Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari | ||
Titolo: | Legge di delegazione europea 2015 - A.S. 2345 | ||
Serie: | Progetti di legge Numero: 393 Progressivo: 3 | ||
Data: | 10/05/2016 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | XIV - Politiche dell'Unione europea | ||
Altri riferimenti: |
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Dossier n. 283/3
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Il 18 gennaio 2016 il Governo ha presentato
alla Camera dei deputati il disegno di legge C.
3540,
recante Delega al Governo per il
recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione
europea - Legge di delegazione europea 2015. Il testo, modificato dalla XIV
Commissione in sede referente, è stato approvato dall'Assemblea il 27 aprile
2016 ed è stato depositato in Senato il giorno successivo (A.S.
2345).
A seguito delle modifiche e integrazioni
apportate nel corso dell'esame alla
Camera dei deputati, il testo del disegno di legge sottoposto all'esame del
Senato si compone di 21 articoli, riferiti a specifiche
materie, e di due allegati
contenenti, rispettivamente, 2 direttive (Allegato A) e 9 direttive
(Allegato B), da recepire con decreto legislativo[1].
L’articolato del disegno di legge reca disposizioni di delega riguardanti il
recepimento di 12 direttive europee,
di 1 raccomandazione CERS (Comitato europeo per il rischio
sistemico) e di 1 decisione quadro, nonché l’adeguamento
della normativa nazionale a 13
regolamenti europei. Il Governo è stato inoltre autorizzato al recepimento di 2
direttive in via regolamentare[2].
Nell’ambito dell’esame presso la Camera dei
deputati, sono state apportate significative integrazioni al contenuto originario del disegno di legge
governativo attraverso l’introduzione di principi
e criteri specifici di delega e l’inserimento
di ulteriori direttive e atti
dell’Unione europea per il recepimento nell’ordinamento nazionale.
In particolare, in materia ambientale, sono
stati fissati principi e criteri specifici di delega per il recepimento,
nell’ordinamento italiano, di tre direttive: la direttiva (UE) 2015/720, relativa alla riduzione dell’utilizzo di
borse di plastica in materiale leggero (articolo 4), già inserita nel disegno
di legge originario; la direttiva (UE)
2015/1513, relativa alla qualità della benzina e dei combustibili diesel
(articolo 16 e All. B, n. 7) e la direttiva
(UE) 2015/2193, sulle emissioni in atmosfera di inquinanti originati da
impianti di combustione medi (articolo 17 e All. B, n. 8), entrambe inserite ex novo nell’allegato B.
In ambito fiscale e finanziario, oltre
alla soppressione dell’articolo 12 relativo alla direttiva 2014/17/UE, sui contratti di credito ai consumatori su
beni immobili residenziali[3],
è stata inserita nell’allegato B - e ricade quindi nella disposizione di delega
di cui all’articolo 1, comma 1 - la direttiva
2015/2376, relativa allo scambio
automatico obbligatorio di
informazioni nel settore fiscale (All. B, n. 9). Per contro, dall'Allegato B è
stato espunto il riferimento alla direttiva
2016/97/UE, sulla distribuzione assicurativa (Allegato B, n. 10,
soppresso). È, inoltre, stato inserito l'articolo 11, contenente la delega per
l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) 751/2015 sulle
commissioni interbancarie su operazioni di pagamento basate su carta.
Nel settore della giustizia è stata
conferita al Governo la delega per l’attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI, relativa alla lotta contro la
corruzione nel settore privato (articolo 19).
In tema di cultura, sono stati
fissati principi e criteri specifici di delega con riguardo al recepimento
della direttiva 2014/26/UE, sulla
gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e sulla
concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per
l’uso online nel mercato interno
(articolo 20), già inserita nel disegno di legge originario (All. B, n. 1).
Inoltre, è stata inserita nell’Allegato A
(n. 1) la direttiva (CE) 2009/156, in
materia di polizia sanitaria e di importazioni di equidi in provenienza dai
paesi terzi, che ricade, pertanto, nella disposizione di delega di cui
all’articolo 1, comma 1, del disegno di legge.
Il Governo è stato, infine, autorizzato, ai
sensi dell’articolo 35 della legge n. 234 del 2012, a recepire due direttive in
via regolamentare: la direttiva
2014/90/UE, sull’equipaggiamento marittimo (articolo 18)[4]
e la direttiva (UE) 2015/2203, sul
riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle caseine e
ai caseinati destinati all'alimentazione umana.
La legge di delegazione europea La legge di delegazione europea è uno dei due
strumenti di adeguamento all’ordinamento dell’Unione europea introdotti dalla
legge 24 dicembre 2012, n. 234,
che ha attuato una riforma organica delle norme che regolano la
partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e
delle politiche dell’Unione europea. In base all’articolo
29 della legge n. 234 del 2012, infatti, la legge comunitaria annuale
(prevista dalla legge n. 11 del 2005) è stata sostituita da due distinti
provvedimenti: · la legge di delegazione europea,
il cui contenuto è limitato alle disposizioni di delega necessarie per il
recepimento delle direttive e degli altri atti dell’Unione europea · la legge europea, che
contiene norme di diretta attuazione volte a garantire l’adeguamento
dell’ordinamento nazionale all’ordinamento europeo, con particolare riguardo
ai casi di non corretto recepimento della normativa europea. Il comma 3 dell’articolo 29
prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli
affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli
altri Ministri interessati, presenta
alle Camere, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, un disegno di legge di delegazione europea, con
l’indicazione dell'anno di riferimento.
Il termine previsto per la presentazione del disegno di legge di delegazione
europea è entro il 28 febbraio di
ogni anno. Il contenuto del disegno di
legge di delegazione europea è stabilito all’articolo 30, comma 2 della legge n. 234 del 2012. In particolare,
essa prevede: a)
disposizioni per il conferimento al
Governo di delega legislativa volta esclusivamente all'attuazione delle
direttive europee e delle decisioni quadro da recepire nell'ordinamento
nazionale, esclusa ogni altra disposizione di delegazione legislativa non
direttamente riconducibile al recepimento degli atti legislativi europei; b)
disposizioni per il conferimento al
Governo di delega legislativa, diretta a modificare o abrogare disposizioni
statali vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la
conformità dell'ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati
all'Italia dalla Commissione europea o al dispositivo di sentenze di condanna
per inadempimento emesse della Corte di giustizia dell'Unione europea; c)
disposizioni che autorizzano il Governo a
recepire le direttive in via regolamentare; d)
delega legislativa al Governo per la
disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea; e)
delega legislativa al Governo limitata a
quanto necessario per dare attuazione a eventuali disposizioni non
direttamente applicabili contenute in regolamenti europei; f)
disposizioni che, nelle materie di
competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono
delega al Governo per l'emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni
penali per la violazione delle disposizioni dell'Unione europea recepite
dalle regioni e dalle province autonome; g)
disposizioni che individuano i principi
fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome
esercitano la propria competenza normativa per recepire o per assicurare
l'applicazione di atti dell'Unione europea nelle materie di cui all'articolo
117, terzo comma, della Costituzione; h)
disposizioni che, nell'ambito del
conferimento della delega legislativa per il recepimento o l'attuazione degli
atti di cui alle lettere a), b) ed e), autorizzano il Governo a emanare testi
unici per il riordino e per l'armonizzazione di normative di settore, nel
rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome; i)
delega legislativa al Governo per
l'adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi
emanati. Nell’esercizio delle deleghe legislative conferite, il Governo è
tenuto al rispetto dei principi e
criteri generali di delega,
nonché degli specifici principi e
criteri direttivi aggiuntivi
eventualmente stabiliti dalla legge di delegazione europea, come previsto
all’articolo 32 della legge n. 234
del 2012. Ai sensi dell’articolo 29,
comma 7, della legge n. 234 del 2012, il Governo deve inoltre dare conto[5] dell’eventuale omesso inserimento delle direttive il
cui termine di recepimento è scaduto o scade nel periodo di riferimento,
considerati i tempi previsti per l’esercizio della delega, e fornire dati
sullo stato delle procedure di
infrazione, l’elenco delle direttive recepite o da recepire in via amministrativa, l’elenco delle
direttive recepite con regolamento e l’elenco dei
provvedimenti con i quali le singole regioni
e province autonome hanno provveduto a recepire direttive nelle materie
di loro competenza. |
Nelle seguenti tabelle sono elencate le 15 direttive
europee inserite nel disegno di legge di delegazione 2015 (A.S. 2345), distinte in base all’anno di emanazione e al termine per il recepimento:
direttive per anno di
emanazione
Direttive |
Anno di emanazione |
Totale (15) |
§ 2009/156/UE |
2009 |
1 |
§ 2011/91/UE |
2011 |
1 |
§ 2014/26/UE § 2014/90/UE § 2014/92/UE |
2014 |
3 |
§ (UE) 2015/565 § (UE) 2015/637 § (UE) 2015/652 § (UE) 2015/720 § (UE) 2015/849 § (UE) 2015/1513 § (UE) 2015/2193 § (UE) 2015/2203 § (UE) 2015/2366 § (UE) 2015/2376 |
2015 |
10 |
direttive per termine di
recepimento
Direttive |
Termine di recepimento |
Totale (15) |
§ 2009/156/UE § 2011/91/UE |
Senza termine espresso |
2 |
§ 2014/26/UE |
10 aprile 2016 (scaduto) |
1 |
§ 2014/90/UE § 2014/92/UE § (UE) 2015/565 § (UE) 2015/720 § (UE) 2015/2203 § (UE) 2015/2376 |
Tra il 1° settembre e il 31 dicembre 2016 |
6 |
§ (UE) 2015/652 § (UE) 2015/849 § (UE) 2015/1513 § (UE) 2015/2193 |
Tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2017 |
4 |
§ (UE) 2015/637 § (UE) 2015/2366 |
Dopo il 1° gennaio 2018 |
2 |
Ai sensi dell’articolo 32, comma ,1 della
legge n. 234 del 2012, il disegno di
legge di delegazione europea 2015 stabilisce - con riferimento ad alcuni atti
dell’Unione europea - specifici principi e criteri direttivi cui il
Governo deve attenersi nell’esercizio della delega, in aggiunta a quelli
contenuti nelle direttive da attuare e a quelli generali di delega, richiamati
alle lettere da a) a i) del citato comma 1.
In particolare, sono stati introdotti principi e criteri direttivi specifici di delega riferiti ai
seguenti atti:
Direttive:
· 2011/91/UE, sull’etichettatura dei prodotti alimentari (articolo 5);
·
(UE) 2015/637, sulle misure di coordinamento e
cooperazione per facilitare la tutela
consolare dei cittadini dell’Unione non rappresentati nei Paesi terzi
(articolo 6);
·
(UE) 2015/2366, relativa ai servizi di pagamento
nel mercato interno;
·
2014/92/UE, sulla comparabilità delle spese
relative al conto di pagamento, sul
trasferimento del conto di pagamento e sull’accesso al conto di pagamento con
caratteristiche base (articolo 14);
· (UE) 2015/849, sulla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio (articolo 15);
· (UE) 2015/1513, sulla qualità della benzina e dei combustibili diesel (articolo 16);
· (UE) 2015/2193, sulla limitazione delle emissioni da impianti di combustione medi (articolo 17);
· 2014/26/UE, sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e le licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso online nel mercato interno (articolo 20);
Regolamenti:
·
n. 1143/2014, volto a prevenire e gestire
l’introduzione e la diffusione delle specie
esotiche invasive (articolo 3);
·
n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai
consumatori (articolo 5);
· n. 428/2009, che istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni, del trasferimento, dell'intermediazione e del transito di prodotti a duplice uso; n. 599/2014, che istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni, del trasferimento, dell'intermediazione e del transito di prodotti a duplice uso; n. 1382/2014, che modifica il regolamento (CE) n. 428/2009; n. 1236/2005, relativo al commercio di determinate merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti; n. 1352/2011 della Commissione, del 20 dicembre 2011, recante modifica del regolamento (CE) n. 1236/2005 del Consiglio, relativo al commercio di determinate merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti (articolo 7);
·
n. 1025/2012, sulla normazione europea (articolo 8);
·
n. 305/2011, che fissa condizioni armonizzate
per la commercializzazione dei prodotti
da costruzione (articolo 9);
·
n. 751/2015, sulle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su
carta (articolo 11);
·
n. 2015/760, relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine (articolo 13);
·
n. 2015/847, riguardante i dati informativi che
accompagnano i trasferimenti di fondi
(articolo 15).
Una raccomandazione CERS:
· CERS/2011/3, relativa al mandato macroprudenziale delle autorità nazionali (articolo 10).
Una decisione quadro:
· Decisione quadro 2003/568/GAI, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato (articolo 19).
Le leggi di delegazione
europea riferite agli anni 2013 e 2014
Si ricorda che, successivamente all’entrata in vigore della legge n. 234
del 2012, sono state approvate 3 leggi
di delegazione europea, di cui 2
riferite all’anno 2013 e una all’anno 2014.
La legge di delegazione europea
2013 (L. 6 agosto 2013, n. 96) è composta da 13 articoli e tre allegati, ed
ha conferito al Governo deleghe legislative per il recepimento di 40 direttive,
il coordinamento della normativa nazionale alle rettifiche di 5 direttive
e l’adeguamento a 2 regolamenti (UE).
La legge di delegazione europea
2013 - secondo semestre (L. 15 ottobre 2014, n. 154) consta di 9 articoli
e due allegati e conferisce al Governo deleghe legislative per il recepimento
di 19 direttive, l’attuazione di 2 decisioni quadro, l'adeguamento a un regolamento (UE) e l'adozione di un testo unico.
Da ultimo, la legge di delegazione
europea 2014 (L. 9 luglio 2015, n. 114), che consta di 21
articoli e due allegati, reca disposizioni di delega per il recepimento di 58 direttive europee, per l'adeguamento
della normativa nazionale a 6
regolamenti (UE), nonché per l'attuazione di 10 decisioni quadro.
Di seguito si riportano i dati sullo stato di attuazione delle tre leggi di delegazione europea, aggiornati al 13 aprile 2016.
La legge di delegazione europea
2013 risulta quasi interamente attuata: sono stati emanati 34 decreti
legislativi volti al recepimento di 35 direttive (1 dell’Allegato A e 34
dell’Allegato B) ed è stata adeguata la normativa nazionale a 2 regolamenti
(con un decreto legislativo). Tutte le 8 direttive dell’allegato B con principi
e criteri direttivi specifici contenuti nell’articolato sono state attuate.
Anche la legge di delegazione
europea 2013 - secondo semestre risulta quasi interamente attuata: sono
stati emanati 18 decreti legislativi per il recepimento di 16 direttive e
l’attuazione di 2 decisioni quadro.
Infine, la più recente legge di
delegazione europea 2014 risulta parzialmente attuata: sono stati emanati
25 decreti legislativi per il recepimento di 17 direttive e 7 decisioni quadro
ed è stata adeguata la normativa nazionale a 2 regolamenti (con 2 decreti
legislativi). Sono stati inoltre trasmessi al Parlamento per il parere 15
schemi di decreti legislativi, riferiti a 12 direttive (10 pareri espressi) e 3
decisioni quadro (3 pareri espressi). I decreti legislativi fin qui emanati
concernono l’attuazione dell’unica direttiva inclusa nell’allegato A, di 15
direttive elencate nell’allegato B (5 di queste con principi e criteri
direttivi specifici di delega), nonché della direttiva prevista dall’articolo
6. Secondo quanto indicato nella relazione illustrativa del disegno di legge di
delegazione europea 2015, l’ordinamento nazionale è conforme alla direttiva
2014/57/UE (abusi di mercato), inserita nell’allegato B della legge di delegazione
europea 2014 e recante principi e criteri direttivi specifici di delega.
Il presente dossier contiene le schede
di lettura riferite ai singoli articoli
del disegno di legge di delegazione europea 2015, come modificati nel corso dell'esame alla Camera dei deputati, e una descrizione delle direttive europee elencate negli allegati A e B.
Articolo
1
(Delega al Governo per l'attuazione di
direttive europee)
Il comma 1 dell’articolo 1 reca la delega al Governo per l’attuazione delle direttive elencate negli allegati A e B.
L’allegato A del disegno di legge di delegazione europea 2015 contiene due direttive: 1) Direttiva (UE) 2015/565 sulle prescrizioni tecniche relative alla codifica di tessuti e cellule umani; 2) Direttiva (CE) n. 2009/156 in materia di polizia sanitaria e importazioni di equidi in provenienza dai paesi terzi.
In allegato B sono elencate nove direttive[6], in merito alle quali le Camere saranno chiamate ad esprimere parere parlamentare sul decreto legislativo di recepimento: 1) Direttiva 2014/26/UE sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso online nel mercato interno; 2) Direttiva 2014/92/UE sulla comparabilità delle spese relative al conto di pagamento; 3) Direttiva (UE) 2015/637 sulla tutela consolare dei cittadini UE non rappresentati nei paesi terzi; 4) Direttiva (UE) 2015/652 che stabilisce i metodi di calcolo e gli obblighi di comunicazione ai sensi della direttiva 98/70/CE relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel; 5) Direttiva (UE) 2015/720 sulla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero; 6) Direttiva (UE) 2015/849 sulla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo; 7) Direttiva (UE) 2015/1513 sulla qualità della benzina e del combustibile diesel; 8) Direttiva (UE) 2015/2193 sulla limitazione delle emissioni da impianti di combustione medi; 9) Direttiva 2015/2376/UE sullo scambio di informazioni nel settore fiscale.
Per quanto riguarda i termini, le procedure, i princìpi e i criteri direttivi della delega, il citato comma 1 rinvia alle disposizioni previste dagli articoli 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234.
L’articolo 31,
comma 1, della legge n. 234 del 2012 dispone, analogamente a quanto previsto in
precedenza per le leggi comunitarie annuali, che il termine per l’esercizio
delle deleghe conferite al Governo con la legge di delegazione europea sia di quattro mesi antecedenti il termine di
recepimento indicato in ciascuna delle direttive[7].
Per le direttive il cui termine così determinato sia
già scaduto alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea,
o scada nei tre mesi successivi, la delega deve essere esercitata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore
della legge stessa.
Per le direttive che non prevedono un termine di recepimento, il termine per l’esercizio
della delega è di dodici mesi dalla
data di entrata in vigore della legge di delegazione europea.
L’articolo 31, comma 5, della legge n. 234 del 2012 prevede inoltre che il Governo possa adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in base alla delega conferita con la legge di delegazione entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, sempre nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla legge stessa.
Per l’attuazione del diritto dell’Unione europea, l’articolo 32 della legge n. 234 del 2012 detta i seguenti princìpi e criteri direttivi generali di delega:
a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti;
b) ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, anche attraverso il riassetto e la semplificazione normativi;
c) gli atti di recepimento di direttive dell'Unione europea non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse (c.d. gold plating);
d) ove necessario, al fine di assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi;
e) al recepimento di direttive o di altri atti che modificano precedenti direttive o di atti già attuati con legge o con decreto legislativo si procede apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione;
f) nella redazione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;
g) quando si verificano sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, l’efficacia e la trasparenza dell’azione amministrativa, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e delle competenze delle regioni e degli enti territoriali;
h) le direttive che riguardano le stesse materie o che comunque comportano modifiche degli stessi atti normativi vengono attuate con un unico decreto legislativo, compatibilmente con i diversi termini di recepimento;
i) è sempre assicurata la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea e non può essere previsto in ogni caso un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani.
Il comma 2 dell’articolo 1 prevede che gli schemi di decreto legislativo recanti attuazione delle direttive incluse nell’allegato B siano sottoposti al parere delle competenti Commissioni parlamentari. Tale procedura è estesa anche ai decreti di attuazione delle direttive di cui all’allegato A, qualora in essi sia previsto il ricorso a sanzioni penali.
La disposizione richiama lo schema procedurale
disciplinato in via generale dall’articolo 31, comma 3, della legge 234 del 2012.
Essa prevede che gli schemi di decreto
legislativo, una volta acquisiti gli altri pareri previsti dalla legge,
siano trasmessi alle Camere per l’espressione del parere e che, decorsi quaranta giorni dalla data di
trasmissione, i decreti siano emanati anche in mancanza del parere.
Qualora il termine fissato per l’espressione del
parere parlamentare scada nei trenta giorni che precedono il termine per
l’esercizio della delega o successivamente, il termine per la delega è prorogato di tre mesi. Si intende in
tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo
di tempo per l’eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni
emerse in sede parlamentare.
Il comma 9 del medesimo articolo 31 prevede altresì
che ove il Governo non intenda conformarsi ai pareri espressi
dagli organi parlamentari relativi a sanzioni
penali contenute negli schemi di decreti legislativi, ritrasmette i testi
alle Camere, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Decorsi
venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in
mancanza di nuovo parere.
Il comma 3 dell’articolo in esame dispone
che eventuali spese non contemplate
dalla legislazione vigente che non riguardano l’attività ordinaria delle
amministrazioni statali o regionali, possono
essere previste nei decreti legislativi attuativi delle direttive di cui
agli allegati A e B esclusivamente nei limiti necessari per l’adempimento degli
obblighi di attuazione dei medesimi provvedimenti.
Alla copertura degli oneri recati da tali spese eventualmente previste nei decreti legislativi attuativi, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, qualora non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del Fondo per il recepimento della normativa europea, di cui all’articolo 41-bis della legge n. 234/2012.
Il Fondo per il
recepimento della normativa europea è stato istituito dalla legge 29 luglio
2015, n. 115 (Legge europea 2014) attraverso l’introduzione dell'articolo 41-bis della legge 234/2012, al fine di
consentire il tempestivo adeguamento dell'ordinamento interno agli obblighi
imposti dalla normativa europea, nei soli limiti occorrenti per l'adempimento
di tali obblighi e soltanto in quanto non sia possibile farvi fronte con i
fondi già assegnati alle competenti amministrazioni dalla legislazione vigente.
Il Fondo è istituito nello stato di previsione del
Ministero dell'economia e delle finanze, nell’ambito dalla Missione 3 (L'Italia nell'Europa e nel mondo), al
Programma 3.1 (Partecipazione italiana
alle politiche di bilancio in ambito UE), Capitolo 2815, con una dotazione iniziale di 10 milioni di euro per
il 2015 e di 50 milioni annui a partire dal 2016.
Il comma 810 dell’articolo unico della legge di stabilità 2016 (legge
28 dicembre 2015, n. 208) prevede che la dotazione di tale Fondo sia
ulteriormente incrementata di 50 milioni di euro per l'anno 2016 e di 100
milioni di euro annui per il periodo 2017-2020. Il successivo comma 813 dispone
che tale incremento sia finalizzato al pagamento degli oneri derivanti
dall'esecuzione delle sentenze di condanna inflitte dalla Corte di giustizia
dell'Unione europea a carico dell'Italia.
Per effetto di tali modifiche, il capitolo 2815 evidenzia una dotazione complessiva di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018.
E’ attualmente all’esame, presso il
Senato della Repubblica, il disegno di legge europea 2015-2016 (S. 2228-A) che,
all’articolo 37, dispone l’incremento del fondo di cui all’articolo 156, comma
10 del Codice in materia di protezione dei dati personali (D. Lgs. n. 196/
2003), al fine di assicurare il funzionamento del Garante per la protezione dei
dati personali e il regolare svolgimento dei poteri di controllo ad esso
affidati dalla normativa dell’Unione europea. La disposizione prevede che a
tale onere si provvede mediante la corrispondente riduzione dell’autorizzazione
di spesa di cui all’articolo 41-bis, comma 1, della legge 234/2012, nella misura
di 12 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017.
Lo stesso comma 3 prevede inoltre che, in caso di incapienza del Fondo per il recepimento della normativa europea, i decreti legislativi attuativi delle direttive dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie, in conformità all'articolo 17, comma 2, della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/2009).
Il comma 2 dell’articolo 17 della legge n. 196/2009 ha introdotto specifiche disposizioni relative alla copertura degli oneri recati dall’attuazione di deleghe legislative. In particolare, è espressamente sancito il principio in base al quale le leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura finanziaria necessari per l’adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, a tale quantificazione si procede al momento dell’adozione dei singoli decreti[8].
A tal fine, si dispone, in primo luogo, che ciascuno schema di decreto sia corredato di una relazione tecnica, predisposta ai sensi del successivo comma 3, che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo provvedimento ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura. In secondo luogo, la norma dispone che l’individuazione dei mezzi di copertura deve in ogni caso precedere l’entrata in vigore dei decreti medesimi, subordinando l’emanazione dei decreti legislativi alla previa entrata in vigore degli atti legislativi recanti lo stanziamento delle relative risorse finanziarie.
E’ altresì previsto il parere delle Commissioni parlamentari competenti anche per i profili finanziari sugli schemi dei decreti legislativi in questione, come richiesto dall'articolo 31, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, che disciplina le procedure per l'esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea.
In particolare, il citato comma 4 dell’articolo 31 prevede che gli schemi dei decreti legislativi recanti recepimento delle direttive che comportino conseguenze finanziarie sono corredati della relazione tecnica, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge di contabilità pubblica (legge n. 196/2009). Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi d'informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.
Articolo
2
(Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti
normativi dell’Unione europea)
L'articolo 2 conferisce al Governo, ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 234 del 2012, una delega biennale per l'emanazione di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi discendenti da direttive attuate in via regolamentare o amministrativa e per le violazioni di regolamenti dell'Unione europea, pubblicati alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea 2015, per i quali non sono già previste sanzioni.
La necessità della disposizione, analoga a quella contenuta nelle precedenti leggi di delegazione europea, discende dal fatto che, sia nel caso dell’attuazione di direttive in via regolamentare o amministrativa, sia nel caso di regolamenti dell’Unione europea (che, come è noto, non richiedono leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale), la disciplina sanzionatoria deve essere prevista da una fonte normativa interna di rango primario atta ad introdurre norme di natura penale o amministrativa nell’ordinamento nazionale, ove si ravvisi l'esigenza di reprimere eventuali trasgressioni dei precetti contenuti nei sopra richiamati atti normativi.
La finalità dell’articolo è pertanto
quella di consentire al Governo, fatte salve le norme penali vigenti, di
introdurre sanzioni volte a punire le trasgressioni commesse in violazione dei
precetti contenuti nelle disposizioni normative dell’Unione europea, garantendo
il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni
vengono trasposte nell’ordinamento interno.
L’articolo 33
della legge n. 234 del 2012 individua la delega stessa come contenuto proprio
della legge di delegazione europea. Il comma 3 dell’art. 33 prevede che i decreti legislativi siano adottati, in base
all'art. 14 della legge n. 400 del 1988, su proposta del Presidente del
Consiglio o del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia,
di concerto con i Ministri competenti per materia. Il
comma 2 del richiamato articolo 33 prevede che i decreti legislativi siano
adottati, in base all'articolo 14 della legge n. 400 del 1988, su proposta del
Presidente del Consiglio o del Ministro per gli affari europei e del Ministro
della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia.
La tipologia e la scelta delle sanzioni deve essere
effettuata, oltre che secondo i princìpi e i criteri direttivi generali
indicati all’articolo 32, comma 1, lettera d), della legge n. 234 del 2012,
secondo quelli specifici eventualmente indicati nella legge di delegazione
europea. La citata lettera d) dell’articolo
32, comma 1, della legge n. 234 del 2012 indica i principi e criteri di delega
per l’adozione della disciplina
sanzionatoria corrispondente.
In particolare, al di fuori dei casi previsti dalla
norme penali vigenti, sono previste sanzioni
penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e
dell'arresto fino a tre anni, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in
cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente
protetti. In tali casi è prevista la pena dell'ammenda alternativa all'arresto
per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto;
la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che
rechino un danno di particolare gravità. In luogo dell'arresto e dell'ammenda,
possono essere anche previste le sanzioni
alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo n.
274 del 2000, e la relativa competenza del giudice di pace. Tali sanzioni
consistono nell’obbligo di permanenza domiciliare, nel divieto di accesso a
luoghi determinati e nello svolgimento di lavori di pubblica utilità (su
richiesta dell’imputato). È altresì prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a
150 euro e non superiore a 150.000 euro per le infrazioni che ledono o
espongono a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. L’entità delle sanzioni è determinata
tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che
ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del
colpevole, con particolare riguardo a quelle che impongono particolari doveri
di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che
l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o all'ente nel cui
interesse egli agisce. Ove necessario per assicurare l'osservanza delle
disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste inoltre le sanzioni amministrative accessorie
della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi, della privazione
definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti
dell'amministrazione, nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti
dal codice penale. Sempre al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria
delle cose utilizzate per commettere l'illecito amministrativo o il reato
previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti
dall'articolo 240, commi 3 e 4, del codice penale e dall'articolo 20 della
legge n. 689 del 1981. Entro i limiti di pena indicati sono previste sanzioni
anche accessorie identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi
vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto a quelle
previste nei decreti legislativi. Infine, nelle materie di cui all'articolo
117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono
determinate dalle regioni.
Sugli schemi di decreto legislativo adottati in virtù della delega conferita dal presente articolo è prevista l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari, secondo le modalità previste dal comma 3 del citato articolo 33.
Articolo
3
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle
disposizioni del regolamento (UE) n. 1143/2014 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 22 ottobre 2014, recante disposizioni volte a prevenire e
gestire l’introduzione e la diffusione di specie esotiche invasive)
L’articolo 3 reca la delega per l’adozione di uno o più decreti legislativi per l’attuazione nell’ordinamento del regolamento (UE) n.1143/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, recante disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive. Il termine per l’adozione dei provvedimenti è di dodici mesi[9] dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le procedure previste all’articolo 31 della legge 234/2012.
Nella relazione illustrativa al disegno di legge presentato alla Camera si fa presente che per l’attuazione delle disposizioni del regolamento, in vigore dal 1°gennaio 2015, è necessario introdurre una specifica disciplina nazionale per individuare le autorità competenti allo svolgimento delle attività previste consistenti nel rilascio di autorizzazioni, nei controlli doganali, nell’elaborazione delle valutazioni di rischio, nell’adozione di misure di emergenza, nella stesura di piani di azione sui vettori nonché nella definizione di disposizioni procedurali.
Inoltre, il regolamento n. 1143 prevede che gli Stati membri introducano sanzioni penali e amministrative, proporzionate e dissuasive per le violazioni delle disposizioni in esso contenute.
I principi e i criteri direttivi specifici da seguire sono indicati nel comma 2, dove si fa riferimento, oltre a quelli valevoli per tutti gli atti di attuazione della normativa europea, contenuti nell’articolo 32 della legge 234/2012, anche alla:
- individuazione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare come autorità nazionale competente designata per i rapporti con la Commissione europea, relativamente: all’attuazione del regolamento; al coordinamento delle attività necessarie; nonché al rilascio delle autorizzazioni previste agli articoli 8 e 9 del regolamento in esame (lettera a))
- individuazione dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) come ente specifico di supporto al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nelle attività previste nel regolamento (UE) 1143/2014 (lettera b);
- previsione di sanzioni penali e amministrative per la violazione delle disposizioni del regolamento, nel rispetto dei principi e criteri direttivi indicati all’articolo 2 del disegno di legge in esame(lettera c));
- destinazione di quota parte dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal decreto legislativo all’attuazione delle misure di eradicazione e di gestione di cui agli articoli 17 e 19 del regolamento, nei limiti del 50 per cento dell’importo complessivo (lettera d)).
Il Governo ha un termine ulteriore di 24 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo previsto al comma 1 per l’emanazione delle disposizioni correttive e integrative del stesso decreto legislativo, seguendo la procedure prevista al comma 2.
Il comma 4, infine, dispone che dall’attuazione dell’articolo 3 in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, mentre le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti qui previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibile a legislazione vigente.
Si ricorda che in materia di specie alloctone, la legge
n. 157 del 1992, recante le norme per la protezione della fauna selvatica
omeoterma e per il prelievo venatorio, prevede che la relativa gestione è
finalizzata, ove possibile, all'eradicazione o, comunque, al controllo delle
popolazioni (art. 2, comma 2-bis,
come inserito dall’art. 11, comma 12 del D.L. 91 del 2014).
Da tale previsione sono escluse le specie individuate
con decreto del Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare del 19 gennaio 2015.
In particolare, l’articolo 1 del decreto definisce
cosa debba intendersi per specie autoctona (quella naturalmente
presente in una determinata area geografica senza l'intervento diretto
dell'uomo), specie alloctona (che non
appartiene alla fauna o alla flora originaria di una determinata area
geografica, ma vi è giunta per l'intervento diretto dell'uomo), e specie parautoctona (la specie animale o
vegetale che, pur non essendo originaria di una determinata area geografica, vi
sia giunta per intervento diretto dell'uomo anteriormente al 1500 D.C.).
Si ricorda, inoltre, che la legge 28 dicembre 2015, n. 221, recante disposizioni in materia
ambientale per promuovere misure di green
economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali- c.d.
collegato ambientale, prevede all’art. 7 che le talpe, i ratti, i topi
propriamente detti, le nutrie e le specie arvicole, pur escluse dall’ambito
della legge n. 157 del 1992, vengano ricomprese nelle specie alloctone per le
quali può essere prevista l’eradicazione o il controllo della popolazione.
Per approfondire tale materia, nel sito del Ministero dell’Ambiente,
sono presenti i seguenti documenti: le
specie esotiche invasive, e la
strategia nazionale per la biodiversità,
che fa riferimento tra l’altro alle specie alloctone, e riportiamo inoltre il database comunitario
di informazione sulle specie aliene presenti in Europa.
Regolamento
(UE) n. 1143/2014
Il regolamento n. 1143/2014, entrato in
vigore il 1° gennaio 2015, stabilisce le norme atte a prevenire,
ridurre al minimo e mitigare gli effetti negativi sulla biodiversità causati
dall'introduzione e dalla diffusione, sia deliberata che accidentale, delle specie esotiche invasive all'interno
dell'Unione.
La specie esotica invasiva è definita (articolo 3) come quella specie per cui
si è rilevato che l'introduzione o la diffusione:
- minaccia la
biodiversità e i servizi ecosistemici collegati;
- o ha effetti
negativi su di essi;
- se di rilevanza
dell’Unione europea, presenta effetti negativi considerati tali da richiedere
un intervento concertato.
L’elenco delle specie esotiche invasive di rilevanza dell’Unione viene
stabilito dalla Commissione, anche sulla base di richieste dei singoli Stati
membri, tramite atti di esecuzione e viene aggiornato almeno ogni sei anni.
L’inclusione delle
specie esotiche invasive nell’elenco (articolo
4) avviene se esse risultano, in base alle prove scientifiche disponibili:
- estranee al
territorio dell'Unione;
- capaci di
diffondersi nell'ambiente in una regione biogeografica condivisa da più di due
Stati membri o una sottoregione marina;
- come anche di
produrre probabilmente un effetto negativo significativo sulla biodiversità e
tali da generare conseguenze negative sulla salute umana o l'economia.
In tali casi, sulla
base di una valutazione dei rischi effettuata in relazione all'attuale e
potenziale delle specie esotiche invasive, si rende necessario un intervento concertato a livello di
Unione per prevenirne l'introduzione, l'insediamento o la diffusione.
L'iscrizione nell'elenco dell'Unione porterà probabilmente a prevenire, ridurre
al minimo o mitigare efficacemente il loro effetto negativo. Entro il 2 gennaio
2017 (articolo 6), ogni Stato membro
con regioni ultraperiferiche adotta per ciascuna di tali regioni un elenco
delle specie esotiche invasive di rilevanza che poi viene comunicato alla
Commissione e agli altri Stati membri.
Sul piano delle restrizioni, l’articolo 7 prevede che
le specie esotiche invasive di
rilevanza dell’Unione non possano essere:
- deliberatamente
portate, né fatte transitare sotto sorveglianza doganale, nel territorio
interessato;
- tenute o allevate,
anche in confinamento, trasportate verso, da e all'interno dell'Unione, tranne
se il trasporto verso strutture avviene nel contesto della loro eradicazione;
- immesse sul
mercato, utilizzate o scambiate; poste in condizione di riprodursi o rilasciate
nell'ambiente.
In particolari
condizioni, gli Stati membri possono instaurare un regime di autorizzazione per
attività di ricerca o conservazione ex situ in relazione alle specie esotiche invasive di rilevanza
dell’Unione e se l'utilizzo di prodotti derivati da specie esotiche invasive di
rilevanza unionale sia inevitabile per far progredire la salute umana; gli
Stati membri possono includere nel loro regime di autorizzazione anche la
produzione scientifica e il conseguente uso medico (articolo 8). In casi eccezionali, per motivi di interesse generale
imperativo gli Stati membri possono rilasciare autorizzazioni che consentono a
istituti di svolgere attività diverse da quelle di ricerca (articolo 9). E’ prevista la possibilità
di adottare misure di emergenza (articolo 10) nella forma delle
restrizione previste all'articolo 7, laddove lo Stato membro comprovi
la presenza o
l'imminente rischio di introduzione nel proprio territorio di una specie
esotica invasiva che non figura nell'elenco dell'Unione ma che le autorità
competenti ritengono, in base a prove scientifiche preliminari, estranee al
territorio dell'Unione capaci di insidiare la popolazione vitale ei diffondersi
nell’ambiente e di produrre un effetto negativo.
Entro 18 mesi
dall'adozione dell'elenco delle specie esotiche invasive dell'Unione (articolo 13), è prevista l’identificazione
dei vettori tramite i quali le specie invasive sono accidentalmente
introdotte e si diffondono, individuando quelli che richiedono azioni prioritarie («vettori
prioritari») in ragione della quantità delle specie che entrano nell'Unione
attraverso tali vettori o dell'entità dei potenziali danni da esse causati.
Entro tre anni dall'adozione dell'elenco dell'Unione, ai fini del trattamento
dei vettori prioritari, ogni Stato membro elabora e attua uno o più piani
d'azione contenenti i calendari degli interventi e le misure da adottarsi.
Entro 18 mesi
dall'adozione dell'elenco dell'Unione, gli Stati membri istituiscono un sistema di sorveglianza delle specie
esotiche invasive di rilevanza unionale (articolo
14), che raccoglie e registra i dati sulla frequenza nell'ambiente delle
specie esotiche invasive. Il sistema di sorveglianza copre il territorio,
comprese le acque marine territoriali, degli Stati membri per determinare la
presenza e la distribuzione delle specie esotiche invasive di rilevanza
unionale, dinamico nel rilevare rapidamente la comparsa di nuove specie
esotiche invasive. Esso si basa sulle disposizioni in materia di valutazione e
monitoraggio previste dal diritto dell'Unione o da accordi internazionali e
tiene conto delle caratteristiche e dell'impatto transfrontaliero rilevanti.
E’ prevista entro il
2 gennaio 2016 la disponibilità da parte degli Stati membri di strutture pienamente operative preposte
ad eseguire i controlli ufficiali necessari a prevenire l'introduzione
deliberata nell'Unione di specie esotiche invasive di rilevanza unionale (articolo 15).
Attraverso il sistema
di sorveglianza e le informazioni raccolte nei controlli ufficiali per
confermare il rilevamento precoce dell'introduzione o della presenza di specie
esotiche invasive di rilevanza unionale, gli Stati membri notificano alla
Commissione e informano gli Stati membri di tale rilevamento precoce nei casi
in cui avviene la comparsa sul proprio territorio delle specie che figurano
nell’elenco dell’Unione o la ricomparsa nei casi in cui era stata constatata
l'eradicazione (articolo 16). Dopo
tale rilevamento ed entro tre mesi dalla trasmissione della notifica alla
Commissione, gli Stati membri applicano le misure di eradicazione,
comunicandole alla Commissione e informandone gli altri Stati membri, ai fini
di una eliminazione completa e permanente della popolazione della specie
esotica invasiva in questione.
Entro 18 mesi
dall'iscrizione di una specie esotica invasiva nell'elenco dell'Unione, gli
Stati membri predispongono misure di
gestione efficaci (articolo 19)
per le specie esotiche invasive di rilevanza unionale di cui gli Stati membri
hanno constatato l'ampia diffusione nel proprio territorio al fine di renderne
minimi gli effetti sulla biodiversità, i servizi ecosistemici collegati e se del
caso la salute umana e sull'economia. Tali misure consistono in interventi
fisici, chimici o biologici, letali o non letali, volti all'eradicazione, al
controllo numerico o al contenimento della popolazione di una specie esotica
invasiva. Gli Stati membri adottano poi misure
di ripristino appropriate (articolo
20) per favorire la ricostituzione di un ecosistema degradato, danneggiato
o distrutto da specie esotiche invasive di rilevanza unionale, sempre sulla
base di un'analisi costi/benefici che dimostri l’efficacia rispetto ai costi di
dette misure.
Le misure di
ripristino includono quelle volte al riadattamento dell’ecosistema così come la
prevenzione dalla reinvasione dopo una campagna di eradicazione. L’articolo 22 prevede l’impegno da parte
degli Stati membri per garantire uno stretto
coordinamento con tutti gli Stati membri interessati, anche con gli Stati
terzi. Per agevolare questo coordinamento la Commissione può intervenire su
richiesta degli Stati membri interessati.
L’articolo 23 fa salva la possibilità per
gli Stati membri di mantenere o adottare norme
nazionali più severe per prevenire l'introduzione, l'insediamento e la
diffusione di specie esotiche invasive, compatibili con il Trattato sul
Funzionamento dell’Unione Europea e notificate alla Commissione conformemente
al diritto dell'Unione.
Nel termine del 1° giugno 2019 ed ogni sei anni (articolo 24) gli Stati membri aggiornano la Commissione sui sistemi di sorveglianza
e i controlli ufficiali, la distribuzione delle specie esotiche invasive di
rilevanza unionale e le informazioni su quelle di rilevanza nazionale, nonché
sui piani di azione
Entro il 1° giugno 2021 la Commissione riesamina
l'applicazione del regolamento in esame e degli strumenti in esso previsti:
dall'elenco dell'Unione, ai piani d'azione, dal sistema di sorveglianza ai
controlli doganali, all'obbligo di eradicazione, come agli obblighi di
gestione. Di questo riesame presenta una relazione al Parlamento europeo e al
Consiglio con proposte legislative per la modifica del regolamento n. 1143,
comprese le modifiche all'elenco dell'Unione.
La Commissione
instaura progressivamente un sistema
informativo di supporto necessario ad agevolare l'applicazione del
regolamento che entro il 2 gennaio 2016
prevede un meccanismo di supporto di dati che collega i sistemi esistenti di
dati sulle specie esotiche invasive, con particolare attenzione alle
informazioni sulle specie esotiche invasive di rilevanza unionale, in modo da facilitare
la rendicontazione (articolo 25).
Questo sistema, entro il 2 gennaio 2019, diviene un meccanismo per lo scambio
di informazioni su altri aspetti dell'applicazione del regolamento n. 1143, che
può anche includere informazioni su specie esotiche invasive di rilevanza
nazionale, vettori, valutazione dei rischi e misure di gestione e di
eradicazione.
Articolo
4
(Termini, procedure, principi e criteri direttivi specifici per l'attuazione
della direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29
aprile 2015, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la
riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero)
L'articolo 4, introdotto nel corso dell'esame presso la Camera dei deputati, stabilisce criteri direttivi specifici per l'attuazione della direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015.
La
direttiva (UE) 2015/720 modifica la direttiva
94/62/CE inserendovi misure specifiche per le borse di
plastica in materiale leggero, allo scopo di limitarne l'utilizzo e ridurre
l'impatto negativo sull'ambiente.
La prima modifica è volta ad inserire alcune
definizioni. La seconda inserisce l'obbligo per gli Stati membri di adottare le
misure necessarie per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta
dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero.
La terza modifica prevede che entro il 27 maggio 2017
la Commissione europea elabori norme di esecuzione sulle etichette e i marchi
per l'identificazione delle borse biodegradabili e compostabili.
Il termine per il
recepimento è stato fissato al 27 novembre 2016.
II comma 1 introduce una delega al Governo per l'adozione di un decreto legislativo di attuazione della direttiva (UE) 2015/720, da adottarsi entro 60 giorni dall'entrata in vigore del provvedimento in esame, su proposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e sotto il coordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Si valuti l’opportunità di una
riformulazione del comma 1 nella parte in cui la disposizione fa riferimento
alla proposta del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del
mare e al coordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, al fine di
allineare il testo alla procedura di emanazione dei decreti legislativi che
contempla la proposta del Ministro e la deliberazione del Consiglio dei
ministri.
Nell'esercizio della delega il Governo è tenuto a seguire prioritariamente i principi e criteri direttivi specifici introdotti dalla disposizione, oltre a quelli previsti dall'art. 1, comma 1, del disegno di legge in esame "in quanto compatibili". Si tratta in particolare dei seguenti:
1) la garanzia del mantenimento del medesimo livello di tutela ambientale assicurato dalla legislazione già adottata in materia, prevedendo il divieto di commercializzazione, le tipologie di sacchi in plastica commercializzabili e gli spessori già stabiliti (comma 2, lettera a);
2) il divieto di fornitura a titolo gratuito dei sacchi in plastica ammessi al commercio (comma 2, lettera b);
3) la progressiva riduzione della commercializzazione dei sacchi in plastica forniti a fini di igiene o come imballaggio primario per alimenti sfusi diversi da quelli compostabili e realizzati, in tutto o in parte, con materia prima rinnovabile (comma 2, lettera c).
In tema di gerarchia dei rifiuti, si ricorda che è
all'esame delle istituzioni dell'Unione europea il cd. "pacchetto
sull'economia circolare", un insieme di proposte legislative sui rifiuti
che definiscono obiettivi chiari in materia di riduzione dei rifiuti e
stabiliscono un percorso a lungo termine per la loro gestione e riciclaggio[10].
4) l'abrogazione espressa, a decorrere dall'entrata in vigore del decreto legislativo, della disciplina vigente (comma 2, lettera d), ovvero:
- commi 1129, 1130 e 1131 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni (legge finanziaria 2007). Il comma 1129 ha istituito, a decorrere dall'anno 2007, un programma sperimentale nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l'asporto delle merci non biodegradabili; il comma 1130 poneva la prospettiva del divieto di commercializzazione di tutti i sacchi non biodegradabili; il comma 1131 assicurava la copertura finanziaria dei primi due commi a valere sul bilancio del Ministero dell'ambiente;
- articolo 2 del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2 ("Disposizioni in materia di commercializzazione di sacchi per asporto merci nel rispetto dell'ambiente"), che ha previsto la proroga del termine di divieto definitivo di commercializzazione degli shopper non biodegradabili, limitatamente ad alcune tipologie di sacchi indicati dalla norma, fino all'emanazione - entro il 31 dicembre 2012 - di un decreto interministeriale di natura non regolamentare. Il comma 4 dell'articolo 2 del decreto-legge n. 2 del 2012 ha introdotto sanzioni amministrative pecuniarie, nelle ipotesi di inosservanza del divieto di commercializzazione di sacchi non conformi a quanto prescritto, rese applicabili dall'articolo 11, comma 2-bis, del decreto-legge n. 91 del 2014;
5) prevedere una campagna di informazione dei consumatori diretta ad aumentare la consapevolezza del pubblico in merito agli impatti sull'ambiente delle borse di plastica e liberarsi dall'idea ancora diffusa che la plastica sia un materiale innocuo e poco costoso, in questo modo favorendo il raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell'utilizzo di borse di plastica (comma 2, lettera e).
Si richiamano al riguardo gli obiettivi di utilizzo
nazionali di cui all'articolo 4, paragrafo 1-bis, della direttiva
94/62/CE (introdotto dall'articolo 1, paragrafo 2, della
direttiva (UE) 2015/720).
L'articolo 4, comma 1-bis, prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie per
conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse
di plastica in materiale leggero. Tali misure possono comprendere il ricorso a
obiettivi di riduzione a livello nazionale, il mantenimento o l'introduzione di
strumenti economici, nonché restrizioni alla commercializzazione proporzionate
e non discriminatorie, per le sole borse di plastica con uno spessore inferiore
a 50 micron. Esse possono includere una delle seguenti opzioni o entrambe:
a) l'adozione di misure atte ad assicurare che il livello
di utilizzo annuale non superi le 90 buste di plastica di materiale leggero pro capite entro fine 2019 e 40 entro
fine 2025 o obiettivi equivalenti in peso;
b) l'adozione di strumenti con cui assicurare che, entro
fine 2018, le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite
gratuitamente nei punti di vendita di merci o prodotti.
In entrambi i casi è espressamente prevista (articolo 4, paragrafo 1-bis, comma 4, lettere a) e b)) la possibilità di escludere le borse di plastica in materiale ultraleggero.
6) prevedere programmi di sensibilizzazione per i consumatori in
generale e programmi educativi per i bambini diretti alla riduzione
dell'utilizzo di borse di plastica; nel corso dell'esame presso l'Assemblea
della Camera, è stato inoltre specificato, in tale criterio di delega, anche il
riferimento alla previsione di programmi di sensibilizzazione per i consumatori
che forniscano le informazioni corrette sulle proprietà e sullo smaltimento
delle borse di plastica biodegradabili
e compostabili, di quelle oxo-biodegradabili o oxo-degradabili e delle altre borse di plastica, nelle more
dell'adozione da parte della Commissione dell'Unione europea delle misure
specifiche previste dall'articolo 8-bis della
direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre
1994, per le borse di plastica biodegradabili e compostabili (comma 2, lettera f).
L'articolo 8-bis
della direttiva 94/62, in materia di misure specifiche per le borse di plastica
biodegradabili e compostabili, ha previsto che entro il 27 maggio 2017 la
Commissione adotti un atto di esecuzione che stabilisce il disciplinare delle
etichette o dei marchi per garantire il riconoscimento, a livello di Unione,
delle borse di plastica biodegradabili e compostabili e per fornire ai
consumatori le informazioni corrette sulle proprietà di compostaggio di tali
borse, secondo la procedura di regolamentazione prevista dalla direttiva
medesima. Si prevede, inoltre, che al più tardi 18 mesi dopo l'adozione di tale
atto di esecuzione, gli Stati membri provvedono ad assicurare che le borse di
plastica biodegradabili e compostabili siano etichettate conformemente al
disciplinare di cui a tale atto di esecuzione.
