Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari | ||
Titolo: | Legge europea 2015-2016 - A.S. 2228-A | ||
Serie: | Progetti di legge Numero: 401 Progressivo: 1 | ||
Data: | 29/04/2016 | ||
Altri riferimenti: |
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Articolo 2 (Disposizioni relative all'etichettatura del miele. Caso EU Pilot
7400/15/AGRI)
Articolo 10 (Disposizioni in materia di titolo esecutivo europeo)
Articolo 12 (Permesso di soggiorno individuale per minori stranieri)
Articolo 29 (Diritto all’indennizzo in favore delle vittime di reati
intenzionali violenti)
Articolo 30 (Condizioni per l’accesso all’indennizzo)
Articolo 31 (Domanda di indennizzo)
Articolo 32 (Fondo per l’indennizzo in favore delle vittime)
Articolo 33 (Modifiche alle leggi 22 dicembre 1999, n. 512, e 23 febbraio 1999, n.
44)
Articolo 34 (Disposizione finanziaria)
Articolo 35 (Modifiche all'articolo 19 della legge 24 dicembre 2012, n. 234)
Articolo 36 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 234, in materia di aiuti di
Stato)
Articolo 38 (Clausola di invarianza finanziaria)
La legge europea è - assieme alla legge di delegazione europea - uno dei due strumenti predisposti dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234 ("Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea") al fine di adeguare periodicamente l'ordinamento nazionale a quello dell'Unione europea.
L'articolo 29, comma 5, della legge vincola il Governo alla presentazione alle Camere su base annuale di un disegno di legge dal titolo "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea", completato dall'indicazione "Legge europea" seguita dall'anno di riferimento.
Il Governo ha presentato il disegno di legge recante "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2015" presso il Senato della Repubblica il 3 febbraio 2016 (Atto Senato 2228).
Assegnato in sede referente alla 14a Commissione permanente, quest'ultima ha proposto una serie di modifiche mediante una serie di emendamenti al testo governativo (Atto Senato 2228-A e relativo Allegato).
Proprio per
effetto di un emendamento approvato in Commissione, il titolo del disegno di legge è stato modificato in modo da coprire un
arco temporale più ampio, dettando disposizioni per l'adempimento degli
obblighi derivanti all'UE per il 2015 ed il 2016.
Non è stabilito un termine
preciso per la presentazione del disegno di legge europea. Al contrario
l'articolo 29, comma 4, prevede che il disegno di legge di delegazione europea
sia presentato entro il 28 febbraio di ogni anno.
L'articolo 30, par. 3, dettaglia come segue il contenuto della legge europea:
1) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea;
2) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea;
3) disposizioni necessarie per dare attuazione a, o per assicurare l'applicazione di, atti dell'Unione europea;
4) disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea;
5) disposizioni emanate nell'esercizio del potere sostitutivo esercitabile ex articolo 117, comma 5, della Costituzione per l'attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea al livello regionale e delle province autonome di Trento e Bolzano in caso di inadempienza degli enti competenti. Peraltro l'articolo 41 detta principi e limiti cui è sottoposto tale potere sostitutivo.
Vengono, dunque, inserite nel disegno di legge europea, in linea generale, norme volte a prevenire l'apertura - o a permettere la chiusura - di procedure di infrazione nonché, in base ad una interpretazione estensiva del disposto legislativo, anche norme volte a permettere l'archiviazione dei casi EU Pilot (su cui infra).
La legge di delegazione europea contiene invece,
in estrema sintesi, disposizioni per il conferimento al Governo di deleghe
legislative per il recepimento degli atti dell'Unione europea (ad esempio
direttive dell'Unione o decisioni quadro) che richiedono trasposizione negli
ordinamenti nazionali (articolo 30, comma 2).
Sugli schemi di disegno di legge europea e di delegazione europea è previsto, ai sensi dell'articolo 29, comma 6, il parere della Conferenza Stato-regioni. La presentazione alle Camere ha luogo comunque ove il parere medesimo non sia adottato entro venti giorni dalla richiesta.
Le procedure di infrazione
sono disciplinate dagli articoli 258-260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).
L'articolo 258 disciplina le
fattispecie in cui la Commissione europea - incaricata dall'articolo 17 del
Trattato sull'Unione europea di vigilare sull'applicazione del diritto
dell'Unione - ritenga che vi sia stata una violazione del diritto UE ad opera
di uno Stato membro.
La procedura prevede
preliminarmente una fase pre-contenziosa, durante la quale la Commissione
indirizza allo Stato membro interessato:
1) una lettera di messa in
mora, atto di apertura formale della procedura di infrazione. La Direzione
generale competente in materia vi identifica la violazione contestata e pone un
termine entro il quale lo Stato può comunicare osservazioni ed argomentazioni
di risposta;
2) un parere motivato, nel caso
in cui non pervenga alcuna risposta o quest'ultima sia considerata
insoddisfacente. Nel parere si constata la sussistenza della violazione e si
invita lo Stato, entro un termine preciso, ad adottare le misure necessarie.
Nel caso in cui lo Stato non
si conformi al parere della Commissione può aprirsi la fase contenziosa vera e
propria (articolo 258, par. 2), che ha luogo di fronte alla Corte di giustizia.
In caso di accertamento, con sentenza, che effettivamente vi è stata
un'infrazione del diritto dell'Unione, lo Stato membro interessato dovrà
prendere tutti i provvedimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza.
Qualora ciò non avvenga, la Commissione ha la facoltà di adire nuovamente la
Corte di giustizia, chiedendo l'applicazione di una sanzione pecuniaria
(articolo 260, paragrafo 2).
Si segnala inoltre che dall'aprile 2008 è attivo "EU
Pilot", un sistema di comunicazione tra Commissione europea
e Stati membri - basato su un sito Internet - che permette la condivisione
informale di informazioni e fornisce agli Stati membri la possibilità di
risolvere eventuali infrazioni senza ricorrere alla procedura formale di
contestazione prevista dai Trattati.
Qualora la Commissione europea - di propria iniziativa
o su segnalazione esterna - ritenga opportuno verificare che il diritto
dell'Unione sia applicato in maniera corretta, può inviare una richiesta alle
autorità nazionali dello Stato interessato attraverso EU Pilot. Lo Stato membro
dispone di un periodo di dieci settimane per rispondere e la Commissione, dal
canto suo, effettua una valutazione nelle dieci settimane successive.
Nel caso in cui la risposta ricevuta non sia
considerata soddisfacente, la Commissione ha facoltà di dare inizio alle
procedure di infrazione regolate dai Trattati.
Statistiche della Commissione europea, aggiornate a
dicembre 2014, riportano un tasso di risoluzione dei casi EU Pilot - in termini
di casi chiusi a seguito di risposte soddisfacenti dei Governi nazionali - pari
al 75 per cento.
Si evidenzia che la legge europea e la legge
di delegazione europea non sono gli unici strumenti per assicurare
l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'UE.
L'articolo 37 della legge n. 234 del 2012
specifica, infatti, che "il Presidente del Consiglio dei ministri o il
Ministro per gli affari europei può proporre al Consiglio dei ministri
l'adozione dei provvedimenti, anche urgenti, diversi dalla legge di delegazione
europea e dalla legge europea, necessari a fronte di atti normativi dell'Unione
europea o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea ovvero
dell'avvio di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia che comportano
obblighi statali di adeguamento, qualora il termine per provvedervi risulti anteriore
alla data presunta di entrata in vigore della legge di delegazione europea o
della legge europea relativa all'anno di riferimento". Qualora si rilevi
necessario ricorrere a tali ulteriori provvedimenti, "il Presidente del
Consiglio dei ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento assume le
iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare"
(articolo 37, comma 2).
Infine, l'articolo 38 della legge n. 234 del
2012, rubricato Attuazione di singoli
atti normativi dell'Unione europea, prevede che "in casi di
particolare importanza politica, economica e sociale, tenuto conto anche di
eventuali atti parlamentari di indirizzo, il Presidente del Consiglio dei
Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro
degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, presenta alle Camere
un apposito disegno di legge recante le disposizioni occorrenti per dare
attuazione o assicurare l'applicazione di un atto normativo emanato dagli
organi dell'Unione europea riguardante le materie di competenza legislativa statale".
Articolo 1
(Disposizioni in materia di qualità e trasparenza della filiera degli oli
d'oliva vergini. Caso EU Pilot 4632/13/AGRI)
L’articolo 1 modifica la legge 13 gennaio 2013, n. 9 (Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini) onde risolvere il caso EU Pilot 4632/13/AGRI, con particolare riferimento all'evidenza cromatica dell'indicazione di origine delle miscele degli oli d'oliva e alla previsione di un termine minimo di conservazione degli oli d'oliva.
Le contestazioni della Commissione europea toccavano in particolare due punti della legge n. 9/2013:
1. Il disposto di cui all'art. 1, comma 4, come modificato dall'articolo 18 della legge n. 161/2014 (legge europea 2013-bis), laddove si prevede che l'indicazione d'origine delle miscele di oli d'oliva originari di più di uno Stato membro dell'Unione europea o di un paese terzo debba essere stampata "con diversa e più evidente rilevanza cromatica rispetto allo sfondo, alle altre indicazioni ed alla denominazione di vendita". A giudizio della Commissione, l'indicazione d'origine in un colore diverso rispetto a quello delle altre indicazioni, anziché garantire condizioni eque di concorrenza per l'industria e fornire un'informazione più completa ai consumatori, risulta discriminatoria nei confronti delle restanti indicazioni e contraria alle regole armonizzate in materia di leggibilità, dettate dal regolamento (UE) n. 1169/2011 (relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori), e in particolare dall'art. 13;
2. Il disposto di cui all'art. 7, comma 1, laddove si fissa in 18 mesi dalla data di imbottigliamento il termine minimo di conservazione entro il quale gli oli di oliva vergini conservano le loro proprietà specifiche in adeguate condizioni di trattamento. La Commissione ritiene infatti indimostrata una correlazione diretta tra la qualità dell'olio e la durata di conservazione. La disposizione di cui all'art. 7, comma 1, è inoltre ritenuta contraria al regolamento (UE) n. 1169/2011 in quanto esso non prevede alcuna disposizione di ordine generale in merito al periodo entro il quale l'olio d'oliva conserva le sue proprietà e deve essere preferibilmente consumato, demandando agli operatori del settore alimentare la responsabilità di scegliere la data di durata minima.
Il comma 1, lettera a), dell'art. 1 interviene sull'articolo 1, comma 4 della legge n. 9/2013, nel senso di prevedere che l'indicazione dell'origine delle miscele di oli d'oliva originari di più di uno Stato membro dell'Unione europea o di un paese terzo sia stampata in modo da essere visibile, chiaramente leggibile e indelebile e non possa essere in nessun modo nascosta, oscurata, limitata o separata da altre indicazioni scritte o grafiche o da altri elementi suscettibili di interferire. Viene così espunto ogni riferimento a una diversa rilevanza cromatica dell'indicazione d'origine stessa, optando per un dettato conforme a quello dell'art. 13 del regolamento (UE) n. 1169/2011.
Il comma 1, lettera b), interviene invece sull'art. 7, comma 1, della legge n. 9/2013 nel senso di ribadire l'obbligo di inserire in etichetta la previsione di un termine minimo di conservazione, lasciandone tuttavia l'individuazione effettiva alla responsabilità dei produttori.
Il comma 1, lettera c), introdotto con apposito emendamento al disegno di legge, modifica infine il comma 3 dell'art. 7 della legge n. 9/2013, nel senso di prevedere, ferma restando l'applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa vigente a carico di altri operatori, una sanzione amministrativa da 2000 a 16.000 euro, accompagnata dalla confisca del prodotto, nei confronti dei titolari del pubblico esercizio, in caso di mancata indicazione in etichetta di un termine minimo di conservazione per l'olio d'oliva.
Articolo
2
(Disposizioni relative all'etichettatura del miele. Caso EU Pilot
7400/15/AGRI)
L’articolo 2 modifica l'articolo 3 del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 179 (di attuazione della direttiva 2001/110/CE concernente la produzione e commercializzazione del miele) onde risolvere il caso EU Pilot 7400/15/AGRI, originato da alcuni sequestri amministrativi di confezioni di mieli commercializzati in Italia, ma provenienti da altri Stati membri, sulla cui etichetta era indicata la generica nomenclatura "miscela di mieli originari e non originari della CE", al posto dell'indicazione analitica dei singoli Paesi d'origine in cui il miele era stato raccolto.
La Commissione, senza contestare
la liceità della scelta del legislatore italiano, volta a privilegiare
l'indicazione analitica dei singoli Paesi di provenienza dei mieli, ha chiesto
un intervento legislativo volto a chiarire come
tale indicazione non sia obbligatoria in caso di (miscele di) mieli prodotti in
altri Stati membri e immessi sul mercato nel rispetto della direttiva
2001/110/CE. Si ricorda infatti che l'art. 2 della direttiva recita: "Il paese o i paesi d'origine in cui il miele
è stato raccolto devono essere indicati sull'etichetta. Tuttavia, se il miele è
originario di più Stati membri o paesi terzi, l'indicazione può essere
sostituita da una delle seguenti, a seconda del caso: "miscela di mieli
originari della CE"; "miscela
di mieli non originari della CE"; "miscela di mieli originari e non
originari della CE".
Pertanto l'art. 2, senza modificare l'impostazione del decreto legislativo n. 179/2004, aggiunge all'art. 3 un nuovo comma 4-bis, volto a escludere dall'obbligo di indicazione analitica dei Paesi di provenienza, di cui al comma 2, lettera f), del medesimo articolo: "i mieli prodotti e confezionati in altri Stati membri nel rispetto delle definizioni e delle norme della direttiva 2001/110/CE".
Articolo
3
(Disposizioni relative all'indicazione del Paese d'origine
sull'etichettatura degli alimenti. Caso EU Pilot 5938/13/SNCO)
L’articolo 3 sostituisce il comma 49-bis dell'articolo 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, come modificato dall'articolo 43, comma 1-quater, del decreto legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, in modo da abrogare implicitamente la definizione, ivi introdotta, di "effettiva origine" di un prodotto alimentare trasformato e di limitare la comminazione di sanzioni per "fallace indicazione" dell'origine di un prodotto ai soli casi in cui le informazioni possano effettivamente indurre in errore il consumatore. L'intervento legislativo è finalizzato a risolvere il caso EU Pilot 5938/13/SNCO, con il quale la Commissione contestava la compatibilità con il diritto dell'Unione, oltre che dell'art. 49-bis della legge 350/2003, anche dell'art. 4, comma 1, della legge 3 febbraio 2011, n. 4, relativa al rafforzamento della competitività nel settore agroalimentare, che a sua volta prescrive sistematicamente l'obbligatorietà dell'indicazione di origine.
L'apertura del fascicolo EU Pilot ha preso le mosse da una denuncia per presunta violazione del diritto dell'Unione risultante da una prassi amministrativa delle autorità italiane preposte ai controlli alimentari, le quali hanno imposto sanzioni e sequestrato prodotti sulla base di violazioni delle norme nazionali che disciplinano l'indicazione obbligatoria dell'origine degli alimenti, con particolare riferimento alla mancata segnalazione del Paese d'origine della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione dei prodotti stessi e alla presenza di marchi o segni distintivi nazionali atti a indurre in inganno il compratore sulla reale origine del prodotto.
Le norme europee di cui la Commissione segnala la possibile violazione sono le seguenti:
- Direttiva 2000/13/CE, concernente l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, con particolare riferimento all'articolo 3, paragrafo 8, che include tra le indicazioni da apporre obbligatoriamente sull'etichettatura "il luogo d'origine o di provenienza, qualora l'omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore circa l'origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare". Sulla base dell'articolo 4, comma 49-bis, della legge 350/2003, le autorità italiane di controllo sembrano invece richiedere che l'indicazione di origine sia apposta su tutti i prodotti alimentari, senza verificare se il consumatore sia indotto in errore nei casi in cui il luogo di origine o di provenienza non è specificato;
- Direttiva 98/34/CE, con particolare riferimento all'art. 8, sulla base del quale "gli Stati membri comunicano immediatamente alla Commissione ogni progetto di regola tecnica, salvo che si tratti del semplice recepimento integrale di una norma internazionale e europea, nel qual caso è sufficiente una semplice informazione sulla norma stessa". La Commissione contesta in particolare la mancata notifica dell'art. 4, comma 49-bis, della legge n. 350/2003, ricordando altresì come, in base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, l'inadempimento dell'obbligo di notifica costituisce un vizio di procedura sostanziale che ne comporta l'inapplicabilità e l'inopponibilità ai singoli;
- Regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che all'articolo 2, lettera g), rimanda, per la definizione di "paese d'origine", all'articolo 36, paragrafo 2 del regolamento (CEE) n. 450/2008, istitutivo del Codice doganale comunitario (Codice doganale aggiornato). Il suddetto articolo recita: "Le merci alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o del territorio in cui hanno subito l'ultima trasformazione sostanziale". In contrasto con tale disposizione, a giudizio della Commissione, risultano tanto l'art. 4 della legge n. 4/2011 - laddove recita "Per i prodotti alimentari trasformati, l'indicazione riguarda il luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti" - quanto l'art. 4, comma 49-bis, della legge n. 350/2003, laddove, nel punire l'uso di qualsiasi marchio o indicazione con modalità tali da indurre in errore il consumatore sulla "effettiva origine" del prodotto, dispone che "per i prodotti alimentari, per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale".
Va ancora segnalato come i rilievi della Commissione si siano concentrati prevalentemente sull'art. 4, comma 49-bis, della legge n. 350/2003, in quanto le disposizioni della legge n. 4/2011, come segnalato dalle autorità italiane, non sono direttamente applicabili a ciascun prodotto alimentare, dovendo essere attuate mediante decreti ministeriali soggetti all'obbligo di comunicazione alla Commissione stessa, secondo quanto disposto dalla già citata Direttiva 98/34/CE.
In proposito, si segnalano le posizioni di alcune
istituzioni nazionali.
Da un lato, la Camera dei deputati - approvando nella
seduta dell'Assemblea del 14 gennaio 2014 la mozione 1 - 00311, presentata dal
deputato Sani ed altri - ha impegnato[1]
il Governo "ad adottare, compatibilmente con la normativa europea, i
decreti ministeriali di attuazione dell'articolo 4 della legge 3 febbraio 2011,
n. 4, al fine di rendere immediatamente applicabile la normativa
sull'etichettatura di origine dei prodotti agroalimentari a tutela dei
consumatori e degli operatori della filiera e a prevedere, per talune tipologie
di prodotti, modalità di inserimento volontario in etichetta di specifici
sistemi di sicurezza realizzati mediante elementi di identificazione
elettronica e telematica".
Dall'altro lato, il Governo, in data 25 novembre 2014,
aveva segnalato come i suddetti decreti ministeriali attuativi sarebbero stati
predisposti all'esito della consultazione
pubblica tra i consumatori svolta dal Ministero delle politiche agricole
"per valutare in quale misura, nelle
informazioni relative ai prodotti alimentari, venga percepita come
significativa l'indicazione relativa al luogo di origine o di provenienza dei
prodotti alimentari e della materia prima agricola utilizzata nella
preparazione o nella produzione degli stessi e quando l'omissione delle
medesime indicazioni sia ritenuta
ingannevole"[2].
Gli esiti della consultazione hanno evidenziato come i consumatori italiani
siano molto interessati a conoscere l'origine delle materie prime e siano in
larga maggioranza disposti a spendere di più per avere la certezza dell'origine
e della provenienza del prodotto.
L'art. 3 interviene comunque a modificare il solo art. 4, comma 49-bis, della legge n. 350/2003, optando per una nuova formulazione - concordata dalle Amministrazioni interessate con i competenti servizi della Commissione - nella quale viene espunto qualunque riferimento al concetto di "effettiva origine" del prodotto, mentre il riferimento alla "induzione in errore" del consumatore viene raccordato al disposto dell'art. 7 del regolamento (UE) n. 1169/2011, in modo da rendere la norma compatibile con il diritto dell'Unione, evitando al contempo, come evidenziato nella relazione al disegno di legge, "che il significato evocativo e la reputazione del Paese d'origine, interagendo con informazioni risultanti dalle pratiche commerciali o dalla pubblicità, possano attrarre il prevalente interesse dei consumatori intorno a pregi e qualità attribuibili a una determinata area, pur non trattandosi di prodotti effettivamente legati a quell'area".
Resta invece aperta la questione della
compatibilità con la normativa dell'Unione del disposto di cui all'articolo 4
della legge n. 4/2011, sul quale le Amministrazioni interessate stanno
svolgendo ulteriori approfondimenti. Va comunque evidenziato come la
Commissione abbia ribadito la necessità, se non di abrogare, quanto meno di
rivedere la formulazione dell'articolo, in modo da rendere chiara la non
cumulabilità in un'unica definizione - per i prodotti trasformati - degli
elementi della definizione del "paese d'origine" (che si riferiscono
soltanto al luogo dell'ultima trasformazione sostanziale del prodotto) e degli
ulteriori particolari (in primis, il
luogo di provenienza dell'ingrediente primario), che possono essere indicati nell'etichettatura in forza dell'art. 26
del regolamento 1169/2011).
Articolo
4
(Attuazione della rettifica della direttiva 2007/47/CE in materia di
immissione in commercio dei dispositivi medici)
L'articolo 4 - inserito dalla 14a Commissione del Senato - reca due novelle di normative di recepimento di direttive europee in materia di dispositivi medici. Le novelle si limitano a sostituire la locuzione "costi/benefici" con il riferimento al rapporto "rischi/benefici", a seguito di un'omologa rettifica, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea del 30 settembre 2015 (L 253) e concernente la direttiva 2007/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007 (tale direttiva modifica due direttive precedenti in materia di dispositivi medici, oltre che una direttiva in materia di biocidi).
Articolo
5
(Disciplina sanzionatoria per la violazione delle
disposizioni del regolamento (UE) n. 1297/2014, che modifica il regolamento
(CE) n. 1272/2008 in materia di classificazione, etichettatura e imballaggio
delle sostanze e delle miscele)
Il comma 1, introdotto in sede referente, impatta sull'articolo 8 del
decreto legislativo 27 ottobre 2011, n. 186, estendendo la sanzione
amministrativa pecuniaria del suo comma 2 (somma da 10.000 euro a 60.000 euro a carico di chiunque utilizza
imballaggi contenenti una sostanza o una miscela pericolosa che non ottemperano
ovvero ottemperano in modo errato o parziale alle prescrizioni previste
dall'articolo 35, paragrafi 1 e 2, del regolamento in materia di etichettatura
e imballaggio) anche a chi viola le disposizioni di
cui all'articolo 1 del regolamento (UE) n. 1297/2014.
Si tratta di un adeguamento
all'evoluzione della normativa europea, che ha introdotto requisiti aggiuntivi
con un apposito allegato, tra l'altro con riferimento al detergente liquido per bucato destinato ai consumatori contenuto in un
imballaggio solubile monouso.
Articolo
6
(Disposizioni relative alle Società Organismi di Attestazione. Procedura di
infrazione 2013/4212)
L’articolo 6 elimina l’obbligo per le Società Organismi di Attestazione (SOA) che accertano i requisiti degli appaltatori di lavori pubblici di avere la sede legale in Italia, mantenendo per esse il solo obbligo di avere una sede nel territorio della Repubblica.
Si mira così a superare la procedura di
infrazione n. 2013/4212, avviata dalla Commissione europea nei confronti
dell'Italia per aver imposto alle SOA l'obbligo di avere la propria sede legale
nel territorio della Repubblica ai sensi dell'articolo 64, comma 1, del decreto
del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010. In precedenza, era stato
aperto il caso EU Pilot n. 3412/12/MARK, ma la risposta fornita dalle autorità
italiane non era stata ritenuta soddisfacente dalla Commissione, la quale
osserva che l’articolo 56 del TFUE vieta le restrizioni alla libera prestazioni di
servizi e che la direttiva 2006/123/CE[3] (articolo 16, paragrafo 2, lettera a) vieta agli Stati membri di
obbligare i prestatori ad essere stabiliti nel loro territorio.
Sulla questione si è pronunciata la Corte di
giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione) alla quale si era rivolto il
Consiglio di stato italiano con un rinvio pregiudiziale sull’interpretazione
delle richiamate disposizioni del TFUE e della direttiva 2006/163/CE circa le
disposizioni italiane che impongono alle SOA di avere la sede legale in Italia.
La Corte, nella causa C-593/13, ha stabilito che l’articolo 51 del TFUE, il
quale prevede eccezioni al diritto di stabilimento, non si applica alle
attività di attestazione esercitate dalle SOA, poiché queste non esercitano
pubblici poteri, in quanto la loro attività è definita in tutti i suoi aspetti
dal quadro normativo nazionale italiano. La Corte, inoltre, ha interpretato
l’articolo 14 della direttiva 2006/123/CE nel senso che esso osta ad una
normativa di uno Stato membro in forza della quale è imposto alle SOA l'obbligo
di avere la sede legale nel territorio nazionale.
Il comma 1 stabilisce che le Società Organismi di Attestazione (SOA) devono avere una sede nel territorio della Repubblica.
Il comma 2 novella l’articolo 64 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, sopprimendo la disposizione che impone alle SOA di avere la sede legale nel territorio della Repubblica.
Si segnala che l'articolo 6 in esame
interviene su un testo normativo, il decreto del Presidente della Repubblica 5
ottobre 2010, n. 207, che risulta in via di abrogazione. L'articolo 217,
lettera u), n. 1, del recente decreto
legislativo 18 aprile 2016, n. 50[4], recante il c.d. nuovo codice degli appalti, ne ha disposto infatti, in via generale,
l'abrogazione "dalla data di entrata in vigore degli atti attuativi del
presente codice, i quali operano la ricognizione delle disposizioni del decreto
del Presidente della repubblica n. 207 del 2010 da esse sostituite"[5].
Il decreto legislativo n. 50
del 2016 ha dato attuazione a tre direttive europee: 2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti
di concessione, 2014/24/UE sugli appalti pubblici e 2014/25/UE sulle procedure d'appalto
degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei
servizi postali. Inoltre, in attuazione della delega contenuta nella legge 28
gennaio 2016, n. 11, tale testo normativo ha altresì effettuato un riordino
globale della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture.
L'articolo 217 ha contestualmente abrogato il decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 ("Codice
dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione
delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE") e il relativo regolamento di
attuazione ed esecuzione (decreto
del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207).
Le società organismi di attestazione sono state
disciplinate ex novo dall'articolo 84
del citato decreto legislativo n. 50 del 2016. Si tratta di organismi di
diritto privato (comma 1) che attestano, a favore dei soggetti esecutori (a
qualsiasi titolo) di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000
euro, il possesso dei seguenti requisiti di qualificazione (comma 4):
1) l'assenza dei motivi di esclusione di un operatore
economico dalla partecipazione a procedure di appalto o concessione;
2) il possesso dei requisiti di capacità economica,
finanziaria, tecnica e professionale elencati all'articolo 83 del medesimo
decreto[6];
3) il possesso di certificazione di sistemi di qualità
conformi alle norme europee della serie UNI EN ISO 9000 e alla vigente normativa
nazionale;
4) il possesso di certificazione del rating di impresa, rilasciata dall'ANAC, basato - ai sensi del
comma 10 dell'articolo 83 del medesimo decreto legislativo n. 50 del 2016 - su
indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di
accertamenti definitivi che esprimono la capacità strutturale e di affidabilità
dell'impresa.
Al riguardo, si fa presente, inoltre, che,
ai sensi dell'articolo 216, comma 14, del nuovo codice degli appalti, recante
disposizioni transitorie e di coordinamento, fino all'adozione delle linee
guida indicate all'articolo 83, comma 2, del medesimo testo, continuano ad
applicarsi, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla Parte II, Titolo
III, nonché gli allegati e le parti di allegati ivi richiamate, del decreto del
Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207. In tale titolo III, risulta
ricompreso anche l'articolo 64, in materia di requisiti generali e di
indipendenza delle SOA, che risulta oggetto di novella da parte del disegno di
legge europea in esame.
Si
ricorda che, in base all'articolo 83, comma 2, del nuovo codice, si prevede
l'adozione di linee guida dell'ANAC, entro un anno dalla data di entrata in
vigore del codice, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, con
cui sono disciplinati, nel rispetto dei principi di cui al codice stesso e
anche al fine di favorire l'accesso da parte delle microimprese e delle piccole
e medie imprese, una serie di materie, tra le quali il sistema di
qualificazione.
In tale quadro, si rileva l'opportunità di operare un coordinamento dell'articolo
6 in esame con il quadro normativo aggiornato a seguito dell'entrata in vigore
del nuovo codice degli appalti, quale normativa di settore di riferimento e in
vista del superamento del decreto del
Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207. A tale riguardo, si segnala
come la disposizione di cui al comma 1 dell'articolo troverebbe più opportuna
collocazione nell'ambito della disciplina di settore medesima, non risultando,
nel testo attuale, formulato quale novella della normativa in materia di SOA.
Articolo
7
(Disposizioni in materia di tassazione delle vincite da gioco. Esecuzione
della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea 22 ottobre 2014
nelle cause riunite C-344/13 e C-367/13. Caso EU Pilot 5571/13/TAXU)
L'articolo 7 prevede che le vincite corrisposte da case da gioco autorizzate in Italia o negli altri Stati membri dell'Unione europea o nello Spazio economico europeo non concorrono a formare il reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo di imposta. La norma provvede inoltre alla relativa copertura finanziaria derivante dalla nuova esenzione prevista per le vincite realizzate negli Stati europei.
Viene così adeguata all'ordinamento dell'Unione europea, in attuazione di una sentenza della Corte di giustizia del 22 ottobre 2014, la disciplina italiana sulla tassazione delle vincite corrisposte da case da gioco. La normativa italiana attualmente prevede una differenza di trattamento fiscale a seconda che le vincite di gioco siano state ottenute in Italia o in un altro Stato membro; la Corte ha ritenuto tale normativa incompatibile con il principio di libera circolazione dei servizi.
Nella versione in vigore, il comma 1 dell'articolo 69 del Testo unico delle imposte sui redditi (DPR 22 dicembre 1986, n. 917) prevede che i premi e le vincite derivanti da lotterie, concorsi a premio, giochi e scommesse organizzati per il pubblico, derivanti da prove di abilità o dalla sorte, nonché attribuiti in riconoscimento di particolari meriti artistici, scientifici o sociali, costituiscano reddito per l'intero periodo di imposta, senza alcuna deduzione. Tali proventi sono considerati quali redditi diversi (articolo 67, comma 1, lettera d), del TUIR).
Il comma
1 dell’articolo 30 del DPR 29 settembre 1973, n. 600, in materia di
accertamento, assoggetta i premi di importo maggiore a 50.000 lire (ca. 25,82
euro) ad una ritenuta alla fonte a titolo di imposta. Il comma 2 stabilisce
l'ammontare della ritenuta nel 10 per cento per i premi delle lotterie, tombole o simili e nel
20 per cento sui premi dei giochi svolti in occasione di spettacoli
radio-televisivi, competizioni o manifestazioni di qualsiasi altro genere.
Tuttavia, ai sensi del comma 7, la
ritenuta sulle vincite corrisposte dalle case da gioco autorizzate (in Italia) è
compresa nell'imposta sugli spettacoli di cui all'articolo 3 del decreto
del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640. Le case da gioco
tenute al pagamento dell’imposta sugli spettacoli sono escluse dall’obbligo di
rivalsa dell’imposta nei confronti degli spettatori, dei partecipanti e degli
scommettitori.
La Commissione europea aveva segnalato alle
Autorità italiane la possibile violazione
del principio di libera circolazione dei servizi di cui all'articolo 56 del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea nel settembre 2013. Era stata
allora aperta la procedura EU-Pilot 5571/13/TAXU.
Il 22 ottobre 2014 una sentenza della Terza
sezione della Corte di giustizia, determinata da due ricorsi individuali (casi
C-344/13 e C-367/13), ha stabilito l'incompatibilità delle norme citate con
l'ordinamento dell'Unione europea. La sentenza ha stabilito inequivocabilmente che gli
articoli 52 e 56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea devono
essere interpretati nel senso che la normativa di uno Stato membro non può
assoggettare all'imposta sul reddito le vincite da giochi d'azzardo realizzate
in case da gioco situate in altri Stati membri ed esonerare invece dall'imposta
redditi simili allorché provengono da case da gioco situate nel territorio
nazionale di tale Stato. Né nel caso di specie la disparità di trattamento è
stata ritenuta giustificabile per motivi di ordine, sicurezza o sanità
pubblica, come previsto dall'articolo 52 del TFUE.
Al fine di dare attuazione nell'ordinamento
nazionale alla sentenza della Corte, il Governo aveva in un primo momento
ipotizzato di inserire una norma di adeguamento nello schema di decreto
legislativo volto a dare attuazione all'articolo 14 della legge 11 marzo 2014,
n. 23.
L'articolo 14 della legge 11
marzo 2014, n. 23 ("Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale
più equo, trasparente e orientato alla crescita") conteneva una delega al
Governo per riordinare tutte le norme in vigore in materia di giochi pubblici
mediante l'adozione di un "Codice delle disposizioni sui giochi". Si
rammenta che il termine per l'attuazione
della delega è scaduto il 27 giugno 2015 lasciando inattuato l’articolo 14.
L'articolo 7, comma 1, del disegno di legge in esame modifica il comma 1
dell'articolo 69 del Tuir, stabilendo che, fatto salvo quanto previsto dal
successivo comma 1-bis, i premi e le
vincite costituiscono reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo di
imposta, senza alcuna deduzione. Il nuovo
comma 1-bis dispone un’esenzione per le vincite corrisposte da case da gioco autorizzate nello Stato
italiano e negli altri Stati membri dell'Unione europea o nello Spazio
economico europeo: tali proventi non concorrono a formare il reddito per
l'intero ammontare percepito nel periodo di imposta.
Il comma
2, conseguentemente, abroga il citato comma 7 dell'articolo 30 del DPR 29
n. 600 del 1973, il quale prevede che la ritenuta sulle vincite corrisposte
dalle case da gioco autorizzate è compresa nell'imposta sugli spettacoli.
I commi 1 e 2 sono stati modificati nel corso dell’esame in sede referente. Il comma 1 è stato integrato prevedendo l’esenzione fiscale anche per le vincite incassate nelle case da gioco italiane: la mancata previsione avrebbe determinato infatti una situazione opposta a quella attuale. Al comma 2 è stata soppressa una modifica al comma 4 dell’articolo 30 del D.P.R. n. 600 del 1973 in tema di ritenuta sulle vincite.
