Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza - A.C. 3671
Riferimenti:
AC N. 3671/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 423
Data: 19/04/2016
Descrittori:
DICHIARAZIONE DI STATO DI CRISI DI AZIENDE   LEGGE DELEGA
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza

A.C. 3671

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 423

 

 

 

19 aprile 2016

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9148– * st_giustizia@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: GI0477.docx

 


INDICE

Schede di lettura

§  Introduzione  5

§  Articolo 1 (Oggetto della delega al Governo e procedure di esercizio) 7

§  Articolo 2 (Principi generali della riforma) 12

§  Articolo 3 (La crisi e l’insolvenza dei gruppi di imprese) 19

§  Articolo 4 (Le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi) 24

§  Articolo 5 (L’incentivazione degli istituti stragiudiziali di risoluzione della crisi) 28

§  Articolo 6 (Il concordato preventivo) 33

§  Articolo 7 (La liquidazione giudiziale) 38

§  Articolo 8 (L’esdebitazione) 46

§  Articolo 9 (Il sovraindebitamento) 49

§  Articolo 10 (I privilegi) 53

§  Articolo 11 (Le garanzie non possessorie) 58

§  Articolo 12 (Rapporto tra liquidazione giudiziale e sequestro e confisca penale) 62

§  Articolo 13 (Le modifiche al codice civile) 63

§  Articolo 14 (La liquidazione coatta amministrativa) 67

§  Articolo 15 (L’amministrazione straordinaria) 69

§  Articolo 16 (Disposizioni finanziarie) 72

 

 


SIWEB

Schede di lettura

 


Introduzione

Nel solco del processo di riforma inaugurato con il D.L. n. 83 del 2015, il 10 febbraio 2016 Governo ha approvato un disegno di legge delega per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza (A.C. 3671).

In particolare, il disegno di legge è frutto del lavoro della cd. Commissione Rordorf, istituita con decreto del Ministro della giustizia 28 gennaio 2015, che ha terminato i sui lavori il 29 dicembre dello stesso anno.

L’esigenza di una riforma nasce dalla necessità, avvertita da tempo dagli studiosi e dagli operatori del settore, di un approccio alle procedure concorsuali non più episodico ed emergenziale, bensì sistematico e organico, in modo da ricondurre a linearità un sistema divenuto nel tempo troppo farraginoso per le modifiche intervenute sulle originarie norme del 1942.

Sono, inoltre, numerose le sollecitazioni per una complessiva revisione della disciplina delle procedure di insolvenza provenienti dall’Unione europea (raccomandazione n. 2014/135/UE della Commissione, del 12 marzo 2014,; regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2015) e dai princìpi della model law, elaborati in tema di insolvenza dalla Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (Uncitral). A tali principi hanno aderito molti Paesi anche in ambito extraeuropeo (tra cui gli Stati Uniti d’America) ed il loro recepimento, in regime di reciprocità, consente il riconoscimento dei provvedimenti giurisdizionali emessi nei rispettivi Paesi.

I principali profili innovativi del disegno di legge di riforma delle procedure concorsuali appaiono i seguenti:

·     nel generale quadro di favore per gli strumenti di composizione stragiudiziale della crisi, viene introdotta una fase preventiva di “allerta”, finalizzata all’emersione precoce della crisi d’impresa e ad una sua risoluzione assistita;

·     la facilitazione, nello stesso quadro, all’accesso ai piani attestati risanamento e agli accordi di ristrutturazione dei debiti;

·     la semplificazione delle regole processuali con la riduzione delle incertezze interpretative, anche di natura giurisprudenziale, che nuocciono alla celerità delle procedure concorsuali; in caso di sbocco giudiziario della crisi è prevista, in particolare, l’unicità della procedura destinata all’esame di tutte le situazioni di crisi e di insolvenza; dopo una prima fase comune, la procedura potrà, seconda i diversi casi, evolvere nella procedura conservativa o in quella liquidatoria;

·     la revisione della disciplina dei privilegi – ritenuta ormai obsoleta – che, tra le maggiori novità, prevede un sistema di garanzie mobiliari non possessorie;

·     l’individuazione del tribunale competente in relazione alle dimensioni e tipologia delle procedure concorsuali; in particolare, le procedure di maggiori dimensioni sono assegnate al tribunale delle imprese (a livello di distretto di corte d’appello);

·     l’eliminazione della procedura fallimentare e la sua sostituzione con quella di liquidazione giudiziale; tale strumento vede, in particolare, il curatore come dominus della procedura e, come possibile sbocco (in caso di afflusso di nuove risorse), anche un concordato di natura liquidatoria;

·     una rivisitazione, sulla base delle prassi verificate e delle criticità emerse, della normativa sul concordato preventivo, lo strumento ritenuto più funzionale tra quelli concorsuali attualmente vigenti;

·     la sostanziale eliminazione come procedura concorsuale, della liquidazione coatta amministrativa, che residua unicamente come possibile sbocco dei procedimenti amministrativi volti all’accertamento e alla sanzione delle gravi irregolarità gestionali dell’impresa;

·     la previsione di una esdebitazione di diritto (non dichiarata, quindi, dal giudice) per le insolvenze di minori dimensioni;

·     le modifiche alla normativa sulle crisi da sovraindebitamento, sia per coordinarla con la riforma in essere che per tenere conto dell’esperienza maturata dall’introduzione di tale istituto con la legge n. 3 del 2012;

·     le nuove norme per la revisione delle amministrazioni straordinarie (leggi Prodi e Marzano), finalizzate a contemperare la continuità produttiva e occupazionale delle imprese con la tutela dei creditori;

·     l’introduzione di una specifica disciplina della crisi e dell’insolvenza dei gruppi di imprese, che va a colmare una lacuna dell’attuale legge fallimentare.

 

 


 

Articolo 1
(Oggetto della delega al Governo e procedure di esercizio)

 

L’articolo 1, comma 1, delega il Governo ad emanare – entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge – uno o più decreto legislativi per:

 

·         la riforma organica delle procedure concorsuali (R.D. n. 267 del 1942, c.d. Legge fallimentare). Il R.D. n. 267 del 1942 disciplina oggi tre procedure concorsuali, ovvero procedure attivate in caso di dissesto economico dell’imprenditore commerciale e finalizzate ad apprestare adeguata tutela ai creditori dell’impresa: il fallimento, il concordato preventivo e la liquidazione coatta amministrativa. Le procedure concorsuali sono diverse tra loro per requisiti di ammissione, finalità, procedura ed effetti, tuttavia esse presentano tre elementi in comune. In primo luogo, sono collegate ad uno stato di dissesto economico dell’imprenditore commerciale, nella forma di stato di crisi oppure di insolvenza. Esse, inoltre, si connotano come procedure a carattere collettivo, perché coinvolgono tutti i creditori dell’imprenditore ai quali si garantisce, in linea di principio, una parità di trattamento. Infine, tutte le procedure concorsuali hanno carattere generale, cioè coinvolgono tutto il patrimonio dell’imprenditore;

 

·         la riforma organica della disciplina della composizione delle crisi da sovraindebitamento (legge n. 3 del 2012);

 

·         il riordino dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (decreto legislativo n. 270 del 1999, c.d. Prodi-bis; decreto-legge n. 347 del 2003, c.d. Marzano);

 

·         la revisione del sistema dei privilegi e delle garanzie.

 

 

 

Il comma 2 precisa che nell’esercizio della delega il Governo deve “tenere conto” della normativa UE, nonché dei principi elaborati in materia di insolvenza dalle Nazioni Unite.

 

In particolare, per quanto riguarda la normativa dell’Unione europea, sono richiamati:

 

·     il Regolamento (UE) 2015/848, del 20 maggio 2015, sulle procedure di insolvenza;

 

 

Il Regolamento, entrato in vigore il 25 giugno 2015, in sostituzione del precedente regolamento (CE) n 1346/2000, mira a garantire una gestione efficiente delle procedure di insolvenza riguardanti un privato o un’impresa che svolge attività commerciali o ha interessi finanziari in un paese dell’Unione europea diverso da quello in cui normalmente risiede. In particolare, la disciplina UE prevede norme comunitarie volte a stabilire: il giudice competente per l’apertura della procedura di insolvenza; la legge nazionale applicabile; il riconoscimento della decisione del giudice qualora un’impresa, un professionista o un privato risulti insolvente.

Il regolamento si applica alle procedure che comprendono tutti i creditori o una parte significativa di essi, disciplinate dalle norme in materia di insolvenza e in cui, a fini di salvataggio, ristrutturazione del debito, riorganizzazione o liquidazione:

- un debitore abbia perso, in tutto o in parte, il proprio patrimonio e venga nominato un amministratore delle procedure di insolvenza;

- i beni e gli affari di un debitore siano soggetti al controllo o alla sorveglianza di un giudice;

- la procedura sia stata sospesa al fine di consentire le trattative tra il debitore e i suoi creditori. Tale situazione si applica solo se: si realizza nell’ambito di procedure che mirano a tutelare la massa dei creditori; qualora non sia stato raggiunto un accordo, faccia seguito una delle altre due tipologie di procedure elencate qui sopra.

Il regolamento si applica alle procedure di insolvenza «preventive» (elencate nell’allegato A del regolamento) previste dalla legge nazionale, che possono essere avviate in fase iniziale per aumentare le possibilità di salvare l’impresa.

Le procedure vengono avviate dai giudici del paese dell’UE in cui è situato il centro degli interessi principali del debitore. Si presume che ciò significhi: il luogo in cui si trova la sede legale, in caso di società o persone giuridiche; il luogo in cui si trova la sede principale di attività, in caso di persone fisiche che esercitano un’attività imprenditoriale o professionale; il luogo in cui la persona ha la residenza abituale, in caso di altre persone fisiche.

Se il debitore svolge la propria attività in un luogo situato in un paese dell’UE diverso da quello in cui si trova il centro di propri interessi principali, anche tale paese dell’UE può aprire una procedura di insolvenza nei confronti del debitore. Tuttavia, tali «procedure secondarie» riguardano solo i beni detenuti in tale paese. Il regolamento aumenta le opportunità di salvataggio delle imprese evitando l’apertura delle cosiddette procedure secondarie sintetiche, qualora gli interessi dei creditori locali siano garantiti in altro modo.

In generale, la legge applicabile è quella del paese in cui viene aperta la procedura. Tale legge regola le condizioni di apertura e chiusura della procedura, nonché il suo svolgimento.

La decisione di apertura della procedura di insolvenza in un paese dell’UE deve essere riconosciuta in tutti gli altri paesi dell’UE dal momento in cui essa produce effetto.

Per garantire con più sicurezza che i creditori e i giudici ricevano le informazioni pertinenti e per evitare l’apertura di procedure parallele, i paesi dell’UE sono tenuti a pubblicare le informazioni pertinenti relative a casi d’insolvenza transfrontalieri in un registro elettronico accessibile al pubblico. Tali registri saranno interconnessi attraverso il portale europeo della giustizia elettronica, conformemente alle norme comunitarie sulla protezione dei dati.

Il regolamento stabilisce un quadro giuridico speciale relativo all’insolvenza dei membri di un gruppo di società, che comprende:

- norme che obbligano i vari amministratori delle procedure di insolvenza e i giudici coinvolti a collaborare e comunicare reciprocamente;

- diritti limitati per l’autorizzazione di un amministratore delle procedure di insolvenza riguardanti un altro membro dello stesso gruppo;

- un sistema specifico per il coordinamento delle procedure riguardanti lo stesso gruppo di società («procedure di insolvenza di gruppi di società»).

 

·     la Raccomandazione della Commissione europea n. 2014/135/UE, del 12 marzo 2014 su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all'insolvenza.

 

L’intervento della Commissione muove da alcuni dati statistici: nell’Unione europea ogni anno dichiarano insolvenza circa 200.000 imprese (un quarto di queste insolvenze presenta un elemento transfrontaliero) e, come conseguenza, 1,7 milioni di persone perdono il lavoro. Inoltre, i dati europei dimostrano che gli imprenditori che falliscono imparano dai loro errori e hanno in genere più successo la seconda volta: il 18% di quanti proseguono l’attività con successo hanno fallito al loro primo tentativo.

L’obiettivo della Raccomandazione è dunque quello di privilegiare, anziché la liquidazione, la ristrutturazione precoce delle imprese in difficoltà, così da prevenirne l’insolvenza.

Inoltre, l’intento della Commissione è anche quello di consentire una seconda chance agli imprenditori onesti che falliscano alla prima esperienza imprenditoriale, consentendogli di riprovare, agevolando un nuovo inizio.

La raccomandazione dunque invita gli Stati membri a:

- agevolare la ristrutturazione delle imprese in difficoltà finanziarie in una fase precoce, prima dell’avvio della procedura formale d’insolvenza, e senza procedure lunghe o costose, per aiutarle a limitare il ricorso alla liquidazione;

- consentire ai debitori di ristrutturare l’impresa senza dover avviare un’azione formale in giudizio;

- dare alle imprese in difficoltà finanziarie la possibilità di chiedere la sospensione temporanea fino a quattro mesi (rinnovabile fino a un massimo di 12 mesi) per adottare un piano di ristrutturazione prima che i creditori possano avviare misure di esecuzione nei loro confronti;

- facilitare il processo di adozione di un piano di ristrutturazione, tenendo presenti gli interessi di debitori e creditori, al fine di accrescere le possibilità di salvare le imprese sane;

- ridurre gli effetti negativi del fallimento sulle possibilità future degli imprenditori di avviare un’impresa, in particolare prevedendo la liberazione dai debiti entro tre anni al massimo.

 

Il Governo dovrà inoltre tenere conto anche dei principi della model law elaborati in materia di insolvenza dalla Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL).

Il disegno di legge richiama i documenti elaborati dalla Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (United Nations Commission on International Trade Law - UNCITRAL), istituita nel 1966 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite al fine di promuovere la progressiva armonizzazione e unificazione del diritto commerciale internazionale.

In particolare, il disegno di legge pare riferirsi ai testo del 1997 “Model law on Cross-border Insolvency”, attualizzato da una Guida all’applicazione e all’interpretazione del 2013.

 

Il modello di legge UNCITRAL è volto ad assistere gli Stati affinché adeguino le proprie leggi in tema di insolvenza in modo da affrontare le procedure di insolvenza transfrontaliere.

Il modello si concentra sulla cooperazione e il coordinamento tra le giurisdizioni piuttosto che cercare di unificare le leggi sostanziali in tema di insolvenza.

Il modello muove da un dato: il numero di casi di insolvenza transfrontaliera è aumentato significativamente fin dal 1990; tuttavia, a tale aumento non ha fatto seguito l’adozione di regimi legali nazionali o internazionali che affrontino tali questioni e superino i problemi di trasparenza e disparità – se non i conflitti – tra le leggi nazionali e la disciplina dell’insolvenza. Questi elementi hanno dunque ostacolato la protezione del valore dei patrimoni di imprese in difficoltà finanziarie e impedito il loro salvataggio.

Il modello si concentra su quattro elementi, che costituiscono la chiave per la gestione dei casi transfrontalieri di insolvenza: l’accesso, il riconoscimento, il supporto e la cooperazione.

In materia di accesso, le disposizioni previste dal modello consentono ai rappresentanti di procedure di insolvenza straniere e ai creditori il diritto di adire le corti di un altro Stato e di cercare assistenza.

Quanto al riconoscimento, il modello prevede procedure semplificate di riconoscimento di qualificanti procedure straniere, in modo da evitare dispendio di tempo. Viene pertanto previsto il riconoscimento di ordini emanati da corti straniere. Qualora soddisfi specifici requisiti, un qualificante procedimento straniero dovrebbe essere riconosciuto come: un procedimento principale che ha luogo laddove il debitore ha il centro dei propri affari; oppure un procedimento non principale che ha luogo laddove il debitore ha uno stabilimento. Il riconoscimento di procedure straniere secondo la legge modello ha numerosi effetti tra cui in particolare il supporto in favore del procedimento straniero.

Quanto al supporto, un principio base del modello è che il supporto stesso sia necessario per assistere procedimenti stranieri. Il modello prevede l’importazione delle conseguenze della legge straniera nello Stato di esecuzione né assicura ai procedimenti stranieri il supporto previsto dalla legge dello Stato di esecuzione. In base alle fasi, distingue il supporto a discrezione della corte da misure di carattere automatico.

Quanto alla cooperazione e al coordinamento, la legge modello attribuisce alle corti il potere di cooperare e di comunicare direttamente con le controparti straniere.

Il modello è poi corredato da una guida per l’applicazione e l’interpretazione.

 

 

Il comma 3 dell’articolo 1 delinea il procedimento per l’emanazione dei decreti legislativi di attuazione della delega, prevedendo:

·     la proposta del Ministro della giustizia. Per la riforma dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi la proposta sarà anche del Ministro dello sviluppo economico; occorrerà il concerto con i Ministri dell’economia e del lavoro;

In ordine alla formulazione del testo si valuti l’opportunità di chiarire quali siano gli schemi di decreto legislativo sui quali debbano dare il concerto il ministro dell’economia e il ministro del lavoro.

·     il parere delle competenti commissioni parlamentari. Gli schemi dovranno essere trasmessi entro il sessantesimo giorno dalla scadenza del termine per l’esercizio della delega e le Commissioni avranno a disposizione 30 giorni per l’espressione del parere. In assenza del parere, il Governo potrà comunque emanare i decreti legislativi;

·     se il termine per l’espressione del parere scade nei trenta giorni antecedenti lo spirare del termine per l’esercizio della delega, o successivamente, quest’ultimo termine è prorogato di 60 giorni.

Si valuti l’opportunità di coordinare la disposizione sul termine per la trasmissione degli schemi alle Camere con la disposizione sulla proroga del termine di delega. Infatti, il termine per la trasmissione escluderebbe la possibilità che il termine per l’espressione del parere parlamentare scada negli ultimi trenta giorni per l’esercizio della delega o successivamente.

 


 

Articolo 2
(Principi generali della riforma)

 

Il disegno di legge conferma che, in difetto di soluzioni stragiudiziali, la crisi o l’insolvenza sono destinate a trovare sbocco in ambito giudiziario. In tale ambito viene attuata la semplificazione della disciplina normativa, con la reductio ad unum della fase iniziale delle varie procedure esistenti, che prevede la creazione di un unico procedimento di accertamento giudiziale della crisi e dell’insolvenza, destinato a costituire una sorta di contenitore processuale uniforme di tutte le iniziative di carattere giudiziale fondate sulla prospettazione della crisi o dell’insolvenza.

 

I principi generali che dovranno ispirare la riforma sono dettati dall’articolo 2 della delega.

 

La disposizione, anzitutto, interviene sul lessico della riforma prevedendo la sostituzione del termine “fallimento”, con tutti i suoi derivati, con i termini “insolvenza” o “liquidazione giudiziale” (lett. a).

La modifica terminologica dovrà operare anche in relazione alle disposizioni penali contenute nella legge fallimentare, garantendo comunque la continuità delle fattispecie.

 

La Relazione illustrativa del disegno di legge così spiega questa scelta: «si propone di abbandonare la pur tradizionale espressione di «fallimento» (e quelle da essa derivate), in conformità a una tendenza già manifestatasi nei principali ordinamenti europei di civil law (tra cui quelli di Francia, Germania e Spagna), volta a evitare l'aura di negatività e di discredito, anche personale, che storicamente a quella parola si accompagna; negatività e discredito non necessariamente giustificati dal mero fatto che un'attività d'impresa, cui sempre inerisce un corrispondente rischio, abbia avuto un esito sfortunato. Anche un diverso approccio lessicale può quindi meglio esprimere una nuova cultura del superamento dell'insolvenza, vista come evenienza fisiologica nel ciclo vitale di un'impresa, da prevenire ed eventualmente regolare nel modo migliore, ma non da esorcizzare».

 

Il Governo dovrà inoltre eliminare dalla disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, la dichiarazione di fallimento d’ufficio, attualmente disciplinata dall’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 270 del 1999 (lett. b). Verrà così meno l’unica ipotesi di fallibilità di ufficio prevista nel nostro ordinamento.

 

La disposizione richiamata, infatti, prevede che, se una grande impresa è in crisi (si tratta di imprese che occupino almeno 200 lavoratori e che abbiano debiti non inferiori ai due terzi, tanto del totale dell'attivo dello stato patrimoniale, che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio) e si trova in stato di insolvenza, il tribunale del luogo in cui essa ha la sede principale può dichiarare l’insolvenza con sentenza on camera di consiglio, anche d’ufficio, senza dover necessariamente attendere il ricorso dell'imprenditore, di uno o più creditori o del pubblico ministero.

