autorizzato in un altro Stato membro;

§  mercato regolamentato: un mercato regolamentato quale definito all'articolo 4, paragrafo 1, punto 21, della direttiva 2014/65/UE;

§  sistema multilaterale di negoziazione (MTF): un sistema multilaterale di negoziazione o MTF quale definito all'articolo 4, paragrafo 1, punto 22, della direttiva 2014/65/UE;

§  sistema organizzato di negoziazione (OTF): un sistema organizzato di negoziazione od OTF quale definito all'articolo 4, paragrafo 1, punto 23, della direttiva 2014/65/UE;

§  supporto durevole: uno strumento che permetta agli aderenti o ai beneficiari di conservare le informazioni a loro personalmente dirette in modo che possano essere accessibili per la futura consultazione e per un periodo di tempo adeguato ai fini cui sono destinate le informazioni, e che consenta la riproduzione senza modifiche delle informazioni conservate;

§  funzione fondamentale: nell'ambito di un sistema di governance, una capacità interna di svolgere compiti pratici, ivi comprese la funzione di gestione dei rischi, la funzione di audit interno e la funzione attuariale;

§  attività transfrontaliera: la gestione di uno schema pensionistico in cui il rapporto tra impresa promotrice e gli aderenti e i beneficiari è disciplinato dal diritto della sicurezza sociale e del lavoro pertinente in materia di schemi pensionistici aziendali o professionali di uno Stato membro diverso dallo Stato membro di origine.

 

Registrazione ed autorizzazione

Viene inoltre delineata una disciplina più articolata della registrazione o autorizzazione dell’ente (articolo 11) soprattutto in riferimento al trasferimento transfrontaliero, consentendo (articolo 12) agli Stati membri di far trasferire agli EPAP registrati o autorizzati nel proprio territorio tutte o parte delle passività, delle riserve tecniche e delle altre obbligazioni e diritti, nonché le attività corrispondenti o il relativo equivalente in contanti di uno schema pensionistico a un EPAP ricevente.

 

Gestione finanziaria ed investimenti

In materia di investimenti, gli EPAP possono investire in strumenti con orizzonte di investimento a lungo termine e non scambiati in mercati regolamentati, MTF o OTF; o in strumenti emessi o garantiti dalla BEI e forniti nel quadro del Fondo europeo per gli investimenti strategici, dei fondi di investimento europei a lungo termine, dei fondi europei per l'imprenditoria sociale e dei fondi europei per il venture capital (articolo 19, paragrafo 6, comma 2, lettere c) e d)).

Inoltre, si prevede, nel confermare la facoltà per gli EPAP di esternalizzare le loro attività e funzioni fondamentali, la garanzia (fornita dagli Stati membri) che gli stessi siano pienamente responsabili degli obblighi anche in seguito all’esternalizzazione (articolo 31).

 

Governance

Gli articoli da 20 a 30 definiscono la Governance degli EPAP, in maniera molto più articolata rispetto alle disposizioni presenti nella Direttiva 2003/41/CE.

In particolare, si stabilisce:

§  la responsabilità ultima dell’organo direttivo o di vigilanza dell’EPAP (articolo 20);

§  i requisiti generali relativi al sistema di Governance (proporzionati alla dimensione, alla natura, alla portata e alla complessità degli EPAP), stabilendo in particolare (articolo 21), l’obbligo di produrre politiche scritte in relazione alla gestione del rischio, l’elaborazione di piani di emergenza, l’obbligo di essere gestiti da almeno 2 persone;

§  i requisiti di competenza e onorabilità nella gestione (articolo 22), stabilendo un’apposita procedura per il riconoscimento dei richiamati requisiti, soprattutto in ordine alle prove documentali;

§  l’obbligo per gli EPAP di stabilire e applicare una sana politica di remunerazione a tutte le persone che effettivamente gestiscono l’EPAP secondo specifici principi, nonché rendendo note con regolarità le informazioni essenziali e pertinenti relative alle proprie politiche remunerative (articolo 23);

§  l’obbligo per gli EPAP di dotarsi degli strumenti per lo svolgimento di specifiche funzioni fondamentali (quali la gestione del rischio, l’audit interno e, ove applicabile, attuariale) (articoli 24, 26 e 27);

§  l’obbligo per gli EPAP di disporre di un efficace sistema di gestione dei rischi, proporzionato alla loro dimensione e organizzazione interna (articoli 25 e 28);

§  l’obbligo per gli EPAP di nominare uno o più depositari (“considerando” n. 62 e articolo 33) per la custodia dell’attività e dei compiti di vigilanza (articoli 34 e 35).