Si segnala, inoltre, che nella direttiva 2015/720/CE,
si fa riferimento (considerando 18) alle buste «oxo-biodegradabili» o
«oxo-degradabili», rilevando che queste incorporano nella plastica
convenzionale degli additivi, per effetto dei quali col tempo la plastica si
scompone in particelle minute che permangono nell'ambiente. La direttiva rileva
quindi che appare fuorviante definire «biodegradabili» borse di questo tipo,
posto che potrebbero non essere una soluzione alla dispersione dei rifiuti, ma
potrebbero al contrario aumentare l'inquinamento. Nel considerando citato, si
prevede, al riguardo, che la Commissione esamini l'impatto sull'ambiente
dell'utilizzo di borse di plastica oxo-degradabili e presenti una relazione al Parlamento europeo e al
Consiglio comprendente, se opportuno, una serie di misure volte a limitarne
l'utilizzo o a ridurne l'impatto nocivo.
Il comma 3, infine, specifica che dall'attuazione delle norme sopra citate non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono ai relativi adempimenti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Procedure di contenzioso
Il 28 aprile 2016 la Commissione europea ha provveduto all'archiviazione della procedura di infrazione n. 2011/4030 che era stata avviata per la eccepita incompatibilità con il diritto UE del divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabili per asporto di merci, introdotto nell’ordinamento italiano dalla legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) a decorrere dal 1° gennaio 2011.
In particolare, si lamentava la violazione dell’articolo 18 della direttiva 94/62/CE, che - fino all’entrata in vigore delle modifiche introdotte con la direttiva (UE) 2015/720 - reca il divieto per gli Stati membri di ostacolare l’immissione sul mercato di imballaggi conformi alle disposizioni della direttiva.
Successivamente,
le autorità italiane avevano trasmesso il testo dell’articolo 2 del DL n. 2/2012
che prevedeva una sospensione del
divieto di commercializzazione limitata ad alcune tipologie, misura che la
Commissione aveva giudicato non proporzionata.
Infatti secondo la Commissione, la sospensione del divieto limitatamente ad alcune tipologie di sacchetti di plastica con determinate caratteristiche, non rientranti tra i requisiti essenziali definiti dalla direttiva, non era conforme al diritto europeo in quanto la direttiva medesima non consente agli Stati membri di condizionare la commerciabilità degli imballaggi né alla conformità a norme autorizzate (come la UNI EN 13432:2002 prevista dal DL n. 2/2012), né a requisiti di spessore minimo, né alla presenza di una percentuale minima di plastica riciclata nella composizione degli imballaggi.
Risulta, inoltre, che la Commissione europea abbia ipotizzato un'ulteriore violazione della normativa comunitaria ed inviato una richiesta di informazioni al Governo tramite il sistema "EU Pilot".
In particolare, nell’ambito del Caso EU Pilot 8311/16/GROW, avviato nel febbraio 2016, sono stati
chiesti chiarimenti in merito alle summenzionate misure nazionali, con
riferimento all’adeguatezza agli
obiettivi perseguiti, alla giustificazione
e alla proporzionalità sotto il
profilo della libera circolazione delle merci nel mercato interno, al fine di
valutare se tali misure possano ritenersi giustificate da motivi di interesse generale, ai sensi dell'articolo 36 del
Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (TFUE). La risposta delle
autorità italiane alla richiesta di informazioni della Commissione europea è
attualmente in corso di predisposizione.
La direttiva 2015/720/UE, infatti (articolo 1-bis, commi 1 e 2), consente misure di restrizioni alla commercializzazione, proporzionate e non discriminatorie, solo per le "borse di plastica in materiale leggero". Queste ultime sono definite, ai sensi del punto 1-quater) della direttiva 94/62/CE, come "borse di plastica con uno spessore inferiore a 50 micron".
In
Italia, invece, vige un divieto di commercializzazione delle borse "non
biodegradabili" (articolo 1, commi 1129 e 1130, della legge 27 dicembre
2006, n. 296, che risultano oggetto di abrogazione in base all'articolo 4,
comma 2, lettera d), del disegno di legge di delegazione europea in esame),
dicitura che può comprendere anche tipologie diverse da quelle previste nella
normativa dell'Unione.
Articolo
5
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle
disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli
alimenti ai consumatori, e della direttiva 2011/91/UE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alle diciture o marchi che consentono
di identificare la partita alla quale appartiene una derrata alimentare)
L’articolo 5, comma 1, delega il Governo ad emanare decreti legislativi - secondo la procedura ordinaria di cui alla legge n. 234/2012, all'uopo adeguata[11] dal comma 2 - per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni stabilite dalla normativa europea in materia di etichettatura e informazione sugli alimenti ai consumatori.
I principali riferimenti nella normativa europea in materia sono il Regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che ha modificato regolamenti e direttive preesistenti, e la direttiva 13 dicembre 2011, n. 2011/91/UE, relativa alle diciture o marche che consentono di identificare la partita alla quale appartiene una derrata alimentare. A livello nazionale, il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109 concerne l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari: esso reca la disciplina nazionale in tema di etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari, di attuazione delle direttive comunitarie 89/395/CEE[12], abrogata e sostituita dalla direttiva 2000/13/CE[13], e 89/396/CEE[14].
La legge n. 234 del 2012 detta anche i principi generali per l'esercizio della delega, ma il comma 3 del presente articolo vi aggiunge principi e criteri specifici.
In particolare, la lettera a) dispone la previsione obbligatoria della sede dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento, in riferimento alle sole produzioni nazionali di alimenti. L'elemento teleologico enunciato è sia quello informativo per il consumatore, in termini di correttezza e completezza[15] (tant'è vero che la possibilità di supplire all'etichettatura mediante diciture, marchi o codici deve comunque consentire di risalire in modo agevole alla sede o indirizzo dello stabilimento), sia quello di un'efficace tutela della salute[16] da parte degli organi di controllo. La relazione governativa ricorda che si tratta di misure sottoposte comunque ad apposita procedura autorizzatoria europea e che, in ogni caso, esse non attengono a profili contenziosi in atto su altre parti del medesimo decreto n. 109.
Quanto
alla lettera b), vi si prevede, fatte
salve le sanzioni vigenti[17], la revisione della disciplina
delle stesse, accentrandone la competenza nel Dipartimento dell'ispettorato
centrale della tutela delle qualità e della repressione delle frodi dei
prodotti agroalimentari del MiPAAF. La relazione governativa specifica che
l'accertamento della violazione continua ad essere decentrato presso i vari
soggetti pubblici competenti (in via diretta o delegata), ma il Dipartimento
uniformerà a livello statale l'irrogazione delle sanzioni, evitando le
difformità interregionali attualmente lamentate.
Il comma
4 contiene la consueta delega all'emanazione, entro 24 mesi dal primo
decreto, dei decreti recanti disposizioni correttive o integrative, mentre il comma 5 reca la clausola di invarianza degli oneri sia finanziari che
amministrativi, pur nella consapevolezza della indeterminatezza della ricaduta
delle nuove norme. A questo scopo è richiamata la disciplina della legge di
contabilità e finanza pubblica, nella parte in cui prevede che, in sede di
conferimento della delega, la complessità della materia trattata non renda possibile
procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi:
in tal caso, la quantificazione degli stessi è effettuata al momento dell'adozione
dei singoli decreti legislativi[18]. I decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori
oneri - che non trovino compensazione al loro interno - sono emanati solo successivamente
all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti
risorse finanziarie.
Regolamento
(UE) n. 1169/2011
Il regolamento
(UE) n. 1169/2011, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di
informazioni sugli alimenti ai consumatori, si propone i seguenti obiettivi:
- l'introduzione di
un unico strumento che disciplini principi e requisiti per le disposizioni
orizzontali sull'etichettatura generale e nutrizionale;
- l'inserimento di
disposizioni specifiche sulla responsabilità in seno alla catena alimentare
riguardo alla presenza e all'esattezza dell'informazione alimentare;
- la fissazione di
criteri misurabili su alcuni elementi della leggibilità delle etichette apposte
ai prodotti alimentari;
- il chiarimento
delle norme riguardanti l'indicazione del paese d'origine o del luogo di
provenienza;
- l'introduzione di
indicazioni nutrizionali obbligatorie nella parte principale del campo visivo
della maggior parte degli alimenti trasformati.
A tal fine, il
regolamento interviene in modo incisivo
sulla legislazione preesistente, provvedendo:
- a modificare i
regolamenti (CE) n.
1924/2006, relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla
salute fornite sui prodotti alimentari, e n.
1925/2006, sull'aggiunta di vitamine e minerali e di talune
altre sostanze agli alimenti;
- ad abrogare la direttiva
87/250/CEE (relativa all'indicazione del titolo alcolometrico
volumico nell'etichettatura di bevande alcoliche destinate al consumatore
finale); la direttiva
90/496/CEE (relativa all'etichettatura nutrizionale dei prodotti
alimentari); la direttiva
1999/10/CE (che introduce deroghe a disposizioni previgenti per
quanto riguarda l'etichettatura dei prodotti alimentari); le direttive 2002/67
(etichettatura dei generi alimentari contenenti chinino e dei prodotti
alimentari contenenti caffeina) e 2008/5/CE
(relativa alla specificazione sull'etichetta di alcuni prodotti alimentari di
altre indicazioni obbligatorie oltre a quelle previste dalla direttiva 2000/13)
e il regolamento
(CE) n. 608/2004 (relativo all'etichettatura di prodotti e ingredienti
alimentari addizionati di fitosteroli, esteri di fitosterolo, fitostanoli e/o
esteri di fitostanolo.
Dopo un Capo I che fissa disposizioni generali,
individuando oggetto e campo di applicazione del regolamento, il Capo II identifica, all'articolo 4, i
principi che devono disciplinare le informazioni obbligatorie sugli alimenti, e
segnatamente:
- informazioni
sull'identità e la composizione, le proprietà o altre caratteristiche
dell'alimento;
- informazioni sulla
protezione della salute dei consumatori e sull'uso sicuro dell'alimento;
- informazioni sulle
caratteristiche nutrizionali che consentano ai consumatori, compresi quelli che
devono seguire un regime alimentare speciale, di effettuare scelte consapevoli.
Il Capo III individua e specifica i
requisiti generali relativi all'informazione sugli alimenti e le responsabilità
degli operatori nel settore alimentare - cui spetta assicurare e verificare la
conformità ai requisiti previsti dalla legislazione, nell'ambito delle imprese
che controllano.
Il Capo IV disciplina le informazioni
obbligatorie sugli alimenti, fornendo, tra l'altro, un elenco delle indicazioni
obbligatorie (articolo 9), e individuando le indicazioni obbligatorie complementari per tipi o categorie specifici di alimenti
(articolo 10), per poi dettare disposizioni
più particolareggiate su un ampio ventaglio di occorrenze (tra le altre, i casi
per cui è ammissibile omettere l'elenco degli ingredienti - articolo 19;
l'etichettatura di sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze - articolo
21; il termine minimo di conservazione, la data di scadenza e la data di
congelamento - articolo 24; l'indicazione del paese d'origine o del luogo di
provenienza - articolo 26).
Il Capo V affronta la materia delle
informazioni volontarie sugli alimenti, elencando i requisiti che esse debbono
soddisfare.
Il Capo VI, relativo alle disposizioni
nazionali, stabilisce, all'articolo 38, che, "quanto alle materie
espressamente armonizzate dal presente regolamento, gli Stati membri non
possono adottare né mantenere disposizioni nazionali salvo se il diritto
dell'Unione lo autorizza", mentre possono farlo per le materie non specificamente
armonizzate, purché le disposizioni in questione "non vietino, ostacolino
o limitino la libera circolazione delle merci conformi al presente
regolamento".
Iter di
approvazione
Il regolamento n.
1169/2011 deriva da una proposta presentata dalla Commissione europea il 30
gennaio 2008 (COM
(2008) 40), sulla quale né il Senato, né la Camera dei deputati
hanno approvato atti di indirizzo.
Il regolamento è
stato approvato in seconda lettura, grazie a un non semplice compromesso tra i
due legislatori dell'Unione.
Direttiva
2011/91/UE
La direttiva
2011/91/UE, relativa alle diciture
o marche che consentono di identificare
la partita alla quale appartiene una derrata
alimentare - a differenza del
regolamento n. 1169/2011 - si propone il mero scopo di avviare la codificazione e di semplificare la
normativa dell'Unione in materia, sostituendo e incorporando una serie di atti
(direttiva
89/396/CEE; direttiva
91/238/CEE; direttiva
92/11/CE).
In risposta a
un'esigenza di semplificazione della normativa dell'Unione, infatti, i servizi
della Commissione europea sono chiamati a procedere alla
codificazione di tutti gli atti dopo non oltre
dieci modifiche, potendo altresì codificare i testi di loro competenza anche a
intervalli più brevi, al fine di garantire la chiarezza e la comprensione
immediata delle disposizioni.
In sede di
codificazione non è possibile apportare alcuna modificazione di carattere
sostanziale agli atti che vengono incorporati, ed è necessario limitarsi ai
cambiamenti minimi richiesti per ragioni di coordinamento e leggibilità.
La direttiva
2011/91/UE deriva da una proposta presentata dalla Commissione europea il 28
settembre 2010 (COM
(2010) 506).
Il 24 novembre 2010
la 14a Commissione permanente del Senato ha approvato una
risoluzione (Doc.
XVIII-bis n. 25),
nella quale si esprimeva parere favorevole per quanto concerneva la conformità
del provvedimento al principio di sussidiarietà.
Articolo
6
(Principio e criterio direttivo per l’attuazione della direttiva (UE)
2015/637 del Consiglio, del 20 aprile 2015, sulle misure di coordinamento e
cooperazione per facilitare la tutela consolare dei cittadini dell’Unione non
rappresentati nei Paesi terzi e che abroga la decisione 95/553/CE)
L’articolo 6, comma 1, detta un principio e criterio direttivo aggiuntivo rispetto ai principi e criteri direttivi generali richiamati dall’articolo 1, comma 1 del disegno di legge di delegazione europea 2015: conseguentemente il Governo, nell’esercizio della delega per l’attuazione della direttiva (UE) 2015/637 del Consiglio - sulle misure di coordinamento e cooperazione per facilitare la tutela consolare dei cittadini dell’Unione non rappresentati nei paesi terzi -, dovrà altresì prevedere che la promessa di restituzione dei costi sottoscritta dal cittadino italiano innanzi all’autorità consolare di un altro Stato membro della Unione europea alle condizioni previste dall’articolo 14 della direttiva 2015/637, abbia efficacia di titolo esecutivo in relazione alle somme di danaro, determinate o determinabili, contenute in detta promessa di restituzione.
La relazione introduttiva allo schema di disegno di
legge illustra come la previsione dell’efficacia di titolo esecutivo della
promessa di restituzione di somme di denaro, sottoscritta da un cittadino
italiano innanzi all’autorità diplomatica o consolare di un altro Stato membro
in un paese terzo, costituisca l’estensione
di quanto già previsto per i prestiti con promessa di restituzione erogati da
uffici consolari italiani a nostri connazionali in base al comma 2
dell’articolo 24 del decreto legislativo 3 febbraio 2011, n. 71, recante
ordinamento e funzioni degli uffici consolari.
Direttiva
(UE) 2015/637
La direttiva
(UE) 2015/637 - adottata il 20 aprile 2015, e che, tra l’altro, ha
abrogato la precedente decisione 95/553/CE, nella stessa materia ma di minore
portata -, ha un campo di applicazione piuttosto ampio: si stima infatti che
circa 7 milioni di cittadini europei si trovino a viaggiare o a vivere in paesi
terzi nei quali il loro Stato di appartenenza non è in grado di fornire
assistenza consolare.
La direttiva mira (articolo 1) a determinare le modalità
con le quali cittadini europei bisognosi di assistenza consolare in paesi terzi nei quali non sono direttamente
rappresentati abbiano diritto a godere della tutela delle ambasciate e dei
consolati di altri Stati membri dell’Unione europea ivi presenti. Tale
assistenza può concernere l’espletamento di semplici pratiche consolari,
l’assistenza in caso di incidenti o perfino in caso di gravi crisi politiche
nel paese terzo che consiglino la pronta evacuazione dei cittadini europei.
Dal punto di vista
giuridico la direttiva costituisce l’attuazione di quanto previsto dagli articoli
20 e 23 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), nonché
dall’articolo 46 della Carta dei diritti
fondamentali della UE. Difatti la lettera c)
del comma 2 dell’articolo 20 del TFUE enuncia tra i diritti dei cittadini dell’Unione quello di essere tutelato dalle
autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle medesime
condizioni dei cittadini di detto Stato, qualora si trovino nel territorio di
un paese terzo privo di rappresentanza diplomatica o consolare nazionale. D’altra
parte, l’articolo 23 del TFUE, ribadendo tale diritto dei cittadini europei,
prevede al paragrafo primo che gli Stati membri adottano le disposizioni
necessarie e avviano i negoziati internazionali richiesti per garantire detta
tutela - questa disposizione è stata a suo tempo attuata dalla citata decisione
95/553/CE. Il secondo paragrafo prevede poi che il Consiglio, previa
consultazione del Parlamento europeo e con procedura legislativa speciale,
possa adottare direttive sulle
misure di coordinamento e cooperazione necessarie per facilitare la tutela
consolare dei cittadini europei non rappresentati in Stati terzi - e la
direttiva 2015/637 costituisce per l’appunto l’attuazione di quest’ultima
previsione.
Per quanto concerne
invece la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, l’articolo 46
reitera esattamente quanto previsto dalla richiamata lettera c), comma 2
dell’articolo 20 del TFUE.
In questo contesto,
elemento essenziale della direttiva 2015/637 è quello di fornire una tutela consolare non discriminatoria,
nel senso che i cittadini di Stati membri dell’Unione europea non rappresentati
nello specifico paese terzo devono poter ottenere tutta l’assistenza che le
ambasciate e consolati europei ivi presenti fornirebbero (articolo 2) ai propri cittadini, tra l’altro, in caso di decesso,
di gravi incidenti o malattia, di arresto o detenzione, dell’esser stati
vittime di reati, di situazioni di emergenza che richiedano aiuto o rimpatrio (articolo 9). La direttiva specifica
inoltre la portata in cui l’assistenza consolare può estendersi (articolo 5) ai familiari di cittadini
dell’Unione europea che abbiano tuttavia la cittadinanza di paesi terzi.
Sono previste procedure di coordinamento fra i paesi
dell’Unione europea in ordine all’assistenza consolare da prestare: in
particolare, il paese di origine del soggetto interessato sarà comunque (articolo 3) consultato dallo Stato
membro del quale viene richiesta la tutela consolare, e potrà intervenire in
diverse modalità che prescindano dalla presenza in loco (comunicazioni telefoniche, servizi online). È previsto altresì che i paesi dell’Unione europea
presenti nello specifico paese terzo possano prendere accordi (articolo 12), resi pubblici (articolo 7) anche comunicandoli alla
locale delegazione dell’Unione europea (articolo
11), sulle specifiche modalità di prestazione dell’assistenza consolare a
cittadini europei non direttamente rappresentati, che potranno comprendere
anche il trasferimento della pratica (articolo
7) dall’ambasciata di un paese europeo a quella di un altro. In ogni caso è
specialmente garantita la tutela dei cittadini non rappresentati nelle
situazioni di crisi (articoli 13 e 15),
con la relativa ripartizione delle responsabilità.
Anche dal punto di vista finanziario (articolo 14) i cittadini europei non
rappresentati non verranno assoggettati a pagamenti più elevati di quelli che
gravano in casi analoghi sui cittadini del paese europeo che presta
l’assistenza: se il cittadino tutelato non è in grado di corrispondere le somme
dovute sul posto, gli verrà sottoposto un modulo con cui si impegna a
rimborsare tali costi alle autorità del proprio paese.
E’ prevista (articolo 19) una relazione della
Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio sull’attuazione della
direttiva, da presentare entro il 1° maggio 2021, redatta sulla base delle
informazioni ricevute dagli Stati membri.
Il termine per il recepimento della
direttiva negli ordinamenti
nazionali degli Stati membri è fissato al
1° maggio 2018.
Il comma 2 prevede che dall’attuazione dell’articolo 6 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, in quanto le amministrazioni interessate provvedono ai correlativi adempimenti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Il citato articolo
14 della direttiva 2015/637 riporta norme generali in materia di procedure
finanziarie collegate alla prestazione di assistenza consolare a cittadini
dell’Unione europea privi di rappresentanza consolare nazionale in un
determinato paese terzo.
In particolare, il comma 1 dell’articolo 14 prevede
l’impegno da parte dei cittadini non rappresentati a restituire al loro Stato membro di cittadinanza il costo della tutela
consolare di cui hanno goduto, alle medesime condizioni dei cittadini dello
Stato membro che tale assistenza ha prestato, utilizzando a tale scopo il
modulo riportato nell’allegato I alla direttiva in commento. Peraltro l’impegno
è limitato ai costi che nelle stesse condizioni sarebbero stati a carico dei
cittadini dello Stato membro che presta l’assistenza.
Il comma 2 prevede che lo Stato membro che presta
assistenza può chiedere allo Stato membro di appartenenza del cittadino non
rappresentato il rimborso dei costi,
utilizzando il modulo standard di cui all’allegato II alla direttiva. Il
rimborso dei costi consegue entro un periodo di tempo ragionevole, non
superiore a 12 mesi. Lo Stato membro che ha rimborsato i costi può esercitare
rivalsa sul proprio cittadino in ordine ai costi medesimi.
Il comma 3, infine, prevede che in caso di spese giustificate, ma insolitamente
elevate, collegate alla tutela consolare fornita a un cittadino UE non
rappresentato in caso di arresto o detenzione, lo Stato membro che ha prestato
l’assistenza possa del pari chiedere il rimborso allo Stato membro di
cittadinanza del soggetto tutelato, che anche in questo caso provvederà al
rimborso in un periodo di tempo ragionevole non superiore a 12 mesi.
Si ricorda altresì che i principi e criteri direttivi generali di delega, di cui all’articolo 1, comma 1 del disegno di legge di delegazione europea 2015 sono quelli contenuti degli articoli 31 e 32 della legge 234 del 2012, recante norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea.
Articolo
7
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle
disposizioni dell’Unione europea e agli accordi internazionali in materia di
prodotti e di tecnologie a duplice uso, di sanzioni in materia di embarghi
commerciali, di commercio di strumenti di tortura, nonché per ogni tipologia di
operazione di esportazione di materiali proliferanti)
L'articolo 7 reca la delega
al Governo per l’adozione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore
della legge di delegazione europea 2015, di un decreto legislativo che, nel
rispetto dei principi di cui alla legge n. 185 del 1990, provveda a:
- riordinare e semplificare le procedure di autorizzazione all’esportazione di prodotti e di tecnologie a duplice uso;
- applicare le sanzioni in materia di embarghi commerciali, nonché per ogni tipologia di operazione di esportazione di materiali proliferanti.
La legge
n. 185 del 1990 individua in via generale e preventiva alcune
fattispecie di divieto ad esportare
ed importare i materiali d'armamento ed i requisiti indispensabili per poter
operare nel settore e fissa dettagliatamente le modalità e le varie fasi dei
procedimenti autorizzativi, nonché le misure sanzionatorie in caso di
violazione delle norme.
In particolare, la richiamata normativa vieta l'esportazione, l'importazione,
il transito, il trasferimento intracomunitario di materiale d'armamento quando
queste contrastino con il principio
della Costituzione italiana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali, con gli impegni internazionali dell'Italia,
con gli accordi concernenti la non proliferazione e con i fondamentali
interessi della sicurezza dello Stato, della lotta contro il terrorismo e del
mantenimento di buone relazioni con altri Paesi, nonché quando mancano adeguate
garanzie sulla definitiva destinazione dei prodotti per la difesa.
L'esportazione, il transito, il trasferimento
intracomunitario e l'intermediazione di materiali d'armamento sono altresì
vietati quando il Paese destinatario è
in istato di conflitto armato, in contrasto con l'articolo 51 della Carta delle
Nazioni Unite; nel caso sia stato dichiarato l'embargo totale o parziale
delle forniture di armi da parte di organizzazioni internazionali cui l'Italia
aderisce; quando la politica del Paese destinatario contrasti con i principi
dell'articolo 11 della Costituzione; quando il paese destinatario destini al
bilancio militare risorse eccedenti le proprie esigenze di difesa. La legge in
esame consente l'effettuazione delle operazioni relative ai prodotti per la
difesa, solo alle imprese iscritte nel registro delle imprese del settore della
difesa.
Al fine di recepire nell'ordinamento giuridico
italiano il contenuto della Direttiva 2009/43/CE, nel corso della precedente
legislatura è stato emanato il decreto
legislativo n. 105 del 2012 -, adottato in base alla delega prevista nella legge
comunitaria 2010, art. 12 -, che ha novellato in più punti la legge 185 del
1990.
In particolare, ai sensi del nuovo articolo 10-bis il
trasferimento di materiali di armamento a destinatari stabiliti nel territorio
dell'Unione europea può essere effettuato solo dai soggetti iscritti nel
registro di cui all'articolo 3 della legge 185 del 1990, ed è soggetto ad
autorizzazione preventiva.
Non è invece richiesta alcuna autorizzazione per
l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero per il suo attraversamento, se
tale trasferimento è stato autorizzato da un altro Stato membro della Unione
europea: l'unico limite risiede nella salvaguardia della pubblica sicurezza e
dell'ordine pubblico.
I fornitori impegnati in tali trasferimenti
intracomunitari utilizzeranno autorizzazioni di trasferimento di tipo generale,
globale o individuale, mentre per la successiva eventuale esportazione verso
destinatari residenti in Stati terzi potranno essere posti divieti o vincoli, e
anche essere richieste garanzie sull'impiego dei materiali interessati. Non è
invece sottoposta a vincoli o divieti l'esportazione di componenti di materiali
di armamento o di parti di ricambio di essi, qualora sia stata fornita da parte
del destinatario una dichiarazione attestante che essi sono integrati nei propri
prodotti, salvo i casi in cui tali trasferimenti possano nuocere gravemente
alla sicurezza nazionale. Si richiede autorizzazione preventiva anche per le
operazioni di intermediazione commerciale di materiali di armamento che
riguardino soggetti iscritti al registro di cui all'articolo 3 della legge 185
del 1990. È inoltre salvaguardata l'applicabilità delle norme che disciplinano
il trasferimento di materiali di armamento classificati.
Il comma
1 dell’articolo in esame definisce il procedimento
di adozione dell’emanando decreto legislativo richiamando, a tal fine,
l'articolo 31 della legge n. 234 del 2012 che definisce le procedure per
l'esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con la legge di
delegazione europea. Il medesimo comma 1 precisa, altresì, che il decreto
legislativo dovrà essere adottato su proposta del Presidente del Consiglio dei
Ministri e del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri
degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dell'interno, della
difesa, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la
semplificazione e la pubblica amministrazione. Si prevede, infine, che sullo
schema di decreto legislativo venga acquisito il parere delle competenti commissioni parlamentari.
Il richiamato articolo 31 della legge n. 234 del 2012 dispone che il termine per l’esercizio delle deleghe conferite al Governo con la legge di delegazione europea sia di quattro mesi[19] antecedenti il termine di recepimento indicato in ciascuna delle direttive. Per le direttive il cui termine così determinato sia già scaduto alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea, o scada nei tre mesi successivi, la delega deve essere esercitata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Per le direttive che non prevedono un termine di recepimento, il termine per l’esercizio della delega è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea. A sua volta il comma 5 dell’art. 31 della legge n. 234 prevede che il Governo possa adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in base alla delega conferita con la legge di delegazione entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, sempre nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla legge stessa.
Per quanto concerne i principi e i criteri direttivi che dovranno essere rispettati dal
Governo in sede di attuazione della delega, il comma 2 dell’articolo 7, oltre a richiamare quelli valevoli per
tutti gli atti di attuazione della normativa europea contenuti nell’articolo 32
della legge n.234 del 2012, indica una serie di ulteriori principi direttivi specifici.
In particolare, le lettere a) e
b) del comma 2 fanno riferimento alla necessità di adeguare la normativa
nazionale a taluni regolamenti CE/UE
concernenti la materia oggetto del
presente articolo (prodotti e tecnologie a duplice uso, sanzioni in materia di embarghi
commerciali, esportazione di materiali proliferanti).
In relazione ai criteri
direttivi indicati nelle richiamate lettere a) e b), si osserva che i medesimi
appaiono formulati in maniera particolarmente generica a fronte di una
relazione illustrativa che, con riferimento a tali disposizioni, indica nello
specifico i diversi profili della normativa nazionale che appare necessario
innovare, modificare e semplificare.
Al
riguardo, al fine di evitare possibili dubbi interpretativi, andrebbe valutata
l’opportunità di meglio definire l’ambito oggettivo di applicabilità dei
richiamati criteri direttivi tenuto peraltro conto che risultano già adottati
taluni decreti legislativi volti ad apprestare adeguata tutela penale alle disposizioni dei regolamenti richiamati nelle
lettere a) e b) (si veda, in
particolare, il decreto legislativo 12 gennaio
2007, n. 11 che
reca la disciplina sanzionatoria per la
violazione delle disposizioni del regolamento CE n. 1236/2005, concernente il
commercio di determinate merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di
morte, la tortura o altri).
Nello specifico il comma 2, lettera a) prescrive che la delega sia
esercitata a fine di adeguare l’ordinamento interno al regolamento (CE) n. 428/2009 del
Consiglio, del 5 maggio 2009 che istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni, del
trasferimento, dell’intermediazione e del transito di prodotti a duplice uso, per i quali si intendono i prodotti
(inclusi il software e le tecnologie) che possono avere un utilizzo sia civile sia militare. Rientrano,
poi, in tale categoria tutti i beni che possono avere sia un utilizzo non
esplosivo sia un qualche impiego nella fabbricazione di armi nucleari o di
altri congegni esplosivi nucleari.
La medesima lettera a) richiama poi la
necessità di adeguamento della normativa nazionale agli ulteriori regolamenti (UE) n. 599/2014 e n. 1382/2014 - che modificano entrambi il regolamento
(CE) n. 428/2009 - e alle altre disposizioni dell'Unione europea e agli altri accordi
internazionali in materia, già resi esecutivi o che saranno resi esecutivi
entro il termine di esercizio della delega stessa.
In relazione
a tale criterio direttivo, nella parte in cui viene fatto riferimento ad
accordi internazionali già resi esecutivi o che saranno resi esecutivi entro il
termine di esercizio della delega stessa, si valuti l’opportunità, al fine di
evitare possibili dubbi interpretativi, di circoscriverne meglio l’ambito
oggettivo di applicazione della disposizione. Andrebbe, in particolare,
chiarito se la disposizione in esame si riferisca ai soli accordi di cui è
parte l'Italia ovvero anche ad eventuali accordi di cui fosse parte l'Unione
europea nel suo insieme.
Regolamenti (UE) n. 599/2014 e n.
1382/2014
Il regolamento (UE) n. 599/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, ha introdotto una delega di competenza alla Commissione per l'aggiornamento dell'elenco UE dei prodotti soggetti a controlli nell'allegato I ("atti delegati") e l'eliminazione di alcune destinazioni dall'ambito di applicazione delle autorizzazioni generali di esportazione dell'Unione (EUGEA) nell'allegato II in relazione agli embarghi sugli armamenti.
A sua volta il regolamento delegato (UE) n. 1382/2014 della Commissione, del 22 ottobre 2014, ha aggiornato l'elenco UE dei prodotti soggetti a controlli, di cui all'allegato I del regolamento, integrandovi le modifiche concordate nel 2011, nel 2012 e nel 2013 nell'ambito dei regimi multilaterali di controllo delle esportazioni. Le modifiche comprendono l'esenzione dai controlli di alcuni prodotti e cambiamenti della descrizione delle merci e delle definizioni nonché alcuni nuovi controlli, ad esempio in materia di sorveglianza su Internet e software di intrusione.
Il nuovo elenco UE dei prodotti soggetti a controlli, aggiornato e consolidato, è entrato in vigore il 31 dicembre 2014, consentendo in tal modo all'UE di rispettare i propri impegni internazionali in materia di controlli delle esportazioni e
agevolando gli esportatori dell'UE nei casi in cui i parametri di controllo sono stati resi più flessibili.
Per un approfondimento, vedi la Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull'attuazione del regolamento (CE) n. 428/2009 (COM/2015/0331 final).
La successiva lettera b) dispone che la delega sia esercitata al fine di adeguare l’ordinamento nazionale anche al regolamento (CE) n.1236/2005 del Consiglio, relativo al commercio di determinate merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti e al successivo regolamento di esecuzione (UE) n.1352/2011.
Regolamenti
(UE) n. 1236/2005 e n. 1352/2011
Il Regolamento (UE) n. 1236/2005 - entrato
in vigore il 30 luglio 2006 - prevede che le autorità nazionali degli Stati
membri (elencate all'allegato I) competenti a decidere in merito a una domanda
di autorizzazione di importazione o di esportazione dovrebbero distinguere, da
un lato, le merci che non hanno altra utilizzazione pratica all'infuori di
infliggere la pena di morte, la tortura e altre pene o trattamenti crudeli,
inumani o degradanti, e dall'altro, le merci che potrebbero essere utilizzate
per fini analoghi, di cui
potrebbero autorizzare l'esportazione o
l'importazione secondo criteri rigorosamente definiti. Nell’allegato II sono comprese merci destinate certamente all’esecuzione
di esseri umani (forche, ghigliottine, sedie elettriche, camere a gas) ed alla
contenzione (cinture a scarica elettrica superiore a 10.000 V); nell’allegato III sono invece elencate merci
idonee alla contenzione (sedie e tavoli di contenzione, ceppi e catene, manette
di particolare misura, serrapollici, anche chiodati, dispositivi portatili antisommossa
o di autodifesa a scarica elettrica superiore a 10.000 V, tra cui manganelli e
scudi, ulteriori dispositivi portatili antisommossa, come quelli a rilascio di
sostanze chimiche paralizzanti).
Con il regolamento di esecuzione (UE) n. 1352/ 2011 - entrato in vigore il 21
dicembre 2011 - la Commissione europea ha modificato gli allegati II e III del
regolamento, in primo luogo per introdurre controlli all’esportazione mirati a
impedire l’uso di determinati prodotti
medicinali per la pena di morte (esecuzione tramite iniezione letale).
L'articolo 17 del regolamento comunitario
rinvia agli Stati membri l'adozione
delle misure sanzionatorie - che la
norma precisa debbano essere “effettive, proporzionate e dissuasive” - al fine
di garantirne un'efficace ed adeguata applicazione. Come rilevato in precedenza
con il decreto legislativo n. 11 del
2007 si è provveduto ad introdurre
nell’ordinamento giuridico italiano la
disciplina
sanzionatoria per la violazione delle
disposizioni del Regolamento in esame.
Al fine di assicurare la semplificazione e la coerenza logica,
sistematica e lessicale della normativa dei prodotti a duplice uso la successiva lettera c) dei
criteri di delega impone al Governo l’obiettivo della unitarietà della
disciplina relativa ai richiamati beni, nonché
della normativa relativa al commercio di determinate merci che potrebbero
essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti
o pene crudeli, inumani o degradanti.
Quanto alla razionalizzazione
delle procedure per il rilascio delle
licenze di esportazione, con riduzione degli oneri a carico delle imprese,
tale obiettivo è indicato alla lettera d)
che fa, inoltre, espresso riferimento alla previsione di sistemi autorizzativi
semplificati.
A sua volta il criterio direttivo di cui alla successiva lettera
e) fa riferimento alla necessità di prevedere procedure adottabili nel caso
di divieto di esportazione, per motivi di sicurezza pubblica o di rispetto dei
diritti dell’uomo, dei prodotti a duplice uso non compresi nell’elenco di cui
all’allegato I del citato regolamento (CE) n.428/2009.
Al riguardo si valuti
l’opportunità di specificare quali sono i prodotti a duplice uso - non compresi
nell’elenco di cui all’allegato I del regolamento (CE) n. 428/2009 - da
sottoporre alle procedure di cui alla lettera e).
Per quanto concerne, poi, il regime
sanzionatorio applicabile alle violazioni in materia di prodotti e di
tecnologie a duplice uso, del commercio
di determinati merci che potrebbero
essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti
o pene crudeli, inumani o degradanti, nonché per ogni tipologia di operazione
di esportazione di materiali proliferanti, il criterio direttivo di cui alla lettera f), oltre a precisare che tali
sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive, stabilisce,
altresì, il rispetto dei limiti di pena
previsti dal decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 96.
Pertanto
deve ritenersi che anche le nuove condotte delittuose saranno assistite da
sanzioni penali che si muovono entro i seguenti intervalli edittali:
-
operazioni di esportazione di beni a duplice uso senza la prescritta autorizzazione
ovvero con autorizzazione ottenuta fornendo dichiarazioni o documentazione
false: reclusione da due a sei anni o multa da 25.000 a 250.000 euro;
-
operazioni di esportazione di beni a duplice uso in difformità dagli obblighi
prescritti dalle autorizzazioni: reclusione da due a quattro anni o multa da
15.000 a 150.000 euro;
-
mancato adempimento all'obbligo informativo da parte dell'esportatore di beni a
duplice uso non compresi nell'elenco di cui all'Allegato I: arresto fino a due
anni;
-
omissione della comunicazione delle variazioni delle informazioni e dei dati
intervenute dopo la presentazione della domanda, ovvero dell'indicazione sui
documenti e registri commerciali degli elementi di legge, ovvero loro mancata
conservazione: sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 15.000 a
90.000 euro;
-
assistenza tecnica destinata ad essere utilizzata ai fini di perfezionamento, produzione,
manipolazione, funzionamento, manutenzione, deposito, individuazione,
identificazione o disseminazione di armi chimiche, biologiche o nucleari o di
altri congegni esplosivi nucleari o di perfezionamento, produzione,
manutenzione o deposito di missili che possono essere utilizzati come vettori
di tali armi: reclusione da due a quattro anni o multa da 15.000 a 150.000
euro;
-
l'assistenza tecnica riguardante fini militari diversi da quelli di cui sopra e
fornita ad uno dei Paesi di destinazione soggetto ad un embargo sulle armi
deciso dal Consiglio europeo o da una decisione dell'OSCE, o soggetto ad un
embargo sulle armi imposto da una risoluzione vincolante del Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite: reclusione fino a due anni o multa da 10.000 a
50.000 euro;
-
trasmissione via internet ovvero attraverso altri mezzi elettronici, fax o
telefono - senza preventiva autorizzazione, ovvero con autorizzazione ottenuta
fornendo dichiarazioni o documentazioni false - di progetti, il design, le
formule, il software e le tecnologie a qualsiasi titolo riferibili allo
sviluppo, produzione o utilizzazione dei beni di cui agli Allegati I e IV del
regolamento: reclusione fino a due anni o multa da 10.000 a 50.000 euro.
Reca, infine, disposizioni di
carattere sanzionatorio anche l’ultimo dei criteri direttivi previsto dalla
lettera g) del comma 2 dell’articolo
7. Tale lettera prevede, infatti, l’adozione di misure sanzionatorie effettive,
proporzionate e dissuasive nei confronti delle violazioni in materia di misure
restrittive (embarghi commerciali), adottate dall'Unione europea ai
sensi dell'articolo 215 del Trattato sul funzionamento dell'Unione
europea.
Il comma 3 dell’articolo
in esame disciplina la possibilità di decreti correttivi o integrativi
da adottare entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto
legislativo di cui al comma 1, mentre il comma 4 prevede una doppia
clausola di invarianza, sia finanziaria (dall'esercizio della delega non
dovrebbero derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica) che
generalmente amministrativa (si provvede all’adempimento dei nuovi compiti con
le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente).
Documenti
all’esame delle istituzioni dell’UE
Il 14 gennaio 2014 la Commissione europea ha presentato una proposta di revisione del regolamento (CE) n. 1236/2005 relativo al commercio di determinate merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti.
Il regolamento in vigore prevede attualmente un regime
di controlli all’esportazione mirato a evitare che le merci esportate dall’Unione
vengano impiegate per praticare la tortura o altri trattamenti o pene crudeli,
inumani o degradanti.
Per chiarire gli scopi e le modalità di questi
controlli, è apparso opportuno proporre di inserire nel regolamento un capitolo
specifico sui controlli all’esportazione intesi a impedire che le merci
soggette a controlli siano utilizzate per la pena di morte e un elenco
specifico delle merci soggette a controlli.
Viene inoltre proposto che le attuali restrizioni agli scambi siano integrate da restrizioni sui servizi di intermediazione, assistenza tecnica e transito.
Articolo
8
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle
disposizioni del regolamento (UE) n. 1025/2012 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 25 ottobre 2012, sulla normazione europea e della direttiva (UE)
2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che
prevede una procedura d'informazione nel settore delle regolamentazioni
tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione)
L’articolo 8, comma 1, delega il Governo ad emanare decreti legislativi - secondo la procedura ordinaria di cui alla legge n. 234/2012, all'uopo adeguata[20] - per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 1025/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 sulla normazione europea ed alla direttiva (UE) 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che prevede una procedura d'informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione.
Si tratta, nel primo caso, dell'apparato regolatorio[21] adottato dal Comitato europeo di normazione, dal Comitato europeo di normalizzazione elettrotecnica o dall'Istituto europeo per le norme di telecomunicazione.
Sul fatto che la norma tecnica europea vada "resa
disponibile per uso pubblico" v. articolo 2, comma 1, lettera l-vicies
semel), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive
modificazioni).
A partire dall’attuazione della direttiva 83/189 con legge 21 giugno 1986 n. 317, agli organismi europei a rappresentanza nazionale corrispondono, nel nostro Paese, rispettivamente l’UNI (Ente italiano di unificazione)[22] e il CEI (Comitato elettrotecnico italiano)[23], in entrambi i casi persone giuridiche di diritto privato.
Si rammenta, poi, che in ambito mondiale è presente l’ISO (International Organization for Standardization),
che si occupa principalmente di razionalizzare e complementare l’insieme di
standard vigenti; la serie di normative sviluppate dall’ISO prende la
denominazione di ISO 9000, che viene poi approvata dall’organismo di
certificazione europeo EN, e a sua volta tradotta e introdotta nel sistema
italiano di certificazione dall’UNI sotto il nome di UNI EN 29000.
La legge n. 234/2012 detta anche i principi generali per l'esercizio della delega, ma il comma 2 vi aggiunge principi e criteri specifici.
La relazione ricorda l'impatto che questa materia ha
sulla competitività delle imprese[24],
sia in positivo sia in negativo: a causa della proliferazione di organismi e
della loro precaria disponibilità di risorse pubbliche, la partecipazione al
processo di normazione europeo[25]
è messa a repentaglio e, nel contempo, "il ricorso a forme autonome di
finanziamento rischia di far lievitare a livelli insostenibili, in particolare
per le piccole e medie imprese, i costi di messa a disposizione delle imprese e
dei professionisti delle norme UNI e CEI".
In particolare, l'aggiornamento
delle disposizioni della legge n. 317 del 1986 andrà effettuato con adeguamenti
al nuovo regolamento (UE) n. 1025/2012, che contemplino anche abrogazioni
espresse e coordinamenti (lettera a)); ciò dovrà comportare anche semplificazioni
e coordinamenti di discipline finanziarie[26] attinenti ai predetti organismi
(lettera c)), superando le procedure di riparto e riassegnazione[27]; per le disposizioni sulle informazioni in ordine alle
regolamentazioni tecniche ed alle regole relative, la lettera b) contempla
l'aggiornamento della legge 21 giugno 1986, n. 317 e del decreto legislativo 23
novembre 2000, n. 427, anche per l’adeguamento alla direttiva (UE) 2015/1535;
sull'intera materia, è prevista una delegificazione nelle materie non riservate alla legge, con la quale
operare anche l'aggiornamento del decreto[28] del Ministro dello sviluppo economico 22 gennaio 2008, n. 37 (lettera d)).
Il comma
3 contiene la consueta delega all'emanazione, entro 24 mesi dal primo
decreto, dei decreti recanti disposizioni correttive o integrative, mentre il comma 4 reca la clausola di invarianza
degli oneri sia finanziari che amministrativi.
Regolamento
(UE) n. 1025/2012
Il regolamento
(UE) n. 1025/2012 stabilisce norme riguardanti la cooperazione tra gli
organismi europei di normazione, gli organismi nazionali di normazione e la Commissione
europea, l'elaborazione di norme europee o prodotti della normazione europea -
ovvero qualsiasi altra specifica tecnica diversa delle norme - a sostegno della
legislazione e delle politiche dell'Unione, il riconoscimento delle specifiche
tecniche nel settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione
(di seguito "TIC") e il finanziamento della normazione europea. Poiché
l’obiettivo principale della normazione consiste nel definire specifiche
tecniche e qualitative alle quali i prodotti e i processi di produzione o i
servizi possono conformarsi, il fine ultimo del Regolamento è quello di
ampliare il contributo della normazione europea ad un migliore funzionamento
del mercato interno, nonché alla promozione della crescita e dell’innovazione.
Più nel dettaglio, per quanto concerne la cooperazione
tra i vari organismi, il Regolamento contiene misure volte a garantire la
trasparenza e il coinvolgimento dei soggetti interessati. È previsto, infatti,
che ogni organizzazione europea e nazionale di normazione stabilisca almeno una
volta l'anno un proprio programma di lavoro contenente informazioni sulle norme
o prodotti di normazione che intende adottare, che sarà reso disponibile sul
proprio sito web e di cui darà notifica (articolo
3). I progetti di norme saranno inviati agli altri organismi di normazione,
europei o nazionali, che potranno inviare osservazioni (articolo 4).
Le organizzazioni europee di normazione garantiranno
un'adeguata rappresentanza e un'effettiva partecipazione di tutti i soggetti
interessati, incluse le PMI, le organizzazioni ambientaliste e dei consumatori,
le imprese, i centri di ricerca e le università e collaboreranno con le
autorità di vigilanza del mercato (articolo
5). Anche gli organismi di normazione nazionali incoraggeranno l'accesso
delle PMI ai processi di normazione e si scambieranno le migliori prassi
finalizzate ad incentivare tale partecipazione (articolo 6). Gli Stati membri dovranno favorire la partecipazione
delle autorità pubbliche, comprese le autorità di vigilanza del mercato, alle
attività nazionali di normazione volte all'elaborazione o alla revisione delle
norme richieste dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 10 (articolo 7).
Circa l'elaborazione di norme o prodotti di normazione
europea a sostegno della legislazione e delle politiche dell'Unione, il
Regolamento prevede che ogni anno la Commissione europea adotti, dopo aver
consultato i soggetti interessati e tenendo conto delle strategie UE in materia
di crescita, un programma di lavoro per la normazione europea indicando le
priorità da seguire (articolo 8). La
Commissione potrà, inoltre, chiedere a una o più organizzazioni europee di
normazione di elaborare una norma europea o un prodotto della normazione
europea entro una determinata scadenza (articolo
10). Tali norme saranno adottate mediante la procedura di comitato che
prevede la partecipazione di rappresentanti degli Stati membri (articolo 22).
La Commissione, prima di adottare il programma di
lavoro, di approvare le richieste di normazione o gli atti delegati previsti
dal regolamento o prima di adottare una decisione in merito alle specifiche
tecniche delle TIC, istituirà un sistema di comunicazione per i soggetti
interessati al fine di garantire un'idonea consultazione (articolo 12).
Quanto alle specifiche tecniche delle TIC il
Regolamento prevede che la Commissione europea possa identificare, e
successivamente modificare o ritirare, le specifiche che non sono norme
nazionali, europee o internazionali, sulla base delle
prescrizioni
contenute
nell'allegato II. Le decisioni in merito saranno adottate previa consultazione
della piattaforma multilaterale europea sulla normazione delle TIC che
comprende le organizzazioni europee di normazione, gli Stati membri e i
soggetti interessati (articolo 13). È
inoltre previsto nell’ambito degli appalti pubblici l'utilizzo di norme
elaborate da altre organizzazioni nel settore delle TIC (articolo 14).
Circa il finanziamento della normazione europea, il
Regolamento specifica le attività che possono beneficiarne. Esse includono, tra
l'altro, l'elaborazione e la revisione di norme europee necessarie alla
legislazione e alle politiche UE e la verifica della qualità alla
corrispondente legislazione nonché lo svolgimento di attività preliminari alla
normazione (articolo 15). Il
finanziamento dell'UE può essere concesso alle organizzazioni europee dei
soggetti interessati che rispondono ai criteri indicati nell'allegato III per
una serie di attività tra cui la realizzazione di attività tecniche e la
fornitura di informazioni alle parti interessate nonché la fornitura di
consulenza giuridica o tecnica (articolo
16). Le organizzazioni europee di soggetti interessati sono, ai sensi
dell'allegato III, quelle che rispondono agli interessi delle PMI, dei consumatori
e quelle che rappresentano gli interessi sociali e ambientali. Il Regolamento
definisce poi le varie modalità di finanziamento, secondo la natura degli
organismi beneficiari e le attività da essi svolte (articolo 17), e stabilisce alcune azioni a tutela degli interessi
finanziari dell'Unione che prevedono l'applicazione, da parte della Commissione
europea, di misure di prevenzione contro le frodi, la corruzione e qualsiasi
altra attività illecita, mediante appositi controlli e il recupero di somme
indebitamente corrisposte (articolo 19).
Per l'aggiornamento del suddetto allegato III nonché dell'allegato I, che
indica le organizzazioni europee di normazione, alla Commissione europea è
conferito potere di adottare atti delegati per un periodo di cinque anni a
decorrere dal 1° gennaio 2013 (articolo
20).