 

La riforma dovrà inoltre distinguere i concetti di stato di crisi e di insolvenza, configurando la crisi come probabilità di futura insolvenza (lett. c).

Se il concetto di crisi dovrà essere definito dal legislatore delegato, per quello di insolvenza si dovrà confermare l’attuale nozione contenuta nella legge fallimentare, in base alla quale «lo stato d'insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni» (art. 5, R.D. n. 267 del 1942).

 

In merito, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha chiarito che «L'insolvenza di cui all'art. 5 della legge fallimentare, costituente il presupposto oggettivo della procedura concorsuale, è quella situazione non transitoria ma funzionale d'impotenza in cui versa l'imprenditore che non può adempiere regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni: essa è, dunque, determinata dalla mancanza dei mezzi necessari per effettuare i pagamenti dovuti e dall'impossibilità di procurarsi tali mezzi altrove mediante ricorso al credito» (Cass. civ., Sez. VI - Ordinanza, 16-09-2015, n. 18192). L’insolvenza si manifesta, secondo una tipicità desumibile dai dati dell'esperienza economica, nell'incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l'estinzione dei debiti), nonché nell'impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio (Cass. civ. Sez. I, 07-06-2012, n. 9253).

La molteplicità di posizioni creditorie non è subrequisito dello stato di insolvenza, essendo sufficiente, per la dichiarazione di fallimento, anche un solo debito cui l'imprenditore non sia in grado di far fronte con mezzi normali di pagamento (Cass. civ., Sez. I, 17-02-2015, n. 3111). Ai fini della dichiarazione di fallimento di una società, che sia inserita in un gruppo, cioè in una pluralità di società collegate ovvero controllate da un'unica società "holding", l'accertamento dello stato di insolvenza deve essere effettuato con esclusivo riferimento alla situazione economica della società medesima, poiché, nonostante tale collegamento o controllo, ciascuna di dette società conserva propria personalità giuridica ed autonoma qualità di imprenditore, rispondendo con il proprio patrimonio soltanto dei propri debiti (Cass. civ. Sez. I, 18-11-2010, n. 23344).

 

Quanto alle procedure, la lett. d) delega il Governo ad adottare un unico modello processuale per l’accertamento dello stato di crisi o dello stato di insolvenza. Si desume quindi che a seguito di un procedimento unitario dovrà essere l’autorità giudiziaria a classificare la sofferenza dell’impresa o del singolo debitore come crisi ovvero come insolvenza, sulla base delle possibilità di recupero economico del debitore.

Il modello processuale dovrà ricalcare il procedimento per la dichiarazione di fallimento attualmente disciplinato dall’art. 15 della legge fallimentare.

 

In base all’art. 15 L.F. il procedimento per la dichiarazione di fallimento, volto all'accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, presenta le seguenti caratteristiche:

- competenza del tribunale in composizione collegiale;

- procedimento in camera di consiglio;

- convocazione del debitore ed i creditori istanti per il fallimento con decreto apposto in calce al ricorso e notificato – se possibile - con modalità telematiche;

- intervento nel procedimento del pubblico ministero che ha assunto l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento;

- udienza fissata non oltre 45 giorni dal deposito del ricorso; tra la data della comunicazione o notificazione e quella dell'udienza deve intercorrere un termine non inferiore a 15 giorni; entro sette giorni dall’udienza possono essere depositate memorie e documenti. I termini possono essere abbreviati dal presidente del tribunale, se ricorrono particolari ragioni di urgenza;

- il tribunale chiedere al debitore di depositare i bilanci relativi agli ultimi 3 esercizi, nonché una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata;

- espletamento dei mezzi istruttori. In particolare, il tribunale può delegare al giudice relatore l'audizione delle parti. In tal caso, il giudice delegato provvede all'ammissione ed all'espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio. Le parti possono nominare consulenti tecnici;

- il tribunale, ad istanza di parte, può emettere i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell'impresa, che hanno efficacia limitata alla durata del procedimento e vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento, ovvero revocati con il decreto che rigetta l'istanza;

- esclusione della dichiarazione di fallimento se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell'istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a 30.000 euro.

 

Il procedimento dovrà caratterizzarsi per particolare celerità, anche nella fase di reclamo contro il provvedimento che dichiara la crisi o l’insolvenza.

Inoltre, la riforma dovrà:

-      prevedere la legittimazione ad agire, per la richiesta di apertura della procedura, dei soggetti con funzioni di controllo o vigilanza dell’impresa, oltre che del PM che abbia notizia di uno stato di insolvenza. Si valutino le ragioni per cui l’iniziativa del PM sia circoscritta alla sola ipotesi del probabile stato di insolvenza;

-      disciplinare le misure cautelari, attribuendone la competenza anche alla corte d’appello;

-      armonizzare il regime delle impugnazioni, con riferimento tra l’altro all’efficacia delle pronunce rese avverso i provvedimenti di apertura della procedura di liquidazione giudiziale o di omologazione del concordato.

 

La lett. e) chiarisce che a tale modello processuale unitario dovranno essere assoggettate tutte le categorie di debitori, con la sola esclusione degli enti pubblici. A fronte di un avvio processuale unitario, alla diversa natura dei debitori dovranno corrispondere diversi esiti processuali, che tengano conto delle peculiarità oggettive e soggettive.

La delega specifica che al c.d. piccolo imprenditore (ovvero all’imprenditore che ha un profilo dimensionale inferiore ai parametri individuati dall’art. 1 della legge fallimentare) deve essere applicata la disciplina dettata per i debitori civili, i professionisti ed i consumatori (v. infra, art. 9 d.d.l.).

 

In base alla legge fallimentare, come riformata da ultimo dal d.lgs. n. 169 del 2007, non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori commerciali che dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti (art. 1, co. 2, L.F.):

a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a 300.000 euro;

b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200.000 euro;

c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a 500.000 euro.

 

Entrando più nel dettaglio, la lett. f) delega il Governo a individuare l’autorità giudiziaria territorialmente competente ricorrendo alla nozione di “centro degli interessi principali del debitore”. Il Governo dovrà dunque applicare l’art. 3 del Regolamento (UE) 2015/848 del 20 maggio 2015, che definisce il centro degli interessi principali come il luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi. Saranno conseguentemente i giudici competenti per il territorio ove è situato tale centro d’interessi ad essere competenti per l’apertura della procedura d’insolvenza.

 

 

Il Governo dovrà inoltre:

·         prevedere che sia data priorità alla trattazione delle proposte che assicurino la continuità aziendale, considerando la liquidazione giudiziale come extrema ratio (lett. g);

·         uniformare, semplificando, la disciplina dei diversi riti speciali previsti dalle disposizioni in materia concorsuale (lett. h);

·         ridurre la durata delle procedure concorsuali (lett. i);

·         ridurre i costi delle procedure concorsuali (lett. i). In particolare, la delega prevede di responsabilizzare gli organi di gestione e di contenere le ipotesi di prededuzione per evitare che il pagamento dei crediti prededucibili assorba sostanzialmente tutti l’attivo delle procedure. In merito dovranno essere rivisti i compensi dei professionisti.

 

Si ricorda che i crediti prededucibili sono i primi a dover essere soddisfatti in sede di ripartizione dell'attivo fallimentare. Si tratta, in base all'art. 111, secondo comma, della legge fallimentare (R.D. n. 267/1942), dei crediti così qualificati da una specifica disposizione di legge e di quelli sorti in occasione o in funzione del fallimento o di una precedente procedura concorsuale.

L'art. 111-bis l.fall. prevede che i crediti prededucibili debbano essere accertati con la procedura di accertamento del passivo solo se sono oggetto di contestazione per collocazione e ammontare, anche se sorti durante l'esercizio provvisorio.

Per quanto riguarda il pagamento, i crediti prededucibili vanno soddisfatti (per capitale, spese ed interessi) con il ricavato della liquidazione del patrimonio mobiliare e immobiliare, tenuto conto delle rispettive cause di prelazione, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti, per non danneggiarli.

Se l'attivo è insufficiente, la distribuzione delle somme deve avvenire secondo i criteri della graduazione e della proporzionalità, conformemente all'ordine assegnato dalla legge.

 

Il Governo dovrà riformulare le disposizioni che hanno dato luogo a contrasti interpretativi (lett. l).

 

Quando all’individuazione dei giudici competenti a conoscere delle procedure di insolvenza, la delega stabilisce il principio della specializzazione dei giudici (lett. m).

 

La Relazione illustrativa afferma che «L'attuale conformazione della geografia giudiziaria non sembra invece consentire un sufficiente livello di specializzazione dei giudici addetti alla trattazione delle procedure concorsuali. È infatti fin troppo ovvio che soltanto in uffici giudiziari dotati di un organico adeguato è possibile assicurare un minimo di specializzazione dei magistrati addetti a una determinata materia».

 

 

Il governo dovrà individuare il tribunale competente seguendo i seguenti criteri:

-      le procedure di insolvenza relative a consumatori, professionisti e c.d. piccoli imprenditori, dovranno essere attribuite alla competenza dei tribunali circondariali, mantenendo invariata la competenza attuale per le procedure di sovraindebitamento (n. 2);

-      le procedure di insolvenza relative alle grandi imprese (tali sono sia i gruppi di imprese di rilevante dimensione sia le imprese già in amministrazione straordinaria) dovranno essere attribuite alla competenza dei tribunali che attualmente sono sede di sezione specializzata in materia di impresa (n. 1);

 

 

 

Si ricorda che l’art. 1 del decreto legislativo n. 168 del 2003, come modificato dalla conversione del D.L. n. 1 del 2012, ha istituito presso i tribunali e le corti d'appello di Bari, Brescia, Bologna, Bolzano, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia sezioni specializzate in materia di impresa; tali sezioni sono state poi istituite anche presso i tribunali e le corti d'appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione. Per la Valle d'Aosta sono competenti le sezioni specializzate presso il tribunale e la corte d'appello di Torino.

Le sezioni hanno dunque una competenza territoriale più ampia rispetto a quella degli uffici giudiziari presso cui sono incardinate (la competenza fa riferimento ai comuni compresi nel distretto di ciascuna Corte d’Appello) e una competenza per materia che interessa una serie di cause e procedimenti, per tali intendendosi anche i procedimenti camerali nei confronti di una o più parti, che riguardano, in estrema sintesi, la materia industriale, la violazione della disciplina della concorrenza dell’Unione europea, i rapporti societari, le controversie in materia di appalti pubblici, forniture e servizi di rilevanza comunitaria e, infine, le cause e i procedimenti che presentino ragioni di connessione con i richiamati gruppi di materie.

 

Si osserva che la disposizione di delega non attribuisce alla competenza delle sezioni specializzate la materia concorsuale. Essa attribuisce tale competenza – relativamente alle grandi imprese – ai tribunali che “ospitano” la sezione specializzata. Tale previsione andrebbe coordinata con altre parti del disegno di legge: ad esempio, l’art. 4, co. 1, lett. h), prevede un obbligo di comunicazione al presidente della sezione specializzata in materia di impresa del tribunale competente.

 

-      le procedure di insolvenza relative alle imprese diverse da quelle indicate ai numeri 1) e 2) dovranno essere attribuite dal Governo ad alcuni specifici tribunali, individuati sulla base di una serie di parametri. Nella scelta dei tribunali competenti il Governo dovrà tenere conto di parametri quantitativi, quali le piante organiche, i flussi delle procedure concorsuali, il numero delle imprese iscritte nel registro delle imprese (n. 3).

Il disegno di legge delega inoltre il Governo a rivedere gli organici dei tribunali la cui competenza sarà ampliata a seguito della riforma (lett. m).

 

Il Governo è inoltre delegato a istituire presso il Ministero della giustizia un albo dei soggetti abilitati a svolgere funzioni di gestione e controllo nell’ambito delle procedure concorsuali (lett. n), disciplinando i requisiti richiesti per l’iscrizione. Questa disposizione è assistita da una autonoma norma di copertura finanziaria. Il comma 2 dell’art. 2, infatti, autorizza la spesa di 100 mila euro per il 2017 per l’attuazione di questa disposizione.

 

La Relazione tecnica riconduce la previsione di spesa alla «creazione di una specifica piattaforma informatizzata».

 

Infine, la lett. o) chiama il Governo ad armonizzare le procedure di crisi e di insolvenza con la tutela dell’occupazione e del reddito dei lavoratori.

In particolare, il disegno di legge richiama l’esigenza di rispettare i seguenti atti dell’Unione europea, nell’interpretazione datane dalla Corte di Giustizia UE:

-      Carta sociale europea (ratificata con la legge n. 30 del 1999), che afferma all’art. 25 il diritto dei lavoratori alla protezione dei loro crediti in caso d'insolvenza del loro datore di lavoro;

-      direttiva 2008/94/CE, sulla Protezione dei lavoratori dipendenti in caso di insolvenza del datore di lavoro, che mira a garantire il versamento dei salari ai lavoratori dipendenti, in caso di insolvenza del datore di lavoro. Essa obbliga infatti i paesi dell'UE ad istituire organismi di garanzia e stabilisce le modalità da seguire in caso di insolvenza dei datori di lavoro transfrontalieri. La direttiva, che rappresenta una codificazione di direttive precedenti, è già attuata nel nostro ordinamento (d.lgs. n. 186 del 2005, Attuazione della direttiva 2002/74/CE concernente la tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro);

-      direttiva 2001/23/CE, sulla Tutela dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento della proprietà di un’impresa, che stabilisce i diritti dei lavoratori a livello dell’UE in casi di trasferimento della proprietà dell’impresa in cui lavorano, nonché gli obblighi di cedenti e cessionari. La direttiva è stata attuata nel nostro ordinamento con la c.d. riforma Biagi (d.lgs. n. 276 del 2003).

 


 

Articolo 3
(La crisi e l’insolvenza dei gruppi di imprese)

 

L’articolo 3 detta principi e criteri direttivi per la disciplina alla crisi del gruppo societario, prefigurando disposizioni volte a consentire lo svolgimento di una procedura unitaria per la trattazione dell’insolvenza delle società del gruppo e prevedendo, comunque, che anche in caso di procedure distinte che si svolgano in sedi giudiziarie diverse, vi siano obblighi di reciproca informazione a carico degli organi procedenti.

Si tratta di un tema al momento non disciplinato nel nostro ordinamento.

 

In merito, la Relazione illustrativa sottolinea l’esigenza di colmare questa lacuna della legge fallimentare, che «apparentemente ignora del tutto le peculiarità dell'insolvenza riguardante quei particolari conglomerati societari cui si è soliti riferirsi con l'espressione «gruppi» (d'imprese). Eppure è ben evidente che l'insolvenza e le eventuali possibilità di risolverla si presentano con connotati peculiari quando non una singola impresa (in veste individuale o societaria) bensì un gruppo d'imprese nella sua interezza ne viene colpito. Lo scenario europeo, e in particolare il citato regolamento (UE) 2015/848 sull'insolvenza transfrontaliera, ulteriormente sollecitano il legislatore nazionale – che dell'insolvenza dei gruppi d'imprese si è occupato finora solo dettando alcune incomplete disposizioni in tema di amministrazione straordinaria – a colmare al più presto tale lacuna. Lacuna che, del resto, è da tempo acutamente avvertita nella pratica soprattutto per quel che riguarda le procedure di concordato preventivo, nelle quali si sono spesso contrapposte l'esigenza di considerare unitariamente la realtà imprenditoriale del gruppo d'imprese soggette a procedura concorsuale e il vigente impianto normativo che impone, invece, di considerare separatamente ogni procedura riguardante singolarmente ciascuna impresa».

 

Il comma 1 detta una serie di principi generali relativi all’insolvenza di una o più imprese appartenenti a un gruppo societario.

In primo luogo (lett. a), il Governo è delegato a definire il concetto di “gruppo di imprese”, ai fini dell’applicazione delle procedure concorsuali. In particolare, dovrà modellare la definizione di gruppo di imprese su quelle di direzione e coordinamento (artt. 2497 e seguenti) e di gruppo cooperativo paritetico (art. 2545-septies), previste dal codice civile.

 

Con i termini “gruppo di imprese” o “gruppo di società” si indica un fenomeno generato dall’autonomia privata e caratterizzato dall’unione di più società, giuridicamente distinte l’una dall’altra, ma collegate tra loro, al fine di realizzare un interesse comune.

Sebbene il codice civile non contenga una definizione di gruppo di società, la legislazione speciale è intervenuta, in più occasioni, a risolvere gli aspetti patologici collegati a tale forma organizzativa, dettando una disciplina specifica per i gruppi del settore bancario, assicurativo e finanziario.

Con la riforma delle società del 2003 è stato inserito nel codice civile un apposito Capo dedicato alla direzione e coordinamento delle società (capo IX, artt. 2497-2497-septies). E’ questa l’espressione che usa il legislatore per riferirsi agli istituti del gruppo di società e del controllo di società, predisponendo un sistema di regole dirette a conferire giuridica rilevanza all’attività di direzione e coordinamento esercitata da una società o ente sulle società dirette e coordinate, al fine di individuare la responsabilità della società o dell’ente che abbia agito a danno dei soci e dei creditori delle società controllate; la responsabilità non sussiste se il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo (art. 2497 c.c.).

È stato previsto un sistema di pubblicità volto a rendere trasparenti i rapporti tra le società del gruppo, anche attraverso l’istituzione di un’apposita sezione del registro delle imprese (art. 2497-bis c.c.). L’attività di direzione e coordinamento si presume esercitata dalla società o dall’ente che controlla le altre o che redige il bilancio consolidato (art. 2497-sexies c.c.); al di fuori di queste ipotesi, la direzione e il coordinamento possono essere esercitati anche in base a un contratto o alle clausole degli statuti sociali (art. 2497-septies).

La riforma del 2003 ha anche introdotto l’istituto del gruppo cooperativo paritetico (art. 2545-septies c.c.) ovvero il contratto tra più cooperative ad una delle quali viene attribuita la funzione di direzione e di coordinamento delle altre. Per la costituzione del gruppo, la norma precisa che essa deve avvenire per contratto, il quale regola espressamente la direzione e il coordinamento delle imprese partecipanti e, in quanto tale, si configura come un contratto di "dominazione", in quanto prevede che una o più cooperative assumano la funzione di indirizzo e di coordinamento delle altre.

 

Il Governo dovrà inoltre introdurre una presunzione semplice di assoggettamento a tale direzione e coordinamento in presenza di un rapporto di controllo, come definito dall’art. 2359 del codice civile.

 

L’art. 2359 del codice civile qualifica il controllo come situazione di diritto o di fatto: è di diritto il controllo esercitato sulla base della maggioranza dei diritti di voto esercitati in assemblea ordinaria; si ha invece controllo di fatto in tutte quelle circostanze in cui si ha comunque la possibilità di esercitare un’influenza dominante. In particolare, l’art. 2359 del codice civile dispone che devono essere considerate controllate «le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa».

 

Il Governo dovrà inoltre:

·         prevedere a carico delle imprese appartenenti al gruppo specifici obblighi dichiarativi nonché, se redatto, il deposito del bilancio consolidato di gruppo. Dovranno dunque essere palesati i legami di gruppo esistenti «in vista del loro assoggettamento a procedure concorsuali» (lett. b). Si valuti se gli obblighi dichiarativi debbano essere riferiti in generale alla disciplina del gruppo, e dunque richiedano un intervento sulle disposizioni del codice relative a direzione e coordinamento, ovvero se debbano riferirsi esclusivamente alle procedure concorsuali. La disposizione di delega fa riferimento agli obblighi dichiarativi “in vista” dell’assoggettamento a procedure concorsuali;

·         consentire all’autorità giudiziaria competente per la procedura concorsuale (lett. c) di rivolgersi alla CONSOB o a qualsiasi altra autorità pubblica in possesso di informazioni al fine di verificare l’esistenza di legami di gruppo o di richiedere alle società fiduciarie le generalità degli effettivi titolari delle azioni o quote (la disposizione fa riferimento a quelle imprese che, previa autorizzazione del Ministero dello sviluppo economico, assumono l’impegno di amministrazione di beni nonché di attività patrimoniali e finanziarie per conto terzi);

·         prevedere, se sono più di una le imprese del gruppo che si trovano in crisi, la possibilità di presentare una sola domanda con la quale chiedere l’omologazione di un accordo unitario di ristrutturazione dei debiti, l’ammissione al concordato preventivo o la liquidazione giudiziale. Presupposto per il ricorso unico è che si tratti di imprese del gruppo con sede legale in Italia; spetterà al Governo introdurre, in caso di sede in circoscrizioni giudiziarie diverse, un criterio per l’individuazione del tribunale competente. La delega precisa inoltre che il ricorso unitario non comporta il venire meno dell’autonomia delle masse attive e passive di ciascuna impresa (lett. d); come aggiunge la Relazione illustrativa, non verrebbe esclusa la necessità di votazioni separate da parte dei creditori di ciascuna società, ma consente di tenere pienamente conto dei riflessi reciproci delle singole operazioni contemplate dal piano e delle eventuali operazioni organizzative intragruppo;

·         prevedere, quando le procedure concorsuali relative a imprese del medesimo gruppo sono distinte, che gli organi di gestione delle procedure debbano collaborare e scambiare informazioni (lett. e);

·         prevedere che i finanziamenti all’impresa in crisi provenienti da altre società o imprese del gruppo siano in sede di rimborso posposti di grado (postergati) se sussistono i presupposti per la postergazione di cui all’art. 2467 del codice civile. Tale principio generale può essere derogato se, nell’ambito di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti, è necessario favorire l’erogazione di finanziamenti intragruppo.

