Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento agricoltura
Titolo: Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo, agroalimentare, della pesca e dell'acquacoltura - A.C. 3119
Riferimenti:
AC N. 3119/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 317
Data: 30/06/2015
Descrittori:
ACQUACOLTURA   AGRICOLTURA
LEGGE DELEGA   PESCA
PRODOTTI AGRICOLI   PRODOTTI ALIMENTARI
Organi della Camera: XIII-Agricoltura

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo, agroalimentare, della pesca e dell'acquacoltura

A.C. 3119

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 317

 

 

 

30 giugno 2015

 


 

Servizio Studi:

Dipartimento Agricoltura

( 066760-3610 – * st_agricoltura@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: ID0020.docx

 


INDICE

Schede di lettura

§  Articolo 1 (Semplificazioni in materia di controlli) 3

§  Articolo 2 (Disposizioni penali per garantire la sicurezza agroalimentare) 10

§  Articolo 3 (Disposizioni in materia di servitù) 12

§  Articolo 4 (Riduzione dei termini per i procedimenti amministrativi) 14

§  Articolo 5 (Delega al Governo per il riordino e la semplificazione della normativa in materia di agricoltura pesca e acquacoltura) 15

§  Articolo 6 (Società di affiancamento per le terre agricole) 20

§  Articolo 7 (Disposizioni per il sostegno dell’agricoltura e dell’acquacoltura biologiche) 25

§  Articolo 8 (Disposizioni in materia di attività che non costituiscono subappalto) 28

§  Articolo 9 (Delega al Governo per il riordino e la riduzione degli enti, società e agenzie vigilati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e per il riordino dell’assistenza tecnica agli allevatori e la revisione della disciplina della riproduzione animale) 31

§  Articolo 10 (Istituzione della Banca delle terre agricole) 56

§  Articolo 11 (Modernizzazione della logistica) 61

§  Articolo 12 (Assunzione congiunta di lavoratori) 63

§  Articolo 13 (Disposizioni per agevolare la partecipazione ai programmi di aiuto europei) 65

§  Articolo 14 (Interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura) 67

§  Articolo 15 (Delega al Governo per il riordino degli strumenti di gestione del rischio in agricoltura e per la regolazione dei mercati) 71

§  Articolo 16 (Disposizioni per il sostegno della pesca sociale e lo sviluppo dei prodotti provenienti dalla filiera corta agricola e ittica) 78

§  Articoli 17-24 (Disposizioni in materia di prodotti derivati dalla trasformazione del pomodoro) 82

§  Articolo 25 (Delega al Governo per il sostegno del settore del riso) 89

§  Articolo 26 (Prodotti della pesca) 94

§  Articolo 27 (Estensione dell’ambito di applicazione del D.L. n. 91/2014) 96

§  Articolo 28 (Sportello unico della pesca e dell’acquacoltura) 105

§  Articolo 29 (Modificazioni al D.Lgs. n. 4/2012 recante misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura) 106

§  Articolo 30 (Modifiche al D.L. n. 91/2014 in materia di rete del lavoro agricolo di qualità) 129

§  Articolo 31 (Copertura finanziaria) 132

 


SIWEB

Schede di lettura

 


 

Articolo 1
(Semplificazioni in materia di controlli)

Il comma 1 inserisce un comma aggiuntivo 3-bis all'articolo 16 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, esentando dall'obbligo di tenere e aggiornare il fascicolo aziendale gli olivicoltori che producono olio destinato all'autoconsumo o comunque in quantità inferiore ai 250 kg per campagna di commercializzazione.

La legge 14 gennaio 2013, n.9 ha introdotto specifiche norme per garantire la qualità e la trasparenza della filiera di produzione dell’olio di oliva. In particolare l’articolo 16 ha reso obbligatori l’istituzione e l’aggiornamento del fascicolo aziendale da parte di tutti i produttori di oli vergini, extravergini e lampanti; all’inadempienza fa seguito: il divieto di commercializzare la produzione; l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria compresa fra 500 e 3.000 euro; l’applicazione della medesima sanzione pecuniaria alle imprese obbligate a tenere il registro di carico e scarico dell’olio extra vergine di oliva e dell'olio di oliva vergine, per i quantitativi di oli o olive i cui produttori non siano in regola con il fascicolo aziendale. Il fascicolo aziendale, modello cartaceo ed elettronico preposto alla raccolta delle informazioni relative a ciascuna azienda agricola, è stato istituito, dapprima, in base al DPR 503/99 (articolo 9) e successivamente regolato dal decreto legislativo n. 99/2004 (articolo 13). Il fascicolo deve essere costituito per tutti i soggetti pubblici e privati, identificati dal Codice Fiscale (CUAA), esercenti attività agricola, agroalimentare o forestale, che intrattengano a qualsiasi titolo rapporti con la Pubblica Amministrazione centrale o regionale. Il fascicolo è gestito dalla società SIN (partecipata al 51% da AGEA).

Per agevolare i controlli sulla commercializzazione dell'olio di oliva, il D.M. 10/11/2009 ha introdotto l’obbligo - per i frantoi, le imprese di condizionamento e i commercianti di olio sfuso – di tenere un registro per ogni stabilimento e deposito, nel quale vanno annotate le produzioni, i movimenti e le lavorazioni dell'olio extra vergine di oliva e dell'olio di oliva vergine.

 

Il comma 2 esenta dagli adempimenti procedurali sulla prevenzione degli incendi gli imprenditori agricoli che utilizzano depositi di olio d’oliva.

Si ricorda, in proposito, che l’articolo 1-bis, comma 1, del D.L. n. 91/2014 ha esentato dai predetti adempimenti procedurali (di cui al D.P.R. n. 151/2011) gli imprenditori agricoli che utilizzano depositi di prodotti petroliferi di capienza non superiore a 6 metri cubi (anche muniti di erogatore).

L’intervento normativo intende fornire una diversa soluzione a quella che è stata la scelta operata con il D.P.R. n.151/2011, Regolamento recante semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi, che ha assoggettato il frantoio oleario che detiene olio extravergine d'oliva superiore a 25 mc, alla normativa ivi prevista, includendoli tra le strutture elencate al punto 12 dell'allegato al D.P.R. 151/2011 (“depositi e/o rivendite di liquidi infiammabili e/o combustibili e/o oli lubrificanti, diatermici, di qualsiasi derivazione, di capacità geometrica complessiva superiore a 1 m3”).

Si ricorda, in proposito, che il DM 31 luglio 1934 suddivide i liquidi in base al punto di infiammabilità, e cioè alla temperatura minima alla quale emettono vapori pericolosi. Presumibilmente sulla base di tale suddivisione l'olio extra vergine d'oliva è stato considerato un olio lubrificante. L'Aifo (Associazione italiana frantoiani oleari) contesta tale interpretazione ritenendo che l’olio debba essere considerato un alimento.

Quanto alla procedura richiesta per la modifica degli Allegati, l’art. 1 prevede, al comma 5, che la revisione dell'elenco delle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, di cui all' Allegato I , è effettuata con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare a norma dell' articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400 , su proposta del Ministro dell'interno, sentito il Comitato centrale tecnico-scientifico per la prevenzione incendi.

L’articolo 1, comma 1-bis del D.L. n. 91/2014 dispone che gli imprenditori agricoli che utilizzano depositi di prodotti petroliferi di capienza non superiore a 6 metri cubi, anche muniti di erogatore, ai sensi dell'articolo 14, commi 13-bis e 13-ter del D.Lgs. n. 99/2004[1] non sono tenuti agli adempimenti procedurali sulla disciplina della prevenzione degli incendi previsti dal regolamento di cui al D.P.R. n. 151/2011[2].

Il comma 3, introdotto nel corso dell’esame al Senato, demanda alle regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano l’individuazione di percorsi preferenziali per la pastorizia transumante nell'ambito dei ripari, degli argini e delle loro dipendenze, nonché delle sponde, scarpe e banchine dei corsi d'acqua e dei pubblici canali e loro accessori.

Quanto sopra è disposto anche in deroga ai seguenti divieti:

   divieto di pascolo e permanenza dei bestiami sui ripari, sugli argini e loro dipendenze, nonché sulle sponde, scarpe, o banchine dei pubblici canali e loro accessori (lettera i), comma 1, art. 96 del R.D. 523/1904 e articolo 134, lettera f) R.D. 368/1904)

   nelle opere di bonificazione a chi non ha ottenuta regolare concessione o licenza, divieto di abbeveramento di animali e bestiame d'ogni specie, salvo dove esistono abbeveratoi appositamente costruiti (articolo 134, lettera f) R.D. 368/1904.

Si fa presente al riguardo che la disposizione in esame dispone una deroga alla normativa vigente senza delimitarne l’ambito operativo.

Il comma 4, introdotto nel corso dell’esame al Senato, consente la costituzione e il riconoscimento da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di un consorzio di tutela per le bevande spiritose.

La finalità è quella di assicurare la piena integrazione - per ciascuna indicazione geografica (IG) di cui all'allegato III del Regolamento (CE) n. 110/2008 relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione, all'etichettatura e alla protezione delle IG delle bevande spiritose - con la disciplina nazionale in materia di indicazioni geografiche dei prodotti agroalimentari e dei vini in esecuzione dei relativi regolamenti europei.

 

Relativamente alle bevande spiritose (rum, whisky etc.) per «indicazione geografica», ai sensi dell’articolo 15 del Reg. n. 110/2008, si intende un’indicazione che identifichi una bevanda come originaria del territorio di un paese, o di una regione o località di detto territorio, quando una determinata qualità, la rinomanza o altra caratteristica della bevanda spiritosa sia essenzialmente attribuibile alla sua origine geografica. Le indicazioni geografiche devono essere registrate nell’allegato III del medesimo Regolamento e quando sono contenute in tale allegato non possono diventare generiche.

Si ricorda, in proposito, che il 25 settembre 2014 la 9 Commissione Agricoltura del Senato ha svolto un’audizione informale dei rappresentanti dell’Assodistil (Associazione nazionale industriali distillatori di alcoli ed di acquaviti) sulle problematiche del comparto.

In quella occasione, oltre ad aver ricordato come il settore vanta 37 prodotti ad indicazione geografica, l’Associazione ha rappresentato la necessità di una previsione normativa che consenta al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali di riconoscere, per ciascuna indicazione geografica prevista dal reg. 110/08 in materia di bevande spiritose, un consorzio di tutela, al pari, di quanto previsto dall’ordinamento nazionale per le IGP e DOP del campo agroalimentare e vitivinicolo.

Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 17 del decreto legislativo n. 61/2010, recante tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini, reca specifiche disposizioni relativamente ai Consorzi di tutela. Viene, infatti, previsto che:

-    per ciascuna denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta può essere costituito e riconosciuto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali un consorzio di tutela;

-    il Consorzio è costituito fra tutti i soggetti inseriti nel sistema di controllo della denominazione e persegue le seguenti finalità:

a)  avanzare proposte di disciplina regolamentare e svolgere compiti consultivi relativi al prodotto interessato, nonché collaborativi nell'applicazione della presente legge;

b)  espletare attività di assistenza tecnica, di proposta, di studio, di valutazione economico-congiunturale della DOP o IGP, nonché ogni altra attività finalizzata alla valorizzazione del prodotto sotto il profilo tecnico dell'immagine;

c)  collaborare, secondo le direttive impartite dal Ministero, alla tutela e alla salvaguardia della DOP o della IGP da abusi, atti di concorrenza sleale, contraffazioni, uso improprio delle denominazioni tutelate e comportamenti comunque vietati dalla legge; collaborare altresì con le regioni e province autonome per lo svolgimento delle attività di competenza delle stesse;

d)  svolgere, nei confronti dei soli associati, le funzioni di tutela, di promozione, di valorizzazione, di informazione del consumatore e di cura generale degli interessi della relativa denominazione, nonché azioni di vigilanza da espletare prevalentemente alla fase del commercio, in collaborazione con l'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari e in raccordo con le regioni e province autonome.

È consentita la costituzione di consorzi di tutela per più denominazioni di origine ed indicazioni geografiche purché le zone di produzione dei vini interessati, così come individuate dal disciplinare di produzione, ricadano nello stesso ambito territoriale provinciale, regionale o interregionale, e purché per ciascuna denominazione di origine o indicazione geografica sia assicurata l'autonomia decisionale in tutte le istanze consortili.

 

Il riconoscimento da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali è attribuito al consorzio di tutela che ne faccia richiesta e che:

a)  sia rappresentativo, tramite verifica effettuata dal Ministero sui dati inseriti nel sistema di controllo, di almeno il 35 per cento dei viticoltori e di almeno il 51 per cento della produzione certificata dei vigneti iscritti allo schedario viticolo della relativa DO o IG riferita agli ultimi due anni;

b)  sia retto da uno statuto che rispetti i requisiti individuati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e consenta l'ammissione, senza discriminazione, di viticoltori singoli o associati, vinificatori e imbottigliatori autorizzati, e che ne garantisca una equilibrata rappresentanza negli organi sociali, che sarà definita con decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;

c)  disponga di strutture e risorse adeguate ai compiti.

Il consorzio riconosciuto, che intende esercitare nei confronti di tutti i soggetti inseriti nel sistema dei controlli della DOP o IGP, le funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura generale degli interessi relativi alla denominazione è tenuto a dimostrare, tramite verifica effettuata dal Ministero sui dati inseriti nel sistema di controllo, la rappresentatività nella compagine sociale del consorzio di almeno il 40 per cento dei viticoltori e di almeno il 66 per cento della produzione certificata, di competenza dei vigneti dichiarati a DO o IG negli ultimi 2 anni.

Il consorzio così autorizzato, nell'interesse di tutti i produttori anche non aderenti, può:

a)  definire, previa consultazione dei rappresentanti di categoria della denominazione interessata, l'attuazione delle politiche di Governo dell'offerta, al fine di salvaguardare e tutelare la qualità del prodotto DOP e IGP, e contribuire ad un miglior coordinamento dell'immissione sul mercato della denominazione tutelata, nonché definire piani di miglioramento della qualità del prodotto;

b)  organizzare e coordinare le attività delle categorie interessate alla produzione e alla commercializzazione della DOP o IGP;

c)  agire, in tutte le sedi giudiziarie ed amministrative, per la tutela e la salvaguardia della DOP o della IGP e per la tutela degli interessi e diritti dei produttori;

d)  svolgere azioni di vigilanza, tutela e salvaguardia della denominazione da espletare prevalentemente alla fase del commercio sotto il coordinamento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari e in raccordo con le regioni e province autonome. Tali attività sono esplicate prevalentemente nella fase del commercio e consistono nella verifica che le produzioni certificate rispondano ai requisiti previsti dai disciplinari, e che prodotti similari non ingenerino confusione nei consumatori e non rechino danni alle produzioni DOP e IGP. Agli agenti vigilatori incaricati dai consorzi, nell'esercizio di tali funzioni, può essere attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza nelle forme di legge ad opera dell'autorità competente ed i consorzi possono richiedere al Ministero il rilascio degli appositi tesserini di riconoscimento, sulla base della normativa vigente. Gli agenti vigilatori già in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza mantengono la qualifica stessa, salvo che intervenga espresso provvedimento di revoca. Gli agenti vigilatori in nessun modo possono effettuare attività di vigilanza sugli organismi di controllo né possono svolgere attività di autocontrollo sulle produzioni. Il consorzio è autorizzato ad accedere al SIAN per acquisire le informazioni strettamente necessarie ai fini dell'espletamento di tali attività per la denominazione di competenza. I costi derivanti dalle attività di cui al comma 4 sono a carico di tutti i soci del consorzio, nonché di tutti i soggetti inseriti nel sistema di controllo, anche se non aderenti al consorzio, secondo criteri che saranno stabiliti con regolamento del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali .

Il consorzio riconosciuto può proporre l'inserimento, nel disciplinare di produzione, come logo della DOP o della IGP, il marchio consortile precedentemente in uso, ovvero un logo di nuova elaborazione. Il logo che identifica i prodotti DOP e IGP è detenuto, in quanto dagli stessi registrati, dai consorzi di tutela per l'esercizio delle attività loro affidate. Il logo medesimo è utilizzato come segno distintivo delle produzioni conformi ai disciplinari delle rispettive DOP o IGP, come tali attestati dalle strutture di controllo autorizzate, a condizione che la relativa utilizzazione sia garantita a tutti i produttori interessati al sistema di controllo delle produzioni stesse, anche se non aderenti al consorzio, in osservanza delle regole contenute nel regolamento consortile.

 

Con decreto di natura non regolamentare del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sono emanate disposizioni generali in materia di costituzione e riconoscimento dei consorzi di tutela.

 

Il comma 5 reca la clausola di salvaguardia finanziaria dei commi 3 e 4 disponendo che dall'attuazione delle citate disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e le amministrazioni interessate provvedono all'adempimento dei compiti ivi previsti con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 

Il comma 6 apporta modifiche al regolamento sulle modalità per la identificazione e la registrazione dei bovini (D.P.R. n. 437/2000), disponendo che gli animali identificati con marchio auricolare destinati alla sola commercializzazione nazionale sono esentati dall'obbligo di accompagnamento del passaporto previsto dall’articolo 6 del Regolamento CE n. 1760/2000[3], a seguito del pieno riconoscimento da parte della Commissione UE dell’operatività della banca dati informatizzata nazionale, ai sensi dell'articolo 5 del medesimo Regolamento europeo.

A partire dal 2000, in Italia, è operante una Banca Dati Nazionale (BDN) delle anagrafi zootecniche, collocata fisicamente presso il Centro Servizi Nazionale, attivato presso l’istituto zooprofilattico sperimentale dell’Abruzzo e Molise. La banca dati comprende 7 anagrafi diverse: anagrafe bovina; anagrafe ovina e caprina; anagrafe suina; anagrafe avicola; anagrafe equidi; anagrafe apistica; registrazione circhi. Nella Banca Dati Nazionale (BDN) sono registrati tutti i dati identificativi, nonché quelli relativi ai movimenti sul territorio nazionale, dei capi bovini e bufalini. Il Servizio veterinario delle ASL certifica l'iscrizione nella BDN e provvede al rilascio e vidimazione del passaporto: documento individuale d’identificazione che accompagna l'animale in ogni spostamento, contiene i suoi dati anagrafici, il suo codice identificativo, presente anche nel marchio apposto all'orecchio, e, infine la storia dei suoi trasferimenti. Tutti gli eventi che riguardano la vita dell'animale (nascita, movimentazioni, uscite e ingressi, morte) devono essere notificati dai detentori degli animali alla BDN. Spetta al servizio veterinario della ASL la responsabilità di effettuare i controlli sulla corretta implementazione dell’anagrafe e di riportare nella Banca Dati Nazionale le eventuali irregolarità. Per quanto riguarda i mezzi di identificazione dei bovini, si ricorda che nel 1997 il regolamento del Consiglio (CE) n. 820/971 ha rafforzato le norme dell'Unione in materia di identificazione e tracciabilità dei bovini a seguito dell'epidemia di encefalopatia spongiforme bovina (BSE) e della conseguente maggiore necessità di risalire all'origine e ai movimenti degli animali grazie a marchi auricolari convenzionali. Conseguentemente, il regolamento (CE) 1760/2000 ha stabilito che ciascuno Stato membro istituisca un sistema di identificazione e di registrazione dei bovini basato sull’applicazione di marchi auricolari agli orecchi di ogni animale, banche dati informatizzate, passaporti per gli animali e registri individuali tenuti presso ciascuna azienda. In seguito ai progressi tecnologici in materia di sistemi di identificazione elettronica (EID), basati sull'identificazione a radiofrequenza, vari Stati membri hanno deciso di avviare, su base volontaria, l'applicazione dell'identificazione elettronica dei bovini. Da ciò, la necessità di  ampliare l'ambito dei mezzi di identificazione previsti dal regolamento (CE) 1760/2000 per consentire l'uso di identificatori elettronici come mezzi ufficiali di identificazione (identificatore elettronico sotto forma di marchio auricolare elettronico; identificatore elettronico sotto forma di bolo ruminale; identificatore elettronico sotto forma di transponder iniettabile). Tale aggiornamento è stato operato dal Regolamento (UE) 653/2014 del 15 maggio 2014 di modifica del Regolamento (CE) 1760/2000 per quanto riguarda l’identificazione elettronica dei bovini e l’etichettatura delle carni bovine.

La normativa europea in materia di identificazione e registrazione degli animali della specie bovina/bufalina prevede la possibilità (reg. n.820/1997 POI MODIFICATO DAL REG. (ce) N.1760/2000) per gli Stati membri che dispongono di una banca dati informatizzata riconosciuta dalla Commissione europea come pienamente operativa, di rilasciare il passaporto esclusivamente per gli animali destinati agli scambi intracomunitari (anche per tali scambi potrà essere eliminato l’obbligo del passaporto una volta che lo scambio elettronico di dati tra le banche dati nazionali sarà diventato pienamente operativo) ed all’esportazione verso Paesi terzi (la Banca dati nazionale ha ottenuto il riconoscimento con decisione della Commissione del 13 febbraio 2006).

Si fa, comunque, presente che l’articolo 4, comma 5, del D.P.R: n.437 del 2000, recante regolamento sulle modalità per la identificazione e la registrazione dei bovini, già prevede che al momento della piena operatività della banca dati informatizzata, il passaporto potrà essere rilasciato solo per gli animali destinati al commercio intracomunitario. Tale disposizione viene abrogata dal successivo comma 8.

Dalla ricostruzione normativa effettuata non risulta chiaramente la portata innovativa della disposizione introdotta dal comma 6.

Il comma 7 ribadisce quanto già previsto dalla normativa nazionale ed europea  cioè che il detentore di animale di specie bovina è responsabile della tenuta dei passaporti per i soli animali destinati al commercio intracomunitario.

Il successivo comma 8 abroga l’articolo 4 comma 5 del D.P.R. n. 437/2000 il quale attualmente richiama l’ormai abrogato regolamento comunitario in materia di identificazione e la registrazione dei bovini (Regolamento CE n. 820/97, abrogato dal Regolamento CE n. 1760/2000) e abroga l'articolo 7, comma 13, del D.P.R. 437, il cui contenuto risulta assorbito dal precedente comma 7.

L’articolo 13, comma 7 testé citato dispone che il detentore è responsabile della tenuta dei passaporti degli animali.

Il comma 9 interviene sulla disciplina istitutiva del sistema consulenza aziendale in agricoltura, contenuta nell’articolo 1-ter del D.L. n. 91/2014, in attuazione di quanto previsto in materia di gestione e monitoraggio della politica agricola comune 2014-2020 (articolo 12, Reg. (UE) n. 1306/2013).

Il sistema di consulenza aziendale è in sostanza uno strumento finalizzato, tra l’altro, a garantire il rispetto dei criteri di condizionalità ai fini della fruizione da parte dei beneficiari dei finanziamenti della PAC.

In particolare il comma 9 in commento precisa gli ambiti operativi del sistema di consulenza per i beneficiari dei contributi PAC, al fine di includervi anche gli aspetti concernenti l'innovazione tecnologica ed informatica e l'agricoltura di precisione.

Attualmente, ai  sensi del comma 2 dell’articolo 1-ter del D.L. n. 91/2014, il sistema di consulenza deve contemplare almeno gli ambiti operativi previsti dalla normativa europea sopra citata e gli aspetti concernenti la competitività dell’azienda agricola, zootecnica e forestale, incluso il benessere e la biodiversità animale, nonché i profili sanitari delle pratiche zootecniche.

 

 


 

Articolo 2
(Disposizioni penali per garantire la sicurezza agroalimentare)

L'articolo 2 - introdotto dal Senato - modifica il codice penale e il codice di procedura penale, in particolare, in relazione al delitto di contraffazione alimentare, previsto dall’art. 517-quater del codice penale

 

Attualmente, l’art. 517-quater c.p. punisce con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000 l’autore della contraffazione o dell’alterazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari (comma 1). Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte (comma 2).

Tale fattispecie rientra tra i reati potenzialmente interessati dalla non punibilità per particolare tenuità del fatto. Il nuovo art. 131-bis del codice penale, introdotto nel codice dal D.Lgs 28/2015 (di attuazione della legge delega 67/2014), prevede che nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.

 

Il comma 1 dell’art. 2, con la modifica dell’art. 517-quater del codice penale:

§  integra la fattispecie di contraffazione alimentare, aggiungendo alle attuali condotte illecite l’imitazione, l’usurpazione e l’evocazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari;

§  inasprisce la pena pecuniaria (la multa, ora pari nel massimo a 20.000 euro, è compresa nel limite minimo di 20.000 euro e massimo di 100.000 euro).

La modifica del secondo comma dell’art. 517-quater ha natura di coordinamento con l’integrazione delle fattispecie apportata al comma 1.

 

Il comma 2 dell’art. 2 sostituisce l’art. 518 c.p., aggiungendo alle condanne che comportano la pubblicazione della sentenza, anche la condanna per il delitto di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari (art. 517-quater c.p.). Attualmente, tale sanzione accessoria è prevista per le condanne per aggiotaggio, frode contro le industrie nazionali, frode commerciale, vendita di sostanze alimentari non genuine e di vendita di prodotti industriali con segno mendaci.

 

Il comma 3 modifica la formulazione dell’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., attribuendo alla competenza della procura distrettuale, cioè all’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello nel cui ambito ha sede il giudice competente, la competenza a esercitare l’azione penale per il delitto di associazione a delinquere finalizzata alla contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.

 

Dall’inserimento di tale delitto (art. 416, finalizzato a commettere il delitto previsto dall’art. 517-quater) nel catalogo dell’art. 51, comma 3-bis, conseguirebbe la presunzione di adeguatezza della misura cautelare della custodia in carcere. L’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale prevede, infatti, che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza per uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, sia applicata la custodia cautelare in carcere, a meno che non siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.

Questa conseguenza non è peraltro voluta dall’articolo 2 in esame che, con il comma 4, novella proprio l’art. 275 c.p.p. per escludere l’automatismo dell’applicazione della custodia cautelare in relazione a indagini per associazione a delinquere finalizzata alla contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.

 

Si segnala che, presso l’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, è stata istituita la Commissione di studio per l’elaborazione di proposte di intervento sulla riforma dei reati in materia agroalimentare, che dovrà ultimare i propri lavori entro il 31 luglio 2015.

La Commissione è presieduta dall’ex procuratore di Torino Giancarlo Caselli, che attualmente presiede il Comitato Scientifico dell'Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare.

 

 


 

Articolo 3
(Disposizioni in materia di servitù)

L’articolo 3, nel testo trasmesso dal Senato, introduce una nuova tipologia di servitù coattiva a carico dei proprietari di strade private, i quali sono tenuti a consentire il passaggio di tubazioni:

·     per l’allacciamento alla rete del gas di utenze domestiche o aziendali, compresa l’installazione di contatori;

·     per la trasmissione di energia geotermica.

A tal fine, il sindaco del comune interessato autorizza, con ordinanza, tali allacciamenti su strade private.

La disposizione in esame assimila la servitù di passaggio per le condutture di gas (definibile come servitù di gasdotto) ad altre servitù coattive già previste nell'ordinamento.

Nell’ambito delle servitù coattive (la cui disciplina generale è contenuta negli artt. 1032 e ss. del codice civile) è già ammessa la servitù coattiva di acquedotto ovvero l'obbligo di dare passaggio alle acque (articolo 1033 c.c.): il proprietario è, infatti, tenuto a dare passaggio alle acque che si vogliono condurre da parte di chi ha, anche solo temporaneamente, il diritto di utilizzarle per i bisogni della vita o per usi agrari o industriali. Altre servitù coattive riguardano l’appoggio e infissione di chiusa (art. 1047 c.c.), la somministrazione di acqua ad un edificio o a un fondo (art. 1049, 1050,  c.c.), il passaggio coattivo (art. 1051 c.c), l’elettrodotto e il passaggio coattivo di linee teleferiche (artt. 1056 e 1057 c.c.).

 

L'intervento legislativo si rende necessario in quanto la dottrina maggioritaria, come la giurisprudenza, ha rimarcato la tipicità e il numero chiuso delle servitù coattive (v. Cassazione, Sez. II, sentenze n. 820 e 11130 del 1992) riconducibili alle sole previste esplicitamente dalla legge, caratterizzate dalla loro “necessarietà” per raggiungere un fine meritevole di tutela. E’, in particolare, esclusa dalla giurisprudenza di legittimità la costituzione di una servitù coattiva per il passaggio di tubazioni di gas.

Si legge, infatti, nella sentenza 820/1992 della Suprema Corte che “a differenza delle servitù volontarie che possono avere ad oggetto una qualsiasi "utilitas", purché ricavata da un fondo a vantaggio di un altro fondo appartenente a diverso proprietario, le servitù prediali coattive formano un "numerus clausus", sono cioè tipiche avendo ciascuna il contenuto predeterminato dalla legge, sicché non sono ammissibili altri tipi al di fuori di quelli espressamente previsti da una specifica norma per il soddisfacimento di necessità ritenute meritevoli di tutela. Pertanto, è inammissibile la costituzione coattiva di una servitù di passaggio di tubi per la fornitura di gas metano, dovendosi escludere un'applicazione estensiva dell'art. 1033 cod.civ. in temà di servitù di acquedotto coattivo, atteso che l'esigenza del passaggio di tubi conduttori del gas non può essere ricondotta sotto la stessa fattispecie normativa che regola la imposizione della servitù di acquedotto, in conseguenza della non assimilabilità delle due situazioni per i caratteri peculiari di struttura e funzione di ciascuna di esse, ed in particolare della pericolosità insita nell'attraversamento sotto terra delle forniture del gas, non ricorrente nella servitù di acquedotto”.

L’articolo 3 intende, pertanto, modificare la situazione descritta, a fronte della diffusione sempre maggiore del gas metano e della molteplicità degli impieghi di cui tale fonte di energia è suscettibile, sia per quanto concerne le utenze domestiche, sia per quanto attiene alle attività imprenditoriali.

Anche al fine di eliminare il contenzioso dovuto all'attraversamento di fondi altrui, si intende limitare l'obbligo di attraversamento alle sole strade private che meglio si prestano, per la loro natura, a differenza dei fondi, a lavori di scavo, alla posa delle tubazioni, all'effettuazione delle opere accessorie ed ai ripristini necessari all'ampliamento della rete di distribuzione del gas ed ai relativi impianti di derivazione di utenza.

Per evitare i lunghi tempi dovuti alle eventuali opposizioni in sede giudiziale, l’articolo 3 prevede - con ordinanza del sindaco del comune territorialmente competente, che autorizza i lavori - la possibilità di procedere comunque ai lavori di allacciamento alla rete del gas, che interessino le strade private; a tutela dei proprietari e per limitare gli eventuali, possibili danneggiamenti, vanno comunque tenute in debita considerazione la stagionalità delle colture dei terreni agricoli adiacenti alle strade oggetto dei lavori.

Al termine dei lavori è previsto dall’art. 3 l’obbligo di ripristino della strada nello stato antecedente nonché, se del caso, l’obbligo di risarcimento del danno eventuale, comprensivo di quello causato dai lavori alle coltivazioni.

 

Le integrazioni della disposizione introdotte dal Senato hanno riguardato in particolare l’inserimento delle tubazioni per la trasmissione di energia geotermica e la considerazione delle coltivazioni, sia ai fini del risarcimento del danno che, preliminarmente, nella fase dell’autorizzazione dei lavori da parte del Sindaco.

 

Dal punto di vista sistematico, si osserva come la nuova servitù coattiva di gasdotto è introdotta direttamente nell’ordinamento da una disposizione speciale. Non viene, quindi, prevista l’introduzione di una disposizione nel Capo II del titolo VI del libro III del codice civile, relativo alle servitù coattive. Diversamente, ad esempio, la servitù di elettrodotto trova fondamento nell’art. 1056 c.c. ed è disciplinata dagli artt. 119 e ss. del R.D. 1775 del 1933 (Testo unico sulle acque e sugli impianti elettrici).

 

 


 

Articolo 4
(Riduzione dei termini per i procedimenti amministrativi)

L’articolo 4, integrato durante l’esame al Senato, ha l’obiettivo di velocizzare i procedimenti amministrativi relativi all’esercizio delle attività agricole.

 

Il comma 1 riduce da centottanta a sessanta giorni il termine entro il quale la pubblica amministrazione deve adottare il provvedimento finale dal ricevimento dell'istanza già istruita dal Centro di assistenza agricola (CAA).

Si tratta di un termine di silenzio-assenso previsto dall’articolo 14, comma 6, del D.Lgs. 99/2004 per le istanze relative all'esercizio dell'attività agricola presentate alla pubblica amministrazione per il tramite dei Centri autorizzati di assistenza agricola (CAA).

 

I Centri di assistenza agricola svolgono, tra gli adempimenti più rilevanti:

-      nel rapporto con la Pubblica Amministrazione: l’aggiornamento del fascicolo aziendale

-      nei rapporti con le aziende agricole:

·      assistenza per la compilazione di atti amministrativi legati all’ammissione di premi e/o contributi comunitari, nazionali e regionali (regime di Pagamento Unico; domande legate alla politica di sviluppo rurale per  indennità compensative agroambientali o per misure strutturali - richieste di primo insediamento di giovani agricoltori, ammodernamento delle aziende agricole, diversificazione verso attività non agricole, domande di aiuto d'investimenti, ristrutturazione e riconversione dei vigneti, partecipazione dei produttori a sistemi di qualità);

·      esecuzione degli adempimenti nell’ambito della gestione delle anagrafi zootecniche, che prevedono, tra l’altro, l’inserimento nella Banca Dati Nazionale dei capi richiesti a premio e non a premio e la notifica delle movimentazioni;

·      aggiornamento dei dati catastali riguardanti vendite, locazioni o frazionamenti;

·      adempimenti legati alla verifica del rispetto dei criteri di condizionalità ai fini dell’erogazione dei contributi PAC

 

Il comma 2, introdotto al Senato, salvaguarda le eventuali forme di semplificazione più avanzate previste dalle normative regionali e delle province autonome nell’applicazione ai predetti procedimenti della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive (SUAP).

 

Si ricorda che lo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP), regolato dal DPR 160/2010, rappresenta lo strumento telematico con il ruolo di unico interlocutore tra l'Impresa e la pubblica Amministrazione nelle sue varie articolazioni.

 


 

Articolo 5
(Delega al Governo per il riordino e la semplificazione della normativa in materia di agricoltura pesca e acquacoltura)

Il comma 1 reca il conferimento al Governo di una delega per l'adozione di uno o più testi unici tesi alla semplificazione e al riassetto della normativa vigente in materia di agricoltura, pesca ed acqualcotura, con esclusione di quella relativa ai controlli sanitari: il termine per l'esercizio di tale delega è di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge

 

Si ricorda, al riguardo, che l’art. 17-bis della legge 23 agosto 1988, n.400 disciplina i Testi unici compilativi, prevedendo che:

-    il Governo provvede, mediante testi unici compilativi, a raccogliere le disposizioni aventi forza di legge regolanti materie e settori omogenei, attenendosi ai seguenti criteri:

a)  puntuale individuazione del testo vigente delle norme;

b)  ricognizione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni;

c)  coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti in modo da garantire la coerenza logica e sistematica della normativa;

d)  ricognizione delle disposizioni, non inserite nel testo unico, che restano comunque in vigore.

Lo schema di ciascun testo unico è deliberato dal Consiglio dei ministri, valutato il parere che il Consiglio di Stato deve esprimere entro quarantacinque giorni dalla richiesta. Ciascun testo unico è emanato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa ulteriore deliberazione del Consiglio dei ministri.

 

Si ricorda, al riguardo, che nel corso della XVI Legislatura, il Governo presentò alle Camere per il parere uno schema di decreto legislativo (A.G. n. 164) ed uno schema di regolamento (A.G. n. 168), volti al riordino della normativa sull'attività agricola. Lo schema di decreto legislativo - cosiddetto codice dell’attività agricola - e lo schema di regolamento, una sorta di testo unico delle norme regolamentari vigenti in materia, intendevano riordinare la normativa di competenza statale in materia di attività agricola. Tali provvedimenti non sono poi stati emanati e sono rimasti allo stato di proposte. Tra le priorità del riordino della normativa in materia di attività agricola, vi era innanzitutto la razionalizzazione dei provvedimenti che hanno ridisegnato le figure professionali, dando spazio alle società, e ampliato il campo d'azione delle attività agricole. Tra gli oggetti più rilevanti del riassetto era, quindi, prevista la definizione di coltivatore diretto; il riordino della disciplina delle qualifiche soggettive dell’imprenditore agricolo; la figura dell’imprenditore agricolo giovane; l’attenzione per la disciplina delle attività connesse con quella agricola, con l'aggiunta di quelle relative alla produzione e cessione di energia da fonti agricole rinnovabili. Apposite sezioni erano dedicate all'attività agrituristica e alla vendita al dettaglio. Autonomo spazio era dedicato all’impresa ittica e alle attività selvicolturali. Il riordino degli istituti a carattere civilistico non poteva escludere inoltre la disciplina dei contratti agrari che hanno trovato ampio spazio all’interno della struttura del codice. Particolarmente significativa è stata la ricognizione delle norme a carattere pubblicistico riguardanti la disciplina del territorio. Nello specifico, il codice conteneva disposizioni sulla gestione e sullo sviluppo delle varie aree rurali e delle loro produzioni e sulle attività nelle zone agricole a vocazione turistica e integrative dell’attività imprenditoriale agricola. Erano altresì richiamate le discipline relative alla contrattazione programmata in agricoltura e quella relativa ai distretti rurali e ai distretti agroalimentari. Talune disposizioni erano riferite alla disciplina della biodiversità, dell’agricoltura transgenica, al principio della coesistenza e alla relativa responsabilità in caso di danno alle coltivazioni vicine. Un ulteriore settore preso in considerazione riguardava la disciplina della proprietà rurale, con particolare riguardo al compendio unico e alla ricognizione delle strutture agrarie sotto il profilo sia della formazione e della conservazione delle unità produttive in relazione alla divisione ereditaria sia della proprietà coltivatrice. Infine, lo schema del codice agricolo conteneva l'elenco delle 61 fonti normative che si intendeva abrogare (leggi intere o singole disposizioni), comprese alcune leggi non espressamente richiamate nel codice stesso in quanto l'oggetto della loro disciplina non era esplicitamente trattato dallo schema di decreto legislativo.

 

Il comma 2 detta i principi e i criteri direttivi a cui il Governo si dovrà attenere nell'esercizio della delega. In particolare, si prevede:

a) la ricognizione e l'abrogazione espressa delle norme già oggetto di abrogazione tacita o implicita;

b) l'obbligo di organizzare le disposizioni per materie o per settori omogenei;

c)  il coordinamento delle disposizioni, effettuando le modifiche necessarie per garantire coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa;

d) la risoluzione di eventuali incongruenze, anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali;

e) la semplificazione dei procedimenti amministrativi di competenza statale, al fine di ridurre i termini e ampliare le ipotesi di silenzio assenso, in particolare per quanto concerne l'avvio dell'attività economica;

Il silenzio della pubblica amministrazione è un comportamento omissivo dell’amministrazione di fronte a un dovere di provvedere, di emanare un atto e di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento entro un termine prestabilito (art. 2, co. 1 e 5, 20, l. n. 241/1990). L’ordinamento distingue il silenzio in ipotesi legislativamente qualificate in senso positivo (silenzio assenso), in senso negativo (silenzio diniego e silenzio rigetto) e ipotesi non giuridicamente qualificate (silenzio inadempimento).

L’articolo 20 della legge proc. include il silenzio assenso tra gli istituti di semplificazione amministrativa, generalizzando il ricorso all’istituto. La norma stabilisce che nei procedimenti a istanza di parte, esclusi quelli disciplinati dall’art. 19 (Segnalazione certificata di inizio attività), per il rilascio di provvedimenti amministrativi, «il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda», se la stessa amministrazione non comunica all’interessato, nel termine indicato dall’art. 2, co. 2 e 3, il provvedimento di diniego ovvero se, entro 30 giorni dalla presentazione dall’istanza, non indice una conferenza di servizi.

Il silenzio assenso non opera per gli atti e i procedimenti finalizzati alla tutela del patrimonio culturale e paesaggistico e dell’ambiente, a quelli rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, alla salute e alla pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con appositi D.P.C.M. adottati su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i ministri competenti. In ogni caso l’art. 20, co. 3, prevede che l’amministrazione possa, in via di autotutela, annullare o revocare l’atto implicito di assenso (art. 21-quinquies e 21-nonies).

L’articolo 3 del disegno di legge recante deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (A.C. 3098) attualmente all’esame della Camera, disciplina una particolare ipotesi di silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche nell’ambito dei procedimenti volti all’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi, novellando la legge sul procedimento amministrativo (L. 7 agosto 1990, n. 241) e introducendo nel capo IV, dedicato alla semplificazione dell’attività amministrativa, un nuovo articolo 17-bis.

f)  per quanto riguarda invece i procedimenti amministrativi di competenza degli enti territoriali, si prevede il ricorso a procedure pattizie per raggiungere le medesime finalità;

g) armonizzazione e razionalizzazione della normativa sui controlli in materia di qualità dei prodotti e contro le frodi alimentari,

 

Il sistema dei controlli agroalimentari nazionali poggia essenzialmente su due aspetti:

   uno legato alla sicurezza alimentare del consumatore in ossequio alla normativa europea introdotta con il Reg. UE 178/2002 , all’indomani dell’emergenza BSE (2001), di cui il Ministero della salute è organo di riferimento.

In particolare, presso il Ministero della salute, svolgono compiti di vigilanza e controllo il Dipartimento della sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare, la nutrizione e la sicurezza degli alimenti , l'Istituto superiore di sanità , nonché il Comando Carabinieri per la tutela della salute (NAS)  mentre a livello territoriale operano i posti di Ispezione frontaliera, gli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera (U.S.M.A.F.)  nonché gli Uffici veterinari per gli adempimenti comunitari (U.V.A.C) .

   l’altro aspetto è legato alla qualità merceologica e legale degli alimenti di cui è riferimento il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. Il Ministero svolge la propria azione in materia attraverso:

-    il Corpo forestale dello Stato che opera attraverso la Divisione 2 dell’Ispettorato generale ed il Nucleo Agroalimentare e Forestale (N.A.F.) ;

-    l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro alimentari (ICQRF), deputato a svolgere i controlli per la tutela della qualità merceologica, la genuinità dei prodotti e la loro identità: 12 sono gli Uffici territoriali con 17 sedi distaccate, 4 sono i laboratori di analisi con una sede distaccata.

Nel corso dei controlli vengono controllate: la conformità dei processi produttivi; la regolare tenuta della documentazione ufficiale; la correttezza e veridicità delle informazioni riportate nell'etichetta . In base alla nuova normativa prevista dal regolamento n. 1151/2012 (UE) è ad oggi possibile attivare una protezione ex officio da parte di ciascuno Stato membro contro ogni forma di illecito utilizzo delle denominazioni di origine ed indicazioni geografiche.

L'ICQRF rappresenta l'Autorità delegata a far valere tale protezione, potendo adottare le misure preventive previste dall'art. 13, par. 3, del regolamento sopra richiamato. È stata recentemente presentata la Relazione sull’attività svolta dall’ICQRF nel 2014.

 

Il principio in esame fa salve le competenze delle Autorità individuate dall’articolo 2 del D.Lgs. n.193/2007 che, in attuazione della direttiva 2004/41/CE, relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare, fa riferimento al  Ministero della salute, alle regioni, alle province autonome di Trento e di Bolzano ed alle Aziende unità sanitarie locali, nell'ambito delle rispettive competenze. Per le forniture destinate ai contingenti delle Forze armate impiegati nelle missioni internazionali, l'Autorità competente è il Ministero della difesa, che si avvale delle strutture tecnico-sanitarie istituite presso gli organi di vigilanza militare.

 

Si ricorda, al riguardo, che presso la XIII Commissione Agricoltura della Camera sono all’esame due proposte di legge volte a rafforzare il sistema di coordinamento tra le varie Forze di polizia ed i diversi organi attualmente deputati al controllo di legalità sui prodotti agroalimentari. Si tratta delle proposte di legge C. 367 e C. 1051, sulle quali è stata svolta un’attività istruttoria con le audizioni informali del Capo del Corpo forestale dello Stato, del Capo del Dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressioni frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, del Comandante dei Carabinieri politiche agricole ed alimentari e dei rappresentanti dell'Associazione italiana consorzi indicazioni geografiche (AICIG) e della Guardia di finanza.

La proposta di legge C. 367 reca l'istituzione presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali del Comitato nazionale per la tutela dei prodotti agricoli ed agroalimentari di qualità certificata e di un archivio informatico al fine di coordinare, potenziare e armonizzare le azioni a tutela delle produzioni agricole ed agroalimentari di qualità certificata. La proposta di legge C. 1051 istituisce, invece, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri l'Ufficio nazionale per il coordinamento delle attività di tutela dei prodotti agricoli ed agroalimentari finalizzato, anch'esso, al coordinamento dei controlli che le diverse autorità pubbliche ed organismi competenti sono chiamati a svolgere nel settore.

h) semplificazione della normativa prevista per il conseguimento dell’abilitazione alle macchine agricole;

 

Si ricorda, in proposito che, in attuazione del Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (art. 73, co. 4 e 5 del D.Lgs. 81/08), che ha previsto la necessità per i lavoratori chiamati ad utilizzare determinate attrezzature, tra le quali sono comprese le macchine agricole, di seguire una formazione ed un addestramento adeguati,  è stato adottato un Accordo tra Governo e regioni (Accordo 22 febbraio 2012, n. 53, pubblicato nel supplemento ordinario n. 47 alla Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12 marzo 2012) che ha istituito una specifica abilitazione (c.d. patentino) per gli utilizzatori dei mezzi meccanici, siano essi lavoratori autonomi o dipendenti. Si tratta dei trattori agricoli e forestali gommati e cingolati, i sollevatori telescopici, i carri raccolta frutta ed alcune macchine movimento terra. L’Accordo citato ha previsto l’obbligo di frequentazione ad un corso di formazione tecnico-pratico per raggiungere l’abilitazione all’uso delle suddette macchine.

Ai sensi della successiva circolare del 11 marzo 2013 del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali è stato precisato che sono esonerati (per un periodo di cinque anni) coloro che hanno frequentato corsi di durata complessiva equivalente nonché i lavoratori ed i datori di lavoro in possesso di esperienza documentata di 2 anni (alla data del 12 marzo 2013) i quali saranno soggetti al solo corso di aggiornamento da effettuarsi entro 5 anni dalla data di pubblicazione dell’accordo.