Il Regolamento prevede, infine, una semplificazione
della legislazione vigente, disponendo in particolare una revisione della
direttiva 98/34/CE, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle
norme e delle regolamentazioni tecniche, nonché abrogando la decisione del
Consiglio 87/95/CEE, relativa alla normalizzazione nel settore delle TIC e la
decisione n. 1673/2006/CE, relativa al finanziamento della normalizzazione
europea.
Iter di approvazione
Il regolamento deriva
da una proposta presentata dalla Commissione europea il 1° giugno 2011 (COM(2011)315),
sulla quale l'Ufficio rapporti con le istituzioni dell'Unione europea del
Senato della Repubblica aveva curato una scheda
di valutazione.
Il 28 settembre 2011, la 14a Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea) del Senato ha approvato una risoluzione (Doc XVIII-bis n. 47) in cui ha espresso un parere favorevole, constatando tuttavia che la proposta conteneva deleghe a tempo indeterminato per la Commissione europea per l'adozione di atti delegati volti all'aggiornamento di alcuni allegati. Tale previsione non è stata poi mantenuta nel regolamento approvato che, come evidenziato sopra, prevede che l'esercizio dei poteri di delega sia conferito alla Commissione europea per un periodo di cinque anni.
Direttiva
(UE) 2015/1535
La direttiva
(UE) 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9
settembre 2015, è volta a prevedere la possibilità per gli operatori economici
di far conoscere la loro valutazione sull'incidenza delle regolamentazioni
tecniche nazionali progettate dagli altri Stati membri mediante la regolare
pubblicazione dei titoli dei progetti notificati e mediante le disposizioni
relative alla riservatezza di detti progetti. Pertanto
è opportuno, ai fini della certezza giuridica, che gli Stati membri rendano
pubblico che una regola tecnica nazionale è stata adottata, Per l'Unione,
infatti, le regolamentazioni tecniche relative ai prodotti, le misure destinate
ad assicurare il buon funzionamento del mercato o a proseguirne il compimento
implicano, in particolare, una maggiore trasparenza dei progetti nazionali
nonché un'estensione dei motivi e delle condizioni di valutazione delle
possibili conseguenze sul mercato dei regolamenti progettati. Nel valutare
l'insieme delle prescrizioni imposte per il prodotto (e per tener conto
dell'evoluzione delle prassi nazionali in materia di regolamentazione dei
prodotti) occorre chiarire la nozione di regola tecnica de facto. In particolare, le disposizioni con le quali l'autorità
pubblica si riferisce a dette specificazioni tecniche o ad altri requisiti o
promuove la loro osservanza nonché le disposizioni concernenti prodotti ai
quali l'autorità pubblica è associata, al fine dell'interesse pubblico, hanno
l'effetto di conferire all'osservanza di tali requisiti o specificazioni una
forza vincolante maggiore di quella derivante, di norma, dalla loro origine. In
sostanza, il testo della direttiva consente - nel caso in cui sia impossibile
attuare il principio del reciproco riconoscimento da parte degli Stati membri -
che la Commissione adotti o proponga l'adozione di atti vincolanti. Un termine
di differimento specifico è stato introdotto per evitare che l'adozione di
misure nazionali comprometta l'adozione di atti vincolanti del
Parlamento europeo e del Consiglio o della Commissione nello stesso settore.
Il 28 ottobre 2015, la Commissione
europea ha presentato la comunicazione COM(2015)550, che ridefinisce la strategia del mercato unico
europeo, partendo dall’assunto che, ancora oggi, nonostante i progressi
compiuti, persistono ostacoli e restrizioni, in particolare per quanto riguarda
i servizi. Secondo le stime della Commissione, una migliore applicazione della
direttiva sui servizi potrebbe determinare un aumento dell’1,8% del PIL dell’Unione. In tale ambito, è tra
l'altro previsto che occorre creare una
cultura della conformità, mediante un'iniziativa normativa volta a raccogliere informazioni da operatori
di mercato selezionati. Essa risponde al fine di migliorare la capacità di monitorare l’applicazione delle norme dell'UE, rafforzare il meccanismo di vigilanza del mercato,
promuovere l'applicazione del
principio del reciproco riconoscimento e il miglioramento dell'attuale
procedura di notifica ai sensi della direttiva (UE) 2015/1535 sui servizi,
che consenta alla Commissione e agli altri Stati membri di esaminare i progetti
di legge nazionali e di formulare osservazioni.
Articolo
9
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle
disposizioni del regolamento (UE) n. 305/2011 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 9 marzo 2011, che fissa condizioni armonizzate per la
commercializzazione dei prodotti da costruzione e che abroga la direttiva
89/106/ CEE del Consiglio)
L’articolo 9, modificato nel corso dell’esame presso la Camera, prevede una delega per l’emanazione di uno o più decreti legislativi per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 305/2011 che fissa condizioni armonizzate per la commercializzazione dei prodotti da costruzione e che abroga la direttiva 89/106/CEE del Consiglio.
Il Regolamento UE n. 305/2011 è stato pubblicato nella
G.U.U.E. 4 aprile 2011, n. L88 ed è entrato in vigore nel nostro ordinamento il
24 aprile 2011.
Tra i principi e i criteri direttivi specifici di delega previsti dalla disposizione in esame, si segnalano:
· la fissazione dei criteri per la nomina dei rappresentanti italiani all’interno del Comitato permanente per le costruzioni;
· la costituzione di un Comitato nazionale di coordinamento e di raccordo per i prodotti da costruzione;
· la costituzione di un Organismo nazionale per la valutazione tecnica europea (ITAB);
· l’individuazione presso il Ministero dello sviluppo economico del Punto di contatto nazionale;
· l’individuazione del Ministero dello sviluppo economico quale Autorità notificante;
· la possibilità di affidare ad Accredia compiti di valutazione e controllo degli organismi da autorizzare per svolgere compiti di parte terza nel processo di valutazione e verifica della costanza della prestazione;
· la previsione di disposizioni in tema di proventi e tariffe;
· la previsione di sanzioni penali o amministrative per le violazioni degli obblighi derivanti dal regolamento.
Si ricorda che tale regolamento ha abrogato la direttiva 89/106/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti i prodotti da costruzione. Più in particolare la direttiva, al fine di eliminare gli ostacoli tecnici agli scambi nel campo dei prodotti da costruzione per migliorarne la libera circolazione in seno al mercato interno, prevedeva la definizione di norme armonizzate per i prodotti da costruzione e il rilascio di benestare tecnici europei. La direttiva in oggetto è stata attuata con il D.P.R 246/93.
Il comma 1 prevede che
l’esercizio della delega è effettuata:
· entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge;
· su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia, dell'economia e delle finanze e del Ministro dell'interno;
· acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari;
Il comma 2 prevede che nell'esercizio della delega il Governo è tenuto a seguire i principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012. n. 234 e i princìpi e criteri direttivi specifici, indicati alle lettere da a) a l).
Fissazione dci criteri per la nomina dei rappresentanti dell'Italia in seno al comitato di cui all'articolo 64 del Regolamento ed al gruppo di cui all'articolo 55 del regolamento (lett. a)).
L’articolo 64 del Regolamento in esame prevede che la Commissione è assistita dal comitato permanente per le costruzioni e che gli Stati membri provvedono a che i membri di tale comitato siano in grado di svolgere le proprie funzioni in modo da evitare conflitti di interessi, in particolare per quanto riguarda le procedure di ottenimento della marcatura CE. Tale comitato è composto da esperti designati dagli Stati membri ed è incaricato di fornire assistenza e consulenza alla Commissione sulle questioni correlate all’attuazione e l’applicazione pratica del presente regolamento. L’articolo 14 del D.p.R. 246/93 prevede che i rappresentanti in seno al comitato permanente sono nominati dal Ministro degli affari esteri su designazione rispettivamente del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato (attualmente Ministero dello sviluppo economico) e del Ministro dei lavori pubblici (attualmente Ministero del lavoro, salute e delle politiche sociali). I predetti rappresentanti possono essere assistiti da esperti. Un esperto permanente è designato dal Ministro dell'interno nell'ambito della Direzione generale per la protezione civile e dei servizi antincendio.
L’articolo 55 del Regolamento in esame prevede che la Commissione garantisce che sia istituito un sistema appropriato di coordinamento e di cooperazione tra organismi notificati e che funzioni correttamente sotto forma di gruppo di organismi notificati, inoltre gli Stati membri garantiscono che gli organismi da essi notificati partecipino ai lavori di tale gruppo, direttamente o mediante rappresentanti designati, o assicurano che i rappresentanti degli organismi notificati siano informati.
Costituzione di un Comitato nazionale di coordinamento e di raccordo[29] per i prodotti da costruzione, con compiti di coordinamento delle attività delle amministrazioni competenti nel settore dei prodotti da costruzioni e di determinazione degli indirizzi volti ad assicurare l’uniformità ed il controllo dell'attività di certificazione e prova degli organismi notificati e individuazione delle amministrazioni che hanno il compito di costituirlo (lett. b)).
Un organismo notificato è istituito a norma del diritto nazionale, ha personalità giuridica ed è un terzo indipendente dall'organizzazione o dal prodotto da costruzione che esso valuta. Inoltre svolge tutti i compiti di parte terza nel processo di valutazione e verifica della costanza della prestazione che gli sono assegnati utilizzando i mezzi necessari per eseguire in modo appropriato i compiti tecnici e amministrativi connessi alle attività per le quali è stato notificato e ha accesso a tutte le apparecchiature o impianti necessari. La prestazione di un prodotto da costruzione consiste nel suo comportamento strutturale, più in particolare sono le sue caratteristiche essenziali pertinenti, espresse in termini di livello, classe o mediante descrizione, tale prestazione deve essere costante nel tempo;
Costituzione di un Organismo nazionale per la valutazione tecnica europea (ITAB) quale organismo di valutazione tecnica (TAB) ai sensi dell'articolo 29 del regolamento e fissazione dei relativi princìpi di funzionamento e di organizzazione e individuazione delle amministrazioni che hanno il compito di costituirlo (lett. c)).
L’art. 29 del regolamento in esame prevede che gli Stati membri possono designare TAB, all'interno del proprio territorio, segnatamente per una o più aree di prodotto Gli Stati membri che hanno designato un TAB comunicano agli altri Stati membri e alla Commissione la sua denominazione, il suo indirizzo e le aree di prodotto per le quali è designato. La Commissione rende pubblico per via elettronica l'elenco dei TAB. Si ricorda che in attuazione alla direttiva 89/106/CEE e ai sensi dell’art.5 del D.P.R. 246/93 sono stati designati: il servizio tecnico centrale del Consiglio superiore dei lavori pubblici, con funzioni di organismo portavoce, il Centro studi ed esperienze antincendio (CSEA, attuale direzione centrale per la prevenzione e la sicurezza tecnica del Dip.to VV.F) e l’ICITE (attuale ITC CNR), stabilendo una ripartizione della competenza legata al requisito essenziale prevalente. Il Principio di delega quindi demanda il Governo ad istituire un unico organismo in luogo dei tre attuali.
Individuazione presso il Ministero dello sviluppo economico del Punto di contatto nazionale per i prodotti da costruzione di cui all'articolo 10, paragrafo l, del Regolamento nonché delle modalità di collaborazione delle altre Amministrazioni competenti, anche ai fini del rispetto dei termini chiari di facile comprensione (paragrafo 3 , articolo 10) (lett. d)).
L’articolo 10 del regolamento in esame prevede che gli Stati membri designano i punti di contatto di prodotti da costruzione. I punti di contatto di prodotti da costruzione hanno il compito di fornire, utilizzando termini chiari e facilmente comprensibili, informazioni sulle disposizioni, nel suo territorio, volte a soddisfare i requisiti di base delle opere di costruzione applicabili all'uso previsto di ciascun prodotto da costruzione. I punti di contatto, al fine di facilitare la libera circolazione delle merci, forniscono informazioni sulle disposizioni volte a soddisfare i requisiti di base delle opere applicabili per l'uso previsto di ciascun prodotto da costruzione nel territorio di ciascuno Stato membro. Attualmente esercita le funzioni di Autorità nazionale italiana per l'accreditamento e quelle del Punto di contatto con la Commissione europea, ai sensi dell'articolo 4 comma 2, della legge 23 luglio 2009, n. 99, la direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica, presso il Ministero dello sviluppo economico;
Individuazione del Ministero dello sviluppo economico quale Autorità notificante ai sensi del Capo VII del regolamento (lett. e)).
L’articolo 40 del regolamento in esame prevede che gli Stati membri designano un'autorità notificante, responsabile di organizzare ed eseguire le procedure necessarie per la valutazione e la notifica degli organismi da autorizzare per svolgere compiti di parte terza nel processo di valutazione e verifica della costanza della prestazione ai fini del presente regolamento, nonché responsabili del controllo degli organismi notificati, ivi inclusa la loro conformità.
Fissazione dei criteri e delle procedure necessarie per la valutazione, la notifica ed il controllo degli organismi da autorizzare per svolgere compiti di parte terza nel processo di valutazione e verifica della costanza della prestazione, di cui all'articolo 40 del regolamento, anche al fine di prevedere che tali compiti di valutazione e controllo degli organismi possano essere affidati mediante apposite convenzioni all'organismo unico nazionale di accreditamento ai sensi dell'articolo 4 della legge 23 luglio 2009, n. 99 (lett. f)).
Si
ricorda che il D.M. 22 dicembre 2009, emanato in attuazione dell’art.4, L.99
del 2009 prevede la designazione di Accredia
quale unico organismo nazionale italiano autorizzato a svolgere attività di
accreditamento e vigilanza del mercato;
Previsione di disposizioni in tema di proventi e tariffe per le attività connesse all'attuazione del regolamento, conformemente al comma 4 dell'articolo 30 della legge 234 del 2012 (lett. g)).
Il comma 4, art.30, L.234/2012 prevede che gli oneri relativi a prestazioni e a controlli da eseguire da parte di uffici pubblici, ai fini dell'attuazione delle disposizioni dell'Unione europea, sono posti a carico dei soggetti interessati, ove ciò non risulti in contrasto con la disciplina dell'Unione europea, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo del servizio reso. Le tariffe sono predeterminate e pubbliche;
Previsione di sanzioni penali o amministrative per le violazioni degli obblighi derivanti dal regolamento, conformemente alle previsioni di cui all'articolo 32, comma l, lettera d), e di cui all'articolo 33, commi 2 e 3, della legge n. 234 del 2012, ed individuazione delle procedure per la vigilanza sul mercato dei prodotti da costruzione ai sensi del Capo VIII del regolamento (lett. h)).
Il principio e criterio direttivo della lettera h) demanda al Governo la previsione di sanzioni penali o amministrative per la violazione degli obblighi derivanti dal regolamento. Nell’operare la scelta tra il tipo di sanzione, e nel determinarne l’entità, il Governo dovrà tener conto dei principi generali in tema di sanzioni per violazione della disciplina dell’Unione europea, dettati dall’art. 32, comma 1, lett. d) e dall’art. 33, commi 2 e 3, della legge n. 234 del 2012.
Durante la
fase referente, la lettera h)
è stata integrata, prevedendo che il Governo .- nel tener conto dei principi
generali in materia di sanzioni - dovrà considerare
anche le attività rispettivamente svolte dagli operatori economici nelle
diverse fasi della filiera e, in particolare, la loro effettiva capacità di incidere sugli aspetti relativi alle
caratteristiche, alla qualità ed alla sicurezza del prodotto.
Si ricorda che l’art. 33 della legge n. 234 del 2012 rimanda, per i principi e criteri direttivi nella fissazione delle sanzioni, al precedente articolo 32. In particolare, il comma 1, lett. d), di questa disposizione stabilisce che il legislatore delegato può prevedere le seguenti sanzioni:
- la sanzione penale di natura contravvenzionale, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In particolare, dovrà essere prevista la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto e la pena congiunta (arresto e ammenda) per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità;
- la sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro, nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi diversi;
- sanzioni penali o sanzioni amministrative accessorie.
Il Governo dovrà altresì disciplinare le procedure per la vigilanza sul mercato dei prodotti da costruzione, come richiesto dal Capo VIII del Regolamento UE.
Si tratta delle disposizioni del regolamento che impongono alle autorità di vigilanza nazionali di valutare i prodotti che potrebbero comportare rischi di mancato rispetto dei requisiti di base delle opere di costruzione, di imporre al produttore di soddisfare i requisiti richiesti, pena il ritiro del prodotto dal mercato e di informare le autorità degli altri Stati circa l’esito delle verifiche.
Analogamente le autorità devono procedere in relazione ai prodotti da costruzione che possono comportare rischi per la salute e la sicurezza
Anche quando la non conformità è solo formale, le autorità nazionali devono chiedere al produttore di conformarsi, pena il ritiro del prodotto dal mercato.
Abrogazione espressa delle disposizioni di legge o di regolamento incompatibili con il decreto delegato (lett. i)) e salvaguardia della possibilità di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 305/2011 con successivo regolamento governativo, ai sensi dell'articolo 17, comma l, della legge 23 agosto 1988, n. 400, nelle materie non riservate alla legge e già disciplinate mediante regolamenti (lett. l)).
Il comma 3 prevede che ai componenti del Comitato e dell’Organismo nazionale [(lettere b) e c) del comma 2], non sono corrisposti gettoni. compensi, rimborsi spese o altri emolumenti, comunque denominati, fatta eccezione per i costi di missione, che restano a carico dell'amministrazione di appartenenza.
Il comma 4 prevede che il Governo può emanare disposizioni correttive e integrative del medesimo decreto legislativo entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo.
Il comma 5, infine, prevede la clausola di invarianza finanziaria.
Regolamento
(UE) n. 305/2011
Il Regolamento in
esame è composto di 68 articoli e V allegati. Più in particolare:
Il Capo I prevede disposizioni di carattere generale (artt.1-3). L’oggetto del
regolamento consiste nel fissare le condizioni per l'immissione o la messa a
disposizione sul mercato di prodotti da costruzione stabilendo disposizioni
armonizzate per la descrizione della prestazione di tali prodotti in relazione
alle loro caratteristiche essenziali e per l'uso della marcatura CE sui
prodotti in questione. A tal fine vi sono una serie di definizioni tra cui
prodotto da costruzione (qualsiasi prodotto o kit fabbricato e immesso sul
mercato per essere incorporato in modo permanente in opere di costruzione o in
parti di esse e la cui prestazione incide sulla prestazione delle opere di
costruzione rispetto ai requisiti di base delle opere stesse); kit (un prodotto
da costruzione immesso sul mercato da un singolo fabbricante come insieme di
almeno due componenti distinti che devono essere assemblati per essere
installati nelle opere di costruzione); opere di costruzione (gli edifici e le
opere di ingegneria civile); prestazione di un prodotto da costruzione (la
prestazione in relazione alle caratteristiche essenziali pertinenti, espressa
in termini di livello, classe o mediante descrizione). Le caratteristiche
essenziali dei prodotti da costruzione sono stabilite nelle specifiche tecniche
armonizzate in funzione dei requisiti di base delle opere di costruzione.
Il Capo II riguarda la dichiarazione di prestazione e marcatura
(artt.4-10). Il fabbricante redige una dichiarazione di prestazione all'atto
dell'immissione in commercio quando un prodotto da costruzione rientra
nell'ambito di applicazione di una norma armonizzata o è conforme a una
valutazione tecnica europea rilasciata per il prodotto in questione. Copia
della dichiarazione di prestazione di ciascun prodotto messo a disposizione sul
mercato, in forma cartacea o su supporto elettronico. La marcatura CE è apposta
solo sui prodotti da costruzione per i quali il fabbricante ha redatto una
dichiarazione di prestazione. Gli Stati membri designano i punti di contatto di
prodotti da costruzione al fine di garantire accessibilità alle regole tecniche
nazionali, in modo che le imprese, soprattutto le PMI, possano raccogliere
informazioni affidabili e precise sulla legislazione in vigore nello Stato
membro in cui intendono immettere o rendere disponibili sul mercato i loro
prodotti.
Il Capo III prevede gli obblighi degli operatori economici (artt.11-16). I fabbricanti redigono una dichiarazione di prestazione conformemente alle disposizioni contenute nel presente regolamento e appongono la marcatura CE, inoltre conservano la
documentazione tecnica e la dichiarazione di prestazione per un periodo di dieci anni a decorrere dall'immissione del prodotto da costruzione sul mercato; infine a seguito di una richiesta motivata di un'autorità nazionale competente, forniscono a quest'ultima tutte le informazioni e la documentazione necessarie per dimostrare la conformità del prodotto. Gli importatori immettono sul mercato dell'Unione solo i prodotti da costruzione conformi ai requisiti applicabili di cui al presente regolamento.
A seguito di una richiesta motivata di un'autorità nazionale competente, forniscono a quest'ultima tutte le informazioni e la documentazione necessarie per dimostrare la conformità del prodotto. Prima di mettere un prodotto da costruzione a disposizione sul mercato, i distributori assicurano che il prodotto, ove richiesto, rechi la marcatura CE e sia accompagnato dai documenti richiesti dal regolamento nonché da istruzioni e informazioni sulla sicurezza redatte in una lingua, stabilita dallo Stato membro interessato, che può essere facilmente compresa dagli utilizzatori. A seguito di una richiesta motivata di un'autorità nazionale competente, forniscono a quest'ultima tutte le informazioni e la documentazione necessarie per dimostrare la conformità del prodotto da costruzione.
Il Capo IV riguarda le specifiche tecniche armonizzate (artt.17-28). Le norme armonizzate sono stabilite dagli organismi europei di normalizzazione in base alle richieste o mandati, formulate dalla Commissione previa consultazione del comitato permanente per le costruzioni. Le norme armonizzate stabiliscono i metodi ed i criteri per valutare la prestazione dei prodotti da costruzione in relazione alle loro caratteristiche essenziali. Gli organismi europei di normalizzazione specificano in norme armonizzate il controllo della produzione in fabbrica applicabile, che tiene conto delle particolari condizioni del processo di fabbricazione del prodotto da costruzione interessato. La norma armonizzata contiene i dettagli tecnici necessari per applicare il sistema di valutazione e verifica della costanza della prestazione. La Commissione valuta la conformità delle norme armonizzate predisposte dagli organismi europei di normalizzazione ai pertinenti mandati e pubblica nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea l'elenco dei riferimenti alle norme armonizzate conformi ai pertinenti mandati. In seguito alla richiesta di valutazione tecnica europea di un fabbricante, l'organizzazione dei TAB elabora e adotta un documento per la valutazione europea per qualsiasi prodotto da costruzione che non rientra o non rientra interamente nell'ambito di applicazione di una norma armonizzata.
Il Capo V dispone in merito agli organismi di valutazione tecnici (artt.29-35).
Gli Stati membri possono designare TAB, all'interno del proprio territorio, segnatamente per una o più aree di prodotto e comunicano agli altri Stati membri e alla Commissione la denominazione, l’indirizzo e le aree di prodotto per le quali ciascun TAB è designato. Inoltre controllano le attività e la competenza dei TAB da essi designati e li valutano in relazione ai requisiti prescritti. La Commissione rende pubblico e aggiorna per via elettronica l'elenco dei TAB, indicando le aree di prodotto per cui sono designati e adoperandosi per raggiungere il massimo livello possibile di trasparenza.
Il Capo VI riguarda le Procedure Semplificate (artt.36-38). Le microimprese che fabbricano prodotti da costruzione che rientrano nell'ambito di applicazione di una norma armonizzata possono sostituire la determinazione del prodotto-tipo mediante l'uso di metodi diversi da quelli previsti dalla norma armonizzata applicabile.
Il Capo VII disciplina le Autorità Notificanti e Organismi Notificati (artt. 39-55). Gli Stati membri designano un'autorità notificante, responsabile di organizzare ed
eseguire le procedure necessarie per la valutazione e la notifica degli organismi da autorizzare per svolgere compiti di parte terza nel processo di valutazione e verifica della costanza della prestazione ai fini del presente regolamento, nonché responsabile del controllo degli organismi notificati.
L'autorità notificante è istituita in modo da evitare conflitti d'interesse con gli organismi notificati. Un organismo notificato è istituito a norma del diritto nazionale e ha personalità giuridica ed è terzo indipendente dall'organizzazione o dal prodotto da costruzione che esso valuta.
Il Capo VIII riguarda la vigilanza del mercato e le procedure di salvaguardia (artt. 56-59). Se le autorità di vigilanza del mercato di uno Stato membro hanno sufficienti ragioni per credere che un prodotto da costruzione, che rientra nell'ambito di applicazione di una norma armonizzata o per il quale è stata rilasciata una valutazione tecnica europea, non soddisfi la prestazione dichiarata e comporti un rischio in merito al rispetto dei requisiti di base delle opere di costruzione stabiliti dal regolamento, esse effettuano una valutazione del prodotto interessato relativa a tutti i requisiti di cui al presente regolamento e gli operatori economici interessati cooperano ove necessario con le autorità di vigilanza del mercato. Inoltre l’autorità di vigilanza, quando un prodotto da costruzione, pur conforme al regolamento di cui si tratta, presenti rischi in merito al rispetto dei requisiti di base delle opere di costruzione, alla salute o la sicurezza delle persone o ad altri aspetti di tutela del pubblico interesse, chiede all'operatore economico interessato di adottare tutte le misure appropriate per assicurare che il prodotto da costruzione in questione all'atto dell'immissione sul mercato cessi di presentare tali rischi, di ritirare il prodotto da costruzione dal mercato o di richiamarlo entro un lasso di tempo ragionevole, che può fissare, proporzionato alla natura del rischio.
Il Capo IX reca le disposizioni finali (artt. 60-64). La Commissione ha il potere di adottare atti delegati per un periodo di cinque anni a decorrere dal 24 aprile 2011. I prodotti da costruzione immessi sul mercato ai sensi della direttiva 89/106/CEE prima del 1° luglio 2013 sono ritenuti conformi al presente regolamento.
I cinque allegati al regolamento si riferiscono rispettivamente a:
I - requisiti di base delle opere di
costruzione. Le opere di costruzione,
nel complesso e nelle loro singole parti, devono essere adatte all'uso cui sono
destinate, tenendo conto in particolare della salute e della sicurezza delle
persone interessate durante l'intero ciclo di vita delle opere.
II - procedura per
l'adozione del documento per la valutazione europea;
III - dichiarazione
di prestazione;
IV - aree di prodotto
e requisiti degli organismi di
valutazione tecnica;
V - valutazione e
verifica della costanza della
prestazione.
Articolo
10
(Delega al Governo per il recepimento della raccomandazione CERS/2011/3 del
Comitato europeo per il rischio sistemico, del 22 dicembre 2011, relativa al
mandato macroprudenziale delle autorità nazionali)
L’articolo 10, modificato durante l’esame alla Camera, delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, uno o più decreti legislativi per l'attuazione della Raccomandazione CERS/2011/3 del Comitato europeo per il rischio sistemico del 22 dicembre 2011, relativa al mandato macroprudenziale delle autorità nazionali, in particolare disponendo la creazione di un apposito Comitato per le politiche macroprudenziali, cui partecipino le autorità del settore bancario e finanziario; il Comitato ha specifiche funzioni di indirizzo e raccomandazione, nonché poteri di richiesta di informazioni ad enti pubblici e privati.
Il sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziarie (SEVIF) è stato creato nel corso del 2010 mediante l'istituzione, con appositi regolamenti, di tre nuove autorità di vigilanza europee competenti - rispettivamente - per le banche, i mercati finanziari e le assicurazioni, nonché di un Comitato europeo per il rischio sistemico incaricato della vigilanza macroprudenziale.
Si tratta dei regolamenti (UE) n. 1093/2010, che istituisce l'Autorità bancaria europea (EBA), n. 1094/2010 che istituisce l'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA), n. 1095/2010 che istituisce l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), n. 1092/2010 relativo alla vigilanza macroprudenziale del sistema finanziario nell’Unione europea e che istituisce il Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS).
La creazione del SEVIF fa seguito alle proposte elaborate da un gruppo di esperti (cd. gruppo “de Larosière”) incaricato dalla Commissione europea, nel novembre 2008, di formulare delle raccomandazioni su come rafforzare i meccanismi di vigilanza europei a fronte della crisi finanziaria.
Il D.Lgs. 30 luglio 2012, n. 130 ha dato attuazione alla direttiva 2010/78/UE relativa ai poteri delle predette autorità.
In particolare, oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge n. 234 del 2012 (illustrati nell’introduzione al presente lavoro) il Governo deve, secondo i seguenti principi e criteri direttivi specifici (comma 2):
-
istituire
un Comitato per le politiche
macroprudenziali, privo di personalità giuridica, quale autorità indipendente designata, ai
sensi della Raccomandazione CERS/2011/3, per la conduzione delle politiche
macroprudenziali (comma 2, lettera a));
La Sezione B del predetto atto CERS/2011/3 affida agli Stati il compito di designare un’autorità cui spetti la conduzione delle politiche macroprudenziali, sotto forma di un’istituzione unica o di un comitato; quest’ultimo deve essere composto dalle autorità la cui azione abbia un impatto concreto sulla stabilità finanziaria. La legislazione nazionale ha il compito di specificare il processo decisionale dell’organo direttivo dell’autorità macroprudenziale.
-
prevedere
che al Comitato partecipino la Banca d'Italia, che lo presiede, la Consob, l'Ivass e la Covip, che
condividono l'obiettivo di salvaguardia della stabilità del sistema finanziario
(comma 2, lettera b));
- prevedere che alle sedute del Comitato assista il Ministero dell'economia e delle finanze e, per effetto delle modifiche apportate alla Camera, anche l’Autorità Garante della concorrenza del mercato (comma 2, lettera c));
-
prevedere
le regole di funzionamento e di voto del Comitato nonché i casi in cui le
decisioni sono rese pubbliche (comma 2,
lettera d));
-
prevedere
il ruolo guida nelle politiche
macroprudenziali della Banca d'Italia, che svolge le funzioni di segreteria
del Comitato (comma 2, lettera e)), in coerenza con quanto
prescritto dalla Raccomandazione alla Sezione B, punto 3;
-
attribuire
al Comitato le funzioni, i poteri, gli strumenti, i compiti di cooperazione con
altre autorità, nazionali ed europee, previsti dalla Raccomandazione
CERS/2011/3 (comma 2, lettera f));
Al riguardo si ricorda che la Sezione B, punto 4 della Raccomandazione affida all’autorità macroprudenziale il mandato di cooperare e scambiare informazioni anche a livello transfrontaliero, in particolare informando il CERS delle azioni intra prese per gestire i rischi sistemici a livello nazionale.
- attribuire al Comitato il potere di indirizzare raccomandazioni alle Autorità in esso rappresentate e inviare comunicazioni al Parlamento e al Govemo, con l’obbligo delle Autorità di motivare l'eventuale mancata attuazione delle stesse (comma 2, lettera g));
- attribuire al Comitato il potere di richiedere alle Autorità tutti i dati e le informazioni necessarie all'esercizio delle sue funzioni (comma 2, lettera h)) in coerenza quanto disposto dalla Raccomandazione;
Al riguardo si rammenta che la Sezione C della Raccomandazione attribuisce una serie di strumenti (principalmente di natura informativa e regolamentare) alle autorità designate dagli Stati membri e/o ai Comitati. Più in dettaglio l’autorità macroprudenziale dovrebbe:
o poter identificare, monitorare e valutare i rischi per la stabilità finanziaria e di attuare le politiche per conseguire il proprio obiettivo, prevenendo e riducendo tali rischi; poter richiedere e ottenere con tempestività tutti i dati e le informazioni nazionali necessari all'esercizio delle sue funzioni, ivi comprese le informazioni provenienti dalle autorità di vigilanza microprudenziale e dalle autorità di vigilanza del mercato dei titoli, nonché le informazioni provenienti da fonti esterne al perimetro regolamentare e, su richiesta motivata e previa adozione di misure adeguate a garantire la riservatezza, informazioni specifiche relative a determinate istituzioni. Ai sensi degli stessi principi, è opportuno che l’autorità macroprudenziale condivida con le autorità di vigilanza microprudenziale i dati e le informazioni necessari all’esercizio delle funzioni di tali autorità;
o poter designare e/o sviluppare gli approcci di sorveglianza per identificare, in coordinazione o insieme alle autorità di vigilanza microprudenziale e di vigilanza del mercato dei titoli, le istituzioni e le strutture finanziarie aventi rilevanza sistemica per lo Stato membro in questione, e di determinare il perimetro della regolamentazione nazionale o di formulare delle raccomandazioni in proposito.
prevedere che il Comitato possa acquisire, tramite le autorità rappresentate nel Comitato stesso in base alle rispettive competenze, le informazioni necessarie per lo svolgimento delle proprie funzioni anche da soggetti privati che svolgono attività economiche rilevanti ai fini della stabilità finanziaria e da soggetti pubblici, secondo quanto previsto dalla Raccomandazione CERS/2011/3 (che, come si è visto, reca una disciplina di tale condivisione di informazioni alla Sezione C). Ove le informazioni non possano essere acquisite tramite dette autorità ai sensi delle rispettive legislazioni di settore, le disposizioni in esame consentono al Comitato di chiederne l'acquisizione alla Banca d'Italia, alla quale sono attribuiti i necessari poteri. Si dispone inoltre che il Comitato condivida con le autorità i dati e le informazioni necessari all'esercizio delle loro funzioni (comma 2, lettera i));
prevedere che ai soggetti privati che non ottemperano agli obblighi di fornire le informazioni richieste dalle autorità rappresentate nel Comitato, ai sensi delle rispettive legislazioni di settore, siano applicate le sanzioni amministrative pecuniarie previste dalle medesime legislazioni di settore. Negli altri casi, si chiarisce che la Banca d'Italia può irrogare ai soggetti privati che non ottemperano agli obblighi informativi una sanzione amministrativa pecuniaria, tale da assicurare il rispetto dei principi di proporzionalità, dissuasività e adeguatezza, secondo un'articolazione che prevede un minimo non inferiore a euro cinquemila e un massimo non superiore a cinque milioni di euro. Viene chiarito che la Banca d'Italia si può avvalere della Guardia di Finanza per i necessari accertamenti (comma 2, lettera l));
prevedere che il Comitato presenti annualmente al Governo e al Parlamento una relazione sulla propria attività (comma 2, lettera m)).
Il comma 3 consente al Governo, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo che recepisce la Raccomandazione, con la medesima procedura e nel rispetto dei suindicati principi e criteri direttivi, di emanare disposizioni correttive e integrative del medesimo decreto legislativo.
Il comma 4 reca la clausola di invarianza finanziaria.
Articolo
11
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle
disposizioni del regolamento (UE) n. 751/2015 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 29 aprile 2015, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni
di pagamento basate su carta)
L’articolo 11 del disegno di legge, modificato presso la Camera dei deputati, individua i princìpi e criteri direttivi specifici per adeguare il quadro normativo vigente al regolamento (UE) n. 751/2015 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta.
Si segnala che la legge di stabilità 2016 (legge n.
208 del 2015, articolo 1, comma 900), prevede che al fine di diffondere l’uso
dei pagamenti mediante carte di debito o di credito, in particolare per i
pagamenti di importo contenuto (inferiore a 5 euro), entro il 1° febbraio 2016,
il Ministero dell'economia e delle finanze provvede con proprio decreto, di
concerto col Ministero dello sviluppo economico, sentita la Banca d'Italia, ad assicurare la corretta e integrale
applicazione del regolamento
(UE) n. 751/2015 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile
2015, esercitando in particolare le opzioni di cui all'articolo 3 del
regolamento stesso.
Pertanto, al fine di adeguare la normativa interna al regolamento europeo relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta, il Governo dovrebbe adottare entro il 1° febbraio un decreto ministeriale (al momento non risulta emanato). Con l’approvazione della norma in esame il Governo avrebbe inoltre a disposizione lo strumento del decreto legislativo per attuare la stessa normativa.
Il
Regolamento n. 751 del 2015 e la normativa interna
L’8 giugno 2015 è entrato in vigore il regolamento
(UE) 2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile
2015, relativo alle commissioni
interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta, pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 19 maggio 2015.
Esso stabilisce
l'applicazione di massimali uniformi
di commissioni interbancarie sulle
transazioni di pagamento nazionali e transnazionali effettuate tramite
carta in tutto il territorio dell'Unione europea (le c.d. Multilateral lntercharge Fees,
MIF).
Si tratta delle
commissioni concordate collettivamente, di norma, tra i prestatori di servizi
di pagamento convenzionatori (o acquirer)
e i prestatori di servizi di pagamento emittenti (o issuer) appartenenti al medesimo circuito di carte, versate dal
prestatore di servizi di pagamento dell'esercente al prestatore di servizi di
pagamento del titolare della carta, per ciascuna operazione effettuata con una
carta presso un punto vendita dell'esercente. Quando il titolare usa la carta
per acquistare beni o servizi presso un esercente, quest'ultimo paga in effetti
al proprio prestatore di servizi di pagamento una commissione sul servizio
commerciale: parte di detta commissione è trattenuta dalla banca acquirente
come suo margine, una parte – la MIF
- è versata alla banca emittente e una parte spetta all'operatore del sistema
(tra i più noti: Visa e Mastercard). Le MIF
rappresentano dunque una consistente parte
delle commissioni addebitate agli esercenti (le c.d. Merchant Service Charges, "MSC") e che questi ultimi
trasmettono ai consumatori, incorporandole nei prezzi al dettaglio di beni e
servizi.
Il regolamento
2015/751 mira ad accrescere il livello di concorrenza e di integrazione del
mercato europeo delle carte di pagamento.
A tal fine, a
decorrere dal 9 dicembre 2015 è
previsto un limite all’applicazione di
commissioni interbancarie pari allo 0,3%
del valore della singola transazione per le carte di credito e allo 0,2% per le
carte di debito e prepagate. Con riferimento alle carte di debito e
prepagate sono inoltre previste alcune opzioni
attivabili a livello nazionale, che consentono di rispettare il suddetto limite
dello 0,2% a livello di ciascun circuito
di carte di pagamento invece che per singola transazione.
Il regolamento detta
inoltre requisiti tecnici e commerciali
uniformi allo scopo di rafforzare l’armonizzazione del settore e garantire una
maggiore sicurezza, efficienza e competitività dei pagamenti elettronici, a
vantaggio di esercenti e consumatori. In questa prospettiva è, tra l’altro, limitata la possibilità per gli intermediari di obbligare gli esercenti ad
accettare carte di diversa tipologia e sono introdotti vincoli per
assicurare la separatezza organizzativa e contabile della governance degli schemi di carte da quella relativa alla fornitura
di servizi di processing, nonché
obblighi di trasparenza delle condizioni applicate all’esercente.
Nella seduta del 10 giugno 2015 l'Assemblea
della Camera dei deputati ha
approvato alcune mozioni concernenti
iniziative in materia di circolazione
del denaro contante. Tra l'altro, il Governo viene impegnato a dare rapida
attuazione al regolamento sulle commissioni interbancarie, nelle parti in cui si prevede la facoltà dello Stato membro di definire alcune misure, con la
finalità di equiparare il costo dei mezzi di pagamento elettronici in Italia
alla media dei costi in essere presso gli altri Stati europei.
Si ricorda che, in
particolare (articolo 4 del regolamento) per le operazioni nazionali tramite carta di credito, gli Stati membri
possono stabilire un massimale per operazione sulle commissioni interbancarie
anche inferiore allo 0,3%. Per quanto invece riguarda le operazioni domestiche con le carte di debito (ad esempio, le carte
PagoBancomat), i singoli Stati possono, ai sensi dell’articolo 3 del
regolamento, definire un massimale per operazione sulle commissioni a
percentuale inferiore allo 0,2 per cento; possono anche imporre un importo
massimo fisso di commissione, qualificandolo come limite all'importo della
commissione risultante dalla percentuale applicabile. Gli Stati possono in alternativa
consentire di applicare una commissione fissa di 5 centesimi, eventualmente
anche in combinazione con quella variabile, purché la somma delle commissioni
interbancarie dello schema di carte di pagamento non superi mai lo 0,2 % del
valore totale annuo delle operazioni nazionali tramite carta di debito,
all'interno di ciascuno schema di carte di pagamento.
Inoltre, fino al 9
dicembre 2020, gli Stati membri possono applicare il tetto dello 0,2%,
calcolato come media annuale ponderata di tutte le transazioni effettuate con
le carte di debito nazionali (articolo 3, paragrafo 3).
Sul fronte interno, il decreto 14 febbraio 2014, n. 51 del MEF, al fine di disincentivare l'uso del contante, ha dettato alcune regole per contenere i costi delle commissioni per i pagamenti elettronici e ha individuato gli obblighi a carico dei soggetti che gestiscono i pagamenti elettronici. Le commissioni devono essere differenziate sulla base dei volumi delle transazioni eseguite con carta presso ciascun esercente ovvero presso gruppi di esercenti unitariamente convenzionati. Inoltre, le commissioni devono essere riviste
almeno annualmente, valutandone un abbassamento correlato al volume e al valore delle operazioni di pagamento effettuate presso l'esercente. Per i pagamenti di importo non superiore a trenta euro devono essere applicate commissioni inferiori qualora siano effettuati con terminali evoluti di accettazione multipla (ovvero POS con tecnologie ulteriori rispetto alla banda magnetica e al microchip).
Il decreto non pone tuttavia conseguenze sanzionatorie a carico di chi viola i predetti divieti o le predette norme.
Come detto in precedenza, la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 900), ha attribuito al Ministero dell’economia e delle finanze il compito assicurare la corretta e integrale applicazione del regolamento (UE) n. 751/2015 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2015, esercitando in particolare le opzioni di cui all'articolo 3 del regolamento stesso, con un decreto da emanare entro il 1° febbraio 2016, di concerto col Ministero dello sviluppo economico, sentita la Banca d'Italia. La finalità indicata dalla norma è quella di diffondere l’uso dei pagamenti mediante carte di debito o di credito, in particolare per i pagamenti di importo inferiore a 5 euro (nuovo comma 4-bis all’articolo 15 del decreto-legge n. 179 del 2012).
Il decreto ministeriale deve inoltre prevedere:
a) le modifiche, abrogazioni, integrazioni e semplificazioni alla normativa vigente necessarie a realizzare un pieno coordinamento del regolamento stesso con ogni altra disposizione vigente in materia, in conformità alle definizioni, alla disciplina e alle finalità del regolamento (UE) n. 751/2015;
b) la designazione della Banca d'Italia quale autorità competente per lo svolgimento delle funzioni previste dal regolamento (UE) n. 751/2015 e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato quale autorità competente a verificare il rispetto degli obblighi posti dal medesimo regolamento in materia di pratiche commerciali.
La stessa legge, inoltre, ha introdotto un nuovo comma 4-ter all’articolo 15 del decreto-legge n. 179 del 2012, prevedendo che i prestatori di servizi di pagamento, i gestori di schemi di carte di pagamento e ogni altro soggetto che interviene nell'effettuazione di un pagamento mediante carta applicano le regole e le misure, anche contrattuali, necessarie ad assicurare l'efficace traslazione degli effetti delle disposizioni del decreto di cui al comma 4-bis, tenuto conto della necessità di assicurare trasparenza, chiarezza ed efficienza della struttura delle commissioni e la loro stretta correlazione e proporzionalità ai costi effettivamente sostenuti dai prestatori di servizi di pagamento e dai gestori di circuiti e di schemi di pagamento, nonché di promuovere l'efficienza dei circuiti e degli schemi di riferimento delle carte nel rispetto delle regole di concorrenza e dell'autonomia contrattuale delle parti.
Si prevede, infine, che i decreti ministeriali (sentita la Banca d’Italia) attuativi della norma prevista dal comma 4 del citato articolo 15 (il quale stabilisce l’obbligo per i commercianti e i professionisti di accettare pagamenti mediante carte di debito e di credito) devono disciplinare le modalità, i termini e l'importo delle sanzioni amministrative pecuniarie anche in relazione ai soggetti interessati, anche con riferimento alle fattispecie costituenti illecito e alle relative sanzioni pecuniarie amministrative. Con i medesimi decreti può essere disposta l'estensione degli obblighi a ulteriori strumenti di pagamento elettronici anche con tecnologie mobili.
Le
norme di delega
Il comma 1 anzitutto precisa la forma e le procedure di adeguamento dell’ordinamento nazionale al regolamento n. 751 del 2015. A tal fine si chiarisce che il Governo deve adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le procedure generali di cui all'articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (per cui si rinvia all’introduzione al presente lavoro) ed acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, un decreto legislativo.
Il comma 2 contiene i principi sostanziali di delega. In particolare, oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della già richiamata legge n. 234 del 2012 (illustrati nell’introduzione al presente lavoro) il Governo deve attenersi a principi e criteri direttivi specifici, di seguito illustrato.
Ai sensi della lettera a) del comma 2 si devono prevedere, in conformità alle definizioni, alla disciplina e alle finalità del regolamento, le occorrenti modificazioni, integrazioni e abrogazioni alla normativa vigente, anche di derivazione UE, per i settori interessati dalla normativa da attuare. Scopo di tale intervento alla normativa vigente è di assicurare la corretta e integrale applicazione del regolamento e realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti.
Si segnala che nel corso dell’esame parlamentare, in merito alle disposizioni da modificare e abrogare, è stato soppresso l’espresso riferimento all'articolo 3 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, in materia di spese sostenute per la prestazione di servizi di pagamento.
Il D.Lgs. n. 11 del 2010 è stato emanato in attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno (Payment Services Directive - PSD) ed ha introdotto nell’ordinamento italiano la figura degli istituti di pagamento, intermediari che insieme a banche e Istituti di moneta elettronica (di cui al D.Lgs. n. 45 del 2012, emanato con lo scopo di recepire nell’ordinamento italiano la direttiva 2009/110/CE) effettuano servizi di pagamento (nuovi Titoli V-bis e Titolo V-ter del T.U.B.). Rispetto alla previgente regolamentazione sono state ampliate le possibilità operative degli istituti di moneta elettronica (IMEL): oltre a poter svolgere l'attività di emissione di moneta elettronica, essi possono anche prestare i servizi di pagamento nonché ulteriori attività imprenditoriali (c.d. "IMEL ibridi").
In ambito UE è stata istituita la SEPA, ovvero la Single Euro Payments Area (Area Unica dei Pagamenti in Euro), l'area in cui i cittadini, le imprese, le pubbliche amministrazioni e gli altri operatori economici possono effettuare e ricevere pagamenti in euro con strumenti diversi dal contante, sia all'interno dei confini nazionali che fra i paesi che ne fanno parte, secondo condizioni di base, diritti ed obblighi uniformi.
In particolare, l’articolo 3 del D.Lgs. n. 11 del 2010 reca norme in tema di addebito delle spese nell’ambito del rapporto tra prestatore di servizi di pagamento e l’utilizzatore di detti servizi, vietando tra l’altro l’addebito di spese sostenute per l'adozione di misure correttive e preventive, salvo le ipotesi esplicitamente disciplinate dalla legge. Si chiarisce il principio dell’accordo tra utilizzatore e prestatore nel caso di applicazione delle spese, in modo da risultare adeguate e coerenti con i costi effettivamente sostenuti da quest'ultimo.
E’ previsto che il prestatore di servizi di pagamento possa concedere al beneficiario di applicare al pagatore una riduzione del prezzo del bene venduto o del servizio prestato per l'utilizzo di un determinato strumento di pagamento compreso nell'ambito d'applicazione del presente decreto.
L’articolo 3, comma 4 stabilisce inoltre che il beneficiario non può applicare spese al pagatore per l'utilizzo di un determinato strumento di pagamento. La Banca d'Italia può stabilire con proprio regolamento deroghe, tenendo conto dell'esigenza di promuovere l'utilizzo degli strumenti di pagamento più efficienti ed affidabili.
In merito si ricorda inoltre
che l’articolo 62 del codice del consumo
(D.lgs n. 205 del 2006) prevede, espressamente richiamando l’articolo 3, comma
4 appena illustrato, che i
professionisti non possono imporre ai consumatori,
in relazione all'uso di determinati strumenti di pagamento, spese per l'uso di
detti strumenti ovvero, nei casi espressamente stabiliti, tariffe che
superino quelle sostenute dal professionista.
L'istituto di emissione della carta di pagamento riaccredita al consumatore i pagamenti in caso di addebitamento eccedente rispetto al prezzo pattuito ovvero in caso di uso fraudolento della propria carta di pagamento da parte del professionista o di un terzo. L'istituto di emissione della carta di pagamento ha diritto di addebitare al professionista le somme riaccreditate al consumatore.
Al riguardo si ricorda che il 23 dicembre 2015 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea la seconda direttiva sui servizi di pagamento - PSD2, direttiva (UE) 2015/2366 del 25 novembre 2015 (entrata in vigore il 13 gennaio 2016; gli Stati membri dovranno recepire la direttiva nella legislazione nazionale entro il 13 gennaio 2018). La direttiva mira a promuovere lo sviluppo di un mercato interno dei pagamenti al dettaglio efficiente, sicuro e competitivo rafforzando la tutela degli utenti dei servizi di pagamento, sostenendo l’innovazione e aumentando il livello di sicurezza dei servizi di pagamento elettronici.
Essa tra l’altro prevede che l’illustrato divieto di applicazione di costi ulteriori (surcharge) sia limitato alle operazioni effettuate con strumenti di pagamento per i quali sono stabiliti massimali sulle MIF (in particolare, le carte di pagamento emesse dai circuiti a 4 parti; per gli altri strumenti di pagamento, viene lasciata agli Stati membri la possibilità di scegliere se vietare/limitare il surcharge). Di conseguenza la relazione illustrativa al provvedimento chiarisce che le modifiche all’articolo 3 consentono di circoscrivere il divieto di surcharge esclusivamente agli strumenti su cui le commissioni MIF sono regolate e così anticipando l’ingresso nell’ordinamento di alcune previsioni della PSD2, come auspicato anche dalla Commissione europea e precisato nel considerando n. 66.
Nel corso dell’esame in sede referente sono state soppresse le originarie lettere b), c) e d) del comma 2, con le quali erano individuate nella Banca d’Italia e nell’Autorità Garante della Concorrenza e del mercato le Autorità competenti a svolgere i compiti e le funzioni individuati dal regolamento n. 751 del 2015.