 

Si ricorda che l’art. 2467 del codice civile (Finanziamenti dei soci) prevede la posposizione nel grado (postergazione) del rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, a tutela delle aspettative patrimoniali di questi ultimi. Dispone inoltre che se il rimborso è già stato corrisposto nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito (primo comma); il curatore è dunque legittimato ad esercitare il diritto alla ripetizione.

La norma utilizza due criteri per valutare se il finanziamento soci è da considerarsi postergato (secondo comma):

- eccessiva sproporzione nel rapporto indebitamento/patrimonio netto;

- ragionevolezza di un conferimento in relazione alla situazione finanziaria in cui si trova la società.

Con questa disposizione la riforma del 2003 ha inteso occuparsi del problema della c.d. sottocapitalizzazione e, in particolare, della c.d. sottocapitalizzazione nominale (molto diffusa nelle società chiuse), in presenza della quale la società dispone sicuramente dei mezzi per l'esercizio dell'impresa, ma questi sono in minima parte imputati a capitale, perché risultano per lo più concessi sotto forma di finanziamento. Si tratta di una prassi assai diffusa nelle società di capitali a ristretta compagine o a carattere "familiare", nelle quali i soci frequentemente provvedono al bisogno di finanziamenti della società versando direttamente nelle casse di questa le somme necessarie, senza provvedere ad un aumento di capitale. Le somme così versate non sono qualificate come conferimento (in quanto non imputate a capitale).

 

 

Il comma 2 individua specifici principi e criteri direttivi per la gestione unitaria del concordato preventivo di gruppo.

In particolare, il Governo dovrà prevedere un'unica autorità giudiziaria competente a gestire la procedura, un unico commissario giudiziale e il deposito in un unico fondo per le spese di giustizia (lett. a).

Il piano unitario di risoluzione della crisi dovrà essere predisposto sulla base di criteri definiti dal legislatore delegato, che potranno prevedere operazioni organizzative e contrattuali intragruppo finalizzate alla continuità aziendale, garantendo tutela ai soci e ai creditori di ciascuna singola impresa del gruppo (lett. f).

In base al principio che vuole mantenute autonome le masse attive e passive delle singole imprese, la votazione della proposta di concordato da parte dei creditori delle imprese del gruppo sarà contestuale ma separata (lett. b); dovranno essere escluse dal voto le imprese del gruppo che vantino crediti verso le altre imprese assoggettate alla procedura (lett. d).

In caso di omologazione, dovranno infine essere disciplinati gli effetti dell’annullamento o della risoluzione della proposta unitaria omologata (lett. c).

Si osserva che al comma 2 il principio e criterio direttivo in base al quale dovranno essere previsti «gli effetti dell’eventuale annullamento o risoluzione della proposta unitaria omologata» ricorre due volte (lett. c) e lett. e)).

 

Il comma 3 detta invece principi e criteri direttivi per la gestione unitaria della liquidazione giudiziale di gruppo.

Anche per questa procedura si prevede (lett. a) un solo giudice delegato e un solo curatore, ma si specifica che i comitati dei creditori restano distinti (uno per ciascuna impresa del gruppo). Il Governo dovrà inoltre:

·     individuare dei criteri di ripartizione proporzionale dei costi della procedura tra le diverse imprese partecipanti (lett. b);

·     disciplinare eventuali proposte di concordato liquidatorio giudiziale (lett. d);

·     attribuire al curatore alcuni poteri da esercitare anche rispetto alle imprese del gruppo non insolventi (lett. c). Si tratta di azionare rimedi contro operazioni precedenti l’accertamento dello stato di insolvenza, ma che possano aver drenato risorse dall’impresa verso altra impresa del gruppo, in danno dei creditori; di esercitare le azioni di responsabilità nei confronti degli enti preposti alla direzione o al controllo dell’impresa insolvente; di denunciare le irregolarità gestionali commesse dagli amministratori di tali imprese; di segnalare lo stato di insolvenza, ovvero di promuoverne l’accertamento, quando vi siano altre imprese del gruppo non coinvolte nella liquidazione giudiziale per le quali si ravvisi l’insolvenza.

 


 

Articolo 4
(Le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi)

 

Con l’articolo 4 il disegno di legge delega prevede, sulla scorta delle raccomandazioni UE e delle linee guida internazionali, l’introduzione di una fase preventiva di allerta, volta ad anticipare l’emersione della crisi. Essa è concepita quale strumento stragiudiziale e confidenziale di sostegno alle imprese, diretto a una rapida analisi delle cause del malessere economico e finanziario dell’impresa, destinato a sfociare in un servizio di composizione assistita della crisi. Lo strumento, che pare concepito come volontario, sfocia in caso di mancata collaborazione dell’imprenditore in una dichiarazione pubblica di crisi, attraverso il coinvolgimento del tribunale.

 

In particolare, la procedura di allerta dovrà essere disciplinata dal Governo nel rispetto dei seguenti principi:

 

·         attribuzione della competenza per la gestione della procedura a una apposita sezione degli organismi di composizione della crisi, già previsti dalla legge sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento (legge n. 3 del 2012 e regolamento attuativo DM n. 202 del 2014) (lett. a);

 

Gli "organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento" sono previsti dall’art. 15 della legge n. 3 del 2012: si tratta di organismi costituiti da enti pubblici e iscritti in apposito registro tenuto dal Ministero della giustizia, che svolgono in generale attività di assistenza al debitore per superare la crisi di liquidità, nonché di soluzione delle eventuali difficoltà insorte nell'esecuzione dell'accordo e di vigilanza sull'esatto adempimento dello stesso.

Gli organismi di conciliazione costituiti presso le camere di commercio, il segretariato sociale e gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai sono iscritti nel registro di diritto.

Alla legge ha dato attuazione il decreto ministeriale n. 202 del 2014, istituendo il registro, disciplinando requisiti e modalità per l’iscrizione, la formazione e la gestione degli iscritti, ed infine, la determinazione dei compensi e dei rimborsi per gli organismi, che sono a carico dei ricorrenti ad una delle procedure per la composizione delle crisi da sovraindebitamento.

Il registro è tenuto presso il Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della giustizia e il direttore generale della giustizia civile ne è il responsabile.

Il decreto in vigore dal 28 gennaio 2015, prevede per i primi 3 anni una disciplina transitoria per cui avvocati, commercialisti e notai non hanno obbligo di aggiornamento, purché documentino di essere stati nominati in almeno quattro casi, curatori fallimentari, commissari giudiziali, delegati alle operazioni di vendita in procedure esecutive immobiliari o liquidatori.

 

·         previsione, a carico degli organi di controllo societari e degli organi di revisione, dell’obbligo di avvisare immediatamente gli amministratori dell’esistenza di indizi di uno stato di crisi. Se all’avviso gli amministratori non daranno risposta o daranno risposta inadeguata, gli stessi organi di controllo dovranno rivolgersi direttamente al competente organismo di composizione della crisi (lett. b).

Si valuti l’opportunità di chiarire in cosa consista la “inadeguata risposta”.

 

·         previsione, a carico di alcuni creditori pubblici qualificati (come, ad esempio l’Agenzia delle entrate, gli agenti della riscossione e gli enti previdenziali) dell’obbligo di segnalare immediatamente agli organi di controllo della società “il perdurare di inadempimenti di importo rilevante”. In mancanza degli organi di controllo, la segnalazione dovrà essere fatta all’organismo di composizione della crisi. Il Governo dovrà coordinare tali obblighi con quelli di vigilanza e informazione spettanti alla CONSOB (lett. c).

 

La relazione illustrativa spiega che l’urgenza di un intervento «è attestata da recenti studi empirici, dai quali emerge un quadro allarmante sull'incapacità delle imprese italiane – per lo più medie o piccole imprese – di promuovere autonomamente processi di ristrutturazione precoce, per una serie di fattori che ne riducono la competitività (sottodimensionamento, capitalismo familiare, personalismo autoreferenziale dell'imprenditore, debolezza degli assetti di corporate governance, carenze nei sistemi operativi, assenza di monitoraggio e di pianificazione, anche a breve termine). Se a ciò si aggiunge che nel nostro Paese le procedure concorsuali sono ancora vissute dagli imprenditori come un male in sé, da allontanare nel tempo ad ogni costo, si comprende perché le imprese ammesse a concordato preventivo nel quadriennio 2009-2012 siano risultate per lo più in condizione di ormai irreversibile tracollo».

 

·         convocazione immediata del debitore e – se previsti – degli organi di controllo della società da parte dell’organismo di composizione della crisi che abbia ricevuto le segnalazioni o istanza dal debitore (lett. d). La convocazione dovrà essere riservata e confidenziale. La convocazione è finalizzata a individuare, previa verifica della situazione economica, le misure più idonee per uscire dallo stato di crisi;

 

·         possibile affidamento dell’incarico di risolvere la crisi a un professionista nella soluzione delle crisi d’impresa, iscritto presso l’organismo. Il presupposto per l’affidamento dell’incarico è l’istanza del debitore. In tal caso il soggetto incaricato dovrà, entro un congruo termine che non potrà mai superare i 6 mesi, trovare un accordo tra debitore e creditori (lett. e);

·         definizione delle condizioni in base alle quali gli atti della procedura stragiudiziale potranno essere utilizzati nell’eventuale fase giudiziale (lett. e);

·         possibilità per il debitore di rivolgersi al giudice per chiedere “misure protettive” necessarie a concludere l’accordo stragiudiziale. Il Governo dovrà disciplinarne la durata, gli effetti e la pubblicità, nonché la revocabilità in caso di atti in frode ai creditori (lett. f);

La disposizione non chiarisce la natura delle misure protettive e i limiti entro i quali queste possano derogare agli istituti del codice civile.

·         previsione di misure premiali o sanzionatorie a seconda che l’imprenditore in difficoltà si rivolga o meno alla procedura di allerta (lett. g). In particolare, tra le misure sanzionatorie si prefigura l’introduzione di un’ulteriore fattispecie di bancarotta semplice.

 

Si ricorda che in  base all’art. 217 della legge fallimentare, la bancarotta semplice è sanzionata con la reclusione da 6 mesi a 2 anni e consiste nel fatto dell'imprenditore che, se è dichiarato fallito, e fuori dai casi di bancarotta fraudolenta

1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica;

2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;

3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento;

4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa;

5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.

La stessa pena si applica al fallito che, durante i 3 anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.

Salve le altre pene accessorie previste dal codice penale, la condanna importa l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a 2 anni.

 

Si osserva che la disposizione non specifica quali possibili misure premiali possano essere prefigurate per l’imprenditore che tempestivamente attivi la procedura di allerta.

Si osserva poi che la sanzione penale in capo al debitore può conseguire al mancato ricorso alla procedura, pur in assenza di un obbligo specifico di attivazione della procedura medesima.

 

·         previsione a carico dell’organismo di composizione della crisi dell’obbligo, trascorso il termine individuato per la composizione stragiudiziale (e comunque entro sei mesi), di attestare la condotta del debitore valutando se egli abbia o meno posto in essere misure idonee a risolvere la crisi. Se la valutazione dell’organismo è negativa, anche perché ad esempio l’imprenditore non partecipa al procedimento, l’organismo stesso dovrà rivolgersi al presidente della sezione specializzata in materia di impresa competente; le valutazione dell’organismo di composizione della crisi prevale quindi sulla volontà dell’imprenditore anche nel caso in cui quest’ultimo, secondo la propria, autonoma iniziativa, si sia attivato per porre rimedio alla crisi con valutazioni divergenti da quelle dell’organismo stesso.

·         previsione dell’apertura di un procedimento di composizione assistita della crisi, stavolta in tribunale, con i seguenti adempimenti: nomina, da parte del Presidente della sezione specializzata in materia di impresa, di un professionista indipendente iscritto nel registro dei revisori legali (art. 67, terzo comma  LF), chiamato a verificare la situazione economica dell’impresa; deposito di una relazione motivata; fissazione, se la relazione attesta l’esistenza di uno stato di crisi, di un termine entro il quale dovranno essere intraprese misure idonee per porvi rimedio; alla scadenza del termine, se le misure non sono state intraprese, il tribunale dispone la pubblicazione della relazione nel registro delle imprese.

Si valuti se occorra specificare a carico di chi gravino le spese per la relazione da parte del professionista.

Si consideri inoltre che, in base alla lettera g), alle valutazioni del presidente del tribunale e del professionista possono conseguire anche sanzioni di carattere penale, nel caso di mancata realizzazione delle misure considerate idonee a porre rimedio allo stato di crisi.

 


 

Articolo 5
(L’incentivazione degli istituti stragiudiziali di risoluzione della crisi)

 

L’articolo 5 detta principi e criteri direttivi volti all’incentivazione di tutti gli strumenti di composizione stragiudiziale della crisi, già attualmente disciplinati dal legislatore.

Si tratta, in particolare,

 

·     degli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis, LF);

 

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono previsti dall’art. 182-bis della Legge fallimentare, all’interno del titolo III sul concordato preventivo (rubricato, appunto, “Del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione”).

Si tratta di uno strumento per la risoluzione negoziale della crisi dell’impresa che attribuisce all’imprenditore in stato di crisi la facoltà di domandare l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, stipulato con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un esperto sulla veridicità dei dati aziendali e sull'attuabilità dell'accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei, nel rispetto dei termini indicati (120 giorni dall’omologazione per i crediti già scaduti a quella data; 120 giorni dalla scadenza per i crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione).

L'accordo viene pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia sin dal giorno della pubblicazione. Tale pubblicazione produce due importanti effetti:

1) entro trenta giorni dalla stessa, sia i creditori che ogni altro interessato possono proporre opposizione innanzi al tribunale, il quale, una volta decise le opposizioni, procede all’omologazione in camera di consiglio con decreto motivato, a sua volta reclamabile davanti alla corte d’appello ai sensi dell’art. 183;

2) nei 60 giorni successivi alla data di pubblicazione dell’accordo, sono inibite ai creditori, per titolo e causa anteriore a tale data, sia l’avvio o la prosecuzione delle azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, che l’acquisizione di titoli di prelazione, salvo che non siano stati concordati.

In seguito, il tribunale, verificata la documentazione presentata dall’imprenditore, fissa con decreto l’udienza entro 30 giorni, disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa.

All’udienza, ove venga riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire all’accordo di ristrutturazione dei debiti, il tribunale dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione nei successivi sessanta giorni, entro i quali va depositato l’accordo definitivo corredato della relazione redatta dal professionista.

 

 

·     dei piani attestati di risanamento (art. 67, terzo comma, LF);

 

Il piano attestato di risanamento è previsto dall’art. 67, terzo comma, lett. d), della Legge Fallimentare, a seguito della modifica introdotta dal D.L. n. 83 del 2012. Si tratta di uno strumento totalmente nelle mani dell’imprenditore per risanare l’impresa e riportarla in equilibrio economico e finanziario, attraverso la realizzazione di una serie di operazioni strategiche, senza che vi sia alcun controllo da parte del tribunale, come invece avviene nelle procedure concorsuali.

La norma prevede che non sono soggetti ad azione revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano.

Il piano attestato di risanamento è uno strumento consensuale per il risanamento delle imprese in crisi che si differenzia marcatamente sia dall’accordo di ristrutturazione dei debiti (ex art. 182-bis L.F.) sia dal concordato preventivo (art. 160 e ss L.F.). Esso, non può essere considerato una procedura concorsuale, perché non è in alcun modo previsto l’intervento o il controllo della procedura da parte del Tribunale e non è obbligatoriamente soggetto ad alcun regime pubblicistico.

La ratio dell’istituto è quella di salvaguardare gli atti esecutivi posti in essere all’interno di un attendibile piano di risanamento aziendale, nel caso in cui il programma non raggiunga il successo sperato e si apra il successivo fallimento dell’imprenditore. La protezione che viene data per questi atti consiste nell’esonerare i terzi, che hanno confidato nella bontà del piano e nella sua buona riuscita, dalle conseguenze che si potrebbero avere nel caso in cui fosse attivata l’azione revocatoria fallimentare.

 

 

·      delle convenzioni di moratoria (art. 182-septies, LF).

 

Le convenzioni di moratoria sono previste dall’art. 182-septies della Legge fallimentare, che prevede che quando fra l'impresa debitrice e una o più banche o intermediari finanziari viene stipulata una convenzione diretta a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi attraverso una moratoria temporanea dei crediti e sia raggiunto l’accordo con soggetti che rappresentino il 75% dell’ammontare del passivo riferibile a banche ed intermediari, la convenzione di moratoria, in deroga agli articoli 1372 e 1411 del codice civile, produce effetti anche nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari non aderenti, se questi siano stati informati dell'avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede, e un professionista indipendente, iscritto all’albo dei revisori legali, attesti l'omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici fra i creditori interessati dalla moratoria.

La disposizione prevede poi una fase giurisdizionale di controllo della moratoria, ma solo su opposizione dei creditori non aderenti. Il che significa che, in mancanza di opposizioni, la moratoria non è soggetta ad alcun controllo da parte dell’autorità giudiziaria, nemmeno di tipo omologatorio. Le banche e gli intermediari finanziari non aderenti alla convenzione possono proporre opposizione entro 30 giorni dalla comunicazione della convenzione; con l'opposizione, la banca o l'intermediario finanziario può chiedere che la convenzione non produca effetti nei suoi confronti. Il tribunale, con decreto motivato, decide sulle opposizioni.

 

La Relazione illustrativa qualifica questi istituti come «recenti, ma già ormai ben radicati nel panorama del diritto concorsuale, che necessitano sicuramente di una rivitalizzazione perché se ne possa apprezzare in maniera più evidente il proficuo utilizzo nella prassi».

 

Nell’esercizio della delega il Governo è chiamato a:

·         estendere l’applicazione delle convenzioni di moratoria anche a creditori diversi da banche e intermediari finanziari, fermo restando il requisito della conclusione dell’accordo con creditori che rappresentino almeno il 75% del passivo riconducibile a una o più categorie giuridicamente ed economicamente omogenee (lett. a);

·         modificare la disciplina dell’accordo di ristrutturazione dei debiti eliminando o riducendo il limite del 60% dei crediti oggi richiesto per poter omologare l’accordo di ristrutturazione dei debiti. L’abbassamento della percentuale dei crediti aderenti all’accordo ha come presupposto l’esclusione della moratoria del pagamento dei creditori estranei e l’esclusione delle misure protettive (blocco delle procedure esecutive) del patrimonio del debitore (lett. b);

 

In base all’articolo 182-bis (Accordi di ristrutturazione dei debiti) della legge fallimentare, l'imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all'articolo 161, l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d) sulla veridicità dei dati aziendali e sull'attuabilità dell'accordo stesso con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei seguenti termini:

a) entro centoventi giorni dall'omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data;

b) entro centoventi giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell'omologazione (primo comma).

L’accordo è pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione (secondo comma).

Dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, né acquisire titoli di prelazione se non concordati. Si applica l’ articolo 168 secondo comma (terzo comma).

Entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione. Il tribunale, decise le opposizioni, procede all’omologazione in camera di consiglio con decreto motivato (quarto comma).

Il decreto del tribunale è reclamabile alla corte di appello ai sensi dell’ art. 183, in quanto applicabile, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese (quinto comma).