Il comma
3 provvede alla copertura degli oneri derivanti dall'attuazione
dell'articolo mediante destinazione di quota parte delle maggiori entrate
derivanti dall'applicazione della disposizione di cui all'articolo 16 del
disegno di legge in esame, che innalza l’aliquota IVA dei preparati per risotti
dal 4 al 10 per cento.
Il comma 4 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le variazioni di bilancio necessarie.
Articolo
8
(Disposizioni in materia di diritti dei lavoratori a seguito di subentro di
un nuovo appaltatore. Caso EU Pilot 7622/15/EMPL)
L'articolo 8 - inserito dalla 14a Commissione del Senato - sopprime la norma secondo cui l'acquisizione, a seguito di subentro di un nuovo appaltatore ed in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d'appalto, del personale già impiegato nell'appalto non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda.
Si ricorda che tale disposizione (di cui all'art. 29, comma 3, del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276) è interpretata dalla giurisprudenza, anche della Corte di cassazione, nel senso che la medesima non esclude che, qualora ricorrano i presupposti, il subentro di un nuovo appaltatore costituisca un trasferimento d'azienda o di parte d'azienda. Tuttavia, i servizi della Commissione europea (Caso EU Pilot 7622/15/EMPL), ai fini della valutazione della compatibilità della norma con la disciplina dell'Unione europea, hanno reputato insufficiente quest'ordine di considerazioni, ritenendo (secondo il loro esame delle sentenze della Corte di cassazione) che l'interpretazione della norma escluda la configurazione del subentro nell'appalto come trasferimento d'azienda o di parte d'azienda in tutti i casi in cui il medesimo subentro non sia accompagnato (oltre che dal passaggio del personale) da un trasferimento di beni di "non trascurabile entità".
Di conseguenza, secondo i servizi della Commissione, la norma violerebbe la direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, "concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti".
Si ricorda che dall'inquadramento di una fattispecie come trasferimento di azienda (o di parte di essa) - trasferimento che può consistere anche in un usufrutto o in un affitto - consegue la tutela sul mantenimento dei diritti dei lavoratori, di cui all'art. 2112 del codice civile.
Articolo
9
(Disposizioni in materia di obbligazioni alimentari, in materia matrimoniale
e in materia di responsabilità genitoriale. Accesso e utilizzo delle
informazioni da parte dell’autorità centrale)
L’articolo 9 consente al Dipartimento per giustizia minorile e di comunità del Ministero della Giustizia - in quanto autorità centrale per la cooperazione prevista da atti europei e internazionali relativi all’adempimento di obblighi alimentari - l’accesso, attraverso l’assistenza di altre pubbliche amministrazioni, alle informazioni contenute in banche dati pubbliche e relative alla situazione economica di soggetti obbligati al pagamento di alimenti in favore di familiari. Tali informazioni potranno poi, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, essere trasmesse all’ufficiale giudiziario che procede in via esecutiva per riscuotere i crediti alimentari.
La disposizione in primo luogo (comma 1) ribadisce con fonte primaria quanto già attualmente riconosciuto per via amministrativa, ovvero che il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della Giustizia è l’autorità centrale del nostro Paese per la cooperazione prevista dagli atti europei e internazionali relativi all’adempimento degli obblighi alimentari; per questo attualmente l’Ufficio II del Dipartimento della giustizia minorile è denominato Recupero internazionale di crediti alimentari.
Gli atti europei e internazionali richiamati dall’art. 6 sono i seguenti:
- regolamento CE n. 4/2009, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari (art. 49). Il Regolamento mira ad agevolare il pagamento dei crediti alimentari in situazioni transfrontaliere; si applica ai crediti alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o affinità. Nella categoria rientrano: l’assegno di mantenimento dei figli; l’assegno di mantenimento a favore del coniuge a seguito di separazione; l’assegno divorzile; gli alimenti derivanti dall’obbligo di aiutare nel bisogno i membri della propria famiglia;
- regolamento CE n. 2201/2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale (art. 53);
- Convenzione dell’Aia del 23 novembre 2007, sul recupero internazionale di alimenti nei confronti dei figli minori e di altri membri della famiglia (art. 4).
La natura self executing dei regolamenti ha reso necessaria l'adozione di disposizioni per l'acquisizione delle informazioni prescritte.
Come si evince dalla pagina internet dell’Ufficio II - Recupero internazionale di crediti alimentari - del Capo Dipartimento della giustizia minorile e di comunità, sulla base del regolamento CE del 2009 e della Convenzione dell’Aja del 2007, l’autorità centrale è il punto di riferimento tanto delle procedure attive – nelle quali soggetti residenti in Italia si rivolgono all’autorità nazionale perché si faccia tramite di richieste di recupero crediti presso altre autorità estere – sia delle procedure passive – nelle quali l’autorità centrale di uno Stato estero si rivolge all’autorità italiana per recuperare in Italia somme in nome di cittadini europei o stranieri.
Più articolato è il ruolo del Dipartimento in base al regolamento CE del 2003 sulla sottrazione internazionale dei minori, in base al quale l’Ufficio trasmette alle competenti autorità centrali estere e riceve dalle medesime gli atti delle procedure per sottrazione internazionale di minore; raccoglie e fornisce informazioni sulla situazione di specifici minori, sui procedimenti eventualmente in corso e, reciprocamente, chiede alle autorità centrali degli altri Stati membri, anche su richiesta del titolare della responsabilità genitoriale o dell’autorità giudiziaria italiana, informazioni sulla situazione di specifici minori residenti all’estero; facilita la comunicazione tra le autorità giudiziarie del proprio e degli altri Stati.
A seguito della designazione del Dipartimento come autorità centrale, riconoscimento confermato anche dal recente regolamento di riorganizzazione del Ministero della Giustizia (D.P.C.M. 15 giugno 2015, n. 84, art. 7), l’articolo 9 del disegno di legge europea stabilisce che il Dipartimento si avvale dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia (comma 1, primo periodo).
Si osserva che il primo periodo della disposizione in commento non pare produrre innovazioni nell’ordinamento, in quanto opera una mera ricognizione della normativa vigente.
Si ricorda, infatti, che attualmente, dal dipartimento per la Giustizia minorile dipendono i 12 Centri per la Giustizia Minorile (CGM), che operano sul territorio attraverso i Servizi Minorili della Giustizia (art. 8, d.lgs. n. 272/1989[7]).
Il secondo periodo del comma 1 consente al Dipartimento di rivolgersi agli “organi della pubblica amministrazione” e a “tutti gli enti i cui scopi corrispondono alle funzioni che gli derivano dalle convenzioni e dai regolamenti”, per chiedere assistenza.
Il terzo periodo del comma 1 consente al Dipartimento l’accesso alle banche dati dei suddetti enti e amministrazioni.
Si valuti la possibilità di chiarire quali siano gli enti e le amministrazioni cui si fa riferimento; non sarebbe altrimenti precisato in quale modo venga stabilita la corrispondenza tra gli scopi degli enti e le funzioni di cooperazione assegnate al Dipartimento. Né è precisato se si intenda fare riferimento esclusivamente a enti pubblici.
Infine, si osserva che il secondo periodo prevede solo la possibilità per il Dipartimento di chiedere assistenza, senza introdurre un obbligo espresso di cooperazione tra amministrazioni pubbliche.
L’ultimo periodo del comma 1, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, esclude dall’applicazione di questa
disposizione - e dunque dall’accesso del Dipartimento per la giustizia minorile
e di comunità – le informazioni contenute nel Centro di elaborazione dei dati del ministero dell’interno,
relative alla tutela dell'ordine, della sicurezza pubblica e di prevenzione e
repressione della criminalità.
A tali dati, infatti, in base all’art. 9 della legge n. 121 del 1981[8] possono accedere, oltre all’autorità giudiziaria, solo gli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti alle forze di polizia, gli ufficiali di pubblica sicurezza ed i funzionari dei servizi di sicurezza, nonché agli agenti di polizia giudiziaria delle forze di polizia debitamente autorizzati. Di tali dati è inoltre vietata ogni utilizzazione per finalità diverse dalla tutela della sicurezza pubblica nonché ogni forma di circolazione nell’ambito della pubblica amministrazione.
Il comma 2 consente la trasmissione delle informazioni acquisite attraverso l’accesso alle banche dati all’ufficiale giudiziario competente nel procedimento di esecuzione forzata. La trasmissione delle informazioni è subordinata all’autorizzazione dell’autorità giudiziaria.
La disposizione richiama l’art. 492-bis del codice di procedura civile (inserito recentemente, dal decreto-legge n. 132 del 2014), relativo alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare.
In caso di incapienza del debitore, la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare avviene su istanza del creditore, e previa espressa autorizzazione del presidente del tribunale.
L'ufficiale giudiziario può accedere, mediante collegamento telematico diretto, alle banche dati delle pubbliche amministrazioni o che le stesse possono consultare, inclusi l'anagrafe tributaria e le banche dati degli enti previdenziali, al fine di acquisire tutte le informazioni rilevanti per l'individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro committenti.
Qualora la ricerca - che deve essere documentata in un unico processo verbale indicante anche le banche dati verificate - dovesse avere esito positivo, l'ufficiale giudiziario si comporta diversamente a seconda dell'ubicazione dei beni rinvenuti.
In ordine alla formulazione del testo, si evidenzia che “i soggetti interessati di cui al comma 1” sarebbero alla lettera le amministrazioni pubbliche e gli enti. La disposizione, invece, pare volersi riferire ai soggetti tenuti all’obbligo alimentare, la cui situazione economica è rilevante nell’ambito delle procedure per il recupero del credito alimentare.
Si osserva inoltre che già a legislazione
vigente, previa autorizzazione del presidente del tribunale, l’ufficiale
giudiziario ha accesso alle banche dati pubbliche e può procedere così alla ricerca
telematica dei beni da pignorare. Si valutino pertanto gli effetti
dell’attribuzione del nuovo ruolo di tramite in capo al Dipartimento per la
giustizia minorile e di comunità.
Documenti all’esame
delle istituzioni dell’UE
Si ricorda che nel Programma di lavoro della Commissione europea per il 2016 (in particolare nell’allegato relativo alle proposte REFIT[9]) si prevede, tra le nuove iniziative da intraprendere nel 2016, la riforma del Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 (cosiddetto Bruxelles II-bis). La Commissione europea aveva lanciato tra il 15 aprile 2014 e il 18 luglio 2014 una consultazione pubblica sul funzionamento del citato regolamento.
Articolo
10
(Disposizioni in materia di titolo esecutivo europeo)
1. L’autorità che ha formato
l’atto pubblico è competente al rilascio di ogni attestato, estratto e
certificato richiesto per l’esecuzione forzata dell’atto stesso negli Stati
membri dell’Unione europea.
2. In ogni caso in cui
l’autorità che ha formato l’atto pubblico sia stata soppressa o sostituita,
provvederà l’autorità nominata in sua vece o che sia tenuta alla conservazione
dei suoi atti e al rilascio delle loro copie, estratti e certificati.
L’articolo 10, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, interviene sulle procedure di esecuzione forzata da eseguire in un altro Stato membro dell’Unione europea.
Si ricorda che il Regolamento (CE) n. 805/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, ha istituito il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati. Il titolo esecutivo europeo è un certificato che consente che le decisioni giudiziarie, le transazioni giudiziarie e gli atti pubblici relativi a crediti non contestati, possano essere riconosciuti ed eseguiti automaticamente, in un altro Stato membro, senza procedimento intermedio.
Un credito si considera non contestato se:
· il debitore l'ha espressamente riconosciuto mediante una dichiarazione o mediante una transazione approvata dal giudice o conclusa dinanzi al giudice nel corso di un procedimento giudiziario; o
· il debitore non l'ha mai contestato nel corso del procedimento giudiziario; o
· il debitore non è comparso o non si è fatto rappresentare in un'udienza relativa a un determinato credito pur avendo contestato inizialmente il credito stesso nel corso del procedimento; o
· il debitore l'ha espressamente riconosciuto in un atto pubblico.
La decisione relativa a un credito non contestato è certificata come titolo esecutivo europeo dallo Stato membro che ha pronunciato la decisione (Stato membro d'origine). La certificazione avviene in base a un certificato standard. Se la certificazione riguarda solo parte della decisione, si parlerà allora di "titolo esecutivo parziale".
Il diritto applicabile alla procedura di esecuzione è quello dello Stato membro in cui viene richiesta l'esecuzione della decisione (Stato membro di esecuzione). Il creditore è tenuto a fornire alle autorità competenti dell'esecuzione:
· una copia della decisione;
· una copia del certificato di titolo esecutivo europeo;
· se del caso, una trascrizione del certificato di titolo esecutivo europeo o una sua traduzione nella lingua ufficiale dello Stato membro dell'esecuzione oppure in un'altra lingua che abbia dichiarato di accettare.
In particolare, la disposizione demanda all’autorità che ha formato l’atto pubblico al quale deve essere data esecuzione, la competenza a rilasciare ogni ulteriore documentazione (attestati, certificati o estratti) che sia necessaria per l’esecuzione in altro Stato (comma 1).
L’articolo 10 precisa che laddove l’autorità che ha formato l’atto pubblico sia stata poi soppressa o sostituita, la competenza al rilascio di tale documentazione è attribuita all’autorità subentrante (comma 2).
Articolo
11
(Norme di adeguamento per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato
nelle cause transfrontaliere in materia di obbligazioni alimentari e
sottrazione internazionale di minori)
L’articolo 11, non modificato nel corso dell’esame in Commissione, estende la disciplina sull’accesso al patrocinio a spese dello Stato, prevista per le controversie transfrontaliere in ambito UE, ai procedimenti per l’esecuzione di obbligazioni alimentari (comma 1) e riconosce il diritto al gratuito patrocinio a tutti coloro che presentano domande inerenti alla sottrazione internazionale di minori (comma 2). Le domande per l’accesso al patrocinio, presentate attraverso il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia, dovranno essere rivolte al consiglio dell’ordine degli avvocati del luogo nel quale l’obbligo alimentare deve essere eseguito (comma 3).
In particolare, il comma 1 estende la disciplina del gratuito patrocinio, già prevista per le parti di controversie transfrontaliere nell’Unione europea dal d.lgs. n. 116/2005, a coloro che chiedano, attraverso gli strumenti della cooperazione internazionale introdotti dalla Convenzione dell’Aja del 2007, l’esecuzione - anche al di fuori dei confini UE - di obbligazioni alimentari.
Si ricorda, infatti, che il decreto legislativo n. 116 del 2005[10] ha disciplinato l’accesso al gratuito patrocinio nelle controversie transfrontaliere nell’ambito dell’Unione europea, delineando i presupposti reddituali (e soprattutto consentendo di derogarvi quando vi sia un forte squilibrio tra il costo della vita dello Stato di residenza e quello del foro) e individuando una serie di attività, anche di natura precontenziosa, coperte dall’istituto (consulenza legale, spese di interpretazione e traduzione, spese di viaggio). Tale normativa – significativamente più favorevole rispetto alla disciplina generale del TU spese di giustizia (D.P.R. n. 115 del 2002) - viene ora estesa anche a controversie esterne all’UE, se si tratta di domande di adempimento di obbligazioni alimentari previste dalla Convenzione.
La Convenzione dell’Aia del 23 novembre 2007 è entrata in vigore per l’Italia il 1° agosto 2014 in forza della ratifica da parte dell’Unione Europea; ha dunque effetto vincolante per tutti gli Stati membri (fatta eccezione per la Danimarca) e si applica alle dispute internazionali relative a soggetti residenti in Stati aderenti alla Convenzione ma esterni allo spazio europeo. Ad oggi si tratta di Albania, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Norvegia, Ucraina. Tra i firmatari che non hanno ancora proceduto alla ratifica ci sono anche gli Stati Uniti.
In base alla Convenzione, chiunque risieda stabilmente nel territorio italiano può rivolgersi all’autorità centrale italiana – Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della Giustizia - per ottenere assistenza ai fini della presentazione delle domande giudiziarie proponibili attraverso il sistema di cooperazione istituito dalla Convenzione. Tali domande possono riguardare:
- obbligazioni alimentari derivanti da un rapporto di filiazione nei confronti di una persona di età inferiore a anni 21,
- riconoscimento e/o esecuzione di una decisione in materia di obbligazioni alimentari tra coniugi ed ex coniugi nei casi in cui la domanda sia presentata congiuntamente ad una richiesta di alimenti per “figli” minori di anni 21.
Come evidenziato dalla relazione illustrativa, il disegno di legge «mira a superare la significativa disparità di trattamento, sotto il profilo del patrocinio a spese dello Stato, che si verifica quando domande di cooperazione ai sensi della Convenzione dell’Aia del 2007, di identico contenuto, provengono da uno Stato membro dell'Unione europea o da uno Stato terzo: nella prima ipotesi, infatti, si applica il regime di cui al decreto legislativo n. 116 del 2005 (che ha recepito la direttiva 2003/8/CE); nel secondo caso, invece, si applica il regime di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002».
Il comma 1 precisa che il gratuito patrocinio dovrà essere riconosciuto in base ai presupposti del decreto legislativo n. 116/2005, ma facendo salve le disposizioni di maggior favore previste dalla Convenzione agli articoli da 14 a 17.
In particolare, l’art. 14 della Convenzione vincola gli Stati a riconoscere agli istanti almeno le stesse condizioni di accesso fissate per l'assistenza legale gratuita nelle cause equivalenti. L’art. 15 prevede la concessione del gratuito patrocinio, a prescindere dai limiti di reddito, per le domande relative a obbligazioni alimentari derivanti da un rapporto di filiazione nei confronti di una persona infra ventunenne, a meno che lo Stato non abbia dichiarato di voler subordinare l’assistenza legale gratuita alla valutazione delle risorse del figlio (art. 16).
Il comma 2 riconosce ope legis il patrocinio a spese dello Stato in caso di domande relative alla sottrazione internazionale dei minori, inoltrate all’autorità centrale italiana – Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della Giustizia - in base alla Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980. In questo caso, dunque, diversamente dal comma 1, il legislatore non estende l’applicazione di una disciplina sul gratuito patrocinio ma afferma il diritto all’accesso al patrocinio a prescindere da limiti reddituali.
Si ricorda che per effetto della designazione quale Autorità Centrale ai sensi della Convenzione dell’Aia del 25 ottobre 1980, il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità:
- riceve le istanze presentate tramite le autorità centrali estere per il ritorno nello Stato di residenza abituale di minori condotti o trattenuti illecitamente in Italia e le istanze per l’organizzazione o tutela dei diritti di visita nei confronti di minori residenti abitualmente in Italia, le istruisce preliminarmente e le trasmette alla competente autorità giudiziaria italiana (c.d. istanze passive);
- riceve le istanze per il ritorno in Italia di minori condotti o trattenuti illecitamente all’estero e le istanze per l’organizzazione o tutela dei diritti di visita nei confronti di minori residenti abitualmente in un altro Stato, le istruisce preliminarmente e le invia alla competente autorità centrale estera (c.d. istanze attive);
- informa e fornisce attività di supporto alle parti istanti residenti in Italia nel corso delle procedure avviate;
- informa e coopera con le autorità centrali estere;
- cura i rapporti con le autorità giudiziarie nazionali ed estere;
- cura i rapporti con le autorità di polizia;
- propone e favorisce la mediazione fra le parti ai fini della risoluzione pacifica delle controversie familiari.
Come evidenziato dalla relazione illustrativa del disegno di legge, questa previsione si rende necessaria per attuare quanto richiesto dalla Convenzione del 1980, che vincola ciascuno Stato aderente ad assicurare ai soggetti istanti, vittime di sottrazioni internazionali, l'assistenza di avvocati nelle relative procedure che si svolgono sul proprio territorio, senza spese a carico dei richiedenti, anche qualora non siano applicabili le norme sul patrocino a spese dello Stato. La relazione illustrativa, «al fine di comprendere la gravità del problema», fa altresì presente che l’attuale mancata attuazione di questo profilo della Convenzione è stato rimproverato al nostro Paese dalla Svizzera, che ha conseguentemente stabilito «per il principio di reciprocità, di non dare l'assistenza legale agli italiani che si rivolgono all’autorità centrale svizzera».
Il comma 3 stabilisce che le domande di accesso al patrocinio a spese dello Stato, presentate attraverso il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, e relative al riconoscimento o al riconoscimento e dichiarazione di esecutività di una decisione relativa al recupero di alimenti (in base all’art. 56, par. 1, lett. a) del regolamento (CE) 4/2009 e all’identico art. 10, par. 1, lett. a) della Convenzione del 2007), debbano essere trasmesse al consiglio dell’ordine degli avvocati del luogo di esecuzione della decisione.
La relazione illustrativa motiva questa disposizione con l’esigenza di «superare le difformi interpretazioni date dai consigli dei diversi distretti. (Alcuni, infatti, sostenevano che dovesse ritenersi competente il consiglio dell'ordine del capoluogo del distretto)».
I commi 4 e 5 attengono alla copertura finanziaria dell’art. 11, i cui oneri sono calcolati in 189.200 euro annui, a decorrere dal 2016.
La copertura è assicurata attraverso la corrispondente riduzione del Fondo per il recepimento della normativa europea (art. 41-bis, legge n. 234 del 2012); se dovessero verificarsi rilevanti scostamenti rispetto alla suddetta previsione di spesa, il Ministro dell’economia, sentito il Ministro della Giustizia, potrà coprire l’onere attingendo alle spese rimodulabili di parte corrente del Ministero della Giustizia (Missione Giustizia – Programma Giustizia civile e penale).
Articolo
12
(Permesso di soggiorno individuale per minori stranieri)
L'articolo 12, introdotto in sede referente,
reca modifiche al Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 ("Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero"), nonché al
Decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 ("Regolamento recante norme di
attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma
dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286"),
al fine di dare piena attuazione al regolamento (CE) n. 380/2008, del 18 aprile
2008, che modifica il regolamento (CE) n. 1030/2002, che istituisce un modello
uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di Paesi terzi. La
finalità è quella di evitare rilievi e censure relativamente al mancato
adeguamento dei permessi di soggiorno al nuovo modello europeo.
In particolare, il comma 1, lettera a) sostituisce il comma 1 dell'articolo 31 del decreto legislativo n. 286/1998, prevedendo che, al figlio minore dello straniero con questi convivente e regolarmente soggiornante, venga rilasciato "un permesso di soggiorno per motivi familiari valido fino al compimento della maggiore età" ovvero "un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo"[11].
Il minore fino al quattordicesimo anno di età non dovrà dunque essere iscritto, come nell'attuale versione della norma, nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno di uno o di entrambi i genitori.
La direttiva 2003/109/CE
del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo
periodo ha
armonizzato le legislazioni degli Stati membri al fine di istituire un
trattamento paritario per i cittadini di Paesi terzi che siano residenti di
lungo periodo.
Il 10 febbraio 2016, la Commissione ha avviato
procedimenti di infrazione contro Italia, Grecia, Francia, Lettonia
e Slovenia per mancata comunicazione delle misure di
recepimento integrale della direttiva 2011/51/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 20111, che ha modificato
la direttiva 2003/109/CE del Consiglio per estenderne l'ambito di applicazione
ai beneficiari di protezione internazionale[12].
Come conseguenza delle modifiche apportate al
comma 1 dell'articolo 31:
· il comma 1, lettera b), abroga il comma 2 dell'articolo 31, che prevedeva che al minore venisse rilasciato, solo al compimento del quattordicesimo anno di età, "un permesso di soggiorno per motivi familiari validi fino al compimento della maggiore età", ovvero "una carta di soggiorno";
· il comma 1, lettera c), prevede che le parole "le disposizioni di cui all'articolo 31, commi 1 e 2", di cui all'articolo 32, comma 1, vengano sostituite da "le disposizioni di cui all'articolo 31, comma 1";
· il comma 2 interviene a modificare l'articolo 28, comma 1, lettera a), (sui permessi di soggiorno per gli stranieri per i quali sono vietati l'espulsione o il respingimento) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 394/1999, prevedendo la soppressione delle parole "salvo l'iscrizione del minore degli anni quattordici nel permesso di soggiorno del genitore o dell'affidatario stranieri regolarmente soggiornanti in Italia", con riferimento al rilascio da parte del questore del permesso di soggiorno nel caso in cui la legge disponga il divieto di espulsione;
· il comma 3 stabilisce infine che, una volta entrata in vigore la presente legge, al momento del rinnovo del permesso di soggiorno del genitore o dell'affidatario, al minore di anni quattordici già iscritto nel permesso di soggiorno del genitore o dell'affidatario venga rilasciato il permesso di soggiorno di cui sopra.
Articolo
13
(Disposizioni relative alla tassazione dei veicoli di studenti europei in Italia.
Caso EU Pilot 7192/14/TAXU)
L'articolo 13 modifica il testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche (decreto del Presidente della Repubblica 5 febbraio 1953, n. 39) al fine di renderlo compatibile con la direttiva 83/182/CEE. Gli studenti vengono esentati da imposte e tasse per l'utilizzo in Italia di veicoli immatricolati nello Stato dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo in cui risiedono abitualmente, a condizione che con lo Stato medesimo sussista un adeguato scambio di informazioni.
La direttiva del Consiglio del 28 marzo 1983 relativa alle franchigie fiscali applicabili all'interno
della Comunità in materia d'importazione temporanea di taluni mezzi di
trasporto prevede franchigie al regime fiscale per l'importazione temporanea, in
provenienza da uno Stato membro, di alcuni mezzi di trasporto ad uso privato o
professionale. Si vogliono così rimuovere ostacoli alla libera circolazione dei
residenti all'interno dell'Unione. A titolo di esempio, la direttiva si applica
ad autoveicoli a motore (compresi i rimorchi), roulottes da campeggio, imbarcazioni da diporto ed aerei da turismo
(articolo 1).
L'articolo 5 ("Casi
particolari di importazione temporanea di veicoli da turismo") disciplina
espressamente la fattispecie dei veicoli utilizzati da studenti e immatricolati
nello Stato membro in cui gli studenti medesimi risiedono normalmente.
L'importazione temporanea nello Stato membro in cui essi soggiornano al solo
scopo di proseguirvi gli studi comporta l'applicazione di una franchigia sia
dalle imposte sui consumi che dalla tassa sulla circolazione degli autoveicoli.
La Corte di giustizia dell'Unione europea (caso
C-249/84) ha, inoltre, affermato che l'applicazione della
franchigia è indipendente dall'eventuale circostanza che lo studente sia
coniugato con un cittadino dello Stato membro in cui egli compie gli studi.
Il Capo III ("Delle esenzioni", articoli 17-20) del Testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche non contiene alcun riferimento al caso degli studenti dell'Unione che utilizzano in Italia un veicolo immatricolato nello Stato membro in cui risiedono abitualmente. È prevista una generica esenzione dal pagamento della tassa di circolazione di durata trimestrale per autoveicoli in importazione temporanea, subordinata alla condizione della reciprocità di trattamento (articolo 18). Decorso tale periodo di franchigia, la possibilità di circolazione è condizionata, per soli ulteriori nove mesi, al pagamento di un importo pari ad un dodicesimo della tassa annuale per ciascun mese di soggiorno (articolo 8, comma 1).
La Commissione europea ha segnalato al Governo italiano l'incompatibilità della normativa italiana con quella dell'Unione, aprendo il caso EU Pilot 7192/14/TAXU.
L'articolo 13 del disegno di legge in esame propone dunque la modifica di alcune norme del decreto del Presidente della Repubblica 5 febbraio 1953, n. 39, proprio al fine di evitare l'apertura di una procedura formale di infrazione a carico dell'Italia.
Si propongono, in particolare, modifiche ai seguenti articoli del testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche:
1) l'esclusione dalla clausola di reciprocità di cui all'articolo 8 per i veicoli immatricolati in uno Stato membro dell'Unione europea o aderente all'Accordo sullo spazio economico europeo (SEE) "con il quale sussiste un adeguato scambio di informazioni" (comma 1, lettera a), n. 1). Come infatti sottolineato dal Governo nella relazione illustrativa dell'A.S. 2228, "l'applicazione di tale condizione non appare legittima (...) poiché in contrasto con gli obiettivi di promuovere la libera circolazione delle persone e delle merci all'interno dell'Unione e di prevenire casi di doppia imposizione";
2) l'esenzione esplicita dal pagamento della tassa automobilistica, per l'intero periodo del corso di studi svolto in Italia, del veicolo da turismo utilizzato da uno studente che lo abbia immatricolato nello Stato membro dell'Unione europea o aderente all'Accordo sullo spazio economico europeo (SEE), con cui sussista un adeguato scambio di informazioni, in cui egli risieda abitualmente (comma 1, lettera a), n. 2);
3) la puntualizzazione, nell'articolo 18 (esenzione trimestrale per autoveicoli in temporanea importazione), che la condizione di reciprocità di trattamento non è applicabile agli Stati membri dell'Unione europea e aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo con cui sussiste un adeguato scambio di informazioni (comma 1, lettera b)).
Articolo
14
(Esenzioni a favore dei veicoli per il trasporto di merci temporaneamente
importate dall'Albania in esecuzione dell'accordo di stabilizzazione e di
associazione con l'Unione europea)
L'articolo 14 dispone la cancellazione del diritto fisso e della tassa di circolazione per gli autotrasportatori albanesi. Tali oneri sono infatti considerati incompatibili con l'Accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità europee ed i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Albania, dall'altra, concluso a Lussemburgo il 12 giugno 2006, e ratificato in Italia con legge 7 gennaio 2008, n. 10.
L'articolo 59 dell'Accordo
di stabilizzazione e di associazione disciplina la prestazione dei servizi di
trasporto tra l'Unione europea e l'Albania, con riferimento sia ai trasporti
terrestri che a quelli marittimi internazionali. Con particolare riferimento ai
trasporti terrestri, si afferma la volontà di garantire "un traffico di
transito stradale illimitato attraverso l'Albania e la Comunità intesa
globalmente, l'effettiva applicazione del principio di non discriminazione e la
progressiva armonizzazione della normativa albanese in materia di trasporti con
quella della Comunità".
Le norme applicabili alle
relazioni tra le parti sono dettagliate nel Protocollo
5, interamente dedicato alla promozione della
cooperazione nei trasporti terrestri, con particolare riferimento al traffico
di transito. In particolare, l'articolo 13 pone il principio del carattere non
discriminatorio di imposte, pedaggi e altri oneri applicati ai veicoli stradali
delle Parti contraenti (par. 1).
Il mantenimento degli oneri italiani vigenti potrebbe presentare profili di incompatibilità con gli accordi tra Albania ed Unione europea. Nella relazione illustrativa dell'A.S. 2228 il Governo fa riferimento a richieste formali di chiarimento indirizzate dalla Commissione europea all'Italia, che potrebbero sfociare nell'apertura di una procedura di infrazione.
Il diritto fisso per gli autoveicoli e i rimorchi
adibiti al trasporto di cose, importati temporaneamente in Italia ed
appartenenti a persone residenti stabilmente all'estero, è stato istituito
dalla legge
28 dicembre 1959, n. 1146.
Il comma 1 del testo in esame apporta alcune modifiche alla legge 7 gennaio 2008, n. 10, con cui è stato ratificato ed è stata data esecuzione in Italia al citato accordo di stabilizzazione e associazione tra Albania ed Unione europea. In particolare vengono aggiunte le seguenti disposizioni:
1) un nuovo articolo 2-bis, in virtù del quale il Ministero dell'economia e delle finanze potrà, con propri decreti, esentare dalle tasse automobilistiche e dal diritto fisso i trattori stradali, gli autocarri ed i relativi rimorchi adibiti a trasporti internazionali di cose. L'esenzione opererà per i veicoli importati temporaneamente dall'Albania ed appartenenti a persone stabilmente residenti in quel paese (comma 1, lettera a).
L'introduzione
di tali esenzioni è compatibile con l'articolo 2 della citata legge 28 dicembre
1959, n. 1146, la quale prevede che "in esecuzione di accordi intervenuti
con altri Governi, o di convenzioni internazionali oppure quando sussista
reciprocità di trattamento tributario o per esigenze dei traffici, possono
essere concesse esenzioni o riduzioni dal pagamento del diritto fisso (...) con
decreto del Ministro per le finanze d'intesa con quello per i trasporti".
L'articolo 2 della legge
12 dicembre 1973, n. 820 (Modificazioni in materia di tasse automobilistiche),
prevede a sua volta che "in esecuzione di accordi
intervenuti con altri Stati o di convenzioni internazionali oppure quando
sussista reciprocità di trattamento tributario o per esigenze dei traffici, con
decreto del Ministro per le finanze, possono essere concesse esenzioni o
riduzioni dal pagamento delle tasse automobilistiche (...) a favore degli
autoveicoli e rimorchi appartenenti a persone residenti stabilmente all'estero
e temporaneamente importati in Italia".
La relazione illustrativa dell'A.S. 2228 specifica anche che "l'adozione dei decreti agevolativi in questione (...) permette di eliminare una distorsione dei traffici commerciali segnalata dall'autorità portuale di Ancona consistente nel fatto che gli autotrasportatori albanesi preferiscano transitare per il porto di Trieste ove in base ad un decreto del 1960 non è dovuto il diritto fisso di importazione".
Per l'adozione dei decreti il comma 2 dell'articolo 14 pone il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in esame;
2) un nuovo comma 1-bis all'articolo 3 per la copertura finanziaria delle minori entrate derivanti dall'abolizione delle tasse automobilistiche e del diritto fisso (comma 1, lettera b)). Il relativo onere è stato valutato dal Governo in euro 3.398.072,52 annui a decorrere dal 2016. Per farvi fronte, si dispone la corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica.
Il Fondo per interventi
strutturali di politica economica è stato istituito dal decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, recante "Disposizioni urgenti in materia di
finanza pubblica", convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre
2004, n. 307. L'articolo 10, comma 5, ne prevede l’istituzione nello stato di
previsione del Ministero dell'economia e delle finanze "al fine di
agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante
interventi volti alla riduzione della pressione fiscale".
Articolo
15
(Modifiche alle aliquote IVA applicabili al basilico, al rosmarino e alla
salvia freschi destinati all'alimentazione. Caso EU Pilot 7292/15/TAXU)
L'articolo 15, modificato durante l’esame in Commissione, innalza dal 4 al 5 per cento l'aliquota IVA applicabile alle cessioni di basilico, rosmarino e salvia freschi, destinati all'alimentazione.
Viene ridotta dal 10 al 5 per cento l’aliquota applicabile alla cessione di piante allo stato vegetativo di basilico, rosmarino e salvia.
Nella formulazione originaria della norma proposta, le modifiche all’aliquota riguardavano solo la cessione delle predette spezie fresche, destinate all’alimentazione, con un innalzamento della tassazione dal 4 al 10 per cento.
