Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari | ||
Titolo: | Legge europea 2017 - A.C. 4505 - Schede di lettura | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 580 | ||
Data: | 30/05/2017 |
Servizio
Studi
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Dossier n. 498
Servizio
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Progetti di legge n.
580
Ufficio Rapporti con l’Unione Europea
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ID0028
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INDICE
§ Articolo 5 (Disposizioni
in materia di rimborsi IVA. Procedura di infrazione n. 2013/4080)
§ Articolo 12 (Modificazioni alla legge 24 dicembre 2012,
n. 234)
§ Articolo 14 (Clausola di invarianza finanziaria)
Il disegno di legge C. 4505 recante "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2017", è stato presentato alla Camera dei deputati il 19 maggio 2017, in base alle disposizioni di cui alla legge 24 dicembre 2012, n. 234 sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea.
La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, convocata in sessione europea nella seduta del 6 aprile 2017, ha espresso il proprio parere favorevole sul testo, senza formulare osservazioni.
La
legge europea
La legge europea è - assieme alla legge di delegazione europea - uno dei due strumenti predisposti dalla legge n. 234 del 2012 al fine di adeguare periodicamente l'ordinamento nazionale a quello dell'Unione europea.
L'articolo 29, comma 5, della legge vincola il Governo alla presentazione alle Camere, su base annuale, di un disegno di legge dal titolo "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea", completato dall'indicazione "Legge europea" seguita dall'anno di riferimento.
Non è stabilito un termine preciso per la presentazione del disegno di legge europea. Al contrario l'articolo 29, comma 4, prevede che il disegno di legge di delegazione europea sia presentato entro il 28 febbraio di ogni anno.
L'articolo 30, comma 3, dettaglia come segue il contenuto della legge europea:
a) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea;
b) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea;
c) disposizioni necessarie per dare attuazione a, o per assicurare l'applicazione di, atti dell'Unione europea;
d) disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea;
e) disposizioni emanate nell'esercizio del potere sostitutivo esercitabile ex articolo 117, comma 5, della Costituzione per l'attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea al livello regionale e delle province autonome di Trento e Bolzano in caso di inadempienza degli enti competenti. Peraltro l'articolo 41 detta principi e limiti cui è sottoposto tale potere sostitutivo.
Vengono, dunque, inserite nel disegno di legge europea, in linea generale, norme volte a prevenire l'apertura, o a consentire la chiusura, di procedure di infrazione, nonché, in base ad una interpretazione estensiva del disposto legislativo, anche norme volte a permettere l'archiviazione dei casi di pre-contenzioso EU-Pilot (su cui infra).
La legge di delegazione europea contiene invece disposizioni per il conferimento al Governo di deleghe legislative per il recepimento degli atti dell'Unione europea (ad esempio direttive o decisioni quadro) che richiedono trasposizione negli ordinamenti nazionali (articolo 30, comma 2).
Sugli schemi di disegno di legge europea e di delegazione europea è previsto, ai sensi dell'articolo 29, comma 6, il parere della Conferenza Stato-regioni. La presentazione alle Camere ha luogo comunque ove il parere medesimo non sia adottato entro venti giorni dalla richiesta.
Da ultimo, si evidenzia che la legge europea e la legge di delegazione europea non sono gli unici strumenti per assicurare l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'UE. L'articolo 37 della legge n. 234 del 2012 specifica, infatti, che "il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari europei può proporre al Consiglio dei ministri l'adozione dei provvedimenti, anche urgenti, diversi dalla legge di delegazione europea e dalla legge europea, necessari a fronte di atti normativi dell'Unione europea o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea ovvero dell'avvio di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia che comportano obblighi statali di adeguamento, qualora il termine per provvedervi risulti anteriore alla data presunta di entrata in vigore della legge di delegazione europea o della legge europea relativa all'anno di riferimento". Qualora si rilevi necessario ricorrere a tali ulteriori provvedimenti, "il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento assume le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare" (art. 37, comma 2). Infine, l'articolo 38 della legge n. 234 del 2012, rubricato “Attuazione di singoli atti normativi dell'Unione europea”, prevede che "in casi di particolare importanza politica, economica e sociale, tenuto conto anche di eventuali atti parlamentari di indirizzo, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, presenta alle Camere un apposito disegno di legge recante le disposizioni occorrenti per dare attuazione o assicurare l'applicazione di un atto normativo emanato dagli organi dell'Unione europea riguardante le materie di competenza legislativa statale"
Il disegno di legge europea 2017 contiene 14 articoli (suddivisi in 7 capi) che modificano o integrano disposizioni vigenti dell’ordinamento nazionale per adeguarne i contenuti al diritto europeo.
Il provvedimento è volto a consentire la definizione di 3 procedure di infrazione e di 3 casi EU-Pilot, a superare una delle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell’ambito di 1 caso EU-Pilot, a garantire la corretta attuazione di due direttive già recepite nell’ordinamento interno, nonché ad apportare alcune modifiche alla legge n. 234 del 2012.
L’articolato si compone di disposizioni aventi natura eterogenea che intervengono nei seguenti settori:
Come ricordato, alcune disposizioni contenute nel disegno di legge europea sono volte alla chiusura di procedure di infrazione.
In particolare, l’articolo 4 introduce una disciplina transitoria del fondo per l'indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti (procedura di infrazione 2011/4147), che estende la possibilità di accedere al fondo a chiunque sia stato vittima di un reato intenzionale violento commesso successivamente al 30 giugno 2005, per completare l’adeguamento della normativa nazionale alla direttiva 2004/80/CE.
In materia fiscale, l’articolo 5 modifica la disciplina dei rimborsi IVA (procedura di infrazione 2013/4080), riconoscendo una somma (pari allo 0,15% dell'importo garantito per ogni anno di durata della garanzia) a titolo di ristoro forfettario dei costi sostenuti dai soggetti passivi che prestano garanzia a favore dello Stato in relazione a richieste di rimborso dell'IVA. La disposizione si applica a partire dalla dichiarazione annuale dell'IVA relativa all'anno 2017 e dalle istanze di rimborso infrannuale inerenti al primo trimestre 2018.
Inoltre, l’articolo 9 interviene sulla disciplina relativa alla sicurezza dei prodotti alimentari a base di caseine e i caseinati, di cui alla direttiva 2015/2203/UE (procedura di infrazione 2017/0129), prevedendo nuove definizioni e fissando le indicazioni obbligatorie che i prodotti, aventi ad oggetto caseine e caseinati, devono riportare su imballaggi, recipienti, etichette o documenti commerciali.
Altre disposizioni sono finalizzate a superare le contestazioni mosse all’Italia nell’ambito di casi EU-Pilot per prevenire l’avvio di nuove procedure di contenzioso.
Più precisamente, l’articolo 3 integra le disposizioni penali contro particolari forme ed espressioni di razzismo e xenofobia - negazionismo (EU-Pilot 8184/15/JUST) punendo espressamente le condotte di minimizzazione, approvazione o giustificazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra. Per dare completa attuazione alla decisione quadro 2008/913/GAI, inoltre, viene introdotta la responsabilità amministrativa anche per le società e gli enti in relazione a tali fattispecie criminose e, in generale, ai reati di razzismo e xenofobia.
Per quanto concerne le navi (EU-Pilot 7060/14/TAXU), l’articolo 7 estende il vigente regime fiscale agevolato relativo ai soggetti esercenti navi iscritte al Registro Internazionale Italiano (RII), anche nei confronti di soggetti residenti e non, con stabile organizzazione in Italia che utilizzano navi iscritte in Registri di Paesi UE o SEE.
L’articolo 8 prevede disposizioni relative al trattamento economico degli ex lettori di lingua straniera in servizio presso le Università statali (EU-Pilot 2079/11/EMPL). Sono altresì stanziate risorse aggiuntive sul Fondo per il finanziamento ordinario delle università statali da destinare alla chiusura dei contenziosi in essere, nonché per prevenire quelli futuri, in attuazione delle sentenze della Corte di Giustizia UE del 26 giugno 2001 (C-212/99) e del 18 luglio 2006 (C-119/04), che stabiliscono il diritto dei lettori al trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito commisurato all'impegno orario assolto.
Al fine di sanare una delle contestazioni avanzate nel caso EU-Pilot 7304/15/ENVI relativo alla tutela delle acque e monitoraggio delle sostanze chimiche, l’articolo 10 stabilisce specifiche tecniche per l'analisi chimica e il monitoraggio dello stato delle acque, in modo da assicurare l'intercomparabilità dei dati di monitoraggio delle sostanze chimiche e, di conseguenza, dello stato ecologico e chimico dei corpi idrici superficiali.
Inoltre, il disegno di legge europea 2017 contiene disposizioni che mirano a fornire una completa o corretta attuazione di direttive che sono già state oggetto di recepimento nell’ordinamento nazionale, o a consentire il conseguimento degli obiettivi fissati dalle medesime.
Per completare l’adeguamento alla direttiva 98/5/CE, l’articolo 1 dispone, per l'iscrizione degli "avvocati stabiliti" nell'albo speciale dei patrocinanti innanzi alle giurisdizioni superiori, l'esercizio della professione per almeno 8 anni in uno o più Stati membri, con l'aggiunta dell'ulteriore requisito della proficua frequenza alla Scuola superiore dell'avvocatura.
All’articolo 2 si introducono
misure in materia di tracciabilità dei
farmaci veterinari, al fine di agevolare il conseguimento degli obiettivi della direttiva 2001/82/CE,
quali: l'informatizzazione dei meccanismi di registrazione dei dati di produzione,
commercializzazione e distribuzione all'interno della Banca dati del Ministero
della salute e la sostituzione del modello cartaceo di ricetta con un modello
informatizzato.
L’articolo 6 modifica il regime di non imponibilità ai fini IVA delle cessioni all'esportazione effettuate nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo iscritti nell'apposito elenco che provvedono al trasporto ed alla spedizione dei beni all'estero in attuazione di finalità umanitarie, comprese quelle dirette a realizzare programmi di cooperazione allo sviluppo. Tale norma mira a garantire l’attuazione della direttiva 2006/112/CE.
Infine, per dare corretta attuazione alla direttiva 91/271/CEE in materia di acque reflue urbane, l’articolo 11 modifica la tabella dei limiti di emissione degli scarichi idrici, con l'effetto di estendere i controlli sulla qualità degli scarichi alla totalità degli impianti di depurazione al servizio degli agglomerati superiori a 10 mila abitanti equivalenti.
Completano il disegno di legge in esame gli articoli 12, 13, e 14, aventi ad oggetto, rispettivamente:
- modifiche alla legge n. 234 del 2012 sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, con specifico riguardo alla informativa parlamentare sugli atti delegati adottati dalla Commissione europea (art. 29, comma 7) e al recepimento degli atti delegati a contenuto tecnico mediante decreto ministeriale (art. 31, comma 6);
- il trattamento economico del personale estraneo alla pubblica amministrazione che partecipa ad iniziative e missioni del Servizio europeo di azione esterna (SEAE), tenuto conto del nuovo regime normativo di partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali introdotto dalla legge n. 145 del 2016;
- la clausola di invarianza finanziaria del provvedimento, fatte salve le disposizioni riguardanti la disciplina transitoria del fondo indennizzo vittime di reato (art. 4), le agevolazioni fiscali per le navi iscritte nei Registri di Paesi UE o SEE (art. 7) ed il trattamento economico degli ex lettori di madrelingua straniera (art. 8).
Le procedure di infrazione
Le procedure di infrazione
sono disciplinate dagli articoli 258-260 del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea (TFUE).
L'articolo 258 disciplina le
fattispecie in cui la Commissione europea, incaricata dall'articolo 17 del
Trattato sull'Unione europea di vigilare sull'applicazione del diritto
dell'Unione, ritenga che vi sia stata
una violazione del diritto UE ad opera di uno Stato membro.
La procedura prevede
preliminarmente una fase pre-contenziosa, durante la quale la Commissione
indirizza allo Stato membro interessato:
1) una lettera di messa in
mora, atto di apertura formale della procedura di infrazione. La Direzione
generale competente in materia vi identifica la violazione contestata e pone un
termine entro il quale lo Stato può comunicare osservazioni ed argomentazioni
di risposta;
2) un parere motivato, nel caso
in cui non pervenga alcuna risposta o quest'ultima sia considerata
insoddisfacente. Nel parere si constata la sussistenza della violazione e si invita
lo Stato, entro un termine preciso, ad adottare le misure necessarie.
Nel caso in cui lo Stato non
si conformi al parere della Commissione può aprirsi la fase contenziosa vera e
propria (articolo 258, par. 2), che ha luogo di fronte alla Corte di giustizia.
In caso di accertamento, con sentenza, che effettivamente vi è stata
un'infrazione del diritto dell'Unione, lo Stato membro interessato dovrà
prendere tutti i provvedimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza.
Qualora ciò non avvenga, la Commissione ha la facoltà di adire nuovamente la
Corte di giustizia, chiedendo l'applicazione di una sanzione pecuniaria
(articolo 260, paragrafo 2).
Si segnala inoltre che dall'aprile 2008 è attivo "EU-Pilot", un sistema di comunicazione tra Commissione europea
e Stati membri - basato su un sito Internet - che permette la condivisione
informale di informazioni e fornisce agli Stati membri la possibilità di
risolvere eventuali infrazioni senza ricorrere alla procedura formale di
contestazione prevista dai Trattati.
Qualora la Commissione europea - di propria iniziativa
o su segnalazione esterna - ritenga opportuno verificare che il diritto dell'Unione
sia applicato in maniera corretta, può inviare una richiesta alle autorità
nazionali dello Stato interessato attraverso EU-Pilot. Lo Stato membro dispone
di un periodo di dieci settimane per rispondere e la Commissione, dal canto
suo, effettua una valutazione nelle dieci settimane successive. Nel caso in cui
la risposta ricevuta non sia considerata soddisfacente, la Commissione ha
facoltà di dare inizio alle procedure di infrazione regolate dai Trattati.
Statistiche della Commissione europea, aggiornate all’anno
2015, confermano un tasso di risoluzione dei casi EU-Pilot - in termini di casi
chiusi a seguito di risposte soddisfacenti dei Governi nazionali - pari al 75
per cento.
Articolo 1
(Disposizioni in materia di avvocati stabiliti. Completo adeguamento alla
direttiva 98/5/CE)
L’articolo 1 modifica la disciplina per l’accesso degli avvocati stabiliti al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori riallineandola a quella dettata dalla legge professionale forense per gli avvocati che abbiano conseguito il titolo in Italia.
L’intervento adegua la normativa nazionale alla direttiva 98/5/CE, sul diritto di stabilimento degli avvocati europei in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale (cd. avvocati stabiliti). La direttiva, per assicurare il buon funzionamento della giustizia, prevede la possibilità di stabilire specifiche disposizioni per l’accesso alle Corti supreme, quali il ricorso ad avvocati specializzati (art. 5, par. 3).
E’ “avvocato stabilito” il cittadino di uno degli Stati membri dell'Unione europea che esercita stabilmente in Italia la professione di avvocato con il titolo professionale di origine e che è iscritto nella sezione speciale dell'albo degli avvocati (art. 3, comma 1, lettera d), del D.lgs. 96/2001).
Si ricorda che il riconoscimento del titolo di avvocato, così come di altri titoli professionali conseguiti nella UE, per l'esercizio della professione in Italia, è previsto dal decreto legislativo n. 206 del 2007, che ha attuato la cd. direttiva qualifiche 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. L’art. 22, comma 2, del citato decreto stabilisce che il riconoscimento della professione forense è subordinato al superamento di una prova attitudinale, la cui disciplina è recata dal relativo regolamento di attuazione (DM n. 191/2003), previsto all'art. 9 del D.Lgs. 115/1992, attuativo della precedente direttiva (ora sostituito dal D.Lgs. n. 206/2007).
In particolare, l’articolo 1 riformula il comma 2 dell’art. 9 del D.Lgs. n. 96 del
2001, di recepimento della direttiva europea del 98/5/CE,
che attualmente stabilisce che
l'avvocato stabilito che voglia iscriversi nella sezione speciale dell'albo dei
cassazionisti (ferma restando l'intesa con un avvocato abilitato ad esercitare
davanti a dette giurisdizioni) deve farne domanda al Consiglio Nazionale Forense
(CNF) dimostrando di aver esercitato la
professione nell’Unione europea per almeno 12 anni, compresi quelli
eventualmente già esercitati come avvocato stabilito.
Con le modifiche introdotte, la disciplina per l’accesso al patrocinio presso le giurisdizioni superiori da parte degli avvocati stabiliti è uniformata a quella dettata dall’art. 22, comma 2, della legge professionale forense (L. n. 247 del 2012) per gli avvocati abilitati in Italia.
Si ricorda che l’art. 22, comma 2, della legge 247/2012 individua solo uno
dei due canali di accesso al patrocinio per le giurisdizioni superiori. Il
comma 1 dello stesso articolo prevede che l’avvocato con anzianità di almeno 5
anni d’iscrizione all’albo circondariale forense che abbia superato l'apposito
esame annuale per l'iscrizione all'albo speciale per le giurisdizioni superiori
(disciplinato dalla legge n. 1003 del 1936 e dalle sue norme di attuazione,
R.D. n. 1482 del 1936) può chiedere al CNF l’iscrizione nell'albo speciale.
L’articolo 1, comma 1 del disegno di legge europea:
· riduce da 12 a 8 anni il periodo minimo di esercizio della professione forense in ambito UE da parte dell’avvocato stabilito ai fini dell’iscrizione nella sezione speciale dell’albo per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori;
· aggiunge, agli stessi fini, l’obbligo della lodevole e proficua frequenza della Scuola superiore dell’avvocatura;
Si
osserva come la sussistenza dell’ulteriore requisito della frequentazione
lodevole e proficua della Scuola superiore dell’avvocatura sembra derivare dal
semplice superamento della verifica finale di idoneità prevista al termine del
corso presso la Scuola (cfr. ultra, Regolamento n. 1/2015 del Consiglio
nazionale forense). Detto regolamento non prevede, infatti, specifiche
valutazioni di merito inerenti alla prova finale.
· sopprime la disposizione secondo cui alle deliberazioni del Consiglio nazionale forense in materia di iscrizione e cancellazione dalla sezione speciale dell'albo si applica la disposizione di cui all'art. 35 del RDL n. 1578 del 1933, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 36 del 1934, e successive modificazioni.
Quest’ultima
disposizione del RDL del 1933, come integrata dall’art. 7 del D.Lgs.C.P.S. n.
597/1947, prevede: l’obbligo di motivazione delle deliberazioni in materia di
iscrizione e cancellazione dall'albo speciale dei cassazionisti; la
comunicazione di tali deliberazioni all'interessato ed al
Pubblico Ministero presso la Corte suprema di cassazione con lettera
raccomandata A/R.; la possibilità dell’interessato e del P.M. di proporre
ricorso entro 30 gg. dalla comunicazione al CNF.
Il Regolamento
C.N.F 20 novembre 2015, n. 1 stabilisce che l’iscrizione nell’Albo speciale
per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori può essere richiesta al
CNF dagli avvocati che, avendo maturato una anzianità di iscrizione all’albo di
otto anni, successivamente abbiano lodevolmente e proficuamente frequentato il
corso organizzato a Roma dal Consiglio Nazionale Forense, per il
tramite della Fondazione Scuola Superiore dell’Avvocatura, sezione “Scuola
Superiore dell’Avvocatura per Cassazionisti”. Il regolamento prevede un test
selettivo di accesso, superato il quale si accede al corso trimestrale di 100
ore (in ragione, di regola, di 10 ore a settimana) avente ad oggetto diritto
processuale civile, diritto processuale penale, giustizia amministrativa,
giustizia costituzionale ed orientamenti recenti delle giurisdizioni superiori.