Con l’art. 8, comma 5-bis, del decreto-legge 192 del 2014, c.d. decreto legge mille-proroghe, il termine per assolvere l’obbligo di conseguire il patentino per i lavoratori autonomi o subordinati che per la prima volta utilizzano le attrezzature di lavoro richiamate è stato prorogato al 31 dicembre 2015.

 

Ulteriori principi e criteri specifici sono poi declinati per quanto riguarda il settore della pesca e dell’acquacoltura e riguardano:

i)   l’eliminazione di duplicazioni e semplificazione;

l)   il coordinamento della normativa nazionale con quella europea, ai fini di tutela e protezione dell’ambiente marino;

m) la razionalizzazione della normativa in materia di controlli e di frodi;

n) la coerenza della disciplina in materia di pesca non professionale con la normativa europea;

o) lo sviluppo della multifunzionalità delle imprese, privilegiando le iniziative dell’imprenditoria locale, soprattutto giovanile e femminile.

 

Si ricorda, al riguardo, che la XIII Commissione Agricoltura ha istituito un Comitato ristretto per l’esame delle proposte di legge Catanoso C. 338, Catanoso C. 339, Oliverio C. 521 e Caon C. 1124, in materia di interventi nel settore della pesca, ed ha adottato, il 25 marzo 2015 come testo base il un testo unificato deliberato dal Comitato ristretto.

 

Il comma 3 detta le disposizioni per l'adozione dei decreti legislativi, prevedendo che essi siano adottati su proposta del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, di concerto con il Ministro della semplificazione la pubblica amministrazione e con gli altri Ministri di volta in volta competenti, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni e previo parere delle commissioni parlamentari competenti per materia, da rendere entro trenta giorni dall'assegnazione: qualora Il Governo non intenda conformarsi ai pareri, è obbligato a trasmettere nuovamente, entro quarantacinque giorni, i testi alla Camere con le osservazioni, per il parere definitivo che dovrà essere espresso entro trenta giorni dalla assegnazione (comma 4).

 

Infine, il comma 5 contiene la clausola di invarianza finanziaria.

 

 


 

Articolo 6
(Società di affiancamento per le terre agricole)

L’articolo in esame, introdotto nel corso dell’esame del provvedimento al Senato, contiene norme volte a favorire processi di affiancamento economico e gestionale nell’attività d’impresa agricola nonché lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile in agricoltura.

 

Il comma 1 autorizza il Governo ad adottare, su proposta del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato, un regolamento che disciplini le forme di affiancamento tra agricoltori ultra-sessantacinquenni o pensionati e giovani.

Si deve trattare di giovani non proprietari di terreni agricoli, di età compresa tra i diciotto e i quaranta anni, anche organizzati in forma associata.

La finalità dell’affiancamento è il graduale passaggio della gestione dell’attività d’impresa agricola ai giovani.

Il regolamento deve essere adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, legge n. 400/1988.

 

Il successivo comma 4 dispone che il regolamento di cui al comma 1 è trasmesso alle Camere per l’acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, da rendere entro trenta giorni dalla data di assegnazione.

 

Si fa presente, al riguardo, che per le finalità dell’intervento, strutturato in modo da non avere una legge di riferimento cui dover dare attuazione e con l’individuazione di precisi criteri direttivi, l’emanando regolamento dovrebbe avere come base giuridica non tanto il comma 1 dell’art. 17 della L. 400/1988 (regolamenti di esecuzione e di organizzazione) quanto il comma 2 del medesimo articolo 17 (regolamenti di delegificazione).

 

Ai sensi del comma 2 dell’articolo 17, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

 

Il regolamento deve essere adottato in base ai seguenti criteri:

·        stabilire che il processo di affiancamento duri massimo di tre anni (lett. a)) e si concluda secondo le seguenti modalità alternative

1) la trasformazione del rapporto in forme di subentro tra l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato e il giovane imprenditore agricolo;

La formulazione del principio non risulta chiara sull’individuazione del soggetto subentrante che dovrebbe essere riferito esclusivamente al giovane imprenditore agricolo e non all’agricoltore ultrasessantacinquenne o pensionato.

2) la trasformazione del rapporto in un contratto di conduzione da parte del giovane imprenditore agricolo;

3) le forme di compensazione a favore del giovane imprenditore nei casi diversi da quelli contemplati sopra (lett. c), nn. 1 e 2;

Si osserva che il mancato subentro potrebbe essere determinato anche da “giusta causa” ed, in tal caso, occorrerebbe chiarire le motivazioni che indurrebbero a ricorrere a forme di compensazione.

·        prevedere criteri di assegnazione prioritaria delle agevolazioni e degli sgravi fiscali già previsti a legislazione vigente, a favore dell’agricoltore ultrasessantacinquenne o pensionato e del giovane imprenditore, analoghi a quelli previsti per le start-up ai sensi del D.L. n. 179/2012 (lett. b));

Dalla formulazione letterale della disposizione sembra potersi desumere che per le agevolazioni e gli sgravi già previsti a legislazione vigente a favore dell’agricoltore ultrasessantacinquenne o pensionato e del giovane imprenditore debbano essere previsti dei criteri di assegnazione prioritaria elaborati in analogia con quelli previsti per le start-up innovative. Tuttavia, al riguardo si osserva che nella normativa vigente sulle start-up, sono stabiliti determinati requisiti per accedere alle diverse agevolazioni, ma non sono previsti criteri di assegnazione prioritaria delle agevolazioni stesse.

Come è noto infatti, il D.L.179/2012, all’art. 25, reca la definizione di start-up riferendosi esplicitamente alle "startup innovative" per evidenziare che destinataria non è qualsiasi nuova impresa ma quelle il cui oggetto sociale è legato all'innovazione e alla tecnologia. Per beneficiare delle misure di sostegno, la startup deve presentare le seguenti caratteristiche: essere operativa da meno di sessanta mesi; avere la sede principale in Italia o in uno degli stati membri; avere meno di 5 milioni di euro di fatturato; non deve distribuire utili; avere quale oggetto sociale esclusivo o prevalente l'innovazione tecnologica; non essere costituita da una fusione o scissione societaria. Inoltre, la start-up deve soddisfare almeno uno dei seguenti criteri: sostenere spese in ricerca e sviluppo in misura pari o superiore al 15 per cento del maggiore importo tra il costo e il valore della produzione; impiegare personale altamente qualificato per almeno un terzo della propria forza lavoro ovvero in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva di personale in possesso di laurea magistrale ai sensi dell'art. 4 del D.M. n. 270/2004; essere titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa ad una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una varietà vegetale ovvero sia titolare dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, purché tali privative siano direttamente afferenti all'oggetto sociale e all'attività di impresa.

 

·        definire le modalità di presentazione di un progetto imprenditoriale da parte del giovane imprenditore agricolo che deve costituire la base del rapporto di affiancamento e che deve essere sottoscritto da parte dell’agricoltore ultrasessantacinquenne o pensionato, definendone i reciproci obblighi (lett. d));

·        stabilire le forme di compartecipazione agli utili dell’impresa agricola(lett. e));

Al riguardo, sarebbe opportuno specificare se tale compartecipazione opera solo nel periodo di vigenza dell’affiancamento

·        definire il regime dei miglioramenti fondiari, anche in deroga alla legislazione vigente, qualora apportati sulla base del progetto imprenditoriale presentato(lett. f));

·        prevedere forme di garanzia per l’agricoltore ultrasessantacinquenne o pensionato e il giovane imprenditore, anche attraverso le necessarie coperture infortunistiche (lett. g));

·        stabilire il riconoscimento del diritto di prelazione, (sembrerebbe a favore del giovane imprenditore agricolo affiancante) in caso di vendita dei terreni oggetto del rapporto di affiancamento (lett. h));

·        prevedere forme di compensazione a favore del giovane imprenditore nei casi di recesso anticipato del rapporto di affiancamento (lett. i));

·        definire le forme di agevolazione a favore del giovane imprenditore per la gestione e l’utilizzo dei mezzi agricoli (lett. l)).

Per ciò che attiene alle misure di sostegno ai giovani in agricoltura, di recente inserimento, si ricorda il D.L. n. 91/2014 che ha disposto la detrazione del 19% per l’affitto di terreni da parte degli under 35 e ha proceduto alla riforma delle agevolazioni a favore dei giovani agricoltori di cui al Capo III, titolo I, D.Lgs. n. 185/2000.

Tali agevolazioni consistono nella concessione di mutui agevolati a tasso zero. Vengono dunque eliminati con la riforma  i contributi a fondo perduto. I nuovi requisiti soggettivi previsti prevedono che debba trattarsi di imprese subentranti costituite da non più di sei mesi, e di imprese che esercitano l'attività agricola in via esclusiva. Dall'altro lato, però, si innalza da 39 a 40 anni il limite di età degli imprenditori giovanili.

Sono finanziabili le iniziative che prevedano investimenti non superiori a 1,5 milioni di euro nei settori della produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli.

La concessione delle agevolazioni è disposta a valere sulle risorse della delibera del CIPE n. 62 del 2 agosto 2002 e introduce la previsione che le predette disponibilità possono essere incrementate da eventuali ulteriori risorse derivanti dalla programmazione nazionale ed europea. A tale proposito, si ricorda che la legge di stabilità 2015, in Tabella E, è previsto un rifinanziamento del D.Lgs. n. 185/2000 – Assegnazioni a ISMEA per imprenditorialità giovanile in agricoltura di 10 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2016-2018 (e di 108,4 milioni per le annualità 2018 e ss sino al 2030).

Alle domande di accesso alle agevolazioni presentate prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n.91/2014 si applica la disciplina previgente.

 

Il comma 2 dispone che ai giovani imprenditori agricoli è comunque fatto obbligo, entro il termine stabilito con il regolamento di cui al comma 1, di dimostrare di aver apportato innovazioni ed aver investito in azienda eventuali provvidenze destinate ad essi.

 

Ai sensi del comma 3, sono favorite tutte le azioni volte alla formazione e alla consulenza specializzata al fine di agevolare il pieno trasferimento delle competenze dal soggetto ultra-sessantacinquenne o pensionato al giovane imprenditore agricolo.

 

Il comma 5, dispone che dall’attuazione dell’articolo in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti di rispettiva competenza con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

Il secondo periodo del comma dispone che, qualora il regolamento di cui al comma 1 determini nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, la relativa copertura deve essere individuata in appostiti provvedimenti legislativi, che devono entrare in vigore precedentemente o contestualmente all’emanazione del predetto regolamento[4].

Dunque, i criteri cui si dovrà conformare il regolamento enunciati nell’articolo in esame pur dovendo determinarne la neutralità finanziaria potrebbero altresì essere suscettibili di poter produrre oneri, dei quali il comma in esame non ne dispone la copertura, stabilendo che la stessa "deve" essere trovata da altri provvedimenti legislativi.

 

Con riferimento alla formulazione di tale clausola di salvaguardia finanziaria si osserva che essa, per come formulata, non appare correttai, atteso che il meccanismo da essa previsto, che in caso di eventuali oneri ne affida la copertura alla previa (o contestuale) emanazione di altra disposizione legislativa di copertura, è previsto solo tra norme di rango primario, vale a dire nel meccanismo delega/decreti legislativi attuativi disciplinato dall'articolo 17 della legge di contabilità[5]. Circostanza che non ricorre ovviamente in questo caso, posto che si tratta di un regolamento, cui, va inoltre osservato, la norma in esame non solo consente di produrre oneri, ma prevede che da tale eventualità debba conseguire un obbligo a carico di una fonte di rango sovraordinato (gli “appositi provvedimenti legislativi” previsti dal comma 5) di individuare le modalità di copertura.

Va peraltro rammentato che sulla base delle regole che presiedono al sistema delle fonti il suddetto obbligo non è vincolante per le norme di rango legislativo, per cui in caso di mancato intervento delle stesse il regolamento non potrebbe dispiegare i propri effetti onerosi.

 


 

Articolo 7
(Disposizioni per il sostegno dell’agricoltura e dell’acquacoltura biologiche)

Al fine di limitare gli adempimenti burocratici, snellire le procedure e consentire uno sviluppo del settore biologico in Italia che si avvalga di strumenti adeguati per i controlli, sono state concepite le disposizioni dell'articolo in commento, che prevedono anche un incremento del processo di dematerializzazione, già avviato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;

In particolare, il comma 1, dispone l’abrogazione degli articoli da 6 a 9 del D.Lgs. n. 220/1995[6].

Gli articoli abrogati recano – in attuazione degli articoli 8 e 9 del Reg. CEE n. 2092/91 - la disciplina delle modalità con le quali notificare l’inizio attività da parte degli operatori del settore biologico e dispongono l’istituzione, presso le regioni e province autonome degli "elenchi degli operatori dell'agricoltura biologica", nonché l’istituzione presso il MiPAAF dell'elenco nazionale degli operatori e degli organismi di controllo autorizzati.

In particolare, l'articolo 6 dispone che gli operatori del settore biologico sono  tenuti a notificare l'inizio dell'attività alle regioni o alle province autonome in cui è ubicata l'azienda. L'articolo 7 prevede che la modulistica riguardante l'attività di produzione, i programmi, le relazioni di ispezione ed i registri aziendali è redatta conformemente ai modelli di cui all'allegato V de Reg.CEE. L'articolo 8 dispone che regioni e province autonome istituiscano gli "elenchi degli operatori dell'agricoltura biologica". L'articolo 9 dispone l'istituzione, presso il MIPAAF, dell'elenco nazionale degli operatori e degli organismi di controllo autorizzati.

 

La disciplina abrogata è in sostanza destinata ad essere sostituita da quella contenuta nei successivi commi dell’articolo in esame, semplificando gli adempimenti burocratici per gli operatori del biologico  ed adeguandoli alla più recente normativa europea.

 

Si ricorda in proposito che il Reg. CEE n. 2092/91 è stato abrogato dal Reg. (CE) n. 834/2007, il quale costituisce, attualmente, la normativa europea sulla produzione biologica e l’etichettatura dei prodotti biologici[7].

In particolare, gli articoli 8 e 9 del Regolamento CE 2092/91 che contenevano norme sul Sistema di controllo dei prodotti biologici, sono stati sostituiti degli  articoli 27-31 del Reg. (CE) n. 834/2007.

Tali nuove norme confermano che gli operatori del settore devono notificare la loro attività all'autorità competente dello Stato membro in cui è esercitata e prevedono che le autorità di controllo e gli organismi di controllo devono tenere un elenco aggiornato dei nomi e degli indirizzi degli operatori soggetti al loro controllo, nonché mettere a disposizione del pubblico con le modalità opportune, compresa la pubblicazione su Internet, gli elenchi aggiornati (articolo 92-ter, Reg. n.889/2008)[8].

 

Il comma 2 istituisce, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio statale, il Sistema informativo per il biologico (SIB) presso il Ministero delle politiche agricole, previo parere della Conferenza unificata (art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281). Esso, mediante l'infrastruttura del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), è finalizzato a gestire i procedimenti amministrativi degli operatori e degli organismi di controllo.

Il SIAN è il sistema informativo unificato di servizi del comparto agricolo, agroalimentare e forestale[9] messo a disposizione dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali e dall'Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura per assicurare lo svolgimento dei compiti relativi alla gestione degli adempimenti previsti dalla PAC - Politica agricola comune, con particolare riguardo ai regimi di intervento nei diversi settori produttivi.

 

Il comma 3 prevede che entro sessanta giorni dalla data in vigore del provvedimento in esame un decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali definisca i modelli per la notifica dell'attività di produzione con metodo biologico, i programmi annuali di produzione, le relazioni di ispezione dell'attività di produzione, i registri aziendali, favorendo il ricorso all'uso dei sistemi informativi.

 

Il comma 4 prevede che il Ministero delle politiche agricole, basandosi sulle informazioni contenute nel SIB, istituisca l'elenco pubblico degli operatori dell'agricoltura biologica.

 

Le regioni dotate di propri sistemi informatici per la gestione dei procedienti relativi all’agricoltura biologica, ai sensi del comma 5, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato-regioni e province autonome, devono attivare una cooperazione che garantisca il flusso delle informazioni tra il SIB e i sistemi regionali. In mancanza, verrà utilizzato il SIB.

 

Si segnala che presso la XIII Commissione Agricoltura della Camera è in corso di esame la proposta di legge C.302, recante “Disposizioni per lo sviluppo e la competitività della produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico".

 

 


 

Articolo 8
(Disposizioni in materia di attività che non costituiscono subappalto)

L’articolo 8, inserito nel corso dell’esame al Senato, integra l’elenco delle attività che non si configurano come attività affidate in subappalto aggiungendovi l’affidamento di servizi di importo inferiore a euro 20.000 annui a imprenditori agricoli nei comuni montani o svantaggiati.

La nuova disposizione viene inserita - con l’aggiunta della lettera b-bis) -all’articolo 118, comma 12, del Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, che già elenca le seguenti categorie di forniture o servizi che, per le loro specificità, non si configurano come attività affidate in subappalto:

-        l'affidamento di attività specifiche a lavoratori autonomi (lettera a);

-        la subfornitura a catalogo di prodotti informatici (lettera b).

 

L’art. 118 del Codice dei contratti pubblici disciplina il subappalto e le attività che non costituiscono subappalto. In linea generale, i soggetti affidatari dei contratti pubblici sono tenuti ad eseguire in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto (comma 1). La stazione appaltante deve indicare nel progetto e nel bando di gara le singole prestazioni e, per i lavori, la categoria prevalente con il relativo importo, nonché le ulteriori categorie, relative a tutte le altre lavorazioni previste in progetto, anch'esse con il relativo importo. Tutte le prestazioni nonché lavorazioni, a qualsiasi categoria appartengano, sono subappaltabili e affidabili in cottimo; in particolare, per i servizi e le forniture, tale quota è riferita all'importo complessivo del contratto (comma 2).

La normativa in materia di contratti pubblici sarà oggetto di revisione nell’ambito del recepimento della direttiva europea 2014/24/UE in materia di appalti pubblici attraverso l’attuazione della relativa delega oggetto del disegno di legge n. 1678.

Specifiche disposizioni sono previste per i contratti di appalto che riguardano il settore agricolo.

L’art. 15 del D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228 (Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57) prevede che al fine di favorire lo svolgimento di attività funzionali alla sistemazione ed alla manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale, alla cura ed al mantenimento dell'assetto idrogeologico e di promuovere prestazioni a favore della tutela delle vocazioni produttive del territorio, le pubbliche amministrazioni, in deroga alle norme vigenti, possono stipulare contratti d'appalto con gli imprenditori agricoli di importo annuale non superiore a 50.000 euro nel caso di imprenditori singoli, e 300.000 euro nel caso di imprenditori in forma associata.

Ai sensi dell’art. 2, co. 134, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, inoltre, le cooperative e i loro consorzi di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227 (si tratta delle cooperative e dei loro consorzi che forniscono in via principale, anche nell'interesse di terzi, servizi nel settore silvicolturale, ivi comprese le sistemazioni idraulico-forestali, e che sono equiparati agli imprenditori agricoli) che abbiano sede ed esercitino prevalentemente le loro attività nei comuni montani e che, conformemente alle disposizioni del proprio statuto, esercitino attività di sistemazione e manutenzione agraria, forestale e, in genere, del territorio e degli ambienti rurali, possono ricevere in affidamento diretto, a condizione che l’importo dei lavori o servizi non sia superiore a 190.000 euro per anno, dagli enti locali e dagli altri enti di diritto pubblico, in deroga alle vigenti disposizioni di legge e anche tramite apposite convenzioni:

a) lavori attinenti alla valorizzazione e alla gestione e manutenzione dell’ambiente e del paesaggio, quali la forestazione, la selvicoltura, il riassetto idrogeologico, le opere di difesa e di consolidamento del suolo, la sistemazione idraulica, le opere e i servizi di bonifica e a verde;

b) servizi tecnici attinenti alla realizzazione delle opere di cui alla lettera a). Possono inoltre essere affidati alle cooperative di produzione agricolo-forestale i servizi tecnici, la realizzazione e la gestione di impianti di produzione di calore alimentati da fonti rinnovabili di origine agricolo-forestale.

 

Si ricorda che la disciplina europea sulla PAC reca i criteri di designazione delle zone montane e delle zone soggette a vincoli naturali specifici, ai fini dell’ammissione dell’agricoltore al beneficio delle specifiche risorse europee e di cofinanziamento nazionale destinate ad indennizzare l’agricoltore che opera in zone svantaggiate. Ai sensi di tale disciplina, i programmi di sviluppo rurale nazionali operano una la delineazione delle zone in questione.

La prima normativa che, in ordine cronologico, fa riferimento alle zone svantaggiate è la Direttiva 75/268/CEE nella quale venivano definiti i criteri secondo i quali una zona poteva essere classificata o meno come svantaggiata. La citata direttiva è stata poi abrogata dalla Direttiva 97/950/CEE a sua volta abrogata dal Reg. CE 1257/99, anch’esso abrogato dal Regolamento sullo sviluppo rurale per il periodo 2007-2013, Regolamento n. 1698/2005 (si veda l’articolo 50).

Nella programmazione 2014-2020, il nuovo Regolamento 1305/2013, che sostituisce il testé citato regolamento 1698/2005 abrogandolo, prevede una revisione delle cosiddette zone “intermedie” che sono sostituite da zone con vincoli naturali. Allo stato attuale, nessuna revisione o ridefinizione è prevista per le zone montane che rimane in sostanza quella contenuta nel Reg. CE 1257/99 e nella Direttiva 75/268/CEE ed è confermata dall’articolo 32 del Reg. UE 1305/2013[10].

A livello nazionale vi è poi la classificazione UNCEM dei comuni per grado di montanità - che prevede la suddivisione dei comuni in "totalmente montani", "parzialmente montani" e "non montani" - è elaborata sulla base delle disposizioni di cui all'art. 1 della legge n. 991/1952, recante provvedimenti in favore dei territori montani, sulla base di criteri di classificazione geomorfologici (l’80% della superficie al di sopra dei 600 metri o un dislivello maggiore di 600 metri) e di tipo reddituale dei terreni (reddito imponibile medio per ettaro non supera le 2.400 lire).

L’elenco dei comuni interamente e parzialmente montani è stato quindi stilato in applicazione della normativa richiamata, sino alla legge 8 giugno 1990, n. 142, la quale (art. 29, comma 7) ha abrogato le disposizioni che avevano sino ad allora presieduto alla classificazione medesima e al suo aggiornamento, cristallizzando l’elenco dei comuni montani alla data della sua entrata in vigore. L’aggiornamento di tale classificazione è stato successivamente preso in carico dall’UNCEM, nell’ambito delle attività connesse al monitoraggio delle Comunità montane, e trasmesso periodicamente all’Istat (http://www.simontagna.it/portalesim/comunimontani.html#LetteraC)[11].

 

Si rammenta, infine, che l'articolo 1 del D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99 reca la definizione di imprenditore agricolo professionale (IAP) ai fini dell'applicazione della normativa statale, qualificando come tale colui il quale, in possesso di conoscenze e competenze professionali, dedichi alle attività agricole di cui all'articolo 2135 cc, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro.

 

 


 

Articolo 9
(Delega al Governo per il riordino e la riduzione degli enti, società e agenzie vigilati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e per il riordino dell’assistenza tecnica agli allevatori e la revisione della disciplina della riproduzione animale)

Il comma 1 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino e alla riduzione degli enti, società ed agenzie, vigilati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, nonché al riordino dell'assistenza tecnica agli allevatori: il comma specifica che il riordino implicherà anche una revisione della legge 15 gennaio 1991, n. 30, in materia di disciplina della riproduzione animale.

I decreti legislativi dovranno essere adottati entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge.

L’intervento è finalizzato alla razionalizzazione e al contenimento della spesa pubblica, in attuazione del principio contenuto nell’articolo 01 del D.L. n. 138/2011, che prevede un programma di revisione integrale della spesa pubblica, anche tenendo conto degli indirizzi e delle proposte formulate ai sensi dell’articolo 49-bis, commi 1 e 2, del D.L. n. 69/2013.

Si ricorda che l’articolo 01 del D.L. n. 138/2011, con l'obiettivo di razionalizzazione della spesa e di superamento del criterio della spesa storica, ha demandato al MEF, d'intesa con i Ministri interessati, la presentazione al Parlamento entro il 30 novembre 2011 di un programma per la riorganizzazione della spesa pubblica mirato all'integrazione operativa delle agenzie fiscali, alla razionalizzazione di tutte le strutture periferiche dell'amministrazione dello Stato e la loro tendenziale concentrazione in un ufficio unitario a livello provinciale, il coordinamento delle attività delle forze dell'ordine, all'accorpamento degli enti della previdenza pubblica, alla razionalizzazione dell'organizzazione giudiziaria civile, penale, amministrativa, militare e tributaria a rete, alla riorganizzazione della rete consolare e diplomatica[12].

Successivamente a tale intervento normativo, l’articolo 49-bis del D.L. n. 69/2013, richiamato nel testo della norma, ha introdotto una nuova e più generale disciplina dell’attività di razionalizzazione della spesa pubblica, che ha sua volta ha sostituito, semplificandola, quella già disposta dagli articoli 1-6 del D.L. n. 52/2012. Il comma 1 dell’articolo 49-bis ha istituito un Comitato interministeriale, presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri, con attività di indirizzo e coordinamento in materia di razionalizzazione della spesa di tutte le amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e delle società controllate direttamente o indirettamente da amministrazioni pubbliche. L’attività di coordinamento di tale Comitato concerne, in particolare, gli interventi di spending review relativi ai trasferimenti alle imprese, la riduzione delle spese per acquisto di beni e servizi, l'ottimizzazione dell'uso degli immobili e le altre materie individuate dalla Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministeri del 3 maggio 2012. Tra gli interventi previsti dalla direttiva in questione rientra la riduzione, anche mediante accorpamento, degli enti strumentali e vigilati e delle società pubbliche[13].

La spending review è finalizzata al raggiungimento di precisi obiettivi di risparmio, i quali sono stati via via implementati da una serie di interventi legislativi successivi.

Sulla base di quanto sopra esposto, non risulta chiaro il richiamo all’articolo 01 del D.L. n. 138 ritenendosi ora meglio ascrivibile, la misura in esame, al processo di spending review complessiva, o, in seconda analisi all’articolo 1, comma 3 del medesimo D.L. n. 138, il quale ha disposto che le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, incluse le agenzie fiscali, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca provvedano ad una ulteriore riduzione dei propri assetti organizzativi rispetto a quella già operata dall’articolo 74 e dall'articolo 2, comma 8-bis, del D.L. n. 194/2009[14]. A tale articolo 1 si richiama, infatti, la recente incorporazione dell’INEA nel CRA, disposta dalla legge di stabilità 2015 (cfr. infra).

La relazione tecnica al disegno di legge afferma, al riguardo, che l'obiettivo della delega per il riordino degli enti vigilati è quello di conseguire significativi risparmi di spesa dall'attuazione dei criteri direttivi previsti, in particolare, azzerando le spese relative agli organi di vertice, riducendo progressivamente il personale complessivamente impiegato e il ricorso a contratti a tempo determinato con soggetti esterni all'amministrazione, sul fronte della logistica attraverso la riduzione della presenza sul territorio in particolare degli enti di ricerca, che potrà essere prevista almeno a livello interregionale.

Con riferimento ai risparmi attesi, afferma sempre la relazione tecnica, l'articolo richiama espressamente la necessità che i decreti legislativi attuativi si conformino alla vigente normativa in materia di spending review.

 

La previsione contenuta al comma 1, che finalizza l’intervento alla razionalizzazione e al contenimento della spesa pubblica tenendo conto degli indirizzi della cd. “spending review”, va letta in combinato disposto con quanto prevede il criterio direttivo di delega contenuto nel comma 2, lettera c), in base al quale una quota non superiore al 50 per cento dei risparmi di spesa derivanti dalla riduzione e riordino degli enti, società ed agenzie vigilati sarà destinata a politiche a favore del settore agroalimentare, con particolare riferimento allo sviluppo e all’internazionalizzazione del made in Italy, nonché alla tutela all’estero delle produzioni di qualità certificata.

La relazione tecnica specifica che la destinazione di quota parte delle risorse al rilancio del comparto e non al miglioramento dei saldi di finanza pubblica deve avvenire fermo restando il rispetto degli obiettivi finanziari fissati dai documenti di programmazione.

 

Gli interventi legislativi di riassetto degli enti del comparto agricolo

Il sistema degli enti pubblici del comparto agricolo è stato più volte rivisto nel corso degli ultimi quindici anni[15].

Un significativo intervento è stato compiuto dal decreto legislativo n. 454 del 29 ottobre 1999, nell'ambito della complessiva riforma amministrativa avviata con le leggi che vengono comunemente associate al nome di Bassanini. Tale revisione si era resa necessaria anche perché la preesistente frammentazione del sistema era stata oggetto di rilievi da parte della Corte dei Conti, la quale aveva stigmatizzato lo spreco di risorse e l'inefficienza che ne conseguivano.

In particolare, il D. Lgs. n. 454/99 ha disposto l’istituzione del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), con competenza scientifica generale nei settori agricolo, agro-industriale, ittico e forestale, facendo confluire in esso numerosi istituti di ricerca che esistevano all’epoca [16].

Il medesimo D.Lgs. ha poi provveduto al riordino dei seguenti enti di ricerca:

§  l’Istituto nazionale di economia agraria (INEA), istituito per compiere indagini e studi di economia agraria e forestale;

§  l’Istituto nazionale della nutrizione (INN), trasformato nell’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (INRAN) con la funzione di assicurare la tutela del consumatore e il miglioramento qualitativo delle produzioni agro-alimentari;

§  l’Ente nazionale sementi elette (ENSE), con compiti specifici di certificazione, analisi e controllo dei prodotti sementieri, nonché di promozione di nuove varietà e riconoscimento varietale e brevettuale delle novità;

§  il Centro di specializzazione e ricerche economiche-agrarie per il Mezzogiorno, con sede a Portici, trasformato in Centro per la formazione in economia e politica dello sviluppo rurale (cd. Centro Portici), centro di ricerca economico-agraria ma anche centro di formazione postuniversitaria

Sempre nel 1999, nell’ambito della riforma cd. “Bassanini”:

§  con il D.Lgs. n. 419/1999 si è provveduto all’istituzione di ISMEA - Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), ente pubblico economico creato dall'accorpamento dell'Istituto per Studi, Ricerche e Informazioni sul Mercato Agricolo (già ISMEA) e della Cassa per la Formazione della Proprietà Contadina.

§  Il D.Lgs. n. 165/1999 ha istituito AGEA – Agenzia per le erogazioni in agricoltura, ente pubblico non economico, subentrato, a decorrere dal 16 ottobre 2000, in tutti i rapporti attivi e passivi alla soppressa AIMA (Azienda di Stato per gli Interventi nel Mercato Agricolo).

§  con il D.Lgs. n. 449/1999, l'Unione nazionale per l'incremento delle razze equine (UNIRE), già istituita con R.D. n. 624/1932, è stata qualificata ente di diritto pubblico e ne sono state fissate le relative funzioni.

Successivamente, il D.L. n. 78/2010, articolo 7, comma 20, ha soppresso:

§  il Centro Portici, trasferendo compiti e funzioni al Ministero dell’agricoltura;

§  l’ENSE, i cui compiti e funzioni sono stati attribuiti all’INRAN;

§  l’Istituto Nazionale Conserve Alimentari (INCA)[17] con contestuale trasferimento all'INRAN dei compiti dell’Istituto[18].

Si consideri, inoltre, che la riorganizzazione del settore ha dovuto anche tener conto delle norme di contenimento della spesa contenute nel D.L. n. 112/08 che all’articolo 74 ha richiesto una riduzione degli assetti organizzativi delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, delle agenzie, incluse le agenzie fiscali anche ivi inclusi gli enti di ricerca pubblici, secondo principi di efficienza, razionalità ed economicità.

Il D.L. citato, all’articolo 28, ha disposto l'istituzione dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) (in luogo della Agenzia per la Protezione dell'Ambiente ed i servizi Tecnici (APAT)), e ha stabilito che nel nuovo istituto confluissero anche due enti in precedenza vigilati dal Dicastero agricolo: l'Istituto Nazionale per la fauna selvatica (INFS) - che aveva compiti di ricerca e consulenza statale e regionale in tema di conservazione e gestione del patrimonio faunistico nazionale - e l'Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM) - cui spettava lo studio della vita biologica del mare. La fusione è stata regolata con il D.M. n. 123/2010 del Ministero dell'Ambiente

Come già accennato, l’articolo 1, comma 3 del D.L. n. 138/2011 ha disposto una ulteriore riduzione degli assetti organizzativi dei predetti enti rispetto a quella già operata dall’articolo 74 nonché dall'articolo 2, comma 8-bis, del D.L. n. 194/2009.

Sempre nel 2011,

il D.L. n. 98/2011 (art. 14, comma 28) ha trasformato l'UNIRE in Agenzia per lo sviluppo del settore ippico – ASSI, sotto la vigilanza Mipaaf.

il D.L. n. 201/2011 (articolo 21, comma 10) ha disposto la soppressione e la messa in liquidazione dell’EIPLI- Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania con sede in Bari, istituito dal Decreto Legislativo del Capo provvisorio dello Stato 18 marzo 1947, n. 281.

Con il D.L. n. 95/2012 l'INRAN è stato soppresso a decorrere dal 7 luglio 2012 e le funzioni acquisite in materia di certificazione ufficiale dei prodotti sementieri sono state trasferite all'Ente risi, mentre tutte le altre sono state attribuite al CRA (art. 12, commi 1-6).

Sempre il D.L. n. 95/2012 (articolo 23-quater) ha soppresso l'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico-ASSI, disponendo che venissero ripartite le relative funzioni tra il Mipaaf e l'Agenzia delle dogane.

Il sofferto quadro di revisione delle competenze è proseguito con la legge di stabilità 2013 (Legge n. 228/12) che per evitare che l'ente di commercializzazione del riso si trovi ad avere anche un ruolo nella certificazione del prodotto, ha trasferito al CRA anche le funzioni nella materia sementiera.

Da ultimo, la legge di stabilità 2015 (legge n. 190/2014, art. 1, commi 381-383) ha disposto l’incorporazione dell'Istituto nazionale di economia agraria (INEA) nel Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), che assume la denominazione di Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria.

Con Decreto del ministro delle politiche agricole alimentari e forestali del 2 gennaio 2015, il dott. Salvatore Parlato è stato nominato Commissario del CRA, in sostituzione degli organi statutari dell’istituto. L'Ente incorporato (INEA) è divenuto pertanto Centro di responsabilità amministrativa del CRA, come da decreto n. 3 del 21/01/2015 del Commissario straordinario, che ha nominato titolare del Centro la Dr.ssa Laura Proietti.

L’intervento in questione è finalizzato ad una riduzione di spesa. Nelle more dell’attuazione del riordino del Consiglio la legge di stabilità ha comunque disposto una riduzione di complessivi 4 milioni di euro dal 2015 del contributo ordinario annuo a carico dello Stato a favore del CRA[19].

Sulla base del complesso quadro sopra delineato, gli enti pubblici vigilati dal Mipaaf sono attualmente: AGEA, ISMEA, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (in corso di costituzione, risultante dalla fusione di INEA nel CRA), ENTE RISI.

Per quanto concerne le società partecipate dal Mipaaf, esse sono attualmente:

ISA- Istituto Sviluppo Agroalimentare S.p.a, società finanziaria che vede il Ministero azionista unico, alla quale il Mipaaf non eroga nessun contributo istituzionale.

UNIRELAB-Servizi di diagnostica di laboratorio per l’industria ippica  s.r.l., il cui trasferimento di capitale dalla ex ASSI al Mipaaf è avvenuto in attuazione dell’art. 23-quater, comma 9-bis del D.L. n. 95/2012, con decreto interministeriale 15 novembre 2012. La società assicura il controllo pubblico (analisi antidoping) dei concorsi e delle manifestazioni ippiche.

AGENZIA POLLENZO spa, la cui quota di partecipazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali è del 3,905%. Il MIPAAF non eroga nessun contributo istituzionale gravante sul bilancio e non ne sono presenti rappresentanti negli organi di governo societari. La società opera nel settore della diffusione della cultura enogastronomica e la politica dell’alimentazione italiana di qualità a livello internazionale.

 

Sempre con riferimento alle società partecipate, si ricorda che la società Buonitalia S.p.a, originariamente di proprietà al 70% Mipaaf, è stata sciolta e messa in liquidazione, con delibera dell’assemblea straordinaria dei soci. Il D.L. n. 95 del 6 luglio 2012 (come convertito in legge n. 135/2012) ha soppresso Buonitalia Spa in liquidazione ed ne ha trasferito le funzioni e il personale con apposite modalità all’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane ( ex ICE).

 

Il comma 2 stabilisce principi e criteri direttivi per il riordino degli enti, agenzie e società del Mipaaf.

In particolare,

la lettera a) richiama la definizione della struttura, dell’assetto e delle procedure di funzionamento degli enti, società ed agenzie vigilati, ponendo l’accento sulle modalità di chiamata pubblica secondo criteri di merito e trasparenza che garantiscano la comprovata qualificazione scientifica e professionale dei componenti degli organi degli enti stessi.

 

Si segnala, al riguardo, che l’articolo 12 del disegno di legge recante deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (A.C. 3098), attualmente all’esame della Camera, contiene i principi e criteri comuni per l’adozione di tre testi unici, tra i quali, quelli riguardanti il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche ed i connessi profili di organizzazione amministrativa partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche ed i servizi pubblici locali di interesse economico generale.

 

Con riferimento alla lettera in esame, si osserva che sono già vigenti norme che sanciscono i criteri di reclutamento del personale degli enti pubblici e delle società pubbliche.

 

La lettera b) richiama l’ottimizzazione nell’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie a disposizione degli enti, società ed agenzie e l’ulteriore riduzione del ricorso a contratti con soggetti esterni alla P.A e con l’utilizzo prioritario delle professionalità esistenti.

Si ricorda che sono vigenti norme di contenimento della spesa - ivi incluse quelle che dispongono limiti alle spese per incarichi di consulenza - valevoli per il comparto degli enti ed organismi del conto economico consolidato della P.A.. Alcuni degli enti pubblici vigilati dal MIPAAF (CRA, INEA, AGEA ed Ente Risi) rientrano nell’elenco degli enti ed organismi del conto economico consolidato della P.A. predisposto dall’ISTAT, e, dunque, ad essi, con talune eccezioni che di seguito si dirà, si applicano le norme in questione.

Si ricorda in proposito che il comma 1 dell'articolo 14 del D.L. n. 66/2014 dispone che, dall’anno 2014, le PP.AA. inserite nel conto economico consolidato della P.A., ad eccezione delle Università, degli istituti di formazione, degli enti di ricerca e degli enti del Servizio sanitario nazionale, non possono conferire incarichi di consulenza, studio e ricerca quando la spesa complessiva sostenuta nell'anno per tali incarichi è superiore rispetto alla spesa per il personale dell'amministrazione che conferisce l'incarico, come risultante dal conto annuale del 2012, al 4,2% per le amministrazioni con spesa di personale pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all'1,4% per le amministrazioni con spesa di personale superiore a 5 milioni di euro.

In precedenza, il comma 5 dell’articolo 1 del D.L. n. 101/2013 (conv. L. 125/2013) ha disposto che il limite di spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, da parte di pubbliche amministrazioni non possa essere superiore per l'anno 2014, all'80 per cento del limite di spesa per l'anno 2013 e, per l'anno 2015, al 75 per cento dell'anno 2014 (già determinato a sua volta sulla base di un ulteriore limite, previsto dall’articolo 6, comma 7, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78)[20]. Tale disposizione si applica alle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della P.A., nonché alle autorità indipendenti, ad eccezione delle università, degli enti e delle fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati, nonché degli istituti culturali e gli incarichi di studio e consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla regolamentazione del settore finanziario.

CRA e INEA (ora fusi in un unico ente) ed ISMEA sono qualificati come enti di ricerca del Mipaaf.

Dunque, le norma di contenimento citate trovano applicazione, nella sostanza, per AGEA ed Ente risi.

L’articolo 5, comma 9, primo periodo, del D.L. n. 95/2012 (come modificato dall’articolo 6 del D.L. n. 90/2014) dispone il divieto per le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, per le PP.AA. inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’ISTAT nonché per le autorità indipendenti, inclusa la Consob, di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Inoltre, a tali soggetti non possono essere conferiti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni predette e degli enti e società da esse controllati (ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli ordini, collegi professionali, relativi organismi nazionali e enti aventi natura associativa). Incarichi e collaborazioni sono consentiti, esclusivamente a titolo gratuito e per una durata non superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall'organo competente dell'amministrazione interessata.

Inoltre la legge di stabilità per il 2013 (art. 1, comma 146, L. n. 228/2012) prevede una limitazione del ricorso alle consulenze informatiche per le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato e per le autorità indipendenti inclusa la CONSOB, ai soli casi eccezionali adeguatamente motivati in cui occorra risolvere problemi specifici connessi al funzionamento dei sistemi informatici. Il successivo comma 147 vieta il rinnovo di tutti gli incarichi di consulenza nella pubblica amministrazione limitandone, altresì, le possibilità di proroga. Più specificamente, la norma, mediante modifica alla lettera c) dell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001, oltre a vietare espressamente il rinnovo degli incarichi conferiti a soggetti estranei all’amministrazione, ne autorizza la proroga, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico”. Tale divieto si applica alle p.a. come definite dall’art. 1, co. 2, del citato D.Lgs. n. 165/2009.

 

La lettera d) impone la riduzione del numero degli enti, società e agenzie vigilati dal MiPAAF e, a tal fine, dispone in ordine alla riorganizzazione di AGEA, anche attraverso la revisione delle funzioni affidate all’Agenzia, con particolare riferimento (numero 1)):

·        al sistema di gestione e sviluppo del Sistema informativo agricolo nazionale.

Si consideri al riguardo l’ulteriore criterio direttivo contenuto nel comma 2, al numero 2), facente riferimento alla predisposizione degli strumenti tecnici, normativi ed operativi propedeutici alla riorganizzazione della società SIN, alla quale è stata affidata la gestione e lo sviluppo del SIAN, al fine di garantire le alte competenze informatiche necessarie ad uniformare e ammodernare le procedure di gestione del sistema informatico di competenza e di realizzare un database integrato che permetta l’utilizzo dei dati di altre amministrazioni pubbliche nonché l’accesso e la fruizione integrati dei dati.

 

Il Sistema informativo agricolo nazionale-SIAN, sistema informativo unificato di servizi del comparto agricolo, agroalimentare e forestale, è stato istituito con legge n. 194/1984 (articolo 15)[21]. La norma citata aveva autorizzato il Ministro delle politiche agricole all'impianto del sistema attraverso la stipula di una o più convenzioni con società a prevalente partecipazione statale, anche indiretta, per la messa in funzione e gestione temporanea del sistema, in base alle direttive fissate dal Ministro.

Il D.lgs. n. 173/1998, ha fatto obbligo al Ministero, agli enti e alle agenzie da esso vigilati, alle Regioni, agli enti locali, nonché alle altre PP.AA. operanti a qualsiasi titolo nel comparto agricolo e agroalimentare, di avvalersi dei servizi del SIAN.

L’art. 14, comma 9 del D.Lgs. n. 99/2004 ha affidato i compiti di coordinamento e gestione del SIAN, fino ad allora svolti dal MIPAAF, all'AGEA, fermi i poteri di indirizzo e monitoraggio del Ministero.

Il successivo D.Lgs. n. 182/2005, ha previsto che AGEA, nell'ambito delle ordinarie dotazioni di bilancio, costituisse una società a capitale misto pubblico-privato, con partecipazione pubblica maggioritaria, alla quale affidare la gestione e lo sviluppo del SIAN. La scelta del socio privato, secondo la predetta norma, doveva avviene mediante l'espletamento di una procedura ad evidenza pubblica[22].

Con delibera del 25 novembre 2005, il Consiglio di amministrazione di Agea ha disposto l’istituzione della SIN SRL, il cui capitale sociale è stato interamente sottoscritto da AGEA. Con il contratto di servizio quadro, stipulato il 30 gennaio 2006, tra AGEA e SIN, sono state disciplinate le attività di sviluppo e gestione dei servizi del SIAN (compresa la realizzazione delle anagrafi aziendali, il coordinamento e lo sviluppo dei controlli legati alla PAC con il Sistema integrato di gestione dei controlli (SIGC), nonché altre attività connesse alle finalità istituzionali di AGEA. Infine, con decreto del Ministro delle politiche agricole 11 marzo 2008, d’intesa con la Conferenza Stato Regioni, sono state approvate le linee guida per lo sviluppo dei SIAN.

Con delibera dell’assemblea dei soci del 25 agosto 2011, su proposta di AGEA, la Sin S.r.l. è stata trasformata in S.p.A, con capitale partecipato al 51% da Agea e al 49% dal socio privato. Una ricostruzione della normativa sul SIAN e dei dati societari relativi alla società SIN  è stata operata dai vertici della società nel corso dell’Audizione dei rappresentanti della Società SIN il 15 aprile 2014 al Senato. Nel corso dell’audizione, è stato in particolare messo in rilievo che a settembre 2016 viene a cessare il partenariato tra l’Agea e l’attuale socio privato, e, secondo le procedure stabilite negli atti di gara, si indirà una nuova gara.

Si consideri, infine, che il comma 6-bis dell’articolo 1 del D.L. n. 51/2015 – introdotto nel corso dell’esame in prima lettura del provvedimento (il quale attualmente è all’esame del Senato) dispone che AGEA possa provvedere, successivamente alla data in cui è prevista la cessazione della partecipazione del socio privato alla società che gestisce il SIAN (Sistema informatico agricolo nazionale), a gestire il sistema.

·        al modello di coordinamento degli organismi pagatori a livello regionale, secondo i seguenti indirizzi: sussidiarietà operativa tra livello centrale e regionale; modello organizzativo omogeneo; uniformità dei costi di gestione del sistema tra i diversi livelli regionali; uniformità delle procedure e dei sistemi informativi tra i diversi livelli.

Circa il sistema degli organismi pagatori in Italia, si veda l’apposito box su AGEA e gli organismi pagatori. Circa i recenti interventi normativi di semplificazione e coordinamento degli organismi pagatori, si veda il punto successivo.