 

 

 

 

Informazioni

La Direttiva, inoltre, ridefinisce le informazioni da fornire agli aderenti (anche potenziali) e beneficiari da parte degli EPAP (“Considerando” nn. 4, 16 e 63, articoli da 36 a 44), individuando specifici obblighi, in particolare, l’obbligo di fornire le informazioni generali sullo schema pensionistico e ai soggetti interessati (articolo 37 e articoli 41-44), nonché l’obbligo di redazione di un prospetto delle prestazioni (articoli 38-40.

 

Vigilanza

Al fine di tutelare i diritti degli aderenti e dei beneficiari e per garantire la stabilità e solidità degli EPAP, la Direttiva, infine, amplia gli obiettivi di vigilanza prudenziale (articoli da 45 a 58), introducendo altresì specifiche disposizioni in ordine alla trasparenza e responsabilità nelle attività delle autorità competenti (articolo 51), al segreto professionale e all’utilizzo delle informazioni riservate (articoli 52 e 53)[38], allo scambio di informazioni tra autorità (articoli 55 e 58), alla trasmissione delle informazioni alle banche centrali, alle autorità monetarie, alle autorità europee di vigilanza e al Comitato europeo per il rischio sistemico (articolo 56), alla comunicazione di informazioni alle amministrazioni pubbliche responsabili della normativa finanziaria (articolo 57).

 



[1] Il disegno di legge europea 2017 (A.C. 4505) è stato presentato alla Camera dei deputati il 19 maggio 2017 ed è attualmente all'esame della XIV Commissione permanente.

[2] Per maggiori dettagli sui criteri generali di delega posti dall'articolo 32 della legge n. 234 del 2012, si rinvia alla scheda relativa all'articolo 1.

[3] Le informazioni fornite nella relazione illustrativa contengono dati aggiornati al 31 dicembre 2016. Con riguardo alle procedure d’infrazione ufficialmente aperte nei confronti dell’Italia, la relazione presenta altresì un aggiornamento alla data del 15 febbraio 2017. Quanto alle direttive europee, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea negli anni 2015 e 2016, da attuare con decreto ministeriale e non ancora attuate, sono forniti dati ulteriori, aggiornati al 21 aprile 2017.

[4] Il disegno di legge di delegazione europea relativo all'anno 2015 è stato approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 27 aprile 2016 (Atto Camera 3540).

[5] Il termine è stato esteso da due a quattro mesi dall’articolo 29 della legge n. 115 del 2015 (legge europea 2014).

[6] L'articolo 14 della legge n. 400/1988 ("Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri") contiene la disciplina di riferimento per i decreti legislativi. Questi sono emanati dal Presidente della Repubblica (comma 1) entro il termine fissato dalla legge di delegazione (comma 2). Se la delega legislativa si riferisce ad una pluralità di oggetti distinti suscettibili di separata disciplina, il Governo può esercitarla mediante più atti successivi per uno o più degli oggetti predetti; il Governo informa inoltre periodicamente le Camere sui criteri che segue nell'organizzazione dell'esercizio della delega (comma 3). Si evidenzia la norma di cui al comma 4, secondo il quale "qualora il termine previsto per l'esercizio della delega ecceda i due anni, il Governo è tenuto a richiedere il parere delle Camere sugli schemi dei decreti delegati. Il parere è espresso dalle Commissioni permanenti delle due Camere competenti per materia entro sessanta giorni, indicando specificamente le eventuali disposizioni non ritenute corrispondenti alle direttive della legge di delegazione. Il Governo, nei trenta giorni successivi, esaminato il parere, ritrasmette, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, i testi alle Commissioni per il parere definitivo che deve essere espresso entro trenta giorni".

[7] Esistono dunque diversi sistemi di protezione dei marchi. Come già sopra esposto, ed evidenziato dall’AIR del provvedimento in esame, i marchi nazionali, registrati dagli Uffici della proprietà intellettuale degli Stati membri (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi -UIBM, per l’Italia) sulla base di un sistema armonizzato a livello UE.

