Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena A.C. 2798 - schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 2798/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 256    Progressivo: 1
Data: 19/01/2015
Descrittori:
CODICE PENALE   DIFESA PENALE
ORDINAMENTO PENITENZIARIO   PROCESSO PENALE
RIEDUCAZIONE DEL CONDANNATO     
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

 

Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena

A.C. 2798

Schede di lettura

 

 

 

 

n. 256/1

 

 

 

19 gennaio 2015

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9559 / – * st_giustizia@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

 

§   

 

 

 

 

 

 

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: GI0303a.docx

 


INDICE

Schede di lettura

Introduzione                                                                                                        3

Titolo I - Modifiche al codice penale                                                                 4

Capo I - Estinzione del reato per condotte riparatorie, modifiche ai limiti di pena per il delitto di corruzione e maggiore efficienza della confisca cosiddetta estesa                                                                                               4

§  Art. 1 (Condotte riparatorie)                                                                             4

§  Art. 2 (Disposizioni transitorie)                                                                         6

§  Art. 3 (Modifica all’art. 319 del codice penale in materia di limiti di pena per il delitto di corruzione)                                                                                         7

§  Art. 4 (Ipotesi particolari di confisca: ambito applicativo, estensione della disciplina del codice delle leggi antimafia ed estinzione del reato per prescrizione, amnistia o morte del condannato)                                            11

Capo II – Modifica alla disciplina della prescrizione e delega al Governo per la riforma del regime di procedibilità per taluni reati, per il riordino di alcuni settori del codice penale e per la revisione della disciplina del casellario giudiziale                                                                                                           19

§  Art. 5 (Modifiche alla disciplina della prescrizione e regime transitorio)        19

§  Art. 6 (Delega al Governo per la riforma del regime di procedibilità per taluni reati, per la revisione delle misure di sicurezza e per il riordino di alcuni settori del codice penale)                                                                                          24

§  Art. 7 (Delega al Governo per la revisione della disciplina del casellario giudiziale)                                                                                                       27

§  Art. 8 (Delega al Governo per l’adozione di norme di attuazione, di coordinamento e transitorie)                                                                          29

Titolo II – Modifiche al codice di procedura penale                                      30

Capo I – Modifiche in materia di incapacità dell’imputato di partecipare al processo, di indagini preliminari e di archiviazione                                     30

§  Art. 9 (Modifiche in materia di incapacità irreversibile dell’imputato)             30

§  Art. 10 (Modifiche alla disciplina delle indagini preliminari e del procedimento di archiviazione)                                                                                                 31

Capo II – Modifiche in materia di riti speciali, udienza preliminare, istruzione dibattimentale e struttura della sentenza di merito                                       35

§  Art. 11 (Modifiche alla disciplina dell’udienza preliminare)                            35

§  Art. 12 (Modifiche alla disciplina dell’impugnazione della sentenza di non luogo a procedere)                                                                                                   36

§  Art. 13 (Modifiche alla disciplina del giudizio abbreviato)                              39

§  Art. 14 (Modifiche in materia di correzione dell'errore materiale e di applicazione della pena su richiesta delle parti. Nuova forma di definizione anticipata del processo)                                                                                 41

§  Art. 15 (Esposizione introduttiva a fini di valutazione delle richieste di prova) 47

§  Art. 16 (Modifiche in materia di requisiti della sentenza)                               49

Capo III Semplificazione delle impugnazioni                                                 50

§  Art. 17 (Modifiche alle disposizioni generali sulle impugnazioni)                   50

§  Art. 18 (Modifiche alle disposizioni in materia di appello                               54

§  Art. 19 (Modifiche alle disposizioni in materia di rimessione del processo e di ricorso per cassazione)                                                                                  57

§  Art. 20 (Modifiche alle disposizioni in materia di rescissione del giudicato)   64

§  Art. 21 (Relazione sull'amministrazione della giustizia)                                 65

Titolo III - Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e alla normativa di organizzazione dell'ufficio del pubblico ministero                                                                  66

§  Art. 22 (Modifiche all'articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale)                                                    66

§  Art. 23 (Modifiche al decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, in materia di poteri di controllo del procuratore della Repubblica e di contenuti della relazione al procuratore generale presso la Corte di cassazione)                 68

Titolo IV - Delega al governo per la riforma del processo penale e dell'ordinamento penitenziario                                                                        69

§  Art. 24 (Delega al Governo per la riforma del processo penale e dell'ordinamento penitenziario)                                                                      69

§  Art. 25 (Princìpi e criteri direttivi per la riforma del processo penale in materia di intercettazione di conversazioni o comunicazioni e di giudizi di impugnazione) 70

§  Art. 26 (Princìpi e criteri direttivi per la riforma dell'ordinamento penitenziario) 72

§  Art. 27 (Princìpi e criteri direttivi per l'adozione di norme di attuazione, di coordinamento e transitorie)                                                                          73

§  Art. 28  (Disposizioni integrative e correttive)                                                74

§  Art. 29  (Clausola di invarianza finanziaria)                                                   75

§  Art. 30  (Entrata in vigore)                                                                              76

 

 


Schede di lettura

 


Introduzione

Il disegno di legge del Governo (A.C. 2798) propone una articolata serie di interventi sul diritto penale sostanziale e processuale, con l’intento di migliorare l’efficienza del sistema  giudiziario assicurando la durata ragionevole del processo e rafforzando le garanzie della difesa. Il provvedimento, nel contempo, introduce misure finalizzate ad un maggior contrasto dei fenomeni di corruzione nonché, tramite un significativo intervento sull’ordinamento penitenziario, a rendere effettiva la finalità rieducativa della pena.

L’insieme degli articoli deriva dalle risultanze del lavoro svolto dalla Commissione ministeriale per la riforma del processo penale (cd. Commissione Canzio), istituita nel giugno 2013 presso il Ministero della giustizia nonché dei gruppi di studio sulla riforma della prescrizione e sulla depenalizzazione (entrambi presieduti dal prof. Fiorella), istituiti tra novembre e dicembre 2012 presso lo stesso ministero. Il d.d.l. tiene, inoltre, conto dei risultati della Commissione Riccio, costituita nel luglio 2006 (XV legislatura), per la riforma del codice di procedura penale.

Il disegno di legge è composto da quattro Titoli.

Il Titolo I introduce modifiche al codice penale ed è a sua volta composto da due capi. Il Capo I (artt. 1-4) riguarda l'estinzione del reato per condotte riparatorie, modifiche ai limiti di pena per il delitto di corruzione e maggiore efficienza della confisca c.d. allargata. Il Capo II (artt. 5-8) modifica la disciplina della prescrizione e delega il Governo per la riforma del regime della procedibilità per taluni reati, per il riordino di alcuni settori del codice penale e per una revisione della disciplina del casellario giudiziale.

Il Titolo II è diretto a modificare il codice di procedura penale ed è composto da tre Capi. Il Capo I (artt. 9-10) interviene sulla disciplina della incapacità dell'imputato a partecipare al processo, delle indagini preliminari e dell'archiviazione. Il Capo II (artt. 11-16) riguarda i riti speciali, l'udienza preliminare, l'istruzione dibattimentale e la struttura della sentenza di merito. Il Capo III (artt. 17-21) riguarda la semplificazione delle impugnazioni.

Il Titolo III (artt. 22-23) modifica le disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e la normativa di organizzazione dell'ufficio del pubblico ministero.

Il Titolo IV (artt. 24-30) delega il Governo per la riforma del processo penale e dell'ordinamento penitenziario e reca le clausole di copertura finanziaria e di entrata in vigore.


 

Titolo I - Modifiche al codice penale

Capo I - Estinzione del reato per condotte riparatorie, modifiche ai limiti di pena per il delitto di corruzione e maggiore efficienza della confisca cosiddetta estesa

Art. 1
(Condotte riparatorie)

I primi due articoli del disegno di legge disciplinano le condotte riparatorie, come nuova causa di estinzione del reato.

Tale ulteriore strumento di deflazione penale si affianca, pur con un ambito applicativo minore, alla messa alla prova nel processo penale introdotta dalla legge n. 67/2014.

 

Anche nella messa alla prova è infatti prevista, ai fini dell’estinzione del reato, l’adozione da parte dell’imputato di condotte riparatorie. L’art. 3 della legge 67/2014 stabilisce che nei procedimenti per reati puniti con pena pecuniaria, ovvero con reclusione fino a 4 anni (sola, congiunta o alternativa a pena pecuniaria), ovvero per uno dei reati in relazione ai quali l'articolo 550, comma 2, c.p.p. prevede la citazione diretta a giudizio, l'imputato possa chiedere la sospensione del processo con messa alla prova. La misura consiste in condotte riparatorie volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ove possibile in misure risarcitorie del danno, nell'affidamento dell'imputato al servizio sociale e nella prestazione di lavoro di pubblica utilità; il corso della prescrizione del reato durante il periodo di sospensione del processo con messa alla prova è sospeso. Al termine della misura, se il comportamento dell'imputato è valutato positivamente, il giudice dichiara l'estinzione del reato, restando comunque applicabili le eventuali sanzioni amministrative accessorie.

 

L’articolo 1, comma 1, introduce nel capo I (dedicato all’estinzione del reato) del titolo VI del libro I del codice penale un nuovo articolo 162-ter che prevede le condotte riparatorie del danno come causa estintiva del reato nei soli casi di procedibilità a querela soggetta a remissione (la remissione è a sua volta una causa di estinzione del reato in base all’art. 152 c.p.).

In tali casi, il giudice deve dichiarare estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato abbia riparato il danno cagionato dal reato mediante le restituzioni o il risarcimento e abbia eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato. La riparazione deve realizzarsi nel termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.

All’incolpevole inadempimento della riparazione consegue la possibilità, per l’imputato, di chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a un anno, per il pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento, anche in forma rateale. Il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo (cui, si prevede, consegua la sospensione della prescrizione) e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e, se necessario, impone specifiche prescrizioni.

All’esito delle condotte riparatorie il giudice deve dichiarare l’estinzione del reato.