 

·        all’efficienza dell’erogazione dei servizi e del sistema di pagamenti all’ottimizzazione dell’accesso alle informazioni da parte degli utenti e delle P.A., garantendo la realizzazione di una piattaforma informatica che permetta la piena comunicazione tra articolazioni regionali e struttura centrale nonché tra utenti e P.A., attraverso la piena attivazione della Carta dell’agricoltore e del pescatore di cui all’articolo 7 del D.P.R. n. 503/1999.

 

Il D.P.R. n. 503/1999, all’articolo 1, ha disposto che l'Anagrafe delle aziende agricole, costituita all'interno del SIAN, integrato con i sistemi informativi regionali, raccoglie tutte le notizie relative ai soggetti pubblici e privati, identificati dal codice fiscale, esercenti attività agricola, agroalimentare, forestale e della pesca, che intrattengano a qualsiasi titolo rapporti con la pubblica amministrazione centrale o locale. Il codice fiscale costituisce il codice unico di identificazione aziende agricole (CUAA) e deve essere utilizzato in tutti i rapporti con la pubblica amministrazione. Ai sensi dell’articolo 6, hanno accesso all'anagrafe ed ai servizi dell'anagrafe, nel rispetto delle norme per la tutela dei dati personali, le PP.AA.  che partecipano al SIAN, le stesse aziende agricole registrate, ed i soggetti dalle stesse delegati. Le aziende hanno accesso ai servizi per le stesse abilitati, anche attraverso la "Carta dell'agricoltore e del pescatore" prevista dall’articolo 7 del D.P.R., come documento di riconoscimento cartaceo ed elettronico. La Carta viene emessa dal SIAN su supporto cartaceo ed elettronico idoneo a garantirne l'inalterabilità, la riservatezza, la compatibilità con i sistemi tecnici di lettura utilizzati dal SIAN stesso, e, su richiesta, l'esercizio della firma digitale.

L’Accesso all’anagrafe è consentito anche ai CAAA limitatamente alle attività loro delegate dagli organismi pagatori.

L’iscrizione alla Anagrafe delle Aziende Agricole costituisce presupposto indispensabile alla presentazione di domande per contributi, aiuti e premi comunitari nazionali e regionali. A tal proposito, il fascicolo aziendale - di cui all’articolo 9 del D.P.R. citato - è l’insieme delle informazioni relative ai soggetti tenuti all’iscrizione all’Anagrafe. Ai sensi del recente D.M. 12 gennaio 2015 di semplificazione della gestione della PAC 2014-2020, l’insieme dei documenti e delle informazioni essenziali, comuni ai diversi procedimenti amministrativi e che costituiscono il fascicolo aziendale, si configura come “documento informatico”.

Si consideri che il D.M. 12 gennaio 2015 e il successivo DM 20 marzo 2015 n. 1922 costituiscono, nella sostanza, la base normativa di avvio del «Piano Agricoltura 2.0», il quale reca tra l’altro interventi finalizzati ad un maggior coordinamento tra gli organismi pagatori, si basa, tra gli altri, sui seguenti punti fondanti:

o   la presentazione di una domanda unica precompilata per tutte le misure di sostegno dell’UE a superficie previste nel I e nel II Pilastro della PAC (art. 7 del D.M. 12 gennaio 2015);

o   a realizzazione di un’Anagrafe Unica nazionale delle aziende agricole integrata dalle Anagrafi regionali (art. 2 del D.M.) e l’istituzione di un database federato degli Organismi Pagatori (cloud) che integra e rende disponibili tutte le informazioni aggiornate su base territoriale;

o   un solo Fascicolo Aziendale (con l’unificazione del piano colturale, piano assicurativo individuale e il quaderno di campagna) (artt. 3 e ss. del D.M.);

o   la Banca dati Unica dei Certificati(antimafia, DURC).

 

AGEA e gli organismi pagatori

L'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) è stata istituita con l’articolo D.lgs. 27 maggio 1999, n. 165 successivamente modificato da una serie di interventi legislativi, in particolare con l’articolo 12 del D.L. n. 95/2012, come modificato dall’articolo 1, comma 295 della legge di stabilità 2014.

L’Agea è Ente di diritto pubblico non economico, sottoposto alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e al controllo della Corte dei conti quale ente cui lo stato contribuisce in via ordinaria. L’ultima relazione è relativa all’attività svolta nel triennio 2010-2013. L'Agenzia è dotata di autonomia statutaria, regolamentare, organizzativa, amministrativa, finanziaria e contabile (art.2).

L'Agenzia esercita le funzioni di coordinamento degli organismi pagatori regionali, nonché essa stessa esercita le funzioni di organismo pagatore, assieme ad altri compiti attribuiti dalla normativa europea e nazionale (art. 3).

Con il termine organismo pagatore si intende il servizio/organismo riconosciuto che, in presenza di adeguate garanzie, gli Stati membri (il Mipaaf) designano (D.M. 17/06/2009) per gestire e controllare le spese finanziate dai Fondi FEAGA e FEASR. Gli organismi pagatori effettuano i pagamenti ai beneficiari sulla base delle disposizioni europee e, d’altro canto, solo le spese effettuate dagli organismi pagatori possono ottenere un finanziamento a valere sulle risorse europee. Lo Stato membro riconosce  organismi pagatori solo quegli enti la cui struttura e organizzazione amministrativa garantiscono il rispetto dei criteri definiti dalla Commissione UE (Reg. di esecuzione UE n. 907 e 908/2014). Viste le delicate funzioni, gli Organismi pagatori sono oggetto di  costante supervisione da parte dell'autorità competente che comunica i risultati del monitoraggio alla Commissione (cfr. “Relazione 2014 sull’attività di supervisione e di monitoraggio sugli organismi pagatori). Rimane comunque ferma la competenza del MIPAAF e della Ragioneria generale dello Stato-MEF nei rapporti con l’UE circa il monitoraggio dell'evoluzione della spesa finanziata dalla PAC (art. 1, comma 245 della legge di stabilità 2015). In materia, l'Agenzia assicura comunque il necessario supporto tecnico.

 

Si consideri che l’articolo 3 del D.Lgs. n.165/2001 attribuisce alle regioni l’incarico di istituire servizi e organismi regionali (in possesso dei requisiti prescritti dai regolamenti comunitari) con le funzioni di organismo pagatore, spostando così a livello regionale la competenza sulla tenuta dei conti relativi ai finanziamenti FEAGA nel contempo riconoscendo all’Agenzia il ruolo di organismo di coordinamento.

Le funzioni di coordinamento peraltro dovrebbero essere le sole, a regime, riconosciute all’Agenzia, che svolge anche la funzione di organismo pagatore dello Stato italiano per l’erogazione di aiuti, contributi e premi comunitari, disposti dall’Unione europea e finanziati dai Fondi agricoli, fino al momento in cui gli organismi pagatori istituiti dalle regioni entreranno nel pieno delle loro funzioni (art.3, comma 4).

Secondo le informazioni disponibili sul sito istituzionale del MIPAAF, in Italia sono 11 gli Organismi pagatori riconosciuti, di cui:

·        8 operanti a livello regionale

·        2 operanti a livello nazionale in relazione a specifiche misure (riso ed esportazioni) 

·        l'AGEA che appunto svolge tale ruolo per le regioni che non hanno un proprio Organismo pagatore.

I conti degli Organismi pagatori sono annualmente certificati da un organismo  indipendente che ne attesta la completezza, la correttezza e la veridicità.

E’ anche concesso agli organismi pagatori (art. 3-bis) di stipulare convenzioni con centri autorizzati di assistenza agricola, istituiti dalle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative, o da loro associazioni, da associazioni dei produttori e dei lavoratori, da associazioni di liberi professionisti e dagli enti di patronato e di assistenza professionale, per l’espletamento di una serie di attività.

Per assicurare una maggiore fluidità procedurale al sistema dei pagamenti agli agricoltori, è stato anche attribuito agli organismi pagatori il potere di conferire immediata esigibilità alle domande di aiuti, presentate attraverso i centri autorizzati di assistenza agricola, rimanendo salvi i controlli comunitari e quanto stabilito dalle convenzioni stipulate tra i Centri e gli organismi pagatori.

Di tutto rilievo è il compito attribuito all’Agenzia di segnalare al Ministro ed alle regioni l’inerzia o inadempienza degli organismi pagatori, attivandosi le procedure sostitutive da parte del Consiglio dei Ministri previste dall’art. 5, co. 3 del D.lgs. n. 112/98.

Sul piano contabile, all’Agenzia spetta la rendicontazione all’UE dei pagamenti effettuati da tutti gli organismi pagatori, mentre in qualità di organismo pagatore, l’Agenzia è tenuta alla esecuzione e alla contabilizzazione dei pagamenti.

Le entrate dell’Agenzia (art. 7) sono costituite dalle risorse annualmente determinate:

a) dalle assegnazioni statali determinate con la legge di stabilità (la voce è esposta in Tabella C) per le attività istituzionali dell'Agenzia. A legge di bilancio 2015-2017, il capitolo 1525/MEF relativo alle spese di funzionamento dell’Agenzia, reca 119,3 milioni di euro per il 2015 e di 115,6 milioni per ciascun anno del triennio 2016 e 2017. Il cap. 1526/MEF reca le spese di natura obbligatoria di AGEA con 36,6 milioni per il 2015-2017.

b) dalle somme di provenienza dell'UE per il finanziamento o il cofinanziamento del funzionamento dell'Agenzia e dei rimborsi forfettari da parte del FEAGA;

c) dai proventi realizzati nell'espletamento delle gestioni di intervento.

Non costituiscono entrate le somme, di provenienza nazionale che comunitaria, destinate agli ammassi e agli aiuti comunitari, che debbono essere gestite nella più totale separatezza da quelle destinate fondamentalmente al funzionamento, con conseguente obbligo di scrittura su un conto infruttifero intestato all'Agenzia con la dizione “Aiuti e ammassi comunitari” da tenersi presso la Tesoreria centrale dello Stato. Si consideri in proposito che gli organismi pagatori regionali e AGEA rientrano nel regime di tesoreria unica ex articolo 2, rispettivamente, Tabella A e Tabella B della legge n. 720/1984.

Gli organi dell'Agenzia, riformati con l’articolo 12, comma 13, D.L. n. 95/2012 - sono:

a) il direttore dell'agenzia, che deve essere scelto in base a criteri di alta professionalità e conoscenza del settore agroalimentare.

Il direttore è nominato con decreto del MIPAAF, previa trasmissione della proposta di nomina alle Commissioni parlamentari per il parere di competenza, che deve essere espresso entro i termini stabiliti dai regolamenti delle due Camere. L'incarico ha la durata massima di tre anni, è rinnovabile per una sola volta ed è incompatibile con altri rapporti di lavoro subordinato e con qualsiasi altra attività professionale privata. SI veda il D.M. di nomina a direttore dell’AGEA di Stefano Antonio Sernia, D.M. 30 luglio 2014.

b) il collegio dei revisori dei conti, composto da tre membri effettivi e due supplenti nominati con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. Il presidente, scelto tra i dirigenti di livello dirigenziale non generale, è designato dal Ministro dell'economia e delle finanze ed è collocato fuori ruolo.

Lo Statuto dell’AGEA è stato approvato dal Mipaaf con D.M. pubblicato in gazzetta ufficiale del 4 luglio 2014. Lo Statuto è consultabile qui.

L’Agenzia è dotata di un fondo di dotazione, costituito da beni immobili e mobili strumentali alla sua attività, già appartenenti all’AIMA, nonché dal le assegnazioni a carico dello Stato occorrenti ad assicurare l'esecuzione da parte del SIAN dei controlli finalizzati alla gestione delle erogazioni previste dalla normativa comunitaria (articolo 11).

I contributi statali conferiti ad AGEA nel corso degli ultimi anni sono stati evidenziati nel corso dell’Audizione del 29 aprile 2015 dai vertici dell’Agenzia nel modo seguente:

 

Gli specifici compiti di AGEA

In base al riferito quadro legislativo, all’Agenzia competono attività e funzioni diverse, in base a norme europee e norme nazionali. Alla legislazione che ha organicamente disciplinato l’Agenzia (articoli 3 e 4 del D.Lgs. n.165/1999), si sono aggiunte una serie di disposizioni. In particolare, come già accennato, le competenze istituzionali dell’AGEA sono state interessate, nel 2012, dalle disposizioni di cui all’art. 12 del D.L. n. 95/2012 (c.d. spending review), e da ultimo l’art. 1, comma 295 della legge n. 147/2013.

Ai sensi di tali norme, per quanto attiene alla realizzazione della politica europea:

·        all'Agenzia sono attribuite le attività a carattere tecnico-operativo relative al coordinamento degli organismi pagatori. A tal fine, l'Agenzia agisce come unico rappresentante dello Stato italiano nei confronti della Commissione per tutte le questioni relative al FEAGA ed al FEASR ed è responsabile nei confronti dell'UE degli adempimenti connessi alla gestione degli aiuti derivanti dalla PAC, nonché degli interventi sul mercato e sulle strutture del settore agricolo, finanziati dal FEAGA e dal FEASR. Resta ferma la competenza del MIPAAF nella gestione dei rapporti con la Commissione afferenti, in seno al Comitato dei fondi agricoli, alle attività di monitoraggio dell'evoluzione della spesa finanziata dalla politica agricola comune, nonché alle fasi successive alla decisione di liquidazione dei conti. In materia l'Agenzia assicura il supporto tecnico fornendo, altresì, gli atti dei procedimenti

·        gestisce gli ammassi pubblici comunitari.

·        gestisce e distribuisce gli aiuti comunitari agli indigenti (ai sensi del Regolamento UE n. 223/2014). Peraltro, unitamente alle risorse europee per gli indigenti operano anche le risorse del Fondo Nazionale Indigenti (di cui al c. 1, art. 58, D.L. n. 83/2012).

·         realizza i programmi europei di miglioramento della qualità dei prodotti;

·        cura la gestione delle quote latte e la riscossione del prelievo supplementare, anche avvalendosi delle società del gruppo Equitalia (cfr. legge di stabilità 2015).

Per quanto attiene alla realizzazione della politica nazionale l’Agenzia:

·        attua gli interventi sul mercato agricolo e agroalimentare disposti con leggi nazionali d'intesa con la Conferenza permanente Stato, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano. L’Agenzia realizza, per periodi circoscritti, la politica di sostegno a comparti in contingenti situazioni di crisi per ristabilire l'equilibrio di mercato, provvedendo alla successiva collocazione dei prodotti. Con i prodotti ritirati l’Agenzia può realizzare programmi di fornitura a cittadini indigenti e organizzazioni senza fini di lucro; per lo stesso scopo le pubbliche istituzioni che gestiscono servizi di mensa, o le associazioni senza fini di lucro possono acquistare da AGEA i prodotti dalla essa ritirati allo stesso prezzo di acquisizione. L'AGEA può stipulare contratti diretti con le istituzioni(art. 5 co. 1 e 3,D.L. n. 182/2005).

·        gestisce le forniture di prodotti agroalimentari disposte dallo Stato italiano anche in attuazione degli impegni in ambito internazionale (cfr. supra).

·        ai sensi dell’articolo 18 del D.lgs. n. 99/2004 come novellato dall’art. 7 della legge n. 34/2008 (legge comunitaria 2007) è l'autorità nazionale responsabile delle misure necessarie per assicurare l'osservanza delle normative comunitarie relative ai controlli di conformità alle norme di commercializzazione degli ortofrutticoli e delle banane, avvalendosi della società Agecontrol S.p.a..(cfr. infra);

·        ai sensi del D.Lgs. n. 99/2004 (art. 14, co. 9,10 e 10-bis)  AGEA gestisce il Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN). Come sopra accennato nel testo, AGEA ha costituito la società SIN e ad essa affidato lo sviluppo e la gestione del SIAN;

·        si occupa della realizzazione dell’anagrafe delle aziende agricole, ai sensi dell’art. 13 del medesimo d.lgs. n. 99/2004, avvalendosi del SIAN

·        cura l’applicazione (art. 1, comma 1048, della legge n. 296/2006) della normativa europea in materia di controlli ex post sulla correttezza e conformità dei pagamenti effettuati dagli organismi pagatori nel quadro del FEAGA;

·        l’applicazione nazionale delle norme di commercializzazione dell’olio d’oliva di cui al Reg. (CE) n. 182/2009, ai sensi del D.M. 10 novembre 2009, n. 8077;

·        cura la realizzazione, nell’ambito del SIAN, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 99/2004, delle necessarie verifiche ed istruzioni per gli operatori della filiera, per la tracciabilità dell’intero ciclo produttivo delle materie agricole utilizzate per ottenere oli vegetali puri per la produzione di energia elettrica (circolare MIPAAF, 31 marzo 2010, n. 5520);

·        cura la realizzazione, ex legge n. 296/2006 e della n. 244/2007, nel  SIAN,  delle verifiche ed istruzioni per gli operatori della filiera per la tracciabilità delle biomasse per la produzione di energia elettrica  (Reg. (CE) n. 73/2009 e D.M. 2 marzo 2010);

·        cura il collegamento con le banche dati del Catasto per le informazioni sulle particelle agricole, e la messa a disposizione delle medesime a tutti gli Organismi pagatori.

Si segnala infine che la Corte dei Conti ha inviato alle Commissioni V, XIII e XIV della Camera la deliberazione n. 3/2013 del 31 maggio 2013, di approvazione della la relazione sulle irregolarità e frodi nel FEAGA/FEASR gestite da AGEA con riguardo alle regioni Campania e Sicilia.

 

Sempre ai sensi del criterio di delega contenuto nel numero 1), del comma 2, la riorganizzazione deve altresì prevedere un sistema di controllo che assicuri la necessaria indipendenza dal soggetto erogatore, con conseguente razionalizzazione o soppressione della società AGECONTROL Spa – la società che, per conto di AGEA, svolge le verifiche di conformità alle norme di commercializzazione degli ortofrutticoli freschi, ai sensi del D.L. n. 22/2005 - anche mediante la sua confluenza in enti, società o agenzie vigilati dal MIPAAF, previo espletamento di apposite procedure selettive per il personale.

In proposito si prevede il relativo inquadramento sulla base di un’apposita tabella di corrispondenza e comunque prevedendo che i dipendenti di AGECONTROL mantengano esclusivamente il trattamento economico fondamentale in godimento percepito alla data di entrata in vigore della legge in esame, con corrispondente riduzione dei trasferimenti in favore di AGEA.

 

AGECONTROL S.p.a

AGECONTROL è stata istituita il 5 novembre 1985, in forma di società per azioni, con  capitale sociale sottoscritto dal Ministero delle politiche agricole, dall' ex A.I.M.A. oggi AGEA e dall'INEA.  Con l’articolo 18 del D.Lgs. n. 99/2004, ad AGEA è stato attribuito il controllo  su AGECONTROL S.p.a., e trasferita l’intera partecipazione azionaria, per cui AGEA  è attualmente socio unico di AGECONTROL S.p.a.

Il medesimo D.Lgs. ha disposto che AGEA - autorità nazionale responsabile delle misure necessarie per assicurare l'osservanza delle normative europee, relative ai controlli di conformità alle norme di commercializzazione nel settore degli ortofrutticoli - si avvale per tale attività di AGECONTROL S.p.a. Il 25 ottobre 2005 è stata sottoscritta la Convenzione-Quadro tra AGECONTROL e AGEA.

Tale attività di controllo riguarda:

·        controlli di conformità sul mercato interno, nonché sui prodotti destinati all'esportazione ed all'importazione;

·        gestione delle comunicazioni obbligatorie e delle domande di autorizzazione all'uso del logo europeo ed all'autocontrollo;

·        aggiornamento della Banca Nazionale Dati Operatori Ortofrutticoli (BNDOO);

·        gestione degli aspetti sanzionatori.

AGECONTROL effettua i controlli cosiddetti "di secondo livello", previsti nei confronti dei soggetti ai quali AGEA ha delegato specifici compiti/servizi e in ulteriori comparti.

Dal 2005 AGEA ha attribuito ad AGECONTROL ulteriori compiti di controllo quali:

·        programmi triennali di miglioramento presentati dalle Organizzazioni oleicole (Reg. UE n. 807/2010 e 223/2014);

·        distribuzione, ad opera di Enti e strutture caritative, di derrate alimentari agli indigenti (Reg. CEE n. 3149/92);

·        programmi di promozione ed informazione dei prodotti agroalimentari nel Mercato europeo e nei Paesi terzi (Reg. UE 501/2008);

·        utilizzo di burro comunitario (Reg. UE n. 452/2009);

·        fondi comunitari per il Tabacco (Reg. CE n. 2182/2002);

·        controlli sullo zucchero in regime di Ammasso pubblico (Reg. CE n. 907/2014);

·        controlli su varia misure eccezionali di sostegno del mercato agricolo.

Si tratta di verifiche istruttorie, contabili e tecniche, finalizzate al riscontro dell'eleggibilità delle spese per l'erogazione di finanziamenti ai beneficiari.

Nel 2007, il campo di attività di AGECONTROL è stato ulteriormente ampliato attraverso l'affidamento dei controlli "ex-post" afferenti la politica agricola comune, ai sensi del regolamento 1306/2013. In  tale contesto, si evidenzia sul sito istituzionale della Società, il personale ispettivo dell'Agenzia opera come Ufficiale di Polizia Giudiziaria.

 Il finanziamento della Società è assicurato dall'AGEA. Lo statuto di AGECONTROL S.p.A., come risulta dal relativo sito istituzionale, prevede però la possibilità di instaurare rapporti di collaborazione anche con altri soggetti pubblici e privati.

La RT al disegno di legge in esame precisa che la soppressione di AGECONTROL S.p.A. deriva dalla necessità di razionalizzare il sistema di controllo sul soggetto deputato alle erogazioni in agricoltura, superando l'attuale anomalia per la quale il capitale dell'AGECONTROL S.p.A. è detenuto al 100 per cento dall'AGEA, che avrebbe il compito istituzionale di controllare. In proposito, il criterio di delega, afferma la RT, lascia all'apprezzamento del legislatore delegato la scelta tra una razionalizzazione che potrebbe comportare il trasferimento del pacchetto azionario in capo al Mippaf, con una riduzione degli stanziamenti attualmente previsti in favore dell'AGEA per un importo pari a 20 milioni di euro annui, corrispondenti al contributo annuo di AGEA all'AGECONTROL per i controlli. La soluzione della soppressione della società, che ha secondo i dati relativi al bilancio di previsione  2014 - 255 dipendenti a tempo indeterminato, per una spesa totale annua pari a circa 17,1 milioni, comporterebbe il trasferimento delle funzioni di controllo al Mipaaf, con contestuale avvio di procedure selettive per l'assunzione dei dipendenti. Tale soluzione potrebbe consentire un effettivo risparmio di spesa con l’azzeramento dei costi connessi agli organi di vertice, pari a circa 182.000 euro annui, sia con una riduzione del costo del personale, i cui trattamenti accessori sono uniformati a quelli previsti per il comparto Ministeri. L'esatta quantificazione dei risparmi sarà possibile in sede di relazione tecnica ai decreti legislativi.

I vertici di AGECONTROL sono stati auditi nel corso dell’esame del disegno di legge al Senato il 10 aprile 2014 ed hanno auspicato il trasferimento del pacchetto azionario della società al Mipaaf.

 

La lettera d, al numero 3) interviene pure nel settore della ricerca e della sperimentazione nel settore agroalimentare e del sostegno alle iniziative imprenditoriali che ne sfruttano i risultati e su tale base sviluppano nuovi prodotti e servizi (spin-off).

Si consideri che il criterio di delega in esame in origine conteneva il riferimento all'istituzione di un unico ente preposto alla ricerca, alla sperimentazione in agricoltura ed all'analisi dell'economia agraria, con conseguente accorpamento, riduzione e razionalizzazione delle strutture, anche periferiche, del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura e dell'Istituto nazionale di economia agraria (INEA).

Tale riferimento è stato soppresso al Senato, in ragione del fatto che su tale punto, è già intervenuta la legge di stabilità 2015 (cfr. supra).

 

 

Riguardo ai servizi creditizi e finanziari a sostegno delle imprese agricole e agroalimentari, la lettera d), numero 4, dispone che in sede di delega si debba intervenire per razionalizzare il sistema e, in particolare, favorire i processi di modernizzazione, internazionalizzazione, accrescimento dimensionale e occupazionale, avvio di impresa (start-up) e accesso al credito, anche attraverso la strumentazione finanziaria privata.

Tale operazione, deve avvenire mediante riorganizzazione delle funzioni, dei compiti e delle risorse umane, strumentali e finanziarie di ISMEA e di ISA S.p.a. garantendo la realizzazione di strumenti di valutazione e misurazione delle attività svolte, del livello di efficienza dell’azione, con particolare riferimento ai tempi di intervento, alla trasparenza delle procedure e all’ampliamento della platea di soggetti beneficiari.

Inoltre, l’azione deve essere finalizzata a sviluppare l’investimento fondiario, la costruzione e gestione di strumenti finanziari a sostegno dei progetti economicamente sostenibili, attraverso idonee procedure di valutazione e strumenti finanziari adeguati nonché il sostegno al credito e la gestione di pacchetti assicurativi relativi ai rischi climatici e di mercato.

 

L’Istituto per studi ricerche e informazioni sul mercato agricolo - ISMEA

 

ISMEA è un ente pubblico economico, istituito dal D.P.R. n. 278/1987 e successivamente disciplinato dal D.P.R. 200/2001, con il quale si è provveduto al riordino dell’Istituto (abrogando il precedente D.P.R.). Le funzioni di ISMEA sono poi regolate da una serie di altre norme che nel corso del tempo si sono susseguite.

L’Istituto è inserito nel Sistema statistico nazionale (SISTAN) di cui al D.Lgs. n. 322/1989 e fa parte del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN).

 

ISMEA, ai sensi dell’articolo 2 del D.P.R. n. 287/2000 :

 

a) svolge, sulla base degli indirizzi del MIPAAF e di specifiche convenzioni, funzioni riguardanti la rilevazione, l’elaborazione e la diffusione dei dati e delle informazioni che riguardano i mercati agricoli, forestali, ittici e alimentari, anche ai fini dell’attuazione degli adempimenti e degli obblighi derivanti dalla normativa europea e dal Sistema statistico nazionale.

Il ruolo dell’ISMEA è dunque finalizzato al monitoraggio dei prezzi in tutta la filiera: dall’origine al dettaglio passando per il prezzo all’ingrosso. Il servizio viene svolto per tutti i prodotti agricoli, agroalimentari della pesca e dell’acquacoltura Tutti i dati sono fruibili dal sito dell’Istituto e news periodiche di settore.

 

b) fornisce supporto, nel rispetto dei princìpi di sicurezza alimentare, della biodiversità e della eco compatibilità, a ricerca, analisi e servizi informativi e per la commercializzazione, valorizzazione e promozione dei prodotti agricoli, ittici e alimentari;

 

c) svolge i compiti di organismo fondiario. In particolare, attraverso l’acquisto di aziende e la contestuale rivendita con patto di riservato dominio l’Istituto incentiva l’insediamento di giovani nella conduzione di imprese agricole[23]. E’ previsto un aiuto, riconosciuto dalla UE, in conto interessi per l’acquisto a cancello aperto (con esclusione delle scorte vive o morte) di efficienti strutture fondiarie agricole e la successiva rivendita con patto di riservato dominio a giovani agricoltori.

L’articolo 69, comma 6, della legge 289/2002, ha autorizzato la Cassa depositi e prestiti a concedere all'ISMEA mutui ventennali per l’erogazione da parte dell’Istituto degli incentivi relativi allo sviluppo della proprietà coltivatrice legge n. 817 del 1971.

 

d) costituisce forme di garanzia creditizia e finanziaria per strumenti e/o servizi informativi, assicurativi e finanziari alle imprese agricole, volte a ridurre i rischi inerenti alle attività produttive e di mercato, a favorire il ricambio generazionale in agricoltura e a contribuire alla trasparenza e alla mobilità del mercato fondiario rurale sulla base di programmi con le regioni e ai sensi della normativa europea.

In particolare, per quanto attiene all’attività creditizia e finanziaria, l’articolo 1, comma 45 della legge 350/2003 ha autorizzato ISMEA ad effettuare - anche attraverso la costituzione di forme associative e consortili con banche ed altri soggetti autorizzati all'esercizio del credito agrario- le seguenti operazioni:

- prestare garanzie finanziare per l'emissione di obbligazioni da parte di PMI operanti nel settore agricolo agroalimentare. Tale attività è stata specificata nella legge di stabilità 2015, che all’articolo 1, comma 209 che consente ad ISMEA di concedere garanzie sui debiti contratti dalle imprese agricole, agroalimentari e della pesca mediante emissioni di titoli di debito (cd. mini bond);

- acquistare crediti bancari (a breve, a medio e a lungo termine), sempre in favore di piccole e medie imprese operanti nel settore agricolo e agroalimentare e provvedere alla loro successiva cartolarizzazione;

- anticipare crediti vantati dagli imprenditori agricoli nei confronti dell’Agea o degli altri organismi pagatori regionali, individuati in base alla disciplina europea sulla liquidazione annuale dei conti finanziari relativi alla gestione della PAC. La legge di stabilità 2015, articolo 1, comma 208 consente, in particolare, l'erogazione di anticipazioni finanziare agli agricoltori da parte di ISMEA, a fronte della cessione da parte degli agricoltori stessi al medesimo Istituto, di crediti certificati inerenti gli aiuti PAC (si tratta dei pagamenti diretti).

ISMEA, infine, gestisce numerosi progetti per conto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ivi compresa una parte della Rete rurale nazionale.

 

I servizi finanziari sono in particolare relativi alle garanzie sussidiarie e garanzie dirette. Con l’articolo 17 del D. Lgs. n. 102/2004 l’Istituto ha assunto la gestione della sezione speciale dell’ex Fondo Interbancario di garanzia, nonché l’autorizzazione a concedere:

- la propria garanzia a fronte di finanziamenti a breve, a medio ed a lungo termine concessi da banche, intermediari finanziari, nonché dagli altri soggetti autorizzati al credito agrario e destinati alle imprese operanti nel settore agricolo, agroalimentare e della pesca. La garanzia può essere concessa anche a fronte di transazioni commerciali effettuate per le medesime destinazioni (comma 2) e a fronte di titoli di debito emessi dalle imprese operanti nel settore agricolo, agroalimentare e della pesca[24], acquistati da organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) le cui quote o azioni siano collocate esclusivamente presso investitori qualificati che non siano, direttamente o indirettamente, soci della società emittente (comma 2-bis)[25].

- la propria garanzia diretta a banche e agli intermediari finanziari, a fronte di prestiti partecipativi e partecipazioni nel capitale delle imprese, assunte da banche, da intermediari finanziari, nonché da fondi chiusi di investimento mobiliari (comma 3). ISMEA potrà intervenire anche mediante rilascio di controgaranzia e cogaranzia in collaborazione con confidi, altri fondi di garanzia pubblici e privati, anche a carattere regionale nonché mediante finanziamenti erogati, nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato, a valere sul Fondo credito di cui alla decisione della Commissione Europea C(2011) 2929/2011 e ss. mod.[26] (comma 4).

 

Le operazioni di credito agrario[27] devono essere assistite dalla garanzia mutualistica dell'ISMEA, salvo che per la quota di finanziamento assistita dalle garanzie ISMEA sopra indicate (di cui ai commi 2 e 4).

Le garanzie prestate da ISMEA possono essere assistite dalla garanzia dello Stato secondo criteri, condizioni e modalità fissati dal MEF e la garanzia statale è inclusa nell’apposito allegato allo stato di previsione della spesa del medesimo Ministero.

l’ISMEA è stata autorizzato ad esercitare è autorizzato ad esercitare la propria attività di assunzione di rischio per garanzie anche attraverso propria società di capitali dedicata, prevedendo che sull’attività l’Istituto presenti una relazione annuale al Parlamento (comma 5-ter).

Il D.M. 14 febbraio 2006 e il D.M. 22 marzo 2011 hanno fissato i criteri e le modalità attuative della prestazione delle garanzie.

Si ricorda che S.G.F.A. S.r.l. - Società gestione fondi per l'agroalimentare  - società di scopo a responsabilità limitata al 100% di proprietà dell'ISMEA, gestisce oggi gli interventi per il rilascio delle garanzie dirette e delle garanzie sussidiarie, che il legislatore ha attribuito ad ISMEA, mutuandoli rispettivamente dalla Sezione Speciale del FIG (Fondo interbancario di garanzia) e dal FIG stesso.

ISMEA opera anche attraverso il Fondo di investimento nel capitale di rischio la cui gestione è stata affidata alla S.G.F.A. S.r.l (D.M. 206/2011). Il Fondo è finalizzato a supportare i programmi di investimento di piccole e medie imprese operanti nei settori agricolo, agroalimentare, della pesca e dell'acquacoltura, a ridurre i rischi derivanti dall'eccessiva dipendenza dall'indebitamento con il sistema creditizio, a favorire l'espansione del mercato dei capitali e ad agevolare la creazione di nuova occupazione. Il Fondo promuove la nascita e lo sviluppo delle imprese agricole e agroalimentari. Acquisisce partecipazioni di minoranza in società di capitali per un importo massimo pari a € 1,5 milioni.

 

Il ruolo dell'ISMEA nelle assicurazioni in agricoltura, sancito inizialmente con il D.Lgs. n.419/99 è stato successivamente consolidato dall'articolo 127, comma 3, della legge 388/2000 (finanziaria 2001), che ha istituito presso l'Istituto il Fondo per la Riassicurazione dei rischi in agricoltura, attribuendo nel contempo all'Istituto un ruolo operativo nella sperimentazione di nuovi strumenti assicurativi.

Il Fondo per la Riassicurazione, le cui modalità operative di intervento sono definite dai D.M. 7 novembre 2002 e del 7 febbraio 2003, provvede alla compensazione dei rischi agricoli coperti da polizze assicurative agevolate con il contributo pubblico sulla spesa per il pagamento dei premi.

Come si legge sul sito ISMEA, lo start up del Fondo di Riassicurazione si è avuto nel 2004 e da allora le imprese agricole possono assicurare la propria resa produttiva contro 10 avversità atmosferiche, tra cui, siccità, gelo e eccesso di pioggia, mentre fino al 2003 l’offerta assicurativa era ferma al solo rischio grandine.

Presso la sede di ISMEA opera poi il Consorzio italiano di Coriassicurazione contro le calamita' naturali in agricoltura, costituito allo scopo di promuovere l'introduzione nel mercato agricolo di assicurazioni innovative contro le calamità naturali e le avversità atmosferiche ad esse assimilate attraverso la ripartizione dei rischi tra gli Enti Consorziati, e offrire alle imprese agricole nuovi strumenti assicurativi per la difesa delle produzioni.

 

Per quanto attiene alla giovane imprenditoria agricola, nella legge n. 350/2003 commi 42 e 43 sono state trasferite all’ISMEA le funzioni esercitate da Sviluppo Italia Spa riguardo ai c.d. interventi ex RIBS (miglioramento strutturale del reddito dei produttori agricoli) e a quelli per favorire l’imprenditoria giovanile in agricoltura, con contestuale trasferimento delle relative risorse[28]. L’attività è operativa presso ISMEA dal 2008 : ISMEA gestisce, in particolare, gli inventivi a sostegno dei giovani imprenditori agricoli di cui Capo III del Titolo I del D.Lgs. n. 185/2000, recentemente rifinanziati in legge di stabilità 2015.

 

In considerazione della competenza dell’Istituto in merito alla gestione di svariati strumenti finanziari, assicurativi e di riordino fondiario, l’ISMEA svolge inoltre attività di assistenza alla Pubblica Amministrazione sia centrale che locale nell’attuazione dei progetti previsti all’interno dei programmi di Sviluppo Rurale, nella gestione di alcune misure della Rete Rurale Nazionale e nel supporto al Mipaaf per la redazione alla nuova PAC.

 

A bilancio statale 2015 (cap.2109/Mipaaf) i contributi da erogare all'ISMEA per lo svolgimento delle attività istituzionali sono pari a 1.104.476 euro per il 2015, a 1.062.810 euro per il 2016 e a 1.046.207 euro per il 2017.

Il Dr. Ezio Castiglione è stato nominato Presidente di ISMEA con DPR 28 ottobre 2014.

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L’Istituto per lo sviluppo agroalimentare – ISA S.p.A. è una società finanziaria, che ha come socio unico il MIPAAF. La durata della Società, istituita nell’ottobre 2004 allo scopo di subentrare in attività allora svolte nel settore da Sviluppo Italia, è fissata fino al 31 dicembre 2030.

Il MIPAAF non eroga nessun contributo istituzionale gravante sul bilancio e non sono presenti rappresentanti del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali negli organi di governo. ISA promuove e sostiene progetti di sviluppo agroindustriale che comportino un miglioramento strutturale dei livelli di reddito dei produttori agricoli.

Attraverso specifici regimi di aiuto approvati a livello comunitario, supporta le imprese operanti nella fase di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, zootecnici e silvicoli. L'intervento di ISA si rivolge a società di capitali e società cooperative economicamente e finanziariamente sane, la cui redditività sia dimostrata.

La società ha per oggetto lo svolgimento di attività finanziarie tra le quali assunzioni di partecipazioni in società che operano nel settore agricolo, agro-industriale e agro-alimentare ed erogazione alle aziende, enti pubblici e privati operanti nei predetti settori, di assistenza e consulenza nel settore finanziato.

La società inoltre può gestire le risorse finanziarie per conto di terzi e può costituire e partecipare a società autorizzate a prestare servizi di gestione del risparmio.

In particolare, sulla base di quanto previsto dall’art. 23 della legge n. 266/1997, ISA (subentrata ai rapporti in capo a ex Sviluppo Italia s.p.a) [29], può erogare aiuti di Stato ad imprese che intendono realizzare investimenti nel settore della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti agricoli a favore di iniziative che comportino un concreto e misurabile vantaggio per i produttori di base.

Sono agevolabili i progetti industriali che prevedono la realizzazione di nuove iniziative e programmi di ampliamento, ammodernamento e ristrutturazione di unità produttive esistenti.

Inoltre l’art. 2 comma 132 della Legge 662/96, come sostituito dal D.L. n. 203/2005, consente a ISA di acquisire partecipazioni ed erogare finanziamenti, nell’ambito di operazioni di consolidamento e/o di sviluppo di imprese operanti nel settore agroindustriale, a condizioni compatibili con i principi di economia di mercato.

Nell’ambito dell’assistenza tecnica fornita da ISA al Ministero si segnala che, con il D.M. 5 giugno 2006, il Ministero stesso ha affidato all'Istituto Sviluppo Agroalimentare S.p.A. l'espletamento delle funzioni e lo svolgimento dei servizi per la gestione dell'attuazione dei “Contratti di Filiera”, secondo la L.14 Maggio 2005 n. 80.

 

Infine, la lettera e) del comma 2 prevede l’obbligo di pubblicazione annuale dei dati economici, finanziari e patrimoniali relativi all’ultimo esercizio nonché dei dati della rendicontazione delle attività svolte da ciascun ente, società o agenzia.

In particolare, il comma 7, facendo salva la disciplina generale sulla trasparenza amministrativa di cui al D.Lgs. n. 33/2013, prevede per gli enti, società ed agenzie vigilati dal MIPAAF l'obbligo di pubblicare - in modo visibile e facilmente accessibile agli utenti nel proprio sito internet o, in mancanza, nel sito internet del MiPAAF - il bilancio e gli atti approvati dagli organi amministrativi dirigenziali che abbiano effetti di spesa, nonché l'organigramma comprensivo degli incarichi di consulenza.

 

Sugli obblighi di pubblicazione dei dati relativi agli enti pubblici vigilati, agli enti di diritto privato in controllo pubblico e alle partecipazioni in società di diritto privato, si ricorda l’articolo 22 del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33.

Tale norma dispone: l’obbligo di pubblicazione e aggiornamento annuale di un elenco contenente gli enti pubblici, comunque denominati, istituiti, vigilati e finanziati dalla amministrazione e per i quali l'amministrazione ha il potere di nomina degli amministratori. In particolare devono essere pubblicate:

·        le funzioni attribuite e le attività svolte in favore dell'amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate

·        l'elenco delle società di cui detiene direttamente quote di partecipazione anche minoritaria con entità, indicazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell'amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate;

·        l'elenco degli enti di diritto privato in controllo dell'amministrazione, con l'indicazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell'amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate[30];

·        rappresentazioni grafiche che evidenziano i rapporti tra l'amministrazione e gli enti.

Sono pubblicati i dati relativi alla ragione sociale, alla misura della eventuale partecipazione dell'amministrazione, alla durata dell'impegno, all'onere complessivo a qualsiasi titolo gravante per l'anno sul bilancio dell'amministrazione, al numero dei rappresentanti dell'amministrazione negli organi di governo, al trattamento economico complessivo a ciascuno di essi spettante, ai risultati di bilancio degli ultimi tre esercizi finanziari. Sono altresì pubblicati i dati relativi agli incarichi di amministratore dell'ente e il relativo trattamento economico complessivo. Infine, deve essere pubblicato il collegamento ai siti istituzionali degli enti alla sezione che pubblica i dati relativi ai componenti degli organi di indirizzo e ai soggetti titolari di incarico.

 

Il comma 3 dell’articolo di delega interviene sul riordino dell'assistenza tecnica agli allevatori. I criteri ai quali il Governo dovrà uniformarsi, tenendo conto della normativa UE sulla materia, interessano il sistema della consulenza al settore, i libri genealogici ed i registri anagrafici, e le associazioni di allevatori e, sono in particolare:

a) riorganizzazione del sistema di consulenza al settore, finalizzata al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla PAC e dalle norme nazionali in materia, con l’obiettivo di qualificare e liberalizzare il servizio, tenendo conto della necessità di salvaguardare la biodiversità, la corretta gestione del patrimonio genetico delle razze di interesse zootecnico, il benessere animale e la valorizzazione delle produzioni di qualità;

b) e d) riconoscimento del principio per cui l’iscrizione ai libri genealogici e ai registri anagrafici è elemento fondamentale per l’individuazione della razza e per la certificazione d’origine ed è necessario strumento della conservazione della biodiversità animale e della valorizzazione delle razze autoctone;

 

Si ricorda che la legge n. 30/1991 sulla disciplina della riproduzione animale, dispone, all’articolo 3, che i libri genealogici sono istituiti, previa approvazione del MIPAAF, dalle associazioni nazionali di allevatori di specie o di razza, dotate di personalità giuridica ed in possesso dei requisiti stabiliti con decreto MIPAAF. I libri genealogici sono tenuti sulla base di appositi disciplinari approvati anch'essi con decreto del MIPAAF.

I controlli delle attitudini produttive sono svolti, per ogni specie, razza o altro tipo genetico, dall'Associazione italiana allevatori (AIA) in conformità ad appositi disciplinari mediante l'Ufficio centrale dei controlli ed i propri uffici provinciali.

L’Associazione tiene anche i registri anagrafici relativi alle razze delle specie bovina ed equina autoctone a limitata diffusione per cui non vi siano libri genealogici, svolgendo le relative valutazioni genetiche, ed i libri genealogici di specie e razze per le quali non esiste un'associazione nazionale.

I registri anagrafici relativi alle razze delle specie ovina, caprina e suina sono invece tenuti dalle stesse associazioni nazionali allevatori che gestiscono i libri genealogici delle specie medesime. I disciplinari, i registri anagrafici ed i libri genealogici sono sottoposti alla preventiva approvazione del MIPAAF.

L’articolo 3, comma 4-bis dispone che il MIPAAF predispone e mantiene aggiornato, sul proprio sito internet istituzionale, a disposizione degli altri Stati membri e del pubblico, l'elenco delle associazioni di allevatori, delle organizzazioni e degli organismi ufficialmente riconosciuti che istituiscono e gestiscono libri genealogici e registri anagrafici delle diverse razze delle specie bovina, bufalina, ovina, caprina, suina, compresi i registri dei suini ibridi riproduttori, ed equina. Le informazioni in questione sono disponibili sul sito del Mipaaf.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 4, il MIPAAF al fine di assicurare l'unicità per tutto il territorio nazionale della tenuta dei libri genealogici e dei registri anagrafici e dello svolgimento dei controlli funzionali, può stabilire, con proprio decreto, criteri generali di natura tecnica da osservarsi in materia di vigilanza.

L'unicità per tutto il territorio nazionale della tenuta dei libri genealogici e dei registri anagrafici e dello svolgimento dei controlli funzionali si attua contemperando le funzioni del MIPAAF con quelle regionali attraverso la concertazione di criteri e indirizzi unitari nel rispetto della specificità delle singole realtà regionali e sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

Con D.M. 19 luglio 2000, n. 403 è stato approvato il nuovo regolamento di esecuzione della legge 15 gennaio 1991, n. 30.

 

c) riconoscimento del principio della unicità e multifunzionalità del dato raccolto per la tenuta del libro genealogico o del registro anagrafico;

Si ricorda, in proposito, che l’articolo 4, del D.M. 20 marzo 2015 (già registrato presso la Corte dei Conti in attesa di pubblicazione nella GURI) che disciplina i criteri per il conferimento dei premi PAC per gli animali, dispone che ai fini dell’ammissibilità dei premi per il settore latte e dei premi per il settore carne bovina (si tratta degli aiuti previsti dagli articoli 20 e 21, commi 1, 2 e 3, del D.M. 18 novembre 2014), sono inclusi i capi iscritti nei Libri genealogici o nel Registro anagrafico delle razze bovine nell’anno di riferimento, a partire dalla data di iscrizione. Dunque, le razze ammissibili per ciascuna delle misure sopra indicate (premi settore latte e cane bovina) sono disponibili nella Banca dati nazionale (BDN). Per la sola campagna 2015 l’elenco delle razze ammissibili è riportato nell’Allegato 1 del D.M.