I marchi dell’Unione europea (già denominati marchi comunitari) che hanno effetto generale in tutti i paesi dell’Ue e sono disciplinati dal predetto Regolamento (CE) n. 207/2009, come modificato dal Regolamento (UE) n. 2424/2015. Il marchio UE non sostituisce i sistemi nazionali di marchio, ma fornisce un quadro giuridico parallelo e supplementare per ottenere la protezione del marchi nel territorio degli Stati membri dell’UE.

I marchi internazionali, amministrati dall’Organizzazione Internazionale della proprietà Intellettuale (OMPI), i quali conferiscono una protezione in diversi paesi attraverso la Convenzione di Madrid ed il relativo protocollo aggiuntivo. Come evidenzia l’AIR, questi marchi possono essere ottenuti con un unico procedimento (cfr. art. 17 e art. 151 del Codice della Proprietà industriale, D.Lgs. n. 30/2005); tuttavia, una volta registrati, i marchi non diventano un diritto di proprietà industriale unitario, ma diventano un fascio di marchi nazionali e/o dell’UE, a seconda della scelta del richiedente. Le domande internazionali di marchi hanno limitato valore aggiunto all’interno dell’UE e sono più vantaggiose per gli utenti che cercano la protezione del marchio in paesi fuori dell’UE e/o a livello mondiale.

[8]  Per ciò che concerne la decorrenza del periodo dei cinque anni, trascorsi i quali il non uso effettivo del marchio ne comporta la decadenza, la Direttiva interviene per uniformare il dies a quo del periodo in questione, prevedendo, all’articolo 16, che:

·         qualora uno Stato membro preveda una procedura di opposizione successiva alla registrazione, il termine di cinque anni decorre dalla data in cui il marchio non può più essere oggetto di opposizione o dalla data della decisione di chiusura definitiva della procedura di opposizione o di ritiro dell'opposizione;

·         per i marchi d'impresa oggetto di registrazione internazionale e con effetto nello Stato membro, il termine di cinque anni decorre dalla data in cui il marchio non può più essere escluso dalla registrazione o essere oggetto di opposizione. Ovvero, se è stata presentata un'opposizione, decorre dalla data in cui la decisione che chiude la procedura di opposizione è diventata definitiva o l'opposizione è stata ritirata.

La data di decorrenza del periodo di cinque anni deve essere iscritta nel Registro dei marchi.

[9] "Ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro è prevista per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli indicati dalla presente lettera. Nell'ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni indicate dalla presente lettera sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole ovvero alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste inoltre le sanzioni amministrative accessorie della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi, della privazione definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione, nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti dal codice penale. Al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere l'illecito amministrativo o il reato previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti dall'articolo 240, terzo e quarto comma, del codice penale e dall'articolo 20 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Entro i limiti di pena indicati nella presente lettera sono previste sanzioni anche accessorie identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi. Nelle materie di cui all'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni".

[10] Per un'analisi dettagliata si rinvia alla relativa scheda.

[11] Per l'attuazione si rinvia all'articolo 11 del disegno di legge.

[12] Articolo 32 (Principi e criteri direttivi generali di delega per l'attuazione del diritto dell'Unione europea) -1. Salvi gli specifici principi e criteri direttivi stabiliti dalla legge di delegazione europea e in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all'articolo 31 sono informati ai seguenti principi e criteri direttivi generali: ...omissis.. d) al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro è prevista per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli indicati dalla presente lettera. Nell'ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni indicate dalla presente lettera sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole ovvero alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste inoltre le sanzioni amministrative accessorie della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi, della privazione definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione, nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti dal codice penale. Al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere l'illecito amministrativo o il reato previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti dall'articolo 240, terzo e quarto comma, del codice penale e dall'articolo 20 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Entro i limiti di pena indicati nella presente lettera sono previste sanzioni anche accessorie identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi. Nelle materie di cui all'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni; ...omissis...

[13] Articolo 57 (Sanzioni) - Gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni adottate a norma della presente direttiva e adottano tutti i provvedimenti necessari per assicurarne l'applicazione. Le sanzioni previste devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.

[14] Articolo 640-ter (Frode informatica) - Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 51 euro a 1.032 euro. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da 309 euro a 1.549 euro se ricorre una delle circostanze previste dal numero 1) del secondo comma dell'articolo 640, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema. La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 600 a euro 3.000 se il fatto è commesso con furto o indebito utilizzo dell'identità digitale in danno di uno o più soggetti.Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo e terzo comma o un'altra circostanza aggravante.