Si ricorda, peraltro, che la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 900) ha previsto che le designazioni della Banca d'Italia quale autorità competente per lo svolgimento delle funzioni previste dal regolamento (UE) n. 751/2015 e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato quale autorità competente a verificare il rispetto degli obblighi posti dal medesimo regolamento in materia di pratiche commerciali, avvengano con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto col Ministero dello sviluppo economico, sentita la Banca d'Italia.
L’articolo
13 del regolamento consente agli Stati membri di designare una o più autorità
competenti incaricate di assicurare il rispetto delle disposizioni del
regolamento, a cui siano attribuiti poteri di indagine e di controllo. Compito
di dette autorità è di controllare efficacemente la conformità con il
regolamento, anche per contrastare tentativi di elusione da parte dei
prestatori di servizi di pagamento, e di adottare tutte le misure necessarie
per garantire tale conformità.
L’originaria lettera b) disponeva che, tenuto conto delle competenze definite dall'ordinamento nazionale ed europeo nel comparto disciplinato dal regolamento (UE) n. 751/2015, e fatto salvo quanto previsto alla lettera c) in tema di compiti specifici dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, fosse designata la Banca d'Italia quale Autorità competente per lo svolgimento delle funzioni previste dal regolamento medesimo. Essa adotta le proprie decisioni previo parere della citata Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Con l’originaria lettera c), tenuto conto dell'esigenza di prevenire o rimuovere le pratiche commerciali scorrette derivanti dalla violazione degli obblighi posti dal regolamento da attuare, si chiariva che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato è competente a verificarne il rispetto. Nell'esercizio di tale competenza, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, qualora la pratica sia posta in essere da un soggetto che opera nel settore del credito, adotterà le proprie decisioni previo parere della Banca d' Italia.
Inoltre, ai sensi dell’originaria lettera d), si disponeva che fossero attribuiti alle Autorità designate, ove del caso, i già menzionati i poteri di vigilanza e di indagine previsti dal regolamento n. 751/2015 e, ove opportuno, il potere di adottare disposizioni secondarie funzionali a garantire l'efficace applicazione del regolamento avuto riguardo, tra l'altro, all'esigenza di semplificare, ove possibile, gli oneri per i destinatari.
Le lettere b) ed c) si occupano dell’apparato sanzionatorio. In particolare, la lettera e) dispone che il Governo predisponga un apparato di sanzioni amministrative per le violazioni degli obblighi contenuti nel regolamento, ai sensi dell'articolo 14 del regolamento medesimo (il quale si limita a chiarire che gli Stati membri devono porre sanzioni).
Le norme impegnano il Governo a valutare l'opportunità di razionalizzare il sistema sanzionatorio previsto in materia di servizi di pagamento al dettaglio.
Nel corso dell’esame in sede referente è stata soppressa la disposizione volta a razionalizzare, in particolare, il sistema sanzionatorio previsto in materia di servizi di pagamento al dettaglio. In particolare la disposizione soppressa faceva riferimento alle sanzioni previste dal decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11 nonché a quelle previste per le violazioni del regolamento (CE) n. 924/2009, relativo ai pagamenti transfrontalieri in euro, e del regolamento (UE) 260/2012 che stabilisce i requisiti tecnici e commerciali per i bonifici e gli addebiti diretti in euro.
La razionalizzazione può avvenire anche attraverso l'introduzione di una disciplina omogenea rispetto a quella prevista dal Titolo VIII, relativo alle Sanzioni, Capi V e VI, del TUB (decreto legislativo n. 385 del 1993), specialmente con riferimento ai limiti edittali massimi e minimi ivi previsti.
Si rammenta che l’articolo 32 del D.Lgs. n. 11 del 2010 dispone l’apparato sanzionatorio concernente la disciplina della prestazione dei servizi di pagamento. In sintesi, le norme comminano sanzioni amministrative pecuniarie per la grave inosservanza degli obblighi previsti dalle norme suddette; la sanzione è comminata ai soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione, nonché dei dipendenti dei prestatori di servizi di pagamento. Le predette sanzioni si applicano anche ai soggetti che svolgono funzioni di controllo per la violazione delle norme ivi indicate o per non aver vigilato affinché le stesse fossero osservate da altri (culpa in vigilando). Le sanzioni previste per i dipendenti si applicano anche a coloro che operano nell'organizzazione del prestatore di servizi di pagamento anche sulla base di rapporti diversi dal lavoro subordinato. In caso di reiterazione delle violazioni, ferma l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria, può essere disposta la sospensione dell'attività di prestazione di servizi di pagamento.
Se i servizi sono offerti da prestatori di servizi di pagamento insediati in Italia e da agenti o filiali di prestatori di servizi di pagamento comunitari che operano in regime di libero stabilimento in Italia, le sanzioni sono irrogate dalla Banca d'Italia. Si applicano le norme del Testo Unico Bancario (articolo 145 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385) in materia di procedura per l’irrogazione delle sanzioni.
Il decreto legislativo n. 135 del 2015
reca la disciplina sanzionatoria per le
violazioni delle disposizioni contenute nelle norme UE (menzionati
regolamenti 924/2009 e 260/2012) relative ai pagamenti transfrontalieri nella Comunità, e che stabiliscono i requisiti tecnici e commerciali per i
bonifici e gli addebiti diretti in euro. In sintesi, anche per le
violazioni dei predetti regolamenti sui requisiti tecnici di bonifici e
addebiti diretti sono previste sanzioni amministrative pecuniarie; esse però
non sono irrogate nei confronti dei dipendenti o degli organi di direzione e
controllo dei prestatori dei servizi di pagamento - PSP, bensì nei confronti dei PSP medesimi, ovvero nei confronti del gestore o, in assenza di un gestore,
dei partecipanti a un sistema di
pagamento al dettaglio. Anche per tali violazioni, nei casi più
significativi, può essere comminata la sanzione della sospensione dell’attività.
Si ricorda infine che l’apparato sanzionatorio del Testo Unico Bancario è stato profondamente innovato dal D.lgs. n. 72 del 2015, in attuazione delle disposizioni della direttiva CRD IV (Direttiva 2013/36/UE sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento). Coerentemente all’articolo 65 della Direttiva, si è passati ad un sistema volto a sanzionare in primo luogo l'ente e, solo sulla base di presupposti che saranno individuati dal diritto nazionale anche l'esponente aziendale o la persona fisica responsabile della violazione. Con previsioni ulteriori rispetto alla Direttiva CRD IV, ma nei limiti della legge di delega, il D.Lgs. n. 72 del 2015 ha differenziato i limiti minimo e massimo all’entità della sanzione applicabile alle società o enti (tra un minimo di 30.000 euro e un massimo del 10 per cento del fatturato) ed alle persone fisiche (da 5.000 euro a 5 milioni di euro). Si consente di elevare dette sanzioni fino al doppio dell’ammontare del vantaggio ottenuto, purché tale ammontare sia determinabile. Per le fattispecie connotate da minore effettiva offensività o pericolosità sono stati predisposti strumenti deflativi del contenzioso e di semplificazione dei procedimenti di applicazione della sanzione. Le autorità di vigilanza possono altresì adottare misure alternative, quali l’ordine di cessare o porre rimedio a condotte irregolari, in presenza di specifici presupposti.
Da ultimo, lo schema di decreto legislativo (A.G. 255, approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) contiene norme volte a recepire nel TUF con un unico intervento la disciplina sanzionatoria prevista dalle direttive UCITS V (2014/911UE) e MiFID II (2014/65/UE). Si ricorda, infatti, che a livello europeo si sta cercando di allineare per quanto possibile il regime sanzionatorio contenuto nelle direttive CRD, MiFID, UCITS, AIFMD, Market Abuse e Trasparency, che disciplinano a vario titolo il settore dei servizi finanziari. La revisione di tali direttive procede in modo parallelo.
La lettera c), modificata in sede referente, chiarisce che l'entità delle sanzioni è differenziata secondo il destinatario: la sanzione applicabile alle società o agli enti deve essere compresa tra un minimo di 30 mila euro e un massimo di 5 milioni di euro ovvero del 10 per cento del fatturato quando tale importo è superiore a 5 milioni di euro e il fatturato è disponibile e determinabile.
La sanzione applicabile alle persone fisiche deve essere compresa tra un minimo di 5 mila euro e un massimo di 5 milioni di euro.
La lettera d) prescrive l’introduzione di procedure di reclamo e di risoluzione stragiudiziale delle controversie tra beneficiari e prestatori di servizi di pagamento, in conformità a quanto previsto dall'articolo 15 del regolamento (UE) n. 751/2015, anche avvalendosi di procedure e organismi già esistenti
Ai sensi del richiamato articolo 15 del regolamento, gli Stati membri garantiscono e promuovono procedure extragiudiziali di reclamo e di ricorso adeguate ed efficaci o adottano misure equivalenti per la risoluzione delle controversie che insorgano tra i beneficiari e i loro prestatori di servizi di pagamento. A tal fine, gli Stati membri designano organismi esistenti, se del caso, o istituiscono nuovi organismi. Gli organismi sono indipendenti dalle parti.
Si segnala che ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis del D.Lgs. n. 40 del 2010, per le controversie in materia di contratti bancari e finanziari, prima di procedere innanzi all'autorità giudiziaria deve essere esperito il procedimento di risoluzione stragiudiziale delle controversie disciplinato dall'articolo 128-bis del decreto legislativo 1°; settembre 1993, n. 385. In attuazione di tale disposizione, nel 2009 è stato istituito l'Arbitro Bancario Finanziario (ABF). Il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR), con Delibera del 29 luglio 2008, ha stabilito i criteri per lo svolgimento delle procedure di risoluzione delle controversie e ha affidato alla Banca d'Italia il compito di curarne l'organizzazione e il funzionamento. In applicazione della Delibera del CICR la Banca d'Italia ha adottato le disposizioni che regolano il funzionamento del sistema stragiudiziale ABF nel suo complesso.
Si ricorda altresì che, ai sensi dell'articolo 40 del D.Lgs. n. 11 del 2010 -per le controversie concernenti i servizi di pagamento, gli utilizzatori di tali servizi possono avvalersi di sistemi, organismi o procedure di risoluzione stragiudiziale; resta in ogni caso fermo il diritto degli utilizzatori di adire la competente autorità giudiziaria. A tal fine i prestatori di servizi di pagamento aderiscono a sistemi, organismi o procedure costituiti ai sensi di norme di legge o con atto di autoregolamentazione delle associazioni di categoria. Le banche, gli istituti di moneta elettronica e gli istituti di pagamento aderiscono ai sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie previsti dal richiamato articolo 128-bis, per le controversie individuate dalle norme attuative del medesimo articolo. Per la risoluzione delle controversie transfrontaliere i sistemi, organismi o procedure di cui ai commi 1 e 2 prevedono forme di collaborazione con quelli istituiti negli altri Stati Membri.
Anche l’articolo 7 del già citato decreto legislativo n. 135 del 2015 (in tema di requisiti tecnici per bonifici e addebiti diretti) consente di risolvere stragiudizialmente le controversie relative ai diritti ed agli obblighi derivanti dai regolamenti n. 260/2012 e n. 924/2009, con applicazione dell'articolo 40 del citato D.Lgs. n. 11 del 2010. Dunque, per le controversie concernenti i servizi di pagamento, gli utilizzatori di tali servizi possono avvalersi di sistemi, organismi o procedure di risoluzione stragiudiziale (ossia il già citato Arbitro Bancario Finanziario - ABF), fermo il diritto degli utilizzatori di adire la competente autorità giudiziaria. A tal fine i prestatori di servizi di pagamento aderiscono a sistemi, organismi o procedure costituiti ai sensi di norme di legge o con atto di autoregolamentazione delle associazioni di categoria. Per la risoluzione delle controversie transfrontaliere i sistemi, organismi o procedure di risoluzione devono prevedere forme di collaborazione con quelli istituiti negli altri Stati Membri.
Si ricorda, da ultimo, che la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 46) allo scopo di assicurare tempestivamente ai risparmiatori e agli investitori una procedura di effettiva tutela stragiudiziale delle controversie, ha rimesso alla Consob la disciplina delle modalità per assicurare l'introduzione di meccanismi di risoluzione stragiudiziale attraverso l'istituzione di un apposito organo i cui componenti sono da essa nominati, a partecipazione obbligatoria, in grado di assicurare la rapida, economica soluzione delle controversie, il contraddittorio tra le parti e l'effettività della tutela in assenza di maggiori oneri per la finanza pubblica.
Nel
corso dell’esame in sede referente è stato soppresso
il comma con il quale si demandava al Governo di assumere entro il 9
giugno 2016 (data citata dall'articolo 18, paragrafo 2, del regolamento n.
751/2015) le iniziative necessarie per incentivare la definizione efficiente, sotto il profilo economico, delle commissioni interbancarie sulle carte di debito per le operazioni nazionali, con l'obiettivo di facilitare l'utilizzo di tali strumenti
in segmenti di mercato connotati da un utilizzo
elevato del contante e di ridurre
gli oneri connessi alla loro accettazione, e conformemente all'articolo 3
del regolamento.
Il comma 3 consente al Governo di emanare le eventuali disposizioni correttive e integrative alla normativa delegata, nel termine di ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo che adegua l’ordinamento al regolamento n. 751/2015, con la medesima procedura e nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi sostanziali di cui al comma 2.
Il comma 4 reca la clausola di invarianza
finanziaria.
Articolo
12
(Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2015/2366
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai servizi
di pagamento nel mercato interno, che modifica le direttive 2002/65/CE, 2009/110/CE
e 2013/ 36/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010, e abroga la direttiva 2007/64/CE)
L’articolo 12, introdotto durante l’esame alla Camera, delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, un decreto legislativo per l’attuazione della direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno (payment services directive II – PSD II).
Il decreto legislativo è adottato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con i Ministri della giustizia, degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dello sviluppo economico, con le generali procedure di cui all’articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (per cui si rinvia alla parte introduttiva del presente lavoro), acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari (comma 1, alinea).
La prima Direttiva sui servizi di pagamento, direttiva 2007/64/CE (Payment Services Directive – PSD) ha definito un quadro giuridico comune per gli Stati Membri dell’Unione, vincolando i paesi a modificare il proprio ordinamento giuridico per:
a) rendere uniformi i servizi di pagamento;
b) ampliare la gamma dei prestatori.
Quanto al primo punto, la Direttiva indicava tempi certi e uniformi per il completamento dell’operazione di pagamento; accresceva la trasparenza vietando forme di tariffazione implicita (ad esempio attraverso i “giorni valuta”); rafforzava la tutela dell’utente inducendo una maggiore consapevolezza nel rapporto con l’intermediario; accresceva la responsabilità diretta del prestatore di servizi rispetto al cliente.
Quanto al punto b), la Direttiva ha introdotto una nuova figura di intermediario finanziario specializzato nell’offerta di servizi di pagamento (l’istituto di pagamento), assoggettandolo a un regime prudenziale ad hoc e consentendogli l’offerta combinata di attività anche non finanziarie.
La Direttiva PSD si colloca nel quadro della creazione della SEPA – Single Euro Payments Area, ovvero l’Area Unica dei Pagamenti in Euro, promossa dall’Unione Europea (Commissione e Sistema europeo delle banche centrali - SEBC) per modificare la struttura del mercato dei pagamenti e ricondurre l’esecuzione e la ricezione dei pagamenti in euro a regole, procedure operative e prassi di mercato uniformi e dunque sviluppare servizi di pagamento comuni a tutta l'Unione. Essa comprende i paesi dell’Unione e i tre paesi dello Spazio Economico Europeo (Islanda, Norvegia e Liechtenstein), oltre a Svizzera e Principato di Monaco. Il progetto favorisce lo sviluppo di strumenti elettronici, che presentano costi per la collettività inferiori a quelli degli strumenti.
In tale contesto la Direttiva PSD, fissando regole armonizzate per l’esecuzione di tutti i pagamenti, è stata la cornice normativa di supporto alla SEPA, con cui condivide due obiettivi fondamentali: l’innovazione nell’offerta di servizi di pagamento e l’aumento della contendibilità del mercato.
In Italia la direttiva è stata recepita con il D.Lgs. n. 11 del 2010, che ha introdotto nell'ordinamento italiano la figura degli istituti di pagamento, intermediari che insieme a banche e istituti di moneta elettronica effettuano servizi di pagamento (nuovi Titoli V-bis e Titolo V-ter del Testo Unico Bancario, di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993).
Si rammenta poi che con il regolamento (CE) n. 924/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, relativo ai pagamenti transfrontalieri nella Comunità, sono state introdotte misure per promuovere il sistema SEPA, quali l'estensione all'addebito diretto transfrontaliero del principio della parità delle commissioni e la raggiungibilità per gli addebiti diretti. Successivamente, con il regolamento (UE) n. 260/2012 del 14 marzo 2012 è stata resa cogente la migrazione del mercato dei servizi di pagamento verso l'area unica dei pagamenti in euro (SEPA), assicurando che i prestatori di servizi di pagamento (PSP) e gli utilizzatori dei servizi di pagamento (USP) migrino ai bonifici ed agli addebiti diretti paneuropei alle medesime condizioni, in linea con i medesimi requisiti. Le condizioni del regolamento sono entrate in vigore a partire dal 1° febbraio 2014, con alcune specifiche deroghe.
In origine, entro la stessa data del 1° febbraio 2014 i bonifici e gli addebiti avrebbero dovuto essere eseguiti conformemente ai requisiti tecnici specificamente stabiliti dall'articolo 5 del regolamento (scadenza posta dal successivo articolo 6). Dal momento che le norme sono entrate in vigore il 31 marzo 2012, l'UE ha concesso dunque ai partecipanti al mercato due anni di tempo per adeguare le loro procedure di pagamento ai requisiti SEPA per i bonifici e gli addebiti diretti.
Tuttavia, in considerazione del basso ritmo di migrazione registrato per i bonifici in alcuni Stati membri e per gli addebiti diretti nella maggior parte degli Stati membri, il regolamento UE n. 248/2014 del 26 febbraio 2014 ha autorizzato i prestatori di servizi di pagamento, per un periodo di tempo limitato, a continuare il trattamento delle operazioni di pagamento mediante i sistemi tradizionali; in particolare è stato posticipato di sei mesi, dal 1° febbraio al 1° agosto 2014, il termine per l'uniformazione del trattamento di bonifici e addebiti diretti SEPA.
In ottemperanza alle norme UE e alla delega appositamente conferita, il decreto legislativo n. 135 del 2015 ha poi fissato le sanzioni per le violazioni dei predetti regolamenti in tema di bonifici e addebiti diretti in euro.
Dal riesame del quadro europeo e dalla consultazione pubblica sul Libro verde della Commissione del 2012 “Verso un mercato europeo integrato dei pagamenti tramite carte, internet e telefono mobile”, è emersa la necessità di adottare ulteriori misure e di apportare adeguamenti alla normativa sui servizi di pagamento, per rispondere meglio alle esigenze di un vero e proprio mercato unico dei pagamenti e contribuire a tutti gli effetti ad una migliore tutela della concorrenza, dell’innovazione e della sicurezza.
E’ stata dunque adottata la direttiva 2015/2366/(UE) del 25 novembre 2015 (cd. PSD2) che ha revisionato la precedente direttiva PSD del 2007 per promuovere lo sviluppo di un mercato interno dei pagamenti al dettaglio efficiente, sicuro e competitivo, rafforzando la tutela degli utenti dei servizi di pagamento, sostenendo l’innovazione e aumentando il livello di sicurezza dei servizi di pagamento elettronici.
La revisione della direttiva PSD è stata necessaria anzitutto per tenere conto di nuovi tipi di servizi di pagamento, privi di regolamentazione ancorché meno costosi. Allo stesso tempo, alcune regole della PSD (tra cui l’esenzione dall’applicazione delle norme ivi contenute, in relazione ad alcuni specifici servizi) sono state trasposte in modo diverso dai Paesi membri, comportando così arbitraggi e incertezza giuridica, così come un eterogeneo livello di protezione dei consumatori. La proposta di modifica è stata parte di un pacchetto di misure legislative sui servizi di pagamento, tra cui il regolamento 2015/751 sulle commissioni interbancarie, entrato in vigore il 9 giugno 2015.
La direttiva PSD2 regolamenta nuovi servizi di pagamento e nuove istituzioni finanziarie. Sono inoltre aggiornate le esenzioni stabilite per i pagamenti telematici.
Sotto un primo profilo, viene modificato l’ambito della cd. telecom exemption, ossia l’esenzione dagli obblighi PSD per gli operatori di telecomunicazioni. In conformità alla direttiva del 2007, gli operatori di telecomunicazioni potevano effettuare vendite di suonerie, sfondi, giochi e altri contenuti digitali senza doversi adeguare ai requisiti della direttiva PSD. Con le nuove regole, l’ambito di tale eccezione è ristretto; essa si applica al solo contenuto digitale fornito da terze parti e al di sotto di una certa soglia di valore. In particolare, il valore di ciascuna singola transazione non può superare i 50 euro e il valore cumulativo non può superare i 300 euro per ciascun mese di fatturazione.
Sono resi più stringenti la cooperazione e lo scambio di informazioni tra Autorità nazionali in sede di rilascio di autorizzazione e vigilanza sugli istituti di pagamento. Si prevede che l’Autorità Bancaria Europea (EBA) tenga un registro centralizzato degli istituti di pagamento autorizzati e iscritti.
Inoltre, per rendere più sicuri i pagamenti elettronici, sono introdotte misure che gli istituti di pagamento – ivi comprese le banche – devono sviluppare obbligatoriamente. La relativa determinazione degli standard è affidata all’EBA. Scopo della PSD 2 (in combinazione con le nuove norme sulle commissioni interbancarie del regolamento n. 751 del 2015) è di impedire ai fornitori di beni e servizi di porre a carico dei consumatori costi aggiuntivi per l’utilizzo di carte di pagamento.
Le misure di sicurezza disposte dalle nuove norme consentiranno di proteggere in modo più efficace i consumatori dalle frodi e dagli abusi, in particolare con riferimento alle transazioni non autorizzate: infatti, fuori dalle ipotesi di frode o grave negligenza del pagatore, il massimo ammontare che gli si potrà chiedere in caso di transazioni non autorizzate scenderà da 150 a 50 euro. Inoltre la direttiva obbliga gli Stati a designare autorità specificamente competenti per gestire le denunce degli utilizzatori dei servizi di pagamento e degli altri utenti interessati (tra cui le associazioni dei consumatori) per supposte violazioni della direttiva.
Sempre con riferimento alla sicurezza dei pagamenti, tutti i fornitori di servizi di pagamento (tra cui banche e istituti di pagamento, così come le terze parti) dovranno provare di avere messo in atto specifiche misure di sicurezza. Il prestatore di servizi di pagamento dovrà fornire una dichiarazione sui rischi operativi e delle relative contromisure, aggiornandole una volta l’anno.
Un’altra significativa differenza concerne l’ambito di applicazione della nuova direttiva: la prima direttiva PSD (2007/64/CE) si applicava solo ai pagamenti interni all’Unione, mentre la PSD 2 estende un certo numero di obblighi (tra cui gli obblighi informativi) anche ai pagamenti da/per Paesi terzi, ove uno dei prestatori di servizi di pagamento sia sito nell’Unione Europea.
Le nuove regole della PSD 2 obbligano gli istituti di pagamento a soddisfare un insieme di requisiti per ottenere l’autorizzazione, sono sostanzialmente i medesimi richiesti dalla direttiva PSD ma con una principale differenza, che riguarda l’innalzamento dei requisiti di sicurezza dei pagamenti. Gli enti che intendono chiedere l’autorizzazione per essere riconosciuti quali istituti di pagamento dovranno produrre, insieme alla richiesta, un documento di policy sulla sicurezza, così come una descrizione della procedura di gestione degli incidenti. Sono previsti inoltre specifici requisiti di capitale per I prestatori terze parti, in relazione ad attività e rischi che rappresentano.
Viene mantenuto il cd. regime waiver, che consente agli istituti con un volume medio di transazioni mensili inferiore a tre milioni di euro di usufruire di un regime autorizzatorio più leggero, ove lo Stato di provenienza abbia usufruito di detta opzione consentita dalle norme UE. La PSD 2 consente agli Stati membri di definire una soglia più bassa di tre milioni di euro per accedere a tale regime.
La direttiva PSD 2 consente inoltre agli Stati membri di richiedere ad un istituto di pagamento di che fornisce servizi cross-border di predisporre un punto di contratto centrale, se opera con agenti o branche stabilite nel loro territorio, allo scopo di fornire comunicazioni e informazioni adeguate con riferimento alle attività svolte nel territorio ospitante.
Sempre sotto il profilo della sicurezza, i prestatori di servizi di pagamento dovranno applicare la cd. autenticazione rafforzata del cliente (strong customer authentication - SCA): si tratta di un processo che convalida l’identità dell’utlizzatore del servizio o la transazione di pagamento (più specificamente, verifica se l’uso di uno strumento di pagamento è autorizzato). Essa si basa sull’uso di due o più elementi, basati sulla conoscenza (ad esempio una password o un PIN), sul possesso (una tessera o un dispositivo che genera codice) o sull’inerenza (impronte digitali o riconoscimento vocale) per convalidare l’utilizzatore o la transazione. Tali elementi devono essere indipendenti (per cui una frode, un furto o una violazione inerenti a ciascun elementi non compromette l’affidabilità degli altri) e deve essere progettato in modo tale da proteggere la riservatezza dei dati utilizzati per l’autenticazione.
Sono previsti ulteriori requisiti per le transazioni remote (ad esempio i pagamenti online). In linea di principio, tutti i mezzi di pagamento online sono soggetti alla SCA, con specifiche eccezioni definite dall’EBA e adottate dalla Commissione UE in considerazione dei rischi coinvolti, del valore delle transazioni e dei canali di pagamento utilizzati.
Gli Stati membri dovranno recepire la direttiva nella legislazione nazionale entro il 13 gennaio 2018.
Il comma 1 dell’articolo 12 indica gli specifici criteri e principi direttivi per il recepimento della direttiva PSD 2.
In particolare (lettera a) del comma 1) impone di apportare al già richiamato D.lgs. n. 11 del 2010, col quale è stata recepita la direttiva 2007/64/CE, e al Testo unico bancario (D.lgs. n. 385 del 1993), le modifiche e le integrazioni necessarie al recepimento della direttiva e dei relativi atti delegati adottati dalla Commissione europea.
Le modifiche hanno il duplice obiettivo di favorire l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici e promuovere lo sviluppo di un mercato concorrenziale dei servizi di pagamento.
Ove opportuno, le norme di recepimento dovranno prevedere il ricorso alla disciplina secondaria della Banca d’Italia che, nell’esercizio dei poteri regolamentari, tiene conto delle linee guida emanate dall’Autorità bancaria europea.
Viene designata (comma 1, lettera b)) la Banca d’Italia quale autorità competente per assicurare l’effettiva osservanza delle disposizioni di attuazione della direttiva, attribuendole i poteri di vigilanza e di indagine previsti dalla medesima direttiva.
La Banca d’Italia (lettera c)) è inoltre designata quale autorità competente a specificare le regole che disciplinano l’accesso degli istituti di pagamento ai conti detenuti presso banche nonché ad assicurarne il rispetto, tenendo conto delle esigenze di concorrenzialità del mercato di riferimento secondo logiche non discriminatorie e di promozione della diffusione dei servizi di pagamento elettronici.
Si rammenta in proposito che la direttiva PSD2 (articolo 36) impone agli Stati membri di provvedere affinché gli istituti di pagamento abbiano accesso ai servizi relativi ai conti di pagamento degli enti creditizi in maniera obiettiva, proporzionata e non discriminatoria. L’accesso deve essere sufficientemente ampio da consentire all’istituto di pagamento di fornire servizi di pagamento in modo agevole ed efficiente.
La lettera d) del comma 1 prevede che il servizio di disposizione di ordine di pagamento e il servizio di informazione sui conti, così come definiti dalla direttiva, siano assoggettati alla riserva prevista per la prestazione di servizi di pagamento.
L’articolo 4 della direttiva definisce “servizio di disposizione di ordine di pagamento” il servizio che dispone l’ordine di pagamento su richiesta dell’utente di servizi di pagamento, relativamente a un conto di pagamento detenuto presso un altro prestatore di servizi di pagamento (es. PayPal).
Il servizio di informazione sui conti è un servizio online che fornisce informazioni consolidate relativamente a uno o più conti di pagamento detenuti dall’utente di servizi di pagamento presso un altro prestatore di servizi di pagamento o presso più prestatori di servizi di pagamento.
Con i servizi di disposizione di ordine di pagamento, il prestatore può assicurare al beneficiario che il pagamento è stato disposto, così da incentivare il beneficiario a consegnare i beni o a prestare il servizio senza indebiti ritardi. Si tratta di servizi che offrono una soluzione a basso costo per i commercianti e i consumatori e consentono a questi ultimi di fare acquisti online anche senza carte di pagamento, ma che non rientrano nel campo della direttiva 2007/64/CE, dunque non sono vigilati e non soggetti ai requisiti di cui alla medesima direttiva, con implicazioni significative sul piano della tutela dei consumatori, della sicurezza e della responsabilità, nonché della concorrenza e delle questioni legate alla protezione dei dati.
I prestatori di servizi di disposizione di ordine di pagamento non stabiliscono necessariamente una relazione contrattuale con i prestatori di servizi di pagamento di radicamento del conto.
Le norme della direttiva dunque impongono un accesso su autorizzazione e specifici obblighi, anche informativi, con riferimento ai prestatori di servizi di disposizione di ordine di pagamento.
La lettera e), con riferimento al servizio di disposizione di ordine di pagamento, individua nella Banca d’Italia l’autorità competente a disciplinare la prestazione del servizio, anche ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’avvio dell’attività e dell’esercizio del controllo sui relativi prestatori.
Per quanto concerne il servizio di informazione sui conti, con una disposizione analoga la lettera f) del comma 1 individua nella Banca d’Italia l’autorità competente a disciplinare la prestazione del servizio, anche ai fini della registrazione e dell’esercizio del controllo sui relativi prestatori.
La lettera g) del comma 1 delega il Governo, in linea con quanto previsto dall’articolo 20 della direttiva (UE) 2015/2366, ad emanare disposizioni che assicurino una chiara e corretta ripartizione di responsabilità tra i prestatori di servizi di pagamento di radicamento del conto e i prestatori di servizi di disposizione di ordine di pagamento coinvolti nell’operazione, con l’obiettivo di garantire che ciascun prestatore di servizi di pagamento si assuma la responsabilità per la parte dell’operazione sotto il proprio controllo.
Il richiamato articolo 20 impone agli Stati membri di assicurare che gli istituti di pagamento che affidino a terzi la prestazione di funzioni operative adottino misure ragionevoli per garantire il rispetto delle prescrizioni della presente direttiva; devono altresì esigere che gli istituti di pagamento rimangano pienamente responsabili per tutti gli atti compiuti dai loro dipendenti, o da qualsiasi agente, succursale o entità cui vengono esternalizzate attività.
Ai sensi della lettera h) sono definiti i principi e i criteri direttivi per disciplinare i prestatori di servizi di pagamento di altro Stato membro dell’Unione europea che prestano servizi di pagamento nel territorio della Repubblica tramite agenti.
In particolare le norme delegate devono prevedere l’obbligo di istituire un punto di contatto centrale al ricorrere dei presupposti individuati dalle norme tecniche di regolamentazione dettate dall’EBA (ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 5, della direttiva 2015/2366), in modo da garantire l’efficace adempimento degli obblighi previsti dai titoli III e IV della medesima direttiva, rispettivamente concernenti, rispettivamente, la trasparenza delle condizioni e requisiti informativi per i servizi di pagamento e i diritti e gli obblighi in relazione alla prestazione e all’uso di servizi di pagamento.
Le norme delegate devono attribuire alla Banca d’Italia il compito di adottare una disciplina di attuazione, con particolare riguardo alle funzioni che devono essere svolte dai punti di contatto.
La lettera i) dispone che il legislatore delegato deve avvalersi della facoltà, prevista dalla direttiva, di vietare il diritto del beneficiario di imporre spese, tenendo conto della necessità di incoraggiare la concorrenza e di promuovere l’uso di strumenti di pagamento efficienti.
L’articolo 62, comma 5 della direttiva consente agli Stati membri di vietare o limitare il diritto del beneficiario di imporre spese, tenendo conto della necessità di incoraggiare la concorrenza e di promuovere l’uso di strumenti di pagamento efficienti.
Inoltre le norme delegate devono designare l’Autorità garante della concorrenza e del mercato quale autorità competente a verificare l’effettiva osservanza del divieto e ad applicare le relative sanzioni, avvalendosi a tal fine degli strumenti, anche sanzionatori, previsti dal codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.
Ai sensi della lettera l) del comma 1, il decreto legislativo di recepimento dovrà prevedere le sanzioni amministrative per le violazioni delle disposizioni dettate in attuazione della direttiva PSD2.
In tale sede dovrà essere valutata una razionalizzazione del sistema sanzionatorio previsto in materia di servizi di pagamento al dettaglio, con particolare riferimento alle sanzioni previste dal menzionato decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, così come quelle previste dal decreto legislativo n. 135 del 2015 per le violazioni del regolamento (CE) n. 924/ 2009 e del regolamento (CE) 260/2012 in tema di requisiti tecnici dei bonifici e degli addebiti diretti in euro (per cui si veda il paragrafo introduttivo).
Si ricorda che il D.lgs. n. 135 del 2015, rispetto al precedente sistema, ha previsto che le sanzioni contemplate dal D.Lgs. n. 3 del 2011, così come le nuove, non siano più applicate ai soggetti che svolgono funzioni apicali nei PSP, ai dipendenti dei prestatori di servizi di pagamento o ai soggetti che vi svolgono funzioni di controllo - per la violazione delle norme europee o per non aver vigilato affinché le stesse siano osservate da altri -bensì nei confronti dei prestatori di servizi di pagamento.
Si potrà dunque introdurre una disciplina omogenea a quella prevista dal Testo Unico Bancario (titolo VIII, capi V e VI, del D.lgs. n. 385 del 1993) le cui sanzioni sono state modificate in analoga direzione dal D.lgs. n 72 del 2015.
In estrema sintesi, il predetto D.lgs. n. 72 del 2015 ha modificato l’impianto sanzionatorio del Testo Unico Bancario disponendo, anzitutto, la differenziazione del trattamento di persone fisiche e di persone giuridiche, nonché la rimodulazione della misura delle sanzioni. Più in dettaglio, il D.lgs. n. 72 ha disposto che sia sanzionato in primo luogo l'ente e, solo sulla base di presupposti individuati dalla legge, anche l'esponente aziendale o la persona fisica responsabile della violazione. Tali criteri informano non solo le sanzioni del Testo Unico Bancario, ma anche per quelle recate dal Testo Unico Finanziario - TUF (D.lgs. n. 58 del 1998) a seguito di violazioni della disciplina in materia di intermediari e dei mercati.
Si dispone dunque che il legislatore delegato preveda l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie da 30.000 euro fino a 5 milioni di euro, ovvero fino al 10 per cento del fatturato quando tale importo è superiore a 5 milioni di euro e il fatturato è disponibile e determinabile.
In ordine alle disposizioni transitorie, la lettera m) del comma 1 dispone che gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica che hanno iniziato a prestare alcuni specifici servizi di pagamento, indicati dai punti da 1 a 6 dell’allegato I alla direttiva 2015/2366, conformemente alle disposizioni di diritto nazionale di recepimento della precedente direttiva PSD possano continuare tale attività fino al 13 luglio 2018.
Si tratta dei seguenti servizi:
1. servizi che permettono di depositare il contante su un conto di pagamento nonché tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento;
2. servizi che permettono prelievi in contante da un conto di pagamento nonché tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento;
3. esecuzione di operazioni di pagamento, incluso il trasferimento di fondi, su un conto di pagamento presso il prestatore di servizi di pagamento dell’utente o presso un altro prestatore di servizi di pagamento:
o esecuzione di addebiti diretti, inclusi addebiti diretti una tantum;
o esecuzione di operazioni di pagamento mediante carte di pagamento o analogo dispositivo;
o esecuzione di bonifici, inclusi ordini permanenti;
4. esecuzione di operazioni di pagamento quando i fondi rientrano in una linea di credito accordata ad un utente di servizi di pagamento:
o esecuzione di addebiti diretti, inclusi addebiti diretti una tantum;
o esecuzione di operazioni di pagamento mediante carte di pagamento analogo dispositivo;
o esecuzione di bonifici, inclusi ordini permanenti;
5. emissione di strumenti di pagamento e/o convenzionamento di operazioni di pagamento;
6. rimessa di denaro.
Inoltre (lettera n)) il decreto di recepimento deve prevedere disposizioni transitorie in favore dei prestatori di servizi di pagamento autorizzati a prestare i servizi di cui al numero 7 dell’Allegato alla direttiva 2007/64/CE, ovvero l’esecuzione di operazioni di pagamento in cui il consenso del pagatore ad eseguire l'operazione di pagamento sia dato mediante un dispositivo di telecomunicazione, digitale o informatico e il pagamento sia effettuato all'operatore del sistema o della rete di telecomunicazioni o digitale o informatica che agisce esclusivamente come intermediario tra l'utente di servizi di pagamento e il fornitore di beni e servizi.
Il decreto delegato dovrà prevedere che i predetti prestatori mantengano tale autorizzazione per la prestazione di servizi di pagamento che rientrano tra quelli di cui al richiamato numero 3) dell’allegato I alla direttiva (UE) 2015/2366 se, entro il 13 gennaio 2020, le autorità competenti dispongono di elementi che attestano il rispetto dei requisiti relativi al capitale iniziale e al computo dei fondi propri previsti dalla direttiva (UE) 2015/ 2366.
Il richiamato n. 3 si riferisce all’esecuzione di operazioni di pagamento, incluso il trasferimento di fondi, su un conto di pagamento presso il prestatore di servizi di pagamento dell’utente o presso un altro prestatore di servizi di pagamento:
o esecuzione di addebiti diretti, inclusi addebiti diretti una tantum;
o esecuzione di operazioni di pagamento mediante carte di pagamento o analogo dispositivo;
o esecuzione di bonifici, inclusi ordini permanenti;
Ai sensi della lettera o) del comma 1, si delega il Governo ad apportare tutte le abrogazioni, modificazioni e integrazioni alla normativa vigente, anche di derivazione europea, al fine di assicurare il coordinamento con le disposizioni emanate in attuazione del presente articolo e la complessiva razionalizzazione della disciplina di settore.
Il comma 2 dell’articolo 12 reca la clausola di invarianza finanziaria.
Articolo
13
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle
disposizioni del regolamento (UE) n. 2015/760 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 29 aprile 2015, relativo ai fondi di investimento europei a
lungo termine)
L’articolo 13 detta disposizioni per
l’adeguamento al regolamento (UE) n. 2015/760 relativo ai fondi di investimento europei (ELTIF) del Testo unico delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF) di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
La
finalità del regolamento n. 2015/760 è quella di fornire una disciplina uniforme fra gli Stati membri nell’ottica di
“stimolare gli investimenti europei a lungo termine nell’economia reale”
(Considerando n. 4 del regolamento).
Gli ELTIF (European Long Term Investment Funds) sono organismi di
investimento collettivo del risparmio in grado di offrire rendimenti stabili in
una prospettiva di lungo periodo in quelle attività, ascrivibili alla categoria
di investimenti alternativi, che richiedono un impegno a lungo termine degli
investitori.
Per investimenti alternativi si intendono le tipologie di investimenti
che non rientrano nella definizione tradizionale di azioni e obbligazioni. Essi
comprendono: immobili, venture capital, private equity, fondi speculativi,
società non quotate, titoli in sofferenza e prodotti di base.
In materia di autorizzazione, funzionamento e
trasparenza dei gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA) va
segnalata la direttiva n. 2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, recepita
nel nostro ordinamento dal decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 44, adottato in attuazione della delega contenuta
nell’articolo 12 della legge 6 agosto 2013, n. 96 (legge di delegazione
europea 2013).
L’intervento regolatorio
europeo, diretto a fissare requisiti
uniformi riguardo alle procedure di
autorizzazione, alle tipologie di
investimento e alle condizioni di
funzionamento degli ELTIF, mira innanzitutto ad assicurare il funzionamento
efficiente del mercato interno in tale settore. In altri termini, intende
correggere distorsioni alla concorrenza, dovute alla eterogeneità di normative
nazionali, che si genererebbero, ad esempio, in presenza di discipline
divergenti, fra gli Stati membri, in materia di composizione del portafoglio,
diversificazione e attività ammissibili.
Dall’altro lato, il Regolamento
intende perseguire un livello elevato di tutela degli investitori, prevedendo,
ad esempio, disposizioni che vietano gli investimenti in attività suscettibili
di determinare un conflitto di interessi, e che impongono regole di trasparenza,
come la pubblicazione di un documento contenente informazioni qualificanti per
gli investitori e condizioni di commercializzazione specifiche.
La disposizione in esame reca
disciplina degli specifici ambiti
che il regolamento europeo demanda alla potestà
legislativa degli Stati membri. Per gli altri aspetti, il regolamento, in
ragione della sua natura giuridica, contiene disposizioni obbligatorie in tutti
i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri a
decorrere dal termine appositamente previsto dal provvedimento stesso per la
sua applicazione (9 dicembre 2015).
Nello specifico, gli
interventi normativi concernono:
-
l’individuazione delle autorità nazionali competenti ad autorizzare i fondi di
investimento europei a lungo termine, ovvero a vietarne l'operatività qualora,
successivamente al rilascio dell’autorizzazione, si contravvenga alle
disposizioni del Regolamento;
-
l’attribuzione alle stesse autorità nazionali di compiti di vigilanza sul rispetto delle
disposizioni contenute nel Regolamento, fermo restando che il regolamento
demanda all’ESMA (European Securities and
Markets Authority - Autorità europea degli strumenti finanziari e dei
mercati) la verifica in ordine all’applicazione uniforme, da parte delle
autorità nazionali competenti, della disciplina europea;
-
l’assegnazione alle medesime autorità dei poteri di indagine e sanzionatori necessari per l’esercizio
delle loro funzioni.
Più precisamente, il comma 1 delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data
di entrata in vigore della legge, su proposta del Presidente del Consiglio dei
ministri e del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il
Ministro della giustizia, un
decreto legislativo che dia attuazione al regolamento, in conformità
alle procedure di cui all’articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234,
acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Il comma 2 enuclea
i seguenti principi e criteri direttivi
specifici che il Governo è chiamato a rispettare nell’esercizio della
delega legislativa:
a)
introdurre
modifiche e integrazioni al decreto legislativo n. 58 del 1998, al fine di individuare la Banca d’Italia e la Consob
quali autorità nazionali ai sensi del Regolamento europeo, nel rispetto
delle rispettive competenze già previste dal citato testo unico, e al fine di
consentire, ove opportuno, il ricorso alla disciplina secondaria;
b) attribuire alla Banca d’Italia e alla Consob il potere di applicare sanzioni amministrative
pecuniarie efficaci, dissuasive e proporzionate alla
gravità delle violazioni degli obblighi previsti dal
Regolamento, secondo le modalità ed entro i limiti previsti in materia di
disciplina degli intermediari nel testo unico di cui al decreto legislativo n.
58 del 1998;
c) adeguare
la normativa vigente, per i settori interessati dal Regolamento in esame, allo
scopo di assicurare il necessario coordinamento normativo che tenga conto
dell’esigenza di garantire un appropriato grado di protezione dell'investitore e di tutela della stabilità finanziaria.
Il comma
3 reca la delega all'adozione, entro 24 mesi dall’approvazione del decreto
legislativo, di disposizioni correttive o integrative, mentre il comma 4 reca la clausola di invarianza
degli oneri a carico della finanza pubblica, precisando che le amministrazioni
interessate dovranno avvalersi delle risorse umane, strumentali e finanziarie
disponibili a legislazione vigente.
Regolamento
(UE) n. 2015/760
Il regolamento
(UE) n. 2015/760 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile
2015 relativo ai fondi di investimento europei (ELTIF) mira a stimolare gli
investimenti a lungo termine nell'economia reale, creando fonti europee di
finanziamento ad hoc. Come
specificato nel considerando n. 6, "gli ELTIF rappresentano il primo passo
verso la creazione di un mercato interno integrato per la raccolta di capitali
che possano essere convogliati verso investimenti a lungo termine nell'economia
europea". Potranno essere utilizzati per progetti infrastrutturali di
varia natura (trasporto, energia, ma anche infrastrutture sociali) o per
progetti volti alla crescita delle PMI. Caratteristica degli ELTIF sarà
l'offerta di un flusso costante di proventi. Potranno dunque costituire
opportunità di investimento per soggetti (ad es. amministratori di fondi
pensione, fondazioni, comuni o altri periodicamente confrontati a passività)
interessati alla regolarità del flusso di cassa e a una prospettiva di lungo
periodo.
Tali strumenti
contribuiranno auspicabilmente a stimolare la ripresa economica mediante
un'azione volta a favorire gli investimenti europei a lungo termine
nell'economia reale.
Viste le loro
caratteristiche, le esigenze a cui vogliono rispondere e la peculiare utenza a
cui sono rivolti, gli ELTIF sono sottoposti a significativi controlli e la
disciplina applicabile permette l'assunzione di rischi piuttosto limitati.
L'articolo 3
specifica che la commercializzazione di un ELTIF nell'Unione può avere luogo
solo previa autorizzazione rilasciata a livello nazionale, valida per tutti gli
Stati membri. L'istanza può essere presentata esclusivamente dai gestori di
Fondi di investimento alternativi (FIA) UE, autorizzati come tali dalla direttiva
2011/61/UE[30].
L'articolo 9 preclude
all'ELTIF alcuni tipi di attività, tra cui: la vendita allo scoperto;
l'assunzione di esposizioni dirette o indirette verso merci, anche mediante
strumenti finanziari derivati; la concessione o l'assunzione di titoli in
prestito, operazioni di vendita con patto di riacquisto o altri accordi
equivalenti che incidano su oltre il 10 per cento delle attività; l'uso di
strumenti finanziari derivati. Tra le varie attività di investimento
ammissibili (articolo 10) si segnala, in particolare, la partecipazione diretta
o indiretta, attraverso imprese di portafoglio ammissibili[31],
in singole attività reali per un valore di almeno 10.000.000 euro.
Specifiche norme sono
dettate in tema di composizione e diversificazione del portafoglio: le attività
di investimento ammissibili devono costituire almeno il 70 per cento del
capitale. Tra le altre limitazioni, si ricorda che una percentuale non
superiore al 10 per cento del capitale può essere investita: in strumenti
emessi o prestiti erogati ad una singola impresa di portafoglio ammissibile;
direttamente o indirettamente in una singola attività reale; in quote o azioni
di un singolo ELTIF, EuVECA[32] o EuSEF[33]
(articolo 13).
L'articolo 18, par. 1, specifica che, in linea di massima, "gli investitori (...) non possono chiedere il rimborso delle quote o delle azioni detenute prima della fine del ciclo di vita dell'ELTIF". I limitati casi in cui i rimborsi possano avere luogo anticipatamente sono elencati dal par. 2 del medesimo articolo.
Si sottolinea che le
azioni e le quote sono pienamente commerciabili in un mercato secondario e gli
investitori possono liberamente trasferire a terzi quanto da loro detenuto (articolo
19).
Gli articoli 23-25
introducono obblighi di trasparenza, disciplinando il contenuto minimo dei
prospetti informativi sulla commercializzazione di azioni o quote, con
particolare riferimento all'informativa sui costi sostenuti dagli investitori).
La vigilanza sul
rispetto delle norme contenute nel regolamento è condivisa tra autorità
nazionali (autorità competente dell'ELTIF e autorità competente del gestore
dell'ELTIF), che possono anche non coincidere, ed Autorità europea degli
strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) a livello europeo. Esse
"dispongono di tutti i poteri di vigilanza e di indagine necessari per
l'esercizio delle loro funzioni" a norma del regolamento in commento così
come della direttiva 2011/61/UE (articolo 33, paragrafo 1). L'articolo 35
stabilisce, per le autorità coinvolte, l'obbligo di collaborare
nell'espletamento dei loro compiti. All'AESFEM l'articolo 3, paragrafo 3, comma
2, affida altresì il compito di tenere un "registro pubblico centrale in
cui sono iscritti tutti gli ELTIF autorizzati dal presente regolamento, il
relativo gestore e la relativa autorità competente".
Iter di approvazione
Il regolamento deriva
da una proposta presentata dalla Commissione europea il 26 giugno 2013 (COM(2013)
462), sulla quale l'Ufficio rapporti con le istituzioni
dell'Unione europea del Senato della Repubblica aveva curato una scheda
di valutazione.
Il 13 febbraio 2014,
la 6a Commissione permanente del Senato (Finanze e tesoro) ha
approvato una risoluzione (Doc
XVIII, n. 53)
in cui si è espresso parere favorevole, evidenziando l'opportunità di ampliare
la platea delle piccole e medie imprese che potrebbero essere oggetto di
investimento da parte di ELTIF, comprendendovi le piccole e medie imprese
quotate.
Il 5 giugno 2014
l'allora vice Presidente della Commissione europea Maros Sefcovic ha inviato
una risposta,
in cui ha espresso interesse per tale suggerimento.
I rilievi della 6a
Commissione permanente del Senato sono, in effetti, stati
tenuti in considerazione, ed accolti, nell'iter di approvazione della bozza di regolamento.
Infatti mentre l'articolo
10 del COM(2013) 462 negava tout court
l'ammissibilità all'investimento, da parte dell'ELTIF, nelle imprese quotate,
senza alcuna eccezione, il testo definitivo del regolamento (UE) 2015/760 ha
invece ammesso all'investimento l'impresa di portafoglio che, non essendo
finanziaria, sia "ammessa alla negoziazione su un mercato regolamentato o
su un sistema multilaterale di negoziazione" e al contempo abbia "una
capitalizzazione di mercato inferiore a 500.000 euro" (articolo 11, lett.
b), punto ii).