Il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive di cui al terzo comma può essere richiesto dall'imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell'accordo di cui al presente articolo, depositando presso il tribunale competente ai sensi dell’ articolo 9 la documentazione di cui all'articolo 161, primo e secondo comma, lettere a), b), c) e d) e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell'imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), circa la idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare. L'istanza di sospensione di cui al presente comma è pubblicata nel registro delle imprese e produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla pubblicazione (sesto comma).

II tribunale, verificata la completezza della documentazione depositata, fissa con decreto l'udienza entro il termine di trenta giorni dal deposito dell'istanza di cui al sesto comma, disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa. Nel corso dell'udienza, riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze di cui al primo comma e delle condizioni per l'integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare, dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione se non concordati assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell'accordo di ristrutturazione e della relazione redatta dal professionista a norma del primo comma. Il decreto del precedente periodo è reclamabile a norma del quinto comma in quanto applicabile (settimo comma).

A seguito del deposito di un accordo di ristrutturazione dei debiti nei termini assegnati dal tribunale trovano applicazione le disposizioni di cui al secondo, terzo, quarto e quinto comma. Se nel medesimo termine è depositata una domanda di concordato preventivo, si conservano gli effetti di cui ai commi sesto e settimo (ottavo comma).

 

La relazione illustrativa afferma: «Ciò dicasi, in particolare, per gli accordi di ristrutturazione, che a dieci anni dalla loro introduzione nell'ordinamento non sembrano ancora aver incontrato il favore diffuso degli operatori. Allo scopo di renderli più duttili e meglio fruibili si è perciò proposta l'eliminazione della soglia del 60 per cento dei crediti, prevista dal vigente articolo 182-bis della legge fallimentare, purché sia attestata l'idoneità dell'accordo alla soddisfazione non solo integrale, ma anche tempestiva, dei creditori estranei alle trattative, a meno che il debitore intenda chiedere misure protettive, quali, ad esempio, la sospensione delle azioni esecutive o cautelari durante le trattative».

 

·         assimilare la disciplina delle misure protettive previste negli accordi di ristrutturazione dei debiti a quella delle misure protettive previste nell’ambito del concordato preventivo (lett. c);

 

Si ricorda che in base agli articoli 167 e seguenti della Legge fallimentare durante la procedura di concordato preventivo il debitore conserva l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale; dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore. Le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano. Inoltre, la LF prevede una disciplina speciale per quanto riguarda i contratti pendenti: l’autorità giudiziaria può infatti autorizzare lo scioglimento dai contratti ancora ineseguiti o la sospensione degli stessi, salvo il diritto del contraente a un indennizzo.

·         Estendere gli effetti dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ai soci illimitatamente responsabili, come avviene nel concordato preventivo (lett. d);

·         Prevedere che il piano attestato di risanamento, previsto dall’art. 67, terzo comma, della Legge fallimentare, abbia forma scritta, data certa e contenuto analitico (lett. e);

·         Prevedere, tanto in relazione al piano attestato di risanamento, quanto in relazione all’accordo di ristrutturazione dei debito, che in caso di modifiche non marginali sia necessario rinnovare l’attestazione da parte del professionista indipendente iscritto all’albo dei revisori legali (lett. f).

 


 

Articolo 6
(Il concordato preventivo)

 

L’articolo 6 detta principi e criteri direttivi per la riforma dell’istituto del concordato preventivo (comma 1), sul quale anche recentemente si è appuntata l’attenzione del legislatore, individuando criteri particolari per il concordato di società (comma 2).

 

Il concordato preventivo è disciplinato dagli articoli 160 e seguenti della legge fallimentare. L'istituto consente all'imprenditore che si trova in uno stato di crisi (definizione in cui è ricompreso anche lo stato di insolvenza) di evitare il fallimento. La proposta di concordato preventivo deve provenire dallo stesso imprenditore e può prevedere:

- la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma;

- l'attribuzione a un assuntore delle attività delle imprese interessate dalla proposta;

- la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei;

- trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.

Sulla domanda di concordato deve pronunciarsi il tribunale il quale, verificata la completezza e la regolarità della documentazione, dichiara aperta la procedura con decreto non soggetto a reclamo, in cui delega un giudice alla procedura, ordina la convocazione dei creditori e nomina il commissario giudiziale.

All'adunanza dei creditori davanti al giudice delegato, nella quale si deve procedere all'approvazione del concordato, segue il giudizio di omologazione di fronte al tribunale, che omologa il concordato con decreto motivato se è stata raggiunta la maggioranza (art. 177, co. 1). Se sono state previste diverse classi di creditori il tribunale, riscontrata in ogni caso la maggioranza di cui all'art. 177, co. 1, può approvare il concordato nonostante il dissenso di una o più classi di creditori, se la maggioranza delle classi ha approvato la proposta di concordato e qualora ritenga che i creditori appartenenti alle classi dissenzienti possano risultare soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.

Il provvedimento che omologa o respinge il concordato è appellabile e la sentenza resa in sede di appello è ricorribile in cassazione. Il concordato omologato può essere risolto o annullato ex art. 186.

 

Si ricorda che l’istituto del concordato preventivo è stato oggetto di recenti riforme tanto nella scorsa quanto nell’attuale legislatura.

In particolare, con le modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012 si intendeva, da una parte, permettere alle imprese in crisi un accesso più rapido alle procedure di risanamento, consentendo tra l'altro l'accesso a nuovi mezzi finanziari e garantendo la continuità aziendale ed estendendo talune tutele già nella fase preliminare di negoziazione con i creditori; dall'altra, garantire maggior rigore (con correlate sanzioni anche penali) in materia di attestazioni del professionista.

L'art. 82 del D.L. 69/2013 è tornato sulla disciplina del c.d. concordato preventivo "in bianco" (o "con riserva"), al fine di offrire maggiori garanzie di carattere informativo per i creditori e per il tribunale. A fronte del notevole ricorso al nuovo strumento, non sempre corrispondente alle finalità che ne avevano ispirato l'introduzione, la riforma di questa legislatura ha inteso conservare la flessibilità e la snellezza dello strumento, implementando però il patrimonio informativo dei creditori e del tribunale già in sede di fissazione del termine, attraverso l'estensione degli obblighi di deposito del debitore.

 

Come esplicitato dalla relazione illustrativa, il concordato preventivo è tra gli strumenti più efficaci, «se correttamente adoperati, per risolvere positivamente le crisi d'impresa o per recuperare le potenzialità aziendali tuttora presenti in situazioni di insolvenza non del tutto irreversibile. Nell'ultimo decennio il legislatore si è perciò indirizzato a favorire, nei limiti del possibile, il ricorso all'istituto concordatario e nulla induce ora a sovvertire tale linea di condotta, pur con i contemperamenti che l'esperienza ha già mostrato essere necessari per evitare possibili abusi in danno dei creditori».

 

In particolare, il Governo dovrà disciplinare il concordato nell’ottica esclusiva della continuità di impresa (c.d. concordato in continuità), prevedendo l’inammissibilità di proposte che mirino nella sostanza alla liquidazione dell’azienda (lett. a), riservando le soluzioni liquidatorie alla procedura di liquidazione giudiziale (v. infra, art. 7).

Il Governo dovrà inoltre:

-          riconoscere anche al terzo la possibilità di promuovere il concordato in continuità quando sia già stata accertata l’insolvenza del debitore. L’iniziativa del terzo è riferita non solo – come attualmente previsto – alla presentazione di proposte concorrenti all’interno di un procedimento concordatario che solo al debitore è consentito attivare, bensì anche alla proposizione della stessa domanda di ammissione alla procedura di concordato. L’idea di fondo della riforma, come esplicitata dalla relazione illustrativa, è che la consapevolezza di questa possibilità nelle mani di un estraneo possa stimolare il debitore a formulare a sua volta proposte di concordato prima dell’insolvenza (presupposto per la legittimazione del terzo). Il Governo dovrà disciplinare la legittimazione del terzo nel rispetto dei principi del contraddittorio, garantendo una tutela al debitore per l’eventuale inadempimento del terzo (lett. b);

-          riformare le misure protettive (v. sopra, art. 5, lett. c)), con particolare riferimento alla loro durata, prevedendone la revocabilità su ricorso degli interessati (lett. c);

-          ridefinire le modalità di accertamento della veridicità dei dati aziendali riportati nel piano e della sua fattibilità (lett. d) e contestualmente determinare i relativi poteri del tribunale (lett. f);

In merito la relazione illustrativa avanza dei dubbi sull’utilità della figura del «professionista indipendente – ma pur sempre designato dallo stesso debitore – chiamato ad attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario (in aggiunta alle altre numerose ma eventuali funzioni attribuitegli nell'ambito della procedura di concordato dalla normativa vigente). Quanto meno nelle ipotesi in cui la domanda di concordato sia lo sbocco di una precedente procedura stragiudiziale di composizione assistita della crisi o di allerta, è ragionevole ipotizzare che la suddetta funzione attestatrice possa essere stata già adeguatamente assolta dal professionista designato a seguire tale procedura». La stessa Relazione sottolinea che l'esperienza di questi ultimi anni – specialmente dopo le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 69 del 2013 - che ha consentito la nomina del commissario giudiziale anche nella fase di presentazione della domanda di concordato con riserva – «sembra suggerire che le attestazioni del professionista sono quasi sempre destinate a successiva revisione a opera del commissario giudiziale, con il concreto rischio di una sostanziale duplicazione di attività, di conseguente spreco di tempo e di aumento finale dei costi per l'impresa. Siffatti dubbi hanno indotto a lasciare aperta la possibilità che il futuro legislatore delegato riveda l'attuale sistema di accertamento della veridicità dei dati aziendali e di attestazione della fattibilità del piano concordatario e, più in generale, chiarisca il contenuto dei poteri del tribunale, con particolare riguardo proprio alla valutazione della fattibilità del piano, attribuendo, in ogni caso, al giudice il potere di verificare, sin dalla fase di ammissione alla procedura, la realizzabilità economica dello stesso».

 

-          Disciplinare l’entità massima dei compensi dei professionisti incaricati dal debitore, parametrandoli all’attivo dell’impresa soggetta alla procedura (lett. d);

-          Suddividere obbligatoriamente i creditori in classi, in base alla posizione giuridica e all’omogeneità degli interessi economici (lett. e). L’obiettivo è strutturare il sistema delle maggioranze, presupponendo l'omogeneità delle posizioni dei votanti e dunque la comunanza di interessi tra i componenti di un gruppo;

-          eliminare l’adunanza dei creditori, disciplinando modalità telematiche per consentire ai creditori di dibattere sulle proposte e esprimere il proprio voto (lett. g);

-          consentire, quando un solo creditore è titolare di crediti pari alla maggioranza degli ammessi al voto, il calcolo delle maggioranze “per teste”, disciplinando il conflitto di interessi (lett. g);

-          disciplinare il diritto di voto dei creditori con diritto di prelazione, il cui pagamento sia dilazionato, e dei creditori soddisfatti con utilità diverse dal denaro (lett. h);

-          rivedere l’attuale disciplina dei rapporti pendenti, con riferimento alla loro possibile sospensione e scioglimento, al ruolo del commissario giudiziale, alla competenza per la determinazione dell’indennizzo (lett. i); si osserva che la disposizione di delega si limita a individuare l’oggetto della riforma ma non detta alcun criterio direttivo per la stessa;

-          disciplinare in modo dettagliato la fase di esecuzione del piano, con particolare riferimento alla deroga all’art. 2560 c.c. (lett. l)

 

L’art. 2560 c.c. esclude la liberazione dell’alienante dai debiti relativi all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito. Nel trasferimento di un’azienda commerciale, degli stessi debiti risponde anche l’acquirente se essi risultano dalle scritture contabili obbligatorie.

 

-          Prevedere la possibilità per il tribunale di affidare ad un terzo l’esecuzione della proposta concordataria (lett. l);

-          Riformare la disciplina della revoca, dell’annullamento e della risoluzione del concordato preventivo, consentendo al commissario giudiziale di attivarsi per la risoluzione per inadempimento, su istanza del creditore (lett. m). Attualmente la risoluzione può essere chiesta da ciascun creditore in base all’art. 137 LF;

-          Stabilire i presupposti per estendere il beneficio dell’esdebitazione ai soci illimitatamente responsabili (lett. n);

-          Riordinare la disciplina dei finanziamenti alle imprese in crisi (lett. o); In merito si osserva che la norma di delega si limita a individuare i temi della riforma ma non detta alcun criterio direttivo per la stessa;

-          Disciplinare, nel concordato senza transazione fiscale, il trattamento del credito da IVA, tenendo conto delle sentenze della Corte di giustizia UE (lett. p).

 

In merito, si evidenzia che, rovesciando la posizione della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale, la Corte di Giustizia UE con la recente sentenza 7 aprile 2016, C-546/14, ha stabilito che la procedura di concordato preventivo prevista dall’art. 182-ter LF è compatibile con il diritto comunitario anche se viene previsto il pagamento soltanto parziale del debito IVA da parte dell’imprenditore in difficoltà finanziaria, a condizione che un esperto indipendente attesti che l’erario non otterrebbe un pagamento maggiore in caso di fallimento.

La conclusione raggiunta nella sentenza conferma, in esito all’ordinanza emessa dal Tribunale di Udine il 30 ottobre 2014, il parere reso dall’Avvocato generale UE a fronte del dubbio, sorto in capo al giudice del rinvio, se una siffatta domanda di apertura del concordato preventivo sia compatibile con l’obbligo degli Stati membri di adottare tutte le misure necessarie per garantire la riscossione dell’IVA dovuta.

La Corte ha dunque ammesso la “rinunzia parziale” all'IVA se sono soddisfatti i seguenti requisiti:

a)  non deve emergere che il debitore richiedente abbia deliberatamente nascosto attività o proventi o abbia omesso di dichiarare passività;

b)  un esperto indipendente deve attestare che il credito dello Stato non avrebbe comunque sorte migliore in caso di fallimento;

c)  lo Stato, in qualità di creditore, deve comunque riservarsi il diritto di votare contro il concordato qualora ritenga che il proprio credito Iva potrebbe essere maggiormente o meglio soddisfatto. Quest'ultima condizione, l''espressione del voto contrario da parte dello Stato (nonostante l'attestazione dell'esperto indipendente), anche se non decisiva nell’adunanza dei creditori (che decide a maggioranza del credito totale), permette allo stesso di proporre opposizione in sede di omologazione del concordato.

 

 

Il comma 2 detta specifici principi e criteri direttivi per il concordato preventivo delle società. La riforma è volta, in particolare, a individuare una disciplina maggiormente dettagliata per questi concordati che, pur rappresentando oggi la maggioranza dei casi, non trovano nella legge fallimentare una autonoma considerazione.

In particolare il Governo è chiamato a disciplinare compiutamente presupposti, legittimazione ed effetti dell’azione di responsabilità e dell’azione dei creditori della società (lett. a).

A seguito dell’omologazione della proposta di concordato, inoltre, il tribunale dovrà nominare un amministratore provvisorio che adempia all’obbligo di attuare tempestivamente i contenuti della proposta. L’amministratore avrà i poteri dell’assemblea dei soci e potrà sostituirsi ai soci nell’esercizio del voto (lett. b). La relazione illustrativa motiva questa previsione con l’esigenza di «scoraggiare comportamenti ostruzionistici (che potrebbero manifestarsi soprattutto nel caso in cui la proposta concordataria, approvata dai creditori, provenisse da un terzo)»

Infine, il Governo dovrà disciplinare l’eventuale trasformazione, fusione o scissione che si verifichi nel corso della procedura, prevedendo (lett. c):

-      che i creditori possano proporre opposizione solo in sede di controllo giudiziale sulla legittimità della domanda di concordato;

-      che gli effetti prodotti dalle suddette operazioni siano irreversibili – anche in caso di risoluzione o annullamento del concordato – salvo il diritto al risarcimento dei soci o dei terzi danneggiati;

-      che non spetti ai soci il diritto di recesso a seguito di operazioni che incidono sull’organizzazione finanziaria della società.

 


 

Articolo 7
(La liquidazione giudiziale)

 

L’articolo 7 individua numerosi principi e criteri direttivi cui il Governo dovrà attenersi per la disciplina della procedura di liquidazione giudiziale che, nell’intento del legislatore, dovrebbe sostituire l’attuale disciplina del fallimento (comma 1).

 

Il fallimento, la più importante delle procedure concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare, assolve alla sostanziale finalità di soddisfare coattivamente i creditori dell'imprenditore commerciale insolvente, mediante la messa in liquidazione delle attività esistenti nel suo patrimonio.

Lo stato d'insolvenza, presupposto oggettivo del fallimento, può essere definito come l'incapacità non transitoria dell'imprenditore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni nei confronti dei creditori e che si manifesta, soprattutto, con inadempimenti nei pagamenti e con l'incapacità di far ricorso al credito.

L'iniziativa per la dichiarazione di fallimento (art. 6 L.Fall.) si concreta nella domanda rivolta al giudice del luogo in cui ha sede l'impresa del debitore affinché questi, accertato lo stato di insolvenza dell'impresa, ne dichiari il fallimento; l'iniziativa può venire dal debitore stesso; su ricorso di uno o più creditori; su istanza del pubblico ministero.

Nella procedura fallimentare intervengono una serie di organi:

- il tribunale fallimentare, ovvero il giudice che ha emesso la sentenza dichiarativa del fallimento, è investito dell'intera procedura; provvede alla nomina ed alla revoca o sostituzione, per giustificati motivi, degli organi della procedura fallimentare, quando non è prevista la competenza del giudice delegato; può in ogni tempo sentire in camera di consiglio il curatore, il fallito e il comitato dei creditori per acquisire conoscenza dei fatti in evoluzione; decide le controversie relative alla procedura stessa che non sono di competenza del giudice delegato, nonché i reclami contro i provvedimenti del giudice delegato;

- il Giudice delegato è l'organo investito dal tribunale di poteri di vigilanza e controllo sulla regolarità della procedura fallimentare e collaborazione col curatore supervisionandone l'operato;

- il Curatore - nominato dal Tribunale con la sentenza di fallimento – che ha la fondamentale funzione di amministrare il patrimonio del fallito, sotto il controllo del giudice delegato e del comitato dei creditori. Viene scelto tra avvocati, dottori commercialisti, ragionieri commercialisti, società specializzate o esperti del ramo che sono accreditati dal Tribunale all'esercizio della specifica attività;

- il Comitato dei creditori, nominato dal Giudice delegato entro 30 gg. dalla sentenza di fallimento, è l'organo che rappresenta i creditori del fallimento. Con la riforma della legge fallimentare del 2006, il Comitato ha assorbito molte delle competenze già del Giudice delegato, in particolare il potere di autorizzare gli atti di straordinaria amministrazione. Il Comitato vigila sull'operato del curatore, ne autorizza gli atti ed esprime pareri nei casi previsti dalla legge, oppure su richiesta del tribunale o del giudice delegato; in particolare verifica le scritture contabili e i documenti della procedura fallimentare, quando uno o più membri del comitato dei creditori lo chiedono con accettata motivazione; approva il "piano di liquidazione dell'attivo" predisposto dal Curatore.

La sentenza che dichiara il fallimento priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni. Per quanto concerne invece gli effetti del fallimento sui creditori, salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento.

La procedura fallimentare prevede che il curatore, entro 60 giorni dalla nomina, debba presentare una relazione particolareggiata sulle cause e circostanze del fallimento, sulla diligenza spiegata dal fallito nell'esercizio dell'impresa, sulla responsabilità del fallito o di altri e su quanto può interessare anche ai fini delle indagini preliminari in sede penale. Successivamente, ogni sei mesi dalla presentazione della prima relazione, il curatore redige ulteriori relazioni sulle attività svolte, le consegna al Giudice delegato, al Comitato dei Creditori e le deposita presso il Registro delle Imprese. Tali relazioni hanno ad oggetto l'attività caratteristica della gestione del fallimento, con la conseguente contabilizzazione di tutte le entrate e le uscite.

Con il riparto dell'attivo si giunge alla fase finale della procedura, coincidente con la distribuzione del denaro ottenuto dalla liquidazione (vendita) dei beni del fallimento, in attuazione della "par conditio creditorum" (parità di condizione tra i creditori). Le somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo sono erogate nel seguente ordine:

1) per il pagamento dei crediti prededucibili (ovvero quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali);

2) per il pagamento dei crediti ammessi con prelazione sulle cose vendute secondo l'ordine assegnato dalla legge;

3) per il pagamento dei creditori chirografari.