Il corso si articola in un modulo comune (20 ore) ed
in un modulo specialistico (80 ore) a scelta, al termine del quale si svolge la
verifica
finale di idoneità, che ha luogo in Roma, a cadenza annuale. La
verifica si articola in una sola prova scritta, consistente nella scelta tra la
redazione di un ricorso per cassazione in materia penale o civile o un atto di
appello al Consiglio di Stato. La prova è valutata da una Commissione composta
da 15 componenti effettivi e 15 supplenti, scelti tra membri del CNF, avvocati
iscritti all’Albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni
superiori, professori universitari di ruolo in materie giuridiche e magistrati
addetti alla Corte di cassazione o magistrati del Consiglio di Stato. Nella valutazione della prova, la
Commissione tiene conto della maturità del candidato, dell’apprendimento delle
materie oggetto del corso, oltre che dell’effettiva padronanza delle tecniche
di redazione degli atti di patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.
Il comma 2 dell’articolo 1 in esame detta, poi, una disciplina transitoria secondo cui – alla data di entrata in vigore della legge europea - conservano l’iscrizione nella sezione speciale gli avvocati stabiliti già iscritti, mentre possono chiederla quelli che, alla stessa data, ne abbiano maturato i requisiti.
Anche qui si tratta di un riallineamento all’analoga disciplina transitoria prevista dall’art. 22, comma 3, della legge professionale forense.
Quest’ultima disposizione ha stabilito, infatti, che gli avvocati che, alla data di entrata in vigore della legge, fossero iscritti nell'albo dei patrocinanti davanti alle giurisdizioni superiori conservassero l'iscrizione. Allo stesso modo potevano chiedere l'iscrizione coloro che alla data di entrata in vigore della presente legge avessero maturato i requisiti per detta iscrizione secondo la previgente normativa.
Tale possibilità è stata più volte prorogata; da ultimo, l’art. 10, comma 2-ter del DL 244 del 2016 (Proroga e definizione di termini) – modificando il citato art. 22 della legge 247/2012 – ha previsto che possono altresì chiedere l'iscrizione nell'albo dei patrocinanti davanti alle giurisdizioni superiori gli avvocati che maturino i requisiti secondo la previgente normativa entro 5 anni dalla data di entrata in vigore della legge (cioè entro il 2 febbraio 2018).
Articolo 2
(Disposizioni in materia di tracciabilità
dei medicinali veterinari per il conseguimento degli obiettivi della direttiva
2001/82/CE)
L’articolo 2
introduce una disciplina riguardante la tracciabilità dei farmaci veterinari,
novellando gli articoli 89 e 118 del codice
dei medicinali veterinari, di cui al d. lgs. n. 193 del 2006 (attuativo della direttiva 2004/28/CE, che modifica la direttiva 2001/82/CE).
Più in dettaglio:
· la lettera a) aggiunge due commi all’articolo 89:
- il comma 2-bis prevede l’obbligo da parte di alcuni soggetti interessati (produttori, depositari, grossisti, farmacisti, titolari di autorizzazioni all’immissione in commercio - vendita diretta o al dettaglio - dei medicinali ad uso veterinario, e i medici veterinari a seguito di prescrizione degli stessi medicinali) di registrare informaticamente specifici dati di produzione, distribuzione e commercializzazione, mediante inserimento dei medesimi nella banca dati centrale istituita dal DM salute del 15 luglio 2004 (il quale esclude espressamente la tracciatura per i farmaci ad uso veterinario). Si tratta dei dati relativi all’inizio attività di vendita, ad ogni sua variazione intervenuta successivamente all’immissione in commercio e alla sua cessazione, nonché dei dati relativi alla produzione e commercializzazione dei medicinali veterinari. In tal modo, mediante la registrazione in banca dati - finora conservati su supporto cartaceo -, si potranno monitorare le confezioni dei medicinali all’interno del sistema distributivo, secondo le modalità di immissione definite con decreto del Ministro della salute;
Con riferimento al decreto di attuazione, si
segnala che non viene definito un termine per ultimarne l’emanazione.
- il comma 2-ter stabilisce la clausola di invarianza degli oneri per la finanza pubblica recati dal precedente comma, per l’attività di tenuta ed aggiornamento della banca dati.
Come indicato anche nella relazione illustrava, il sistema
informatizzato di registrazione dei dati relativi alla produzione,
commercializzazione e distribuzione dei medicinali veterinari agevola il
conseguimento degli obiettivi di tutela
della salute pubblica già previsti dal codice
comunitario dei medicinali veterinari (Direttiva 2001/82/CE)[1].
In proposito si sottolinea che
la tracciabilità dei dati riguardanti i medicinali ad uso veterinario verrà
garantita attraverso l’ampliamento della banca dati istituita per la
tracciabilità del farmaco ad uso umano, già funzionante presso il Ministero
della salute[2]. Questa banca dati comprenderà pertanto anche il settore dedicato alla
raccolta dei dati relativi ai medicinali veterinari, alimentato finora su base
volontaria. Peraltro, all’interno del documento “Agenda per la Semplificazione 2015-2017” elaborato dal Governo, nell’ambito delle misure di semplificazione
delle imprese, si rileva l’azione mirata
5.11. in materia, per quanto
qui interessa, di sanità veterinaria
(da realizzare entro dicembre 2017),
che prevede, tra l’altro, l’eliminazione dell’obbligo del passaporto bovino e per
l’appunto, tramite la digitalizzazione, la tracciabilità dei medicinali
veterinari.
· la lettera b) aggiunge il comma 1-bis all’articolo 118, indicando la data del 1° gennaio 2018 quale termine a partire dal quale la prescrizione di medicinali ad uso veterinario deve avvenire obbligatoriamente mediante ricetta elettronica. Anteriormente a tale data, viene data la semplice facoltà, in alternativa all’utilizzo del modello previsto in base alla normativa vigente, nel caso di prescrizione a carattere obbligatorio.
Il modello di ricetta medico
veterinaria ed i casi in cui tale modello è obbligatorio sono stabiliti
nell'allegato III del sopra citato D.Lgs 193 del 2006, suscettibile di essere
modificato per assicurarne la compatibilità comunitaria.
Si segnala che il progetto
“ricetta elettronica veterinaria” rientra nella realizzazione dell’obiettivo
strategico, definito dalla Direttiva generale per l’attività amministrativa e la gestione – 2015, finalizzato al risanamento finanziario e al contenimento della spesa
pubblica, da realizzarsi, in particolare, tramite il potenziamento degli
strumenti informatizzati (cruscotti) per l'analisi dei dati del sistema tessera
sanitaria[3] attraverso il monitoraggio delle prescrizioni effettuate dai medici
rispetto alle prestazioni erogate, anche in base agli esiti dell'avvio del
processo di dematerializzazione della ricetta medica[4].
Inoltre, in base a
informazioni dell’Associazione nazionale medici veterinari italiani (ANMVI), si
rileva l’avvio di una fase sperimentale dal settembre del 2015, da parte di un
gruppo di lavoro coordinato dalle Regioni Lombardia e Abruzzo[5], in collaborazione con il Centro Sistemi Informativi dell'Istituto
zooprofilattico sperimentale (IZS) di Teramo e la Direzione Generale della
Sanità Animale e dei Farmaci Veterinari.
Non trascurabile è, infine,
la considerazione che l’interoperabilità della predetta banca dati con il nuovo
sistema informativo sanitario (NSIS), potrebbe assicurare un più efficace
sistema di farmacosorveglianza ed un quadro più preciso del consumo di
antibiotici finalizzato al contrasto del fenomeno dell’antibioticoresistenza
animale.
La Commissione europea ha presentato, il 10 settembre 2014, la proposta di regolamento relativo ai medicinali veterinari (COM(2014) 558) che è volta ad abrogare e sostituire la direttiva 2001/82 recante il codice relativo ai medicinali veterinari.
La proposta intende istituire, tutelando nel contempo la sanità pubblica e animale, la sicurezza alimentare e l'ambiente, un corpus legislativo aggiornato e proporzionato, adeguato alle specificità del settore veterinario, in particolare al fine di:
• aumentare la disponibilità dei medicinali veterinari;
• ridurre gli oneri amministrativi;
• stimolare la competitività e l'innovazione;
• migliorare il funzionamento del mercato interno;
• affrontare il rischio per la sanità pubblica rappresentato dalla resistenza agli antimicrobici (AMR - Antimicrobial Resistance).
Nello specifico, la proposta di regolamento contiene disposizioni concernenti: l’autorizzazione all’immissione in commercio; i medicinali veterinari omeopatici; la fabbricazione, l’importazione e l’esportazione; la fornitura e l’impiego; i controlli; le restrizioni e le sanzioni; la rete di regolamentazione.
La proposta prevede, in particolare, una rete europea operativa tra le autorità competenti degli Stati membri, l’Agenzia europea per i medicinali e la Commissione europea volta a garantire che:
• i medicinali veterinari siano disponibili sul mercato dell'Unione;
• essi siano valutati adeguatamente prima di essere autorizzati per l'impiego;
• la loro sicurezza ed efficacia siano monitorate costantemente.
Oltre all’istituzione di una singola banca dati per tutti i medicinali veterinari autorizzati nell'Unione,
nella quale le autorità competenti dovranno caricare i dati relativi alle
autorizzazioni nazionali all'immissione in commercio, la proposta prevede anche
un sistema di registrazione e
segnalazione dell'impiego di antimicrobici.
All’interno dell’Agenzia europea per i medicinali è
istituito un Comitato per i medicinali
veterinari che, a sua volta, potrà costituire gruppi di lavoro permanenti –
come quello incaricato di fornire consulenze scientifiche alle imprese – e
temporanei.
Per dare agli interessati il tempo sufficiente per
adeguarsi alla nuova normativa, la proposta dispone che il futuro regolamento si applicherà a decorrere da due anni dalla sua
pubblicazione.
La proposta di regolamento è al momento all’esame del Consiglio dell’UE. Il Parlamento europeo si è espresso in prima lettura, nell’ambito della procedura legislativa ordinaria, adottando emendamenti alla proposta, con la risoluzione del 10 marzo 2016.
Articolo 3
(Disposizioni per la completa attuazione della decisione quadro 2008/913/GAI sulla
lotta contro talune forme ed espressione di razzismo e xenofobia mediante il
diritto penale – Caso EU-Pilot 8184/15/JUST)
L’articolo
3 modifica la legge n. 654 del 1975 (di
ratifica ed esecuzione della Convenzione
internazionale di New York del 1966 sull'eliminazione di tutte le forme di
discriminazione razziale) e il decreto legislativo n. 231 del 2001 (sulla responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche).
Secondo il Governo, l’intervento consente di
sanare il caso EU-Pilot 8184/15/Just,
attuando i contenuti della decisione quadro 2008/913/GAI sulla lotta contro
talune forme ed espressione di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale.
La
decisione quadro 2008/913/GAI
La decisione
quadro 2008/913/GAI ha previsto il riavvicinamento delle
disposizioni legislative e regolamentari dei paesi dell'UE per quanto riguarda
i reati ispirati a talune manifestazioni di razzismo e xenofobia, che devono
costituire un reato in tutti i paesi dell'UE ed essere passibili di sanzioni
penali effettive, proporzionate e dissuasive.
La decisione quadro si
applica ad ogni reato commesso:
· sul territorio dell'Unione europea (UE),
anche tramite un sistema di informazione;
· da un cittadino di un paese dell'UE o per
conto di una persona giuridica avente sede in un paese dell'UE; a tale
riguardo, la decisione quadro propone criteri per stabilire la responsabilità
delle persone giuridiche.
Sono considerati reati penali, determinati atti commessi,
quali: pubblico incitamento alla violenza
o all'odio rivolto contro un gruppo di persone o un membro di tale gruppo
definito sulla base della razza, del colore, la religione, l’ascendenza, la
religione o il credo o l’origine nazionale o etnica; il reato di cui sopra
commesso mediante diffusione e distribuzione pubblica di scritti, immagini o
altro materiale; l'apologia, la negazione
o la minimizzazione grossolana in pubblico dei crimini di genocidio o contro
l'umanità, i crimini di guerra, quali sono definiti nello Statuto della
Corte penale internazionale (articoli 6, 7 e 8), quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a
istigare alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo
membro.
Saranno passibili di
sanzione i base alla decisione quadro anche l'incitamento o la partecipazione
nel commettere gli atti suddetti.
Riguardo a tali reati, i
paesi dell'UE è previsto per gli Stati membri l’obbligo di stabilire: sanzioni
effettive, proporzionate e dissuasive; pene detentive della durata massima di
almeno un anno.
Analoghe sanzioni dovranno
riguardare le persone giuridiche e comprendere ammende penali e non penali.
Inoltre gli enti possono essere sanzionati mediante: l'esclusione dal beneficio
di agevolazioni o sovvenzioni pubbliche; l'interdizione temporanea o permanente
dall’esercizio di un’attività commerciale; il collocamento sotto sorveglianza
giudiziaria; il provvedimento di liquidazione giudiziaria. La decisione quadro
stabilisce che l'avvio delle indagini o dell'azione legale per reati di
razzismo e xenofobia non deve essere subordinato a una denuncia o un'accusa a
opera della vittima. In ogni caso, la motivazione razzista o xenofoba deve
essere considerata circostanza aggravante o, in alternativa, il tribunale deve
poter considerare tale motivazione nel decidere quale sanzione infliggere.
La prima modifica, introdotta dal comma
1 dell’articolo 3 del disegno di legge, amplia il campo di
applicazione dell’aggravante di “negazionismo” di cui al comma 3-bis dell’art. 3 della legge n. 654 del
1975.
Tale ultima disposizione è
stata introdotta dalla recente legge n. 115 del
2016 che ha inteso sanare, se non totalmente, i rilievi
della Commissione Europea espressi nel citato caso EU-Pilot 8184/15/JUST.
L’articolo
3 della legge n. 654 del 1975
punisce:
·
con la
reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda
idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a
commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici,
nazionali o religiosi;
·
con la
reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a
commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi
Il comma 3 dello stesso
articolo vieta ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra
i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi. La partecipazione o l’assistenza
all’attività di tali organizzazioni è punito con la reclusione da sei mesi a
quattro anni. Pene maggiori (reclusione da uno a sei anni) sono previste per i
promotori e per chi dirige le organizzazioni.
Il comma 3-bis stabilisce una maggior pena (reclusione da due a sei anni) se la propaganda ovvero l'istigazione
e l'incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si
fondano in tutto o in parte sulla
negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità
e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello
statuto della Corte penale internazionale , ratificato ai sensi della legge n.
232 del 1999.
Il comma 1 dell’articolo 3 in esame integra la
formulazione del citato comma 3-bis,
prevedendo la sanzionabilità con la
reclusione da 2 a 6 anni – oltre che della negazione – anche della minimizzazione
in modo grave, dell’apologia della
Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di
guerra.
Il
criterio della gravità verrà quindi in evidenza tanto ai fini della sussistenza
del reato (“minimizzazione in modo grave”) quanto per la valutazione agli
effetti della pena da parte del giudice (art. 133 c.p., primo comma, n. 2):
gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato).
Sul piano nazionale, oltre alla citata normativa, va
ricordata la legge 9 ottobre 1967, n. 962 (Prevenzione e repressione del
delitto di genocidio), il cui articolo 8 punisce con la reclusione da tre a
dodici anni la pubblica istigazione e apologia dei delitti di genocidio
(indicati dagli artt. da 1 a 5 della legge). La legge punisce: inoltre, gli
atti "concreti" volti a distruggere in tutto o in parte un gruppo
nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, provocando la morte o
lesioni personali gravi o gravissime; la deportazione a fini di genocidio; il
genocidio, rispettivamente, mediante limitazione delle nascite o sottrazione di
minori; chi costringe persone appartenenti ad un gruppo nazionale etnico,
razziale o religioso, a portare marchi o segni distintivi indicanti la
appartenenza al gruppo; l’accordo per commettere genocidio.
Il comma 2
dell’articolo 3 in esame aggiunge, poi, un nuovo articolo 25-terdecies al decreto
legislativo n. 231 del 2001 che aggiunge al catalogo dei delitti che comportano
la responsabilità delle persone
giuridiche anche i reati di razzismo e xenofobia aggravati dal
negazionismo, di cui al citato comma 3-bis
dell’art. 3 della legge n. 654 del 1975.
In particolare, si prevede in relazione alla commissione di tale reato
l’applicazione all’ente della sanzione
pecuniaria da 200 a 800 quote.
Si
ricorda che l'importo di una quota va da un minimo di 258 ad un massimo di
1.549 euro e che il suo importo, allo scopo di assicurare l'efficacia della
sanzione, è stabilito dal giudice in base alle condizioni economiche e
patrimoniali dell'ente (artt. 10 e 11, D.Lgs. 231 del 2001).
Lo stesso comma 2 stabilisce che:
· la condanna per negazionismo comporta l’applicazione all’ente le sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, del D.Lgs. n. 231 del 2001 (interdizione dall'esercizio dell'attività; sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; divieto di contrattare con la PA, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi.
· la stabile utilizzazione dell’ente (o di una sua unità organizzativa) al fine di commettere o agevolare il negazionismo è sanzionato con l’interdizione definitiva dell’esercizio dell’attività.
Si ricorda che l’art. 16, comma 3, del d.lgs. 231 già prevede che, se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità, è sempre disposta l'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività e non si applicano le disposizioni previste dall'articolo 17 (quest’ultimo, a sua volta, prevede la inapplicabilità delle sanzioni interdittive nel caso di riparazione delle conseguenze del reato).
Si
valuti se la disposizione introdotta dal disegno di legge sulla interdizione
dall’esercizio dell’attività non risulti superflua, in considerazione di quanto
già disposto in tal senso dall’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 231 del 2001.
Si segnala, in materia, la trasmissione al
Senato del disegno di legge AS 2471,
approvato dalla Camera il 6 luglio 2016 (AC 3084), di Ratifica ed esecuzione del Protocollo addizionale alla Convenzione del
Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, riguardante la
criminalizzazione degli atti di razzismo e xenofobia commessi a mezzo di
sistemi informatici, fatto a Strasburgo il 28 gennaio 2003.
Il provvedimento novella l’articolo 3, comma
1, lettera a), della legge n. 654 del 1975 e nello specifico:
· prevede che il delitto di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero l’istigazione a commettere o la commissione di atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi possa essere commesso con qualsiasi mezzo, anche informatico o telematico;
· è ampliato l’ambito della descritta fattispecie penale, in cui viene compresa anche la distribuzione, divulgazione, diffusione o pubblicizzazione di materiale razzista o xenofobo.
Nella corrente legislatura si ricorda poi
l’istituzione della Commissione “Jo Cox”
sull'intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio (10
maggio 2016), presieduta dalla Presidente della Camera e composta che da un
deputato per ogni gruppo politico, rappresentanti di organizzazioni
sopranazionali, di istituti di ricerca e di associazioni ed esperti, con il
compito di condurre attività di studio e ricerca su tali temi, anche attraverso
lo svolgimento di audizioni.
Procedure di contenzioso
La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU
Pilot 8184/15/JUST, avrebbe rilevato una serie di carenze individuate nel
quadro legislativo italiano di recepimento della decisione quadro 2008/913/GAI
del Consiglio sulla lotta contro
alcune forme ed espressioni di razzismo
e xenofobia mediante il diritto penale.