Con riferimento ai premi per il settore ovi-caprino (di cui all’art. 22 del D.M. 18 novembre 2014), alle misure di sviluppo rurale di cui al regolamento n. 1305/2013 e all’applicazione della transizione tra le due programmazioni del FEASR, la registrazione individuale si intende completata successivamente all’aggiornamento della Banca Dati Nazionale (BDN).

e) soppressione dei riferimenti agli enti scientifici e strumentali soppressi a seguito delle normative di revisione della spesa pubblica;

f) riallocazione della tenuta del libro genealogico delle razze equine sportive[31] alle relative associazioni di allevatori, con conseguente riduzione delle strutture interessate e delle dotazioni organiche del MIPAAF;

 

Con il D.L. n. 147/2003 è stata ufficialmente istituita l’Anagrafe degli Equidi, con l’obiettivo di creare una banca dati che permetta l’identificazione univoca degli equidi presenti sul territorio nazionale. In particolare, l’articolo 8, comma 15 ha disposto che l’UNIRE -sulla base delle linee guida e dei princìpi stabiliti dal MIPAAF - organizzasse e gestisse l'anagrafe equina nell'àmbito del SIAN, articolandola per razza, tipologia d'uso e diffusione territoriale.

All’Unire è subentrata l’Agenzia per lo sviluppo del settore ippico-ASSI e successivamente, nel 2012, (con il comma 9 dell’articolo 23-quater del D.L. n. 95 del 2012) l’ASSI (chiamata a svolgere compiti relativi al miglioramento delle razze equine, alla gestione dei libri genealogici, alla programmazione delle corse e dei programmi di allevamento, alla gestione del servizio di diffusione delle riprese televisive delle corse) è stata soppressa e le relative funzioni e risorse ripartite tra il MIPAAF- Dipartimento delle politiche competitive, della qualità agroalimentare, ippiche e della pesca e l’Agenzia delle dogane.

L'Anagrafe equina è stata regolamentata con i D.M. 5 maggio 2006 , 9 ottobre 2007 e 29 dicembre 2009.

Con la costituzione dell'Anagrafe equina il legislatore ha inteso conseguire, tra le altre, le seguenti finalità: tutela della salute pubblica e tutela del patrimonio zootecnico (costituzione e funzionalità della rete di epidemio-sorveglianza); tutela economica e valorizzazione del patrimonio zootecnico; fornire il basilare supporto per trasmettere informazioni al consumatore di carni di equidi e consentire un’etichettatura adeguata e chiara del prodotto; assicurare la regolarità delle corse dei cavalli nonché garantire efficienza ed efficacia nella gestione dei controlli sulle corse stesse; prevenire e controllare il fenomeno dell’abigeato.

 

g) possibilità di autofinanziamento delle associazioni di allevatori attraverso l’espletamento di servizi per i propri soci e utilizzo di marchi collettivi, con obbligo di impiegare i relativi proventi nell’attività di miglioramento genetico.

 

I commi 4 e 5 stabiliscono le modalità procedurali per l’adozione dei decreti legislativi.

In particolare, essi, ai sensi del comma 4, sono adottati su proposta del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

Gli schemi di decreti, corredati di apposita relazione tecnica da cui risultino, tra l’altro, i risparmi di spesa derivanti dall’attuazione delle disposizioni ivi contenute, sono trasmessi alle Camere per il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, da rendere entro sessanta giorni dalla data di assegnazione.

Se il termine per l’espressione dei pareri parlamentari scade nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega o successivamente, quest’ultimo è prorogato di tre mesi.

 

Ai sensi del comma 5, se il Governo non intende conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, per il parere definitivo delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari, da rendere entro un mese dalla data di trasmissione. Decorso il termine, i decreti possono essere adottati in via definitiva.

 

Ai sensi del comma 6, entro un anno dalla data di entrata in vigore del primo dei decreti legislativi, il Governo potrà introdurre disposizioni integrative e correttive mediante uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei principi di cui al comma 2 e secondo le modalità procedurali delineate ai commi 4 e 5.

 

Il comma 8 reca la consueta clausola di invarianza finanziaria, disponendo che dall’attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

Si ricorda al riguardo che l’articolo 31 del disegno di legge in esame contiene una clausola di ordine generale, in virtù della quale tutti i decreti legislativi adottati in attuazione delle deleghe devono essere corredati di relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria dei medesimi decreti ovvero dei nuovi o maggiori oneri da essi derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura.

Inoltre, viene richiamato l’articolo 17, comma 2 della legge di contabilità pubblica, disponendosi che, qualora uno o più decreti legislativi attuativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al loro interno, i dlgs sono emanati solo successivamente o contestualmente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.

 

Per ciò che attiene l’esercizio delle deleghe qui in esame, esse, secondo la formulazione del precedente comma 1 e 7, si evidenzia che esse sono orientate ad una riduzione di spesa: gli schemi dei decreti legislativi devono infatti essere corredati “di apposita relazione tecnica da cui risultino, tra l’altro, i risparmi di spesa derivanti dall’attuazione delle disposizioni ivi contenute”.

 


 

Articolo 10
(Istituzione della Banca delle terre agricole)

Il comma 1 prevede l’istituzione della  Banca delle terre agricole presso l’ISMEA, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e, comunque, con l'utilizzo delle sole risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

Il comma 2 enuncia quale finalità della banca quella di costituire un inventario completo della domanda e dell’offerta dei terreni e delle aziende agricoli, che si rendono disponibili anche a seguito di abbandono dell’attività produttiva e di prepensionamenti, raccogliendo, organizzando e dando pubblicità alle informazioni necessarie sulle caratteristiche naturali, strutturali ed infrastrutturali dei medesimi, sulle modalità di cessione e di acquisto degli stessi nonché sulle procedure di accesso alle agevolazioni a favore dei giovani agricoltori (mutui a tasso zero) di cui al capo III, titolo I, D.Lgs. n. 185/2000.

Il comma 3 dispone che la Banca è accessibile nel sito internet dell’ISMEA per tutti gli utenti registrati secondo le modalità stabilite dalla Direzione generale dello stesso istituto ed indicate nel medesimo sito internet.

Ai sensi del comma 4, in relazione ai terreni di cui all’articolo in esame, ai dati disponibili e ai relativi aggiornamenti, l’ISMEA può anche presentare uno o più programmi o progetti di ricomposizione fondiaria, con l’obiettivo di individuare comprensori territoriali nei quali promuovere aziende dimostrative o aziende pilota.

Il comma 5 dispone che - per le finalità di cui all’ articolo in esame - ISMEA può stipulare apposite convenzioni con gli assessorati regionali e provinciali competenti e promuovere forme di collaborazione e di partecipazione con le organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative e con le università e gli istituti superiori.

Si consideri al riguardo che diversi interventi legislativi regionali hanno già provveduto, ai sensi della legge statale n. 440/1978, alla costituzione di banche delle terre regionali.

 

L’articolo 44 della Costituzione demanda alla legge la definizione di obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata e la fissazione di limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie.

La legge, altresì, ha il compito di promuovere ed imporre la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive, nonché di aiutare la piccola e la media proprietà[32]. La finalità di tale riserva di legge è quella di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e stabilire equi rapporti sociali.

I principi costituzionali sopra richiamati costituiscono, nella sostanza, il presupposto normativo della legge 4 agosto 1978, n. 440 che ha introdotto norme per l'utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate.

In particolare, tale legge ha demandato alle regioni, ferme restando le competenze delle province autonome di Trento e Bolzano, la competenza ad emanare, secondo principi e i criteri dalla stessa legge n. 440 stabiliti, norme per il recupero produttivo delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate, anche al fine della salvaguardia degli equilibri idrogeologici e della protezione dell'ambiente.

La legge definisce incolte o abbandonate le terre, suscettibili di coltivazione, che non siano state destinate ad utilizzazione agraria da almeno due annate agrarie e provvede altresì a definire le terre insufficientemente coltivate[33].

A tal fine, la legge ha demandato alle regioni:

·        il compito di determinare le singole zone del territorio di loro competenza che risultino caratterizzate da estesi fenomeni di abbandono di terre suscettibili di utilizzazione;

·        di provvedere, per ognuna delle zone così determinate, in coerenza con i programmi regionali e comprensoriali o zonali di sviluppo agricolo, ove esistenti, a definire i criteri per l'utilizzazione agraria o forestale, nonché i criteri per la formazione dei relativi piani aziendali o interaziendali

·        di assegnare per la coltivazione le terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate, anche appartenenti ad enti pubblici e morali, compresi i terreni demaniali, ai richiedenti che si obbligano a coltivarli in forma singola o associata.

La medesima legge esclude dal suo ambito applicativo:

a)  le terre la cui messa a coltura agraria pregiudichi la stabilità del suolo o la regimazione delle acque o comprometta la conservazione dell'ambiente:

b)  le dipendenze e pertinenze di case effettivamente adibite ad abitazione rurale o civile, ivi compresi i giardini e i parchi boscati;

c)  i boschi, nonché i terreni destinati a rimboschimento da piani, programmi e progetti di intervento già approvati dagli enti ed organi pubblici competenti;

d)  le cave;

e)  i terreni necessari per attività industriali, commerciali, turistiche e ricreative, i terreni adibiti a specifiche comprovate destinazioni economicamente rilevanti e le aree considerate fabbricabili o destinate a servizi di pubblica utilità da piani urbanistici vigenti o adottati.

La legge ha poi previsto che le leggi regionali possano disporre deroghe agli obblighi dalla stessa previsti a favore dei piccoli proprietari con un reddito annuo minimo.

Talvolta operando un richiamo alla legge in questione, varie regioni, nel corso degli ultimi anni, hanno previsto l’istituzione delle cd. “Banche della terra”, cioè banche dati dei terreni abbandonati o incolti al fine di destinarli alla coltivazione da parte di soggetti che fanno richiesta.

Si noti che tali norme non si rivolgono solo ai terreni pubblici regionali, bensì anche ai terreni incolti o abbandonati di privati, che verranno “temporaneamente occupati”, dietro pagamento di un canone.

 

Si ricorda, senza pretesa di esaustività:

·      la Regione Toscana, con la L.R. n. 80 del 27 dicembre 2012.

Tale legge all’articolo 3 dispone l’istituzione della Banca della terra al fine di valorizzare i terreni pubblici e privati, attraverso un loro uso produttivo.

La banca della terra contiene un inventario completo e aggiornato dell'offerta dei terreni e delle aziende agricole di proprietà pubblica e privata disponibili per operazioni di affitto o di concessione, ivi compresi i terreni privati dichiarati temporaneamente disponibili in quanto incolti e o abbandonati ai sensi dell’articolo 5 della legge regionale stessa. La gestione della banca della terra è gestita dall'Ente Terre regionali Toscane.

L’articolo 5 della legge dispone, in attuazione dei principi e dei criteri della legge n. 440/1978, per favorire il recupero delle aree abbandonate, contenere il degrado ambientale, salvaguardare il suolo e gli equilibri idrogeologici, limitare gli incendi boschivi, favorire l'ottimale assetto del territorio attraverso lo svolgimento delle attività agro-forestali, che la Regione valorizza le terre agricole incolte, coerentemente con la tutela degli interessi sociali, economici e ambientali delle comunità locali e considera abbandonati o incolti:

a)  i terreni agricoli che non siano stati destinati a uso produttivo da almeno tre anni, ad esclusione dei terreni oggetto di impegni derivanti dalla normativa europea;

b)  i terreni già destinati a colture agrarie e a pascolo in cui si sono insediate formazioni arbustive ed arboree, ad esclusione di quelli considerati bosco

Demanda dunque ai comuni il compito di effettuare il censimento dei terreni abbandonati o incolti presenti nel proprio territorio e di trasmetterlo all'Ente. Decorso inutilmente tale termine le province e le unioni di comuni provvedono direttamente a tale censimento ai fini dell'inserimento dei terreni nella banca della terra.

L’Ente coordina le attività tecnico-amministrative finalizzate all'inserimento dei terreni nella banca della terra e provvede all'approvazione del piano di sviluppo per la coltivazione dei terreni individuati quali abbandonati o incolti, redatto dai soggetti che fanno richiesta di assegnazione dei terreni medesimi e che si obbligano a coltivarli in forma singola o associata in conformità al piano di sviluppo allegato alla richiesta. L'approvazione del piano consente al comune l'occupazione temporanea e non onerosa dei terreni, per il periodo di efficacia del piano, ai fini della loro concessione ai privati richiedenti e titolari del piano di sviluppo approvato. Ai proprietari i cui terreni sono stati oggetto di assegnazione è dovuto un canone. I proprietari e gli aventi diritto, possono chiedere di coltivare direttamente i terreni allegando alla richiesta il piano di sviluppo da loro redatto.

·      La Regione Lombardia, con la assai recente L.R. n. 30 del 26 novembre 2014.

Questo intervento legislativo, opera in termini di novella al Testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale (nuovi articoli 31-bis e ss della legge regionale 5 dicembre 2008, n. 31), prevede l’istituzione della Banca della Terra Lombarda, con il fine di valorizzare il patrimonio agricolo-forestale, di promuovere i processi di ricomposizione e riordino fondiario, di recuperare ad uso produttivo le superfici agricole e forestali abbandonate, incolte o sottoutilizzate, nonché di favorire la salvaguardia del territorio. La Banca della Terra Lombarda consiste in un inventario pubblico, completo e aggiornato, dei terreni pubblici e dei terreni privati, che i proprietari o gli aventi diritto hanno dichiarato disponibili per la temporanea assegnazione ai soggetti che ne fanno richiesta.

La Regione Lombardia provvede all'assegnazione temporanea dei beni inseriti nella Banca della Terra Lombarda dichiarati disponibili, nel rispetto della normativa vigente. Il provvedimento di assegnazione specifica le condizioni necessarie per la conservazione del patrimonio agricolo-forestale e prevede, in particolare, l'uso per il quale il bene viene concesso, la durata dell'assegnazione e l'ammontare del canone che deve essere corrisposto dall'assegnatario. Gli oneri tributari e fiscali relativi ai beni in concessione gravano sul concessionario.

Anche tale legge richiama la legge n. 440/1978 e dispone che la Regione, per favorire il recupero delle aree abbandonate, contenere il degrado ambientale, salvaguardare il suolo e gli equilibri idrogeologici, limitare gli incendi boschivi, favorire l'ottimale assetto del territorio attraverso lo svolgimento delle attività agro-forestali, valorizza le terre agricole incolte, coerentemente con la tutela degli interessi sociali, economici e ambientali delle comunità locali.

Ai comuni è rimesso il censimento dei terreni incolti e abbandonati, che deve essere trasmesso alla Regione.

Decorso inutilmente il termine per l’invio, la Regione Lombardia esclude temporaneamente i comuni inadempienti da ogni trasferimento, bando o finanziamento regionali fino al momento all'effettuazione e trasmissione del censimento ai fini dell'inserimento dei terreni nella Banca della Terra Lombarda.

Anche in tal caso, i proprietari e gli aventi diritto possono chiedere, entro i termini e secondo i criteri e le modalità stabiliti dal regolamento, di coltivare direttamente i terreni allegando alla richiesta il piano di sviluppo.

Altre regioni che hanno istituito la banca della terra:

·        Molise, L.R. 05-11-2014, n. 16, Istituzione della Banca della Terra del Molise.

·        Sicilia L.R. 28-1-2014 n. 5 - Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2014. Legge di stabilità regionale. Art. 21  Banca della Terra di Sicilia e Dec.Ass. 27-2-2014, Disposizioni relative all'applicazione della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5, artt. 20 e 21.

·        Veneto, L.R. 8-8-2014 n. 26, Istituzione della banca della terra veneta.

 

Infine, a livello statale, per quanto attiene al più complessivo  processo di privatizzazioni e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, si ricorda che il programma di razionalizzazione, valorizzazione e alienazione dei beni pubblici include - ai sensi dell'articolo 66 del D.L. n. 1/2012 – anche la dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola.

Un decreto del Mipaaf – D.M. 20 maggio 2014 – adottato concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze - consente la messa in vendita o in locazione di terreni agricoli pubblici (secondo notizie MIPAAF si tratta di circa 5.550 ettari), con diritto di prelazione per la giovane imprenditoria agricola, che secondo la disciplina europea sono i giovani under 40.

In particolare, il D.M. individua i terreni coinvolti che appartengono nello specifico al Demanio (per 2480 ettari), al Corpo forestale dello Stato (2148), all’ex CRA (ora, a seguito della fusione con INEA, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria).

Ai terreni alienati o locati non potrà essere attribuita una destinazione urbanistica diversa da quella agricola prima di 20 anni dalla trascrizione dei contratti nei pubblici registri immobiliari.

Il decreto in commento si inserisce peraltro nel quadro delle misure di sostegno ai giovani in agricoltura, contenute nel D.L. n. 91/2014 come la detrazione del 19% per affitto di terreni da parte degli under 35 e la riforma delle agevolazioni a favore dei giovani agricoltori di cui al Capo III, titolo I, D.Lgs. n. 185/2000.

Tali agevolazioni consistono nella concessione di mutui agevolati a tasso zero. Vengono dunque eliminati con la riforma  i contributi a fondo perduto. I nuovi requisiti soggettivi previsti prevedono che debba trattarsi di imprese subentranti costituite da non più di sei mesi, e di imprese che esercitano l'attività agricola in via esclusiva. Dall'altro lato, però, si innalza da 39 a 40 anni il limite di età degli imprenditori giovanili.

Sono finanziabili le iniziative che prevedano investimenti non superiori a 1,5 milioni di euro nei settori della produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli.

La concessione delle agevolazioni è disposta a valere sulle risorse della delibera del CIPE n. 62 del 2 agosto 2002 e introduce la previsione che le predette disponibilità possono essere incrementate da eventuali ulteriori risorse derivanti dalla programmazione nazionale ed europea. A tale proposito, si ricorda che la legge di stabilità 2015, in Tabella E, prevede un rifinanziamento del D.Lgs. n. 185/2000 – Assegnazioni a ISMEA per imprenditorialità giovanile in agricoltura di 10 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2016-2018 (e di 108,4 milioni per le annualità 2018 e ss sino al 2030).

Alle domande di accesso alle agevolazioni presentate prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n.91/2014 si applica la disciplina previgente.

 

 


 

Articolo 11
(Modernizzazione della logistica)

L’articolo 11, introdotto durante l’esame al Senato, è volto ad inserire, a decorrere dall’anno 2015, gli interventi prioritari finalizzati alla modernizzazione delle infrastrutture logistiche del comparto agroalimentare nell’ambito delle infrastrutture e degli  insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale individuati nel Programma delle infrastrutture strategiche ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (cd. “legge obiettivo”).

Il riferimento, secondo quanto specificato nel comma 1, è in particolare agli interventi orientati alle seguenti finalità:

a) modernizzazione della rete dei mercati all’ingrosso;

b) sviluppo dei poli logistici rivolti al potenziamento dell’intermodalità;

c)  sviluppo di piattaforme innovative per l’esportazione;

d) sostituzione del trasporto su gomma con il trasporto ferroviario e marittimo;

e) implementazione di tecnologie innovative per il monitoraggio, la tracciabilità, la gestione dei traffici e l'integrazione con la rete europea.

 

Il comma 2 prevede che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti emani un decreto da adottare di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, per provvedere all’individuazione degli interventi – di cui al comma 1 - che accedono ai finanziamenti dell’Unione europea allo scopo disponibili e alle risorse finalizzate per le infrastrutture strategiche stanziate dalla legge di stabilità.

 

L’articolo in esame provvede a inserire ex lege una categoria di interventi, ossia quelli prioritari finalizzati alla modernizzazione delle infrastrutture logistiche del comparto agroalimentare, nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) di cui alla legge n. 443 del 2001.

 

Si ricorda infatti che l'art. 10, comma 8, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, dispone che in allegato al Documento di economia e finanza (DEF), da presentare entro il 10 aprile al Parlamento, venga presentato il Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) previsto dall'art. 1, comma 1, della L. 443/2001 e lo stato di avanzamento relativo all'anno precedente (cd. Allegato infrastrutture).

In merito alla procedura per l’inserimento di nuove opere nel PIS si ricorda che l'articolo 10, comma 8, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, come modificato dall'articolo 2, comma 2, della legge n. 39/2011, non ha innovato la procedura di approvazione del Programma, secondo quanto stabilito dal citato articolo 1, comma 1, della L. 443/2001, che richiede l'inserimento dell'aggiornamento del Programma nel Documento di economia e finanza "previo parere del CIPE e previa intesa della Conferenza unificata". Ciononostante, negli ultimi anni si è registrata una prassi in base alla quale sul documento trasmesso al Parlamento non sono previamente acquisiti il parere del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) e l'intesa della Conferenza unificata, che vengono invece espressi dopo la deliberazione parlamentare.

A partire dal 2011, la presentazione dei predetti allegati si è articolata in due momenti in quanto, in allegato al DEF, vengono in genere enunciate le linee guida ovvero i principali elementi di informazione da far confluire nei documenti presentati con la Nota di aggiornamento.

 

 


 

Articolo 12
(Assunzione congiunta di lavoratori)

L’articolo 12, modificando l’articolo 31, comma 3-ter, del D.Lgs. 276/2003, interviene in materia di assunzioni congiunte di lavoratori dipendenti nelle imprese agricole legate da un contratto di rete, riducendo la percentuale richiesta di presenza di imprese agricole all’interno della fattispecie contrattuale (che passa dal 50% al 40%) affinché sia possibile effettuare tali assunzioni.

 

L’articolo 31, comma 3-bis, del D.Lgs. 276/2003 ha introdotto la facoltà, per le imprese agricole appartenenti allo stesso gruppo (ai sensi dell’articolo 2359 c.c.[34], o riconducibili allo stesso proprietario o a soggetti legati da un vincolo di parentela o affinità entro il terzo grado), di procedere ad assunzioni congiunte di lavoratori dipendenti (ai fini dello svolgimento di prestazioni lavorative presso le relative aziende), prevedendo, al riguardo, una responsabilità solidale per le obbligazioni contrattuali, previdenziali e di legge conseguenti ai diversi rapporti di lavoro così costituiti. Ai sensi del successivo comma 3-ter, l’assunzione congiunta può essere effettuata anche qualora le imprese siano legate da un contratto di rete, a condizione che le imprese agricole rappresentino almeno il 50% del totale. La definizione delle modalità delle assunzioni congiunte è demandata ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

 

La disciplina del contratto di rete risulta contenuta principalmente nell’articolo 3, commi 4-ter-4-quinques del decreto-legge 5/2009, che detta alcune caratteristiche fondamentali che il contratto di rete deve assumere per essere riconosciuto come tale all'interno dell'ordinamento giuridico:

§  esso deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente trasmesso ai competenti uffici del registro delle imprese;

§  è, inoltre, soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e la sua efficacia inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte.

§  deve possedere le seguenti caratteristiche principali:

1.      lo scopo del contratto deve essere quello di accrescere la capacità innovativa e la competitività sul mercato;

2.      gli obblighi di collaborazione devono concretizzarsi in forme e in ambiti predeterminati come lo scambio di informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero l'esercizio in comune di una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa;

3.      deve essere previsto un fondo patrimoniale e un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso;

4.      può essere prevista la possibilità di acquisire soggettività giuridica.

 

 


5.        

Articolo 13
(Disposizioni per agevolare la partecipazione ai programmi di aiuto europei)

La norma in esame interviene sull'articolo 14 del D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99, il quale reca la semplificazione di un serie di adempimenti in agricoltura, ed in particolare:

·      introduce un nuovo comma 7-bis, secondo il quale le pubbliche amministrazioni, tenuto conto delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, forniscono a titolo gratuito ai soggetti richiedenti i contributi europei l’assistenza e le informazioni necessarie ed elaborano specifiche procedure di gestione delle nuove istanze che agevolino la fruizione degli aiuti, emanando a tali fini le circolari esplicative e applicative.

·      modifica il comma 8, al fine di rendere la via telematica il mezzo esclusivo (e non solo prioritario) di acquisizione da parte delle pubbliche amministrazioni di dati relativi a soggetti che esercitano attività agricola, attraverso l’utilizzo dei servizi del sistema informativo agricolo nazionale.

Il comma 8 dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 99/2004, nella sua formulazione attuale, dispone che “i soggetti di cui all'articolo 6, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 503/1999”[35], (e dunque: MIPAAF, enti e le agenzie dallo stesso vigilati, regioni e enti locali, nonché altre amministrazioni pubbliche operanti a qualsiasi titolo nel comparto agricolo e agroalimentare), nei rapporti con i soggetti che esercitano l'attività agricola hanno l'obbligo di avvalersi delle informazioni contenute nel fascicolo aziendale. La pubblica amministrazione interessata, ivi compresi gli enti pubblici economici, li acquisisce d'ufficio, prioritariamente in via telematica, utilizzando i servizi di certificazione ed i servizi di interscambio e cooperazione del SIAN. L’articolo 13 in esame intende eliminare l’avverbio prioritariamente.

Relativamente alla semplificazione delle procedure amministrative per la fruizione degli aiuti PAC e alla loro telematizzazione si richiama in questa sede il D.M. MIPAAF 12 gennaio 2015, relativo alla semplificazione della gestione della PAC 2014-2020.

Ai sensi di tale D.M., l’insieme dei documenti e delle informazioni essenziali, comuni ai diversi procedimenti amministrativi e che costituiscono il fascicolo aziendale, si configura come “documento informatico”.

Si consideri inoltre che il D.M. 12 gennaio 2015 e il successivo DM 20 marzo 2015 n. 1922 costituiscono, nella sostanza, la base normativa di avvio del «Piano Agricoltura 2.0», il quale, oltre a disporre circa un maggior coordinamento tra gli organismi pagatori, si basa, tra gli altri, sui seguenti punti fondanti:

·        la presentazione di una domanda unica precompilata per tutte le misure di sostegno dell’UE a superficie previste nel I e nel II Pilastro della PAC (art. 7 del D.M. 12 gennaio 2015);

·        a realizzazione di un’Anagrafe Unica nazionale delle aziende agricole integrata dalle Anagrafi regionali (art. 2 del D.M.) e l’istituzione di un database federato degli Organismi Pagatori (cloud) che integra e rende disponibili tutte le informazioni aggiornate su base territoriale;

·        un solo Fascicolo Aziendale (con l’unificazione del piano colturale, piano assicurativo individuale e il quaderno di campagna) (artt. 3 e ss. del D.M.);

·        la Banca dati Unica dei Certificati(antimafia, DURC).

 

 


 

Articolo 14
(Interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura)

L’articolo in esame, introdotto durante l’esame presso il Senato del provvedimento, ridisegna le competenze e le funzioni di ISA, Istituto per lo sviluppo agroalimentare, società finanziaria interamente partecipata dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, con finalità di intervento nel settore dell’agroindustria. Si intende, infatti, permettere ad ISA di operare anche nel settore della logistica su piattaforma informatica di tutti i prodotti agricoli ed agroalimentari indicati nell’Allegato I del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

 

In particolare ISA effettua finanziamenti ed assume partecipazioni in società di capitali economicamente e finanziariamente sane  che trasformano e commercializzano prodotti agricoli. ISA è iscritta nell’elenco speciale di cui all’art. 107 del T.U.B., perfezionatasi il 9 febbraio 2007 con provvedimento della Banca d’Italia.

Successivamente alla fusione per incorporazione di RIBS in Sviluppo Italia,  la legge n. 350/2003 (legge finanziaria per l’esercizio 2004) ha disposto che i fondi, le partecipazioni ed i crediti ex Ribs, fossero trasferiti da Sviluppo Italia ad una costituenda società che fosse specializzata per la gestione delle risorse derivanti dal trasferimento e quindi nei finanziamenti a supporto dell’agroalimentare italiano.

L’articolo 10 ter del Decreto Legge 30 settembre 2005 n.203 ha regolato i trasferimenti patrimoniali da Sviluppo Italia ad ISA, prevedendo il trasferimento, dei crediti in essere e delle partecipazioni ancora in carico a Sviluppo Italia S.p.A.

 

Attualmente l’Istituto opera su due canali:

-        effettuando operazioni di finanza agevolata, attraverso finanziamenti di progetti di sviluppo industriale, mediante l’erogazione di un mutuo ipotecario a tasso agevolato;

In base all’art. 23 della legge del 7 agosto 1997 n. 266, ISA può erogare aiuti di Stato ad imprese che intendono realizzare investimenti nel settore della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti agricoli purché comportino un vantaggio per i produttori di base.

Sono agevolabili i progetti industriali che prevedono la realizzazione di nuove iniziative e programmi di ampliamento, ammodernamento  e ristrutturazione di unità produttive esistenti.

Sono ammissibili gli investimenti relativi a:

-        costruzione, acquisizione o miglioramento di beni immobili;

-        acquisizione di attrezzature e macchinari nuovi di fabbrica;

-        acquisizione di programmi informatici a servizio della produzione;

-        spese generali per onorari di progettazione e studi di fattibilità;

-        investimenti per impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, entro il limite di 1 Megawatt di potenza e a condizione che l’energia prodotta sia totalmente reimpiegata nell’ambito dei processi produttivi.

L’intervento di ISA avviene con le seguenti modalità:

    partecipazione al capitale sociale, in forma minoritaria e temporanea (max 5 anni elevabili fino a 15 in presenza di produttori agricoli con una quota del capitale sociale pari ad almeno il 10%);

    finanziamento nella forma di mutuo ipotecario agevolato nelle condizioni di rientro (fino a 5 anni di pre-ammortamento e fino a 10 anni di ammortamento) e nel tasso (30% del tasso di riferimento UE).

La Delibera CIPE 65/2009 prevede che ISA possa finanziare, per un importo non superiore a 2 milioni di euro e, comunque, non superiore al 50% degli investimenti ammissibili (garantito da ipoteca di primo grado pari al 150% del finanziamento) progetti posti in essere da piccole e medie Imprese (PMI). In tale ipotesi il mutuo concesso da parte di ISA ha una durata massima di 10 anni, di cui 3 di preammortamento, a un tasso di interesse pari al 15% del tasso di riferimento, oltre ad alcune facilitazioni procedurali in sede di erogazione e successiva gestione.

 

-        svolgendo operazioni finanziarie a condizioni di mercato, tramite acquisizioni di partecipazioni di minoranza a supporto di progetti di consolidamento di imprese di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli (art. 2, comma 132 della Legge 662/96)

 

Le condizioni propedeutiche all’intervento impongono che i rendimenti attesi per la partecipazione sottoscritta ed il finanziamento erogato siano tali da potersi ritenere interessanti anche da parte di un investitore privato; inoltre, gli interventi necessitano di notifica singola alla UE.

ISA non può intervenire nella medesima azienda abbinando operazioni di finanza agevolata ed a condizioni di mercato.

La Commissione Europea ha indicato i criteri cui occorre attenersi al fine di ottenere la necessaria autorizzazione all’attuazione degli interventi:

-        la situazione finanziaria dell’impresa deve essere sana;

-        la redditività dell’intervento deve essere in linea con le performance di settore;

-        l’intervento di ISA non deve superare il valore effettivo della società;

-        l’apporto finanziario di ISA deve essere proporzionale alla partecipazione degli investitori privati;

-        l’apporto finanziario di ISA non deve essere accompagnato da un disimpegno corrispondente degli investitori privati.

 

Con il decreto 5 giugno 2006 è stato affidato all'Istituto Sviluppo Agroalimentare S.p.A. l'espletamento delle funzioni e lo svolgimento dei servizi per la gestione dell'attuazione dei “Contratti di Filiera”, secondo quanto previsto dalla Legge 14 Maggio 2005 n. 80.

I Contratti di Filiera, così come definiti dal Decreto Ministeriale 1 Agosto 2003, pubblicato nella G.U. del 29 Settembre 2003 n. 226, sono contratti tra soggetti di una specifica filiera agroalimentare ed il MIPAAF, finalizzati alla realizzazione di un programma di investimenti integrato che, partendo dalla produzione agricola, si sviluppa nei diversi segmenti della filiera agroalimentare in un ambito territoriale multiregionale.

Lo strumento, concepito per modernizzare ed integrare le filiere del Mezzogiorno, sostenendo anche il rilancio produttivo delle aree depresse del Centro-Nord del Paese, riserva alla componente agricola un ruolo di primo piano. I soggetti beneficiari sono stati i seguenti:

   le PMI anche in forma consortile e le cooperative che svolgono attività di produzione agricola e zootecnica e/o di conservazione e lavorazione di prodotti agricoli e zootecnici;

   le organizzazioni di produttori agricoli;

   le società costituite tra soggetti che esercitano l'attività agricola, nelle quali possono essere presenti anche grandi imprese (max 10% del totale);

   i consorzi di tutela.

A seguito della pubblicazione sulla G.U. delle Delibere CIPE di approvazione dei Contratti di Filiera, sono stati firmati 13 contratti tra il MIPAAF e le società interessate che coinvolgono la filiera delle carni (avicola, bovina, suinicola), dell'ortofrutta, del grano duro, del vino e florovivaistica, di queste filiere 2 hanno in seguito rinunciato ai programmi di modernizzazione e conseguentemente alle agevolazioni messe a disposizione.

Successivamente, con un secondo bando sono stati firmati altri 3 contratti riguardanti filiere dell’olio, del grano duro e delle bio energie che hanno portato a coinvolgere complessivamente 14 filiere.

Gli investimenti ammissibili previsti sono oltre 246 milioni di Euro, per un totale di agevolazioni di circa 158 milioni di Euro, per circa la metà quale contributo in conto capitale e per la parte restante quale finanziamento agevolato.

A tutto il 31 dicembre 2014 ISA ha provveduto ad erogare complessivamente circa 75 milioni di euro a 178 beneficiari di 14 filiere.

 

Per effetto delle leggi di stabilità 2012 e 2013, la Società è stata già chiamata a riversare nel bilancio statale complessivamente 25,4 milioni nel 2013, 18,1 milioni per il 2014, e 7,8 nel 2015.

Relativamente al 2012, il D.L. n. 201/2011, ha, disposto, con i commi 8-ter e 8-quater dell’articolo 30, che, entro il 31 gennaio 2012, venissero versati 47,2 milioni, invece dei 32,4 milioni, inizialmente previsti (dalla legge di stabilità 2012).

 

Il comma 2 dispone:

-      l’abrogazione della legge 19 dicembre 1983, n.700 che istituì la società RIBS S.p.A. attribuendogli compiti di intervento nel settore bieticolo-saccarifero,

-      l’abrogazione dei commi 123-bis e 132-ter della legge n. 662/1996;

Il comma 132-bis ha disposto che ISA Spa partecipa ad iniziative promosse da società, enti, fiere ed altri organismi allo scopo di predisporre studi, ricerche, programmi di promozione e di potenziamento dei circuiti commerciali dei prodotti agricoli ed agroindustriali

Il comma 132-ter ha previsto che per le finalità di cui ai commi 132 e 132-bis, ISA Spa si avvale dei propri fondi.

Non viene, invece, abrogato il comma 132 secondo il quale l'Istituto per lo sviluppo agroalimentare (ISA) Spa, nell'ambito delle operazioni di acquisizione delle partecipazioni azionarie e di erogazioni di finanziamenti a società ed organismi operanti nel settore della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, può definire condizioni compatibili con i princípi di economia di mercato e stipulare appositi accordi con i quali, tra l'altro, gli altri soci, o eventualmente terzi, si impegnano a riscattare al valore di mercato, nel termine stabilito dal relativo piano specifico di intervento, le azioni o le quote sociali acquisite

-      l’abrogazione dei commi da 1 a 4 dell’articolo 23 della legge n.266/1997

Tali disposizioni prevedono che nel quadro di intervento per il miglioramento delle condizioni di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli e zootecnici, la RIBS Spa (a cui è succeduta ISA), in attuazione degli indirizzi approvati dal CIPE e nel rispetto delle direttive impartite dal Ministro per le politiche agricole di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, predispone e approva i programmi ed i progetti specifici di intervento, comprensivi degli aspetti occupazionali, con l'indicazione dei relativi fabbisogni finanziari (comma 1).

Il comma 2 dispone che il Ministro per le politiche agricole sottopone all'approvazione del CIPE una delibera quadro contenente la determinazione dei criteri e delle modalità di intervento della RIBS Spa (oggi ISA), ai fini della sua comunicazione alla Commissione delle Comunità europee, ai sensi dell'articolo 93, paragrafo 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea.

Il Ministero per le politiche agricole verifica la rispondenza dei programmi e dei progetti ai suddetti criteri, indirizzi e direttive, anche sulla base di apposite schede di valutazione predisposte dalla RIBS Spa. La verifica deve avvenire entro sessanta giorni dalla ricezione del programma o del progetto, che divengono esecutivi, una volta decorso tale termine (comma 3).

 

-   l’abrogazione dell’art. 23 della legge n. 266/1997 che fa riferimento alle competenze di RIBS S.p.A ormai cessata dalle sue funzioni.

 


 

Articolo 15
(Delega al Governo per il riordino degli strumenti di gestione del rischio in agricoltura e per la regolazione dei mercati)

L'articolo in esame, al comma 1, contiene una delega al Governo per l’adozione di uno o più decreti legislativi di riordino degli strumenti di gestione del rischio e delle crisi in agricoltura e per la regolazione dei mercati.

La delega deve essere esercitata nel rispetto delle competenze costituzionali delle regioni e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, attraverso lo svolgimento delle procedure di concertazione con le organizzazioni di rappresentanza agricola, ai sensi dell’articolo 20 del D.Lgs. n. 228/2001[36], anche in attuazione della normativa dell’Unione europea per la politica agricola comune.

 

La delega dovrà essere esercitata secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) revisione della normativa in materia di gestione dei rischi in agricoltura, favorendo lo sviluppo di strumenti assicurativi a copertura dei danni alle produzioni, alle strutture e ai beni strumentali alle aziende agricole.

b) disciplina dei Fondi di mutualità per la copertura dei danni da avversità atmosferiche, epizoozie, fitopatie e per la tutela del reddito degli agricoltori;

 

La relazione illustrativa specifica che la delega è finalizzata ad adeguare l’attuale normativa nazionale, rappresentata dal D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 102, alla nuova programmazione dell’Unione europea per il periodo 2014-2020 e agli orientamenti dell’UE in materia di aiuti di Stato al settore agricolo e forestale. In particolare, sempre secondo la relazione illustrativa, la normativa nazionale dovrà recepire gli strumenti di gestione dei rischi previsti nel primo e nel secondo pilastro della politica agricola comune dalla nuova programmazione, quali i fondi di mutualizzazione e lo strumento per la stabilizzazione dei redditi, nonché dei nuovi rischi introdotti come ad esempio gli incidenti ambientali. Il riordino interesserà sia gli interventi ex-ante sia gli interventi ex-post compensativi.

 

Si osserva che la norma n esame più che definire principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega chiarisce l’ambito operativo della stessa, legata alla revisione degli strumenti assicurativi e all’introduzione dei Fondi di mutualità;

 

Il tema della gestione del rischio in agricoltura va assumendo negli ultimi anni sempre maggiore importanza a causa delle modifiche delle condizioni economiche, politiche ed ambientali. La riduzione del sostegno pubblico e i processi di globalizzazione impongono, infatti, alle imprese agricole, che si trovano più esposte nei confronti del rischio di mercato (sui prezzi di vendita, sui prezzi dei fattori produttivi, ecc.), una maggiore responsabilizzazione. Inoltre, la minor tutela del reddito agricolo e la maggiore esposizione ai mercati si associa a un aumento di incertezza sul rischio di produzione, dato dal contesto ambientale: i cambiamenti climatici così come sinora monitorati e ipotizzati sembrano aumentare il grado di vulnerabilità delle produzioni agricole a eventi meteorologici di maggior intensità alternati a periodi siccitosi, e a patogeni nuovi o più aggressivi che mettono a rischio le colture.

La nuova programmazione della politica agricola comune prevede strumenti di gestione dei rischi - quali i fondi mutualistici - da affiancare o integrare agli attuali fondi per assicurazioni e compensazioni, che dovranno essere recepiti dalla normativa nazionale. Il nuovo regolamento per lo sviluppo rurale 2014-2020, conferma, in particolare, l’orientamento della Commissione di prevedere nel II Pilastro della Politica Agricola Comunitaria (PAC) risorse dedicate alla gestione dei rischi in agricoltura, incluso quello del reddito[37].

La scelta operata dalla PAC 2014-2020 è dunque quella di dare agli Stati membri la possibilità di utilizzare, nell’ambito dei programmi di sviluppo rurale (secondo pilastro della PAC), risorse attraverso cui sostenere l’accesso degli agricoltori agli strumenti assicurativi e mutualistici per la gestione dei rischi.

L’opzione di utilizzare, in particolare, il secondo pilastro appare legata soprattutto alla necessità di sviluppare forme di copertura che siano coerenti con la diversità dei quadri nazionali, oltre che all’opportunità di collocare le risorse così individuate in un quadro finanziario di natura pluriannuale. Si ricorda, infatti, che le logiche guida del secondo pilastro della PAC prevedono che gli Stati membri predispongano e cofinanzino programmi pluriennali nell’ambito di un framework di misure comune.

Infatti, nel Regolamento UE 1305/2013 sul sostegno alla sviluppo rurale da parte del FEASR nel nuovo periodo 2014-2020, è contenuto un pacchetto di misure attivabili dagli SM per la gestione del rischio in agricoltura. Il sostegno del FEASR copre:

a)     i contributi finanziari agli agricoltori attivi per il pagamento dei premi di assicurazione del raccolto, degli animali e piante a fronte del rischio da avversità atmosferiche, epizoozie o fitopatie, infestazioni parassitarie o emergenza ambientale (articolo 36). Il sostegno è concesso solo per le polizze assicurative che coprono le perdite causate dai predetti fatti che distruggano più del 30% della produzione media annua dell'agricoltore nel triennio precedente o della sua produzione media triennale calcolata sui cinque anni precedenti, escludendo l'anno con la produzione più bassa e quello con la produzione più elevata (articolo 37). Il massimale dell’aiuto concedibile è pari al 65% del premio assicurativo dovuto.

b)     I contributi versati ai fondi di mutualizzazione per il pagamento di compensazioni finanziarie agli agricoltori attivi in caso di perdite economiche per avversità atmosferiche o l'insorgenza di focolai di epizoozie o fitopatie, infestazioni parassitarie o emergenza ambientale. Agli Stati membri è demandata la definizione delle regole per la costituzione e la gestione dei fondi di mutualizzazione, la concessione di pagamenti compensativi e l'ammissibilità degli agricoltori in caso di crisi e provvedono affinché i fondi prevedano sanzioni in caso di negligenza da parte dell'agricoltore. Il verificarsi degli eventi deve essere formalmente riconosciuto dall'autorità competente dello SM interessato. Il massimale concedibile è pari al 65% dei costi ammissibili(articolo 38).

c)     I contributi versati ai fondi di mutualizzazione per il pagamento di compensazioni finanziarie agli agricoltori attivi a seguito di un drastico calo di reddito. Il sostegno è concesso soltanto se il calo di reddito è superiore al 30% del reddito medio annuo del singolo agricoltore nei tre anni precedenti o del suo reddito medio triennale calcolato sui cinque anni precedenti, escludendo l'anno con il reddito più basso e quello con il reddito più elevato.

Il massimale concedibile è pari al 65% dei costi ammissibili. La Commissione deve presentare entro il 31 dicembre 2018 al Parlamento UE e al Consiglio una relazione sull'applicazione delle misure (articolo 36)[38].

 

Lo scorso 22 luglio sono stati notificati alla Commissione Europea il Programma nazionale di sviluppo rurale e quello della Rete rurale nazionale per il 2014-2020. Unitamente a questo, entro la data prevista del 22 luglio 2014, sono stati notificati alla Commissione la maggior parte dei programmi di sviluppo rurale regionali, altri PSR regionali sono stati notificati sul finire dell’anno scorso (articolo 26 e 29 Regolamento UE 1303/2013[39]). Alla data del 26 maggio 2015, la Commissione UE ha provveduto all’approvazione dei programmi di sviluppo rurale della Regione Toscana, Emilia Romagna, Veneto e della provincia autonoma d Bolzano, nonché all’approvazione del programma della Rete rurale nazionale.

I PSR italiani sono stati adottati sulla base del riparto finanziario delle risorse FEASR e del relativo cofinanziamento nazionale operato con l’Intesa del 16 gennaio 2014 in sede di Conferenza Stato-Regioni[40] Sulla base di tale intesa alla gestione del rischio è dedicato un apposito programma nazionale al quale sono state destinate risorse pubbliche (FEASR + cofinanziamento Stato) pari a 1.640 milioni di euro nel settennato di programmazione.

Secondo quanto indicato nel Programma nazionale di sviluppo rurale (PSRN) il programma “gestione del rischio” garantirà il perfezionamento e l’ampliamento del sistema di sostegno alle assicurazioni agricole agevolate attraverso strumenti più innovativi, quali i fondi di mutualizzazione e lo strumento di stabilizzazione del reddito (IST). Le sotto misure attivabili comprendono:

·        i contributi finanziari versati ai fondi di mutualizzazione per il pagamento di compensazioni finanziarie agli agricoltori in caso di perdite economiche causate da avversità atmosferiche, epizoozie, fitopatie o infestazioni parassitarie, da emergenze ambientali o da misure adottate ai sensi della direttiva 2000/29/CE per eradicare o circoscrivere una fitopatia o un'infestazione parassitaria, che distruggano più del 30% della produzione media annua dell'agricoltore nel triennio precedente o della sua produzione media triennale calcolata sui cinque anni precedenti, escludendo l'anno con la produzione più bassa e quello con la produzione più elevata[41]. La lista delle produzioni vegetali e allevamenti zootecnici assicurabili, nonché delle tipologie di eventi assicurabili a carico delle produzioni vegetali e animali, sarà stabilita nel bando attuativo di misura.

·        lo strumento di stabilizzazione del reddito che consiste nel versamento di contributi finanziari a fondi mutualistici appositamente istituiti per il pagamento di compensazioni finanziarie agli agricoltori a seguito di un drastico calo di reddito (Fondi IST). Ai fini dell’ammissibilità al sostegno pubblico, il fondo IST può erogare risarcimenti ai propri agricoltori associati soltanto se il calo di reddito è superiore al 30% del reddito medio annuo[42] del singolo agricoltore aderente rispetto ai tre anni precedenti, o del suo reddito medio triennale calcolato sui cinque anni precedenti, escludendo l’anno con il reddito più basso e quello con il reddito più elevato.

Gli indennizzi versati agli agricoltori aderenti dal fondo IST possono compensare in misura inferiore al 70% la perdita di reddito subita dal produttore nell'anno in cui quest'ultimo diventa ammissibile all'assistenza in questione.

I fondi candidati al sostegno pubblico e autorizzati dovranno presentare, in sede di domanda d’aiuto, una stima ragionevole degli accantonamenti che si aspettano di raggiungere negli anni di impegno, ovvero per un periodo di almeno 5 anni.