Con la riforma del diritto fallimentare introdotta dal D.Lgs n. 5 del 2006, il principio della par condicio creditorum è stato radicalmente cambiato, in quanto è stata introdotta la possibilità di suddividere i creditori in classi omogenee, cosicché l'adozione del criterio della parità si realizza all'interno di ogni singola classe.

Il fallimento si chiude:

- se nel termine fissato nella sentenza dichiarativa di fallimento non sono state proposte domande di ammissione al passivo;

- quando le ripartizioni ai creditori raggiungono l'intero ammontare dei crediti ammessi, o questi sono stati estinti in altro modo cosicché vengono pagati tutti i debiti e le spese di procedura;

- quando è terminata la ripartizione finale dell'attivo;

- quando durante lo svolgimento della procedura si appura che la sua prosecuzione non consentirebbe di soddisfare, neanche in parte, i creditori e le spese della medesima procedura.

Con la chiusura del fallimento cessano le conseguenze sul patrimonio del soggetto fallito, cessano le sue incapacità personali, decadono gli organi preposti alla procedura fallimentare, non possono essere proseguite le azioni esperite dal curatore e i creditori possono riprendere il libero esercizio delle azioni nei confronti del debitore, già fallito, per la parte dei loro crediti non soddisfatti, salvo che non vi sia stata esdebitazione (beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti degli altri creditori, v. infra, commento all’art. 8).

Il RD 267/1942 prevede una serie di illeciti penali che possono essere commessi dal fallito prima e durante la procedura fallimentare: il più comune è il reato di bancarotta, nelle sue due versioni di fraudolenta o semplice; altri illeciti penali previsti dalla legge fallimentare sono il ricorso abusivo al credito e la denuncia di creditori inesistenti.

La finalità della riforma è quello di rendere più snella ed efficiente la procedura, nella quale particolare centralità è data alla figura del curatore.

Si prevede, in tale prospettiva, un potenziamento della procedura e la specificazione dei suoi effetti sui rapporti di lavoro subordinato; maggiore rapidità nell’accertamento del passivo e trasparenza nella liquidazione dell’attivo; l’integrazione della disciplina dei rapporti giuridici pendenti; misure acceleratorie volte a chiudere la procedura.

 

Il primo principio di delega (comma 2) è riferito al potenziamento dei poteri del curatore, vero dominus della liquidazione giudiziale, la cui azione si vuole rendere più efficace grazie ad una serie di misure riguardanti: una più stringente disciplina delle incompatibilità che lo riguardano (nel succedersi delle diverse procedure); la definizione dei poteri di accesso alle banche dati delle PA (per assicurare l’effettività dell’apprensione dell’attivo liquidatorio); la definizione del contenuto minimo del programma di liquidazione; il chiarimento dei poteri giudiziali - in relazione all’azzeramento dei privilegi e degli altri vincoli sui beni venduti e di cui è riscosso il prezzo (art. 108, secondo comma, L.F.) – nell’ipotesi in cui il curatore subentri nel preliminare di vendita;

 

L’art. 108, primo comma, L.F. prevede che il giudice delegato, su istanza del fallito, del comitato dei creditori o di altri interessati, previo parere dello stesso comitato dei creditori, può sospendere, con decreto motivato, le operazioni di vendita, qualora ricorrano gravi e giustificati motivi ovvero, su istanza presentata dagli stessi soggetti entro dieci giorni dal deposito di cui al quarto comma dell'articolo 107, impedire il perfezionamento della vendita quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello giusto, tenuto conto delle condizioni di mercato.

L’art. 108, secondo comma, L.F. prevede che, per i beni immobili e gli altri beni iscritti in pubblici registri, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, con decreto del giudice delegato sono cancellate le iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché le trascrizioni dei pignoramenti, i sequestri conservativi e ogni altro vincolo.

 

Si valuti se – alla luce dei contenuti dell’art. 108 L.F. – occorra richiamare il primo comma di tale disposizione, concernente una fase antecedente alla vendita. Il secondo comma riguarda invece gli effetti della vendita già eseguita.

 

Sempre il comma 2 prevede l’attribuzione al curatore di poteri per compiere atti e operazioni sulla struttura organizzativa e finanziaria della società previsti nel programma di liquidazione (oltre, quindi, i compiti ordinari di gestione della procedura e quelli integrativi previsti dalla vigente legge fallimentare, artt. 31 e 35) assicurando, comunque, idonea informazione a soci e creditori nonché tutela (di questi ultimi e dei terzi) in sede concorsuale.

Sempre nella stessa ottica di potenziamento si prevede (comma 5) la legittimazione del curatore a promuovere o proseguire specifiche azioni giudiziali: dall’azione sociale di responsabilità, all’azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.), all’azione contro i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società (art. 2476, settimo comma, c.c.), alle azioni di responsabilità verso società o enti che esercitano attività di direzione e coordinamento di società (art. 2497 c.c.); si tratta di azioni che sono attualmente promosse dai soci o dai creditori sociali.

L’art. 2394-bis c.c. prevede che il curatore possa essere legittimato a tali azioni in caso di fallimento. Di tale disposizione l’art. 13, comma 1, lett. a) del d.d.l. in esame prevede l’abrogazione per esigenze di coordinamento.

 

Legittimazione all’azione sociale di responsabilità e all’azione dei creditori sociali deve essere conferita al curatore in caso di violazione delle regole di separatezza tra uno o più patrimoni destinati a uno specifico affare (art. 2447-bis, c.c.) costituiti dalla società e il patrimonio della società stessa; nelle società di persone, il curatore deve essere, infine, legittimato ad avviare l’azione di responsabilità verso il socio amministratore cui non sia stata estesa la procedura di liquidazione.

In sede di chiusura della procedura di liquidazione, al curatore potrà, inoltre, essere affidata la fase di riparto dell’attivo tra i creditori, fatta salva – in tal caso - la possibilità degli interessati di proporre opposizione davanti al giudice (comma 10, lett. a).

Un ulteriore ampliamento dei poteri del curatore è, infine, previsto dal successivo comma 10 per finalità acceleratorie della procedura (v. ultra.)

 

Un altro criterio di delega (comma 3) concerne - nelle procedure concorsuali di minore complessità – la possibilità di sostituire le funzioni del comitato dei creditori (art. 31 L.F.) con forme di consultazione telematica dei creditori, anche nelle forme del silenzio assenso.

Si consideri che il comitato ha, tuttavia, anche poteri autorizzatori e non solo consultivi.

 

Il potenziamento della procedura si ottiene (comma 4) sia escludendo l’operatività di esecuzione speciali e di privilegi processuali (anche di natura fondiaria) sia limitando la possibilità di azioni di inefficacia e revocatorie.

In relazione a queste ultime si intende anticipare al momento del deposito della domanda cui sia seguita l’apertura della procedura liquidatoria la decorrenza del termine per la proposizione dell’azione (l’art. 69-bis, L. F. prevede attualmente che tali azioni non siano più proponibili decorsi 3 anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi 5 anni dal compimento dell'atto di disposizione del bene all’origine dell’azione).

Rimangono esclusi da tale disciplina gli atti (di cui all’art. 69-bis, secondo comma, L.F.) di disposizione dei beni compiuti tra la domanda di concordato preventivo e la successiva dichiarazione di fallimento.

In tale ipotesi, i termini di inefficacia di cui agli articoli 64 (atti a titolo gratuito), 65 (pagamenti di crediti che scadono nel giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente) nonchè quelli per la revocatoria di cui all’agli artt. 67, primo e secondo comma (atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie, perfezionati conoscendo lo stato di insolvenza del debitore) e 69 (atti tra coniugi, in cui il beneficiario conosca lo stato d’insolvenza dell’altro) L.F. decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese.

 

Una specifica serie di principi e criteri direttivi (comma 6) riguarda l’integrazione della disciplina dei rapporti giuridici pendenti, prevista dall’art. 72 della legge fallimentare:

§  in caso di prosecuzione o di subentro del curatore nella procedura (compreso l’esercizio provvisorio), si limitano i crediti prededucibili ai soli crediti maturati durante la procedura di liquidazione, fatta salva diversa disposizione di legge.

In base all’art. 111 L.F sono considerati crediti prededucibili - e come tali soddisfatti con precedenza nella ripartizione dell’attivo rispetto a tutti gli altri – i crediti così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali.

§  si prevede lo scioglimento dei contratti avente carattere personale (cd. contratti fondati sull’intuitus personae, come quelli di mandato e di lavoro, dove è determinante per il consenso la considerazione della identità del contraente o delle sue qualità personali) che non proseguano con il consenso della controparte.

Tale disciplina riprende quella stabilita per l’appalto dall’all’art. 72 L.F. (nel caso di fallimento dell'appaltatore, il rapporto contrattuale si scioglie se la considerazione della qualità soggettiva è stata un motivo determinante del contratto, salvo che il committente non consenta, comunque, la prosecuzione del rapporto).

§  deve prevedersi una specifica disciplina del contratto preliminare, anche in relazione alla normativa sugli immobili da costruire (contenuta nella legge 122 del 2005).

In ragione del particolare valore sociale del tema, la legge fallimentare prevede (art. 72-bis) che, in caso di situazione di crisi del costruttore (come definita normativamente ex L. 21072004), il contratto si intende sciolto se, prima che il curatore comunichi la scelta tra esecuzione o scioglimento, l'acquirente abbia escusso la fideiussione a garanzia della restituzione di quanto versato al costruttore, dandone altresì comunicazione al curatore. In ogni caso, la fideiussione non può essere escussa dopo che il curatore abbia comunicato di voler dare esecuzione al contratto.

 

Per quanto riguarda gli effetti della procedura di liquidazione sui rapporti di lavoro subordinati in corso, un ulteriore criterio direttivo prevede il coordinamento di tale disciplina con la normativa vigente in tema di diritto del lavoro in relazione a licenziamenti, forme assicurative e di integrazione salariale, il TFR e le modalità di insinuazione al passivo (comma 7).

In particolare, si vuole impedire – come esplicitato dalla relazione illustrativa del d.d.l. - che l’avvio della procedura concorsuale non integri di per sé solo gli estremi di una causa legittima di licenziamento.

 

Il principio direttivo (comma 8) riguardante la fase dell’accertamento del passivo prevede che tale fase sia improntata a criteri di snellezza e concentrazione. Le misure da adottare da parte del legislatore delegato dovranno riguardare:

§  l’agevolazione della presentazione delle domande tempestive di ammissione dei creditori e dei terzi (anche residenti all’estero) per via telematica, restringendo l’ammissibilità delle domande tardive;

 

Attualmente, le domande di crediti (art. 101, L.F.) – che si propongono con ricorso al curatore (via PEC) - sono considerate tardive se trasmesse oltre 30 gg. prima dell'udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre 12 mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo; in caso di particolare complessità della procedura, il tribunale, con la sentenza che dichiara il fallimento, può prorogare quest'ultimo termine fino a 18 mesi.

 

§  forme semplificate per le domande di minor valore e complessità;

 

L’art. 93 L.F. stabilisce che il ricorso debba contenere: 1) l'indicazione della procedura cui si intende partecipare e le generalità del creditore; 2) la determinazione della somma che si intende insinuare al passivo, ovvero la descrizione del bene di cui si chiede la restituzione o la rivendicazione; 3) la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda; 4) l'eventuale indicazione di un titolo di prelazione, nonché la descrizione del bene sul quale la prelazione si esercita, se questa ha carattere speciale; 5) l'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata, al quale ricevere tutte le comunicazioni relative alla procedura, le cui variazioni è onere comunicare al curatore.

 

§  l’introduzione di preclusioni attenuate già nella fase monocratica;

 

Il riferimento sembra essere alla fase all'udienza davanti al giudice delegato (contrapposta a quella collegiale davanti al tribunale, in sede di impugnazione) fissata per l'esame dello stato passivo depositato dal curatore (art. 95, L.F.); il giudice, anche in assenza delle parti, decide su ciascuna domanda, nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d'ufficio ed a quelle formulate dagli altri interessati. Può, inoltre, procedere ad atti di istruzione su richiesta delle parti, compatibilmente con le esigenze di speditezza del procedimento.

 

§  assicurare stabilità alle decisioni sui diritti reali immobiliari;

La relazione illustrativa precisa, sul punto, che – pur lasciando inalterato il principio della “valenza solo endoconcorsuale dell'accertamento del passivo” vi è la necessità “di introdurre regole volte a garantire la stabilità delle decisioni sui diritti reali immobiliari (oltre al diritto di proprietà, il diritto di superficie l’enfiteusi, la servitù, l’usufrutto, uso e abitazione) per meglio salvaguardare l'esigenza di certezza dei terzi”.

 

§  attrarre nella sede concorsuale l’accertamento di ogni credito opposto in compensazione ex art. 56 L.F. La compensazione attualmente può avvenire anche in sede giudiziale, con pronuncia intervenuta dopo l'apertura della procedura concorsuale, quando il fatto genetico del credito sia anteriore alla dichiarazione di fallimento.

§  chiarire le modalità di verifica dei diritti sui beni del debitore di chi si sia costituito come terzo datore di ipoteca su tali beni;

§  adeguare i criteri civilistici di calcolo degli interessi alle modalità di liquidazione dell’attivo.

 

In base all’art. 55 L.F., la dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, da pegno o privilegio, salvo quanto è disposto dal terzo comma dell'articolo 54. Tale disposizione prevede che l’estensione del diritto di prelazione agli interessi è regolata dagli articoli 2749, 2788 e 2855, commi secondo e terzo, del codice civile, intendendosi equiparata la dichiarazione di fallimento all'atto di pignoramento. Per i crediti assistiti da privilegio generale, il decorso degli interessi cessa alla data del deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto anche se parzialmente.

 

Maggiori elementi di novità si intendono introdurre per quanto riguarda la liquidazione dell’attivo fallimentare, con una procedura improntata alla massima trasparenza ed efficienza da perseguire anche grazie all’ausilio delle più moderne tecnologie (comma 9).

Premesso che sull’intera gestione della liquidazione si deve garantire la massima vigilanza, trasparenza e pubblicità, il criterio di delega prevede la sostanziale applicazione del sistema cd. Common basato su tre elementi fondamentali:

§  l’introduzione di un mercato nazionale telematico unificato dei beni da vendere nella procedura,

§  la possibilità di acquisto di tali beni da parte dei creditori, appositamente abilitati, su tale mercato;

§  l’istituzione di un fondo per a gestione dei beni invenduti.

 

L’ultima serie di principi e criteri direttivi concerne misure acceleratorie volte a una rapida chiusura della procedura (comma 10).

Tali misure, in particolare, dovranno prevedere di affidare al curatore anche la fase di riparto dell’attivo (anziché al giudice delegato, cui si può, tuttavia, proporre opposizione) nonché di integrare la disciplina della procedura di liquidazione in relazione a procedimenti giudiziari pendenti (in cui sia parte il curatore).

Ulteriori misure acceleratorie riguardano.

§  la possibilità, in particolari ipotesi di chiusura della procedura di liquidazione di una società di capitali, che il curatore possa convocare l’assemblea ordinaria dei soci per assumere decisioni riguardanti, in particolare, la possibilità o meno di prosecuzione dell’attività d’impresa;

§  la disciplina per incentivare proposte (da parte dello stesso debitore, di creditori o terzi) di un concordato liquidatorio giudiziale nel caso in cui il debitore apporti nuove risorse che incrementino in misura apprezzabile l’attivo

Si ricorda che a tale misura rinvia espressamente l’art. 3, comma 3, lett. d), solo in caso di gestione unitaria della liquidazione giudiziaria dei gruppi di imprese.

Si valuti inoltre se occorra coordinare la disposizione sul concordato liquidatorio con l’art. 6, comma 1, lett. a), del disegno di legge, che stabilisce l’inammissibilità di proposte di natura essenzialmente liquidatoria.

 


 

Articolo 8
(L’esdebitazione)

 

L’articolo 8 detta principi e criteri direttivi per riformare l’istituto dell’esdebitazione.

 

Con il termine esdebitazione si intende la liberazione del fallito dai debiti residui, contratti verso quei creditori che abbiano ritenuto insoddisfacente l’esito di un procedimento concorsuale. 
L’istituto è stato introdotto nella legge fallimentare con il decreto legislativo n. 5 del 2006 e persegue la finalità di consentire all’imprenditore che si sia comunque comportato correttamente di avviare nuove iniziative imprenditoriali nonostante il pregresso fallimento senza essere gravato da debiti residui.

In base all’art. 142 della legge fallimentare, il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti a condizione che:

a) abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni;

b) non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura;

c) non abbia violato le disposizioni sugli obblighi di consegna della corrispondenza;

d) non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei 10 anni precedenti la richiesta;

e) non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito;

f) non sia stato condannato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. Se il procedimento penale è in corso, il tribunale sospende il procedimento fino all'esito di quello penale

L’esdebitazione non può essere concessa se non sono stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali.



Il beneficio non si estende: a) agli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque alle obbligazioni derivanti da rapporti estranei allesercizio dellimpresa; b) ai debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale, nonché alle sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti.

Lesdebitazione conseguita dal fallito non pregiudica i diritti vantati dai creditori nei confronti di coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso.

Il tribunale, su istanza del fallito (o dei suoi eredi), con il decreto di chiusura del fallimento o a seguito di ricorso presentato entro l’anno successivo, verificate le condizioni di cui all’art. 142 e tenuto altresì conto dei comportamenti collaborativi del medesimo, sentito il curatore e il comitato dei creditori, dichiara inesigibili i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente (art. 143 legge fallimentare). Contro il decreto (di rigetto o di accoglimento) che provvede sull’istanza, il debitore, i creditori non integralmente soddisfatti, il pubblico ministero e qualunque interessato possono proporre reclamo dinanzi alla Corte d’appello. La decisione sul reclamo è ricorribile per cassazione.

In particolare, la riforma dovrà prevedere, a seguito della procedura di liquidazione giudiziale:

 

·         che il debitore possa chiedere l’esdebitazione subito dopo la chiusura della procedura di liquidazione giudiziale o, in ogni caso, trascorsi 3 anni dall’apertura della procedura stessa (lettera a). I presupposti perché l’istituto sia applicato dal giudice sono:

-      la collaborazione con gli organi della procedura;

-      l’assenza di frode o malafede.

 

·         per le insolvenze di minore portata, che l’istituto dell’esdebitazione possa applicarsi di diritto e dunque senza la pronuncia di un apposito provvedimento del giudice. L’esdebitazione potrà operare di diritto a patto che non vi si oppongano i creditori, contestando la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’istituto. L’opposizione dovrà essere proposta al tribunale (lettera b);

 

·     che anche le società possano essere liberate dai debiti residui nei confronti dei creditori non soddisfatti nell’ambito della procedura concorsuale. A tal fine nelle società di capitali dovranno essere valutari i requisiti di meritevolezza degli amministratori e nelle società di persone quelli dei soci (lettera c).

 

 

Si ricorda che il tema della riabilitazione del fallito è ampiamente affrontato anche dalla Raccomandazione della Commissione UE n. 2014/135/UE, del 12 marzo 2014.

La Commissione europea si prefigge l’obiettivo di «dare una seconda opportunità in tutta l’Unione agli imprenditori onesti che falliscono […] ammettendoli al beneficio della liberazione dai debiti contratti nel corso delle attività».

In particolare, in base alla Raccomandazione:

«30) Sarebbe opportuno limitare gli effetti negativi del fallimento sull'imprenditore per dare a questi una seconda opportunità. L'imprenditore dovrebbe essere ammesso al beneficio della liberazione integrale dai debiti oggetto del fallimento dopo massimo tre anni a decorrere:

a) nel caso di una procedura conclusasi con la liquidazione delle attività del debitore, dalla data in cui il giudice ha deciso sulla domanda di apertura della procedura di fallimento;

b) nel caso di una procedura che comprenda un piano di ammortamento, dalla data in cui è iniziata l'attuazione di tale piano.

31) Alla scadenza del termine di riabilitazione, l'imprenditore dovrebbe essere liberato dai debiti senza che ciò comporti, in linea di principio, l'obbligo di rivolgersi nuovamente al giudice.

32) L'ammissione al beneficio della liberazione integrale dai debiti dopo poco tempo non è opportuna in tutti i casi. Gli Stati membri dovrebbero pertanto poter mantenere o introdurre disposizioni più rigorose se necessario per:

a) dissuadere gli imprenditori che hanno agito in modo disonesto o in mala fede, prima o dopo l'apertura della procedura fallimentare;

b) dissuadere gli imprenditori che non aderiscono al piano di ammortamento o ad altro obbligo giuridico a tutela degli interessi dei creditori, oppure

c) tutelare i mezzi di sostentamento dell'imprenditore e della sua famiglia, consentendo all'imprenditore di conservare alcune attività.