Articolo
14
(Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2014/92/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, sulla comparabilità
delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del conto di
pagamento e sull’accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base)
L’articolo 14, modificato durante l’esame presso la Camera dei deputati, reca i principi e criteri direttivi specifici per l'attuazione della direttiva 2014/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, sulla comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del conto di pagamento e sull'accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base.
Si rammenta che gli articoli 2 e 2-bis del decreto-legge n. 3 del 2015 hanno recepito nell’ordinamento italiano la direttiva in esame, per quanto riguarda l’aspetto della portabilità dei conti di pagamento (vedi oltre); si rinvia al seguito della scheda di lettura per un’illustrazione più diffusa del contenuto di tali disposizioni. Inoltre si segnala che una prima disciplina del conto “di base” è già contenuta all’articolo 12 del decreto-legge n. 201 del 2011.
Direttiva
2014/92/UE
La direttiva
2014/92/UE disciplina la comparabilità
delle spese relative al conto di
pagamento, il trasferimento del
conto di pagamento e l’accesso al
conto di pagamento con caratteristiche di
base.
Il Capo II della direttiva (articoli 3-8)
riguarda i profili di comparabilità
delle spese legate a un conto di pagamento. Si impone agli Stati di
redigere un elenco provvisorio dei servizi più rappresentativi collegati a un
conto di pagamento, che è destinato a convogliare in un elenco approvato a
livello UE, allo scopo di adottare una terminologia standardizzata per i
servizi di pagamento maggiormente rappresentativi e armonizzata a livello
europeo. I prestatori di servizi di pagamento devono fornire ai consumatori le
informazioni precontrattuali attraverso un documento standard, in tempo utile prima di stipulare il contratto relativo
al conto di pagamento, in ordine alle
spese (in apposito documento informativo, ai sensi dell’articolo 4).
Inoltre i prestatori devono fornire gratuitamente almeno una volta all'anno al
consumatore un riepilogo di tutte le
spese (articolo 5) sostenute nonché, se del caso, informazioni con riguardo
ai tassi di interesse per i servizi collegati al conto di pagamento.
Inoltre, i
consumatori devono avere accesso gratuitamente ad almeno un sito Internet per
il confronto delle spese addebitate dai prestatori di servizi di pagamento.
Spetta all'ABE –Autorità Bancaria Europea il compito di elaborare progetti di
norme tecniche di regolamentazione, da presentare alla Commissione per
l’approvazione.
Nel Capo III (articoli 9-14) del provvedimento è contenuta la disciplina dei trasferimenti di conti di pagamento. Si
impone ai prestatori di servizi di pagamento
l’obbligo di offrire
ai consumatori una procedura chiara, rapida e sicura per trasferire i conti di
pagamento, compresi i conti di pagamento con caratteristiche di base. Gli Stati
membri hanno la facoltà, in caso di trasferimento tra prestatori di servizi di
pagamento situati entrambi sul loro territorio, di introdurre o conservare
meccanismi diversi da quelli previsti nella norma europea, se tale circostanza
è chiaramente nell’interesse del consumatore, se non vi sono oneri
supplementari e la conclusione del trasferimento è effettuata secondo la
tempistica dettata dalla direttiva. Il prestatore di servizi di pagamento
ricevente è considerato responsabile dell’avvio e della gestione della
procedura per conto del consumatore. Viene consentito agli Stati membri di
utilizzare strumenti supplementari, quali apposite soluzioni tecniche, che
eccedono gli obblighi fissati dalla direttiva. La direttiva pone specifici
obblighi di cooperazione tra prestatori di servizi di pagamento trasferente e
ricevente durante le procedure di trasferimento; si tratta ad esempio di
obblighi informativi, utili a riattivare i pagamenti sul nuovo conto di
pagamento. Dette informazioni non possono andare oltre quanto necessario per
effettuare il trasferimento. Le norme della direttiva proteggono inoltre i
consumatori da perdite finanziarie, compresi le spese e gli interessi, causate
da eventuali errori commessi dai prestatori di servizi di pagamento interessati
dal processo di trasferimento; i consumatori devono essere sollevati dalle perdite
finanziarie derivanti dal pagamento di spese supplementari, interessi o altri
oneri nonché sanzioni pecuniarie, penali o qualsiasi altro tipo di danno
finanziario a causa del ritardo nell’esecuzione del pagamento. Ai sensi
dell’articolo 13, le norme di recepimento nazionali devono garantire che, nel
caso di perdite subite dal consumatore causate direttamente dal mancato
rispetto, da parte di un prestatore di servizi di pagamento partecipante alla
procedura di trasferimento, degli obblighi a lui imposti, dette perdite siano
rimborsate senza indugio dal responsabile della violazione delle procedure.
Per quanto invece
riguarda il Capo IV della direttiva
(articoli 15-20) esso si riferisce alla disciplina dell’accesso ai conti di pagamento, in particolare quello “di
base”. In primo luogo la direttiva sancisce che a tale materia si applica il
principio di non discriminazione: gli Stati devono assicurare che gli enti
creditizi non discriminino i consumatori soggiornanti legalmente nell'Unione in
ragione della cittadinanza o del luogo di residenza o per qualsiasi altro in
relazione alla domanda da parte di tali consumatori di conto di pagamento o
all'accesso al conto nell'Unione. Le condizioni applicabili alla tenuta di un
conto di pagamento con caratteristiche di base non sono in alcun modo
discriminatorie.
Ai consumatori devono
essere offerti conti di base da tutti gli enti creditizi o da un numero di enti
creditizi sufficiente a garantirne l'accesso a tutti i consumatori nel loro
territorio e a evitare distorsioni della concorrenza, comunque non solo da enti
creditizi che offrono funzioni unicamente online. Sono previste norme di tutela
nei confronti dei consumatori soggiornanti legalmente nell'Unione, ivi compresi
i consumatori senza fissa dimora, i richiedenti asilo e i consumatori a cui non
è rilasciato il permesso di soggiorno ma che non possono essere espulsi per
motivi di fatto o di diritto; sono previsti obblighi di risposta (accettazione
o diniego) in tempi brevi e senza ritardo.
Inoltre, l'accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base non
deve essere subordinato all'acquisto di servizi accessori, o di azioni
dell'ente creditizio, salvo che tale condizione valga per tutti i clienti
dell'ente creditizio.
Sono precisati i
servizi che deve avere il conto di pagamento con caratteristiche di base e sono
disciplinate le modalità minime di erogazione. Per quanto riguarda le spese del
conto di base, i servizi minimi del conto di base devono essere offerti a
titolo gratuito o per una spesa ragionevole. Le spese sono definite
“ragionevoli” tenendo conto almeno dei livelli di reddito nazionali e delle
spese medie addebitate dagli enti creditizi nello Stato membro interessato, per
i servizi forniti sui conti di pagamento.
In generale, per
quanto concerne gli obblighi suesposti e previsti dalla direttiva, gli Stati
sono tenuti a individuare (Capo V della
direttiva) le Autorità nazionali incaricate di garantire l'applicazione e
il rispetto della direttiva stessa, dotandole di poteri di indagine e di
intervento; è prevista l’applicazione di meccanismi di risoluzione
stragiudiziale delle controversie. In ordine alle sanzioni (Capo VI, articolo 26), esse sono
definite dagli Stati membri e devono essere effettive, proporzionate e
dissuasive.
Il termine per il recepimento a livello nazionale della
direttiva è fissato al 18 settembre 2016.
La
norma di delega
L’articolo 14 in commento, come anticipato, reca i principi e i criteri direttivi specifici per l’integrale recepimento della direttiva 2014/92/UE.
In particolare, il comma 1, lettera a) dispone che siano apportate al Testo Unico Bancario – TUB , di cui al D.Lgs. 1 ° settembre 1993, n. 385, le modifiche e le integrazioni al corretto e integrale recepimento della direttiva 2014/92/UE, nonché dei relativi atti delegati adottati dalla Commissione europea. Ove opportuno, si prevede il ricorso alla disciplina secondaria della Banca d'Italia, che emana le disposizioni di attuazione senza necessità di previa deliberazione del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio – CICR.
Ciò appare coerente con quanto previsto dal D.lgs. n. 72 del 2015, che ha riformato il predetto TU bancario nel senso di svincolare i poteri regolamentari della Banca d’Italia dalle delibere del CICR.
Nell’emanazione della disciplina secondaria l’istituto deve tenere conto delle linee guida dell’ABE, ai sensi della direttiva 2014/92/UE (come si è visto, tra i poteri dell’ABE vi sono quelli di individuare le norme tecniche di regolamentazione che devono essere approvate dalla Commissione) e deve assicurare il coordinamento con quanto previsto sul conto di pagamento dal Titolo VI del TUB, che reca la disciplina della trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti coi clienti.
Ai sensi della lettera b) si designa la Banca d'Italia quale autorità amministrativa competente e quale punto di contatto con autorità estere, attribuendo ad essa i relativi poteri di vigilanza e di indagine.
Le lettera c) del comma 1 delega il Governo ad estendere l’apparato sanzionatorio attualmente previsto dal Testo Unico Bancario per le violazioni degli obblighi relativi alla trasparenza, di cui al citato Titolo VI, anche alla violazione degli obblighi stabiliti dalla direttiva 2014/92/UE e dall'articolo 127, comma 01, del Testo Unico Bancario.
Il richiamato comma 01 dispone che le autorità creditizie esercitino i poteri previsti dal Titolo VI avendo riguardo anche alla trasparenza delle condizioni contrattuali e alla correttezza dei rapporti con la clientela. A questi fini la Banca d'Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, può dettare anche disposizioni in materia di organizzazione e controlli interni.
In particolare, per l’inosservanza delle disposizioni in materia di trasparenza l’articolo 144, comma 1 del TUB dispone che si applichi una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 30.000 fino al 10 per cento del fatturato nei confronti delle banche, degli intermediari finanziari, delle rispettive capogruppo, degli istituti di moneta elettronica, degli istituti di pagamento e dei soggetti ai quali sono state esternalizzate funzioni aziendali essenziali o importanti, nonché di quelli incaricati della revisione legale dei conti.
L’articolo 144 del TUB è stato profondamente innovato dal già richiamato D.Lgs. n. 72 del 2015, in attuazione delle disposizioni della direttiva CRD IV (direttiva 2013/36/UE sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento). Coerentemente all’articolo 65 della direttiva, si è passati ad un sistema volto a sanzionare in primo luogo l'ente e, solo sulla base di presupposti che saranno individuati dal diritto nazionale anche l'esponente aziendale o la persona fisica responsabile della violazione. Con previsioni ulteriori rispetto alla direttiva CRD IV, ma nei limiti della legge di delega, il D.Lgs. n. 72 del 2015 ha differenziato i limiti minimo e massimo all’entità della sanzione applicabile alle società o enti (tra un minimo di 30.000 euro e un massimo del 10 per cento del fatturato, come già illustrato) ed eventualmente alle persone fisiche (da 5.000 euro a 5 milioni di euro). Si consente di elevare dette sanzioni fino al doppio dell’ammontare del vantaggio ottenuto, purché tale ammontare sia determinabile. Per le fattispecie connotate da minore effettiva offensività o pericolosità sono stati predisposti strumenti deflativi del contenzioso e di semplificazione dei procedimenti di applicazione della sanzione. Le autorità di vigilanza possono altresì adottare misure alternative, quali l’ordine di cessare o porre rimedio a condotte irregolari, in presenza di specifici presupposti.
La lettera d) dispone che il Governo si avvalga della facoltà di non applicare, se rilevante, la direttiva 2014/92/UE alla Cassa depositi e prestiti ed alla Banca d’Italia, conformemente all’articolo 1, paragrafo 5 della direttiva.
Le lettere da e) a g) recano i principi e i criteri di delega per la parte della direttiva che riguarda specificamente la comparabilità delle spese relative al conto di pagamento.
Con la lettera e) del comma 1 si consente di includere nel documento informativo sulle spese un indicatore sintetico dei costi complessivi che sintetizza i costi totali annui del conto di pagamento per i consumatori; inoltre il documento informativo è fornito insieme alle altre informazioni precontrattuali richieste dalla vigente disciplina e applicabili al conto di pagamento, al fine di consentire ai consumatori di riceverle in un'unica soluzione.
Ai sensi della successiva lettera f) il riepilogo delle spese previsto dalla direttiva 2014/92/UE deve essere fornito insieme alle altre informazioni oggetto delle comunicazioni periodiche richieste dalla vigente disciplina applicabile al conto di pagamento.
La lettera g) richiede, nel dare attuazione alle previsioni della direttiva 2014/92/UE sui siti internet di confronto, di fare riferimento per quanto possibile alle iniziative private.
Per effetto delle modifiche apportate in sede
referente, le norme di attuazione devono tener conto dell’entrata in vigore del
documento informativo sulle spese e del
riepilogo delle spese previsti, rispettivamente, agli articoli 4 e 5 della
illustrata direttiva 2014/92/UE.
La lettera h) reca i principi e i criteri di delega relativi al trasferimento del conto di pagamento.
In primo luogo (n. l) il Governo, ove opportuno, è delegato a rivedere la disciplina di cui ai citati articoli 2 e 2-bis del decreto legge n. 3 del 2015, che hanno anticipato l’attuazione della direttiva 2014/92/UE, disponendo in particolare che tali norme confluiscano nel Testo Unico Bancario.
Durante l’esame in sede referente è stata eliminata la previsione secondo cui si sarebbe dovuta valutare l'estensione di tale disciplina, con gli opportuni adattamenti, anche ai casi in cui il trasferimento non è richiesto dal consumatore, ma consegue alla cessione di rapporti giuridici da un intermediario a un altro, al fine di favorire l'efficienza del sistema e l'innalzamento della tutela dei consumatori.
Si rammenta in sintesi che il richiamato articolo 2 del decreto-legge n. 3 del 2015 obbliga gli istituti bancari e i prestatori di servizi di pagamento, nel caso di trasferimento di un conto di pagamento, a dare corso al trasferimento con le procedure ed entro i termini predefiniti dalla direttiva n. 2014/92/UE. In particolare, nel caso di mancato rispetto dei termini, si prevede che il cliente sia indennizzato per il ritardo, in misura proporzionale al ritardo stesso e alla disponibilità esistente sul conto di pagamento al momento della richiesta di trasferimento. La disciplina introdotta si applica anche al trasferimento di strumenti finanziari da un conto di deposito titoli ad un altro, con o senza la chiusura del conto di deposito titoli di origine, senza oneri e spese per il consumatore. Sono infine introdotti adempimenti di trasparenza informativa da fornire alla clientela.
E’ demandato a un decreto del MEF, sentita la Banca d’Italia, il compito di definire i criteri di quantificazione del predetto indennizzo nonché le modalità e i termini di adeguamento alle disposizioni in materia di trasparenza informativa alla clientela. Inoltre, i prestatori di servizi di pagamento sono obbligati ad adeguarsi alla normativa introdotta complessivamente dall’articolo 2 entro il termine di due mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in commento. Si segnala al riguardo che il decreto non risulta emanato.
L’articolo 2-bis del medesimo decreto-legge ha introdotto disposizioni volte ad agevolare l'apertura di un conto di pagamento o di un conto corrente transfrontaliero da parte dei consumatori.
In particolare, nel caso di richiesta di trasferimento transfrontaliero di un conto di pagamento/conto corrente verso un istituto bancario o prestatore di servizi di pagamento di uno Stato membro comunitario, l'istituto bancario o il prestatore di servizi di pagamento che riceve la richiesta di trasferimento è tenuto a fornire, nei termini previsti dalla disciplina europea una specifica assistenza che consiste:
- nella fornitura gratuita di un insieme di informazioni (in particolare concernenti gli ordini permanenti di bonifico e gli addebiti diretti). Ciò non comporta, per il nuovo prestatore di servizi di pagamento, alcun obbligo di attivare servizi che non fornisce;
- nel trasferimento dell'eventuale saldo positivo sul conto aperto o detenuto dal cliente presso il nuovo prestatore di servizi di pagamento, purché tale richiesta contenga informazioni complete che consentano l'identificazione del nuovo prestatore di servizi di pagamento e del conto del cliente;
- nella chiusura del conto detenuto dal cliente presso il prestatore originario di servizi.
Durante l’esame in sede referente è stato eliminato il n. 2 della lettera h) ai sensi del quale i prestatori di servizi di pagamento avrebbero dovuto assicurare, su richiesta del consumatore, il reindirizzamento automatico dei bonifici ricevuti sul conto di pagamento di origine verso il conto di pagamento di destinazione per un periodo di 12 mesi dalla ricezione dell’autorizzazione del consumatore.
Ove (n. 3 della lettera h)) il prestatore di servizi di pagamento “trasferente” (ossia dal quale il consumatore si distacca) cessa di accettare i bonifici in entrata e gli addebiti diretti sul conto di pagamento del consumatore, al di fuori dei casi di reindirizzamento automatico, deve informare tempestivamente il pagatore o il beneficiario delle ragioni del rifiuto dell'operazione di pagamento.
Il n. 4 delega il Governo a valutare se introdurre meccanismi di trasferimento alternativi, purché siano nell'interesse dei consumatori, senza oneri supplementari per gli stessi e nel rispetto dei termini previsti dalla direttiva 20 14/92/UE, avvalendosi in tal modo dei poteri consentiti dalla direttiva stessa.
La lettera i) contiene i principi e i criteri direttivi di delega con
riferimento alla disciplina del conto di pagamento con caratteristiche di base.
In particolare (lettera i), n. 1) le norme delegate devono obbligare le banche, Poste Italiane S.p.A. e gli altri prestatori di servizi di pagamento - relativamente ai servizi di pagamento che essi già offrono – ad offrire un conto con caratteristiche di base.
Durante l’esame in sede referente è stato eliminato il punto 2, che impegnava il Governo a prevedere la possibilità di estendere il diritto di accesso a un conto di pagamento, tenuto conto delle specifiche circostanze, anche a soggetti diversi dai consumatori.
Ai sensi del n. 3 sono tipizzate le ipotesi in cui i prestatori di servizi di pagamento possono rifiutare legittimamente la richiesta di accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base. In particolare, il rifiuto è legittimo se il consumatore è già titolare in Italia di un conto di pagamento che gli consente di utilizzare i servizi minimi indicati dalla direttiva 2014/92/UE (articolo 17, paragrafo 1), fatto salvo il caso di trasferimento del conto, oppure per motivi di contrasto del riciclaggio e finanziamento del terrorismo.
Ai sensi del menzionato articolo 17, paragrafo 1 della direttiva, il conto di pagamento con caratteristiche di base deve comprendere i seguenti servizi:
a) servizi che permettano di eseguire tutte le operazioni necessarie per l'apertura, la gestione e la chiusura del conto di pagamento;
b) servizi che consentano di depositare fondi sul conto di pagamento;
c) servizi che consentano il prelievo di contante dal conto di pagamento all'interno dell'Unione, allo sportello o ai distributori automatici durante o al di fuori degli orari di apertura dell'ente creditizio;
d) possibilità di eseguire le seguenti operazioni di pagamento nell'Unione:
i) addebiti diretti;
ii) operazioni di pagamento mediante carta di pagamento, ivi compresi i pagamenti online;
iii) bonifici, compresi gli ordini permanenti, ove disponibili, presso terminali e sportelli bancari e tramite le funzioni di banca online dell'ente creditizio.
Al n. 4 si chiarisce che le norme delegate devono prevedere la possibilità di includere, tra i servizi che i prestatori di servizi di pagamento sono tenuti a offrire con il conto di pagamento con caratteristiche di base, anche servizi ulteriori rispetto a quelli previsti dall'articolo 17, paragrafo l, della direttiva 2014/92/UE, tenendo conto delle esigenze dei consumatori a livello nazionale, esclusa la concessione di qualsiasi forma di affidamento.
Il n. 5 della lettera i) chiarisce che per i servizi inclusi nel conto di pagamento con caratteristiche di base, diversi da quelli richiamati dall'articolo 17, paragrafo 5 della direttiva, le norme delegate devono prevedere, ove opportuno, un numero minimo di operazioni comprese nel canone annuo: il canone annuo e il costo delle eventuali operazioni eccedenti devono essere ragionevoli e coerenti con finalità di inclusione finanziaria.
Il richiamato articolo 17, paragrafo 5, stabilisce che per alcuni servizi offerti nel conto di base (servizi che permettano di eseguire tutte le operazioni necessarie per l'apertura, la gestione e la chiusura del conto di pagamento; servizi che consentano di depositare fondi sul conto di pagamento; servizi che consentano il prelievo di contante dal conto di pagamento all'interno dell'Unione, allo sportello o ai distributori automatici durante o al di fuori degli orari di apertura dell'ente creditizio; la possibilità di eseguire operazioni di pagamento mediante carta di pagamento, ivi compresi i pagamenti online), ad eccezione delle operazioni di pagamento mediante carta di credito, gli Stati membri garantiscono che gli enti creditizi non addebitino alcuna spesa al di fuori delle eventuali spese considerate ragionevoli, indipendentemente dal numero di operazioni eseguite sul conto di pagamento.
Ai sensi del n. 6 si delega il Governo ad esercitare la facoltà, prevista dall'articolo 18, paragrafo 4 della direttiva 2014/92/UE, di ammettere l'applicazione di diversi regimi tariffari a seconda del livello di inclusione bancaria del consumatore, individuando fasce socialmente svantaggiate di clientela alle quali il conto è offerto senza spese.
La direttiva richiede che in tali casi gli Stati membri devono assicurare ai i consumatori orientamento e informazioni adeguate sulle opzioni disponibili.
A tal fine, il n. 7 obbliga il Governo a promuovere misure a sostegno dell'educazione finanziaria dei consumatori più vulnerabili, fornendo loro orientamento e assistenza per la gestione responsabile delle loro finanze, informarli circa l'orientamento che le organizzazioni di consumatori e le autorità nazionali possono fornire loro, incoraggiare le iniziative dei prestatori di servizi di pagamento volte a combinare la fornitura di un conto di pagamento con caratteristiche di base con servizi indipendenti di educazione finanziaria.
In ordine al conto corrente di base, si ricorda che sul fronte interno tale strumento è stato già previsto dall’articolo 12, comma 3 e seguenti del decreto-legge n. 201 del 2011. La predetta norma ha stabilito che il MEF, la Banca d'Italia, l'ABI, Poste Italiane S.p.A. e le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento definissero con apposita convenzione le caratteristiche di un conto di base, che le banche, Poste italiane Spa e gli altri prestatori di servizi di pagamento abilitati ad offrire servizi a valere su un conto di pagamento sarebbero stati tenuti a offrire ai consumatori.
La convenzione è stata firmata il 28 marzo 2012: è stato dunque previsto un conto di pagamento pensato per chi ha limitate esigenze di operatività, aperto a tutti, offerto gratuitamente per le fasce svantaggiate (ISEE fino a 7.500 euro) e per i pensionati fino a 1.500 euro al mese. Tale prodotto standard, le cui caratteristiche sono state individuate dalla convenzione (sottoscritta da MEF, Banca d’Italia, ABI, Poste Italiane e Associazione Istituti di pagamento e moneta elettronica) è stato offerto a partire dal 1° giugno 2012.
Si ricorda che la mancata ottemperanza di quanto stabilito dalle norme interne non è sanzionata. In virtù delle norme in commento (lettera c) del comma 1) si prevede invece che il Governo individui disposizioni sanzionatorie per la mancata ottemperanza agli obblighi della direttiva nel suo complesso.
La lettera l) obbliga il Governo a mantenere, ove non in contrasto con la direttiva 2014/92/UE, le vigenti disposizioni più stringenti a tutela dei consumatori; la lettera m) infine reca la delega ad apportare alla normativa vigente le abrogazioni e le modificazioni occorrenti ad assicurare il coordinamento con le norme di attuazione emanate secondo l’articolo in esame.
Il comma 2 contiene la clausola di invarianza finanziaria.
Articolo
15
(Delega al Governo per il recepimento della direttiva (UE) 2015/849 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2015, relativa alla
prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o di finanziamento
del terrorismo, che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo
e del Consiglio e che abroga la direttiva 2006/60/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio e la direttiva 2006/70/CE della Commissione, e per l’attuazione del
regolamento (UE) 2015/847 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio
2015, riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi e
che abroga il regolamento (CE) n. 1781/2006)
L’articolo 15 contiene i principi e i criteri direttivi per l’attuazione della “quarta direttiva antiriciclaggio” (direttiva UE 2015/849) e per adeguare la normativa interna alle disposizioni del regolamento UE 2015/847 che completa la normativa antiriciclaggio con riferimento ai dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi.
In sintesi, si intende graduare i controlli e le procedure antiriciclaggio in funzione del rischio. Al Comitato di Sicurezza Finanziaria è attribuito il compito di elaborare l’analisi nazionale del rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo e delle strategie per contrastarlo. I soggetti destinatari degli obblighi antiriciclaggio devono adottare le conseguenti misure proporzionate al rischio, dotandosi delle procedure sistematiche di valutazione, gestione e controllo dei rischi tipici dell'attività espletata. Determinati soggetti sono esonerati dagli obblighi antiriciclaggio. Sono attribuiti nuovi compiti alle autorità di vigilanza.
Sono previste norme volte ad accrescere la trasparenza di persone giuridiche e trust, in modo da fornire alle autorità strumenti efficaci per la lotta contro il riciclaggio e da permettere la conoscibilità dei dati ai portatori di interessi qualificati (anche diffusi), contemperando gli interessi in campo. Devono essere previste delle sanzioni in caso di inosservanza di tali obblighi di trasparenza.
La direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento europeo e del Consiglio del
20 maggio 2015, relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a
fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, modifica il regolamento
(UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva
2005/60/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2006/70/CE della
Commissione.
Essa costituisce la quarta direttiva antiriciclaggio, resa necessaria, tra l'altro, ai fini dell'allineamento alle nuove raccomandazioni del GAFI (Gruppo di azione finanziaria internazionale) adottate ed ampliate nel febbraio del 2012.
L’accordo sul testo della quarta direttiva antiriciclaggio è stato raggiunto dal Consiglio dell’Unione Europea con il Parlamento e la Commissione europea nel dicembre 2014
sotto la presidenza italiana. L’articolato è stato successivamente sottoposto alla procedura di formale adozione da parte del Consiglio e del Parlamento europeo.
I principali elementi di riforma al regime vigente sono:
- l'introduzione di un approccio basato sul rischio. Alla Commissione europea è affidato il compito di elaborare una valutazione “sovranazionale” dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo presenti nel mercato interno, tenendo conto dei pareri delle autorità europee di supervisione (EBA, EIOPA, ESMA). La Commissione formulerà su tali basi raccomandazioni agli Stati membri circa le misure da adottare alla luce dei rischi individuati. Agli Stati membri è affidata la valutazione dei rischi a livello nazionale e la definizione di adeguate politiche di mitigazione. A loro volta, i destinatari degli obblighi antiriciclaggio sono chiamati a valutare i rischi cui sono esposti e a dotarsi di presidi commisurati alle proprie caratteristiche;
- un nuovo regime degli obblighi rafforzati e semplificati di adeguata verifica della clientela: in particolare, la direttiva mira ad inasprire le norme sull'obbligo semplificato di adeguata verifica eliminando le esenzioni contemplate dalla terza direttiva antiriciclaggio; è inoltre ampliato il campo di applicazione dell'obbligo rafforzato di adeguata verifica, in modo da includervi sia le persone politicamente esposte che occupano importanti cariche pubbliche a livello nazionale sia quelle che lavorano per organizzazioni internazionali;
- nuove misure allo scopo di conferire maggiore chiarezza e accessibilità alle informazioni sulla titolarità effettiva: l'accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva deve essere conforme alle norme sulla protezione dei dati e può essere soggetto a registrazione online e al pagamento di una tassa;
- l'abolizione della cosiddetta "equivalenza positiva" dei Paesi terzi: in base a tale meccanismo, previsto dalla terza direttiva antiriciclaggio, è attualmente possibile consentire esenzioni dagli obblighi di adeguata verifica rispetto ad operazioni che coinvolgano Paesi terzi giudicati equivalenti agli Stati membri per i loro sistemi antiriciclaggio e/o di lotta al terrorismo;
- la previsione di un ampio spettro di sanzioni amministrative che devono essere adottate dagli Stati membri in caso di violazione degli obblighi fondamentali della direttiva (con particolare riguardo all'obbligo di adeguata verifica della clientela, di conservazione dei documenti, di segnalazione di operazioni sospette e di controlli interni). Le sanzioni e le misure adottate dagli Stati membri devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive;
- l'ampliamento e il rafforzamento della cooperazione tra le Unità di informazione finanziaria - FIU (Financial Intelligence Unit) (in Italia, l’Unità di informazione finanziaria per l’Italia - UIF);
- un nuovo e più razionale quadro funzionale previsto per le Autorità europee di vigilanza (dell'Autorità bancaria europea, dell'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali e dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati).
La quarta direttiva, inoltre, introduce innovative previsioni sulla trasparenza e sull’accesso a informazioni relative alla titolarità effettiva di società e trust; richiama l’applicazione delle regole in tema di trattamento dei dati personali, regolandone i rapporti con le esigenze dell’antiriciclaggio. Sul primo tema, viene prevista l’istituzione, in ogni Paese membro, di registri pubblici centrali con informazioni sulla titolarità effettiva di società, enti e trust, accessibili alle autorità competenti e a chiunque sia in grado di dimostrare un legittimo interesse.
La direttiva (UE) 2015/849 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 5 giugno 2015 ed è entrata in vigore il 25 giugno 2015. Il termine per il suo recepimento da parte degli Stati membri è il 26 giugno 2017.
A fianco della direttiva illustrata è stata adottato il regolamento UE 2015/847 del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi, il quale: amplia il novero delle informazioni a corredo dei trasferimenti di denaro, relative sia all’ordinante sia al beneficiario; conferma che la riconducibilità dei fondi alle parti coinvolte non deve interrompersi in presenza di più trasferimenti successivi; richiama la necessità di assicurare l’applicazione delle misure di congelamento e di segnalazione di operazioni sospette. Il regolamento si applica a decorrere dal 26 giugno 2017.
Dal punto di vista dell’ordinamento interno, si ricorda che la normativa italiana antiriciclaggio è prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2007, il quale ha attuato la direttiva 2005/60/CE (c.d. terza direttiva antiriciclaggio), concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva della Commissione 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione.
In via generale si ricorda che il D.Lgs. n. 231 del 2007, nel disciplinare gli obblighi a cui sono tenuti i destinatari della normativa antiriciclaggio, li suddivide in tre categorie:
§ adeguata verifica della clientela;
§ registrazione e conservazione;
§ segnalazione di operazioni sospette.
I destinatari della normativa sono distinti in quattro categorie di soggetti: gli intermediari finanziari e altri soggetti esercenti attività finanziaria; i professionisti; i revisori contabili; altri soggetti.
La materia è inoltre disciplinata dalla normativa di carattere secondario, emanata, oltre che dal MEF, dalle Autorità di vigilanza (Banca d'Italia, CONSOB, IVASS, CNN).
Al riguardo si ricorda che la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015, articolo, 1, commi 898-899) ha modificato l’articolo 49 del D.Lgs. n. 231 del 2007, innalzando da mille a tremila euro il limite a partire dal quale è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi. La stessa soglia di tremila euro è prevista per le attività svolte dai cambiavalute con i clienti. Per il servizio di rimessa (money transfer) la soglia è invece fissata in mille euro. Non è stata variata la soglia di mille euro per il limite del saldo dei libretti di deposito bancari o postali al portatore.
Si segnala che la legge n. 186 del 2014, in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero (c.d. voluntary disclosure) ha introdotto nell’ordinamento nazionale il reato di autoriciclaggio, inserendo nel codice penale l’art. 648-ter.1. Il nuovo reato punisce con la reclusione “chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”. Il reato di autoriciclaggio sussiste quando la condotta è posta in essere con modalità tali da ostacolare concretamente l’identificazione dell’origine delittuosa dei proventi del reato presupposto; non è punibile invece la destinazione di tali proventi alla mera utilizzazione o al godimento personale del reo.
Sono previsti aumenti o riduzioni di pena connessi, rispettivamente, al compimento dei fatti nell’esercizio di attività bancaria, finanziaria o professionale e all’aver evitato conseguenze ulteriori della condotta o assicurato le prove del reato e l’individuazione dei proventi del reato presupposto. Il legislatore ha incluso l’autoriciclaggio tra i reati che possono dar luogo alla responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001.
Il decreto-legge n. 153 del 2015 (il quale ha prorogato al 30 novembre 2015 il termine per aderire alla procedura di collaborazione volontaria disciplinata dalla legge 15 dicembre 2014, n. 186) ha previsto che le norme sulla collaborazione volontaria non hanno impatto sull'applicazione delle norme antiriciclaggio contenute nel D.Lgs. n. 231 del 2007, con l'eccezione delle norme che sanzionano il divieto di utilizzo di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia aperti presso Stati esteri (disposizione già anticipata dalla circolare n. 8624 del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’Economia e delle Finanze, emanata il 31 gennaio 2014).
Il comma 1 contiene la delega al Governo ad adottare, secondo le procedure indicate dall’articolo 1, comma 1, uno o più decreti legislativi per attuare organicamente la descritta direttiva UE 2015/849 e per adeguare il quadro normativo italiano al regolamento UE 2015/847.
Il comma 2 elenca i principi e i criteri direttivi che dovranno essere seguiti nell’esercizio della delega (successive lettere a)-q)).
Nel procedimento di adozione del decreto delegato dovrà essere sentito il Garante per la protezione dei dati personali.
La lettera a) individua due obiettivi:
§ orientare e gestire efficacemente le politiche di contrasto dell’utilizzo del sistema economico e finanziario per fini illegali;
§ graduare i controlli e le procedure strumentali in funzione del rischio (seguendo l’approccio basato sul rischio delineato dalla direttiva: si vedano i considerando n. 22 e 23 e gli articoli 4, 8, 30 e 31).
In tale prospettiva sono delineate quattro misure specifiche:
§ al Comitato di Sicurezza Finanziaria è attribuito il compito di elaborare l’analisi nazionale del rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo e delle strategie per contrastarlo, tenendo conto della relazione che la Commissione europea effettua sui rischi di riciclaggio e del finanziamento del terrorismo che gravano sul mercato interno e relativi alle attività transfrontaliere (ai sensi dell’articolo 6 della direttiva).
§ gli esiti dell’analisi nazionale del rischio devono essere messi a disposizione, compatibilmente con le prioritarie esigenze di tutela della riservatezza e dell'ordine pubblico, degli organismi di autoregolazione e dei soggetti privati destinatari degli obblighi di collaborazione attiva previsti dall'ordinamento in funzione di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, a supporto del processo di analisi dei rischi gravanti sui settori di rispettiva pertinenza e dell’adozione delle conseguenti misure proporzionate al rischio;
§ le autorità di vigilanza, nella predisposizione degli strumenti e dei presidi finalizzati alla prevenzione e al contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, valutano il rischio gravante sui settori di competenza, anche al fine di supportare i destinatari degli obblighi nell’applicazione di misure di adeguata verifica della clientela efficaci e proporzionati al rischio;
§ i destinatari degli obblighi posti a presidio del sistema di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, devono dotarsi di procedure sistematiche di valutazione, gestione e controllo dei rischi tipici dell'attività espletata, tenuto comunque conto delle dimensioni e della complessità organizzativa dei medesimi destinatari.
Il Comitato di sicurezza finanziaria (CSF) è stato costituito con il decreto-legge 12 ottobre 2001, n. 369 nell'ambito dell'azione per il contrasto del terrorismo internazionale, in coordinamento con i partner internazionali. Successivamente la competenza del CSF è stata estesa alla materia del contrasto al riciclaggio dei proventi di attività criminose ed all’attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale (D.Lgs. n. 109 del 2007 e D.Lgs. n. 231 del 2007)
Il CSF ha il compito di monitorare il funzionamento del sistema di prevenzione e di sanzioni del finanziamento del terrorismo e del riciclaggio. Esso si pone come il punto di raccordo fra tutte le amministrazioni ed enti operanti in questo settore ed è dotato di poteri particolarmente penetranti, come quello di acquisire informazioni in possesso delle amministrazioni in esso rappresentate, anche in deroga al segreto d’ufficio. È presieduto dal Direttore generale del Tesoro, ed è composto da rappresentanti del Ministero dell’economia e delle finanze, del Ministero dell’interno, del Ministero della giustizia, del Ministero affari esteri, della Banca d’Italia, della Consob, dell’ISVAP, dell’UIF, della Guardia di Finanza, della Direzione investigativa antimafia, dell’Arma dei Carabinieri e della Direzione nazionale antimafia. Il CSF è altresì integrato da due rappresentanti designati, rispettivamente, dal Ministero dello sviluppo economico e dall'Agenzia delle Dogane ai fini dello svolgimento dei compiti relativi al contrasto della proliferazione delle armi di distruzione di massa.
Nell’esercizio delle funzioni di analisi e coordinamento in materia di prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario e di quello economico per fini illegali, previste dall’articolo 5 del D.Lgs 231 del 2007, il CSF ha condotto nel 2014 la prima analisi nazionale dei rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo. Tale analisi è stata effettuata in applicazione della Raccomandazione 1 del GAFI-FATF, con l’obiettivo di identificare, analizzare e valutare le minacce di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo, individuando quelle più rilevanti, i metodi di svolgimento di tali attività criminali, le vulnerabilità del sistema nazionale di prevenzione, di investigazione e di repressione di tali fenomeni, e quindi i settori maggiormente esposti a tali rischi. Tutto ciò finalizzato all'elaborazione di linee di intervento per la mitigazione degli stessi e all'adozione di un approccio basato sul rischio all'attività di contrasto al riciclaggio e di finanziamento del terrorismo (AML/CFT: Anti-Money Laundering/Combating the Financing of Terrorism).
La lettera b) prevede la possibilità di aggiornare l'elenco dei soggetti destinatari degli obblighi posti dal sistema di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, al fine di assicurare la proporzionalità e l’efficacia delle misure attuative della direttiva 2015/849 e nel rispetto del richiamato principio dell’approccio basato sul rischio.
La lettera c) prevede la riduzione o la semplificazione degli adempimenti in materia di antiriciclaggio per alcuni soggetti, in presenza di determinate circostanze. Al contrario, sono rafforzati i presidi previsti dalla normativa in materia per altri soggetti.
Più nel dettaglio:
l). Gli operatori economici che esercitano, in modo occasionale o su scala limitata, attività finanziarie implicanti scarso o esiguo rischio di riciclaggio possono essere esonerati dagli obblighi antiriciclaggio previsti dalla direttiva 2015/849 sulla base di una determinazione affidata al Comitato di Sicurezza Finanziaria.
Al riguardo devono ricorrere tutti i criteri elencati con riferimento all’attività finanziaria che deve essere: limitata in termini assoluti e a livello di operazioni; non deve essere l’attività principale, ma accessoria; l’attività principale non deve consistere in un attività creditizia, finanziaria o professionale (revisori, contabili, notai, consulenti in operazioni finanziarie, immobiliari, gioco d’azzardo); può consistere in negoziazione di beni quando il pagamento è effettuato o ricevuto in contanti per un importo pari o superiore a 10.000 euro; l’attività finanziaria deve essere prestata solo ai clienti dell’attività principale.
2). Gli emittenti di moneta elettronica sono esonerati da taluni obblighi di adeguata verifica della clientela con riferimento a specifiche situazioni: qualora si tratti di strumenti di pagamento non ricaricabili ovvero ricaricabili entro ridotte soglie; strumenti di pagamento utilizzati esclusivamente per l'acquisto di beni e servizi e non alimentabili con moneta elettronica anonima.
L'emissione di moneta elettronica (strumento di pagamento elettronico che incorpora un valore monetario equivalente all'ammontare dei fondi ricevuti dal soggetto emittente) è riservata alle banche e agli istituti di moneta elettronica (IMEL), i quali sono soggetti diversi dalle banche che svolgono in via esclusiva l'attività di emissione di moneta elettronica; possono anche svolgere attività connesse e strumentali all'emissione di moneta elettronica e offrire servizi di pagamento. Non possono svolgere l'attività di concessione di crediti, in alcuna forma. L'emittente di moneta elettronica non concede interessi o qualsiasi altro beneficio commisurato alla giacenza della moneta elettronica.
3). Con riferimento agli emittenti di moneta elettronica e ai prestatori di servizi di pagamento di altro Stato membro dell’UE, operanti sul territorio nazionale senza stabile insediamento, si prevede l’obbligo di istituire un punto di contatto centrale in modo da garantire l’efficace adempimento degli obblighi antiriciclaggio. Al riguardo, alla Banca d’Italia è attribuito il compito di adottare una disciplina di attuazione. In tal modo si intende superare le criticità insite nel principio sotteso alla prima direttiva sui servizi di pagamento (cosiddetta PSD1) che, in materia si è dimostrata sostanzialmente inefficace.
Al riguardo si ricorda che il 23 dicembre 2015 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea la seconda direttiva sui servizi di pagamento - PSD2, direttiva (UE) 2015/2366 del 25 novembre 2015 (entrata in vigore il 13 gennaio 2016; gli Stati membri dovranno recepire la direttiva nella legislazione nazionale entro il 13 gennaio 2018). La direttiva mira a promuovere lo sviluppo di un mercato interno dei pagamenti al dettaglio efficiente, sicuro e competitivo rafforzando la tutela degli utenti dei servizi di pagamento, sostenendo l’innovazione e aumentando il livello di sicurezza dei servizi di pagamento elettronici.
4). Si prevede di apportare alle disposizioni in materia di adeguata verifica rafforzata di persone politicamente esposte e alla relativa definizione, attualmente vigenti, le modifiche necessarie a garantirne la coerenza e l'adeguamento a quanto prescritto dagli standard internazionali del GAFI e dalla direttiva 2015/849.
Al riguardo, il considerando n. 33 della direttiva afferma che gli obblighi relativi alle persone politicamente esposte hanno natura preventiva e non penale, e non dovrebbero essere interpretate come volte a stigmatizzare tali persone in quanto soggetti coinvolti in attività criminose. Rifiutare un rapporto d'affari con una persona semplicemente in ragione del fatto che questa è politicamente esposta è in contrasto con la lettera e con lo spirito della presente direttiva nonché con le raccomandazioni riviste del GAFI.
5). I soggetti obbligati, nell’identificazione del cliente, possono avvalersi di terzi qualificati, rispettando le prescritte cautele.
La lettera d) contiene previsioni volte ad accrescere la trasparenza di persone giuridiche e trust, in modo da fornire alle autorità strumenti efficaci per la lotta contro il riciclaggio e da permettere la conoscibilità dei dati ai portatori di interessi qualificati (anche diffusi), contemperando gli interessi in campo. Devono essere previste delle sanzioni in caso di inosservanza di tali obblighi di trasparenza.
In particolare, per quanto riguarda le persone giuridiche e gli altri analoghi soggetti diversi dalle persone fisiche (associazioni, fondazioni, comitati) si prevede che essi detengano informazioni complete sulla propria titolarità effettiva. Devono essere previste sanzioni a carico degli organi sociali in caso di inosservanza (punto 1). Tali informazioni devono essere registrate in apposita sezione, ad accesso riservato, del Registro delle imprese e rese disponibili: alle Autorità competenti, alle Autorità preposte al contrasto dell’evasione fiscale (con le modalità che dovranno essere stabilite), ai destinatari degli obblighi di adeguata verifica e ai portatori di legittimi interessi all'accesso (previo espresso accreditamento e sempre che che l'accesso consentito a soggetti estranei al circuito delle autorità competenti e dei destinatari degli obblighi non esponga il titolare effettivo a pericoli) (punto 2).
Con riferimento ai trust (punto 3) si prevede l’obbligo per il trustee di dichiarare di agire in tale veste, qualora instauri un rapporto continuativo o professionale con un soggetto destinatario degli obblighi di adeguata verifica della clientela. Egli, inoltre, deve ottenere e conservare tutte le informazioni sulla titolarità effettiva del trust: ovvero in merito all’identità del fondatore, del trustee, del guardiano, dei beneficiari e delle altre persone fisiche che esercitano il controllo effettivo sul trust. Tali informazioni devono essere prontamente accessibili alle Autorità competenti.
Si ricorda che il trust è un istituto che affonda le sue radici negli ordinamenti di common law e che, secondo il suo schema generale, comporta un trasferimento fiduciario di beni e diritti da un soggetto (settlor) ad un altro (trustee), che li amministra in favore di terzi soggetti (beneficiari) ovvero per un determinato scopo, secondo quanto stabilito nell’atto costitutivo del trust e secondo i propositi e i desideri del settlor. La struttura del trust può divenire quadrilatera mediante l’inserimento della figura del protector (guardiano), il quale controlla la gestione fiduciaria e vigila sulla fedeltà e sulla diligenza del trustee.
L’effetto principale che il trust produce è rappresentato dalla c.d. “segregazione patrimoniale”: i beni conferiti in trust vanno, infatti, a costituire un patrimonio separato dagli altri beni che compongono il patrimonio del trustee, come anche dal patrimonio del disponente e del beneficiario.
L’Italia ha ratificato la Convenzione de L’Aja del 1985, sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, e l’ha resa esecutiva mediante la legge 16 ottobre 1989, n. 364, entrata in vigore il 1° gennaio 1992. Da quest’ultima data, per conseguenza, il trust è divenuto istituto riconosciuto nel nostro ordinamento.
Con riferimento ai trust produttivi di effetti giuridici rilevanti, a fini fiscali, per l’ordinamento nazionale si prevede che tutte le informazioni sulla titolarità effettiva relative a tutti i soggetti coinvolti siano registrate in apposita sezione del Registro delle imprese e siano rese accessibili alle Autorità competenti e ai soggetti destinatari degli obblighi di adeguata verifica, previo accreditamento (punto 4).
Si osserva che sarebbe opportuno individuare
più chiaramente i trust produttivi di effetti giuridici rilevanti a fini
fiscali per l’ordinamento nazionale.
Si prevede l'individuazione di specifici requisiti di onorabilità e professionalità per i prestatori di servizi relativi a società o trust diversi dai professionisti già soggetti a specifici regimi di autorizzazione o abilitazione per l'esercizio dell'attività (punto 5).
Infine, devono essere individuate specifiche attività di adeguata verifica della clientela relativamente al beneficiario di contratti di assicurazione vita o di altre assicurazioni legate ad investimenti.
La lettera e) introduce il principio della semplificazione degli adempimenti posti a carico dei destinatari della normativa in materia di conservazione dei dati e delle informazioni rilevanti, anche attraverso l’integrazione di banche dati, per l'assolvimento delle finalità di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.
La lettera f) delinea le competenze e le funzioni dell’Unità di informazione finanziaria per l’Italia (UIF), in armonia con quanto previsto dalla direttiva 2015/849.
Il vigente d.lgs. 231/2007 ha istituito presso la Banca d’Italia l’Unità di informazione finanziaria per l’Italia (UIF) con funzioni di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, in conformità a regole e criteri internazionali che prevedono la presenza in ciascuno Stato di una Financial Intelligence Unit (FIU) dotata di piena autonomia operativa e gestionale.
La UIF riceve e acquisisce informazioni riguardanti ipotesi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo principalmente attraverso le segnalazioni di operazioni sospette trasmesse da intermediari finanziari, professionisti e altri operatori; ne effettua l’analisi finanziaria, utilizzando l’insieme delle fonti e dei poteri di cui dispone, e ne valuta la rilevanza ai fini dell’invio ai competenti organi investigativi e giudiziari, per l’eventuale sviluppo dell’azione di repressione.
La normativa stabilisce, a vantaggio della UIF, obblighi di informazione in capo alle autorità di vigilanza, alle amministrazioni e agli ordini professionali. L’Unità e gli organi investigativi e giudiziari collaborano ai fini dell’individuazione e dell’analisi di flussi finanziari anomali. L’Unità partecipa alla rete mondiale delle FIU per scambi informativi essenziali a fronteggiare la dimensione transnazionale del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
La norma in commento prevede che l’UIF:
abbia tempestivo accesso alle informazioni finanziarie, amministrative e, previa autorizzazione dell'Autorità giudiziaria procedente, alle informazioni investigative in possesso delle autorità e degli organi competenti necessarie per assolvere i propri compiti in modo adeguato, nel rispetto per le informazioni di investigative dei principi di pertinenza e proporzionalità dei dati e delle notizie trattati rispetto agli scopi per cui sono richiesti;
cooperi con le FIU di altri Paesi utilizzando l'intera gamma delle fonti informative e dei poteri di cui dispone, scambiando ogni informazione ritenuta utile per il trattamento o l'analisi di informazioni collegate al riciclaggio o al finanziamento del terrorismo, impiegando canali protetti di comunicazione e tecnologie avanzate per l'incrocio dei dati, subordinando al previo consenso della controparte estera gli utilizzi delle informazioni ricevute per scopi diversi dalle analisi della Unità stessa e fornendo a sua volta il consenso alle controparti estere a simili utilizzi delle informazioni rese a condizione che non siano compromesse indagini in corso;
individui operazioni che le devono essere comunicate in base a criteri oggettivi, emani indicatori di anomalia e istruzioni per la rilevazione e la segnalazione delle operazioni e definisca modalità di comunicazione al soggetto segnalante degli esiti delle segnalazioni di operazioni sospette, anche sulla base dei flussi di ritorno delle informazioni ricevuti dagli organi investigativi.
La lettera g) prevede di rafforzare gli strumenti di salvaguardia della riservatezza e della sicurezza dei segnalanti, delle segnalazioni di operazioni sospette, dei risultati delle analisi e delle informazioni acquisite anche negli scambi con le FIU. Si intende, inoltre, incoraggiare le segnalazioni di violazioni potenziali o effettive della normativa di prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
La lettera h) contiene - nel rispetto del principio del ne bis in idem e di proporzionalità e dissuasività delle sanzioni irrogate per le violazioni della disciplina attuativa della direttiva – una serie di principi e criteri direttivi diretti a introdurre modifiche al d.lgs. 231 del 2007 (di attuazione della precedente direttiva 2005/60/CE sulla prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo e della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione) e a ogni altra disposizione in materia.