Il comma 2 dell’articolo 1 del disegno di legge introduce, con la stessa rubrica dell’articolo 162-ter, un nuovo articolo 649-bis nel codice penale - all’interno del Titolo XIII (relativo ai delitti contro il patrimonio) del libro II.

In base all’art. 649-bis l’estinzione del reato per condotte riparatorie consegue anche in relazione ad un ristretto catalogo di delitti procedibili d’ufficio: si tratta di alcune ipotesi di furto aggravato indicate dall’articolo 625 c.p. (furto con violenza sulle cose o con qualsiasi mezzo fraudolento; furto con destrezza; furto di bagaglio di viaggiatori; furto commesso all’interno di mezzi pubblici di trasporto); dell’introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo (art. 636 c.p.); dell’uccisione o danneggiamento di animali altrui (art. 638 c.p.).

Si osserva che i citati reati di cui agli articoli 636 e 638 c.p. sono, nella loro ipotesi tipica, in realtà procedibili a querela di parte.

La procedibilità è, invece, d’ufficio:

·        nel caso di cui all’art. 636, ove l’introduzione, l’abbandono o il pascolo abusivo di animali avvenga su terreni e fondi pubblici o destinati ad uso pubblico (l’esclusione della perseguibilità a querela è prevista dall’art. 639-bis c.p.);

·        nel caso dell’art. 638, solo nella fattispecie del secondo comma (uccisione di tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero di animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria).


 

Art. 2
(Disposizioni transitorie)

L’articolo 2 stabilisce la disciplina transitoria relativa ai processi in corso alla data di entrata in vigore della legge. Le nuove disposizioni sull’estinzione del reato a seguito di condotte riparatorie si applicano anche a tali processi e il giudice dichiara l’estinzione del reato indipendentemente dal momento in cui tali condotte si siano verificate; gli effetti estintivi del reato si produrranno anche se le condotte riparatorie avvengano oltre il termine della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.

A tal fine l’imputato, nella prima udienza, fatta eccezione di quella del giudizio di legittimità, successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, può chiedere la fissazione di un termine, non superiore a 60 giorni, per provvedere alle restituzioni, al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento e all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato. Il giudice ordina la sospensione del processo (durante la quale resta sospeso il corso della prescrizione) e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito.

La disciplina transitoria limita l’applicazione della nuova causa estintiva del reato ai processi in corso in primo grado ed in appello; tale limitazione è motivata, dalla relazione del Governo al disegno di legge, per la mancanza nella Cassazione “di poteri e cognizioni di merito per valutare l’adeguatezza delle condotte riparatorie”.

 

Si valuti se i presupposti per l’estinzione del reato per condotte riparatorie nella disciplina transitoria coincidano con quelli del nuovo art. 162-ter c.p. La formulazione adottata dal disegno di legge non è infatti identica.

 


 

Art. 3
(Modifica all’art. 319 del codice penale in materia di limiti di pena per il delitto di corruzione)

 

L’articolo 3 aumenta i limiti di pena previsti per il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (corruzione propria, art. 319 c.p.).

 

La corruzione propria consiste nell’illecito del pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa; la pena prevista è la reclusione da 4 a 8 anni (così aumentata dalla legge 190 del 2012, v. ultra).

La corruzione impropria è, invece, la corruzione per un atto d’ufficio, regolata dall’articolo 318 c.p. secondo il quale il pubblico ufficiale, che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve, per sé o per un terzo, in denaro od altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. Se il pubblico ufficiale riceve la retribuzione per un atto d’ufficio da lui già compiuto, la pena è della reclusione fino a un anno.

La differenza tra corruzione propria ed impropria consiste nel fatto che il pubblico ufficiale, nel primo caso “ponga in essere atti contrari ai doveri d’ufficio”, mentre nel secondo “compie atti dovuti ma ritardandone ,dietro compenso, l’esecuzione per avvantaggiare un terzo”.

 

La pena della reclusione è aumentata nel minimo da 4 a 6 anni e nel massimo da 8 a 10 anni.

 

L’aumento del limite edittale massimo: rende molto più difficile, nei procedimenti per corruzione, l’applicazione della pena su richiesta di cui all’art. 444 c.p.p. (il cui ambito operativo è ridotto dalla soppressione del patteggiamento allargato fino ai 5 anni di pena; il nuovo limite edittale è, infatti, fissato in 3 anni dall’art. 14 del d.d.l. in esame); inoltre, determina l’aumento corrispondente del periodo di prescrizione. Dall’aumento a 6 anni del limite minimo comporta invece, nella gran parte dei casi, l’impossibilità di applicare il beneficio della sospensione condizionale della pena (che l’art. 163 c.p. ammette per condanna alla reclusione per un tempo non superiore a 2 anni).

L’aumento della pena edittale interessa, come già evidenziato, la sola corruzione propria; a seguito di tale modifica risulta più lieve nel minimo la pena prevista per la fattispecie base della corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter), che oggi costituisce invece una specifica fattispecie penale di maggiore gravità, in cui è fatto rinvio agli articoli 318 e 319 c.p.

 

Si ricorda come - oltre ad una serie di misure organizzative volte a reprimere il fenomeno corruttivo nella pubblica amministrazione - un ampio intervento di carattere complessivo sulla disciplina dei reati contro al pubblica amministrazione è stato invece introdotto con la legge 190/2012 (cd. legge anticorruzione o legge Severino).

In primo luogo, sono aumentate le pene previste per i seguenti delitti contro la P.A. (art. 1, comma 75):

§   per il delitto di peculato (art. 314 c.p.), la reclusione minima è portata da 3 a 4 anni;

§   per il delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (art. 319 c.p.), la pena è fissata nella reclusione da 4 ad 8 anni, in luogo della precedente reclusione da 2 a 5 anni;

§   per il delitto di corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.), la pena è fissata nella reclusione da 4 a 10 anni (anziché da 3 a 8 anni);

§   per il delitto di abuso d'ufficio (art. 323 c.p.), la pena è fissata nella reclusione da uno a quattro anni (anziché da 6 mesi a 3 anni).

Inoltre, la legge ridefinisce alcune fattispecie penali e ne introduce di nuove. Analiticamente:

§   ridefinisce il reato di concussione (art. 317 c.p.) che diventa riferibile al solo pubblico ufficiale (e non più anche all’incaricato di pubblico servizio) e da cui è espunta la fattispecie per induzione (v. infra); è previsto un aumento del minimo edittale, portato da quattro a sei anni di reclusione;

§   interviene sulle pene accessorie dei delitti di peculato e concussione (art. 317-bis c.p.) facendo conseguire l’interdizione perpetua dai pubblici uffici anche alla condanna per corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (cd. corruzione propria) e per la corruzione in atti giudiziari;

§   riformula l'art. 318 c.p. (originariamente relativo alla corruzione per un atto d'ufficio, cd. corruzione impropria) inserendovi il delitto di corruzione per l'esercizio della funzione. La fattispecie, punita con la reclusione da uno a cinque anni, attiene all'indebita ricezione o accettazione della promessa di denaro o altra utilità da parte del pubblico ufficiale e dell'incaricato di un pubblico servizio per l'esercizio delle loro funzioni o dei loro poteri;

§   introduce, con l’art. 319-quater c.p., una nuova fattispecie di “concussione per induzione” ovvero l’induzione indebita a dare o promettere utilità. La norma punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che induce il privato a pagare (viene prevista la reclusione da tre a otto anni); il privato che dà o promette denaro o altra utilità è punito invece con la reclusione fino a tre anni (art. 319-quater c.p.);

§   inserisce il delitto di traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.) che, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter (corruzione in atti giudiziari), punisce con la reclusione da uno a tre anni chi sfrutta le sue relazioni con il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio al fine di farsi indebitamente dare o promettere denaro o altro vantaggio patrimoniale come prezzo della sua mediazione illecita ovvero per remunerare il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio. La stessa pena si applica a chi dà o promette denaro o altro vantaggio. Sono previste aggravanti e attenuanti speciali.

Da ultimo, infine, la legge 190/2012 (art. 1, comma 76) modifica il codice civile sostituendo l'art. 2635 (prima rubricato Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità), e rubricandolo “Corruzione tra privati”. La disposizione prevede - al comma 1 - che siano puniti con la reclusione da uno a tre anni gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori che, compiendo od omettendo atti in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionano nocumento alla società. Il comma 2 dispone l'applicazione della pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al precedente comma. Il successivo comma 3 prevede che il soggetto che dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e secondo comma sia punito con le pene ivi previste. Il comma 4, infine, statuisce che le pene stabilite nei commi precedenti siano raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 58/1998). Il delitto è procedibile a querela.

L'art. 1, comma 77, della legge anticorruzione coordina la disciplina della responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche (d.lgs 231/2001) con le novelle introdotte nel codice penale (v. sopra). In particolare, la citata responsabilità consegue anche per i reati:

§   di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui al nuovo art. 319-quater c.p., per il quale viene prevista la sanzione pecuniaria da 300 a 800 quote;

§   di corruzione tra privati di cui all'art. 2635 c.c., limitatamente all'ipotesi di cui al terzo comma, per il quale viene prevista la sanzione pecuniaria da 200 a 400 quote.

La legge anticorruzione interviene (art. 1, comma 78) anche sull'art. 308 del codice di procedura penale, in tema di durata massima delle misure coercitive diverse dalla custodia cautelare. Inserendo nella disposizione un ulteriore comma si prevede che, nel caso in cui si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 314 (Peculato), 316 (Peculato mediante profitto dell'errore altrui), 316-bis (Malversazione a danno dello Stato), 316-ter (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato), 317 (Concussione), 318 (Corruzione per l'esercizio della funzione), 319 (Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio), 319-ter (Corruzione in atti giudiziari), 319-quater, primo comma (Induzione indebita a dare o promettere utilità), e 320 (Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio) del codice penale, le misure interdittive perdano efficacia decorsi sei mesi dall'inizio della loro esecuzione (in luogo dell'ordinario termine di due mesi). Si dispone, inoltre che, in ogni caso, qualora tali misure siano state disposte per esigenze probatorie, il giudice possa disporne la rinnovazione anche oltre sei mesi dall'inizio dell'esecuzione, fermo restando che comunque la loro efficacia viene meno se dall'inizio della loro esecuzione sia decorso un periodo di tempo pari al triplo dei termini previsti dall'articolo 303 del codice di procedura penale.

