Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari
Titolo: La legge di delegazione europea - II semestre - A.C. 1836 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 1836/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 94
Data: 03/12/2013
Descrittori:
DIRITTO DELL' UNIONE EUROPEA     
Organi della Camera: XIV - Politiche dell'Unione europea

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

La legge di delegazione europea
- II Semestre -

A.C. 1836

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 94

 

 

 

3 dicembre 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari comunitari

( 066760-9409 – * st_affari_comunitari@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

§  La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§  Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: ID0007.doc

 


INDICE

§  Premessa  1

Schede di lettura

§  Articolo 1 Delega al Governo per l’attuazione di direttive europee  5

§  Articolo 2 Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell’Unione europea  9

§  Articolo 3 Principi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2013/36/UE sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento  11

§  Articolo 4 Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2013/14/UE e per l'adeguamento alle disposizioni del regolamento (UE) n. 462/2013 che modifica il regolamento (CE) n. 1060/2009 relativo alle agenzie di rating del credito  17

§  Articolo 5 Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 345/2013 relativo ai fondi europei per il venture capital e del regolamento (UE) n. 346/2013 relativo ai fondi europei per l’imprenditoria sociale  21

§  Articolo 6 Principi e criteri direttivi per l’attuazione della decisione quadro 2006/960/GAI relativa alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence tra le autorità degli Stati membri dell’unione europea incaricate dell’applicazione della legge  25

§  Articolo 7 Delega al Governo per l’adozione di un testo unico delle disposizioni di attuazione della normativa dell’Unione europea in materia di protezione internazionale e protezione temporanea  32

Direttive Allegato A

§  Direttiva 2012/35/UE che modifica la direttiva 2008/106/CE concernente i requisiti minimi di formazione per le gente di mare  43

§  Direttiva 2013/37/UE che modifica la direttiva 2003/98/CE relativa al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico  45

Direttive Allegato B

§  Direttiva 2009/138/CE in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (Solvency II) 49

§  Direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (Direttiva sull'ADR per i consumatori) 52

§  Direttiva 2013/14/UE che modifica la direttiva 2003/41/CE, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali, la direttiva 2009/65/CE, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), e la direttiva 2011/61/UE, sui gestori di fondi di investimento alternativi, per quanto riguarda l’eccessivo affidamento ai rating del credito  55

§  Direttiva 2013/29/UE concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di articoli pirotecnici 57

§  Direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE  58

§  Direttiva 2013/31/UE che modifica la direttiva 92/65/CEE del Consiglio per quanto riguarda le norme sanitarie che disciplinano gli scambi e le importazioni nell’Unione di cani, gatti e furetti 61

§  Direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale  64

§  Direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale  66

§  Direttiva 2013/34/UE relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, recante modifica della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abrogazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE  67

§  Direttiva 2013/36/UE sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE  70

§  Direttiva 2013/38/UE recante modifica della direttiva 2009/16/CE, relativa al controllo da parte dello Stato di approdo  72

§  Direttiva 2013/42/UE che modifica la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, per quanto riguarda un meccanismo di reazione rapida contro le frodi in materia di IVA  74

§  Direttiva 2013/43/UE che modifica la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto con riguardo all'applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell'inversione contabile alla cessione di determinati beni e alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi 76

 

 


SIWEB

Premessa

 

Il disegno di legge in esame, recante Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre, è stato presentato alla Camera dei deputati il 22 novembre 2013 (AC 1836), sulla base delle disposizioni di cui all’articolo 29, comma 8, della legge n. 234 del 2012, che trova qui prima applicazione.

L’articolo 29, comma 8, della legge n. 234 del 2012 prevede infatti che nel caso in cui, dopo l’approvazione della legge di delegazione europea per l’anno di riferimento, si rilevino ulteriori esigenze di adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, il Governo può presentare alle Camere, entro il 31 luglio di ogni anno, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, un ulteriore disegno di legge recante il titolo: «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea», completato dall'indicazione: «Legge di delegazione europea» seguita dall'anno di riferimento e dalla dicitura: «secondo semestre». Il disegno di legge reca i medesimi contenuti del disegno di legge di delegazione previsti dall'articolo 30, comma 2 della stessa legge n. 234 del 2012.

 

L’art. 30 della legge n. 234 del 2012 prevede che la legge di delegazione europea contenga le seguenti disposizioni:

a)     disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa volta esclusivamente all'attuazione delle direttive europee e delle decisioni quadro da recepire nell'ordinamento nazionale, esclusa ogni altra disposizione di delegazione legislativa non direttamente riconducibile al recepimento degli atti legislativi europei;

b)     disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa, diretta a modificare o abrogare disposizioni statali vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la conformità dell'ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati all'Italia dalla Commissione europea o al dispositivo di sentenze di condanna per inadempimento emesse della Corte di giustizia dell'Unione europea;

c)     disposizioni che autorizzano il Governo a recepire le direttive in via regolamentare;

d)     delega legislativa al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea;

e)     delega legislativa al Governo limitata a quanto necessario per dare attuazione a eventuali disposizioni non direttamente applicabili contenute in regolamenti europei;

f)       disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per l'emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni dell'Unione europea recepite dalle regioni e dalle province autonome;

g)     disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per recepire o per assicurare l'applicazione di atti dell'Unione europea nelle materie di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione;

h)     disposizioni che, nell'ambito del conferimento della delega legislativa per il recepimento o l'attuazione degli atti di cui alle lettere a), b) ed e), autorizzano il Governo a emanare testi unici per il riordino e per l'armonizzazione di normative di settore, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome;

i)       delega legislativa al Governo per l'adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati.

 

Si ricorda che il 31 luglio 2013 la Camera ha approvato in via definitiva la legge di delegazione europea 2013 (L. 6 agosto 2013, n. 96) che ha conferito una delega al Governo per l’attuazione di 40 direttive e 5 rettifiche di direttive.

Come segnalato nella relazione del disegno di legge in esame, successivamente alla presentazione del disegno di legge annuale di delegazione europea al Parlamento sono state pubblicate numerose direttive, molte delle quali necessitano di recepimento con norme di rango primario e recano un termine di recepimento che non consente di rinviare il conferimento delle relative deleghe al successivo disegno di legge di delegazione europea.

 

Il provvedimento consta di 7 articoli ed è corredato da due allegati, A e B, che contengono, rispettivamente, 2 e 13 direttive da recepire con decreto legislativo; nell’allegato B sono riportate le direttive sui cui schemi di decreto è previsto il parere delle competenti commissioni parlamentari.

 

(Per una sintesi del contenuto si rinvia al dossier del Servizio Studi n. 94/0 del 27 novembre 2013).

 

 

 


Schede di lettura

 


Articolo 1
Delega al Governo per l’attuazione di direttive europee

 

L’articolo 1, comma 1, reca la delega al Governo per l’attuazione delle direttive elencate negli allegati A e B, rinviando, per quanto riguarda le procedure, i princìpi e i criteri direttivi della delega, alle disposizioni previste dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234.

L’art. 32 della legge n. 234 del 2012 detta i seguenti princìpi e criteri direttivi generali di delega per l’attuazione del diritto dell’Unione europea:

a)     le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti;

b)     ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, anche attraverso il riassetto e la semplificazione normativi;

c)     gli atti di recepimento di direttive dell'Unione europea non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse (c.d. gold plating);

d)     ove necessario, al fine di assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi;

e)     al recepimento di direttive o di altri atti che modificano precedenti direttive o di atti già attuati con legge o con decreto legislativo si procede apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione;

f)       nella redazione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;

g)     quando si verificano sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, l’efficacia e la trasparenza dell’azione amministrativa, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e delle competenze delle regioni e degli enti territoriali;

h)     le direttive che riguardano le stesse materie o che comunque comportano modifiche degli stessi atti normativi vengono attuate con un unico decreto legislativo, compatibilmente con i diversi termini di recepimento;

i)       è sempre assicurata la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea e non può essere previsto in ogni caso un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani.

Il comma 2 individua il termine per l’esercizio della delega mediante rinvio all’art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012.

La norma citata dispone, analogamente a quanto previsto in precedenza per le leggi comunitarie annuali, che il termine per l’esercizio delle deleghe conferite al Governo con la legge di delegazione europea sia di due mesi antecedenti il termine di recepimento indicato in ciascuna delle direttive. Per le direttive il cui termine così determinato sia già scaduto alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea, o scada nei tre mesi successivi, la delega deve essere esercitata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Per le direttive che non prevedono un termine di recepimento, il termine per l’esercizio della delega è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea.

Si ricorda che il comma 5 dell’art. 31 della legge n. 234 prevede inoltre che il Governo possa adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in base alla delega conferita con la legge di delegazione entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, sempre nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla legge stessa.

 

Il comma 3 prevede che gli schemi di decreto legislativo recanti attuazione delle direttive incluse nell’allegato B siano sottoposti al parere delle competenti Commissioni parlamentari. Tale procedura è estesa anche ai decreti di attuazione delle direttive di cui all’allegato A, qualora in essi sia previsto il ricorso a sanzioni penali.

La disposizione ripropone lo schema procedurale applicato nelle precedenti leggi comunitarie e ora disciplinato in via generale dall’art. 31, comma 3, della legge 234 del 2012. Essa prevede che gli schemi di decreto legislativo, una volta acquisiti gli altri pareri previsti dalla legge, siano trasmessi alle Camere per l’espressione del parere e che, decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti siano emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare scada nei trenta giorni che precedono il termine per l’esercizio della delega o successivamente, il termine per la delega è prorogato di tre mesi. Si intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l’eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni emerse in sede parlamentare.

Il comma 9 del medesimo art. 31 prevede altresì che ove il Governo non intenda conformarsi ai pareri espressi dagli organi parlamentari relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi, ritrasmette i testi alle Camere, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.

Sugli schemi di decreto legislativo che comportano conseguenze finanziarie è prevista inoltre l’espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari (ovvero le Commissioni Bilancio delle due Camere). Tale procedura, anch’essa mutuata dalle precedenti leggi comunitarie e disciplinata in via generale dall’art. 31, comma 4, della legge n. 234, prevede altresì che il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate al fine di garantire la copertura finanziaria ai sensi dell’art. 81, quarto comma, della Costituzione, deve sottoporre i testi (corredati delle necessarie informazioni integrative) a un nuovo parere delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che si esprimono entro 20 giorni.

 

Il comma 4 dispone che eventuali spese non contemplate dalla legislazione vigente che non riguardano l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi attuativi delle direttive di cui agli allegati A e B esclusivamente nei limiti necessari per l’adempimento degli obblighi di attuazione dei medesimi provvedimenti.

Alla relativa copertura, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie, di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183.

Si ricorda che disposizioni analoghe sono contenute nella legge di delegazione europea 2013 (Legge 6 agosto 2013 n. 96) e in pregresse leggi comunitarie[1].

Nel Fondo di rotazione per le politiche comunitarie, istituito dall’articolo 5 della legge n. 183 del 1987, sono versate le somme erogate dalle istituzioni europee per contributi e sovvenzioni a favore dell'Italia e sono iscritte le risorse nazionali destinate al cofinanziamento degli interventi europei nelle aree obiettivo dei Fondi strutturali. Esso viene annualmente rifinanziato dalla legge di stabilità.

Il Fondo dunque fornisce un quadro complessivo degli interventi cofinanziati dall’UE: ad esso infatti affluiscono disponibilità provenienti sia dal bilancio comunitario sia dal bilancio nazionale. Il Fondo è dotato di amministrazione autonoma e di gestione fuori bilancio e si avvale di due conti correnti infruttiferi presso la Tesoreria centrale dello Stato.

Il Fondo è iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, nel cap. 7493 (Missione “L’Italia in Europa e nel mondo”, programma “Partecipazione italiana alle politiche di bilancio in ambito UE”). Nel ddl di bilancio per il 2014, la dotazione del Fondo risulta pari a 5,5 miliardi di euro per le annualità 2014 e 2015.

Quanto all’utilizzo a copertura del Fondo in questione, si segnala che la Ragioneria generale dello Stato, con Nota tecnica del 12 giugno 2013, comunicata al Senato nel corso dell’esame del ddl di delegazione europea 2013, poi approvato con L. 96/2013, ha affermato che il suddetto Fondo è capiente e che il suo utilizzo a copertura dei decreti legislativi attuativi di direttive comunitarie ha carattere eccezionale, intervenendo solo allorquando l’amministrazione competente dimostri per tabulas di non avere risorse sufficienti. La Ragioneria ha rilevato che l’utilizzo del Fondo ha carattere eccezionale sia in relazione alla percentuale di direttive al cui recepimento è destinato a dare copertura rispetto al totale (meno del 5%), sia alla quantità delle risorse impiegate allo scopo.

 


 

Articolo 2
Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell’Unione europea

 

L’articolo 2 conferisce al governo una delega legislativa per l’adozione, entro il termine di due anni dalla data di entrata in vigore della legge, di decreti legislativi recanti sanzioni penali o amministrative per la violazione di obblighi contenuti in direttive attuate in via regolamentare o amministrativa, ovvero per via non legislativa, o in regolamenti dell’Unione europea direttamente applicabili.

La necessità della disposizione, analoga a quella già contenuta nelle precedenti leggi comunitarie, discende dal fatto che, sia nel caso dell’attuazione di direttive in via regolamentare o amministrativa, sia nel caso di regolamenti comunitari (che, come è noto, non richiedono leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale), deve essere prevista una fonte normativa di rango primario atta ad introdurre norme sanzionatorie di natura penale nell’ordinamento nazionale.

La finalità dell’articolo è pertanto quella di consentire al Governo di introdurre sanzioni volte a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative comunitarie, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni comunitarie vengono trasposte nell’ordinamento interno.

La delega è conferita ai sensi dell’articolo 33 della legge n. 234 del 2012, che individua la delega stessa come contenuto proprio della legge di delegazione europea. Il comma 3 dell’art. 33 prevede che i decreti legislativi siano adottati, in base all'art. 14 della legge n. 400 del 1988, su proposta del Presidente del Consiglio o del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia.

La tipologia e la scelta delle sanzioni deve essere effettuata, oltre che secondo i princìpi e i criteri direttivi generali indicati all’art. 32, comma 1, lettera d) della legge n. 234 del 2012, secondo quelli specifici indicati nella legge di delegazione europea.

 

La citata lettera d) dell’art. 32, comma 1, riprende sostanzialmente i criteri di delega previsti nelle ultime leggi comunitarie per l’adozione della disciplina sanzionatoria corrispondente. In particolare sono previste sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi è prevista la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità.

In luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere anche previste le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo n. 274 del 2000, e la relativa competenza del giudice di pace. Tali sanzioni consistono nell’obbligo di permanenza domiciliare, nel divieto di accesso a luoghi determinati e nello svolgimento di lavori di pubblica utilità (su richiesta dell’imputato).

E’ altresì prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. L’entità delle sanzioni è determinata tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, con particolare riguardo a quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce.

Ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste inoltre le sanzioni amministrative accessorie della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi, della privazione definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione, nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti dal codice penale. Sempre al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria delle cose utilizzate per commettere l'illecito amministrativo o il reato previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti dall'art. 240, commi 3 e 4, del codice penale e dall'art. 20 della legge n. 689 del 1981 (che stabiliscono il divieto di procedere alla confisca se le cose interessate appartengono a persona estranea al reato o, rispettivamente, alla violazione amministrativa).

Entro i limiti di pena indicati sono previste sanzioni anche accessorie identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto a quelle previste nei decreti legislativi.

Infine, nelle materie di cui all'art. 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni.

 

Sugli schemi di decreto legislativo adottati in virtù della delega conferita dal presente articolo è prevista l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari, secondo le modalità previste dall’art. 1 del provvedimento (vedi supra).

 


 

Articolo 3
Principi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2013/36/UE sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento

 

L’articolo 3 detta i principi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2013/36/UE sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento nonché del regolamento n. 575/2013 relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi.

La delega definisce la ripartizione di competenze fra le Autorità di vigilanza interessate, Bankitalia e Consob, l’ampiezza del ricorso alle fonti secondarie e il coordinamento con le norme di diritto societario vigenti.

La delega appare in ogni caso più ampia del disposto normativo europeo con riguardo alla materia sanzionatoria. Si recepisce la direttiva in relazione all’obiettivo di sanzionare in primo luogo l’ente e solo sulla base dei presupposti che saranno individuati dal diritto nazionale anche l’esponente aziendale o la persona fisica responsabile della violazione. Si prevede poi una delega volta a estendere il principio del favor rei, individuare strumenti deflativi del contenzioso o di semplificazione dei procedimenti di applicazione della sanzione, escludere la sanzione per condotte prive di effettiva offensività o pericolosità. Il governo è quindi delegato ad adeguare l'entità delle sanzioni previste nella normativa antiriciclaggio, nonché ad assicurare il coordinamento dell’ordinamento vigente con le disposizioni emanate in attuazione del presente articolo.

 

La normativa in questione recepisce a livello UE l'accordo di Basilea 3 sui requisiti patrimoniali delle banche. L’accordo, definito nel dicembre 2010 dal Comitato di Basilea della Banca dei regolamenti internazionali, fissa livelli più elevati per i coefficienti patrimoniali delle banche ed introduce un nuovo schema internazionale per la liquidità. I membri del Comitato avevano inizialmente concordato di attuare l’accordo a partire dal 1 gennaio 2013, secondo una tabella di marcia graduale corredata di disposizioni transitorie. Il 6 gennaio 2013 il Gruppo dei Governatori delle banche centrali e delle Autorità di vigilanza - organo di governo del Comitato di Basilea - ha tuttavia stabilito che le nuove norme in materia di requisiti patrimoniali entreranno in vigore, come previsto, il 1 gennaio 2015, ma con applicazione progressiva, che si completerà il 1  gennaio 2019 (si partirà nel 2015 con il 60% del valore del requisito minimo, con un incremento annuo del 10%, fino ad arrivare al 100% nel 2019).

La normativa in esame (regolamento (UE) n. 575/2013 e direttiva 2013/36/CE che sostituiscono le vigenti direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE) – oltre a dare attuazione all’accordo di Basilea 3, tenendo conto tuttavia di alcune peculiarità ed esigenze del sistema bancario dell’UE – intende procedere ad un più generale riassetto, in un corpus normativo organico, della legislazione europea in materia.

In particolare, il regolamento prevede l’obbligo per le banche e le imprese di investimento di detenere un livello di capitale quantitativamente e qualitativamente più elevato che consenta di assorbire autonomamente eventuali perdite, senza ricorrere a ricapitalizzazioni a carico di fondi pubblici, e di assicurare la continuità nell’operatività. A questo scopo, si tiene fermo l’attuale requisito per cui le banche devono detenere un patrimonio di vigilanza totale dell'8% in rapporto alle attività ponderate per il rischio ma, al tempo stesso, ne viene modificata la composizione stabilendo:

§  una definizione rafforzata del patrimonio di base di classe 1 (c.d. Tier 1) affinché includa soltanto il common equity (composto dal capitale azionario e riserve di bilancio provenienti da utili non distribuiti al netto delle imposte);

§  l’innalzamento del requisito minimo relativo al common equity al 4,5% (a fronte del 2% previsto da Basilea 2), e del requisito minimo complessivo relativo al capitale Tier 1 al 6% (a fronte dell’attuale 4%);

§  l’introduzione di un moltiplicatore pari a 0,7619, cd. PMI supporting factor, da applicare all’ammontare destinato a riserva, che recepisce una richiesta formulata dal Parlamento europeo nonché da numerose associazioni di categoria, anche italiane, (Confindustria, Rete Imprese Italia, Alleanza delle Cooperative Italiane e ABI), volto a neutralizzare i possibili effetti restrittivi delle nuove regole sull’erogazione del credito alle PMI.

Come ulteriore tutela contro le perdite, oltre ai requisiti patrimoniali minimi, si prevede l’introduzione di due riserve di capitale (c.d. buffer o cuscinetti):

§  una cosiddetta “riserva di conservazione del capitale” pari al 2,5% costituita da capitale di qualità primaria, identica per tutte le banche nell’UE, al fine di consentire che il capitale rimanga disponibile per sostenere l’operatività corrente della banca nelle fasi di tensione. Il mancato rispetto di tale requisito comporterà vincoli nella politica di distribuzione degli utili fino alla ricostituzione della riserva;

§  una “riserva di capitale anticiclica ”specifica per ogni banca al fine di consentirle di creare in tempi di crescita economica una base finanziaria sufficiente che consenta loro di assorbire le perdite in periodi di crisi.