33) Gli Stati membri possono escludere dalla liberazione alcune categorie specifiche di debiti, quali quelli derivanti da responsabilità extracontrattuale».

 


 

Articolo 9
(Il sovraindebitamento)

 

L’articolo 9 detta principi e criteri direttivi per la revisione della disciplina della composizione delle crisi da sovraindebitamento, attualmente prevista dalla legge n. 3 del 2012, al fine di:

-      armonizzarla con le modifiche apportate all’insolvenza e alla crisi di impresa;

-      incentivarne l’utilizzo. Il Governo, nella relazione illustrativa, sottolinea infatti la «quasi totale disapplicazione dell’istituto, che in Italia – a differenza di quanto accade in altri Paesi europei ed extraeuropei – non sembra ancora aver incontrato il favore degli operatori e dei soggetti destinatari».

 

Con la legge n. 3 del 2012, al fine di contrastare l'usura e l'estorsione, il legislatore ha introdotto una nuova tipologia di concordato per comporre le crisi di liquidità di debitori, ai quali non si applicano le ordinarie procedure concorsuali.

Viene a tal fine disciplinato l'istituto della composizione delle crisi da sovraindebitamento, definito come una situazione di perdurante squilibrio economico fra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, nonché la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni; tale situazione può determinarsi a carico di persone fisiche, professionisti o imprenditori, non soggetti alle procedure fallimentari.

Il provvedimento delinea una procedura modellata sull'istituto del concordato fallimentare: la legge contempla lo strumento dell'accordo con i creditori, su proposta del debitore, sulla base di un piano di ristrutturazione dei debiti.

Su questo quadro normativo è poi intervenuto il decreto-legge n. 179 del 2012 che (art. 18) ha riformato il Capo II della legge 3/2012 introducendo un ulteriore procedimento per la composizione delle crisi da sovraindebitamento del consumatore, definito come il «debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta». Egli potrà - con l'ausilio degli organismi di composizione della crisi - proporre al giudice un piano di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti.

L'omologazione da parte del giudice dell'accordo presuppone l'accettazione da parte dei creditori che rappresentano almeno il 60 per cento dei crediti e prevede il coinvolgimento degli "organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento". Questi ultimi, costituiti ad hoc da enti pubblici e iscritti in apposito registro, svolgono in generale attività di assistenza al debitore per superare la crisi di liquidità, nonché di soluzione delle eventuali difficoltà insorte nell'esecuzione dell'accordo e di vigilanza sull'esatto adempimento dello stesso.

L'omologazione del piano da parte del giudice sarà fondata su un giudizio di meritevolezza della condotta del debitore (basato sulla ragionevolezza della prospettiva di adempimento delle obbligazioni) e sulla sua mancanza di colpa nella determinazione del sovraindebitamento. In caso di contestazioni da parte dei creditori, il giudice procederà all'omologazione soltanto se riterrà che il singolo credito possa essere meglio soddisfatto dal piano rispetto a quanto non sarebbe in caso di liquidazione del patrimonio del debitore.

Inoltre, il decreto-legge ha dettato una serie di disposizioni comuni ad entrambi i procedimenti incidendo sul contenuto del piano (sia esso prospettato dal debitore in prospettiva di un accordo, sia invece formulato dal consumatore), prevedendo la possibilità di un pagamento anche non integrale dei creditori privilegiati (con l'esclusione di determinati crediti tributari e previdenziali, dei quali è possibile la sola dilazione di pagamento).

Per quanto riguarda invece la posizione dei creditori rimasti estranei all'accordo proposto dal debitore, il decreto-legge ha ritenuto che questi siano sufficientemente tutelati dalla valutazione - dell'organismo di composizione della crisi e poi del tribunale - sulla convenienza dell'accordo di ristrutturazione rispetto alla liquidazione dei beni del debitore.

Il legislatore ha dunque introdotto una procedura alternativa, di liquidazione di tutti i beni del debitore, anche se consumatore, che subordina al verificarsi di determinate condizioni e a uno specifico giudizio del tribunale l'effetto di esdebitazione per i crediti non soddisfatti.

 

In particolare, il Governo dovrà riordinare e semplificare la disciplina del sovraindebitamento:

 

·         individuando i debitori assoggettabili a questa procedura. Tra questi dovranno essere ricomprese le persone fisiche, gli enti non assoggettabili a concordato preventivo o a liquidazione giudiziale, i soci illimitatamente responsabili. Il governo dovrà utilizzare come parametro, nella scelta se assoggettare o meno un debitore a questa procedura, anche quello della prevalenza delle obbligazioni assunte a diverso titolo. Se dunque un imprenditore si trova in una situazione di squilibrio finanziario occorrerà verificare quanto dei suoi debiti sia riconducibile all’attività imprenditoriale e quanto invece a consumi personali (lett. a);

 

·         prevedendo forme di gestione coordinata delle procedure di sovraindebitamento relative a più membri della stessa famiglia (lett. a).

 

La relazione illustrativa afferma che «le persone si indebitano spesso per sostenere l’attività di prossimi congiunti» e che per questo è opportuno prevedere «norme specifiche per la regolamentazione delle crisi della famiglia, attraverso la possibilità di presentazione di un unico piano congiunto ovvero mediante trattazione unitaria delle procedure attivate da più membri dello stesso nucleo familiare».

 

·         disciplinando procedure che consentano la prosecuzione delle attività già svolte dal debitore o la loro eventuale liquidazione, anche su istanza del debitore stesso (lett. b);

·         prevedendo come obbligatoria la soluzione liquidatoria se la crisi deriva da malafede o frode del debitore. In questo caso sarà altresì esclusa l’esdebitazione (lett. b);

·         consentire al debitore meritevole di accedere all’esdebitazione anche quando non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, anche futura. Tale possibilità dovrà essere offerta una sola volta; permane a carico del debitore l’obbligo di pagamento dei debiti se, entro 3 anni, sopravvengono utilità (lett. c); una specifica tipizzazione circa il “merito” del debitore sarà necessaria per garantire maggiormente la tutela dei creditori.

·         precludere l’accesso alle procedure al debitore che abbia già beneficiato per due volte dell’esdebitazione o che abbia beneficiato anche una sola volta dell’esdebitazione nei 5 anni precedenti alla domanda o che sia stato riconosciuto responsabile di frode in danno del creditori (lett. d). La delega dunque qualifica come meritevoli tutti i debitori che non rientrino nelle esclusioni dall’accesso alle procedure.

 

Questo passaggio è così spiegato dalla Relazione illustrativa: «Nel corso dell'istruttoria si è discusso su come configurare i requisisti di meritevolezza del debitore cui si applica la procedura di sovraindebitamento, al fine della sua possibile esdebitazione. A fronte di un'opinione che, paventando il rischio di troppo facile abuso dell'istituto, avrebbe preferito un regime più severo, è prevalso l'orientamento di chi, in linea con le legislazioni dei Paesi (anche extraeuropei) che vantano il più alto indice di applicazione delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, ha scelto di non esigere per l'ammissione alla procedura in questione requisiti soggettivi troppo stringenti. A ciò ha indotto la considerazione, da un lato, dell'eterogeneità qualitativa dei soggetti destinatari (spesso privi di livelli culturali idonei per rendersi conto del loro progressivo sovraindebitamento) e, da un altro lato, dell'oggettiva difficoltà di individuare rigorosi criteri di meritevolezza sicuramente verificabili, in rapporto all'estrema varietà delle condizioni di vita che possono determinare situazioni individuali di grave indebitamento, senza rischiare di generare un contenzioso dalle proporzioni difficilmente prevedibili o senza, altrimenti, finire per restringere a tal punto la portata dell'istituto da frustrare sostanzialmente le finalità di politica economica ad esso sottese, consistenti, come già accennato, non tanto in una forma di premialità soggettiva, quanto piuttosto nel consentire una nuova opportunità a soggetti schiacciati dal peso di un debito divenuto insopportabile.

In tale ottica, si è quindi optato per l'inserimento di requisiti negativi, ostativi ai benefìci di legge, individuati nella mala fede o nel compimento di atti di frode (la mala fede tendenzialmente rilevante nel momento della contrazione del debito, la frode normalmente operante nelle fasi precedenti o successive all'ammissione alla procedura). Al fine di temperare l'ampiezza dei requisiti soggettivi di meritevolezza, si sono ipotizzati però un limite temporale per la reiterazione della richiesta di esdebitazione (cinque anni) e un limite massimo alle richieste (in numero di tre, salvo che la precedente procedura non abbia apportato alcuna utilità ai creditori, nel qual caso l'effetto esdebitatorio non è più conseguibile)».

 

·         introdurre misure protettive simili a quelle previste per il concordato preventivo, revocabili su istanza dei creditori o d’ufficio in caso di atti di frode (lett. e);

 

·         prevedere che l’iniziativa per l’apertura delle soluzioni liquidatorie, anche in pendenza di procedure esecutivo individuali sia attribuita ai creditori e, quando l’insolvenza riguarda un imprenditore, anche al pubblico ministero (lett. f);

 

·         consentire l’esdebitazione delle persone giuridiche, con modalità e procedure semplificate. Escludere tale beneficio solo se ricorrono ipotesi di frode accertata o di volontario inadempimento del piano o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (lett. g);

 

·         prevedere sanzioni a carico del creditore che abbia colpevolmente contribuito all’aggravamento della situazione di indebitamento. Le sanzioni potranno anche avere natura processuale e riferirsi ai poteri di impugnativa e di opposizione (lett. h);

 

La Relazione illustrativa giustifica così questo principio di delega: «poiché alla determinazione di una situazione di sovraindebitamento del consumatore concorre spesso il creditore, mediante la violazione di specifiche regole di condotta, si è ipotizzata la necessità di responsabilizzare il soggetto concedente il credito attraverso la predisposizione di sanzioni, eventualmente anche di tipo processuale (limitando, ad esempio, le sue facoltà di opposizione)».

 

·         in caso di frode o inadempimento, consentire ai creditori e al PM di richiedere la conversione della procedura di sovraindebitamento in procedura liquidatoria (lett. i).

 

Diversamente da quanto previsto nella relazione illustrativa, non sono espressamente indicati tra i principi e criteri direttivi  il contenimento dei costi della procedura e gli oneri informativi a carico degli ordini professionali.


 

Articolo 10
(I privilegi)

 

L’articolo 10 stabilisce che il Governo - in relazione alla delega prevista dall’art. 1, comma 1, del disegno di legge - debba procedere alla revisione del sistema dei privilegi, nell’ottica di una loro riduzione.

 

Il privilegio – come il pegno e l’ipoteca – è una causa legittima di prelazione che trova il suo fondamento nella particolare natura del credito (art. 2745 c.c.).

Ciò significa che, nonostante tutti i creditori debbano essere soddisfatti in ugual misura dal patrimonio del debitore (par condicio creditorum), il credito assistito da privilegio deve essere soddisfatto prima degli altri nell’esecuzione dell’obbligazione in quanto ritenuto dalla legge degno di maggior tutela; il privilegio è perciò un diritto di essere preferiti e causa di prelazione è quella che inerisce al credito rendendolo privilegiato, adempiendo funzione di garanzia delle obbligazioni. Il creditore munito di causa di privilegio su un bene può aggredirlo anche se acquistato da terzi (cd. diritto di seguito o di sequela), diversamente dal creditore chirografaro che deve prima aver esperito l’azione revocatoria

Va ricordato che i privilegi – previsti nel codice civile e in leggi speciali - oltre a rispondere a situazioni eccezionali che trovano fondamento nella legge - sorgono solitamente in maniera automatica (appunto, per la particolare natura del credito), senza bisogno di essere pattuiti dalle parti come nel caso del pegno o dell’ipoteca. Ciò non impedisce, tuttavia, che la costituzione di un privilegio possa dalla legge essere subordinata a convenzione tra creditore e debitore nonchè a particolari forme di pubblicità (art. 2745 c.c). In ogni caso (art. 2749 c.c.), il privilegio si estende, oltre che al credito cui si riferisce: anche alle spese ordinarie per l’intervento nel processo di esecuzione; agli interessi dovuti nell’anno del pignoramento e in quello precedente; agli interessi legali dalla data del pignoramento a quella della vendita.

L’art. 2741 c.c. prevede le cause legittime di prelazione tipiche – il privilegio, il pegno e l’ipoteca – disciplinando anche i possibili conflitti delle une con le altre.

 

I privilegi si dividono in:

- mobiliari e immobiliari in ragione dell’oggetto (beni mobili o immobili) dedotto nell’obbligazione;

- generali e speciali, a seconda che riguardino tutti o alcuni, specifici beni del debitore (art. 2746 c.c.).

Il privilegio generale è previsto per i soli beni mobili (artt. 2751-2754) ed è riconosciuto dalla legge non per il rapporto col bene che ne è oggetto bensì per il particolare rilievo della causa del credito; da qui, la scelta del legislatore di non prevedere un privilegio su uno specifico bene mobile del debitore, ma di estenderlo a tutti i suoi beni mobili. Il privilegio generale, non permette, tuttavia, di rivendicare il credito se i beni escono dal patrimonio del debitore e si esercita solo in sede di espropriazione forzata dei beni, di concorso e di distribuzione del prezzo fra i creditori. Hanno, ad esempio privilegio generale i crediti: per spese funebri, per infermità e per alimenti (art. 2751 c.c.); per retribuzioni e indennità dovute per lavori dipendente (art. 2751-bis c.c.); per tributi diretti dello Stato, per l’IVA e per tributi locali (art. 2752 c.c.); per mancato versamento di contributi da parte del datore di lavoro (artt. 2753 e 2754 c.c).

In relazione all’ambito di operatività (art. 2747 c.c.), il privilegio generale mobiliare non può esercitarsi in pregiudizio dei diritti spettanti ai terzi, salvi gli effetti del pignoramento; sostanzialmente, il creditore assistito da privilegio generale gode di priorità solo a seguito del pignoramento; prima di questo, non ha poteri maggiori rispetto ai creditori chirografari.

Il privilegio speciale è, invece, riconosciuto dalla legge, sia sui beni mobili che sugli immobili, proprio in virtù dello stretto rapporto tra il credito ed il bene oggetto del privilegio (qui, non rileva la causa del credito). Ad esempio, chi riceve in deposito un bene ha il privilegio per il pagamento dell’attività di custodia sullo stesso bene finché esso è presso di lui (art. 2761 c.c.).

Il citato art. 2747 c.c., regolando i conflitti tra crediti privilegiati speciali mobiliari e altri diritti reali di proprietà o di godimento in capo a terzi, precisa la regola generale secondo cui il creditore privilegiato ha diritto di seguito, consistente nell’inopponibilità dei diritti sul bene acquistati dopo il sorgere del privilegio. I terzi, per contrastare il privilegio speciale mobiliare, dovranno quindi dare prova dell’anteriorità del loro diritto (atto avente data certa per i mobili non registrati; trascrizione per quelli registrati). Analoghi conflitti relativi a privilegi speciali immobiliari, secondo la giurisprudenza, andrebbero regolati secondo il principio generale della prevalenza di chi per primo ha acquistato il diritto sul bene immobile (mediante la trascrizione).

Hanno privilegio speciale mobiliare (artt. 2755-2769 c.c.) - tra gli altri - i crediti per spese di giustizia fatte per atti conservativi o per l’espropriazione di beni mobili (sui beni stessi, art. 2755 c.c.); i crediti per prestazioni e spese di conservazione e miglioramento dei beni (sui beni stessi, art. 2756 c.c.); i crediti per somministrazione di sementi e prodotti per la coltivazione nonché i relativi lavori agricoli hanno (sui frutti alla cui produzione hanno concorso, art. 2757 c.c.); i crediti per tributi indiretti (sui mobili ai quali si riferiscono, art. 2758 c.c.); i crediti per le imposte sul reddito, limitatamente ai 2 anni precedenti (sui mobili che servono all’esercizio dell’impresa commerciale e sulle merci, art. 2759 c.c.); i crediti dell’albergatore per mancato pagamento da parte della persona ospitata (sulle cose di questi lasciate in albergo, art. 2760 c.c.); i crediti del vettore dipendenti dal contratto di trasporto (sulle cose trasportate).

Godono di privilegio speciale immobiliare (artt. 2770-2776 c.c.), anche qui, i crediti: per spese di giustizia, atti conservativi e atti di espropriazione di beni immobili (art. 2770 c.c.); per crediti dello Stato per tributi indiretti (art. 2772 c.c.); per crediti dovuti allo Stato per concessione di acque (il privilegio si esercita sugli impianti, art. 2774 c.c.); per opere di bonifica e miglioramento del fondo (sugli immobili che beneficiano della bonifica, art. 2775 c.c.).

Ad una specifica disciplina dettata dal codice della navigazione sono, invece, soggetti i privilegi marittimi e aeronautici costituiti a garanzia di particolari crediti della navigazione (art. 2750 c.c.). Tali crediti riguardano beni mobili della navigazione (la stessa nave o aeromobile, nolo, cose caricate a bordo) e godono di una super prelazione, dovendo essere soddisfatti prima dei crediti assistiti da privilegi generali e speciali di diritto comune (art. 548 c.n.). L’applicazione della disciplina civilistica sull’ordine dei privilegi (artt. 2777, 2778 c.c) potrà essere applicata solo in via residuale ove le regole contenute nel codice della navigazione non siano in grado di trovare applicazione né direttamente, né mediante ricorso all’analogia.

Esercitandosi su singoli beni del debitore vincolandoli il privilegio speciale può venire in conflitto con gli altri diritti reali di garanzia. Da qui la necessità dell’iscrizione del privilegio speciale per renderne pubblica la conoscenza, e l’attribuzione del diritto di seguito (o sequela). Regola generale dettata dal codice civile è che, fatta salva diversa disposizione di legge, il diritto di pegno prevale sul privilegio speciale mobiliare; viceversa, il privilegio speciale immobiliare prevale sull’ipoteca (art. 2748, c.c.).

 

Nel caso che i crediti privilegiati si trovino in concorso è la legge a regolare l’ordine dei privilegi (artt. 2777-2783 c.c.), indicando quali sono i crediti da soddisfare con precedenza.

In relazione ai privilegi generali sui mobili - accordati a garanzia delle spese strettamente necessarie a favore del debitore per le quali non esiste un obbligo di natura giuridica da parte del creditore -il loro ordine prevede (art. 2751 c.c.):

1) le spese funebri;

2) le spese di infermità negli ultimi sei mesi di vita del debitore;

3) le somministrazioni necessarie di vitto, vesti e alloggio per il debitore e la famiglia negli ultimi sei mesi di vita del debitore;

4) i crediti di alimenti per gli ultimi tre mesi di vita del debitore a favore delle persone cui gli alimenti sono dovuti per legge.

Va rilevato che nonostante queste quattro categorie di privilegi rispondano a motivi equitativi e di solidarietà sociale, in caso di concorso con altri privilegi sui mobili, sono collocati dall’art. 2778 c.c. al 17° posto (su 20) nell’ordine di priorità.

Hanno, poi, privilegio generale mobiliare (art. 2751 bis, c.c.) i crediti di lavoro, comprese le indennità per la cessazione del rapporto, per i prestatori di lavoro subordinato; le retribuzioni dei professionisti per gli ultimi due anni; le provvigioni dell’ultimo anno e le indennità per la cessazione del rapporto di agenzia; i crediti dell’impresa artigiana e delle società ed enti cooperativi per i corrispettivi dei servizi prestati e della vendita dei manufatti. Godono pure di privilegio. generale sui mobili: lo stato per i tributi diretti e l’IVA; gli enti locali per i tributi per la finanza locale, l’imposta di pubblicità e i diritti sulle pubbliche affissioni (art. 2752 c.c); gli enti di previdenza per i contributi di assicurazione obbligatoria di anzianità e vecchiaia (art. 2753 c.c.) e per altre forme di assicurazione (art. 2754 c.c.).

 

Se vi sia concorso di privilegi generali e speciali mobiliari, si prevede che tali crediti sono soddisfatti nell’ordine previsto dall’art. 2777 c.c.:

1) crediti per spese di giustizia (preferiti anche a crediti pignoratizi e ipotecari);

2) crediti per retribuzione da lavoro subordinato;

3) crediti per retribuzioni di professionisti o di altro prestatore d’opera e per provvigione derivante da rapporto d’agenzia;

4) crediti del coltivatore diretto, di impresa artigiana o delle cooperative di lavoro.