Il tipo di supporto consiste in contributi pubblici in conto capitale ed in conto interessi.

Il contributo concedibile è calcolato moltiplicando le aliquote contributive previste dal programma nazionale di gestione del rischio, per la tipologia di spesa ammessa[43].

 

Come afferma il PSRN, a livello nazionale non è attivo alcuno strumento analogo.

 

Si ricorda, infatti, al riguardo che, a livello nazionale opera il Fondo di solidarietà nazionale (FSN) di cui al D.Lgs. n. 102/2004, il quale ha l'obiettivo di promuovere principalmente interventi di prevenzione per far fronte ai danni alle produzioni agricole e zootecniche, alle strutture aziendali agricole, agli impianti produttivi ed alle infrastrutture agricole, nelle zone colpite da calamità naturali o eventi eccezionali, alle condizioni e modalità previste dalle disposizioni comunitarie vigenti in materia di aiuti di Stato, entro i limiti delle risorse disponibili sul Fondo stesso.

Il Fondo è in particolare destinato ad interventi di incentivo alla stipula di contratti assicurativi (interventi ex ante, disciplinati dall’articolo 2) e - per i rischi non inseriti nel piano assicurativo agricolo annuale - ad interventi di ripristino delle infrastrutture connesse all'attività agricola: interventi compensativi- indennizzatori o ex post, (articolo 1, comma 3, lettera b), nonché interventi di bonifica.

Il livello ed i criteri di ammissibilità dell’intervento statale ai sensi del D.Lgs. n. 102/2004 sono stati recentemente rivisti dal D.M. 29 dicembre 2014, alla luce della nuova disciplina europea in materia di aiuti di Stato che, per il periodo di programmazione 2014-2020, è rappresentata dal nuovo Regolamento UE n. 702/2014 e dagli orientamenti dell’UE per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale e nelle zone rurali (2014/C 204/01).

 

Il D.L. n. 51/2015, in deroga alla disciplina del Fondo sopra delineata, ha disposto che:

·        nei territori colpiti dalle avversità atmosferiche di eccezionale intensità nel corso dell’anno 2014 e fino alla data di entrata in vigore del D.L. stesso, le imprese agricole danneggiate da eventi alluvionali che non hanno sottoscritto polizze assicurative agevolate a copertura dei rischi possono accedere agli interventi compensativi del Fondo per favorire la ripresa dell’attività economica e produttiva.

·        nelle more dell’avvio dei nuovi strumenti per la gestione del rischio del Programma nazionale di sviluppo rurale (PSRN) e delle misure di ripristino del potenziale produttivo dei programmi regionali di sviluppo rurale (PSR) relativi al periodo di programmazione 2014-2020, le misure compensative di sostegno possono essere concesse anche alle imprese agricole che hanno subito danni a causa di infezioni di organismi nocivi ai vegetali nel corso degli anni 2014 e 2015, nel rispetto dei limiti consentiti dalla disciplina UE (art. 26 del Reg. UE n. 702/2014).

 

Per quanto riguarda i Fondi mutualistici, il D.Lgs. n. 102/2004 non prevede contributi pubblici per i fondi mutualistici, e l’unico riferimento riguarda la necessità che i Consorzi di difesa che attivano iniziative mutualistiche ne mantengano una gestione contabile separata (art. 12 comma 2 lettera c)[44].

Lo stesso PSRN afferma che il Fondo di solidarietà offre sostegno al pagamento di polizze assicurative complementari alle tipologie ammissibili al supporto FEASR. Il FSN interviene infatti agevolando assicurazioni sulle strutture e, nel settore della zootecnia, agevolando l’assicurazione per lo smaltimento delle carcasse (e non con un sostegno a Fondi mutualistici).

 

L’ulteriore criterio direttivo enunciato nella lettera c) dell’articolo 1 concerne revisione della normativa in materia di regolazione dei mercati con particolare riferimento alle forme di organizzazione, accordi interprofessionali e contratti di organizzazione e vendita.

 

Lo sviluppo di reti di organizzazioni interprofessionali tra produttori rappresenta un altro importante strumento per rafforzarne la posizione sul mercato e controllare le fluttuazioni di reddito provocate dall'instabilità dei mercati in periodi di crisi.

Le organizzazioni interprofessionali in agricoltura sono state inserite in un quadro definito inizialmente dalla legge n. 88/1988, che ha regolato la conclusione di accordi interprofessionali nel settore agroalimentare. Tale legge è stata successivamente abrogata dall'articolo 12 del D.Lgs. 30 aprile 1998, n. 173 e ss. modificazioni[45] che è intervenuto nuovamente sulla materia.

A sua volta, l’articolo 12 del D.Lgs. n. 173/1998 è stato recentemente abrogato dall’articolo 3 del D.L n. 51/2015 che regolamenta la materia, dando attuazione alla disciplina europea contenuta nel nuovo Regolamento UE sull’Organizzazione comune dei mercati per il periodo 2014-2020(artt. 163 e 164 del Regolamento 1308/2013 UE ).

In particolare, l’articolo 3 del D.L. n. 51, come modificato nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, disciplina la costituzione delle organizzazioni interprofessionali nel settore lattiero caseario e le condizioni per l'estensione cd. erga omnes delle regole delle organizzazioni stesse agli operatori economici cui le regole in questione sono suscettibili di applicazione.

Per il riconoscimento delle organizzazioni interprofessionali nel settore lattiero è sufficiente che l'organizzazione rappresenti almeno il 25 per cento dell'attività economica del settore.[46].

L'organizzazione deve avere una base associativa e possedere i requisiti richiesti dalla normativa UE.

Per un periodo limitato, può essere disposta dal MIPAAF, su richiesta dell'OI riconosciuta, l'estensione delle regole adottate con il voto favorevole di almeno l'85 per cento degli associati per ciascuna delle attività economiche, salvo che lo statuto disponga percentuali più elevate. L'estensione è disposta sulla base della dimostrazione da parte dell'Organizzazione interprofessionale dei requisiti di rappresentatività economica disposti dalla normativa europea (almeno i 2/3 del volume della produzione, del commercio o della trasformazione dei prodotti in questione).

Se viene disposta l'estensione delle regole, esse si applicano a tutti gli operatori del settore oggetto delle regole anche se non aderenti all'organizzazione interprofessionale e sono previste sanzioni amministrative pecuniarie per la violazione di tale obbligo.

Il provvedimento estende le disposizioni sopra commentate anche alle organizzazioni interprofessionali degli altri settori e prodotti agricoli (elencati nel paragrafo 2 dell'art. 1 del reg. 1308/2013 UE ) purché le stesse organizzazioni dimostrino di rappresentare una quota delle attività economiche pari ad almeno il 40 per cento. Se successivamente, una OI dimostra di avere una rappresentatività maggiore, si procede alla revoca della precedente e al riconoscimento di quella più rappresentativa.

 

Il comma 2 detta le disposizioni procedurali per l'adozione dei decreti legislativi, disponendo che siano adottati su proposta del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

Gli schemi di decreto legislativo, dopo l’acquisizione del parere della Conferenza permanente devono essere trasmessi alle Camere per l’acquisizione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari.

Il parere deve essere reso entro sessanta giorni dall’assegnazione alle Commissioni medesime.

Ai sensi del comma 3, nel caso in cui le Commissioni parlamentari non si siano espresse nei termini previsti,  i decreti possono comunque essere adottati.

Il comma 4 prevede la possibilità che entro due anni dall'emanazione del primo decreto dei decreti legislativi attuativi della delega, il Governo adotti decreti legislativi correttivi e integrativi.

Il comma 5 reca la clausola di invarianza finanziaria, disponendo che dall’attuazione delle disposizioni in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

 


 

Articolo 16
(Disposizioni per il sostegno della pesca sociale e lo sviluppo dei prodotti provenienti dalla filiera corta agricola e ittica)

Il comma 1 prevede che le istituzioni pubbliche che gestiscono mense scolastiche ed ospedaliere possano prevedere criteri di priorità per prodotti agricoli ed alimentari :

-         a chilometro zero;

-        provenienti da filiera corta agricola ed ittica;

-        derivanti da agricoltura biologica;

-        a ridotto impatto ambientale e di qualità

-        derivanti dalla pesca sociale.

 

Decreti emanati dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, di concerto con Ministri competenti per ciascun decreto, adottati previa intesa con la Conferenza Unificata, sono chiamati a stabilire i parametri per la definizione delle categorie di prodotti.

 

Il comma 2 prevede che i Comuni possano definire modalità idonee di presenza e di valorizzazione nei mercati agricoli di vendita diretta dei prodotti agricoli ed alimentari: a chilometro zero, provenienti da filiera corta; derivanti da agricoltura biologica; o, comunque a ridotto impatto ambientale e di qualità.

 

Si fa presente che la XIII Commissione Agricoltura ha adottato il 10 febbraio 2015 come testo base il testo unificato elaborato dal Comitato ristretto delle proposte di legge recante norme per la valorizzazione dei prodotti agricoli e alimentari provenienti da filiera corta a chilometro zero e di qualità (C. 77 Realacci, C. 1052 Caon e C. 1223 Gallinella).

 

Quanto alla previsione di specifici criteri preferenziali da inserire negli appalti pubblici concernenti mense scolastiche ed ospedaliere, si ricorda che nell'ambito della politica Integrata di Prodotto IPP, la Commissione europea nel 2003 invitava gli Stati Membri ad adottare dei Piani d'azione nazionale (COM(2003) 302), per definire l'approccio in base al quale le Amministrazioni Pubbliche avrebbero dovuto integrare i criteri ambientali in tutte le fasi del processo di acquisto, incoraggiando la diffusione di tecnologie ambientali e lo sviluppo di prodotti validi sotto il profilo ambientale, attraverso la ricerca e la scelta dei risultati e delle soluzioni che hanno il minore impatto possibile sull'ambiente.

L'Italia ha accolto quest'indicazione con la Legge n. 296/2006 (art. 1, comma 1126) ed ha adottato, con il D.M. 11 aprile 2008 del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, di concerto con i Ministri dell'Economia e delle Finanze e dello Sviluppo Economico, il "Piano d'Azione per la sostenibilità dei consumi nel settore della Pubblica Amministrazione (PAN GPP)". Il Piano d'azione è stato recentemente aggiornato con D.M. 10 aprile 2013, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 102 del 3 maggio 2013. Il Piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi della pubblica amministrazione è lo strumento attraverso il quale è possibile massimizzare la diffusione del GPP, i cosiddetti Acquisti Verdi. Il PAN GPP prevede che il Ministero dell'Ambiente definisca i "Criteri Ambientali Minimi" (CAM) (decreto del Ministro dell'ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare 25 luglio 2011, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 220 del 21 settembre 2011) i quali rappresentano il punto di riferimento a livello nazionale in materia di acquisti pubblici verdi e che potranno essere utilizzati dalle stazioni appaltanti.

Per quanto riguarda le specifiche tecniche di base riguardanti la produzione di alimenti e bevande è previsto nel decreto che “Frutta, verdure e ortaggi, legumi, cereali, pane e prodotti da forno, pasta, riso, farina, patate, polenta, pomodori e prodotti trasformati, formaggio, latte UHT, yogurt, uova, olio extravergine debbano provenire:

-   per almeno il 40% espresso in percentuale di peso sul totale, da produzione biologica;

-   per almeno il 20% espresso in percentuale di peso sul totale, da “sistemi di produzione integrata”, da prodotti IGP DOP e STG – come riportato nell’Elenco delle denominazioni italiane, iscritte nel Registro delle denominazioni di origine protette, delle indicazioni geografiche protette e delle specialità tradizionali garantite e da prodotti tipici e tradizionali, compresi negli elenchi nazionali, regionali e provinciali previsti dagli articoli 2 e 3 del Decreto del Ministro per le Politiche Agricole 8 settembre 1999, n. 350.

Per quanto riguarda le uova, la quota non proveniente da allevamenti biologici, deve provenire da allevamenti all’aperto. I prodotti ortofrutticoli devono essere stagionali, rispettando i “calendari di stagionalità” definiti da ogni singola stazione appaltante. Per prodotti di stagione si intendono i prodotti coltivati in pieno campo.

La carne deve provenire:

-   per almeno il 15% in peso sul totale, da produzione biologica

-   per almeno il 25% in peso sul totale, da prodotti IGP e DOP – come riportato nell’Elenco delle denominazioni italiane, iscritte nel Registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette – e da prodotti tipici e tradizionali, compresi negli elenchi nazionali, regionali e provinciali previsti dagli articoli 2 e 3 del Decreto del Ministro per le Politiche Agricole 8 settembre 1999, n. 350.

Il pesce deve provenire,

-        per almeno il 20%, espresso in percentuale di peso sul totale, da acquacoltura biologica, o pesca sostenibile (rispettando i criteri della certificazione MSC - Marine Stewardship Council od equivalenti).

 

Si ricorda inoltre che in data 29 aprile 2010 è stata raggiunta in Conferenza Unificata una Intesa sulle linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n.131 (Rep. n. 2/CU del 29 aprile 2010-SALUTE). L’intesa ha ad oggetto gli aspetti relativi ai ruoli e responsabilità nella materia, gli aspetti nutrizionali connessi al rispetto delle indicazioni dei Livelli di Assunzione Giornaliera Raccomandati di Nutrienti per la popolazione italiana (LARN), nonché i criteri e le indicazioni per la definizione del Capitolato. Nell’Intesa, in particolare, si evidenzia che l’obiettivo è un organico rapporto qualità prezzo e, per la valutazione della qualità dell’offerta, l’Intesa già suggerisce, tra le altre, le seguenti priorità:

·        alimenti a filiera corta

·        alimenti DOP, IGP STG e altre connotazioni locali

·        utilizzo dei prodotti alimentari a ridotto impatto ambientale (alimenti provenienti da produzione biologica e produzione integrata)

·        prodotti del mercato equo e solidale per alimenti non reperibili nel mercato locale.

Il comma 1 fa salvo quanto stabilito dall'ultimo periodo dell'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, in tema di procedure di acquisto centralizzato di beni e servizi da parte della P.A.

 

L'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 95 reca, al primo periodo, norme sulle conseguenze derivanti dal mancato rispetto delle procedure di acquisto centralizzato di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione, prevedendo la nullità e la responsabilità erariale e disciplinare per i contratti stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionamento tramite gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A.. L'ultimo periodo del medesimo comma, richiamato dalle disposizioni in esame, stabilisce che la disposizione del primo periodo non si applica alle Amministrazioni dello Stato quando il contratto sia stato stipulato ad un prezzo più basso di quello derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A., ed a condizione che tra l'amministrazione interessata e l'impresa non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza.

 

Il comma 2 in esame pone in capo ai comuni la definizione di idonee forme di presenza e di valorizzazione sui mercati agricoli di vendita diretta dei prodotti oggetto delle presenti disposizioni - prodotti da agricoltura sociale, a chilometri zero dalla filiera corta, di ridotto impatto ambientale e di qualità - previa richiesta degli operatori del settore, nel rispetto delle norme sui mercati agricoli di vendita diretta di cui al decreto MIPAAF 20 novembre 2007.

 

Il D.M. 20 novembre 2000 attua quanto previsto dall'articolo 1, comma 1065, della legge finanziaria del 2007 (legge n. 296 del 2006) che demanda a decreto ministeriale la definizione di requisiti uniformi e di standard per la realizzazione di mercati agricoli di vendita diretta, anche in riferimento alla partecipazione degli imprenditori agricoli, alle modalità di vendita e alla trasparenza dei prezzi, nonché le condizioni per poter beneficiare degli interventi previsti dalla legislazione in materia.

 

Si ricorda che la Corte costituzionale si è pronunciata da ultimo, con le sentenze n. 209 e n. 292 del 2013 sulla legittimità costituzionale, rispettivamente, della legge della regione Basilicata 13 luglio 2012, n.12, recante norme per orientare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli di origine regionale a chilometri zero) e della regione Puglia 13 dicembre 2012, n.43 recante norme per il sostegno dei gruppi di acquisto solidali (GAS)e per la promozione dei prodotti agricoli da filiera corta, a chilometro zero, di qualità.

Nel primo caso la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della regione Basilicata in quanto intervenuta su materia di competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lett. e) Cost). Nelle motivazioni la Consulta chiarisce che la legge in esame non fornisce alcuna definizione dei prodotti a chilometro zero, limitandosi nella sostanza ad incentivare il consumo di prodotti di origine regionali come tali, indipendentemente dall’ubicazione del luogo di produzione o dalla presenza di particolari qualità dei prodotti. A fronte della genericità della definizione contenuta nell’art. 1, comma 1, della medesima legge – definizione che aveva riguardo alla sola natura del prodotto, e non già alla distanza tra luogo di produzione e luogo di consumo – il riferimento ai prodotti «a chilometri zero» rimaneva, peraltro, privo di una concreta valenza selettiva, distinta e ulteriore rispetto a quella insita nel predicato «di origine regionale». In questa prospettiva, la norma censurata veniva, dunque, ad imporre all’amministrazione appaltante un criterio di scelta del contraente chiaramente idoneo ad alterare la concorrenza, incentivando gli imprenditori ad impiegare prodotti provenienti da una certa area territoriale (quella lucana) a discapito di prodotti con caratteristiche similari, ancorché provenienti da aree poste a distanza uguale o minore dal luogo di consumo (come poteva avvenire, in specie, ove il consumo avvenisse in zone limitrofe ad altre Regioni). La Corte ha, quindi, dichiarato viziate di incostituzionalità sia la norma secondo la quale l’utilizzo di prodotti agricoli di origine lucana costituisce titolo preferenziale per l’aggiudicazione di appalti pubblici di servizi o di forniture di prodotti alimentari ed agroalimentari destinati alla ristorazione collettiva; sia la disposizione che impone ai comuni di riservare agli imprenditori agricoli lucani che esercitano la vendita diretta il 20% del totale dei posteggi nei mercati al dettaglio, sia, infine, la norma che ha istituito un contrassegno per le imprese di ristorazione che operano in regione in relazione all’acquisto di prodotti agricoli idi origine regionale, per una quota pari ad alimento il 30 per cento.

Con la sentenza n. 292 del 2013 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione combinata degli artt. 3, comma 1, lettera c) e 4, comma 5, della legge regionale pugliese, nella parte in cui include tra i prodotti la cui utilizzazione garantisce priorità nell’affidamento dei servizi di ristorazione collettiva da parte degli enti pubblici anche i prodotti della produzione agricola "a chilometri zero". Con la stessa sentenza, poi, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcune norme della legge della Regione Puglia 13 dicembre 2012, n. 43 - recante «Norme per il sostegno dei Gruppi acquisto solidale (GAS) e per la promozione dei prodotti agricoli da filiera corta, a chilometro zero, di qualità» - nella parte in cui include tra i prodotti (la cui utilizzazione garantisce priorità nell’affidamento dei servizi di ristorazione collettiva da parte degli enti pubblici) anche i prodotti trasportati all’interno del territorio regionale, a prescindere dal livello delle emissioni di anidride carbonica equivalente connesse a tale trasporto. In sintesi, gli utilizzatori di prodotti di origine pugliese avrebbero fruito di un trattamento preferenziale nell’aggiudicazione degli appalti in questione, indipendentemente dal livello di emissione di gas nocivi che il loro trasporto comportava. Anche in tal caso l’alterazione della concorrenza viene in rilievo come ragione di contrasto della normativa regionale impugnata con il diritto dell’Unione europea e, dunque, di violazione del precetto di cui al primo comma dell’art. 117 Cost..

È in proposito interessante come sia stata confutata la difesa della Regione che aveva sottolineato come le merci di provenienza locale non esaurirebbero il fabbisogno della ristorazione collettiva, la quale dovrebbe comunque attingere anche ad altri prodotti agroalimentari con diversa provenienza. Risulta, infatti, secondo quanto precisato nella sentenza n. 292 “dirimente, infatti, il rilievo che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, un provvedimento nazionale non si sottrae al divieto di cui agli artt. 34 e 35 del TFUE per il solo fatto che l’ostacolo è di scarsa importanza e che esistono altre possibilità di scambio del prodotto importato (sentenza 14 marzo 1985, C-269/83, Commissione contro Francia; sentenza 5 giugno 1986, C-103/84, Commissione contro Italia). Inoltre, un provvedimento nazionale può costituire una misura ad effetto equivalente anche se è applicabile ad un’area limitata del territorio nazionale (sentenza 3 dicembre 1998, C-67/97, Bluhme)".

 

 

 


 

Articoli 17-24
(Disposizioni in materia di prodotti derivati dalla trasformazione del pomodoro)

Il Capo I del Titolo IV- Disposizioni relative a singoli settori produttivi- è dedicato all’introduzione di nuove disposizioni in materia di prodotti derivanti dalla trasformazione del pomodoro. Il capo si compone di 8 articoli recanti rispettivamente:

-        la definizione dell’ambito di applicazione (art. 17);

-        la definizione dei prodotti (art. 18);

-        i requisiti dei prodotti (art. 19);

-        l’etichettatura ed il confezionamento (art. 20);

-        le sanzioni (art. 21);

-        le abrogazioni (art. 22);

-        la clausola di mutuo riconoscimento (art. 23).

 

Le disposizioni ivi contenute riprendono quanto contenuto nel DDL A.S. 3462 approvato in Consiglio dei Ministri ed esaminato dalla 9 Commissione del Senato nella XVI Legislatura.

Nella relazione illustrativa al disegno di legge si leggeva che l’intervento normativo era finalizzato ad aggiornare la disciplina vigente rispetto all’evoluzione legislativa europea; al riguardo veniva ricordato che in base al passato regime di aiuti ai prodotti trasformati a base di pomodoro, (regolamento (CE) n. 2201/96 del Consiglio, del 28 ottobre 1996) era prevista l'erogazione di un aiuto alle organizzazioni di produttori (articolo 4), basato sulla quantità di prodotto conferito all'industria per la produzione di prodotti trasformati (cosiddetto aiuto accoppiato alla produzione).

Tale aiuto era concesso solo a condizione che il prodotto ottenuto dalla trasformazione rispondesse a determinate definizioni e requisiti minimi, così come stabiliti all'articolo 2 del regolamento (CE) n. 1535/2003 della Commissione, del 29 agosto 2003, applicativo del regolamento (CE) n. 2201/96. Dieci tipologie di prodotti derivati dal pomodoro, tra cui i pomodori pelati e i concentrati da pomodoro, erano interessate dalle definizioni e dai requisiti minimi di cui al citato articolo 2 del regolamento (CE) n. 1535/2003. Le organizzazioni di produttori erano obbligate a stipulare contratti con le industrie di trasformazione, le quali dovevano dimostrare di aver trasformato il pomodoro in uno dei prodotti elencati all'articolo, nel rispetto delle caratteristiche qualitative definite dallo stesso articolo. Il regolamento (CE) n. 1182/07 del Consiglio, del 26 settembre 2007, con l'articolo 48, paragrafo 2, ha abrogato il regime di aiuti previsto dal regolamento (CE) n. 2201/96 e con l'articolo 52, paragrafo 1, ha modificato l'articolo 33 del regolamento (CE) n. 1782/03 del Consiglio, del 29 settembre 2003, che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell'ambito della politica agricola, inserendo il pomodoro da industria nel regime del pagamento unico disaccoppiato, che consiste nell'erogare un aiuto ai singoli produttori agricoli, non più accoppiato, cioè legato alla produzione, ma disaccoppiato, vale a dire legato soltanto ai diritti storicamente acquisiti dall'azienda in base alla attività svolta in un determinato periodo di riferimento.

Lo stesso regolamento (CE) n. 1182/07, con l'articolo 52, paragrafo 13, ha anche introdotto l'articolo 68-ter nel medesimo regolamento (CE) n. 1782/03 (ora articolo 54 del regolamento (CE) n. 73/09 del Consiglio, del 19 gennaio 2009)(1) , per consentire agli Stati membri di adottare un periodo transitorio massimo di cinque anni, durante il quale continuare ad erogare aiuti accoppiati sulla base della superficie investita e con l'articolo 55, paragrafo 6 (ora articolo 203-bis, paragrafo 6, del regolamento (CE) n. 1234/2007), stabilendo che per tutto il periodo transitorio adottato dallo Stato membro restano in vigore le definizioni e le caratteristiche qualitative minime definite in applicazione dell'articolo 6 del regolamento (CE) n. 2201/96. Tali sono, appunto, quelle stabilite al più volte citato articolo 2 del regolamento (CE) n. 1535/2003.

Con il decreto ministeriale 22 ottobre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 289 del 13 dicembre 2007, è stato previsto un regime transitorio, nella misura di tre anni, che si è concluso il 31 dicembre 2010. Conseguentemente, dal 1º gennaio 2011, tutte le superfici coltivate a pomodoro da industria sono state trasferite nel regime degli aiuti del pagamento unico disaccoppiato.

Con la fine del periodo transitorio, pertanto, sono decadute anche le definizioni e le caratteristiche qualitative dei prodotti trasformati del pomodoro, di cui al richiamato articolo 2 del regolamento (CE) n. 1535/2003,

La fine dell'applicabilità delle norme tecniche in questione ha determinato un vuoto normativo in materia, che, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa del disegno di legge A.S. 3462, deve essere colmato per consentire all'industria italiana di poter continuare ad operare, garantendo la qualità dei prodotti anche in assenza di aiuti, in quanto la mancanza di una normativa tecnica determina una grande incertezza per l'industria agroalimentare, nelle attività economiche legate alla produzione di questi prodotti.

 

Il comma 1 dell’articolo 17 definisce l'ambito di applicazione delle disposizioni relative al capo I del titolo IV (artt. 15-22) rinviando all’articolo 18 la definizione dei prodotti derivanti dalla trasformazione del pomodoro fabbricati in Italia.

Il comma 2 stabilisce l’obbligo di corrispondenza tra le denominazioni di vendita utilizzate in etichetta ed i requisiti richiesti ai medesimi prodotti, così come definiti dall’articolo 18

 

L'articolo 18 reca una definizione dei prodotti derivati ottenuti dalla lavorazione dei pomodori freschi (Solanum lycopersicum L.), sani e maturi di qualsiasi varietà, forma e dimensione, sottoposti ad una adeguata stabilizzazione e confezionati in contenitori idonei.

Vengono classificati in:

·        conserve di pomodoro; si distinguono in:

1)     pomodori non pelati interi;

2)     pomodori pelati interi;

3)     pomodori in pezzi

concentrato di pomodoro;

·         concentrato di pomodoro;

·         passata di pomodoro;

·         pomodori disidratati che si distinguono in :

1)     pomodori in fiocchi o fiocchi di pomodoro;

2)     polvere di pomodoro

3)     pomodoro semi-dry o semi secchi.

 

Si rammenta che l’articolo 1 comma 4 del decreto legge n. 157/2004 aveva demandato ad un decreto ministeriale la definizione delle modalità e dei requisiti perché nelle etichette comparisse la indicazione del luogo di origine e provenienza del prodotto “passata di pomodoro”, che il comma 3 del medesimo art. 4 definisce “prodotto ottenuto dalla spremitura diretta del pomodoro fresco” onde evitare che con tale definizione fosse posto in vendita il prodotto ottenuto per diluizione del concentrato di pomodoro. Il D.M. 17 febbraio 2006 impone che sia indicata in etichetta la zona di coltivazione del pomodoro fresco utilizzato per la produzione della passata di pomodoro

Tra le definizioni dei prodotti è stata altresì eliminata la definizione di "succo di pomodoro", in ossequio a quanto contemplato dalla direttiva 2012/12/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 aprile 2012:

 

L’articolo 19, comma 1, stabilisce che i requisiti qualitativi minimi, i criteri di qualità dei prodotti definiti all'articolo 18 e gli ingredienti siano definiti con decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, emanato di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previo parere della Conferenza Stato-Regioni, e previo esito positivo della procedura di informazione di cui alla direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998 (che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione). Il decreto dovrà essere adottato entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

Ai sensi del comma 2, i prodotti che non raggiungono i requisiti minimi fissati dal decreto, possono essere rilavorati, per ottenere prodotti che siano conformi alle caratteristiche prescritte, e previa l'autorizzazione dell'autorità sanitaria competente per territorio, che adotta le misure di vigilanza che ritiene necessarie.

 

La rilavorazione attiene essenzialmente al concentrato di pomodoro, che è spesso oggetto di un regime doganale favorevole definito TPA (traffico di perfezionamento attivo) o “temporanea importazione”. La procedura prevede che una merce proveniente da un Paese extracomunitario sia rilavorata, in Italia (o in un altro paese europeo), per poi essere esportata verso un paese terzo.

 

L’articolo 20, comma 1, assoggetta i prodotti derivanti dalla trasformazione del pomodoro alle disposizioni stabilite dalla normativa europea e nazionale in materia di etichettatura e informazione sugli alimenti ai consumatori.

 

I principali riferimenti nella normativa europea in materia sono il regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che ha modificato regolamenti e direttive preesistenti, e la Direttiva 13 dicembre 2011, n. 2011/91/UE, relativa alle diciture o marche che consentono di identificare la partita alla quale appartiene una derrata alimentare. A livello nazionale, si possono indicare invece la legge 30 aprile 1962, n. 283 e successive modificazioni, recante una disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, ed il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, concernente l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari. Circa le sanzioni previste dall'ordinamento italiano per il commercio di cibi e bevande nocivi alla salute, si veda l'articolo 444 del codice penale.

 

Il primo periodo del comma 2 dell'articolo in esame prevede che i prodotti in questione siano confezionati in modo tale da assicurare la conservazione dei medesimi ed il mantenimento dei requisiti prescritti dal decreto previsto dall’art. 19. Ai sensi del secondo periodo del medesimo comma i prodotti, se non sono confezionati direttamente nei contenitori destinati alla vendita, vanno conservati in recipienti atti a preservarne i requisiti prescritti.

 

L’articolo 21 dispone, salvo che il fatto costituisca reato, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione delle disposizioni in materia di requisiti, etichettatura e confezionamento di cui al Capo I (articoli da 17 a 24). L’entità della sanzione viene fatta dipendere nella sostanza dal volume di produzione oggetto dell’infrazione ed è così disposta:

a) da 3.000 a 18.000 euro se riferita a lotti di produzione non superiore a 60.000 pezzi;

b) da 9.000 a 54.000 euro se riferita a lotti di produzione superiori a 60.000 pezzi.

 

La disciplina generale sulle sanzioni amministrative pecuniarie è dettata dalla legge 689/1981. L’art. 10 prevede che la sanzione amministrativa consiste nel pagamento di una somma non inferiore a euro 10 e non superiore a euro 15.000. Le sanzioni proporzionali non hanno, invece, limite massimo. Fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge, il limite massimo della sanzione amministrativa pecuniaria non può, per ciascuna violazione, superare il decuplo del minimo.

Tale disciplina, derivando da una legge ordinaria, può in ogni momento essere derogata da una successiva fonte di pari grado.

 

Le sanzioni qui in esame vanno a sostituire quelle meno afflittive previste dall’articolo 6 del D.M. 23 settembre 2005 (pubblicato in G.U. 232 del 5 ottobre 2005), articolo che viene abrogato dalla lettera c), comma 1, dell’articolo 22.

In base al principio generale sull’irretroattività delle disposizioni che introducono sanzioni amministrative (art. 1, L. 689/1981), anche se più favorevoli (v., tra le altre, Cassazione civile, sent. n. 944 del 2010; Cassazione civile, sez. lavoro, sent. n. 1105 del 2012), nei procedimenti in corso per le violazioni del DM 23 settembre 2005 alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame si applicherà la disciplina sanzionatoria di cui all’abrogato art. 6 dello DM.

 

L’articolo 6 dispone attualmente che - per le violazioni delle norme sulle condizioni d'uso della denominazione di vendita «passata di pomodoro» di cui all’articolo 1 del medesimo D.M. e per le violazioni delle norme sul mutuo riconoscimento di cui all’articolo 5 dello stesso D.M. – trovino applicazione le sanzioni amministrative pecuniarie previste dall'articolo 18, commi 2 e 3, del D.Lgs. n. 109/1992 (quanto alle successive modificazioni, si segnala che il D.Lgs. n. 109/1992 va ora letto, ai fini della sua applicazione ed in attesa di una sua armonizzazione con la normativa UE, in combinato con il regolamento UE 1169/2011 sull’etichettatura dei prodotti alimentari, operativo dal dicembre scorso).

Il comma 2 dell’articolo 18 del D.Lgs. n. 109/1992, in particolare, prevede l’applicazione di una sanzione da milleseicento a novemilacinquecento euro per le violazioni circa le indicazioni che devono essere contenute nei prodotti preconfezionati e le violazioni in materia di data di scadenza del prodotto e in materia di modalità di indicazione delle menzioni obbligatorie dei prodotti preconfezionati.

Mentre, il comma 3, dispone che la violazione delle disposizioni dei restanti articoli 4, 5, 6, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 15, 16 e 17 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro seicento a euro tremilacinquecento.

 

Contestualmente, il comma 2 dell’articolo 21 dispone che le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal comma 1 trovino applicazione anche con riferimento alla passata di pomodoro di cui al D.M. 23 settembre 2005, che l’art. 18, co. 1, lett. c) del disegno di legge fa rientrare tra i derivati del pomodoro.

 

Il D.M. 23 settembre 2005 contiene la definizione di passata di pomodoro. In particolare, l’articolo 1 dispone che la  denominazione di vendita «Passata di pomodoro» è riservata al  prodotto ottenuto direttamente da pomodoro fresco, sano e maturo, avente  il colore, l'aroma ed il gusto caratteristici del frutto da cui proviene, per spremitura, eventuale separazione di bucce e semi e parziale  eliminazione dell'acqua di  costituzione  in  modo che il residuo ottico rifrattometrico risulti compreso tra 5 e 12 gradi Brix, con una tolleranza di 3%, al netto del sale aggiunto. Tale decreto definisce altresì i requisiti necessari per poter commercializzare il prodotto denominato "passata di pomodoro".

 

Si osserva come una più corretta formulazione potrebbe far riferimento all’applicazione delle sanzioni di cui al comma 1 “con riferimento alle violazioni del decreto del Ministro delle attività produttive 23 settembre 2005”.

 

Il comma 3 indica il Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione delle frodi dei prodotti agroalimentari del MIPAAF quale autorità competente ad irrogare le sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’articolo in esame.

L’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro alimentari (ICQRF) è il Dipartimento del MIPAAF deputato a svolgere i controlli per la tutela della qualità merceologica, la genuinità dei prodotti e la loro identità: 12 sono gli Uffici territoriali con 17 sedi distaccate, 4 sono i laboratori di analisi con una sede distaccata. Nel corso dei controlli vengono controllate: la conformità dei processi produttivi; la regolare tenuta della documentazione ufficiale; la correttezza e veridicità delle informazioni riportate nell'etichetta[47].

L’ICQRF è uno dei maggiori organi erogatori di sanzioni amministrative pecuniarie dell’agroalimentare italiano. L’attività sanzionatoria dell’IRQF è riassunta nella tabella che segue – tratta dal Relazione sull’attività svolta dall’ICQRF nel 2014- dove, per ciascun settore, sono indicati numero e importo delle ordinanze ingiunzioni emesse nel 2014.

La Relazione evidenzia inoltre tra i principali illeciti accertati dall’IRQF nel 2014 la commercializzazione di conserve di pomodoro con requisiti difformi dai limiti di legge, la presenza di principi attivi in conserve di pomodoro dichiarate da agricoltura biologica, la detenzione per la vendita di passata di pomodoro priva dell’indicazione della zona di produzione e del paese d’origine, la vendita di conserve di pomodoro aventi contenuto di muffe superiore ai limiti di legge.

 

L’articolo 22 prevede, alla lettera a) e b) l’abrogazione della legge 10 marzo 1969, n. 96, recante l’istituzione di un controllo qualitativo sulle esportazioni di pomodori pelati e concentrati di pomodoro ed estensione di determinate norme ai medesimi prodotti destinati al mercato interno, e il relativo regolamento di esecuzione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 aprile 1975, n. 428, ferme restando le disposizioni transitorie contenute nel successivo articolo 24.

 

Si tratta di norme che si intende abrogare in quanto in conflitto con la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità.

 

L’articolo 23 prevede la clausola del mutuo riconoscimento, secondo quanto disposto dalla comunicazione interpretativa della Commissione europea pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea C/265 del 4 novembre 2003, la quale garantisce ai prodotti provenienti da un altro Stato membro dell’Unione europea o da Paesi limitrofi aderenti ad appositi accordi multilaterali (Associazione europea di libero scambio, parte contraente dello Spazio economico europeo), di poter essere commercializzati in Italia senza restrizioni.

 

Va, altresì, ricordata la normativa recante misure specifiche nel settore dell’agricoltura a favore delle regioni ultraperiferiche dell’Unione, che prevede l’introduzione di un simbolo grafico per promuovere la conoscenza e il consumo di prodotti agricoli di qualità, naturali o trasformati, tipici delle regioni ultraperiferiche. L’uso del simbolo è controllato da organismi designati dalle autorità nazionali ed è soggetto a condizioni stabilite dalle organizzazioni commerciali interessate. I prodotti agricoli che possono recare il simbolo devono rispondere a requisiti definiti in riferimento a normative UE o, in mancanza di queste, a norme internazionali.

Ulteriori requisiti specifici per i prodotti originari delle regioni ultraperiferiche possono essere adottati, se necessario, su proposta delle organizzazioni commerciali rappresentative.

 

L’articolo 24, stabilisce, al comma 1 che tutti i prodotti etichettati, conformemente alla normativa previgente, possono essere commercializzati entro il termine di conservazione indicato in etichetta.

Il comma 2 dispone che gli articoli 1, 2, 3, e 6 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 aprile 1975, n. 428, si applichino fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 19, comma 1, della presente legge.

Il comma 3 sancisce che le Amministrazioni interessate provvedono ad attuare gli adempimenti previsti dal presente capo nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Il comma 4 richiama la procedura di informazione di cui alla direttiva 98/34/CE alla quale la emananda normativa deve essere sottoposta, trattandosi di «normativa tecnica». La direttiva prevede una procedura che obbliga gli Stati membri a notificare immediatamente alla Commissione europea ogni progetto di regola tecnica relativa a prodotti e a servizi della società dell’informazione, prima che sia introdotta nell’ordinamento nazionale. A norma dell'articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 98/34/CE, l'emanazione di un parere circostanziato obbliga lo Stato membro che ha elaborato il progetto di regola tecnica a rinviarne l'adozione di sei mesi dalla data della notifica; a norma della suddetta disposizione, lo Stato membro destinatario di un parere circostanziato è obbligato a informare la Commissione dell'azione che intende intraprendere in conseguenza del parere.

 

 


 

Articolo 25
(Delega al Governo per il sostegno del settore del riso)

L'articolo 25 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il sostegno del prodotto ottenuto dal riso greggio commercializzato con la dicitura "riso".

La delega deve essere esercitata entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento sulla base dei principi e criteri direttivi seguenti:

a) salvaguardia delle varietà tipiche del riso italiano e indirizzi sul miglioramento genetico delle varietà in costituzione;

b) valorizzazione della produzione con particolare riferimento al territorio in cui è praticata la produzione risicola;

c)  tutela del consumatore, con particolare attenzione alla trasparenza delle informazioni e denominazioni di vendita del riso;

d) istituzione di un registro delle nuove varietà gestito dall'Ente nazionale risi;

e) disciplina delle sanzioni per violazione delle norme contenute nel decreto legislativo stesso e individuazione dell'autorità competente all’irrogazione delle sanzioni all'interno del MIPAAF;

f)  definizione di uno o più allegati tecnici finalizzati all'individuazione delle varietà che possono fregiarsi della denominazione di vendita, e delle caratteristiche qualitative per riso e riso parboiled, con indicazione dei valori massimi riconosciuti, dei gruppi merceologici e delle caratteristiche qualitative, nonché dei metodi utilizzati per il riconoscimento di tali caratteristiche. Gli allegati tecnici sono modificabili con decreto del MIPAAF.

g) abrogazione della legge 18 maggio 1958, n. 325 recante "Disciplina del commercio interno del riso" entro un anno dall'entrata in vigore del primo dei decreti legislativi delegati, con una norma transitoria relativa all'esaurimento delle scorte confezionate ai sensi delle disposizioni abrogate.

 

La legge 18 marzo 1958, n. 325 attualmente dispone, all’articolo 1, che il nome di riso è riservato al prodotto ottenuto dalla lavorazione del risone con completa asportazione della lolla e successiva operazione di raffinatura (comma 1)[48]. Le varietà di risone e di riso sono classificate nei seguenti gruppi:

a) comune o originario;

b) semi fino;

c) fino;

d) superfino.

La medesima legge ha demandato ad un decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali (da adottarsi di concerto con il Ministro dello sviluppo economico) di determinare la denominazione delle varietà di risone e delle corrispondenti varietà di riso, che formano parte integrante della denominazione di vendita e le caratteristiche di ciascuna varietà con la indicazione delle tolleranze consentite e dei relativi limiti. Il decreto deve essere annualmente pubblicato entro il 30 novembre (articolo 2).

Il D.M. 15 ottobre 2014 reca la Denominazione delle varietà di risone e delle corrispondenti varietà di riso, per l'annata agraria 2014/2015.

La legge vieta qualsiasi trattamento del riso con agenti chimici o fisici o con l'aggiunta di qualsiasi sostanza che possa modificarne il colore naturale o comunque alterarne la composizione naturale (articolo 3) [49] Vieta vendere, porre in vendita o immettere al consumo per l'alimentazione umana:

a)  miscele di risi superfini, fini, semi fini e comuni o originari; per i primi tre gruppi è vietata la miscela di varietà anche se appartenenti allo stesso gruppo, tranne che per casi specifici[50];

b)  riso scondizionato o alterato o tale da non essere adatto all'alimentazione umana;

c)  col nome di riso, o con riferimento a varietà dello stesso, il risetto, anche se contenente riso nella misura del 70%. Tale prodotto può essere venduto solo con la denominazione di «Risetto», da apporre apposta sulle confezioni e sui cartellini (con caratteri non inferiori ad 1 cm) (articolo 4)[51].

Qualora il riso sia posto in vendita preconfezionato in imballaggi chiusi all'origine, oltre alle indicazioni previste dalle norme in materia di etichettatura, sulle confezioni deve essere indicata la varietà e può essere indicato il gruppo di appartenenza.

È consentita l’indicazione di «Riso extra» per quei risi aventi difetti ed impurità non superiori ad un terzo delle tolleranze stabilite con decreto. L’indicazione deve essere però sempre accompagnata dalle denominazioni obbligatorie e non deve essere espressa in caratteri più grandi o più appariscenti[52].

Le varietà di riso non comprese fra quelle indicate nel D.M. 15 ottobre 2014, devono essere poste in vendita come appartenenti al gruppo comune o originario.

Sono tollerate denominazioni locali o di fantasia, purché riportate con caratteri di dimensioni non superiori a quelli delle diciture obbligatorie e sullo stesso verso su cui figurano le diciture stesse. Non vietate indicazioni diverse da quelle indicate e sono vietate le indicazioni o figurazioni tali da indurre in errore l'acquirente (articolo 5)[53].

La legge, per quanto non espressamente da essa previsto rinvia all’osservanza delle norme contenute nel R.D. n. 2033/1925, nonché del relativo regolamento R.D. n. 1361/1926 (articolo 8). Nel caso in cui agli effetti giudiziari od amministrativi della legge, occorra una revisione dell'analisi, vengono richiamati per l’esame i seguenti Istituti:

1) Stazione sperimentale di risicoltura di Vercelli, per le analisi eseguite dagli Istituti delegati dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste;

2) Istituto superiore di sanità, per quelle eseguite dai Laboratori provinciali d'igiene e profilassi, per quanto ha riferimento alle disposizioni vigenti in materia d'igiene e sanità.

Il quantitativo di riso da prelevare per ogni campionamento deve essere per lo meno di grammi 600 (articolo 9)

La legge si applica al riso destinato al consumo interno, mentre, il riso di esportazione deve essere accompagnato da documenti ufficiali comprovanti la destinazione del prodotto (articolo 10).

La legge reca poi (agli articoli da 11 a 16-bis) le sanzioni amministrative da comminare in caso di violazione delle norme in essa previste e le relative misure accessorie.

È poi prevista una disciplina transitoria, che ha consentito un periodo di tolleranza per lo smaltimento delle scorte di riso, esistenti presso aziende industriali, non rispondenti alle caratteristiche stabilite dalla legge, nonché una tolleranza per la vendita delle scorte di riso esistenti in commercio e per lo smaltimento, da parte degli industriali, di involucri, confezionamenti e stampati non conformi (articolo 17).

In caso di variazione, negli anni successivi, attraverso il D.M. annuale, delle caratteristiche di ciascuna varietà e dei limiti consentiti, la legge ammette un periodo di tolleranza, di 60 giorni per lo smaltimento delle scorte industriali di riso e di 120 giorni per la vendita delle scorte di riso esistenti in commercio (articolo 18).

h) esclusione dal campo di applicazione dei decreti legislativi del prodotto tutelato da un sistema di qualità riconosciuto in ambito europeo e del prodotto destinato alla vendita all'estero.

 

All’interno del nuovo Regolamento UE 1308/2013 sull’OCM unica, si trova la disciplina europea del mercato comune del riso. In particolare, le definizioni nel settore del riso sono fissate nell'allegato II, parte I, del Regolamento e alla Commissione UE è demandato il compito di adottare atti delegati nella misura necessaria per aggiornare le definizioni alla luce degli sviluppi del mercato (articolo 3)[54].

Le campagne di commercializzazione nel settore del riso sono fissate dal 1° settembre al 31 agosto dell'anno successivo (articolo 6).

 

Il regolamento che disciplina il rilascio dei titoli di esportazione per il settore del riso è il Reg. (CE) 28 luglio 2003, n. 1342 della Commissione che stabilisce modalità particolari d'applicazione del regime dei titoli d'importazione e d'esportazione nel settore dei cereali e del riso.

Si ricorda inoltre che ai sensi dell’articolo 182 del Reg. Ue n. 1308/2013, la Commissione può adottare atti di esecuzione che stabiliscano, anche per il riso, un dazio addizionale all’importazione per evitare o neutralizzare eventuali effetti pregiudizievoli sul mercato dell'UE conseguenti a tali importazioni in dati casi[55].

Inoltre, il sistema di qualità dei prodotti agricoli e agroalimentari, ivi incluso il riso, è tutelato in ambito europeo dal Regolamento (CE) n. 1152/2012 (Regolamento sulle DOP, IGP e STG).