La nuova normativa mira altresì:

§  a garantire una migliore gestione del rischio di liquidità mediante l’introduzione, nel 2015, dopo un periodo di osservazione, di un coefficiente di copertura di liquidità (liquidity coverage ratio - LCR);

§  a ridurre il ricorso ai rating di credito esterni, in particolare introducendo l’obbligo per gli istituti di credito di non basare le proprie decisioni di investimento o il calcolo dei requisiti di fondi propri esclusivamente sui rating esterni, ma anche su metodi interni di valutazione del credito;

§  a fissare il rapporto tra stipendio base e bonus dei banchieri a 1:1, con possibilità di elevarlo fino a un massimo di 1:2 con il voto favorevole di almeno il 65% degli azionisti che rappresentino almeno il 50% del capitale. Inoltre, per ridurre il rischio dell’azzardo morale mirato all’arricchimento a breve termine, qualora il bonus aumentasse oltre il rapporto di 1:1, la corresponsione di un quarto del bonus stesso verrebbe posticipata di almeno cinque anni;

§  ad obbligare le banche, ai fini della trasparenza, a comunicare alla Commissione europea, a partire dal 2014, e a pubblicare, dal 2015, gli utili realizzati, le tasse pagate e le eventuali sovvenzioni pubbliche ricevute, così come il fatturato e il numero di dipendenti.

 

In particolare, ai sensi del comma 1 dell’articolo 3, il Governo è delegato a:

- modificare il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia – TUB (decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385) e al Testo unico delle disposizioni in materia di  intermediazione finanziaria – TUF (decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58) (lettera a));

- prevedere il ricorso alla disciplina secondaria della Banca d’Italia e della Consob, che devono operare tenendo conto dei principi di vigilanza adottati dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria e delle linee guida emanate dall’Autorità bancaria europea(lettera b));

 

Nell’ambito del Sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziarie (SEVIF) - creato nel 2010 mediante l'istituzione di tre autorità di vigilanza europee competenti, rispettivamente per le banche, i mercati finanziari e le assicurazioni, e di un Comitato europeo per il rischio sistemico incaricato della vigilanza macroprudenziale - il regolamento (UE) n. 1093/2010 ha istituito l'Autorità bancaria europea (EBA). La creazione del SEVIF fa seguito alle proposte elaborate da un gruppo di esperti (cd. gruppo “de Larosière”) incaricato dalla Commissione europea, nel novembre 2008, di formulare raccomandazioni su come rafforzare i meccanismi di vigilanza europei a fronte della crisi finanziaria.

Il compito principale dell'EBA è contribuire, attraverso l'adozione di norme tecniche vincolanti e orientamenti, alla creazione del corpus unico di norme del settore bancario, volto a fornire un'unica serie di norme prudenziali in tutta l'UE, che consentano di assicurare condizioni di parità e una tutela elevata dei depositanti, degli investitori e dei consumatori. L'Autorità svolge un ruolo anche nel promuovere la convergenza delle pratiche di vigilanza per garantire un'applicazione armonizzata delle norme prudenziali. L’EBA ha altresì l'incarico di valutare il rischio e le vulnerabilità presenti nel settore bancario dell'UE, in particolare attraverso relazioni periodiche di valutazione dei rischi e prove di stress su scala paneuropea.

Il 22 luglio 2013 l'EBA ha pubblicato una raccomandazione, indirizzata alle autorità di vigilanza degli Stati membri dell'UE, sulla conservazione del capitale delle banche, con la quale si chiede di conservare il capitale al livello raggiunto il 30 giugno 2012, per dare seguito alla raccomandazione della stessa EBA dell'8 dicembre 2011. A tal fine, le banche dovranno sottoporre entro il 29 di novembre 2013 i loro piani di mantenimento del capitale alle rispettive autorità nazionali, che ne valuteranno la conformità alla raccomandazione dell'EBA.

 

- attribuire alle autorità di vigilanza, secondo le rispettive competenze, tutti i poteri assegnati dalla direttiva e dal regolamento (lettera c));

- rivedere la materia dei requisiti degli esponenti aziendali e dei partecipanti al capitale degli intermediari in modo da rafforzare l’idoneità a garantire la sana e prudente gestione degli intermediari stessi, individuando anche il momento della prima valutazione dei requisiti (lettera d));

- attribuire alla Banca d’Italia il potere di rimuovere gli esponenti aziendali degli intermediari quando la loro permanenza in carica sia di pregiudizio per la sana e prudente gestione (lettera e));

- stabilire l'obbligo dei soci e degli amministratori degli intermediari di astenersi dalle deliberazioni in cui abbiano un interesse in conflitto e prevedere la nullità delle previsioni contrattuali in contrasto con le disposizioni in materia di remunerazione o incentivazioni (lettera f));

- individuare nella Banca d’Italia l’autorità competente a esercitare le opzioni attribuite dal regolamento agli Stati membri (lettera g));

- disciplinare modalità di segnalazione delle violazioni, interne agli intermediari e verso l’autorità di vigilanza, tenendo anche conto dei profili di riservatezza e protezione dei soggetti coinvolti (lettera h)).

 

Particolare attenzione viene dedicata alla disciplina delle sanzioni.

 

Con riferimento alla disciplina delle sanzioni previste dal TUB, in relazione alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dall'articolo 144 del Testo unico bancario, il governo è delegato a rivedere l’applicazione delle sanzioni alle società o enti nei cui confronti sono accertate le violazioni e i presupposti che determinano una responsabilità dei soggetti coinvolti (che svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo, dipendenti e coloro che hanno un rapporto diverso dal rapporto di lavoro subordinato) (lettera i), punto 1.1)).

L'entità della sanzione applicabile alle società o enti è compresa tra un minimo di 30.000 euro e un massimo del 10 per cento del fatturato mentre la sanzione applicabile alle persone fisiche è compresa tra un minimo di 10.000 euro e un massimo di 5 milioni di euro; è in ogni caso possibile elevare dette sanzioni fino al doppio dell’ammontare del vantaggio ottenuto, purché tale ammontare sia determinabile (lettera i), punto 1.2)).

Il governo è quindi delegato ad estendere la disciplina sanzionatoria a tutte le violazioni previste all’articolo 144 del TUB, tenendo fermo, per le sanzioni in materia di trasparenza, il principio della rilevanza della violazione (lettera i), punto 2)).

 

L’articolo 144 del TUB reca le sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione, nonché dei dipendenti per violazione delle norme in materia, tra l’altro, di ispezioni bancarie, vigilanza, requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza degli esponenti aziendali, trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti, iscrizione all’albo, anche con riguardo agli istituti di moneta elettronica e agli istituti di pagamento. Le sanzioni variano da un minimo di euro 2.580 fino ad un massimo di euro 129.110.

 

Analoghi criteri dovranno essere rispettati nella revisione della disciplina sanzionatoria prevista dagli articoli 133 sull’abuso di denominazione, 139 e 140 sull’autorizzazione e gli obblighi di comunicazione in materia di partecipazione in banche e società appartenenti ad un gruppo bancario, nonché di società finanziarie capogruppo e in intermediari finanziari (lettera i), punto 3)).

Per le altre fattispecie in materia di abusivismo bancario e finanziario (previste dagli articoli 130, 131, 131-bis, 131-ter e 132), la delega prevede invece la conferma dei reati ivi previsti e la possibilità di avvalersi della facoltà prevista dalla direttiva in esame di non introdurre sanzioni amministrative (lettera i), punto 4)).

 

Anche con riferimento alla disciplina delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal TUF, il governo è delegato a seguire i principi sopra citati in relazione all’articolo 144 del TUB, per quanto concerne le sanzioni amministrative pecuniarie previste in materia di abuso di denominazione, comunicazione sulla partecipazione al capitale e in tema di disciplina degli intermediari, dei mercati e della gestione accentrata di strumenti finanziari (articoli 188, 189 e 190) (lettera l), punto 1)).

 

Il governo è quindi delegato a rivedere, tenuto conto di quanto disposto ai sensi della legge sul risparmio, i minimi e i massimi edittali delle sanzioni in materia di offerta al pubblico di sottoscrizione e di vendita, informazioni sul governo societario, ammissione alle negoziazioni, informazione societaria e doveri dei sindaci, dei revisori legali e delle società di revisione legale, nonché sulle deleghe di voto (articoli 191, 192-bis, 192-ter, 193 e 194 del TUF), in modo tale da assicurare il rispetto dei principi di proporzionalità, dissuasività e adeguatezza, secondo un’articolazione che preveda minimi non inferiori a euro cinquemila e massimi non superiori a cinque milioni di euro(lettera l), punto 2)).

 

Si ricorda che la legge sul risparmio (L. 28 dicembre 2005 n. 262) ha modificato, al Titolo V, alcune norme in materia di sanzioni penali e amministrative contenute nel codice civile e nel TUF, con particolare riguardo alle false comunicazioni sociali, all’omessa comunicazione del conflitto d'interessi, al ricorso abusivo al credito, al reato di mendacio bancario, al falso in prospetto e nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione, alle false comunicazioni circa l'applicazione delle regole previste nei codici di comportamento delle società quotate nonché all’omessa comunicazione degli incarichi di componente di organi di amministrazione e controllo e alle attività finanziarie abusive.

 

Ulteriori criteri di delega in materia di sanzioni - comuni ad entrambe le tipologie descritte (TUB e TUF) - riguardano l’estensione del principio del favor rei, la definizione dei criteri cui Banca d’Italia e Consob devono attenersi nella determinazione dell’ammontare della sanzione, anche in deroga alle disposizioni contenute nella legge 24 novembre 1981, n. 689, sul sistema penale, la pubblicazione delle sanzioni irrogate e il regime per lo scambio di informazioni con l’Autorità bancaria europea, l’attribuzione alla Banca d’Italia e alla Consob del potere di definire disposizioni attuative, anche riguardo alla nozione di fatturato utile per la determinazione della sanzione, alla procedura sanzionatoria e alle modalità di pubblicazione delle sanzioni (lettera m), punti 1-4).

 

Da segnalare la possibilità per il governo di prevedere, con riferimento alle fattispecie connotate da minore effettiva offensività o pericolosità, strumenti deflativi del contenzioso o di semplificazione dei procedimenti di applicazione della sanzione; in tale ambito, è rimessa all’autorità di vigilanza la facoltà di escludere l’applicazione della sanzione per condotte prive di effettiva offensività o pericolosità (lettera m), punto 5)).

 

Le autorità di vigilanza possono altresì adottare le misure relative alla reprimenda pubblica, all’ordine di cessare o porre rimedio a condotte irregolari, alla sospensione temporanea dall’incarico (lettera n)); esse possono anche revocare l’autorizzazione all’esercizio delle attività degli intermediari (lettera o)).

 

Al fine di garantire la coerenza, proporzionalità e adeguatezza del sistema sanzionatorio, si prevede, infine, una delega al governo volta ad adeguare l'entità delle sanzioni previste nel decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, in materia di antiriciclaggio (lettera p)).nonché una norma di chiusura volta ad assicurare il coordinamento dell’ordinamento vigente con le disposizioni emanate in attuazione del presente articolo (lettera q)).

 

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria.

 

 

 


 

Articolo 4
Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2013/14/UE
e per l'adeguamento alle disposizioni del regolamento (UE)
n. 462/2013 che modifica il regolamento (CE) n. 1060/2009 relativo alle agenzie di rating del credito

 

L’articolo 4 del disegno di legge in esame reca i principi e i criteri direttivi specifici per il recepimento nell’ordinamento nazionale della nuova disciplina europea in materia di agenzie di rating del credito, contenuta nella direttiva 2013/14/UE e nel regolamento (UE) n. 462/2013.

 

Gli interventi UE sulle agenzie di rating sono stati determinati dalla necessità di assicurare che l’attività di detti enti, volta a misurare la qualità del credito delle società e degli strumenti di debito e quindi la loro capacità di adempiere agli obblighi di rimborso del debito, offra giudizi indipendenti, obiettivi e della massima qualità.

Un primo intervento è stato operato con il regolamento (CE) n. 1060/2009 che ha tra l’altro imposto a dette agenzie di rispettare le norme di comportamento, per attenuare possibili conflitti di interesse e garantire che i rating e il processo di rating siano di elevata qualità e sufficiente trasparenza.

Successivamente il regolamento (UE) n. 513/2011, modificando il citato regolamento n. 1060/2009, ha attribuito all'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (AESFEM o ESMA, secondo l’acronimo inglese) - una delle tre nuove autorità europee di vigilanza istituite dal regolamento (UE) n. 1095/2010 – la competenza sulle registrazione e la vigilanza sulle agenzie di rating del credito. Mentre tale ultimo regolamento era ancora in corso di esame è emersa, a fronte dell’acuirsi della crisi del debito sovrano di alcuni Stati membri e delle iniziative assunte in ambito al G20, la necessità di un ulteriore intervento legislativo europeo per rivedere gli specifici requisiti di trasparenza e procedurali nonché i tempi di pubblicazione inerenti ai rating sovrani.

A questo scopo la Commissione europea ha presentato il 15 novembre 2011 un pacchetto di proposte relativo alle agenzie di rating, comprendente:

§  la proposta di modifica del regolamento (CE) n. 1060/2009 relativo alle agenzie di rating COM(2011)747, (poi divenuto il regolamento (UE) n. 462/2013);

§  la proposta di modifica della direttiva 2009/65/CE concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) e della direttiva 2011/61/UE sui gestori di fondi di investimento alternativi per quanto riguarda l'eccessivo affidamento ai rating del credito COM(2011)746, (poi divenuta la direttiva 2013/14/UE).

 

Il 16 gennaio 2013 il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza un testo di compromesso, concordato con il Consiglio dell’UE,  che prevede, tra le altre cose:

§  la creazione di un sistema di vigilanza centralizzato che riunisca in capo all’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) le funzioni in materia di registrazione e vigilanza ordinaria delle agenzie che operano nell’UE nonché in materia di rating emessi da agenzie con sede in Paesi terzi che operano nell’UE dietro certificazione o avallo;

§  il mantenimento in capo alle competenti autorità nazionali delle funzioni relative al controllo sull’uso dei rating di credito a fini regolamentari da parte di singole entità controllate a livello nazionale, quali istituti di credito o imprese di assicurazione;

§  la pubblicazione dei rating non richiesti sul debito sovrano, in date prestabilite, solo due o tre volte l'anno, e solo dopo la chiusura dei mercati europei, o almeno un'ora prima dell'apertura;

§  la possibilità per gli investitori di citare in giudizio un'agenzia, sia in caso di dolo sia per negligenza;

§  l’obbligo di un'agenzia di rating del credito, al fine di prevenire i conflitti di interesse, di astenersi dal pubblicare un rapporto, o informare il pubblico sull'esistente conflitto d'interessi, nel caso in cui un azionista o un socio, in possesso di almeno il 10% dei diritti di voto, abbia investito nel soggetto valutato; inoltre, nessun soggetto potrà possedere più del 5% di diverse agenzie.

 

Per effetto delle norme in esame, il legislatore dovrà apportare alle disposizioni vigenti, emanate in attuazione delle direttive 2003/41/CE, 2009/65/CE e 2011/61/UE, le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto ed integrale recepimento della direttiva 2013/14/UE nell’ordinamento nazionale, prevedendo, ove opportuno, il ricorso alla disciplina secondaria, al fine di ridurre l’affidamento esclusivo o meccanico ai rating del credito emessi da agenzie di rating del credito quali definite all’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 1060/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, ovverosia delle persone giuridiche la cui attività include l'emissione di rating del credito a livello professionale.

 

Si rammenta che con il D.Lgs. n. 28 del 2007 è stata attuata in Italia la direttiva 2003/41/CE in tema di attività e di supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali, L’attuazione della direttiva 2009/65/CE concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) è recata dal D.Lgs. n. 47 del 2012. Il Dipartimento del Tesoro, ai fini della predisposizione dello schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2011/61/UE e di attuazione dei regolamenti n. 345/2013 e 346/2013, ha predisposto, in collaborazione con gli uffici della Banca d’Italia e della Consob, un documento di consultazione contenente le possibili modifiche da apportare al TUF. La Banca d'Italia e la Consob hanno pubblicato una comunicazione congiunta sulla disciplina applicabile ai gestori di fondi alternativi, in attesa del recepimento della direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi (AIFMD - 2011/61/UE), il cui termine è scaduto il 22 luglio 2013. In base alle nuove norme, i gestori europei autorizzati ai sensi della AIFMD potranno commercializzare liberamente in tutta l'Unione Europea, nei confronti di investitori professionali, fondi di investimento alternativi da essi gestiti; essi potranno inoltre gestire fondi alternativi riservati a investitori professionali negli altri paesi dell'Unione Europea su base transfrontaliera o con stabilimento di succursali. Il 22 luglio 2013 è entrato in vigore anche il Regolamento delegato (UE) n. 231/2013, che contiene disposizioni attuative della AIFM. Si segnala, inoltre, che i regolamenti (UE) nn. 345/2013 e 346/2013, entrati in vigore il 22 luglio 2013, prevedono regole comuni applicabili ai gestori di fondi europei per il venture capital (EUVECA) e di fondi europei per l'imprenditoria sociale (EUSEF) e ne permettono la libera commercializzazione, con una particolare denominazione, in tutta l'Unione Europea.

 

Inoltre dovranno essere previste, in conformità alle definizioni e alla disciplina della citata direttiva 2013/14/UE e del regolamento (CE) n. 1060/2009, come da ultimo modificato dal regolamento (UE) n. 462/2013, le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, anche di derivazione europea, al fine di assicurare il miglior coordinamento con le nuove disposizioni per la corretta e integrale applicazione della disciplina europea sulle agenzie di rating del credito e per la riduzione dell’affidamento esclusivo o meccanico ai rating emessi da tali agenzie, garantendo un appropriato grado di protezione dell’investitore e di tutela della stabilità finanziaria.

 

Il comma 2 reca la clausola di salvaguardia,  prevedendo che dalla disposizione in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e le Autorità interessate devono provvedere ai relativi adempimenti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Si rammenta che la Consob, attesa la situazione di incertezza sui mercati finanziari e alla luce delle suesposte novità normative in materia di rating, ha ritenuto necessario adottare la comunicazione (avente natura ricognitiva di obblighi di comportamento già esistenti) n. 0062557 del 22.07.2013, sui doveri di trasparenza e correttezza dei gestori collettivi e i giudizi delle agenzie di rating. Alla luce delle nuove disposizioni europee e del quadro giuridico delineato dal TUF la Consob, nell'ambito dei profili di discrezionalità gestoria riconosciuti dalla documentazione d'offerta, dal regolamento o dallo statuto dell'OICR, ha ricordato che i soggetti abilitati alla prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio devono osservare l'obbligo di operare con diligenza, correttezza e trasparenza nell'interesse dei partecipanti agli OICR e dell'integrità dei mercati anche con riguardo all'utilizzo dei giudizi di rating del credito nelle politiche d'investimento.

L’Autorità ha dunque richiamato l'attenzione dei gestori sul loro dovere di adottare, nell'interesse degli investitori e dell'integrità dei mercati, opportune misure che limitino l'utilizzo esclusivo o meccanicistico dei giudizi di rating nelle decisioni di investimento e disinvestimento dei gestori collettivi.

Tale obbligo generale si traduce, conformemente a quanto richiesto dalla nuova regolamentazione europea in materia di agenzie di rating del credito, nell'obbligo del gestore collettivo di adottare corretti, trasparenti e adeguati processi interni di valutazione del merito di credito.

La Consob ha inoltre ricordato come il rispetto del principio generale di agire sempre e comunque nel miglior interesse degli investitori e dell'integrità dei mercati implica che, nell'esercizio della propria discrezionalità gestoria su ciascun OICR, il gestore collettivo, prima di disporre l'esecuzione di operazioni di investimento o disinvestimento connesse a, o dipendenti da, un certo livello di rating del credito o variazioni dello stesso, effettui le necessarie attività di due diligence.