Tali modifiche debbono essere volte a:
- introdurre nuove fattispecie incriminatrici solo per le gravi violazioni degli obblighi di adeguata verifica della clientela e di conservazione dei documenti commesse con frode, falsificazione di documenti e violazione del divieto di comunicazione dell’avvenuta segnalazione; il limite massimo delle relative sanzioni dovrà essere compreso tra i 3 anni e i 30.000 di multa (n. 1)
- graduare entità e tipo delle sanzioni amministrative sulla base di specifici parametri (natura del colpevole della violazione - persona fisica o giuridica -, settore di attività, dimensioni e complessità organizzativa degli obbligati) (n. 2);
- prevedere che le sanzioni per violazioni della direttiva commesse dalle persone giuridiche possano essere applicate ai soggetti in posizione apicale dell’ente (n. 3);
- sanzionare in via amministrativa - in misura graduata sulla base di specifici parametri - le gravi, reiterate o plurime violazioni di cui al n. 1 nonchè quelle relative a segnalazioni di operazioni sospette; le relative misure afflittive dovranno consistere: in dichiarazioni pubbliche che individuano il soggetto responsabile della violazione e in ordini di porre ad essa termine; nell’eventuale revoca o sospensione di autorizzazioni da parte dell’autorità di vigilanza; nell’interdizione temporanea, non superiore a 5 anni[34], dalle funzioni per i soggetti in posizione apicale delle persone giuridiche; in specifiche sanzioni amministrative pecuniarie con un minimo edittale non inferiore a 2.500 euro[35] (n. 4)
- prevedere sanzioni amministrative nei confronti di enti creditizi o finanziari per illeciti gravi o reiterati o plurimi delle norme sull’adeguata verifica della clientela, segnalazioni di operazioni sospette, conservazione dei documenti e controlli interni (n. 5);
- prevedere che le violazioni di scarsa offensività commesse da enti creditizi o finanziari siano punite, in alternativa alla sanzione pecuniaria, con una dichiarazione pubblica che individuando il responsabile (persona fisica o giuridica), e la violazione, ordina di porre termine al comportamento illecito (n. 6);
- prevedere che, con regolamento attuativo, le autorità di vigilanza possano disciplinare il procedimento di irrogazione della sanzione, assicurando il contraddittorio e la piena conoscenza degli atti istruttori (n. 7);
- attribuire potere sanzionatorio alla Banca d’Italia per le violazioni al reg. UE/847/2015, riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi (n. 8);
- disciplinare le modalità di pubblicazione dei provvedimento di irrogazione delle sanzioni, nel rispetto dei principi fondamentali della normativa sulla tutela dei dati personali (n. 9);
- prevedere le necessarie modifiche alla disciplina sanzionatoria della normativa interna relativa alla violazione dei regolamenti europei sul contrasto al finanziamento del terrorismo (n. 10).
La lettera i) prevede che, per non recare pregiudizio alle indagini sulla prevenzione e contrasto all’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio di attività illecite e di terrorismo – sentito il Garante dei dati personali - possano essere stabilite limitazioni al diritto di accesso ai dati personali garantito dall’art. 7 del Codice della privacy, il D.Lgs. 196/2003 (si tratta, in particolare, del diritto di avere conferma dell’esistenza di tali dati, di conoscere fini e modalità del trattamento, del diritto di rettifica e cancellazione, del diritto di opposizione al trattamento);
La lettera l) prevede, a fini di contrasto dei fenomeni criminali con particolare riferimento al riciclaggio, l’adozione di una disciplina organica sulle attività di compravendita di oro e oggetti preziosi usati, svolto da operatori non soggetti alla disciplina generale in materia prevista dalla legge n. 7 del 2000 (Nuova disciplina del mercato dell'oro, anche in attuazione della direttiva 98/80/CE del Consiglio, del 12 ottobre 1998). La nuova normativa, volta alla piena tracciabilità e registrazioni delle operazioni di compravendita dell’oro e la rapida acquisizione dei dati da parte delle forze di polizia, dovrà inoltre prevedere uno specifico apparato sanzionatorio;
La lettera m) stabilisce che la disciplina attuativa della direttiva 2015/849 trovi applicazione anche per le attività esercitate online dai soggetti agli obblighi;
La lettera n) prevede che - per il recepimento della direttiva UE 2015/849 - siano apportate le necessarie modifiche alle vigenti disposizioni attuative delle direttive 2005/60/CE e 2006/70/CE (il riferimento è ai decreti legislativi 231/2007 e 207/2009), anche tenendo conto degli standard internazionali del GAFI (il Gruppo d’azione finanziaria internazionale), degli strumenti degli altri organismi attivi nella lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, delle risoluzioni ONU e delle decisioni dell’Unione europea nonchè della necessità di garantire alle autorità pubbliche meccanismi di cooperazione e raccordo nella lotta agli indicati fenomeni illeciti.
Le lettere o), p) e q) sono state introdotte durante l’esame alla Camera.
La lettera o) impone al professionista, ai fini del rispetto degli obblighi di registrazione, che tutta la documentazione, i dati e le formazioni acquisite in sede di adeguata verifica debba essere (separatamente) conservata nel fascicolo relativo a ciascun cliente.
L’art. 36 del D.Lgs. 231/2007 prevede che i professionisti, gli intermediari finanziari e gli altri soggetti obbligati debbano conservare i documenti e registrare le informazioni che hanno acquisito per assolvere gli obblighi di adeguata verifica della clientela per il loro utilizzo in indagini per riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o per analisi effettuate dalla UIF o da qualsiasi altra Autorità competente. In particolare: a) per quanto riguarda gli obblighi di adeguata verifica del cliente e del titolare effettivo, conservano la copia o i riferimenti dei documenti richiesti, per un periodo di dieci anni dalla fine del rapporto continuativo o della prestazione professionale; b) per quanto riguarda le operazioni, i rapporti continuativi e le prestazioni professionali, conservano le scritture e le registrazioni, consistenti nei documenti originali o nelle copie aventi analoga efficacia probatoria nei procedimenti giudiziari, per un periodo di dieci anni dall'esecuzione dell'operazione o dalla cessazione del rapporto continuativo o della prestazione professionale.
Gli obblighi di conservazione, sempre per un periodo di dieci anni, riguardano inoltre le seguenti informazioni: a) con riferimento ai rapporti continuativi ed alla prestazione professionale: la data di instaurazione, i dati identificativi del cliente e del titolare effettivo, unitamente alle generalità dei delegati a operare per conto del titolare del rapporto e il codice del rapporto ove previsto; b) con riferimento a tutte le operazioni di importo pari o superiore a 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che si tratti di un'operazione unica o di più operazioni che appaiono tra di loro collegate per realizzare un'operazione frazionata: la data, la causale, l'importo, la tipologia dell'operazione, i mezzi di pagamento e i dati identificativi del soggetto che effettua l'operazione e del soggetto per conto del quale eventualmente opera. Le citate informazioni sono registrate tempestivamente e, comunque, non oltre il trentesimo giorno successivo al compimento dell'operazione ovvero all'apertura, alla variazione e alla chiusura del rapporto continuativo ovvero all'accettazione dell'incarico professionale, all'eventuale conoscenza successiva di ulteriori informazioni, o al termine della prestazione professionale.
Gli intermediari finanziari registrano e conservano per un periodo di dieci anni anche le operazioni di importo inferiore a 15.000 euro in relazione alle quali gli agenti in attività finanziaria sono tenuti ad osservare gli obblighi di adeguata verifica della clientela.
La lettera p) prevede la permanenza per il professionista dell’obbligo di segnalazione dell’operazione sospetta quando non sia possibile l’astensione dalla prestazione in quanto.
§ vi
è un obbligo di legge di ricevere l’atto;
§ per
sua natura, l’operazione non può essere rinviata;
§ l’astensione
dalla prestazione può essere di ostacolo alle indagini.
Si osserva che tale previsione risulta già contenuta nell’art. 23, comma 3, del D.Lgs. 231 del 2007 che, tuttavia, stabilisce l’obbligo di segnalazione “immediata” dell’operazione sospetta.
La lettera q) prevede l’istituzione presso l’Organismo competente per la gestione degli elenchi degli agenti e dei mediatori (OAM) di un registro informatizzato riguardante gli agenti che prestano esclusivamente servizi di pagamento nel settore dei servizi di rimessa di denaro (money transfer). Il registro, consultabile dagli istituti di pagamento, dovrà essere alimentato grazie alle informazioni, fornite dagli stessi intermediari, riguardanti esclusivamente le estinzioni dei rapporti contrattuali con gli agenti per motivi non commerciali. La finalità espressa è quella di assicurare un più efficace e immediato controllo sugli agenti che svolgono tale attività, nel rispetto dei principi e della normativa nazionale e comunitaria in materia di tutela della riservatezza e protezione dei dati personali.
Si ricorda che la normativa vigente (articolo 128-quater, comma 6, del TUB) prevede l’iscrizione in una sezione speciale dell’elenco tenuto dall’OAM degli agenti che prestano esclusivamente i servizi di pagamento su mandato diretto di intermediari nazionali. Con il D.M. n. 256 del 2012 è stato emanato il regolamento concernente le condizioni e i requisiti per l'iscrizione in tale sezione speciale. Si prevede che è agente nei servizi di pagamento il soggetto che promuove e conclude contratti relativi alla prestazione di servizi di pagamento, su mandato diretto di intermediari.
Gli agenti che svolgono la propria attività per conto di istituti di pagamento o di moneta elettronica comunitari sono sottoposti alla disciplina di settore del Paese in cui l'intermediario preponente ha ottenuto l'autorizzazione (home country control). Tali soggetti, pur operanti in Italia, non sono tenuti a iscriversi nella sezione speciale dell’elenco degli agenti in attività finanziaria bensì nel registro pubblico tenuto dalle Autorità del Paese di origine in cui viene data evidenza degli istituti di pagamento autorizzati, dei relativi agenti e delle succursali. Tali agenti devono tuttavia comunicare all’OAM, utilizzando la posta elettronica certificata, le informazioni relative all’avvio dell’operatività sul territorio italiano, ai propri dati aggiornati, alle eventuali variazioni e alla conclusione della propria attività, rispettando i tempi e le modalità di invio stabilite dall’Organismo (articolo 128-quater, comma 7, del TUB).
L'articolo 1, comma 1, lettera n), del D.Lgs. n. 11 del 2010 definisce «rimessa di denaro» il servizio di pagamento dove, senza l’apertura di conti di pagamento a nome del pagatore o del beneficiario, il prestatore di servizi di pagamento riceve i fondi dal pagatore con l’unico scopo di trasferire un ammontare corrispondente al beneficiario o a un altro prestatore di servizi di pagamento che agisce per conto del beneficiario, e/o dove tali fondi sono ricevuti per conto del beneficiario e messi a sua disposizione.
La legge di stabilità 2016, nell’elevare a 3.000 euro il limite a partire dal quale è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore (anche per le attività svolte dai cambiavalute con i clienti) ha mantenuto la soglia di 1.000 euro per il servizio di money transfer (legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 898). La relazione governativa affermava al riguardo che il monitoraggio sul sistema finanziario ha evidenziato rispetto a tale canale un elevato rischio di utilizzazione a fini di riciclaggio.
Il comma 3 reca la clausola di invarianza finanziaria.
Si prevede, inoltre, che in considerazione della complessità della materia trattata e dell’impossibilità di procedere alla determinazione degli eventuali effetti finanziari, per ciascuno schema di decreto legislativo la corrispondente relazione tecnica evidenzia gli effetti sui saldi di finanza pubblica.
Nel caso in cui uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri, che non trovano compensazione nel proprio ambito, si provvede ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Pertanto, in tal caso, le relazioni tecniche degli stessi decreti legislativi devono recare la quantificazioni degli oneri che ne derivano. L’emanazione dei decreti legislativi è subordinata all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.
Il richiamato comma 2 dell’articolo 17 della legge di contabilità stabilisce che le leggi di delega comportanti oneri devono recare i mezzi di copertura necessari per l'adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, la quantificazione degli stessi è effettuata al momento dell'adozione dei singoli decreti legislativi. I decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.
È all’esame delle istituzioni legislative europee una proposta di direttiva COM(2015)625 sulla lotta contro il terrorismo e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/475/GAI sulla lotta contro il terrorismo
La proposta integra le misure preventive relative al finanziamento del terrorismo previste dalla direttiva 2015/849/UE. La proposta, oltre ad imporre agli Stati membri di perseguire penalmente la fornitura di capitali utilizzati per commettere reati di terrorismo e reati connessi a gruppi terroristici o attività terroristiche, prevede inoltre l'introduzione di una nuova fattispecie di reato consistente nel finanziamento di viaggi all’estero a fini terroristici. Si stabilisce, peraltro, che ai fini della perseguibilità non è necessario che il reato sia effettivamente commesso né che vi sia un collegamento con uno specifico reato di terrorismo o con reati connessi ad attività terroristiche. Il finanziamento del terrorismo costituisce reato anche in assenza di un legame con uno o più atti terroristici specifici.
La II Commissione (Giustizia) della Camera
ha avviato l’esame della proposta il 31 marzo 2016.
Il 17 marzo 2016 le Commissioni riunite 1ª (Affari Costituzionali)e 2ª (Giustizia) del Senato hanno concluso l’esame della proposta, con l’approvazione di una risoluzione (Doc. XVIII, n. 117).
Articolo
16
(Princìpi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva (UE)
2015/1513 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che
modifica la direttiva 98/70/CE relativa alla qualità della benzina e del
combustibile diesel e la direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia
da fonti rinnovabili)
L'articolo
16 introduce ulteriori principi e criteri direttivi, oltre a quelli enunciati
dall'articolo 1, che il Governo dovrà seguire nell'esercizio della delega per
l'attuazione della direttiva (UE) 2015/1513.
In particolare, si prevedono per il Governo i criteri di:
-
adottare, al fine di sfruttare al massimo le
opportunità di produrre biocarbouranti dai residui, le medesime definizioni di
residui di processo e di residui da agricoltura, da acquacoltura, da pesca e da
silvicoltura introdotte dalla direttiva 2015/1513/UE (lettera a).
L'articolo 2 della
direttiva 98/70/CE, come modificato dalla direttiva 2015/1513/Ue reca le
seguenti definizioni:
·
"residuo
della lavorazione": sostanza diversa dal prodotto o dai prodotti finali
cui mira direttamente il processo di produzione; non costituisce l'obiettivo
primario del processo di produzione, il quale non è stato deliberatamente
modificato per ottenerlo;
·
"processo
dell'agricoltura, dell'acquacoltura, della pesca e delle silvicoltura":
residui generati direttamente dall'agricoltura, dall'acquacoltura, dalla pesca
e dalla silvicoltura; non comprendono residui delle industrie connesse o della
lavorazione.
-
prendere in
considerazione la possibilità di concorrere al raggiungimento degli obblighi di
cui alla direttiva 98/70/CE anche per mezzo dei biocarburanti utilizzabili per
il settore del trasporto aereo civile, come previsto dalle modifiche introdotte
dalla direttiva (UE) 2015/1513, al fine di rispettare gli obblighi della
direttiva 98/70/CE evitando la competizione tra biocarburanti e risorse
alimentari (lettera b).
La direttiva 98/70/CE reca le specifiche tecniche da
applicare alla benzina, al gasolio e ai biocarburanti utilizzati nei trasporti
su strada e ai gasoli utilizzati per i motori delle macchine non stradali.
All'articolo 7-bis, recante
disposizioni in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, essa stabilisce che i fornitori di carburanti
dovranno ridurre gradualmente le emissioni prodotte durante il ciclo di vita[36]
del 6 per cento entro il 31 dicembre 2020. Fornisce inoltre obiettivi
indicativi supplementari del 2 per cento fino a giungere ad una riduzione del
10 per cento. La direttiva 2015/1513/UE inserisce all'articolo 7-bis della direttiva 98/70/CE la
possibilità per gli Stati membri di permettere ai fornitori di biocarburanti
utilizzati nel settore dell'aviazione di scegliere se contribuire a tale
obbligo di riduzione, purché tali biocarburanti soddisfino i criteri di
sostenibilità. La direttiva incoraggia inoltre la ricerca e lo sviluppo di
tecnologie per la produzione di biocarburanti avanzati, generati ad esempio da
alghe o da rifiuti, che non sono in competizione diretta con le colture
destinate all'alimentazione umana o animale.
In materia di fonti rinnovabili, si ricorda il
quadro dei dati riportati nel Programma nazionale del DEF 2016 (Doc
LVII, n. 4),
che rileva in Italia l'avvenuta crescita della produzione di energia da tali
fonti, anche a seguito delle politiche di incentivazione fiscale, riportando i
dati della produzione energetica da rinnovabili e l'incremento raggiunto pari al 6,9 per cento rispetto al
2012, secondo i dati del Gestore Sevizi Energetici (GSE), nonché la strategia
per il perseguimento del target nazionale, contenuta all’interno del Piano di
Azione Nazionale (PAN). Si ricorda che il PAN è stato previsto dalla direttiva
2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla
promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, ove si è previsto che
gli Stati membri predisponessero il National
Renewable Energy Action Plan (NREAP), in cui vengono descritti gli
obiettivi e le principali azioni intraprese per coprire con energia prodotta da
fonti rinnovabili il 17 per cento dei consumi lordi nazionali.
In materia di riduzione di emissioni di gas a effetto
serra, si richiama infine il nuovo Accordo
sul clima adottato dalla COP21[37]
di Parigi nel dicembre 2015 che sancisce impegni volontari di riduzione da
parte dei paesi firmatari in vista dell'obiettivo a lungo termine di
mantenere l'aumento della temperatura
media globale "ben al di sotto del 2°" rispetto ai livelli
preindustriali, sollecitando gli sforzi per attestarla all'1,5°.
Al riguardo,
in relazione alla dizione di 'prendere in considerazione la possibilità di
concorrere' prevista dal criterio di cui alla lettera b) della disposizione, si
rileva come la formulazione stessa possa presentare profili di genericità
rispetto al tenore di un criterio direttivo di una norma di delega.
Si segnala che risulta pendente una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per il mancato recepimento della direttiva 2014/77/UE della Commissione, del 10 giugno 2014, recante modifica degli allegati I e II della direttiva 98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel (procedura n. 2015_0307).
La Commissione europea ha notificato al Governo italiano il parere motivato di apertura della procedura.
Articolo
17
(Norme concernenti la delega per il recepimento della direttiva 2015/2193/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa alla
limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati da
impianti di combustione medi, nonché per il riordino del quadro normativo degli
stabilimenti aventi emissioni in atmosfera)
L'articolo 17 è stato introdotto nel corso dell'esame presso la Camera dei deputati, ove si è proceduto ad inserire, nell'allegato B il riferimento alla direttiva 2015/2193/UE, relativa alla limitazione delle emissioni in atmosfera di alcuni inquinanti originati da impianti di combustione medi.
L'articolo prevede che, nell'esercizio della delega per l'attuazione della direttiva, il Governo provveda al riordino del quadro normativo degli stabilimenti aventi emissioni in atmosfera in cui si colloca la disciplina degli impianti di combustione medi.
La norma, oltre a richiamare la valenza, in quanto compatibili, dei principi e criteri posti dall'articolo 1, comma 1, pone, al comma 1, i seguenti principi e criteri direttivi specifici, in base ai quali il Governo è tenuto a:
1) aggiornare la disciplina generale relativa agli stabilimenti che producono emissioni in atmosfera non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale. Si fa specifico riferimento alla modifica ed integrazione delle disposizioni contenute nella parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di installazione ed esercizio, procedure autorizzative, determinazione dei valori limite di emissione, controlli e azioni conseguenti ai controlli (lettera a).
La
parte V del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in
materia ambientale, contiene disposizioni sulla tutela dell'aria e sulla
riduzione delle emissioni in atmosfera. Essa ha per oggetto la prevenzione e la
riduzione integrate dell'inquinamento proveniente dalle installazioni che
svolgono alcune attività specifiche che possono determinare danni ambientali
significativi indicate nell'allegato VIII della Parte II, come modificato dal decreto
legislativo 4 marzo 2014, n. 46, recante attuazione
della direttiva 2010/75/UE sulle emissioni industriali. Tra esse le attività
energetiche, le attività di produzione e trasformazione dei metalli, le
attività dell'industria dei prodotti minerale, le attività di trattamento dei
rifiuti, dell'industria chimica e del settore del legno.
Si
ricorda che lo stesso decreto legislativo disciplina (articolo 4, comma 4,
lettera c), e Titolo III-bis della Parte I) il rilascio dell'Autorizzazione
Integrata Ambientale (AIA).
2) razionalizzare
le procedure che riguardano l'autorizzazione degli stabilimenti, anche nell'ottica
di garantire un coordinamento con le norme in materia di autorizzazione unica
ambientale (lettera b);
Le
procedure autorizzative sono disciplinate dall'articolo 269 (parte V) del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che prevede che per tutti gli stabilimenti che producono emissioni deve essere
richiesta una autorizzazione alle autorità competenti. Sono esclusi gli
stabilimenti di incenerimento e coincenerimento e gli altri impianti di
trattamento termico dei rifiuti (soggetti ad AIA), gli impianti le cui
emissioni sono scarsamente rilevanti ai fini dell'inquinamento dell'atmosfera
(parte I dell'Allegato IV della Parte V) e gli stabilimenti destinati alla
difesa nazionale ed alle emissioni provenienti da sfiati e ricambi d'aria
esclusivamente adibiti alla protezione e alla sicurezza degli ambienti di
lavoro.
Le norme in materia di autorizzazione unica ambientale sono
contenute nell'articolo 23 del decreto-legge
9 febbraio 2012, n. 5, come modificato dalla legge di
conversione 4
aprile 2012, n. 35, che prevede procedure semplificate per
le piccole e medie imprese. Tali disposizioni sono state attuate con il DPR
13 marzo 2013, n. 59, recante il regolamento che disciplina l’autorizzazione unica
ambientale (AUA) e la semplificazione degli adempimenti amministrativi per le
imprese e gli impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale;
3) aggiornare
l'Allegato I alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152,
riducendo i valori limite vigenti di emissione alla luce delle migliori
tecnologie disponibili, con priorità per gli impianti di combustione e per la
classificazione delle sostanze inquinanti
(lettera c).
L'Allegato
I alla parte V fissa i valori di emissione minimi e massimi con
riferimento a:
a) sostanze inquinanti in generale (parte II);
b) sostanze inquinanti di alcune tipologie di impianti e relative prescrizioni (parte III);
c) raffinerie e impianti per la coltivazione degli
idrocarburi e dei flussi geotermici (parte IV);
4) riconoscere agli impianti di combustione medi esistenti un periodo di tempo sufficiente per adeguarsi sul piano tecnico alle nuove prescrizioni (lettera d);
A tale riguardo, si segnala come la
formulazione del criterio di delegazione possa presentare margini di
genericità, posto che non si fa riferimento ad un criterio temporale specifico;
5) aggiornare il sistema delle sanzioni penali e amministrative previsto dalla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in modo da assicurare l'effettività, la proporzionalità e la dissuasività delle misure sanzionatorie relative agli stabilimenti non sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale. È altresì previsto che si tenga conto delle sanzioni previste per violazioni di analoga natura commesse nell'esercizio degli stabilimenti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale, nonché dello specifico impatto emissivo degli stabilimenti da disciplinare (lettera e).
Il
titolo III-bis della parte seconda
del decreto legislativo n. 152/2006 è dedicato alla "autorizzazione
integrata ambientale". Il sistema di sanzioni che vi è delineato consiste
in:
1)
sanzioni
amministrative interdittive (articolo 29-decies,
comma 1), comminate in caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie o
di esercizio in assenza di autorizzazione. In questo caso l'Autorità competente
può procedere a diffida. In caso di situazioni di pericolo o di danno per
l'ambiente, la diffida può essere accompagnata da contestuale sospensione
dell'attività o può essere disposta la chiusura dell'installazione;
2)
sanzioni
amministrative pecuniarie (articolo 29-quatordecies)
in caso di esercizio di attività in assenza di AIA (comma 1), mancata
osservanza delle sue prescrizioni (commi 2-4), modifica dell'installazione
senza autorizzazione (commi 5-6), mancate comunicazioni alle autorità competenti
(commi 7, 8, 10);
3)
sanzioni penali:
l'articolo 29-quatordecies prevede,
tra l'altro, la pena dell'arresto: per chi eserciti l'attività essendo privo
dell'AIA o continui l'esercizio dopo l'ordine di chiusura dell'installazione
(comma 1); in caso di grave inosservanza delle prescrizioni relative
all'autorizzazione (comma 4),
4)
qualora vengano
forniti dati falsificati o alterati nell'effettuare le comunicazioni dei dati
relativi alle misurazioni delle emissioni (comma 9).
Si
ricorda che l'articolo 32, comma 1, lettera d), della legge 24 dicembre 2012,
n. 234, detta norme specifiche per l'introduzione di sanzioni penali o
amministrative nella legislazione nazionale di attuazione delle norme UE. Tale
norma stabilisce che le sanzioni penali siano previste, in via alternativa o
congiunta, "solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a
pericolo interessi costituzionalmente protetti". In caso contrario si
ricorre a sanzioni amministrative. Sanzioni accessorie, penali o
amministrative, sono ipotizzabili "ove necessario per assicurare
l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi".
Si
ricorda, inoltre, la recente approvazione della legge
22 maggio 2015, n. 68, recante disposizioni in materia di delitti contro
l'ambiente.
Il comma 2 specifica che dall'attuazione delle norme sopra citate non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo
18
(Attuazione della direttiva 2014/90/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 25 luglio 2014 sull’equipaggiamento marittimo e che abroga la
direttiva 96/98/CE del Consiglio)
L’articolo 18 dispone il recepimento in via regolamentare della direttiva 2014/90/UE sull’equipaggiamento marittimo. Si tratta della direttiva che sostituisce , abrogandola a decorrere dal 18 settembre 2016, la precedente direttiva 96/98/CE sui materiali costituenti equipaggiamento marittimo, che era stata recepita con decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1999, n. 407.
Il termine per il recepimento della direttiva 2014/90/UE è il 18 settembre 2016 e a decorrere da tale data è previsto che si applichino le nuove disposizioni.
L’attuazione in via amministrativa è prevista dall’art. 35, comma 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 234 quando la direttiva può considerarsi a contenuto non normativo. In questo caso il recepimento può avvenire mediante atto amministrativo generale da parte del Ministro con competenza prevalente nella materia, di concerto con gli altri Ministri interessati.
Per equipaggiamento marittimo si intende qualsiasi equipaggiamento a bordo di una nave che possa essere fornito al momento della costruzione oppure installato successivamente. E’ compresa un'ampia gamma di prodotti, quali le apparecchiature di navigazione, le dotazioni di navi da carico, le attrezzature antincendio, i mezzi di salvataggio, nonché le attrezzature specializzate per scopi ambientali. L'equipaggiamento marittimo rappresenta tra il 40 e l'80 % del valore delle navi di nuova costruzione. L'industria dell'equipaggiamento marittimo è un settore ad alto valore aggiunto, che gode di una posizione leader e di un ruolo di esportatore netto, con elevati livelli di investimento in R&S, e che conta tra le 5.000 e le 6.000 imprese e 300.000 addetti (Fonte: Comitato Economico e Sociale dell’UE 2013)
Le convenzioni internazionali sulla sicurezza marittima impongono agli Stati di bandiera di assicurare che l’equipaggiamento installato a bordo delle navi sia conforme a determinati requisiti di sicurezza per quanto attiene a progettazione, costruzione ed efficienza e di rilasciare i relativi certificati. A tal fine l’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) e gli organismi internazionali ed europei di normalizzazione hanno elaborato norme dettagliate di efficienza e di prova per alcuni tipi di equipaggiamento marittimo.
La direttiva 96/98/CE ha quindi stabilito regole comuni per eliminare le differenze nell’applicazione delle norme internazionali mediante una serie di requisiti chiaramente identificati e di procedure uniformi di certificazione. La Commissione europea ha però individuato quattro ambiti in cui la direttiva 96/98/CE sull'equipaggiamento marittimo non ha conseguito pienamente i suoi obiettivi. Tra le parti interessate coinvolte figurano i fabbricanti europei di equipaggiamento marittimo, comprese le PMI, i cantieri navali, i passeggeri e gli equipaggi delle navi, nonché le pubbliche amministrazioni. La Commissione ha quindi proposto la nuova direttiva 2014/90/UE che attribuisce priorità alla regolamentazione internazionale della sicurezza marittima, coerentemente con la dimensione mondiale della navigazione.
Successivamente a questa direttiva, in attesa dell’abrogazione della direttiva 96/98 a prevista per settembre 2016, sono state emanate due direttive di adeguamento a nuove norme tecniche convenzionali internazionali: la direttiva 2014/93/UE della Commissione, adottata in data 18 luglio 2014, che ha aggiornato gli strumenti internazionali di riferimento nonché l'elenco dell'equipaggiamento ed a cui è stata data attuazione in via amministrativa con decreto del MIT 31 luglio 2015 e la direttiva 2015/559 della Commissione, relativa a nuovi componenti di equipaggiamento da includere nell’allegato A alla direttiva 96/98 che possono continuare ad essere commercializzati e utilizzati a bordo delle navi dell'Unione fino al 30 aprile 2018.
La direttiva 2014/90/UE ha l’obiettivo primario di assicurare l'attuazione armonizzata delle norme IMO (Organizzazione marittima internazionale) in materia di equipaggiamento marittimo e garantire il corretto funzionamento del mercato interno dell'equipaggiamento marittimo.
Essa si applica all’equipaggiamento presente o da installare a bordo delle navi UE, per il quale gli strumenti internazionali richiedono l’approvazione da parte dell’amministrazione dello Stato di bandiera, a prescindere dal fatto che la nave si trovi o meno sul territorio dell’Unione nel momento in cui l’equipaggiamento è installato a bordo (art. 3).
L’equipaggiamento marittimo installato a bordo di navi UE viene considerato conforme ai requisiti di progettazione, costruzione ed efficienza degli strumenti internazionali applicabili alla data in cui l’equipaggiamento è installato a bordo. Si prevede quindi l'applicazione automatica delle convenzioni IMO e degli altri strumenti internazionali nella loro versione aggiornata, non richiedendosi quindi più alcuna modifica della direttiva né l'inserimento di elenchi di equipaggiamenti come avviene attualmente con gli allegati A.I e A.II.
La conformità dell’equipaggiamento marittimo è dimostrata unicamente sulla base delle norme di prova e mediante le procedure di valutazione della conformità (art. 4).
La direttiva 2014/90/UE prevede:
a) l'obbligo di conformità degli strumenti con le norme dell'IMO per l'equipaggiamento marittimo da installare a bordo delle navi UE;
b) l’estensione dell'applicazione della direttiva a qualsiasi altro equipaggiamento suscettibile di rientrare nell'ambito di applicazione degli strumenti giuridici dell'Unione;
c) il riconoscimento reciproco tra Stati membri dell'equipaggiamento conforme e l'accettazione di un equipaggiamento equivalente;
d) la libera circolazione dell'equipaggiamento marittimo all'interno dell'UE e l'eliminazione degli ostacoli tecnici agli scambi all'interno del mercato interno;
e) un meccanismo inteso a semplificare e chiarire il recepimento delle modifiche alle norme IMO nelle legislazioni UE e nazionali.
L’apposizione del marchio di conformità (artt. 9, 10 e 11) all’equipaggiamento marittimo da parte del fabbricante o, se del caso, dell’importatore costituisce la garanzia che l’equipaggiamento è conforme e può essere immesso sul mercato per essere installato a bordo di una nave UE. Il marchio di conformità è apposto sul prodotto o sulla sua targhetta segnaletica in modo visibile, leggibile e indelebile e, se del caso, è incluso nel suo software.
Per facilitare la vigilanza del mercato e prevenire la contraffazione di elementi specifici di equipaggiamento marittimo, i fabbricanti possono anche ricorrere a un’etichetta elettronica di forma adeguata e affidabile in sostituzione o a integrazione del marchio di conformità.
I fabbricanti che non hanno sede nel territorio di almeno uno Stato membro sono obbligati a designare, mediante mandato scritto, un proprio rappresentante autorizzato per l’Unione e ad indicare nel mandato il nominativo del rappresentante autorizzato e l’indirizzo al quale può essere contattato (art. 13).
La direttiva 2014/90 disciplina anche la materia dell’accreditamento degli organismi di conformità e della vigilanza del mercato. La direttiva prevede disposizioni per far sì che il marchio di conformità, una volta apposto, rimanga garanzia di sicurezza, mantenendone le norme di applicazione, e per far sì che le autorità nazionali di vigilanza del mercato espletino efficacemente i loro compiti.
Gli Stati membri devono infatti designare un’autorità di notifica responsabile dell’elaborazione e attuazione delle procedure necessarie per la valutazione e la notifica degli organismi di valutazione della conformità e per il controllo degli organismi notificati (art. 18)
L’art.
17 in particolare prevede che gli Stati
membri notifichino alla Commissione e agli altri Stati membri, per mezzo di
un apposito sistema di informazione, gli
organismi autorizzati ad eseguire compiti di valutazione della conformità.
Qualora le autorità di vigilanza del mercato di uno Stato membro abbiano sufficienti ragioni per ritenere che un equipaggiamento marittimo presenti un rischio per la sicurezza marittima, la salute o l’ambiente, effettuano una valutazione dell’equipaggiamento interessato e possono chiedere tempestivamente all’operatore economico interessato di adottare tutte le misure correttive del caso o di ritirarlo dal mercato o di richiamarlo (art. 26). E’ prevista infine l’attivazione di una misura UE di salvaguardia di consultazione tra la Commissione e gli Stati membri in caso di opposizione rispetto alla misura adottata dallo Stato membro (artt. 27 e 28).
Articolo 19
(Delega al Governo per l’attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del
Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore
privato)
L’articolo
19, introdotto nel corso dell’esame alla
Camera, delega il Governo, entro tre mesi dall’entrata in vigore della
legge di delegazione, a dare attuazione alla decisione quadro 2003/568/GAI in tema di lotta alla corruzione nel settore privato.
Analoga delega era già stata prevista dall’art. 28 della legge comunitaria 2007 (legge 25 febbraio 2008, n. 34); il termine di attuazione è scaduto il 21 marzo 2009.
La decisione quadro 2003/568/GAI è volta a stabilire il principio generale in base al quale devono costituire illeciti penali all'interno dell'Unione europea e devono essere sanzionati con pene effettive, proporzionate e dissuasive i comportamenti di corruzione attiva e passiva tenuti nel settore privato; in tale ambito debbono essere perseguite anche le persone giuridiche private (artt. 4 e 5).
La decisione quadro impone, quindi, agli Stati membri di procedere alla introduzione nei propri ordinamenti di sanzioni penali che colpiscano i seguenti comportamenti illeciti, in quanto condotte intenzionali poste in essere nello svolgimento di attività professionali svolte nell'ambito di entità a scopo di lucro e senza scopo di lucro (art. 2):
- promettere, offrire o concedere, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura ad una persona, per essa stessa o per un terzo, che svolge funzioni direttive o lavorative di qualsiasi tipo per conto di un'entità del settore privato, affinché essa compia o ometta di compiere un atto in violazione di un dovere (par. 1, lett. a); tale fattispecie riguarda la corruzione attiva tra privati;
- sollecitare o ricevere, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura, oppure accettare la promessa di tale vantaggio, per sé o per un terzo, nello svolgimento di funzioni direttive o lavorative di qualsiasi tipo per conto di un'entità del settore privato, per compiere o per omettere un atto, in violazione di un dovere (par. 1, lett. b); ); tale ipotesi consiste nella corruzione passiva tra privati;
- istigare e favorire qualcuno a porre in essere le condotte di cui ai primi due punti (art. 3).
Le
sanzioni penali dovranno essere effettive, proporzionate e dissuasive. Le
condotte indicate dall’articolo 2 debbono essere passibili di pene di durata
massima compresa tra uno e tre anni. Inoltre, una persona fisica collegata a
una determinata attività commerciale e condannata per le condotte previste
dall’articolo 2, deve essere temporaneamente interdetta – perlomeno qualora
occupasse una posizione dirigenziale nell’azienda interessata – dall’esercizio
della specifica attività commerciale o altra comparabile (art. 4).
Come detto, ai sensi della decisione quadro, gli Stati membri non devono limitarsi a prevedere la sanzionabilità delle persone fisiche ma anche delle persone giuridiche private, quando i suddetti illeciti sono commessi a loro beneficio (art. 5): da qualsiasi persona che agisca individualmente o in quanto parte di un organo della persona
giuridica, la quale occupi una posizione dirigente in seno alla persona giuridica, basata a) sul potere di rappresentanza di detta persona giuridica, o b) sul potere di prendere decisioni per conto della persona giuridica, o c) sull'esercizio del controllo in seno a tale persona giuridica, oppure da una persona soggetta all'autorità della persona giuridica che abbia commesso una delle suddette condotte a favore della persona giuridica stessa, a causa della carenza di sorveglianza o controllo da parte di un soggetto che occupi una posizione direttiva, come definita al punto precedente.
La decisione quadro prevede sanzioni pecuniarie di natura penale o non penale ed eventuali ulteriori sanzioni, anche di natura interdittiva, nei confronti della persona giuridica (art. 6) L’articolo 7 stabilisce che gli Stati membri adottino le misure necessarie per definire la competenza sugli illeciti in questione commessi sul proprio territorio (anche solo in parte), commessi da un suo cittadino in altro Stato membro, commessi a vantaggio di una persona giuridica la cui sede principale è nel territorio dello Stato membro. Per coordinamento con la nuova disciplina, è poi abrogata l’azione comune 98/742/GAI. Il termine di attuazione della decisione (art. 9) è scaduto il 22 luglio 2005.
La corruzione tra privati non è disciplinata
dal codice penale ma da disposizioni di diritto penale contenute nel codice
civile.
La corrispondente fattispecie (art. 2635 del codice civile),
introdotta dalla legge 61 del 2002, è stata più recentemente riformata dalla
cd. legge Severino (L. 190 del 2012)
che ha, tra l’altro, inteso adempiere agli obblighi internazionali in materia
(sia le Convenzioni di Merida e di Strasburgo sulla corruzione che la citata
decisione quadro 2003/568/GAI).
Art. 2635
c.c. (Corruzione tra privati)
Salvo che il fatto
costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i
dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci
e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o
altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione
degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando
nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni (primo comma). Si applica la pena della
reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto
alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma (secondo comma).
Chi dà o promette
denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è
punito con le pene ivi previste (terzo
comma).
Le pene stabilite nei
commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in
mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi
tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico
delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni (quarto comma).
Si procede a querela
della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della
concorrenza nella acquisizione di beni o servizi (quinto comma).
I primi due commi dell’art. 2635 c.c. sono
riferiti alla corruzione passiva tra
privati; il terzo comma riguarda la corruzione
attiva.
L’adeguamento della normativa italiana del
2012 non è stato ritenuto soddisfacente a livello europeo in quanto non recepisce pienamente i contenuti della
decisione quadro 2003/568/GAI.
In particolare, dopo che la necessità di un più incisivo intervento in materia
del legislatore italiano era stato sottolineato nelle Raccomandazioni contenute
nei rapporti del GRECO (Gruppo di Stati contro la corruzione) del Consiglio
d’Europa del 2 luglio 2009 e del 23 marzo 2012, la prima Relazione della
Commissione Europea sulla lotta alla corruzione (allegato sull’Italia) del 3
febbraio 2014 ha ritenuto che la nuova disciplina “non affronta tutte le carenze connesse alla portata del reato di
corruzione nel settore privato e al regime sanzionatorio” (v. ultra, più
estesamente).
In particolare, nell’art. 2635 c.c., per
quanto concerne la corruzione passiva
tra privati (comma 1), diversamente che
nella decisione quadro (art. 2, par. 1, lett. b):
· si configura un reato di evento (bisogna, infatti, che vi sia un nocumento alla
società);
· manca il riferimento sia all’indebito
vantaggio di qualsiasi natura sia alla sollecitazione
a riceverlo, per sè o per altri;
· la natura del reato è quella di reato proprio: lo commettono solo
determinati soggetti che rivestono incarichi apicali preposti alla redazione
dei documenti contabili (primo comma) o comunque soggetti alla direzione o
vigilanza dei primi (comma secondo) ma è omesso il riferimento espresso agli intermediari per il cui tramite sia
sollecitato o ricevuto l’indebito vantaggio. Peraltro, almeno in alcuni casi,
l’intermediazione potrebbe essere assorbita dal concorso nel reato; si rammenta
infatti che l’art. 346-bis c.p. sul traffico di influenze illecite, introdotto
dalla legge 190/2012, prevede l’illiceità di analoga intermediazione nel
settore pubblico “fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319
e 319-ter”.
Per quanto riguarda la corruzione
attiva tra privati (terzo comma):
· l’illecito risulta essere un reato comune; lo
commette chi dà o promette denaro o altra utilità ai soggetti indicati nei
primi due commi; sembrerebbe quindi assorbito l’omesso riferimento agli
intermediari come possibili soggetti attivi del reato, previsto esplicitamente
dalla decisione quadro;
· manca il riferimento sia all’indebito
vantaggio di qualsiasi natura sia a possibili terzi quale destinatari dello
stesso.
Inoltre, in base al quinto comma dell’art.
2635 c.c., in entrambe le fattispecie di
reato la procedibilità è a querela (salva
l’ipotesi più grave di distorsione della concorrenza).
Peraltro, diversamente da quanto previsto dall’art. 3 della decisione quadro,
l’ordinamento interno non prevede una
fattispecie specifica di istigazione alla corruzione tra privati. La
fattispecie generale di istigazione a delinquere di cui all’art. 414 c.p.
presuppone la pubblicità dell’istigazione.
Sempre con riferimento alle misure
sanzionatorie, contrariamente a quanto previsto dalla decisione quadro (art.
4), a carico delle persone fisiche condannate per corruzione tra privati
l’ordinamento interno non contempla l’applicazione di sanzioni interdittive temporanee.
L’art. 6 della decisione quadro prevede poi sanzioni penali, non penali e ulteriori, eventuali misure – anche interdittive - nei confronti delle persone giuridiche responsabili dei reati di corruzione tra privati, commessi a proprio beneficio dai rappresentanti dell’ente stesso.
Il D.Lgs. 231/2001 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle perone giuridiche) prevede che, per una serie di reati espressamente individuati, possano essere applicate alla persona giuridica - mediante accertamento giudiziale - oltre a sanzioni interdittive (interdizione dall'esercizio dell'attività, sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito, divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, etc.) anche sanzioni di natura pecuniaria, applicate per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille; l'importo di una quota varia da un minimo di 258 euro ad un massimo di 1.548 euro. Nella commisurazione della sanzione pecuniaria il giudice determina il numero delle quote, tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell'ente, nonché dell'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti. L'importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente allo scopo di assicurare l'efficacia della sanzione.
L’attuale disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche per i reati commessi nell’interesse dell’ente prevede (art. 25-ter D.Lgs. 231/2001) che la sanzione
pecuniaria a carico dell’ente sia compresa tra 200 e 400 quote, ma solo per il delitto di corruzione attiva tra privati (articolo
2635, terzo comma, c.c.).
In base
all’articolo 19 in esame, nel dare
attuazione a quanto disposto dalla suddetta decisione quadro, il Governo dovrà
attenersi (comma 1), oltre che ai
principi e ai criteri direttivi generali previsti dalla legge 234 del 2012 (Norme generali sulla partecipazione
dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche
dell'Unione europea), alle disposizioni previste dalla decisione quadro,
“nelle parti in cui non richiedono uno specifico adattamento dell’ordinamento
italiano”. Si chiarisca quali siano le
parti in questione e per quale ragione la delega debba limitarsi ad adeguare
l’ordinamento interno alle parti della decisione quadro che non comportano
obblighi di adattamento.
L’articolo 19, comma 1, individua poi una specifica serie di principi e criteri
direttivi.
In relazione al reato di corruzione attiva tra privati, rispetto a quanto già stabilito
dall’art. 2635 c.c., si dovrà prevedere (lett.
a):
· oltre alla dazione e alla promessa, anche l’offerta di denaro o altra utilità, che si
precisa “non dovuti” (il riferimento è verosimilmente all’indebito
vantaggio che l’art. 2, par. 1, della decisione quadro qualifica “di qualsiasi
natura”),
· che l’illecito può essere posto in essere
anche da un intermediario (“per
interposta persona”); anche in questo caso viene attuata la previsione
dell’art. 2, par. 1, della decisione quadro;
· che la dazione, la promessa o l’offerta
possono riguardare soltanto soggetti che svolgono funzioni dirigenziali o di controllo nonché attività lavorativa con
esplicazione di funzioni direttive
presso società ed enti privati; sul
punto, l’art. 2, par. 1, lett. a), della decisione quadro diversamente prevede
anche lo svolgimento di funzioni lavorative “di qualsiasi tipo” (quindi anche
non dirigenziali-direttive) per conto del privato. Si osserva poi che nella decisione quadro il vantaggio indebito può
riguardare direttamente il soggetto corrotto (la persona che lavora nell’ente
privato) ovvero un terzo; nella formulazione adottata con la delega, invece, è
previsto che l’attività corruttiva vada a vantaggio non del corrotto bensì del
corruttore o di altri.
Identiche
previsioni dovranno riguardare la corruzione passiva tra privati, con l’ovvia eccezione del
riferimento alla “’offerta” (di denaro o altra utilità) (lett. b).
Si dovrà poi integrare la fattispecie di
corruzione passiva in modo da prevedere che - conformemente a quanto stabilisce
la decisione quadro (art. 2, par. 1, lett. b) - costituisca illecito anche la sollecitazione
a ricevere denaro o altra utilità.
Si osserva che non è previsto un criterio di delega che chiarisca la natura del reato (di evento o meno) cioè la necessità (attualmente prevista dall’art. 2635, primo comma, c.c.) del “nocumento” alla società privata ai fini della consumazione del reato.
Analogamente, non è previsto alcun criterio relativo alla procedibilità del reato di corruzione tra privati (che, come ricordato, attualmente è a querela di parte, ad esclusione del caso dell’ultimo comma dell’art. 2635 c.c).
Un criterio direttivo (lett. c) - conformemente a quanto previsto dall’art. 3 della
decisione quadro - stabilisce che dovranno essere sanzionate anche le condotte di istigazione alla corruzione
(attiva e passiva) tra privati.
In relazione alle sanzioni per la corruzione tra privati (lett. d) viene prevista dal criterio direttivo:
·
la pena
della reclusione da 6 mesi a 3 anni (previsione conforme all’art. 4,
par. 2, della decisione quadro che fissa la sola pena massima compresa almeno
tra 1 e 3 anni);
·
la pena
accessoria dell’interdizione temporanea dell’esercizio dell’attività nei
confronti di chi - condannato per corruzione passiva tra privati o per
istigazione a commettere i reati di corruzione tra privati - svolge funzioni
direttive o di controllo in società e enti privati; tale misura è prevista
dall’art. 4, par. 3, della decisione quadro. L’articolo 32-bis del codice penale prevede l'interdizione temporanea (da un mese
a cinque anni, in base all’art. 30) dagli uffici direttivi delle persone
giuridiche, quale conseguenza di ogni condanna alla reclusione non inferiore a
sei mesi per delitti commessi con abuso dei poteri o violazione dei doveri
inerenti all'ufficio. Essa priva il condannato della capacità di esercitare,
durante l'interdizione, l'ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore,
direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili
societari, nonché ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona
giuridica o dell'imprenditore.
Il successivo criterio direttivo (lett. e) è finalizzato all'attuazione
degli artt. 5 e 6 della decisione quadro, ai sensi dei quali ciascuno Stato
membro deve adottare le misure necessarie affinché le persone giuridiche
possano essere dichiarate responsabili degli illeciti di cui sopra commessi a
loro beneficio.
Tale criterio prevede che alle persone giuridiche debbano essere
applicati, per la responsabilità
amministrativa prevista dal citato D.Lgs 231/2001, conseguente alla corruzione tra privati commessa nel suo interesse
(vedi ante):
· la sanzione pecuniaria tra 200 e 600 quote
(attualmente è tra 200 e 400);
· le sanzioni amministrative interdittive
di cui all’art. 9 del D.Lgs 231 (l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni
funzionali alla commissione dell'illecito; il divieto di contrattare con la
pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico
servizio; l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e
l'eventuale revoca di quelli già concessi; il divieto di pubblicizzare beni o
servizi). L’applicazione di tali sanzioni - attualmente non prevista dal d.lgs.
231/2001 in relazione alla corruzione tra privati - è conforme a quanto
stabilisce l’art. 6 della decisione quadro (che richiama, peraltro, le
eventuali, ulteriori misure giudiziarie della sorveglianza da parte del giudice
o della liquidazione dell’ente).
Il comma
2 dell’articolo 19 prevede il parere
delle competenti Commissioni parlamentari sullo schema di decreto legislativo
di recepimento della decisione quadro.
Infine, il comma 3 concerne l’invarianza finanziaria della nuova disciplina.
Nell’ambito del più ampio programma inteso a
proteggere l'economia legale europea, in linea con quanto stabilito nella
strategia per la sicurezza interna, la Commissione europea ha adottato, nel
giugno 2011, il pacchetto anticorruzione, composto dai seguenti atti.
Una comunicazione sulla lotta alla corruzione
nell'UE, che delinea gli obiettivi e gli aspetti pratici della relazione
anticorruzione, pubblicata con cadenza biennale a partire dal 2013, basandosi
sui meccanismi di monitoraggio esistenti (del Consiglio d'Europa, dell'OCSE e
delle Nazioni Unite), nonché sul parere di esperti indipendenti, delle parti
interessate e della società civile.
Una decisione della Commissione che stabilisce il meccanismo di relazione anticorruzione dell'Unione europea ed istituisce un gruppo di esperti in materia;
Una relazione sull'attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato;
Una relazione sulle modalità di partecipazione dell'Unione europea in seno al Gruppo di Stati del Consiglio d'Europa contro la corruzione (GRECO).