Le leggi notificate dall’Italia ai fini del
recepimento sono, in particolare, la legge n. 962 del 1967 sulla prevenzione e la repressione del delitto di
genocidio, la legge n. 654 del 1975 sulla ratifica e attuazione della
Convenzione internazionale sull’eliminazione
di tutte le forme di discriminazione razziale (e successive modifiche), e
il Codice penale.
Gli addebiti contestati dalla Commissione europea
concernerebbero vari profili della
decisione quadro, costituendo, a seconda dei casi, fattispecie di mancato recepimento, recepimento incompleto, e recepimento incorretto.
Apologia,
negazione o minimizzazione grossolana dei crimini come definiti dallo Statuto militare internazionale
allegato all’Accordo di Londra dell’8 agosto 1945
L’articolo 1, paragrafo 1, lettera d) della decisione
quadro prevede che siano puniti l’apologia,
la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini definiti
all’articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale,
allegato all’accordo di Londra dell’8 agosto 1945, dirette pubblicamente contro
un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferimento alla
razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o
etnica, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare
alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro.
Secondo la Commissione europea il recepimento di
questa disposizione richiederebbe l’esistenza di una norma in ambito nazionale
che penalizzi tali comportamenti quando sono posti in essere in modo atto a
istigare alla violenza e all’odio nei confronti di un gruppo o di un suo membro:
la Commissione europea avrebbe rilevato l’inesistenza
di una disposizione simile nella legislazione italiana.
Apologia,
negazione, o minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini
contro l’umanità e dei crimini di guerra
L’articolo 1, paragrafo1, lettera c).della decisione
quadro richiede agli Stati membri che siano resi punibili l’apologia, la
negazione o alla minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini
contro l’umanità e dei crimini di
guerra, quali definiti agli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte
penale internazionale, dirette pubblicamente contro un gruppo di persone, o un
membro di tale gruppo, definito in riferimento alla razza, al colore, alla
religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica, quando i
comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o
all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro
La Commissione europea avrebbe contestato all’Italia
il recepimento incompleto della
disposizione in quanto la norma di recepimento
indicata dalle autorità italiane (articolo 8, comma 2 della legge 962
del 1967, farebbe riferimento unicamente al comportamento di chi pubblicamente
fa apologia, e solo in relazione al
reato di genocidio, mentre,
contrariamente a quanto previsto dalla decisione quadro, non includerebbe la condotta di pubblica negazione, né la minimizzazione grossolana, e non fa riferimento ai reati contro l’umanità e i crimini di
guerra.
Responsabilità
delle persone giuridiche e relative sanzioni
Gli articoli 5 e 6 della decisione quadro garantiscono
che le persone giuridiche possano
essere dichiarate responsabili dei reati ivi previsti, nonché soggette a sanzioni proporzionate,
efficaci e dissuasive (la responsabilità e le sanzioni non devono essere
necessariamente di natura penale), indipendentemente dall’accusa o condanna di
persone fisiche.
Le indicazioni delle autorità italiane circa le
previsioni esistenti in materia di responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche ai fini del recepimento di tali
disposizioni non sarebbero state ritenute sufficienti dalla Commissione
europea, che avrebbe quindi contestato il mancato
recepimento della disposizione europea.
Competenza
giurisdizionale nei casi in cui i comportamenti che integrano le fattispecie di
reato siano commessi a mezzo di sistemi informatici
L’articolo 9, paragrafo 2 della decisione quadro
obbliga ciascuno Stato membro ad adottare le misure necessarie per garantire
che la propria competenza giurisdizionale si estenda ai casi in cui le
fattispecie di reato in essa previste siano poste in essere mediante un sistema di informazione, precisando
altresì i criteri che sovraintendono
a tale delimitazione di giurisdizione (presenza fisica, sul territorio dello
Stato membro in questione, dell’autore
del comportamento, a prescindere dal fatto che il comportamento implichi o no
l’uso di materiale ospitato su un sistema di informazione situato sul suo
territorio; uso di materiale ospitato su
un sistema di informazione situato sul territorio dello Stato membro in
questione, indipendentemente dal fatto che l’autore ponga in essere o no il
comportamento allorché è fisicamente presente su tale territorio).
La Commissione europea avrebbe rilevato il mancato recepimento di tale
disposizione, nutrendo dubbi circa la
rilevanza delle disposizioni generali italiane in materia di giurisdizione
(articoli 6 e 9 del Codice penale).
Istigazione
pubblica alla violenza o all’odio
L’articolo 1, paragrafo 1 lettera a) obbliga gli Stati
membri a adottare le misure necessarie affinché sia resa punibile l’istigazione pubblica alla violenza o
all’odio nei confronti di un gruppo
di persone, o di un suo membro,
definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o
all’origine nazionale o etnica.
La Commissione europea avrebbe contestato l’incorretto recepimento di tale
disposizione, poiché la norma a tal fine indicata dalle autorità italiane
(articolo 3, comma 1, lettera a) della legge 654 del 1975) configurerebbe una condotta maggiormente restrittiva di quella
richiesta dalla decisione quadro.
In particolare la condotta della “istigazione pubblica all’odio” sarebbe recepita (dalla legge
italiana) nel comportamento di “chi
propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico”;
la Commissione europea avrebbe rilevato che la decisione quadro richiede agli
Stati membri di sanzionare l’istigazione
pubblica all’odio in quanto tale e non
la propaganda di tale istigazione[6].
La Commissione europea avrebbe inoltre rilevato che,
contrariamente a quanto disposto nella decisione quadro, l’articolo 3, comma 1
della legge n. 654 del 1975 non farebbe espresso riferimento né ad “individui”
né a “gruppi”.
Sebbene la modalità di formulazione della disposizione
italiana potrebbe suggerire in ogni caso un ampio campo di applicazione (tale da ricomprendere sia individui
sia gruppi), la Commissione ritiene che per sostenere tale interpretazione
occorrerebbe il supporto in tal senso della giurisprudenza o dei lavori
preparatori relativi alla norma indicata, elementi non forniti dalle autorità
italiane.
La Commissione europea, avrebbe infine sottolineato il numero limitato di condanne per
espressioni di odio razziale e xenofobo sulla base della citata disposizione
italiana, nonostante i gravi incidenti
che - sulla base delle informazioni in suo possesso - si sarebbero registrati
in Italia. Secondo la Commissione ciò dimostrerebbe le difficoltà che le autorità
giudiziarie starebbero incontrando nell’impiego della citata disposizione
italiana ai fini del perseguimento della condotta descritta alla lettera a) del
paragrafo 1 dell’articolo 1 della decisione quadro, confermando ulteriormente
il proprio convincimento del recepimento incorretto della disposizione europea
nell’ordinamento italiano.
Istigazione
pubblica alla violenza o all’odio mediante diffusione e distribuzione pubblica
di scritti, immagini o altro materiale
La disposizione italiana testé illustrata è stata
indicata dalle autorità italiane anche ai fini del recepimento dell’articolo 1,
paragrafo 1, lettera b), che prevede la punibilità dell’istigazione pubblica
alla violenza e all’odio nei confronti di un gruppo di persone, o di un suo
membro, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione,
all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica, perpetrate
mediante la diffusione e la distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro
materiale. La Commissione europea avrebbe anche in questo caso rilevato
(per le medesime considerazioni indicate nel precedente paragrafo) il non incorretto recepimento della
disposizione europea, aggiungendo che il termine “propaganda” utilizzato dalla disposizione italiana nei riguardi
dell’istigazione all’odio non
includerebbe esplicitamente la distribuzione
pubblica di scritti, immagini o altro materiale, così come previsto
dall’articolo 1, paragrafo 1, lettera b) della decisione quadro.
Potrebbe
risultare opportuno, alla luce della legge n. 115 del 2016, recante “Modifica
all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, in materia di contrasto e repressione
dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, come
definiti dagli articoli 6, 7, e 8 dello statuto della Corte penale
internazionale” - peraltro richiamata dalla relazione introduttiva -, acquisire
l’avviso del Governo sull’idoneità delle misure proposte a risolvere pienamente
i rilievi avanzati dalla Commissione europea, anche in considerazione del fatto
che l’intervento normativo non sembra prospettare misure inerenti alla
questione relativa alla competenza giurisdizionale nei casi in cui i reati
citati siano commessi a mezzo di sistemi informatici.
L'articolo 4 estende l'ambito di applicazione delle
disposizioni della legge 7 luglio 2016, n. 122 (legge
europea 2015/2016) di accesso al fondo per l’indennizzo delle vittime di reati
intenzionali violenti, anche alle fattispecie precedenti alla sua
entrata in vigore.
Gli articoli da 11 a 16 della legge n. 122 del
2016 hanno introdotto norme volte a risolvere la procedura di infrazione n. 2011/4147, per
dettagli sulla quale si rinvia alla fine della presente scheda.
L'articolo in esame si propone quindi di completare l’adeguamento della normativa
nazionale alle previsioni della direttiva
2004/80/CE, per quanto riguarda l’ambito di operatività
ratione temporis della nuova
disciplina.
A ben vedere, la disciplina dettata dalla legge europea 2015-2016 è applicabile alle
fattispecie successive alla sua entrata in vigore (23 luglio 2016), mentre la
direttiva 2004/80/CE fa obbligo agli Stati membri di applicare le disposizioni
almeno ai richiedenti le cui lesioni derivino da reati commessi dopo il 30
giugno 2005 (articolo 18).
Più nel dettaglio,
il comma 1 dell'articolo estende la disciplina relativa
all’accesso al fondo per l’indennizzo delle vittime di reati intenzionali
violenti a chiunque è stato vittima di un reato intenzionale violento commesso successivamente al 30 giugno 2005.
Il comma 2 introduce un termine di decadenza di centoventi giorni
dall’entrata in vigore della legge in esame per la presentazione della domanda
di indennizzo. Tale domanda deve essere presentata nel rispetto delle medesime
condizioni e modalità di accesso all’indennizzo previste dalla legge n.
122/2016 (vedi supra).
Il comma 3 prevede che gli oneri derivanti dall’applicazione della
disposizione, quantificati in 26 milioni
di euro per l’anno 2017, gravino sul fondo per il recepimento della normativa
europea, di cui all’articolo 41-bis della legge 24 dicembre 2012, n. 234, introdotto dall’articolo 28 della legge 29 luglio 2015, n. 115 (legge europea 2014).
L'articolo 28 della legge
europea 2014 - aggiungendo l'articolo 41-bis
alla legge n. 234 del 2012 sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e
all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea - ha
previsto l'istituzione nello stato di previsione del Ministero dell'economia e
delle finanze di un fondo, denominato "Fondo per il recepimento della
normativa europea", volto a consentire il tempestivo adeguamento
dell'ordinamento interno agli obblighi imposti dalla normativa europea.
Per quanto concerne la
quantificazione degli oneri, nella relazione, si osserva come essa sia stata compiuta considerando i dieci anni
(2006-2015) precedenti all’entrata in vigore della legge n. 122 del 2016 - in
ragione del fatto che il diritto all’indennizzo è
soggetto, ai sensi dell’articolo 2946 del codice civile, all’ordinario termine
prescrizionale di dieci anni - e tenendo conto della stima annuale degli
oneri, determinata sulla base dei dati ISTAT inerenti le vittime di delitti intenzionali
violenti.
Ai sensi del comma 4 con riguardo agli oneri di cui
al comma precedente trovano applicazione
le disposizioni previste dalla legge n. 196 del 2009 (legge di
contabilità e finanza pubblica) per la copertura finanziaria delle leggi e, in
particolare, quelle relative al monitoraggio degli oneri e alle misure per gli
eventuali scostamenti.
Il comma 5, infine, autorizza il Ministro
dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti
variazioni di bilancio.
Procedure di contenzioso
La procedura
di infrazione n. 2011/4147 è stata avviata dalla Commissione europea per
il non corretto recepimento della direttiva
2004/80/CE, relativa all’indennizzo delle vittime di
reato.
L’Italia ha provveduto a dare attuazione a tale direttiva con il decreto legislativo n. 204 del 2007[7].Le
misure previste dal provvedimento sono state ritenute tuttavia non del tutto
adeguate dalla Commissione europea. Il decreto legislativo del 2007, infatti,
se da un lato, ha trasposto in maniera corretta la direttiva nella parte
concernente l’istituzione del sistema di cooperazione per l’accesso
all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, individuando le competenti
autorità di assistenza e di decisione, creando un punto centrale di contatto
presso il Ministero della giustizia e disciplinando il regime linguistico
applicabile, dall'altro, non ha proceduto alla istituzione di un comprensivo
sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reato, ritenendo adeguati i
sistemi di indennizzo e risarcimento contemplati già dall'ordinamento per
alcune tipologie di reato (quali quelli di stampo mafioso o terroristico).
La Commissione quindi, considerando solo
parziale la trasposizione della direttiva ad opera del decreto legislativo n.
204, ha ritenuto di adire nuovamente la Corte
di giustizia (causa C- 601/14) al fine di ottenere una ulteriore pronuncia
di accertamento della violazione da parte dello Stato italiano. Le
contestazioni della Commissione europea, accolte peraltro dalla Corte di
Lussemburgo (vedi infra), toccavano
in particolare il parziale recepimento dell'obbligo imposto dall'articolo 12,
paragrafo 2 della direttiva 2004/80/CE. Tale disposizione impone infatti agli
Stati membri di dotarsi di un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di
reati intenzionali violenti, senza lasciare alcun margine di discrezionalità
agli Stati quanto all'ambito di copertura del sistema stesso, destinato
pertanto a dover corrispondere all'intera categoria dei reati intenzionali
violenti. Secondo le istituzioni europee l'Italia non avrebbe con il decreto
legislativo del 2007 correttamente trasposto tale parte della direttiva, non
avendo esteso il sistema nazionale d’indennizzo a qualunque fattispecie di
reato qualificabile.
Proprio per far fronte alla
nuova procedura di infrazione le disposizioni della legge europea 2015-2016 -
facendo salve le provvidenze già previste da altre disposizioni di legge per
determinati reati, se più favorevoli[8] - hanno riconosciuto il diritto all’indennizzo,
a carico dello Stato, in favore delle vittime di reati dolosi commessi con
violenza alla persona e, comunque, del reato di intermediazione illecita e
sfruttamento al lavoro, ad eccezione dei reati di percosse e lesioni semplici.
Sono state fissate le condizioni per l’accesso all’indennizzo, si è previsto
che l’indennizzo è destinato a rifondere le sole spese mediche e assistenziali
- ad eccezione dei casi di violenza sessuale e omicidio, in cui esso è comunque
elargito - e si è stabilito che il relativo onere finanziario gravi sul Fondo
di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle
richieste estorsive e dell’usura, appositamente ridenominato ed esteso alle
vittime dei reati intenzionali violenti.
La Corte di Giustizia, con sentenza
dell’11 ottobre 2016, pronunciata a seguito del ricordato ricorso
C-601/14, ha statuito che l’Italia, non avendo adottato tutte le misure per
garantire l’esistenza, nelle situazioni transfrontaliere, di un sistema di
indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul
proprio territorio, è venuta meno all’obbligo ad essa incombente in forza
dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE. A ben vedere la Corte non ha potuto tener conto delle
nuove norme di attuazione della direttiva, contenute nella legge europea,
in quanto intervenute successivamente alla proposizione del ricorso, mentre
l’inadempimento si è cristallizzato con l’adozione del parere motivato. Le
disposizioni della legge europea 2015-2016 sono attualmente al vaglio della
Commissione europea, alla quale sono state ritualmente notificate, al fine
della valutazione circa la chiusura della procedura di infrazione.
Articolo 5
(Disposizioni in materia di rimborsi IVA.
Procedura di infrazione n. 2013/4080)
L’articolo 5 modifica la disciplina dei rimborsi IVA, al fine di consentire l’archiviazione della procedura di infrazione 2013/4080, allo stadio di messa in mora ex art. 258 TFUE. Con tale atto la Commissione europea aveva contestato alla Repubblica Italiana il mancato rispetto degli obblighi imposti dall’articolo 183, paragrafo 1 della direttiva 2006/112/CE, come interpretati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (si veda più diffusamente infra il paragrafo relativo alle procedure di contenzioso).
Ai sensi del richiamato articolo 183, qualora, per un periodo d'imposta l'importo delle detrazioni superi quello dell'IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l'eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite.
La Commissione aveva sostenuto che l’Italia facesse correre eccessivi rischi finanziari ai soggetti passivi in occasione del rimborso IVA; tuttavia, la portata delle contestazioni risulta ridimensionata a seguito delle modifiche apportate alla disciplina dei rimborsi IVA, in occasione della legge di delega fiscale (legge 11 marzo 2014, n. 23), in attuazione della quale, con l’articolo 13 del decreto legislativo n. 175 del 2014, è stato modificato l’articolo 38-bis del decreto IVA.
Il menzionato articolo 13 ha novellato pressoché integralmente le norme (articolo 38-bis del D.P.R. n. 633 del 1972) in materia di rimborsi IVA; rispetto alla precedente impostazione della normativa sui rimborsi, che prevedeva in via generale l’obbligo di prestazione di garanzia con specifiche eccezioni. Con le novelle apportata dal D.lgs. n. 175 del 2014 è stata generalizzata l’esecuzione dei rimborsi senza prestazione di garanzia o particolari adempimenti, salvo casi specifici.
Per effetto dell’articolo 7-quater, comma 32 del D.L. n. 193 del 2016, è stata da ultimo elevata da 15.000 a 30.000 euro la soglia dei rimborsi eseguibili senza alcun adempimento. I rimborsi di soglia superiore a 30.000 euro sono subordinati ad una dichiarazione/istanza, al visto di conformità ed ad un’autocertificazione sulle consistenze patrimoniali del soggetto richiedente. Sono poi previste alcune ipotesi nelle quali al contribuente è richiesta la prestazione di idonea garanzia, che comunque sostituisce il visto di conformità.
Si rammenta che la prestazione di garanzia e il visto di conformità non sono più previsti, dal 1° gennaio 2017, per specifiche categorie di soggetti passivi IVA di minori dimensioni sottoposti ad un programma di assistenza da parte dall’Agenzia delle entrate, per effetto di quanto previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 127 del 2015.
Con le disposizioni in
esame, per le ipotesi residue in cui il soggetto che chiede il rimborso
presenta profili di rischio e continua ad essere tenuto a prestare una garanzia
a tutela delle somme erogate, si prevede il versamento di una somma a titolo di ristoro delle spese sostenute per il rilascio della
garanzia stessa, da effettuarsi quando sia stata definitivamente accertata la spettanza del rimborso.
Più in dettaglio, il comma 1 dell’articolo 5 riconosce una somma a ristoro forfetario dei costi sostenuti dai soggetti passivi che, ai sensi delle nuove disposizioni contenute nel comma 4 dell’articolo 38-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, prestano garanzia a favore dello Stato in relazione a richieste di rimborso dell’IVA. Tale ristoro è fissato in misura pari allo 0,15 per cento dell’importo garantito per ogni anno di durata della garanzia.
Detta somma è versata quando sia stato definitivamente accertato che al contribuente spetta il rimborso dell’imposta; nel caso di mancata emissione di un avviso di rettifica o di accertamento ciò si verifica alla scadenza del termine per l’emissione.
Per quanto riguarda la decorrenza della disposizione, il comma 2 prevede che la medesima si applica a partire dalle richieste di rimborso fatte con la dichiarazione annuale dell’IVA relativa all’anno 2017 e dalle istanze di rimborso infrannuale relative al primo trimestre 2018.
Il comma 3 reca la copertura degli oneri derivanti dalla disposizione in esame, valutati in 7,3 milioni di euro a decorrere dal 2018, mediante corrispondente riduzione del fondo per il recepimento della normativa europea di cui all’articolo 41-bis della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (introdotto dall’articolo 28 della legge 29 luglio 2015, n. 115).