La disposizione è finalizzata alla chiusura del caso EU Pilot 7292/15/TAXU, nell'ambito del quale la Commissione europea ha rilevato l'incompatibilità con l'ordinamento dell'Unione del numero 12-bis) della tabella A, parte II, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. In base a tale disposizione, alle cessioni in questione viene applicata l'aliquota super-ridotta del 4 per cento, in violazione dell'articolo 110 della direttiva 2006/112/CE, che consente di mantenere le aliquote inferiori al 5 per cento per le sole operazioni che al 1º gennaio 1991 già godevano di tale beneficio.
La violazione è stata rilevata alla luce della circostanza che il numero 12-bis) è stato introdotto in data successiva al 1º gennaio 1991, in particolare con l'articolo 6, comma 7, lettera b), della legge 13 maggio 1999, n. 133.
Pertanto, al fine di evitare l'apertura di una procedura d'infrazione, il comma 1 dell’articolo 15 in commento abroga il numero 12-bis) della tabella A, parte II, allegata al DPR n. 633 del 1972 (lettera a)).
La lettera b) del comma 1 inserisce un nuovo n. 2) nella tabella A, parte II-bis allegata al medesimo decreto, che reca l’elenco dei beni e servizi assoggettati ad aliquota IVA ridotta al 5 per cento.
In tal modo, tra i beni sottoposti alla predetta aliquota del 5 per cento sono ricompresi il basilico, il rosmarino e la salvia freschi, destinati all'alimentazione (attualmente sottoposti ad aliquota del 4 per cento) nonché le piante allo stato vegetativo di basilico, rosmarino e salvia (attualmente sottoposte ad aliquota del dieci per cento, cfr. infra).
In merito alla Tabella A, parte II-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, essa è stata istituita dalla legge di stabilità 2016 (articolo 1, commi 960-963 della legge n. 208 del 2015) che ha contestualmente fissato una nuova aliquota ridotta dell’IVA al 5 per cento, assoggettandovi le prestazioni socio-sanitarie ed educative rese da cooperative sociali e loro consorzi, in precedenza sottoposte ad aliquota del 4 per cento.
Più in
dettaglio il comma 960, modificando l’articolo 16 del DPR n. 633
del 1972, oltre a confermare l'aliquota ordinaria dell'imposta nella misura del
22 per cento, ha fissato le aliquote ridotte nel quattro, cinque e dieci per
cento con riferimento alle operazioni aventi per oggetto i beni e servizi
elencati, rispettivamente, nella parte II, nella parte II-bis e nella parte III della tabella A, salvo quanto previsto
dall'articolo 34, in tema di regime speciale per i produttori agricoli.
La lettera c) del comma 1 prevede l’abrogazione del numero 38-bis) della tabella A, parte III, allegata allo stesso decreto, che sottopone le cessioni di piante di basilico, rosmarino e salvia all’aliquota del 10 per cento.
Le aliquote IVA
L’IVA è un’imposta completamente armonizzata a livello di Unione europea, disciplinata dalla direttiva 2006/112/CE (direttiva IVA), che ha istituito il Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto. In materia di aliquote, l’articolo 97 della direttiva stabilisce che l’aliquota normale d’imposta fissata da ciascun Paese membro non può essere, fino al 31 dicembre 2015, inferiore al 15 per cento. Tale aliquota viene fissata da ciascuno Stato membro ad una percentuale della base imponibile che è identica per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi (articolo 96).
Gli articoli 98 e 99 consentono agli Stati membri la facoltà di applicare una o due aliquote ridotte. Tale facoltà è ammessa esclusivamente per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi delle categorie individuate nell’allegato III della direttiva. Le aliquote ridotte non si applicano ai servizi forniti per via elettronica. In ogni caso, la misura dell’aliquota ridotta non può essere inferiore al 5 per cento. Unica eccezione al limite minimo dell'aliquota al 5 per cento è prevista dall'art. 110 della direttiva, in base
al quale gli Stati membri che al 1° gennaio 1991 applicavano aliquote ridotte inferiori al minimo prescritto sono autorizzati a mantenerle se le stesse sono conformi alla legislazione comunitaria e sono state adottate per ragioni di interesse sociale ben definite e a favore dei consumatori finali.
In Italia, le aliquote IVA sono disciplinate dall’articolo 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante l’istituzione e la disciplina dell’imposta sul valore aggiunto. Nel dettaglio, accanto all’aliquota normale (pari al 22 per cento) si prevede un’aliquota ridotta del 10 per cento (che può essere modificata in aumento o in diminuzione per tutti i beni interessati) e un’aliquota “super-ridotta” del 4 per cento (che non può essere modificata in quanto oggetto di deroga specifica al momento della emanazione della prima direttiva IVA) per le operazioni aventi per oggetto i beni e i servizi elencati nella Tabella A allegata al citato D.P.R. n. 633. In particolare, nella parte III della Tabella A vi è l’elenco dettagliato dei beni e dei servizi assoggettati ad aliquota del 10 per cento. La parte II della Tabella A reca invece l’elenco dettagliato dei beni e dei servizi assoggettati ad aliquota del 4 per cento.
Come ricordato sopra, la legge di stabilità 2016 ha istituito (comma 960) una nuova aliquota ridotta dell’IVA pari 5 per cento, compatibile con il diritto dell’Unione europea
La Corte di Giustizia dell'Unione europea ha elaborato un orientamento estremamente restrittivo circa la possibilità per gli Stati di estendere l'ambito di
applicazione delle aliquote super-ridotte a fattispecie non contemplate al 1° gennaio 1991 (caso C-462/05, Commissione c. Portogallo; caso C-240/05, Eurodental; caso
C-169/00, Commissione c. Finlandia). La Corte ha inoltre affermato che uno Stato che abbia deciso di escludere determinate operazioni dall'aliquota Iva super-ridotta, riconducendole alle aliquote ordinarie o ridotte, non può più applicare a queste operazioni l'aliquota super-ridotta, pena la violazione del diritto comunitario (caso C-119/11, Commissione c. Francia; caso C-462/05, Commissione c. Portogallo; caso C-414/97, Commissione c. Spagna; caso C-74/91, Commissione c. Germania).
Gli Stati membri possono, a determinate condizioni, essere autorizzati ad introdurre misure di deroga per semplificare la riscossione dell'IVA o evitare frodi o evasioni fiscali ovvero, previa consultazione del comitato IVA, ad applicare un'aliquota ridotta alle forniture di gas naturale, energia elettrica o teleriscaldamento (articolo 102). Nel secondo considerando della direttiva 2009/47/CE – che ha ampliato l’ambito delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi che possono essere assoggettate ad aliquota ridotta - si chiarisce che l’applicazione di aliquote ridotte ai servizi prestati localmente non pone problemi per il buon funzionamento del mercato interno e può, in presenza di determinate condizioni, produrre effetti positivi in termini di creazione di occupazione e di lotta all’economia sommersa.
Il comma 2 quantifica gli oneri derivanti dalle modifiche derivanti dalle norme introdotte in 1 milione di euro a decorrere dall’anno 2016.
Il comma 3 reca la clausola di copertura finanziaria, in particolare disponendo la riduzione proporzionale dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale (cd. tax expenditures), di cui all’allegato C-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, con l’esclusione delle disposizioni a tutela dei redditi di lavoro di-pendente e autonomo, dei redditi da pensione, della famiglia, della salute, delle persone economicamente o socialmente svantaggiate, del patrimonio artistico e culturale, della ricerca e dell’ambiente.
Detti oneri sono ridotti in misura tale da conseguire maggiori entrate non inferiori a 1 milione di euro annui a decorrere dall’anno 2016.
Si segnala che il
riferimento all’allegato C-bis è da intendersi superato: ai sensi della
formulazione dell’articolo 21, comma 11, lettera a) della legge di contabilità
e finanza pubblica (legge n. 196 del 2009) vigente fino al 31 dicembre 2015, i
regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale sono indicati in apposito
allegato alla nota integrativa della legge di bilancio.
Si segnala inoltre che l’articolo 1, comma 3, lettera b) del D.Lgs. n. 160 del 2015 ha apportato modifiche alla legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196 del 2009), operative dal 1° gennaio 2016. In particolare, ai sensi del nuovo comma 11-bis del citato articolo 21, sempre in allegato allo stato di previsione dell'entrata, deve essere predisposto un rapporto annuale sulle spese fiscali, che elenca qualunque forma di esenzione, esclusione, riduzione dell'imponibile o dell'imposta ovvero regime di favore, derivante da disposizioni normative vigenti, con separata indicazione di quelle introdotte nell'anno precedente e nei primi sei mesi dell'anno in corso.
Occorrerebbe pertanto fare riferimento, per
l’anno in corso, all'allegato A alla nota integrativa della Tabella 1 (Stato di
previsione delle entrate) della legge 28 dicembre 2015, n. 209 e, per gli anni
successivi, all’allegato previsto dall’articolo 21, comma 11-bis della legge n. 196 del 2009.
Infine il comma 4 affida a uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, l’individuazione delle modalità tecniche per l’attuazione delle norme relative alla riduzione delle tax expenditures, con riferimento ai singoli regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale interessati.
La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 7292/15/TAXU, contesta all’Italia la violazione dell'articolo 110 della direttiva 2006/112/CE, in base al quale gli Stati membri possono mantenere aliquote ridotte, inferiori all'aliquota minima del 5%, se esse erano già applicate al 1° gennaio 1991.
Ad avviso della Commissione, la violazione consisterebbe nell’aver introdotto il 13 maggio 1999, con l'aggiunta del numero 12-bis alla tabella A, parte II, allegata al DPR 633/72, un’aliquota IVA super ridotta del 4% per basilico, rosmarino e salvia freschi, destinati all'alimentazione (art. 6, comma 7, lettera b) della legge 13 maggio 1999, n. 133. "Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale").
La modifica introdotta dal Governo è dunque volta a sanare la violazione contestata, abrogando l’aliquota super ridotta per le piante aromatiche sopra richiamate e assoggettandole all’aliquota del 10%.
Articolo
16
(Modifiche all'aliquota IVA applicabile ai preparati per risotto. Caso EU
Pilot 7293/15/TAXU)
L'articolo 16 innalza dal 4 al 10 per cento l'aliquota IVA applicabile alle cessioni di preparazioni alimentari a base di riso (cosiddetti preparati per risotti) classificate alla voce 21.07.02 della Tariffa doganale comune in vigore al 31 dicembre 1987, attualmente alla voce 1904.9010 della Nomenclatura combinata vigente.
La norma è finalizzata alla chiusura del caso EU Pilot 7293/15/TAXU, nell'ambito del quale la Commissione europea ha rilevato l'incompatibilità con l'ordinamento dell'Unione europea del numero 9) della tabella A, parte II, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, nella parte in cui prevede l'applicazione dell'aliquota super-ridotta del 4 per cento ai prodotti in questione, ciò in violazione dell'articolo 110 della direttiva 2006/112/CE, che consente di mantenere le aliquote inferiori al 5 per cento per le sole operazioni che al 1º gennaio 1991 già godevano di tale beneficio.
La violazione è stata rilevata alla luce della circostanza che il numero 9) sopra citato è stato modificato, per prevedere l'applicazione di detta aliquota, in data successiva al 1º gennaio 1991; in particolare, tale modifica è stata approvata con l'articolo 4, comma 3, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 1995, n. 415, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1995, n. 507.
Pertanto, al fine di evitare l'apertura di una procedura d'infrazione, il comma 1 dell’articolo 11 in commento prevede l'abrogazione della voce “ex 21.07.02” introdotta al numero 9) della tabella A, parte II, allegata al DPR n. 633 del 1972, che consentiva l’applicazione dell’aliquota al 4 per cento ai preparati per risotto.
A seguito di tale abrogazione i prodotti in questione saranno assoggettati all'aliquota ridotta del 10 per cento per effetto di quanto previsto al numero 80) della tabella A, parte III, allegata al DPR n. 633 del 1972, che contempla le «preparazioni alimentari non nominate né comprese altrove (v.d. ex 21.07)».
Si segnala infine che l’articolo 5, comma 3, del ddl in esame sulla tassazione delle vincite da gioco provvede alla copertura dei relativi oneri mediante destinazione di quota parte delle maggiori entrate derivanti dall'applicazione della disposizione in commento.
Le aliquote IVA
L’IVA è un’imposta completamente armonizzata a livello di Unione europea, disciplinata dalla direttiva 2006/112/CE (direttiva IVA), che ha istituito il Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto. In materia di aliquote, l’articolo 97 della direttiva stabilisce che l’aliquota normale d’imposta fissata da ciascun Paese membro non può essere, fino al 31 dicembre 2015, inferiore al 15 per cento. Tale aliquota viene
fissata da ciascuno Stato membro ad una percentuale della base imponibile che è identica per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi (articolo 96).
Gli articoli 98 e 99 consentono agli Stati membri la facoltà di applicare una o due aliquote ridotte. Tale facoltà è ammessa esclusivamente per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi delle categorie individuate nell’allegato III della direttiva. Le aliquote ridotte non si applicano ai servizi forniti per via elettronica. In ogni caso, la misura dell’aliquota ridotta non può essere inferiore al 5 per cento. Unica eccezione al limite minimo dell'aliquota al 5 per cento è prevista dall'art. 110 della direttiva, in base al quale gli Stati membri che al 1° gennaio 1991 applicavano aliquote ridotte inferiori al minimo prescritto sono autorizzati a mantenerle se le stesse sono conformi alla legislazione comunitaria e sono state adottate per ragioni di interesse sociale ben definite e a favore dei consumatori finali.
In Italia, le aliquote IVA sono disciplinate dall’articolo 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante l’istituzione e la disciplina dell’imposta sul valore aggiunto. Nel dettaglio, accanto all’aliquota normale (pari al 22 per cento) si prevede un’aliquota ridotta del 10 per cento (che può essere modificata in aumento o in diminuzione per tutti i beni interessati) e un’aliquota “super-ridotta” del 4 per cento (che non può essere modificata in quanto oggetto di deroga specifica al momento della emanazione della prima direttiva IVA) per le operazioni aventi per oggetto i beni e i servizi elencati nella Tabella A allegata al citato D.P.R. n. 633. In particolare, nella parte III della Tabella A vi è l’elenco dettagliato dei beni e dei servizi assoggettati ad aliquota del 10 per cento. La parte II della Tabella A reca invece l’elenco dettagliato dei beni e dei servizi assoggettati ad aliquota del 4 per cento.
Da ultimo, la legge di stabilità 2016 ha istituito (comma 960) una nuova aliquota ridotta dell’IVA pari 5 per cento, compatibile con il diritto dell’Unione europea
La Corte di Giustizia dell'Unione europea ha elaborato un orientamento estremamente restrittivo circa la possibilità per gli Stati di estendere l'ambito di applicazione delle aliquote super-ridotte a fattispecie non contemplate al 1° gennaio 1991 (caso C-462/05, Commissione c. Portogallo; caso C-240/05, Eurodental; caso C-169/00, Commissione c. Finlandia). La Corte ha inoltre affermato che uno Stato che abbia deciso di escludere determinate operazioni dall'aliquota Iva super-ridotta, riconducendole alle aliquote ordinarie o ridotte, non può più applicare a queste operazioni l'aliquota super-ridotta, pena la violazione del diritto comunitario (caso C-119/11, Commissione c. Francia; caso C-462/05, Commissione c. Portogallo; caso C-414/97, Commissione c. Spagna; caso C-74/91, Commissione c. Germania).
Gli Stati membri possono, a determinate condizioni, essere autorizzati ad introdurre misure di deroga per semplificare la riscossione dell'IVA o evitare frodi o evasioni fiscali ovvero, previa consultazione del comitato IVA, ad applicare un'aliquota ridotta alle forniture di gas naturale, energia elettrica o teleriscaldamento (articolo 102). Nel secondo considerando della direttiva 2009/47/CE – che ha ampliato l’ambito delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi che possono essere assoggettate ad aliquota ridotta - si chiarisce che l’applicazione di aliquote ridotte ai servizi prestati localmente non pone problemi per il buon funzionamento del mercato interno e può, in presenza di determinate condizioni, produrre effetti positivi in termini di creazione di occupazione e di lotta all’economia sommersa.
Procedure di contenzioso
La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 7293/15/TAXU, contesta all’Italia la violazione dell'articolo 110 della direttiva 2006/112/CE, in base al quale gli Stati membri possono mantenere aliquote ridotte, inferiori all'aliquota minima del 5%, se esse erano già applicate al 1° gennaio 1991.
Secondo la Commissione, l’Italia avrebbe violato la disposizione richiamata avendo introdotto, con l’art. 4, comma 3, lettera a), del decreto legge 2 ottobre 1995, n. 415 (convertito nella legge 29 novembre 1995, n. 507), un’aliquota IVA super ridotta del 4% applicabile alle cessioni di preparazioni alimentari a base di riso (cd. “preparati per risotti”).
La modifica introdotta dal Governo è dunque volta a sanare la violazione contestata, abrogando l’aliquota super ridotta per i preparati per risotti e assoggettandoli all’aliquota del 10%.
Articolo
17
(Disposizioni in materia di consorzi agrari. Procedura di cooperazione n.
11/2010 per aiuti di Stato esistenti ai sensi dell’articolo 17 del regolamento
(CE) n. 659/1999)
L'articolo 17 è volto a sanare la procedura di cooperazione in materia di aiuti di Stato n. 11/2010 riguardante la concessione di presunti aiuti ai consorzi agrari in Italia, nell'ambito della quale la Commissione europea ha stabilito che le agevolazioni fiscali di cui godono i consorzi agrari in virtù del riconoscimento operato, a determinate condizioni, dall'articolo 9 della legge 23 luglio 2009, n. 99, quali società cooperative a mutualità prevalente, costituiscono un aiuto di Stato esistente.
Si rammenta che, per le società cooperative a
mutualità prevalente (purché aventi le caratteristiche dell'articolo 2511 e
seguenti del codice civile, come modificati dalla riforma del diritto
societario del 2003) le imposte sui redditi si applicano solo su una quota di
utili netti annuali. In particolare (articolo
1, comma 460, della legge n. 311 del 2004, come modificato dal D.L. 138 del
2011):
- per le cooperative di consumo, la quota è
del 65%;
- per le cooperative agricole e della piccola
pesca, la quota è del 20%
- per le altre cooperative a mutualità
prevalente, la quota è del 40%.
A tali quote va aggiunto, per tutte le
cooperative senza distinzione legata alla condizione di prevalenza ovvero al
settore di attività, un'ulteriore quota del 3%, derivante dall'assoggettamento
ad Ires del 10 per cento delle somme destinate alla riserva minima obbligatoria
delle cooperative, ossia il 30% degli utili annuali (articolo 6, comma 1, del
D.L. n. 63 del 2002, modificato dal D.L. 138 del 2011; in precedenza vi era una
esenzione totale delle somme destinate alla riserva minima obbligatoria).
L'articolo 9 della legge 23 luglio 2009, n. 99 ha consentito la costituzione dei consorzi agrari in società cooperative a mutualità prevalente ai sensi delle disposizioni del codice civile citate, indipendentemente dal rispetto dei criteri per la definizione della prevalenza stabiliti dall’articolo 2513, qualora prevedano nei propri statuti: a) il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all'interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato; b) il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi; c) il divieto di distribuire le riserve fra i soci cooperatori; d) l'obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell'intero patrimonio sociale, dedotto soltanto il capitale sociale e i dividendi eventualmente maturati, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (articolo 2514).
Si ricorda che ai sensi dell’articolo 2512 sono società cooperative a mutualità prevalente, in ragione del tipo di scambio mutualistico, quelle che: 1) svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi; 2) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci; 3) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci. Le società cooperative a mutualità prevalente si iscrivono in un apposito albo, presso il quale depositano annualmente i propri bilanci.
La Commissione non ha ritenuto che ricorrano le deroghe previste dall'articolo 107 del TFUE e, in particolare, dei paragrafi 2 e 3, lettere a), c), d), e, per tale ragione, ha dato avvio alla procedura di cooperazione n. 11/2010, a norma dell'articolo 17 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, intesa alla revisione del regime di aiuti a favore dei consorzi agrari.
L’articolo 107, paragrafo 1 del TFUE stabilisce che salvo deroghe contemplate dal trattati, sono incompatibili con ii mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza. Una misura nazionale costituisce pertanto un aiuto di Stato quando è finanziata dallo Stato ovvero mediante risorse statali, e selettiva, incide sugli scambi tra Stati membri e comporta un pregiudizio alla concorrenza.
La Commissione ha ritenuto che la norma in commento norma presenta elementi che alterano il modello cooperativo mutualistico, soprattutto in virtù del fatto che più del 50 per cento della cifra d’affari o delle attività del consorzio agrario può essere generata o essere svolta con soggetti che non sono membri dello stesso, senza far venire meno l’applicazione del regime fiscale preferenziale riservato alle cooperative a mutualità prevalente. Ad avviso della Commissione, quindi, i consorzi agrari sembrano trovarsi in una situazione giuridica e fattuale analoga a quella di altre società che svolgono attività economiche simili.
All'esito della predetta procedura di cooperazione, le Autorità italiane si sono impegnate alla revisione del precedente regime attraverso l'elaborazione della proposta normativa in esame.
In particolare, il comma 1 dell’articolo 17 in commento è volto a modificare l'articolo 1, comma 460, della legge n. 311 del 2004, portando dal 40 per cento al 50 per cento la quota di utili netti annuali soggetta a tassazione per i consorzi agrari di cui all'articolo 9 della legge 23 luglio 2009, n. 99.
Tale percentuale corrisponderebbe sostanzialmente all’aiuto concedibile ai consorzi agrari nei limiti del de minimis.
Il comma 2 stabilisce che le modifiche al regime fiscale dei consorzi agrari citate si applicano a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014.
Procedure di contenzioso
L’articolo 17 riguarda il regime fiscale dei consorzi agrari, che l’articolo 9 della legge n.99/2009 classifica come cooperative a mutualità prevalente a prescindere dal soddisfacimento dei requisiti della mutualità prevalente stabiliti dall’articolo 2513 del codice civile italiano.
L’agevolazione fiscale di cui al citato articolo 9, ad avviso della Commissione europea, configura un aiuto di Stato, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del TFUE. La Commissione europea ha, pertanto, avviato la procedura di cooperazione, di cui all’articolo 17 del regolamento (CE) n.659/1999 del Consiglio, intesa alla revisione del regime in questione.
L’articolo 17 del disegno di legge in esame è volto a risolvere le problematiche inerenti agli aiuti di Stato rilevate dalla Commissione europea. Peraltro, la soluzione individuata dal Governo non agisce direttamente sulla modifica dell’articolo 9 della legge n. 99/1999, ma delinea un percorso alternativo.
Nel prendere atto che il trattamento fiscale in questione è stato configurato quale aiuto di Stato esistente, il Governo ha proposto ai servizi della Commissione europea di considerare l’ipotesi che il beneficio massimo per i consorzi agrari, derivante dal differenziale rispetto alla quota assoggettata a tassazione ordinaria, sia limitato all’importo complessivo del regime “de minimis”, che non costituisce aiuto di Stato.
In particolare le autorità italiane, tenuto conto della variabilità del reddito dei consorzi agrari, hanno sottoposto ai servizi della Commissione la proposta di incrementare la quota assoggettata a tassazione ordinaria per i consorzi agrari dall’attuale 43% al 53% e di attivare un sistema di monitoraggio per verificare che il beneficio a favore dei consorzi agrari rimanga al di sotto dell’importo complessivo del regime “de minimis”.
Articolo
18
(Modifiche al regime di determinazione della base imponibile per alcune
imprese marittime. Decisione C (2015) 2457 del 13 aprile 2015)
L’articolo 18 introduce una serie di modifiche al regime forfetario di determinazione della base imponibile per alcune imprese marittime (c.d. tonnage tax) disciplinato dal capo VI del titolo II del TUIR.
Tale regime, introdotto con il D.Lgs. n. 344 del 2003 per una durata di dieci anni, è stato giudicato compatibile con il mercato interno dalla Commissione europea (decisione n. 114/2004). Il Governo italiano ha deciso di prorogare per ulteriori dieci anni il regime della tonnage tax e pertanto ne ha notificato la richiesta alla Commissione, la quale ha approvato la richiesta con la decisione C (2015) del 13 aprile 2015.
A seguito dell’interlocuzione con la Commissione europea, sono state predisposte le modifiche di seguito esaminate al regime d’imposta sul tonnellaggio per il trasporto marittimo. In particolare è fissato a 5 anni il periodo minimo che deve intercorrere tra l’uscita dal regime d’imposta sul tonnellaggio e la possibilità di esservi riammessi. In secondo luogo, si intende rafforzare la normativa sulla tassazione delle plusvalenze relative a navi acquistate prima dell’entrata nel regime di imposta sul tonnellaggio. Infine è prevista la possibilità di regolarizzare il mancato pagamento di somme dovute per obblighi formativi del personale, il quale, in alternativa all’imbarco di cadetti, costituisce una condizione per la permanenza nel regime agevolato.
Si ricorda che gli articoli da 155 a 161 del TUIR (D.P.R. n. 917 del 1986), inseriti dal D.Lgs. n. 344 del 2003, recano la disciplina (opzionale) per la determinazione della base imponibile di alcune imprese marittime (cd. tonnage tax). L'opzione consente la determinazione forfetaria della base imponibile delle navi, secondo quanto previsto dal D.M. 23 giugno 2005, che reca le relative disposizioni applicative. Tale regime si caratterizza per essere opzionale (durata 10 anni) e commisurato al tonnellaggio delle navi. L’obiettivo della normativa è di salvaguardare il settore del trasporto marittimo in Italia e promuovere il rimpatrio da parte degli armatori nazionali delle navi battenti bandiere di comodo.
Con la circolare 21 dicembre 2007, n. 72, l'Agenzia delle entrate ha chiarito, tra l'altro, i requisiti oggettivi che una nave deve avere per poter beneficiare dell'agevolazione sul reddito:
§ iscrizione nel registro delle navi adibite alla navigazione internazionale, cd. registro internazionale, di cui al decreto legge 30 dicembre 1997, n. 457;
§ utilizzo in traffico internazionale;
§ tonnellaggio superiore a cento tonnellate di stazza netta;
§ destinazione a determinate attività di trasporto;
§ navi armate direttamente, oppure noleggiate dall’impresa marittima, a condizione che il tonnellaggio delle navi prese a noleggio non sia superiore al 50 per cento di quello complessivamente utilizzato.
Il regime forfettario permette di calcolare l'importo giornaliero del reddito: il calcolo di quello annuo avviene quindi semplicemente moltiplicando l'importo giornaliero per i giorni di effettivo utilizzo della nave, escludendo quindi i periodi di manutenzione e di riparazione sia ordinaria che straordinaria, nonché quelli di disarmo temporaneo dello scafo. Dall’imponibile forfetario non è ammessa alcuna deduzione.
In base alle norme contenute nel decreto legislativo sulle semplificazioni fiscali, D.Lgs. n. 175/2014, l’opzione per tale regime va comunicata all’Agenzia delle Entrate al momento della presentazione delle dichiarazioni dei redditi e dell’Irap relative al periodo di imposta a partire dal quale si vuole esercitare o rinnovare l'opzione o confermare l’adesione.
Il comma 1, lettera a), amplia il periodo di tempo minimo che deve intercorrere tra l’uscita dal regime e la possibilità di esservi riammessi. La normativa vigente prevede l’opzione per la tonnage tax è irrevocabile per 10 anni e può essere rinnovata (art. 155 del TUIR). Qualora, per qualsiasi motivo, venga meno l'efficacia dell'opzione esercitata, il nuovo esercizio della stessa non può avvenire prima del decorso del decennio originariamente previsto (articolo 157 del TUIR).
Con la modifica in esame si aggiunge che, nel caso di uscita dal regime, deve comunque decorrere un periodo di 5 anni per potervi rientrare. In sostanza, la norma opera solo se la causa di decadenza si verifica dopo il quinto periodo d’imposta di permanenza nel regime.
Il comma 1, lettera b), numero 1), modifica il regime di determinazione della plusvalenza da assoggettare a tassazione nel caso di vendita di una nave, in regime di tonnage tax, già posseduta in periodi antecedenti a quello di ingresso in detto regime (articolo 158, comma 1, del TUIR).
La norma vigente prevede, in tal caso, che la differenza tra il ricavato della vendita, al netto dei costi imputabili direttamente, e il residuo valore fiscale esistente al momento dell’entrata nel regime d’imposta sul tonnellaggio sono tassati secondo le norme ordinarie relative all’imposta sul reddito delle società.
Con la modifica in esame, al fine di stabilire i debiti di imposta al momento della vendita della nave, si prevede un confronto tra il valore normale della nave al momento dell’entrata nel regime di imposta sul tonnellaggio e il valore fiscale al momento dell’entrata nello stesso regime d’imposta.
In particolare la plusvalenza da assoggettare a tassazione sarà pari al minore importo tra la plusvalenza latente (lorda), data dalla differenza tra il valore normale della nave e il costo non ammortizzato della stessa rilevati nell’ultimo giorno dell’esercizio precedente a quello in cui l’opzione per il regime è esercitata, e la plusvalenza realizzata all’atto della cessione della nave. A tali fini, la plusvalenza realizzata è determinata ai sensi dell'articolo 86 del TUIR (plusvalenze patrimoniali): il costo non ammortizzato è calcolato in base alle risultanze del prospetto della dichiarazione dei redditi (valore fiscale) che deve essere redatto nel rispetto della normativa regolamentare vigente (articolo 8 del D.M. 23 giugno 2005).
Si prevede, inoltre, che l’importo della plusvalenza realizzata non può, in ogni caso, essere inferiore a quello corrispondente alla differenza tra la plusvalenza latente (lorda) e i redditi determinati con riferimento alla nave oggetto di cessione in ciascun periodo di permanenza della stessa nel regime di tonnage tax (plusvalenza latente netta). In sostanza, l'importo da assoggettare a tassazione è sempre pari alla plusvalenza latente lorda se questa è inferiore alla plusvalenza realizzata. In caso contrario, soggetta a tassazione è la plusvalenza realizzata, ma l'importo imponibile non può, in tale caso, risultare inferiore alla plusvalenza latente netta.
Tale disciplina comporta che non possano emergere minusvalenze conseguenti alla cessione di una nave nel corso della vigenza del regime della tonnage tax.
La
relazione governativa riferisce che tali modifiche si sono rese necessarie in
quanto la Commissione, tenuto conto del meccanismo di determinazione della
plusvalenza da assoggettare a tassazione previsto dall'articolo 158, comma 1,
del TUIR nella versione precedente, ha rilevato la sussistenza di un aiuto
aggiuntivo rispetto al regime di tonnage
tax ed ha pertanto richiesto di modificare detto meccanismo assoggettando a
tassazione la plusvalenza latente lorda, posto che quest'ultima potrebbe
essersi formata anche a causa di ammortamenti dedotti in eccedenza rispetto
alla vita utile della nave. Tuttavia, ha considerato possibile che tale aiuto
aggiuntivo possa essere ridotto dei redditi assoggettati a tassazione in regime
di tonnage tax, in relazione alla
stessa nave, nel rispetto di quanto consentito dal capitolo 11 degli
Orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato ai trasporti marittimi di
cui alla Comunicazione C(2004) 43 della Commissione, in base al quale
l'azzeramento delle imposte, tasse e contributi costituisce il livello massimo
di aiuto autorizzato.
Il Governo ha ritenuto di accogliere le indicazioni della Commissione, pur non rinunciando alla tassazione della plusvalenza realizzata che funge ora da parametro di confronto rispetto alla plusvalenza latente lorda.
La scelta, invece, di assoggettare a tassazione la plusvalenza latente lorda, se inferiore alla plusvalenza realizzata, muove dalla ulteriore opportunità di uniformare, per certi aspetti, il trattamento fiscale previsto per le cessioni di navi possedute prima dell’ingresso in regime di tonnage tax con quello previsto dal primo periodo del comma 1 dell’articolo 158 del TUIR per le cessioni di navi acquistate in regime di tonnage tax, in relazione alle quali la plusvalenza/minusvalenza è assorbita dalla determinazione forfetaria del reddito ai sensi dell’articolo 156 del TUIR. È apparso opportuno, infatti, considerare che nell'ipotesi descritta la parte della plusvalenza realizzata che eccede l’importo di quella latente lorda possa essere considerata anch’essa assorbita nell'importo determinato forfettariamente fino alla cessione della nave.
La relazione precisa, infine, che per le navi oggetto di cessione e già di proprietà dell’utilizzatore in periodi d’imposta in cui non era efficace l’opzione per il regime della tonnage tax, qualora dalla vendita dovesse realizzarsi una minusvalenza, l’importo da assoggettare a tassazione in applicazione delle suddette modifiche sarà pari alla plusvalenza latente lorda diminuita dei redditi relativi alla stessa nave, determinati in regime di tonnage tax, fino a concorrenza della stessa plusvalenza latente lorda. Ne deriva che il risultato non potrà mai essere negativo. Le nuove regole, pertanto, non consentono la deduzione di eventuali minusvalenze.
Il comma 1, lettera b), numero 2), reca modifiche formali dirette a coordinare il comma 2 dell’articolo 158 del TUIR con le disposizioni modificate del comma 1.
Il comma 2 individua la decorrenza delle modifiche apportate dal comma 1, lettera a). Si prevede, in particolare, che la norma che dispone il periodo minimo di 5 anni per rientrare nel regime della tonnage tax si applica soltanto con riferimento alle cause di decadenza dal regime che si verificheranno a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della disposizione in esame.
Nel caso in cui le cause di decadenza si siano verificate in un periodo d’imposta precedente a quello in corso alla predetta data, l’opzione per il regime di tonnage tax potrà essere nuovamente esercitata una volta decorso il decennio originariamente previsto, secondo quanto disposto dall’articolo 157, comma 5, del TUIR, nella versione previgente.
Il comma 3 individua la decorrenza delle modifiche di cui al comma 1, lettera b). Si prevede, in particolare, che il nuovo regime di determinazione della plusvalenza derivante dalla cessione della nave (già di proprietà dell’utilizzatore prima dell’opzione) trova applicazione solo per le opzioni per il regime della tonnage tax esercitate a partire dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della disposizione in esame. Si precisa, inoltre, che non costituisce un nuovo esercizio dell’opzione il rinnovo di quelle esercitate precedentemente al periodo d’imposta in corso a detta data.