La legge 190 modifica anche (art. 1, comma 79) l'art. 133 delle norme di attuazione del c.p.p., prevedendo che anche il decreto che - ai sensi dell'articolo 429 del predetto codice - dispone il giudizio per il nuovo reato di cui all’articolo 319-quater del codice penale (Induzione indebita a dare o promettere utilità), sia comunicato alle amministrazioni o agli enti di appartenenza del dipendente pubblico.

Infine, la legge 190:

§   integra la formulazione dell’art. 12-sexies del decreto-legge 306/1992 per aggiungere la condanna per il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità tra quelle per le quali si applica la cd. “confisca allargata” ovvero la confisca obbligatoria di beni, denaro o altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza (art. 1, comma 80);

§   modifica inoltre alcune disposizioni del testo unico degli enti locali (D.Lgs. 267/2000): a) inserendo la condanna definitiva per il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità tra le cause ostative alla candidatura alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali ovvero di impedimento a ricoprire cariche presso gli organi rappresentativi degli enti locali. Ad analoga condanna, ma non definitiva, consegue la sospensione di diritto dalle cariche rappresentative degli enti locali; b) prevedendo la sospensione di diritto, da una serie di cariche pubbliche, delle persone nei cui confronti l’autorità giudiziaria ha applicato la misura coercitiva del divieto di dimora, quando coincida con la sede dove si svolge il mandato elettorale (art. 1, comma 81);

§   stabilisce che il provvedimento di revoca da parte del sindaco (o del presidente della provincia) del segretario comunale (o provinciale) deve essere comunicato all'Autorità anticorruzione; la revoca resta sospese per trenta giorni, durante i quali l'Autorità può intervenire, se rileva una correlazione con le attività preventive della corruzione svolte dal segretario (art. 1, comma 82);

§   modifica la legge 97/2001 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), che disciplina il trasferimento del pubblico dipendente a seguito di rinvio a giudizio per i reati ivi previsti, inserendo nel catalogo dei delitti la nuova fattispecie di induzione indebita a dare o promettere utilità (cd. 'concussione per induzione') (art. 1, comma 83).

 


 

Art. 4
(Ipotesi particolari di confisca: ambito applicativo, estensione della disciplina del codice delle leggi antimafia ed estinzione del reato per prescrizione, amnistia o morte del condannato)

L’articolo 4 apporta alcune modifiche - (lett. da a) ad f) - all’art. 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992[1], disposizione relativa ad ipotesi particolari di confisca. In particolare, è integralmente sostituito il comma 1 relativo alla cd. confisca allargata, misura di cui si intende migliorare l’efficienza.

 

Tale disposizione prevede che, nei casi di condanna o di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., per associazione mafiosa e per altri reati di particolare gravità (tra cui il sequestro di persona a scopo di estorsione, la tratta di persone, il commercio di schiavi, una serie di delitti contro la pubblica amministrazione, il trasferimento fraudolento di valori, l’usura, il riciclaggio, l’associazione finalizzata al traffico di droga), è sempre disposta la confisca dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. Tale misura atipica si caratterizza in particolare per la mancanza del nesso di pertinenzialità tra beni confiscati e reato per cui è intervenuta la condanna. Anche se la sproporzione tra reddito dichiarato e valore dei beni richiama i presupposti della confisca di prevenzione, qui non è richiesto alcun indizio della provenienza illecita del bene, trattandosi di una misura patrimoniale penale che segue una condanna o l’applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p.(e non l’accertamento della pericolosità della persona, come nella confisca di prevenzione).

 

Le novità introdotte al nuovo comma 1 dell’art. 12-sexies sono le seguenti (lett. a):

 

·     ai reati alla cui condanna segue la confisca allargata sono aggiunti i gravi delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. sostanzialmente con l’effetto, - rispetto a quanto già previsto – di estendere il catalogo dei reati-presupposto alle seguenti fattispecie: associazione diretta a commettere una serie di reati di natura sessuale in danno di minori (art. 416-bis, settimo comma, c.p.); attività organizzate per il traffico di rifiuti (art. 260, D.Lgs. 152/2006); associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater, DPR 43/1973).

 

Il riferimento ai delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis c.p.p è ai reati associativi di grave allarme sociale previsti dagli articoli 416, sesto comma (associazione per delinquere finalizzata alla tratta o alla riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù o all’acquisto e vendita di schiavi) e settimo comma (associazione per delinquere finalizzata alla prostituzione minorile, alla pornografia minorile, compresa quella virtuale, turismo sessuale, violenze sessuali su minori e adescamento di minori), 416 realizzato allo scopo di commettere i delitti di cui agli articoli 473 e 474 (associazione per delinquere finalizzata alla contraffazione e all’introduzione nello Stato e commercio di prodotti contraffatti), 600 (riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù), 601 (tratta di persone), 602 (acquisto e vendita di schiavi), 416-bis (associazione mafiosa) e 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione) del codice penale; ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni d’intimidazione previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni mafiose, nonché dei delitti previsti dall'articolo 74 del DPR 309/1990 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), dall'articolo 291-quater del DPR 43/1973 (TU doganale) (associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri) e dall’art. 260 del D.lgs n. 152/2006 (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti).

 

Va, inoltre, considerato come - a seguito delle periodiche integrazioni apportate dal legislatore allo stesso art. 51, comma 3-bis - l’inserimento nell’art. 12-sexies dell’esplicito riferimento all’art. 51, comma 3-bis, consente l’integrazione ope legis del catalogo dei reati che consentono la confisca allargata.

·     analogamente, sono aggiunti tra i delitti che consentono tale tipo di confisca i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale; il riferimento alle ipotesi di contrabbando aggravato di cui all’art. 295, comma 2, del DPR 43/1973 (TU doganale) non ha invece effetti sostanziali essendo fattispecie attualmente prevista dal comma 2 dell’art. 12-sexies (ora abrogato per coordinamento);

·      è aggiunta, in fine, al comma 1, una specifica preclusione alla possibilità per il condannato di giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego di evasione fiscale.

 

Oltre all’accennato comma 2 è soppresso dall’art. 4 in esame - sempre per esigenze di coordinamento - anche il comma 2-bis dell’art. 12-sexies che prevede, per la confisca dei beni a seguito di condanna per una serie di delitti contro la pubblica amministrazione, il ricorso alla disciplina degli artt. 2-nonies, 2-decies e 2- undecies della legge 575 del 1965, ormai abrogata dal Codice antimafia (lett. b).

Le modifiche al comma 2-ter dell’art. 12-sexies (lett. c), oltre ad esigenze di coordinamento con le modifiche già introdotte, riguardano la disciplina della cd. confisca per equivalente. La disposizione – nel caso in cui la confisca allargata di cui al comma 1 non sia possibile - stabilisce che il giudice ordini la confisca di altre somme denaro, beni e altra utilità di cui il reo abbia la disponibilità, anche per interposta persona, di valore equivalente “di legittima provenienza” (riferimento attualmente non previsto).

Ulteriori soppressioni hanno natura di coordinamento. Esse riguardano i commi 2-quater, 3 e 4 dell’art. 12-sexies (lett. d). Il primo si riferisce, infatti, all’applicazione delle disposizioni del soppresso comma 2-bis; i commi 3 e 4 concernono la gestione e la destinazione di beni confiscati ai sensi del comma 1 (ora di competenza dell’Agenzia nazionale, ai sensi del Codice antimafia).

Le modifiche al comma 4-bis (lett. e) riguardano, in particolare, l’estensione della disciplina del Codice antimafia. Si prevede anzitutto che al sequestro e alla confisca di cui ai commi 1 e 2-ter (allargata e per equivalente) dell’art. 12-sexies si applichino le disposizioni in materia di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro previste dal Codice antimafia.

A seguito delle modifiche introdotte al comma 1, è poi soppresso - in quanto superfluo - il riferimento, anche per i sequestri e confisca di beni adottati nei procedimenti sui delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., all’applicazione della disciplina dei beni sequestrati e confiscati previste dal Codice antimafia.

Una modifica interessa anche il supporto che l’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati fornisce al giudice per l’amministrazione e la custodia dei beni oggetto di sequestro. Tale supporto, nei procedimenti in cui non sia prevista l’udienza preliminare (in cui attualmente l’intervento dell’Agenzia non è previsto) è assicurato fino all’emissione del decreto di citazione a giudizio (o del decreto che dispone il giudizio immediato o fino all’emissione del provvedimento conclusivo dell’udienza che decide sulla richiesta di patteggiamento nel corso delle indagini preliminari ex art. 447 c.p.p.).

L’articolo 4 aggiunge, poi, dopo il comma 4-quater tre nuovi commi (lett. f):

-        il comma 4-quinquies stabilisce l’obbligo, nel processo di cognizione, di citare i terzi interessati che risultino titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni oggetto di sequestro di cui l’imputato abbia, a qualunque titolo, la disponibilità;

-        il comma 4-sexies prevede l’applicabilità della disciplina dell’art. 12-sexies – ad eccezione di quella della confisca per equivalente (comma 2-ter) – anche quando, pronunciata la sentenza di condanna in un grado di giudizio, il reato sia dichiarato estinto per prescrizione o amnistia dal giudice di appello o dalla Cassazione; in tal caso, il giudice del gravame decide sull’impugnazione ai soli effetti della confisca allargata, previo accertamento della responsabilità dell’imputato;

-        il comma 4-septies, in fine, stabilisce che – a seguito del formarsi del giudicato sulla sentenza di condanna – nonostante la morte della persona nei cui confronti sia stata disposta la confisca dei beni, il procedimento per l’applicazione della misura inizia (o prosegue) nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa.