[15] L'articolo 4 della direttiva attribuisce all'UIP il compito di: a) raccogliere i dati PNR presso i vettori aerei, conservare, trattare e trasferire tali dati o i risultati del loro trattamento alle autorità competenti;  b) scambiare sia i dati PNR che i risultati del trattamento di tali dati con le UIP degli altri Stati membri e con Europol.

 

[16] Si tratta della Comunicazione "L'anello mancante - piano d'azione dell'unione europea per l'economia circolare" (COM(2015) 614), della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2008/98 relativa ai rifiuti (COM(2015) 595), della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (COM(2015) 596), della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (COM(2015) 593) e della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti (COM(2015) 594). Per maggiori dettagli, su queste proposte e sul pacchetto nel suo insieme, si rinvia al Dossier, predisposto dal Servizio studi del Senato della Repubblica assieme all'Ufficio rapporti con l'Unione europea della Camera dei deputati, "Le proposte sull'economia circolare", gennaio 2016. Sul tema, si veda inoltre, più di recente, la Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni sull'attuazione del piano d'azione per l'economia circolare (COM (2017) 33 definitivo)  (Atto comunitario n. 317), attualmente all'esame della 13a Commissione ambiente e territorio del Senato, e il relativo Dossier europeo - n. 62/DE.

 

[17] Per ogni direttiva oggetto di modifica si riportano i link ipertestuali sia al testo antecedente alla modifica sia alla versione consolidata, che contiene quindi le modifiche apportate dalla direttiva (UE) 2015/1794.

[18] I comitati aziendali europei e le delegazioni speciali sono, ai sensi della direttiva 2009/38/CE, strumenti attraverso i quali "migliorare il diritto all'informazione e alla consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie" (articoli 1 e 5).

[19] Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE.

[20] La direttiva definisce "titolare del trattamento" l'autorità competente che, singolarmente o insieme ad altri, determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali; quando le finalità e i mezzi di tale trattamento sono determinati dal diritto dell'Unione o dello Stato membro, il titolare del trattamento o i criteri specifici applicabili alla sua nomina possono essere previsti dal diritto dell'Unione o dello Stato membro.

Viene definito "responsabile del trattamento" la persona fisica o giuridica, l'autorità pubblica, il servizio o altro organismo che tratta dati personali per conto del titolare del trattamento.

[21] Viene definito "volo extra-UE" un volo di linea o non di linea effettuato da un vettore aereo in provenienza da un Paese terzo e che deve atterrare nel territorio di uno Stato membro oppure in partenza dal territorio di uno Stato membro e che deve atterrare in un Paese terzo, compresi, in entrambi i casi, i voli con scali nel territorio di Stati membri o di Paesi terzi.

[22] Qualora il volo sia operato in code-sharing da uno o più vettori aerei, l'obbligo di trasferire i dati PNR di tutti i passeggeri del volo spetta al vettore aereo che opera il volo. Qualora un volo extra-UE faccia uno o più scali negli aeroporti degli Stati membri, i vettori aerei trasferiscono i dati PNR di tutti i passeggeri alle UIP di tutti gli Stati membri interessati. Lo stesso vale qualora un volo intra-UE faccia uno o più scali negli aeroporti di diversi Stati membri, ma solo in relazione agli Stati membri che raccolgono i dati PNR dei voli intra-UE.

[23] Per approfondimenti sulla proposta vd. la Scheda di valutazione n. 10/2011, a cura dell'Ufficio dei rapporti con le Istituzioni dell'Unione europea del Senato della Repubblica.

[24] In assenza di una valutazione individuale, è comunque possibile formulare un'imputazione purché ciò sia nell'interesse superiore del minore e la valutazione individuale sia in ogni caso disponibile all'inizio delle udienze del processo dinanzi a un giudice o tribunale.

[25] Per approfondimenti sulla proposta, vd. la Scheda di lettura n. 85, a cura dell'Ufficio dei rapporti con le Istituzioni dell'UE del Senato della Repubblica.

[26] L'articolo 3, par. 14, della direttiva 2011/16/UE fornisce una definizione dettagliata di "ruling preventivo transfrontaliero". In linea generale, il "ruling" (o interpello) consiste nella facoltà riconosciuta al contribuente di richiedere all’amministrazione finanziaria una valutazione sulla disciplina tributaria applicabile, concretamente, ad un fatto, atto o negozio che lo riguarda, al fine di conoscerne, a priori, il giudizio ed evitare, a posteriori, le conseguenze sfavorevoli derivanti da un comportamento rischioso. Di per sé gli interpelli sono perfettamente legali: vengono emanati principalmente per fornire certezza giuridica e in linea di principio non sono problematici. Tuttavia, quando sono utilizzati per offrire vantaggi fiscali selettivi o per trasferire artificiosamente gli utili in luoghi in cui l'imposizione è bassa o inesistente, essi falsano la concorrenza ed erodono le basi imponibili degli Stati membri.