Nel corso dell’Audizione informale al Senato dell’8 maggio 2014, Assosementi ha rilevato che - fermo restando l’esclusione dal campo di applicazione della nuova legge del prodotto destinato all’estero (cioè non al mercato italiano), ovvero disciplinato da un regime di qualità riconosciuto in ambito europeo - la semplice classificazione stabilita dalla normativa europea in base alle caratteristiche fisiche: riso tondo, riso medio e riso lungo, può non essere sufficiente per fornire un’adeguata informazione all’utilizzatore e soprattutto non permette di valorizzare e quindi apprezzare la ricchezza della produzione italiana.

Accanto alla possibilità di utilizzare le denominazioni di vendita della classificazione merceologica del registro di cui è prevista l’ufficializzazione con la proposta in oggetto, Assosementi è dell’avviso che vada salvaguardata la possibilità di etichettare le confezioni di riso destinato al consumo con l’indicazione del nome della varietà effettivamente contenuta nella confezione. A tale fine, dovrà essere garantita la tracciabilità del percorso produttivo e commerciale del prodotto in questione, a partire dal seme ufficialmente certificato impiegato dal risicoltore.

Assosementi è inoltre contraria all’immissione sul mercato italiano di miscele varietali (cioè di riso risultante dalla miscelazione tra varietà diverse, anche se appartenenti al medesimo gruppo).

 

Il comma 2 stabilisce che i decreti siano adottati Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico. È previsto il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, e delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, da rendere entro sessanta giorni dall'assegnazione alle Commissioni medesime.

Decorso tale temine per il parere, i decreti possono essere comunque adottati (comma 3).

 

Il comma 4 prevede la possibilità di adottare, entro un anno, decreti integrativi o correttivi mentre il comma 5 reca la clausola di invarianza finanziaria, disponendo che dall'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Si consideri comunque, in proposito, che l’articolo 31 del disegno di legge dispone una clausola di salvaguardia, ai sensi della quale, gli schemi dei decreti legislativi adottati in attuazione delle deleghe contenute nella presente legge sono corredati di relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria dei medesimi ovvero dei nuovi o maggiori oneri da essi derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura. Inoltre, qualora uno o più decreti legislativi adottati ai sensi delle deleghe contenute nel disegno di legge in esame, determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al loro interno, i medesimi decreti legislativi sono emanati solo successivamente o contestualmente alla data di entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.

 

 


 

Articolo 26
(Prodotti della pesca)

L’articolo 26, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede al comma 1 che gli operatori della pesca hanno facoltà di utilizzare cassette standard per lo sbarco delle specie ittiche. Le relative caratteristiche tecniche e le necessarie certificazioni saranno specificate in un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.

 

Il testo della norma fa riferimento a quanto previsto dall’articolo 60 del reg. Ce n. 1224/2009 ritenendo che la disposizione introdotta faciliti il rispetto degli obblighi ivi previsti.

In particolare, l’art. 60 si occupa della pesatura dei prodotti della pesca, prevedendo:

-        che lo Stato membro è tenuto ad assicurare che tutti i prodotti della pesca siano pesati con sistemi approvati dalle autorità competenti, a meno che non abbia adottato un piano di campionamento approvato dalla Commissione e basato sulla metodologia fondata sul rischio adottata dalla Commissione (par. 1);

-        la pesatura è effettuata allo sbarco prima che i prodotti della pesca siano immagazzinati, trasportati o venduti (par. 2);

-        in deroga al par. 2, gli Stati membri possono autorizzare la pesatura dei prodotti della pesca a bordo del peschereccio fatto salvo il piano di campionamento;

-        gli acquirenti registrati, i centri d'asta registrati o gli altri organismi o persone responsabili della prima immissione sul mercato dei prodotti della pesca in uno Stato membro sono responsabili dell'accuratezza dell'operazione di pesatura a meno che questa non sia effettuata a bordo di un peschereccio, nel qual caso la responsabilità è del comandante (par. 4);

-        i risultati della pesatura sono utilizzati per compilare le dichiarazioni di sbarco, il documento di trasporto, le note di vendita e le dichiarazioni di assunzione in carico (par. 5).

Sempre il testo della norma fa riferimento all’art. 15 del reg. (UE) n.1380/2013 collegando l’introduzione della facoltà di utilizzo delle cassette standard come facilitazione degli obblighi di sbarco ivi previsti.

L’art.15 dispone, infatti, in merito agli obbligo di sbarco, prevedendo che tutte le catture di specie soggette a limiti di cattura e, nel Mediterraneo, anche le catture di specie soggette a taglie minime, sono portate e mantenute a bordo dei pescherecci, registrate, sbarcate e imputate ai contingenti, se del caso, salvo qualora vengano utilizzate come esche vive, secondo un calendario dettagliato che specifica le specie ittiche e l’entrata in vigore dell’obbligo di sbarco.

Qualora tutti gli Stati membri che hanno un interesse di gestione diretto in una determinata specie concordino sull'opportunità che l'obbligo di sbarco si applichi a specie diverse da quelle elencate al paragrafo 1, essi possono presentare una raccomandazione comune finalizzata a estendere l'applicazione dell'obbligo di sbarco di cui al paragrafo 1 a tali altre specie.

L'obbligo di sbarco di cui al paragrafo 1 non si applica alle:

a)  specie la cui pesca è vietata e che sono identificate come tali in un atto giuridico dell'Unione adottato nel settore della PCP;

b)  specie per le quali prove scientifiche dimostrano alti tassi di sopravvivenza, tenendo conto delle caratteristiche degli attrezzi, delle pratiche di pesca e dell'ecosistema;

c)  catture rientranti nelle esenzioni de minimis.

I dettagli dell'attuazione dell'obbligo di sbarco sono specificati nei piani pluriennali i quali potranno contenere, tra l’altro, disposizioni per le esenzioni de minimis fino al 5 % del totale annuo delle catture di tutte le specie soggette all'obbligo di sbarco.

L'esenzione de minimis si applica nei casi seguenti:

i)   qualora sia scientificamente dimostrato che è molto difficile conseguire gli aumenti di selettività; o

ii)  per evitare costi sproporzionati di trasformazione delle catture accidentali, per gli attrezzi da pesca per i quali le catture accidentali per attrezzo non rappresentano più di una certa percentuale, da fissare in un piano pluriennale, del totale annuo delle catture effettuate dall'attrezzo in questione.

Per un periodo transitorio di quattro anni, la percentuale del totale annuo delle catture di cui alla lettera c) aumenta: di due punti percentuali nei primi due anni di applicazione dell'obbligo di sbarco; di un punto percentuale nei due anni successivi;

Qualora per l'attività di pesca in questione non sia adottato un piano pluriennale o un piano di gestione, la Commissione ha il potere di adottare atti delegati, su base temporanea e per un periodo non superiore a tre anni, contenente un piano specifico di rigetto.

 

Il comma 2 prevede che gli operatori debbano apporre le informazioni relative ai prodotti della pesca e dell’acquacoltura utilizzando come strumento di identificazione un codice a barre o un QR-code. Tale obbligo viene posto in relazione a quanto previsto nell’articolo 58, comma 5, del reg. CE n.1224/2009, che ha istituito un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto della politica comune della pesca.

 

All’articolo 58 di detto regolamento viene richiesta la tracciabilità di tutte le partite di prodotti della pesca e dell'acquacoltura, in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione, dalla cattura o raccolta alla vendita al dettaglio. A tal fine, viene previsto che tali prodotti, per essere immessi sul mercato nella Comunità, devono essere adeguatamente etichettati. Le partite di prodotti della pesca e dell'acquacoltura possono essere mescolate o divise dopo la prima vendita solo se è possibile risalire alla fase della cattura o della raccolta. Gli Stati membri provvedono affinché gli operatori dispongano di sistemi e procedure per identificare gli operatori che hanno fornito loro le partite di prodotti della pesca e dell'acquacoltura e a cui sono stati forniti tali prodotti. Le informazioni al riguardo sono messe a disposizione delle autorità competenti che le richiedano.

L'etichettatura e le informazioni minime richieste per tutte le partite di prodotti della pesca e dell'acquacoltura comprendono:

a)  numero di identificazione di ogni partita;

b)  numero di identificazione esterno e nome del peschereccio o nome dell'unità di produzione in acquacoltura;

c)  codice FAO alfa 3 di ogni specie;

d)  data delle catture o data di produzione;

e)  quantitativi di ciascuna specie in chilogrammi di peso netto o, se del caso, numero di individui;

f)  nome e indirizzo dei fornitori;

g) informazioni ai consumatori previste all' articolo 35 del regolamento (UE) n. 1379/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio.

Lo Stato membro può esonerare dagli obblighi di cui al presente articolo i piccoli quantitativi di prodotti venduti direttamente dal peschereccio al consumatore, purché non superino un valore pari a 50 EUR al giorno.


 

Articolo 27
(Estensione dell’ambito di applicazione del D.L. n. 91/2014)

Il comma 1 estende alle imprese agricole della pesca e dell’acquacoltura le disposizioni, contenute nell’articolo 1, comma 1 del D.L. n. 91/2014, in materia di semplificazioni dei controlli sulle imprese del settore agroalimentare.

 

Il citato comma 1 dell’articolo 1 del D.L. n. 91/2014 dispone che i controlli ispettivi nei confronti delle imprese agricole[56] devono essere effettuati in modo coordinato dagli organi competenti - tenuto conto del Piano nazionale integrato pluriennale dei controlli ufficiali in materia di alimenti, mangimi, sanità e benessere animale e sanità delle piante (PNI o MANCP), previsto dall’articolo 41 del Reg. (CE) n. 882/2004[57] e predisposto dal Ministero della Salute[58], nonché delle Linee guida in materia di controlli, oggetto dell’Intesa tra le Regioni, le province autonome e gli enti locali del 24 gennaio 2013 - evitando sovrapposizioni e duplicazioni, garantendo l'accesso all'informazione sui medesimi controlli ed utilizzando i dati contenuti nel registro unico del controlli ispettivi, istituito dal successivo comma 2.

Il comma 1 impone, altresì, l’obbligo di verbalizzazione dei controlli ispettivi esperiti nei confronti delle imprese agricole, e di notifica del relativo verbale anche nei casi di riscontrata regolarità. In quest’ultimo caso, o nel caso di regolarizzazione successiva al controllo ispettivo eseguito, gli adempimenti relativi alle annualità sulle quali sono stati effettuati i controlli non possono essere oggetto di contestazioni in successive ispezioni relative alla stessa annualità e tipologia di controllo, salvo che si tratti di comportamenti omissivi o irregolari dell'imprenditore, ovvero nel caso emergano atti, fatti o elementi non conosciuti al momento dell'ispezione.

La disposizione in commento si applica agli atti e documenti esaminati dagli ispettori ed indicati nel verbale del controllo ispettivo.

Si consideri che il comma 1 in esame non dispone l’estensione alle imprese agricole della pesca e dell’acquacoltura del registro unico dei controlli di cui all’articolo 1, comma 2 del D.L. n. 91/2014. Manca infatti un richiamo esplicito a tale comma.

 

Il comma 2 estende il comma 361.1 dell’articolo 1 della legge n. 311/2004, alle imprese del settore ittico.

Il comma 361.1 - introdotto dall’articolo 6-bis, comma 1, D.L. n. 91/2014- destina le risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (FRI) anche al finanziamento agevolato di investimenti in ricerca ed innovazione tecnologica, effettuati da imprese agricole, forestali e agroalimentari che partecipano ad un contratto di rete.

Il comma 2 dunque intende estendere anche alle imprese del settore ittico l’accesso alle agevolazioni del FRI per investimenti in ricerca e innovazione tecnologica, effettuati da imprese che partecipano ad un contratto di rete.

 

Con riferimento a tale comma, si osserva che la normativa vigente sul FRI prevede il sostegno agli investimenti in ricerca delle imprese, senza operare esclusioni dal punto di vista soggettivo. Dunque, le imprese del settore ittico, come già quelle del settore agricolo, in presenza dei requisiti previsti dalla legislazione vigente in materia di interventi oggetto sostegno del FRI, già sarebbero suscettibili di essere destinatarie, in sede attuativa, del riparto delle risorse del medesimo Fondo.

Infatti, (cfr. infra, ricostruzione normativa successiva), già la delibera CIPE 18 novembre 2010 di riparto delle dotazioni del Fondo destinava il 5% delle risorse dello stesso al settore agricolo (300 milioni di euro, di cui quota parte ai contratti di filiera).

 

Si fornisce di seguito una descrizione della disciplina sul Fondo rotativo per il sostegno alle imprese ed investimenti in ricerca (FRI).

L'art. 1, comma 354, della legge finanziaria per il 2005, come successivamente modificato dall’articolo 3, comma 6 del D.L. n. 35/2005, ha disposto l’istituzione, presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti Spa, di un Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca, finalizzato alla concessione di finanziamenti agevolati alle imprese in forma di anticipazione di capitali rimborsabile secondo un piano di rientro pluriennale. Il Fondo è destinato alle imprese, anche associate in appositi organismi, anche cooperativi, costituiti o promossi dalle associazioni imprenditoriali e dalle Camere di commercio.

La dotazione iniziale del Fondo, alimentato con le risorse del risparmio postale, è stata stabilita nominalmente in 6 miliardi. Si consideri infatti, al riguardo, che le variazioni alla dotazione – come dispone il comma 354 - sono disposte da Cassa depositi e prestiti Spa, in relazione alle dinamiche di erogazione e di rimborso delle somme concesse, e comunque nel rispetto dei limiti annuali di spesa sul bilancio dello Stato fissati ai sensi del comma 361[59].

Ai sensi del comma 355 e 356, con apposite delibere del CIPE, presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri in maniera non delegabile, da sottoporre al controllo preventivo della Corte dei conti, il FRI è ripartito per essere destinato ad interventi agevolativi alle imprese, tutte le imprese dunque, individuati dalle stesse delibere sulla base degli interventi già disposti a legislazione vigente[60].

 

Sulla base di una serie di interventi legislativi successivi, una quota delle risorse del FRI è specificamente riservata agli interventi in ricerca e sviluppo delle imprese.

Infatti, l’articolo 30 del D.L. n. 83/2012 dispone, al comma 2, che i programmi e gli interventi destinatari del Fondo per la crescita sostenibile possono essere agevolati anche a valere sulle risorse del FRI e che i finanziamenti agevolati concessi a valere sul FRI possono essere assistiti da idonee garanzie.

In particolare il comma 3 dispone che, ferme restando le modalità di funzionamento del FRI di cui ai commi da 358 a 360 e 361 dell'articolo 1 della legge n. 311/2004, le risorse non utilizzate del FRI al 31 dicembre di ciascun anno, sono destinate nel limite massimo del 70 per cento per le seguenti finalità perseguite dal Fondo per la crescita sostenibile (art. 23 del D.L. n. 83/2012):

a) favorire la realizzazione di programmi strategici di ricerca, che coinvolgano prioritariamente imprese, università ed enti pubblici di ricerca, a sostegno sia della produttività dei settori industriali a maggiore capacità di esportazione o ad alto contenuto tecnologico, sia della attrazione di investimenti dall'estero e che comprendano attività di formazione per almeno il dieci per cento delle risorse;

b) favorire la realizzazione o il potenziamento di distretti tecnologici, da sostenere congiuntamente con le regioni e gli altri enti nazionali e territoriali;

c) stimolare gli investimenti in ricerca delle imprese, con particolare riferimento alle imprese di piccola e media dimensione, per il sostegno di progetti di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo proposti dalle imprese stesse.[61]

I finanziamenti agevolati concessi a valere sul FRI possono essere assistiti da idonee garanzie.

Il D.M. 26 aprile 2013 ha fissato le modalità di ricognizione delle risorse non utilizzate del FRI e ne ha effettuato una prima ricognizione individuandole 1.843,7 milioni alla data del 31 dicembre 2012.

Ai sensi del D.M., quota parte di tale risorse, pari appunto al 70% di esse (si tratta di circa 1291 milioni di euro, è stata destinata al MISE per le finalità del Fondo per la crescita sostenibile per le finalità di cui all’articolo 30 del D.L. n. 83/2012)[62], mentre la restante quota, pari a circa 552 milioni è stata destinata al riparto per le finalità istituzionali del Fondo a favore delle imprese da parte del CIPE. La Delibera CIPE n. 77 del 2 aprile 2015 ha disposto l’assegnazione di 40 milioni di euro a favore della stipula di nuovi contratti di filiera e distretto, a valere su quota parte sopra citata del 30% delle risorse non utilizzate del FRI.

 

Il D.M. 23 febbraio 2015 ha fissato le modalità di utilizzo delle risorse non utilizzate del FRI e di riparto delle predette risorse tra gli interventi (finanziamenti agevolati) del Fondo per la crescita sostenibile[63].

 

Ai sensi del comma 356 il Comitato interministeriale, con una o più delibere adottate ai sensi del comma 355 sopra commentato (e ss. modifiche):

-        stabilisce i criteri generali di erogazione dei finanziamenti agevolati;

-        approva una convenzione tipo che regola i rapporti tra la CDP Spa e i soggetti abilitati a svolgere le istruttorie dei finanziamenti, stabilendo le modalità per assicurare che l'importo complessivo dei finanziamenti erogati non superi l'importo assegnato dal CIPE e che vengano comunque rispettati i limiti annuali di spesa a carico del bilancio statale;

-        prevede la misura minima del tasso di interesse da applicare;

-        stabilisce la durata massima del piano di rientro.

Con Delibera CIPE 15 luglio 2005, n. 76/2005 sono state fissate le modalità di funzionamento del fondo.

Ai sensi del comma 357, le condizioni di accesso ai finanziamenti del fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricerca sono state fissate da una serie decreti ministeriali, quali il D.M. 1° febbraio 2006, il D.M. 8 marzo 2006 e il D.M. 22 novembre 2007.

Ai sensi del comma 359, sull'obbligo di rimborso al Fondo delle somme ricevute in virtù del finanziamento agevolato e dei relativi interessi può essere prevista, secondo criteri, condizioni e modalità da stabilire con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, la garanzia dello Stato.

Ai sensi del comma 360, a Cassa depositi, sulle somme erogate in anticipazione, è riconosciuto il rimborso delle spese di gestione Fondo in misura pari allo 0,40 per cento complessivo delle somme erogate annualmente.

Il CIPE ha stabilito i criteri generali di erogazione dei finanziamenti agevolati ad un tasso di interesse minimo dello 0,50% annuo.

Quanto al riparto delle risorse FRI, l’iniziale ripartizione nominale dei 6 miliardi di euro è stata modificata con la Del. CIPE n. 38/2008(G.U. n. 186/2008), successivamente integrata dalle Dell. CIPE n. 101/2010 e, da ultimo, dalla Del. CIPE n.93/2013.

La delibera CIPE 18 novembre 2010 ha dunque elaborato un nuovo riparto delle risorse del FRI, secondo le proposte MIPAAF, confermando la destinazione del 5% delle risorse del Fondo (300 milioni di euro) al settore agricolo, di cui una quota parte alla concessione di finanziamenti agevolati per investimenti materiali previsti dai contratti di filiera e di distretto, pari a 100 milioni, e la restante quota alle operazioni di riordino fondiario.

Con successiva delibera CIPE n. 98 del 17 dicembre 2013, registrata alla Corte dei Conti il 14 aprile 2014, in considerazione del minore utilizzo da parte di ISMEA delle risorse destinate al riordino fondiario, il CIPE è nuovamente intervenuto, rimodulando le risorse per il settore agricolo e destinando ai contratti di filiera l’importo di 114 milioni di euro circa. Si consideri che tali risorse sono state tutte impegnate per contratti di filiera oggetto di delibera CIPE ovvero di pre-delibera CIPE[64].

 

 

Il comma 3 estende alle imprese del settore ittico condotte da giovani la disciplina di sostegno allo sviluppo dell’imprenditorialità in agricoltura e del ricambio generazionale contenuta nell’articolo 7-bis del D.L. n. 91/2014, il quale ha interamente sostituito il Capo III, del Titolo I, del predetto D. Lgs. n. 185/2000, che disciplina le misure in favore della nuova imprenditorialità in agricoltura.

 

L’articolo 7-bis in questione ha sostituito gli originari articoli 9 e 10 del predetto D.Lgs. con 5 nuovi articoli, da 9 a 10-quater. Contestualmente ha rinominato la rubrica del Capo in Misure per lo sviluppo dell’imprenditorialità in agricoltura e del ricambio generazionale.

Il nuovo articolo 9 del D.Lgs. n. 185 come sostituito dall’articolo in esame – individua, al comma 1, le finalità del Capo III nel sostegno le imprese agricole a prevalente o totale partecipazione giovanile, per favorire il ricambio generazionale in agricoltura e il miglioramento delle condizioni per l'accesso al credito.

La nuova formulazione conferma dunque quanto previsto dalla normativa previgente, secondo la quale gli aiuti ai giovani imprenditori agricoli sono concedibili su tutto il territorio nazionale.

Al comma 2, si subordina la concessione delle misure di sostegno di cui al Capo III all’autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell’articolo 108, par. 3, TFUE.

Il nuovo articolo 10, al comma 1, stabilisce le tipologie dei benefici, consistenti in mutui agevolati a tasso zero.

Per gli investimenti, si tratta di mutui della durata massima, comprensiva del periodo di preammortamento, di 10 anni e di importo non superiore al 75% della spesa ammissibile. Per il settore della produzione, i suddetti mutui hanno durata massima, compreso il periodo di preammortamento, di 15 anni.

Vengono dunque eliminati con la riforma qui in esame i contributi a fondo perduto.

Il comma 2 prevede che alle agevolazioni si applichino i massimali previsti dalle norme europee e che le medesime agevolazioni siano concesse nel rispetto la disciplina europea sugli aiuti di stato per il settore agricolo e per quello della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli.

Si richiama il nuovo regolamento di esenzione n. 704/2014 e gli Orientamenti dell’Unione europea per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale e nelle zone rurali 2014-2020. Entrambi sono in procinto di esse pubblicati in Gazzetta ufficiale.

Per gli aiuti cd. de minimis nel settore agricolo con il Reg. (UE) 18 dicembre 2013, n. 1408/2013.[65].

Si ricorda che per il settore della pesca vige il Regolamento (UE) n. 1388/2014 della Commissione, del 16 dicembre 2014, che dichiara compatibili con il mercato interno, in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, alcune categorie di aiuti a favore delle imprese attive nel settore della produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura e il Regolamento (UE) n. 717/2014 della Commissione, del 27 giugno 2014, relativo all'applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea agli aiuti «de minimis» nel settore della pesca e dell'acquacoltura.

 

Il comma 3 dell’articolo 9 del D.Lgs. n. 185/2000 prevede che i mutui sono assistiti dalle garanzie previste dall’articolo 44 del D. Lgs. n. 385/1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), acquisibili nell’ambito degli investimenti da realizzare.

Il nuovo articolo 10-bis indica i soggetti beneficiari delle agevolazioni: possono beneficiare degli incentivi le imprese, in qualsiasi forma costituite, che siano subentranti nella conduzione di un’intera azienda agricola, esercitante esclusivamente l’attività agricola ex art. 2135 c.c.. Le imprese subentranti devono:

a) essere costituite da non più di sei mesi alla data di presentazione della domanda di agevolazione.

b) esercitare esclusivamente l'attività agricola ai sensi dell'articolo 2135 cc;

c) amministrate e condotte da un giovane imprenditore agricolo di età compresa tra i diciotto e i quaranta anni, ovvero, nel caso di società composte per oltre la metà numerica dei soci e di quote di partecipazione, da giovani imprenditori agricoli di età compresa tra i 18 e 40 anni.

L'azienda agricola oggetto di subentro deve esercitare esclusivamente l'attività agricola ai sensi dell'articolo 2135 cc. da almeno due anni alla data di presentazione della domanda di agevolazione.

I nuovi requisiti soggettivi previsti sembrano per taluni aspetti più restrittivi rispetto a quelli vigenti: in particolare, si prevede che debba trattarsi di imprese subentranti costituite da non più di sei mesi, e di imprese che esercitano l'attività agricola in via esclusiva. Dall’altro lato, però, si innalza da 39 a 40 anni il limite di età degli imprenditori giovanili.

Si rileva, al riguardo, che la scelta appare conforme a quanto attualmente previsto nella disciplina sulla PAC 2014-2020, ed in particolare dal Reg. UE 1307/2013 (articolo 50) in cui è definito giovane agricoltore una persona fisica di età non superiore a 40 anni.

La nuova disciplina non reca più quanto in precedenza previsto per cui - per l'accesso alle agevolazioni - le imprese devono avere la sede legale, amministrativa ed operativa nel territorio nazionale e che i giovani imprenditori agricoli devono essere residenti nel territorio nazionale.

Il comma 2 estende le agevolazioni alle imprese che presentino progetti per lo sviluppo o il consolidamento di iniziative nei settori della produzione e della trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, attive da almeno due anni alla data di presentazione della domanda di agevolazione.

Tali imprese devono però esercitare esclusivamente l'attività agricola ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile e amministrate e condotte da un giovane imprenditore agricolo di età compresa tra i diciotto e i quaranta anni (vedi supra, lettere b) e c)).

L’articolo 10-ter concerne i progetti finanziabili.

Sono finanziabili le iniziative che prevedano investimenti non superiori a 1,5 milioni di euro - in luogo dell’attuale milione di euro circa al netto dell’IVA - nei settori della produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli.

L'articolo dispone altresì che le iniziative devono essere finanziate, nei limiti delle risorse di cui al successivo articolo 10-quater, secondo i criteri e le modalità che saranno stabiliti con decreto ministeriale attuativo del Ministro delle politiche agricole da adottarsi entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. in esame, e nei limiti posti dall'Unione europea.

Per ciò che concerne le risorse finanziarie disponibili, l’articolo 10-quater stabilisce che la concessione delle agevolazioni è disposta a valere sulle risorse di cui al punto 2 della delibera del CIPE n. 62 del 2 agosto 2002, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 261 del 7 novembre 2002.

Le predette disponibilità possono essere incrementate da eventuali ulteriori risorse derivanti dalla programmazione nazionale ed europea.

Si ricorda che il punto 2 della delibera del CIPE n. 62/2002 aveva impegnato Sviluppo Italia S.p.A. a destinare 85 milioni di euro al finanziamento delle iniziative volte a favorire l’imprenditorialità giovanile agricola (iniziative prima disciplinate dall'art. 3, comma 9, del D.L. n. 67/1997 poi dagli articoli 9 e 10 del D.Lgs. n. 185/2000), utilizzando a tal fine le risorse di cui al Fondo di cui all’articolo 25 del D.Lgs. n. 185/2000 derivanti dal recupero dei mutui contratti dai giovani agricoltori.

Successivamente a tale delibera, ai sensi dell’articolo 4, commi 42-44 della legge n. 350/2003, la competenza in materia di attuazione degli investimenti agevolati per i giovani agricoltori è stata trasferita da Sviluppo Italia (ora INVITALIA) all’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare ISMEA.

Il trasferimento delle relative risorse finanziarie è avvenuto con Decreto del Ministro per le politiche agroalimentari e forestali del 28 dicembre 2006, il quale ha previsto che le risorse di cui al punto 2 della delibera, pari a 50 milioni di euro venissero trasferite sul conto corrente (infruttifero) di tesoreria centrale dello Stato presso la Banca d'Italia intestato ad ISMEA (numero di pertinenza 178, conto 22054, ISMEA per l'attuazione del decreto ministeriale 28 dicembre 2006).

Tale dotazione è stata incrementata con delibera CIPE n. 37 del 23 marzo 2012, la quale ha assegnato 5 milioni di euro a favore di ISMEA per il finanziamento delle misure agevolative dell’autoimprenditorialità e dell’autoimpiego nel settore agricolo.

Alla data del 25 maggio 2015, sulla base dell’interrogazione effettuata presso la Ragioneria generale dello Stato, il predetto conto di tesoreria reca un saldo di 16,7 milioni euro. Le risorse in oggetto sono tutte impegnate, tuttavia una parte sarà oggetto di rientro in quanto concessa per mutui ai giovani imprenditori.

Infine che la legge di stabilità 2015, in tabella E ha rifinanziato le misure di sostegno ai giovani imprenditori agricoli di cui al D.Lgs. n. 185/2000 di 10 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2015-2017 (e per 108,4 milioni complessivi dal 2018 all’anno terminale 2030). Le assegnazioni in questione, a legge di bilancio 2015-2017, sono iscritte sul cap. 7253/MIPAAF “assegnazioni ad ISMEA per il finanziamento delle misure agevolative dell'autoimprenditorialità e dell'autoimpiego nel settore agricolo”.

 

Si osserva che sarebbe opportuno disporre l’estensione dell’applicazione alle imprese del settore ittico non dell’articolo 7-bis del D.L. n. 91/2014, bensì del Capo III, Titolo I del D.Lgs. n. 185/2000, come novellato dall’articolo 7-bis del D.L. n. 91/2014.

 


 

Articolo 28
(Sportello unico della pesca e dell’acquacoltura)

L’articolo in esame, istituisce presso la Direzione generale della pesca marittima e dell’acquacoltura del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali lo Sportello unico nazionale della pesca e dell’acquacoltura con funzioni di:

-        coordinamento, orientamento e supporto agli sportelli regionali;

-        definizione degli orientamenti per il rilascio delle concessioni e delle autorizzazioni per l’esercizio dell’acquacoltura;

-        individuazione delle modalità e dei requisiti di accesso ai contributi nazionali ed europei per il comparto.

Viene, quindi, previsto che nel caso in cui l’Autorità di sportello territorialmente competente ritenga necessario integrare la documentazione presentata dall’impresa, ne dà immediata comunicazione, per via telematica, precisando quali sono gli elementi richiesti e le scadenze entro le quali trasmetterli. La norma fa, quindi, riferimento a verifiche che lo Sportello unico deve compiere entro 80 giorni dalla data in cui ha ricevuto l’istanza; decorso tale termine, in assenza di pronuncia, la richiesta si intende autorizzata.

Nel caso in cui l’impresa che richiede l’autorizzazione non provveda , entro il termine stabilito, a produrre la documentazione, la richiesta è archiviata e l’iter per l’autorizzazione deve essere iniziato nuovamente.

 

Si fa presente che la formulazione della norma non delinea in modo chiaro il procedimento configurato ed i soggetti amministrativi responsabili, facendo riferimento, inizialmente, all’Autorità di sportello territorialmente competente, alla quale dovrebbe essere presentata l’istanza, e successivamente, allo Sportelli unico , come soggetto responsabile delle verifiche.

 

Si ricorda che, per quanto con finalità differenti, a livello territoriale operano gli Sportelli Unici per le Attività Produttive (SUAP), che rappresentano i soggetti pubblici di riferimento per tutti i procedimenti riguardanti l'esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi, e quelli relativi alle azioni di localizzazione, realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o riconversione, ampliamento o trasferimento, nonché cessazione o riattivazione delle suddette attività. Le domande, le dichiarazioni, le segnalazioni e le comunicazioni ed i relativi elaborati tecnici e allegati sono presentati esclusivamente in modalità telematica al SUAP competente per il territorio in cui si svolge l'attività o è situato l'impianto. Il SUAP provvede all'inoltro telematico della documentazione alle altre amministrazioni che intervengono nel procedimento, le quali adottano modalità telematiche di ricevimento e di trasmissione. Il Regolamento che disciplina i SUAP è il D.P.R. n. 160/2010. Per approfondimenti si veda il link https://www.impresainungiorno.gov.it/sportelli-suap.

 


 

Articolo 29
(Modificazioni al D.Lgs. n. 4/2012 recante misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura)

L’articolo 29, aggiunto nel corso dell’esame al Senato, modifica il sistema sanzionatorio del Decreto legislativo n. 4 del 2012 di riordino, coordinamento ed integrazione della normativa nazionale in materia di pesca e acquacoltura[66].

 

Si segnala che, nel corso dell’esame presso la Commissione Agricoltura della Camera in sede referente di alcune proposte di legge recanti interventi nel settore ittico (C. 338 e abb.) è stata introdotta nel testo unificato (adottato come testo base il 25 marzo 2015) una nuova disposizione (art. 29) che riproduce integralmente il contenuto dell’articolo qui in esame.

 

L’articolo 29 introduce una serie di novelle al D.Lgs. 4/2012, pur confermando la vigente distinzione tra:

§  comportamenti che costituiscono reato di natura contravvenzionale (art. 7)

§  comportamenti che configurano illecito amministrativo (art. 10)

Nell’ambito di tale quadro, l’articolo 29 opera una limitata depenalizzazione, degradando ad illecito amministrativo una serie di condotte attualmente qualificate come illeciti contravvenzionali.

Si tratta, in particolare, della violazione del divieto di detenzione, sbarco (fatte salve le specie ittiche soggette all’obbligo di sbarco ai sensi della normativa UE su tale materia) trasbordo, trasporto, commercializzazione di esemplari di specie ittiche di taglia inferiore a quella minima, in violazione della normativa vigente.

Si ricorda che per le contravvenzioni, che rientrano nella categoria dei reati, le pene sono sia di carattere detentivo (arresto) che pecuniario (ammenda); per gli illeciti amministrativi la sanzione è esclusivamente pecuniaria.

 

Dunque, l’elenco degli illeciti amministrativi previsti dall’articolo 10 del D.Lgs. 4/2012 viene integrato dall’articolo in esame dalle predette fattispecie (le quali contestualmente vengono espunte dall’articolo 7 sugli illeciti contravvenzionali).

 

Contestualmente, nell’articolo 10 del D.Lgs., viene modificato l’obbligo di rigetto in mare di esemplari inferiori alla taglia minima catturati in via accessoria o accidentalmente, alla luce della nuova disciplina europea sulla pesca, che tra i suoi obiettivi ha fissato la graduale eliminazione dei rigetti in mare (Regolamento UE 1380/2013 e Regolamento UE cd. omnibus n. 812/2015) (nuovi commi 3-4 dell’articolo 10 novellato). Vi è un obbligo preventivo di comunicazione di tali catture all’autorità marittima competente (nuovo comma 5 dell’articolo 10 novellato)

Per i predetti illeciti amministrativi vengono introdotte una serie di sanzioni amministrative nell’articolo 11 del D.Lgs., anch’esso novellato dall’articolo in commento. Tali sanzioni amministrative sono inasprite se le specie ittiche di taglia inferiore a quella minima per la conservazione oggetto di condotta illecita sono il tonno rosso e il pesce spada (nuovo comma 4 dell’articolo 11 novellato).

L’articolo in esame modifica inoltre il catalogo delle “infrazioni gravi”, sanzionate con il cd. sistema a punti (con relativa modifica dell'allegato al decreto legislativo), contenuto nell’articolo 14 del D.Lgs. n. 4, includendovi la violazione del divieto di detenzione, sbarco (fatta salva la normativa UE su tale materia) trasbordo, trasporto, commercializzazione di esemplari di specie ittiche di taglia inferiore a quella minima di riferimento per la conservazione, in violazione della normativa vigente (nuovo comma 2, lettera a) e b) dell’articolo 10, come novellato dalla norma qui in commento).

L’obbligo di prevedere “infrazioni gravi” è richiesto direttamente dalle norme comunitarie, in particolare, dall’articolo 42 del reg. 1005/2008 e dall’articolo 90 del Regolamento CE 1224/2009, che tuttavia demandano al singolo Stato membro di determinare il “carattere grave della violazione”. Per tali violazioni è in ogni caso richiesta (artt. 43-45 del reg. 1005) l’adozione di: misure di esecuzione immediata; sanzioni amministrative effettive, proporzionate e dissuasive, che tengano anche conto del danno arrecato; eventuali sanzioni penali, in aggiunta o alternative; eventuali sanzioni accessorie.

Il Regolamento CE 1224/2009, all’articolo 92 come modificato dal recente Regolamento UE 812/2015, cd. Regolamento omnibus sulla pesca, dispone per le infrazioni gravi quali la pesca INN (di cui all'articolo 42, par. 1, lett. a), del Reg.(CE) n. 1005/2008) e per le violazioni dell'obbligo di sbarco (di cui all'art. 90, par. 1, lett. c), del medesimo Reg. 1224), un sistema di punti in base al quale al titolare della licenza di pesca è assegnato un congruo numero di punti di penalità per le infrazioni commesse.

L'obbligo di sbarco rappresenta un cambiamento sostanziale per gli operatori. Di conseguenza, viene rinviata di due anni l'applicazione delle norme per quanto riguarda tale tipo di infrazioni.

 

Si osserva che il recente Regolamento europeo sulla pesca cd. Regolamento “omnibus” (UE)2015/812 ha modificato il regolamento (CE) n. 1224/2009, considerando le violazioni dell'obbligo di sbarco come un'infrazione grave a norma del regolamento (CE) n. 1224/2009, seppure rinviando di due anni l’applicazione delle norme per tale tipo di infrazioni.

L’articolo in esame considera invece infrazioni gravi le sole fattispecie di cui al comma 2, lettere a) e b) del novellato articolo 10 e dunque la violazione del divieto di detenzione, del divieto di sbarco (fatta salva la nuova normativa UE su tale materia) trasbordo, trasporto, commercializzazione di esemplari di specie ittiche di taglia inferiore a quella minima di riferimento per la conservazione.

Inoltre, l’articolo 29 in esame, con una modifica al comma 3 dell’articolo 10 del D. Lgs. 4 prevede, conformemente alla nuova disciplina UE, l’obbligo di rigetto degli esemplari di taglia inferiore a quella minima solo nel caso di specie non soggette all’obbligo di sbarco, mentre, al comma 4 del medesimo articolo prevede, nel caso di cattura accidentale di esemplari inferiori alla taglia minima soggette all’obbligo di sbarco, il divieto di una loro commercializzazione ai fini del consumo umano.

La violazione del comma 4 è sanzionata, ma non è inclusa tra le infrazioni gravi di cui all’articolo 14, sebbene sia diretta discendente dell’adempimento dell’obbligo di sbarco sancito (allo stato solo per alcune specie) dalla normativa UE.

 

Di seguito, viene data sintetica illustrazione dei contenuti del D.Lgs. 4/2012, come modificati dall’articolo 29 in esame.

Il testo a fronte in calce alle presente scheda dà poi conto in maniera puntuale di tutte le modifiche introdotte.

Le modifiche al D.Lgs. 4/2012

Illeciti contravvenzionali e relative sanzioni

I divieti sanciti con le contravvenzioni definite dal riformulato articolo 7, comma 1, del D.Lgs. 4/2012 riguardano:

·        la pesca, detenzione, trasbordo, sbarco, trasporto commercializzazione di specie di cui sia sempre vietata la cattura (lettera a) che, ad eccezione della specifica relativa al divieto di pesca, corrisponde al contenuto della vigente lettera c));

Viene confermato quanto attualmente previsto secondo cui la predetta fattispecie non riguarda la pesca per fini scientifici e le altre attività autorizzate da normativa nazionale, europea e internazionale. Si introduce invece la precisazione che è esclusa qualsiasi forma di commercializzazione per i prodotti della pesca scientifica ed è comunque consentito la detenzione ed il trasporto delle specie solo a fini scientifici (comma 2 novellato dall’articolo 29 in esame)

·        il danneggiamento delle acque marine con uso di materie esplodenti, di energia elettrica o di sostanze tossiche e relativa raccolta e messa in commercio di pesci così intorpiditi, storditi o uccisi (lettere b) e c), che corrispondono al contenuto delle vigenti lettere d) e e));

·        l’esercizio della pesca in acque sotto la sovranità di altri Stati, o, secondo quanto specificato dall’articolo in esame, l’esercizio della pesca da unità non battenti bandiera italiana pescano in acque sottoposte alla sovranità italiana (lettera d) che corrisponde alla vigente lettera f) e lettera e) identica alla attuale lettera g));

·        la sottrazione dell’oggetto della pesca d’altri anche solo violando le distanze di rispetto stabilite, o esercitandola nelle acque riservate agli stabilimenti di pesca (lettere f) e g) corrispondenti nella sostanza alle attuali lettere h) e i)).

I divieti stabiliti dall’articolo 7, comma 1 sono volti (come già prevede la normativa vigente) a prevenire scoraggiare ed eliminare i comportamenti correlati alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata.

Si tratta della cosiddetta pesca INN di cui al Reg. (CE) 29 settembre 2008, n. 1005/2008. Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 3 di tale Regolamento si presume che un peschereccio sia impegnato nella pesca INN se risulta che, in violazione delle misure di conservazione e di gestione applicabili nella zona in cui ha esercitato le seguenti i attività:

a) ha pescato senza essere in possesso di una licenza, di un’autorizzazione o di un permesso in corso di validità, rilasciato dallo Stato di bandiera o dallo Stato costiero competente; oppure

b) non ha rispettato gli obblighi in materia di registrazione e dichiarazione dei dati relativi alle catture o dei dati connessi, compresi i dati da trasmettere attraverso il sistema di controllo dei pescherecci via satellite, o le notifiche preventive previste

c) ha pescato in una zona di divieto, durante un periodo di divieto, senza disporre di un contingente o dopo aver esaurito il contingente o al di là della profondità consentita;

oppure

d) ha praticato la pesca diretta di uno stock per il quale essa è stata sospesa o vietata, oppure

e) ha utilizzato attrezzi da pesca non autorizzati o non conformi; oppure

f) ha falsificato o occultato le sue marcature, la sua identità o la sua immatricolazione; oppure

g) ha occultato, manomesso o eliminato elementi di prova relativi a un’indagine; oppure

h) ha ostacolato l’attività dei funzionari nell’esercizio delle loro funzioni di controllo del rispetto delle vigenti misure di conservazione e di gestione o quella degli osservatori nell’esercizio delle loro funzioni di sorveglianza del rispetto delle norme comunitarie applicabili; oppure

i) ha imbarcato, trasbordato o sbarcato pesci di taglia inferiore alla taglia minima in violazione della normativa in vigore;

oppure

j) ha effettuato trasbordi o partecipato a operazioni di pesca congiunte con pescherecci sorpresi a esercitare pesca INN ai sensi del presente regolamento, in particolare con quelli incluse nell’elenco comunitario delle navi INN o nell’elenco delle navi INN di un’organizzazione regionale per la pesca, o ha prestato assistenza o rifornito tali navi; oppure

k) ha esercitato, nella zona di competenza di un’organizzazione regionale per la pesca, attività di pesca non conformi alle misure di conservazione e di gestione di tale organizzazione, o che violano tali misure, e batte bandiera di uno Stato che non è parte di tale organizzazione o non coopera con essa come stabilito da tale organizzazione;

oppure

l) è privo di nazionalità ed è quindi una nave senza bandiera, ai sensi del diritto internazionale.

Le attività sopra elencate sono considerate infrazioni gravi a norma dell’articolo 42 del medesimo regolamento in funzione della gravità dell’infrazione in questione che è determinata dall’autorità competente dello Stato membro, tenendo conto di criteri quali il danno arrecato, il suo valore, la portata dell’infrazione o il suo ripetersi.

 

L’articolo 8 novellato quantifica le pene principali da applicare alle contravvenzioni.

E’ confermato l’attuale impianto secondo cui la sottrazione dell’oggetto della pesca d’altri anche solo violando le distanze di rispetto stabilite, o l’esercizio della pesca nelle acque riservate agli stabilimenti di pesca è punita con l’arresto da un mese a un anno o con l’ammenda da 1.000 a 6.000 euro (si tratta delle violazioni previste dalle lettere f) e g) dell’articolo 7 novellato, corrispondenti alle lettere h) e i) dell’articolo 7 vigente).

Tutte le altre violazioni sono invece considerate più gravi e rimangono punite con l’arresto da 2 mesi a 2 anni o con l’ammenda da 2.000 a 12.000 euro.

 

L’articolo 9 del D.Lgs. definisce le pene accessorie, che consistono sostanzialmente nella confisca del pescato e degli attrezzi (non essendo più ammessa la restituzione del pescato, previo deposito dell’equivalente valore in denaro) nonché, in determinate ipotesi, nella rimessa in pristino dello stato dei luoghi e nella sospensione dell’attività di commercializzazione del pesce da 5 a 10 giorni.

Rispetto al vigente articolo 9, con le novelle in esame viene previsto che:

-      ove le violazioni del divieto di pesca in acque sottoposte alla sovranità di altri Stati o alla competenza di un’organizzazione regionale per la pesca riguardino il tonno rosso o il pesce spada è sempre sospesa la licenza di pesca (da 3 mesi a 6 mesi); la recidiva ne comporta la revoca (nuovo comma 2);

-      ove le violazioni del divieto di pesca cattura detenzione trasbordo commercializzazione di specie di cui sia vietata la cattura in qualsiasi stadio di crescita, e violazioni del divieto di pesca in acque sottoposte alla sovranità di altri Stati o alla competenza di un’organizzazione regionale per la pesca siano commesse con imbarcazioni non autorizzate alla pesca professionale è la sospensione del certificato di iscrizione nel registro dei pescatori (da 15 a 30 giorni la prima volta; da 30 giorni a 3 mesi per la recidiva) (nuovo comma 3).

 

Illeciti amministrativi e relative sanzioni

Risultano depenalizzate e degradate ad illecito amministrativo la detenzione, lo sbarco, il trasbordo, il trasporto, la commercializzazione di pesci di taglia inferiore a quella minima (cfr., il testo a fronte tra l’art. 10, comma 2 del D.Lgs. n. 4/2012 come riformulato dalla proposta in esame e la vigente formulazione dell’art. 7, comma 1, lett. a) e b) dello stesso D.Lgs.).

Si ricorda infatti, che attualmente, la  detenzione, lo sbarco, il trasporto, la commercializzazione per consumo umano di qualsiasi prodotto ittico avente taglia inferiore alla taglia minima in violazione della normativa in vigore  costituisce reato contravvenzionale ai sensi e per gli effetti dell’articolo 7, comma 1, lettere a) e b) del D.Lgs. n. 4/2012 sopra citato.

La normativa in vigore in questione è appunto quella europea.

In caso di cattura accessoria o accidentale di esemplari di dimensioni inferiori alla taglia minima, questi, secondo il vigente articolo 7, comma 2 del D.Lgs. devono essere rigettati in mare.

I successivi articoli 8 e 9 del D.Lgs. n. 4/2012 dettano le pene principali ed accessorie per le contravvenzioni indicate dall’art. 7.

In particolare, l’articolo 8 dispone che l’autore delle violazioni è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da 2.000 euro a 12.000 euro.