 

Testo a fronte

Normativa vigente

A.C. 2798

Decreto-legge n. 306 del 1992
Art. 12-sexies
Ipotesi particolari di confisca

1. Nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell' art. 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 322, 322-bis, 325, 416, sesto comma, 416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473, 474, 517-ter e 517-quater, 416-bis, 600, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 600-quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies, 601, 602, 629, 630, 644, [644-bis], 648, esclusa la fattispecie di cui al secondo comma, 648-bis, 648-ter del codice penale, nonché dall'art. 12-quinquies, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, ovvero per taluno dei delitti previsti dagli articoli 73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. Le disposizioni indicate nel periodo precedente si applicano anche in caso di condanna e di applicazione della pena su richiesta, a norma dell' art. 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale.

1. Nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 322, 322-bis, 325, 416, realizzato allo scopo di commettere alcuno dei delitti previsti dagli articoli 517-ter e 517-quater, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 600-quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies, 629, 644, 648, esclusa la fattispecie di cui al secondo comma, 648-bis e 648-ter del codice penale, dall'articolo 295, secondo comma, del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, dall'articolo 12-quinquies, comma 1, del presente decreto e dall'articolo 73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, o per delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. In ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego di provento dell'evasione fiscale

2. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell' art. 444 del codice di procedura penale, per un delitto commesso avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis del codice penale, ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché a chi è stato condannato per un delitto in materia di contrabbando, nei casi di cui all'articolo 295, secondo comma, del testo unico approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43.

Abrogato

2-bis. In caso di confisca di beni per uno dei delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 322, 322-bis e 325 del codice penale, si applicano le disposizioni degli articoli 2-novies, 2-decies e 2-undecies della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni.

Abrogato

2-ter. Nel caso previsto dal comma 2, quando non è possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui al comma 1, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilità per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona.

2-ter. Nei casi previsti dal comma 1, quando non è possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui allo stesso comma 1, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona.

2-quater. Le disposizioni del comma 2-bis si applicano anche nel caso di condanna e di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per taluno dei delitti previsti dagli articoli 629, 630, 648, esclusa la fattispecie di cui al secondo comma, 648-bis e 648-ter del codice penale, nonché dall’articolo 12-quinquies del presente decreto e dagli articoli 73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.

Abrogato.

3. Fermo quanto previsto dagli articoli 100 e 101 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per la gestione e la destinazione dei beni confiscati a norma dei commi 1 e 2 si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni contenute nel D.L. 14 giugno 1989, n. 230, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 1989, n. 282. Il giudice, con la sentenza di condanna o con quella prevista dall' art. 444, comma 2, del codice di procedura penale, nomina un amministratore con il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione e all'amministrazione dei beni confiscati. Non possono essere nominate amministratori le persone nei cui confronti il provvedimento è stato disposto, il coniuge, i parenti, gli affini e le persone con essi conviventi, né le persone condannate ad una pena che importi l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o coloro cui sia stata irrogata una misura di prevenzione.

Abrogato.

4. Se, nel corso del procedimento, l'autorità giudiziaria, in applicazione dell' art. 321, comma 2, del codice di procedura penale, dispone il sequestro preventivo delle cose di cui è prevista la confisca a norma dei commi 1 e 2, le disposizioni in materia di nomina dell'amministratore di cui al secondo periodo del comma 3 si applicano anche al custode delle cose predette.

Abrogato.

4-bis. Le disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati previste dal decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni, si applicano ai casi di sequestro e confisca previsti dai commi da 1 a 4 del presente articolo, nonché agli altri casi di sequestro e confisca di beni adottati nei procedimenti relativi ai delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale. In tali casi l'Agenzia coadiuva l'autorità giudiziaria nell'amministrazione e nella custodia dei beni sequestrati, sino al provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare e, successivamente a tale provvedimento, amministra i beni medesimi secondo le modalità previste dal citato decreto legislativo n. 159 del 2011. Restano comunque salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno.

4-bis. Le disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati nonché quelle in materia di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro previste dal decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni, si applicano ai casi di sequestro e confisca previsti dai commi 1 e 2-ter del presente articolo. In tali casi l'Agenzia coadiuva l'autorità giudiziaria nell'amministrazione e nella custodia dei beni sequestrati, sino al provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare ovvero, ove questa non sia prevista, sino all'emissione del decreto di citazione a giudizio o del decreto che dispone il giudizio immediato o sino al provvedimento conclusivo dell'udienza celebrata ai sensi dell'articolo 447, comma 1, del codice di procedura penale, e, successivamente a tali provvedimenti, amministra i beni medesimi secondo le modalità previste dal citato decreto legislativo n. 159 del 2011. Restano comunque salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno.

4-ter. Con separati decreti, il Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, sentiti gli altri Ministri interessati, stabilisce anche la quota dei beni sequestrati e confiscati a norma del presente decreto da destinarsi per l'attuazione delle speciali misure di protezione previste dal decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni, e per le elargizioni previste dalla legge 20 ottobre 1990, n. 302, recante norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata. Nei decreti il Ministro stabilisce anche che, a favore delle vittime, possa essere costituito un Fondo di solidarietà per le ipotesi in cui la persona offesa non abbia potuto ottenere in tutto o in parte le restituzioni o il risarcimento dei danni conseguenti al reato.

4-ter. Identico.

4-quater. Il Consiglio di Stato esprime il proprio parere sugli schemi di regolamento di cui al comma 4-ter entro trenta giorni dalla richiesta, decorsi i quali il regolamento può comunque essere adottato.

4-quater. Identico.

 

4-quinquies. Nel processo di cognizione devono essere citati i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in sequestro, di cui l'imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo.

 

4-sexies. Le disposizioni del presente articolo, ad eccezione di quelle del comma 2-ter, si applicano quando, pronunziata sentenza di condanna in uno dei gradi di giudizio, il giudice di appello o la Corte di cassazione dichiara estinto il reato per prescrizione o per amnistia, decidendo sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato.

 

4-septies. In caso di morte del soggetto nei cui confronti è stata disposta la confisca con sentenza di condanna passata in giudicato, il relativo procedimento inizia o prosegue, a norma dell'articolo 666 del codice di procedura penale, nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa.

 

 


 

Capo II – Modifica alla disciplina della prescrizione e delega al Governo per la riforma del regime di procedibilità per taluni reati, per il riordino di alcuni settori del codice penale e per la revisione della disciplina del casellario giudiziale

Art. 5
(Modifiche alla disciplina della prescrizione e regime transitorio)

L’articolo 5 interviene in tema di sospensione del corso della prescrizione. Sostituisce l’articolo 159 del codice penale, stabilendo che – in relazione a tutti i fatti commessi successivamente all’entrata in vigore della riforma – le sentenze non definitive di condanna siano altrettante cause di sospensione della prescrizione.

 

Si ricorda che, in base all’art. 159 c.p., il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare norma di legge, oltre che nei casi di:

·          autorizzazione a procedere;

·          deferimento della questione ad altro giudizio;

·          sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell'imputato o del suo difensore.

·          sospensione del procedimento penale per assenza dell’imputato ai sensi dell'art. 420-quater c.p.p.; questa ipotesi di sospensione è stata introdotta dalla recente legge n. 67 del 2014[2].

La riforma del 2005 (c.d. legge ex Cirielli)[3] ha posto un limite alla durata della sospensione derivante da impedimento delle parti o dei difensori, stabilendo che l'udienza non possa essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell'impedimento, dovendosi avere riguardo, in caso contrario (di non fissazione, cioè, dell'udienza) al tempo dell'impedimento aumentato di sessanta giorni.

 

La relazione illustrativa del disegno di legge del Governo precisa che: «Il nucleo della riforma fa leva sulla sentenza di condanna di primo grado che, affermando la responsabilità dell'imputato, non può che essere assolutamente incompatibile con l'ulteriore decorso del termine utile al cosiddetto oblio collettivo rispetto al fatto criminoso commesso. Non si tratta però di far cessare da quel momento la prescrizione, quanto di introdurre specifiche parentesi di sospensione per dare modo ai giudizi di impugnazione di poter disporre di un periodo congruo per il loro svolgimento, senza che vi sia il pericolo di estinzione del reato per decorso del tempo pur dopo il riconoscimento della fondatezza della pretesa punitiva dello Stato, consacrato dalla sentenza di condanna non definitiva. Il periodo di sospensione per i giudizi di impugnazione è però oggetto di computo ai fini del termine di prescrizione per il caso in cui la sentenza di condanna sia riformata o annullata (o sia annullata la sua conferma in appello), perché viene meno il presupposto che giustifica la sospensione, cioè, come già detto, il riconoscimento della fondatezza della pretesa punitiva statuale».

 

In particolare, con il nuovo testo dell’art. 159 c.p.:

·         sono integrate le cause di sospensione del corso della prescrizione già previste dal primo comma dell’art. 159 c.p., contemplando l’ipotesi ulteriore di una rogatoria all’estero e stabilendo che il periodo di sospensione non può in tal caso eccedere i 6 mesi;

·         sono individuate nelle sentenze non definitive di condanna altrettante cause di sospensione della prescrizione (nuovo secondo comma). In particolare, dopo la sentenza di condanna in primo grado, il termine di prescrizione resta sospeso fino al deposito della sentenza di appello e comunque per un tempo non superiore a 2 anni. Dopo la sentenza di condanna in appello, anche se pronunciata in sede di rinvio, il termine di prescrizione resta sospeso fino alla pronuncia della sentenza definitiva (Cassazione) e comunque per un tempo non superiore a un anno.

In entrambi i casi, ai termini di due anni e un anno vanno eventualmente aggiunti i termini di 15 e 90 giorni previsti dall’art. 544 c.p.p. per l’ipotesi in cui non sia possibile procedere immediatamente alla redazione della sentenza (comma 2, 15 giorni), ovvero la stesura della motivazione della sentenza sia particolarmente complessa per l’alto numero delle parti o la gravità delle imputazioni (comma 3, 90 giorni).