In particolare, questo comporta che il gestore, nell'ambito delle scelte discrezionali in cui si concreta il processo di investimento, debba procedere a una propria valutazione di tutti i diversi rischi connessi all'investimento stesso, incluso il rischio di credito e i rischi di liquidità e di mercato.

Con riferimento al primo (il rischio di credito), il rispetto dell'obbligo di correttezza nei confronti degli investitori implica la necessità dello svolgimento di adeguate attività di valutazione interna in modo da evitare di affidarsi esclusivamente o meccanicamente al giudizio di una o più agenzie di rating. Inoltre, la considerazione anche dei rischi di liquidità e di mercato impone di tenere conto delle condizioni di liquidabilità degli investimenti e di tutti i fattori che influiscono sul valore e sul profilo di rischio generale del portafoglio dell'OICR.

Conseguentemente, anche i riferimenti al merito creditizio contenuti nella documentazione d'offerta dovranno informarsi ai principi sopra esposti, tenuto conto che tale documentazione deve necessariamente e fedelmente riflettere la politica di investimento seguita dal gestore stesso.

Il gestore collettivo dovrà conservare per ciascun OICR gestito la documentazione da cui risultano le suddetta attività di analisi e valutazione alla base delle decisioni di investimento e disinvestimento adottate, conformemente a quanto previsto dall'articolo 66, comma 2, del Regolamento n. 16190/2007.

In linea con le disposizioni normative e regolamentari citate, inclusa la nuova regolamentazione europea in materia di agenzie di rating, la Consob verificherà il rispetto degli obblighi sopra indicati, con particolare riguardo alla necessità di ridurre l'affidamento esclusivo e meccanico ai giudizi delle agenzie di rating del credito, nell'interesse degli investitori e dell'integrità dei mercati.

Procedure di contenzioso

Il 19 settembre 2013 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora per mancato recepimento della direttiva 2011/61/UE relativa ai gestori di fondo di investimento alternativi, il cui termine di recepimento è scaduto il 22 luglio 2013.

Al riguardo, si ricorda che, in base all’articolo 260, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’UE, la Commissione, quando presenta ricorso alla Corte contro uno Stato membro  che abbia mancato di comunicare le misure di attuazione di una direttiva, può, se lo ritiene opportuno, chiedere alla Corte di condannare direttamente tale Stato al pagamento di una somma forfettaria o di una penalità.

La Corte, se accetta l’inadempimento contestato dalla Commissione, può comminare allo Stato membro in questione il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità entro i limiti dell’importo indicato dalla Commissione. L’importo è esigibile alla data fissata dalla Corte nella sentenza.

 

 


 

Articolo 5
Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 345/2013 relativo ai fondi europei per il venture capital e del regolamento (UE) n. 346/2013 relativo ai fondi europei per l’imprenditoria sociale

 

L’articolo 5 del disegno di legge in esame reca i principi e i criteri direttivi specifici per l’attuazione nell’ordinamento nazionale del regolamento n. 345/2013 relativo ai fondi europei per il venture capital (EuVECA) e del regolamento n. 346/2013 relativo ai fondi europei per l’imprenditoria sociale (EuSEF). I due regolamenti, entrati in vigore il 22 luglio 2013, richiedono in particolare agli Stati membri di designare le autorità competenti per l’autorizzazione e la vigilanza dei gestori nonché per sanzionare le violazioni degli obblighi posti dagli stessi regolamenti.

In particolare il legislatore, all’atto del recepimento, dovrà apportare le modifiche e le integrazioni necessarie al TUF (D.Lgs. n. 58 del 1998) per l’adeguamento ai citati regolamenti, prevedendo - ove opportuno - il ricorso alla disciplina secondaria. Le competenze e i poteri di vigilanza previsti nei regolamenti, dovranno essere attribuiti alla Banca d’Italia e alla CONSOB, in relazione alle rispettive competenze, secondo quanto previsto dagli articoli 5 e 6 del TUF, i quali riguardano la finalità e i destinatari della vigilanza nell’ambito della disciplina degli intermediari. Nell’attribuire alla Banca d’Italia e alla CONSOB i poteri di vigilanza e di indagine previsti nei regolamenti sono richiamati i criteri e le modalità previsti dall’articolo 187-octies del TUF, il quale elenca i poteri della CONSOB.

Dovranno inoltre essere apportate le modifiche opportune per realizzare il migliore coordinamento con le disposizioni vigenti, assicurando un appropriato grado di protezione dell’investitore e di tutela della stabilità finanziaria. In particolare il TUF dovrà essere modificato per recepire le disposizioni dei regolamenti in materia di cooperazione e scambio di informazioni con le autorità competenti dell’Unione europea, degli Stati membri e degli Stati extracomunitari. Dovranno, inoltre, essere previste sanzioni amministrative pecuniarie per le violazioni degli obblighi stabiliti dai regolamenti in linea con quelle già stabilite dal TUF, e nei limiti massimi ivi previsti, in tema di disciplina degli intermediari.

Infine, dovranno essere previste norme di coordinamento con la disciplina fiscale vigente in materia di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR).

 

Il Regolamento (UE) n. 345/2013 relativo ai fondi europei per il venture capital (EuVECA, European venture capital funds) stabilisce norme comuni a livello europeo per i fondi di venture capital qualificati che indirizzano le risorse finanziarie a imprese generalmente molto piccole nelle fasi iniziali della loro esistenza societaria e che mostrano forti potenzialità di crescita.

Il regolamento stabilisce norme comuni con particolare riferimento alla composizione del portafoglio dei fondi per il venture capital, agli obiettivi di investimento ammissibili, agli strumenti di investimento che si possono impiegare e alla categoria di investitori che possono investire in tali fondi.

Il regolamento armonizza altresì gli obblighi per i gestori dei suddetti fondi in tutti gli Stati membri, stabilendo una serie di requisiti in capo ai gestori (che in tal modo possono utilizzare la denominazione “EuVECA”), al fine di garantire regole uniformi nella commercializzazione degli stessi fondi e contribuendo così al corretto funzionamento del mercato e alla tutela dell’investitore.

Il regolamento disciplina i requisiti sia per la commercializzazione dei fondi sia per i gestori dei fondi per il venture capital qualificati, nonché i compiti delle Autorità competenti degli Stati membri in relazione all’attività di registrazione dei gestori, di cooperazione amministrativa e di scambio di informazioni con le autorità degli altri Stati membri e con l’AESFEM (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati – ESMA), stabilendo i poteri di vigilanza e di indagine delle Autorità competenti.

 

Il Regolamento (UE) n. 346/2013 relativo ai fondi europei per l’imprenditoria giovanile (EuSEF, European social entrepreuneuership funds) si prefigge di sviluppare un mercato interno per i fondi qualificati per l’imprenditoria sociale istituendo un quadro normativo comune per i fondi di investimento che assicurano finanziamenti alle imprese sociali che forniscono servizi di assistenza, accesso al lavoro, integrazione sociale, professionale, tutela ambientale, ecc. Il quadro comune riguarda determinati requisiti qualitativi per tali fondi, con particolare riferimento alla composizione del portafoglio, e requisiti per i gestori di investimento collettivo che raccolgono capitali, che così possono utilizzare la denominazione “EuSEF”.

Il regolamento ha come obiettivo quello di far crescere le imprese sociali all’interno dell’Unione fornendo una disciplina uniforme per tutti gli Stati membri, e tutelando anche l’investitore. Sono disciplinati i requisiti sia per la commercializzazione dei fondi, sia per i gestori di fondi qualificati per l’imprenditoria sociale, i compiti delle Autorità competenti degli Stati membri in relazione all’attività di registrazione dei gestori, di cooperazione amministrativa e di scambio di informazioni con le autorità degli altri Stati membri e con l’AESFEM (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati – ESMA), stabilendo i poteri di vigilanza e di indagine delle Autorità competenti.

 

Entrambi i regolamenti sono entrati in vigore il 22 luglio 2013 e richiedono agli Stati membri di designare le autorità competenti per l’autorizzazione e la vigilanza dei gestori nonché per sanzionare le violazioni degli obblighi posti.

Si segnala che il Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’economia e delle finanze, ai fini della predisposizione dello schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2011/61/UE e di attuazione dei regolamenti n. 345/2013 e 346/2013, ha predisposto, in collaborazione con gli uffici della Banca d’Italia e della Consob, un documento di consultazione contenente le possibili modifiche da apportare al TUF.

 

Il comma 2 reca la clausola di salvaguardia, prevedendo che dalla disposizione in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e le Autorità interessate devono provvedere ai relativi adempimenti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Si ricorda, infine, che l'articolo 31 del decreto-legge 98/2011 (modificato dall’articolo 90 del D.L. n. 1 del 2012) ha previsto degli incentivi fiscali a favore di chi investe in Fondi per il Venture Capital (FVC). In base al decreto ministeriale del 21 dicembre 2012, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 28 febbraio 2013, in presenza di certe condizioni, i loro proventi non sono soggetti a tassazione.

I Fondi per il Venture Capital sono organismi di investimento collettivo del risparmio. In base al decreto, i proventi non sono soggetti ad imposizione qualora i FVC prevedano nei loro regolamenti che almeno il 75 per cento dei relativi attivi sia investito in società non quotate, qualificabili come piccole e medie imprese, con sede operativa in Italia, avviate da non più di 36 mesi e con fatturato non superiore a 50 milioni di euro. Inoltre gli incentivi sono confermati se, decorso un anno dalla data di avvio dei Fondi o dall'adeguamento del loro regolamento alle disposizioni di cui sopra, il valore dell'investimento in società non quotate non risulti inferiore, nel corso dell'anno solare, al 75 per cento del valore degli attivi per più di tre mesi.

Infine, le quote o azioni delle società in cui investono i Fondi per il Venture Capital devono essere direttamente detenute almeno per il 51 per cento da persone fisiche e devono essere inferiori, per ciascuna piccola o media impresa, a 2,5 milioni di euro su un periodo di 12 mesi.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 3 luglio 2012 la Commissione ha presentato un pacchetto di proposte legislative allo scopo di rafforzare la tutela dei consumatori nel settore dei servizi finanziari. Il pacchetto comprende:

·     una proposta di regolamento sui principali documenti informativi per prodotti di investimento al dettaglio preassemblati (PRIPS), che rende obbligatorio fornire ai consumatori un documento denominato "Informazioni chiave per gli investitori" (Key Information Document – KID), contenente tutte le informazioni sulle caratteristiche principali del prodotto, compresi i rischi e i costi connessi all'investimento (COM(2012)352);

·     una proposta di modifica della direttiva 2002/92/CE sulla intermediazione assicurativa (IMD), al fine di migliorare la tutela dei consumatori nel settore delle assicurazioni (COM(2012)360);

·     una proposta di modifica della direttiva 2009/65/CE sugli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari, OICVM, che definisce compiti e responsabilità dei depositari che agiscono per conto di un fondo OICVM, stabilisce nuove norme sulle retribuzioni dei gestori degli OICVM e introduce un quadro comune relativo alle sanzioni (COM(2012)350).

Per quanto concerne, in particolare, l’ultima proposta, essa prospetta la fissazione di norme minime comuni a livello dell’UE, al fine di promuovere la convergenza e il potenziamento dei regimi sanzionatori nazionali e – di conseguenza – la tutela dei consumatori.

La proposta è motivata dalla Commissione europea in base al rilievo per cui i portafogli degli OICVM  sono sempre più diversificati e internazionali, e in grado di investire in un'ampia gamma di attività finanziarie, anche molto complesse. Di conseguenza, sempre più frequenti sono diventati gli accordi di subcustodia delle attività, con tutti i rischi connessi a questa pratica (ad esempio, negligenza o di fallimento del sub custode). Ai sensi del vigente quadro normativo sugli OICVM, non è chiaro quali siano le funzioni del depositario per quanto riguarda la scelta e il controllo del subcustode, nonché le sue responsabilità per le perdite a livello del subcustode. Inoltre, la Commissione rileva che la crisi finanziaria ha messo in luce il fatto che i regimi relativi alla retribuzione hanno favorito le decisioni a breve termine e creato incentivi all’assunzione di rischi eccessivi. Infine, l'analisi dei regimi sanzionatori nazionali svolta dalla Commissione, insieme alle autorità di vigilanza, ha evidenziato una serie di divergenze e di debolezze che possono avere un impatto negativo sulla corretta applicazione della normativa UE, sull'efficacia della vigilanza finanziaria e in definitiva sulla concorrenza, la stabilità e l'integrità dei mercati finanziari e sulla tutela dei consumatori.

Il 3 luglio 2013 il Parlamento europeo ha approvato emendamenti alla proposta in questione, che segue la procedura legislativa ordinaria (già procedura di codecisione): gli emendamenti approvati costituiranno la base negoziale del PE nel corso dell'esame in sede di trilogo, con i rappresentanti del Consiglio dell'UE e della Commissione europea.

 

 


 

Articolo 6
Principi e criteri direttivi per l’attuazione della decisione quadro 2006/960/GAI relativa alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence tra le autorità degli Stati membri dell’unione europea incaricate dell’applicazione della legge

 

L’articolo 6 delega il Governo ad attuare la Decisione quadro 2006/960/Gai sullo scambio di informazioni e intelligence tra Stati membri dell’Unione europea, riproducendo l’articolo 51 della legge comunitaria 2008[2] che prevedeva analoga delega al Governo, mai esercitata e ormai scaduta.

 

La decisione quadro 2006/960/GAI mira a stabilire le norme in virtù delle quali le autorità degli Stati membri incaricate dell’applicazione della legge possono scambiarsi le informazioni e l’intelligence esistenti efficacemente e rapidamente ai fini dello svolgimento di indagini penali o di operazioni di intelligence criminale.

Ciò in quanto il tempestivo accesso ad informazioni ed intelligence accurate ed aggiornate è un elemento essenziale affinché le autorità incaricate dell’applicazione della legge possano efficacemente individuare, prevenire e indagare su reati o attività criminali, specialmente in uno spazio in cui sono stati aboliti i controlli alle frontiere interne. Poiché le attività dei criminali sono svolte clandestinamente, occorre che siano controllate e che le informazioni su di esse siano scambiate con particolare rapidità.

Ai sensi dell’art. 1, la decisione quadro lascia impregiudicati gli accordi o intese bilaterali o multilaterali tra Stati membri e paesi terzi e gli strumenti dell’Unione europea riguardanti la reciproca assistenza giudiziaria o il reciproco riconoscimento delle decisioni in materia penale, comprese le condizioni stabilite da paesi terzi riguardo all’utilizzo delle informazioni già fornite.

Essa non impone alcun obbligo per gli Stati membri:

§  di raccogliere e conservare informazioni e intelligence allo scopo di fornirle alle autorità di altri Stati membri;

§  di fornire informazioni e intelligence da utilizzare come prove dinanzi ad un’autorità giudiziaria, né di conferire il diritto ad utilizzarle a tal fine. Se uno Stato membro ha ottenuto informazioni o intelligence a norma della decisione quadro in esame ed intende utilizzarle come prove dinanzi ad un’autorità giudiziaria, deve ricevere il consenso dello Stato membro che ha fornito le informazioni o l’intelligence;

§  di ottenere con mezzi coercitivi, definiti conformemente alla legislazione nazionale, qualsiasi informazione o intelligence. Qualora ciò sia permesso dalla loro legislazione nazionale e ad essa conforme, gli Stati membri devono tuttavia fornire informazioni o intelligence che siano state precedentemente ottenute con mezzi coercitivi.

Ai sensi dell’art. 3, le informazioni e l’intelligence sono comunicate su richiesta formulata da un’autorità incaricata dell’applicazione della legge che svolge un’indagine penale o un’operazione di intelligence criminale. Gli Stati membri devono assicurare che la comunicazione di informazioni e intelligence alle autorità di altri Stati membri non sia soggetta a condizioni più rigorose di quelle applicabili a livello nazionale. In particolare, è vietato subordinare ad un accordo o ad un’autorizzazione giudiziari la trasmissione ad un’autorità straniera di informazioni o intelligence alle quali l’autorità nazionale possa accedere in una procedura interna senza accordo o autorizzazione giudiziari (così l’art. 3, par. 3). Qualora, invece, la legislazione nazionale dello Stato membro richiesto consenta all’autorità di accedere alle informazioni o all’intelligence oggetto della richiesta solo con l’accordo o l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, l’autorità nazionale alle quale è stata inoltrata la richiesta è tenuta a chiedere all’autorità giudiziaria competente l’accordo o l’autorizzazione ad accedere e a scambiare le informazioni richieste.

 

Ai sensi dell’art. 11, par. 1, della decisione quadro, gli Stati membri erano tenuti ad adottare le necessarie misure attuative entro il 19 dicembre 2008.

 

L’articolo 6, composto da tre commi, reca i princìpi ed i criteri direttivi cui il Governo dovrà attenersi nel dare attuazione alla decisione quadro 2006/960/GAI.

 

In particolare, in base al comma 1 il Governo dovrà esercitare la delega entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge di delegazione europea, rispettando le procedure previste dall’art. 31 della legge n. 234 del 2012, che detta norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea.

Si evidenzia che nel silenzio della legge di delegazione europea, sullo schema di decreto legislativo di attuazione della Decisione quadro non è previsto il parere delle competenti commissioni parlamentari.

Ai sensi del comma 2, nel dare attuazione a quanto disposto dalla decisione quadro 2006/960/GAI, il Governo dovrà attenersi - oltre che ai principi ed ai criteri direttivi generali di cui all’art. 32, comma 1, lett. a) e), f) e g) della legge n. 234 del 2012 – anche a quelli indicati nelle seguenti lettere del comma in esame, di seguito illustrate.

 

Lettera a): prevedere che

§  per “autorità competente incaricata dell’applicazione della legge” (ai sensi dell’art. 2, lett. a), della decisione quadro) debbano intendersi le forze di polizia, come definite dall’art. 16 della legge n. 121 del 1981[3], ovvero la polizia di Stato, l'Arma dei carabinieri e il Corpo della guardia di finanza;

§  per “indagine penale” debba intendersi quanto definito dall’art. 2, lett. b), della decisione quadro, ossia una fase procedurale nella quale le autorità incaricate dell’applicazione della legge o le autorità giudiziarie competenti, compresi i pubblici ministeri, adottano misure per individuare e accertare i fatti, le persone sospette e le circostanze in ordine a uno o più atti criminali accertati;

§  per “operazione di intelligence criminale” debba intendersi quanto definito dall’art. 2, lett. c), della decisione quadro, ossia una fase procedurale nella quale, in una fase precedente all’indagine penale, un’autorità competente incaricata dell’applicazione della legge, ai sensi della legislazione nazionale, ha facoltà di raccogliere, elaborare e analizzare informazioni su reati o attività criminali al fine di stabilire se sono stati commessi o possono essere commessi in futuro atti criminali concreti;

§  per “informazione e/o intelligence” debba intendersi quanto definito dall’art. 2, lett. d), della decisione quadro, ossia qualsiasi tipo di informazioni o dati detenuti da autorità incaricate dell’applicazione della legge e qualsiasi tipo di informazioni o dati detenuti da autorità pubbliche o da enti privati che siano accessibili alle autorità incaricate dell’applicazione della legge senza il ricorso a mezzi coercitivi;

§  per “reati di cui all’art. 2, par. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo” debbano intendersi i reati previsti dalla legge n. 69 del 2005[4], di attuazione nel nostro ordinamento del mandato d’arresto europeo, agli articoli 7 e 8 nonché i reati connessi al furto di identità relativo ai dati personali.

 

Si ricorda che in base all’articolo 7 della legge sul mandato d’arresto europeo, l’Italia può dar corso al mandato d'arresto europeo solo nel caso in cui il fatto sia previsto come reato anche dalla legge nazionale (c.d. doppia punibilità); il fatto deve peraltro essere punito nello Stato di emissione del mandato d’arresto con una pena detentiva della durata massima non inferiore a dodici mesi.

In base all’articolo 8 della legge si fa luogo alla consegna in base al mandato d’arresto europeo, indipendentemente dalla doppia incriminazione, per i fatti ivi elencati[5] sempre che, escluse le eventuali aggravanti, il massimo della pena o della misura di sicurezza privativa della libertà personale sia pari o superiore a tre anni.