Il 26 settembre 2013 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2013/4080) per violazione degli artt. 179 e 183 della direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in merito alla disciplina del rimborso IVA.
La citata direttiva prevede che, ove i beni e/o i servizi, acquistati da un operatore, siano da esso finalizzati all'esercizio della propria attività imprenditoriale di cessione/prestazione di servizi, il medesimo operatore possa detrarre dal debito IVA da cui è gravato per legge (cd. IVA a debito), la stessa IVA che gli è stata scaricata dal soggetto da cui ha acquistato detti beni/servizi strumentali (cd. IVA a credito). Se l'ammontare dell'IVA a credito eccede quello dell'IVA a debito, l'art. 183 della direttiva 2006/112CE consente al contribuente di riportare tale eccedenza ad un periodo di imposta successivo, o di ottenerne il rimborso. Al riguardo, nella sentenza C-107/10 la Corte di Giustizia ha precisato che un rimborso procrastinato di oltre tre mesi, rispetto al momento in cui si ingenera il relativo diritto, sarebbe inaccettabile. Ora, dal combinato disposto degli artt. 30 e 38 bis del D.P.R. 26/10/72, n. 633, risulta che la previsione di un periodo non eccedente i suddetti tre mesi, per il rimborso di cui si tratta, sarebbe concesso in Italia non a tutti gli aventi diritto al rimborso stesso, ma solo a quelli, tra loro, che:
· prestino una cauzione in titoli di Stato o una fideiussione triennale, a garanzia di un'eventuale restituzione dei rimborsi al Fisco, ove gli stessi risultino, in seguito, indebiti;
· ovvero siano contribuenti cd. "virtuosi", cioè muniti di una serie di requisiti, compreso quello dell'anzianità di almeno 5 anni della propria attività.
Al riguardo, la Commissione osserva che il termine finale di 3 mesi concerne categorie troppo ristrette di contribuenti (laddove dovrebbe coinvolgere la totalità dei medesimi) e, in relazione alle stesse, risulta subordinata alla sussistenza di requisiti troppo onerosi (una fideiussione triennale). Per gli altri contribuenti non rientranti nelle categorie suddette, quindi, il termine del rimborso sarebbe, illegittimamente, prolungato oltre il trimestre. Peraltro, la Commissione osserva che, anche per i contribuenti virtuosi o prestanti cauzione, il termine di tre mesi rimarrebbe, di fatto, non rispettato.
In tema di rimborso dell’IVA, il legislatore italiano è intervenuto con il citato art. 13 del decreto legislativo 175/2014 in cui, tra le altre cose, viene generalizzata l'esecuzione dei rimborsi senza prestazione di garanzia o particolari adempimenti, salvo casi specifici, e vengono specificate le ipotesi nelle quali al contribuente è richiesta la prestazione di idonea garanzia, che comunque sostituisce il visto di conformità.
Nelle ultime comunicazioni, trasmesse per le vie brevi, la Commissione europea chiede alle autorità italiane la trasmissione dei dati statistici relativi ai rimborsi IVA per il secondo semestre 2015 e il primo semestre 2016, nonché rassicurazioni circa l’adozione della norma inerente il rimborso del costo delle garanzie richieste per ottenere il rimborso dell’IVA.
L’art. 5 del DDL in esame interviene sulla violazione contestata dalla
Commissione europea nella misura in cui prevede, per le ipotesi residue in cui
il soggetto che chiede il rimborso presenta profili di rischio e continua ad
essere tenuto a prestare una garanzia a tutela delle somme erogate, il versamento
di una somma a titolo di ristoro delle spese sostenute per il rilascio della
garanzia stessa, da effettuarsi quando sia stata definitivamente accertata la
spettanza del rimborso. Si tratterebbe, peraltro, piuttosto che di un rimborso
integrale, della corresponsione di una somma forfetaria dei costi sostenuti per
il rilascio della garanzia pari allo 0,15% dell’importo garantito per ogni anno
di durata della garanzia stessa.
Articolo 6
(Non imponibilità ai fini IVA di cessioni
all'esportazione nei confronti di amministrazioni e soggetti della cooperazione
allo sviluppo)
L’articolo 6 modifica la disciplina concernente la non imponibilità ai fini IVA delle cessioni di beni effettuate nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo, destinati ad essere trasportati o spediti fuori dell'Unione europea in attuazione di finalità umanitarie.
In particolare, il comma 1 della disposizione in esame, introduce la nuova lettera b-bis) nell'articolo 8, primo comma, del "decreto IVA" (DPR n. 633 del 1972), riconducendo le cessioni di beni - e relative prestazioni accessorie - effettuate nei confronti delle amministrazioni dello Stato e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo (soggetti iscritti nell'elenco di cui all'art. 26, comma 3, della legge n. 125 del 2014), alle cessioni all'esportazione non imponibili ai fini IVA.
La disposizione in esame intende attuare quanto
previsto dall' art. 146, par. 1, lett. c)
della direttiva
2006/112/CE (relativa al sistema comune d'imposta sul valore
aggiunto). Tale norma consente di esentare dall'IVA le cessioni di beni ad organismi riconosciuti che li esportano
fuori dall'Unione nell'ambito delle loro attività umanitarie, caritative o educative
condotte al di fuori del territorio UE.
Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 26, comma 2,
della legge n. 125 del
2014 ("Disciplina generale sulla cooperazione
internazionale per lo sviluppo") sono soggetti
della cooperazione allo sviluppo:
a) organizzazioni non governative (ONG) specializzate nella cooperazione allo sviluppo e nell'aiuto umanitario;
b) organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) statutariamente finalizzate alla cooperazione allo sviluppo e alla solidarietà internazionale;
c) organizzazioni di commercio equo e solidale, della finanza etica e del microcredito che nel proprio statuto prevedano come finalità prioritaria la cooperazione internazionale allo sviluppo;
d) le organizzazioni e le associazioni delle comunità di immigrati che mantengano con le comunità dei Paesi di origine rapporti di cooperazione e sostegno allo sviluppo o che collaborino con soggetti provvisti dei requisiti di cui al presente articolo e attivi nei Paesi coinvolti;
e) le imprese cooperative e sociali, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e degli imprenditori, le fondazioni, le organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, e le associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383, qualora i loro statuti prevedano la cooperazione allo sviluppo tra i fini istituzionali;
f) le organizzazioni con sede legale in Italia che godono da almeno quattro anni dello status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC).
Ai sensi del comma 3 del medesimo art. 26, sulla base
di parametri e criteri fissati dal Comitato congiunto per la cooperazione allo
sviluppo (previsto dall'articolo 21 della legge), vengono verificate le
competenze e l'esperienza dalle organizzazioni e dagli altri soggetti di cui al
comma 2, ai fini dell'iscrizione in apposito elenco dei soggetti della cooperazione pubblicato e aggiornato
periodicamente dall'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.
Con la novella in esame si applica l'esenzione ai fini IVA alle spedizioni o trasporti al di fuori dell'UE effettuate dal cessionario (o per suo conto) entro 180 giorni dalla consegna. La prova dell’avvenuta esportazione dei beni è data dalla documentazione doganale.
Le modalità della cessione o spedizione in oggetto sono fissate da un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.
L'articolo 8, primo comma, lett. b), stabilisce che costituiscono cessioni non imponibili le cessioni
con trasporto o spedizione fuori del territorio dell'UE, entro novanta giorni dalla consegna, a cura del cessionario non
residente o per suo conto. L'esportazione deve risultare da vidimazione apposta dall'Ufficio doganale o
dall'Ufficio postale su un esemplare della fattura. Sono inoltre
contemplate alcune eccezioni. La novella pone quindi un termine più ampio rispetto a quello stabilito dall'art. 8, co. 1,
lett. b) in via generale. Riguardo ai
termini temporali cfr. oltre.
Il comma 2 novella l'articolo 7 del decreto legislativo n. 471 del 1997 ("Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi"). Tale articolo 7 fissa la sanzione amministrativa (dal cinquanta al cento per cento del tributo) nei confronti di chi effettua, senza addebito d'imposta, le cessioni all'esportazione - ai sensi dell'articolo 8, primo comma, lettera b) del D.P.R. n. 633 del 1972 - qualora il trasporto o la spedizione fuori del territorio dell'Unione europea non avvenga nel termine ivi prescritto, di 90 giorni. La sanzione non si applica se, nei trenta giorni successivi, viene eseguito, previa regolarizzazione della fattura, il versamento dell'imposta.
Con la modifica in esame si intende estendere tale disciplina sanzionatoria alle cessioni che sono oggetto della disposizione in esame (includendo nel testo dell'articolo 7 il richiamo alla lettera b-bis) di cui si propone l'introduzione), applicabile qualora i beni in questione non dovessero essere effettivamente esportati, in frode alla legge. Si ribadisce che la lett. b-bis) pone il termine di 180 giorni.
Con la risoluzione n.
98/E del 10 novembre 2014, l’Agenzia delle entrate ha fornito alcuni
chiarimenti riguardo alle cessioni all’esportazione anche alla luce della
giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza del
19/12/2013 - procedimento C-563/12). Il caso sottoposto al
vaglio della Corte di Giustizia coinvolgeva una società ungherese alla quale,
in sede di verifica, è stato disconosciuto il diritto di qualificare alcune
operazioni come cessione all’esportazione esenti IVA, sulla base del fatto che
la spedizione delle merci verso i Paesi terzi era avvenuta dopo il decorso del
termine dei 90 giorni previsto dalla legislazione nazionale (termine analogo a
quello previsto dalla legislazione italiana). Secondo la Corte, gli Stati
membri possono prevedere "termini ragionevoli" per l’effettuazione
dell’operazione ai fini delle esenzioni, senza essere perentori. Risulta quindi
illegittima una previsione nazionale che preveda che il superamento del termine
abbia la conseguenza di privare definitivamente
il soggetto passivo dall’esenzione.
Conseguentemente la risoluzione 98/E afferma che,
ferma la compatibilità con la direttiva del termine di 90 giorni, "risulta
aderente al tessuto comunitario anche la procedura di regolarizzazione prevista
dall’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997, da attuare,
da parte del cedente nazionale, allo spirare del suddetto termine di 90 giorni, laddove non
abbia la prova che il bene è uscito dal territorio nazionale. Diversamente, non
è in linea con la decisione della Corte la soluzione di negare il beneficio
della non imponibilità, nonostante sia possibile dimostrare l’uscita dei beni
dal territorio doganale dell’Unione, seppure dopo lo scadere del predetto
termine, e di non consentire il recupero dell’IVA corrisposta in sede di
regolarizzazione". Sarà quindi possibile recuperare l’IVA nel frattempo
versata ai sensi del citato articolo 7, comma 1, del decreto n. 471 del 1997
emettendo una nota di credito (art. 26, secondo comma, del d.P.R. n. 633/1972)
oppure mediante una richiesta di rimborso (art. 21 del d.lgs. n. 546/1992).
Come segnalato dalla relazione illustrativa, le
suddette considerazioni si applicherebbero per analogia anche allo spirare del
termine di 180 giorni previsto dalla nuova lettera b-bis).
Il comma 3 abroga l'art. 26, comma 5, della legge n. 125 del 2014. Tale comma 5 reca la disciplina attualmente vigente sulla non imponibilità ai fini dell'IVA delle cessioni in oggetto.
L'articolo 26, comma 5, stabilisce che le cessioni di
beni a favore di amministrazione e soggetti della cooperazione sono da
considerarsi non imponibili agli effetti dell'IVA ai sensi dell'articolo 8-bis del DPR n. 633/1972.
Tale articolo 8-bis reca l'elenco
delle operazioni non ricomprese nell'articolo 8 ma comunque assimilate alle
cessioni all'esportazione non imponibili.
Articolo 7
(Agevolazioni fiscali per le navi iscritte nei Registri dei Paesi dell’Unione
europea o dello SEE. Caso EU-Pilot 7060/14/TAXU)
L’articolo 7 estende il regime fiscale agevolato per le navi iscritte al Registro Internazionale Italiano (RII) anche a favore dei soggetti residenti e non residenti con stabile organizzazione in Italia che utilizzano navi, adibite esclusivamente a traffici commerciali, iscritte in registri di Paesi dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo.
Le misure agevolative oggetto di estensione sono le seguenti:
· credito d’imposta in misura corrispondente all’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta sulle retribuzioni corrisposte al personale di bordo imbarcato, da valere ai fini del versamento delle ritenute alla fonte relative a tali redditi (articolo 4, comma 1, della legge n. 457 del 1997);
· concorrenza nella misura del 20 per cento del reddito prodotto con navi iscritte nel Registro Internazionale a formare il reddito complessivo assoggettabile all’IRPEF e all’IRES (articolo 4, comma 2, della legge n. 457 del 1997);
· esclusione dalla base imponibile IRAP del valore della produzione realizzato mediante l’utilizzo di navi iscritte al Registro Internazionale (articolo 12, comma 3 del D.Lgs. n. 446 del 1997);
· regime forfetario, opzionale, di determinazione del reddito armatoriale: c.d. tonnage tax (articolo 155, comma 1, del TUIR).
Il comma 1 dispone che la suddetta estensione avviene a decorrere dal periodo d’imposta nel quale entra in vigore il decreto ministeriale attuativo previsto dal comma 3.
Il comma 2 prevede che le disposizioni del comma 1 si applichino a condizione che sia rispettato quanto stabilito dalle seguenti disposizioni:
- gli articoli 1, comma 5, e 3 del DL n. 457 del 1997;
Si tratta delle norme che pongono i limiti al cabotaggio pe le navi iscritte al Registro Internazionale. Il comma 5 dell’art. 1, vieta infatti il cabotaggio per tali navi, ma prevede un'attenuazione di tale riserva generale, che consente il servizio di cabotaggio delle navi iscritte al Registro internazionale per le navi da carico di oltre 650 tonnellate di stazza lorda con i seguenti limiti:
· un viaggio di cabotaggio mensile quando il viaggio di cabotaggio segua o preceda un viaggio in provenienza o diretto verso un altro Stato, se si osservano i requisiti di nazionalità dell'equipaggio di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b) e c): sostanzialmente sono richiesti 6 ufficiali di nazionalità UE compreso il comandante;
· sei viaggi di cabotaggio al mese, oppure viaggi illimitati ma ciascuno con percorrenza superiore alle cento miglia marine, se sono rispettati i criteri di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), e del comma 1-bis , cioè se l'equipaggio è interamente di cittadinanza comunitaria oppure extracomunitario qualora sia stata utilizzata la deroga del comma 1-bis, cioè in presenza di specifici accordi sindacali nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori del settore,
· per le navi traghetto ro-ro (roll on roll off, ossia che traghettano mezzi gommati) e ro-ro pax (roll on roll off passengers, ossia che traghettano mezzi gommati e/o passeggeri), adibite a traffici commerciali tra porti appartenenti al territorio nazionale, continentale e/o insulare, anche a seguito o in precedenza di un viaggio proveniente da o diretto verso un altro Stato, solamente qualora sia imbarcato esclusivamente personale italiano o comunitario (tale previsione è stata introdotta dal D.Lgs. n. 221 del 2016).
L’art. 3 del DL 457/1997 prevede che le condizioni economiche, normative, previdenziali ed assicurative dei marittimi italiani o comunitari imbarcati sulle navi iscritte nel Registro internazionale sono disciplinate dalla legge regolatrice del contratto di arruolamento e dai contratti collettivi dei singoli Stati membri. Il rapporto di lavoro del personale non comunitario non residente nell'Unione europea, imbarcato a bordo delle navi iscritte nel Registro internazionale, è invece regolamentato dalla legge scelta dalle parti e comunque nel rispetto delle convenzioni OIL in materia di lavoro marittimo
-
l’articolo 317 del Codice della navigazione, che disciplina la composizione e la forza minima dell'equipaggio;
L’art. 317 dispone che sia il comandante del porto a provvedere all'applicazione delle disposizioni di legge riguardanti la determinazione del numero minimo degli ufficiali di coperta e di macchina, e dei relativi gradi, nonché la composizione e la forza minima dell'intero equipaggio.
- l’articolo 426 del regolamento per l’esecuzione del Codice della navigazione (D.p.r. 15 febbraio 1952, n. 328), che disciplina i poteri del comandante del porto relativamente alla formazione degli equipaggi
L’art. 426 prevede che nella formazione dell'equipaggio della nave, spetti esclusivamente al comandante del porto, che ha facoltà di negare le spedizioni alla nave il cui equipaggio non sia composto in conformità alle norme:
1. accertare che l'equipaggio comprenda il numero di marittimi di stato maggiore e di bassa forza, ritenuto indispensabile alla sicurezza della navigazione;
2. vigilare che sia garantita l'osservanza delle leggi sul lavoro applicabili ai marittimi e delle norme sulle condizioni per l'igiene e abitabilità dei locali destinati all'equipaggio;
3. vigilare sull'osservanza delle tabelle di armamento stabilite, secondo i casi, dal Ministero o nei contratti collettivi d'arruolamento.
Il comma 3 demanda ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, l’attuazione delle disposizioni previste dai commi 1 e 2. Tale decreto deve essere adottato entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge in esame.
Il comma 4 individua le coperture finanziarie degli oneri derivanti dal presente articolo, pari a 20 milioni di euro per il 2018 e a 11 milioni di euro a decorrere dal 2019. A tali oneri si provvede mediante riduzione del fondo per il recepimento della normativa europea (articolo 41-bis della legge n . 234 del 2012).
Procedure di
contenzioso
La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 7060/14/TAXU, pone la questione della compatibilità con il diritto dell’UE delle vigenti disposizioni concernenti i regimi di determinazione del reddito imponibile delle imprese marittime (art. 4 del decreto legge 457/1997 e artt. da 155 a 161 del Testo Unico delle Imposte sul Reddito, TUIR).
In particolare, la Commissione rileva che il requisito dell'immatricolazione della nave nel Registro internazionale italiano (RII) ai fini della concessione dei benefici fiscali di cui alle disposizioni richiamate potrebbe costituire una condizione discriminatoria nei confronti dei soggetti esercenti attività di traffico marittimo internazionale stabiliti in altri Stati dell'UE o dello Spazio economico europeo (SEE), ponendosi dunque come una restrizione contraria alla libertà di stabilimento, quale garantita dall’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) e dall’art. 31 dell’Accordo SEE. Inoltre, ad avviso della Commissione, l'applicazione di misure fiscali di vantaggio ai soli esercenti navi immatricolate nel RII potrebbe dissuadere lo stabilimento in Italia da parte di soggetti residenti in altri Stati dell'UE o dello SEE esercenti l'attività di traffico marittimo internazionale nella misura in cui probabilmente le navi da essi utilizzate sono registrate nel Registro navale dei rispettivi Stati. La legislazione italiana, infatti, instaura una differenza di trattamento fiscale in funzione della nazionalità del mezzo di esecuzione della prestazione che, in quanto tale, potrebbe costituire una restrizione contraria alla libertà di prestazione dei servizi, quale garantita dall’art. 56 del TFUE e 36 dell’Accordo SEE.
L’art. 7 del DDL in esame dovrebbe consentire la chiusura del caso
EU-Pilot 7060/14/TAXU, dal momento che estende
il vigente regime fiscale agevolato relativo ai soggetti esercenti navi
iscritte al Registro Internazionale Italiano (RII) anche nei confronti di
soggetti residenti e non residenti con stabile organizzazione in Italia che
utilizzano navi iscritte in Registri di Paesi UE o SEE.