Nel caso, invece, di rinnovo delle opzioni per la tonnage tax esercitate nei periodi di imposta precedenti a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge in esame, il comma 4 stabilisce che la plusvalenza derivante dalla cessione della nave (già di proprietà dell’utilizzatore in assenza dell’opzione) deve essere calcolata ai sensi dell’articolo 86 del TUIR (plusvalenza realizzata): il costo non ammortizzato è determinato secondo i valori fiscali individuati sulla base delle disposizioni vigenti in assenza dell’esercizio dell’opzione per la tonnage tax (nuovo art. 158, comma 1, terzo periodo). Tale disposizione trova applicazione anche nell’ipotesi di cessione di navi che costituiscano un complesso aziendale, ovvero nel caso in cui rappresentino l’80 per cento del valore dell’azienda a lordo dei debiti finanziari (articolo 158, comma 3, del TUIR).
La relazione tecnica al riguardo segnala che tale modalità di definizione determinerà l’azzeramento dell’ammontare delle minusvalenze e nel contempo potrebbe comportare un aumento delle plusvalenze con conseguente incidenza sull’importo del reddito imponibile.
Il comma 5 prevede che per le opzioni esercitate precedentemente al periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della disposizione in esame, continuano ad applicarsi, fino al rinnovo delle stesse, le disposizioni di cui all’articolo 158 del TUIR, nella versione vigente anteriormente alle modifiche operate dal presente articolo.
Il vigente articolo 158 prevede che qualora la vendita di una o più navi soggette al regime della tonnage tax riguardi un'unità già in proprietà dell'utilizzatore in un periodo d'imposta precedente a quello di prima applicazione del regime, all'imponibile determinato ai sensi del regime della tonnage tax dovrà aggiungersi la differenza (plusvalenza o minusvalenza) tra il corrispettivo conseguito, al netto degli oneri di diretta imputazione, ed il costo non ammortizzato dell'ultimo esercizio antecedente a quello di prima applicazione del regime di determinazione forfetaria dell'imponibile.
I commi da 6 a 10 intervengono sulla disciplina della modalità indiretta dell’obbligo formativo (versamento a istituzioni formative), connesso al regime della tonnage tax.
Si ricorda che l’articolo 157 del TUIR individua due ipotesi che comportano la perdita di efficacia dell’opzione:
- locazione a scafo nudo (senza equipaggio e forniture tecniche) della maggior parte delle navi per la maggior parte dei giorni di utilizzazione;
- mancato rispetto dell’obbligo di formazione dei cadetti: tale obbligo è assolto, alternativamente, con l’imbarco di un allievo ufficiale per ciascuna delle navi rientranti nell’opzione, ovvero mediante il versamento di un importo annuo versato a favore del Fondo nazionale marittimi o di poli formativi accreditati dalle regioni. Il D.M. 17 dicembre 2008 ha determinato il contributo in 22.732 euro su base annua, 62 euro su base giornaliera, da aggiornare annualmente in base agli indici annuali ISTAT di variazione dei prezzi.
Il comma 6 prevede che non si determina l’automatica decadenza dal regime di tonnage tax nel caso in cui l’importo formativo non versato risulti di entità inferiore alla soglia del 10 per cento dell’importo dovuto e comunque inferiore alla soglia di 10.000 euro. Sull’importo dell’omesso versamento si applica la sanzione del 50 per cento.
Il comma 7 disciplina una procedura di regolarizzazione dell’omesso versamento per l’obbligo formativo. Entro un anno dalla scadenza prevista è possibile regolarizzare l’omesso versamento, totale o parziale, dell’importo formativo dovuto con l’aggiunta delle sanzioni (20 per cento) e degli interessi legali. Tale “ravvedimento” è precluso nel caso in cui le violazioni siano già accertate da parte degli uffici finanziari.
Il comma 8 prevede l’emanazione di un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, per definire le modalità attuative dei due commi precedenti.
Il comma 9 chiarisce che le norme introdotte dai commi dal 6 all’8 si applicano ai versamenti dovuti a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge in esame.
Il comma 10 prevede un regime transitorio per gli omessi o tardivi versamenti per l’obbligo formativo che risultano alla data di entrata in vigore della legge in esame: essi possono essere regolarizzati entro novanta giorni con le modalità che saranno previste dal decreto ministeriale di cui al comma 8.
Si
ricorda, infine, che la legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014,
articolo 1, comma 725), con una norma di interpretativa, prevede che ai fini dell’effettuazione della ritenuta sui compensi corrisposti a non residenti prevista
dall’articolo 25, comma 4, del TUIR non trova applicazione, per la sussistenza
del requisito della territorialità, quanto previsto dall’articolo 4 del Codice
della navigazione, secondo cui i vettori marittimi ed aerei italiani che si
trovino in luogo non soggetto ad alcuna sovranità statuale, si ritengono in
territorio italiano. In sostanza, la norma sembra escludere i vettori in questione dalla predetta ritenuta. La
disapplicazione della norma illustrata consentirebbe inoltre alle predette navi
di accedere al regime agevolato della tonnage tax, il quale prevede, tra i
requisiti di accesso, l’utilizzo in traffico internazionale.
Articolo
19
(Attuazione della decisione 2009/917/GAI del Consiglio, del 30 novembre
2009, sull’uso dell’informatica nel settore doganale)
L’articolo 19 designa l’Agenzia delle dogane e dei monopoli quale amministrazione doganale competente, responsabile a livello nazionale del sistema informativo doganale, in attuazione della Decisione 2009/917/GAI del Consiglio del 30 novembre 2009, sull’uso dell’informatica nel settore doganale, che ha sostituito la Convenzione sull’uso dell’informatica nel settore doganale del 26 luglio 1995 (c.d. “Convenzione SID”). L’accesso diretto ai dati inseriti nel sistema informativo doganale è riservato, oltre che all’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in qualità di amministrazione doganale responsabile a livello nazionale, anche al Corpo della Guardia di Finanza, in qualità di forza di polizia economica e finanziaria.
Il Sistema Informativo Doganale o SID (Customs Information System - CIS) è stato istituito dalla c.d. Convenzione SID del 1995 per facilitare lo scambio di informazioni cercando di rinforzare e migliorare la cooperazione fra le dogane. Il SID costituisce, sostanzialmente, una banca dati centrale collegata ad ogni Stato membro, ove sono inserite diverse informazioni relative a dati analiticamente indicati della Convenzione stessa, utili allo scopo di facilitare la prevenzione, la ricerca ed il perseguimento di gravi infrazioni alle leggi nazionali.
L’articolo 10 della citata Convenzione attribuiva a ciascun Stato Membro la designazione dell’amministrazione doganale, responsabile del sistema informativo doganale. Tale Convenzione è stata ratificata nell’ordinamento nazionale con legge 30 luglio 1998, n. 291. L’articolo 3 della citata legge n. 291/1998, rinviava ad un successivo decreto ministeriale per la designazione dell’amministrazione doganale responsabile del sistema informativo doganale. In attuazione della predetta disposizione, con decreto ministeriale 23 febbraio 2007, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli è stata individuata quale autorità responsabile a livello nazionale del suddetto sistema informativo doganale.
La Convenzione del 1995 è stata sostituita, a decorrere dal 27 maggio 2011, dalla Decisione 2009/917/GAI del Consiglio del 30 novembre 2009 sull'uso dell'informatica nel settore doganale, poiché la suddetta Convenzione non risultava sufficiente a conseguire gli obiettivi di prevenzione, la ricerca e il perseguimento di gravi infrazioni alle leggi nazionali. Le istituzioni comunitarie hanno pertanto deciso l'ampliamento dell'accessibilità di tale sistema anche a Europol (l’Ufficio europeo di polizia) ed Eurojust (l’Unità europea di cooperazione giudiziaria), secondo le modalità dettate dalla nuova Decisione.
La decisione n. 2009/917/GAI, all’articolo 10, rimanda agli Stati Membri l’individuazione dell’amministrazione doganale competente, responsabile a livello nazionale del sistema informativo doganale. Il paragrafo 2 dell’articolo 10 prevede, inoltre, che l’amministrazione doganale competente è responsabile del corretto funzionamento del sistema informativo doganale nello Stato membro e adotta le misure necessarie per garantire l’osservanza della stessa decisione.
Il comma 1 dell’articolo in esame, designa l’Agenzia delle dogane e dei monopoli quale amministrazione doganale competente, responsabile a livello nazionale del sistema informativo doganale.
Il comma 2 prevede che l’accesso diretto ai dati inseriti nel
sistema informativo doganale è riservato,
ai sensi dell’articolo 7 della citata decisione n. 2009/917/GAI, all’Agenzia delle dogane e dei monopoli,
in qualità di amministrazione doganale responsabile a livello nazionale, nonché
al Corpo della Guardia di Finanza,
in qualità di forza di polizia economica e finanziaria a norma del decreto
legislativo 19 marzo 2001, n. 68, il quale attribuisce a tale corpo compiti di
prevenzione, ricerca e repressione delle violazioni anche in materia di diritti
doganali, di confine e altre risorse proprie nonché di uscite del bilancio
dell’Unione europea.
Articolo
20
(Disposizioni di attuazione della direttiva 2014/86/UE e della direttiva
(UE) 2015/121 concernenti il regime fiscale comune applicabile alle società
madri e figlie di Stati membri diversi. Procedura di infrazione 2016/0106)
1.Nell'articolo 89 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono aggiunti i seguenti commi:
"3-bis. L'esclusione di cui al comma 2 si applica anche: a) alle remunerazioni sui titoli, strumenti finanziari e contratti indicati dall'articolo 109, comma 9, lettera a) e b), limitatamente al 95% della quota di esse non deducibili ai sensi dello stesso articolo 109; b) alle remunerazioni delle partecipazioni al capitale o al patrimonio e a quelle dei titoli e degli strumenti finanziari dell'articolo 44, provenienti dai soggetti che hanno i requisiti individuati nel successivo comma 3-ter, limitatamente al 95% della quota di esse non deducibile nella determinazione del reddito del soggetto erogante.
3-ter. La disposizione di cui alla lettera b) del comma 3-bis si applica limitatamente alle remunerazioni provenienti da una società che riveste una delle forme previste dall'Allegato I, parte A, della direttiva 2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011, nella quale è detenuta una partecipazione diretta nel capitale non inferiore al 10%, ininterrottamente per almeno un anno, e che: a) risiede ai fini fiscali in uno Stato membro dell'Unione europea, senza essere considerata, ai sensi di una convenzione in materia di doppia imposizione sui redditi con uno Stato terzo, residente al di fuori dell'Unione europea; b) è soggetta, nello Stato di residenza, senza possibilità di fruire di regimi di opzione o di esonero che non siano territorialmente o temporalmente limitati, a una delle imposte elencate nell'Allegato I, parte B, della citata direttiva o a qualsiasi altra imposta che venga a sostituire una delle imposte indicate".
2. Nell'articolo 27-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600:
a) il comma 1-bis è sostituito dal seguente:
"1-bis. La disposizione del comma 1 si applica altresì alle remunerazioni di cui all'articolo 89, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in misura corrispondente alla quota non deducibile nella determinazione del reddito della società erogante, sempreché la remunerazione sia erogata a società con i requisiti indicati nel comma 1.";
b) il comma 5 è sostituito dal seguente:
"5. La direttiva (UE) 2015/121 del Consiglio, del 27 gennaio 2015, è attuata dall'ordinamento nazionale mediante l'applicazione dell'articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212".
3. Le precedenti disposizioni si applicano alle remunerazioni corrisposte dal 1º gennaio 2016.
L’articolo 20, introdotto durante l’esame parlamentare, intende porre fine alla procedura di infrazione 2016/0106, avviata tra l’altro per il mancato recepimento della direttiva 2014/86/UE in tema di regime fiscale delle società madri e figlie di Stati membri diversi. Si intende altresì recepire nell’ordinamento la direttiva (UE) 2015/121, sempre avente ad oggetto il trattamento fiscale di dette società.
In particolare, con un primo gruppo di norme (commi 1 e 2 dell’articolo 20) si modifica la vigente disciplina delle imposte sui redditi (contenuta nel relativo Testo Unico e nelle disposizioni speciali) al fine di evitare vantaggi fiscali per i gruppi di società madri e figlie di Stati membri diversi, rispetto ai gruppi di società di uno stesso Stato membro, derivanti da incongruenze nel trattamento fiscale degli utili distribuiti nelle legislazioni degli Stati membri. Si dispone quindi che le suddette società non beneficino dell'esenzione fiscale sugli utili distribuiti, nella misura in cui tali utili siano deducibili per la società figlia.
Con un secondo gruppo di norme (comma 3) si intende rendere applicabile la clausola generale antiabuso contenuta nello Statuto del contribuente anche alla tassazione delle società madri e figlie. Il comma 4 dell’articolo prevede che le norme così introdotte si applichino alle remunerazioni corrisposte dal 1º gennaio 2016.
Si rammenta che i termini di recepimento delle predette direttive sono scaduti il 31 dicembre 2015. Come si vedrà più diffusamente oltre, la Commissione UE, con la lettera del 26 gennaio 2016 ha comunicato l’emissione di un provvedimento di messa in mora dell’Italia, per il mancato tempestivo recepimento della direttiva 2014/86/UE.
La direttiva 2014/86/UE ha modificato alcune parti della direttiva 2011/96/UE, che disciplina il regime fiscale applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi. Le norme del 2011 avevano esentato dalle ritenute alla fonte i dividendi e le altre distribuzioni di utili versati dalle società figlie alle proprie società madri, eliminando così la doppia imposizione di tali redditi a livello di società madre.
Tuttavia, il legislatore europeo è è intervenuto nel 2014 per evitare che si creassero, in tal modo, situazioni di doppia non imposizione. In particolare, si è inteso evitare che si generassero vantaggi fiscali involontari per i gruppi di società madri e figlie di Stati membri diversi, rispetto ai gruppi di società di uno stesso Stato membro, derivanti da incongruenze nel trattamento fiscale delle distribuzioni di utili tra Stati membri. A tal fine la direttiva 2014/86/UE prescrive che lo Stato membro della società madre e lo Stato membro della sua stabile organizzazione devono evitare alle suddette società di beneficiare dell'esenzione fiscale applicata agli utili distribuiti, nella misura in cui tali utili siano deducibili per la società figlia.
Il comma 1 dell’articolo 20 apporta dunque modifiche all’'articolo 89 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR (DPR n. 917 del 1986), che disciplina il trattamento dei dividendi ed interessi per i soggetti sottoposti a IRES, aggiungendovi i commi 3-bis e 3-ter.
Si rammenta preliminarmente che, in relazione agli utili percepiti da soggetti IRES, l’articolo 89, comma 2 del TUIR prevede l'esclusione dalla formazione del reddito della società o dell'ente del 95 per cento degli utili distribuiti da società ed enti commerciali residenti.
Le società ed enti commerciali residenti sottoposti a IRES possono godere di tale esenzione anche se gli utili percepiti non siano stati assoggettati ad imposta dalla società distributrice; la norma si applica infatti a tutti gli utili distribuiti, in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione, da società ed enti commerciali residenti. E’ dunque assoggettato a tassazione solo il 5 per cento di detti utili.
Ai sensi dell’introdotto comma 3-bis, la predetta esclusione da tassazione si applica anche:
ad alcune specifiche remunerazioni su titoli, strumenti finanziari e contratti, limitatamente al 95 per cento della quota non deducibile (ai sensi dell’articolo 109 TUIR), individuate dall’articolo 109, comma 9, lettere a) e b) del TUIR.
Si tratta in particolare delle remunerazioni dovute su titoli e strumenti finanziari, comunque denominati (di cui all'articolo 44 TUIR, che individua i redditi di capitale), per la quota che direttamente o indirettamente comporti la partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell'affare in relazione al quale gli strumenti finanziari sono stati emessi, nonché delle remunerazioni derivanti da contratti di associazione in partecipazione e dai contratti di cointeressenza ad utili e perdite d’impresa (di cui all'articolo 2554 del codice civile), allorché sia previsto un apporto diverso da quello di opere e servizi;
alle remunerazioni delle partecipazioni al capitale o al patrimonio e a quelle dei titoli e degli strumenti finanziari del citato articolo 44 provenienti da soggetti aventi specifici requisiti di legge.
Si tratta in particolare dei soggetti individuati dall’introdotto comma 3-ter dell’articolo 89, ovvero le società che rivestano le forme individuate dall’UE (in particolare, dall'Allegato I, parte A, della citata direttiva 2011/96/UE). Condizione per l’applicazione dell’esclusione è che nella società sia detenuta una partecipazione diretta nel capitale non inferiore al 10 per cento, ininterrottamente per almeno un anno. Inoltre essa:
1. deve risiedere, ai fini fiscali, in uno Stato membro dell'Unione europea, senza essere considerata, ai sensi di una convenzione in materia di doppia imposizione sui redditi con uno Stato terzo, residente al di fuori dell'Unione europea;
2. deve essere soggetta, nello Stato di residenza, senza possibilità di fruire di regimi di opzione o di esonero che non siano territorialmente o temporalmente limitati, a una delle imposte sulle società elencate nell'Allegato I, parte B, della citata direttiva o a qualsiasi altra imposta sostitutiva delle stesse.
Il comma 2 dell’articolo 20 modifica in più parti l’articolo 27-bis del DPR 29 settembre 1973, n. 600, che disciplina il rimborso della ritenuta sui dividendi distribuiti a soggetti non residenti.
Si ricorda che, ai sensi del richiamato articolo 27-bis, comma 1, le società che detengono una partecipazione diretta non inferiore al 20 per cento del capitale della società che distribuisce gli utili hanno diritto al rimborso delle ritenute sugli utili (disciplinate dell'articolo 27) alle seguenti condizioni:
a) se rivestono una delle forme riconosciute dall’allegato della direttiva n. 435/90/CEE (direttiva rifusa nella più volte citata direttiva 2011/96/UE in tema di tassazione di società madri e figlie; il riferimento sembra dunque doversi intendere effettuato all’Allegato I, parte A della direttive del 2011);
b) risiedono, ai fini fiscali, in uno Stato membro dell'Unione europea, senza essere considerate, ai sensi di una Convenzione in materia di doppia imposizione sui redditi con uno Stato terzo, residenti al di fuori dell'Unione europea;
c) sono soggette, nello Stato di residenza, senza fruire di regimi di opzione o di esonero che non siano territorialmente o temporalmente limitati, ad una delle imposte indicate nella predetta normativa UE;
d) la partecipazione è detenuta ininterrottamente per almeno un anno.
Le
norme in esame (comma 2, lettera a)) in primo luogo sostituiscono il
vigente comma 1-bis dell’articolo 27-bis.
Per effetto delle modifiche, l’esclusione dalla ritenuta sui dividendi viene estesa anche alle remunerazioni individuate dall’introdotto articolo 89, comma 3-bis del TUIR, in misura corrispondente alla quota non deducibile nella determinazione del reddito della società erogante e purché la remunerazione sia erogata a società con i requisiti indicati nel comma 1 dell’articolo 27-bis, sopra illustrato.
Il comma 1-bis, nella formulazione vigente, estende l’esclusione ad alcuni redditi di capitale individuati all'articolo 44 TUIR, purché la remunerazione e gli utili siano erogati a società aventi i requisiti già illustrati (comma 1 dell’articolo 27-bis) che detengono una partecipazione diretta non inferiore al 20 per cento del capitale della società che, rispettivamente, la corrisponde o li distribuisce.
Il comma 2, lettera b) dell’articolo 20
in esame sostituisce il comma 5
dell’articolo 27-bis.
Il vigente comma 5 reca norme applicative dell’intero articolo 27-bis: in particolare esso trova applicazione per le società, aventi le specifiche caratteristiche di cui al già illustrato comma 1, controllate direttamente o indirettamente da uno o più soggetti non residenti in Stati della Comunità europea, a condizione che dimostrino di non detenere la partecipazione allo scopo esclusivo o principale di beneficiare del regime in esame.
Tale
modifica è volta ad attuare la direttiva
(UE) 2015/121 del Consiglio, del 27 gennaio 2015.
La richiamata direttiva del 2015 ha modificato la citata direttiva 2011/96/UE allo scopo di evitare eventuali abusi connessi al regime fiscale di favore introdotto per le società madri/figlie.
E’ stata quindi inserita una clausola minima comune antiabuso nella direttiva 2011/96/UE per contrastare una costruzione, o una serie di costruzioni giuridico-economiche non genuine, ossia che non rispecchiano la realtà economica.
La normativa UE (articolo 2 della direttiva (UE) 2015/121) prescrive dunque che i benefici derivanti dalla tassazione UE delle società madri e figlie non si applichino a una costruzione o a una serie di costruzioni poste in essere allo scopo principale - o a uno degli scopi principali - di ottenere un vantaggio fiscale in contrasto con l'oggetto o la finalità della direttiva 2011/96/UE.
In particolare, una costruzione o una serie di costruzioni è considerata non genuina nella misura in cui non è stata posta in essere per valide ragioni commerciali che riflettono la realtà economica.
Il modificato comma 5 dell’articolo 27-bis dispone quindi l’applicazione delle nuove norme in tema di abuso del diritto, di cui all'articolo 10-bis dello Statuto del contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212), introdotte in attuazione della delega fiscale dall’articolo 1 del D.Lgs. n. 218 del 2015.
In sintesi, il richiamato articolo 10-bis disciplina l’abuso del diritto e l’elusione fiscale, unificati in un unico concetto che riguarda tutti i tributi, imposte sui redditi e imposte indirette, fatta salva la speciale disciplina vigente in materia doganale. In sostanza, in ottemperanza alla raccomandazione 2012/772/UE sulla pianificazione fiscale aggressiva, si introduce una norma generale antiabuso. L’abuso del diritto si configura in presenza di:
- una o più operazioni prive di sostanza economica;
- il rispetto formale delle norme fiscali;
- la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito che costituisce l’effetto essenziale dell’operazione (commi 1 e 2).
Il comma 4 prevede che le norme introdotte si applichino alle remunerazioni corrisposte dal 1º gennaio 2016.
Procedure
di contenzioso
Il 27 gennaio 2016 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione 2016/0106) per mancato recepimento della direttiva 2014/86/UE, recante modifica della direttiva 2011/96/UE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi.
Il termine per il recepimento della direttiva scadeva il 31 dicembre 2015.
Articolo
21
(Modifiche alla legge 16 marzo 2001, n. 88, in materia di investimenti nelle
imprese marittime - Procedura aiuti di Stato n. SA 38919)
L'articolo 21, introdotto nel corso dell'esame in Commissione con l'emendamento del Relatore 14.0.2, prevede la soppressione degli articoli 2 e 3 della legge 16 marzo 2001, n. 88, in materia di investimenti nelle imprese marittime.
La disposizione è volta a sanare la procedura in materia di aiuti di Stato n. SA 38919.
L'articolo 2 della legge n. 88 del 2001, di cui si dispone la soppressione, reca disposizioni in materia di incentivazione degli investimenti nelle imprese marittime. In particolare, esso prevede che ai soggetti aventi i requisiti di cui all'articolo 143 del codice della navigazione è riconosciuto, con riferimento agli investimenti ivi indicati e nei limiti degli stanziamenti previsti, un credito d'imposta nella misura massima corrispondente al massimale previsto dall'articolo 3, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1540/98 del Consiglio del 29 giugno 1998, in relazione al prezzo effettivamente pagato per i lavori relativi alle unità ivi indicate (articolo 2, comma 1).
Si tratta, al riguardo, dei contratti di costruzione e
trasformazione navale stipulati dal 1° gennaio 1999 al 31 dicembre 2000 come
previsto dall'articolo 2 della legge
28 dicembre 1999, n. 522, recante misure di sostegno all'industria
cantieristica ed armatoriale ed alla ricerca applicata nel settore navale, ove
si indica la concessione di contributi in misura non superiore rispettivamente
al 9 per cento ed al 4,5 per cento del valore contrattuale prima dell'aiuto; la
disposizione in parola fa a sua volta riferimento, per definire l'ambito
applicativo, alle unità navali di cui all'articolo 2 del decreto-legge
n. 564 del 1993 aventi autonoma propulsione, con esclusione dei
galleggianti, delle altre strutture e mezzi nautici indicati nello stesso
decreto-legge. In particolare, ai sensi del citato decreto-legge n. 564 del
1993, recante provvedimenti a favore dell'industria navalmeccanica e della
ricerca nel settore navale, l'indicazione è a lavori di costruzione di unità a
scafo metallico o realizzate con materiali a tecnologia avanzata per tali
categorie: a) navi mercantili di stazza lorda internazionale non inferiore alle
400 tonnellate o alle 150 tonnellate, se trattasi di navi passeggeri aventi a
pieno carico ed alla massima potenza continuativa una velocità non inferiore ai
30 nodi; b) rimorchiatori e spintori con apparato motore di potenza non
inferiore a 365 kW (500 cavalli vapore); c) draghe semoventi ed altre navi per
lavori in mare di stazza lorda non inferiore a 400 tonnellate, ad esclusione
delle piattaforme di trivellazione. La normativa del decreto-legge escludeva
espressamente dal campo di applicazione le navi militari, le unità da diporto e
quelle abilitate esclusivamente al servizio marittimo dei porti e delle rade,
nonché le unità da pesca commesse da armatori nazionali che non rientrino nei
programmi di cui ai piani nazionali della pesca marittima e dell'acquacoltura
nelle acque marine e salmastre e nei programmi comunitari di orientamento della
flotta peschereccia, nonché i lavori di costruzione e trasformazione navale
effettuati per conto dello Stato.
Si ricorda, inoltre, che rispondono ai requisiti di nazionalità
ai sensi dell'articolo 143 codice della navigazione le navi che: a)
appartengano per una quota superiore a dodici carati a persone fisiche,
giuridiche o enti italiani o di altri Paesi dell'Unione europea; b) di nuova
costruzione o provenienti da un registro straniero non comunitario,
appartenenti a persone fisiche, giuridiche o enti stranieri non comunitari i
quali assumano direttamente l'esercizio della nave attraverso una stabile
organizzazione sul territorio nazionale con gestione demandata a persona fisica
o giuridica di nazionalità italiana o di altri Paesi dell'Unione europea,
domiciliata nel luogo di iscrizione della nave, che assuma ogni responsabilità
per il suo esercizio nei confronti delle autorità amministrative e dei terzi,
con dichiarazione da rendersi presso l'ufficio di iscrizione della nave,
secondo le norme previste per la dichiarazione di armatore.
La norma di cui si prevede ora la soppressione prevede che il credito d'imposta in questione non concorre alla formazione del reddito imponibile e può essere computato in compensazione ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241[13], in proporzione alle quote dell'investimento effettivamente pagate nel periodo di imposta sulla base dello stato di avanzamento dei lavori (articolo 2, comma 2, legge n. 88 del 2001). La norma ha previsto (articolo 2, comma 3) un limite d'impegno quindicennale di lire 17.000 milioni annue a decorrere dall'anno 2001.
Il citato Regolamento
europeo n. 1540/98 ha dettato norme in materia di aiuti alla
costruzione navale, prevedendo, all'articolo 3, fino al 31 dicembre 2000, un
regime di compatibilità con il mercato comune per gli aiuti alla produzione a
favore di contratti di costruzione e trasformazione di navi, escludendo
interventi a favore della riparazione navale, a condizione che l'importo totale
dell'aiuto accordato ad un singolo contratto non superasse, in equivalente
sovvenzione, un massimale comune espresso in percentuale del valore contrattuale
prima dell'aiuto. Si prevedeva, al riguardo, che per i contratti di costruzione
navale con valore contrattuale prima dell'aiuto superiore ai 10 milioni di ecu
il massimale fosse del 9 per cento, negli altri casi del 4,5 per cento. Il
massimale di aiuto applicabile al contratto era costituito dal massimale
vigente alla data della firma del contratto definitivo. La normativa europea ha
specificato la non applicazione tuttavia alle navi consegnate dopo più di tre
anni dalla data della firma del contratto definitivo, specificando in tal caso
come massimale applicabile al contratto quello in vigore tre anni prima della
consegna della nave. In base alla normativa europea, la concessione di aiuti
per casi individuali in applicazione di un regime approvato non richiedeva una
notifica preventiva né l'autorizzazione della Commissione, salvi i casi di
concorrenza tra diversi Stati membri per un particolare contratto, ove la
Commissione richiedeva la notifica preventiva delle relative proposte di aiuto
su richiesta di qualunque Stato membro.
L'articolo 3 della legge n. 88 del 2001, altresì oggetto di soppressione, reca disposizioni in materia di modalità d'intervento sui finanziamenti, prevedendo altresì misure di sostegno al finanziamento a favore delle imprese armatoriali che effettuano gli investimenti previsti dalla normativa in questione. In particolare, in base alla norma, il Ministero dei trasporti e della navigazione può altresì concedere un contributo pari all'abbattimento, entro il limite massimo del 3,80 per cento annuo, del tasso d'interesse commerciale di riferimento (CIRR) in relazione ad un piano d'ammortamento della durata di dodici anni calcolato sull'80 per cento del prezzo dei lavori di costruzione o trasformazione dell'unità (articolo 3, comma 1, legge n. 88 del 2001).
Si prevede che il contributo sia corrisposto anche durante i lavori, previa presentazione di idonea fidejussione bancaria o assicurativa, in rate semestrali costanti posticipate per la durata di dodici anni decorrenti dal 1º marzo o dal 1º settembre di ciascun anno (articolo 3, comma 2); inoltre, si prevede "nel rispetto delle disposizioni comunitarie vigenti in materia e nei limiti degli stanziamenti già autorizzati da leggi vigenti" che le operazioni di cui alla disposizione sono ammissibili all'intervento del Fondo centrale di garanzia per il credito navale (articolo 3, comma 3).
Il Fondo centrale di garanzia per il credito navale è
stato istituito dalla legge
n. 261 del 1997, recante norme per il rifinanziamento delle leggi di
sostegno all'industria cantieristica ed armatoriale ed attuazione delle
disposizioni comunitarie di settore. La normativa ne disciplina gestione e
funzionamento per le finalità di copertura dei rischi derivanti dalla mancata
restituzione del capitale e dalla mancata corresponsione dei relativi interessi
ed altri accessori connessi o dipendenti dai finanziamenti nel settore ivi
previsto. Le condizioni e le modalità dell'intervento del Fondo centrale di garanzia
per il credito navale sono state poi disposte con il D.M.
17 dicembre 1999, n. 539.
L'articolo
3 in parola prevedeva una originaria autorizzazione di spesa, fissata quale
limite d'impegno dodecennale, in lire 72.000 milioni annue a decorrere
dall'anno 2001, successivamente modificata da diverse disposizioni legislative.
In particolare, ai sensi dell'articolo
4, comma 209, della legge n. 350 del 2003
(legge finanziaria 2004), si è previsto, per gli interventi di sostegno alla
costruzione e trasformazione navale di cui all'articolo 3 della legge n. 88 del
2001, uno stanziamento di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2004, 2005
e 2006. La Corte costituzionale, con sentenza 10-18 febbraio 2005, n. 77, ha
dichiarato l'illegittimità del presente comma.
Inoltre, con il decreto-legge,
n. 4 del 2006, recante misure urgenti in materia di organizzazione
e funzionamento della pubblica amministrazione, si è disposto, all'articolo 34-octies,
il rifinanziamento della legge 16 marzo 2001, n. 88. In particolare, per la
prosecuzione degli interventi in materia di investimenti navali, di cui
all'articolo 3 della legge 16 marzo 2001, n. 88, approvati dalla Commissione
europea con decisione SG (2001)D/285716 del 1º febbraio 2001, da realizzare
sulla base dell'avanzamento dei lavori raggiunto alla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto, è stata autorizzata per
ciascuno degli anni 2006 e 2007 la spesa di 19 milioni di euro e la spesa di 10
milioni di euro per 5 anni a decorrere dall'anno 2008.
Con legge
n. 244 del 24 dicembre 2007 (legge finanziaria 2008), all'articolo
2, comma 205, si è prevista, per il completamento degli interventi
di cui all'articolo 3 della legge 16 marzo 2001, n. 88, una autorizzazione di
spesa di 8,8 milioni di euro per l'anno 2008.
Si segnalano, in materia, ulteriori disposizioni
finanziarie, recate con legge finanziaria per il 2014 (legge
n. 147 del 2013), ove si prevedeva, tra l'altro, al fine di garantire
la prosecuzione degli interventi di cui all'articolo 3 della legge n. 88 del
2001, in favore degli investimenti delle imprese marittime, già approvati dalla
Commissione europea con decisione notificata con nota SG (2001) D/285716 del 1°
febbraio 2001, l'autorizzazione di spesa per un contributo ventennale di 5
milioni di euro a decorrere dall'esercizio 2014 (articolo 1, comma 38, secondo
periodo, legge n. 147 del 2013). La disposizione in parola ha previsto,
inoltre, il finanziamento di programmi di ricerca e sviluppo nonché per
progetti innovativi di prodotti e di processi nel campo navale avviati negli
anni 2012 e 2013 ai sensi della disciplina europea degli aiuti di Stato alla
costruzione navale n. 2011/C3 64/06, in vigore dal 1° gennaio 2012, autorizzando
un contributo ventennale di 5 milioni di euro a decorrere dall'esercizio 2014,
poi rideterminato ai sensi dell'art. 17, comma 1, lett. f), del decreto-legge
25 novembre 2015, n. 185 (articolo 1, comma 38, legge n. 147 del 2013). Di
seguito, la legge finanziaria 2015 (legge
n. 190 del 2014, articolo 1, comma 218 e Allegato 5) ha previsto,
nell'ambito della voce Infrastrutture e trasporti, in relazione
all'autorizzazione di spesa di cui alla citata legge n. 147 del 2013 una
riduzione (in migliaia di euro) di 4.639,2 per il 2015, 4.694,2 per il 2016 e
4.680,5 per il 2017 rispetto alle autorizzazioni di spesa già previste
dall'articolo 1, comma 38, citato. Sull'impiego dei fondi di cui ai commi 37 e
38 della citata legge n. 147 del 2013, si prevede l'espressione del parere
delle competenti Commissioni parlamentari, ai sensi dell'articolo 536, comma 3,
lettera b), del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto
legislativo 15 marzo 2010, n. 66.
Si segnala, infine, che l'art. 1,
comma 634, della legge 28 dicembre 2015, n. 208,
è intervenuto in materia, modificando il citato comma 38, sopprimendo, a
decorrere dal 1° gennaio 2016, il secondo periodo citato, recante
l'autorizzazione di spesa per gli interventi di cui all'articolo 3 della legge
n. 88 del 2001.
In relazione al regime italiano di sostegno alle imprese marittime, la Commissione europea ha rilevato che il regolamento (CE) n. 1540/98, su cui tale regime di aiuti era originariamente basato, ha stabilito come data finale per la concessione degli aiuti il 31 dicembre del 2000, ed è scaduto il 31 dicembre 2003.