 

Per una definizione del furto di identità nel nostro ordinamento occorre invece fare riferimento all’art. 30-bis del decreto legislativo n. 141 del 2010[6], in base al quale con questa espressione s’intende:

a) l'impersonificazione totale: occultamento totale della propria identità mediante l'utilizzo indebito di dati relativi all'identità e al reddito di un altro soggetto. L'impersonificazione può riguardare l'utilizzo indebito di dati riferibili sia ad un soggetto in vita sia ad un soggetto deceduto;

b) l'impersonificazione parziale: occultamento parziale della propria identità mediante l'impiego, in forma combinata, di dati relativi alla propria persona e l'utilizzo indebito di dati relativi ad un altro soggetto, nell'ambito di quelli di cui alla lettera a).

Si ricorda, inoltre, che il recente decreto-legge n. 93 del 2013[7] ha inasprito le pene per il delitto di frode informatica (art. 640-ter c.p.) quando il fatto è commesso con furto di identità digitale.

 

 

Lettera b): prevedere modalità procedurali affinché le informazioni possano essere comunicate alle autorità competenti di altri Stati membri ai fini dello svolgimento di indagini penali o di operazioni di intelligence criminale, specificando i termini delle comunicazioni medesime, secondo quanto stabilito dall’art. 4 della decisione quadro.

 

Ai sensi del richiamato art. 4 della decisione quadro, gli Stati membri assicurano la disponibilità di procedure che consentano loro di rispondere:

-        entro otto ore, alle richieste urgenti di informazioni e intelligence riguardanti i reati di cui all’art. 2, par. 2 della decisione quadro 2002/584/GAI (vedi lett. a)), se le informazioni o l’intelligence richieste sono conservate in una banca dati alla quale un’autorità incaricata dell’applicazione della legge può accedere direttamente. Se non è in grado di rispondere entro otto ore, l’autorità che ha ricevuto la richiesta ne deve fornire i motivi. Qualora la comunicazione entro il periodo di otto ore di informazioni o intelligence richieste costituisca un onere sproporzionato per l’autorità che ha ricevuto la richiesta, questa può posporne la comunicazione. In questo caso detta autorità informa immediatamente della posposizione l’autorità richiedente e comunica le informazioni o l’intelligence al più presto possibile e, in ogni caso, entro tre giorni;

-        entro una settimana, alle richieste non urgenti di informazioni e intelligence riguardanti i suddetti reati, se le informazioni o l’intelligence richieste sono conservate in una banca dati alla quale un’autorità incaricata dell’applicazione della legge può accedere direttamente. Se non è in grado di rispondere entro una settimana, l’autorità che ha ricevuto la richiesta ne deve fornire i motivi;

-        entro quattordici ore, in tutti gli altri casi. Se non è in grado di rispondere entro quattordici giorni, l’autorità competente ne deve fornire i motivi.

 

Lettera c): prevedere

§  che le informazioni possano essere richieste ai fini dell’individuazione, della prevenzione o dell’indagine su un reato quando vi sia motivo di fatto di ritenere che le informazioni e l’intelligence pertinenti siano disponibili in un altro Stato membro;

§  che la richiesta debba precisare i motivi di fatto nonché le finalità cui sono destinate l’informazione e l’intelligence nonché il nesso tra le finalità e la persona oggetto delle informazioni e dell’intelligence.

 

Lettera d): prevedere i canali e la lingua di comunicazione secondo i criteri fissati dall’art. 6 della decisione quadro.

L’art. 6 della decisione quadro stabilisce che lo scambio di informazioni e intelligence può aver luogo tramite qualsiasi canale esistente ai fini della cooperazione internazionale in materia di applicazione della legge. La lingua utilizzata per la richiesta e lo scambio di informazioni è quella applicabile al canale utilizzato. Le informazioni o l’intelligence sono scambiate anche con l’Europol e con l’Eurojust, qualora lo scambio riguardi un reato o un’attività criminale di loro competenza.

 

Lettera e): prevedere misure volte ad assicurare il soddisfacimento delle esigenze di tutela dei dati personali e della segretezza dell’indagine;

 

Lettera f) prevedere, fatti salvi i casi indicati all’art. 10 della decisione quadro (in merito al quale, vedi lett. g)), modalità procedurali per lo scambio spontaneo di informazioni e di intelligence;

 

Lettera g) prevedere che, fatti salvi i casi indicati all’art. 3, par. 3, della decisione quadro (vedi supra), un’autorità competente possa rifiutarsi di fornire le informazioni e l’intelligence solo nel caso in cui sussistano le ragioni indicate all’art. 10 della medesima decisione quadro.

L’art. 10 della decisione quadro stabilisce che, fatto salvo l’art. 3, par. 3, un’autorità competente incaricata dell’applicazione della legge può rifiutarsi di fornire le informazioni o l’intelligence solo nel caso in cui sussistano ragioni di fatto per ritenere che la comunicazione di tali informazioni o intelligence:

-        pregiudichi interessi fondamentali della sicurezza nazionale dello Stato membro richiesto, ovvero

-        metta a repentaglio il buon esito di un’indagine o di un’operazione di intelligence criminale in corso o la sicurezza di persone, ovvero

-        sia palesemente sproporzionata o irrilevante per lo scopo per cui è stata richiesta.

Qualora la richiesta riguardi un reato passibile di una pena privativa della libertà di un anno o meno a norma della legislazione dello Stato membro richiesto, l’autorità può rifiutare di fornire le informazioni o l’intelligence richiesti.

L’autorità rifiuta di fornire informazioni o intelligence qualora l’autorità giudiziaria competente non abbia autorizzato l’accesso e lo scambio di informazioni richiesti ai sensi dell’art. 3, par. 4.

 

Lettera h): prevedere che quando le informazioni o l’intelligence richieste da altro Stato membro siano correlate a un procedimento penale, la trasmissione delle stesse da parte dell’autorità nazionale richiesta sia subordinata all’autorizzazione dell’autorità giudiziaria procedente.

 

Lettera i): prevedere che autorizzazione analoga a quella prevista dalla lettera h) sia richiesta nei casi in cui l’autorità nazionale competente intenda procedere a uno scambio spontaneo di informazioni e di intelligence con le autorità competenti di altro Stato membro, ai sensi dell’art. 7 della decisione quadro, quando esse siano correlate a un procedimento penale.

L’art. 7 della decisione quadro stabilisce che le autorità competenti, senza che sia necessaria alcuna richiesta preventiva, forniscono alle autorità di altri Stati membri interessati le informazioni e l’intelligence pertinenti qualora sussistano ragioni di fatto per ritenere che dette informazioni e intelligence possano contribuire all’individuazione, alla prevenzione o all’indagine riguardanti i reati di cui all’art. 2, par. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI. Le modalità di questo scambio spontaneo sono disciplinate dalla legislazione nazionale dello Stato membro che fornisce le informazioni. Le informazioni e l’intelligence fornite si limitano a quanto ritenuto utile è necessario per l’individuazione, la prevenzione o l’indagine sui reati o le attività criminali in questione.

 

Ai sensi del comma 3 dall’attuazione della decisione quadro non dovranno scaturire oneri per la finanza pubblica.

 

 


 

Articolo 7
Delega al Governo per l’adozione di un testo unico delle disposizioni di attuazione della normativa dell’Unione europea in materia di protezione internazionale e protezione temporanea

 

L’articolo 7 delega il Governo ad emanare un testo unico delle disposizioni di attuazione della normativa dell’Unione europea in materia di diritto di asilo, protezione sussidiaria e di protezione temporanea (comma 1).

Il termine per l’esercizio della delega è fissato in 12 mesi, che decorrono dall’entrata in vigore dei decreti legislativi di attuazione delle due ultime direttive comunitarie in materia di protezione internazionale approvate il 26 giugno 2013 e incluse nell’allegato B del presente provvedimento. Si tratta della direttiva 2013/32, recante procedure comuni per il riconoscimento dello status di protezione internazionale (c.d. nuova direttiva procedure) e della direttiva 2013/33, recante disciplina dell’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (c.d. nuova direttiva accoglienza); per entrambe il termine di recepimento è il 20 luglio 2015 (ad eccezione di alcune disposizioni della direttiva 2013/32 da recepire entro il 20 luglio 2018).

Inoltre, è concessa una ulteriore delega al Governo per emanare eventuali disposizioni correttive e integrative del testo unico, da esercitarsi entro 24 mesi l’entrata in vigore del medesimo testo unico (comma 2).

Infine, è prevista una clausola di neutralità finanziaria, secondo la quale l’adozione del testo unico non deve comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, in quanto le amministrazioni coinvolte devono provvedere all’adempimento dei compiti derivanti dall’attuazione della delega con le risorse disponibili a legislazione vigente (comma 3).

 

Per quanto riguarda il termine di esercizio della delega, si tratta di un termine mobile, in quanto non è noto il termine (l’entrata in vigore dei nuovi decreti di recepimento della normativa comunitaria) dal quale decorre in periodo di 12 mesi in cui può essere esercitata la delega.

Si rileva inoltre che il termine non è univoco, in quanto, come si è detto, la seconda delle due nuove direttive in parte deve essere attuata nel 2015 e in parte del 2018.

 

Andrebbe pertanto valutata l’opportunità di specificare in maniera univoca il termine per l’esercizio della delega.

 

La disposizione in esame non reca principi e criteri direttivi specifici per l’attuazione. Si potrebbe quindi ritenere che la delga riguardi un testo unico meramente compilativo, anche perché verrebbe a raccogliere norme che in gran parte devono essere ancora adottate attraverso altri decreti delegati: quindi il testo unico verrebbe ad essere elaborato poco dopo l’adozione dei testi normativi che dovrebbero confluirvi. D’altro canto, però, si nota che il Governo non ha scelto di utilizzare la procedura semplificata recentemente introdotta per l’adozione di testi unici compilativi mediante decreto del Presidente della Repubblica. Tra i motivi di tale scelta potrebbe esservi l’eventualità di successive modifiche alle disposizioni comunitarie da recepire nel testo unico.

 

Si ricorda che l’articolo 5, comma 2, della legge 69/2009 ha introdotto un nuovo articolo 17-bis della legge 400/1988 che consente al Governo in via permanente, quindi senza necessità di una delega specifica, di adottare testi unici compilativi che raccolgano le disposizioni aventi forza di legge regolanti materie e settori omogenei, provvedendo solamente coordinamento formale di tali disposizioni, senza poterle modificare.

Il testo unico è deliberato dal Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri ed è emanato con decreto del Presidente della Repubblica, previo parere del Consiglio di Stato, a cui il Governo può demandarne la redazione.

 

Per quanto riguarda l’oggetto della delega, come si è detto, essa riguarda la raccolta delle disposizioni vigenti che, in attuazione dell’articolo 10 terzo comma, della Costituzione, recepiscono la normativa dell’Unione europea in tre materie:

§  diritto di asilo;

§  protezione sussidiaria;

§  protezione temporanea.

 

Nella definizione di tali materie, il Governo ha fatto proprio un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale (vedi oltre) che considera il diritto di asilo interamente attuato e regolato attraverso gli istituti di protezione previsti dalla normativa comunitaria e recepiti nel nostro ordinamento, ossia la protezione internazionale (consistente nella concessione dello status di rifugiato e la protezione sussidiaria) e la protezione temporanea a carattere umanitario.

Tuttavia, occorre rilevare che la normativa comunitaria, anche se nel passato ha utilizzato in alcuni casi il termine di diritto di asilo come sinonimo di diritto allo status di rifugiato, sta definendo una terminologia più precisa riferendosi oramai esclusivamente alle tre tipologie sopra indicate. Una delle innovazioni apportate alla normativa vigente dalle due nuove direttive citate dal comma 1 è proprio quella di espungere ogni riferimento al diritto di asilo.

Una distinzione è operata anche dalla giurisprudenza comunitaria secondo la quale gli Stati membri possono riconoscere un diritto d’asilo in forza del loro diritto nazionale ad una persona esclusa dallo status di rifugiato, purché quest’altro tipo di protezione non comporti un rischio di confusione con lo status di rifugiato (Corte di giustizia delle Comunità europee, Grande Sezione, sent. 9 novembre 2010, C57/09 e C101/09).

 

Si ricorda, che il diritto di asilo è tra i diritti fondamentali dell’uomo ed è riconosciuto dall’articolo 10, terzo comma, della Costituzione allo straniero al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Anche se i due termini sono spesso usati come sinonimi, l’istituto del diritto di asilo non coincide con quello del riconoscimento dello status di rifugiato. Per quest’ultimo non è sufficiente, per ottenere accoglienza in altro Paese, che nel Paese di origine siano generalmente represse le libertà fondamentali, ma occorre che il singolo richiedente abbia subito specifici atti di persecuzione.

Il riconoscimento dello status di rifugiato è entrato nel nostro ordinamento con l’adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 (ratificata con la legge 722/1954) ed è regolato essenzialmente da fonti di rango comunitario.

Successivamente, la normativa comunitaria a introdotto l’istituto di protezione sussidiaria per coloro che, pur non avendo i requisiti per la concessione dello status di rifugiato (ossia non sono in grado di dimostrare di essere oggetto di specifici atti di persecuzione), temono il rischio di subire gravi danni per una serie di motivi espressamente indicati (condanna a morte, tortura, violenza ecc.).

Completa il quadro la protezione temporanea che può essere concessa in caso di afflusso massiccio di sfollati.

Per quanto riguarda l’introduzione di una legge organica sul diritto di asilo, in attuazione dell’articolo 10, terzo comma Cost., si ricorda che diverse proposte di legge in materia sono state discusse in Parlamento fin dal 1997 e alcune di esse risultano presentate anche nella legislatura in corso e iscritte all’ordine dle giorno della I Commissione.

 

Per lungo tempo il dibattito dottrinale e l’esperienza giurisprudenziale in materia di asilo si sono svolti attorno a due questioni centrali riguardanti la natura immediatamente precettiva o solamente programmatica del dettato costituzionale e l’identità o meno tra il concetto (e la regolamentazione) di asilo costituzionale e di rifugio convenzionale.

Una svolta si ha nel 1997 con una importante sentenza delle sezioni unite della Cassazione che ha affermato la valenza precettiva della disposizione costituzionale in quanto “l'art. 10, terzo comma, Cost. attribuisce direttamente allo straniero il quale si trovi nella situazione descritta da tale norma un vero e proprio diritto soggettivo all'ottenimento dell'asilo, anche in mancanza di una legge che, del diritto stesso, specifichi le condizioni di esercizio e le modalità di godimento”. Inoltre, stante la mancanza di una specifica normativa di attuazione del precetto dell'art. 10, terzo comma, Cost., per la Suprema Corte non è possibile applicare all’asilo politico la normativa che disciplina il riconoscimento dello status di rifugiato in quanto il precetto costituzionale e la normativa sui rifugiati politici “non coincidono dal punto di vista soggettivo, perché la categoria dei rifugiati politici è meno ampia di quella degli aventi diritto all'asilo, in quanto la citata Convenzione di Ginevra prevede quale fattore determinante per la individuazione del rifugiato, se non la persecuzione in concreto, un fondato timore di essere perseguitato, cioè un requisito che non è considerato necessario dall'art. 10, terzo comma, Cost. (Cass. Sent. 4674/1997).

A partire dalla fine degli anni ’90, tale indirizzo giurisprudenziale viene costantemente ribadito dalla giurisprudenza ordinaria (si veda tra l’altro Cass. s.u. sent. 907/1999) fino al 2004, quando si registra un deciso mutamento di orientamento. Con la sentenza 8423 del 2004, la I sezione civile della Cassazione, pur riconoscendo le sostanziali differenze tra i due istituti, ha affermato che essi sono comunque da accomunare sotto il profilo procedurale.

Tale nuovo orientamento è stato rafforzato dalla Cassazione (sentenza 25028 del 2005) e successivamente confermato in diverse pronunce, da ultimo nell’ordinanza 10686 del 2012 dove afferma che: “il diritto di asilo è oggi [...] interamente attuato e regolato, attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti di protezione, ad opera della esaustiva normativa di cui al d.lgs. 251 del 2007 (adottato in attuazione della direttiva 2004/83/CE) e dell'art. 5 c. 6 del T.U. approvato con d.lgs. 286 del 1998, sì chè non si scorge alcun margine di residuale diretta applicazione della norma costituzionale”.

Il recepimento della normativa comunitaria

La determinazione della politica in materia di rifugiati dei Paesi dell’Unione europea è da tempo prevalentemente di competenza comunitaria.

L’Italia ha provveduto ad adeguare l’ordinamento interno alla normativa europea nella XV legislatura, principalmente con il decreto legislativo 251/2007 e con il decreto legislativo 25/2008; il primo di recepimento della direttiva 2004/83/CE (direttiva “qualifiche”), il secondo della direttiva 2005/85/CE (direttiva “procedure”).

Nella XVI legislatura il procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato è stato modificato in più punti dal D.Lgs. 159/2008, parte integrante del “pacchetto sicurezza”.

E’ attualmente in corso l’adeguamento al nuovo pacchetto asilo dell’Unione europea la cui definizione è stata completata nel 2013.

La legge di delegazione europea 2013 (L. 96/2013) reca una delega per il recepimento della nuova direttiva “qualifiche” del 2011 (dir. 2011/95/UE adottata in sostituzione della dir. 2004/83/CE) che dovrà essere esercitata entro il 21 dicembre 2013.

Completano il pacchetto asilo diversi altri provvedimenti, tra cui la nuova direttiva “accoglienza” e la nuova direttiva “procedure” che, assieme alla direttiva “qualifiche”, costituiscono la base normativa in materia. Come si è anticipato sopra, il recepimento di questi due atti (il cui termine è fissato al luglio 2015) è previsto dal disegno di legge in esame.

Il Sistema europeo comune di asilo

Dalla fine degli anni ’90 dello scorso secolo, l’Unione europea è impegnata nell’armonizzazione delle disposizioni nazionali in materia di rifugiati attraverso la creazione di un Sistema europeo comune di asilo (CEAS), finalizzato a assicurare un approccio comune degli Stati membri in materia per garantire elevati standard di protezione per i rifugiati.

Nella prima fase di elaborazione del sistema comune, tra il 1999 e il 2005, sono stati adottati diversi provvedimenti legislativi recanti norme minime comuni che costituiscono tuttora la base normativa in materia. Altrettanto importante è stato il rafforzamento della solidarietà finanziaria con la creazione del Fondo europeo per i rifugiati.

I principi fondamentali in materia di asilo sono contenuti nella citata Convezione di Ginevra del 1951 che definisce, tra l’altro, i requisiti per accedere allo status di rifugiato. A tale Convenzione rinvia l’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione dell’Unione europea – che dal dicembre 2009, con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, ha lo stesso effetto giuridico vincolante dei trattati dell’Unione - e l’art. 78 TFUE, per la determinazione dei principi fondamentali in materia di asilo e per la definizione dei requisiti per accedere allo status di rifugiato.

 

I principali atti normativi del Sistema comune sono:

§  il c.d. regolamento Dublino II (Reg. (UE) n. 343/2003, così denominato perché adottato in sostituzione della Convenzione di Dublino) relativo alla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo;

§  la direttiva accoglienza recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (dir. 2003/9/CE del 27 gennaio 2003 recepita dall’ordinamento italiano con il decreto legislativo 140/2005);

§  la direttiva procedure che disciplina il procedimento per l’attribuzione (e la revoca) dello status di rifugiato (dir. 2005/85/CE del 1° dicembre 2005 recepita con il decreto legislativo 25/2008);

§  la direttiva qualifiche che introduce norme minime comuni sull’attribuzione della qualifica di rifugiato e sul contenuto della protezione riconosciuta (dir. 2004/83/CE del 26 aprile 2004 recepita dal decreto legislativo 251/2007);

§  la direttiva protezione temporanea: dir. 2001/55/CE del 20 Luglio 2001 (recepita con il decreto legislativo 85/2003) in caso di afflusso massiccio di sfollati.

 

Anche nel sistema c.d. Schengen, l’art. 3 del regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) reca un’espressa clausola di salvaguardia dei diritti dei rifugiati e di coloro che richiedono protezione internazionale, in particolare per quanto concerne il non respingimento.