Peraltro, si può osservare che
le modalità di attuazione della nuova normativa sono rinviate ad un decreto del
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze, da adottare entro novanta giorni dall’entrata in
vigore della Legge europea.
Articolo 8
(Disposizioni relative al
riconoscimento dei diritti quesiti degli ex lettori di lingua straniera. Caso EU-Pilot
2079/11/EMPL)
L’articolo 8 stanzia risorse per consentire il superamento del contenzioso relativo alla ricostruzione di carriera degli ex lettori di lingua straniera assunti nelle università statali prima dell’entrata in vigore del D.L. 120/1995 (L. 236/1995), con il quale è stata introdotta nell’ordinamento nazionale la nuova figura del “collaboratore esperto linguistico”.
Secondo la relazione illustrativa, la disposizione intende risolvere il caso EU-Pilot 2079/11/EMPL nell’ambito del quale la Commissione europea ha chiesto chiarimenti all’Italia circa la compatibilità dell'articolo 26, comma 3, ultimo capoverso, della L. 240/2010 – che ha stabilito l'automatica estinzione dei giudizi in corso alla data della sua entrata in vigore, relativi al trattamento economico degli ex lettori – con l'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che tutela il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale.
In particolare, la Commissione, pur ritenendo che l'automatica estinzione dei giudizi pendenti potrebbe essere vista come logica conseguenza di una definizione in via legislativa della questione oggetto di controversia, si è interrogata sulla necessità e la proporzionalità della restrizione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (più ampiamente, v. infra par. Procedure di contenzioso).
Nello specifico, l’articolo 8 prevede che, a decorrere dal 2017, il Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO)[9] è incrementato di € 8.705.000[10] destinati, a titolo di cofinanziamento, alla copertura degli oneri derivanti dai contratti integrativi di sede perfezionati dalle università statali italiane e volti a superare il contenzioso in atto, nonché a prevenire l’instaurazione di nuovo contenzioso nei confronti delle medesime università da parte degli ex lettori di lingua straniera.
Al riguardo, la relazione
illustrativa e l’analisi
tecnico-normativa fanno presente che, sui circa 500 ex lettori in servizio
nelle università statali, circa 260
hanno un contenzioso pendente con gli atenei dai quali dipendono.
La relazione tecnica, a sua
volta, evidenzia che l’onere complessivo pari a € 8.705.000 annui è calcolato
moltiplicando il costo massimo pro capite per l’adeguamento stipendiale (pari a
€ 33.480) per le 260 unità interessate.
Le risorse sono
destinate esclusivamente alle università che perfezionano i contratti integrativi di sede – definiti,
a livello di singolo ateneo, secondo uno schema-tipo
da emanare con decreto del Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze, entro 90
giorni dalla data di entrata in vigore della legge – entro il 31 dicembre 2017. Lo stesso decreto definisce i criteri di ripartizione delle stesse
risorse.
Al relativo onere si
provvede, quanto a € 8.705.000 per il 2017 e a decorrere dal 2019, e quanto a €
5.135.000 per il 2018, mediante corrispondente riduzione del fondo per il
recepimento della normativa europea (art. 41-bis della L. 234/2012). Per la quota non coperta, per il 2018, a valere
sul citato fondo, pari a € 3.570.000, si provvede mediante corrispondente
riduzione delle proiezioni, per il medesimo anno, del fondo speciale di parte
corrente relativo al MEF.
Al riguardo, occorre ricordare che l’art. 28 del DPR 382/1980 aveva previsto la possibilità per le università di
assumere – con contratto di diritto privato di durata massima pari ad un anno accademico, rinnovabile per un massimo
di cinque anni consecutivi –, in relazione ad effettive esigenze di
esercitazioni degli studenti di corsi di lingua, e anche al di fuori di
specifici accordi internazionali, lettori
di madre lingua straniera di qualificata e riconosciuta competenza,
accertata dalla facoltà interessata, in
numero non superiore al rapporto di uno a centocinquanta tra il lettore e gli
studenti effettivamente frequentanti il corso. I relativi oneri erano coperti
con finanziamenti a tale scopo
predisposti per ciascuna università con decreto del Ministro della pubblica
istruzione, sentito il CUN.
Tale disciplina è stata censurata dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 55
del 23 febbraio 1989, nella parte in
cui non consentiva il rinnovo annuale per più di cinque anni dei suddetti
contratti.
Ulteriori censure, sotto diversi profili, sono
derivate dalle sentenze della Corte di
Giustizia europea del 30 maggio 1989 (causa
33/88) e del 2 agosto 1993
(cause riunite C-259/91, C-331/91 e C-332/91), nonché dalla
procedura di infrazione n. 92/4660.
E’ stato conseguentemente approvato il citato D.L. 120/1995 (L. 236/1995), il cui art. 4 ha dettato una nuova disciplina,
abrogando contestualmente l’art. 28 del DPR 382/1980.
Nello specifico, la nuova disciplina – rimettendo, tra
l’altro, gli oneri a carico dei bilanci dei singoli atenei, anche a seguito
dell’intervenuta autonomia finanziaria degli stessi (art. 5, L. 537/1993) – ha
previsto che, a decorrere dal 1° gennaio
1994, le università possono assumere, compatibilmente
con le risorse disponibili nei propri bilanci, per esigenze di
apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche, anche
mediante apposite strutture d'ateneo, istituite secondo i propri ordinamenti, collaboratori ed esperti linguistici di
lingua madre (CEL) – in possesso
di laurea o titolo universitario straniero adeguato alle funzioni da svolgere e
di idonea qualificazione e competenza – con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo
indeterminato ovvero, per esigenze temporanee, a tempo determinato. L'assunzione
avviene per selezione pubblica, le cui modalità sono disciplinate dalle
università, secondo i rispettivi ordinamenti .
Sempre in base all’art. 4 citato, le università
avevano l'obbligo di assumere
prioritariamente i titolari dei contratti di cui all'art. 28 del DPR 382/1980,
in servizio nell'a.a. 1993-1994, nonché quelli cessati dal servizio per
scadenza del termine dell'incarico, salvo che la mancata rinnovazione fosse
dipesa da inidoneità o da soppressione del posto. Il personale così assunto conservava i diritti acquisiti in
relazione ai precedenti rapporti.
Con sentenza del 26
giugno 2001 (causa C-212/99), la Corte di
giustizia europea ha però stabilito che l’Italia è venuta meno agli
obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 39 del Trattato CE “con
riferimento alla prassi amministrativa e contrattuale posta in essere da alcune
università pubbliche [Università degli studi della Basilicata, di Milano,
Palermo, Pisa, La Sapienza di Roma e L'Orientale di Napoli], prassi che si
traduce nel mancato riconoscimento dei
diritti quesiti degli ex lettori di lingua straniera, riconoscimento invece
garantito alla generalità dei lavoratori nazionali”, in quanto “ai collaboratori linguistici non è stata riconosciuta, in
termini di trattamento economico e previdenziale, l'anzianità di servizio che
avevano acquisito come lettori di lingua straniera prima dell'entrata in vigore
della L. 236/1995”[11]. Ne è derivata
la condanna alle spese.
In seguito a tale condanna, la Commissione europea ha
chiesto all’Italia di dare adempimento alla sentenza sopra citata, e da ultimo,
con parere motivato del 30 aprile 2003,
le ha concesso un termine di 2 mesi dalla notifica dello stesso, per adottare
gli strumenti necessari.
L’intervento normativo in esecuzione della sentenza è
stato effettuato nel 2004. In particolare, l’art. 1, co. 1, del D.L. 2/2004 (L. 63/2004) ha attribuito ai
collaboratori esperti linguistici presso le sei università sopra indicate, già destinatari
di contratti stipulati ai sensi dell'art. 28 del DPR 382/1980, un trattamento economico, proporzionale
all'impegno orario assolto - tenendo
conto che l'impegno pieno corrisponde a 500 ore -, corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito,
con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali
trattamenti più favorevoli. La richiamata equiparazione è stata disposta ai
soli fini economici, con esclusione dell’esercizio da parte dei collaboratori
linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, di qualsiasi funzione
docente.
Il 4 marzo 2004 la Commissione europea ha presentato
ricorso alla Corte di giustizia europea chiedendo l’accertamento del
persistente inadempimento dell’Italia nei confronti della sentenza 26 giugno
2001 e il pagamento di una penale giornaliera.
La Corte di
giustizia europea, con sentenza 18
luglio 2006 (causa C-119/04), ha accertato l'inadempimento
dei suddetti obblighi – con riferimento alla situazione esistente prima dell'entrata
in vigore del D.L. 2/2004 – per la mancata attuazione da parte dell'Italia
dei provvedimenti richiesti dalla esecuzione della pronuncia del 26 giugno
2001, nel termine di due mesi assegnato dal parere motivato della Commissione
del 30 aprile 2003. Ha, peraltro, escluso la permanenza del suddetto
inadempimento, alla data dell'esame dei fatti, nel quadro normativo stabilito
dal D.L. 2/2004.
Nel frattempo, la Corte di
Cassazione sezione Lavoro, con le sentenze 21856/2004 e 5909/2005, ha
esteso l’ambito di applicazione del D.L. 2/2004, in particolare affermando che:
“la delimitazione del campo di applicazione di tale nuova normativa alle
università specificatamente indicate non può interferire sul valore di
ulteriore fonte di diritto comunitario che deve essere attribuito alle sentenze
della Corte di Giustizia delle Comunità europee, ed in particolare alla citata
sentenza del 26 giugno 2001, che la normativa stessa intende eseguire.
Pertanto, il trattamento spettante secondo questa disciplina deve essere
riconosciuto a tutti gli appartenenti alla categoria dei collaboratori
linguistici, ex lettori di madre lingua straniera ancorché dipendenti da università
diverse da quelle contemplate” (Cass. n. 5909/2005)[12].
Da ultimo, l’art. 26, co. 3, della L. 240/2010 ha disposto che l’art. 1, co. 1, del D.L. 2/2004 si interpreta nel senso che ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università interessate quali lettori di madrelingua straniera, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all'impegno orario effettivamente assolto, deve essere attribuito con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma dell'art. 28 del DPR 382/1980, sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma dell'art. 4 del D.L. 120/1995.
Inoltre, ha disposto
che, a decorrere da quest'ultima data, a tutela dei diritti maturati nel
rapporto di lavoro precedente, i collaboratori esperti linguistici hanno
diritto a conservare, quale trattamento retributivo individuale, l'importo
corrispondente alla differenza tra l'ultima retribuzione percepita come lettori
di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal D.L. 2/2004,
e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le
previsioni della contrattazione collettiva di comparto e decentrata applicabile
a norma del D.L. 120/1995. Ha, infine, previsto l’estinzione dei giudizi in materia, in corso alla data di entrata in
vigore della legge[13] [14].
Al riguardo, l’analisi
tecnico-normativa fa presente che, a fronte di quanto previsto dall’art.
26, co. 3, della L. 240/2010, molti ex lettori hanno avviato un contenzioso nei
confronti degli atenei dai quali dipendono, reclamando il diritto a conservare
una retribuzione e una progressione economica corrispondente a quelle dei
ricercatori confermati anche per i periodi successivi al 1994 (anno di
instaurazione del nuovo rapporto di lavoro quali collaboratori esperti linguistici).
Sempre l’analisi tecnico-normativa evidenzia che il contenzioso, in
alcuni casi, si è risolto con pronunce sfavorevoli per le università
(Cassazione, sezione lavoro: 28 settembre 2016, n. 19190; 15 ottobre 2014, n.
21831; 5 luglio 2011, n. 14705).
Al riguardo, nella risposta del 16 dicembre 2014 all'interrogazione discussa nella 7^ Commissione del Senato n. 3-00189, il rappresentante del Governo ha rimarcato che “il contenzioso è particolarmente delicato per quelle università (tra le quali l’università di Catania) che hanno, in un primo momento, riconosciuto ai lettori lo stipendio del ricercatore universitario anche dopo la trasformazione del rapporto di lavoro in CEL e poi, con l’entrata in vigore della legge n. 240 del 2010, hanno modificato tale trattamento economico procedendo al recupero delle somme già percepite dagli interessati”.
Con riguardo alla estinzione dei giudizi, la Corte di Cassazione sezione Lavoro, con ordinanza n. 79/2017, ha rimesso una serie di ricorsi al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, a seguito dei diversi orientamenti giurisprudenziali maturati nel corso del tempo, che l’ordinanza riassume.
In particolare, ha evidenziato che la stessa Cassazione – a partire dalla sentenza n. 2941 del 7 febbraio 2013 – ha applicato la disciplina generale ex art. 310 c.p.c., stabilendo che, ove la controversia sia pendente in Cassazione, con l’estinzione si determina il passaggio in giudicato della sentenza di merito. Ciò ha poi riguardato anche fattispecie in cui le sentenze di appello avevano accolto le pretese dei lettori anche in termini più favorevoli rispetto alle previsioni di legge. Peraltro, l’ordinanza evidenzia come recenti sentenze della stessa Cassazione (da ultimo la n. 10190/2016) hanno circoscritto l’estinzione ai soli processi in cui rilevi l’assetto dato dal legislatore alla materia. In tali casi l’estinzione – riguardando il giudizio e non il processo – dovrebbe investire anche le pronunce rese nel frattempo, siano esse favorevoli o sfavorevoli ai lettori, sì da evitare disparità di trattamento.
Inoltre, l’ordinanza
evidenzia che non appaiono omogenee le posizioni assunte dalla Cassazione nel
corso del tempo, circa la resistenza del giudicato alla sopravvenienza della
nuova normativa che ha trasformato la figura del lettore.
Il 22 dicembre 2014 la Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 2079/11/EMPL, ha chiesto chiarimenti all’Italia circa la compatibilità dell'articolo 26, comma 3, ultimo capoverso, della legge n. 240 del 30 dicembre 2010, che stabilisce l'automatica estinzione dei giudizi pendenti relativi al trattamento economico degli ex lettori, con l'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che tutela il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale.
In particolare, la Commissione rileva l'automatica estinzione dei giudizi pendenti potrebbe essere vista come logica conseguenza del fatto che, in seguito alla definizione in via legislativa della questione oggetto di controversia, tali giudizi sarebbero effettivamente privati della loro ragion d'essere.
Al riguardo, la Commissione ritiene che ragioni di economia processuale, ed in particolare l'esigenza di evitare un inutile dispendio di risorse pubbliche e garantire una deflazione del contenzioso, assicurando in tal modo il buon andamento dell'amministrazione della giustizia, possano in linea di principio giustificare un intervento del legislatore quale quello in questione. Tuttavia, si interroga sulla necessità e la proporzionalità della restrizione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva che deriva dalla contestata disposizione.
La Commissione ritiene pertanto necessario ottenere chiarimenti da parte delle autorità italiane circa:
· il numero di procedimenti interessati dall'applicazione della disposizione contestata, al fine di valutare se l'automatica estinzione dei procedimenti sia effettivamente necessaria a perseguire gli obiettivi di economia processuale;
· quali siano le conseguenze concrete prodotte dall'applicazione della norma contestata sui diritti sostanziali e processuali delle parti nei procedimenti interessati;
· con riguardo alle modalità della declaratoria di estinzione, se in tale caso l'estinzione avvenga in modo automatico ovvero debba essere pronunciata dal giudice a seguito di una valutazione delle circostanze da effettuarsi caso per caso;
· se la declaratoria di estinzione debba essere pronunciata per "cessazione della materia del contendere", ovvero per altri motivi;
· se sia soggetta ad un obbligo di motivazione, se sia subordinata ad una valutazione del giudice circa l'eventuale esistenza di pretese residuali (incluse eventuali domande di risarcimento dei danni) e se sia impugnabile (e in caso affermativo, con quali mezzi e a quali condizioni);
· se l'impossibilità di conseguire una pronuncia nel merito, che sembra derivare dall'estinzione del giudizio, abbia in concreto effetti pregiudizievoli per le parti, con particolare riguardo all'obiettivo di ottenere una celere ed effettiva soddisfazione delle pretese economiche fondate sull'articolo 26, comma 3, della legge 240/2010. In tale contesto, le autorità italiane sono in particolare invitate a fornire informazioni dettagliate a proposito dei seguenti elementi: l'esistenza di garanzie circa il rimborso delle spese legali di avvio del procedimento e degli altri costi sostenuti per intentare l'azione giudiziaria; l'esistenza di garanzie circa la possibilità di ottenere il risarcimento di eventuali danni.
L’art. 8 del DDL legge europea mira alla chiusura dei contenziosi
attuali, pur non modificando direttamente la norma contestata (articolo 26,
comma 3, ultimo capoverso, della legge n 240/2010). Infatti, per superare il contenzioso in atto e prevenire
l’instaurazione di nuovo contenzioso, la norma prevede che agli ex lettori di madrelingua sarà almeno
attribuito, proporzionalmente all’impegno orario assolto, tenendo conto che
l’impegno pieno corrisponde a 500 ore, un trattamento economico corrispondente
a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di
prima assunzione. Tale equiparazione è disposta ai soli fini economici ed
esclude l’esercizio da parte dei predetti collaboratori linguistici di
qualsiasi funzione docente.
Articolo 9
(Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/2203 del
Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015, sul ravvicinamento
delle legislazioni degli Stati membri relative alle caseine e ai caseinati
destinati all'alimentazione umana e che abroga la direttiva 83/417/CEE del
Consiglio. Procedura di infrazione n. 2017/0129)
L’articolo 9, riguardante la sicurezza
dei prodotti alimentari a base di caseina, prevede disposizioni di attuazione
della direttiva 2015/2203/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sul
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle caseine e ai
caseinati destinati all'alimentazione umana e che abroga la direttiva
83/417/CEE del Consiglio.
L’articolo in esame
adegua la normativa vigente alle nuove disposizioni attualmente in vigore,
anche in tema di etichettatura, contenute nel regolamento (UE) n. 1169/2011;
ma, soprattutto, esso è volto a dare recepimento alla direttiva (UE)
2015/2203, avente lo scopo di:
· allineare i poteri conferiti alla Commissione dalla nuova distinzione introdotta dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE); la proposta è intesa a delineare il conferimento dei poteri alla Commissione nel nuovo contesto giuridico creato dal trattato di Lisbona;
· tener conto della nuova legislazione adottata nel frattempo, segnatamente per quanto riguarda l'alimentazione umana (la direttiva 2000/13/CE, il regolamento (CE) n. 178/2002, il regolamento (CE) n. 882/2004, il regolamento (CE) n. 1332/2008 ed il regolamento (CE) n. 1333/2008);
· adeguare i requisiti di composizione dei prodotti interessati alle norme internazionali pertinenti adottate dal Codex Alimentarius. Tale adeguamento implica due modifiche: il tenore massimo di umidità della caseina alimentare aumenta dal 10% al 12% e il tenore massimo di grassi del latte della caseina acida alimentare è ridotto dal 2,25% al 2%.
Obiettivo della direttiva,
oggetto del presente recepimento, è dunque quello di facilitare la libera
circolazione delle caseine e dei caseinati destinati all'alimentazione umana,
garantendo, al contempo, un elevato livello di tutela della salute, nonché
allineare le disposizioni vigenti nei singoli Stati alla legislazione generale
dell'Unione ed a quella internazionale.
L’articolo 21 della legge di delegazione europea 2014 (legge n. 170/2016) aveva autorizzato il Governo a dare attuazione alla
predetta direttiva mediante regolamento; ma, considerata l’esigenza di dettare
anche una disciplina sanzionatoria (al fine di adeguare l’importo delle
sanzioni amministrative previste dall’articolo 8 del D.P.R. n. 180 del 1988),
si è ritenuto necessario adottare, mediante recepimento diretto, un
provvedimento di rango primario.