 

L’articolo 7 viene riformulato dall’articolo 29 qui in esame in modo da non recare più rispettivamente:

-        alla lettera a) il divieto di detenere, sbarcare e trasbordare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima in violazione della normativa in vigore ;

-        alla lettera b) il divieto di trasportare e commercializzare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima in violazione della normativa in vigore.

Tali divieti in questione trovano invece collocazione nel nuovo articolo 10 del D.Lgs. n. 4 sugli illeciti amministrativi, anch’esso riformulato dall’articolo 29 qui in commento.

Il nuovo articolo 10, comma 2, prevede infatti ora, tra gli illeciti amministrativi:

a) detenere, sbarcare e trasbordare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione, in violazione della normativa vigente;

b) trasportare, commercializzare e somministrare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione, in violazione della normativa vigente.

La violazione dei divieti sopra indicati è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria.

L’entità della sanzione amministrativa trova ora collocazione nel nuovo articolo 11, comma 4, anch’esso riformulato dalla proposta qui in esame ed è compresa tra 2.500 euro e 75.000 euro, ovvero compresa tra 5.000 euro e 150.000 euro se le specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione sono il tonno rosso (Thunnus thynnus) o il pesce spada (Xiphias gladius), e alla sospensione dell'esercizio commerciale da cinque a dieci giorni, da applicare secondo specifici criteri di gradualità stabiliti dal medesimo comma 4 e 5 dell’articolo 11 (cfr. infra, testo a fronte).

 

Il 15 giugno 2014, è stata presentata al Senato la mozione 1-00376 Candiani ed altri, volta ad impegnare il Governo:

1)  ad adottare, nelle competenti sedi europee, misure volte a salvaguardare i pescatori italiani, poiché essi si trovano inevitabilmente a perdere competitività rispetto ai loro omologhi di Paesi terzi;

2)  ad intervenire con iniziative normative che prevedano una modifica del decreto legislativo n. 4 del 2012, affinché vengano depenalizzati i reati per i pescatori per il piccolo pescato, che in ogni caso viene portato in superficie anche con le reti con maglie di misura disposta dalle recenti normative, applicando esclusivamente sanzioni di tipo amministrativo, e affinché si preveda una soglia di tolleranza del 10 per cento di esemplari sottomisura su ogni confezione del prodotto pescato;

3)  ad intervenire, nelle opportune sedi europee, affinché venga prevista una modifica all'attuale normativa europea in merito alla misura della taglia minima delle vongole, portandola da 25 millimetri ad almeno 23 millimetri. La mozione è ancora in corso di esame.

Il sottosegretario alle Politiche agricole, Giuseppe Castiglione, in audizione in commissione Agricoltura in Senato l’11 febbraio 2015 aveva comunque sottolineato con riferimento a quest’ultimo aspetto che la modifica della taglia minima potesse essere conseguita solo agendo sulla normativa europea.

Castiglione aveva poi in quella sede rilevato la problematica del sistema sanzionatorio nazionale, che attualmente espone gli imprenditori del comparto della pesca a consistenti sanzioni anche di tipo penale, dichiarando necessario e urgente intervenire su tale profilo, nel disegno di legge collegato qui in esame.

 

Nel nuovo Regolamento (UE)2015/812 del Parlamento europeo e del Consiglio, cosiddetto “regolamento omnibus sulla pesca” pubblicato nella G.U.U.E del 20 maggio 2015 si affrontano talune problematiche del pescato sotto taglia alla luce della nuova disciplina della politica comune della pesca per il periodo 2014-2020 di cui al Regolamento 1380/2013, che tra i suoi obiettivi ha fissato la graduale eliminazione dei rigetti in mare.

In particolare, il Regolamento (UE) n.1380/2013 ha stabilito, il principio delle taglie minime di riferimento per la conservazione al fine di garantire la protezione del novellame. Per quanto riguarda le specie soggette all'obbligo di sbarco[67], i pesci di taglia inferiore a tale taglia minima di riferimento per la conservazione non possono essere utilizzati per il consumo umano diretto (paragrafo 11).

Per le specie non soggette all'obbligo di sbarco, le catture di specie la cui taglia è inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione non sono conservate a bordo, ma sono rigettate immediatamente in mare (paragrafo 12).

Il regolamento (UE) n. 1379/2013 prevede l'adozione di norme comuni di commercializzazione, comprese taglie minime di commercializzazione. Per non compromettere la finalità delle taglie minime di riferimento per la conservazione, tali taglie minime di commercializzazione devono corrispondere alle taglie minime di riferimento per la conservazione previste per le specie in questione.

Viene pertanto considerato necessario conformare le taglie minime di commercializzazione alle taglie minime di riferimento per la conservazione.

Il nuovo Regolamento omnibus modifica e integra il regolamento (CE) n.1967/2006 sostituendo le taglie minime di sbarco con le taglie minime di riferimento per la conservazione, senza pregiudicare nella sostanza le attuali taglie minime di cattura.

L’articolo 15 del regolamento n. 1967/2006, novellato dal nuovo Regolamento omnibus, disciplina le taglie minime degli organismi marini, disponendo, al paragrafo 1, che un organismo marino è sotto taglia se le sue dimensioni sono inferiori alla taglia minima di riferimento per la conservazione specificata nell'allegato III del medesimo Regolamento n. 1967 o alla taglia minima di riferimento per la conservazione altrimenti fissata conformemente al diritto dell'Unione.

Si applicano dunque le taglie minime di riferimento per la conservazione stabilite nell'allegato III, fatte salve le taglie minime di riferimento per la conservazione stabilite in apposito atto adottato a norma dell’articolo 15, paragrafo 3 del regolamento (UE) n. 1380/2013, disposizione che si applica alle catture di organismi marini sotto taglia di una specie soggetta all'obbligo di sbarco. Se tali catture sono state sbarcate, gli Stati membri mettono in atto misure volte a facilitarne l'immagazzinamento o a trovare loro delle opportunità di smercio, come il sostegno agli investimenti per la costruzione e l'adattamento dei luoghi di sbarco e dei ripari di pesca, o il sostegno agli investimenti per la valorizzazione dei prodotti della pesca.

Il paragrafo 1-quater dell’articolo 15 del regolamento omnibus conferma che gli organismi marini sotto taglia di una specie non soggetta all'obbligo di sbarco ai sensi dell'articolo 15 del regolamento (UE) n. 1380/2013 non sono conservati a bordo, trasbordati, sbarcati, trasportati, immagazzinati, venduti, esposti o messi in vendita, ma sono immediatamente rigettati in mare.

Il regolamento omnibus modifica il regolamento (CE) n. 1224/2009, considerando le violazioni dell'obbligo di sbarco come un'infrazione grave a norma del regolamento (CE) n. 1224/2009[68]. L'obbligo di sbarco rappresenta un cambiamento sostanziale per gli operatori. Di conseguenza, viene rinviata di due anni l'applicazione delle norme per quanto riguarda tale tipo di infrazioni.

 

Oltre, alle fattispecie sopra descritte, l’articolo 10 novellato reca ora, alle lettere da u) a z) ulteriori nuove fattispecie di illeciti amministrativi, quali:

 

u) violare gli obblighi previsti dalle pertinenti normative europea e nazionale relative a specie appartenenti a stock ittici oggetto di piani pluriennali;

v) commercializzare il prodotto della pesca proveniente da attività di pesca INN ai sensi del regolamento (CE) n. 1005/2008 del Consiglio, del 29 settembre 2008, fatta salva l'applicazione delle norme in materia di alienazione dei beni confiscati da parte delle Autorità competenti;

Si consideri al riguardo che l’articolo 7, comma 1, pone il divieto di commercializzazione di specie di cui sia sempre vietata la cattura. Sarebbe opportuno un coordinamento al riguardo.

 

z) violare gli obblighi previsti dalle pertinenti normative europea e nazionale vigenti in materia di etichettatura e tracciabilità nonché gli obblighi relativi alle corrette informazioni al consumatore finale, relativamente a tutte le partite di prodotti della pesca e dell'acquacoltura, in ogni fase della produzione, della trasformazione e della distribuzione, dalla cattura o raccolta alla vendita al dettaglio.

 

Il novellato comma 6 dell’articolo 10 del D.Lgs. conferma che taluni divieti, ivi inclusi i nuovi illeciti amministrativi relativi alla pesca sotto taglia (di cui ai commi 2-4), non si applicano alla pesca scientifica nonché alle altre attività consentite espressamente consentita dalla normativa europea e nazionale. La novella apportata dall’articolo in esame comunque precisa resta esclusa qualsiasi forma di commercializzazione del pescato.

 

Il comma 7 conferma (facendo però salvo gli obblighi in materia di etichettatura e provenienza) che gli illeciti previsti nell’articolo in esame non si applicano ai prodotti dell’acquacoltura, salvo quanto previsto dall’art. 16 del reg. 1967/2006.

L’articolo 16 del Regolamento 1967/2006, modificato dal già citato Regolamento UE omnibus sulla pesca n. 812/2015, prevede che, in deroga alla disciplina della pesca sotto taglia (di cui al già commentato articolo 15, paragrafo 1,vedi supra ricostruzione normativa), gli organismi marini sotto taglia possono essere catturati, conservati a bordo, trasbordati, sbarcati, trasferiti, immagazzinati, venduti, esposti o messi in vendita vivi a fini di ripopolamento diretto o trapianto, con il permesso e sotto l'egida dello Stato membro in cui si svolgono tali attività .

E’ demandato agli Stati membri di provvedono affinché la cattura di organismi marini sottotaglia avvenga secondo modalità compatibili con eventuali misure di gestione unionali applicabili alla specie in questione.

Gli organismi catturati devono essere rigettati in mare o destinati all'acquacoltura estensiva. Se successivamente ricatturati, essi possono essere venduti, immagazzinati, esposti o messi in vendita a condizione che soddisfino i requisiti della pesca sotto taglia di cui all'articolo 15.

 Sono vietati l'introduzione, il trapianto e il ripopolamento diretto con specie non autoctone, salvo se tali operazioni sono svolte in conformità alla disciplina UE (articolo 22, lettera b), della cd. direttiva habitat 92/43/CEE).

L’articolo 11 riformulato indica le sanzioni amministrative principali consistenti in un articolato elenco di sanzioni pecuniarie ovviamente commisurate alla gravità della violazione.

In particolare, nel rimandare a quanto già sopra descritto circa le sanzioni previste (dal comma 4 dell’articolo 11) per gli illeciti relativi alla pesca sotto taglia (illeciti contemplati nell’articolo 10, commi 2, lettere a) e b) e 3, 4 e 6), le sanzioni previste per gli altri illeciti amministrativi sono contemplate nel novellato comma 1 e dell’articolo 11 e risultano raddoppiate se hanno ad oggetto le specie ittiche del tonno rosso e del pesce spada; nonché nel nuovo comma 3 del medesimo articolo 11.

 

Il comma 6, fermi restando i divieti relativi alla pesca sotto taglia (di cui al novellato articolo 10, commi 2-4), conferma la non sanzionabilità di catture accessorie o accidentali sotto taglia fatte con attrezzatura conforme alla normativa europea e nazionale, autorizzata dalla licenza di pesca.

 

Il comma 11 conferma la responsabilità solidale dell’armatore per le sanzioni inflitte ai propri dipendenti e ausiliari per illeciti commessi nel corso della pesca in mare (per il pagamento ci si potrà rivolgere, quindi, sia al pescatore che all’armatore, salvo il diritto di regresso di chi adempie nei confronti dell’altro).

 

Il nuovo articolo 12 reca (comma 1) le sanzioni amministrative accessorie, confermando sostanzialmente il dispositivo previgente (confisca del pescato e delle attrezzature vietate e rimessa in pristino delle zone di pesca ove si è pescato con apparecchi fissi e mobili non autorizzati).

Come nell’articolo 9 novellato, sono previste nuove sanzioni accessorie consistenti in sospensioni della licenza di pesca o del certificato di iscrizione nel registro dei pescatori in caso di illeciti amministrativi riguardanti la pesca al tonno rosso o al pesce spada o che siano commesse con imbarcazioni non autorizzate alla pesca professionale(commi 3 e 4).

Una nuova disposizione (comma 5) prevede che le modalità e i termini procedurali per la sospensione del certificato di iscrizione nel registro dei pescatori saranno definiti con decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali.

Si segnala che tale disposizione non è prevista dall’articolo 9 del D.Lgs. 4/2012 in relazione all’analoga pena accessoria derivante da contravvenzione.

 

L’articolo 14 novellato conferma il sistema a punti per infrazioni gravi, conformemente a quanto previsto dalla normativa europea (art. 92 reg CE 1224/2009 e artt 125 e ss reg (UE) 404/2011 (comma 1).

Al comma 2 dell’articolo viene, come già accennato in principio alla presente scheda, l’elenco delle contravvenzioni ed illeciti amministrativi (tra quelli definiti agli articoli 7 e 10) che devono considerarsi gravi.

Fermo quanto già sopra rilevato circa le inclusioni all’interno del sistema a punti, si segnala che un nuovo comma estende il sistema a punti anche alla pesca subacquea professionale (comma 5).

Altre disposizioni

Il comma 2 dell’articolo in esame interviene sul regolamento sulla pesca marittima (D.P.R. n. 1639/1968) sopprimendo all’articolo 89, la voce che fissa in 2,5 centimetri la dimensione al di sotto della quale le vongole (Venus gallina e Venerupis sp.) sono considerate esemplari allo stadio giovanile.

La finalità esplicitata è semplificare la normativa nazionale e armonizzarla con quella europea ed evitare disparità di trattamento tra gli operatori dei diversi Stati membri dell'Unione europea.

 

Si ricorda che il D.P.R. n. 1639/1968 all’articolo 89 dispone che tra i molluschi bivalvi  (Lamellibranchi) sono considerate vongole (Venus gallina e Venerupis sp.) allo stadio giovanile gli esemplari inferiori a 2,5 cm.

Il successivo articolo 91 dispone che gli esemplari di dimensioni inferiori a quelle sopra stabilite, cioè il novellame), eventualmente catturati, debbono essere rigettati in mare. Prevede comunque una soglia di tolleranza sui prodotti sottodimensionati del 10 per cento sul totale pescato e, ove possibile, sul volume.

La ratio di questa disposizione sembra essere quella per cui non si possono misurare i singoli esemplari mentre si pesca, e anche il vaglio meccanico in uso sulle vongolare non può essere esente da errori, in quanto non consente di selezionare totalmente il prodotto per taglia minima, quindi risulta inevitabile la presenza di qualche esemplare sotto taglia.

Nonostante la disposizione sembri essere ancora vigente, essa viene disapplicata dalle autorità preposte alla sua osservanza in ragione della vigenza di precise norme europee.

Si ricorda che l’articolo 15 del Reg. (CE) 21 dicembre 2006 n. 1967/2006, già citato, dispone che un organismo marino è sotto taglia se le sue dimensioni sono inferiori alla taglia minima di riferimento per la conservazione specificata nell'allegato III del medesimo regolamento. Per le vongole (Venerupis spp e Venus spp) la taglia minima è di 25 millimetri.

 

Si osserva che la soppressione del richiamo alla taglia minima di 2,5 cm operato dal comma 2 dell’articolo 29 in esame dovrebbe essere al più sostituita con un richiamo per relationem ai regolamenti europei comunque vigenti in materia.

 

Disposizioni transitorie e finali

Il comma 3 dell’articolo 29 rende applicabili alle previsioni introdotte dal comma 1 dell’articolo 29:

-      la clausola di retroattività delle previsioni più favorevoli, alle violazioni commesse anteriormente, sempre che il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili; in tal caso, comunque, non si applicano le nuove sanzioni amministrative accessorie, salvo che le stesse sostituiscano corrispondenti pene accessorie;

-      in sede di esecuzione dei procedimenti penali già definiti, per le violazioni ora depenalizzate, la revoca con declaratoria che il fatto non è (più) previsto dalla legge come reato, con adozione dei provvedimenti conseguenti. Restano salve la confisca nonché le pene accessorie, nei casi in cui queste ultime siano applicabili alle violazioni depenalizzate come sanzioni amministrative.

 

Testo a fronte tra i vigenti artt. da 7 a 14 del D.lgs. 4/20012 e le stesse disposizioni come modificate dall’art. 29 in esame.

 

Decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4

Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96

 

 

TESTO VIGENTE

TESTO MODIFICATO

 

 

Art. 7

Contravvenzioni

Art. 7

Contravvenzioni

1. Al fine di tutelare le risorse biologiche il cui ambiente abituale o naturale di vita sono le acque marine, nonché di prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, è fatto divieto di:

1. Identico:

 

 

 

Art. 10

Illeciti amministrativi

 

2. Fatte salve le specie ittiche soggette all'obbligo di sbarco ai sensi delle norme europee e nazionali vigenti, è fatto divieto di:

a) detenere, sbarcare e trasbordare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima in violazione della normativa in vigore;

a) detenere, sbarcare e trasbordare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione, in violazione della normativa vigente;

b) trasportare e commercializzare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima in violazione della normativa in vigore;

b) trasportare, commercializzare e somministrare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione, in violazione della normativa vigente.

 

 

 

Art. 7

Contravvenzioni

c) detenere, sbarcare, trasportare e commercializzare le specie di cui sia vietata la cattura in qualunque stadio di crescita, in violazione della normativa in vigore;

a) pescare, detenere, trasbordare, sbarcare, trasportare e commercializzare le specie di cui sia vietata la cattura in qualunque stadio di crescita, in violazione della normativa vigente;

d) danneggiare le risorse biologiche delle acque marine con l'uso di materie esplodenti, dell'energia elettrica o di sostanze tossiche atte ad intorpidire, stordire o uccidere i pesci e gli altri organismi acquatici;

b ) Identica;

e) raccogliere, trasportare o mettere in commercio pesci ed altri organismi acquatici intorpiditi, storditi o uccisi secondo le modalità di cui alla lettera d);

c) raccogliere, trasportare o mettere in commercio pesci ed altri organismi acquatici intorpiditi, storditi o uccisi con le modalità di cui alla lettera b);

f) pescare in acque sottoposte alla sovranità di altri Stati, salvo che nelle zone, nei tempi e nei modi previsti dagli accordi internazionali, ovvero sulla base delle autorizzazioni rilasciate dagli Stati interessati;

d) pescare in acque sottoposte alla sovranità di altri Stati, salvo che nelle zone, nei tempi e nei modi previsti dagli accordi internazionali, ovvero sulla base delle autorizzazioni rilasciate dagli Stati interessati. Allo stesso divieto sono sottoposte le unità non battenti bandiera italiana che pescano nelle acque sottoposte alla sovranità della Repubblica italiana.

g) esercitare la pesca in acque sottoposte alla competenza di un'organizzazione regionale per la pesca, violandone le misure di conservazione o gestione e senza avere la bandiera di uno degli Stati membri di detta organizzazione;

e) Identica;

h) sottrarre od asportare, senza il consenso dell'avente diritto, gli organismi acquatici oggetto della altrui attività di pesca, esercitata mediante attrezzi o strumenti fissi o mobili, sia quando il fatto si commetta con azione diretta su tali attrezzi o strumenti, sia esercitando la pesca con violazione delle distanze di rispetto stabilite dalla normativa vigente;

f) sottrarre od asportare gli organismi acquatici oggetto della altrui attività di pesca, esercitata mediante attrezzi o strumenti fissi o mobili, sia quando il fatto si commetta con azione diretta su tali attrezzi o strumenti, sia esercitando la pesca con violazione delle distanze di rispetto stabilite dalla normativa vigente;

i) sottrarre od asportare, senza il consenso dell'avente diritto, gli organismi acquatici che si trovano in spazi acquei sottratti al libero uso e riservati agli stabilimenti di pesca e, comunque detenere, trasportare e fare commercio dei detti organismi, senza il suddetto consenso.

g) sottrarre od asportare gli organismi acquatici che si trovano in spazi acquei sottratti al libero uso e riservati agli stabilimenti di pesca e comunque detenere, trasportare e fare commercio dei detti organismi.

 

 

 

Art. 10

Illeciti amministrativi

2. In caso di cattura accessoria o accidentale di esemplari di dimensioni inferiori alla taglia minima, questi devono essere rigettati in mare.

3. In caso di cattura, accidentale o accessoria, di specie non soggette all'obbligo di sbarco, la cui taglia è inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione, è fatto divieto di conservarne gli esemplari a bordo. Le catture di cui al presente comma devono essere rigettate in mare.

 

4. In caso di cattura, accidentale o accessoria, di specie soggette all'obbligo di sbarco, la cui taglia è inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione, è fatto divieto di trasportarne e commercializzarne gli esemplari al fine del consumo umano diretto.

 

5. In caso di cattura accidentale o accessoria di esemplari di cui al comma 4, restano salvi gli obblighi relativi alla comunicazione preventiva alla competente Autorità marittima secondo modalità, termini e procedure stabilite con successivo decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali.

 

 

 

Art. 7

Contravvenzioni

3. I divieti di cui alle lettere a) e c) del comma 1 non riguardano la pesca scientifica, nonché le altre attività espressamente autorizzate ai sensi della vigente normativa comunitaria e nazionale.

2. Il divieto di cui al comma 1, lettera a), non riguarda la pesca scientifica, nonché le altre attività espressamente autorizzate ai sensi delle normative internazionale, europea e nazionale vigenti. Resta esclusa qualsiasi forma di commercializzazione per i prodotti di tale tipo di pesca ed è consentito detenere e trasportare le specie pescate per soli fini scientifici.

4. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano ai prodotti dell'acquacoltura e a quelli ad essa destinati, fermo restando quanto previsto dall' articolo 16 del regolamento (CE) 1967/06.

 

 

Art. 8

Pene principali per le contravvenzioni

Art. 8

Pene principali per le contravvenzioni

1. Chiunque viola i divieti di cui all' articolo 7 , comma 1, lettere a), b), c), d), e), f) e g), è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da 2.000 euro a 12.000 euro.

1. Chiunque viola i divieti di cui all'articolo 7, comma 1, lettere a), b), c), d) ed e), è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da 2.000 euro a 12.000 euro.

 

 

 

Art. 8

Pene principali per le contravvenzioni

2. Chiunque viola i divieti di cui all' articolo 7 , comma 1, lettere h) ed i), è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, a querela della persona offesa, con l'arresto da un mese a un anno o con l'ammenda da 1.000 euro a 6.000 euro.

2. Chiunque viola i divieti di cui all'articolo 7, comma 1, lettere f) e g), è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, a querela della persona offesa, con l'arresto da un mese a un anno o con l'ammenda da 1.000 euro a 6.000 euro.

 

 

 

Art. 11

Sanzioni amministrative principali

3. Fermi restando i divieti di detenzione, sbarco, trasporto, trasbordo e commercializzazione di esemplari di specie ittiche al di sotto della taglia minima prevista dai regolamenti comunitari e dalle norme nazionali applicabili, nei casi di cui al comma 2 dell' articolo 7 non è applicata sanzione se la cattura è stata realizzata con attrezzi conformi alle norme comunitarie e nazionali, autorizzati dalla licenza di pesca.

6. Fermo restando quanto stabilito all'articolo 10, commi 2, 3 e 4, non è applicata sanzione se la cattura accessoria o accidentale di esemplari di specie di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione è stata realizzata con attrezzi conformi alle normative europea e nazionale, autorizzati dalla licenza di pesca.

 

 

Art. 9

Pene accessorie per le contravvenzioni

Art. 9

Pene accessorie per le contravvenzioni

1. La condanna per le contravvenzioni previste e punite dal presente decreto comporta l'applicazione delle seguenti pene accessorie:

1. Identico:

a) la confisca del pescato, salvo che esso sia richiesto dagli aventi diritto nelle ipotesi previste dalle lettere h) ed i) dell' articolo 7, comma 1;

a) la confisca del pescato, salvo che esso sia richiesto dagli aventi diritto nelle ipotesi previste dall'articolo 7, comma 1, lettere f) e g);

b) la confisca degli attrezzi, degli strumenti e degli apparecchi con i quali è stato commesso il reato;

b) identica;

c) l'obbligo di rimettere in pristino lo stato dei luoghi nei casi contemplati dalle lettere d), h) ed i) dell' articolo 7, comma 1, qualora siano stati arrecati danni ad opere o impianti ivi presenti;

c) l'obbligo di rimettere in pristino lo stato dei luoghi nei casi contemplati dall'articolo 7, comma 1, lettere b), f) e g), qualora siano stati arrecati danni ad opere o impianti ivi presenti;

d) la sospensione dell'esercizio commerciale da cinque a dieci giorni, in caso di commercializzazione o somministrazione di esemplari di specie ittiche al di sotto della taglia minima prevista dai regolamenti comunitari e dalle norme nazionali applicabili ovvero di cui è vietata la cattura.

d) la sospensione dell'esercizio commerciale da cinque a dieci giorni, in caso di commercializzazione o somministrazione di esemplari di specie ittiche di cui è vietata la cattura in qualunque stadio di crescita, in violazione della normativa vigente.

2. Qualora le violazioni di cui all'articolo 7, comma 1, lettere d) ed e), abbiano ad oggetto le specie ittiche tonno rosso (Thunnus thynnus) e pesce spada (Xiphias gladius), è sempre disposta nei confronti del titolare dell'impresa di pesca la sospensione della licenza di pesca per un periodo da tre mesi a sei mesi e, in caso di recidiva, la revoca della medesima licenza.

3. Qualora le violazioni di cui all'articolo 7, comma 1, lettere a), d) ed e), siano commesse mediante l'impiego di una imbarcazione non espressamente autorizzata all'esercizio della pesca marittima professionale, è sempre disposta nei confronti dei trasgressori la sospensione del certificato di iscrizione nel registro dei pescatori da quindici a trenta giorni e, in caso di recidiva, da trenta giorni a tre mesi.

 

 

Art. 10

Illeciti amministrativi

Art. 10

Illeciti amministrativi

1. Al fine di tutelare le risorse biologiche il cui ambiente abituale o naturale di vita sono le acque marine, nonché di prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, è fatto divieto di:

1. Identico:

a) effettuare la pesca con unità iscritte nei registri di cui all'articolo 146 codice della navigazione, senza essere in possesso di una licenza di pesca, o di un'autorizzazione in corso di validità;

a. Identica:

b) pescare in zone e tempi vietati dalla normativa comunitaria e nazionale;

b) pescare in zone e tempi vietati dalle normative europea e nazionale vigenti;

c) detenere, trasportare e commerciare il prodotto pescato in zone e tempi vietati dalla normativa comunitaria e nazionale;

c) detenere, trasportare e commerciare il prodotto pescato in zone e tempi vietati dalle normative europea e nazionale vigenti;

d) pescare direttamente stock ittici per i quali la pesca è sospesa ai fini del ripopolamento per la ricostituzione degli stessi;

d) identica;

e) pescare quantità superiori a quelle autorizzate, per ciascuna specie, dalla normativa comunitaria e nazionale;

e) pescare quantità superiori a quelle autorizzate, per ciascuna specie, dalle normative europea e nazionale vigenti;

f) effettuare catture accessorie o accidentali in quantità superiori a quelle autorizzate, per ciascuna specie, dalla normativa nazionale e comunitaria;

f) effettuare catture accessorie o accidentali in quantità superiori a quelle autorizzate, per ciascuna specie, dalle normative europea e nazionale vigenti;

g) pescare direttamente uno stock ittico per il quale è previsto un contingente di cattura, senza disporre di tale contingente ovvero dopo che il medesimo è andato esaurito;

g) identica;

h) pescare con attrezzi o strumenti, vietati dalla normativa comunitaria e nazionale o non espressamente permessi, o collocare apparecchi fissi o mobili ai fini di pesca senza o in difformità della necessaria autorizzazione;

h) pescare con attrezzi o strumenti vietati dalla normativa europea e nazionale o non espressamente permessi, o collocare apparecchi fissi o mobili ai fini di pesca senza la necessaria autorizzazione o in difformità da questa;

i) detenere attrezzi non consentiti, non autorizzati o non conformi alla normativa vigente e detenere, trasportare o commerciare il prodotto di tale pesca;

i) identica;

l) manomettere, alterare o modificare l'apparato motore dell'unità da pesca, al fine di aumentarne la potenza oltre i limiti massimi indicati nella relativa certificazione tecnica;

l) manomettere, sostituire, alterare o modificare l'apparato motore dell'unità da pesca, al fine di aumentarne la potenza oltre i limiti massimi indicati nella relativa certificazione tecnica;

m) navigare con un dispositivo di localizzazione satellitare manomesso, alterato o modificato, nonché interrompere volontariamente il segnale;

m) identica;

n) falsificare o occultare la marcatura, l'identità o i contrassegni di individuazione dell'unità da pesca;

n) falsificare, occultare od omettere la marcatura, l'identità o i contrassegni di individuazione dell'unità da pesca, ovvero, dove previsto, degli attrezzi da pesca;

o) violare gli obblighi previsti dalle pertinenti norme comunitarie e nazionali in materia di registrazione e dichiarazione dei dati relativi alle catture e agli sbarchi, compresi i dati da trasmettere attraverso il sistema di controllo dei pescherecci via satellite;

o) violare gli obblighi previsti dalle pertinenti normative europea e nazionale vigenti in materia di registrazione e dichiarazione dei dati relativi alle catture e agli sbarchi, compresi i dati da trasmettere attraverso il sistema di controllo dei pescherecci via satellite;

p) violare gli obblighi previsti dalle pertinenti norme comunitarie e nazionali in materia di registrazione e dichiarazione dei dati relativi alle catture e agli sbarchi di specie appartenenti a stock oggetto di piani pluriennali o pescate fuori dalle acque mediterranee;

p) violare gli obblighi previsti dalle pertinenti normative europea e nazionale vigenti in materia di registrazione e dichiarazione dei dati relativi alle catture e agli sbarchi di specie appartenenti a stock oggetto di piani pluriennali o pescate fuori dalle acque mediterranee;

q) effettuare operazioni di trasbordo o partecipare a operazioni di pesca congiunte con pescherecci sorpresi ad esercitare pesca INN (pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata) ai sensi del regolamento (CE) n. 1005/2008, in particolare con quelli inclusi nell'elenco dell'Unione delle navi INN o nell'elenco delle navi INN di un'organizzazione regionale per la pesca, o prestazione di assistenza o rifornimento a tali navi;

q) effettuare operazioni di trasbordo o partecipare a operazioni di pesca congiunte con pescherecci sorpresi ad esercitare pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN) ai sensi del regolamento (CE) n. 1005/2008 del Consiglio, del 29 settembre 2008, in particolare con quelli inclusi nell'elenco UE delle navi INN o nell'elenco delle navi INN di un'organizzazione regionale per la pesca, o effettuare prestazione di assistenza o rifornimento a tali navi;

r) utilizzare un peschereccio privo di nazionalità e quindi da considerare senza bandiera ai sensi del diritto vigente;

r) identica;

s) occultare, manomettere o eliminare elementi di prova relativi ad un'indagine posta in essere dagli ispettori della pesca, dagli organi deputati alla vigilanza ed al controllo e dagli osservatori, nell'esercizio delle loro funzioni, nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria;

s) occultare, manomettere o eliminare elementi di prova relativi a un'indagine posta in essere dagli ispettori della pesca, dagli organi deputati alla vigilanza ed al controllo e dagli osservatori, nell'esercizio delle loro funzioni, nel rispetto delle normative europea e nazionale vigenti;

t) intralciare l'attività posta in essere dagli ispettori della pesca, dagli organi deputati alla vigilanza ed al controllo e dagli osservatori, nell'esercizio delle loro funzioni, nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria.

t) intralciare l'attività posta in essere dagli ispettori della pesca, dagli organi deputati alla vigilanza ed al controllo e dagli osservatori, nell'esercizio delle loro funzioni, nel rispetto delle normative europea e nazionale vigenti;

u) violare gli obblighi previsti dalle pertinenti normative europea e nazionale relative a specie appartenenti a stock ittici oggetto di piani pluriennali, fatto salvo quanto previsto alla lettera p);

v) commercializzare il prodotto della pesca proveniente da attività di pesca INN ai sensi del regolamento (CE) n. 1005/2008 del Consiglio, del 29 settembre 2008, fatta salva l'applicazione delle norme in materia di alienazione dei beni confiscati da parte delle Autorità competenti;

z) violare gli obblighi previsti dalle pertinenti normative europea e nazionale vigenti in materia di etichettatura e tracciabilità nonché gli obblighi relativi alle corrette informazioni al consumatore finale, relativamente a tutte le partite di prodotti della pesca e dell'acquacoltura, in ogni fase della produzione, della trasformazione e della distribuzione, dalla cattura o raccolta alla vendita al dettaglio.

2. I divieti di cui alle lettere b), c), d), g) ed h) del comma 1 non riguardano la pesca scientifica, nonché le altre attività espressamente autorizzate ai sensi della vigente normativa comunitaria e nazionale.

 

 

 

 

 

6. I divieti di cui ai commi 1, lettere b), c), d), g) e h), 2, 3 e 4 non riguardano la pesca scientifica, nonché le altre attività espressamente autorizzate ai sensi delle vigenti normative europea e nazionale. Resta vietata qualsiasi forma di commercializzazione per i prodotti di tale tipo di pesca ed è consentito detenere e trasportare le specie pescate per soli fini scientifici.

3. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano ai prodotti dell'acquacoltura e a quelli ad essa destinati, fermo restando quanto previsto dall'articolo 16 del regolamento (CE) n. 1967/06 .

7. Fatto salvo quanto previsto al comma 1, lettera z), e fermo restando quanto previsto dall'articolo 16 del regolamento (CE) n. 1967/2006 del Consiglio, del 21 dicembre 2006, le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano ai prodotti dell'acquacoltura e a quelli ad essa destinati.

 

 

Art. 11

Sanzioni amministrative principali

Art. 11

Sanzioni amministrative principali

1. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque viola i divieti posti dall' articolo 10 , comma 1, lettere a), b), c), d), e), f), g), h), i), l), m), n), p), q), r), s), t) ed u), è soggetto al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 12.000 euro.

 

 

 

 

 

 

1. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque viola i divieti posti dall'articolo 10, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f), g), h), i), l), m), n), p), q), r), s), t), u) e v), ovvero non adempie agli obblighi di cui al comma 5 del medesimo articolo, è soggetto al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 12.000 euro. I predetti importi sono raddoppiati nel caso in cui le violazioni dei divieti posti dall'articolo 10, comma 1, lettere b), c), d), e), f), g), h), p), q), u) e v), abbiano a oggetto le specie ittiche tonno rosso (Thunnus thynnus) e pesce spada (Xiphias gladius).

2. Chiunque violi il divieto posto dall' articolo 10, comma 1, lettera o), è soggetto al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 6.000 euro.

2. Identico.

3. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque viola il divieto posto dall'articolo 10, comma 1, lettera z), è soggetto al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria da 750 euro a 4.500 euro.

 

N.B: i successivi commi 4 -5 dell’articolo 11, che di seguito si inseriscono, prevedono una sanzione amministrativa pecuniaria per le violazioni, che la normativa vigente invece iscrive come contravvenzioni nell’articolo 7, comma 1 lettera) a e b).

Tali violazioni, nella proposta di legge in esame, vengono espunte dall’articolo 7 e dequalificate a illecito amministrativo venendo inserite nel nuovo articolo 10, comma 2, lettere a) e b)

 

4. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque viola le disposizioni di cui all'articolo 10, commi 2, lettere a) e b), 3, 4 e 6, è soggetto al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 2.500 euro e 75.000 euro, ovvero compresa tra 5.000 euro e 150.000 euro se le specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione sono il tonno rosso (Thunnus thynnus) o il pesce spada (Xiphias gladius), e alla sospensione dell'esercizio commerciale da cinque a dieci giorni, da applicare secondo i criteri di seguito stabiliti:

a) fino a 50 kg di pescato: sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 2.500 euro e 15.000 euro e sospensione dell'esercizio commerciale per cinque giorni lavorativi. I predetti importi sono raddoppiati nel caso in cui le specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione sono il tonno rosso (Thunnus thynnus) o il pesce spada (Xiphias gladius);

b) oltre 50 kg e fino a 150 kg di pescato: sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 6.000 euro e 36.000 euro e sospensione dell'esercizio commerciale per otto giorni lavorativi. I predetti importi sono raddoppiati nel caso in cui le specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione sono il tonno rosso (Thunnus thynnus) o il pesce spada (Xiphias gladius);

c) oltre 150 kg di pescato: sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 12.500 euro e 75.000 euro e sospensione dell'esercizio commerciale per dieci giorni lavorativi. I predetti importi sono raddoppiati nel caso in cui le specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione sono il tonno rosso (Thunnus thynnus) o il pesce spada (Xiphias gladius).

5. Ai fini della determinazione delle sanzioni di cui al comma 4, al peso del prodotto ittico deve essere applicata una riduzione a favore del trasgressore pari al 10 per cento del peso rilevato. Eventuali decimali risultanti da questa operazione non possono essere oggetto di ulteriore arrotondamento, né è possibile tener conto di ulteriori percentuali di riduzione collegate all'incertezza della misura dello strumento, che sono già comprese nella percentuale sopra citata.

3. È soggetto al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 6.000 chiunque:

a) esercita la pesca marittima senza la preventiva iscrizione nel registro dei pescatori marittimi;

7. È soggetto al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 6.000 euro chiunque esercita la pesca marittima senza la preventiva iscrizione nel registro dei pescatori marittimi.

b) viola il divieto di cui all' articolo 6, comma 3.

8. È soggetto al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria da 4.000 euro a 12.000 euro chiunque viola il divieto di cui all'articolo 6, comma 3.

4. È soggetto al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 3.000 chiunque:

9. Identico:

a) viola le norme del decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1968, n. 1639, relative all'esercizio della pesca sportiva, ricreativa e subacquea;

 

 

a) viola le norme vigenti relative all'esercizio della pesca sportiva, ricreativa e subacquea. I predetti importi sono raddoppiati nel caso in cui le richiamate violazioni abbiano ad oggetto le specie ittiche tonno rosso (Thunnus thynnus) e pesce spada (Xiphias gladius);

b) cede un fucile subacqueo o altro attrezzo simile a persona minore degli anni sedici, ovvero affidi un fucile subacqueo o altro attrezzo similare a persona minore degli anni sedici, se questa ne faccia uso.

b) identica.

5. L'armatore è solidalmente e civilmente responsabile con il comandante della nave da pesca per le sanzioni amministrative pecuniarie inflitte ai propri ausiliari e dipendenti per illeciti commessi nell'esercizio della pesca marittima.

11. Identico.

 

 

Art. 12

Sanzioni amministrative accessorie

Art. 12

Sanzioni amministrative accessorie

1. Alle violazioni di cui all' articolo 11, commi 1, 2, 3 e 4, lettera a), sono applicate le seguenti sanzioni amministrative accessorie:

1. All'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 11, commi 1, 2, 3, 4, 7, 8, lettera a), e 9, consegue l'irrogazione delle seguenti sanzioni amministrative accessorie:

a) la confisca del pescato;

 

 

 

 

 

 

 

a) la confisca del pescato. Fatte salve le previsioni di cui all'articolo 15 del regolamento (UE) n. 1380/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2013, è sempre disposta la confisca degli esemplari di specie di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione, stabilita con normativa europea e nazionale;

b) la confisca degli attrezzi, degli strumenti e degli apparecchi usati o detenuti, in contrasto con le pertinenti normative nazionali e comunitarie. È sempre disposta la confisca degli attrezzi, degli strumenti e degli apparecchi usati o detenuti che non siano conformi alle pertinenti normative nazionali e comunitarie. Gli attrezzi confiscati non consentiti, non autorizzati o non conformi alla normativa vigente sono distrutti e le spese relative alla custodia e demolizione sono poste a carico del contravventore;

b) la confisca degli attrezzi, degli strumenti e degli apparecchi usati o detenuti, in contrasto con le pertinenti normative europea e nazionale. È sempre disposta la confisca degli attrezzi, degli strumenti e degli apparecchi usati o detenuti che non siano conformi alle pertinenti normative europea e nazionale. Gli attrezzi confiscati non consentiti, non autorizzati o non conformi alla normativa vigente sono distrutti e le spese relative alla custodia e demolizione sono poste a carico del contravventore;

c) l'obbligo di rimettere in pristino le zone in cui sono stati collocati apparecchi fissi o mobili di cui alla lettera h) dell' articolo 10 , comma 1.

c) l'obbligo di rimettere in pristino le zone in cui sono stati collocati apparecchi fissi o mobili di cui all'articolo 10, comma 1, lettera h).

2. Qualora le violazioni di cui alle lettere h) ed i) del comma 1 dell'articolo 10 siano commesse con reti da posta derivante, è sempre disposta nei confronti del titolare dell'impresa di pesca quale obbligato in solido, la sospensione della licenza di pesca per un periodo da tre mesi a sei mesi e, in caso di recidiva, la revoca della medesima licenza, anche ove non venga emessa l'ordinanza di ingiunzione.

2. Qualora le violazioni di cui all'articolo 10, comma 1, lettere h) ed i), siano commesse con reti da posta derivante, è sempre disposta nei confronti del titolare dell'impresa di pesca, quale obbligato in solido, la sospensione della licenza di pesca per un periodo da tre mesi a sei mesi e, in caso di recidiva, la revoca della medesima licenza, anche ove non venga emessa l'ordinanza di ingiunzione.

3. Qualora le violazioni di cui all'articolo 10, commi 1, lettere b), c), d), e), f), g), h), p) e q), 2, 3, 4 e 5, abbiano ad oggetto le specie ittiche tonno rosso (Thunnus thynnus) e pesce spada (Xiphias gladius), è sempre disposta nei confronti del titolare dell'impresa di pesca, quale obbligato in solido, la sospensione della licenza di pesca per un periodo da tre mesi a sei mesi e, in caso di recidiva, la revoca della medesima licenza anche ove non venga emessa l'ordinanza di ingiunzione.

4. Qualora le violazioni di cui all'articolo 10, commi 1, lettere a), b), c), d), g), h), s) e t), 2, 3, 4 e 5, siano commesse mediante l'impiego di una imbarcazione non espressamente autorizzata all'esercizio della pesca marittima professionale, è sempre disposta nei confronti dei trasgressori la sospensione del certificato di iscrizione nel registro dei pescatori da quindici a trenta giorni e, in caso di recidiva, da trenta giorni a tre mesi, anche ove non venga emessa l'ordinanza di ingiunzione.

5. Con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali sono individuati modalità, termini e procedure per l'applicazione della sospensione di cui al comma 4.

 

 

Art. 13

Disposizioni procedurali

Art. 13

Disposizioni procedurali

1. Le sanzioni amministrative principali ed accessorie previste per le violazioni di cui al presente decreto si applicano secondo le modalità di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689 , e successive modificazioni.

2. In relazione alle violazioni individuate dal presente decreto, l'autorità competente a ricevere il rapporto di cui all' articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689 , e successive modificazioni, è il Capo del compartimento marittimo.

3. Identico.

 

 

Art. 14

Istituzione del sistema di punti per infrazioni gravi

Art. 14

Istituzione del sistema di punti per infrazioni gravi

1. È istituito il sistema di punti per infrazioni gravi di cui all' articolo 92 del regolamento (CE) n. 1224/2009 ed agli articoli 125 e seguenti del regolamento (CE) n. 404/2011 .

 

1. È istituito il sistema di punti per infrazioni gravi di cui all'articolo 92 del regolamento (CE) n. 1224/2009 del Consiglio, del 20 novembre 2009, ed agli articoli 125 e seguenti del regolamento (UE) n. 404/2011 della Commissione, dell'8 aprile 2011.

2. Costituiscono infrazioni gravi le contravvenzioni di cui all' articolo 7, comma 1, lettere a), c) e g), e gli illeciti amministrativi di cui all' articolo 10, comma 1, lettere a), b), d), g), h), n), o), p), q), r), s) e t).

2. Costituiscono infrazioni gravi le contravvenzioni di cui all'articolo 7, comma 1, lettere a) e e), e gli illeciti amministrativi di cui all'articolo 10, commi 1, lettere a), b), d), g), h), n), o), p), q), r), s) e t), e 2, lettere a) e b).

3. La commissione di un'infrazione grave dà sempre luogo all'assegnazione di un numero di punti alla licenza di pesca, come individuati nell'allegato I, anche se non venga emessa l'ordinanza di ingiunzione.

3. Identico.

4. Con successivo decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali sono individuati modalità, termini e procedure per l'applicazione del sistema di punti di cui al presente articolo, ferma restando la competenza della Direzione generale della pesca marittima e dell'acquacoltura in ordine alla revoca della licenza di pesca.

4. Con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali sono individuati modalità, termini e procedure per l'applicazione del sistema di punti di cui al presente articolo, ferma restando la competenza della Direzione generale della pesca marittima e dell'acquacoltura del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in ordine alla revoca della licenza di pesca.

5. Il sistema di punti per infrazioni gravi si applica anche all'autorizzazione per l'esercizio della pesca subacquea professionale, secondo modalità, termini e procedure da individuare con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali.

 

 

 

 


 

Articolo 30
(Modifiche al D.L. n. 91/2014 in materia di rete del lavoro agricolo di qualità)

L'articolo 30 apporta integrazioni e modifiche alla disciplina istitutiva della Rete del lavoro agricolo di qualità, contenuta nell’articolo 6 del D.L. n. 91/2014.

Le integrazioni apportate dall’articolo 30 sono, in particolare, finalizzate ad estendere l’ambito dei soggetti che possono aderire alla Rete (includendovi gli sportelli unici per l'immigrazione, le istituzioni locali, i centri per l'impiego e gli enti bilaterali costituiti dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori in agricoltura e i soggetti abilitati al trasporto di persone per il trasporto dei lavoratori agricoli); nonché ad estendere l’ambito delle funzioni svolte dalla Cabina di regia della Rete stessa. Viene inoltre specificato che per le attività di cui all’articolo 6 del D.L. n. 91 si provvede comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Si ricorda che l’istituzione di una “Rete del lavoro agricolo di qualità” risponde ad una proposta elaborata nell’ambito della proposta unitaria di riforma del mercato agricolo dalle sigle sindacali del settore agricolo FAI-CISL, CGIL-FLAI e UILA, presentata, in prima battuta, il 26 febbraio 2014, presso l’INPS[69] e successivamente depositata agli atti del Senato, in data 23 aprile 2014, in sede di Audizione informale dei medesimi rappresentanti sul Disegno di legge collegato in esame.