Soddisfatti i crediti di cui all’art. 2777, segue l’ordine degli altri privilegi (generali e speciali) sui mobili: nella stessa ipotesi di concorso, l’art. 2778 c.c. elenca 20 ulteriori tipologie di crediti da soddisfare con priorità (dal n. 1 dei crediti per contributi a istituti, enti o fondi speciali che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria, al n. 20 dei crediti per le imposte, tasse e tributi dei comuni e delle province previsti dalla legge per la finanza locale e dalle norme relative all'imposta comunale sulla pubblicità e ai diritti sulle pubbliche affissioni).

Sempre seguendo la stessa tecnica viene previsto l’ordine dei privilegi immobiliari (art. 2880 c.c.): quando sul prezzo dello stesso immobile concorrono più crediti privilegiati, la prelazione ha luogo secondo un ordine di 6 categorie di crediti (dal n. 1 dei crediti su imposte sui redditi immobiliari come Irpeg, Irpeg, Ilor, al n. 5-bis dei crediti del promissario acquirente per mancata esecuzione del contratto preliminare).

Specifiche disposizioni sono dettate per casi ulteriori. In caso di concorso di privilegi speciali con crediti garantiti con pegno e uno dei privilegi debba essere preferito al pegno, tale privilegio prevale su tutti gli altri che devono essere posposti al pegno, anche se di grado anteriore (art. 2781 c.c.). Ne sono esempio, in leggi speciali, le imposte ipotecarie (art. 8, L. 347/1990), i crediti per finanziamento di industrie (art. 7, D.Lgs. Lgt. 367/1944), il credito peschereccio, per acquisto e costruzione battelli (art. 50, RD 1604/1931); nel codice civile, oltre che rispetto alle spese di giustizia, il creditore pignoratizio è posposto, come grado, rispetto a numerosi privilegi speciali (artt. 2756-2760 e 2764 c.c.) quando il creditore, al momento del loro sorgere, ignori l’esistenza del pegno.

Tra crediti con lo stesso grado di privilegio, il concorso avviene in proporzione del rispettivo importo; analoga regola si segue per il concorso di più crediti privilegiati cui leggi speciali attribuiscono genericamente una prelazione su ogni altro credito (art. 2782 c.c.); Se la legge non prevede un grado di preferenza di un determinato privilegio speciale, questo assume il grado successivo a quello di ogni altro privilegio regolato nel codice civile (art. 2783 c.c.).

 

L’importanza della delega prevista dall’art. 10 deriva dal rilievo che il sistema dei privilegi - ormai ritenuto obsoleto - esercita sulla ripartizione dell’attivo fallimentare.

Come noto, infatti, alla ripartizione dell’attivo accertato tra i creditori si procede per categorie di credito; queste ultime sono, in ordine di liquidazione (art. 111, L.F.):

§  i crediti prededucibili (quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali oltre a quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge);

§  i crediti privilegiati, in quanto assistiti da cause legittime di prelazione;

§  i crediti non garantiti (cd. crediti chirografari).

 

L’art. 54 L.F. prevede le modalità di esercizio del diritto dei creditori privilegiati nella ripartizione dell'attivo. I creditori garantiti da privilegio, pegno o ipoteca fanno valere il loro diritto di prelazione sul prezzo dei beni vincolati per il capitale, gli interessi e le spese e, se non sono soddisfatti integralmente, concorrono, per quanto è ancora loro dovuto, con i creditori chirografari nelle ripartizioni del resto dell'attivo.I creditori privilegiati hanno diritto di concorrere anche nelle ripartizioni che si eseguono prima della distribuzione del prezzo dei beni vincolati a loro garanzia; in tal caso, se ottengono un'utile collocazione definitiva su questo prezzo per la totalità del loro credito, computati in primo luogo gli interessi, l'importo ricevuto nelle ripartizioni anteriori viene detratto dalla somma loro assegnata per essere attribuito ai creditori chirografari. Se la collocazione utile ha luogo per una parte del credito garantito, per il capitale non soddisfatto essi hanno diritto di trattenere solo la percentuale definitiva assegnata ai creditori chirografari. L'estensione del diritto di prelazione agli interessi è regolata dagli articoli 2749, 2788 e 2855, commi secondo e terzo, del codice civile, intendendosi equiparata la dichiarazione di fallimento all'atto di pignoramento. Per i crediti assistiti da privilegio generale, il decorso degli interessi cessa alla data del deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto anche se parzialmente.

 

Secondo la relazione illustrativa del disegno di legge, i numerosi interventi della legislazione speciale sul complessivo sistema dei privilegi hanno causato seri problemi sistematici che invitano ad una rivisitazione complessiva della materia all'esito di una scrupolosa rassegna di tutte le figure di privilegio oggi esistenti nell'ordinamento. Particolare attenzione dovrà essere rivolta alla riduzione dei privilegi cd. retentivi; sempre secondo la citata relazione, mentre molti privilegi speciali retentivi hanno perso quasi completamente di attualità, nuove situazioni emergenti potrebbero apparire oggi altrettanto (o anche più) meritevoli di una considerazione privilegiata.

 

I privilegi cd. retentivi (o possessori) sono privilegi speciali mobiliari che – oltre a poter essere soddisfatti con precedenza sul ricavato dei beni oggetto di privilegio – hanno la prerogativa di poter essere tenuti dal creditore presso di sé fino alla soddisfazione del credito e di poter essere venduti, in caso di inadempimento, secondo le disposizioni stabilite per la vendita del pegno, quindi al di fuori delle normali procedure esecutive. Sono privilegi retentivi quelli di cui agli articoli 2756 (crediti per spese di conservazione e miglioramento di beni mobili, sui beni mobili stessi) e 2761 (crediti del vettore sulle cose trasportate; del mandatario, del depositario e del sequestratario, sulle cose detenute o sequestrate) del codice civile.

La legge fallimentare (art. 53) ha dettato una disciplina speciale per i crediti assistiti da privilegi retentivi. Come quelli garantiti da pegno, questi possono essere realizzati anche durante il fallimento, dopo essere stati ammessi al passivo con prelazione. Il bene oggetto del privilegio:

-      può essere venduto dal creditore, autorizzato dal giudice delegato, il quale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, stabilisce con decreto il tempo della vendita, determinandone le modalità (di regola, salvo i beni di modesto valore, mediante procedure competitive, adeguatamente pubblicizzate);

-      può essere riscattato dal curatore, pagando il creditore, sempre previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori o può direttamente, essere venduto dal curatore con le modalità indicate.

 

Secondo la delega il Governo dovrà, quindi, procedere al riordino del sistema dei privilegi operando su un doppio piano:

§  riducendo i privilegi generali e speciali (in particolare, quelli di natura retentiva);

§  adeguando, di conseguenza, l’ordine della cause legittime di prelazione.

 

Le disposizioni dell’art. 10 mancano di specifici principi e criteri direttivi da utilizzare in sede di attuazione della delega.

 


 

Articolo 11
(Le garanzie non possessorie)

 

L’articolo 11 detta i principi e criteri direttivi per l’attuazione della delega prevista dall’art. 1, comma 1, volta alla revisione del sistema della garanzie reali mobiliari.

 

La categoria dei diritti reali di garanzia comprende il pegno e l’ipoteca.

In entrambi gli istituti, che necessitano di forma scritta, vi è un bene a garanzia di un credito, la cui disposizione da parte del proprietario-debitore è limitata. Diversamente che nei privilegi, strettamente attinenti alla causa del credito fin dalla sua nascita, i diritti reali di garanzia si costituiscono per volontà delle parti, avendo bisogno di un proprio titolo costitutivo (contratto per il pegno; contratto e atto unilaterale inter vivos per l’ipoteca). Oltre che per i beni che ne sono oggetto, l’ipoteca si distingue dal pegno sia perché la sua costituzione richiede una speciale formalità consistente nell'iscrizione nei pubblici registri sia, e soprattutto, perché all’ipoteca non segue necessariamente lo spossessamento del bene, il cui godimento rimane al proprietario (debitore).

Il titolare del diritto ha, come nei privilegi, sia un diritto di sequela nei confronti del bene (può farne oggetto di esecuzione per la soddisfazione del suo credito) che un diritto di prelazione rispetto agli altri creditori in caso di vendita forzata

La legge, per evitare l’abusivo trasferimento del bene nella proprietà del creditore prevede il divieto del cd. patto commissorio (art. 2744 c.c.); è nullo, infatti, l’autonomo patto con cui creditore e debitore convengano che, al mancato pagamento, la cosa data in garanzia pignoratizia o ipotecaria (indipendentemente dal suo valore, anche maggiore, rispetto al credito) passi in proprietà del creditore.

Della categoria delle garanzia reali mobiliari fa parte il pegno e, solo in via residuale, l’ipoteca (nei casi specifici di beni mobili registrati come navi, aerei e autoveicoli e rendite dello Stato, art. 2810 c.c.) che riveste quasi sempre natura immobiliare.

Il pegno è un diritto reale mobiliare - costituito a garanzia dell’obbligazione dal debitore o da un terzo per il debitore (art. 2784 c.c.) - che si costituisce con la consegna del bene al creditore, cui viene conferita l’esclusiva disponibilità della cosa (art. 2786 c.c.). Proprio lo spossessamento del bene in favore del creditore costituisce nel pegno l’elemento di garanzia inerente l’adempimento dell’obbligazione.

Sono oggetto di pegno i beni mobili, le universalità di mobili, i crediti ed altri diritti aventi per oggetto beni mobili; può essere oggetto della garanzia anche un documento da cui si ricava la sua costituzione (art. 2801 c.c.). In tal caso il documento deve essere consegnato dal debitore al creditore; sia il bene che il documento possono anche essere consegnati a un terzo designato dalle parti o essere dati in custodia ad entrambi (il debitore tuttavia non deve poterne disporre senza la cooperazione del creditore).

Caratteristiche del pegno sono: l’accessorietà, la specialità (elementi comuni anche all’ipoteca) nonchè il carattere spiccatamente possessorio.

L’accessorietà deriva dal fatto che la garanzia si estingue in conseguenza dell’estinzione dell’obbligazione così come per l’inesistenza del credito o per la nullità o inefficacia del contratto costitutivo della garanzia. La specialità del pegno concerne il suo oggetto, potendo riguardare sempre un singolo, specifico bene; non vi sono pegni collettivi ma tanti singoli diritti di pegno (al contrario del privilegio, che può essere generale).

Il carattere reale del pegno deriva dalla forma di costituzione della garanzia ovvero la materiale consegna della cosa nelle mani del creditore, cui è trasferita l’esclusiva disponibilità della cosa (art. 2786 c.c.). Tale disponibilità da parte del creditore caratterizza a sua volta il profilo possessorio della garanzia pignoratizia, collegato allo spossessamento del bene da parte del debitore in favore del creditore (caso residuale appare quello del pegno senza spossessamento, come nel caso di pegno sui prosciutti DOC).

Non a caso, alla perdita della diretta disponibilità del bene oggetto del pegno, consegue l’impossibilità di far valere il diritto di prelazione (art. 2787 c.c.); in caso di perdita del possesso del bene in garanzia, il creditore, oltre all’azione di reintegra, può esercitare l’azione di rivendicazione (art. 2789 c.c.).

 

Il primo criterio di delega (lett. a) prevede l’introduzione nell’ordinamento di una nuova garanzia reale mobiliare di natura non possessoria alla cui costituzione sono connessi gli ulteriori principi e criteri direttivi.

Ci si riferisce, quindi, a una nuova forma di pegno mobiliare a garanzia del credito in cui il debitore - diversamente che nel pegno (possessorio) – non si spossessa del bene mobile che ne è oggetto; la mancata disponibilità del bene da parte del creditore garantito è compensata da adeguate forme di pubblicità che, nello specifico, consistono nell’iscrizione della garanzia in un apposito registro informatizzato.

Il pegno non possessorio potrà avere ad oggetto beni mobili:

§  materiali o immateriali, anche futuri;

§  determinati o indeterminabili, salva la necessaria indicazione dell’ammontare massimo garantito;

§  crediti diversi ed ulteriori rispetto a quelli inizialmente determinati.

 

Di tale nuova forma di garanzia non possessoria il legislatore delegato dovrà disciplinare:

§  i requisiti, prevedendo - conformemente al pegno possessorio - la necessità della forma scritta;

§  le modalità di costituzione (è esplicitata la possibilità di costituire la garanzia anche con l’iscrizione nel citato registro informatizzato);

§  i casi di opponibilità ai terzi;

§  il possibile concorso con altre cause legittime di prelazione.

 

In relazione agli effetti della garanzia, uno dei criteri di delega stabilisce (lett. c):

§  che il debitore che la costituisce – salvo diversi accordi con il creditore - potrà continuare ad avere la disponibilità del bene mobile dato in pegno, utilizzandolo anche nell’esercizio della sua attività economica - nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza - senza tuttavia mutarne la destinazione economica,

§  che il diritto di prelazione potrà estendersi in tal caso – senza effetto novativo per la garanzia originaria - dai beni inizialmente garantiti a quelli che risulteranno dagli atti di disposizione da parte del debitore;

 

Come riportato nella relazione illustrativa del disegno di legge, il modello su cui si base tale ultima previsione è quello del pegno rotativo, largamente diffuso nella prassi bancaria e il cui modello contrattuale è il pegno su titoli. Si tratta di un contratto costitutivo di garanzia reale con il quale un soggetto, per ottenere un'anticipazione dalla banca o per costituirsi una garanzia per i propri debiti (anche futuri), offre in pegno strumenti finanziari; una volta scaduto il titolo, la banca con il ricavato possa acquistare altri e nuovi titoli o strumenti finanziari da sottoporre all'originario vincolo di garanzia reale. La caratteristica del pegno rotativo consiste nella clausola di rotatività, con la quale le parti convengono sulla possibilità di sostituire il bene originariamente costituito in garanzia, senza che questa sostituzione comporti novazione del rapporto di garanzia, e sempre che il bene offerto in sostituzione abbia identico valore.

 

§  il creditore potrà, in ogni caso, promuovere azioni conservative o inibitorie sul bene in caso di abuso nell’utilizzazione da parte del debitore.

 

Il primo riferimento dovrebbe essere al sequestro conservativo (art. 671 c.p.c) che può essere autorizzato dal giudice su domanda del creditore che abbia fondato timore di perdere la garanzia del credito. Il sequestro crea un vincolo di indisponibilità sui beni che ne sono oggetto, affidati ad un custode, nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento. La tutela inibitoria si attiva mediante un'azione giudiziale con la quale viene ordinato a un soggetto di astenersi da un comportamento antigiuridico; tale azione è diretta specificatamente a prevenire il verificarsi dell'evento dannoso, ovvero, qualora questo sia già in atto, impedire il protrarsi delle conseguenze pregiudizievoli. Sono esempi di azioni inibitorie: quelle per il pericolo di danno alle cose ipotecate (art. 2813 c.c.); le denunce di nuova opera o danno temuto (artt. 1171 e 1172 c.c.); l’art. 949 c.c. per turbative o molestie sulla cosa propria). Ulteriore, tipico esempio di tutela inibitoria è quella che si ottiene in via di urgenza ex art. 700 c.cp. in relazione agli atti di concorrenza sleale di cui all’art. 2589 c.c..

 

Un ulteriore criterio di delega (lett. b) riguarda specificamente il citato registro informatizzato ove iscrivere il pegno non possessorio. In sede di attuazione, si dovranno regolamentare forme, contenuto ed effetti dell’iscrizione nel registro prevedendo:

§  la sua accessibilità al pubblico per via telematica con modalità che salvaguardino le esigenza di riservatezza dei dati;

§  la possibilità di consultazioni, iscrizioni, annotazioni, modifica, rinnovo ed estensione delle garanzie iscritte;

§  la regolamentazione del possibile concorso di garanzie ,derivante da annotazioni plurime (sullo stesso bene);

§  la copertura delle spese relative alla gestione del registro con l’imposizione (anche in via regolamentare) di un importo in denaro da parte degli interessati alle indicate operazioni sul registro stesso.

 

Una specifica previsione contenuta tra i criteri di delega introduce una deroga al divieto di patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c. (lett. d).

Come ricordato, si tratta del patto con cui il debitore conviene col creditore che questi possa acquistare la proprietà del bene garantito in caso di mancato pagamento del credito entro il termine stabilito (ciò, anche in caso di valore del bene maggiore rispetto al credito cui si riferisce la garanzia).

 

La normativa delegata dovrà consentire che il creditore possa escutere in via stragiudiziale la garanzia in deroga al citato divieto (acquisendo, quindi, la proprietà del bene) quando il valore del bene sia determinato in maniera oggettiva.

Nella eventualità che il valore di realizzo o assegnazione del bene sia maggiore di quello del credito, andrà però immediatamente restituita l’eccedenza al debitore o ad altri creditori.

 

L’ultimo criterio direttivo (lett. e) prevede:

§  forme di pubblicità e di controllo del giudice sull’escussione stragiudiziale della garanzia, di cui alla lett. d);

§  la regolamentazione dei rapporti di tale escussione con l’esecuzione forzata e le procedure concorsuali;

§  l’adozione di misure di protezione del debitore-consumatore;

§  forme di tutela dei terzi che abbiano contrattato col debitore non spossessato o che abbiano, in buona fede, acquistato diritti sul bene mobile oggetto del pegno;

§  il coordinamento della disciplina del pegno non possessorio con la normativa vigente.

 

Il comma 2 autorizza la spesa di 150.000 euro per il 2017, per l’attuazione del comma 1, disciplinando la relativa copertura.

 


 

Articolo 12
(Rapporto tra liquidazione giudiziale e sequestro e confisca penale)

 

L’articolo 12 stabilisce principi e criteri direttivi di delega, volti a disciplinare i casi in cui la procedura fallimentare (ora di liquidazione giudiziale) si interseca con i procedimenti ablatori su beni di soggetti sottoposti a procedura concorsuale disposti dalla magistratura penale.

Come sottolineato dalla relazione illustrativa, non poche sono state le difficoltà di coordinamento della disciplina fallimentare con quella in materia di sequestro e confisca antimafia, soprattutto per le diverse logiche sottese ai provvedimenti di apprensione del bene: quelle penali, di natura pubblicistica; quelle del procedimento concorsuale, volte al soddisfacimento dei creditori.

 

Poiché l’'azione di prevenzione antimafia può essere esercitata anche indipendentemente dall'esercizio dell'azione penale, analoghe problematiche si sono verificate in relazione ai rapporti tra sequestro e confisca antimafia e le stesse misure disposte nel corso di procedimenti penali. Una specifica disciplina in materia è ora dettata dall’art. 30 del Codice antimafia (D.Lgs. 159/2011).

 

Dalla necessità di contemperare le diverse esigenze si vuole distinguere tra sequestro e confisca disposti in sede di prevenzione antimafia (ai sensi del citato Codice antimafia) e le stesse misure disposte per responsabilità dell’ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001: nel primo caso, per la specificità della criminalità organizzata mafiosa (che giustifica il ricorso ad un giudice specializzato) è data prevalenza alla disciplina antimafia su quella concorsuale; nel secondo (fatte salve ragioni di preminente tutela di interessi penali) viene data prevalenza alla disciplina sul regime concorsuale.

Nell’esercizio della delega si rende necessario, quindi, in relazione a tali sovrapposizioni di competenza sui beni, il coordinamento delle citate discipline dettate dal Codice antimafia e dal D.Lgs. 231 del 2001, sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

 


 

Articolo 13
(Le modifiche al codice civile)

 

L’articolo 13 autorizza il Governo, in sede di riforma, a modificare alcune disposizioni del codice civile.

Si osserva che l’alinea del comma 1 da un lato circoscrive gli interventi sul codice civile alle disposizioni espressamente richiamate («modifiche delle seguenti disposizioni del codice civile»); dall’altro, nell’anticipare l’elencazione delle modifiche autorizzate, si riferisce a un elenco non chiuso bensì’ con carattere esemplificativo.

 

Il Governo dovrà:

 

·         prevedere l’applicabilità dell’art. 2394 del codice civile, relativo alla responsabilità degli amministratori delle società per azioni verso i creditori sociali, anche alle società a responsabilità limitata (lett. a);

 

L’art. 2394 del codice civile è inserito nel Capo V, relativo alle società per azioni e prevede la responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. La relativa azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.

 

·         abrogare l’art. 2394-bis del codice civile, sulle azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali (lett. a).