Il comma 1
definisce l’ambito oggettivo di applicazione della norma, ossia la
produzione e la commercializzazione delle caseine e dei caseinati destinati
all’alimentazione umana e alle loro miscele.
Le caseine e i caseinati
destinati all’alimentazione umana sono una categoria di lattoproteine ossia di
proteine ottenute dalla coagulazione del latte.
Nel settore alimentare sono
utilizzate come coadiuvanti tecnologici in molti alimenti, ad esempio, nel
vino, nei dolciumi, nelle caramelle e vengono altresì impiegate quali
ingredienti nei salumi dove fungono da collante.
Nel panorama caseario
europeo, è permesso l'utilizzo di caseine e di caseinati, come alternativa al
latte, nella produzione di formaggi entro un massimo del 10 per cento
dell'intera produzione.
La caseina viene prodotta
solo quando il latte viene lavorato per la produzione di burro e sono pochi,
quindi, i produttori che possono permettersi impianti completi.
L'uso della caseina è esteso
anche ad una larga parte dell'industria, per la sua proprietà di eccellente
collante ecologico; si utilizza, ad esempio, nella produzione di gomma,
guarnizioni, produzione di fuochi artificiali e patinatura di carta.
Fino a pochi anni fa, la
Commissione europea finanziava i produttori di caseina e caseinati per gli alti
costi di produzione; attualmente, invece, tali finanziamenti non vengono più
erogati.
I caseinati sono invece quei
prodotti ottenuti mediante essiccazione delle caseine non neutralizzanti.
I produttori utilizzano i
caseinati perché il loro costo è più basso rispetto al latte, in quanto i
caseinati vengono prodotti in paesi come Argentina, Nuova Zelanda e Australia,
dove il costo del latte è inferiore a quello europeo e tale, dunque, da rendere
più conveniente un prodotto per ottenere il quale occorre sostenere costi
industriali importanti: acidificazione del latte, separazione ed essiccazione
delle caseine.
Il comma 2
introduce, secondo le indicazione della direttiva, la definizione di
«caseina acida alimentare”, di «caseina presamica alimentare e di «caseinati
alimentari”.
Il comma 3
descrive le indicazioni obbligatorie che i prodotti, aventi ad oggetto
caseine e caseinati, devono riportare su imballaggi, recipienti o etichette in
caratteri ben visibili, chiaramente leggibili ed indelebili.
Il comma 4
individua quali indicazioni devono obbligatoriamente figurare in lingua
italiana, potendo anche essere riportate in altra lingua.
Il comma 5
contempla, come indicato nella direttiva, la possibilità di deroga per
alcune delle indicazioni obbligatorie (quali la indicazione del tenore di
proteine per le miscele contenenti caseinati alimentari, la quantità netta di
prodotti espressa in chilogrammi, il nome o ragione sociale dell’operatore del
settore alimentare e l’indicazione del Paese di origine nel caso di provenienza
da un Paese terzo), che potrebbero essere inserite solo nel documento di
accompagnamento.
Il comma 6
prevede che, quando il tenore minimo di proteine del latte, stabilito
all'allegato I, sezione I, lettera a),
punto 2, all'allegato I, sezione II, lettera a), punto 2, e all'allegato II, lettera a), punto 2, della direttiva (UE) 2015/2203 risulta superato, è
possibile indicarlo in modo adeguato sugli imballaggi, sui recipienti o sulle
etichette dei prodotti.
In merito agli allegati, si rappresenta
che nell’articolo si rinvia al contenuto degli allegati della stessa direttiva,
considerato che gli articoli 5 e 6 della direttiva prevedono che, al fine di
tener conto della evoluzione delle norme internazionali applicabili e del
progresso tecnico, la Commissione ha il potere di adottare atti delegati al
fine di modificare le norme stabilite agli allegati I e II, i quali
stabiliscono, in particolare, i fattori essenziali di composizione delle
caseine, i contaminanti, le impurità, i coadiuvanti tecnologici, le colture
batteriche, gli ingredienti autorizzati e le caratteristiche organolettiche
delle caseine.
Il comma 7
detta una disposizione riguardante lo smaltimento delle scorte,
prevedendo che i lotti di prodotto, fabbricati anteriormente all’entrata in
vigore della legge proposta, e le etichette non conformi a quanto sancito dallo
stesso, potranno essere commercializzati fino alla data del 31 dicembre 2018.
I commi 8, 9, 10,
11 e 12 introducono norme
sanzionatorie riguardanti le prescrizioni in materia di sicurezza e di
commercializzazione di tali prodotti, prevedendo tre ipotesi di illecito
amministrativo, facendo salve le ipotesi in cui le condotte descritte integrino
una fattispecie di illecito penale.
Si prevede, in
particolare, che integri un illecito amministrativo la condotta di colui che:
1) utilizza - per la preparazione di alimenti - caseine o caseinati che non rispondono ai requisiti previsti dalla direttiva, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da euro mille ad euro diecimila;
2) denomina le caseine o i caseinati, commercializzati per usi diversi, in modo tale da indurre in errore il consumatore sul loro effettivo uso, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquecento ad euro cinquemila;
3) pone in commercio, con le denominazioni indicate nel comma 2 ovvero con altre denominazioni similari che possono indurre in errore l’acquirente, prodotti non rispondenti ai requisiti stabiliti dall’art. 9 in commento, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquecento ad euro cinquemila;
4) pone in commercio i prodotti di cui al comma 2, con una denominazione comunque diversa da quelle prescritte dal medesimo articolo in esame, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da euro duecentocinquanta ad euro duemilacinquecento;
5) viola le disposizioni stabilite nel comma 3 dello stesso articolo relative alle indicazioni obbligatorie che devono essere apposte su imballaggi, recipienti, etichette o documenti, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro cinquecento ad euro cinquemila.
I commi 13 e 14
individuano le Autorità competenti ad accertare le violazioni - in
conformità alle previsioni contenute nell’articolo 2 del decreto legislativo 6
novembre 2007, n. 193 - e ad irrogare le sanzioni previste (con la procedura
della legge n. 689/1981, capo primo, sezione seconda). A livello nazionale, le
autorità competenti ad effettuare tali attività sono il Ministero della salute,
per la parte relativa alla sicurezza alimentare e il Ministero delle politiche
agricole alimentari e forestali per la parte relativa ai controlli qualitativi
e quantitativi. A livello territoriale, le autorità competenti sono le regioni,
le province autonome e le ASL. Le amministrazioni svolgeranno tali attività con
le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Il comma 15
detta una specifica clausola di invarianza finanziaria. In effetti, in
merito ai controlli in materia di sicurezza alimentare, già la citata normativa
prevede che le autorità competenti siano il Ministero della salute, le Regioni,
le province autonome di Trento e Bolzano e le aziende sanitarie locali,
nell’ambito delle rispettive competenze: secondo la relazione tecnica,
«trattasi, pertanto, di attività istituzionali delle medesime, fronteggiabili
con le risorse disponibili a legislazione vigente. Le attività di controllo di
competenza del Ministero della salute sono già coperte dalle risorse previste
dal capitolo di spesa 5010 del Ministero della salute “Spese per il
potenziamento ed il miglioramento dell'efficacia della programmazione e
dell'attuazione del piano nazionale integrato dei controlli”, mentre i
controlli di competenza del Ministero delle politiche agricole alimentari e
forestali sono coperti con le risorse finanziarie già destinate al
funzionamento e all’operatività dell’Ispettorato centrale repressione frodi
(Missione 1 “Agricoltura, politiche agroalimentari e pesca” Programma 1.4
“Vigilanza, prevenzione e repressione frodi nel settore agricolo,
agroalimentare, agroindustriale e forestale”, capitoli n. 2460 e n. 2461 “Spese
per acquisti di beni e servizi” e pertinenti piani gestionali)».
Il comma 16
dispone l’abrogazione del decreto del Presidente della Repubblica 17
maggio1988, n. 180 con il quale era stata recepita la direttiva 83/417/CEE,
ora abrogata dalla direttiva (UE) 2015/2203.
La direttiva 83/417/CEE del
Consiglio del 25 luglio 1983, recepita con il decreto del Presidente della
Repubblica 17 maggio 1988 n. 180, prevedeva il ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri per talune lattoproteine (caseine e caseinati),
destinate all’alimentazione umana. La suddetta direttiva armonizzava, a livello
europeo, le caratteristiche di composizione e di fabbricazione delle suddette
caseine, al fine di fornire una regolamentazione uniforme delle stesse.
Dall'entrata in vigore della direttiva erano intervenuti vari cambiamenti, in
particolare, lo sviluppo di un ampio quadro normativo nel settore del diritto
alimentare e l'adozione di una norma internazionale relativa ai prodotti
alimentari a base di caseina, da parte della Commissione europea, di cui oggi occorre
tenere conto.
L'articolo 9 è
finalizzato all’archiviazione della procedura di infrazione n. 2017/0129,
allo stadio di messa in mora ex art.
258 TFUE, avviata dalla Commissione europea il 24 gennaio 2017
(SG-Greffe(2017)D/1429) per mancato recepimento della direttiva entro il
termine in essa contenuto (22 dicembre 2016).
Articolo 10
(Disposizioni in materia di tutela delle
acque. Monitoraggio delle sostanze chimiche. Caso EU-Pilot 7304/15/ENVI)
L’articolo 10 integra le disposizioni, dettate dall’art. 78-sexies del cd. Codice dell’ambiente (decreto legislativo n. 152 del 2006, d’ora in avanti Codice), relative ai metodi di analisi utilizzati per il monitoraggio dello stato delle acque, al fine di garantire l’intercomparabilità, a livello di distretto idrografico, dei risultati del monitoraggio medesimo e pervenire, quindi, al superamento di una delle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell’ambito del caso EU-Pilot 7304/15/ENVI.
A tal fine, viene previsto che le autorità di bacino distrettuali promuovano intese con le regioni e le province autonome ricadenti nel distretto idrografico di competenza.
La norma precisa altresì che l’intercomparabilità, che le intese dovranno perseguire a livello di distretto idrografico, dovrà riguardare i dati del monitoraggio:
· delle sostanze prioritarie di cui alle tabelle l/A e 2/A dell’allegato 1;
Si ricorda che la tabella 1/A dell’allegato 1 alla parte terza del Codice indica gli standard di qualità ambientale nella colonna d'acqua e nel biota per le sostanze dell'elenco di priorità, mentre la successiva tabella 2/A indica gli standard di qualità ambientale nei sedimenti nei corpi idrici marino-costieri e di transizione.
· e delle sostanze non prioritarie di cui alla tabella l/B dell’allegato 1.
Nella tabella 1/B sono definiti gli standard di qualità ambientale per alcune delle sostanze appartenenti alle famiglie di cui all’Allegato 8 (che fornisce un elenco indicativo dei principali inquinanti).
Per garantire il raggiungimento delle finalità indicate, viene altresì previsto che l’ISPRA provveda alla pubblicazione sul proprio sito web, entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge, dell’elenco dei laboratori del sistema agenziale dotati delle metodiche analitiche disponibili a costi sostenibili, conformi ai requisiti di cui al paragrafo A.2.8.-bis della sezione A "Stato delle acque superficiali" della parte 2 "Modalità per la classificazione dello stato di qualità dei corpi idrici" dell'allegato 1 alla parte terza del Codice (v. infra).
L’articolo 78-sexies è stato inserito nel cd. Codice dell’ambiente dall'art. 1, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 10 dicembre 2010, n. 219, recante “Attuazione della direttiva 2008/105/CE relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/CEE, 84/491/CEE, 86/280/CEE, nonché modifica della direttiva 2000/60/CE e recepimento della direttiva 2009/90/CE che stabilisce, conformemente alla direttiva 2000/60/CE, specifiche tecniche per l'analisi chimica e il monitoraggio dello stato delle acque”.
Il testo vigente del comma 1 dell’art. 78-sexies del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) affida all’ISPRA il compito di verificare che i requisiti minimi di prestazione per tutti i metodi di analisi siano basati su una incertezza di misura definita conformemente ai criteri tecnici riportati al paragrafo A.2.8.-bis della sezione A "Stato delle acque superficiali" della parte 2 "Modalità per la classificazione dello stato di qualità dei corpi idrici" dell'allegato 1 alla parte terza del Codice.
Il successivo comma 2 dispone che, in mancanza di standard di qualità ambientali per un dato parametro o di un metodo di analisi che rispetti i requisiti minimi di prestazione citati, le ARPA e le APPA assicurano che il monitoraggio sia svolto applicando le migliori tecniche disponibili a costi sostenibili.
Le disposizioni dettate dall’art. 78-sexies consentono di recepire il disposto dell’art. 4 della direttiva 2009/90/CE.
In base al paragrafo 1 dell’art. 4, gli Stati membri verificano che i criteri minimi di efficienza per tutti i metodi di analisi siano basati su un'incertezza di misura pari o inferiore al 50% (k = 2) stimata al livello degli standard di qualità ambientale pertinenti e su un limite di quantificazione pari o inferiore al 30% rispetto agli standard di qualità ambientale pertinenti.
Il recepimento delle soglie indicate da tale articolo è operato dalla nuova lettera A. 2.8.-bis (anch’essa inserita nel testo del Codice dal citato D.Lgs. 219/2010) che, nel disciplinare i “requisiti minimi di prestazione per i metodi di analisi e calcolo dei valori medi”, prescrive, tra l’altro, le seguenti prestazioni minime dei metodi di misurazione:
· alle concentrazioni dello standard di qualità (SQA-MA ed SQA-CMA) l'incertezza estesa associata al risultato di misura non deve essere superiore al 50% del valore dello standard di qualità. L'incertezza estesa sarà ottenuta … ponendo il fattore di copertura k uguale a 2;
· il limite di quantificazione dei metodi deve essere uguale od inferiore al 30% dei valori dello standard di qualità (SQA-MA);
· per quanto riguarda la valutazione dell'incertezza di misura, per i metodi che includono i dati di precisione … il laboratorio che li adotta deve “verificare che l'incertezza estesa (k=2) ottenuta dal dato di riproducibilità del metodo sia inferiore al 50% del valore dello standard di qualità”.
Il paragrafo 2 dell’articolo 4 dispone che, in mancanza di standard di qualità ambientale per un dato parametro o di un metodo di analisi che rispetti i criteri minimi di efficienza stabiliti al paragrafo 1, gli Stati membri assicurano che il monitoraggio sia svolto applicando le migliori tecniche disponibili che non comportino costi eccessivi.
Occorre inoltre ricordare che, secondo il 1° considerando della medesima direttiva, “occorre garantire la qualità e la comparabilità dei risultati analitici ottenuti dai laboratori incaricati dalle autorità nazionali competenti di effettuare il monitoraggio chimico delle acque, come previsto dall'articolo 8 della direttiva 2000/60/CE”.
Il richiamato articolo 8 della direttiva quadro sulle acque (direttiva 2000/60/CE) stabilisce che gli Stati membri provvedono a elaborare programmi di monitoraggio dello stato delle acque al fine di definire una visione coerente e globale dello stato delle acque all'interno di ciascun distretto idrografico e prevede l’adozione di specifiche tecniche e metodi uniformi per analizzare e monitorare lo stato delle acque.
La relazione illustrativa sottolinea che le disposizioni del D.Lgs. 219/2010 hanno “attribuito alle regioni, attraverso le agenzie regionali dell’ambiente (ARPA e APPA), la facoltà di scelta delle migliori tecniche disponibili (MTD) per il monitoraggio delle sostanze chimiche. In alcuni casi, però, l’applicazione di diverse metodiche analitiche sullo stesso corpo idrico comune a più regioni ha portato a risultati analitici diversi e incoerenti tra le diverse regioni ricadenti nel medesimo distretto”.
Per tale motivo, quindi, e per garantire il rispetto del requisito dell’intercomparabilità previsto dalla normativa europea, sono dettate le disposizioni dell’articolo in esame.
L’art. 2, comma 1, dello Statuto approvato con D.M. Ambiente 27 novembre 2013 ha attribuito, tra l’altro, all’ISPRA, compiti di controllo, di monitoraggio e di valutazione con riferimento alla tutela delle acque. Il comma 4 dell’art. 2 dello statuto prevede altresì che l’ISPRA garantisce, attraverso il coordinamento del sistema agenziale, anche l’accuratezza delle misurazioni e il rispetto degli obiettivi di qualità e di convalida dei dati, provvedendo, fra l’altro, all’approvazione di sistemi di misurazione, all’adozione di linee guida e all’accreditamento dei laboratori.
La relazione illustrativa sottolinea che l’elenco dei laboratori dotati delle metodiche analitiche conformi ai requisiti di cui al citato paragrafo A.2.8.-bis verrà reso disponibile mediante la pubblicazione dello stesso in una sezione dedicata del sito di ISPRA, attraverso il Sistema informativo nazionale per la tutela delle acque italiane (SINTAI).
Sul sito del SINTAI si legge che l'ISPRA, per gli specifici compiti assegnati in materia di tutela delle acque, ha progettato, realizzato e messo in opera il SINTAI, attraverso il quale tutte le attività relative alla gestione delle informazioni vengono espletate. In particolare nel SINTAI sono disponibili tutti i dati prodotti dal sistema delle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente e trasmessi all'ISPRA dalle regioni e province autonome.
Si fa infine notare che la messa a disposizione delle informazioni tramite il sistema SINTAI è contemplata anche dall’art. 78-ter del D.lgs. 152/2006 (inserito dall’art. 1 del D.Lgs. 219/2010), che disciplina l’inventario dei rilasci da fonte diffusa, degli scarichi e delle perdite.
Si ricorda che la legge n. 132 del 28 giugno 2016, entrata in vigore il 14 gennaio 2017, è volta a istituire il Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente (SNPA), di cui fanno parte l'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e le agenzie regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano per la protezione dell'ambiente, nonché a intervenire sulla disciplina dell'ISPRA.
L’art. 4, comma 2, dispone che l'ISPRA, fermi restando i compiti e le funzioni ad esso attribuiti dalla normativa vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, adegua la propria struttura organizzativa e tecnica al perseguimento degli obiettivi fissati dalla legge e prevede, tra l’altro, l’adeguamento dello statuto dell’ISPRA - entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge (cioè entro il 14 maggio 2017) - “per la parte relativa alle funzioni conferite dalla presente legge”.
Secondo la Commissione europea, vi sarebbero numerosi esempi di cattiva o incompleta applicazione della direttiva 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque.
In particolare, la Commissione europea avrebbe chiesto di ricevere chiarimenti e informazioni in merito alle seguenti questioni.
La Commissione europea avrebbe sollevato dubbi sull’esistenza di un adeguato meccanismo di coordinamento che assicuri che gli obiettivi della direttiva siano perseguiti nell’intero distretto idrografico, come previsto dall’articolo 3, comma 4, della direttiva. Ad avviso della Commissione europea, la valutazione dei Piani di gestione dei bacini idrografici (RBMPs) mostrerebbe significative differenze nell'implementazione della direttiva all'interno dei diversi distretti di bacino idrografico italiani, con importanti differenze nell'approccio seguito dalle regioni per l'implementazione di alcuni punti chiave delle direttiva, come ad esempio la valutazione delle pressioni e degli impatti, i programmi di monitoraggio, le modalità con le quali sono stati stabiliti gli obiettivi e i programmi delle misure.
La valutazione da parte della Commissione europea dei RBMPs avrebbe rilevato importanti carenze nei programmi di monitoraggio finalizzati alla definizione dello stato di qualità delle acque, ai sensi dell’articolo 8 della direttiva, che prevede che gli Stati elaborino programmi di monitoraggio dello stato delle acque al fine di definire una visione coerente e globale dello stato delle acque all'interno di ciascun distretto idrografico.