A ciò ha fatto seguito, nel febbraio 2014, la
pubblicazione, da parte della Commissione europea, della citata prima relazione sulla lotta alla corruzione nell'Unione europea (vedi infra), che esamina il
fenomeno della corruzione nei 28 Stati membri ed illustra le misure anticorruzione
esistenti, la loro efficacia ed alcune principali
tendenze.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
La Commissione europea ha presentato nel
febbraio 2014 la prima relazione di analisi della corruzione negli Stati
membri dell’UE (stimata in 120 miliardi di euro l’anno), al
fine di stimolare una riflessione per un ulteriore miglioramento delle misure
adottate per contrastarla.
La relazione illustra i risultati di un
sondaggio sulla percezione generale della diffusione della corruzione e sulla
possibilità effettiva di ricevere richieste di tangenti, dal quale emerge che
in alcuni Stati (Danimarca, Finlandia, Lussemburgo e Svezia) c’è una
limitatissima percezione del fenomeno ed una scarsa esperienza diretta di
corruzione; in altri Paesi (Portogallo, Slovenia, Spagna e Italia), anche se le
tangenti sembrano non diffuse, la corruzione solleva gravi preoccupazioni anche
in ragione dei recenti scandali. Tra i Paesi con i risultati peggiori per
quanto concerne la percezione e l’effettiva esperienza della corruzione
figurano la Croazia, la Repubblica ceca, la Lituania, la Bulgaria, la Romania e
la Grecia. In generale, si riscontra a livello europeo una forte preoccupazione
nei confronti del fenomeno corruttivo, anche da parte delle imprese (soprattutto
quelle di minori dimensioni).
Per quanto riguarda le misure di contrasto,
viene sottolineata l’importanza di un approccio organico e coordinato a livello
centrale; per questo motivo è apprezzata la scelta di quei Paesi che hanno
definito programmi e strategie anticorruzione, anche per far fronte al
crescente clima di sfiducia dell’opinione pubblica ed alla perdita di
credibilità a livello internazionale.
Un primo problema è rappresentato dalla
mancanza a livello di Unione europea di una definizione armonizzata di
“funzionario pubblico” che comprenda i funzionari eletti, al fine di assicurare
la responsabilità penale dei funzionari eletti per i reati di corruzione (la
proposta di direttiva avanzata dalla Commissione ha incontrato forti ostacoli alla
sua approvazione). Un secondo problema riguarda la trasparenza del
finanziamento dei candidati alle elezioni e dei partiti politici per
contrastare il finanziamento illecito ai partiti, il voto di scambio e altre
forme di influenza indebita sull’elettorato.
Molto importanti sono le politiche di
prevenzione (norme etiche chiare, misure di sensibilizzazione, sviluppo di una
cultura di integrità nelle varie organizzazioni, etc). Vanno sviluppati i
controlli sia esterni che interni alle singole amministrazioni, ferma restando
l’autonomia dei singoli paesi sulle strutture (autorità anticorruzione, organi
specializzati, forze di polizia, magistratura, etc) che meglio rispondano alle
esigenze di lotta alla corruzione: essenziale in ogni caso è l’autonomia ed
indipendenza di queste strutture, al fine di poter resistere ad eventuali
pressioni, dirette o indirette.
Utile è anche la diffusione della
dichiarazione della situazione patrimoniale di funzionari titolari di incarichi
sensibili, perché essa contribuisce a consolidare la responsabilità dei
funzionari, a garantire una maggiore trasparenza ed a facilitare
l’individuazione di potenziali casi di arricchimento illecito e le relative indagini.
Vanno però rafforzati i controlli sulla correttezza delle dichiarazioni. Ancora
molto arretrata è invece la situazione riguardante i conflitti di interesse
nell’attività decisionale, nelle assegnazioni dei fondi pubblici e
nell’aggiudicazione degli appalti pubblici, soprattutto per la carenza di
sanzioni e di controlli efficaci.
Insufficiente appare anche la repressione in
sede penale della corruzione: la decisione quadro 2003/568/GAI relativa alla
lotta contro la corruzione nel settore privato non è stata recepita in modo
omogeneo, con particolare riferimento alle disposizioni che qualificano come
reato tutti gli elementi della corruzione attiva e passiva, ed a quelle sulla
responsabilità delle persone giuridiche.
Il fenomeno corruttivo riguarda non solo
grandi scandali ma anche la piccola corruzione, molto diffusa soprattutto a
livello locale, dove i controlli sono meno efficaci. I settori più esposti sono
quelli dello sviluppo urbano e delle costruzioni, della sanità (soprattutto per
quel che concerne gli appalti e l’industria farmaceutica) e l’amministrazione
fiscale. Un ruolo molto rilevante è svolto dalle organizzazioni criminali.
Questione centrale per combattere la
corruzione è la trasparenza nel settore finanziario, essendo stato riscontrato
un chiaro collegamento tra la corruzione e l’occultamento di beni rubati
attraverso società di comodo, fondazioni e trust. Da migliorare anche gli
strumenti per contrastare la corruzione delle imprese all’estero: la normativa
del Regno unito è un modello da seguire.
Tra le altre misure auspicate dalla relazione
ci sono quelle relative alla trasparenza dell’attività amministrativa, al whistleblower,
alla normativa sulle lobby. Ma una particolare attenzione è dedicata al settore
degli appalti pubblici, dove il peso della corruzione è assai rilevante (con
particolare riferimento ai settori delle costruzioni, dell’energia, dei
trasporti, della difesa e della sanità).
Nell'allegato sull’Italia si riporta il dato registrato dalla Corte dei conti secondo il quale i
costi diretti totali della corruzione ammontano a 60 miliardi di euro l’anno
(pari a circa il 4% del PIL). Sono inoltre riportati i risultati del
sondaggio realizzato con lo speciale
Eurobarometro del 2013 sulla corruzione: il
97% dei rispondenti italiani (la seconda percentuale dell’Unione in ordine
di grandezza) ritiene che la corruzione
sia un fenomeno dilagante in Italia (contro una media UE del 76%) e il 42% afferma di subire personalmente la corruzione nel quotidiano (contro una media
UE del 26%). Per l’88% dei rispondenti italiani corruzione e raccomandazioni
sono spesso il modo più semplice per accedere a determinati servizi pubblici
(contro una media UE del 73%). Inoltre la mancanza di fiducia nelle istituzioni
pubbliche risulta molto diffusa: secondo i dati raccolti dal sondaggio, le
figure pubbliche verso le quali vi è maggior sfiducia sono i partiti politici,
i politici nazionali, regionali e locali12 e i funzionari responsabili
dell’aggiudicazione degli appalti pubblici e del rilascio delle licenze
edilizie. Viene, poi, messo in evidenza
che l’adozione della legge anticorruzione n. 190 del 2012 (cd. legge Severino, vedi infra) rafforza le politiche di prevenzione mirate a responsabilizzare i pubblici
ufficiali e la classe politica ed a bilanciare l’onere della lotta al fenomeno,
che attualmente ricade quasi esclusivamente sulle forze dell’ordine e sulla
magistratura. La Commissione consiglia anche di estendere i poteri e di
sviluppare la capacità dell’autorità nazionale anticorruzione in modo che possa
reggere saldamente le redini del coordinamento, garantire maggiore trasparenza
degli appalti pubblici ed adoperarsi ulteriormente per colmare le lacune della
lotta anticorruzione nel settore privato. Inoltre, nell’applicazione della
legge anticorruzione, che prevede l’adozione di un piano nazionale triennale ed
obbliga tutti gli organi amministrativi ad adottare strategie d’azione in
materia.
Procedure di contenzioso
Il 18 dicembre 2015, la Commissione europea
ha avviato la procedura EU-Pilot n. 8175/15/HOME per omessa comunicazione delle misure nazionali di recepimento della
decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione privata.
Secondo la Commissione l’assenza di qualsiasi
comunicazione in riferimento alla citata decisione quadro costituisce un mancato recepimento totale. La
Commissione ha invitato le autorità italiane a rispondere alla richiesta EU
Pilot entro quattro settimane, e a comunicare le misure nazionali di
recepimento, aggiungendo che, in caso di assenza di una risposta soddisfacente
e di una comunicazione di un completo recepimento, potrà decidere di avviare
una procedura di infrazione a norma
dell’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Il Governo italiano, nel marzo 2016, ha
risposto alla Commissione europea asserendo che la fattispecie della corruzione
nel settore privato è prevista dall’articolo 2635 del codice civile, ammettendo
tuttavia che vi sono alcuni profili di
non piena conformità della normativa interna rispetto alle disposizioni di
cui agli artt. 2 (condotte di corruzione
attiva e passiva nel settore privato) e 5 (responsabilità delle persone giuridiche) della decisione quadro. In
particolare, secondo il Governo:
·
sia la
corruzione attiva che quella passiva non sarebbero pienamente allineate alle
definizioni contenute nell’articolo 2 della decisione quadro;
·
non
sarebbe contemplata dal decreto legislativo n. 231/2001 la responsabilità delle persone giuridiche in rapporto alla corruzione
attiva e passiva.
Articolo 20
(Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2014/26/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulla gestione
collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e sulla concessione di
licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso online
nel mercato interno)
L’articolo 20, introdotto nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, reca principi e criteri direttivi specifici - oltre a quelli generali indicati dall'articolo 1, comma 1 -, per l’esercizio della delega per l'attuazione della direttiva 2014/26/UE, ricompresa nell’allegato B del provvedimento in esame, riguardante la gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e la concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso on line nel mercato interno.
Rinviando, per il contenuto della direttiva citata,
all’apposita scheda (vedi, Allegato B), qui si ricorda solo che la stessa è
scaturita dalla necessità di migliorare
il funzionamento degli organismi di gestione collettiva dei diritti
d’autore e dei diritti connessi ed è intervenuta per assicurare garanzie equivalenti in tutta l’Unione
Europea.
Peraltro, la direttiva, nel coordinare le normative
nazionali, fa salva la possibilità che
gli Stati membri prevedano standard più rigorosi, purché compatibili con il
diritto dell’Unione.
I principi e criteri direttivi specifici riguardano esclusivamente la gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi (e non anche la concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso on line nel mercato interno), e si riferiscono, complessivamente, alla SIAE e agli altri organismi di gestione collettiva.
Al riguardo, si ricorda, preliminarmente, che, con
riferimento alla tutela del diritto
d’autore, l'attività di intermediazione è stata riservata in via esclusiva alla Società italiana autori ed editori (SIAE)
dall’art. 180 della L. 633/1941, che disciplina la protezione delle opere dell'ingegno di carattere
creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative,
all'architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o
la forma di espressione (art. 1)[38],
ponendo misure a tutela dei diritti
morali e dei diritti patrimoniali (c.d.
diritti di utilizzazione economica dell'opera)[39].
In ogni caso, l’esclusività della SIAE non pregiudica la facoltà spettante
all'autore, ai suoi successori o agli aventi causa, di esercitare direttamente
i diritti loro riconosciuti.
La natura giuridica della
SIAE e il regime applicabile alle attività di relativa competenza sono stati
ridefiniti, da ultimo, con L. 2/2008[40].
In primo luogo, la Società
è stata qualificata “ente pubblico
economico a base associativa” (mentre la normativa pregressa le riconosceva
la natura di “ente pubblico a base associativa”).
In materia di funzioni della SIAE, la L. 2/2008 ha
rinviato a quelle indicate nella L. 633/1941 prevedendo, al contempo, che la
stessa esercita le altre funzioni ad essa attribuite dalla legge e che può
effettuare la gestione di servizi di
accertamento e riscossione di imposte, contributi e diritti, anche in regime di convenzione con
pubbliche amministrazioni, regioni, enti locali e altri enti pubblici e privati.
L'attività della SIAE è
disciplinata dalle norme di diritto privato. Tutte le controversie concernenti le attività dell'ente, incluse le modalità
di gestione dei diritti, nonché l'organizzazione e le procedure di elezione e
di funzionamento degli organi sociali, sono devolute alla giurisdizione ordinaria, fatte salve le competenze degli organi
della giurisdizione tributaria.
La vigilanza sulla SIAE è esercitata dal Ministro dei beni e delle
attività culturali e del turismo, congiuntamente con il Presidente del Consiglio
dei Ministri e sentito il Ministro dell'economia e delle finanze per le materie
di sua specifica competenza.
Lo
Statuto è stato approvato, da
ultimo, con DPCM 9 novembre 2012.
L'attività di amministrazione e intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore[41]
– già affidata in via esclusiva all’Istituto mutualistico artisti interpreti
esecutori (IMAIE), di cui alla L. 93/1992 –, è divenuta libera a seguito dell’art.
39, co. 2, del D.L. 1/2012 (L.
27/2012)[42].
Ai sensi del co.
3 dello stesso art. 39, i requisiti
minimi necessari ai fini di un razionale e corretto sviluppo del mercato
degli intermediari sono stati definiti con il DPCM
19 dicembre 2012[43],
adottato previo parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Qui l’elenco delle imprese che intendono svolgere o
svolgono l’attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d’autore
aggiornato al 21 dicembre 2015.
Nell’elenco
delle imprese che intendono svolgere o svolgono l’attività di intermediazione
dei diritti connessi al diritto d’autore vi è anche il nuovo Istituto
mutualistico artisti interpreti esecutori (nuovo IMAIE), istituito con l'art. 7 del D.L. 64/2010 (L. 100/2010), dopo la liquidazione dell’IMAIE[44].
Si tratta di una associazione
con personalità giuridica di diritto privato, costituita direttamente dagli artisti interpreti esecutori, “al fine di assicurare la realizzazione
degli obiettivi di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 93”, relativi proprio
alla tutela dei diritti degli artisti interpreti o esecutori e all’attività di
difesa e promozione degli interessi collettivi di queste categorie. Più
specificamente, al nuovo IMAIE sono stati trasferiti compiti e
funzioni del vecchio istituto e, in particolare, il
compito di incassare e ripartire i compensi fra
gli artisti interpreti esecutori[45].
Lo Statuto del nuovo IMAIE è stato approvato
il 29 settembre 2010 dal Ministero dei beni e delle attività culturali,
d’intesa con la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero del lavoro
e delle politiche sociali.
Si ricorda, infine, che la
disciplina dei diritti connessi è stata riordinata, come previsto dall’art. 7
del D.L. 64/2010, ma tenendo conto della liberalizzazione introdotta dal citato
art. 39, co. 2, del D.L. 1/2012, con decreto
interministeriale 17 gennaio 2014[46].
I principi
e criteri direttivi specifici concernono:
la garanzia di standard di trasparenza idonei (lett. a) e m)).
Più nello specifico, la lett. a) fa riferimento alla capacità di fornire ai titolari dei diritti una puntuale rendicontazione dell'attività svolta nel loro interesse, mentre la lett. m) concerne la previsione dell'obbligo di pubblicazione sul proprio sito internet dello statuto, delle condizioni di adesione, della tipologia di contratti applicabile, delle tariffe e delle linee di politica generale sulla distribuzione degli importi dovuti ai titolari di diritti, nonché della relazione di trasparenza annuale.
La disposizione riprende i principi di cui agli artt. 18-22 della direttiva.
Inoltre, per gli organismi di gestione collettiva operanti in virtù di specifiche disposizioni di legge, la medesima lett. m) stabilisce il principio dell'obbligo di trasmissione al Parlamento di una relazione annuale sui risultati dell'attività svolta.
La direttiva non
contiene specifiche disposizioni al riguardo.
Con riguardo alla formulazione del testo, si
valuti l’opportunità di unificare il contenuto delle lett. a) e m), collocando
altrove (ad. es. alla lett. d) il riferimento alla garanzia di idonei standard
di efficienza e rappresentatività, peraltro non declinati nell’ambito della lett.
a).
Inoltre, alla lett. m) – così come alle
lett. c) e i) – è necessario anteporre alle parole “organismi di gestione
collettiva” la parola “altri”.
Il divieto di imporre ai titolari dei diritti qualsivoglia obbligo che non sia oggettivamente necessario per la gestione e protezione dei loro diritti e interessi (lett. b)).
La disposizione ricalca il principio contenuto nell’art. 4 della direttiva.
La definizione di requisiti di adesione sulla base di criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori (lett. c)).
La disposizione riprende il principio contenuto nell’art. 6, par. 2, della direttiva.
La previsione che lo statuto stabilisca adeguati, equilibrati ed efficaci meccanismi di partecipazione dei suoi membri al processo decisionale dell'organismo (lett. d)).
La disposizione riprende quanto previsto dall’art. 6, par. 3, della direttiva.
La distribuzione regolare e con la necessaria diligenza degli importi dovuti ai titolari dei diritti che hanno loro conferito mandato (lett. e) ed f)).
In particolare, la lett. e) specifica che la
distribuzione deve avvenire entro il
termine di nove mesi a decorrere dalla fine dell'esercizio finanziario nel
corso del quale sono stati incassati i proventi dei diritti.
Si tratta dei principi contenuti nell’art. 13, par. 1, della direttiva.
Il medesimo art. 13 disciplina, altresì, l’utilizzo
degli importi che non sia stato
possibile distribuire a causa di ragioni oggettive, correlate fra l’altro
all’identificazione dei diritti o dei titolari dei diritti.
La lett.
f) precisa che la ripartizione
degli importi deve avvenire “con criteri di economicità”, quanto più possibile su base analitica, in base alle singole utilizzazioni delle opere.
La direttiva non
contiene specifiche disposizioni al riguardo.
Si tratta di una previsione correlata all’obbligo, da parte degli utilizzatori[47], di produrre alla SIAE ed agli altri organismi di gestione collettiva,
nel rispetto dei tempi richiesti, rapporti
periodici di utilizzo accurati,
predisposti sulla base di un modello, nonché ogni informazione necessaria
relativa alle utilizzazioni oggetto delle licenze o dei contratti.
In caso di violazione di tale obbligo devono essere previste sanzioni amministrative, ferme restando le azioni civili (lett. g)).
La prima parte della disposizione riprende il
contenuto dell’art. 17 della direttiva. La seconda parte specifica
il principio di cui all’art. 36
della direttiva.
La
previsione di assicurare la messa a disposizione di procedure efficaci e
tempestive per il trattamento dei reclami, l’implementazione di sistemi
efficienti di risoluzione delle controversie alternativi al contenzioso, nonché
il ricorso a procedure giurisdisdizionali (lett.
h)).
La direttiva disciplina le tre fattispecie negli artt. 33-35. Come si è visto ante, la L. 2/2008 prevede, attualmente, che le controversie relative alle
attività della SIAE sono devolute al giudice ordinario.
La riforma dell’attività di riscossione, in modo da aumentarne l'efficacia e la diligenza, con particolare riferimento all’attività dei mandatari territoriali (lett. i)).
L’obiettivo riprende il principio contenuto nell’art. 11, par. 2, della direttiva.
Relativamente ai mandatari territoriali, si intende garantire:
modalità di selezione pubblica trasparenti, sulla scorta di adeguati requisiti di professionalità e onorabilità;
il rafforzamento dei controlli sul loro operato;
una distribuzione territoriale equa e proporzionata;
l’uniforme applicazione delle tariffe stabilite;
la mancanza di situazioni di potenziale conflitto d'interessi e di cumulo di mandati incompatibili.
La direttiva non
contiene specifiche disposizioni al riguardo.
Con riguardo alla SIAE,
si ricorda che questa è presente
sul territorio nazionale con 10 Sedi
regionali, 29 Filiali e 478 Mandatarie. Le Sedi
hanno competenza territoriale regionale o interregionale, e svolgono, tra
l’altro, funzioni di rappresentanza dell’ente e funzioni di indirizzo,
coordinamento e controllo dell’attività svolta dai punti territoriali,
costituiti da Filiali e Mandatarie, che svolgono funzioni di sportello e di accertamento con carattere di esclusività nel territorio della
propria circoscrizione. In particolare, i mandatari
SIAE svolgono sul territorio assegnato, con autonomia
organizzativa e di mezzi, le attività di sportello per la clientela e per
l'utenza SIAE. Effettuano, inoltre, vigilanza e controllo nei settori dello
spettacolo, dell'intrattenimento e in tutti gli ambiti oggetto delle
convenzioni tra SIAE ed Enti pubblici e privati. Tali attività vengono
realizzate previa sottoscrizione di specifico contratto di mandato, la
remunerazione del quale, onnicomprensiva delle spese sostenute per l’esercizio
del mandato, è costituita da provvigioni sugli incassi e da compensi per gli
altri servizi conferiti.
La previsione di forme di riduzione o esenzione dalla corresponsione dei diritti d'autore e dei diritti connessi – con remunerazione dei titolari dei diritti in forma compensativa da parte della SIAE –, da riconoscere agli organizzatori di (lett. l)):
spettacoli
dal vivo con meno di 100 partecipanti;
spettacoli
dal vivo con giovani esordienti titolari di diritti d'autore o di diritti
connessi;
eventi o
ricorrenze particolari, da
individuare con decreto del Ministro
dei beni e delle attività culturali e del turismo.
La direttiva non contiene specifiche disposizioni al riguardo.
La ridefinizione dei requisiti minimi per le imprese che intendono svolgere attività di intermediazione dei diritti
connessi in linea con le previsioni
della direttiva, nonché con le “esigenze rappresentate dal mercato” (lett. n))
Si prevede, così, l’intervento di una norma
primaria in un ambito che, in base all’art. 39, co. 3, del D.L. 1/2012, era
stato affidato all’intervento di un DPCM.
Dal punto di vista della formulazione del testo, occorrerebbe citare esplicitamente il DPCM 19 dicembre 2012.
Articolo
21
(Attuazione della direttiva (UE) 2015/2203 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 25 novembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri relative alle caseine e ai caseinati destinati all’alimentazione
umana e che abroga la direttiva 83/417/CEE del Consiglio)
Il comma 1
autorizza il Governo ad attuare la direttiva (UE) 2015/2203 con cui Parlamento europeo e
Consiglio, il 25 novembre 2015, hanno inteso riavvicinare le legislazioni
nazionali sulla caseina e sui caseinati, abrogando di conseguenza la direttiva 83/417/CEE del Consiglio relativa a talune
lattoproteine (caseine e caseinati) destinate all'alimentazione umana. In
effetti, dall'entrata in vigore della direttiva, oltre trent'anni fa, sono
intervenuti vari cambiamenti, in particolare lo sviluppo di un ampio quadro
normativo nel settore del diritto alimentare e l'adozione di una norma
internazionale relativa ai prodotti alimentari a base di caseina da parte della
Commissione del Codex Alimentarius
(«norma del Codex relativa ai prodotti alimentari a base di caseina»), di cui
occorre tenere conto.
Si rammenta che caseina e caseinati ricadono sotto uno
dei regimi di aiuto di cui agli articoli 100 e 119 del Regolamento (CE)
n. 1234/2007 del Consiglio, del 22 ottobre 2007, recante organizzazione
comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti
agricoli (regolamento unico OCM): secondo il considerando (60), essi
contribuiscono a equilibrare il mercato del latte e dei prodotti
lattiero-caseari e a stabilizzare i prezzi di mercato in questo settore. Il
testo conferma il regime di aiuto di cui al regolamento (CE) n. 1255/1999 per
il latte scremato trasformato in caseina e caseinati. Il regolamento (CEE) n.
2204/90 del Consiglio, del 24 luglio 1990, recante norme generali complementari
dell’organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti
lattiero-caseari relativamente ai formaggi, ha previsto norme che disciplinano
l’uso della caseina e dei caseinati per la fabbricazione dei formaggi allo scopo
di contrastare i potenziali effetti negativi del suddetto regime di aiuto,
visto il rischio di sostituzione del formaggio con caseina e caseinati,
intendendo con ciò stabilizzare il mercato.
Quanto all'utilizzazione a fini alimentari, si ricorda
altresì che tra i
"considerando" del Regolamento (CE) n. 2166 del 2010 si legge
(§ 8) che il 14 luglio e il 30 luglio 2010 la Commissione europea ha presentato
all'EFSA richieste di un parere scientifico sull'allergenicità della caseina,
derivata dal latte, utilizzata come agente chiarificante nella vinificazione,
adducendo[48]
studi basati su nuovi dati scientifici che dimostrano che i vini chiarificati
con caseina (e ovalbumina) secondo una buona prassi di fabbricazione non
rischiano di provocare effetti indesiderati in persone allergiche al latte (o
alle uova).
Direttiva (UE)
2015/2203
A seguito
dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona, l'Unione ritiene necessario,
con la direttiva in titolo, adeguare le sue competenze in materia all'articolo 290
del trattato sul funzionamento dell'Unione europea («TFUE»). Già i regolamenti
(CE) n. 178/2002 e n. 882/2004 contenevano, rispettivamente, norme uniformi
sull'adozione di misure urgenti per alimenti e mangimi e sulle modalità di
prelievo dei campioni e sui metodi d'analisi dei prodotti alimentari, superando
quelle della pregressa direttiva 83/417/CEE.
In virtù
del regolamento (UE) n. 1169/2011, poi, nelle relazioni tra imprese devono
essere fornite informazioni sufficienti in modo da garantire che ai consumatori
finali giungano informazioni accurate sugli alimenti. Poiché i prodotti
derivanti da caseina sono destinati alla vendita tra imprese, per la
preparazione degli alimenti, è stato giudicato opportuno mantenere e adeguare
al quadro normativo vigente le norme specifiche già incluse nella direttiva
83/417/CEE e semplificarle. Tali norme specifiche prevedono la comunicazione di
informazioni sui predetti prodotti nelle relazioni tra imprese: ciò, da un
lato, per rendere accessibili agli operatori del settore alimentare i dati
necessari per l'etichettatura dei prodotti finiti, ad esempio per quanto
riguarda gli allergeni e, dall'altro lato, per evitare che tali prodotti
possano essere confusi con altri prodotti analoghi non destinati o non adatti
all'alimentazione umana.
Anche il
regolamento (CE) n. 1333/2008 richiedeva un adeguamento: esso contiene una
definizione di additivi alimentari e di coadiuvanti tecnologici, definiti
unicamente come «coadiuvanti tecnologici» nella direttiva 83/417/CEE. Di
conseguenza, si è reso opportuno usare i termini «additivi alimentari» e «coadiuvanti
tecnologici», invece di utilizzare unicamente i termini «coadiuvanti
tecnologici». Tale scelta terminologica - nonché altri adeguamenti semantici -
è peraltro in linea con la norma del Codex relativa ai prodotti a base di
caseina alimentare.
Quanto al
il tenore massimo di umidità della caseina alimentare (già fissato al 10 per
cento) ed al tenore massimo di grassi del latte della caseina acida alimentare
(già fissato al 2,25 per cento), la norma del Codex 290–1995 relativa ai
prodotti a base di caseina alimentare aveva innalzato i suddetti parametri
rispettivamente al 12 per cento e al 2 per cento: pertanto la direttiva si
allinea a tali valori, in modo da evitare distorsioni degli scambi.
Per
tenere conto dell'evoluzione della normazione internazionale o del progresso
tecnico, poi, è delegato alla Commissione il potere di adottare atti conformemente
all'articolo 290 TFUE riguardo alle norme applicabili alle caseine e ai caseinati alimentari di cui
agli allegati I e II. Durante i lavori preparatori la Commissione svolgerà
adeguate consultazioni, anche a livello di esperti. Nella preparazione e
nell'elaborazione degli atti delegati la Commissione provvederà alla
contestuale, tempestiva e appropriata trasmissione dei documenti pertinenti al
Parlamento europeo e al Consiglio.
Resta in
ogni caso salvaguardato il principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 5
del trattato sull'Unione europea. La direttiva si limita a quanto è necessario
per conseguire gli obiettivi di facilitare, attraverso il ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri, la libera circolazione delle caseine e dei
caseinati destinati all'alimentazione umana, garantendo nel contempo un elevato
livello di tutela della salute, nonché di allineare le disposizioni vigenti
alla legislazione generale dell'Unione in materia di alimenti e alle norme
internazionali. Tali misure sono in capo all'Unione soltanto nella
misura in cui gli obiettivi non possono essere
conseguiti sufficientemente dagli Stati membri, a motivo della loro portata e
dei loro effetti.
Direttiva 2009/156/CE
del Consiglio del 30 novembre 2009 relativa
alle condizioni di polizia sanitaria che disciplinano i movimenti di equidi e
le importazioni di equidi in provenienza dai paesi terzi. (senza termine di recepimento)
La direttiva 2009/156/CE, senza termine di recepimento, risale al 2009 ed è diretta a prevedere una razionalizzazione della disciplina relativa alla produzione di equidi, favorendo la produttività del settore e stabilendo norme comuni in materia di polizia sanitaria per i movimenti intracomunitari e le importazioni di equidi dai paesi terzi.
Come indicato nei considerando in premessa, questa direttiva opera una codifica della precedente direttiva 90/426/CEE del Consiglio, del 26 giugno 1990, di analogo oggetto che, nel corso del tempo, ha subito diverse e sostanziali modificazioni.
Si sottolinea in proposito che, in materia di
malattie animali trasmissibili e sanità animale, è stato recentemente
approvato il regolamento 2016/429 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
9 marzo 2016, che ha modificato la normativa del settore, abrogando peraltro
una serie di direttive (v. art. 270 del citato regolamento) tra cui la
direttiva 2009/156, a decorrere dal 21 aprile 2021.
In merito occorre segnalare
che il Ministero della salute ha emanato l’ordinanza urgente del 1° marzo 2013 in materia di identificazione sanitaria degli equidi, pubblicata in
G.U n. 85 dell’11 aprile 2013. Con questa ordinanza è stata disposta
l’integrazione della Banca dati nazionale dell’anagrafe zootecnica, mediante
un’apposita sezione per l’identificazione degli equidi ai fini sanitari, con lo
scopo di garantire una maggiore disponibilità dei dati contenuti nell’anagrafe
degli equidi ai fini dell’epidemiosorveglianza. L’urgenza è dovuta peraltro
alle recenti emergenze di carattere sanitario che hanno coinvolto la specie
equina, come, tra gli altri, l’anemia infettiva, l’influenza del Nilo (West Nile disease) e il morbo coitale
maligno. Inoltre, l’ordinanza ha fatto seguito alla raccomandazione della Commissione europea del 19 febbraio 2013 (2013/99/UE) relativa all’applicazione da parte degli Stati membri di un piano
coordinato di controllo per i controlli ufficiali, tra gli altri, di carni
equine destinate al consumo umano al fine di rilevare la presenza di residui di
fenilbutazione, farmaco analgesico e
antinfiammatorio per curare i cavalli sportivi.
L’ordinanza, con validità di
12 mesi a decorrere dal 12 aprile 2013, giorno successivo alla sua
pubblicazione in gazzetta ufficiale, ha dettato norme sulla identificazione sanitaria degli equidi
da parte del Servizio veterinario dell’ASL competente per territorio e sulla
registrazione delle movimentazioni
temporanee degli equidi. Da ultimo, la predetta ordinanza è stata prorogata
di 12 mesi con l’ordinanza 29 marzo 2016 (GU n. 82 dell’8 aprile 2016).
Per partecipare agli scambi, gli equidi dovrebbero soddisfare taluni requisiti di polizia sanitaria volti sia ad evitare la propagazione di malattie infettive o contagiose, sia a definire le condizioni di benessere degli animali durante il loro trasporto. Pertanto, per garantire il rispetto dei requisiti previsti, si indica l’opportunità di prescrivere il rilascio da parte di un veterinario ufficiale di un certificato sanitario destinato ad accompagnare gli equidi fino al luogo di destinazione. In proposito, si considera non opportuno il rilascio dell’autorizzazione alle importazioni in provenienza da paesi colpiti, o esenti da poco tempo, da malattie infettive e contagiose. Peraltro, la presentazione, al momento dell’importazione degli equidi, di un certificato conforme a un modello comune è considerata quale mezzo efficace di accertamento dell’applicazione della regolamentazione comunitaria.
La direttiva in recepimento, in particolare, fissa le regole per i movimenti di equidi tra gli Stati membri con riferimento all’ispezione, all’identificazione, alla spedizione in provenienza da territori non indenni da peste equina, ai controlli degli Stati membri e degli esperti veterinari della Commissione europea (Capo II, articoli 3-10) e quelle per le importazioni di equidi da paesi terzi (Capo III, articoli 11-19), prevedendo inoltre una possibile regionalizzazione delle misure restrittive per le importazioni da paesi terzi (Capo III, articoli 12-14).
In dettaglio, gli articoli 1 e 2 della direttiva fissano, rispettivamente, l’ambito e le definizioni dei termini contenuti nella direttiva, chiarendo, tra l’altro, che per “azienda” si intende l’azienda agricola o di addestramento, la stalla o, in generale, qualsiasi locale o impianto in cui siano tenuti o allevati abitualmente equidi; questi ultimi sono definiti come animali domestici o selvatici della specie equina – comprese le zebre – o asinina o gli animali derivati dall’incrocio di tali specie.
All’interno del Capo II si sottolinea, in particolare, l’articolo 4 in cui si stabilisce che gli equidi non devono presentare, al momento dell’ispezione, alcun segno clinico di malattia. L’ispezione deve essere effettuata nelle 48 ore precedenti l’imbarco o il carico, con alcune eccezioni per gli equidi registrati che applicano un regime alternativo di controllo, ai sensi dell’art. 6. Si segnala inoltre che l’art. 10 prevede che gli esperti veterinari della Commissione possano procedere a controlli in loco, per assicurare l’applicazione uniforme della direttiva e in collaborazione con le autorità nazionali competenti.
Al Capo III sono contenute, come sopra accennato, norme per l’autorizzazione specifica dell’importazione di equidi. In particolare, l’articolo 12 prevede che l’importazione intracomunitaria è autorizzata unicamente in provenienza da paesi terzi autorizzati in un elenco da stilare o modificare secondo quanto previsto dall’art. 21, par. 2 della stessa direttiva. In base alla procedura ivi prevista, alla luce della situazione sanitaria nel paese terzo interessato e delle garanzie da esso fornite, si può decidere circa il rilascio dell’autorizzazione; vengono inoltre dettati i criteri di cui tenere conto nell’elaborazione e modifica del predetto elenco.
Ai sensi dell’art. 16, in particolare, si stabilisce che gli equidi devono essere identificati in base al sopra citato articolo 4 ed essere scortati da un certificato sanitario compilato da un veterinario ufficiale del paese terzo esportatore.
Il Capo IV, infine, detta alcune disposizioni finali, di raccordo con la normativa vigente.
Documenti
all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
In materia non risultano ulteriori documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea.
Direttiva (UE)
2015/565
(della Commissione, dell’8 aprile 2015, che modifica la direttiva 2006/86/CE
per quanto riguarda determinate prescrizioni tecniche relative alla codifica di
tessuti e cellule umani (termine di recepimento 29 ottobre 2016)
La direttiva (UE) 2015/565 modifica la direttiva 2006/86/CE[49], con cui la Commissione ha disciplinato alcune prescrizioni tecniche in materia di tessuti e cellule umani, attinenti, tra l'altro, alla codifica, alla lavorazione, alla conservazione, allo stoccaggio ed alla distribuzione. Tali prescrizioni sono state adottate sulla base della direttiva 2004/23/CE[50], la quale ha previsto che tutti i tessuti e le cellule prelevati, lavorati, stoccati o distribuiti sul territorio degli Stati membri debbano essere rintracciabili nel percorso dal donatore al ricevente e viceversa (articolo 8) ed ha demandato alla Commissione europea la definizione di alcuni requisiti tecnici ed il loro adeguamento al progresso scientifico e tecnico (articolo 28).
In base alle novelle di cui alla presente direttiva (UE) 2015/565, la rintracciabilità dei tessuti e delle cellule avrà luogo (nuovo articolo 9 della direttiva 2006/86/CE) "dall'approvvigionamento all'applicazione sull'uomo o allo smaltimento e viceversa", "in particolare grazie alla documentazione e all'uso del codice unico europeo". Quest'ultimo è inteso a garantire l'uniformità dei sistemi di identificazione, già adoperati nei singoli Stati membri ai sensi della direttiva 2006/86/CE, e dovrà essere impiegato per tutti i tessuti e le cellule distribuiti nell'Unione europea a fini di applicazioni sull'uomo (in base al nuovo testo dell'articolo 10 della direttiva 2006/86/CE e fatte salve le eccezioni ivi contemplate). Negli altri casi in cui i tessuti e le cellule siano rilasciati per la circolazione, la sequenza di identificazione della donazione è applicata almeno nei documenti di accompagnamento.
L'articolo 10-bis e l'Allegato VII della direttiva 2006/86/CE, come novellata dalla direttiva (UE) 2015/565 in esame, stabiliscono nel dettaglio il formato del codice.
Il successivo articolo 10-ter - inserito dalle novelle in oggetto - stabilisce (paragrafo 1) le prescrizioni minime che gli istituti dei tessuti, compresi quelli importatori, dovranno osservare, con riferimento all'applicazione del codice unico europeo. Tra esse, si ricordano: l'assegnazione del codice ai tessuti e cellule prima della distribuzione; l'assegnazione di una sequenza di identificazione della donazione dopo l'approvvigionamento dei tessuti e delle cellule o al momento del loro ricevimento da un'organizzazione di approvvigionamento o all'atto dell'importazione da un fornitore di un Paese terzo; l'applicazione del codice sull'etichetta in modo indelebile e permanente.
In base al paragrafo 2 del medesimo articolo 10-ter, le autorità competenti degli Stati membri assicurano: l'individuazione delle strutture operanti, mediante l'assegnazione di un numero unico per ogni istituto dei tessuti (accreditato, designato, autorizzato o titolare di licenza); l'assegnazione di numeri unici della donazione; la piena applicazione del codice unico europeo ed il relativo monitoraggio; la convalida e l'aggiornamento dei dati (per il proprio Stato membro) sugli istituti dei tessuti contenuti nel compendio degli istituti dei tessuti dell'UE[51].
Il successivo articolo
10-quater - introdotto dalle novelle
di cui alla presente direttiva (UE) 2015/565 - prevede la predisposizione di una
piattaforma informatica ("piattaforma
di codifica dell'UE"), gestita dalla Commissione europea e disponibile al
pubblico prima del 29 ottobre 2016. La piattaforma contiene il compendio degli
istituti dei tessuti dell'UE ed il compendio dei prodotti di tessuti e cellule
dell'UE[52].
L'articolo 10-quinquies - anch'esso inserito dalle novelle in oggetto - reca alcune norme transitorie. Si prevede, in particolare, che i tessuti e le cellule già stoccati alla data del 29 ottobre 2016 siano esentati dagli obblighi relativi al codice unico europeo, a condizione che siano rilasciati per la circolazione nell'Unione nei cinque anni successivi a tale data e che ne sia garantita la piena rintracciabilità tramite mezzi alternativi.
Il termine per il recepimento della direttiva (UE) 2015/565 è fissato al 29 ottobre 2016, mentre l'applicazione delle relative norme deve decorrere dal 29 aprile 2017.
In materia di prescrizioni tecniche relative agli esami effettuati su tessuti e cellule umani, si segnala che il 26 febbraio 2015 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura di infrazione n. 2014/0386) per mancato recepimento della direttiva 2012/39/UE[53]. Il termine previsto per il recepimento era il 17 giugno 2014.
La direttiva 2014/26/UE origina dalla necessità di migliorare il funzionamento degli organismi di gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi[54], nonché di adeguare il sistema di concessione delle licenze per l’uso on line delle opere musicali all’ubiquità del mondo online, in un’ottica multiterritoriale.
Nello specifico, il considerando 5 evidenzia che esistono notevoli differenze fra le normative nazionali che disciplinano il funzionamento degli organismi di gestione collettiva, in particolare per quanto riguarda la trasparenza e la responsabilità nei confronti dei membri e dei titolari dei diritti, e che i problemi nel funzionamento degli stessi organismi comportano inefficienze nello sfruttamento dei diritti d’autore e dei diritti connessi, a scapito dei loro membri, dei titolari dei diritti e degli utenti.
Anche la raccomandazione 2005/737/CE della Commissione, sulla gestione transfrontaliera collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi nel campo dei servizi musicali online autorizzati – che ha promosso un nuovo quadro di regolamentazione stabilendo, tra l’altro, la possibilità per i titolari dei diritti di scegliere liberamente l’organismo di gestione collettiva, la parità di trattamento delle categorie di titolari di diritti e l’equa distribuzione delle royalty –, ha avuto, come evidenzia il considerando 6, un seguito disomogeneo. La raccomandazione, dunque, non è stata sufficiente a favorire un’ampia diffusione delle licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali online, tanto che nel settore la gestione collettiva dei diritti d’autore su base territoriale resta la norma (considerando 39 e 40).
Pertanto, al fine di proteggere gli interessi dei membri degli organismi di gestione collettiva, dei titolari dei diritti e di terzi, la direttiva interviene per assicurare garanzie equivalenti in tutta l’Unione Europea (considerando 7).
Peraltro, nel coordinare le normative nazionali sull’accesso all’attività di gestione dei diritti d’autore e dei diritti connessi, anche al fine di garantire standard elevati in materia di governance, gestione finanziaria e trasparenza degli organismi di gestione collettiva, da un lato fa salva – nei considerando 8 e 9 - la possibilità che gli Stati membri prevedano standard più rigorosi, purché compatibili con il diritto dell’Unione, dall’altro dispone – nei considerando 15 e 19 - che i titolari dei diritti dovrebbero essere liberi di poter scegliere l’organismo di gestione collettiva o l’entità di gestione indipendente cui affidare la gestione dei propri diritti[55].
La direttiva trae origine dalla proposta COM(2012)372, con riferimento alla
quale, nel corso della XVI legislatura, la 14^ Commissione del Senato aveva
approvato la risoluzione DOC XVIII-bis, n. 85, con cui, pur nell’ambito
di una valutazione globalmente positiva del provvedimento e dei suoi principi
ispiratori, aveva messo in evidenza taluni elementi potenzialmente
problematici.
In data 28 maggio 2013, la Commissione europea aveva inviato una lettera di risposta, in cui forniva una serie
di chiarimenti ai rilievi formulati dal Senato.
In particolare, la direttiva contiene disposizioni – Titoli I, II, IV, ad eccezione degli artt. 34, par. 2, e 38, e V – che si applicano a tutti gli organismi di gestione collettiva stabiliti nell’UE, ed altre disposizioni – Titolo III e artt. 34, par. 2, e 38 del Titolo IV – che si applicano unicamente agli organismi di gestione collettiva stabiliti nell’UE che gestiscono diritti d’autore su opere musicali per l’uso online su base multiterritoriale (art. 2).
Più nello specifico, il Titolo II (Organismi di gestione collettiva) dispone che il titolare dei diritti è libero di affidarne la gestione – anche limitata a talune categorie di diritti o di opere – ad un organismo di gestione collettiva di propria scelta, indipendentemente dallo Stato membro di nazionalità, di residenza o di stabilimento dell’uno o dell’altro (art. 5).
Al riguardo, il considerando
14 evidenzia che la direttiva non impone agli organismi di gestione
collettiva di adottare una forma
giuridica specifica, ricordando che, nella pratica,
tali organismi assumono diverse forme giuridiche, con riferimento alle quali,
in taluni casi, è assente anche l’elemento della proprietà o del controllo da
parte dei titolari di diritti (ad esempio, nel caso delle fondazioni, che non
hanno membri). Tuttavia, chiarisce che le disposizioni della direttiva si
applicano anche a tali organismi e auspica che gli Stati membri attuino misure
adeguate a evitare che la scelta della forma giuridica permetta di aggirare gli
obblighi previsti dalla stessa direttiva.
I requisiti di adesione all’organismo devono basarsi su criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori. Inoltre, devono essere previsti meccanismi adeguati ed efficaci di partecipazione dei membri al processo decisionale, assicurando una rappresentanza equa ed equilibrata delle diverse categorie (art. 6).
Sotto questo profilo, si prevede che l’assemblea generale dei membri - nella quale tutti i membri esercitano il diritto di voto, salve restrizioni decise dai singoli Stati sulla base dei criteri indicati dalla direttiva[56], stabiliti e applicati in modo equo e proporzionato - deve essere convocata almeno una volta all’anno e deve decidere, fra l’altro, sulle politiche generali riguardanti la distribuzione degli importi dovuti ai titolari dei diritti, l’uso degli importi non distribuibili, gli investimenti, la gestione dei rischi, nonché sull’approvazione di fusioni e alleanze, la costituzione di controllate, l’acquisizione di partecipazioni o diritti in altre entità (art. 8).
Ogni organismo di gestione collettiva dispone di una funzione di sorveglianza, che si occupa di monitorare l’esercizio delle sue attività di gestione e, in particolare, l’attuazione delle decisioni dell’assemblea generale dei membri. Anche nell’organo che svolge la funzione di sorveglianza deve essere assicurata una rappresentanza equa ed equilibrata delle diverse categorie di membri (art. 9)[57].
Disposizioni specifiche sono volte ad evitare o, quantomeno, a rendere pubblici gli eventuali conflitti di interesse (artt. 9 e 10).
Con riferimento alla gestione dei proventi dei diritti, la direttiva prescrive, anzitutto, la separazione, dal punto di vista contabile, fra gli stessi (nonché le entrate derivanti dal loro eventuale investimento) e i proventi derivanti, fra l’altro, da attività proprie dell’organismo di gestione.
Dispone, inoltre, che, qualora gli organismi di gestione collettiva investono i proventi dei diritti, devono agire nel miglior interesse dei titolari degli stessi, garantendo, fra l’altro, la sicurezza, la liquidità e la redditività del portafoglio nel suo insieme (art. 11).
I proventi devono essere distribuiti non oltre nove mesi dalla fine dell’esercizio finanziario nel corso del quale sono stati riscossi, a meno che sussistano ragioni oggettive, collegate, fra l’altro, all’identificazione dei diritti o dei loro titolari.
Gli importi che non sia stato possibile distribuire sono considerati non distribuibili dopo tre anni. L’utilizzo di tali importi è deciso dall’assemblea generale dei membri, fatta salva la possibilità per gli Stati membri di limitarne o determinarne gli usi consentiti, garantendo, tra l’altro, che essi siano utilizzati per finanziare attività sociali, culturali ed educative a beneficio dei titolari dei diritti (art. 13).
Con riguardo alla concessione di licenze sui diritti, la direttiva stabilisce, in particolare, che le condizioni di concessione devono essere basate su criteri oggettivi e non discriminatori. Prevede, altresì, che i titolari dei diritti devono ricevere una remunerazione adeguata e che le tariffe relative all’uso dei diritti devono essere ragionevoli in rapporto, fra l’altro, al valore economico dell’utilizzo dei diritti negoziati, nonché alla natura e alla portata dell’uso delle opere (art. 16).
Infine, la direttiva prevede specifici obblighi di trasparenza e informazione, non solo nei confronti dei titolari dei diritti, fra i quali rientra la predisposizione di una relazione di trasparenza annuale, che è approvata dall’assemblea generale dei membri. La relazione annuale contiene, tra l’altro, i documenti di bilancio e una relazione sulle attività svolte nell’esercizio (artt. 18-22).
Il Titolo III (Concessione di licenze multiterritoriali per i diritti sulle opere musicali online da parte di organismi di gestione collettiva), stabilisce i requisiti che gli organismi di gestione collettiva devono soddisfare per poter concedere licenze multiterritoriali (art. 23).
In primis, essi devono avere capacità sufficienti per trattare per via elettronica, in modo efficiente e trasparente, i dati necessari per la gestione di tali licenze, anche ai fini di identificare il repertorio e controllarne l’uso, fatturare gli utilizzatori, riscuotere i proventi dei diritti e distribuire gli importi dovuti ai titolari degli stessi (art. 24).
Ulteriori prescrizioni riguardano, tra l’altro, la trasparenza e la correttezza delle informazioni sui repertori musicali, nonché la fatturazione ai fornitori di servizi e il pagamento dei titolari dei diritti. Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, si prevede che gli organismi di gestione collettiva distribuiscono gli importi dovuti in modo corretto e immediatamente dopo la dichiarazione dell’uso effettivo delle opere, tranne nei casi in cui ciò non sia possibile per motivi imputabili al fornitore di servizi online (artt. 25-28).
Eventuali accordi di rappresentanza tra diversi organismi di gestione collettiva, in virtù dei quali un organismo incarica un altro organismo di concedere licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali on line del proprio repertorio musicale, non hanno natura esclusiva. Peraltro, un organismo che già concede licenze multiterritoriali per la stessa categoria di diritti su opere musicali online del repertorio di uno o più altri organismi, non può rifiutarsi di stipulare un ulteriore accordo di rappresentanza (artt. 29-30).
I requisiti stabiliti dal Titolo III non si applicano agli organismi di gestione collettiva che concedono licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali online richiesti da un’emittente radiotelevisiva per consentire la diffusione online, in diretta o in differita, di propri programmi televisivi o radiofonici, ovvero di ogni altro materiale ad essi accessorio, pur se trasmesso precedentemente (art. 32).
Al riguardo, il considerando
48 ricorda che, di norma, gli organismi di diffusione
radiotelevisiva operano, per le loro trasmissioni radiofoniche e televisive in
cui si usano opere musicali, in base a una licenza concessa da un organismo di
gestione collettiva, spesso limitata alle attività di diffusione
radiotelevisiva. Al fine di agevolare la diffusione anche online, in diretta e
in differita, dei medesimi programmi radiotelevisivi, è necessario prevedere
una deroga alle norme che si applicano alla concessione multiterritoriale di
una licenza per i diritti su opere musicali online.