La
Commissione ha quindi ritenuto che il
regime delineato in Italia dagli articoli 2 e 3 della legge n. 88 del 2001, in
materia di aiuti al funzionamento dell'industria della costruzione navale, non è più compatibile con il mercato comune,
richiedendo all'Italia l'abrogazione di tali disposizioni quale base giuridica
del regime di aiuti.
Procedure
di contenzioso
L’articolo 21 riguarda la procedura per aiuti di Stato n. SA 38919 in materia di aiuti alle imprese marittime ai sensi del Regolamento del Consiglio (CE) n. 1540/98.
Il caso SA 38919 è stato aperto ex officio dalla Commissione, dopo la chiusura del caso SA 38403 in
materia di proroga e modifica del regime di aiuti alla costruzione navale, a
seguito delle considerazioni già espresse dai servizi europei sull'utilizzo dei
fondi nell'ambito del regime delle misure in favore degli investimenti delle
imprese marittime. Si tratta del regime che era stato precedentemente approvato
dalla Commissione (Aiuto n. 502/2000) in relazione al caso SA 11334, e successivamente
modificato (Aiuto n. 34/2004)
nel caso SA 16994. Tale regime prevedeva due tipi di aiuti nel settore delle
imprese marittime: un credito d'imposta per l'acquirente di una nave pari al
massimo al 9 per cento del prezzo effettivamente pagato; una sovvenzione
semestrale costante per dodici anni.
La
Commissione ha rilevato che il regolamento (CE) n. 1540/98, su cui il regime
era originariamente basato, ha stabilito come data finale per la concessione
degli aiuti il 31 dicembre del 2000, ed è
scaduto il 31 dicembre 2003.
Espressamente, il considerando
del Regolamento, nonché l'articolo 3, punto 1, dello stesso Regolamento,
indicano un regime di compatibilità con il mercato comune per gli aiuti alla
produzione a favore di contratti di costruzione e trasformazione di navi fino
al 31 dicembre 2000, prevedendo l'eliminazione graduale degli aiuti al
funzionamento, nella tempistica indicata.
La
Commissione europea ha quindi ritenuto che il
regime delineato in Italia dagli articoli 2 e 3 della legge n. 88 del 2001,
in materia di aiuti al funzionamento dell'industria della costruzione navale, non è più compatibile con il mercato comune.
Già con richiesta all'Italia del 2014, la
Commissione muoveva rilievi circa le modalità nell'uso di tali misure di
sostegno, nonché sulle relative tempistiche di concessione degli aiuti, in
quanto quasi per la totalità queste risultavano successive alle decisioni della
Commissione sopra richiamate, chiedendo formali informazioni al riguardo e
rilevando la necessità da parte dell'Italia di chiarire il calendario per l'abolizione degli atti nazionali in
materia, ove ancora in vigore. Nel richiedere tali puntuali informazioni,
la Commissione preannunciava, in mancanza di queste, un'ingiunzione ai sensi
dell'articolo 10, paragrafo 3, del Regolamento del Consiglio n. 659/1999, recante regole dettagliate per l'applicazione dell'articolo 93 del
Trattato sull'Unione europea e una procedura di investigazione formale.
Inoltre, nel gennaio 2015, la Commissione
europea ha rilevato che, in caso le autorità italiane non si impegnassero ad
abolire tale regime di aiuti, di cui agli articoli 2 e 3 della legge n. 88 del
2001, la Commissione europea avrebbe formalmente avviato l'adozione di misure
ai sensi dell'articolo 18 del
Regolamento CE n. 659/1999, con avvio di un procedimento di indagine
formale. Di seguito, nel gennaio 2016, la Commissione chiedeva al'Italia di
fornire il testo delle previsioni abrogative ove assunte, richiamando l'impegno
assunto dalle autorità italiane ad abolire il regime di aiuti in oggetto di cui
agli articoli 2 e 3 della legge n. 88 del 2001, e qualsiasi altra disposizione
attuativa del regime.
Si ricorda che l'articolo 18 del Regolamento CE n. 659/1999
dispone che, se la Commissione, alla luce delle informazioni fornite dallo
Stato membro conclude che il regime di aiuti esistente non è, ovvero non è più,
compatibile con il mercato comune, emette una raccomandazione in cui propone opportune misure allo Stato membro
interessato. La raccomandazione può in particolare proporre: a) modificazioni
sostanziali del regime di aiuti; b) l'introduzione di obblighi procedurali o c)
l'abolizione del regime di aiuti.
Articolo
22
(Attuazione della direttiva (UE) 2015/2060 del Consiglio, del 10 novembre
2015, che abroga la direttiva 2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi
da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi)
Con l’articolo 22, introdotto durante l’esame
in Commissione, si intende attuare la direttiva
(UE) 2015/2060, che ha abrogato la direttiva 2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto
forma di pagamenti di interessi.
La richiamata direttiva 2003/48/CE intendeva garantire che i redditi da risparmio, corrisposti sotto forma di interessi in uno Stato membro a beneficiari effettivi persone fisiche residenti in un altro Stato membro, fossero soggetti a un'imposizione effettiva secondo la legislazione nazionale di quest'ultimo Stato membro, per eliminare le distorsioni dei movimenti di capitali fra Stati membri incompatibili con il mercato interno. L’ambito di applicazione della direttiva riguardava l’imposizione sui redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi su crediti; essa era applicata agli interessi pagati da un “agente pagatore”, ovvero un operatore economico (ad esempio un istituto finanziario, una banca o un fondo di investimento) che pagasse interessi ad un beneficiario effettivo o attribuisse il pagamento di interessi a un beneficiario effettivo residente nel territorio dell’UE. Qualsiasi entità stabilita in un paese dell’UE che effettuasse un pagamento di interessi al beneficiario o attribuisse tale pagamento di interessi direttamente a favore del beneficiario era considerata un “agente pagatore”, nel significato inteso dalla direttiva.
La direttiva 2003/48/CE aveva inoltre posto alcuni specifici obblighi informativi: ove il beneficiario fosse residente in un paese dell’UE diverso da quello in cui fosse stabilito l’agente pagatore, si imponeva a quest’ultimo di comunicare all’autorità competente del paese di stabilimento alcune informazioni minime, come l’identità e la residenza del beneficiario, il nome o la denominazione e l’indirizzo dell’agente pagatore, il numero di conto del beneficiario o, in assenza di tale riferimento, l’identificazione del credito che producesse gli interessi, nonché informazioni relative al pagamento di interessi.
Inoltre la direttiva imponeva all’autorità competente del paese dell’UE dell’agente pagatore di comunicare le informazioni minime, almeno una volta all’anno, all’autorità competente del paese dell’UE di residenza del beneficiario effettivo.
Sul tema
dello scambio di informazioni è poi
intervenuta la direttiva 2011/16/UE
che ha previsto uno scambio automatico
obbligatorio di determinate informazioni tra gli Stati membri, con graduale
estensione del suo ambito d'applicazione a nuove
categorie di reddito e di capitale, ai fini della lotta contro la frode e
l'evasione fiscale transfrontaliere. In Italia,
la direttiva 2011/16/UE è stata recepita con il D.lgs. 4 marzo 2014, n. 29.
Successivamente la direttiva 2014/107/UE ha modificato la normativa del 2011 per estendere lo scambio automatico obbligatorio di informazioni a una più ampia gamma di redditi, secondo lo standard globale pubblicato dal Consiglio dell'OCSE nel luglio 2014; in particolare si prevede, per l’autorità competente di uno Stato membro, di comunicare all’autorità competente di qualsiasi altro Stato membro informazioni con riferimento a dividendi, plusvalenze, altri redditi finanziari e saldi dei conti correnti. La direttiva 2014/107/UE, il cui ambito di applicazione è generalmente più ampio di quello della direttiva 2003/48/CE, disponeva che, in caso di sovrapposizione, dovesse prevalere la direttiva 2014/107/UE e che in alcuni casi residui si continuasse ad applicare unicamente la direttiva 2003/48/CE. Ciò si traduceva nell’esistenza di due standard di informativa all'interno dell'Unione, con vantaggi reputati dalle Autorità europee come modesti rispetto ai costi derivanti dal doppio standard.
Con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 28 dicembre 2015 è stata data attuazione - oltre all’accordo FATCA con gli Stati Uniti sullo scambio di informazioni fiscal-finanziarie (ratificato con legge 18 giugno 2015, n. 95) - anche alla predetta direttiva 2014/107/UE.
Di conseguenza la direttiva 2015/2060 ha abrogato la direttiva 2003/48/CE, per evitare doppi obblighi di informativa e ridurre i costi sia per le autorità fiscali che per gli operatori economici, con alcune eccezioni temporanee necessarie per tutelare i diritti acquisiti e con specifiche disposizioni rivolte ai regimi fiscali vigenti in Austria.
Il legislatore europeo ha dunque predisposto delle specifiche modalità per consentire, nonostante l'abrogazione della direttiva 2003/48/CE, che le informazioni raccolte da agenti pagatori, da operatori economici e dagli Stati membri anteriormente alla data di abrogazione siano trattate e trasferite come previsto inizialmente, e che gli obblighi che sorgono anteriormente a tale data siano soddisfatti. Inoltre, in relazione alla ritenuta alla fonte applicata nel periodo transitorio di cui alla direttiva 2003/48/CE, al fine di tutelare i diritti acquisiti dei beneficiari effettivi, gli Stati membri devono continuare ad accordare crediti o rimborsi come previsto inizialmente e rilasciare, su richiesta, certificati che consentano di garantire che non sia applicata la ritenuta alla fonte.
Di conseguenza, il comma 1 abroga il decreto legislativo 18 aprile 2005, n. 84, col quale è stata attuata la direttiva 2003/48/CE, a decorrere dal 1° gennaio 2016.
Ai sensi del comma 2 fino al 30 aprile 2016 si applicano le seguenti norme, contenute nell’articolo 1, rispettivamente ai commi 1 e 3, del D.lgs. n. 84 del 2005:
- le banche, le società di intermediazione mobiliare, le Poste italiane S.p.a., le società di gestione del risparmio, le società finanziarie e le società fiduciarie, residenti nel territorio dello Stato, comunicano all'Agenzia delle entrate le informazioni relative agli interessi pagati o il cui pagamento è attribuito direttamente a persone fisiche residenti in un altro Stato membro, che ne siano beneficiarie effettive; a tal fine le persone fisiche sono considerate beneficiarie degli interessi se ricevono i pagamenti in qualità di beneficiario finale. Le suddette comunicazioni sono, altresì, effettuate da ogni altro soggetto, anche persona fisica, residente nel territorio dello Stato, che per ragioni professionali o commerciali paga o attribuisce il pagamento di interessi alle persone fisiche indicate nel primo periodo. Gli stessi obblighi si applicano alle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti;
- le predette comunicazioni sono effettuate, all'atto della riscossione, anche dalle entità alle quali sono pagati o è attribuito un pagamento di interessi a vantaggio del beneficiario effettivo, se residenti nel territorio dello Stato se diverse da:
a) una persona giuridica;
b) un soggetto i cui redditi sono tassati secondo i criteri di determinazione del reddito di impresa;
c) un organismo di investimento collettivo in valori mobiliari.
Ai sensi del comma 3, continuano ad applicarsi, per le informazioni relative all’anno 2015 le norme (di cui all’articolo 6 del D.lgs. n. 84 del 2005) che obbligano i suindicati soggetti pagatori (di cui all'articolo 1, commi 1 e 3) a comunicare al fisco alcuni elementi informativi (indicati all'articolo 5), con le modalità e i termini stabiliti dal provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate dell’8 luglio 2005.
Sono oggetto di comunicazione:
- l'identità e la residenza del beneficiario effettivo;
- la denominazione e l'indirizzo del soggetto che effettua la comunicazione;
- il numero di conto del beneficiario effettivo o, in assenza di tale riferimento, gli elementi che consentono l'identificazione del credito che produce gli interessi;
- gli elementi informativi relativi al pagamento di interessi, determinati con specifiche modalità differenziate ex lege.
Il comma 4 chiarisce che le comunicazioni di informazioni relative ai pagamenti di interessi effettuati nell’anno 2015 devono essere effettuate entro il 30 giugno 2016, ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo 18 aprile 2005, n. 84.
Ai sensi del comma 5, fino al 31 dicembre 2016 si applicano gli obblighi di rilascio dei certificati di cui all’articolo 9, comma 1, del D.lgs. n. 84 del 2005.
Si tratta dei certificati, rilasciati dall’Agenzia delle entrate con validità di tre anni, al beneficiario effettivo residente nel territorio dello Stato, che può chiedere la non applicazione della ritenuta alla fonte sugli interessi prelevati da Lussemburgo e Austria (autorizzati a ciò dalla direttiva 2003/48/CE).
Infine, il comma 6 prevede che le norme sul credito d’imposta spettante per l’applicazione della ritenuta prelevata da Austria e Lussemburgo, disciplinato dall’articolo 10 del D.lgs. n. 84 del 2005, continui ad applicarsi con riguardo alla ritenuta alla fonte applicata nel 2016 e negli anni precedenti.
L’articolo 10, per eliminare la doppia imposizione che potrebbe derivare dall'applicazione della ritenuta alla fonte prelevata da Austria e Lussemburgo alle condizioni previste dalla normativa UE (di cui all'articolo 11 della direttiva 2003/48/CE) prevede che, se gli interessi percepiti dal beneficiario effettivo residente nel territorio dello Stato sono stati assoggettati alla suddetta ritenuta, sia riconosciuto al beneficiario medesimo un credito d'imposta, determinato con le modalità previste per il credito d’imposta per redditi prodotti all’estero dall'articolo 165 del TUIR. Se la ritenuta è superiore al credito d'imposta, ovvero nel caso in cui non sia applicabile il citato articolo 165, il beneficiario effettivo può chiedere il rimborso o chiedere la compensazione mediante F24.
Articolo
23
(Modifiche al trattamento fiscale delle attività di raccolta dei tartufi.
Caso EU Pilot 8123/15/TAXU)
L’articolo 23 – introdotto al Senato – interviene sul trattamento fiscale delle attività di raccolta dei tartufi, sottoponendo a ritenuta i compensi corrisposti ai raccoglitori occasionali di tartufi e assoggettando i tartufi all’aliquota IVA del 10 per cento.
Si ricorda che l’articolo 1, comma 109, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005) ha previsto, nei confronti dei soggetti che effettuano nell'esercizio d'impresa acquisti di tartufi da raccoglitori dilettanti e occasionali non muniti di partita IVA, l'obbligo di emettere autofattura e di versare all'erario, senza diritto alla detrazione, l'IVA concernente le operazioni autofatturate.
Dall'altro lato, le medesime disposizioni hanno consentito agli acquirenti di non dover indicare nell'autofattura le generalità del raccoglitore/cedente, che non è titolare di obblighi contabili.
I cessionari sono inoltre obbligati a comunicare annualmente alle regioni di appartenenza la quantità del prodotto commercializzato e la provenienza territoriale dello stesso, sulla base delle risultanze contabili. I cessionari sono obbligati a certificare al momento della vendita la provenienza del prodotto, la data di raccolta e quella di commercializzazione.
In particolare, il comma 1 dell’articolo 23 abroga il primo e il secondo periodo del descritto comma 109, eliminando quindi l’obbligo di autofatturazione per gli acquirenti di tartufi da raccoglitori dilettanti od occasionali non muniti di partita IVA (lettera a)).
Viene inoltre eliminato il riferimento al raccoglitore dilettante al terzo periodo del comma 109, ferma restando la disposizione che esenta il cedente raccoglitore occasionale non munito di partita IVA da obblighi contabili (lettera b)).
Il comma 2 inserisce il nuovo articolo 25-quater nel decreto IVA (DPR n. 600 del 1973), volto a sottoporre a ritenuta i compensi corrisposti ai raccoglitori occasionali di tartufi.
Ai sensi del comma 1 del nuovo articolo 25-quater, gli acquirenti nell’esercizio d’impresa applicano ai compensi corrisposti ai raccoglitori occasionali di tartufi non identificati ai fini dell’imposta sul valore aggiunto una ritenuta a titolo d’imposta, con obbligo di rivalsa.
La ritenuta si applica all’aliquota fissata dall’articolo 11 del Tuir (DRP n. 917 del 1986) per il primo scaglione di reddito – pari al 23 per cento - ed è commisurata all’ammontare dei corrispettivi pagati ridotto del 22 per cento a titolo di deduzione forfetaria delle spese di produzione del reddito.
Il comma 3 dell’articolo 23 in commento inserisce i tartufi nella tabella A, parte III, allegata al decreto IVA, relativa ai beni e servizi soggetti all'aliquota del 10 per cento; il nuovo numero 20-bis) comprende “tartufi freschi, refrigerati o presentati immersi in acqua salata, solforata o addizionata di altre sostanze atte ad assicurarne temporaneamente la conservazione, ma non specialmente preparati per il consumo immediato”; conseguentemente, è soppressa l’esclusione del tartufo ai numeri 21 e 70 riguardanti gli ortaggi e le piante mangerecce.
Il comma 4 prevede che le nuove disposizioni si applicano alle operazioni effettuate a partire dal sessantesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della presente legge.
Ai sensi del comma 5, alle minori entrate, valutate in 1.410.000 euro per l’anno 2016, in 1.960.000 euro per l’anno 2017 e in 2.220.000 euro a decorrere dall’anno 2018, si provvede mediante riduzione del fondo per il recepimento della normativa europea.
Procedure
di pre-contenzioso
Nell’ambito della procedura EU-pilot 8123/15/TAXU, avviata a dicembre 2015, la Commissione intende valutare la conformità al diritto UE del regime IVA applicabile in Italia all'acquisto di tartufi presso raccoglitori dilettanti od occasionali, introdotto con l’articolo 1, comma 109, della legge 30 dicembre 2004 (legge finanziaria del 2005).
In base a tale disposizione, i soggetti che nell'esercizio di impresa acquistano tartufi da raccoglitori dilettanti od occasionali non muniti di partita IVA sono tenuti ad emettere autofattura con le modalità e nei termini di cui all'articolo 21 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni. I soggetti acquirenti omettono l'indicazione nell'autofattura delle generalità del cedente e sono tenuti a versare all'erario, senza diritto di detrazione, gli importi dell'IVA relativi alle autofatture. D’altro canto, la cessione di tartufo non obbliga il cedente raccoglitore dilettante od occasionale non munito di partita IVA ad alcun obbligo contabile.
I rilievi della Commissione europea riguardano tre profili:
· in primo luogo, il cedente, ossia un "raccoglitore dilettante od occasionale non munito di partita IVA", non è un soggetto passivo ai fini dell'IVA e pertanto la cessione non dovrebbe rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva 2006/112/CE (cd. direttiva IVA). La misura in questione violerebbe quindi l'articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della citata direttiva, il quale stabilisce che sono soggette all'IVA le cessioni di beni effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;
· la negazione del diritto a detrazione dell'IVA sarebbe in contrasto con l'articolo 1, paragrafo 2, secondo comma della direttiva IVA, in base al quale "l'IVA, calcolata sul prezzo del bene o del servizio all'aliquota applicabile al bene o servizio in questione, è esigibile previa detrazione dell'ammontare dell'imposta che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo";
· non esisterebbe un quadro merceologico e fiscale del tartufo nella legislazione italiana, anche se il prodotto è considerato coltivabile secondo la legge 16 dicembre 1985, n. 752, che ne disciplina la raccolta e la commercializzazione. Il tartufo sarebbe esplicitamente escluso dai prodotti agricoli elencati nella tabella A allegata al citato DPR n. 633/1972, con la conseguenza di essere escluso dal regime speciale per i produttori agricoli. La Commissione europea vorrebbe sapere in quale modo le autorità italiane spiegano questa esclusione.
Articolo
24
(Iscrizione nel registro internazionale italiano di navi in regime di temporanea
dismissione di bandiera comunitaria)
L’articolo 24 consente l’iscrizione nel registro internazionale italiano delle navi in regime di temporanea dismissione di bandiera anche per le navi che appartengono a soggetti comunitari.
Si
modifica a tal fine l’art. 1, del D.L. n. 457 del 1997, che ha istituito il “Registro internazionale”: si tratta del
registro nel quale sono iscritte le navi
adibite esclusivamente a traffici commerciali internazionali.
Il Registro internazionale, in base al citato comma 2, è diviso in tre sezioni nelle quali sono iscritte, su specifica autorizzazione del Ministero dei trasporti e della navigazione:
a) le navi che appartengono a soggetti italiani o di altri Paesi dell'Unione europea;
b) le navi che appartengono a soggetti non comunitari;
c) le navi che appartengono a soggetti non comunitari, in regime di sospensione da un registro straniero non comunitario, ai sensi del comma secondo dell'articolo 145 del codice della navigazione, a seguito di locazione a scafo nudo (in cui l’oggetto del contratto è solo la nave con le sue pertinenze, senza quindi i contratti di arruolamento del personale e e dei beni necessari al viaggio) a soggetti giuridici italiani o di altri Paesi dell'Unione europea.
L’articolo 24 modifica in particolare la lettera c) del comma 2 aggiungendo all’elenco anche le navi che appartengano a soggetti comunitari, e che siano in regime di sospensione da un registro, specificando altresì che tale registro, oltre che non comunitario, possa anche essere comunitario.
L’intervento è pertanto volto, come segnalato anche nella relazione illustrativa, ad evitare possibili discriminazioni tra navi di bandiera extracomunitaria e navi di bandiera comunitaria a scapito di queste ultime.
Si ricorda che l'autorizzazione del MIT è rilasciata tenuto conto degli appositi contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori del settore e che non possono comunque essere iscritte nel Registro internazionale le navi da guerra, le navi di Stato in servizio non commerciale, le navi da pesca e le unità da diporto. Le navi iscritte nel Registro internazionale non possono inoltre effettuare servizi di cabotaggio per i quali è operante la riserva di cui all'articolo 224 del codice della navigazione, salvo che per le navi da carico di oltre 650 tonnellate di stazza lorda e nei limiti di un viaggio di cabotaggio mensile, quando il viaggio di cabotaggio segua o preceda un viaggio in provenienza o diretto verso un altro Stato , se si osservano i criteri di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b) e c). Tali navi possono effettuare servizi di cabotaggio nel limite massimo di sei viaggi mensili, o viaggi, ciascuno con percorrenza superiore alle cento miglia marine se osservano i criteri di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), e comma 1 -bis .
Si ricorda inoltre che il D.Lgs n. 344 del 2003 ha introdotto un regime agevolato di determinazione forfetaria del reddito per le imprese marittime (c.d. Tonnage tax) che si applica al reddito derivante dall’utilizzo in traffico internazionale delle navi, con un tonnellaggio superiore alle 100 tonnellate di stazza netta, iscritte nel Registro internazionale.
Si segnala che l’art. 13 del disegno di legge in commento interviene sulla c.d. Tonnage Tax (cfr. la relativa scheda).
Si ricorda infine che l’art. 3 della legge n. 172 del 2003 (Disposizioni per il riordino e il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico), consente anche l’iscrizione nel Registro delle navi con scafo di lunghezza superiore a 24 metri e comunque di stazza lorda non superiore alle 1.000 tonnellate, adibite in navigazione internazionale esclusivamente al noleggio per finalità turistiche.
L’art. 60 del D.L. n. 1 del 2012 ha inoltre previsto che sia consentito alle navi da diporto non battenti bandiera nazionale o comunitaria di permanere stabilmente in ambito nazionale senza dover procedere alla dismissione di bandiera ed alla conseguente iscrizione nei registri nazionali.
Sul tema della nautica da diporto è stata recentemente approvata la legge 7 ottobre 2015, n. 167, di delega di riforma del codice della nautica da diporto che prevede, tra l’altro, che si proceda alla semplificazione della procedura amministrativa per la dismissione di bandiera per le unità da diporto.
Articolo
25
(Disposizioni sanzionatorie per i gestori delle infrastrutture, per le
imprese ferroviarie e per gli operatori del settore nei casi di inosservanza
delle norme e delle raccomandazioni dell’Agenzia nazionale per la sicurezza
delle ferrovie)
L’articolo 25, modificato in Commissione, introduce sanzioni nei casi di inosservanza delle prescrizioni dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (ANSF) da parte delle imprese ferroviarie, dei gestori delle infrastrutture e degli operatori di settore.
Il comma 1, stabilisce in particolare l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie da 5.000 a 20.000 euro per gli operatori ferroviari nel caso di inosservanza di prescrizioni dell'ANSF relative a:
a) gestione della circolazione ferroviaria, funzionamento e manutenzione degli elementi del sistema ferroviario;
b) requisiti e qualificazione del personale impiegato nella sicurezza della circolazione ferroviaria;
c) certificati di sicurezza richiesti alle imprese per l’accesso all’infrastruttura ferroviaria e le autorizzazioni di sicurezza richieste ai gestori dell’infrastruttura.
Il comma 2 dispone, sempre per gli operatori ferroviari, che nel caso di inosservanza da parte degli operatori ferroviari degli obblighi di fornire assistenza tecnica, informazione e documentazione, la sanzione amministrativa pecuniaria va da 1.000 a 4.000 €.
Per l’accertamento e l’irrogazione delle sanzioni da parte dell’Agenzia, il comma 3 prevede che si applichino le disposizioni della legge n. 689 del 1981 (capo I, sezione I e II) e che a tal fine l’Agenzia possa stipulare un’apposita convenzione con il Dipartimento Pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno.
La legge 24 novembre 1981, n. 689, Modifiche al sistema penale, norma fondamentale in tema di illeciti amministrativi, stabilisce che la sanzione amministrativa pecuniaria consiste "nel pagamento di una somma di denaro non inferiore a 6 euro e non superiore a 10.329 euro", tranne che per le sanzioni proporzionali, che non hanno limite massimo; nel determinarne l'ammontare, l'autorità amministrativa deve valutare la gravità della violazione, l'attività svolta dall'autore per eliminare o attenuarne le conseguenze, le sue condizioni economiche e la sua personalità (artt. 10 e 11).
L'applicazione della sanzione avviene secondo il seguente schema:
- accertamento, contestazione-notifica al trasgressore;
- pagamento in misura ridotta o inoltro di memoria difensiva all'autorità amministrativa;
- archiviazione o emanazione di ordinanza ingiunzione di pagamento da parte dell'autorità amministrativa;
- eventuale opposizione all'ordinanza ingiunzione davanti all'autorità giudiziaria (giudice di pace o tribunale);
- accoglimento dell'opposizione, anche parziale, o rigetto (sentenza ricorribile per cassazione);
- eventuale esecuzione forzata per la riscossione delle somme.
Dal punto di vista procedimentale, occorre innanzitutto che la sanzione sia accertata dagli organi di controllo competenti o dalla polizia giudiziaria (art. 13). La violazione dev'essere immediatamente contestata o comunque notificata al trasgressore entro 90 giorni (art. 14); entro i successivi 60 giorni l'autore può conciliare pagando una somma ridotta pari alla terza parte del massimo previsto o pari al doppio del minimo (cd. oblazione amministrativa o pagamento in misura ridotta, art. 16). In caso contrario, egli può, entro 30 giorni, presentare scritti difensivi all'autorità competente; quest'ultima, dopo aver esaminato i documenti e le eventuali memorie presentate, se ritiene sussistere la violazione contestata determina l'ammontare della sanzione con ordinanza motivata e ne ingiunge il pagamento (cd. ordinanza-ingiunzione, art. 18).
Entro 30 giorni dalla sua notificazione l'interessato può presentare opposizione all'ordinanza ingiunzione (che, salvo eccezioni, non sospende il pagamento), inoltrando ricorso al giudice di pace (art. 22, 22-bis); fatte salve le diverse competenze stabilite da disposizioni di legge, l'opposizione si propone, invece, davanti al tribunale ratione materiae (materia di lavoro, edilizia, urbanistica ecc.) o per motivi di valore o di natura della sanzione (sanzione superiore nel massimo a 15.493 euro o applicazione di sanzione non pecuniaria, sola o congiunta a quest'ultima, fatta eccezione per violazioni previste da specifiche leggi speciali): l'esecuzione dell'ingiunzione non viene sospesa e il giudizio che con esso si instaura si può concludere o con un'ordinanza di convalida del provvedimento o con sentenza di annullamento o modifica del provvedimento. Il giudice ha piena facoltà sull'atto, potendo o annullarlo o modificarlo, sia per vizi di legittimità che di merito.
In caso di condizioni economiche disagiate del trasgressore, l'autorità che ha applicato la sanzione può concedere la rateazione del pagamento (art. 26)
Decorso il termine fissato dall'ordinanza ingiunzione, in assenza del pagamento, l'autorità che ha emesso il provvedimento procede alla riscossione delle somme dovute con esecuzione forzata in base alle norme previste per l'esazione delle imposte dirette (art. 27). Il termine di prescrizione delle sanzioni amministrative pecuniarie è di 5 anni dal giorno della commessa violazione (art. 28).
Nel caso di pregiudizio alla sicurezza del sistema ferroviario viene consentito all’Agenzia di adottare misure cautelari di sospensione totale o parziale dell’efficacia del titolo o inibire la circolazione dei veicoli o l’utilizzo del personale fino alla cessazione delle condizioni che hanno arrecato il pregiudizio.
Il comma 4, prevede che il personale dell’ANSF incaricato degli accertamenti assuma la qualifica di pubblico ufficiale nell’esercizio di tali funzioni. Nel corso dell’esame in sede referente il comma è stato modificato con l’introduzione della clausola di invarianza finanziaria, in base alla quale modifica avvenga senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente.
Anche per le procedure conseguenti all’accertamento delle violazioni , le impugnazioni e la tutela giurisdizionale e per la riscossione delle sanzioni i commi 5 e 6 rinviano all’applicazione della legge n. 689/1981. I proventi delle sanzioni sono devoluti allo Stato (comma 7).
Si ricorda che l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie è stata istituita dall’articolo 4 del D.Lgs. 10 ottobre 2007, n. 162, in attuazione della direttiva 2004/49/UE, con compiti di garanzia della sicurezza del sistema ferroviario nazionale. I DPR n. 34/2009 e n. 35/2009, rispettivamente recano lo statuto e il regolamento di organizzazione dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie. Essa ha sede a Firenze ed è dotata di personalità giuridica ed è indipendente, sul piano organizzativo, giuridico e decisionale, da qualsiasi impresa ferroviaria, gestore dell'infrastruttura, soggetto richiedente la certificazione ed ente appaltante. E’ sottoposta alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Tra i compiti dell’Agenzia ricordiamo:
· la definizione del quadro normativo in materia di sicurezza, l’emanazione delle norme tecniche e degli standard di sicurezza e la vigilanza sulla loro applicazione;
· l’autorizzazione alla messa in servizio del materiale rotabile e dei sottosistemi di natura strutturale costitutivi del sistema ferroviario;
· l’istituzione e l’aggiornamento del registro di immatricolazione nazionale del materiale rotabile autorizzato ad essere messo in servizio;
· il compimento di studi, ricerche e approfondimenti in materia di sicurezza del trasporto ferroviario;
· la formulazione di direttive e raccomandazioni in materia di sicurezza, nei confronti dei gestori delle infrastrutture e delle imprese ferroviarie;
· la collaborazione con l'Agenzia ferroviaria europea, per lo sviluppo di obiettivi e di metodi comuni di sicurezza per consentire una progressiva armonizzazione delle norme nazionali.
In base all’ art. 12 l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, provvede affinché gli standard e le norme nazionali di sicurezza siano pubblicate in un linguaggio chiaro e accessibile agli interessati e messe a disposizione di tutti i gestori dell'infrastruttura, delle imprese ferroviarie, di chiunque richieda un certificato di sicurezza e di chiunque richieda un'autorizzazione di sicurezza. Il D.L. n. 69 del 2013 (art. 24, comma 3-bis), modificando l'articolo 12 del decreto legislativo n. 162 del 2007 (attuazione alle direttive 2004/49/CE e 2004/51/CE sulla sicurezza e lo sviluppo delle ferrovie comunitarie), ha previsto in particolare che le modifiche apportate dall’Agenzia agli standard ed alle norme di sicurezza nazionali non possano prescrivere livelli di sicurezza diversi da quelli minimi definiti dagli obiettivi minimi di sicurezza CST se non sono accompagnate da una stima dei sovra costi necessari e da una analisi di sostenibilità economica e finanziaria per il gestore dell'infrastruttura e per le imprese ferroviarie, corredata da stime ragionevoli anche in termini di relativi tempi di attuazione.
Sono organi dell'Agenzia:
· il direttore, nominato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Dura in carica tre anni;
· il comitato direttivo, composto dal direttore, che lo presiede, e da quattro dirigenti dei principali settori di attività dell'Agenzia. I membri del comitato, nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, durano in carica tre anni; i componenti del Comitato direttivo sono stati nominati con DPCM 12 febbraio 2014;
· il collegio dei revisori dei conti, costituito dal presidente, da due componenti effettivi e da due supplenti, che durano in carica tre anni e che sono rinnovabili una sola volta. I componenti del collegio sono nominati con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, su designazione, limitatamente al presidente, del Ministro dell'economia e delle finanze.
L’ANSF predispone un Rapporto annuale al Parlamento sulla sicurezza delle ferrovie italiane e sull’attività svolta dall’Agenzia, in base all’art. 7, comma 4 del d.lgs. n. 162/2007. A gennaio 2015 è stato presentato il Rapporto relativo all’anno 2013 (DOC CLXXX, n. 2).
Documenti all’esame
delle istituzioni dell’UE
Fa parte del quarto pacchetto ferroviario, presentato nel 2013 con l’obiettivo di eliminare gli ostacoli di carattere tecnico, amministrativo e giuridico che ancora si frappongono al completamento dello spazio ferroviario europeo unico, anche una proposta di modifica della direttiva 2004/49/CE che ha fissato il quadro normativo comune per la sicurezza ferroviaria.
Le modifiche proposte (COM(2012)31) intervengono tra l’altro per:
· chiarire il ruolo e le responsabilità degli attori della catena ferroviaria;
· introdurre un certificato di sicurezza unico per rendere il sistema ferroviario più efficace ed efficiente grazie alla riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese ferroviarie;
· riconoscere un nuovo ruolo alle autorità nazionali di sicurezza e ridistribuire le responsabilità tra tali autorità e l’Agenzia ferroviaria europea;
· definire principi comuni per la gestione della sicurezza;
· dettare specifiche disposizioni in materia di indagini sugli incidenti ferroviari.
Su tale proposta è stato raggiunto un
accordo informale tra il Consiglio e il Parlamento europeo. Mentre il Consiglio si è espresso
favorevolmente il 10 dicembre 2015, il Parlamento europeo in sessione plenaria
ha approvato formalmente l’accordo raggiunto il 28 aprile 2016.