[27] Per la definizione di "accordo preventivo sui prezzi" si rinvia all'articolo 3, par. 15, della direttiva 2011/16/UE. In termini generali, consiste in un accordo che fissa, prima della realizzazione delle transazioni tra imprese associate, un insieme appropriato di criteri (riguardanti, per esempio, il metodo di calcolo, gli elementi comparabili, le rettifiche appropriate da apportare, le ipotesi di base riguardanti gli sviluppi futuri) per la determinazione dei prezzi di trasferimento applicati a quelle transazioni nel corso di un determinato periodo di tempo. Si vuole così evitare che le società sussidiarie di un gruppo siano considerate come compagnie indipendenti e le loro transazioni organizzate in modo tale da attribuire reddito a paesi a bassa tassazione, gonfiando arbitrariamente i prezzi di beni e servizi.

[28] Ai sensi del citato art. 2598 cc. compie atti di concorrenza sleale chiunque: usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente; diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente; si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda.

 

[29] Direttiva 2005/62/CE della Commissione del 30 settembre 2005 recante applicazione della direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le norme e le specifiche comunitarie relative ad un sistema di qualità per i servizi trasfusionali.

[30] Questo documento disciplina nel dettaglio, oltre ad alcuni principi generali (che regolano tra l'altro il sistema di qualità e le buone prassi, capitolo 1), anche il personale e l'organizzazione (capitolo 2); i locali (capitolo 3); l'equipaggiamento ed i materiali (capitolo 4); la documentazione (capitolo 5); la raccolta del sangue, le analisi e l'elaborazione (capitolo 6); la conservazione e la distribuzione (capitolo 7); la gestione delle attività esternalizzate (capitolo 8); la non conformità ed il richiamo (capitolo 9); l'autoispezione, l'audit ed i miglioramenti (capitolo 10); i monitoraggi di qualità ed il  controllo (capitolo 11).

[31] Per i principi ed orientamenti delle buone prassi di fabbricazione dei medicinali, la novella rimanda all'art. 47 della direttiva 2001/83/CE.

[32] Direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 gennaio 2003 che stabilisce norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti e che modifica la direttiva 2001/83/CE.

[33] Il Protocollo relativo alla riduzione dell'acidificazione, dell'eutrofizzazione e dell'ozono troposferico. Il Protocollo di Göteborg è uno dei tanti protocolli annessi alla Convenzione del 1979 sull'inquinamento atmosferico transfrontaliero a grande distanza (CLRTAP) a cui hanno aderito i 51 paesi della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite (UNECE), compresi gli Stati membri dell'Ue, il Canada, gli Stati Uniti e vari paesi dell'Asia centrale.

[34] Si veda al riguardo la Scheda di lettura predisposta dall'Ufficio dei Rapporti con l'Unione europea del Senato della Repubblica.

[35] Nel nostro ordinamento la materia è disciplinata dal D.Lgs. 28/2007, emanato in attuazione della delega di cui all’articolo 69-bis della L. 69/2005 (legge comunitaria per il 2005), volto a recepire la direttiva 2003/41/CE, il quale, tra gli altri, ha apportato alcune modifiche al D.Lgs. 252/2005, soprattutto per quanto attiene alle modalità gestionali dei fondi pensione.

[36] In particolare la Direttiva 2003/41/CE è stata modificata ed integrata dalle Direttive 2009/138/CE, 2010/78/UE, 2011/61/UE e 2013/14/UE

[37] L’istituto della rifusione legislativa comporta, in sostanza, un nuovo atto che integra in un unico testo le disposizioni dell’atto iniziale, le modificazioni successive subite dal medesimo e le nuove modificazioni sostanziali intervenute, sostituendosi all’atto (o agli atti) esistente.

[38] Tali disposizioni lasciano comunque impregiudicato il diritto d’inchiesta del Parlamento europeo ai sensi dell’articolo 226 del trattato sul funzionamento della UE /articolo 54).