 

L’articolo 2394-bis stabilisce che, in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria le azioni di responsabilità spettano al curatore del fallimento, al commissario liquidatore e al commissario straordinario.

Si tratta di una disposizione introdotta dalla riforma del 2003 che non ha un contenuto realmente innovativo, ma si limita a ribadire quanto già risulta da altre disposizioni contenute in leggi speciali. Infatti, già gli artt. 146 e 206 della legge fallimentare prevedono espressamente che dopo l'apertura della procedura concorsuale l'azione di responsabilità, a norma degli artt. 2393 e 2394, sia esercitata dal curatore e dal commissario liquidatore; quanto all'amministrazione straordinaria, l'art. 36 del d.lgs. n. 270 del 1999 stabilisce che «si applicano alla procedura di amministrazione straordinaria, in quanto compatibili, le disposizioni sulla liquidazione coatta amministrativa, sostituito al commissario liquidatore il commissario straordinario» e rende, di conseguenza, operante anche l'art. 206 LF, con conseguente attribuzione al commissario straordinario della legittimazione all'esercizio dell'azione di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c.

 

·         affermare nel codice civile il dovere dell’imprenditore e degli organi della società di creare strutture interne all’impresa tali da consentire una tempestiva rilevazione dello stato di crisi, per potere altrettanto tempestivamente attivarsi per adottare uno degli strumenti di superamento della crisi e di recupero della continuità aziendale previsti dalla riforma (lett. b);

·         integrare l’elenco delle cause di scioglimento delle società di capitali (di cui all’art. 2484 c.c.), includendovi anche l’assoggettamento alla procedura di liquidazione giudiziale (lett. c);

 

In base all’art. 2484 del codice civile, le società di capitali (società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata) si sciolgono:

1) per il decorso del termine;

2) per il conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, salvo che l'assemblea, all'uopo convocata senza indugio, non deliberi le opportune modifiche statutarie;

3) per l'impossibilità di funzionamento o per la continuata inattività dell'assemblea;

4) per la riduzione del capitale al disotto del minimo legale;

5) nelle ipotesi previste dagli articoli 2437-quater (liquidazione) e 2473 (recesso del socio);

6) per deliberazione dell'assemblea;

7) per le altre cause previste dall'atto costitutivo o dallo statuto.

La società inoltre si scioglie per le altre cause previste dalla legge.

Gli effetti dello scioglimento si determinano, nelle ipotesi previste dai numeri 1), 2), 3), 4) e 5), alla data dell'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori ne accertano la causa e, nell'ipotesi prevista dal numero 6), alla data dell'iscrizione della relativa deliberazione.

Quando l'atto costitutivo o lo statuto prevedono altre cause di scioglimento, essi devono determinare la competenza a deciderle od accertarle, e ad effettuare gli adempimenti pubblicitari.

 

·         prevedere, nell’ambito delle misure protettive che si attivano a seguito delle procedure di allerta, di composizione assistita della crisi, di accordo di ristrutturazione dei debiti e di regolazione concordata preventiva della crisi, la sospensione delle cause di scioglimento della società relative alla perdita del capitale sociale o alla sua riduzione al di sotto del minimo legale (art. 2484, n. 4 e art. 2545-duodecies c.c.), nonché la sospensione di alcuni obblighi degli organi sociali. In particolare, nelle società di capitali, potranno essere sospesi gli obblighi relativi:

-      alla riduzione del capitale sociale in proporzione alle perdite subite (art. 2446, secondo e terzo comma; art. 2482-bis, quarto, quinto e sesto comma), la cui funzione è quella di ricostituire la corrispondenza tra capitale sociale e patrimonio effettivo, permettendo ai terzi che contrattano con la società di potersi immediatamente rendere conto della situazione economica;

-      all’aumento del capitale sociale per portarlo ad una cifra non inferiore al minimo legale, quando la riduzione del capitale l’abbia portato sotto la soglia prevista dalla legge (art. 2447 c.c. per le società per azioni; art. 2482-ter per le società a responsabilità limitata);

-      alla gestione della società da parte degli amministratori (art. 2486 c.c.).

 

In particolare, l’art. 2486 del codice civile, relativo ai poteri degli amministratori nelle procedure di liquidazione e scioglimento delle società di capitali, dispone che al verificarsi di una causa di scioglimento e fino al momento della consegna dei libri sociali ai liquidatori, gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale. Gli stessi amministratori sono dunque personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, per atti od omissioni compiuti in violazione della disposizione precedente.

 

Si valuti l’opportunità di chiarire, in relazione al richiamato art. 2486 del codice civile, quali siano gli obblighi posti a carico degli organi sociali sospesi cui si fa riferimento.

 

·         definire i criteri di quantificazione del danno risarcibile in caso di azione di responsabilità verso gli amministratori che abbiano violato l’art. 2486, recando danni alla società e ai soci, ai creditori sociali e ai terzi, attraverso una gestione non limitata alla conservazione del patrimonio sociale (lett. e);

·         prevedere l’applicabilità alle società a responsabilità limitata delle disposizioni dell’art. 2409 c.c., in tema di denunzia al tribunale delle irregolarità commesse dagli amministratori.

 

L’art. 2409 c.c., inserito nel capo relativo alle società per azioni e, in particolare, tra le disposizioni sul collegio sindacale, prevede che alcuni soggetti qualificati (soci che rappresentino 1/10 del capitale sociale o 1/20 del capitale per le società quotate) possano denunciare al tribunale gli amministratori sospettati di gravi irregolarità. Il tribunale, sentiti in camera di consiglio gli amministratori e i sindaci, può ordinare (il provvedimento è reclamabile) l'ispezione dell'amministrazione della società a spese dei soci richiedenti, subordinandola, se del caso, alla prestazione di una cauzione. Il tribunale non ordina l'ispezione e sospende per un periodo determinato il procedimento se l'assemblea sostituisce gli amministratori e i sindaci con soggetti di adeguata professionalità, che si attivano senza indugio per accertare se le violazioni sussistono e, in caso positivo, per eliminarle, riferendo al tribunale sugli accertamenti e le attività compiute.

Se le violazioni denunziate sussistono ovvero se gli accertamenti e le attività compiute risultano insufficienti alla loro eliminazione, il tribunale può disporre gli opportuni provvedimenti provvisori e convocare l'assemblea per le conseguenti deliberazioni. Nei casi più gravi può revocare gli amministratori ed eventualmente anche i sindaci e nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e la durata. Quest’ultimo:

-    può proporre l'azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci;

-    prima della scadenza del suo incarico deve rendere conto al tribunale che lo ha nominato;

-    convoca e presiede l'assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci o per proporre, se del caso, la messa in liquidazione della società o la sua ammissione ad una procedura concorsuale.

I provvedimenti previsti dall’art. 2409 possono essere adottati anche su richiesta del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione, nonché, nelle società con azioni quotate, del pubblico ministero; in questi casi le spese per l'ispezione sono a carico della società.

 


 

Articolo 14
(La liquidazione coatta amministrativa)

 

L’articolo 14 del disegno di legge detta principi e criteri direttivi per la riforma della liquidazione coatta amministrativa, oggi disciplinata nel titolo V della legge fallimentare, finalizzati a un sostanziale ridimensionamento dell’istituto.

 

La liquidazione coatta amministrativa è una procedura concorsuale disciplinata, per quanto attiene agli aspetti procedurali, dalla legge fallimentare (R.D. n. 267/1942), e per gli aspetti sostanziali, e in particolare per l'individuazione della categoria degli imprenditori assoggettati, da alcune leggi speciali.

L'istituto trova applicazione nei confronti non solo degli imprenditori commerciali in stato di insolvenza, ma anche di quelli che, pur non essendo insolventi, presentano gravi irregolarità nella gestione.

Denominatore comune di tutti questi imprenditori è il fatto di esercitare un'attività di rilevanza pubblicistica – per esempio quella bancaria – in quanto tale assoggettata al controllo da parte dell'autorità amministrativa. Se, dunque, da un lato, la liquidazione coatta amministrativa determina, al pari del fallimento, la liquidazione dei beni dell'imprenditore e il riparto del ricavato tra i creditori nel rispetto del principio della par condicio, dall'altro lato si caratterizza per il fine perseguito, giacché mira a rimuovere dal mercato non soltanto i soggetti non più in grado di assolvere regolarmente alle proprie obbligazioni, ma anche quelli il cui disordine economico o amministrativo rischia di compromettere l'interesse dello Stato a una sana economia. Per questo motivo, l'autorità competente a disporre, a mezzo decreto, la liquidazione coatta amministrativa è sempre il ministero preposto alla vigilanza del settore di attività dell'impresa, per es. quello dello Sviluppo economico nel caso delle imprese di assicurazione. Alla stessa autorità spetta inoltre la nomina degli organi della procedura, ovvero il commissario liquidatore e il comitato di sorveglianza.

 

Lo scopo del legislatore delegante è, in particolare, quello di riportare anche il fenomeno della crisi e dell’insolvenza delle imprese oggi soggette a liquidazione coatta (si pensi ad esempio alle società cooperative) nell’alveo della disciplina comune (lett. a), circoscrivendo tale istituto speciale alle sole ipotesi in cui:

·     la necessità di liquidare l’impresa non discenda dall’insolvenza, ma costituisca lo sbocco di un procedimento amministrativo di competenza di autorità amministrative di vigilanza volto ad accertare e a sanzionare gravi irregolarità intervenute nella gestione;

·     la liquidazione sia prevista dalle leggi speciali relative alle seguenti imprese: banche e imprese assimilate; intermediari finanziari; imprese assicurative e assimilate.

 

La relazione illustrativa chiarisce che con la riforma si supererebbe il sistema del c.d. doppio binario operante attualmente per le cooperative che svolgono attività commerciale, alle quali oggi si applica l'articolo 2445-terdecies del codice civile «ossia il concorso, disciplinato in base al criterio della prevenzione, tra procedura di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa. Un sistema, questo, che non ha mancato di sollevare critiche e che appare in effetti poco funzionale sia perché rischia di produrre una sovrapposizione di competenze tra autorità governativa e autorità giudiziaria, sia perché è incoerente con una moderna concezione dell'insolvenza, che non necessariamente deve essere destinata a provocare la liquidazione dell'impresa».

 

Il Governo dovrà inoltre (lett. b) attribuire alle autorità amministrative di vigilanza il compito di segnalare l’allerta e di svolgere le funzioni attribuite per le altre imprese agli organismi di composizione della crisi (v. art. 4), così da poter individuare soluzioni di carattere conservativo; le stesse autorità amministrative dovranno essere legittimate a presentare domanda per l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale (v. art. 7).

 


 

Articolo 15
(L’amministrazione straordinaria)

 

All’interno delle procedure di insolvenza, anche l’istituto dell’amministrazione straordinaria viene rivisto, in un quadro di regole generali comuni, come una derivazione particolare della procedura generale.

 

L'istituto dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi è stato introdotto dal decreto-legge n. 26 del 1979, convertito dalla legge n. 95/1979 (cosiddetta legge Prodi), accanto alle procedure concorsuali tradizionali (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata e concordato), per evitare il fallimento di imprese di rilevante interesse pubblico. Scopo della nuova procedura era quello di evitare le soluzioni liquidatorie che non tengono conto dei rilevanti interessi, privati e pubblici, alla conservazione e al risanamento dell'impresa, contrariamente alle procedure concorsuali tradizionali la cui funzione essenziale, invece, è quella di tutelare l'interesse privato dei creditori a soddisfarsi sul patrimonio dell'imprenditore fallito. Infatti, l'amministrazione straordinaria introdotta dalla legge Prodi escludeva il fallimento dell'impresa e prevedeva l'intervento di uno o più commissari, sotto la vigilanza dell’allora Ministero dell'industria.

Nata come strumento temporaneo ed eccezionale, volto a consentire la verifica delle situazioni aziendali più rilevanti e l'individuazione sulla base di criteri socio-economici, delle attività risanabili e di quelle da liquidare, la legge nel corso degli anni è stata oggetto di varie censure da parte degli organi comunitari, i quali in diverse occasioni ne hanno rilevato l'incompatibilità con le disposizioni comunitarie in materia di aiuti di Stato. Le censure sono state superate nel 1999 con il D.Lgs. n. 270 del 1999 (c.d. legge Prodi-bis), che aveva lo scopo di consentire una drastica riduzione della durata della procedura, di orientare la procedura stessa alla celere individuazione di un nuovo assetto imprenditoriale ed a potenziare gli strumenti di tutela dei creditori.

La norma prende le mosse dalla definizione della natura e delle finalità dell'istituto dell'amministrazione straordinaria delle imprese in stato d'insolvenza, che viene definito come la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente, diretta alla conservazione del patrimonio produttivo, tramite la prosecuzione, la riattivazione ovvero la riconversione dell'attività imprenditoriale (art. 1).

Con il D.Lgs., l'ambito dei soggetti ammessi alla procedura viene circoscritto alle imprese, anche individuali, soggette alla legge fallimentare e in possesso dei seguenti requisiti:

- un numero di lavoratori subordinati non inferiore alle 200 unità (inclusi quelli che eventualmente fruiscono del trattamento di integrazione guadagni);

- debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi, tanto del totale dell'attivo dello stato patrimoniale, che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio;

- presenza di concrete prospettive di recupero (art. 27) da realizzarsi, alternativamente, mediante "la cessione dei complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno" ("programma di cessione dei complessi aziendali”) ovvero "tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa, sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a due anni" ("programma di ristrutturazione").

II procedimento prende avvio dall'accertamento dello stato di insolvenza dell'impresa, la cui dichiarazione spetta al tribunale del luogo ove l'impresa ha la sede principale, con sentenza in camera di consiglio, su ricorso dell'imprenditore medesimo, di uno o più creditori, del pubblico ministero ovvero d'ufficio (art. 3).

 

Sulla disciplina generale dell’amministrazione straordinaria contenuta nella Prodi-bis si è innestata la procedura speciale di ammissione immediata all'amministrazione straordinaria introdotta dalla cosiddetta “legge Marzano” (decreto-legge n. 347 del 2003). Tale disciplina è stata emanata per far fronte al crac Parmalat ed è stata ripetutamente modificata sia per affrontare le esigenze dalla procedura Parmalat sia per consentirne l’applicazione ad altri casi con requisiti diversi, come ad esempio Alitalia e Ilva.

Il decreto-legge n. 347 del 2003 ha introdotto nell'ordinamento italiano una nuova disciplina relativa alla procedura concorsuale di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in stato di insolvenza, finalizzata alla ristrutturazione industriale delle stesse sotto la supervisione del Ministro competente. Lo stesso decreto prevede misure volte a semplificare l'ammissione alla procedura concorsuale e a rafforzare i poteri riconosciuti all'autorità amministrativa, per imprese con almeno 500 lavoratori subordinati e debiti per un ammontare complessivo non inferiore a 300 milioni di euro. Il decreto 134/2008 (cd. Alitalia) ha ampliato l'ambito dei destinatari della disciplina del decreto-legge n. 347, consentendone l'applicazione anche alle imprese in stato di insolvenza che intendano ricorrere alle procedure di cessione di complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno.

Con riguardo all’iter di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria prevede (art. 2) che il Ministro dello sviluppo economico, valutata la sussistenza dello stato di insolvenza e dei requisiti occupazionali e debitori indicati richiesti, possa procedere immediatamente, con proprio decreto, all'ammissione dell'impresa alla procedura di amministrazione straordinaria e alla nomina del commissario straordinario. Per le società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, l’ammissione immediata alla procedura di amministrazione straordinaria, la nomina del commissario straordinario e la determinazione del relativo compenso, ivi incluse le altre condizioni dell’incarico, anche in deroga alla vigente normativa in materia, possono essere disposte con decreto sia del Presidente del Consiglio dei Ministri, sia del Ministro dello sviluppo economico, secondo le modalità di cui all’articolo 38 del decreto legislativo n. 270, in quanto compatibili, e in conformità ai criteri fissati dal medesimo decreto, che può anche prescrivere il compimento di atti necessari al conseguimento delle finalità della procedura.

Presupposto per l’ammissione all’amministrazione straordinaria è l’esistenza di concrete prospettive di recupero, che può avvenire (sia nella Prodi-bis sia nella Marzano) attraverso:

- un programma di cessione dei complessi aziendali (in tal caso si ha il passaggio dell’esercizio dell’attività ad un soggetto giuridico diverso);

- un programma di ristrutturazione, che presuppone la prosecuzione dell’attività da parte dello stesso soggetto giuridico.

 

Anche qui, lo sforzo maggiore della riforma - oltre a quello di coerenza sistematica per unificare una disciplina, che fin dalla legge Prodi n. 95/1979, si è stratificata su leggi diverse - è quello di contemperare le esigenze dei creditori con quelle pubblicistiche sottese all’interesse pubblico alla conservazione del patrimonio e alla tutela dell’occupazione di imprese in stato di insolvenza che, per dimensione, appaiono di particolare rilievo economico sociale.

La principale scelta compiuta dal legislatore riguarda la conservazione della struttura bifasica della procedura (prevista dalla legge 270 del 1999), con una prima fase di osservazione e una successiva giudiziale presso il tribunale.

I numerosi criteri direttivi riguardano una procedura unica di amministrazione straordinaria, con finalità conservative, finalizzata alla regolazione dell’insolvenza di imprese (o gruppi di imprese) i cui principali profili innovativi riguardano:

§  i presupposti di ammissione alla procedura, con riferimento ai profili dimensionali dell’impresa o dei gruppi di imprese (nelle imprese singole è stabilito in 400 il numero minimo di dipendenti);

§  l’attribuzione della competenza sulla procedura di amministrazione straordinaria alle sezioni specializzate in materia d’impresa presso i tribunali sedi di corti d’appello.

§  la necessità che le concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico dell’impresa o dei gruppi siano attestate da un professionista iscritto nell’istituendo albo dei commissari straordinari;

§  la possibilità che specifiche imprese (quelle quotate sui mercati regolamentati, quelle di maggiori dimensione e quelle che svolgano servizi pubblici essenziali) possano essere ammesse alla procedura, in via provvisoria, dall’autorità amministrativa (il Ministero dello sviluppo economico); la conferma della misura, verificati i requisiti, spetta al tribunale;

§  la flessibilità del programma di ristrutturazione e di cessione dei complessi aziendali in base alle caratteristiche dell’impresa e dei mercati in cui opera;

§  in stretta relazione con le indicate esigenze di tutela dei creditori, l’affidamento a un comitato di sorveglianza (di cui fanno parte anche i creditori) della vigilanza sull’attuazione del programma e sull’effettività delle prospettive di recupero economico dell’impresa;

§   in tale prospettiva, la previsione che - con il commissario straordinario – anche il comitato di sorveglianza, oltre che a un certo numero di creditori, possa chiedere al tribunale la conversione della proceduta in liquidazione giudiziale;

§  l’accesso al concordato delle imprese in amministrazione straordinaria anche sulla base di proposte concorrenti.

 

Si ricorda che sul tema dell’amministrazione straordinaria è in corso di esame dal 1° ottobre 2015, davanti alle Commissioni riunite Giustizia e Attività produttive, la proposta di legge n. 865 (Abrignani), Disciplina delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese e dei complessi di imprese in crisi.

Articolo 16
(Disposizioni finanziarie)

 

L’articolo 16 reca la disposizione di invarianza finanziaria del provvedimento.

 

Fanno eccezione due disposizioni del disegno di legge per le quali dovranno prevedersi specifiche autorizzazioni di spesa ovvero (comma 1):

·     quella relativa all’istituzione presso il Ministero della giustizia dell’albo dei professionisti abilitati a svolgere funzioni di gestione e controllo delle procedure concorsuali (art. 2, comma 2, lett. n);

·     quella per la costituzione del registro informatizzato delle garanzie mobiliari non possessorie (art. 11, comma 1, lett. a).

 

Il comma 2 dell’art. 16 - riprendendo sostanzialmente il contenuto dell’art. 17, comma 2, della legge di contabilità pubblica (L. 196/2009) - prevede che la relazione tecnica di ogni decreto attuativo della delega dovrà evidenziarne gli effetti sui saldi di finanza pubblica; ciò in considerazione della complessità della materia concorsuale e della conseguente impossibilità di prevedere gli eventuali effetti finanziari derivanti all’attuazione della delega.

 

Ove uno o più dei decreti legislativi determinasse nuovi o maggiori oneri, sempre in attuazione dello stesso art. 17, comma 2, gli stessi saranno emanati solo dopo l'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le relative risorse finanziarie.