Articolo
26
(Disposizioni relative alla protezione della fauna selvatica omeoterma e al
prelievo venatorio. Caso EU Pilot 6955/14/ENVI)
L’articolo
26 modifica l’articolo 12 della legge 11
febbraio 1992, n. 157, recante “Norme
per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”,
introducendo l’obbligo per ciascun cacciatore di annotare sul proprio tesserino venatorio la fauna selvatica
stanziale e migratoria abbattuta, subito dopo l'abbattimento.
Secondo la relazione illustrativa la disposizione in
commento è finalizzata alla chiusura di una parte del caso EU Pilot
6955/14/ENVI, avviato dalla Commissione europea nell'ottobre del 2014 con una
richiesta di informazioni sull'attività di monitoraggio del prelievo venatorio
in Italia e sull'impatto che tale prelievo esercita, in particolare con
riferimento alle specie in cattivo stato di conservazione.
L’articolo 12 della legge n. 157/1992 prevede che l'attività venatoria possa essere
esercitata:
- dai maggiorenni;
- muniti di licenza di porto di fucile per uso di
caccia;
- con polizza assicurativa per la responsabilità
civile verso terzi, derivante dall'uso delle armi o degli arnesi utili all'attività
venatoria, nonché con polizza assicurativa per infortuni correlata
all'esercizio dell'attività venatoria.
La
licenza di porto di fucile per uso di caccia ha validità su tutto il territorio nazionale e consente l'esercizio
venatorio nel rispetto della legge 157/1992 e delle norme emanate dalle
regioni.
Al comma 12 si prevede che per l'esercizio
dell'attività venatoria è necessario altresì il possesso di un apposito tesserino rilasciato dalla regione di
residenza, ove sono indicate le specifiche norme inerenti il calendario
regionale, nonché le forme di esercizio dell’attività venatoria previste al
comma 5 (con l'arco o con il falco, vagante in zona Alpi, da appostamento fisso
e nell'insieme delle altre forme di attività venatoria consentite dalla legge
n. 157 e praticate nel rimanente territorio destinato all'attività venatoria
programmata) e gli ambiti territoriali di caccia ove è consentita l'attività
venatoria.
Per l'esercizio della caccia in regioni diverse da
quella di residenza è necessario che, a cura di quest'ultima, vengano apposte
sul predetto tesserino le indicazioni sopramenzionate.
Procedure di contenzioso
Nell’ambito del sistema EU Pilot, la Commissione europea ha inviato all’Italia una richiesta di chiarimenti sulla non corretta applicazione di alcune disposizioni della direttiva 2009/147/CE concernente la conservazione degli uccelli selvatici (caso EU Pilot 6955/14/ENVI).
In particolare, le attività venatorie praticate in diverse regioni italiane non sarebbero compatibili con la normativa dell’UE dal momento che alcune specie di uccelli selvatici sarebbero cacciate in fase di migrazione pre-nuziale e diverse specie di uccelli in cattivo stato di conservazione sarebbero cacciate in assenza di piani di gestione o di conservazione.
L’articolo 7 della direttiva 2009/147/CE stabilisce, infatti, che alcune specie di uccelli (indicate all’allegato II alla direttiva) possano essere oggetto di atti di caccia nel quadro della legislazione nazionale. Gli Stati membri devono, tuttavia, fare in modo che la caccia di queste specie non pregiudichi le azioni di conservazione intraprese nella loro area di distribuzione. Essi provvedono in particolare a che le specie alle quali si applica la legislazione sulla caccia non siano cacciate durante il periodo della nidificazione né durante le varie fasi della riproduzione e della dipendenza degli uccelli né, per quanto riguarda le specie migratrici, durante il ritorno al luogo di nidificazione. Per quanto riguarda le specie in cattivo stato di conservazione, nella Guida alla disciplina della caccia nell’ambito della direttiva sulla conservazione degli uccelli selvatici, la Commissione europea raccomanda che la caccia sia autorizzata nell’ambito di un piano di gestione adeguato, che preveda anche la conservazione degli habitat nonché altre misure in grado di rallentare e di invertire la tendenza al declino della specie in questione.
Per quanto riguarda la caccia in fase di migrazione pre-nuziale, a seguito dei rilievi della Commissione europea e su sollecitazione del Governo, alcune regioni hanno modificato il calendario venatorio, anticipando la chiusura della caccia al 20 gennaio invece che al 31 gennaio al fine di rispettare le date indicate nel documento Key Concepts[14] per la riproduzione e la migrazione prenuziale delle specie in oggetto. Nei confronti delle regioni che non hanno ritenuto di modificare i calendari venatori 2014/2015, il Governo ha esercitato i poteri sostitutivi, anticipando la chiusura della caccia; tuttavia, le regioni hanno comunicato di non volersi uniformare a tale decisione e di voler continuare ad autorizzare la caccia fino al 31 gennaio, rilevando la necessità di un aggiornamento del Key concepts sulla base di dati scientifici più attendibili e più aggiornati.
Sulla base di tali elementi, la Commissione europea, pur apprezzando l'esercizio del potere sostitutivo straordinario da parte del Governo, ritiene preferibile un intervento normativo che modifichi l’articolo 18 della legge n. 157/1992, fissando al 20 gennaio invece che al 31 gennaio la chiusura della caccia per le specie in questione.
Benché in un primo momento fosse stato preannunciato l’inserimento di tale intervento normativo nel disegno di legge europea 2015, il 15 gennaio 2016 il Consiglio dei Ministri ha invece preferito deliberare, anche per il calendario venatorio 2015/2016, l'esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti delle regioni Toscana, Calabria, Liguria, Marche, Puglia, Lombardia e Umbria, disponendo la modifica del loro calendario venatorio sulla base dei rilievi della Commissione europea.
Per quanto riguarda la caccia delle specie in cattivo stato di conservazione, secondo la Commissione europea le informazioni fornite dal Governo italiano avrebbero confermato che 19 specie sono cacciate in assenza di piani di gestione e che il prelievo venatorio cosi come disciplinato dalla regioni non consente la raccolta di dati sui carnieri realizzati né altri dati per consentire di valutarne la consistenza. Su tale argomento la Commissione europea condivide i principi e le restrizioni proposti nella sua Guida alla stesura dei calendari venatori dall’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale), che peraltro ha espresso in più casi parere contrario ai calendari venatori sottoposti dalle regioni. La soluzione proposta dalla Commissione europea è quella di rendere vincolanti i pareri dell’ISPRA sui calendari venatori regionali, in particolare per quanto riguarda le specie in cattivo stato di conservazione. Di contrario avviso il Governo, perché così facendo si attribuirebbe ad un organo tecnico scientifico indipendente, a sostegno di un’amministrazione pubblica, un potere decisionale non compatibile con la sua natura giuridica. Il Governo ha invece sollecitato l’ISPRA a produrre piani di gestione per le specie in questione.
Un’ulteriore criticità rilevata dalla Commissione europea riguarda la diversa regolamentazione applicata dalle regioni per l’annotazione dei capi abbattuti nel tesserino venatorio, a seconda che si tratti di specie stanziali (annotazione prevista subito dopo l’abbattimento) o di specie migratorie (annotazione prevista alla fine della giornata di caccia). La Commissione europea ritiene che tale differenziazione (come avrebbe rilevato anche l’ISPRA) renda più difficili le operazioni di controllo e riduca l’affidabilità dei dati raccolti. Pertanto ha richiesto di modificare il testo della legge n. 157/92, prevedendo per tutte le specie l’annotazione dopo l’abbattimento, e di raccogliere in maniera tempestiva e completa tutti i dati sui carnieri realizzati. Su tale aspetto il Governo ha convenuto con la richiesta della Commissione europea, da un lato inserendo con il presente articolo la modifica proposta, e dall’altro sollecitando le regioni a trasmettere i dati.
In considerazione dei rilievi avanzati dalla Commissione europea, la modifica introdotta dal Governo interviene a risolvere soltanto una parte del caso EU Pilot in questione.
Articolo
27
(Disposizioni relative allo stoccaggio geologico di biossido di carbonio.
Caso EU-Pilot 7334/15/CLIM)
L’articolo 27 modifica in più punti la disciplina recata dal decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 162, di attuazione della direttiva 2009/31/CE, in materia di stoccaggio geologico del biossido di carbonio, al fine di superare i rilievi avanzati dalla Commissione europea nell’ambito del caso EU Pilot 7334/15/CLIM.
Condizioni
per il rilascio dell’autorizzazione allo stoccaggio di biossido di carbonio
La lettera a) del comma 1 dell’articolo 27 introduce due modifiche all’articolo 14 del decreto legislativo n. 162 del 2011, che detta le condizioni per il rilascio e il trasferimento delle autorizzazioni allo stoccaggio geologico del biossido di carbonio (CO2).
La prima modifica è disposta dal punto 1) della lettera a) che aggiunge la nuova lettera g-bis) all’articolo 14, al fine di prevedere una ulteriore condizione in merito al rilascio dell'autorizzazione allo stoccaggio.
In particolare, la nuova condizione stabilisce che, in caso di più siti di stoccaggio nella stessa unità idraulica, le potenziali interazioni di pressione siano tali che tutti i siti rispettino simultaneamente le prescrizioni del medesimo decreto legislativo n. 162 del 2011.
Tale modifica è conseguente al mancato recepimento del punto 1), lettera c), dell’articolo 8 della direttiva 2009/31/CE, che elenca le condizioni per il rilascio delle autorizzazioni allo stoccaggio di biossido di carbonio, e che, nel caso specifico, prevede, in caso di più siti di stoccaggio nella stessa unità idraulica, che le potenziali interazioni di pressione siano tali che entrambi i siti possono rispettare simultaneamente le prescrizioni della direttiva medesima.
Si osserva che, mentre il testo della
direttiva prevede la possibilità che i siti rispettino simultaneamente la
direttiva medesima, la nuova lettera g-bis) sembra richiedere tale rispetto in
termini di obbligo e non di facoltà. Andrebbe, pertanto, valutato se la nuova
formulazione configuri un adeguamento della disciplina nazionale in termini più
restrittivi rispetto a quanto previsto dalla normativa europea.
Nel documento elaborato dall’Ufficio legislativo del Ministero dell’ambiente di risposta alle informazioni supplementari richieste dalla Commissione europea è riportata una formulazione della norma di recepimento nazionale, che riproduce testualmente il testo della direttiva.
Si ricorda, inoltre, che, ai sensi dell’articolo 3 del D.Lgs. n. 162/2011(che riprende l’articolo 3, punto 3 e punto 7, della Direttiva 2009/31/CE) è sito di stoccaggio l'insieme del volume della formazione geologica utilizzata ai fini dello stoccaggio geologico di CO2, della sua proiezione in superficie, nonché degli impianti di superficie e di iniezione connessi (lettera c)); mentre è unità idraulica: uno spazio poroso collegato idraulicamente in cui la trasmissione della pressione può essere misurata e che è delimitato da barriere di flusso, quali faglie, duomi salini, limiti litologici, ovvero dalla chiusura stratigrafica o dall'affioramento della formazione.
L’articolo 14, comma 1, del D.Lgs n. 162 del 2011 specifica che l'autorizzazione allo stoccaggio di biossido di carbonio è rilasciata ove sussistano le seguenti condizioni:
a) siano stati espletati gli adempimenti previsti nel procedimento unico di cui all'articolo 12 per il rilascio dell'autorizzazione, ed acquisito il parere del Comitato;
b) siano rispettate tutte le disposizioni del presente decreto e degli altri atti normativi pertinenti in materia autorizzativa;
c) il gestore sia finanziariamente solido, affidabile, disponga delle competenze tecniche necessarie ai fini della gestione e del controllo del sito e siano previsti programmi di formazione e sviluppo tecnici e professionali del gestore e di tutto il personale;
d) sia garantito, in considerazione del vincolo di ubicazione, che la costruzione e la gestione del sito di stoccaggio di CO2 non rechino danno al benessere della collettività e agli interessi privati prevalenti;
e) siano esclusi effetti negativi a danno di concessioni minerarie esistenti o di giacimenti minerari;
f) sia garantita la sicurezza a lungo termine del sito di stoccaggio di CO2;
g) siano previste misure che evitino danni ai beni della collettività.
La seconda modifica recata dal punto 2) della lettera a) aggiunge il comma 1-bis) all’articolo 14, al fine di prevedere che per ciascuna unità idraulica può essere rilasciata un’unica autorizzazione.
La relazione illustrativa al disegno di legge ascrive a motivi di sicurezza l’introduzione del comma in esame, in analogia a quanto previsto dalla normativa mineraria che disciplina la produzione di idrocarburi e lo stoccaggio di gas naturale in sotterraneo[15].
Nel
citato documento elaborato dall’Ufficio legislativo del Ministero dell’ambiente
di risposta alle informazioni supplementari richieste dalla Commissione europea
si precisa che la disposizione di cui al comma 1-bis è stata introdotta al fine di prevedere che per ogni unità idraulica l’autorizzazione
allo stoccaggio può essere rilasciata ad un solo operatore.
Si ricorda che l’articolo 6 della Direttiva 2009/31/CE dispone che gli Stati membri provvedono affinché la gestione dei siti di stoccaggio avvenga solo previo rilascio di un'autorizzazione allo stoccaggio, affinché vi sia un unico gestore per ogni sito di stoccaggio e affinché sul sito non siano consentiti utilizzi incompatibili.
Come chiariscono gli stessi lavori preparatori della direttiva in questione “Più siti di stoccaggio possono collocarsi in una struttura denominata unità idraulica. L'unità idraulica si estende nello spazio oltre un "complesso di stoccaggio". All'interno di una siffatta struttura sono possibili interazioni notevoli tra azioni parallele di iniezione. Per tale motivo le autorizzazioni allo stoccaggio dovrebbero essere concesse ad un solo gestore alla volta.
In attuazione della Direttiva, il D.Lgs. n.162/2011 definisce autorizzazione allo stoccaggio: un atto emanato a norma del decreto legislativo stesso, che attribuisce in concessione lo stoccaggio geologico di CO2 in un sito di stoccaggio e che specifica le condizioni alle quali lo stoccaggio può aver luogo.
Si osserva che la compatibilità della
disposizione in commento, che non sembra configurarsi come una modifica in risposta
ai chiarimenti avanzati dalla Commissione europea, andrebbe valutata alla luce
di quanto prevede l’articolo 6 della direttiva 2009/31/CE.
Riesame
e aggiornamento dell’autorizzazione allo stoccaggio di biossido di carbonio
La lettera b) del comma 1 dell’articolo 27 aggiunge il comma 2-bis), all’articolo 17 del D. Lgs n. 162 del 2011, che disciplina i casi per la modifica, il riesame, l’aggiornamento, la revoca e decadenza dell'autorizzazione allo stoccaggio di biossido di carbonio (CO2).
Il nuovo comma 2-bis) stabilisce - riproducendo testualmente la formulazione dell’articolo 11, paragrafo 3, lettere d) e e) della direttiva 2009/31 - che il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la regione territorialmente interessata, anche su parere del Comitato, riesamina ed eventualmente aggiorna l’autorizzazione allo stoccaggio nei seguenti casi:
a) qualora risulti necessario in base ai più recenti risultati scientifici e progressi tecnologici;
b) cinque anni dopo il rilascio dell’autorizzazione e, in seguito, ogni dieci anni, fatte salve le disposizioni di cui alla predetta lettera a) e alle lettere da a) a d) del comma 3 dell’articolo 17.
L’aggiunta del nuovo comma 2-bis), all’articolo 17 del D. Lgs n. 162 del 2011, è necessaria al fine di garantire la completa trasposizione dell’articolo 11, paragrafo 3, lettere d) ed e), della direttiva 2009/31/CE, come rilevato dalla Commissione europea nel caso EU Pilot.
L’articolo 17, comma 3, del D. lgs n. 162 del 2011 disciplina i casi di decadenza dell’autorizzazione allo stoccaggio di biossido di carbonio. In particolare, il Ministero dello sviluppo economico, sentita la regione territorialmente interessata, anche su proposta del Comitato, dichiara la decadenza, previa diffida, del soggetto titolare dell'autorizzazione allo stoccaggio nei seguenti casi:
a) qualora il soggetto autorizzato si sia reso inadempiente alle prescrizioni previste dall'autorizzazione;
b) se le comunicazioni di cui all'articolo 20 o le ispezioni effettuate a norma dell'articolo 21 mettono in evidenza il mancato rispetto delle condizioni fissate nelle autorizzazioni o rischi di fuoriuscite o di irregolarità significative;
c) in caso di violazione dell'articolo 14, comma 3, del decreto legislativo medesimo (cioè nel caso di trasferimento ad altro soggetto dell'autorizzazione allo stoccaggio senza la prevista autorizzazione preventiva dell’autorità competente);
d) in caso di mancata presentazione della relazione di cui all'articolo 20.
L’articolo 11, paragrafo 3, della direttiva 2009/31 prevede che l'autorità competente riesamina ed eventualmente aggiorna o, al limite, revoca l'autorizzazione allo stoccaggio:
a) se riceve comunicazione o è messa a conoscenza di qualsiasi fuoriuscita o irregolarità importante ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1;
b) se le comunicazioni di cui all'articolo 14 o le ispezioni ambientali effettuate a norma dell'articolo 15 mettono in evidenza il mancato rispetto delle condizioni fissate nelle autorizzazioni o rischi di fuoriuscite o di irregolarità importanti;
c) se è a conoscenza di altre inadempienze del gestore rispetto alle condizioni dell'autorizzazione;
d) qualora risulti necessario in base ai più recenti risultati scientifici e progressi tecnologici; ovvero
e) fatte salve le lettere da a) a d), cinque anni dopo il rilascio dell'autorizzazione e in seguito ogni dieci anni.
Attività
sottoposte a vigilanza e controllo
La lettera c) del comma 1 dell’articolo 27 modifica l’articolo 21 del D. Lgs. n. 162 del 2011, che prevede la disciplina per la vigilanza e il controllo di tutte le attività di esplorazione, realizzazione degli impianti, iniezione di biossido di carbonio (CO2) e gestione dei siti, regolate ai sensi del decreto legislativo medesimo, attraverso lo svolgimento di ispezioni periodiche ed occasionali.
La lettera c) in esame aggiunge un nuovo periodo al comma 6 dell’articolo 21, che detta la tempistica per le ispezioni periodiche in materia di stoccaggio geologico del biossido di carbonio.
In particolare, il nuovo periodo specifica che le suddette ispezioni periodiche riguardano le strutture di iniezione e monitoraggio e tutta la serie di effetti significativi del complesso di stoccaggio sull’ambiente e sulla salute umana.
Il comma 6 dell’articolo 21 del D.lgs. n. 162 del 2011 stabilisce, in materia di ispezioni periodiche, che le medesime ispezioni siano effettuate di norma almeno una volta all'anno, in base a quanto previsto dal piano annuale comunicato al gestore entro il 31 gennaio dal Comitato, fino a tre anni dopo la chiusura e almeno ogni cinque anni fino a quando non avvenga il trasferimento di responsabilità di cui all'articolo 24.
L’aggiunta del nuovo periodo al comma 6 dell’articolo 21 si rende necessaria al fine di garantire la completa trasposizione dell’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2009/31/CE che in materia di ispezioni periodiche specifica che le medesime ispezioni riguardano le strutture di iniezione e monitoraggio e tutta la serie di effetti significativi del complesso di stoccaggio sull'ambiente e sulla salute umana.
Si ricorda, infine, che sempre a seguito dei rilievi avanzati nell’ambito del caso EU Pilot 7334/15/CLIM, l’articolo 24 della legge n. 115 del 2015 (legge Europea 2014) è intervenuto con modifiche in merito a diverse disposizioni del D.lgs. n. 162 del 2011.
Nell’ambito
del sistema EU Pilot,
In particolare la Commissione europea rileva che nel decreto legislativo n. 162/2011 che dà attuazione alla direttiva, non sono state trasposte le seguenti disposizioni:
· articolo 8, punto 1, lettera c). Sulla
base di tale disposizione, l’autorizzazione allo stoccaggio viene rilasciata
soltanto se sia stato accertato che in caso di più siti di stoccaggio nella
stessa unità idraulica, le potenziali interazioni di pressione sono tali che
entrambi i siti possono rispettare simultaneamente le prescrizioni della
direttiva;
· articolo
11, paragrafo 3, lettere d) e e). Il
paragrafo 3 dell’articolo 11 prevede che l’autorità competente riesamina, ed eventualmente,
aggiorna o revoca l’autorizzazione, tra l’altro, se risulti necessario in base
ai più recenti risultati scientifici e progressi tecnologici (lettera d) o
cinque anni dopo il rilascio e in seguito ogni dieci anni (lettera e));
· articolo
15, paragrafo 3, seconda frase, in cui si stabilisce che le ispezioni
riguardano le strutture di iniezione e monitoraggio e tutta la serie di effetti
significativi del complesso di stoccaggio sull’ambiente e sulla salute umana.
Riconoscendo la fondatezza dei rilievi
avanzati dalla Commissione europea, l’intervento del Governo è volto a
modificare il decreto legislativo nel senso richiesto.
Articolo
28
(Disposizioni per la corretta attuazione del terzo pacchetto energia.
Procedura di infrazione 2014/2286)
La disposizione in questione reca adattamenti
alla normativa nazionale vigente sul «terzo pacchetto energia», al fine di
consentire l'archiviazione della procedura di infrazione 2014/2286.
Nonostante le modifiche al decreto
legislativo n. 93 del 2011 - introdotte con l’articolo 26 della legge europea
2014 (legge n. 115 del 2015) - il Governo rende noto, nella relazione
introduttiva al disegno di legge, che "in ragione di più recenti colloqui
con i servizi della Commissione europea" è emersa l’esigenza di apportare
ulteriori adattamenti alla normativa nazionale vigente sul «terzo pacchetto
energia», al fine di assicurare la definitiva chiusura della procedura di
infrazione 2014/2286.
Si tratta di una procedura che, allo stadio, versa in
situazione di messa in mora ex articolo 258 TFUE: la Commissione lamenta
ancora il non corretto recepimento nell’ordinamento italiano di alcune
disposizioni della direttiva 2009/72/CE e della direttiva 2009/73/CE, recanti
norme comuni per il mercato interno rispettivamente dell’energia elettrica e
del gas naturale.
L’articolo 28 mira, pertanto, ad apportare
ulteriori modifiche al suddetto decreto legislativo.
In particolare, il comma 1, lettera a),
ritorna sulla delimitazione di competenze tra l’Autorità per l’energia
elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGI) e il Ministero dello sviluppo
economico nella definizione delle condizioni di accesso alle infrastrutture
transfrontaliere.
L'obbligo introdotto dalla direttiva
2003/54/CE per gli Stati membri - di istituire regolatori dotati di competenze
specifiche - è stato infatti declinato dalle direttive 2009/72/CE e 2009/73/CE
nel senso di salvaguardare il valore dell'indipendenza e della discrezionalità
degli organi regolatori, rispetto alla pubblica amministrazione alle dipendenze
dell'Esecutivo nazionale. Per i considerando
33 e 29, rispettivamente, "l’esperienza (...) dimostra che l’efficacia
degli interventi dei regolatori è spesso limitata dal fatto che essi non sono
sufficientemente indipendenti rispetto alla pubblica amministrazione e che non
sono dotati delle competenze e del potere discrezionale necessari".
Pertanto, il potere di indirizzo, che il Ministero dello sviluppo economico può
esercitare sull’AEEGI, è ora delimitato alla sola necessità di assicurare il
rispetto di atti e di accordi internazionali stipulati tra l’Italia e altri
Stati terzi, diversi da quelli appartenenti all'Unione. Il Governo ritiene,
infatti, che in tale ambito non operi la primazia del diritto dell'Unione[16], il quale invece (secondo i poteri di armonizzazione della materia
conferiti all'Unione) prevale quando si tratti di atti e accordi internazionali
stipulati con altri Stati membri dell’Unione.
Il comma
1, lettera b), affronta la questione dell’affidamento della gestione
delle nuove linee elettriche di interconnessione con i sistemi elettrici di
altri Stati membri; ciò allo scopo di prevenire l'effetto - su società diverse
da Terna - di scoraggiamento allo sviluppo di interconnettori, mediante una
modifica all’articolo 39 del decreto legislativo n. 93 del 2011.
Rispetto al testo del Governo, la norma è stata
modificata in sede referente, per
cui la possibilità - per i soggetti che realizzano linee di interconnessione
con altri Stati membri - è subordinata alla loro certificazione quali gestori
della linea stessa. Vi provvede l'Autorità di settore, secondo le procedure
vigenti (alle quali è stato aggiunto un riferimento a quelle per il caso in cui
il richiedente sia controllato da soggetti di un paese terzo), in rapporto di
notifica e di informazione con la Commissione dell'Unione europea. Ciò
avverrebbe limitatamente al periodo di durata dell’esenzione dall’obbligo di
accesso a terzi: l’articolo 17 del regolamento (CE) n. 714/2009, recante
condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia
elettrica, prevede infatti che le autorità di regolamentazione possano, su
richiesta, esentare gli interconnettori per corrente continua per un periodo
limitato, alle condizioni ivi previste. In sede referente s'è aggiunta una
clausola di salvaguardia dell'obbligo per tali imprese di rispettare tutte le
condizioni affinché il gestore del sistema elettrico di trasmissione nazionale
possa effettuare la gestione in sicurezza di tutte le porzioni della rete
elettrica di trasmissione nazionale (che è di sua competenza, ai sensi
dell'articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79); analogo obbligo
vale nei confronti del gestore del sistema elettrico nazionale dello Stato
membro confinante interessato dalla interconnessione.
La lettera
c) del comma 1 modifica l’articolo 45 del decreto legislativo n. 93
del 2011, che nell'attuale versione appare caratterizzato da una tipicità
limitata in ordine ai regolamenti delegati od atti di attuazione del diritto
dell’Unione, tale da non garantire che essi siano assistiti da sanzione in caso
di violazione.
In effetti, mentre le violazioni di obblighi
riconducibili a deliberazioni dell’autorità di regolamentazione - adottate ai
sensi della legge n. 481 del 1995 - sono puntualmente elencate, ai fini
dell'esercizio del potere sanzionatorio in capo all’autorità nazionale di regolazione,
la Commissione europea non riscontrava l'esistenza di analogo potere anche per
le violazioni dell’articolo 20 (Comunicazione
di informazioni e riservatezza) e dell’allegato I (Gestione e assegnazione della capacità disponibile di trasmissione sulle
linee di interconnessione tra sistemi nazionali) del regolamento (CE) n.
714/2009 e degli articoli 13 (Tariffe per
l’accesso alle reti), 20 (Registrazione
delle informazioni da parte dei gestori dei sistemi) e 21 (Regole sul bilanciamento e oneri di sbilancio)
e dell’allegato I (Orientamenti SU)
del regolamento (CE) n. 715/2009. La versione proposta con la novella
dell’articolo 45, comma 1, del decreto legislativo n. 93 del 2011, tipizza le
ulteriori violazioni assistite da sanzione; ciò sanerebbe la lacuna, che
avrebbe potuto dare luogo a violazione dell'articolo 22, par. 1 del regolamento
(CE) n. 714/2009, secondo cui "(...) gli Stati membri determinano le
sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni del presente
regolamento e adottano ogni provvedimento necessario per assicurare
l’applicazione delle sanzioni stesse. (...)".
Il comma
2 interviene a sanare una sovrapposizione tra due istituti diversi, quello
della "vulnerabilità" del cliente (di cui all’articolo 22, comma 2,
del decreto legislativo n. 164 del 2000, già modificato dall’articolo 7, comma
2, del decreto legislativo n. 93 del 2011) e quella di cliente protetto nel
settore del gas, di cui all'articolo 2 del Regolamento n. 994/2010. La
Commissione europea, in particolare, ha ricordato che l'articolo 3 paragrafo 3
della direttiva richiede che la vulnerabilità tuteli con misure appropriate i
clienti finali nelle zone isolate, esemplificandole nella considerazione della
povertà energetica e nel divieto di interruzione delle forniture; al contrario,
l’eccessiva ampiezza dell’attuale definizione di cliente vulnerabile prevista
dal citato articolo 22, comma 2, del decreto legislativo n. 164 del 2000, che
ricomprenderebbe anche soggetti che non necessitano di particolare protezione.
Il Governo, nella relazione introduttiva del
disegno di legge, ha ricostruito le due categorie come insiemi in cui la minore
- i clienti protetti, il cui disagio economico è tutelato da apposite norme che
destinano loro misure di sostegno economico (cosiddetto bonus gas)[17] - è ricompresa nella maggiore (i clienti vulnerabili) ma non la
esaurisce: "nell’ordinamento italiano, infatti, il concetto di
vulnerabilità dei clienti del mercato del gas è stato piuttosto inteso nel
senso del divieto di interruzione delle forniture in momenti critici per il
sistema nazionale del gas".
Alla luce della richiesta europea, comunque,
il comma 2 sostituisce all'articolo 22,
comma 2 citato l'attributo "vulnerabili" con "protetti" e,
con un nuovo comma 2-bis, introduce
una definizione di clienti vulnerabili ai sensi della direttiva 2009/73/CE: si
tratta dei clienti domestici di cui all’articolo 1, comma 375, della legge 23
dicembre 2005, n. 266, come identificati dal decreto del Ministro dello
sviluppo economico 28 dicembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.
41 del 18 febbraio 2008. Per essi vige l’obbligo di assicurare, col più alto
livello di sicurezza possibile, le forniture di gas naturale anche in zone
isolate, in momenti critici o in situazioni di emergenza del sistema del gas
naturale.
Si rammenta che l'articolo 33 dell'Atto Senato n. 2085 (Legge
annuale per il mercato e la concorrenza), in esame alla 10a
Commissione, demanda ad un decreto del MiSE, sentita l’AEEGSI, da adottarsi
entro 180 giorni, la revisione della disciplina del bonus elettrico e del
bonus gas per i clienti economicamente svantaggiati e per quelli che
versano in gravi condizioni di salute, tali da richiedere l’utilizzo di
apparecchiature alimentate ad energia elettrica, necessarie per il loro
mantenimento in vita. Tale decreto disciplinerà le modalità di erogazione dei
benefici economici individuali - anche alternative rispetto alla compensazione
della spesa - individuando una corresponsione congiunta delle misure di
sostegno alla spesa per energia elettrica e gas; esso rimodulerà l’entità degli
stessi benefici, tenendo conto dell’ISEE.
Articolo
29
(Diritto all’indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali
violenti)
1.
Fatte salve le provvidenze in favore delle vittime di determinati reati
previste da altre disposizioni di legge, se più favorevoli, è riconosciuto il
diritto all’indennizzo a carico dello Stato alla vittima di un reato doloso
commesso con violenza alla persona e comunque del reato di cui all’articolo
603-bis del codice penale, ad
eccezione dei reati di cui agli articoli 581 e 582, salvo che ricorrano le
circostanze aggravanti previste dall’articolo 583 del codice penale.
2.
L’indennizzo è elargito per la rifusione delle spese mediche e assistenziali,
salvo che per i fatti di violenza sessuale e di omicidio, in favore delle cui
vittime l’indennizzo è comunque elargito anche in assenza di spese mediche e
assistenziali.
3.
Con decreto del Ministro dell’interno e del Ministro della giustizia, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro sei
mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono determinati gli
importi dell’indennizzo, comunque nei limiti delle disponibilità del Fondo di
cui all’articolo 32, assicurando un maggior ristoro alle vittime dei reati di
violenza sessuale e di omicidio.
Nel corso dell’esame in sede referente è stato
introdotto nel testo del disegno di legge il nuovo Capo VIII (articoli 29-34)
recante disposizioni in materia di indennizzo in favore delle vittime di reati
intenzionali violenti in attuazione della direttiva 2004/80/CE (vedi infra).
L’articolo 29 statuisce in ordine al diritto
all’indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti. Più in
particolare il comma 1 della
disposizione riconosce, facendo salve le
provvidenze in favore delle vittime di determinati reati previste da altre disposizioni
di legge, ove più favorevoli[18], il diritto all'indennizzo a carico dello
Stato alla vittima di un reato doloso commesso con violenza alla persona e
comunque del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (il
cd. caporalato) di cui all'articolo 603-bis c.p., ad eccezione dei reati
di percosse e di lesioni di cui rispettivamente agli articoli 581 e 582, salvo
che ricorrano le circostanze aggravanti previste dall'articolo 583 c.p.[19]. Ai sensi del comma 2 l'indennizzo è concesso per la rifusione delle spese
mediche e assistenziali, salvo che per i fatti di violenza sessuale e di
omicidio, in favore delle cui vittime l'indennizzo è comunque elargito anche in
assenza di spese mediche e assistenziali. Il comma 3 demanda ad un successivo decreto interministeriale (decreto
del Ministro dell'interno e del Ministro della giustizia, da adottarsi di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze) la determinazione degli
importi dell'indennizzo, comunque nei limiti delle disponibilità del Fondo di
cui all’articolo 32 del disegno di legge in esame, garantendo un maggior
ristoro alle vittime dei reati di violenza sessuale e di omicidio.
La direttiva 2004/80/CE
La direttiva
del Consiglio 2004/80/CE, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle
vittime di reato, mira, nell’ambito della cooperazione giudiziaria in materia
penale, a tutelare i diritti delle vittime della criminalità nell'Unione e a
facilitare il loro accesso alla giustizia.
L’elaborazione di
norme minime sulla tutela delle vittime della criminalità era stata sollecitata
nel Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, cui era seguita la decisione
quadro del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della
vittima del procedimento penale. In particolare, la decisione quadro (oggi
sostituita dalla direttiva 2012/29/UE) mira a garantire alle vittime una
migliore tutela giuridica e una migliore difesa dei loro interessi, indipendentemente
dallo Stato membro in cui si trovino. Inoltre, la decisione quadro prevede
disposizioni volte a fornire assistenza alle vittime prima e dopo il
procedimento penale al fine di attenuare le conseguenze del reato.
È appena il caso
di notare come l'obbligo di prevedere una forma di ristoro per le vittime dei
reati violenti già avesse trovato fondamento, a livello di "Grande
Europa", nella Convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime
di reati violenti, siglata a Strasburgo il 24 novembre 1983[20] e, con riguardo all'ordinamento
comunitario, nella sentenza della Corte di giustizia relativa al caso Cowan[21].
La direttiva
2004/80 la cui adozione è stata sollecitata dal Consiglio europeo nel 25 e 26
marzo 2004 - anche in seguito all’attentato terroristico di Madrid dell'11
marzo 2004 – si propone di garantire alle vittime di un reato intenzionale
violento un risarcimento equo ed adeguato per i danni subiti, a prescindere
dal luogo, all'interno dell'Unione europea ma diverso da quello di residenza,
in cui simili eventi si siano verificati.