In particolare, vi sarebbero le seguenti carenze nei programmi di monitoraggio:
· il metodo della fauna ittica, che è un indice di qualità per la classificazione dello stato ecologico dei corsi d'acqua, dei laghi e delle acque di transizione, non sarebbe stato elaborato né “intercalibrato" per consentire la comparabilità dei diversi metodi per la valutazione della qualità delle acque. Secondo la Commissione non vi sarebbero garanzie che una metodologia comune sarà applicabile (da tutte le regioni) in tempo per il secondo ciclo dei Piani di gestione dei bacini idrografici;
· non sarebbero stati effettuati adeguati monitoraggi né valutazioni degli inquinanti specifici. L'Italia, con il D.M. 260/2010, ha adottato una lista di 51 inquinanti specifici, ma dalle informazioni delle Autorità Italiane risulterebbe che non tutte le regioni abbiano iniziato il monitoraggio di queste sostanze;
· non sarebbe stata fissata una metodologia per la definizione del buon potenziale ecologico per tutti i corpi idrici artificiali e fortemente modificati, al fine di raggiungere un buono stato chimico. La definizione di una metodologia che fissi gli obiettivi per i corsi d'acqua artificiali e fortemente modificati è considerata di fondamentale importanza per l'Italia, dato il loro considerevole numero (1638, circa il 20% del totale dei corpi idrici superficiali);
· fino ad ora non sarebbero state intraprese azioni in merito alla determinazione delle pressioni quantitative sulle acque sotterranee, (con particolare riferimento alle regioni Sicilia, Calabria e Basilicata), essenziale per la valutazione dello stato delle acque sotterranee e per determinare se gli obiettivi ambientali per le acque sotterranee possono essere raggiunti;
· il monitoraggio delle sostanze prioritarie, ossia delle sostanze chimiche con un rischio significativo per l’ambiente acquatico per le quali l’UE riconosce priorità di intervento, sarebbe incompleto in diverse regioni italiane;
· lo standard di qualità delle acque stabilito dall’Italia per il mercurio potrebbe non essere sufficientemente protettivo.
Secondo la Commissione europea, vi sarebbe la mancanza di una metodologia di valutazione delle tendenze ascendenti e d'inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee nella maggior parte dei Distretti di bacino idrografico; pertanto, le autorità italiane dovrebbero chiarire quando tale metodologia sarà stabilita.
La Commissione europea sottolinea che gli obiettivi ambientali della direttiva in esame sono vincolanti e che i Piani di Bacino dovrebbero includere giustificazioni per l'applicazione delle esenzioni. Ad avviso della Commissione, i Piani di Bacino italiani non includerebbero tali giustificazioni, nonostante l'applicazione delle esenzioni sia significativa sia per i corpi idrici superficiali che per quelli sotterranei.
La valutazione effettuata dai servizi della Commissione sui Piani di Bacino italiani avrebbe rilevato una mancanza di collegamento tra le analisi delle pressioni e il programma delle misure. La direttiva in esame prevede che gli Stati Membri stabiliscano un programma di misure per il raggiungimento degli obiettivi, tenendo conto dei risultati delle analisi delle pressioni e degli impatti, che costituiscono la base per identificare il gap esistente per il raggiungimento dello stato di qualità ambientale in ciascun corpo idrico.
Secondo la Commissione europea, l'incentivazione dei prezzi in Italia sarebbe molto debole, specialmente nel settore agricolo. Infatti, non ci sarebbe un meccanismo in atto che assicuri un uso efficiente dell'acqua in agricoltura: non è richiesta alcuna misurazione dei volumi di acqua prelevati e il prezzo dell'acqua in agricoltura non è legato al volume di acqua utilizzato. Pertanto, la politica dei prezzi attuale non fornirebbe adeguati incentivi per gli utilizzatori affinché usino l'acqua in modo efficiente. Pertanto, le autorità italiane dovrebbero spiegare come vengono assicurati il meccanismo di incentivazione dei prezzi e il recupero dei costi finanziari, ambientali e della risorsa nel settore agricolo.
Le autorità italiane dovrebbero, infine, chiarire se saranno introdotte nuove misure vincolanti per gli agricoltori nei Programmi di Misure nel secondo ciclo dei Piani di gestione, relative, in particolare: alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento diffuso dovuto a azoto, fosforo e inquinanti organici, fitofarmaci; alla prevenzione e riduzione dell’erosione dei sedimenti e del suolo; alla protezione della struttura morfologica dei corsi d’acqua. Inoltre, le autorità italiane sono invitate a chiarire i limiti dei nutrienti (nitrati e fosfati) fissati per il buono stato dei corsi d’acqua.
Come affermato nella relazione del Governo, la disposizione sembrerebbe
volta a superare solo una delle contestazioni mosse dalla Commissione europea
nell’ambito del caso EU pilot 7304/15/ENVI relative alla non corretta
applicazione, a livello nazionale, della direttiva 2009/90/CE. In particolare,
l’intervento è volto ad assicurare l’intercomparabilità, a livello di distretto
idrografico (previsto all’articolo 3 della direttiva 2000/60/CE), dei dati di
monitoraggio delle sostanze chimiche e, di conseguenza, dello stato ecologico e
chimico dei corpi idrici superficiali.
Articolo 11
(Corretta attuazione della direttiva 91/27l/CEE
in materia di acque reflue urbane, con riferimento all’applicazione dei limiti
di emissione degli scarichi idrici)
L’articolo 11 modifica la disciplina relativa ai limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili, stabilendo che gli stessi limiti (riferiti al contenuto di fosforo e azoto) devono essere monitorati e rispettati non in relazione alla potenzialità dell’impianto ma, più in generale, al carico inquinante generato dall’agglomerato urbano.
Il comma 1 dell’articolo in esame modifica la tabella 2 dell’allegato 5 alla Parte Terza del decreto legislativo n. 152 del 2006 (cd. Codice dell’ambiente), la quale fissa limiti di emissione (riferiti al contenuto di fosforo e di azoto) per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili, graduati in ragione delle diverse potenzialità dell’impianto di trattamento delle acque medesime.
La tabella 2 (che si riporta di seguito) prevede infatti limiti più severi per potenzialità impiantistiche superiori a 100.000 abitanti equivalenti (A.E.) e limiti meno stringenti per potenzialità comprese tra 10.000 e 100.000 A.E.
Tabella 2. Limiti di emissione per gli impianti di
acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili.
Parametri
(media annua) |
Potenzialità
impianto in A.E. |
|||
|
10.000 -
100.000 |
> 100.000 |
||
|
Concentrazione
|
% di riduzione |
Concentrazione |
% di riduzione |
Fosforo totale
(P mg/L) |
≤ 2 |
80 |
≤ 1 |
80 |
Azoto totale
(N mg/L) |
≤ 15 |
70-80 |
≤ 10 |
70-80 |
La modifica in esame consiste nella sostituzione del titolo della seconda colonna “Potenzialità impianto in A.E.” con la dicitura “Carico generato dall’agglomerato in A.E.”, al fine appunto di riferire i limiti riportati dalla tabella non più alla potenzialità dell’impianto, bensì al carico generato dall’agglomerato.
Secondo la relazione illustrativa ciò implica quindi una estensione del campo di applicazione della norma, poiché i controlli sulla qualità degli scarichi dovranno essere effettuati sulla “totalità degli impianti di depurazione al servizio degli agglomerati superiori a 10.000 A.E., i cui scarichi recapitano in aree sensibili”. Pertanto, sempre secondo la relazione, si potrebbe avere “limitatamente ad alcune situazioni territoriali, ossia agglomerati con carico generato maggiore di 10.000 abitanti equivalenti e scarico in area sensibile, un aumento del numero degli impianti di depurazione da sottoporre a monitoraggio” che “si tradurrebbe in un aumento del numero di campioni da prelevare e sottoporre ad analisi per verificare il rispetto dei valori limite”.
Ai sensi dell’art. 5, paragrafo 2, della direttiva 91/271/CEE, gli Stati membri provvedono affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico in aree sensibili, ad un trattamento più spinto di quello standard “per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 10.000 abitanti equivalenti”. La relazione illustrativa sottolinea quindi che “secondo la direttiva, dunque, per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili, l’elemento discriminante per l’applicazione dei limiti di emissione previsti non è la potenzialità dell’impianto, bensì il carico inquinante generato dall’agglomerato, espresso in abitanti equivalenti”.
La medesima relazione ricorda che il riferimento nella Tabella 2 alla potenzialità dell’impianto in A.E. - che è stato contestato (benché solo informalmente) dalla Commissione europea nell’ambito delle procedure d’infrazione avviate sulle acque reflue urbane (procedure d’infrazione 2004/2034, 2009/2034 e 2014/2059) - ha “determinato, in diversi casi, una non corretta applicazione della direttiva 91/271/CEE”.
Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria, disponendo che le eventuali ulteriori attività, derivanti dall’estensione operata dal comma 1, sono svolte con le risorse disponibili a legislazione vigente, nei limiti delle disponibilità di bilancio degli organi di controllo e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
La relazione illustrativa chiarisce che gli eventuali oneri connessi alle ulteriori attività, “trattandosi di attività che rientrano nella gestione degli impianti di depurazione, saranno coperti con i proventi derivanti dalla tariffa del servizio idrico integrato, a norma dell’articolo 154, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.
Si ricorda, in proposito, che la richiamata norma dispone, tra l’altro, che la tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio «chi inquina paga».
La modifica prevista dall’articolo 11 mira a garantire una corretta applicazione dell'articolo 5 della direttiva 91/271/CEE che prevede che il trattamento più spinto del secondario per le aree sensibili debba essere applicato a tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 10.000 abitanti equivalenti (A.E).
Come si evince anche dalla relazione del Governo, la norma riguarda una questione - il riferimento nella citata Tabella 2 del decreto legislativo 152/2016 alla “Potenzialità impianto in A.E.” - che non è oggetto di una procedura di infrazione, ma che è stata contestata solo informalmente dalla Commissione europea nell’ambito delle procedure d’infrazione avviate sulle acque reflue urbane (2004/2034, 2009/2034 e 2014/2059), sulle quali la norma non incide.
In particolare, nell’ambito della procedura di infrazione 2009/2034, il 10 aprile 2014 la Corte di giustizia europea (Causa C-85/13) ha dichiarato che l’Italia, avendo omesso di adottare le disposizioni necessarie per garantire che in alcuni agglomerati[15] aventi un numero di abitanti equivalenti superiore a 10.000 e scaricanti in acque recipienti considerate «aree sensibili» ai sensi della direttiva 91/271, come modificata dal regolamento n. 1137/2008, le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento più spinto di un trattamento secondario o equivalente, conformemente all’articolo 5 di detta direttiva è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti.
Tale sentenza segue quella del 19 luglio 2012 (causa C-565/10) relativa alla procedura di infrazione 2004/2034, con la quale la Corte europea ha dichiarato l’inadempimento dell’Italia per non avere predisposto adeguati sistemi per il convogliamento e il trattamento delle acque reflue in numerosi centri urbani con oltre 15.000 abitanti entro il termine del 31 dicembre 2010, come previsto dalla direttiva 91/271/CE.
Poiché l’Italia non ha dato esecuzione alla sentenza
del 2012, l’8 dicembre 2016 la Commissione europea ha deferito l’Italia alla
Corte di giustizia, ex art. 260 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE),
chiedendo contestualmente che venga comminata una sanzione forfettaria di
62.699.421,40 euro, ed una sanzione giornaliera pari a 346.922,40 euro qualora
la piena conformità non sia raggiunta entro la data in cui la Corte emetterà la
sentenza.
Con riferimento ad ulteriori agglomerati urbani risultanti non conformi alla direttiva 91/271/CEE, è in corso un’altra procedura di infrazione (2014/2059), nell’ambito della quale la Commissione europea ha inviato il 26 marzo 2015 un parere motivato ex art. 258 TFUE. Con riferimento all’articolo 5, la Commissione contesta nuovamente la mancanza o l’insufficienza di informazioni relative agli impianti serventi aree sensibili e bacini drenanti di aree sensibili.
Articolo 12
(Modificazioni alla legge 24 dicembre
2012, n. 234)
L'articolo 12 reca modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 234 ("Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea"). La ratio di queste modifiche - specifica la relazione illustrativa - è, da un lato, assicurare una maggiore partecipazione del Parlamento nazionale alla fase ascendente degli atti delegati dell'Unione europea, dall'altro garantirne il corretto e tempestivo recepimento.
In particolare, la lettera a) dell’articolo in esame propone - mediante l'inserimento di una nuova lettera e-bis) del comma 7 dell'articolo 29 - che nella relazione illustrativa del disegno di legge di delegazione europea sia inserito l'elenco delle direttive dell'UE che delegano alla Commissione europea il potere di adottare atti di cui all'articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (cd. "direttive deleganti").
Si ricorda che ai sensi dell'articolo 290 del TFUE "un atto
legislativo può delegare alla Commissione il potere di adottare atti non legislativi di portata generale
che integrano o modificano determinati elementi
non essenziali dell'atto legislativo. Gli atti legislativi delimitano
esplicitamente gli obiettivi, il contenuto, la portata e la durata della delega
di potere. Gli elementi essenziali di un settore sono riservati all'atto
legislativo e non possono pertanto essere oggetto di delega di potere". Il
controllo spetta al legislatore dell'Unione (Parlamento europeo e Consiglio),
in considerazione del fatto che con la delega il legislatore medesimo ha
conferito alla Commissione il potere di elaborare atti che avrebbe potuto
adottare esso stesso. L'art. 290, par. 2, prevede le seguenti forme di
controllo, attivabili appunto dal Parlamento europeo o dal Consiglio:
1) diritto di revoca: provvedimento eccezionale, che priva in maniera generale ed assoluta la Commissione dei poteri delegati e può essere motivato, ad esempio, dal sopraggiungere di elementi tali da rimettere in causa il fondamento medesimo della delega;
2) diritto di obiezione (o "opposizione"), censura specifica rivolta contro un atto preciso.
Nell'aprile 2016 la questione degli atti delegati è stata oggetto di
una Convenzione d'intesa, allegata all'Accordo
interistituzionale "Legiferare meglio". Anche al fine di arginare le ricorrenti accuse di eccessiva
riservatezza del processo di formazione degli atti delegati, si è prevista: la
partecipazione all'elaborazione di esperti delegati dagli Stati membri
(articoli 4-7); la possibilità, per Parlamento europeo e Consiglio, di
partecipare con propri esperti (articolo 11); la divulgazione periodica di elenchi indicativi degli atti delegati
previsti (articolo 9).
Peraltro le Commissioni permanenti del Senato della Repubblica hanno in
più occasioni rilevato, nelle proprie risoluzioni, elementi di criticità nell'applicazione pratica del
sistema di delega, relativi a:
1) indeterminatezza temporale: lo schema di deleghe prive di scadenza temporale, anche se modificabili ricorrendo a opposizione o revoca, è ricorrente nelle proposte legislative della Commissione europea. Sin dal 2010 la 14a Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea) ha rilevato l'incongruenza di questa impostazione con il disposto letterale del TFUE. Si ricorda, ad esempio, la risoluzione Doc XVIII, n. 66, della XVI Legislatura[16]. Nella citata Convenzione d'intesa sugli atti delegati è esplicitamente stabilito: "L'atto di base può autorizzare la Commissione ad adottare atti delegati per un periodo determinato o indeterminato" (articolo 16). Nel caso di deleghe a tempo determinato - prosegue l'articolo 17 - "l'atto di base dovrebbe prevedere in linea di principio il rinnovo automatico e tacito della delega per periodi di autentica durata". Resta aperta la questione se un accordo tra le istituzioni comunitarie possa, ed in che misura, modificare il dettato del TFUE;
2) incidenza su elementi essenziali del documento legislativo in via di approvazione (indeterminatezza della portata). Il TFUE vieta esplicitamente di incidere, tramite delega legislativa, su elementi essenziali del documento legislativo. Nel gennaio 2013 l'eccessiva ampiezza della delega è stato uno dei motivi alla base dell'adozione di un parere motivato sulla sussidiarietà da parte della 12a Commissione permanente (Igiene e sanità) del Senato della Repubblica (si veda la risoluzione di cui al Doc XVIII, n. 183 della XVI Legislatura). Recentemente anche la 9a Commissione permanente (Agricoltura e produzione agroalimentare) ha di nuovo rilevato l'indeterminatezza della portata in un parere motivato ai sensi del Protocollo n. 2 allegato al Trattato di Lisbona (Doc XVIII, n. 185, 1° marzo 2017).
L'informativa della quale la disposizione
prevede l'inserimento nella legge di delegazione europea andrebbe a colmare una
lacuna informativa, in quanto gli atti delegati, non avendo natura legislativa,
non sono oggetto di trasmissione ai Parlamenti nazionali ai sensi dei
Protocolli 1 e 2 allegati ai Trattati.
Questa trasmissione, negli auspici del
Governo, dovrebbe consentire di individuare, con il necessario anticipo, gli
atti sui quali intensificare la collaborazione Governo-Parlamento e che
dovrebbero essere recepiti nell'ordinamento nazionale con decreto legislativo.
La lettera
b), infatti, consente una formula di recepimento
diversa - con la formula del decreto ministeriale - per gli atti delegati aventi un contenuto meramente
tecnico.
La norma prevede infatti di inserire - in
fine del comma 6 dell'articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 - il rinvio alla disciplina di cui all'articolo
36 "per il recepimento degli atti delegati dell'Unione europea che
recano meri adeguamenti tecnici".
L'articolo 36, a sua volta, stabilisce il
ricorso al decreto del Ministro competente per materia per dare attuazione alle
norme dell'Unione europea non autonomamente applicabili.
Spetta al Ministro che emana il decreto darne
"tempestiva comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri o al
Ministro per gli affari europei".
Nella relazione illustrativa si specifica
ulteriormente che gli atti a cui si fa riferimento sono di contenuto tecnico e
spesso si limitano a modificare gli Allegati di atti vigenti. Per questo motivo
il termine per il loro recepimento è tipicamente molto breve: sette mesi in
media, con casi in cui il termine è stato fissato a quindici giorni. Seguire
anche per questi atti la via del recepimento parlamentare - che prevede
l'acquisizione del parere delle competenti Commissioni permanenti - potrebbe
determinare il rischio, a detta della relazione illustrativa, dell'apertura di
una procedura di infrazione. Il Governo calcola infatti che il meccanismo della
delega legislativa richieda in media sei mesi per il suo completamento.
Articolo 13
(Trattamento economico del personale estraneo alla Pubblica Amministrazione
selezionato per partecipare ad iniziative e missioni del Servizio europeo di
azione esterna)
L’articolo 13
disciplina il trattamento economico del personale esterno
estraneo alla pubblica amministrazione che partecipa ad iniziative e missioni
del Servizio di azione esterna dell’Unione europea (SEAE), come le missioni
istituite nell’ambito della Politica di sicurezza e difesa comune o gli uffici
dei Rappresentanti speciali UE.
Il comma
1 prevede che l’indennità di
missione, corrisposta al personale di cui in rubrica dal Ministero degli
Affari Esteri e della cooperazione internazionale, si calcola in conformità ai
commi 2, 3, 4 e 6 dell’articolo 5 della legge
21 luglio 2016, n. 145 (recante disposizioni concernenti la partecipazione dell'Italia alle missioni
internazionali).
La relazione introduttiva al disegno di legge europea 2017, in riferimento all’articolo 13, evidenzia come l’intervento normativo di cui al comma 1 si è reso necessario in ragione dell’innovazione normativa sulla partecipazione italiana alle missioni internazionali introdotta dalla richiamata legge 145 del 2016.