Si osserva che, mentre la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di condanna di primo grado è collegata al deposito della sentenza di appello, il nuovo secondo comma dell’art. 159 c.p. individua nella pronuncia della sentenza di Cassazione il momento di cessazione della sospensione. Peraltro, la pronuncia della sentenza consiste nella lettura del dispositivo in udienza, il che rende superfluo il richiamo all’art. 544 c.p.p. che presuppone una complessità nella stesura della motivazione, che ritarda il deposito.

Dalla formulazione della disposizione si evince che i due anni di sospensione della prescrizione concessi per lo svolgimento del giudizio di appello si concludono comunque con il deposito della sentenza che definisce il grado successivo di giudizio. In caso di annullamento in Cassazione con rinvio, per il tempo necessario al nuovo giudizio d’appello non è prevista la sospensione del corso della prescrizione.

 

·         se in secondo grado o in Cassazione l’imputato viene assolto o viene annullata la sentenza di condanna nella parte relativa all’accertamento della responsabilità, in base al nuovo terzo comma i periodi di sospensione di 2 anni (concesso per il giudizio d’appello) e di un anno (concesso per il giudizio di Cassazione) vengono ricomputati ai fini del calcolo del termine di prescrizione.

 

La relazione illustrativa precisa che «il computo nel periodo utile al maturarsi della prescrizione potrà essere fatto solo dopo che la riforma o l'annullamento della sentenza di condanna siano stati pronunciati, e che pertanto esso non potrà in alcun modo incidere su quella decisione, nel senso che il giudice non potrà prendere in considerazione, come soluzione alternativa alla riforma o all'annullamento, la dichiarazione della prescrizione in forza del computo del periodo sospeso, per l'ovvia e semplice ragione che, prima della pronuncia della sentenza di riforma o di annullamento, quel computo è precluso».

 

·         Il nuovo quarto comma disciplina l’ipotesi di concorso tra la causa di sospensione dovuta alle condanne nei gradi di merito e le altre cause sospensive previste dal primo comma, stabilendo in tal caso il prolungamento corrispondente del termine.

 

Il comma 2 dell’articolo 5 specifica che la nuova disciplina della sospensione del termine di prescrizione potrà applicarsi solo ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore della riforma.

 

Il disegno di legge del Governo non realizza dunque una complessiva riforma dell’istituto della prescrizione - come invece fanno le proposte di legge attualmente all’esame della Commissione Giustizia della Camera[4] - ma circoscrive l’intervento alle cause di sospensione della prescrizione, riprendendo sostanzialmente sul punto le conclusioni cui era giunta la c.d. Commissione Fiorella (istituita con D.M. del 29 novembre 2012 dall’allora Ministro Severino, la cui proposta di riforma è stata pubblicata il 23 aprile 2013).

 

Si sottolinea, in fine, che il disegno di legge del Governo non tiene conto della sospensione del termine di prescrizione per sospensione del procedimento penale per assenza dell’imputato. Tale ipotesi (oggi prevista dall’art. 159, primo comma, n. 3-bis c.p.) è stata infatti introdotta dalla recente legge n. 67 del 2014, che la nuova formulazione dell’art. 159 c.p. non considera.

 

Testo a fronte

Normativa vigente

A.C. 2798

Codice penale
Art. 159
Sospensione del corso della prescrizione

Il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge, oltre che nei casi di:

Il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge, oltre che nei seguenti casi:

1) autorizzazione a procedere;

1) dal provvedimento con cui il pubblico ministero presenta la richiesta di autorizzazione a procedere, sino al giorno in cui l’autorità competente accoglie la richiesta;

2) deferimento della questione ad altro giudizio

2) dal provvedimento di deferimento della questione ad altro giudizio, sino al giorno in cui viene definito il giudizio cui è stata deferita la questione;

 

3) dal provvedimento che dispone una rogatoria internazionale, sino al giorno in cui l’autorità richiedente riceve la documentazione richiesta, o comunque decorsi sei mesi dal provvedimento che dispone la rogatoria;

3) sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell'imputato o del suo difensore. In caso di sospensione del processo per impedimento delle parti o dei difensori, l'udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell'impedimento, dovendosi avere riguardo in caso contrario al tempo dell'impedimento aumentato di sessanta giorni. Sono fatte salve le facoltà previste dall'articolo 71, commi 1 e 5, del codice di procedura penale;

4) nei casi di sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore. In caso di sospensione del processo per impedimento delle parti o dei difensori, l’udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell’impedimento, dovendosi avere riguardo in caso contrario al tempo dell’impedimento aumentato di sessanta giorni. Sono fatte salve le facoltà previste dall’articolo 71, commi 1 e 5, del codice di procedura penale.

3-bis) sospensione del procedimento penale ai sensi dell'articolo 420-quater del codice di procedura penale.

Soppresso

Nel caso di autorizzazione a procedere, la sospensione del corso della prescrizione si verifica dal momento in cui il pubblico ministero presenta la richiesta e il corso della prescrizione riprende dal giorno in cui l'autorità competente accoglie la richiesta.

Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso nei seguenti casi:

1)    dal deposito della sentenza di condanna di primo grado sino al deposito della sentenza che definisce il grado successivo di giudizio, per un tempo comunque non superiore ai due anni, oltre i termini previsti dall’articolo 544, commi 2 e 3, del codice di procedura penale;

2)    dal deposito della sentenza di secondo grado, anche se pronunciata in sede di rinvio, sino alla pronuncia della sentenza definitiva, per un tempo comunque non superiore ad un anno, oltre i termini previsti dall’articolo 544, commi 2 e 3, del codice di procedura penale.

 

I periodi di sospensione di cui al comma precedente sono computati ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere dopo che la sentenza del grado successivo ha assolto l’imputato ovvero ha annullato la sentenza di condanna nella parte relativa all’accertamento di responsabilità.

 

Se durante i termini di sospensione si verifica un’ulteriore causa di sospensione, i termini sono prolungati per il periodo corrispondente.

La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione.

Identico.

Nel caso di sospensione del procedimento ai sensi dell'articolo 420-quater del codice di procedura penale, la durata della sospensione della prescrizione del reato non può superare i termini previsti dal secondo comma dell'articolo 161 del presente codice.

Soppresso.

 


 

Art. 6
(Delega al Governo per la riforma del regime di procedibilità per taluni reati, per la revisione delle misure di sicurezza e per il riordino di alcuni settori del codice penale)

 

L’articolo 6 delega il Governo ad adottare – entro un anno dall’entrata in vigore della legge – uno o più decreti legislativi per modificare il codice penale al fine di (comma 1):

 

·         modificare il regime di procedibilità di alcuni reati, prevedendo in particolare la procedibilità a querela dell’offeso in relazione ai reati contro la persona e ai reati contro il patrimonio che arrechino offese di modesta entità all’interesse protetto. La procedibilità d’ufficio dovrà essere mantenuta quando la persona offesa da tali condotte sia incapace per età o per infermità;

 

In merito, la Relazione illustrativa precisa che «Le scelte in concreto compiute ben potranno contribuire ad una deflazione del carico giudiziario, per mezzo delle determinazioni di non proporre querela o di rinunciare ad essa o, ancora, di rimetterla, senza che ciò comporti alcun sacrificio per le ragioni della persona offesa, a cui è appunto rimessa ogni valutazione».

 

·         riformare la disciplina delle misure di sicurezza, in particolare rivedendo l’istituto dell’infermità mentale, anche alla luce della normativa sul superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, e riformando i presupposti di applicazione delle misure con riferimento categorie della abitualità e della tendenza a delinquere. Sul tema della capacità dell’imputato di partecipare al procedimento penale che lo vede imputato interviene anche l’art. 9 del disegno di legge (v. infra);

 

Le misure di sicurezza possono essere personali o patrimoniali. Le prime consistono in "trattamenti terapeutici o di risocializzazione" cui vengono sottoposte le persone - imputabili o non imputabili - ritenute socialmente pericolose; le seconde incidono sul patrimonio ed hanno per oggetto "prestazioni in denaro" (cauzione di buona condotta) o "cose" (confisca) e si prefiggono lo scopo di prevenire la commissione di nuovi reati.

Le misure di sicurezza personali (articolo 215 c.p.) si distinguono in detentive (assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro; ricovero in una casa di cura e di custodia ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario; ricovero in un riformatorio giudiziario) e non detentive (libertà vigilata; divieto di soggiorno in uno o più comuni, o in una o più province; divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche; espulsione dello straniero dallo Stato). Quando la legge stabilisce una misura di sicurezza senza indicarne la specie, il giudice dispone che si applichi la libertà vigilata, a meno che, trattandosi di un condannato per delitto, ritenga di disporre l'assegnazione di lui a una colonia agricola o ad una casa di lavoro.

Per quanto riguarda, invece, l’infermità mentale, si ricorda che l’articolo 88 del codice penale afferma che non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d'intendere o di volere. In tal caso, in base all’art. 222 del codice è sempre disposto il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario. Si ricorda, però, che con il D.Lgs. 230/1999, relativo al riordino della medicina penitenziaria, e il conseguente D.P.C.M. 1° aprile 2008, è stato avviato il processo di definitivo superamento degli OPG. Il DPCM prevedeva infatti la chiusura degli OPG ed il trasferimento, entro il 2010, degli internati in strutture sanitarie regionali gestite dalle ASL. Il termine, per i ritardi nella realizzazione delle strutture di accoglienza regionali, è stato più volte prorogato.

In particolare, il decreto-legge 211/2011, nel fissare al 1° febbraio 2013 il termine per il superamento degli OPG, ha stabilito che da tale data le misure di sicurezza del ricovero in OPG o all'assegnazione a casa di cura e custodia devono essere eseguite esclusivamente in strutture sanitarie (ora denominate Residenze per Esecuzione di Misure di Sicurezza - REMS), da realizzarsi sulla base dei criteri attuativi contenuti in un decreto interministeriale. Resta fermo che le persone non più socialmente pericolose avrebbero dovuto essere dimesse e prese in carico, sul territorio, dai Dipartimenti di salute mentale delle ASL.