 

Sulla materia è frequentemente intervenuta la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, secondo la quale “la politica comune nel settore dell’asilo costituisce un elemento fondamentale dell’obiettivo dell’Unione europea di istituire progressivamente uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia aperto a quanti spinti dalle circostanze cercano legittimamente protezione nell’Unione” e “il sistema europeo comune di asilo è fondato sull’applicazione in ogni sua componente della Convenzione di Ginevra e sulla garanzia che nessuno sarà rispedito in luogo in cui rischia di essere nuovamente perseguitato” (CGUE 21 dicembre 2011 n.140). Secondo la Corte, il sistema europeo comune di asilo è “concepito in un contesto che permette di supporre che l’insieme degli Stati partecipanti, siano essi Stati membri o paesi terzi, rispetti i diritti fondamentali, compresi i diritti che trovano fondamento nella Convenzione di Ginevra e nel Protocollo del 1967, nonché nella CEDU, e che gli Stati membri possono fidarsi reciprocamente a tale riguardo” (sent. cit.).

In tale giurisprudenza il citato art. 18 è richiamato anche in relazione all’art. 4 della stessa Carta, recante divieto di tortura e pene degradanti, se il respingimento dei richiedenti asilo può dar luogo a violazione di tale divieto (si veda da ultimo, CGUE Grande Sezione, 14 novembre 2013,[8] sull’interpretazione delle disposizioni in tema di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo del regolamento cd Dublino II). Del resto, anche l’art. 33 della Convenzione di Ginevra stabilisce il divieto per gli Stati di espellere o respingere, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

Nel contesto in cui è collocato il sistema europeo comune di asilo, rileva anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che pur avendo osservato che né la Convenzione né i suoi Protocolli sanciscono il diritto all’asilo politico (Vilvarajah ed altri c. Regno Unito, 30 ottobre 1991 e Ahmed c. Austria, 17 dicembre 1996), tuttavia ha notato che “l’espulsione, l’estradizione ed ogni altra misura di allontanamento di uno straniero da parte di uno Stato contraente possono sollevare un problema sotto il profilo dell’articolo 3 CEDU” che vieta agli Stati contraenti di sottoporre individui a trattamenti inumani o degradanti. Ciò chiama in causa la responsabilità degli Stati ai sensi della Convenzione, “quando esistano motivi seri ed accertati per ritenere che l’interessato, se espulso verso il paese di destinazione, vi correrà il rischio reale di essere sottoposto ad un trattamento contrario all’articolo 3. In questo caso, l’articolo 3 implica l’obbligo di non espellere la persona in questione verso quel paese” (Vilvarajah ed altri, citata, Ahmed, citata; H.L.R. c. Francia, 29 aprile 1997, Salah Sheekh c. Paesi Bassi, 11 gennaio 2007, nonché Saadi c. Italia [GC], 28 febbraio 2008). Da ultimo, tali principi sono stati ribaditi anche nel caso di respingimento di richiedente asilo da parte di Stato dell’Unione europea verso altro Stato dell’Unione (M.S.S. c. Belgio e Grecia del 21 gennaio 2011).

Verso una nuova fase della politica europea

Dopo il completamento della prima fase, si è aperta una riflessione sugli ulteriori sviluppi del sistema comune. Il Libro verde del 2007 è stato la base per una consultazione pubblica che ha portato all’elaborazione, da parte della Commissione, del Piano d'azione in materia di asilo, presentato nel giugno 2008, e all’aggiornamento della normativa, al fine di individuare norme più flessibili, eque ed efficaci e di consolidare una vera e propria politica comune in materia di rifugiati. Infatti, come rilevato da una ricerca dell’European Council on Refugees and Exiles (ECRE) del settembre 2013[9], persistono ancora notevoli differenze normative e di prassi tra i Paesi membri.

La seconda fase si è chiusa nel 2013 con la definitiva approvazione di nuovi provvedimenti, in sostituzione dei precedenti.

In particolare, nel 2011 è stata approvata la nuova direttiva qualifiche e nel giugno 2013 gli altri provvedimenti. Alcuni di questi (i regolamenti) sono automaticamente recepiti negli ordinamenti interni, mentre altri (le direttive) dovranno essere attuati dagli Stati membri mediante l’adozione di specifici atti normativi nazionali.

I nuovi provvedimenti destinati a riformare l’intera disciplina sono i seguenti:

§  il regolamento Dublino III Reg. (UE) n. 604/2013 del 26 giugno 2013 in sostituzione del Dublino II (applicazione dal 1° gennaio 2014);

§  la nuova direttiva accoglienza: dir. 2013/33/UE del 26 giugno 2013 (termine per il recepimento 20 luglio 2015);

§  la nuova direttiva procedure: dir. 2013/32/UE del 26 giugno 2013 (termine per il recepimento 20 luglio 2015);

§  la nuova direttiva qualifiche: dir. 2011/95/UE del 13 dicembre 2011 (termine per il recepimento 21 dicembre 2013).

 

Completano il quadro della disciplina:

§  il nuovo regolamento EURODAC per il confronto delle impronte digitali al fine dell’applicazione del regolamento Dublino: Reg. (UE) n. 603/2013 del 26 giugno 2013, che sostituisce il Reg. (UE) n. 2725/2000.

Procedure di contenzioso

Con lettera di costituzione in mora del 24 ottobre 2012 la Commissione europea ha aperto la procedura di infrazione (n. 2012/2189) nei confronti dell’Italia contestando la violazione di obblighi imposti dal diritto dell’UE, previsti dalle direttive 2005/85/CE (direttiva “procedure”), 2003/9/CE (direttiva “accoglienza“), 2004/83/CE (direttiva “qualifiche”), e dal regolamento n. 343/2003 (regolamento “Dublino”, recante i criteri di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo).

In particolare le violazioni contestate consisterebbero:

·     nella limitata capacità dei centri di accoglienza dei richiedenti asilo, e l’inconsistenza di fatto dell’accesso alle condizioni di accoglienza;

·     nelle procedure di domanda di asilo, in particolare la mancanza, nella pratica, di un accesso effettivo alla procedura pertinente, sia in generale, sia con particolare riferimento ai richiedenti asilo per i quali è prevista la procedura Dublino.

Sulle questioni la Commissione aveva già chiesto chiarimenti il 15 febbraio 2012 attraverso il sistema EU Pilot.

Il sistema EU Pilot (strumento informatico EU Pilot - IT application) dal 2008 è lo strumento principale di comunicazione e cooperazione tramite il quale la Commissione, mediante il Punto di contatto nazionale - che in Italia è la struttura di missione presso il Dipartimento Politiche UE della Presidenza del Consiglio - trasmette le richieste di informazione agli  Stati membri (25 in tutto in quanto Malta e Lussemburgo non hanno ancora aderito a questo strumento di pre-contenzioso) al fine di assicurare la corretta applicazione della legislazione UE e prevenire possibili procedure d’infrazione.

Il sistema viene utilizzato quando per la Commissione la conoscenza di una situazione di fatto o di diritto all’interno di uno Stato membro è insufficiente e non permette il formarsi di un’opinione chiara sulla corretta applicazione del diritto UE  e in tutti i casi che potrebbero essere risolti senza dovere ricorrere all’apertura di una vera e propria procedura di infrazione.

 

 

 


Direttive Allegato A

 


Direttiva 2012/35/UE
che modifica la direttiva 2008/106/CE concernente i requisiti minimi di formazione per le gente di mare

 

La direttiva 2012/35/UE modifica la precedente direttiva 2008/106/CE in materia di  requisiti minimi di formazione per la gente di mare.

 

La formazione e la certificazione della gente di mare sono disciplinate dalla Convenzione IMO (Organizzazione marittima internazionale) sulle norme relative alla formazione della gente di mare, al rilascio dei brevetti e alla guardia del 1978 ("Convenzione STCW"), entrata in vigore nel 1984 e modificata in misura rilevante nel 1995 e, poiché tutti gli Stati membri sono parti della convenzione, integrata nel diritto dell’Unione a partire dal 1994. Successivamente è stato istituito un meccanismo comune dell’Unione per il riconoscimento dei sistemi di formazione e certificazione della gente di mare nei paesi terzi. Tali norme, a seguito di una rifusione, sono contenute nella direttiva 2008/106/CE.

Importanti modifiche alla convenzione STCW sono state introdotte nel 2010 nella Conferenza di Manila ("emendamenti di Manila"), in particolare per quanto riguarda la prevenzione delle frodi sui certificati, il settore delle norme mediche, la formazione sulla protezione (security), la pirateria e le rapine a mano armata, la formazione sugli aspetti tecnologici e l’introduzione di alcuni requisiti per i marittimi abilitati e di nuove figure professionali.

Gli emendamenti di Manila sono entrati in vigore il 1° gennaio 2012, mentre le disposizioni transitorie possono essere applicate fino al 1° gennaio 2017.

La direttiva 2012/35/UE provvede pertanto a modificare alcune disposizioni della direttiva 2008/106/CE per recepire gli emendamenti di Manila, rispetto ai quali nessuno Stato membro ha sollevato obiezioni. Inoltre, prevede disposizioni transitorie conformi a quelle transitorie previste negli emendamenti di Manila.

La direttiva interviene principalmente modificando alcune norme sui certificati di competenza della gente di mare, perseguendo la finalità che una migliore formazione per la gente di mare dovrebbe comprendere un’adeguata formazione a livello teorico e pratico al fine di garantire che questa sia qualificata per soddisfare le norme in materia di protezione e sicurezza e sia in grado di affrontare rischi e emergenze. Nei confronti della gente di mare che abbia iniziato un servizio di navigazione, un programma di istruzione e formazione o un corso di formazione riconosciuti prima del 1° luglio 2013, gli Stati membri possono continuare a rilasciare, riconoscere e convalidare, fino al 1° gennaio 2017, certificati di competenza conformemente ai requisiti della direttiva come prima del 3 gennaio 2013

Inoltre vengono previsti modifiche al fine di prevenire l’affaticamento del personale. In particolare si conferma la previsione della direttiva 2008/106 che le ore di riposo possano essere suddivise in non più di due periodi, uno dei quali della durata di almeno sei ore e si introduce la nuova previsione che gli intervalli tra periodi di riposo consecutivi non superino quattordici ore.

Si introducono poi periodi di riposo degli ufficiali e del personale di guardia e degli addetti alla sicurezza pari ad almeno dieci ore ogni ventiquattro ore ed a settantasette ore ogni sette giorni derogabili solo in caso di emergenza o in altre situazioni operative eccezionali o con precisi limiti.

Si introduce infine la previsione che gli Stati membri stabiliscano, al fine di prevenire l’abuso di alcol, un limite di tasso alcolemico non superiore allo 0,05 % o a 0,25 mg/l di alcol nell’alito, o un quantitativo di alcol che conduca alla stessa concentrazione alcolica, per comandanti, ufficiali e altri marittimi, mentre svolgono i rispettivi compiti di sicurezza, di protezione e di tutela dell’ambiente marino (art. 1, punto 14).

 

Recepimento

Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 4 luglio 2014. Per quanto riguarda l’articolo 1, punto 5 (obblighi di informazione alla Commissione Europea) della direttiva il termine è il 4 gennaio 2015.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Con riferimento ai lavoratori marittimi, si segnala lo scorso 18 novembre, la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva per includere i lavoratori marittimi nell'ambito delle cinque direttive di diritto del lavoro dell'UE. La proposta ha lo scopo, tra l’altro, di estendere a tale categoria di lavoratori i diritti di informazione e consultazione in caso di licenziamenti collettivi e trasferimenti di imprese nonché il diritto di partecipare ai comitati aziendali europei. La proposta (COM(2013)798) modifica cinque direttive (la direttiva 2008/94/CE, sull'insolvenza del datore di lavoro; la direttiva 2009/38/CE, sui comitati aziendali europei; la direttiva 2002/14/CE sull’informazione e consultazione; la direttiva 98/59/CE, sui licenziamenti collettivi; la direttiva 2001/23/CE, sul trasferimento di impresa).

La proposta di direttiva, su cui non è ancora iniziato l’esame da parte delle istituzioni europee, è accompagnata da due documenti di lavoro (SWD(2013)461 e SWD(2013)462).

 


Direttiva 2013/37/UE
che modifica la direttiva 2003/98/CE relativa al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico

 

 

La direttiva 2013/37/UE interviene in materia di riutilizzo dell’informazione nel settore pubblico, attraverso la modifica della direttiva 2003/98/CE, la c.d. direttiva PSI (Public Sector Information), ed è finalizzata a favorire il riutilizzo dei dati delle pubbliche amministrazioni dell'Unione europea.

La nuova direttiva PSI, salvo eccezioni specifiche, rende ora obbligatorio per gli enti pubblici di rendere riutilizzabili tutte le informazioni in loro possesso, sia per scopi commerciali e non commerciali, a condizione che le informazioni non siano escluse dal diritto di accesso ai sensi del diritto nazionale e in conformità alla normativa sulla protezione dei dati.

Inoltre, è stato esteso l’ambito di applicazione della direttiva anche alle istituzioni culturali (biblioteche, comprese quelle universitarie, ai musei e agli archivi) in precedenza escluse, purché questi detengano i diritti di proprietà intellettuale.

 

Tra le altre innovazioni introdotte si ricordano:

§  la riduzione delle tariffe applicabili in caso di riutilizzo, che sono limitate alla copertura dei soli costi di riproduzione, fornitura e diffusione; eccezioni sono consentite in un numero limitato di casi;

§  le istituzioni culturali possono impegnarsi nella concessione di diritti esclusivi di utilizzazione, se necessario per garantire progetti di digitalizzazione;

§  il rafforzamento dell'obbligo di trasparenza sulle condizioni e sulle tariffe applicate per il riutilizzo;

§  l’invito agli Stati membri a rendere disponibili quanto più possibile i documenti in formato aperto.

 

Il riutilizzo delle informazioni del settore pubblico è da tempo una delle priorità delle politiche dell’Unione europea in considerazione della forte crescita del settore che si occupa della trasformazione di dati grezzi in materiale da cui dipendono numerosi utilizzatori delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione: ad esempio applicazioni per gli smartphones, quali mappe, informazioni in tempo reale sul traffico e le condizioni meteo, strumenti di comparazione dei prezzi, ecc.

 

La direttiva realizza una delle misure dell’Agenda digitale europea adottata nel maggio 2010 dalla Commissione europea nel quadro della strategia Europa 2020, che fissa obiettivi per la crescita nell’Unione europea da raggiungere entro il 2020. L’Agenda digitale propone di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ITC) per favorire l’innovazione, la crescita economica e il progresso.

Una sintesi dei contenuti e degli obiettivi dell’Agenda digitale europea in http://europa.eu/legislation_summaries/information_society/strategies/si0016_it.htm.

L’Agenda include tra le azioni fondamentali per la sua realizzazione la riforma entro il 2012 della direttiva sul riutilizzo dell'informazione del settore pubblico, in particolare con riferimento all'ambito di applicazione e ai principi sui quali si basa l'imposizione di tariffe per l'accesso e l'uso.

Tra gli obiettivi dell’Agenda, il coinvolgimento delle amministrazioni pubbliche nella promozione dei mercati dei contenuti digitali, attraverso tra l’altro, l’incentivazione dei mercati di contenuti mettendo a disposizione le informazioni relative al settore pubblico in modo trasparente, efficace e non discriminatorio.

La direttiva, inoltre, tiene conto anche della raccomandazione del Consiglio OCSE in tema di accesso e uso dell'informazione pubblica (OECD Recommendation of the Council for Enhanced Access and More Effective Use of Public Sector Information, 17-18 giugno 2008, consultabile all’indirizzo: http://www.oecd.org/internet/ieconomy/40826024.pdf).

 

Il termine di recepimento della direttiva è il 18 luglio 2015.

 

 

 

 

 


Direttive Allegato B

 


Direttiva 2009/138/CE
in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (Solvency II)

 

La direttiva 2009/138/CE in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione armonizza le legislazioni degli Stati membri in materia assicurativa, al fine di fornire alle imprese un quadro giuridico per esercitare la propria attività nel mercato interno.

Essa costituisce il quadro normativo entro cui le autorità europee contano di sviluppare il sistema Solvency II, un complesso di regole giuridiche, di misure attuative e di norme di prassi volte al miglioramento della quantità e della qualità dei requisiti patrimoniali delle imprese di assicurazione. Solvency II è dunque un nuovo contesto di regolamentazione, volto a conferire alle autorità di vigilanza gli strumenti appropriati per determinare la solvibilità complessiva delle imprese di assicurazione e riassicurazione, con misure quantitative e qualitative che influenzino la comprensione e la gestione dei rischi.

Il progetto Solvency II avrebbe dovuto essere operativo dal 1° gennaio 2013. L'entrata in vigore è stata nei fatti posticipata a seguito dei rinvii nell'approvazione finale della regolamentazione di vigilanza.

Il sistema è basato su tre “pilastri”: requisiti patrimoniali quantitativi (primo pilastro), governance, gestione del rischio e vigilanza (secondo pilastro), obblighi informativi a fini di vigilanza e trasparenza nei confronti del mercato (terzo pilastro).

La direttiva 2009/138/CE, in particolare, reca disposizioni riguardanti i requisiti di accesso alle attività oggetto della direttiva nel territorio UE (Capo I); reca norme specifiche, di natura sostanziale, per l’assicurazione e riassicurazione (Titolo II); rafforza la vigilanza nel caso di gruppi assicurativi e riassicurativi (Titolo III); dispone in termini di risanamento e liquidazione delle imprese di assicurazione diretta (Titolo IV). Sono infine recate altre disposizioni e norme transitorie e finali (Titolo V e VI).

Per quanto concerne i requisiti patrimoniali, la direttiva fissa le condizioni cui le imprese devono conformarsi per ottenere l'autorizzazione ad operare a livello UE, tra cui la soglia minima di fondi propri necessaria a coprire, in prospettiva, il requisito patrimoniale di solvibilità e i requisiti di governance.

La direttiva prevede il calcolo di un duplice livello di requisiti patrimoniali: il Solvency Capital Requirement (SCR) e il Minimum Capital Requirement (MCR).

In particolare (articolo 100 della direttiva) gli Stati membri devono prescrivere alle imprese di assicurazione e riassicurazione di detenere fondi propri tali da garantire il possesso del cd. requisito patrimoniale di solvibilità (Solvency Capital Requirement - SCR).

Esso è calcolato, all’inizio, con una formula standard prevista dalla direttiva (articolo 103). Tale requisito è pari alla somma dei seguenti elementi:

a) il requisito patrimoniale di solvibilità di base, di cui all’articolo 104;

b) il requisito patrimoniale per il rischio operativo, di cui all’articolo 107;

c) l’aggiustamento per la capacità di assorbimento di perdite delle riserve tecniche e delle imposte differite, di cui all’articolo 108.

Il requisito patrimoniale di solvibilità deve essere calibrato in modo da garantire che siano presi in considerazione tutti i rischi quantificabili cui è esposta un'impresa e deve comprendere sia l’attività esistente sia quelle che si prevede di attivare nell'anno successivo (articolo 101). Ove il livello del requisito scenda al di sotto del livello calcolato, si prescrive un intervento delle autorità di vigilanza, che può portare a una richiesta di maggiorazione del capitale.

Gli Stati membri sono obbligati a esigere che le imprese di assicurazione e di riassicurazione detengano fondi propri di base ammissibili tali da coprire il requisito patrimoniale minimo (Minimum Capital Requirement o MCR, di cui all’articolo 128 della direttiva), da calcolare in modo assoluto e con procedure semplificate, al fine di garantirne la possibilità di revisione; tale requisito è soggetto ad un calcolo frequente (tre mesi, ai sensi dell’articolo 129). Ove l’impresa di assicurazione non adegui (articolo 131) l'importo dei fondi propri al requisito patrimoniale minimo entro il 31 ottobre 2013, si prevede la revoca dell'autorizzazione all’esercizio dell’attività.

 

La direttiva 2009/138/CE fissava al 31 ottobre 2012 il termine di recepimento e al 1° novembre 2012 il termine di applicazione delle norme ivi contenute. Inoltre, la direttiva fissava al 1° novembre 2012 il termine di abrogazione delle vigenti direttive sull'assicurazione e la riassicurazione (cd. Solvency I).