La direttiva
contiene disposizioni relative all'accesso al risarcimento in casi
transfrontalieri, nonché una disposizione volta a garantire che gli Stati
membri introducano le pertinenti disposizioni nazionali per assicurare un
risarcimento appropriato alle vittime di reati intenzionali violenti commessi
nei rispettivi territori. In particolare, gli articoli da 1 a 3 della
direttiva dispongono che la vittima del reato possa presentare domanda di indennizzo nello Stato di
residenza, anche se il reato è stato commesso in un diverso Stato membro;
spetterà comunque allo Stato ove il reato si è consumato corrispondere
l’indennizzo. A tal fine, gli Stati, limitando allo stretto necessario le
formalità amministrative, dovranno designare le autorità competenti per
ricevere le domande - c.d. autorità di
assistenza - e deciderne l’esito - c.d. autorità di decisione. L’autorità di assistenza ha il compito di
informare gli interessati della possibilità di richiedere un indennizzo, di
ricevere le domande e trasmetterle all’autorità di decisione (articoli 4-6),
che può disporre l’audizione del richiedente (articolo 9) al fine di
pervenire alla decisione (articolo 10). L’indennizzo verrà quindi corrisposto
in base alle normative nazionali. A tal fine, l’articolo 12 della
direttiva impegna gli Stati membri a porre in essere – laddove non l’abbiano
già fatto – sistemi di indennizzo delle vittime di reati internazionali
violenti commessi nei rispettivi territori, mentre l’articolo 17 fa
salve le normative nazionali già vigenti, che assicurino disposizioni più
favorevoli a vantaggio delle vittime di reato. Gli articoli da 13 a 16 della
direttiva contengono disposizioni di attuazione, relative ai dati da comunicare
alla Commissione, ai formulari per l’elaborazione delle domande di indennizzo
ed alle strutture di coordinamento centrali. Ai sensi dell’articolo 18,
gli Stati membri dovevano recepire la direttiva entro il 1º gennaio 2006.
Tutti gli Stati membri dovevano inoltre provvedere nelle rispettive normative
nazionali, entro il 1º luglio 2005, un sistema di risarcimento delle vittime di
reati internazionali violenti commessi nei loro territori. Il diritto
all’indennizzo della vittima da reato previsto dalla direttiva dovrebbe operare
sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime
di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori.
L'attuazione della direttiva
nell'ordinamento italiano
Premessa
L’Italia ha provveduto a dare attuazione alla direttiva con il decreto legislativo n. 204 del 2007[22], su impulso della procedura di infrazione avviata dalla Commissione nei confronti del nostro Paese per la mancata adozione, dopo il 1° gennaio 2006 di qualsivoglia misura di attuazione e conclusasi con una sentenza di condanna (Corte di Giustizia, sentenza 29 novembre 2007, causa C-112/07, Commissione c. Italia). Le misure previste dal provvedimento sono state ritenute però non del tutto adeguate dalla Commissione europea. Il decreto legislativo del 2007, infatti, se da un lato, ha trasposto in maniera corretta la direttiva nella parte concernente l’istituzione del sistema di cooperazione per l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, individuando le competenti autorità di assistenza e di decisione, creando un punto centrale di contatto presso il Ministero della giustizia e disciplinando il regime linguistico applicabile, dall'altro, non ha proceduto alla istituzione di un comprensivo sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reato, ritenendo adeguati i sistemi di indennizzo e risarcimento contemplati già dall'ordinamento per alcune tipologie di reato (quali quelli di stampo mafioso o terroristico). La Commissione quindi, considerando solo parziale la trasposizione della direttiva ad opera del decreto legislativo n. 204 - nella parte in cui non estende il sistema nazionale d’indennizzo a qualunque fattispecie di reato qualificabile -, ha ritenuto di adire nuovamente la Corte di giustizia (causa C-601/14[23]) al fine di ottenere una ulteriore pronuncia di accertamento della violazione da parte dello Stato italiano, seppur in merito, in questo caso, alla non corretta trasposizione non dell’intera direttiva, bensì del solo articolo 12 paragrafo 2.
Gli articoli del Capo VIII del disegno di
legge in esame mirano proprio a far fronte alle contestazioni della Commissione
oggetto della nuova procedura di infrazione.
Il
decreto legislativo n. 204 del 2007
Il provvedimento in titolo, adottato in attuazione della legge 25 gennaio 2006, n. 29, ha introdotto nell'ordinamento norme volte a dare attuazione alla citata direttiva 2004/80/CE del Consiglio, relativa all'indennizzo delle vittime dei reati.
Più nel dettaglio, nel merito, l'articolo 1 del decreto legislativo, composto da otto articoli, individua la prima ipotesi rientrante nell'ambito di operatività del provvedimento, riguardante il caso in cui venga commesso un reato in uno Stato membro diverso dall’Italia (che preveda per quel reato il diritto a forme di indennizzo) e la vittima sia una persona stabilmente residente nel nostro Paese. In tale ipotesi, la Procura generale della Repubblica presso la Corte d’appello competente per territorio (in relazione alla residenza della vittima) è individuata come Autorità di assistenza e fornisce all’interessato tutte le informazioni necessarie ad attivare il suo diritto all’indennizzo. In particolare, dà le notizie relative al sistema indennitario vigente nello Stato membro, fornisce i moduli per presentare la domanda, garantendo assistenza ed informazione per la compilazione e la documentazione richiesta, trasmette direttamente all’autorità competente dello Stato membro (Autorità di decisione) la domanda di risarcimento; in caso di necessità di ulteriori informazioni e di integrazione documentale, fornisce la necessaria assistenza garantendo – a richiesta dell’interessato - l’inoltro degli atti integrativi all’autorità straniera. Si prevede, inoltre, che in caso di richiesta di audizione della vittima o altre persone (testimoni o periti) da parte dell’autorità di decisione dello Stato membro, la Procura generale, come Autorità di assistenza, debba rendere possibile l’audizione (in particolare in videoconferenza) secondo le regole di procedura vigenti nel Paese del commesso reato. Se, al contrario, l’autorità di decisione dello Stato membro richiede l’audizione per il tramite della Procura, questa provvede all’audizione trasmettendone poi il verbale. Il successivo articolo 2 disciplina, invece, l'ipotesi inversa, ovvero il caso in cui da un reato commesso nel territorio italiano sia rimasta vittima una persona stabilmente residente in altro Stato membro della UE e sempre che per tale reato la legge italiana preveda una qualche forma di "risarcimento" a carico dello Stato. In tal caso, la domanda di elargizione può essere avanzata tramite l’Autorità di assistenza dello Stato membro dell’Unione di residenza dell’interessato. L’autorità italiana che, in base alla legislazione speciale, risulta competente per l’erogazione dell’elargizione (Autorità di decisione), comunica senza ritardo l’avvenuta ricezione della domanda, gli elementi informativi utili all’identificazione del funzionario o dell’organo che istruisce la pratica, nonché un’indicazione sui tempi per la decisione. Come nella situazione di cui all’articolo 1 del provvedimento, anche qui è prevista la possibilità per l’Autorità di decisione italiana di richiedere l’audizione della vittima, anche per teleconferenza, sia chiedendo la collaborazione dell’autorità di assistenza straniera sia chiedendo di procedere essa stessa all’audizione. Si prevede, infine, che l’Autorità di decisione italiana debba, senza ritardo, comunicare l’esito della domanda di elargizione sia all’interessato che all’Autorità di assistenza. L'articolo 3 definisce il regime linguistico delle comunicazioni che intercorrono tra le rispettive autorità di assistenza, mentre il successivo articolo 4 prevede che i moduli di domanda e l'eventuale altra documentazione relativa alla domanda d’indennizzo trasmessi tra le rispettive autorità nazionali siano esenti da autenticazione o da qualsiasi formalità equivalente. L’articolo 5 individua nel Ministero della giustizia il Punto centrale di contatto per l’Italia ai sensi dell’articolo 16 della direttiva e l'articolo 6 definisce l'ambito di applicazione temporale del provvedimento, riguardante le procedure per l’erogazione di indennizzi relativi ai reati commessi successivamente al 30 giugno 2005. L’articolo 7 stabilisce che lo svolgimento delle attività delle autorità nazionali di assistenza (Procure generali presso le Corti d’appello) e di decisione (quelle individuate dalle stesse leggi speciali) nonché quelle del Ministero della giustizia come Punto centrale di contatto siano disciplinate da un regolamento interministeriale da emanare entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto in esame. L’articolo 8 riguarda la copertura finanziaria del provvedimento.
I contrasti giurisprudenziali a livello nazionale
La questione relativa alla parziale trasposizione della direttiva 2004/80/CE è emersa anche a livello nazionale: alcune vittime di reati commessi in Italia hanno, infatti, agito in giudizio contro lo Stato al fine di vederlo condannare al risarcimento del danno arrecato loro a causa dell’inadempienza agli obblighi comunitari, e in particolare della mancata istituzione di un efficace sistema d’indennizzo.
Si registrano due divergenti orientamenti giurisprudenziali quanto alla possibilità di ottenere un simile risarcimento in casi concernenti cittadini residenti in Italia e vittime di reati commessi sul territorio italiano, ovvero in assenza di un elemento di transnazionalità.
Il primo di questi orientamenti origina dalla sentenza del Tribunale di Torino del 4 maggio 2010 (confermata nella sostanza dalla sentenza della Corte d’appello di Torino del 23 gennaio 2012, n. 106), concernente l’azione di risarcimento intentata contro lo Stato italiano da una cittadina rumena residente in Italia, vittima di violenza sessuale, che non era stata in grado di ottenere un risarcimento dagli autori del reato, resisi latitanti. Il Tribunale di Torino ha ritenuto che dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE discenda un vero e proprio obbligo per l’Italia di istituire "un meccanismo di compensation tale da garantire una copertura risarcitoria rivolta a tutti i cittadini europei vittime di reati violenti intenzionali" (enfasi aggiunta). La mancata trasposizione di tale norma aveva dunque comportato un pregiudizio in capo alla parte attrice, in quanto essa non aveva potuto beneficiare di alcun indennizzo. Di conseguenza, lo Stato italiano veniva condannato al risarcimento del danno dovuto al mancato corretto recepimento della direttiva (si veda, fra le ultime, la sentenza del Tribunale di Milano del 26 agosto 2014, n. 10441).
Un secondo e opposto orientamento è stato invece inaugurato dalla sentenza del Tribunale di Trieste del 5 dicembre 2013, vertente su un caso analogo a quello appena illustrato, in cui la vittima di reato, non indennizzata dal suo autore, era di nazionalità italiana e residente in Italia. In questa occasione, infatti, il giudice ha ritenuto che la direttiva 2004/80/CE intenda regolare unicamente le situazioni transfrontaliere, ovvero qualora il reato sia consumato in uno Stato membro diverso da quello di residenza della vittima. Il giudice faceva in particolare riferimento al passaggio della sentenza del 12 luglio 2012, causa C-79/11, in cui la Corte di giustizia aveva affermato che la direttiva 2004/80/CE «[…] è diretta a rendere più agevole per le vittime della criminalità intenzionale violenta l’accesso al risarcimento nelle situazioni transfrontaliere», mentre essa non troverebbe applicazione in caso di «reati commessi […] in un contesto puramente nazionale» (punto 37, enfasi aggiunta). Poiché, come anticipato, la ricorrente dinnanzi al Tribunale di Trieste (come del resto l’attrice nell’azione decisa da quello di Torino) era residente in Italia ed era stata vittima di un reato in Italia, il giudice concludeva che, in «palese difetto dell’elemento della transnazionalità», non era possibile riconoscere alcun diritto all’indennizzo sulla base della direttiva 2004/80/CE. Di conseguenza, la mancata trasposizione della direttiva da parte dello Stato italiano sotto il profilo specifico della creazione di un sistema effettivo di indennizzo per tutti i reati intenzionali violenti non poteva aver arrecato alcun danno alla ricorrente. Questo secondo orientamento sembra inoltre essere stato ulteriormente avallato da una successiva pronuncia della Corte di giustizia, emessa sulla base di un rinvio pregiudiziale da parte del Tribunale di Firenze (ordinanza del 30 gennaio 2014, causa C 122/13). La Corte, dichiarando la sua manifesta incompetenza a rispondere alla questione posta dal giudice a quo, ha infatti precisato che un caso concernente un reato commesso nel medesimo Stato membro di residenza della vittima "non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/80, bensì solo del diritto nazionale" (punto 13).
Articolo
30
(Condizioni per l’accesso all’indennizzo)
1.
L’indennizzo è corrisposto alle seguenti condizioni: a) che la vittima
sia titolare di un reddito annuo, risultante dall’ultima dichiarazione, non
superiore a quello previsto per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato;
b) che la vittima abbia già esperito infruttuosamente l’azione esecutiva
nei confronti dell’autore del reato per ottenere il risarcimento del danno dal
soggetto obbligato in forza di sentenza di condanna irrevocabile o di una
condanna a titolo di provvisionale, salvo che l’autore del reato sia rimasto
ignoto; c) che la vittima non abbia concorso, anche colposamente, alla
commissione del reato ovvero di reati connessi al medesimo, ai sensi
dell’articolo 12 del codice di procedura penale; d) che la vittima non
sia stata condannata con sentenza definitiva ovvero, alla data di presentazione
della domanda, non sia sottoposta a procedimento penale per uno dei reati di
cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura
penale e per reati commessi in violazione delle norme per la repressione
dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto; e) che
la vittima non abbia percepito, per lo stesso fatto, somme erogate a qualunque
titolo da soggetti pubblici o privati.
L’articolo
30 delinea le condizioni
per l’accesso all’indennizzo.
Più nel dettaglio l’indennizzo è corrisposto alle
seguenti condizioni:
a) che la vittima sia titolare di un reddito annuo,
risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a quello previsto per
l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato;
In base a quanto previsto dal Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, D.p.R 30 maggio 2002, n. 115, come aggiornato dall’ultimo decreto 7 maggio 2015 - Adeguamento dei limiti di reddito per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (pubblicato in GU n.186 del 12 agosto 2015) - per essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato è necessario che il richiedente sia titolare di un reddito annuo imponibile, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 11.528,41. Se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante. Si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.
b) che la vittima abbia già esperito infruttuosamente
l'azione esecutiva nei confronti dell'autore del reato per ottenere il
risarcimento del danno dal soggetto obbligato in forza di sentenza di condanna
irrevocabile o di una condanna a titolo di provvisionale, salvo che l'autore
del reato sia rimasto ignoto;
Si
deve ricordare come, secondo il diritto processuale penale italiano, mentre il
risarcimento si riferisce alla violazione di specifici diritti soggettivi
determinata da una condotta illecita, l'indennizzo si configura esclusivamente
quale contributo di solidarietà per alleviare le conseguenze dell'azione
illecita, facendo così venire in rilievo il danno nella sua unica dimensione
oggettiva.
c) che la vittima non abbia concorso, anche colposamente,
alla commissione del reato ovvero di reati connessi al medesimo, ai sensi
dell'articolo 12 del codice di procedura penale[24];
d) che la vittima non sia stata condannata con sentenza
definitiva ovvero, alla data di presentazione della domanda, non sia sottoposta
a procedimento penale per uno dei reati di cui all'articolo 407, comma 2,
lettera a)[25],
del codice di procedura penale e per reati commessi in violazione delle norme
per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto;
e) che la vittima non abbia percepito, per lo stesso
fatto, somme erogate a qualunque titolo da soggetti pubblici o privati.
Articolo
31
(Domanda di indennizzo)
1.
La domanda di indennizzo è presentata personalmente dall’interessato o a mezzo
di procuratore speciale e, a pena di inammissibilità, deve essere corredata dei
seguenti atti e documenti: a) copia della sentenza di condanna per uno
dei reati di cui all’articolo 29 ovvero del provvedimento decisorio che
definisce il giudizio per essere rimasto ignoto l’autore del reato; b) documentazione
attestante l’infruttuoso esperimento dell’azione esecutiva per il risarcimento
del danno nei confronti dell’autore del fatto; c) dichiarazione
sostitutiva sull’assenza delle condizioni ostative di cui all’articolo 30,
comma 1, lettere d) ed e); d) certificazione medica
attestante le spese sostenute per prestazioni sanitarie oppure certificato di
morte della vittima del reato.
2.
La domanda deve essere presentata nel termine di sessanta giorni dalla
decisione che ha definito il giudizio per essere ignoto l’autore del reato o
dall’ultimo atto dell’azione esecutiva infruttuosamente esperita.
L’articolo 31 delinea la procedura per la
presentazione della domanda di indennizzo.
La domanda deve essere presentata personalmente
dall'interessato o a mezzo di procuratore speciale e, a pena di
inammissibilità, nel termine di sessanta giorni dalla decisione che ha definito
il giudizio per essere ignoto l'autore del reato o dall'ultimo atto dell'azione
esecutiva infruttuosamente esperita.
In proposito
si rileva l'esigenza di esplicitare l'autorità cui inoltrare la domanda.
La domanda deve essere corredata da una serie di atti
e documenti. In articolare alla domanda devono essere allegati:
a) copia
della sentenza di condanna per uno dei reati di cui all'articolo 29 ovvero del
provvedimento decisorio che definisce il giudizio per essere rimasto ignoto
l'autore del reato;
È opportuno
osservare come l'obbligo di allegare copia della sentenza di condanna ovvero
del provvedimento decisorio che definisce il giudizio contro ignoti sembra
escludere la possibilità di ottenere il ristoro in altre frequenti situazioni
processuali, per le quali la vittima di reato non può vedere soddisfatto il proprio
diritto all'indennizzo dei danni derivati dal reato. In particolare un caso è
rappresentato dalle varie ipotesi di improcedibilità originaria (mancanza o
vizi delle condizioni di procedibilità o punibilità) o sopravvenuta (intervento
di cause di non punibilità che non incidano sull'accertamento di merito
relativo ai fatti oggetto dell'imputazione) per le quali il procedimento o il
processo si concludono con provvedimento che ha accertato il non doversi
procedere nei confronti dell'indagato o dell'imputato. Può essere ricondotta a
tale ipotesi il non infrequente caso del procedimento o del processo annullato
per vizi procedurali con la conseguente maturazione del termine di prescrizione
del reato.
b) documentazione attestante l'infruttuoso esperimento
dell'azione esecutiva per il risarcimento del danno nei confronti dell'autore
del fatto;
c) dichiarazione sostitutiva sull'assenza delle
condizioni ostative di cui all'articolo 30, comma 1, lettere d) ed e)[26];
d) certificazione medica attestante le spese sostenute per prestazioni sanitarie oppure certificato di morte della vittima del reato.
L'obbligo di allegare alla domanda anche
l'eventuale certificato di morte della vittima del reato sembra quindi implicare,
in caso di morte, la trasmissibilità agli eredi del diritto di accedere al
Fondo per l'indennizzo.
Articolo
32
(Fondo per l’indennizzo in favore delle vittime)
1.
Il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo
mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura è destinato anche
all’indennizzo delle vittime dei reati previsti dall’articolo 29 e assume la
denominazione di «Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati
di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell’usura e dei reati intenzionali
violenti».
2.
Ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 5 del regolamento di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 19 febbraio 2014, n. 60, il Fondo è
altresì alimentato da un contributo annuale dello Stato pari a 2.600.000 euro a
decorrere dall’anno 2016.
3.
Il Fondo è surrogato, quanto alle somme corrisposte a titolo di indennizzo agli
aventi diritto, nei diritti della parte civile o dell’attore verso il soggetto
condannato al risarcimento del danno.
4.
In caso di disponibilità finanziarie insufficienti nell’anno di riferimento a
soddisfare gli aventi diritto, è possibile per gli stessi un accesso al Fondo
in quota proporzionale e l’integrazione delle somme non percepite dal Fondo
medesimo negli anni successivi, senza interessi, rivalutazioni ed oneri aggiuntivi.
5.
Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del titolo II del
regolamento di cui al citato decreto del Presidente della Repubblica n. 60 del
2014. Con regolamento da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della
legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore
della presente legge, sono apportate le necessarie modifiche al regolamento di
cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 60 del 2014.
L’articolo
32 rinomina il Fondo di rotazione per la solidarietà
alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura come
“Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso,
delle richieste estorsive, dell'usura e dei reati intenzionali violenti”,
attribuendo ad esso anche la copertura degli indennizzi delle vittime dei reati
di cui all’articolo 29 del disegno di legge in esame (comma 1).
Il decreto-legge n. 225 del 2010, come
convertito dalla legge n. 10 del 2011, all'articolo 2, comma 6-sexies, ha unificato nel Fondo di
rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle
richieste estorsive e dell’usura i preesistenti Fondi: Fondo di solidarietà
alle vittime delle richieste estorsive e dell’usura, istituito con D.P.R. n.
455 del 1999, con cui è stata attuata l’unificazione dei preesistenti Fondo di
Solidarietà per le vittime dell’usura e Fondo di solidarietà per le vittime
delle richieste estorsive, disciplinati rispettivamente dalle leggi n. 108 del
1996 e n. 44 del 1999; Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei
reati di tipo mafioso, istituito con legge n. 512 del 1999[27].
Per far fronte alle ulteriori competenze, il disegno
di legge stanzia in favore del Fondo un contributo statale da corrispondersi a
partire dal 2016 con cadenza annuale pari a 2.600.000 euro (comma 2).
Nel caso in cui le risorse stanziate dovessero
risultare insufficienti nell'anno di riferimento a soddisfare gli aventi
diritto, la disposizione prevede la possibilità per gli stessi di accedere al
Fondo in quota proporzionale e di integrare le somme non percepite dal Fondo
medesimo negli anni successivi, senza interessi, rivalutazioni ed oneri
aggiuntivi (comma 4). La
disposizione, al comma 3, riconosce
il diritto di surroga del Fondo, quanto alle somme corrisposte a titolo di indennizzo
agli aventi diritto, nei diritti della parte civile o dell'attore verso il
soggetto condannato al risarcimento del danno. Ai sensi del comma 5 trovano applicazione, in quanto
compatibili, le disposizioni relative al procedimento di accesso al Fondo per
il conseguimento dei benefici spettanti alle vittime dei reati di tipo mafioso di
cui al titolo II del regolamento recante la disciplina del Fondo di rotazione
per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste
estorsive e dell'usura, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 60
del 2014. La disposizione demanda inoltre ad un successivo regolamento, da
emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400,
entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, l’adozione delle necessarie modifiche al
citato d.P.R.
Articolo 33
(Modifiche alle leggi 22 dicembre 1999, n. 512, e 23 febbraio 1999, n. 44)
1. Alla legge 22 dicembre
1999, n. 512, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 3,
comma 1, primo periodo, dopo la parola: «mafioso» sono aggiunte le seguenti: «e
dei reati intenzionali violenti»; b) all’articolo 3, comma 1, lettera b), le
parole: «da un rappresentante del Ministero di grazia e giustizia» sono
sostituite dalle seguenti: «da due rappresentanti del Ministero della
giustizia»; c) all’articolo 4, comma 3, dopo le parole: «e successive
modificazioni» sono aggiunte le seguenti: «, ovvero quando risultano escluse le
condizioni di cui all’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 20 ottobre
1990, n. 302».
2. All’articolo 19, comma 1,
della legge 23 febbraio 1999, n. 44, dopo la lettera b) è inserita la seguente:
«b-bis) da un rappresentante del
Ministero della giustizia».
3. La disposizione di cui al
comma 1, lettera c), si applica alle istanze non ancora definite alla data di
entrata in vigore della presente legge.
L’articolo 33 reca modifiche rispettivamente, al
comma 1, alla legge 22 dicembre 1999, n. 512 e, al comma 2, alla legge 23
febbraio 1999, n. 44.
Più nel
dettaglio il comma 1, lettere a) e b),
aggiungono alla nomenclatura del Comitato di solidarietà per le vittime dei reati
di tipo mafioso anche il riferimento ai reati intenzionali violenti,
modificandone la composizione, attraverso la previsione di due rappresentanti
del Ministero della giustizia.
Articolo 3 Legge 22 dicembre 1999, n. 512 |
Articolo 3 Legge 22 dicembre 1999, n. 512 come modificato dall'articolo 33 dell'AS 2228-A |
Comitato di
solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso 1. Presso il
Ministero dell'interno è istituito il Comitato di solidarietà per le vittime
dei reati di tipo mafioso. Il Comitato è presieduto dal Commissario per il
coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di
tipo mafioso, nominato dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro
dell'interno, anche al di fuori del personale della pubblica amministrazione,
tra persone di comprovata esperienza nell'attività di solidarietà alle
vittime dei reati di tipo mafioso. Il Comitato è composto: a) da un
rappresentante del Ministero dell'interno; b) da un
rappresentante del Ministero di grazia e giustizia; c) da un
rappresentante del Ministero dell'industria, del commercio e
dell'artigianato; d) da un
rappresentante del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica; e) da un
rappresentante del Ministero delle finanze; f) da un
rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per
gli affari sociali; g) da un
rappresentante della Concessionaria di servizi assicurativi pubblici Spa
(CONSAP), senza diritto di voto. |
Comitato di
solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso 1. Presso il
Ministero dell'interno è istituito il Comitato di solidarietà per le vittime
dei reati di tipo mafioso e dei reati
intenzionali violenti. Il Comitato è presieduto dal Commissario per il
coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di
tipo mafioso nominato dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro
dell'interno, anche al di fuori del personale della pubblica amministrazione,
tra persone di comprovata esperienza nell'attività di solidarietà alle
vittime dei reati di tipo mafioso. Il Comitato è composto: a) da un
rappresentante del Ministero dell'interno; b) da due rappresentanti del Ministero della
giustizia; c) da un
rappresentante del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato; d) da un
rappresentante del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica; e) da un
rappresentante del Ministero delle finanze; f) da un
rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per
gli affari sociali; g) da un
rappresentante della Concessionaria di servizi assicurativi pubblici Spa
(CONSAP), senza diritto di voto. |
2. Il
Commissario ed i rappresentanti dei Ministeri restano in carica per quattro
anni e l'incarico non è rinnovabile per più di una volta. |
2. identico |
3. Fino alla
data di entrata in vigore del regolamento previsto dall'articolo 7, la
gestione del Fondo è attribuita al Comitato di cui al presente articolo,
secondo quanto previsto dall'articolo 6. |
3. identico |
4. A decorrere
dalla data di entrata in vigore del regolamento previsto dall'articolo 7, la
gestione del Fondo è attribuita alla CONSAP, che vi provvede per conto del
Ministero dell'interno sulla base di apposita concessione. |
4. identico |
5. Gli oneri
derivanti dal presente articolo sono posti a carico del Fondo. |
5. identico |
La lettera c)
del comma 1 dell’articolo
interviene sulle condizioni ostative all’accesso al fondo di cui all'articolo 4, comma 3, della
legge del 1999, impendendo l’accesso anche nel caso in cui risultino escluse le
condizioni di cui all'articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 20 ottobre 1990,
n. 302[28].
Tale disposizione trova applicazione anche con riguardo alle istanze non
ancora definite alla data dell'entrata in vigore della presente legge (comma 3).
Articolo 4 Legge 22 dicembre 1999, n. 512 |
Articolo 4 Legge 22 dicembre 1999, n. 512 come modificato dall'articolo 33 dell'AS 2228-A |
4. Accesso al Fondo ). 1. Hanno diritto
di accesso al Fondo, entro i limiti delle disponibilità finanziarie annuali
dello stesso, le persone fisiche costituite parte civile nelle forme previste
dal codice di procedura penale, a cui favore è stata emessa, successivamente
alla data del 30 settembre 1982, sentenza definitiva di condanna al
risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, nonché alla
rifusione delle spese e degli onorari di costituzione e di difesa, a carico
di soggetti imputati, anche in concorso, dei seguenti reati: a) del delitto di cui all'articolo 416-bis
del codice penale; b) dei delitti commessi avvalendosi delle
condizioni previste dal medesimo articolo 416-bis; c) dei delitti commessi al fine di
agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso. 1-bis.
Gli enti costituiti parte civile nelle forme previste dal codice di procedura
penale hanno diritto di accesso al Fondo, entro i limiti delle disponibilità
finanziarie annuali dello stesso, limitatamente al rimborso delle spese
processuali. 2. Hanno altresì
diritto di accesso al Fondo, entro i limiti delle disponibilità finanziarie
annuali dello stesso, le persone fisiche costituite in un giudizio civile,
nelle forme previste dal codice di procedura civile, per il risarcimento dei
danni causati dalla consumazione dei reati di cui al comma 1, accertati in
giudizio penale, nonché i successori a titolo universale delle persone a cui
favore è stata emessa la sentenza di condanna di cui al presente articolo. 2-bis.
Gli enti costituiti in un giudizio civile, nelle forme previste dal codice di
procedura civile, hanno diritto di accesso al Fondo, entro i limiti delle
disponibilità finanziarie annuali dello stesso, limitatamente al rimborso
delle spese processuali. 3. Nei casi
previsti dai commi 1 e 2, l'obbligazione del Fondo non sussiste quando nei
confronti delle persone indicate nei medesimi commi è stata pronunciata
sentenza definitiva di condanna per uno dei reati di cui all'articolo 407,
comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, o è applicata in
via definitiva una misura di prevenzione, ai sensi della legge 31 maggio
1965, n. 575, e successive modificazioni. 4. Il diritto di
accesso al Fondo non può essere esercitato da coloro che, alla data di
presentazione della domanda, sono sottoposti a procedimento penale per uno
dei reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di
procedura penale, o ad un procedimento per l'applicazione di una misura di
prevenzione, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive
modificazioni. 4-bis. Le
disposizioni di cui ai commi 3 e 4 si applicano anche quando la sentenza di
condanna o la misura di prevenzione o i relativi procedimenti in corso si
riferiscono al soggetto deceduto in conseguenza della consumazione dei reati
indicati al comma 1, salvo che lo stesso abbia assunto, precedentemente
all'evento lesivo che ne ha cagionato la morte, la qualità di collaboratore
di giustizia ai sensi delle vigenti disposizioni di legge e non sia
intervenuta revoca del provvedimento di ammissione ai programmi di protezione
per cause imputabili al soggetto medesimo. |
4. Accesso al Fondo. 1. Hanno diritto
di accesso al Fondo, entro i limiti delle disponibilità finanziarie annuali
dello stesso, le persone fisiche costituite parte civile nelle forme previste
dal codice di procedura penale, a cui favore è stata emessa, successivamente
alla data del 30 settembre 1982, sentenza definitiva di condanna al
risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, nonché alla
rifusione delle spese e degli onorari di costituzione e di difesa, a carico
di soggetti imputati, anche in concorso, dei seguenti reati: a) del delitto di cui all'articolo 416-bis
del codice penale; b) dei delitti commessi avvalendosi delle
condizioni previste dal medesimo articolo 416-bis; c) dei delitti commessi al fine di
agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso. 1-bis.
Gli enti costituiti parte civile nelle forme previste dal codice di procedura
penale hanno diritto di accesso al Fondo, entro i limiti delle disponibilità
finanziarie annuali dello stesso, limitatamente al rimborso delle spese
processuali. 2. Hanno altresì
diritto di accesso al Fondo, entro i limiti delle disponibilità finanziarie
annuali dello stesso, le persone fisiche costituite in un giudizio civile,
nelle forme previste dal codice di procedura civile, per il risarcimento dei
danni causati dalla consumazione dei reati di cui al comma 1, accertati in
giudizio penale, nonché i successori a titolo universale delle persone a cui
favore è stata emessa la sentenza di condanna di cui al presente articolo. 2-bis.
Gli enti costituiti in un giudizio civile, nelle forme previste dal codice di
procedura civile, hanno diritto di accesso al Fondo, entro i limiti delle
disponibilità finanziarie annuali dello stesso, limitatamente al rimborso
delle spese processuali. 3. Nei casi
previsti dai commi 1 e 2, l'obbligazione del Fondo non sussiste quando nei
confronti delle persone indicate nei medesimi commi è stata pronunciata
sentenza definitiva di condanna per uno dei reati di cui all'articolo 407,
comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, o è applicata in
via definitiva una misura di prevenzione, ai sensi della legge 31 maggio
1965, n. 575, e successive modificazioni ovvero
quando risultano escluse le condizioni di cui all'articolo 1, comma 2,
lettera b), della legge 20 ottobre 1990, n. 302. 4. Il diritto di
accesso al Fondo non può essere esercitato da coloro che, alla data di
presentazione della domanda, sono sottoposti a procedimento penale per uno
dei reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di
procedura penale, o ad un procedimento per l'applicazione di una misura di
prevenzione, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive
modificazioni. 4-bis. Le
disposizioni di cui ai commi 3 e 4 si applicano anche quando la sentenza di
condanna o la misura di prevenzione o i relativi procedimenti in corso si riferiscono
al soggetto deceduto in conseguenza della consumazione dei reati indicati al
comma 1, salvo che lo stesso abbia assunto, precedentemente all'evento lesivo
che ne ha cagionato la morte, la qualità di collaboratore di giustizia ai
sensi delle vigenti disposizioni di legge e non sia intervenuta revoca del
provvedimento di ammissione ai programmi di protezione per cause imputabili
al soggetto medesimo. |
Il comma 2 della disposizione, modificando
l'articolo 19 della legge 23 febbraio 1999, n. 44, integra la composizione del
Comitato di solidarietà per le vittime dell'estorsione e dell'usura anche con
un rappresentante del Ministero della giustizia.