Il termine del 1° febbraio 2013 è stato prima prorogato al 1° aprile 2014 dal decreto legge 24/2013 e poi al 31 marzo 2015 dal decreto-legge n. 52 del 2014.

 

·         inserire nel codice penale le fattispecie incriminatrici che attualmente si trovano nella legislazione speciale, quando le stesse siano riconducibili a settori di tutela penale che, per omogeneità di materia o di interesse protetto, possono essere ricondotti al diritto penale generale. Ciò dovrebbe garantire una “migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni”.

 

Si sottolinea che, in base a un riscontro svolto dal Servizio studi, nell’aprile 2014 risultano non meno di 451 provvedimenti legislativi in vigore che contengono singole o molteplici fattispecie penali. Se si pensa che il codice penale contiene circa 470 reati, tra delitti e contravvenzioni, emerge la rilevanza del fenomeno di dispersione del nostro diritto penale; fenomeno che ha consentito, nel 2012, al Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, di quantificare in ben 35.000 i reati perseguibili in Italia. Tale dato non è stato smentito – in assenza di una apposita banca dati delle fattispecie penali – dal Primo Presidente della Corte di Cassazione che l’ha invece ritenuto «non facilmente verificabile, ma certamente indicativo del quadro di grandezza»[5].

 

In base al comma 2, i decreti legislativi dovranno essere adottati entro un anno dall’entrata in vigore della legge delega, nel rispetto del seguente procedimento:

-        proposta del Ministro della Giustizia;

-        trasmissione dello schema alle commissioni parlamentari competenti, che dovranno esprimere il proprio parere entro 45 giorni;

-        proroga del termine per l’esercizio della delega di ulteriori 60 giorni, quando il termine di 45 giorni per il parere scada nei 30 giorni antecedenti lo scadere della medesima delega, o successivamente.


 

Art. 7
(Delega al Governo per la revisione della disciplina del casellario giudiziale)

L’articolo 7 del disegno di legge delega il Governo – entro un anno dall’entrata in vigore della riforma – ad adottare un decreto legislativo per modificare la disciplina del casellario giudiziale.

 

La disciplina del casellario giudiziale, inteso come insieme «dei dati relativi a provvedimenti giudiziari e amministrativi riferiti a soggetti determinati» è oggi contenuta nel D.P.R. n. 313 del 2002, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, che ha riordinato ed armonizzato norme vigenti da numerosi decenni, ponendo fine ad una confusa frammentazione del quadro normativo.

La novità principale del testo unico è data dalla previsione di un «sistema informativo automatizzato», che ricomprende istituti giuridici con finalità sussidiaria e complementare dell’organizzazione giudiziaria riguardanti l’iscrizione, la conservazione e l’eliminazione di dati relativi a pronunce giurisdizionali penali divenute definitive ed altri provvedimenti giudiziari, al fine di realizzare, attraverso una funzione certificativa, una pluralità di esigenze, attinenti al diritto amministrativo (es., documentazione di taluni requisiti per l’accesso a pubblici uffici, il riconoscimento di determinati diritti al cittadino), al diritto civile e al diritto penale processuale e sostanziale (basti pensare all’acquisizione di dati utili per l’irrogazione in concreto della sanzione, per la determinazione del cumulo delle pene, per l’applicazione di misure di sicurezza e la ricognizione di elementi richiesti per la dichiarazione di abitualità e professionalità criminosa, ecc.).

In particolare, le norme del titolo II del TU individuano, con specifico riguardo al casellario giudiziale, quali sono i provvedimenti iscrivibili (art. 3), quali dati del provvedimento stesso vengono immessi nel sistema (art. 4) e le ipotesi in presenza delle quali si provvede all’eliminazione delle iscrizioni (art. 5).

 

La norma di delega non individua particolari principi e criteri direttivi per l’attuazione della riforma, limitandosi a prevedere che la revisione della disciplina del casellario debba avvenire «alla luce delle modifiche intervenute nella materia penale, anche processuale, e dei principi e dei criteri contenuti nella normativa nazionale e nel diritto dell’Unione europea in materia di protezione dei dati personali». La relazione illustrativa non fornisce elementi ulteriori utili a comprendere quali siano gli specifici ambiti dell’attuale disciplina, che il Governo intenda modificare.

 

In base al comma 2, i decreti legislativi dovranno essere emanati entro un anno dall’entrata in vigore della legge delega, nel rispetto del seguente procedimento:

-        proposta del Ministro della Giustizia;

-        trasmissione dello schema alle commissioni parlamentari competenti, ai fini dell’espressione del parere entro 45 giorni;

-        possibile proroga del termine per l’esercizio della delega di ulteriori 60 giorni, quando il termine di 45 giorni per il parere scada nei 30 giorni antecedenti lo scadere della delega, o successivamente.

 


 

Art. 8
(Delega al Governo per l’adozione di norme di attuazione, di coordinamento e transitorie)

 

L’articolo 8 delega il Governo ad adottare un decreto legislativo, nel rispetto delle procedure e dei termini fissati dagli articoli 6 e 7, concernente le disposizioni di attuazione e di coordinamento, nonché le norme transitorie, che si rendano opportune in relazione alle suddette riforme.

Si osserva che per questa delega non sono previsti principi e criteri direttivi, neanche con un rinvio a quanto previsto dagli articoli 6 e 7. Non è inoltre prevista – come normalmente avviene in casi analoghi (si veda ad es. l’art. 28 del disegno di legge) - una specifica delega per eventuali disposizioni integrative e correttive.

 


 

Titolo II – Modifiche al codice di procedura penale

Capo I – Modifiche in materia di incapacità dell’imputato di partecipare al processo, di indagini preliminari e di archiviazione

Art. 9
(Modifiche in materia di incapacità irreversibile dell’imputato)

L’articolo 9 riguarda la definizione del procedimento per incapacità dell’imputato, distinguendo l’ipotesi in cui l’incapacità sia reversibile da quella in cui essa sia irreversibile.

 

In base alle disposizioni vigenti, si tratta dei casi in cui non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e vi è ragione di ritenere che, per infermità mentale sopravvenuta al fatto, l'imputato non sia in grado di partecipare coscientemente al processo; il giudice, se occorre, dispone anche di ufficio, perizia e dispone la sospensione del processo (art. 71 c.p.p.). Allo scadere del sesto mese dalla pronuncia dell'ordinanza di sospensione del procedimento, o anche prima quando ne ravvisi l'esigenza, il giudice dispone ulteriori accertamenti peritali sullo stato di mente dell'imputato. Analogamente provvede a ogni successiva scadenza di sei mesi, qualora il procedimento non abbia ripreso il suo corso. La sospensione è revocata con ordinanza non appena risulti che lo stato mentale dell'imputato ne consente la cosciente partecipazione al procedimento ovvero che nei confronti dell'imputato deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere.

 

L’articolo 9 – oltre a integrare l’art. 71 c.p.p. in modo da prevederne l’applicabilità al solo caso in cui l’incapacità sia reversibile - introduce un nuovo art. 71-bis sulla definizione del procedimento per incapacità irreversibile dell’imputato.

Il nuovo articolo pare mosso da ragioni di economia processuale. Infatti, il meccanismo attuale di sospensione e di reiterazione, a cadenze programmate, degli accertamenti sullo stato di mente non è considerato adeguato alle ipotesi in cui l'incapacità sia conseguenza di uno stato mentale irreversibile, che priva di senso sia la sospensione del processo sia le periodiche verifiche peritali.

In base al nuovo articolo, se, a seguito degli accertamenti previsti, risulta che lo stato mentale dell’imputato è tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento e tale stato è irreversibile, il giudice, revocata l’eventuale ordinanza di sospensione del procedimento, pronuncia sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i presupposti per l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca.

La natura della sentenza, che definisce il processo con un semplice non doversi procedere, non osta ad una ripresa della vicenda processuale nella eventualità remota che l'imputato riacquisti la capacità di cosciente partecipazione.

Art. 10
(Modifiche alla disciplina delle indagini preliminari e del procedimento di archiviazione)

 

L’articolo 10 riguarda le indagini preliminari e il procedimento di archiviazione.

In particolare, al comma 1, modifica l’art. 104 c.p.p. per limitare ai casi più gravi il potere del giudice di differire il colloquio dell’arrestato con il suo difensore.

Attualmente, nel corso delle indagini preliminari, quando sussistono specifiche ed eccezionali ragioni di cautela, il giudice su richiesta del pubblico ministero può, con decreto motivato, differire, per un tempo non superiore a cinque giorni, il colloquio dell’arrestato con il difensore.

La modifica introdotta circoscrive la possibilità di ritardare il colloquio con il difensore alle indagini preliminari per i reati di maggior allarme sociale. Si tratta dei reati per i quali è competente il p.m. del tribunale capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente (art. 51, comma 3-bis, c.p.p) e dei reati per i quali è possibile l’avocazione delle indagini da parte del procuratore generale presso la corte d’appello (art. 372, comma 1-bis, c.p.p.).

Mentre per il catalogo dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis c.p.p. si rinvia al commento dell’art. 4 del d.d.l. in esame, gli altri delitti (di cui all’art. 372, comma 1-bis) per i quali permane la possibilità di ritardare i colloqui difensivi sono quelli previsti dai seguenti articoli del codice penale: artt. 270-bis (Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico), 280 (Attentato per finalità terroristiche o di eversione), 285 (Devastazione, saccheggio e strage), 286 (Guerra civile), 289-bis (Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione), 305 (Cospirazione politica mediante associazione), 306 (Banda armata: formazione e partecipazione), 416 (Associazione per delinquere) e 422 (Strage).

 

Il comma 2 modifica l’art. 360 c.p.p. sulla disciplina degli accertamenti tecnici non ripetibili su iniziativa del PM allo scopo di limitare la riserva di incidente probatorio promossa dall’indagato allo scopo di ostacolare il compimento degli accertamenti stessi.

In base alle disposizioni vigenti qualora, prima del conferimento dell'incarico al consulente da parte del PM., la persona sottoposta alle indagini formuli riserva di promuovere incidente probatorio, il pubblico ministero dispone che non si proceda agli accertamenti salvo che questi, se differiti, non possano più essere utilmente compiuti.