La proposta delle sigle sindacali ha ricevuto nella sostanza accoglimento con il D.L. n. 91/2014.

 

L’articolo 6 del D.L. n. 91  ha previsto l'istituzione di una Rete del lavoro agricolo di qualità, alla quale possono partecipare, su istanza, le imprese agricole che siano in possesso di determinati requisiti di regolarità sotto il profilo lavoristico, previdenziale e tributario. L’articolo pone, di conseguenza, il principio che l'attività di vigilanza, nel settore agricolo, da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'INPS, sia orientata nei confronti delle imprese non appartenenti alla Rete suddetta.

In particolare, il comma 1 dell’articolo dispone l’istituzione presso l’INPS – della “Rete del lavoro di qualità”–  alla quale possono partecipare le imprese agricole che:

a)  non hanno riportato condanne penali per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale e in materia di imposte sui redditi e sul valore;

b)  non sono destinatarie, negli ultimi tre anni, di sanzioni amministrative per le violazioni di cui alla lettera a);

c)  sono in regola con il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi.

Il comma 2 prevede che alla Rete sovraintenda una cabina di regia composta da rappresentanti delle istituzioni centrali e territoriali, da rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro e presieduta dal rappresentante dell’INPS.

Ai sensi del comma 5 la partecipazione alla cabina di regia è a titolo gratuito e ai componenti non sono corrisposti gettoni, compensi, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati.

La cabina di regia si avvale per il suo funzionamento delle risorse umane e strumentali messe a disposizione dall’INPS, il quale - ai sensi di quanto previsto dal successivo comma 8 - provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

I compiti della cabina di regia e consistono, ai sensi del comma 4, nel:

a)  deliberare sulle istanze di partecipazione alla Rete, entro 30 giorni dalla presentazione delle stesse;

b)  escludere dalla Rete le imprese agricole che perdono i requisiti di cui al comma 1.

c)  redigere e aggiornare l’elenco delle imprese agricole che partecipano alla Rete e curarne la pubblicazione sul sito internet dell’INPS;

d)  formulare proposte al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero delle politiche agricole e forestali in materia di lavoro e di legislazione sociale nel settore agricolo.

Il comma 3 prevede le modalità di partecipazione alla Rete, disponendo che le imprese agricole – al fine di parteciparvi - presentino istanza in via telematica.

Il comma 6, dispone che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’INPS - fermi restando gli ordinari controlli in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro - orientano l’attività di vigilanza nei confronti delle imprese non appartenenti alla Rete del lavoro agricolo di qualità, fatti salvi:

    i casi di richiesta di intervento proveniente dal lavoratore, dalle organizzazioni sindacali, dall’Autorità giudiziaria o da autorità amministrative

    e, secondo quanto introdotto al Senato, i casi di imprese che abbiano procedimenti penali in corso per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale, di contratti collettivi, di sicurezza sui luoghi di lavoro e in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

Il comma 7 fa comunque salva la possibilità che il Ministero del lavoro e l’INPS effettuino controlli sulla veridicità delle dichiarazioni in base alla disciplina vigente.

 

Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, D.M. 9 gennaio 2015 – adottato di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, sono stati nominati tre rappresentanti sindacali dei lavoratori subordinati e tre rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori autonomi dell'agricoltura, ai fini del loro inserimento nella composizione della cabina di regia della Rete del lavoro agricolo di qualità.

Il 16 febbraio scorso si è insediata la Cabina di regia, la cui presidenza è stata assunta dall'INPS con il dott. Fabio Vitale, direttore centrale Vigilanza.

 

In particolare, il comma 1 dell’articolo 30 integra la l’articolo 6 del D.L. n. 91/2014, al fine di:

·        prevedere che alla Rete del lavoro agricolo di qualità possano aderire, attraverso la stipula di apposite convenzioni, gli sportelli unici per l'immigrazione, le istituzioni locali, i centri per l'impiego e gli enti bilaterali costituiti dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori in agricoltura (nuovo comma 1-bis).

·        attribuire alla cabina di regia che sovraintende alla rete del lavoro agricolo di qualità le seguenti ulteriori funzioni:

-       svolgere monitoraggi costanti, su base trimestrale, anche accedendo ai dati disponibili presso l’INPS relativi all’instaurazione, trasformazione e cessazione dei rapporti di lavoro, dell’andamento del mercato del lavoro agricolo, valutando, in particolare, il rapporto tra il numero dei lavoratori stranieri che risultano impiegati e il numero dei lavoratori stranieri ai quali è stato rilasciato il nulla osta per lavoro agricolo dagli sportelli unici per l’immigrazione (nuova lettera c-bis, del comma 4).

-       promuovere iniziative, d’intesa con le autorità competenti in materia e le parti sociali, in materia di politiche attive del lavoro, contrasto al lavoro sommerso e all’evasione contributiva, organizzazione e gestione dei flussi di manodopera stagionale, assistenza dei lavoratori stranieri immigrati (nuova lettera c-bis, del comma 4).

La cabina di regia promuoverà la stipula delle convenzioni e svolgerà i compiti aggiuntivi sopra enunciati, avvalendosi delle commissioni provinciali integrazione salari operai agricoli, cui può essere richiesta anche la formulazione di indici di congruità occupazionale dell’impresa agricola (nuovo comma 4-bis)

·        consentire ai soggetti provvisti di autorizzazione al trasporto di persone rilasciata dalle autorità competenti, che intendono provvedere al trasporto di lavoratori agricoli, la possibilità di stipulare apposita convenzione con la Rete.

Gli enti locali possono stabilire che la stipula della convenzione è condizione necessaria per accedere ai contributi istituiti allo scopo dai medesimi enti.

I costi del trasporto e le modalità di ripartizione dei medesimi tra azienda e lavoratore sono stabiliti dalla contrattazione stipulata tra le organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

La violazione da parte del trasportatore di quanto previsto dalla convenzione comporta l'immediata ineffettività della stessa (nuovo comma 7-bis).

 

Viene, infine, riconfermata la clausola per cui l’INPS, per le attività di cui alla disciplina della Rete (articolo 6 del D.L. n. 91), provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, e viene specificato che comunque vi si deve provvedere senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 


 

Articolo 31
(Copertura finanziaria)

L’articolo 31, introdotto nel corso dell’iter al Senato, reca la norma di salvaguardia finanziaria degli eventuali oneri che possano derivare, a carico della finanza pubblica, dall’emanazione dei decreti legislativi attuativi delle deleghe contenute nel provvedimento, prevedendo:

·        che i relativi schemi dei decreti legislativi siano corredati di relazione tecnica che ne attesti la neutralità finanziari ovvero che ne specifichi i nuovi o maggiori oneri da essi derivanti e i corrispondenti mezzi di copertura;

·        che, in conformità all’articolo 17, comma 2, della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/2009), qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovano compensazione al proprio interno, tali decreti vengano emanati solo successivamente o contestualmente all'entrata in vigore di provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.

 

Il comma 2 dell’articolo 17 della legge n. 196/2009 ha introdotto specifiche disposizioni relative alla copertura degli oneri recati dall’attuazione di deleghe legislative.

In particolare, è espressamente sancito il principio in base al quale le leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura finanziaria necessari per l’adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, a tale quantificazione si procede al momento dell’adozione dei singoli decreti[70].

A tal fine, si dispone, in primo luogo, che ciascuno schema di decreto sia corredato di una relazione tecnica, predisposta ai sensi del successivo comma 3, che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo provvedimento ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura. In secondo luogo, la norma dispone che l’individuazione dei mezzi di copertura deve in ogni caso precedere l’entrata in vigore dei decreti medesimi, subordinato l’emanazione dei decreti legislativi alla previa entrata in vigore degli atti legislativi recanti lo stanziamento delle relative risorse finanziarie.

 

 



[1]     Si ricorda che l’articolo 4, comma 13-bis, del D.lgs. n. 99/2004, dispone che i depositi di prodotti petroliferi impiegati dall’imprenditore agricolo nell'esercizio delle proprie attività e ubicati all'interno delle aziende agricole, ancorché attrezzati come impianti per il rifornimento delle macchine agricole, e quelli impiegati nell'esercizio delle attività agromeccaniche, ubicati all'interno delle medesime imprese agromeccaniche, non sono soggetti alle disposizioni sulla distribuzione e lo stoccaggio di carburanti di cui al D.Lgs. n. 32/1998 (ora D.Lgs. n. 249/2012). Il successivo comma 13-ter dispone che ai depositi di cui sopra, qualora essi abbiano capacità geometrica non superiore a 25 metri cubi, continuano ad applicarsi quanto previsto dal:

D.M. 27 marzo 1985 il quale include i depositi di capienza inferiore a 25 metri cubi nell'elenco dei depositi e industrie pericolosi soggetti alle visite e controlli di prevenzione incendi previsti dal D.M. 16 febbraio 1982. Si osserva in proposito che tale il D.M. 16 febbraio 1982 è stato abrogato dal D.P.R. n. 151/2011. La disciplina in esso contenuta è ora prevista nell’allegato 1 del medesimi D.P.R. n. 151, il quale reca l’Elenco delle attività soggette alle visite e ai controlli di prevenzione incendi.

D.M. 19 marzo 1990, che reca specifiche norme per il rifornimento di carburanti, a mezzo di contenitori-distributori mobili, per macchine in uso presso aziende agricole, cave e cantieri.

[2]     Decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99 “Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ee), della L. 7 marzo 2003, n. 38”.

[3]     L’articolo 6 del regolamento CE n. 1760/2000 dispone che qualora uno Stato membro non proceda allo scambio elettronico di dati con altri Stati membri nell’ambito del sistema di scambio elettronico:

a)   per ciascun animale destinato a scambi intra-Unione l’autorità competente di tale Stato membro deve rilasciare un passaporto in base alle informazioni contenute nella banca dati informatizzata istituita in tale Stato membro;

b)   ciascun animale per cui è rilasciato un passaporto è accompagnato da detto passaporto ogniqualvolta è trasferito da uno Stato membro ad un altro;

c)   quando l’animale arriva all’azienda di destinazione il passaporto che lo accompagna è consegnato all’autorità competente dello Stato membro in cui è situata l’azienda di destinazione.

[4]     La clausola di salvaguardia finanziaria di cui al comma 5 è formulata secondo specifica condizione espressa dalla Commissione 5° Bilancio del Senato nel parere reso il 19 novembre 2014.

[5]     Si rammenta peraltro che la possibilità di rinviare coperture di oneri a successivo provvedimento è prevista nell'articolo 17 della legge di contabilità per i decreti legislativi delegati solo qualora "per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi stessi", consentendosi per tale motivo che "la quantificazione degli stessi è effettuata al momento dell'adozione dei singoli decreti legislativi".

[6]     Decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 220, recante Attuazione degli articoli 8 e 9 del regolamento CEE n. 2092/91 in materia di produzione agricola ed agroalimentare con metodo biologico

[7]     Assieme al Reg. (CE) n. 889/2008 della Commissione sulle modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 834/2007, per quanto riguarda la produzione biologica, l'etichettatura e i controlli; nonché al Reg. n. 1235/2008 della Commissione sulle modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 834/2007, per quanto riguarda il regime di importazione di prodotti biologici dai paesi terzi.

[8]     Si ricorda che ai sensi del D.Lgs. n. 220/1995, gli elenchi previsti, e cioè gli elenchi regionali degli operatori dell'agricoltura biologica, l'elenco nazionale, e l'elenco degli organismi di controllo autorizzati, sono dunque pubblici già oggi.

[9]     Ai sensi dell'articolo 14, comma 9, del decreto legislativo n. 99 del 2004.

[10]   Ai sensi dell’articolo 32 del regolamento UE 1305/2013, gli Stati membri designano le zone ammissibili alle indennità concedibili per le zone svantaggiate di cui all'articolo 31 classificandole come segue:

a)   zone montane;

b)  zone soggette a vincoli naturali significativi, diverse dalle zone montane, nonché

c)  altre zone soggette a vincoli specifici.

Ai fini dell'ammissibilità alle indennità, le zone montane sono caratterizzate da una notevole limitazione delle possibilità di utilizzazione della terra e da un considerevole aumento dei costi di produzione, dovuti:

a)   all'esistenza di condizioni climatiche molto difficili a causa dell'altitudine, che si traducono in un periodo vegetativo nettamente abbreviato;

b)   in zone a più bassa altitudine, all'esistenza nella maggior parte del territorio di forti pendii che rendono impossibile la meccanizzazione o richiedono l'impiego di materiale speciale assai oneroso, ovvero a una combinazione dei due fattori, quando i vincoli derivanti da ciascuno di questi fattori presi separatamente sono meno accentuati, ma la loro combinazione comporta vincoli equivalenti.

Le zone situate a nord del 62 o parallelo e talune zone limitrofe sono considerate zone montane.

Ai fini dell'ammissibilità alle indennità, le zone diverse dalle zone montane sono considerate soggette a vincoli naturali significativi se almeno il 60% della superficie agricola soddisfa almeno uno dei criteri elencati nell'allegato III del regolamento 1305 al valore soglia indicato.

Il rispetto di tali condizioni deve essere garantito al livello delle unità amministrative locali (livello LAU 2) o al livello di un'unità locale chiaramente definita che copra un'unica zona geografica contigua avente un'identità economica e amministrativa distinta.

Quando delimitano le zone di cui al presente paragrafo, gli Stati membri procedono a un'analisi minuziosa, basata su criteri oggettivi, al fine di escludere le zone in cui i vincoli naturali significativi ai sensi del primo comma, pur essendo documentati, sono stati superati mediante investimenti o attività economiche o con la dimostrazione di una normale produttività dei terreni, o in cui i metodi di produzione o sistemi agricoli compensano il mancato guadagno o costi aggiuntivi.

Le zone soggette a vincoli specifici sono costituite da superfici agricole al cui interno le condizioni naturali di produzione sono simili e la loro estensione totale non supera il 10% della superficie dello Stato membro interessato.

Gli Stati membri allegano ai programmi di sviluppo rurale la delimitazione esistente o modificata delle zone soggette a vincoli naturali significativi.

[11]   La definizione di comune montano, e di conseguenza anche di territorio montano, viene, in sostanza, lasciata alle singole Regioni, alle quali spetta, con legge regionale, di costituire le Comunità montane, enti locali formati da comuni montani e parzialmente montani della stessa provincia.

[12]   Per l'esercizio di tali attività, nonché per garantire l'uso efficiente delle risorse, è stato demandato al MEF-RGS, dall'anno 2012, d'intesa con i Ministeri interessati, di dare inizio ad un ciclo di «spending review» mirata alla definizione dei costi standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato.

[13]   Il processo di riorganizzazione delle società a partecipazione pubblica è peraltro perseguito dal legislatore anche nella legge di stabilità 2015 (legge n. 190/2014) che, all’articolo 1, commi da 611 a 614 prevede un nuovo specifico processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, da parte di regioni, province autonome, enti locali, camere di commercio, università, istituti di istruzione universitarie e autorità portuali. Il processo è in corso e dovrà concludersi entro il 31 dicembre 2015.

[14]   In particolare il comma 3 sopra citato ha disposto una ulteriore riduzione:

a)    degli uffici dirigenziali di livello non generale, e delle relative dotazioni organiche, in misura non inferiore al 10 per cento, entro il 31 marzo 2012;

b)    nonché alla rideterminazione delle dotazioni organiche del personale non dirigenziale, ad esclusione di quelle degli enti di ricerca, apportando una ulteriore riduzione non inferiore al 10 per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti di organico di tale personale.

[15]   Nella passata legislatura, al Senato, la 9° Commissione Agricoltura ha svolto, tra il 2011 e il 2012, una Indagine conoscitiva sulle funzioni espletate dagli Enti vigilati dal Mipaaf.

[16]   Il predetto D.Lgs. ha fatto confluire nel CRA i preesistenti 22 Istituti di ricerca e sperimentazione agraria (IRSA) – aventi grado pari agli istituti scientifici universitarie – e ulteriori 6 istituti indicati nell’allegato al medesimo provvedimento. La revisione degli enti della ricerca agricola si era resa necessaria per la frammentazione del sistema, che era stata oggetto di rilievi da parte della Corte dei Conti, la quale aveva stigmatizzato lo spreco di risorse e l'inefficienza che ne conseguivano.

[17]   L’INCA, posto sotto la vigilanza del MISE, aveva compiti di controllo dell’industria conserviera – di lavorazione sia di prodotti vegetale che animali - in tutto il territorio nazionale.

[18]   Lo stesso D.L. n. 78 eliminò altresì alcune stazioni sperimentali del settore agricolo, le cui funzioni passarono alle Camere di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura (CCIAA).

[19]   A legge di bilancio 2015-2017, il capitolo 2083, concernente il CRA, reca uno stanziamento di 1,568 milioni di euro per il 2015, di 0,57 milioni di euro per il 2016 e di 0,56 milioni di euro per il 2017 e successivi. Si consideri infine che il capitolo 2084/Mipaaf espone poi lo stanziamento (spese di natura obbligatoria – relative in sostanza al personale - non determinate dalla Tabella C, ma direttamente iscritte a bilancio) da assegnare al CRA per le spese del personale e degli organi. Lo stanziamento a legge di bilancio 2015-2017 è pari a 94,8 milioni per il 2015 a 94,5 milioni per il 2016 e a 95,3 milioni per il 2017.

[20]   Si ricorda che, in base a tale disciplina, il limite di spesa per le P.A. per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, è fissato, a decorrere dall'anno 2011, nella misura massima del 20% rispetto alla spesa sostenuta nell'anno 2009.

[21]   Il SIAN è interconnesso, in particolare, con l'Anagrafe tributaria del Ministero delle finanze, i nuclei antifrode specializzati della Guardia di finanza e dell'Arma dei carabinieri, l'Istituto nazionale della previdenza sociale, le camere di commercio, industria ed artigianato.

[22]   Come risulta dall’Audizione dei rappresentanti della Società SIN il 15 aprile 2014 al Senato, acquisito il parere del Consiglio di Stato, nel maggio 2007 AGEA ha aggiudicato la gara a RTI con mandataria la società ALMAVIVA e mandanti Auselda, Sofiter, Cooprogetti, IBM, Agriconsulting, Agrifuturo e Isaf; a tale aggiudicazione ha fatto seguito, nel settembre 2007 l’aumento di capitale sociale deliberato da parte dell’assemblea straordinaria di SIN e la contestuale sottoscrizione di tale aumento da parte delle società facenti parte del RTI Almaviva.

[23]   Il richiamo operato è all’articolo 4 della legge n. 441/1998, che indica le funzioni della ex Cassa per la formazione della proprietà contadina funzioni queste assorbite da ISMEA.

[24]   in conformità all'art. 2412 cc. e all'art. 32 D.L. n. 83/2012 sugli strumenti di finanziamento per le imprese.

[25]   Per le proprie attività istituzionali, l'ISMEA si avvale direttamente dell'anagrafe delle aziende agricole e del fascicolo aziendale elettronico.

[26]   La decisione è relativa al metodo di calcolo dell'ESL (Equivalente Sovvenzione Lordo) connessa a prestiti agevolati erogati da ISMEA tramite il proprio Fondo credito, come modificata dalla decisione della Commissione UE C(2013) 5035 del 31 luglio 2013.

[27]    Si tratta delle operazioni di credito agrario di cui all’articolo 43 del TUB (D.Lgs. n. 385/1993). Ai sensi di tale norma, il credito agrario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti destinati alle attività agricole e zootecniche nonché a quelle a esse connesse o collaterali. Il credito peschereccio ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti destinati alle attività di pesca e acquacoltura, nonché a quelle a esse connesse o collaterali. Sono attività connesse o collaterali l'agriturismo, la manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti, nonché le altre attività individuate dal CICR. Le operazioni di credito agrario e di credito peschereccio possono essere effettuate mediante utilizzo, rispettivamente, di cambiale agraria e di cambiale pesca. La cambiale agraria e la cambiale pesca devono indicare lo scopo del finanziamento e le garanzie che lo assistono, nonché il luogo dell'iniziativa finanziata. La cambiale agraria e la cambiale pesca sono equiparate a ogni effetto di legge alla cambiale ordinaria.

[28]   Gli interventi, c. d. ex RIBS, riguardano il miglioramento strutturale del reddito dei produttori agricoli. La legge 700/1983 aveva costituito la RIBS S.p.A. - Risanamento agro industriale zuccheri -, avente per oggetto l'intervento nel settore bieticolo-saccarifero, che con il successivo D.L. 148/1993 era stato esteso ad altri settori della produzione agricola

[29]   L’articolo 23, comma 1 della legge n. 266/1997, nel quadro dell'intervento per il miglioramento delle condizioni di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli e zootecnici, aveva attribuito alla RIBS Spa, in attuazione degli indirizzi approvati dal CIPE e nel rispetto delle direttive impartite dal MIPAAF, predispone e approva i programmi ed i progetti specifici di intervento, comprensivi degli aspetti occupazionali, con indicazione dei fabbisogni finanziari.

Si ricorda che la legge 700/1983 aveva costituito la RIBS S.p.A. - Risanamento agro industriale zuccheri , avente per oggetto l'intervento nel settore bieticolo-saccarifero, che con il successivo D.L. 148/1993 era stato esteso ad altri settori della produzione agricola. Con la delibera del CIPE n. 90 del 2000 Sviluppo Italia è subentrata nei compiti e nelle funzioni già svolti dalla RIBS S.p.A. operando, nell’esercizio di tali attività, anche nei settori della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, zootecnici e silvicoli. Con il D.Lgs. 1/1999 si è previsto il conferimento a Sviluppo Italia delle partecipazioni azionarie detenute dallo Stato nella RIBS.

[30]   sono considerati enti di diritto privato in controllo pubblico gli enti di diritto privato sottoposti a controllo da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti costituiti o vigilati da pubbliche amministrazioni nei quali siano a queste riconosciuti, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi.

[31]   Il DPCM 21 gennaio 2013 reca la tabella di corrispondenza per l’inquadramento nei ruoli del MIPAAF e l’agenzia delle dogane del personale della soppressa Agenzia per lo sviluppo ippico e il D.M. 31 gennaio 2013 dispone il trasferimento delle funzioni e delle risorse dell’ex ASSI al Mipaaf e all’Agenzia delle dogane.

[32]   La legge dispone, altresì, provvedimenti a favore delle zone montane. Vedi anche l’articolo 42 della Cost. che dispone che proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.

[33]   le terre le cui produzioni ordinarie, unitarie medie, dell'ultimo triennio non abbia raggiunto il 40 per cento di quelle ottenute, per le stesse colture, nel medesimo periodo in terreni della zona censuaria, con le stesse caratteristiche catastali, tenendo conto delle vocazioni colturali della zona. La legge demanda a commissioni provinciali la definizione degli elementi per la  comparazione sopra indicata.

[34]   Ai sensi dell’articolo 2359 c.c. sono considerate società controllate le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi. Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.

[35]   L’articolo 6, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 503/1999 autorizza ad accedere alle informazioni ed ai servizi dell'anagrafe delle aziende agricole il MIPAAF, gli enti e le agenzie dallo stesso vigilati, le regioni e gli enti locali, nonché le altre amministrazioni pubbliche operanti a qualsiasi titolo nel comparto agricolo e agroalimentare, amministrazioni queste richiamate dall’articolo 15, comma 1, del D.Lgs. n. 173/1998, come PP.AA. che hanno l'obbligo di avvalersi dei servizi messi a disposizione dal Sistema informativo agricolo nazionale - SIAN.

Il SIAN è il sistema informativo unificato di servizi del comparto agricolo, agroalimentare e forestale messo a disposizione dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e dall'Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura per assicurare lo svolgimento dei compiti relativi alla gestione degli adempimenti previsti dalla PAC - Politica Agricola Comunitaria, con particolare riguardo ai regimi di intervento nei diversi settori produttivi.

[36]   L’articolo 20 del D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228 dispone che il Governo, nella definizione delle politiche agroalimentari, si avvale del Tavolo agroalimentare istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che è convocato con cadenza almeno trimestrale. Al Tavolo agroalimentare partecipa una delegazione del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, composta di tre rappresentanti designati dal Consiglio medesimo. Le modalità delle ulteriori attività di concertazione presso il Ministero delle politiche agricole e forestali sono definite con decreto del Ministro.

[37]   In particolare, la Comunicazione della Commissione del 18 novembre 2010 ha evidenziato, in diversi passaggi, l’esigenza di irrobustire la strumentazione disponibile agli agricoltori europei per fronteggiare un’esposizione ai rischi istituzionali, naturali e di mercato, che nel corso di questi ultimi anni si è progressivamente ampliata. Infatti, da un lato, il percorso di riforma della PAC ha determinato un arretramento del livello di protezione garantito agli agricoltori con il conseguente incremento dell’esposizione ai rischi connessi agli andamenti del mercato, dall’altro, l’incrementata variabilità che sta caratterizzando le condizioni climatiche e la maggiore volatilità osservata nei mercati delle commodities agricole, si aggiungono alla tradizionale specificità del settore agricolo in tema di rischio.

[38]   Ai fini delle lettere b) e c), per "fondo di mutualizzazione" il regolamento UE 1305 intende un regime riconosciuto dallo Stato membro conformemente al proprio ordinamento nazionale, che permette agli agricoltori affiliati di assicurarsi e di beneficiare di pagamenti compensativi in caso di perdite economiche causate da avversità atmosferiche o dall'insorgenza di focolai di epizoozie o fitopatie o da infestazioni parassitarie o dal verificarsi di un'emergenza ambientale o a seguito di un drastico calo del reddito.

Il regolamento demanda agli Stati membri il compito di evitare ogni sovracompensazione per effetto di un possibile cumulo della misura con altri strumenti di sostegno nazionali o unionali o con regimi assicurativi privati

[39]   L’articolo 26, paragrafo 4 del Regolamento UE 1303/2013 prevede che i programmi sono presentati dagli Stati membri alla Commissione entro tre mesi dalla presentazione dell'accordo di partenariato.

[40]   Le risorse UE assegnate all’Italia a titolo di FEASR ammontano a 10.429,7 milioni di euro. A tale importo, si aggiunge la quota di cofinanziamento nazionale a carico del Fondo di rotazione per le politiche comunitarie di cui alla legge n. 183/1987 da destinare al programma operativo nazionale (PON) e ai programmi di sviluppo rurale regionali, pari a 7.670,4 milioni di euro, nonché la quota di cofinanziamento regionale da destinare ai programmi di sviluppo rurale regionali (PSR), pari a 2.759,3 milioni di euro. Dunque, per il periodo di programmazione 2014-2020 sono complessivamente stanziate risorse pubbliche per 20.859,4 milioni

[41]   Per quanto riguarda le epizoozie, le compensazioni finanziarie possono essere concesse soltanto per le malattie citate nell'elenco delle epizoozie stilato dall'Organizzazione mondiale per la salute animale e/o nell'allegato della decisione 2009/470/CEE.

[42]   Ai fini della sottomisura, per "reddito" si intende la somma degli introiti che l'agricoltore ricava dalla vendita della propria produzione sul mercato, incluso qualsiasi tipo di sostegno pubblico e detratti i costi dei fattori di produzione.

[43]   I beneficiari del sostegno sono i fondi mutualistici per la stabilizzazione del reddito costituiti da imprenditori agricoli che sono riconosciuti dall'autorità competente conformemente alla normativa nazionale. I beneficiari delle compensazioni sono unicamente imprenditori agricoli, ovvero coloro che sono iscritti nel registro delle imprese o nell'anagrafe delle imprese agricole e che si qualificano come agricoltori attivi.

[44]   Il fondo mutualistico nasce dall’associazione di imprenditori per accantonamento di fondi al fine soccorrersi vicendevolmente in caso di necessità, attraverso l’unione e le associazioni per il reciproco aiuto: mettere a disposizione comune una parte delle proprie risorse, destinata alle necessità proprie o degli altri associati, ha il fine positivo ed efficace della gestione di risorse comuni senza finalità di lucro. Applicando il concetto di mutualità alla gestione del rischio in agricoltura, gli imprenditori agricoli associati contribuiscono volontariamente alla creazione di una riserva finanziaria comune e condividono un determinato rischio, oggetto appunto della mutualità: in caso di danno subito, il fondo interviene nel risarcimento. Il fondo rappresenta una forma di autoassicurazione degli imprenditori agricoli, che scelgono di affrontare e condividere il rischio autofinanziandosi

[45]   L’articolo 12 è stato significativamente modificato dall’articolo 25 del D.Lgs. n. 228/2001 e infine dal D.Lgs. n. 102/2005 che ha provveduto anche ad abrogare l’iniziale legge n. 88/1998.

[46]   Il riconoscimento - che avviene su richiesta ed è formalizzato con decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, sentita la Conferenza Stato-regioni- può riguardare una sola organizzazione interprofessionale operante nel settore lattiero-caseario, o una per ciascun prodotto o gruppi di prodotti del medesimo settore. Nel caso di concorrenza tra più domande, sarà riconosciuta l'organizzazione maggiormente rappresentativa del prodotto o gruppo di prodotti.

[47]   In base alla nuova normativa prevista dal regolamento n. 1151/2012 (UE) è possibile attivare una protezione ex officio da parte di ciascuno Stato membro contro ogni forma di illecito utilizzo delle denominazioni di origine ed indicazioni geografiche. L'ICQRF rappresenta l'Autorità delegata a far valere tale protezione, potendo adottare le misure preventive previste dall'art. 13, par. 3, del regolamento sopra richiamato.

[48]   Tuttavia consente l'utilizzo del nome riso per il prodotto al quale sia stata comunque asportata la lolla, non rispondente alla definizione di cui sopra purché sia accompagnato dalla indicazione relativa alla diversa lavorazione o al particolare trattamento subito dal risone, quali riso integrale, riso parboiled, riso soffiato (comma 2).

[49]   Tuttavia sono consentiti:

·        i normali trattamenti per la lavorazione a camolino con uso di olii vegetali e commestibili e di olii di vaselina inodori e incolori per la lavorazione a brillato con glucosio e talco;

·        i trattamenti tipo «parboiled, converte» o simili diretti a conservare al riso le sue proprietà originarie e migliorarne in cottura la resistenza allo spappolamento.

·        i trattamenti tipo one-minute a «riso soffiato» e quelli tendenti ad ottenere l'arricchimento o la vitaminizzazione del riso, salva la osservanza delle disposizioni vigenti in materia d'igiene e sanità (articolo 3)

[50]   Le miscele di risi appartenenti a varietà del gruppo «Superfino», «Fino», «Semifino» o varietà non classificate oppure a quelle del gruppo comune o originario sono consentite, purché vendute con la sola indicazione di «Riso comune sottotipo», ovvero «Riso originario sottotipo», da riportarsi sulla confezione e sui cartellini con caratteri ben visibili, di formato non inferiore ad un centimetro di altezza (articolo 3).

[51]   Negli esercizi all'ingrosso e al minuto, ove si vendono anche altri generi alimentari, il riso non atto all'alimentazione umana deve essere posto in imballaggi chiusi e sigillati non in vista al pubblico, oppure deve essere denaturato, in modo ben evidente, con soluzione al bleu di metilene (articolo 4).

[52]   Per i «Risi extra» il limite massimo di rottura non può comunque eccedere l'1,5% in peso

[53]   È ammessa la vendita di riso con tolleranze superiori a quelle stabilite ai sensi del D.M. 15 ottobre 2014, nonché dei risi ibridi o derivanti da risoni imperfetti, purché sulla confezione e sui cartellini venga apposta ben visibile e con caratteri di dimensioni non inferiori a quelli delle altre diciture l'indicazione di «Riso sottotipo» e della percentuale di rottura. Tuttavia è vietato porre in vendita, vendere o comunque immettere al consumo, anche quale sottotipo, riso avente una percentuale di rottura superiore al 12 per cento in peso. È consentita la vendita di varietà di riso avente una percentuale di grane striate rosse superiori ai limiti delle tolleranze stabilite dal D.M., purché alle indicazioni obbligatorie e con gli stessi caratteri sia aggiunto il termine «Ostigliato»(articolo 6).

[54]   Per "risone", "riso semigreggio", "riso semilavorato", "riso lavorato", "riso a grani tondi", "riso a grani medi", "riso a grani lunghi A o B" e "rotture di riso" l’allegato II, parte I intende:

1. a) "risone": riso provvisto della lolla dopo trebbiatura;

b) "riso semigreggio": il risone dal quale è stata asportata soltanto la lolla. In questa definizione rientrano tra l'altro i tipi di riso recanti le denominazioni commerciali "riso bruno", "riso cargo", "riso loonzain" e "riso sbramato";

c) "riso semilavorato": il risone dal quale sono stati asportati la lolla, parte del germe e, totalmente o parzialmente, gli strati esterni del pericarpo ma non quelli interni;

d) "riso lavorato": il risone dal quale sono stati asportati la lolla, tutti gli strati esterni e interni del pericarpo, tutto il germe nel caso del riso a grani lunghi e a grani medi e almeno una parte del germe nel caso del riso a grani tondi, ma nel quale possono sussistere striature bianche longitudinali sul 10% dei grani al massimo;

2. a) "riso a grani tondi": riso i cui grani hanno una lunghezza pari o inferiore a 5,2 millimetri, con un rapporto lunghezza/larghezza inferiore a 2;

b) "riso a grani medi": riso i cui grani hanno una lunghezza superiore a 5,2 millimetri e pari o inferiore a 6,0 millimetri, con un rapporto lunghezza/larghezza inferiore a 3;

c) "riso a grani lunghi":

i) categoria A, segnatamente riso di lunghezza superiore a 6,0 millimetri e con un rapporto lunghezza/larghezza superiore a 2 ed inferiore a 3;

ii) categoria B, segnatamente riso di lunghezza superiore a 6,0 millimetri e con un rapporto lunghezza/larghezza pari o superiore a 3;

d) "misurazione dei grani": è effettuata su riso lavorato con specifiche modalità (lettere i-iii);

3. "rotture di riso" sono frammenti di grani aventi una lunghezza uguale o inferiore ai tre quarti della lunghezza media del grano intero.

II. Per quanto riguarda i grani e le rotture che non sono di qualità perfetta, si applicano una serie di definizioni.

[55]   si tratta dei seguenti casi a) se le importazioni sono realizzate ad un prezzo inferiore al prezzo comunicato dall'UE all'Organizzazione mondiale del commercio («prezzo limite»), o b) se il volume delle importazioni realizzate nel corso di un anno supera un determinato livello ("volume limite").

[56]   Sebbene non richiamato nel testo della norma qui in esame, si ricorda che, ai sensi dell'art. 2135 c.c. "è imprenditore agricolo chi esercita un'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame e attività connesse. Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura". Tale articolo è richiamato dalla Circolare applicativa delle misure in esame adottata il 4 luglio 2014 dal Mipaaf (cfr. infra).

[57]   L'articolo 41 del Regolamento (CE) 29 aprile 2004, n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali, prevede che gli Stati membri elaborino un "unico piano integrato di controllo nazionale pluriennale" al fine di dare piena attuazione alle norme europee sulla sicurezza alimentazione, sul benessere e salute degli animali e per dare compiuta attuazione alla disciplina dei controlli in tali ambiti previsti dallo stesso regolamento n. 882. Per i periodi e per le materie oggetto di accertamento è previsto un divieto di bis in idem sotto il profilo dei controlli esperiti verso le imprese agricole salvo determinati casi quali comportamenti omissivi, irregolari o elementi non conosciuti al momento dell’ispezione.

[58]   Il Piano è finalizzato alla razionalizzazione delle attività, mediante una considerazione dei rischi ed un adeguato coordinamento di tutti i soggetti istituzionali coinvolti. Il PNI attualmente vigente è relativo agli anni 2011-2014 ed è disponibile al seguente indirizzo:

http://www.salute.gov.it/pianoNazionaleIntegrato/homePianoNazionaleIntegrato.jsp

[59]   Si ricorda infatti che ai sensi del comma 358, il tasso di interesse sulle somme erogate in anticipazione da CDP S.P.A. è determinato con decreto, di natura non regolamentare, del Ministro dell'economia e delle finanze. La differenza tra il tasso così stabilito e il tasso del finanziamento agevolato, nonché gli oneri di servizio a favore di CDP S.p.A. (comma 360), sono posti, in favore della stessa Cassa, a carico del bilancio dello Stato, a valere sull'autorizzazione di spesa di cui al comma 361.

Il D.M. n. 5119 del 21 febbraio 2014 ha fissato la misura del tasso di interesse (pari al tasso IRS (Interest Rate Swap) fissato con comunicazione MEF relativamente ai mutui a tasso fisso vigente il giorno antecedente ciascuna erogazione maggiorato di uno spread sempre fissato nel D.M.)

Il comma 361 (come modificato dal D.L. n. 35/2005) ha autorizzato la spesa di 80 milioni per il 2005 e di 150 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2006 (cap. 1900/MEF). Tale importo è stato rideterminato in virtù di una serie di interventi legislativi. In particolare, l’articolo 1, comma 218 e allegato 5 della legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015) ha ridotto di 50 milioni per il 2015 e di 25 per il 2016 l’autorizzazione di spesa di cui al comma 361, in ragione delle necessità di riutilizzo per altre finalità delle risorse del fondo non utilizzate.

Si consideri inoltre che, ai sensi dell’articolo 11-bis, comma 1 del D.L. n. 74/2012, a partire dall'esercizio finanziario 2013, una quota fino a 25 milioni di euro dell'autorizzazione di spesa di cui al comma 361 è destinata alla copertura degli oneri derivanti dai finanziamenti agevolati concessi, entro il 31 dicembre 2016, alle grandi imprese che abbiano sedi operative danneggiate dal sisma nei territori dei comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessate dagli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012.

A legge di bilancio 2015-2017, il cap. 1900/MEF “contributi in conto interessi da corrispondere alla CDP sui finanziamenti a carico del FRI, nonché rimborso delle relative spese di gestione”, reca uno stanziamento di 100 milioni per il 2015, di 125 milioni per il 2016 e di 150 milioni per il 2017 (e ss).

[60]   Per l'individuazione degli interventi ammessi, il comma dispone che debbano considerarsi prioritariamente i seguenti progetti di investimento:

a) interventi finalizzati ad innovazioni, attraverso le tecnologie digitali, di prodotti, servizi e processi aziendali;

b) programmi di innovazione ecocompatibile finalizzati al risparmio energetico secondo la disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale;

c) realizzazione dei corridoi multimodali trans europei n. 5, n. 8 e n. 10 e connesse bretelle di collegamento, nonché delle reti infrastrutturali marittime, logistiche ed energetiche collegate;

c-bis) infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale (legge obiettivo);

c-ter) infrastrutture nel settore energetico ed in quello delle reti di telecomunicazione, sulla base di programmi predisposti dal Ministero dello sviluppo economico, sentito il parere della Conferenza stato Regioni;

c-quater) iniziative e programmi di ricerca e sviluppo realizzati nell'ambito dei progetti di innovazione industriale.

[61]   Tale norma sembra dunque apportare una modifica implicita su quanto già previsto dal comma 1 del citato articolo 6 del D.L. n. 35/2005 secondo il quale una quota pari ad almeno il 30 per cento delle risorse finanziarie del FRI è destinata a sostegno di attività, programmi e progetti strategici di ricerca e sviluppo delle imprese, da realizzare anche congiuntamente a soggetti della ricerca pubblica. L’individuazione degli obiettivi e delle modalità di utilizzo di tale quota parte di risorse è affidata al Programma Nazionale della Ricerca (PNR), approvato annualmente dal CIPE, secondo specifiche priorità indicate nel comma 4 dell’articolo 6 del D.L. n. 35/2005.

[62]   Il D.M. ha comunque stabilito che per garantire  il rispetto dei limiti annuali di spesa sul bilancio dello Stato (fissati nel comma 361, dell’articolo 1 della legge n. 311/2004), l'importo delle effettivamente utilizzabili per gli interventi del Fondo deve essere quantificato da CDP, tenuto conto dei fabbisogni di risorse del FRI per gli interventi a favore delle grandi imprese danneggiate dal sisma Emilia (di cui dei all’art. 11-bis del D.L. n. 74/2012) e dei tassi minimi da applicare ai finanziamenti agevolati concessi per le finalità del Fondo crescita sostenibile, in ogni caso non inferiori allo 0,80 per cento annuo. Il tasso può essere modificato con D.M. del MEF.

[63]   Quest’ultimo D.M. dispone che le risorse FRI sono utilizzate per la concessione di  agevolazioni nella forma del finanziamento agevolato cui deve essere associato un finanziamento bancario, secondo principi di adeguata ripartizione del rischio di credito, individuati nel rispetto di quanto previsto dal medesimo D.M.

Il provvedimento dispone che - in sede di prima applicazione, una percentuale non inferiore al 50 per cento delle risorse destinate alle finalità del fondo venga attribuita alla promozione di progetti di rilevanza strategica per il rilancio della competitività del sistema produttivo, anche tramite il consolidamento dei centri e delle strutture di ricerca e sviluppo delle imprese. Si tratta della finalità individuate dall'art. 3, comma 2, lettera a), del D.M. 8 marzo 2013, il quale fissa le priorità ed intensità massime di aiuto concedibili a valere sul Fondo per la crescita sostenibile.

Le restanti risorse sono ripartite tra le finalità di cui alle lettere b) e c) del citato articolo 3, comma 2, e cioè:b) al rafforzamento della struttura produttiva del Paese, al riutilizzo degli impianti produttivi e al rilancio di aree che versano in situazioni di crisi complessa di rilevanza nazionale; c) alla promozione della presenza internazionale delle imprese e all'attrazione di investimenti.

Nelle sopra indicate finalità è peraltro già compreso dal punto di vista operativo il sostegno alla stipula di contratti di rete

[64]   Si rinvia sul punto al sito istituzionale del Mipaaf.

[65]   Si tratta di quegli aiuti di importo complessivo non superiore a 15.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari) che per la loro esiguità e nel rispetto di date condizioni soggettive ed oggettive non devono essere notificati alla Commissione, in quanto non ritenuti tali da incidere sugli scambi tra gli Stati membri e dunque non suscettibili di provocare un’alterazione dalla concorrenza tra gli operatori economici. Tale importo è di gran lunga inferiore a quello fissato (200.000 euro) nel regolamento UE n. 1407/2013, sugli aiuti de minimis (nel periodo di programmazione 2014-2020) alla generalità delle imprese esercenti attività diverse da:

a)   pesca e acquacoltura; b) produzione primaria dei prodotti agricoli; c) trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli nei casi seguenti: i)  qualora l'importo dell'aiuto sia fissato in base al prezzo o al quantitativo di tali prodotti acquistati da produttori primari o immessi sul mercato dalle imprese interessate, ii)  qualora l'aiuto sia subordinato al fatto di venire parzialmente o interamente trasferito a produttori primari;

d)   aiuti per attività connesse all'esportazione verso paesi terzi o Stati membri, ossia aiuti direttamente collegati ai quantitativi esportati, alla costituzione e gestione di una rete di distribuzione o ad altre spese correnti connesse con l'attività d'esportazione; e)  aiuti subordinati all'impiego di prodotti nazionali rispetto a quelli d'importazione.

[66]   Il decreto legislativo n. 4/2012 – adottato in base all’articolo 28 della legge comunitaria 2009 (L. 96/2010) – costituisce un testo unico volto a coordinare il reg. (CE) n. 1198/2006 ai nuovi orientamenti in materia di aiuti di stato nonché ad attuare il reg.(CE) n. 1005/2008, che istituisce un regime comunitario per prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale.

[67]   Ai sensi del paragrafo 1 dell’articolo 15, tutte le catture di specie soggette a limiti di cattura e, nel Mediterraneo, anche le catture di specie soggette a taglie minime di conservazione quali definite nell'allegato III del regolamento (CE) n. 1967/2006, effettuate nel corso di attività di pesca nelle acque unionali o da pescherecci unionali al di fuori delle acque unionali in acque non soggette alla sovranità o alla giurisdizione di paesi terzi, nei luoghi di pesca e nelle zone geografiche elencati di seguito sono portate e mantenute a bordo dei pescherecci, registrate, sbarcate e imputate ai contingenti, secondo una decorrenza, che, per le specie pelagiche opera dal 1 gennaio 2015.

Il paragrafo 4 afferma che l'obbligo di sbarco di cui al paragrafo 1 non si applica alle:

a)   specie la cui pesca è vietata e che sono identificate come tali in un atto giuridico dell'Unione adottato nel settore della PCP;

b)   specie per le quali prove scientifiche dimostrano alti tassi di sopravvivenza, tenendo conto delle caratteristiche degli attrezzi, delle pratiche di pesca e dell'ecosistema;

c)   catture rientranti nelle esenzioni de minimis;

d)   pesci danneggiati da predatori.

Il paragrafo 9 dispone che per gli stock soggetti all'obbligo di sbarco, gli Stati membri possono avvalersi di una flessibilità intra annuale fino al 10 % degli sbarchi consentiti. A tal fine, uno Stato membro può autorizzare lo sbarco di quantitativi supplementari dello stock soggetto all'obbligo di sbarco a condizione che tali quantitativi non superino il 10 % del contingente assegnatogli.

[68]   L’articolo 49-quater, introdotto dal Regolamento omnibus afferma infatti che in caso di sbarco di catture di taglia inferiore alla pertinente taglia minima di riferimento per la conservazione, tali catture sono conservate separatamente e trattate in modo che siano distinte dai prodotti della pesca destinati al consumo umano diretto.

[69]   Si rinvia al relativo documento, disponibile al seguente indirizzo: http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/001/320/Sindacati_Confederali_23042014.pdf

 

[70]   Si ricorda che il principio di carattere generale enunciato dalla norma risponde a quello da tempo elaborato dalla giurisprudenza costituzionale (v. sentenza n. 226/1976), in base al quale spetta la legislatore delegante disporre in ordine alla copertura della spesa derivante dall’esercizio della delega. La stessa Corte ha tuttavia evidenziato che, “qualora eccezionalmente non fosse possibile, in sede di conferimento della delega, predeterminare rigorosamente in anticipo i mezzi per finanziare le spese che l'attuazione della stessa comporta” è sufficiente che il Governo venga a ciò espressamente delegato, con determinazione di principi e criteri direttivi di delega, anche enunciati sotto forma di clausole di neutralità finanziaria, volti a definire gli equilibri finanziari interni a ciascun provvedimento da adottare nell’esercizio della delega.