Articolo 19 Legge 23 febbraio 1999, n. 44 |
Articolo 19 Legge 23 febbraio 1999, n. 44 come modificato dall'articolo 33 dell'AS 2228-A |
1. Presso il
Ministero dell'interno è istituito il Comitato di solidarietà per le vittime
dell'estorsione e dell'usura. Il Comitato è presieduto dal Commissario per il
coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, nominato dal Consiglio
dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, anche al di fuori del
personale della pubblica amministrazione, tra persone di comprovata esperienza
nell'attività di contrasto al fenomeno delle estorsioni e dell'usura e di
solidarietà nei confronti delle vittime. Il Comitato è composto: a) da un
rappresentante del Ministero dell'industria, del commercio e
dell'artigianato; b) da un
rappresentante del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica; c) da tre membri
designati dal CNEL ogni due anni, assicurando la rotazione tra le diverse
categorie, su indicazione delle associazioni nazionali di categoria in esso
rappresentate; d) da tre membri
delle associazioni od organizzazioni iscritte nell'elenco di cui all'articolo
13, comma 2. I membri sono nominati ogni due anni con decreto del Ministro
dell'interno su designazione degli organismi nazionali associativi
maggiormente rappresentativi. Il Ministro dell'interno, su proposta del
Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative
anti-racket ed antiusura, determina con proprio decreto i criteri per
l'individuazione della maggiore rappresentatività; e) da un
rappresentante della Concessionaria di servizi assicurativi pubblici Spa
(CONSAP), senza diritto di voto. 2. Il
Commissario ed i rappresentanti dei Ministeri restano in carica per quattro
anni e l'incarico non è rinnovabile per più di una volta. 3. Al Comitato
di cui al comma 1 sono devoluti i compiti attribuiti al Comitato istituito
dall'articolo 5 del decreto-legge 31 dicembre 1991, n. 419, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172, e successive modificazioni. 4. A decorrere
dalla data di entrata in vigore del regolamento previsto dall'articolo 21, la
gestione del Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive,
istituito dall'articolo 18 della presente legge, e del Fondo di solidarietà
per le vittime dell'usura, istituito dall'articolo 14, comma 1, della legge 7 marzo 1996, n. 108, è attribuita alla CONSAP, che vi
provvede per conto del Ministero dell'interno sulla base di apposita
concessione. 5. Gli organi
preposti alla gestione dei Fondi di cui al comma 4 e i relativi uffici sono
tenuti al segreto circa i soggetti interessati e le procedure di elargizione.
Gli organi preposti alla gestione dei Fondi sono altresì tenuti ad
assicurare, mediante intese con gli ordini professionali e le associazioni
nazionali di categoria rappresentate nel CNEL, nonché con le associazioni o
con le organizzazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, anche presso i
relativi uffici, la tutela della riservatezza dei soggetti interessati e
delle procedure di elargizione. 6. La
concessione del mutuo di cui al comma 6 dell'articolo 14 della legge 7 marzo 1996, n. 108, è disposta con decreto del Commissario
per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura su deliberazione
del Comitato di cui al comma 1 del presente articolo. Si applica la
disposizione di cui al comma 2 dell'articolo 14 della suddetta legge n. 108 del 1996. |
1. Presso il
Ministero dell'interno è istituito il Comitato di solidarietà per le vittime
dell'estorsione e dell'usura. Il Comitato è presieduto dal Commissario per il
coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, nominato dal Consiglio
dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, anche al di fuori del
personale della pubblica amministrazione, tra persone di comprovata
esperienza nell'attività di contrasto al fenomeno delle estorsioni e
dell'usura e di solidarietà nei confronti delle vittime. Il Comitato è
composto: a) da un
rappresentante del Ministero dell'industria, del commercio e
dell'artigianato; b) da un
rappresentante del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica; b-bis) da un rappresentante del Ministero della giustizia; c) da tre membri
designati dal CNEL ogni due anni, assicurando la rotazione tra le diverse
categorie, su indicazione delle associazioni nazionali di categoria in esso
rappresentate; d) da tre membri
delle associazioni od organizzazioni iscritte nell'elenco di cui all'articolo
13, comma 2. I membri sono nominati ogni due anni con decreto del Ministro
dell'interno su designazione degli organismi nazionali associativi
maggiormente rappresentativi. Il Ministro dell'interno, su proposta del Commissario
straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative anti-racket
ed antiusura, determina con proprio decreto i criteri per l'individuazione
della maggiore rappresentatività; e) da un
rappresentante della Concessionaria di servizi assicurativi pubblici Spa
(CONSAP), senza diritto di voto. 2. Identico 3. Identico 4. Identico 5.
Identico 6. Identico |
Articolo
34
(Disposizione finanziaria)
1.
All’articolo 21, comma 1, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito,
con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, la parola: «2.000» è
sostituita dalla seguente: «1.943» e le parole: «1.000 nel corso dell’anno
2016» sono sostituite dalle seguenti: «943 nel corso dell’anno 2016».
2.
All’articolo 22, comma 1, alinea, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, la parola:
«49.200.000» è sostituita dalla seguente: «46.578.000», la parola: «94.200.000»
è sostituita dalla seguente: «91.578.000» e la parola: «93.200.000» è
sostituita dalla seguente: «90.578.000».
3.
All’articolo 22, comma 1, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2015,
n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, la
parola: «46.000.000» è sostituita dalla seguente: «43.378.000» e la parola:
«92.000.000» è sostituita dalla seguente: «89.378.000».
4.
Per l’attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 32, è autorizzata la
spesa di euro 2.600.000 a decorrere dall’anno 2016, cui si provvede mediante
corrispondente riduzione del fondo di cui all’articolo 1, comma 96, della legge
23 dicembre 2014, n. 190.
5.
Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con
proprio decreto, le occorrenti variazioni di bilancio.
L’articolo 34 reca la copertura finanziaria, prevedendo per
l'attuazione delle disposizioni relative al Fondo, un’autorizzazione di spesa
di euro 2.600.000 a decorrere dall'anno 2016 cui si provvede mediante
corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte
corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2015 - 2017, nell'ambito del
programma "Fondi di riserva e speciali" della missione "Fondi da
ripartire" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle
finanze per l'anno 2015, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento
relativo al Ministero della giustizia. Il Ministro dell'economia e delle
finanze è autorizzato ad apportare, con proprio decreto, le occorrenti
variazioni di bilancio.
Articolo
35
(Modifiche all'articolo 19 della legge 24 dicembre 2012, n. 234)
L’articolo 35 modifica l'articolo 19 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, ai commi 1, 4 e 5, in modo da ovviare a un difetto di coordinamento con l'articolo 2, comma 9-bis, della stessa legge, relativamente alla figura del Segretario del CIAE (Comitato interministeriale per gli affari europei).
Il comma 9-bis, introdotto dall'art. 29, comma 1, lettera a) della legge 29 luglio 2015, n. 115 (Legge europea 2014), recita testualmente: "Il Segretario del CIAE è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari europei, ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e dell'articolo 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni, tra persone di elevata professionalità e di comprovata esperienza".
Le modifiche all'art. 19 sono pertanto tese a sostituire i termini "direttore della Segreteria del CIAE" e "responsabile della Segreteria del CIAE" con il termine "Segretario del CIAE", onde chiarire che a quest'ultimo saranno demandati i seguenti compiti:
- presiedere il Comitato tecnico di valutazione degli atti dell'Unione europea (art. 19, comma 1);
- presiedere i gruppi di lavoro incaricati di preparare i lavori del Comitato stesso (art. 19, comma 4);
- convocare le riunioni del Comitato stesso (art. 19, comma 5).
Articolo
36
(Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 234, in materia di aiuti di Stato)
L'articolo 36 apporta modifiche al Capo VIII ("Aiuti di Stato", articoli 44-52) della legge 24 dicembre 2012, n. 234, recante "Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea".
L'articolo è stato modificato durante l'esame in sede referente, determinando altresì la riformulazione della rubrica.
Come è noto, sono
incompatibili con l'ordinamento dell'Unione europea, nella misura in cui
incidano sugli scambi tra gli Stati membri, "gli aiuti concessi dagli
Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo
talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la
concorrenza" (articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, TFUE).
L'articolo 108 incarica la
Commissione di procedere "con gli Stati membri" all'esame permanente
dei regimi di aiuti esistenti e di proporre le misure richieste "dal
graduale sviluppo o dal funzionamento del mercato interno" (paragrafo 1).
Il paragrafo 2 regola
l'ipotesi di avvenuta concessione di aiuti di Stato incompatibili con il
mercato interno oppure attuati in modo abusivo. In tal caso, la Commissione
europea, dopo avere intimato agli Stati interessati di presentare le proprie
osservazioni, adotta una decisione per la soppressione o modifica dell'aiuto
entro un termine prestabilito (comma 1). In caso di inosservanza, è possibile
ricorrere alla Corte di giustizia (comma 2)[29].
Il paragrafo 3 istituisce
l'obbligo per gli Stati membri di comunicare alla Commissione, in tempo utile
perché essa possa presentare osservazioni, progetti diretti a istituire o modificare
aiuti. A seguito della notifica, è avviata una procedura di indagine
preliminare. Lo Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure
notificate prima di una decisione finale.
Ai sensi dell'articolo 109
del TFUE il Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione del
Parlamento europeo, può stabilire regolamenti utili ai fini dell'applicazione
degli articoli 107 e 108 e, in particolare, dell'articolo 108, paragrafo 3.
Proprio in virtù di questa norma è stato recentemente adottato il regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015[30]. Si tratta di un testo di codificazione, che ha
riunito cioè in un unico testo legislativo vari atti normativi sulla medesima
materia, succedutisi nel tempo, contestualmente
abrogandoli. Tra i testi abrogati vi è il regolamento
(CE) n. 659/1999[31]
del Consiglio, del 22 marzo 1999.
Il regolamento (UE) 2015/1689 regola in dettaglio le
procedure relative agli aiuti notificati, dettando norme tra l'altro relative
alle procedure relative agli aiuti notificati (Capo II), illegali (Capo III),
attuati in modo abusivo (Capo V) ed esistenti (Capo VI).
Il comma 1, già presente nel disegno di legge di iniziativa governativa, modifica la disciplina per la notifica alla Commissione europea di eventuali misure di concessione di aiuti di Stato alle imprese. La comunicazione diretta da parte delle singole Amministrazioni interessate, accompagnata da una mera informativa al Dipartimento per le politiche europee, viene sostituita con una procedura centralizzata in base alla quale le misure con le quali le Amministrazioni centrali e territoriali intendono concedere aiuti di Stato alle imprese sono trasmesse al detto Dipartimento, a cui è affidato il compito di verificare, in tempi certi, la completezza della documentazione contenuta nella notifica. Il successivo inoltro della notifica alla Commissione europea è poi effettuato conformemente alla normativa europea.
L'articolo 45, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, nella versione vigente, prevede invece che le amministrazioni - centrali o locali -
notifichino di regola in prima persona alla Commissione europea progetti volti
a istituire o a modificare aiuti di Stato, trasmettendo contestualmente una
scheda sintetica della misura notificata alla Presidenza del Consiglio dei
ministri - Dipartimento per le politiche europee.
Solo per le informative in merito a presunti
aiuti di Stato non notificati il comma 2 prevede il tramite della Presidenza
del Consiglio.
Nella relazione illustrativa dell'A.S. 2228
si afferma che la disomogeneità delle procedure di notifica ha determinato un
notevole rallentamento dei tempi di risposta della Commissione europea.
Per questo motivo il comma 1, lettera a), dell'articolo
36 in esame riformula il comma 1 dell'articolo 45 della legge n. 234 del 2012
ed aggiunge un nuovo comma 1-bis.
Il nuovo comma 1 modifica la procedura di
notifica mediante la previsione di una "cabina
di regia" unica che garantisca la completezza delle informazioni da
trasmettere alla Commissione europea. È quindi stabilito che tutte le
amministrazioni, centrali o territoriali, che intendano concedere aiuti di
Stato soggetti a notifica ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del TFUE,
"predispongono la notifica secondo le modalità prescritte dalla normativa
europea e la trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei ministri -
Dipartimento delle politiche europee attraverso il sistema di notificazione
elettronica". Per espressa previsione normativa, l'esame svolto dal
Dipartimento per le politiche europee ha funzione esclusiva di verificare la
completezza della documentazione. L'esame dovrà, inoltre, essere concluso entro
tempi certi, stabiliti nel decreto attuativo disciplinato dalla successiva
lettera b).
Per i soli aiuti nei settori agricolo,
forestale, della pesca e delle zone rurali la completezza della documentazione
contenuta nella notifica è verificata direttamente dall'Amministrazione
competente per materia (nuovo comma 1-bis).
Il comma
1, lettera b), rimanda le
modalità di attuazione dell'articolo 45 novellato ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare di
concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione
internazionale. A seguito dell'esame in Commissione, è stato introdotto anche
il necessario concerto del Ministro dello sviluppo economico. È, inoltre,
prevista l' acquisizione del parere della Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Per la sua
adozione è previsto il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore del disegno di legge in esame.
Per espressa statuizione del comma 1, lettera
a), questo decreto dovrà altresì
fissare i termini entro i quali il Dipartimento per le politiche europee
effettuerà l'esame della completezza della documentazione.
Si segnala che, nell'iter preliminare alla presentazione in
Senato del disegno di legge in esame, l'articolo 36 è stato riformulato dal
Governo in accoglimento del parere approvato dalla Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
I
commi da 2 a 4 sono stati inseriti nel corso dell'esame in sede referente.
Essi introducono modifiche alla legge n. 234
del 2012 volte a disciplinare le azioni di recupero di aiuti di Stato
rivelatisi illegali, in quanto non compatibili con il mercato interno, a
seguito di una decisione della Commissione europea. Tali modifiche - per
effetto del disposto del comma 4 -
sarebbero destinate a trovare applicazione alle decisioni di recupero
notificate a decorrere dal 1° gennaio 2015.
La fattispecie del recupero degli aiuti di Stato
dichiarati illegali dalla Commissione europea è regolata dall'articolo 16 del regolamento
(UE) 2015/1589.
La Commissione (comma 1) adotta una "decisione di
recupero", con cui impone allo Stato membro interessato di adottare tutte
le misure necessarie per recuperare l'aiuto dal beneficiario, con l'aggiunta
(comma 2) di interessi calcolati sulla base di un tasso adeguato, stabilito
dalla Commissione medesima. Ai sensi del comma
3, il recupero va effettuato di regola "senza indugio secondo le procedure
previste dalla legge dello Stato membro interessato".
Si evidenzia la clausola di salvaguardia contenuta nel
comma 1, ultimo paragrafo, ai sensi della quale "la Commissione non impone
il recupero dell'aiuto qualora ciò sia in contrasto con un principio generale
di diritto dell'Unione".
In Italia l'articolo 48 della legge n. 234 del 2012
incarica, al comma 1, la società Equitalia SpA di effettuare la riscossione
degli importi dovuti per effetto delle decisioni della Commissione europea. La
competenza di Equitalia sussiste "a prescindere dalla forma dell'aiuto e
dal soggetto che lo ha concesso".
Il comma
2 modifica in più punti il citato articolo 48 della legge n. 234 del 2012.
La
lettera a) abroga l'inciso in
virtù del quale la competenza di Equitalia è limitata alle decisioni della
Commissione europea adottate in data successiva all'entrata in vigore della
legge n. 234 del 2012.
Il comma 2, lettera b), riscrive
integralmente il comma 2 dell'articolo 48 della legge 24 dicembre 2012, n. 234,
sulle procedure per l'individuazione dei soggetti tenuti alla restituzione
dell'aiuto, l'accertamento degli importi dovuti e la determinazione di termini
e modalità di pagamento. Si afferma la competenza:
1) del Ministro competente per materia, che, con
proprio decreto, entro quarantacinque giorni dalla notifica della decisione di
recupero, individua i soggetti tenuti alla restituzione dell’aiuto, accerta gli
importi dovuti e determina le modalità e i termini del pagamento;
2) qualora vi siano più Amministrazioni
competenti, di un Commissario straordinario, che, con proprio provvedimento da
adottarsi entro 45 giorni dal decreto di nomina, individua i soggetti tenuti
alla restituzione dell’aiuto, accerta gli importi dovuti e determina le
modalità e i termini del pagamento. Il Commissario è nominato entro quindici
giorni dalla data di notifica della decisione con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri, che definisce altresì le modalità di attuazione della
decisione di recupero.
Il Commissario viene individuato all'interno
delle Amministrazioni che hanno concesso gli aiuti oggetto della decisione - le
quali devono fornirgli ogni elemento necessario alla corretta esecuzione - o di
quelle territorialmente interessate. Egli svolge le attività connesse
all'incarico conferito avvalendosi delle risorse umane, finanziarie e
strumentali delle Amministrazioni competenti a legislazione vigente e non
riceve alcun compenso personale.
Viene specificato che il decreto del Ministro competente ed il provvedimento del Commissario straordinario "costituiscono titoli esecutivi nei confronti degli obbligati". Analoga natura viene riconosciuta ai provvedimenti degli enti territoriali descritti al comma 3.
Il comma 3 dell'articolo 48 della legge 24
dicembre 2012, n. 234, disciplina l'ipotesi in cui la decisione di recupero sia
rivolta ad enti diversi dallo Stato. In quel caso, le regioni, le provincie
autonome o gli enti territoriali competenti dovranno adottare quello che una proposta
emendativa approvata in sede referente definisce "il provvedimento per
l'individuazione dei soggetti tenuti alla restituzione dell'aiuto,
l'accertamento degli importi dovuti e la determinazione delle modalità e dei
termini di pagamento" (comma 2, lettera
c).
Il comma
3 effettua un intervento di coordinamento normativo, sostituendo - ovunque
ricorrano nel Capo VIII della legge 24 dicembre 2012, n. 234 - i riferimenti al
citato regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, con quelli al regolamento di
codificazione vigente (regolamento (UE) 2015/1589).
Articolo
37
(Disposizioni in materia di finanziamento del Garante per la protezione dei
dati personali)
L’articolo 37, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, incrementa di 12 milioni di euro, a decorrere dal 2017, il fondo per le spese di funzionamento del Garante della privacy.
In particolare, la disposizione motiva l’incremento delle risorse a disposizione dell’ufficio del Garante con l’esigenza di assicurare il «regolare svolgimento dei poteri di controllo ad esso affidati dalla normativa dell’Unione europea».
Si ricorda che l’articolo 30 della legge n. 234 del 2012, al comma 3, nel delineare il contenuto tipico della legge europea, fa riferimento, tra l’altro, a «disposizioni necessarie per dare attuazione o per assicurare l'applicazione di atti dell'Unione europea» (lett. c)
L’incremento opera in relazione al fondo previsto dall’art. 156 (Ruolo organico e personale) del Codice della privacy (decreto legislativo n. 196 del 2003), iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia (cap. 1733), nel quale, negli ultimi esercizi, si sono registrati i seguenti stanziamenti, sostanzialmente confermati dal bilancio di previsione per il triennio 2016-2018:
Anno |
Stanziamento |
Fonte |
2012 |
10,9 |
Rendiconto |
2013 |
10,7 |
Rendiconto |
2014 |
10,0 |
Rendiconto |
2015 |
7,1 |
Legge di
assestamento |
2016 |
9,3 |
Legge di
bilancio |
2017 |
10,0 |
Legge di
bilancio |
2018 |
9,9 |
Legge di
bilancio |
Al maggior onere corrisponde la riduzione corrispondente della autorizzazione di spesa prevista dall’articolo 41-bis comma 1 della legge 234 del 2012.
L’art. 41-bis (Fondo per il recepimento della normativa europea) stabilisce al comma 1 che, al fine di consentire il tempestivo adeguamento dell'ordinamento interno agli obblighi imposti dalla normativa europea, nei soli limiti occorrenti per l'adempimento degli obblighi medesimi e in quanto non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per l'anno 2015 e di 50 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2016.
Per tali finalità, il comma 2 istituisce nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo, con una dotazione di 10 milioni di euro per l'anno 2015 e di 50 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2016, destinato alle sole spese derivanti dagli adempimenti di cui al medesimo comma 1.
L’incremento
di 12 milioni di euro a decorrere dal 2017 raddoppia
sostanzialmente le risorse del Garante.
Si osserva che la disposizione non esplicita
quali siano le nuove funzioni di controllo affidate dalla normativa dell’Unione
europea, da cui derivi il potenziamento delle risorse.
Articolo
38
(Clausola di invarianza finanziaria)
L'articolo 38 prevede espressamente il divieto di far derivare, dall'attuazione del presente disegno di legge, nuovi a maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Ne deriva l'obbligo, per le Amministrazioni interessate dalle singole disposizioni, di provvedere agli adempimenti previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Un'eccezione
esplicita è prevista per gli articoli 7, 11 e 14 i quali prevedono una clausola
di copertura autonoma, illustrata nelle schede dedicate agli articoli medesimi.
A seguito dell'approvazione di specifici emendamenti nel corso dell'esame in Commissione, una clausola di copertura specifica è ora prevista anche dall'articolo 15, commi 2 e 3, in relazione alle modifiche alle aliquote IVA applicabili al basilico, al rosmarino e alla salvia freschi destinati all’alimentazione, dall'articolo 23, concernente modifiche al trattamento fiscale delle attività di raccolta dei tartufi, dall'articolo 34, in relazione alle disposizioni concernenti l'attuazione della direttiva 2004/80/CE (articoli 29-33), e dall'articolo 37, recante disposizioni in materia di finanziamento del Garante per la protezione dei dati personali.
Potrebbe valutarsi quindi il richiamo,
all'interno dell'articolo 38, anche agli articoli 15, 23, 34 e 37.
[1] Dopo aver ricordato come "il Parlamento ha
approvato la legge 3 febbraio 2011, n. 4, sull'etichettatura, con la finalità
di difendere e promuovere il sistema produttivo italiano, per il quale la
qualità è una caratteristica fondamentale collegata intrinsecamente alle
origini territoriali del prodotto, che proprio per questo legame indissolubile
devono essere correttamente e chiaramente comunicate al consumatore". Vi
si legge anche che "ai fini di una maggiore tutela della qualità esiste
infatti la possibilità di utilizzare le «ulteriori disposizioni» richiamate
proprio dall'articolo 39 del regolamento (UE) n. 1169/2011, in particolare per
ciò che attiene alla tutela delle denominazioni di origine controllate e delle
indicazioni di provenienza dei prodotti agroalimentari nonché alla repressione
di fenomeni diffusi di concorrenza sleale".
[2] Art. 3, comma 7, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 116, "Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea", convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116.
[3] Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12
dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno.
[4] Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.
[5] Solo per il numero limitato di disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010 elencate nell'articolo 217, lettera u), n. 2, l'abrogazione decorre dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 50 del 2016.
[6] In estrema sintesi, tali requisiti possono essere di idoneità professionale (ad esempio, iscrizione nel registro della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura), di capacità economica e finanziaria (fatturato minimo annuo, informazioni sui conti annuali e un livello adeguato di copertura assicurativa) e di capacità tecniche e professionali (ad esempio risorse umane e tecniche ed esperienza necessaria a garantire un adeguato standard di qualità).
[7] D.Lgs. 28/07/1989, n. 272, Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni.
[8] Legge 1 aprile 1981, n. 121, Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza.
[9] REFIT è il programma della Commissione europea per il controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione; il suo obiettivo è rendere la legislazione dell’UE più semplice e ridurre i costi della regolamentazione senza compromettere gli obiettivi strategici.
[10] D.Lgs. 27 maggio 2005, n. 116, Attuazione della direttiva 2003/8/CE intesa a migliorare l'accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato in tali controversie.
[11] Di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 286/1999, ai sensi del quale "lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato da almeno cinque anni, titolare di un permesso di soggiorno per un motivo che consente un numero indeterminato di rinnovi, il quale dimostri di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari, può richiedere al questore il rilascio della carta di soggiorno per sé, per il coniuge e per i figli minori conviventi". Tale carta di soggiorno è a tempo indeterminato.
[12] Le necessarie misure di recepimento dovevano essere comunicate entro il 20 maggio 2013. Lettere di costituzione in mora sono state inviate nel luglio 2013 e la Commissione ha ricevuto risposte con informazioni sulle misure adottate. Tuttavia, la valutazione ha concluso che gli Stati membri non hanno comunicato tutte le misure necessarie al recepimento della direttiva.
[13] Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni, Pubblicato nella Gazz. Uff 28 luglio 1997, n. 174.
[14] Tale documento stabilisce i riferimenti scientifici rispetto alle date
di inizio della migrazione pre-nuziale e della riproduzione e alle date di fine
di quest’ultima per ciascuna specie in ciascuno Stato membro. La necessità di
tali informazioni discende da una sentenza della Corte di giustizia (causa 435/92) che ha stabilito che il divieto di
caccia va interpretato nel senso di una completa protezione, ovvero il regime
di protezione non va applicato ad una maggioranza degli uccelli ma all’intera
popolazione.
[15] Si ricorda che per
stoccaggio di gas naturale si intende il deposito in strutture del sottosuolo
del gas naturale prelevato dalla rete di trasporto nazionale e successivamente
reimmesso nella rete in funzione delle richieste del mercato. La legge 26
aprile 1974, n. 170, come modificata dal decreto legislativo n. 164/2000, reca
la disciplina dello stoccaggio di gas
naturale in giacimenti di idrocarburi, come modificata dal decreto
legislativo n. 164/2000. Il Decreto Ministeriale 21 gennaio 2011 disciplina le Modalità di conferimento della concessione
di stoccaggio di gas naturale in sotterraneo e relativo disciplinare
tipo. Si richiama, in particolare,
[16] Sulla disapplicazione delle norme nazionali divergenti dal diritto prodotto dall'Unione (olim Comunità) europea: Corte di Giustizia, 5 febbraio 1963, causa 26/62, Van Gend en Loos; Corte di Giustizia, 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa contro Enel; Corte di Giustizia, 16 giugno 1966, causa Lutticke; Corte di Giustizia, 21 giugno 1974, causa Reyners; Corte di Giustizia, 17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale Handelsgesellschaft; Corte di Giustizia, 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal; Corte di Giustizia, 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo.
[17] Si tratta, in pratica, di
uno sconto sulla bolletta, per assicurare un risparmio sulla spesa per
l'energia alle famiglie in condizione di disagio economico e fisico e alle
famiglie numerose, previsto dall'articolo 1, comma 375, della legge 23 dicembre
2005, n. 266, e all'articolo 3, commi 9 e 9-bis, del decreto-legge 29
novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio
2009, n. 2. Si ricorda
che, attualmente, l'importo del bonus viene scontato direttamente sulla
bolletta, non in un'unica soluzione, ma suddiviso nelle diverse bollette corrispondenti
ai consumi dei 12 mesi successivi alla presentazione della domanda.
[18] Le leggi speciali che disciplinano la concessione, a carico dello Stato, di indennizzi a favore delle vittime di determinate forme di reati intenzionali violenti sono le seguenti:
– legge del 13 agosto 1980, n. 466 – recante norme in ordine a speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche (articoli 3 e 4);
– legge del 20 ottobre 1990, n. 302 – recante norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (articoli 1 e da 3 a 5);
– decreto legge del 31 dicembre 1991, n. 419 – recante istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive, convertito dalla legge del 18 febbraio 1992, n. 172 (articolo 1);
– legge dell’8 agosto 1995, n. 340 – recante norme per l’estensione dei benefici di cui agli articoli 4 e 5 della legge n. 302/1990, ai familiari delle vittime del disastro aereo di Ustica (articolo 1 – che richiama gli articoli 4 e 5 della legge n. 302/1990);
– legge del 7 marzo 1996, n. 108 – recante disposizioni in materia di usura (articoli 14 e 15);
– legge del 31 marzo 1998, n. 70 – recante benefici per le vittime della cosiddetta «banda della Uno bianca» (articolo 1 – che richiama gli articoli 1 e 4 della legge n. 302/1990);
– legge del 23 novembre 1998, n. 407 – recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (articolo 2);
– legge del 23 febbraio 1999, n. 44 – recante disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura (articoli 3 e da 6 a 8);
– decreto del Presidente della Repubblica del 28 luglio 1999, n. 510 – regolamento recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (articolo 1);
– legge del 22 dicembre 1999, n. 512 – recante istituzione del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso (articolo 4);
– decreto legge del 4 febbraio 2003, n. 13 – recante disposizioni urgenti in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, convertito con modificazioni dalla legge n. 56/2003;
– legge dell’11 agosto 2003, n. 228 – recante misure contro la tratta di persone, che istituisce il Fondo per le misure anti‑tratta e uno speciale programma di assistenza per le vittime dei reati previsti dagli articoli 600 e 601 del codice penale, come modificata dall’articolo 6 del decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 24;
– decreto legge del 28 novembre 2003, n. 337 – recante disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici all’estero, convertito con modificazioni dalla legge n. 369/2003 (articolo 1);
– legge del 3 agosto 2004, n. 206 – recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice (articolo 1);
– legge del 23 dicembre 2005, n. 266 – (legge finanziaria 2006), che, al suo articolo 1, paragrafi da 563 a 565, contiene disposizioni che prevedono la corresponsione di aiuti alle vittime del dovere, ai soggetti equiparati e ai loro familiari;
– legge del 20 febbraio 2006, n. 91 – recante norme in favore dei familiari superstiti degli aviatori italiani vittime dell’eccidio avvenuto a Kindu l’11 novembre 1961;
– decreto del Presidente della Repubblica del 7 luglio 2006, n. 243 – regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati;
– decreto legge del 12 novembre 2010, n. 187 – recante misure urgenti in materia di sicurezza, convertito con modificazioni dalla legge n. 217/2010, tra cui, a norma del suo articolo 2-bis, l’istituzione di un «Fondo di solidarietà civile» a favore delle vittime di reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive ovvero di manifestazioni di diversa natura.
[19] Articolo 583 - Circostanze aggravanti - La lesione personale è grave e si applica la reclusione da tre a sette anni: 1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni; 2) se il fatto produce l'indebolimento permanente di un senso o di un organo. La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva: 1) una malattia certamente o probabilmente insanabile; 2) la perdita di un senso; 3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l'arto inservibile, ovvero la perdita dell'uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella; 4) la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso.
[20] Come risulta chiaramente dal rapporto esplicativo (punto 11) che accompagna la Convenzione, essa persegue essenzialmente due obiettivi ben distinti, anche se complementari. In primo luogo, essa punta a garantire un’armonizzazione delle differenti norme nazionali in materia di indennizzo delle vittime di reato. A tal fine, le disposizioni del primo titolo della Convenzione impongono agli Stati aderenti di tenere indenne ogni vittima (o, se deceduta, le persone a suo carico) che abbia subìto gravi pregiudizi al corpo o alla salute causati direttamente da un reato violento intenzionale. Tale indennizzo, a carico dello Stato laddove non possa essere garantito dall’autore del reato, deve essere riconosciuto ad ogni cittadino di uno Stato parte alla Convenzione, nonché ai cittadini di uno Stato membro del Consiglio d’Europa residenti permanentemente nello Stato sul cui territorio il reato è stato commesso. Inoltre, vengono fissati principi uniformi per quanto riguarda l’individuazione delle voci di danno indennizzabili. In secondo luogo, la Convenzione intende porre in essere opportuni meccanismi di cooperazione fra Stati al fine di assicurare una sua efficace applicazione in situazioni transfrontaliere, ovvero in casi in cui una vittima residente in un dato Stato parte richieda un indennizzo ad un diverso Stato parte in ragione di un reato ivi commesso. A tal proposito, le disposizioni del secondo titolo prevedono in particolare la designazione in ogni Stato parte di un’autorità centrale incaricata di ricevere le domande d’assistenza provenienti da altri Stati e di darvi seguito (articolo 12). Attualmente, la Convenzione è stata ratificata da 26 Stati firmatari, tra i quali non figura l’Italia.
[21] Con la sentenza 2 febbraio 1989 nella causa 186/87, Cowan, la Corte affermò che il principio di libera circolazione delle persone destinatarie di servizi all’interno della Comunità ostava ad una legislazione penale come quella francese, che negava ogni indennizzo ad una vittima di reato avente cittadinanza di un diverso Stato membro (nel caso di specie inglese) e non residente in Francia. Infatti, allorché «il diritto comunitario garantisce la libertà per le persone fisiche di recarsi in un altro Stato membro, la tutela dell’integrità personale in detto Stato membro costituisce, alla stessa stregua dei cittadini e dei soggetti che vi risiedano, il corollario della libertà di circolazione» (punto 17); la Corte concluse perciò che il principio di non discriminazione in base alla nazionalità «deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro, per quanto riguarda i soggetti cui il diritto comunitario garantisce la libertà di recarsi in detto Stato, non può subordinare la concessione di un indennizzo statale, volto alla riparazione del danno subito sul suo territorio dalla vittima di un’aggressione che le abbia cagionato una lesione personale», alle condizioni indicate (punto 20).
[22] Il decreto legislativo n. 204 è stato adottato sulla base della delega contenuta nella legge comunitaria 2005 (L. 25 gennaio 2006, n. 29).
[23] Lo scorso 12 aprile sono state depositate le conclusioni dell'Avvocato generale.
[24] Art. 12 - Casi di connessione 1. Si ha connessione di procedimenti: a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento; b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso; c) se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri [o in occasione di questi ovvero per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità].
[25] Articolo 407 c.p.p. … omissis …
a) i delitti appresso indicati:
1) delitti di cui agli articoli 285, 286, 416bis e 422 del codice penale, 291-ter, limitatamente alle ipotesi aggravate previste dalle lettere a), d) ed e) del comma 2, e 291quater, comma 4, del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43;
2) delitti consumati o tentati di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, e 630 dello stesso Codice penale;
3) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del Codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo;
4) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, e 306, secondo comma, del codice penale;
5) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo, escluse quelle previste dall'articolo 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110;
6) delitti di cui agli articoli 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 80, comma 2, e 74 del Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni;
7) delitto di cui all'articolo 416 del codice penale nei casi in cui è obbligatorio l'arresto in flagranza;
7-bis) dei delitti previsti dagli articoli 600, 600-bis, comma 1, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609-bis nelle ipotesi aggravate previste dall'articolo 609-ter, 609-quater, 609-octies del codice penale, nonché dei delitti previsti dall’articolo 12, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.
[26] d) che la vittima non sia stata condannata con sentenza definitiva ovvero, alla data di presentazione della domanda, non sia sottoposta a procedimento penale per uno dei reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale e per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto; e) che la vittima non abbia percepito, per lo stesso fatto, somme erogate a qualunque titolo da soggetti pubblici o privati.
[27] In attuazione di quanto disposto dal presente comma, si veda il D.P.R. 19 febbraio 2014, n. 60.
[28] …omissis… b) il soggetto leso risulti essere, del tutto estraneo ad ambienti e rapporti delinquenziali, salvo che si dimostri l'accidentalità del suo coinvolgimento passivo nell'azione criminosa lesiva, ovvero risulti che il medesimo, al tempo dell'evento, si era già dissociato o comunque estraniato dagli ambienti e dai rapporti delinquenziali cui partecipava.
[29] Si evidenzia che con una decisione politica il Consiglio dell'Unione europea, deliberando all'unanimità su richiesta di uno Stato membro, può decidere la compatibilità con il mercato interno di un aiuto istituito o da istituirsi ad opera dello Stato medesimo. Tale decisione può ricorrere in "circostanze eccezionali" (articolo 108, paragrafo 2, comma 3).
[30]
Regolamento (UE) 2015/1589 del
Consiglio del 13 luglio 2015 recante modalità di applicazione dell'articolo 108
del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (codificazione).
[31] Regolamento (CE) N. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante
modalità di applicazione dell’articolo 108 del trattato sul funzionamento
dell’unione Europea.