Successivamente, la direttiva 2012/23/UE ha modificato detti termini di recepimento e di applicazione. Il termine di recepimento della direttiva 2009/138/CE è stato in particolare prorogato dal 31 ottobre 2012 al 30 giugno 2013; è stato posticipato altresì dal 1° novembre 2012 al 1° gennaio 2014 il termine per l'applicazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate a livello nazionale e quello di abrogazione delle vigenti direttive in materia di assicurazione e riassicurazione.

Il 14 novembre 2013 i rappresentanti del Parlamento europeo, del Consiglio dell'UE e della Commissione, riuniti in sede di trilogo, hanno raggiunto un accordo sulla proposta di direttiva cd. "Omnibus II", che modifica i poteri per dell'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) e dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA). Il testo del compromesso verrà prossimamente ratificato dai colegislatori dell'UE (PE e Consiglio).

Anche a seguito dell'accordo sulla direttiva "Omnibus II", il 21 novembre il Parlamento europeo ha approvato la proposta di modifica della direttiva 2009/138/CE: la modifica riguarda in particolare il termine di recepimento e la data di entrata in vigore della nuova disciplina, che sono fissati rispettivamente al 31 marzo 2015 e al 1° gennaio 2016.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Nel gennaio 2011 la Commissione ha presentato una proposta di modifica della direttiva 2009/138/CE, la c.d. “Omnibus II” (COM(2011)8), che modifica i poteri dell'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) e dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA). La proposta di modifica comprende anche disposizioni tese a rinviare i termini di attuazione, di abrogazione e di applicazione previsti dalla direttiva 2009/138/CE, al fine di garantire un’ordinata transizione degli operatori e delle autorità pubbliche coinvolte al nuovo regime.

Il 2 ottobre 2013 la Commissione europea ha presentato una ulteriore proposta di modifica della direttiva 2009/138/CE in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (c.d. “Solvibilità II”- COM(2013)680), che rinvia dal 1° gennaio 2014 al 1° gennaio 2016 l’applicazione della direttiva medesima. Tale rinvio è giustificato dal fatto che talune disposizioni della direttiva 2009/138/CE vengono modificate dalla suddetta proposta “Omnibus II” che tuttavia non verrà approvata prima della fine del 2013.

Il 14 novembre 2013 i rappresentanti del Parlamento europeo, del Consiglio dell’UE e della Commissione europea, riuniti in sede di trilogo, hanno raggiunto un accordo sulla proposta “Omnibus II”. Il testo del compromesso deve tuttavia essere approvato formalmente dai colegislatori dell’UE (PE e Consiglio). L’esame da parte della plenaria del PE è previsto per il 25 febbraio 2014.

Anche a seguito dell’accordo sulla direttiva “Omnibus II” del 14 novembre, il 21 novembre 2013 il Parlamento europeo ha approvato in prima lettura la seconda proposta di modifica della direttiva 2009/138/CE, su un testo concordato in sede di trilogo. Il Consiglio approverà prossimamente in via definitiva la proposta.

 


Direttiva 2013/11/UE
sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (Direttiva sull'ADR per i consumatori)

 

L'obiettivo della direttiva 2013/11/UE è di contribuire, mediante il raggiungimento di un livello elevato di protezione dei consumatori, al corretto funzionamento del mercato interno garantendo che i consumatori possano, su base volontaria, presentare reclamo nei confronti di professionisti dinanzi a organismi che offrono procedure indipendenti, imparziali, trasparenti, efficaci, rapide ed eque di risoluzione alternativa delle controversie. La Direttiva non pregiudica la legislazione nazionale che prevede l'obbligatorietà di tali procedure, a condizione che tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accedere al sistema giudiziario.

 

L’ambito di applicazione

La Direttiva si applica alle procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie, nazionali e transfrontaliere, concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti di vendita o di servizi tra professionisti stabiliti nell'Unione e consumatori residenti nell'Unione attraverso l'intervento di un organismo ADR che propone o impone una soluzione o riunisce le parti al fine di agevolare una soluzione amichevole.

 

Non applicabilità

La Direttiva non si applica:

-    alle procedure dinanzi a organismi di risoluzione delle controversie in cui le persone fisiche incaricate della risoluzione delle controversie sono assunte o retribuite esclusivamente dal professionista;

-    alle procedure presso sistemi di trattamento dei reclami dei consumatori gestiti dal professionista;

-    ai servizi non economici d’interesse generale;

-    alle controversie fra professionisti;

-    alla negoziazione diretta tra consumatore e professionista;

-    ai tentativi messi in atto da un giudice al fine di giungere a una composizione della controversia nel corso di un procedimento giudiziario riguardante la controversia stessa;

-    alle procedure avviate da un professionista nei confronti di un consumatore;

-    ai servizi di assistenza sanitaria prestati da professionisti sanitari a pazienti, al fine di valutare, mantenere o ristabilire il loro stato di salute, compresa la prescrizione, la somministrazione e la fornitura di medicinali e dispositivi medici;

-    agli organismi pubblici di istruzione superiore o di formazione continua.

 

ADR

La direttiva definisce “organismi ADR” tutti quegli organismi, istituiti su base permanente, che offrono la possibilità di avvalersi di procedure extragiudiziali di risoluzione delle controversie, nel rispetto dei requisiti dalla stessa previsti. Gli Stati membri garantiscono che le persone fisiche incaricate dell'ADR: possiedano le competenze necessarie e i requisiti di indipendenza e imparzialità;.rendano disponibili al pubblico sui loro siti web, su un supporto durevole su richiesta e in qualsiasi altro modo essi ritengano appropriato, forniscono informazioni chiare e facilmente comprensibili riguardanti modalità di contatto, la competenza, l'imparzialità e l'indipendenza delle persone fisiche incaricate della ADR, i tipi di controversie per le quali sono competenti, le lingue nelle quali possono essere presentati i reclami, gli eventuali costi che le parti dovranno sostenere.

 

Autorità competente

In merito, la direttiva stabilisce che gli Stati membri designino un’autorità competente incaricata di valutare che gli organismi ADR rientrino nell’ambito di applicazione della stessa direttiva, verificando la loro conformità ai requisiti di qualità prescritti.

 

Normativa europea

Alcuni atti giuridici dell’Unione Europea già contengono disposizioni relative alle procedure ADR; in particolare si richiama l’attenzione sulla direttiva 2008/52/CE, del 21 maggio 2008, relativa alla mediazione delle controversie transfrontaliere in materia civile e commerciale, rispetto alla quale la direttiva in argomento ha una più ampia portata.

 

Strumenti ADR esistenti nell’ordinamento italiano

Il decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 sulla mediazione in materia civile e commerciale ha previsto, in talune materie, forme obbligatorie di mediazione nelle controversie civili e commerciali attuando, al contempo, la direttiva dell’Unione europea n. 52 del 2008. Dopo una declaratoria d’incostituzionalità per eccesso di delega (sentenza n. 272/2012) il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (cd. decreto “del fare”, convertito in legge 9 agosto 2013 n. 98) ha, in particolare ripristinato il tentativo di mediazione obbligatoria come condizione di procedibilità dell’azione. Il tentativo di mediazione – ora obbligatorio per le azioni in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari - è tuttavia escluso per alcuni tipi di controversie, tra cui quelle (rilevanti per numero) in materia di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti. Il D.L. 69/2013 - oltre a prevedere che il tentativo di mediazione avviene con la necessaria assistenza dell'avvocato - ha introdotto una serie di disposizioni tendenti alla valorizzazione del ruolo dello stesso avvocato all'interno del procedimento (tra l'altro, gli avvocati iscritti all'albo sono di diritto mediatori, con obblighi di specifica formazione in materia). Una ulteriore integrazione introdotta alla disciplina della mediazione prevede che la disciplina del tentativo obbligatorio di mediazione ha efficacia per quattro anni dalla sua data di entrata in vigore (il termine cade al 21 agosto 2017). Al termine di due anni dalla medesima data (al 21 agosto 2015) è attivato, su iniziativa del Ministero della giustizia, il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione.

 

Una ulteriore incentivazione dell'ADR deriva dal sempre maggior utilizzo della rete Internet, anche sul presupposto che il web sembra essere il canale naturale delle ADR se si considerano li basso costo e la maggiore immediatezza delle comunicazioni. La ODR (Online Dispute Resolution) può riguardare qualunque controversia, ma per il commercio elettronico rappresenta il naturale sbocco in caso di contenzioso. Il decreto legislativo 70/2003, attuativo della direttiva sul commercio elettronico, introduce una prima forma di ODR all’ l'art. 19, relativo alla composizione delle controversie; la norma prevede che “in caso di controversie, prestatore e destinatario del servizio della società dell'informazione possono adire anche organi di composizione extragiudiziale che operano anche per via telematica”. Gli ODR, se operano in conformità ai princìpi previsti dall'ordinamento comunitario e da quello nazionale, sono notificati, su loro richiesta, alla Commissione dell'Unione Europea per l'inserimento nella Rete europea di composizione extragiudiziale delle controversie.

Infine, nel settore commerciale, bancario e finanziario, si può accennare - come strumenti di risoluzione extragiudiziale delle controversie - alle camere di conciliazione e arbitrato presso le Camere di commercio, all’Ombudsman Giurì Bancario, all’Associazione Conciliatore Bancario e Finanziario, alla Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob e all’Arbitro Bancario.

 

Recepimento

Gli Stati membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 9 luglio 2015.

 


Direttiva 2013/14/UE
che modifica la direttiva 2003/41/CE, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali, la direttiva 2009/65/CE, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), e la direttiva 2011/61/UE, sui gestori di fondi di investimento alternativi, per quanto riguarda l’eccessivo affidamento ai rating del credito

 

La direttiva 2013/14/CE apporta modifiche ad alcune disposizioni comunitarie già vigenti in relazione all'eccessivo affidamento ai rating del credito. In particolare sono modificate le direttive 2003/41/CE, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali, 2009/65/CE concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari -OICVM) e 2011/61/UE, sui gestori di fondi di investimento alternativi).

In particolare, la direttiva 2003/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio prevede la regolamentazione a livello di Unione degli enti pensionistici aziendali o professionali (EPAP). La direttiva 2009/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio prevede la regolamentazione a livello di Unione degli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM). Analogamente, la direttiva 2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio prevede la regolamentazione a livello di Unione dei gestori dei fondi di investimento alternativi (GEFIA). Le tre direttive stabiliscono requisiti prudenziali in materia di gestione del rischio rispettivamente da parte degli EPAP, da parte delle società di gestione o di investimento per quanto riguarda gli OICVM e da parte dei GEFIA.

Con le disposizioni in esame si intende un freno al fenomeno, cagionato dalla crisi finanziaria, che ha condotto gli investitori istituzionali ad affidarsi eccessivamente ai rating del credito per l'effettuazione dei loro investimenti in strumenti di debito, spesso omettendo di valutare il merito creditizio degli emittenti di tali strumenti.

Al fine di migliorare la qualità degli investimenti realizzati da tali entità e indirettamente tutelare coloro che vi investono, la direttiva impone agli EPAP, alle società di gestione o di investimento per quanto riguarda gli OICVM e ai GEFIA l'obbligo di non affidarsi esclusivamente o meccanicamente ai rating del credito o di non utilizzarli come unico parametro ai fini della valutazione del rischio insito negli investimenti realizzati dagli EPAP, dagli OICVM e dai FIA.

Inoltre, gli Stati membri assicurano che le autorità competenti di settore verifichino l'adeguatezza delle procedure di valutazione del credito degli enti, valutino l'utilizzo dei riferimenti ai rating del credito emessi dalle agenzie e, se del caso, incoraggino a ridurre l'incidenza di tali riferimenti in vista di un ricorso meno esclusivo e meccanico a detti rating del credito.

 

 


Direttiva 2013/29/UE
concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di articoli pirotecnici

 

La direttiva 2013/29/UE stabilisce norme volte a realizzare la libera circolazione degli articoli pirotecnici nel mercato interno, assicurando un livello elevato di protezione della salute umana e di sicurezza pubblica nonché la tutela e l’incolumità dei consumatori, tenendo conto degli aspetti pertinenti connessi alla protezione ambientale. Inoltre fissa i requisiti essenziali di sicurezza che gli articoli pirotecnici devono soddisfare per poter essere messi a disposizione sul mercato. La direttiva è composta di 50 articoli e 5 allegati.

Più in particolare il Capo I disciplina l’ambito di applicazione ed elenca una serie di definizioni. Inoltre regola la libera circolazione dei prodotti pirotecnici, prevede una classificazione degli articoli pirotecnici distinti in fuochi pirotecnici; articoli pirotecnici teatrali; altri articoli pirotecnici. Infine prevede limiti di età e limiti legati alle conoscenze specialistiche dei fruitori. Il Capo II riguarda gli obblighi dei fabbricanti e dei distributori. Il Capo III disciplina la conformità degli articoli pirotecnici. Il Capo IV riguarda la notifica degli organismi di valutazione della conformità, mentre il Capo V riguarda la sorveglianza del mercato di prodotti pirotecnici. Il Capo VI riguarda le competenze di esecuzione e, infine, il Capo VII prevede disposizioni transitorie e finali e le sanzioni. I cinque allegati forniscono informazioni dettagliate su requisiti essenziali di sicurezza . procedure di valutazione della conformità, dichiarazione di non conformità e infine, sulla direttiva abrogata e le successive modifiche.

 

Gli Stati membri adottano e pubblicano, entro il 30 giugno 2015, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla Direttiva. Le disposizioni di recepimento si applicano a decorrere dal 1° luglio 2015.

 

 


Direttiva 2013/30/UE
sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE

 

L’obiettivo della direttiva 2013/30/UE è di ridurre, per quanto possibile, il verificarsi di incidenti gravi legati alle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e di limitarne le conseguenze, aumentando la protezione dell’ambiente marino e delle economie costiere dall’inquinamento, fissando nel contempo le condizioni minime di sicurezza per la ricerca e lo sfruttamento in mare nel settore degli idrocarburi, limitando possibili interruzioni della produzione energetica interna dell’Unione e migliorando i meccanismi di risposta in caso di incidente. La direttiva è composta di 44 articoli e 9 allegati.

Dopo aver fornito la definizione di incidente grave, la direttiva interviene sulla responsabilità dell’operatore, sia dal punto di vista della sua individuazione, che dal punto di vista delle garanzie che tale soggetto deve fornire anteriormente all’inizio (o, nel caso di impianti esistenti, nei cui confronti trova applicazione la direttiva, fatte salve le norme sul regime transitorio), alla prosecuzione delle operazioni in mare.

Si richiede, pertanto, che in sede di rilascio dell’autorizzazione alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi (ai sensi della direttiva 94/22/CEE), lo Stato membro si assicuri che il soggetto autorizzato sia in possesso della capacità finanziaria necessaria per garantire in maniera costante operazioni sicure ed efficaci in tutte le condizioni prevedibili, fornendo al contempo prove adeguate sulla capacità di adottare le misure idonee a coprire le responsabilità derivanti da incidenti gravi. Nel valutare la capacità tecnica e finanziaria, lo Stato membro tiene in opportuna considerazione gli effetti che un incidente grave potrebbe produrre su tutti gli ambienti marini e costieri sensibili sotto il profilo ambientale. I titolari delle autorizzazioni sono anche “operatori responsabili” ai sensi della direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale. Tale ultima direttiva è modificata estendendone l’applicabilità anche alle acque marine interessate, come definite dalla direttiva 2008/56/CE.

Gli impianti di produzione e le infrastrutture connesse possono essere esercitati nelle aree autorizzate solo dagli operatori designati dei quali il titolare dell’autorizzazione garantisce la capacità di soddisfare i requisiti richiesti per lo svolgimento delle specifiche operazioni.

Nello svolgimento di ogni attività legata alle operazioni in mare, l’operatore dovrà adottare le più idonee misure di riduzione del rischio: deve cioè ridurre il rischio di incidente grave fino a raggiungere un livello minimo ragionevole oltre il quale il costo di un’ulteriore riduzione del rischio sarebbe assolutamente sproporzionato rispetto ai vantaggi derivanti da tale riduzione.

La responsabilità dell’operatore è disciplinata anche nel momento in cui gli impianti di perforazione, non ancora attivi, sono in transito nelle acque marine: in tal caso vengono equiparati alle navi e sono soggetti alle convenzioni marittime internazionali (SOLAS, MARPOL, codice MODU) e al diritto dell’Unione in materia di controllo dello Stato di approdo e rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera.

Ulteriori innovazioni riguardano la fase della preparazione ed effettuazione delle operazioni in mare, riguardo alla quale la direttiva introduce particolari cautele che consentano una pianificazione dettagliata dei rischi e delle misure di intervento da adottare in caso di incidente, consentendo una più accurata vigilanza da parte dell’autorità designata dallo Stato membro.

Nel caso in cui si verifichi o possa essere imminente un incidente grave, l’operatore deve, senza indugio, darne comunicazione allo Stato membro, inserendo i dettagli appropriati e sufficienti riguardo al luogo, all’intensità e alla natura dell’incidente e all’ipotesi di aggravamento della situazione, compreso il potenziale coinvolgimento transfrontaliero. Gli Stati provvedono affinché in caso di incidente grave l’operatore adotti tutte le misure adeguate per prevenirne l’aggravarsi e limitarne le conseguenze. Le autorità competenti possono assistete l’operatore, anche con la fornitura di ulteriori risorse.

Per quanto riguarda la partecipazione del pubblico, la direttiva precisa che alle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi è applicabile la Convenzione di Aarhus, specificando che precedentemente alla perforazione di un pozzo di esplorazione deve essere informato il pubblico, attraverso pubblici proclami o mezzi di comunicazione elettronica, consentendo la partecipazione al procedimento di associazioni di tutela degli interessi ambientali diffusi, nonché la proposizione di osservazioni da parte dei soggetti interessati, con successiva comunicazione delle decisioni adottate.

Gli Stati membri designano un’autorità competente responsabile per le funzioni di regolamentazione. Gli Stati membri provvedono affinché l’autorità competente agisca indipendentemente da politiche, decisioni di natura regolatoria o altre considerazioni non correlate ai suoi compiti a norma della presente direttiva; ogni Stato membro provvede affinché la propria autorità competente proceda allo scambio periodico di conoscenze, informazioni ed esperienze con altre autorità competenti, tra l’altro attraverso il gruppo di autorità dell’Unione europea per le attività in mare nel settore degli idrocarburi (EUOAG), e svolga consultazioni sull’applicazione del pertinente diritto nazionale e dell’Unione con operatori del settore, altre parti interessate e la Commissione.

L’Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA, «Agenzia») fornisce agli Stati membri e alla Commissione assistenza tecnica e scientifica conformemente al proprio mandato a norma del regolamento (CE) n. 1406/2002.

Gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate conformemente alla direttiva in oggetto e adottano tutti le misure necessarie per garantirne l’attuazione. Le sanzioni previste sono efficaci, proporzionate e dissuasive.

La Direttiva 2013/30/Ue è entrata in vigore il 18 luglio 2013 e gli Stati membri devono adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi ad essa, entro il 19 luglio 2015.

 

 


 

Direttiva 2013/31/UE
che modifica la direttiva 92/65/CEE del Consiglio per quanto riguarda le norme sanitarie che disciplinano gli scambi e le importazioni nell’Unione di cani, gatti e furetti

 

La direttiva 2013/31/UE modifica la Direttiva 92/65/CEE[10] del Consiglio per quanto riguarda le norme sanitarie relative agli scambi ed alle importazioni nella UE di cani, gatti e furetti, tenendo conto anche del regolamento (UE) n. 576/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 giugno 2013 sui movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia, che ha abrogato il precedente regolamento (CE) 998/2003 in materia.

La direttiva in esame stabilisce le norme sanitarie per gli scambi e le importazioni, all’interno dell’Unione, di cani, gatti e furetti, modificando in particolare le norme relative alle visite cliniche da effettuarsi prima della spedizione/trasporto dell’animale e al conseguente certificato. In particolare, gli animali, oggetto di transazioni commerciali, dovranno essere sottoposti ad un esame clinico effettuato entro le 48 ore precedenti alla loro spedizione (precedentemente il termine era di 24 ore) da un veterinario abilitato dall'autorità competente ed essere muniti, durante il trasporto verso il luogo di destinazione, di un certificato sanitario.