In base alla modifica introdotta all’art. 360 c.p.p., con l’inserimento di un nuovo comma 4-bis, la riserva perde efficacia e non può essere ulteriormente formulata se la richiesta di incidente probatorio non è proposta entro 5 giorni dalla formulazione della riserva stessa.

La finalità, precisata nella relazione illustrativa, è quella di evitare forme abusive, volte esclusivamente a ostacolare il compimento dell'atto di indagine.

Il comma 3 dell’articolo 10 del disegno di legge modifica poi il comma 5 dell’art. 360 c.p.p., con finalità di coordinamento con il nuovo comma 4-bis. E’ infatti specificato che l’inutilizzabilità degli esiti degli accertamenti, disposti dal p.m. malgrado l'espressa riserva formulata dalla persona sottoposta alle indagini, non opera nel caso di inefficacia della riserva di incidente probatorio.

Il comma 4 modifica la disciplina dei provvedimenti del giudice sulla richiesta di archiviazione, abrogando la vigente disposizione (comma 6 dell’art. 409 c.p.p.) secondo cui l'ordinanza di archiviazione è ricorribile per cassazione solo nei casi di nullità previsti per i procedimenti in camera di consiglio dall'articolo 127, comma 5 (ovvero l’inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 127, commi 1, 3 e 4, tutte attinenti alla violazione del principio del contraddittorio).

 

I citati casi di nullità riguardano, infatti:

§  il mancato rispetto delle disposizioni sull’avviso alle parti circa la data dell'udienza (comma 1);

§  il mancato rispetto del diritto ad essere sentiti del p.m. e degli altri destinatari dell'avviso della data dell’udienza e dei difensori (comma 3);

§  il mancato rinvio dell’udienza per legittimo impedimento dell'imputato (comma 4).

 

La modifica risulta connessa alla nuova disciplina della nullità del provvedimento di archiviazione contenuta nel nuovo art. 410-bis c.p.p. (introdotto dal successivo comma 5 dell’art. 10 in esame). Nel complesso, la nuova disciplina intende avere carattere ricognitivo dei casi di nullità del provvedimento di archiviazione elaborati dalla giurisprudenza.

L’art. 410-bis distingue tra nullità del decreto di archiviazione e quella dell’ordinanza di archiviazione.

 

Il G.I.P. può pronunciare decreto motivato di archiviazione quando accoglie la relativa richiesta del P.M. o quando l’opposizione presentata alla stessa (da parte della persona offesa) sia inammissibile. Se non accoglie la richiesta del PM o ammette l’opposizione, il GIP fissa dinanzi a sé un’udienza in camera di consiglio all’esito della quale potrà pronunciare: ordinanza di archiviazione (ricorribile in Cassazione solo nei citati casi di nullità previsti dall’art. 127, comma 5); indicare con ordinanza al P.M. ulteriori indagini da svolgere; disporre con ordinanza che il PM formuli entro 10 gg. l’imputazione (art. 409 c.p.p.).

 

Il decreto di archiviazione è nullo se è emesso:

§  in mancanza dell’avviso alla persona offesa (che abbia dichiarato di volerne essere informata) della richiesta di archiviazione (art. 408, comma 2);

§  prima della scadenza del termine di 10 giorni entro cui la parte offesa può prendere visione degli atti e presentare opposizione richiedendo la prosecuzione delle indagini preliminari (art. 408, comma 3);

§  prima della presentazione dell’atto di opposizione all’archiviazione;

§  se, essendo stata presentata opposizione, il giudice omette di pronunciarsi sulla sua ammissibilità.

In tali ipotesi si applica il procedimento previsto per la correzione degli errori materiali previsto dall’art. 130 c.p.p.

 

In base alla disciplina dell’art. 130, la correzione delle sentenze, delle ordinanze e dei decreti inficiati da errori od omissioni che non determinano nullità, e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell'atto, è disposta, anche di ufficio, dal giudice che ha emesso il provvedimento. In caso di impugnazione, la correzione è disposta dal giudice competente a conoscere dell'impugnazione.

 Il giudice provvede in camera di consiglio a norma dell'articolo 127 e dell'ordinanza che ha disposto la correzione è fatta annotazione sull'originale dell'atto.

 

L’ordinanza di archiviazione è nulla solo nei casi di violazione del contraddittorio previsti dall’articolo 127, comma 5 (v. ante) ovvero gli stessi casi per i quali è attualmente ricorribile per cassazione.

In tali casi di nullità, l’interessato, entro 15 giorni dalla conoscenza del provvedimento, può impugnare l’ordinanza davanti alla corte di appello, che provvede con ordinanza non impugnabile. Proprio l’impugnazione in appello dell’ordinanza anziché, come ora, solo per cassazione, costituisce la novità più rilevante del nuovo art. 410-bis. Il gravame presso il giudice di legittimità – si legge nella relazione – “costituisce un mezzo eccessivo rispetto alla funzione connessa all’esame dei vizi che attengono alla mera violazione del contraddittorio camerale in sede di procedimento di archiviazione”.

Le modalità procedurali prevedono che le parti interessate siano avvisate, almeno 10 giorni prima, dell’ udienza fissata per la decisione e che le stesse parti (cui è precluso l’intervento in udienza) possono presentare memorie entro 5 gg. prima dell’udienza. La corte di appello, se l’impugnazione è fondata, annulla l’ordinanza di archiviazione e ordina la restituzione degli atti al giudice che ha emesso il provvedimento. Altrimenti conferma il provvedimento impugnato o dichiara inammissibile l’appello, condannando la parte privata impugnante al pagamento delle spese del procedimento, e, nel caso di inammissibilità, anche a quello di una somma in favore della cassa delle ammende da euro 258 a euro 2.065.

 

Il comma 6 dell’articolo 10, in fine, modifica, per coordinamento, l’art. 411 c.p.p. che individua gli altri casi di archiviazione (mancanza di una condizione di procedibilità, avvenuta estinzione del reato, fatto non previsto dalla legge come reato), cui comunque si applicano le disposizioni sulla richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato (art. 408), sui provvedimenti del giudice sulla richiesta di archiviazione (art. 409) e sull’opposizione alla richiesta di archiviazione (art. 410). Il nuovo art. 410-bis è quindi aggiunto all’elenco degli articoli che si applicano anche negli altri casi di archiviazione.

 


 

Capo II – Modifiche in materia di riti speciali, udienza preliminare, istruzione dibattimentale e struttura della sentenza di merito

Art. 11
(Modifiche alla disciplina dell’udienza preliminare)

L’articolo 11 interviene con specifiche modifiche sulla disciplina dell’udienza preliminare, con lo scopo di rendere tale disciplina più snella ed aderente alle finalità per cui è stata istituita dal legislatore ovvero costituire soltanto la sede di una prognosi sulla fondatezza dell’accusa e sull’utilità del dibattimento.

Il comma 1 dell’art. 11 limita in tale sede i poteri del GUP, con l’abrogazione dell’art. 421-bis c.p.p. relativo all’ordinanza per l'integrazione delle indagini.

 

La disposizione abrogata prevede attualmente che, ove non provveda alla chiusura della discussione dell’udienza preliminare, ritenendo matura la decisione allo stato degli atti (ex art. 421, comma 4, c.p.p.), il giudice, se ritiene incomplete le indagini preliminari ordina ulteriori indagini, fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare. Del provvedimento è data comunicazione al P.G. presso la corte d'appello, il quale può disporre con decreto motivato l'avocazione delle indagini.

 

Inoltre, nella citata ipotesi di chiusura della discussione dell’udienza preliminare in quanto si ritiene matura la decisione allo stato degli atti, è soppresso all’art. 422 c.p.p. il riferimento alla possibilità per il giudice di disporre d’ufficio l’assunzione di prove ritenute evidentemente decisive per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere; tali prove potranno, infatti, essere assunte solo a richiesta di parte.

 


 

Art. 12
(Modifiche alla disciplina dell’impugnazione della sentenza di non luogo a procedere)

L’articolo 12 modifica la disciplina dell’impugnazione della sentenza di non luogo a procedere che viene riarticolata su un doppio grado di giudizio.

 

Il vigente art. 428 c.p.p. prevede contro la sentenza di non luogo a procedere il solo ricorso per cassazione. Titolari del gravame sono:

a) il procuratore della Repubblica e il procuratore generale;

b) l'imputato, salvo che con la sentenza sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso.

La persona nei soli casi di nullità previsti dall'articolo 419, comma 7 (relativi all’obbligo di avviso alle parti della data dell’udienza preliminare, inerenti quindi il rispetto del contraddittorio). La persona offesa costituita parte civile può proporre ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606.

Sull'impugnazione decide la Corte di cassazione in camera di consiglio.

 

In particolare, è modificato l’art. 428 c.p.p.: si prevede che tale sentenza emessa in sede di udienza preliminare sia impugnabile (come già l’ordinanza di archiviazione) in appello anziché in cassazione; anche in tal caso, secondo la relazione illustrativa del d.d.l., la verifica da compiere ai fini della decisione appare estranea all’ambito di sindacato proprio della Corte di cassazione.

Viene, inoltre, preclusa l’impugnabilità della sentenza:

§  per l’imputato, se il non luogo a procedere deriva da fatto compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una legittima facoltà;

§  per la parte civile costituita nel processo penale, che si ritiene non penalizzata dalla sentenza di non luogo a procedere (una volta formatosi il giudicato sulla sentenza di assoluzione, la parte civile può comunque far valere, ai sensi dell’art. 652, primo comma, c.p.p., il suo diritto al risarcimento e alle restituzioni in sede civile o amministrativa).

 

Inoltre, il comma 3 dell’art. 428 (che prevede la superata previsione della decisione camerale della cassazione sull’impugnazione della sentenza) è sostituito da tre commi:

§  il nuovo comma 3 dispone che la corte d’appello decida in forma camerale sull’impugnazione; se ad appellare è il PM la corte, ove non confermi la sentenza: o dispone con decreto il giudizio formando il fascicolo dibattimentale o pronuncia sentenza di non luogo a procedere con formula meno favorevole all’imputato: se, invece, ad appellare è l’imputato, se non conferma la sentenza, la corte d’appello pronuncia il non luogo a procedere con formula più favorevole all’imputato.