In precedenza, come da ultimo con il decreto-legge 16 maggio 2016, n. 67, il trattamento delle figure esterne alla Pubblica Amministrazione impegnate - attraverso il Servizio di azione esterna della UE - in iniziative e missioni nell’ambito della Politica europea di sicurezza e difesa comune, ovvero negli uffici dei Rappresentanti speciali dell’Unione europea, è stato regolato nella misura dell’80% dell’indennità di servizio all’estero, quale prevista dall’articolo 171 del DPR 5 gennaio 1967, n. 18 recante ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri.
La nuova normativa quadro sulla partecipazione italiana alle missioni internazionali ha previsto tra l’altro, all’articolo 5, che l’indennità di missione al personale partecipante - nell’ambito delle risorse afferenti al fondo per il finanziamento delle missioni internazionali di cui all’articolo 4 della medesima legge 145 del 2016 - venga ricalcolata in base al comma 2 dello stesso articolo 5, “al netto delle ritenute, detraendo eventuali indennità e contributi corrisposti allo stesso titolo agli interessati direttamente dagli organismi internazionali”. Il comma 2 prevede dunque che l'indennità di missione sia calcolata sulla diaria giornaliera prevista per la località di destinazione, nella misura del 98 per cento o nella misura intera, incrementata del 30 per cento se il personale non usufruisce a qualsiasi titolo di vitto e alloggio gratuiti.
In base al successivo comma 3, con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di ripartizione del fondo per le missioni internazionali a favore delle missioni deliberate - secondo la procedura stabilita agli articoli 2 e 3 della nuova normativa quadro, si può stabilire, per alcuni teatri operativi di particolare disagio ambientale, che la relativa indennità sia calcolata sulla diaria giornaliera prevista per una località diversa da quella di destinazione, tuttavia situata nel medesimo continente. Il comma 4 prevede poi che durante i periodi di riposo o di recupero fruiti in costanza di missione, ma al di fuori del teatro operativo, al personale interessato è corrisposta un’indennità giornaliera pari alla diaria di missione estera percepita.
Infine, il comma 6 prevede la non applicazione del primo comma dell’articolo 28 del decreto-legge 223 del 2006 - recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale. La non applicazione in questione sottrae alla riduzione del 20 per cento il trattamento economico del personale estraneo alla Pubblica Amministrazione impegnato in missione nel Servizio europeo per l’azione esterna.
Il comma
2 dell’articolo 13 in commento subordina
la corresponsione del trattamento di missione previsto al precedente comma 1
all’autorizzazione effettiva, da
parte dell’Italia, della partecipazione
ad iniziative e missioni del Servizio europeo per l’azione esterna: tale
autorizzazione, sulla scorta degli articoli 2 e 3 della legge 145 del 2016, è
disposta con deliberazione del Consiglio dei Ministri e autorizzazione delle
Camere mediante appositi atti di indirizzo.
Si ricorda che con l’articolo 4 del decreto-legge 1° gennaio 2010, n. 1 - “Disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa” - sono state dettate disposizioni finalizzate, da parte dell’Italia, a contribuire all’entrata in funzione, a partire dall’aprile 2010, del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE - v. infra), chiamato ad assistere l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza della UE, secondo quanto previsto dal Trattato di Lisbona.
Si segnala infine che la relazione tecnica al
disegno di legge europea 2017, in riferimento all’articolo 13, esclude oneri aggiuntivi per la finanza
pubblica, stante il carattere ordinamentale della norma. Si rileva tuttavia
come le nuove modalità di calcolo dell’indennità di missione potrebbero
comportare scostamenti, ancorché lievi, nell’entità delle somme che il
Ministero degli Affari esteri dovrà corrispondere al personale estraneo alla
Pubblica Amministrazione, ma ciò avverrà solo dopo la deliberazione di ciascuna
specifica missione, e dopo il riparto delle relative risorse a valere sul già
richiamato fondo per le missioni internazionali.
L’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica
di sicurezza
Ai sensi dell’articolo 27 del Trattato sull’Unione europea (TUE), l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza:
- guida la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione e la attua in qualità di mandatario del Consiglio;
- assicura la coerenza dell’azione esterna dell’Unione;
- presiede il Consiglio dell’UE “Affari esteri” ed è uno dei Vicepresidenti della Commissione europea;
- rappresenta l’Unione europea per le materie che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune. Conduce a nome dell’Unione il dialogo politico con i paesi terzi ed esprime la posizione dell’Unione nelle organizzazioni internazionali, tra cui l’ONU.
L’Alto Rappresentante è nominato dal Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata con l’accordo del Presidente della Commissione, per un periodo di 5 anni. La sua nomina è sottoposta al voto collettivo di approvazione del Parlamento europeo sull’intera Commissione, ai sensi dell’art. 17 del TUE.
Federica Mogherini è stata nominata Alto Rappresentante dal Consiglio europeo con decorrenza dal 1° dicembre 2014.
L’Alto Rappresentante coordina il lavoro dei commissari con portafogli che hanno un impatto sulle relazioni esterne dell’UE. Si tratta in particolare dei Commissari europei responsabili per:
- allargamento e politica di vicinato (Johannes Hahn);
- commercio (Cecilia Malmström);
- cooperazione internazionale e politica di sviluppo (Neven Mimica);
- aiuti umanitari e gestione delle crisi (Christos Stylianides).
A tal fine, l’Alto Rappresentante presiede il gruppo di lavoro sull’azione esterna, che si riunisce su base mensile ed è composto dai suddetti commissari cui sono associati anche i seguenti commissari europei con portafogli aventi una dimensione esterna rilevante: azione per il Clima ed energia (Miguel Arias Cañete); Trasporti (Violeta Bulc) migrazione, affari interni e cittadinanza (Dimitris Avramopoulos).
L’Alto Rappresentante è inoltre supportato da Rappresentanti speciali dell’UE per specifiche regioni ed aree.
Attualmente vi sono 9 rappresentanti speciali competenti per: Corno d’Africa (Alexander Rondos); Kosovo (Samuel Žbogar), diritti umani (Stavro sLambrinidis); Afghanistan (Franz-Michael Skjold Mellbin); Bosnia Erzegovina (Lars-Gunnar Wigemark); Caucaso del Sud crisi in Georgia (Herbert Salber); Sahel (Michel Dominique Reveyrand-de Menthon); processo di pace in Medio Oriente (Fernando Gentilini); Asia Centrale(Peter Burian).
Il Servizio europeo per l’azione esterna
Il “Servizio europeo per l’azione esterna” (SEAE) è il servizio diplomatico dell’UE previsto dall’articolo 27 del TUE con il compito di:
- assistere l'Alto Rappresentante dell'UE nella gestione della politica estera e di sicurezza dell'UE;
- gestire le relazioni diplomatiche e i partenariati strategici con i paesi extra UE;
- collaborare con i servizi diplomatici nazionali dei paesi dell'UE, l'ONU e altre potenze mondiali.
Il Servizio europeo per l'azione esterna, guidato dall’Alto Rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, è un organo funzionalmente autonomo, distinto dalla Commissione e dal segretariato del Consiglio, composto da:
- a Bruxelles - personale esperto trasferito dal Consiglio dell'UE, dalla Commissione europea e dai servizi diplomatici dei paesi dell'UE;
- una rete di "ambasciate" (delegazioni) dell'UE presso 143 paesi terzi e organizzazioni internazionali.
Il contributo finanziario per il funzionamento del SEAE nel bilancio dell’UE per il 2017 è pari a circa 650 milioni di euro.
Agenzia europea per la difesa
L’Agenzia europea per la difesa (European Agency defense - EDA) istituita a Bruxelles nel 2004, ha i seguenti compiti:
- migliorare le capacità di difesa dell’UE nel settore della gestione delle crisi;
- promuovere la cooperazione europea in materia di armamenti;
- rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea e creare un mercato europeo dei materiali di difesa che sia competitivo;
- promuovere le attività di ricerca al fine di rafforzare il potenziale industriale e tecnologico dell’Europa in questo settore.
Fanno parte dell’Agenzia 27 Stati membri (tutti ad eccezione della Danimarca).
La struttura decisionale dell'EDA è composta da:
- il capo dell'agenzia, responsabile dell'organizzazione e del funzionamento complessivo, è l’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini;
- il tavolo di governo: prende le decisioni sul conto dell'agenzia; è composto dai Ministri della difesa degli Stati membri e da un rappresentante della Commissione europea;
- il Direttore generale: è il capo del personale ed è responsabile della supervisione e della coordinazione delle unità; attualmente è Jorge Domecq.
Per il 2017 l’EDA dispone di un bilancio di 31 milioni di euro.
Articolo 14
(Clausola di invarianza finanziaria)
L'articolo 14 reca una clausola di invarianza finanziaria per tutte le disposizioni del disegno di legge, fatta eccezione per l'articolo 4 (disciplina transitoria del fondo indennizzo vittime di reato), l'articolo 5 (disciplina dei rimborsi IVA), l'articolo 7 (agevolazioni fiscali per le navi iscritte nel Registro internazionale di altri Stati membri) e l'articolo 8 (trattamento economico degli ex lettori di madrelingua straniera), per i quali è specificamente prevista una clausola di quantificazione e copertura dei relativi oneri.
Al riguardo si ricorda che l'articolo 17, comma 6-bis, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 prescrive, per siffatte clausole di neutralità finanziaria, che la relazione tecnica debba riportare la valutazione degli effetti derivanti dalle disposizioni medesime, i dati e gli elementi idonei a suffragare l'ipotesi di invarianza degli effetti sui saldi di finanza pubblica, attraverso l'indicazione dell'entità delle risorse già esistenti nel bilancio e delle relative unità gestionali, utilizzabili per le finalità indicate dalle disposizioni medesime anche attraverso la loro riprogrammazione, fermo restando che, in ogni caso, la clausola di neutralità finanziaria non può essere prevista nel caso di spese di natura obbligatoria.
[1] In particolare, i Considerando 2) e 23) stabiliscono, rispettivamente, che le normative in materia di produzione e di distribuzione dei medicinali veterinari devono avere come scopo essenziale la tutela della sanità pubblica e che i distributori di medicinali veterinari siano opportunamente autorizzati dagli Stati membri a tenere adeguati registri. L’art. 65, par. 3, della Direttiva, inoltre, prevede che il titolare dell'autorizzazione di distribuzione conservi una documentazione dettagliata, che contenga per ogni operazione in entrata od uscita, almeno le seguenti informazioni: a) data; b) identificazione precisa del medicinale veterinario; c) numero del lotto e di fabbricazione; data di scadenza; d) quantità ricevuta o fornita; e) nome ed indirizzo del fornitore o del destinatario. Almeno una volta all'anno deve essere eseguita una verifica approfondita. Le registrazioni sono tenute a disposizione della competente autorità a fini di ispezione per almeno tre anni. Analoghi obblighi sono previsti per i venditori al dettaglio (art. 66, par. 2), i veterinari (art. 70, par. 1, lett. f)) e addirittura per i proprietari o i responsabili di animali – cui vengono somministrati medicinali veterinari – successivamente destinati alla produzione di alimenti (art. 69, par. 1 e 2). Inoltre, è previsto che gli Stati membri tengono un registro dei produttori e dei distributori autorizzati a possedere sostanze attive che possano essere utilizzate nella fabbricazione dei medicinali veterinari con proprietà anabolizzanti, antiinfettive, antiparassitarie, antinfiammatorie, ormonali o psicotrope. Tutte le transazioni commerciali riguardanti le sostanze che possono venire impiegate per la fabbricazione di medicinali veterinari devono essere registrate in modo dettagliato e devono essere disponibili per i controlli a fini d'ispezione per almeno tre anni (art. 68, par. 2). Infine, il titolare della AIC è chiamato a registrare in modo dettagliato tutti i presunti effetti collaterali negativi verificatisi a seguito dell’uso del medicinale ad uso veterinario, sia nella UE, sia in un paese terzo (art. 75).
[2] In base alle informazioni contenute nella relazione illustrativa, le attività di aggiornamento della banca dati del Ministero della salute saranno realizzate a valere sulla contabilità speciale 5965 relativa al progetto/intervento “Malattie animali” del Fondo di rotazione per le politiche europee.
[3] Articolo 50, Disposizioni in materia di monitoraggio della spesa nel settore sanitario e di appropriatezza delle prescrizioni sanitarie, del DL.269/2003 (L. 326/2003).
[4] Dm 2 novembre 2011 e DL. 179/2012 (L. 221/2012), art. 13 e 13-bis.
[5] In base ai dati forniti dalla relazione tecnica, i soggetti coinvolti sono 8 ASL, 24 veterinari liberi professionisti, 25 grossisti e farmacie e 59 allevamenti (11 avicoli, 41 bovini e 7 suini) di cui 49 in regione Lombardia e 10 in regione Abruzzo. Nel corso del 2016, altre Regioni e Province autonome (Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Marche, Molise, Piemonte, P.A. di Bolzano, P.A. di Trento, Sardegna, Umbria, Veneto e Valle D’Aosta) hanno manifestato la volontà di aderire alla sperimentazione.
[6] Peraltro la Commissione europea, nel chiarire le differenze tra le due fattispecie, richiama la giurisprudenza della Corte di Cassazione circa la descrizione della condotta di “propaganda”, mettendone in luce i contorni più restrittivi rispetto a quelli dell’”istigazione”.
[7] E' opportuno ricordare che tale decreto è stato adottato su impulso della procedura di infrazione avviata dalla Commissione nei confronti del nostro Paese per la mancata adozione, dopo il 1° gennaio 2006 di qualsivoglia misura di attuazione e conclusasi con una sentenza di condanna (Corte di Giustizia, sentenza 29 novembre 2007, causa C-112/07, Commissione c. Italia).
[8] Fra le leggi speciali che disciplinano la concessione, a carico dello Stato, di indennizzi a favore delle vittime di determinate forme di reati intenzionali violenti si segnalano le seguenti:
– legge del 13 agosto 1980, n. 466 recante norme in ordine a speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche (articoli 3 e 4);
– legge del 20 ottobre 1990, n. 302 recante norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (articoli 1 e da 3 a 5);
– decreto legge del 31 dicembre 1991, n. 419 recante istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive, convertito dalla legge del 18 febbraio 1992, n. 172 (articolo 1);
– legge dell’8 agosto 1995, n. 340 recante norme per l’estensione dei benefici di cui agli articoli 4 e 5 della legge n. 302/1990, ai familiari delle vittime del disastro aereo di Ustica (articolo 1 – che richiama gli articoli 4 e 5 della legge n. 302/1990);
– legge del 7 marzo 1996, n. 108 recante disposizioni in materia di usura (articoli 14 e 15);
– legge del 31 marzo 1998, n. 70 recante benefici per le vittime della cosiddetta «banda della Uno bianca» (articolo 1 – che richiama gli articoli 1 e 4 della legge n. 302/1990);
– legge del 23 novembre 1998, n. 407 recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (articolo 2);
– legge del 23 febbraio 1999, n. 44 recante disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura (articoli 3 e da 6 a 8);
– decreto del Presidente della Repubblica del 28 luglio 1999, n. 510 – regolamento recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (articolo 1);
– legge del 22 dicembre 1999, n. 512 recante istituzione del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso (articolo 4);
– decreto legge del 4 febbraio 2003, n. 13 recante disposizioni urgenti in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, convertito con modificazioni dalla legge n. 56/2003;
– legge dell’11 agosto 2003, n. 228 recante misure contro la tratta di persone, che istituisce il Fondo per le misure anti-tratta e uno speciale programma di assistenza per le vittime dei reati previsti dagli articoli 600 e 601 del codice penale, come modificata dall’articolo 6 del decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 24;
– decreto legge del 28 novembre 2003, n. 337 recante disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici all’estero, convertito con modificazioni dalla legge n. 369/2003 (articolo 1);
– legge del 3 agosto 2004, n. 206 recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice (articolo 1);
– legge del 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), che, al suo articolo 1, paragrafi da 563 a 565, contiene disposizioni che prevedono la corresponsione di aiuti alle vittime del dovere, ai soggetti equiparati e ai loro familiari;
– legge del 20 febbraio 2006, n. 91 recante norme in favore dei familiari superstiti degli aviatori italiani vittime dell’eccidio avvenuto a Kindu l’11 novembre 1961;
– decreto del Presidente della Repubblica del 7 luglio 2006, n. 243 – regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati;
– decreto legge del 12 novembre 2010, n. 187 recante misure urgenti in materia di sicurezza, convertito con modificazioni dalla legge n. 217/2010, tra cui, a norma del suo articolo 2-bis, l’istituzione di un «Fondo di solidarietà civile» a favore delle vittime di reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive ovvero di manifestazioni di diversa natura.
[9] Le risorse del FFO sono allocate sul cap. 1694 dello stato di previsione del MIUR. In base al Decreto 102065 del 27 dicembre 2016 – Ripartizione in capitoli delle Unità di voto parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e per il triennio 2017–2019, per il 2017 il cap. 1694 reca uno stanziamento pari a € 6.981.890.720.
[10] Per effetto dell’incremento ora disposto, le risorse allocate sul cap. 1694 per il 2017 diverrebbero, dunque, pari a € 6.990.595.720.
[11] “L'esame dell'ambito normativo nazionale fa emergere che, certo, l'art. 4, terzo comma, della legge n. 236 prevede esplicitamente la conservazione dei diritti quesiti da parte degli ex lettori di lingua straniera in relazione ai precedenti rapporti di lavoro. Tuttavia, una valutazione delle prassi amministrative e contrattuali poste in essere da alcune università pubbliche italiane consente di concludere nel senso dell’esistenza di situazioni discriminatorie” (cfr. n. 31 della sentenza).
[12] Tale posizione è stata ribadita, più recentemente, con sentenza 21004/2015.
[13] Con ordinanza 38/2012 la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità, per carenza di motivazione, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, co. 3, ultimo periodo, della L 240/2010, sollevata dal Tribunale di Torino in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost. La stessa Corte, con successiva ordinanza 99/2013, ha dichiarato la manifesta inammissibilità, per insufficiente descrizione della fattispecie concreta, della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 26, comma 3, ultimo periodo, sollevata in riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione.
[14] Per completezza, si ricorda che il Presidente della Repubblica, nella lettera al Presidente del Consiglio che ha accompagnato la promulgazione della L. 240/2010, ha sottolineato l’opportunità che l’articolo 26, “nel prevedere l'interpretazione autentica dell'art. 1, comma 1, del decreto legge n. 2 del 2004 sia formulato in termini non equivoci e corrispondenti al consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte Costituzionale” (che ha sempre riconosciuto, nel settore pubblico, il diritto alla ricongiunzione di tutti i servizi prestati ai fini della definizione dei diritti pensionistici: ad es., v. le sentenze 305/1995, 496/2002 e 191/2008).
[15] Pescasseroli, Aviano Capoluogo, Cividale del Friuli, Codroipo/Sedegliano/Flaibano, Cormons, Gradisca d’Isonzo, Grado, Latisana Capoluogo, Pordenone/Porcia/Roveredo/Cordenons, Sacile, Udine, Frosinone, Francavilla Fontana, Trinitapoli, Dorgali, Nuoro, ZIR Villacidro e Castellammare del Golfo I, Cinisi, Partinico, Terrasini e Trappeto
[16] Per maggiori dettagli, si rinvia alla Scheda di valutazione n. 49/2013, curata nel luglio 2013 dall'Ufficio dei rapporti con le istituzioni dell'Unione europea del Senato della Repubblica.