Le disposizioni della direttiva 2013/31/UE si applicano a decorrere dal 29 dicembre 2014.

 

Con la Decisione di Esecuzione del 21 ottobre 2013 che stabilisce l’elenco dei territori e dei paesi terzi da cui sono autorizzate le importazioni di cani, gatti e furetti e i modelli di certificati sanitari per tali importazioni, la Commissione Europea ha stabilito l'elenco dei territori e dei paesi terzi da cui sono autorizzate le importazioni di cani, gatti e furetti. Lo stesso provvedimento stabilisce anche i modelli di certificati sanitari per tali importazioni.

Dopo l'abrogazione del Regolamento (CE) n. 998/2003 (Pet passport) ad opera del nuovo Regolamento (UE) n. 576/2013, la Commissione dispone che le partite di cani, gatti o furetti soggette alle disposizioni della direttiva 92/65/CEE sono importate nell'Unione solo a condizione che i territori o i paesi terzi di provenienza e gli eventuali territori o i paesi terzi di transito figurino in uno degli elenchi: a) all'allegato I della decisione 2004/211/CE; b) all'allegato II, parte 1, del regolamento (UE) n. 206/2010; c) all'allegato II del regolamento (UE) n. 577/2013.

Per quanto riguarda il certificato veterinario, gli Stati membri potranno autorizzare le importazioni di cani, gatti o furetti esclusivamente alle seguenti condizioni: a) il certificato sanitario dovrà essere redatto, compilato e firmato da un veterinario ufficiale; b) i requisiti del certificato sanitario dovranno essere ritenuti soddisfacenti dal territorio o dai paesi terzi di provenienza e da tutti i territori o i paesi terzi di transito.

Per consentire l'adeguamento alle nuove norme, fino al 29 aprile 2015 gli Stati membri potranno autorizzare le importazioni verso l'Unione di cani, gatti e furetti accompagnati da un certificato sanitario rilasciato entro il 28 dicembre 2014, conforme alle disposizioni previgenti la Decisione del 21 ottobre 2013.

 

Infine, si ricorda che il regolamento n. 576/2013, sui movimenti a carattere non commerciale degli animali da compagnia, ristabilisce gli elenchi delle specie animali interessate, con particolare attenzione ai soggetti coinvolti nel ciclo della rabbia, definendo le nuove condizioni di polizia sanitaria. Il regolamento inoltre prevede che, qualora il numero di cani, gatti o furetti oggetto di movimenti a carattere non commerciale sia superiore a cinque, nell’ambito di un singolo movimento, tali animali da compagnia devono rispettare le norme sanitarie di cui alla direttiva 92/65/CEE per le specie interessate, salvo nel caso di alcune categorie di animali per i quali è, a determinate condizioni, prevista una deroga.

 

Il regolamento (UE) n. 576/2013 dispone che i cani, i gatti e i furetti non possono essere oggetto di movimenti verso uno Stato membro da un altro Stato membro o da territori o paesi terzi, a meno che non siano stati sottoposti a una vaccinazione antirabbica conforme ai requisiti di validità di cui al suo allegato III. Tuttavia, i movimenti di cani, gatti e furetti giovani che non sono vaccinati o non rispondono ai requisiti di validità di cui all'allegato III dello stesso regolamento, in provenienza dagli Stati membri o dai territori o paesi terzi elencati a norma dell'articolo 13 del regolamento (UE) n. 576/2013, possono essere autorizzati se, tra le altre cose, il proprietario o la persona autorizzata fornisce una dichiarazione firmata attestante che dalla nascita sino al momento del movimento a carattere non commerciale, gli animali da compagnia non hanno avuto contatti con animali selvatici di specie suscettibili alla rabbia. Inoltre, il regolamento (UE) n. 576/2013 stabilisce che la Commissione adotterà due elenchi di territori o di paesi terzi in provenienza dai quali i cani, i gatti o i furetti oggetto di movimenti a carattere non commerciale verso uno Stato membro, non sono tenuti a essere sottoposti a un test di titolazione degli anticorpi per la rabbia. Uno di tali elenchi deve includere i territori o i paesi terzi che hanno dimostrato di applicare norme aventi contenuto ed effetti uguali a quelli delle norme applicate dagli Stati membri e l'altro i territori o i paesi terzi che hanno dimostrato di rispettare almeno i criteri di cui all'articolo 13, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 576/2013. Il regolamento di esecuzione (UE) n. 577/2013 della Commissione del 28 giugno 2013 ha infine definito i modelli dei documenti di identificazione per i movimenti a carattere non commerciale di cani, gatti e furetti nonché gli elenchi dei territori e dei paesi terzi.

 

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Si segnala che nel maggio 2013 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di proposte legislative concernenti la sicurezza della filiera agroalimentare, all’interno del quale la proposta di regolamento sui controlli sanitari ufficiali (COM(2013)265) e la proposta di regolamento sulla sanità animale (COM(2013)260) recano disposizioni specificamente riguardanti i controlli sanitari sugli animali da compagnia.

Il pacchetto è all’esame delle istituzioni europee. Il voto del Parlamento europeo è previsto per marzo 2014, per quanto riguarda il regolamento sui controlli ufficiali, e per aprile 2014, con riferimento al regolamento sulla sanità animale.

Infine, sempre in materia di controlli sanitari sugli animali, lo scorso ottobre la Commissione ha presentato la relazione (COM(2013)681) sul funzionamento generale dei controlli negli Stati membri in materia di sicurezza alimentare, salute e benessere degli animali e salute delle piante.

Dalla relazione risulta che, nel complesso, gli Stati membri garantiscono un buon livello di attuazione dei controlli ufficiali e che, anche se esiste ancora un margine di miglioramento, sono stati compiuti progressi. Per l’Italia, l’ultimo follow up disponibile è relativo al 2012.

 

 


 

Direttiva 2013/32/UE
recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca
dello
status di protezione internazionale

 

La direttiva 2013/32/UE reca disposizioni relative alle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale (comprendente il riconoscimento dello status di rifugiato e quello di protezione sussidiaria): la presentazione della domanda, l’individuazione delle autorità competenti a ricevere ad esaminare le domande, le procedure di esame, le garanzie e gli obblighi dei richiedenti, nonché le procedure di revoca, cessazione e rinuncia della protezione e le modalità di impugnazione delle decisioni.

Si tratta di una direttiva di rifusione che sostituisce, abrogandola, la direttiva 2005/85/CE del 1° dicembre 2005 (la c.d. direttiva “procedure”) recepita con il decreto legislativo 25/2008.

La nuova direttiva procedure, che fa parte, come la direttiva 2013/33/UE, del pacchetto di norme comunitarie volte ad attuare il nuovo Sistema europeo di asilo, è finalizzata ad armonizzare le prassi applicative vigenti nei Paesi membri, per le quali si sono riscontrate diverse divergenze.

A tal fine, viene in primo luogo stabilito un termine certo (6 mesi) per la decisione sulla domanda di protezione, derogabile solo in determinate circostanze (per un totale, al massimo, di 21 mesi).

Inoltre, vengono ridefiniti e, in alcuni casi, rafforzati, gli istituti di garanzia che devono essere assicurati ai richiedenti nel corso della procedura, con particolare attenzione alla tutela dei minori e delle altre categorie di persone vulnerabili.

Dal punto di vista terminologico, è da rilevare che viene espunto ogni riferimento all’asilo, definizione talvolta utilizzata come sinonimo di protezione internazionale o di status di rifugiato.

 

Tra le altre modifiche introdotte si ricordano:

§  la semplificazione delle norme che disciplinano l'accesso alla procedura di asilo e lo svolgimento dei colloqui personali;

§  il miglioramento della qualità del processo decisionale in primo grado aggiungendo accorgimenti pratici che aiutino il richiedente a capire la procedura e predisponendo un'adeguata formazione del personale che esamina le domande;

§  il chiarimento delle norme che regolano la possibilità per il richiedente asilo di reiterare la domanda nell'ipotesi che sia cambiata la sua situazione;

§  il rafforzamento del ruolo dell'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo nelle disposizioni relative alla formazione e all'accesso alla procedura.

 

Il decreto legislativo di attuazione della direttiva dovrà confluire nel testo unico in materia di immigrazione previsto dall’articolo 7 del provvedimento in esame, alla cui scheda si fa rinvio.

 

Il termine di recepimento della direttiva è del 20 luglio 2015, ad eccezione delle disposizioni relative al termine di conclusione dei procedimenti, che devono essere recepite entro il 20 luglio 2018.

 

Procedure di contenzioso

Si veda il paragrafo “Procedure di contenzioso” relativo all’articolo 7.

 

 


 

Direttiva 2013/33/UE
recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale

 

La direttiva 2013/33/UE disciplina le condizioni materiali di accoglienza, assistenza e reinserimento sociale di coloro che hanno ottenuto la protezione internazionale (riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o del diritto di asilo) o ne hanno fatto richiesta.

La direttiva sostituisce, abrogandola, la direttiva 2003/9/CE (la c.d. direttiva accoglienza) del 27 gennaio 2003, recepita dall’ordinamento italiano con il decreto legislativo 140/2005).

La nuova direttiva accoglienza fa parte, come la direttiva 2013/32/UE, del pacchetto di norme comunitarie volte ad attuare il nuovo Sistema europeo di asilo.

In particolare, viene prevista una nuova disciplina sul trattenimento del richiedente protezione che può essere disposto esclusivamente in presenza di determinate condizioni e con l’assicurazione di adeguate garanzie.

Inoltre, la direttiva ha l’obiettivo di garantire un livello di vita dignitoso, specie con misure nazionali dirette a individuare le particolari esigenze delle persone vulnerabili, come i minori e le vittime di tortura, o con un sostegno materiale di livello adeguato per i richiedenti asilo.

Viene favorita l’indipendenza economica dei richiedenti protezione, prevedendo che gli Stati membri agevolino l'accesso al mercato del lavoro.

 

Il decreto legislativo di attuazione della direttiva dovrà confluire nel testo unico in materia di immigrazione previsto dall’articolo 7 del provvedimento in esame, alla cui scheda si fa rinvio.

 

Il termine per il recepimento della direttiva scade il 20 luglio 2015.

 

Procedure di contenzioso

Si veda il paragrafo “Procedure di contenzioso” relativo all’articolo 7.

 

 

 


 

Direttiva 2013/34/UE
relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, recante modifica della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abrogazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE

 

La direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, riguarda i bilanci d’esercizio, i bilanci consolidati e le relative relazioni di talune tipologie delle imprese dei Paesi membri dell’Unione europea.

 

La direttiva, che modifica la direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE, tende principalmente a migliorare la portata informativa del documento contabile e ad avviare un processo di semplificazione degli oneri amministrativi, e quindi del carico normativo, che regola la redazione e la pubblicazione del bilancio.

Il recepimento di tale direttiva dovrà avvenire entro il 20 luglio 2015, interessando la redazione dei bilanci a partire dal 2016.

 

Le disposizioni riportate nella direttiva 2013/34/UE, secondo quanto indicato nell’articolo 1, paragrafo 1, riguardano sostanzialmente le società a responsabilità limitata, le società per azioni e le società in accomandita per azioni, a cui si aggiungono anche le società in nome collettivo e le società in accomandita semplice. Sono escluse le imprese senza fine di lucro, ovvero le imprese regolamentate da altre normative specifiche al settore di loro appartenenza.

I soggetti destinatari della normativa sono stati, inoltre, raggruppati sulla base di dati quantitativi riferiti all’attivo dello stato patrimoniale, ai ricavi e al numero medio dei dipendenti, distinguendo tra imprese singole e realtà aziendali facenti parte di un gruppo.

L’individuazione di questi tipi di imprese ha come principale finalità quella di identificare i fruitori delle semplificazioni degli adempimenti amministrativi in termini di redazione e pubblicazione del bilancio di esercizio.

A tal proposito, l’articolo 3 detta i parametri quantitativi per distinguere, nel caso di singole aziende, le microimprese dalle piccole imprese, dalle medie imprese e dalle grandi imprese, mentre, nel caso di gruppi aziendali, vengono separati i piccoli gruppi, dai gruppi di medie dimensioni e dai grandi gruppi.

 

 


Nella tabella successiva sono riportati i limiti numerici, almeno due su tre, da rispettare alla data di chiusura del bilancio.

 

Parametri

Micro imprese

Piccole imprese

Medie imprese

Grandi imprese

Stato patrimoniale (euro)

≤ 350.000

≤ 4.000.000

≤ 20.000.000

> 20.000.000

Ricavi netti vendite e prestazioni (euro)

≤ 700.000

≤ 8.000.000

≤ 40.000.000

> 40.000.000

Numero medio dei dipendenti (unità)

≤ 10

≤ 50

≤ 250

> 250

 

Con riferimento ai gruppi societari, la direttiva stabilisce che, affinché l’impresa madre e le imprese figlie rientrino a pieno titolo all’interno di un raggruppamento piuttosto che di un altro, necessita che almeno due dei tre limiti di seguito riportati vengano rispettati alla data di chiusura dell’esercizio.

 

Parametri

Gruppi piccoli

Gruppi medi

Gruppi grandi

Stato patrimoniale (euro)

≤ 4.000.000

≤ 20.000.000

> 20.000.000

Ricavi netti vendite e prestazioni (euro)

≤ 8.000.000

≤ 40.000.000

> 40.000.000

Numero medio dei dipendenti (unità)

≤ 50

≤ 250

> 250

 

Il testo comunitario sostituisce la normativa comunitaria ora vigente, abrogando la IV e la VII direttiva sul diritto societario e modificando la direttiva n. 2006/43/CEE in materia di revisione legale.

Le innovazioni introdotte mirano a rendere più trasparenti i rapporti commerciali tra imprese residenti in uno Stato UE e soggetti residenti in uno Stato UE diverso, nonché per tutelare i socie i terzi. In particolare, tali innovazioni rispondono ai seguenti obiettivi:

a) ridurre gli oneri amministrativi a carico soprattutto delle piccole e medie imprese e semplificarne la relativa disciplina;

b) migliorare la comparabilità dell’informativa resa con i bilanci;

c) tutelare l’interesse degli utilizzatori dei bilanci con una corretta rappresentazione delle informazioni contabili più rilevanti;

d) migliorare la trasparenza relativa ai pagamenti effettuati ai governi da parte delle grandi imprese e degli enti di interesse pubblico attivi nelle industrie estrattive o che utilizzano aree forestali primarie.

In particolare, la classificazione delle imprese in quattro fasce (le microimprese, le piccole imprese, le medie imprese e le grandi imprese), individuate in base a parametri di natura quantitativa (totale dello Stato patrimoniale, ricavi, numero dei dipendenti) è funzionale a disegnare un regime semplificato per le imprese di minori dimensioni, in ossequio alla Comunicazione della Commissione intitolata “Pensare innanzitutto in piccolo”: gli obblighi in materia di informativa contabile, ivi compresi quelli di pubblicazione dei documenti, sono infatti modulati in base alle dimensioni dell’impresa, potendo questa attività risultare oltremodo onerosa per le microimprese.

Saranno gli Stati membri, tenuto conto delle condizioni e delle esigenze dei propri mercati interni, a decidere sul se e in che modo sfruttare i margini discrezionali previsti nella Direttiva per il recepimento delle norme comunitarie.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 30 novembre 2011 la Commissione europea ha presentato una proposta di modifica della direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati (COM(2011)778).

La proposta fa parte di un pacchetto, comprendente anche una proposta di regolamento sui requisiti specifici relativi alla revisione legale dei conti di enti di interesse pubblico (COM(2011)779), che mira a volte ad introdurre norme più stringenti per la revisione contabile di banche, assicurazioni e società quotate, al fine di rimediare alle disfunzioni emerse con particolare evidenza nel contesto di crisi economica e finanziaria.

In particolare, si propone di:

·     rafforzare l'indipendenza dei revisori;

·     conferire all’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (AESFEM) il coordinamento delle attività di vigilanza dei revisori;

·     creare un mercato unico europeo dei servizi di revisione legale;

·     garantire la selezione delle società di revisione mediante gare di appalto aperte e trasparenti;

·     stabilire una rotazione obbligatoria delle società di revisione, fissando una durata massima per gli incarichi;

·     al fine di evitare conflitti di interesse, obbligare le società di revisione a separare le attività di revisione dalle altre attività e a non fornire servizi diversi ai propri clienti sottoposti a revisione.

La proposta segue la procedura legislativa ordinaria (già procedura di codecisione): l’esame in prima lettura del Parlamento europeo è previsto per la seduta del 2 febbraio 2014.

 

 


Direttiva 2013/36/UE
sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE

 

La direttiva 2013/36/UE sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento e il regolamento n. 575/2013 relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento recepiscono a livello UE l'accordo di Basilea 3 sui requisiti patrimoniali delle banche.

L’accordo, definito nel dicembre 2010 dal Comitato di Basilea della Banca dei regolamenti internazionali, fissa livelli più elevati per i coefficienti patrimoniali delle banche ed introduce un nuovo schema internazionale per la liquidità. I membri del Comitato avevano inizialmente concordato di attuare l’accordo a partire dal 1  gennaio 2013, secondo una tabella di marcia graduale corredata di disposizioni transitorie. Il 6 gennaio 2013 il Gruppo dei Governatori delle banche centrali e delle Autorità di vigilanza - organo di governo del Comitato di Basilea - ha tuttavia stabilito che le nuove norme in materia di requisiti patrimoniali entreranno in vigore, come previsto, il 1 gennaio 2015, ma con applicazione progressiva, che si completerà il 1° gennaio 2019 (si partirà nel 2015 con il 60% del valore del requisito minimo, con un incremento annuo del 10%, fino ad arrivare al 100% nel 2019).

La normativa in esame (regolamento (UE) n. 575/2013 e direttiva 2013/36/CE che sostituiscono le vigenti direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE) – oltre a dare attuazione all’accordo di Basilea 3, tenendo conto tuttavia di alcune peculiarità ed esigenze del sistema bancario dell’UE – intende procedere ad un più generale riassetto, in un corpus normativo organico, della legislazione europea in materia.

In particolare, il regolamento prevede l’obbligo per le banche e le imprese di investimento di detenere un livello di capitale quantitativamente e qualitativamente più elevato che consenta di assorbire autonomamente eventuali perdite, senza ricorrere a ricapitalizzazioni a carico di fondi pubblici, e di assicurare la continuità nell’operatività. A questo scopo, si tiene fermo l’attuale requisito per cui le banche devono detenere un patrimonio di vigilanza totale dell'8% in rapporto alle attività ponderate per il rischio ma, al tempo stesso, ne viene modificata la composizione stabilendo:

§  una definizione rafforzata del patrimonio di base di classe 1 (c.d. Tier 1) affinché includa soltanto il common equity (composto dal capitale azionario e riserve di bilancio provenienti da utili non distribuiti al netto delle imposte);

§  l’innalzamento del requisito minimo relativo al common equity al 4,5% (a fronte del 2% previsto da Basilea 2), e del requisito minimo complessivo relativo al capitale Tier 1 al 6% (a fronte dell’attuale 4%);

§  l’introduzione di un moltiplicatore pari a 0,7619, cd. PMI supporting factor, da applicare all’ammontare destinato a riserva, che recepisce una richiesta formulata dal Parlamento europeo nonché da numerose associazioni di categoria, anche italiane, (Confindustria, Rete Imprese Italia, Alleanza delle Cooperative Italiane e ABI), volto a neutralizzare i possibili effetti restrittivi delle nuove regole sull’erogazione del credito alle PMI.

Come ulteriore tutela contro le perdite, oltre ai requisiti patrimoniali minimi, si prevede l’introduzione di due riserve di capitale (c.d. buffer o cuscinetti):

§  una cosiddetta “riserva di conservazione del capitale” pari al 2,5% costituita da capitale di qualità primaria, identica per tutte le banche nell’UE, al fine di consentire che il capitale rimanga disponibile per sostenere l’operatività corrente della banca nelle fasi di tensione. Il mancato rispetto di tale requisito comporterà vincoli nella politica di distribuzione degli utili fino alla ricostituzione della riserva;

§  una “riserva di capitale anticiclica” specifica per ogni banca al fine di consentirle di creare in tempi di crescita economica una base finanziaria sufficiente che consenta loro di assorbire le perdite in periodi di crisi.