Il Titolo IV, nel quale, come ante visto, sono ricompresi gli artt. artt. 34, par. 2, e 38, applicabili solo agli organismi di gestione collettiva che gestiscono diritti d’autore su opere musicali per l’uso online su base multiterritoriale:
§ stabilisce che gli organismi di gestione collettiva individuino procedure efficaci e tempestive per il trattamento dei reclami, anche attraverso procedure di risoluzione stragiudiziale delle controversie (art. 33-35);
§ prescrive il rispetto, da parte degli organismi di gestione collettiva, delle disposizioni di diritto interno adottate in base alla direttiva, attraverso il controllo delle autorità competenti designate dagli Stati membri che, a tal fine, possono imporre sanzioni e adottare misure in caso di inosservanza. Le autorità competenti devono essere notificate alla Commissione entro il termine per il recepimento della direttiva (art. 36);
§ disciplina i meccanismi di cooperazione per lo sviluppo di licenze multiterritoriali, disponendo, in particolare, che le autorità competenti trasmettono alla Commissione UE, entro il 10 ottobre 2017, una relazione sulla situazione e sullo sviluppo delle licenze nel proprio territorio, che contiene anche informazioni sull’applicazione delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della direttiva (art. 38).
Il Titolo V
(Relazioni e disposizioni finali) dispone, in particolare, che, entro il medesimo termine per il recepimento della direttiva,
gli Stati membri forniscono alla Commissione UE un elenco degli organismi di gestione collettiva con sede sul proprio
territorio (art. 39).
Inoltre, prevede
che entro il 10 aprile 2021 la
Commissione valuta l’applicazione della direttiva e trasmette al Parlamento
europeo e al Consiglio una relazione
sull’applicazione della stessa, che include anche l’eventuale necessità di una
revisione (art. 40).
Infine, istituisce un gruppo di esperti, composto da rappresentanti delle autorità competenti e presieduto da un rappresentante della Commissione, con compiti sostanzialmente consultivi e di studio (art. 41).
Il termine per il recepimento della direttiva da parte dei singoli Stati membri è fissato al 10 aprile 2016.
Documenti
all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
La Commissione
europea nel corso del 2015 ha adottato alcuni importanti provvedimenti
concernenti la materia del diritto
d’autore. In particolare, si evidenziano due comunicazioni, alle quali
hanno fatto seguito due proposte legislative:
la comunicazione COM(2015)192, recante la Strategia per il mercato unico digitale in Europa, che fa riferimento ad una disciplina moderna e più europea del diritto d'autore. Come rilevato dalla Commissione, soprattutto per i programmi audiovisivi resistono le barriere che impediscono l’accesso oltre frontiera ai servizi contenutistici protetti dal diritto d’autore. Il consumatore si trova spesso impossibilitato ad usare oltre frontiera servizi contenutistici (ad esempio, servizi video) acquistati nel paese d’origine. Secondo i dati della Commissione, nell’UE è accessibile oltre frontiera meno del 4 per cento di tutti i contenuti di video a richiesta. A tal fine, la Commissione preannuncia la presentazione di proposte legislative volte ad eliminare le differenze fra i diversi regimi normativi nazionali del diritto d’autore, al fine di ampliare l’accesso online alle opere in tutta l’UE. La Commissione annuncia, inoltre, che procederà anche al riesame della direttiva sulla trasmissione via satellite e via cavo per valutare l’opportunità di estenderla alle trasmissioni online;
la comunicazione COM(2015)626, che presenta i piani della Commissione relativi al copyright. In particolare, essa identifica tre aree di azione: localizzazione del copyright per migliorare l’accesso e la disponibilità di servizi online nell’UE; deroghe alle regole sul copyright; regole applicabili agli intermediari online.
Nell'ambito
della Strategia per il mercato unico
digitale, la Commissione europea ha presentato poi le seguenti proposte
legislative:
la proposta di regolamento COM(2015)627, relativa alla portabilità transfrontaliera dei servizi di contenuti online nel mercato interno, volta a garantire che gli abbonati a servizi di contenuti online nell'Unione europea, quando siano temporaneamente presenti in uno Stato membro diverso da quello di residenza, abbiano accesso a tali servizi e possano fruirne;
la proposta di direttiva COM(634)2015, riguardante la fornitura di contenuti digitali, che persegue lo scopo di armonizzare determinati aspetti dei contratti di fornitura, con particolare riferimento ai rimedi a tutela del consumatore in caso di difetti del prodotto.
Le misure
preannunciate dalla Commissione per la modernizzazione del diritto d'autore
dovrebbero, invece, essere presentate nei prossimi mesi.
Non risultano
procedure di infrazione in atto a carico dell'Italia.
Direttiva 2014/92/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, sulla
comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del
conto di pagamento e sull’accesso al conto di pagamento con caratteristiche di
base (termine di recepimento 18 settembre 2016)
Per la descrizione analitica del contenuto della
direttiva 2014/92/UE, si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 14 (v. infra) contenente i principi e criteri direttivi specifici di
delega.
Direttiva (UE) 2015/637
del Consiglio, del 20 aprile 2015, sulle misure di coordinamento e
cooperazione per facilitare la tutela consolare dei cittadini dell’Unione non
rappresentati nei Paesi terzi e che abroga la decisione 95/553/CE (termine di
recepimento 1° maggio 2018)
Per la descrizione analitica del contenuto della
direttiva (UE) 2015/637, si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 6 (v. infra) contenente i principi e criteri direttivi specifici di
delega.
Direttiva (UE) 2015/652
del Consiglio, del 20 aprile 2015, che
stabilisce i metodi di calcolo e gli obblighi di comunicazione ai sensi della
direttiva 98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla qualità
della benzina e del combustibile diesel (termine di recepimento
21aprile 2018)
La direttiva (UE) 2015/652 stabilisce le modalità per dare attuazione alle prescrizioni della direttiva 98/70/CE che definisce le specifiche tecniche applicabili ai carburanti per i veicoli stradali, le macchine mobili non stradali, i trattori agricoli e forestali e le imbarcazioni da diporto quando non sono in mare.
L'articolo 7-bis della direttiva
98/70/CE contiene misure in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, stabilendo
l'obbligo per gli Stati membri di designare fornitori di carburante competenti
a monitorare e a segnalare le emissioni di tale prodotte durante il ciclo di
vita dovute ai carburanti e all'energia fornite (paragrafo1). A partire dal
2011 i fornitori devono inoltre trasmettere con cadenza annuale all'autorità designata
dal rispettivo Stato membro una relazione sull'intensità delle emissioni dei
gas a effetto serra dei combustibili e dell'energia forniti in ciascuno Stato.
Essi dovranno poi ridurre del 6%, con eventuali obiettivi intermedi,
l'intensità dei gas delle emissioni di gas a effetto serra entro il 31 dicembre
2020. Sono previsti obiettivi
supplementari indicativi fino a giungere ad una riduzione del 10% (paragrafo
2). Inoltre, l'articolo 8 stabilisce l'obbligo per gli Stati membri di
presentare entro il 31 dicembre di ogni anno una comunicazione sui dati
nazionali relativi alla qualità dei combustibili utilizzati per il trasporto
stradale nell'anno civile precedente.
L'articolo 3 della direttiva (UE) 2015/652 reca, in particolare, misure riguardanti il metodo di calcolo che dovrà essere applicato dai fornitori nonché lo standard da utilizzare ai fini della comunicazione dei dati. Tale metodo deve produrre comunicazioni sufficientemente precise da consentire alla Commissione europea di valutare criticamente le prestazioni dei fornitori in merito ai loro obblighi.
Per il metodo di calcolo si rinvia all'allegato I, che specifica quali sono i gas a effetto serra considerati ai fini dello stesso (biossido di carbonio, protossido di azoto e metano) e identifica la formula da applicare. Tale formula, al fine di incentivare ulteriori riduzioni delle emissioni di gas a effetto serra, tiene conto anche dei risparmi dichiarati per le riduzioni delle emissioni a monte (Upstream Emission Reductions - UER).
Quanto agli obblighi di comunicazione per i fornitori, ossia le PMI, questi saranno ridotti al minimo. I dati saranno trasmessi con cadenza annuale secondo il formato armonizzato indicato nell'allegato IV.
L'articolo 5 della direttiva rimanda all'allegato III per l'ottemperanza degli obblighi di comunicazione di cui all'articolo 8 della direttiva 98/70/CE.
I dati da comunicare, che riflettono le successive modifiche apportate alla direttiva 98/70/CE, includono il tipo di combustibile o energia, il volume o quantità di elettricità, l'intensità delle emissioni di gas a effetto serra, le UER, l'origine e il luogo di acquisto.
Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 21 aprile 2017.
Iter di
approvazione
La
direttiva deriva da una proposta presentata dalla Commissione europea il 6
ottobre 2014 (COM(2014)617) sulla
quale né la Camera dei deputati né il Senato hanno approvato atti di indirizzo.
Procedure
di contenzioso
Il 22 luglio 2015 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione 2015/0307) per mancato recepimento della direttiva 2014/77/UE, recante modifica degli allegati I e II della direttiva 98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel. Il termine previsto per il recepimento era l’11 giugno 2015.
Direttiva (UE) 2015/720
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile
2015, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo
di borse di plastica in materiale leggero (termine di recepimento 27 novembre
2016)
La direttiva (UE) 2015/720 stabilisce le modalità e gli obiettivi per ridurre il consumo di borse di plastica in materiale leggero. L'articolo 1 contiene le modifiche da apportare a tale scopo alla direttiva 94/62/CE.
La prima modifica è volta ad inserire nella direttiva 94/62/CE alcune definizioni, tra cui quelle di "borse di plastica in materiale leggero" e di "borse di plastica in materiale ultraleggero" identificate come borse di plastica aventi lo spessore rispettivamente di 50 e 15 micron. È aggiunta anche la definizione di "borse di plastica oxo-degradabili", ovvero borse composte da materie plastiche che contengono additivi che catalizzano la scomposizione della materia plastica in microframmenti.
La seconda modifica inserisce nella direttiva 94/62/CE l'obbligo per gli Stati membri di adottare le misure necessarie atte a conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero. Tali misure possono includere obiettivi di riduzione nazionali, restrizioni all'uso o misure finanziarie e possono variare a seconda dell'impatto ambientale che tali borse hanno quando sono recuperate o smaltite, delle loro proprietà di compostabilità, della loro durata o dell'uso specifico previsto. Le misure dovranno includere l'una o entrambe le seguenti opzioni: definire un consumo annuale massimo di 90 borse di plastica in materiale leggero pro capite entro il 31 dicembre 2019 e di 40 entro il 31 dicembre 2025 e garantire che entro il 31 dicembre 2018 le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti vendita di merci o prodotti. Dal 27 maggio 2018, gli Stati membri, nel fornire alla Commissione europea i dati sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio di cui alla direttiva 94/62/CE, dovranno riferire anche in merito all'utilizzo annuale di borse di plastica in materiale leggero. Inoltre, insieme alla Commissione europea, dovranno incoraggiare campagne d'informazione e di sensibilizzazione, soprattutto nel primo anno successivo al termine fissato per il recepimento della direttiva (UE) 2015/720.
La terza modifica contiene misure specifiche per le borse di plastica biodegradabili e compostabili e prevede che entro il 27 maggio 2017 la Commissione europea elabori norme sulle etichette e i marchi per l'identificazione di tali borse. Tali norme dovranno essere attuate dagli Stati membri al più tardi entro 18 mesi dalla loro adozione.
L'ultima modifica alla direttiva 94/62/CE introduce l'obbligo per la Commissione europea di relazionare al Parlamento europeo e al Consiglio, nei tempi stabiliti, in merito all'impatto ambientale dell'utilizzo delle varie tipologie di borse di plastica (borse in materiale leggero, ultraleggero e borse oxo-degradabili). È prevista, se opportuno, la possibilità di presentare proposte legislative volte a ridurne il consumo.
Il termine per il recepimento è stato fissato al 27 novembre 2016.
Iter di
approvazione
La
direttiva deriva da una proposta presentata dalla Commissione europea il 4
novembre 2013 (COM(2013) 761), sulla
quale, il 17 dicembre 2013, la 13a Commissione permanente (Territorio,
ambiente, beni ambientali) del Senato della Repubblica ha approvato una
risoluzione (Doc XVIII,
n. 39) in cui
si è espressa in senso favorevole, al contempo suggerendo di escludere dalla
definizione di "borse di plastica in materiale leggero" le borse di
plastica compostabile conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002 e di
integrare l'obiettivo della riduzione del consumo di borse di plastica di
materiale leggero con quello della sostituzione con borse riutilizzabili ovvero
con borse realizzate in plastica compostabile.
Il 25
marzo 2014 la Commissione europea ha inviato una risposta fornendo
alcuni chiarimenti circa le osservazioni formulate dalla 13a
Commissione.
Per le procedure di contenzioso, si rinvia alla scheda di lettura relativa all'articolo 4.
Direttiva (UE) 2015/849
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio
2015, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio
o finanziamento del terrorismo, che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012
del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 2005/60/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2006/70/CE della Commissione
(termine di recepimento 26 giugno 2017)
Per la descrizione analitica del contenuto della direttiva (UE) 2015/849, si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 15 (v. infra) contenente i principi e criteri direttivi specifici di delega.
Direttiva (UE)
2015/1513
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che modifica
la direttiva 98/70/CE, relativa alla qualità della benzina e del combustibile
diesel, e la direttiva 2009/28/CE, sulla promozione dell’uso dell’energia da
fonti rinnovabili (termine di recepimento 10 settembre 2017)
La direttiva
(UE) 2015/1513
del 9 settembre 2015 modifica la direttiva 98/70/CE, sulla qualità della benzina e del combustibile diesel, e la direttiva 2009/28/CE, sulle energie rinnovabili, al fine di avviare la transizione verso i
biocarburanti limitando la possibile incidenza di gas ad effetto serra di
origine antropica dovuti al cambiamento indiretto della destinazione dei
terreni.
Le due direttive
in questione hanno posto in capo agli Stati membri obblighi di:
- ridurre fino al 10 per cento entro il 2020 l'intensità delle emissioni di gas a effetto serra (articolo 7-bis, paragrafo 2, direttiva 98/70/CE);
- raggiungere nel 2020, al livello degli Stati membri, una quota di energia da fonti rinnovabili in tutte le forme di trasporto pari al 10 per cento del consumo finale di energia (articolo 3, paragrafo 4, direttiva 2009/28/CE).
Esse, inoltre, hanno fissato criteri di sostenibilità per i biocarburanti e i bioliquidi affinché siano conteggiati ai fini della riduzione dei gas a effetto serra. Poiché è probabile che i biocarburanti contribuiscano in maniera significativa al raggiungimento dei suddetti obiettivi e dato che la loro produzione parte da colture che sfruttano superfici già destinate all'agricoltura, la direttiva (UE) 2015/1513 modifica le due direttive includendo alcune disposizioni volte a fronteggiare l'impatto del cambiamento della destinazione dei terreni. È fondamentale, infatti, che la produzione di biocarburanti avvenga in maniera sostenibile: l'aumento delle coltivazioni non può avvenire in maniera indiscriminata poiché le emissioni di gas a effetto serra legate al cambiamento di destinazione dei terreni possono annullare, in tutto o in parte, le riduzioni delle emissioni legate all'uso dei carburanti.
La direttiva
(UE) 2015/1513 mira quindi a: limitare il contributo apportato dai
biocarburanti convenzionali al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla
direttiva 2009/28/CE; incoraggiare una maggiore penetrazione nel mercato dei
biocarburanti avanzati consentendo loro di contribuire maggiormente agli
obiettivi stabiliti dalla direttiva 2009/28/CE rispetto ai biocarburanti
convenzionali; migliorare le prestazioni in termini di gas a effetto serra dei
processi di produzione di biocarburante; migliorare la comunicazione delle
emissioni di gas a effetto serra obbligando gli Stati membri e i fornitori di
carburante a dare conto delle filiere di produzione dei biocarburanti, dei
volumi e delle emissioni di gas ad effetto serra prodotte durante il ciclo di
vita per unità di energia.
La direttiva
tutela gli investimenti già in atto fino al 2020. Dopo tale periodo, i biocarburanti
che non consentono una riduzione sostanziale dei gas a effetto serra e che sono
prodotti da colture utilizzate per la produzione di alimenti e di mangimi (da
cereali e da altre colture amidacee, zuccherine e oleaginose) non dovranno
essere sovvenzionati.
Si
intende così preparare la transizione verso i biocarburanti avanzati e ridurre al minimo le ripercussioni globali
sul cambiamento indiretto della destinazione dei terreni. I
biocarburanti avanzati provengono da alghe o da rifiuti e presentano un rischio
limitato di determinare un cambiamento indiretto della destinazione dei
terreni, non essendo in competizione diretta con le colture destinate
all'alimentazione umana o animale.
La direttiva incoraggia quindi il potenziamento delle attività di ricerca, sviluppo e produzione di tali biocarburanti invitando gli Stati membri a promuoverne il consumo nel proprio territorio e a darne conto alla Commissione europea. Nella produzione dei biocarburanti avanzati gli Stati membri dovranno rispettare il principio della gerarchia dei rifiuti, portando avanti la migliore opzione ambientale.
Al fine tra l'altro di dissuadere ulteriori investimenti in impianti con prestazioni ridotte in termini di gas a effetto serra, la direttiva determina l'aumento della soglia minima di riduzione (pari ad almeno il 60 per cento) delle emissioni di gas ad effetto serra applicabile a biocarburanti e bioliquidi prodotti nei nuovi impianti a partire dal 5 ottobre 2015.
Per evitare di incentivare l'aumento deliberato della produzione di residui della lavorazione a scapito del prodotto principale, la direttiva introduce anche una definizione di residuo della lavorazione che esclude i residui che derivano da un processo di produzione deliberatamente modificato a tale fine.
Inoltre, stabilisce nuovi incentivi per stimolare
l'utilizzo di elettricità da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti e aumenta i
fattori di moltiplicazione per il calcolo del contributo dell'elettricità da
fonti rinnovabili consumata dal trasporto elettrico (ferroviario e stradale).
Il termine per il recepimento da parte degli Stati membri è fissato al 10 settembre 2017.
Iter
di approvazione
La direttiva trae origine dalla proposta presentata dalla Commissione europea il 17 ottobre 2012 (COM(2012) 595)[58], sulla quale la 13ª Commissione (territorio, ambiente, beni ambientali) del Senato della Repubblica ha emesso una risoluzione (DOC XVIII, n. 182) in cui si è espressa in senso favorevole formulando alcune osservazioni. La Commissione europea ha risposto il 19 luglio 2013.
Procedure
di contenzioso
Il 25 febbraio 2016 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura di infrazione n. 2015/0307) per mancato recepimento della direttiva 2014/77/UE, recante modifica degli allegati I e II della direttiva 98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel. Il termine previsto per il recepimento era l’11 giugno 2015.
Direttiva (UE)
2015/2193
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre
2015, relativa alla limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti
originati da impianti di combustione medi (termine di recepimento 19 dicembre
2017)
La direttiva (UE) 2015/2193 stabilisce norme per il controllo delle emissioni nell'aria di biossido di zolfo (SO2), ossidi di azoto (NOx) e polveri, al fine di ridurre le emissioni e i rischi potenziali per la salute umana e per l'ambiente, nonché per il monitoraggio delle emissioni di monossido di carbonio (CO) (articolo 1).
Le norme si applicano a impianti di combustione medi, ovvero che abbiano una potenza termica nominale pari o superiore a 1 MW e inferiore a 50 MW (articolo 2, paragrafo 1), ma anche ad un eventuale insieme formato da nuovi impianti di combustione medi con potenza termica nominale totale pari o superiore a 50 MW (articolo 2, paragrafo 2, e articolo 4). Il combustibile utilizzato è ritenuto irrilevante.
I valori limite di emissione sono fissati nell'Allegato II. Possibilità di esenzione (ad esempio per impianti che non funzionano per più di 500 ore operative all'anno) sono disciplinate dall'articolo 6.
L'articolo 5 stabilisce, in via generale, l'obbligo di autorizzazione o registrazione, a cura degli Stati membri, per ogni nuovo impianto di combustione medio. Per i pre-esistenti il requisito dell'autorizzazione o registrazione decorrerà (articolo 5, paragrafo 2):
1) dal 1° gennaio 2024 per gli impianti con potenza termica nominale superiore a 5 MW;
2) dal 1° gennaio 2029 per quelli con potenza termica nominale inferiore o pari a 5 MW.
Anche il monitoraggio delle emissioni rientra tra gli obblighi degli Stati membri (articolo 7 ed Allegato III). Questi dovranno organizzare "un sistema efficace, basato su ispezioni ambientali o altre misure, per accertare la conformità ai requisiti della presente direttiva" (articolo 8, paragrafo 2) al fine di verificare che i valori delle emissioni monitorate non superino i valori limite fissati nell'Allegato II (articolo 8, paragrafo 1).
Un'Autorità competente deve essere individuata, al livello nazionale, in quanto ente responsabile per l'adempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva (articolo 10).
L'articolo 11 pone in capo agli Stati una serie di obblighi di relazione alla Commissione europea sull'attuazione delle norme in esame. Dal canto suo, la Commissione è incaricata (articolo 12) di effettuarne, tra il 2020 ed il 2023, un riesame alla luce del progresso tecnologico, di presentare in merito una relazione ed un'eventuale proposta legislativa.
Gli articoli 13-15 permettono alla Commissione europea di adottare atti delegati e atti di esecuzione.
Ai sensi dell'articolo 16, gli Stati membri dovranno stabilire le norme relative alle sanzioni - effettive, proporzionate e dissuasive - applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate conformemente alla direttiva.
Il termine per il recepimento è fissato
dall'articolo 17 per il 19 dicembre
2017.
Iter
di approvazione
La direttiva ha avuto origine da una proposta della Commissione europea, contenuta nel documento COM(2013) 919[59].
L'atto è stato oggetto di esame da parte della 13a Commissione permanente del Senato della Repubblica, la quale ha approvato, il 5 marzo 2014, una risoluzione favorevole, evidenziando l’opportunità di adottare specifiche misure comprensive di azioni, risorse, incentivi fiscali, semplificazione e controlli al fine di permettere un rapido conseguimento degli obiettivi previsti (documento XVIII, n. 55).
Direttiva (UE) 2015/2376
del Consiglio, dell’8 dicembre 2015, recante
modifica della direttiva 2011/16/UE, per quanto riguarda lo scambio automatico
obbligatorio di informazioni nel settore fiscale (termine di recepimento 31
dicembre 2016)
La direttiva (UE) 2015/2376 del Consiglio dell’8 dicembre 2015 interviene sulla materia dello scambio di informazioni nel settore fiscale, in particolare modificando la direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni concernenti i ruling preventivi transfrontalieri e gli accordi preventivi sui prezzi di trasferimento.
Si ricorda in breve che l'istituto del tax ruling, o interpello, consente al contribuente di richiedere all'amministrazione finanziaria una valutazione sulla disciplina tributaria applicabile, concretamente, ad un fatto, atto o negozio che lo riguarda. Se ne conosce così, a priori, il giudizio e si evitano, a posteriori, le conseguenze sfavorevoli derivanti da un comportamento rischioso. Posto che nel caso di soggetti operanti in più Stati membri dell'UE la pronuncia dell'Amministrazione finanziaria di uno Stato membro può incidere anche su altri Paesi, la direttiva introduce elementi di trasparenza mediante lo scambio automatico obbligatorio, impedendo di trasferire gli utili imponibili in Stati in cui il regime tributario è più favorevole.
La Direttiva 2011/16/UE prevede già lo scambio spontaneo di informazioni tra gli Stati membri, nei casi di ruling fiscali emanati da uno Stato membro.
Con la direttiva 2015/2376 viene introdotta una definizione più ampia di ruling preventivo transfrontaliero e di accordo preventivo sui prezzi di trasferimento, che comprende ulteriori ipotesi, tra cui:
· gli accordi che determinano l’esistenza o l’assenza di una stabile organizzazione;
· gli accordi o le decisioni che determinano l'esistenza o l'assenza di fatti che possono avere un impatto potenziale sulla base imponibile di una stabile organizzazione;
· gli accordi preventivi unilaterali o multilaterali sui prezzi di trasferimento;
· gli accordi che determinano lo status fiscale di entità ibrida in uno Stato membro, legata ad un residente di un’altra giurisdizione;
· gli accordi o le decisioni sulla base di valutazione per l'ammortamento di un bene in uno Stato membro acquistato da una società di un gruppo in un'altra giurisdizione.
Lo scambio automatico obbligatorio di informazioni dovrà comprendere la comunicazione di una serie determinata di informazioni di base, da rendere accessibili a tutti gli Stati membri, sulla base di un apposito formulario tipo da redigere tenendo conto dei lavori svolti in seno al forum dell'OCSE sulle pratiche fiscali dannose.
Sono previsti alcuni accorgimenti: ad esempio, la trasmissione di informazioni non deve comportare la divulgazione di un segreto commerciale, industriale o professionale, di un processo commerciale o la divulgazione di informazioni che sarebbe contraria all'ordine pubblico. Inoltre, per ragioni di certezza del diritto, a condizioni rigorose sono esclusi dallo scambio automatico obbligatorio gli accordi preventivi bilaterali o multilaterali sui prezzi di trasferimento conclusi con paesi terzi, secondo il quadro di trattati internazionali esistenti con tali paesi, qualora le disposizioni di detti trattati non consentano la divulgazione, a un paese terzo che sia parte, delle informazioni ricevute in base al trattato interessato.
E’ previsto che una serie limitata di informazioni di base sia comunicata anche alla Commissione, con la sola finalità di monitorare e valutare l'effettiva applicazione dello scambio automatico obbligatorio di informazioni sui ruling preventivi transfrontalieri e sugli accordi preventivi sui prezzi di trasferimento.
Il termine di recepimento scade il 31 dicembre 2016.
Direttiva 2016/97/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 gennaio 2016, sulla
distribuzione assicurativa (termine di recepimento 23 febbraio 2018)
Durante l’esame del provvedimento alla Camera dei Deputati è stato soppresso il n. 10 dell’Allegato B, che individuava tra le direttive da recepire anche la direttiva 2016/97/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 gennaio 2016 sulla distribuzione assicurativa (rifusione).
La direttiva 2016/97/UE rifonde e abroga la direttiva 2002/92/CE (IMD1) cambiandone la denominazione da direttiva sull'intermediazione assicurativa a direttiva sulla distribuzione assicurativa (IDD). L'obiettivo principale e l'oggetto della rifusione consistono nell'armonizzare le disposizioni nazionali in materia di distribuzione assicurativa e riassicurativa. Si intende inoltre frenare ulteriormente la frammentazione del mercato UE degli intermediari e dei prodotti assicurativi, stabilire condizioni che favoriscano una concorrenza equa e rafforzare i diritti dei consumatori. Rimane ferma la facoltà degli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più stringenti a tutela dei consumatori, qualora il contesto nazionale lo giustifichi.
La direttiva si applica a tutti i soggetti che distribuiscono prodotti assicurativi e riassicurativi: agenti, mediatori e operatori di «bancassicurazione», imprese di assicurazione, soggetti che gestiscono siti internet di comparazione quando questi consentano di stipulare direttamente o indirettamente un contratto di assicurazione, agenzie di viaggio e autonoleggi (a meno che non siano espressamente esentati).
La nuova direttiva mira altresì a ridurre gli oneri di accesso transfrontaliero e stabilisce un unico sistema di registrazione elettronica per gli intermediari nell'UE. L'ambito di applicazione della IDD sarà esteso a tutti i canali di distribuzione di prodotti assicurativi, prevedendo anche requisiti proporzionati per i singoli che vendono prodotti assicurativi a titolo accessorio. Si intende inoltre regolamentare la distribuzione dei contratti di assicurazione, compresi i prodotti di investimento assicurativi, in maniera allineata rispetto a quanto previsto dalla direttiva 2014/65/UE (MiFID II) con riferimento agli investimenti finanziari.
In relazione agli obblighi di informazione, si prevede che il cliente, prima della stipulazione del contratto, deve essere informato sullo status dei soggetti che vendono i prodotti assicurativi e, in particolare, sul tipo di remunerazione da essi percepito. Sono previsti degli obblighi specifici per la distribuzione di prodotti di investimento assicurativi, ovverosia quei prodotti assicurativi che presentano una scadenza o un valore di riscatto e tale scadenza o valore di riscatto è esposto, in tutto o in parte, alle fluttuazioni di mercato.
La direttiva dovrà essere recepita negli ordinamenti nazionali entro il 23 febbraio 2018.
[1] In particolare, l’allegato B elenca le direttive europee per le quali i relativi schemi di atti normativi di recepimento sono da sottoporre al parere delle competenti Commissioni parlamentari.
[2] Direttiva 2014/90/UE, sull’equipaggiamento marittimo (articolo 18) e direttiva (UE) 2015/2203, sul ravvicinamento delle legislazioni relative alle caseine e ai caseinati destinati all'alimentazione umana (articolo 21).
[3] L’articolo 12 (soppresso) del disegno di legge recava principi e criteri
direttivi specifici per l’esercizio della delega legislativa, conferita con la
legge di delegazione europea 2014 (legge 9 luglio 2015, n. 114, articolo 1 e
allegato B). La delega è stata esercitata dal Governo con l’Atto n. 256 “Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2014/17/UE in
merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali”,
su cui le Commissioni parlamentari dei due rami del Parlamento hanno espresso i
pareri di competenza. Il decreto legislativo è in corso di pubblicazione.
[4] La precedente direttiva 96/98/CE è stata recepita nell’ordinamento interno in via regolamentare con il D.P.R. 6 ottobre 1999, n. 407 “Regolamento recante norme di attuazione delle direttive 96/98/CE e 98/85/CE relative all'equipaggiamento marittimo”.
[5] Le informazioni fornite dal Governo nella relazione illustrativa al disegno di legge di delegazione europea 2015 (C. 3540) contengono dati aggiornati al 31 dicembre 2014. Con riguardo alle procedure d’infrazione ufficialmente aperte nei confronti dell’Italia, la relazione presenta altresì un aggiornamento alla data del 30 settembre 2015. Quanto alle direttive europee, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea nell’anno 2014, da attuare con decreto ministeriale e non ancora attuate, sono forniti dati ulteriori, aggiornati al 19 agosto 2015.
[6] Durante l’esame del provvedimento alla Camera dei Deputati è stato soppresso il n. 10 dell’Allegato B, che individuava tra le direttive da recepire anche la direttiva 2016/97/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 gennaio 2016 sulla distribuzione assicurativa (rifusione).
[7] Il termine è stato esteso da due a quattro mesi dall’articolo 29 della legge n. 115 del 2015 (legge europea 2014).
[8] Si ricorda che il principio di carattere generale enunciato dalla norma risponde a quello da tempo elaborato dalla giurisprudenza costituzionale (v. sentenza n. 226/1976), in base al quale spetta al legislatore delegante disporre in ordine alla copertura della spesa derivante dall’esercizio della delega. La stessa Corte ha tuttavia evidenziato che, “qualora eccezionalmente non fosse possibile, in sede di conferimento della delega, predeterminare rigorosamente in anticipo i mezzi per finanziare le spese che l'attuazione della stessa comporta” è sufficiente che il Governo venga a ciò espressamente delegato, con determinazione di principi e criteri direttivi di delega, anche enunciati sotto forma di clausole di neutralità finanziaria, volti a definire gli equilibri finanziari interni a ciascun provvedimento da adottare nell’esercizio della delega.
[9] Modificato nel corso dell’esame in Commissione; il disegno di legge iniziale (C. 3540) recava il termine di un anno.
[10] Si tratta della
Comunicazione "L'anello mancante - piano d'azione dell'unione europea per
l'economia circolare" (COM(2015)
614), della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
che modifica la direttiva 2008/98 relativa ai rifiuti (COM(2015)
595), della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio
(COM(2015)
596), della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
che modifica le direttive 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE
relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE
sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (COM(2015)
593) e della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti (COM(2015)
594). Per maggiori dettagli, su queste proposte e sul pacchetto nel
suo insieme, si rinvia al Dossier, predisposto dal Servizio studi del Senato
della Repubblica assieme all'Ufficio rapporti con l'Unione europea della Camera
dei deputati, "Le proposte
sull'economia circolare", gennaio 2016.
[11] Nell'iniziativa il Presidente del Consiglio dei
Ministri è affiancato dal MiSE, dal MIPAAF e dal Ministero della salute, di
concerto col MEF ed il Ministro della giustizia; il termine è di dodici mesi
dalla data di entrata in vigore della legge. I decreti legislativi sono
adottati previo parere della Conferenza Stato/regioni ed acquisito il parere
delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica; per il resto, si rinvia all'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
[12] Direttiva 14 giugno 1989, n. 89/395/CEE che modifica la direttiva 79/112/CEE relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità.
[13] L’adeguamento delle disposizioni interne alla direttiva n. 13 è stato disposto con il D.lgs. 23 giugno 2003, n. 181, che ha introdotto le necessarie modifiche nella forma di novelle al precedente decreto n. 109.
[14] Direttiva 14 giugno 1989, n. 89/396/CEE relativa alle diciture o marche che consentono di identificare la partita alla quale appartiene una derrata alimentare. Il provvedimento è stato abrogato e sostituito dalla Direttiva 13 dicembre 2011, n. 2011/91/UE di mera codificazione.
[15] Il riferimento alla completezza dell’informazione al consumatore (lettera a)) è stato inserito nel corso dell’esame in Commissione.
[16] Si tratta di un riflesso non sconosciuto al nostro
ordinamento, visto che sulla filiera agroalimentare già all'articolo 12 del
d.lgs. n. 224 del 2003 era garantita la consultazione ed informazione pubblica;
la norma fu poi richiamata nel decreto ministeriale 19 gennaio 2005, n. 72 (Prescrizioni per la valutazione del rischio
per l'agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera agroalimentare,
relativamente alle attività di rilascio deliberato nell'ambiente di OGM per
qualsiasi fine diverso dall'immissione sul mercato), in attuazione dell'articolo
8, comma 6, del predetto d.lgs. n. 224 del 2003.
[17] Il riferimento alla salvaguardia delle fattispecie di reato vigenti (lettera b)) è stato inserito nel corso dell’esame in Commissione.
[18] Ciò avverrà nella relazione tecnica allegata a ciascuno schema di decreto
legislativo: mentre la legge n. 196 del 2009 prevede che essa deve dare
"conto della neutralità finanziaria del medesimo decreto ovvero dei nuovi
o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di
copertura", il comma in commento preferisce limitarsi a richiedere che
essa evidenzi gli effetti dello schema di decreto "sui saldi di finanza
pubblica".
[19] Il termine è stato esteso da due a quattro mesi dall’articolo 29 della legge n. 115 del 2015 (legge europea 2014).
[20] Nell'iniziativa
il Presidente del Consiglio dei Ministri è affiancato dal MiSE, dicastero con
competenza prevalente nella materia; il termine è abbattuto da dodici a sei mesi dalla data di entrata in
vigore della legge. I decreti legislativi sono adottati acquisito il parere
delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica; per il resto, si rinvia all'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
[21] La Commissione per le
politiche europee - nella scorsa legislatura, alla Camera dei deputati -
registrò un intervento del relatore, deputata Castiello, che sosteneva:
"secondo la direttiva 98/34/CE «norma» è la specifica tecnica, la cui
osservanza non è obbligatoria, approvata da un organismo riconosciuto, ed
appartenente ad una delle seguenti categorie: norma internazionale (ISO), norma
europea (EN) norma nazionale (UNI). Dalle norme tecniche si distinguono le
regole tecniche, che definiscono le caratteristiche dei prodotti e dei processi
la cui osservanza è resa obbligatoria per legge. In Italia l'attività di
formazione è svolta dall'UNI (Ente nazionale italiano di unificazione) e dal
CEI (Comitato elettrotecnico italiano) che rappresentano l'Italia presso gli
enti di formazione a livello comunitario (CEN e CENELEC) e a livello
internazionale (ISO). Le norme tecniche assumono carattere cogente se
richiamate nei provvedimenti legislativi; in tal caso occorre che le stesse siano
previamente notificate alla Commissione europea ai sensi della direttiva
98/34/CE". In realtà, la sentenza della Corte di giustizia
dell’Unione europea (C-385/10 del 18 ottobre 2012) - che ha stabilito che la
normativa dell’Unione (articoli 34 e 27 del TFUE) osta a prescrizioni nazionali
che subordinino la commercializzazione di prodotti provenienti da altro Stato
membro all’apposizione della marcatura CE - ha anche disatteso la difesa
italiana in ordine all'obbligo di notifica delle regole tecniche, secondo
quanto disposto dalla direttiva 98/34/CE che - all’articolo 8 - prevede che gli
Stati membri comunichino immediatamente alla Commissione ogni progetto di
regola tecnica. La difesa del Governo italiano si era attestata sulla tesi
secondo cui le disposizioni del decreto legislativo in questione, se
interpretate in combinazione con la legislazione vigente in materia di impianti
e costruzioni, avrebbero configurato disposizioni legislative che si conformano
ad atti comunitari vincolanti che danno luogo all'adozione di specificazioni
tecniche: per disposizioni di tale natura, sulla base dell’articolo 10 della
direttiva 98/34/CE, non si sarebbe applicato l’obbligo di notifica. La
posizione espressa nella messa in mora, da parte della Commissione europea, invece,
era quella secondo cui le disposizioni italiane menzionate, relative ai
requisiti tecnici degli impianti, erano da intendersi a tutti gli effetti come
regola tecnica e avrebbero dovuto esserle notificate.
[22] L'UNI nasce nel 1921 in seno all'AIMA
(Associazione nazionale per gli industriali della meccanica), da cui nel 1928
si distacca assumendo la nuova denominazione. È un'associazione di diritto
privato con personalità giuridica, di cui fanno parte enti pubblici,
associazioni, aziende, istituti tecnici, di istruzione ed economici, 14 enti
federati e persone fisiche. In particolare, fanno parte dell'UNI i Ministeri
interessati e, fra gli enti pubblici, l'ENEA e il CNR. Gli enti federati sono
associazioni di normazione che operano in specifici settori industriali
predisponendo progetti di norme tradotte dall'UNI in norme nazionali. Obiettivi
principali dell'UNI sono: elaborare progetti, adottare e pubblicare norme
nazionali e documenti normativi; promuovere studi, pubblicazioni e altre
iniziative per la diffusione della normazione; collaborare anche con gli altri
enti nazionali di normazione alle attività dell'ISO e del CEN (rispettivamente
enti di normazione internazionale ed europea); promuovere un'attività nazionale
di certificazione; concedere il diritto d'uso del Marchio UNI ai prodotti
conformi alle norme dell'ente; costituire archivi di norme nazionali ed estere.
[23] Il CEI è
l'organismo che si occupa della normazione e della unificazione nel settore
elettrico e elettronico. Opera dal 1909 ed è riconosciuto dallo Stato e
dall'Unione europea. La legge 1° marzo
1968, n. 186, riconosce l'autorità delle norme CEI e stabilisce che
"materiali, macchine, installazioni e impianti elettrici e elettronici
realizzati con tali norme si considerano a regola d'arte". Il CEI è
rappresentante italiano dei principali organismi di normazione e certificazione
internazionali (IEC, CENELEC, CIGRE) e, tramite il CONCIT, partecipa
all'attività dell'ETSI, ente normatore europeo nel settore delle
telecomunicazioni.
[24] Tanto da essere oggetto di riconoscimento anche da
parte dell'Organizzazione mondiale del commercio.
[25] Organizzata nella forma della rappresentanza nazionale
per il CEN (Comitato Europeo di Normalizzazione) e il CENELEC (Comitato Europeo
di normalizzazione elettrotecnica), e nella forma della partecipazione diretta
nell'Istituto europeo per le norme di telecomunicazione (ETSI).
[26] Finora agli enti di normalizzazione risorse pubbliche erano destinate sotto forma di contributo forfetario: all'UNI (Ente italiano di unificazione) e al CEI (Comitato elettrotecnico italiano) il contributo viene concesso a fronte del servizio reso in ottemperanza alla direttiva 98/34/CE sulla procedura di informazione. Il contributo è previsto dall’articolo 8 della legge 317/1986 modificata dal D.Lgs. 427/2000 (Modifiche ed integrazioni alla legge 21 giugno 1986, n. 317, concernenti la procedura di informazione nel settore delle norme e regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione, in attuazione delle direttive 98/34/CE e 98/48/CE).
[27] Si ricorda, in ordine alla stipula di convenzioni con l’UNI e il CEI ai fini della trasposizione delle norme tecniche europee per la salvaguardia della sicurezza, che l’articolo 46, comma 3, della legge n. 128/1998 (comunitaria 1995-1997) prevede che, nel caso in cui le disposizioni vigenti prevedano la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle norme predette, le somme che devono essere corrisposte all’ente di normazione, incaricato della trasposizione, siano determinate sulla base di una convenzione tra l’ente e il Ministero dell’industria (ora dello sviluppo economico).
[28] Regolamento concernente l’attuazione dell’articolo 11-quaterdecies, comma 13, lettera a), della legge n. 248 del 2 dicembre 2005, recante riordino delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all’interno degli edifici.
[29] Il termine “raccordo” è stato inserito durante l’esame in Commissione.
[30] Direttiva
2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2011 sui gestori
di fondi di investimento alternativi, che modifica le direttive 2003/41/CE e
2009/65/CE e i regolamenti (CE) n. 1060/2009 e (UE) n. 1095/2010. Come
specificato dal considerando n. 8 al regolamento (UE) 2015/760, gli ELTIF sono
essi stessi dei fondi di investimenti alternativi dell'UE (FIA UE) ed i loro
gestori sono quindi gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA) ai
sensi di quella direttiva.
[31] Le imprese di portafoglio ammissibile sono definite dall'articolo 11. Si tratta di imprese di portafoglio diverse da un organismo di investimento collettivo non di natura finanziaria, con una capitalizzazione di mercato inferiore a 500.000.000 euro e, in linea di massima, stabilita in uno Stato membro.
[32] Fondi europei di venture
capital, istituiti dal regolamento (UE) n. 345/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2013,
relativo ai fondi europei per il venture capital, per il finanziamento
delle imprese molto piccole, nelle fasi iniziali della propria esistenza
societaria e che mostrano forti potenzialità di crescita ed espansione (start-up).
[33] Fondi europei per
l'imprenditoria sociale, istituiti dal regolamento (UE) 346/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2013,
relativo ai fondi europei per l’imprenditoria sociale, per il finanziamento
delle imprese specializzate nel sociale.
[34] Nel corso dell’esame in Commissione è stato posto il limite temporale
“non superiore a 5 anni” alla interdizione temporanea prevista nel disegno di
legge governativo.
[35] Nel corso dell’esame in Commissione il minimo edittale
è stato aumentato da “2.000” euro a “2.500” euro.
[36] Il ciclo di vita comprende l'attività di estrazione, la lavorazione e la distribuzione dei carburanti.
[37] Si tratta della
ventunesima Conferenza delle parti (COP21), l'incontro annuale tra paesi
firmatari della Convenzione quadro delle
Nazioni unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), siglata a Rio de Janeiro nel
1992.
[38] Sono altresì protetti i programmi per elaboratore e le banche di dati che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione intellettuale dell'autore.
[39] Il testo originario della L. 633/1941 ha subito numerosi interventi di modifica, anche in recepimento di direttive comunitarie (tra le altre, si ricordano le modifiche apportate dal d.lgs. 68/2003, Attuazione della direttiva 2001/29/CE sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione, e dal d.lgs. 140/2006, Attuazione della direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale).
[40] In precedenza, la materia era disciplinata dall’art. 7 del d.lgs. 419/1999, abrogato dalla L. 2/2008.
[41] Si intendono per diritti connessi quelli riconosciuti
non direttamente all’autore, ma ad altri soggetti comunque collegati o affini.
Si tratta, sostanzialmente, di coloro che offrono l’opera alla fruizione del
pubblico e sono anch’essi titolari di diritti patrimoniali e, in taluni casi,
anche di diritti morali (https://www.siae.it/it/diritto-dautore/diritti-connessi/i-diritti-connessi).
I diritti connessi sono regolati dal Titolo II della L. 633/1941(artt. 72-101). In particolare, si tratta di: diritti dei produttori di fonogrammi (Capo I); diritti dei produttori di opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento (Capo I-bis); diritti audiovisivi sportivi (Capo I-ter); diritti relativi all'emissione radiofonica e televisiva (Capo II); diritti degli artisti interpreti e degli artisti esecutori (Capo III); diritti relativi ad opere pubblicate o comunicate al pubblico per la prima volta successivamente alla estinzione dei diritti patrimoniali d'autore (Capo III-bis); diritti relativi ad edizioni critiche e scientifiche di opere di pubblico dominio (Capo III-ter); diritti relativi a bozzetti di scene teatrali (Capo IV); diritti relativi alle fotografie (Capo V); diritti relativi alla corrispondenza epistolare ed al ritratto (Capo VI); diritti relativi ai progetti di lavori dell'ingegneria (Capo VII).
Più nello specifico, l’art. 80 considera artisti
interpreti ed artisti esecutori gli attori, i cantanti, i musicisti, i
ballerini e le altre persone che rappresentano, cantano, recitano, declamano o
eseguono in qualunque modo opere dell’ingegno, siano esse tutelate o di dominio
pubblico. L’art. 82 dispone, inoltre, che sono compresi nella denominazione di
artisti interpreti e di artisti esecutori: coloro che sostengono nell'opera o composizione
drammatica, letteraria o musicale, una parte di notevole importanza artistica,
anche se di artista esecutore comprimario; i direttori dell'orchestra o del
coro; i complessi orchestrali o corali, a condizione che la parte orchestrale o
corale abbia valore artistico di per sé stante o non di semplice
accompagnamento.
[42] La disposizione è intervenuta allo scopo di favorire la creazione di nuove imprese nel settore della tutela dei diritti degli artisti interpreti ed esecutori, mediante lo sviluppo del pluralismo competitivo e consentendo una maggiore economicità di gestione, nonché l’effettiva partecipazione e il controllo da parte dei titolari dei diritti. Sull’argomento, si veda, in particolare, la segnalazione al Parlamento A.S. 280 del 4 giugno 2004 dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
[43] GU n. 59 dell’11 marzo 2013.
[44] A seguito delle particolari criticità emerse con riferimento alla gestione dell’Istituto - evidenziate, in particolare, dalla relazione del collegio dei revisori dell’ente datata 17 settembre 2008 ed allegata al decreto di estinzione - con decreto del Prefetto di Roma n. 33961/606/2009 del 30 aprile 2009 l’IMAIE è stato dichiarato estinto per incapacità di raggiungere gli scopi per i quali era stato costituito. Successivamente, sono stati nominati tre commissari liquidatori, con poteri di amministrazione ordinaria e straordinaria, compresa la riscossione e la distribuzione agli aventi diritto dei compensi maturati e non riscossi prima e nel corso dell’attività liquidatoria. Più ampiamente, si veda il Dossier del Servizio Studi n. 606 (Tomo I), del 6 marzo 2012, predisposto in occasione dell’esame del D.L. 1/2012.
[45] L’istituto è soggetto
alla vigilanza congiunta del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della
Presidenza del Consiglio, del MIBACT e del
Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
[46] GU n. 52 del 5 maggio 2014.
[47] L’art. 3, lett. k), della direttiva definisce utilizzatore “qualsiasi persona o entità le cui azioni sono subordinate all’autorizzazione dei titolari dei diritti, al compenso dei titolari dei diritti o al pagamento di un indennizzo ai titolari dei diritti e che non agisce in qualità di consumatore”.
[48] L'8 giugno e il 19 luglio 2010, l'Organizzazione
internazionale della vite e del vino aveva chiesto un'esenzione dall'obbligo di
indicare nell'etichetta la caseina (e l'ovalbumina) utilizzate nella produzione
del vino come coadiuvanti di chiarifica (§§ 5-7).
[49] Direttiva
2006/86/CE della Commissione, del 24 ottobre 2006, che attua la direttiva
2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le
prescrizioni in tema di rintracciabilità, la notifica di reazioni ed eventi
avversi gravi e determinate prescrizioni tecniche per la codifica, la
lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e
cellule umani.
[50] Direttiva 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, sulla definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani.
[51] Ai sensi del nuovo testo dell'articolo 2, lettera t), della direttiva 2006/86/CE, per "compendio degli istituti dei tessuti dell'UE" si intende "il registro di tutti gli istituti dei tessuti titolari di licenza, autorizzati, designati o accreditati dall'autorità competente o dalle autorità competenti degli Stati membri"; i dati da registrare nel compendio sono elencati nell'Allegato VIII.
[52] Ai sensi del nuovo testo dell'articolo 2, lettera u), della direttiva 2006/86/CE, per "compendio dei prodotti di tessuti e cellule dell'UE" si intende "il registro di tutti i tipi di tessuti e di cellule che circolano nell'Unione e i rispettivi codici del prodotto nell'ambito dei (...) sistemi di codifica autorizzati".
[53]
Direttiva 2012/39/UE
della Commissione, del 26 novembre 2012, che modifica la direttiva 2006/17/CE
per quanto riguarda determinate prescrizioni tecniche relative agli esami
effettuati su tessuti e cellule umani.
[54] Per le definizioni di diritti d’autore e di diritti connessi, si veda la scheda relativa all’art. 19 del ddl.
[55] In base alle definizioni recate dall’art. 3 della direttiva, la differenza fra l’organismo di gestione collettiva e l’entità di gestione indipendente è che, mentre il primo deve soddisfare il criterio di essere detenuto o controllato dai propri membri, ovvero essere organizzato senza fine di lucro (ovvero, entrambi tali criteri), la seconda non è detenuta, né controllata dai titolari dei diritti ed è organizzata con fini di lucro.
[56] Durata dell’adesione, o importi che un membro ha ricevuto o che gli
competano, ovvero entrambi i criteri.
[57] In base al considerando 24
della direttiva, a seconda della struttura organizzativa dell’organismo di
gestione collettiva, la funzione di sorveglianza può essere esercitata da un
organo distinto, o da tutti o alcuni direttori del consiglio di amministrazione
che non esercitano compiti esecutivi nelle attività dell’organismo di gestione
collettiva.
[58] Si veda la Scheda di valutazione elaborata dall'Ufficio dei rapporti con le istituzioni dell'Unione europea del Senato.
[59] Per maggiori dettagli, si rinvia alla Scheda di lettura predisposta in merito dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea del Senato della Repubblica.