 

La nuova normativa mira altresì:

§  a garantire una migliore gestione del rischio di liquidità mediante l’introduzione, nel 2015, dopo un periodo di osservazione, di un coefficiente di copertura di liquidità (liquidity coverage ratio - LCR);

§  a ridurre il ricorso ai rating di credito esterni, in particolare introducendo l’obbligo per gli istituti di credito di non basare le proprie decisioni di investimento o il calcolo dei requisiti di fondi propri esclusivamente sui rating esterni, ma anche su metodi interni di valutazione del credito;

§  a fissare il rapporto tra stipendio base e bonus dei banchieri a 1:1, con possibilità di elevarlo fino a un massimo di 1:2 con il voto favorevole di almeno il 65% degli azionisti che rappresentino almeno il 50% del capitale. Inoltre, per ridurre il rischio dell’azzardo morale mirato all’arricchimento a breve termine, qualora il bonus aumentasse oltre il rapporto di 1:1, la corresponsione di un quarto del bonus stesso verrebbe posticipata di almeno cinque anni;

§  ad obbligare le banche, ai fini della trasparenza, a comunicare alla Commissione europea, a partire dal 2014, e a pubblicare, dal 2015, gli utili realizzati, le tasse pagate e le eventuali sovvenzioni pubbliche ricevute, così come il fatturato e il numero di dipendenti.

 


Direttiva 2013/38/UE
recante modifica della direttiva 2009/16/CE, relativa al controllo
da parte dello Stato di approdo

 

La direttiva 2013/38 apporta modifiche alla direttiva 2009/16 che disciplina i controlli effettuabili sulle navi da parte dello Stato di approdo.

Prima dell’emanazione della direttiva 2009/16 vigeva il principio della competenza dello Stato di bandiera per controllare che le navi rispettassero le norme adottate a livello internazionale in materia di sicurezza, prevenzione dell’inquinamento e condizioni di vita e di lavoro a bordo. Tuttavia, in vari Stati di bandiera, l’attuazione e l’applicazione delle norme internazionali sono risultate gravemente carenti, per cui si è stabilito che il controllo debba essere garantito anche dallo Stato di approdo, pur riconoscendo che le ispezioni di controllo da parte dello Stato di approdo non costituiscono una visita di controllo e che le relative schede non costituiscono certificati di navigabilità. Ci si è inoltre avvalsi, nella direttiva 2009/16, dell’esperienza acquisita nel corso dell’applicazione del memorandum d’intesa di Parigi relativo al controllo delle navi da parte dello Stato di approdo (MOU di Parigi), già firmato a Parigi il 26 gennaio 1982. Il memorandum ("MOU di Parigi"), era inteso a sopprimere l’utilizzo di navi che non soddisfacessero le norme attraverso un sistema armonizzato di controllo da parte dello Stato di approdo, comprendente un’ispezione coordinata delle navi che attraccano ai porti, compresi quelli degli Stati membri, per verificare il rispetto delle norme internazionali in materia di sicurezza, protezione, ambiente e lavoro.

La direttiva 2013/38 introduce ora una serie di modifiche alla precedente direttiva 2009/16. La direttiva 2013/38 è entrata in vigore il 20 agosto 2013, giorno dell’entrata in vigore della convenzione sul lavoro marittimo (CLM 2006) che ha stabilito le norme per il lavoro marittimo applicabili a tutti i lavoratori marittimi, a prescindere dalla loro nazionalità e dalla bandiera della nave su cui lavorano. La convenzione prevede che ogni nave sia soggetta al controllo di funzionari debitamente autorizzati quando si trovi in un porto di altro Stato o parte contraente.

La convenzione sul lavoro marittimo (CLM 2006) è stata adottata il 23 febbraio 2006 dall’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) al fine di creare un unico strumento coerente che incorpori, nella misura del possibile, tutte le norme più aggiornate delle convenzioni e raccomandazioni internazionali vigenti sul lavoro marittimo, nonché i principi fondamentali di altre convenzioni internazionali sul lavoro. Una parte sostanziale delle norme della CLM 2006 è stata attuata nel diritto dell’Unione dalle direttive 2009/13/CE e 1999/63/CE, quest’ultima relativa all’accordo sull’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare.

Le modifiche introdotte dalla direttiva 2013/38 introduce sono finalizzate a:

-           citare espressamente la CLM 2006 fra le convenzioni individuate dalla direttiva, la cui attuazione è verificata dalle autorità degli Stati membri nei loro porti e far sì che tutti i riferimenti fatti nella direttiva a convenzioni, codici e risoluzioni internazionali, inclusi quelli per i certificati e altri documenti, siano intesi come riferimenti alla versione aggiornata di tali convenzioni, codici e risoluzioni internazionali;

-           prevedere che nell’ispezionare una nave battente bandiera di uno stato che non abbia sottoscritto una delle convenzioni previste dalla direttiva gli Stati membri, dopo aver accertato che la nave e il relativo equipaggio non godano di un trattamento più favorevole, sottopongano la nave ad un’ispezione più dettagliata secondo le procedure istituite dal MOU di Parigi;

-           prevedere che qualora un’ispezione più dettagliata accerti condizioni di vita e di lavoro sulla nave difformi dalle prescrizioni della CLM 2006, l’ispettore segnali immediatamente le carenze al comandante della nave, stabilendo anche i termini previsti per la correzione della situazione ed in alcuni casi segnali le stesse anche alle pertinenti organizzazioni degli armatori e dei marittimi nello Stato membro in cui è effettuata l’ispezione e possa  darne notifica ad un rappresentante dello Stato di bandiera e fornire alle competenti autorità del successivo porto di scalo le informazioni pertinenti;

-           tutelare maggiormente i marittimi che presentino un esposto relativo alla CLM 2006, prevedendo che questo possa essere trasmesso all’ispettore del porto in cui la nave ha fatto scalo e che l’ispettore sia tenuto ad adottare le misure necessarie per salvaguardarne la riservatezza;

-           prevedere che la nave possa essere sottoposta a fermo o che sia interrotto lo svolgimento dell’operazione, anche in caso di condizioni di vita e di lavoro a bordo che rappresentino un evidente pericolo per l’incolumità, la salute o la sicurezza dei marittimi oppure di carenze che costituiscano una grave o ripetuta violazione delle prescrizioni della CLM 2006 (inclusi i diritti dei marittimi), oltre che nei casi già previsti di pericolo in generale per la sicurezza, la salute o l’ambiente;

-           attribuire alla Commissione le competenze di esecuzione ai fini dell’applicazione di un metodo per attribuire alle navi il c.d. profilo di rischio della nave ed in altri casi;

-           promuovere il tema del necessario livello di formazione per gli ispettori ai fini della verifica dell’osservanza della CLM 2006 da parte dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima e degli Stati membri.

 

Recepimento

Gli Stati membri devono mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 21 novembre 2014.


Direttiva 2013/42/UE
che modifica la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, per quanto riguarda un meccanismo di reazione rapida contro le frodi in materia di IVA


Con lo scopo di contrastare le frodi Iva, rese sempre più complesse e difficili da individuare grazie anche all’utilizzo di mezzi elettronici, l’UE ha introdotto, con l’approvazione di alcune modifiche della Direttiva 2006/112/CE (direttiva di rifusione della normativa europea in materia di IVA), nuovi strumenti di contrasto a detti fenomeni fraudolenti.

Più in dettaglio, la direttiva 2013/42/UE prevede, introducendo l’articolo 199-ter nella citata direttiva 2006/112/CE, un nuovo meccanismo “di reazione rapida” (detto Quick Reaction Mechanism - QRM), che permette agli Stati membri di applicare temporaneamente il meccanismo dell’inversione contabile per un breve periodo a determinate cessioni di beni o prestazioni di servizi. Si rammenta che per reverse charge o inversione contabile si intende il trasferimento dell’obbligo di versare l’Iva al destinatario della cessione di beni o della prestazione di servizi (in luogo del fornitore o del prestatore, obbligato secondo le regole ordinarie).

In particolare in casi di particolare urgenza e al fine di combattere la “frode improvvisa e massiccia” che potrebbe condurre a perdite finanziarie gravi e irreparabili, uno Stato membro può applicare, per una durata non superiore a nove mesi, il meccanismo dell’inversione contabile su determinate cessioni di beni e prestazioni di servizi, in deroga all’articolo 193 della citata direttiva 2006/112/CE.

A tale scopo la misura deve inviare notificata alla Commissione e agli altri Stati membri. Lo Stato membro deve poi fornire alla Commissione UE dettagliate informazioni in merito:

§  al settore interessato dalla misura;

§  al tipo e alle caratteristiche della frode;

§  all’esistenza di imperativi motivi di urgenza;

§  al carattere improvviso e massiccio della frode;

§  alle conseguenze della frode in termini di perdite finanziarie gravi e irreparabili.

Se lo Stato desidera introdurre una misura speciale del QRM, deve presentare contestualmente domanda alla Commissione UE e, se la Commissione ha obiezioni nei confronti della misura speciale proposta dallo Stato membro, questa deve redigere un parere negativo entro un mese e deve informare lo Stato membro interessato e il comitato Iva. Ove la Commissione non abbia obiezioni, ne dà conferma (tenendo anche conto delle osservazioni eventualmente inviate per iscritto dagli altri Stati membri) per iscritto allo Stato membro interessato e al comitato Iva entro lo stesso termine. Dalla data di ricevimento della conferma in parola, lo Stato membro può adottare la misura speciale.

Al fine di agevolare l’applicazione della misura speciale del QRM, nei casi di imperativa urgenza previsti dall’articolo 199-ter, paragrafo 1, le procedure finalizzate all’applicazione delle norme sono completate entro sei mesi dal ricevimento della domanda da parte della Commissione.

 


 

Direttiva 2013/43/UE
che modifica la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto con riguardo all'applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell'inversione contabile alla cessione di determinati beni e alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi

 

La direttiva 2013/43/UE dispone, in attesa di soluzioni legislative a più lungo termine intese a rendere il sistema Iva più resiliente di fronte a casi di frode in materia di Iva, l’applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell’inversione contabile alla cessione di determinati beni e alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi. Si rammenta che per reverse charge o inversione contabile si intende il trasferimento dell’obbligo di versare l’Iva al destinatario della cessione di beni o della prestazione di servizi (in luogo del fornitore o del prestatore, obbligato secondo le regole ordinarie).

A tal fine, sottolinea il Consiglio nei considerando, la Commissione ha presentato nel 2009 una proposta contenente un elenco di beni e servizi ai quali può essere applicato, per un periodo limitato, il reverse charge. Da allora, però, altri settori hanno registrato casi di frode e pertanto nuovi beni e servizi dovrebbero essere aggiunti alla parte restante della proposta della Commissione con riguardo all’elenco prestabilito di beni e servizi ai quali potrebbe essere applicata l’inversione contabile, in particolare nei settori delle cessioni di gas e di energia elettrica, nei servizi di telecomunicazione, nel settore delle console di gioco, di tablet PC e laptop, di cereali, colture industriali - fra cui semi oleosi e barbabietole – e nel settore i metalli grezzi e semilavorati, fra cui metalli preziosi.

Viene a tal fine modificato l’articolo 199-bis, primo paragrafo, della direttiva di rifusione IVA (direttiva 2006/112/CE), allargando l’ambito applicativo del meccanismo di reverse charge, fino al 31 dicembre 2018 e per un periodo minimo di due anni.

In particolare tale meccanismo potrà applicarsi anche:

§  alle cessioni di telefoni cellulari, ossia dei dispositivi fabbricati o adattati per essere connessi a una rete munita di licenza e funzionanti a frequenze specifiche, con o senza altro utilizzo;

§  alle cessioni di dispositivi a circuito integrato quali microprocessori e unità centrali di elaborazione prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale;

§  alle cessioni di gas e di energia elettrica a un soggetto passivo-rivenditore;

§  alle cessioni di certificati relativi a gas ed energia elettrica;

§  alle prestazioni di servizi di telecomunicazione;

§  alle cessioni di console di gioco, tablet PC e laptop;

§  alle cessioni di cereali e colture industriali, fra cui semi oleosi e barbabietole, che non sono di norma destinati al consumo finale senza aver subito una trasformazione;

§  alle cessioni di metalli grezzi e semilavorati, fra cui metalli preziosi, quando non sono altrimenti contemplati dall’art. 199, paragrafo 1, lettera d) della Direttiva 2006/112/CE, dai regimi speciali applicabili ai beni d’occasione e agli oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione (a norma degli articoli da 311 a 343) o dal regime speciale per l’oro da investimento (a norma degli articoli da 344 a 356);

Infine, la direttiva consente agli Stati membri - oltre alla possibilità membri di poter determinare le condizioni per l’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile nei settori menzionati dal primo paragrafo dell’art. 199-bis -, in caso di applicazione del meccanismo in commento, di informare il comitato Iva e fornirgli specifiche seguenti informazioni concernenti:

§  l’ambito di applicazione della misura che applica il meccanismo, unitamente al tipo e alle caratteristiche della frode, nonché una descrizione dettagliata delle misure di accompagnamento, inclusi gli obblighi in materia di comunicazione applicabili ai soggetti passivi e qualsiasi misura di controllo;

§  le azioni adottate per informare i pertinenti soggetti passivi dell’introduzione dell’applicazione del meccanismo;

§  i criteri di valutazione che consentano il confronto fra le attività fraudolente che interessano i beni e i servizi elencati prima e dopo l’applicazione del meccanismo, le attività fraudolente che interessano altri beni e servizi prima e dopo l’applicazione del meccanismo ed eventuali aumenti di altri tipi di attività fraudolente prima e dopo l’applicazione del meccanismo;

la data di inizio e il periodo di validità della misura che attua il meccanismo.

 



[1]     Si tratta della legge comunitaria 2007 (legge n. 34/2008); della legge comunitaria 2008 (legge n. n. 88/2009); della legge comunitaria 2009 (legge n. 96/2010).

[2]     Legge 7 luglio 2009, n. 88, Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2008.

[3]     Legge 1 aprile 1981, n. 121, Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza.

[4]     Legge 22 aprile 2005, n. 69, Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri.

[5]     Si tratta dei seguenti fatti: a) partecipare ad una associazione di tre o più persone finalizzata alla commissione di più delitti; b) compiere atti di minaccia contro la pubblica incolumità ovvero di violenza su persone o cose a danno di uno Stato, di una istituzione od organismo internazionale; c) costringere o indurre una o più persone, mediante violenza, minaccia, inganno o abuso di autorità, a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio di uno Stato, o a trasferirsi all’interno dello stesso, al fine di sottoporla a schiavitù o al lavoro forzato o all’accattonaggio o allo sfruttamento di prestazioni sessuali; d) indurre alla prostituzione ovvero compiere atti diretti al favoreggiamento o allo sfruttamento sessuale di un bambino; compiere atti diretti allo sfruttamento di un bambino al fine di produrre, fare commercio, distribuire, divulgare o pubblicizzare materiale pornografico; e) vendere, offrire, cedere, distribuire, commerciare, acquistare, trasportare, esportare, importare o procurare ad altri sostanze considerate stupefacenti o psicotrope; f) commerciare, acquistare, trasportare, esportare o importare armi, munizioni ed esplosivi in violazione della legislazione vigente; g) ricevere, dare o promettere denaro o altra utilità in relazione al compimento o al mancato compimento di un atto inerente ad un pubblico ufficio; h) compiere qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua il percepimento o la ritenzione illecita di fondi ovvero la diminuzione illegittima di risorse iscritte nel bilancio di uno Stato o nel bilancio generale delle Comunità europee o nei bilanci gestiti dalle Comunità europee o per conto di esse; compiere qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa alla distrazione di tali fondi per fini diversi da quelli per cui essi sono stati inizialmente concessi; i) sostituire o trasferire denaro, beni o altre utilità provenienti da reato, ovvero compiere altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza illecita; l) contraffare o alterare monete nazionali o straniere, aventi corso legale; m) introdursi o mantenersi abusivamente in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero danneggiare o distruggere sistemi informatici o telematici, dati, informazioni o programmi; n) mettere in pericolo l’ambiente mediante lo scarico non autorizzato di idrocarburi, oli usati o fanghi derivanti dalla depurazione delle acque, l’emissione di sostanze pericolose nell’atmosfera, sul suolo o in acqua, il trattamento, il trasporto, il deposito, l’eliminazione di rifiuti pericolosi, lo scarico di rifiuti nel suolo o nelle acque e la gestione abusiva di una discarica; possedere, catturare e commerciare specie animali e vegetali protette; o) compiere, al fine di trarne profitto, atti diretti a procurare l’ingresso illegale di persone nel territorio di uno Stato; p) cagionare volontariamente la morte di un uomo o lesioni personali della medesima gravità di quelle previste dall’art. 583 c.p.; q) procurare illecitamente e per scopo di lucro un organo o un tessuto umano ovvero farne commercio; r) privare una persona della libertà personale o tenerla in proprio potere minacciando di ucciderla, ferirla o continuare a tenerla sequestrata; s) incitare pubblicamente alla violenza, come manifestazione di odio razziale nei confronti di un gruppo di persone, o di un membro di un tale gruppo, a causa del colore della pelle, della razza, della religione professata, ovvero dell’origine nazionale o etnica; esaltare, per razzismo o xenofobia, i crimini contro l’umanità; t) impossessarsi della cosa mobile altrui, facendo uso delle armi o a seguito dell’attività di un gruppo organizzato; u) operare traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti di antiquariato e le opere d’arte; v) indurre taluno in errore, con artifizi o raggiri, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno; z) richiedere con minacce, uso della forza o qualsiasi altra forma di intimidazione, beni o promesse o la firma di qualsiasi documento che contenga o determini un obbligo, un’alienazione o una quietanza; aa) imitare o duplicare abusivamente prodotti commerciali, al fine di trarne profitto; bb) falsificare atti amministrativi e operare traffico di documenti falsi; cc) falsificare mezzi di pagamento; dd) operare traffico illecito di sostanze ormonali e di altri fattori della crescita; ee) operare traffico illecito di materie nucleari e radioattive; ff) acquistare, ricevere od occultare veicoli rubati, o comunque collaborare nel farli acquistare, ricevere od occultare; gg) costringere taluno a compiere o subire atti sessuali con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità; hh) cagionare un incendio dal quale deriva pericolo per l’incolumità pubblica; ii) commettere reati che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale; ll) impossessarsi di una nave o di un aereo; mm) provocare illegalmente e intenzionalmente danni ingenti a strutture statali, altre strutture pubbliche, sistemi di trasporto pubblico o altre infrastrutture, che comportano o possono comportare una notevole perdita economica.

[6]     D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, Attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi.

[7]     D.L. 14 agosto 2013, n. 93, Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province, convertito in legge, con modificazioni, dall’ art. 1, comma 1, L. 15 ottobre 2013, n. 119.

[8] Con cui la Corte ha dichiarato che “quando gli Stati membri non possono ignorare che le carenze sistemiche della procedura di asilo e delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo nello Stato membro identificato inizialmente come competente in base ai criteri enunciati nel capo III del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente asilo corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ciò che spetta al giudice del rinvio verificare , lo Stato membro che procede alla determinazione dello Stato membro competente è tenuto a non trasferire il richiedente asilo verso lo Stato membro identificato inizialmente come competente e, ferma restando la facoltà di esaminare esso stesso la domanda, a proseguire l’esame dei criteri di detto capo per verificare se un altro Stato membro possa essere identificato come competente in base ad uno di tali criteri o, in mancanza, in base all’articolo 13 del medesimo regolamento. Per contro, in una situazione del genere, l’impossibilità di trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro identificato inizialmente come competente non implica, di per sé, che lo Stato membro che procede alla determinazione dello Stato membro competente sia tenuto a esaminare esso stesso la domanda di asilo sul fondamento dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento n. 343/2003”.

 

[9]     http://www.asylumineurope.org/files/shadow-reports/not_there_yet_02102013.pdf

[10]   Direttiva 92/65/CEE del Consiglio del 13 luglio 1992 che stabilisce norme sanitarie per gli scambi e le importazioni nella Comunità di animali, sperma, ovuli e embrioni non soggetti, per quanto riguarda le condizioni di polizia sanitaria, alle normative comunitarie specifiche di cui all'allegato A, sezione I, della direttiva 90/425/CEE.