§  Il comma 3-bis prevede la titolarità al ricorso per cassazione contro la sentenza di non luogo a procedere pronunciata in appello in capo all’imputato e al PG presso la corte d’appello per i soli motivi di cui alle lett. a) b) e c) dell’art. 606 c.p.p. ovvero: esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri; inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale; inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza.

§  Il comma 3-ter, infine, stabilisce che sull’impugnazione della sentenza di appello decide la corte di cassazione in camera di consiglio.

 

 

 

Testo a fronte

Normativa vigente

A.C. 2798

Codice di procedura penale
Art. 428
Impugnazione della sentenza di non luogo a procedere

1. Contro la sentenza di non luogo a procedere possono proporre ricorso per cassazione:

1. Contro la sentenza di non luogo a procedere possono proporre appello:

a) il procuratore della Repubblica e il procuratore generale;

a) il procuratore della Repubblica e il procuratore generale;

b) l'imputato, salvo che con la sentenza sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso.

b) l'imputato, salvo che con la sentenza sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso ovvero che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima.

2. La persona offesa può proporre ricorso per cassazione nei soli casi di nullità previsti dall'articolo 419, comma 7. La persona offesa costituita parte civile può proporre ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606.

2. La persona offesa può proporre appello nei soli casi di nullità previsti dall'articolo 419, comma 7.

3. Sull'impugnazione decide la Corte di cassazione in camera di consiglio con le forme previste dall'articolo 127.

3. Sull'impugnazione la corte di appello decide in camera di consiglio con le forme previste dall'articolo 127. In caso di appello del pubblico ministero, la corte, se non conferma la sentenza, pronuncia decreto che dispone il giudizio, formando il fascicolo per il dibattimento secondo le disposizioni degli articoli 429 e 431, o sentenza di non luogo a procedere con formula meno favorevole all'imputato. In caso di appello dell'imputato, la corte, se non conferma la sentenza, pronuncia sentenza di non luogo a procedere con formula più favorevole all'imputato.

 

3-bis. Contro la sentenza di non luogo a procedere pronunciata in grado di appello possono ricorrere per cassazione l'imputato e il procuratore generale solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell'articolo 606.

 

3-ter. Sull'impugnazione la Corte di cassazione decide in camera di consiglio con le forme previste dall'articolo 611.


 

Art. 13
(Modifiche alla disciplina del giudizio abbreviato)

 

L’articolo 13 modifica l’art. 438 c.p.p. in materia di giudizio abbreviato.

Viene, anzitutto, riformulato il comma 4, che attualmente prevede che sulla richiesta dell’imputato (che il processo sia definito all'udienza preliminare allo stato degli atti) il giudice provvede con ordinanza con la quale dispone il giudizio abbreviato.

Tale confermata disposizione è integrata dalla previsione che, ove la richiesta dell’imputato avvenga subito dopo il deposito dei risultati delle indagini difensive, il giudice provvede soltanto dopo che sia decorso l’eventuale termine chiesto dal PM per lo svolgimento di indagini suppletive; in tale ipotesi, l’imputato può revocare la richiesta di giudizio abbreviato.

Allo stesso art. 438 è aggiunto un comma finale (comma 6-bis) secondo cui dalla richiesta di giudizio abbreviato in udienza preliminare deriva:

·     la sanatoria delle eventuali nullità (escluse quelle assolute) e la non rilevabilità delle inutilizzabilità (salvo quelle derivanti da un divieto probatorio);

·     la preclusione a sollevare ogni questione sulla competenza territoriale del giudice.

Tale previsione aggiuntiva deriva dall’opportunità che l’imputato, optando per il giudizio abbreviato, accetti la validità degli atti compiuti nel procedimento sia la competenza del giudice; esigenze di economia processuale fanno quindi ritenere opportuna l’indicata sanatoria. Tale impostazione recepisce anche la giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione (sentenze n. 39298 del 2006 e n. 27996 del 2012).

 

Testo a fronte

Normativa vigente

A.C. 2798

Codice di procedura penale
Art. 438
Presupposti del giudizio abbreviato

1. L'imputato può chiedere che il processo sia definito all'udienza preliminare allo stato degli atti, salve le disposizioni di cui al comma 5 del presente articolo e all'articolo 441, comma 5.

1. Identico.

2. La richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422.

2. Identico.

3. La volontà dell'imputato è espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall'articolo 583, comma 3.

3. Identico.

4. Sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza con la quale dispone il giudizio abbreviato.

4. Sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza con la quale dispone il giudizio abbreviato. Quando l'imputato chiede il giudizio abbreviato immediatamente dopo il deposito dei risultati delle indagini difensive, il giudice provvede solo dopo che sia decorso il termine, eventualmente richiesto dal pubblico ministero, per lo svolgimento di indagini suppletive. In tal caso, l'imputato ha facoltà di revocare la richiesta.

5. L'imputato, ferma restando la utilizzabilità ai fini della prova degli atti indicati nell'articolo 442, comma 1-bis, può subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione. Il giudice dispone il giudizio abbreviato se l'integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili. In tal caso il pubblico ministero può chiedere l'ammissione di prova contraria. Resta salva l'applicabilità dell'articolo 423.

5. Identico.

6. In caso di rigetto ai sensi del comma 5, la richiesta può essere riproposta fino al termine previsto dal comma 2.

6. Identico.

 

6-bis. La richiesta di giudizio abbreviato proposta nell'udienza preliminare determina la sanatoria delle nullità, sempre che non siano assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio. Essa preclude altresì ogni questione sulla competenza per territorio del giudice.

 

 


 

Art. 14
(Modifiche in materia di correzione dell'errore materiale e di applicazione della pena su richiesta delle parti. Nuova forma di definizione anticipata del processo)

 

L’articolo 14 del provvedimento modifica, in particolare, la disciplina del patteggiamento di cui all’art. 444 del codice di rito penale introducendo, nel contempo, un nuovo istituto ad esso analogo (nuovo art. 448-bis): la sentenza di condanna su richiesta dell’imputato.

Le modifiche al patteggiamento: limitano la ricorribilità per cassazione; accelerano la formazione del giudicato; modificano l’ambito applicativo dell’istituto; per i più gravi delitti dei pubblici ufficiali contro la p. a., condizionano la richiesta di patteggiamento alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato.

 

Più in dettaglio, una prima modifica (comma 1) riguarda l’art. 130 c.p.p. (sulla correzione di errori materiali nelle sentenze) cui è aggiunto un comma 1-bis secondo il quale, quando nella sentenza ex art. 444 si deve correggere soltanto la specie o la quantità della pena a seguito di errore nella determinazione o nel computo, sarà lo stesso giudice che ha emesso la sentenza a provvedere. In caso di impugnazione del provvedimento (ci si riferisce, evidentemente, all’impugnazione del solo PM ex art. 448, comma 2, c.p.p., essendo le sentenze di patteggiamento inappellabili) alla rettifica provvede la Corte di cassazione ai sensi dell’art. 619, comma 2 c.p.p. (ovvero senza bisogno di pronunciare annullamento della sentenza).

Il comma 2 dell’art. 14 modifica il comma 1 dell’art. 444 c.p.p., intervenendo sulla disciplina dell’applicazione della pena su richiesta delle parti. L’ambito di applicazione dell’istituto è ridotto dall’abbassamento da 5 a 3 anni del limite di pena detentiva che consente il patteggiamento. Il nuovo limite coincide con quello che, ordinariamente, comporta la sospensione dell'ordine di esecuzione per l'applicazione al di fuori del circuito carcerario delle misure alternative alla detenzione

 

Attualmente, l’art. 444, comma 1, prevede che l'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera 5 anni soli o congiunti a pena pecuniaria.

 

 

Il comma 3 sopprime il comma 1-bis dell’art. 444 che - ove la pena superi due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria - esclude dall'applicazione della pena su richiesta i procedimenti per i gravi delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis (vedi ante) e 3-quater (delitti con finalità di terrorismo), c.p.p., i procedimenti per i delitti di cui agli articoli 600-bis (prostituzione minorile), 600-ter, primo, secondo, terzo e quinto comma (illeciti in materia di pornografia minorile), 600-quater, secondo comma (detenzione di ingenti quantità di materiale pornografico minorile), 600-quater.1 (pornografia virtuale), relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies (turismo sessuale), nonché 609-bis (violenza sessuale), 609-ter (violenza sessuale aggravata), 609-quater (atti sessuali con minorenne) e 609-octies (violenza sessuale di gruppo) del codice penale, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza, o recidivi ai sensi dell'articolo 99, quarto comma, del codice penale.

Il comma 4 aggiunge allo stesso art. 444 c.p.p. un comma 1-ter che subordina alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato la richiesta di patteggiamento nei procedimenti per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti dai seguenti articoli del codice penale: artt. 314 (peculato), 317 (concussione), 318 (corruzione per l'esercizio della funzione), 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio), 319-ter (corruzione in atti giudiziari), 319-quater (induzione indebita a dare o promettere utilità) e 322-bis (peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri).

I commi 5, 6 e 7 dell’art. 14 intervengono sull’art. 445 c.p.p. relativo agli effetti dell’applicazione della pena su richiesta.

 

L’art. 445 c.p.p. stabilisce che la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento  né l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'articolo 240 del codice penale (comma 1).

Salvo quanto previsto dall'articolo 653, la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna (comma 1-bis).

Il reato è estinto, ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale, e se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l'applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena (comma 2).

 

Il comma 5 modifica il comma 1 dell’art. 445, stabilendo che la sentenza di patteggiamento non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca penale nei casi previsti dall'articolo 240 c.p. (ovvero la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose, che ne sono il prodotto o il profitto); attualmente, il pagamento di tali spese e l’applicazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza è previsto per le sentenze di patteggiamento che prevedano una pena superiore ai due anni di pena detentiva (soli o congiunti a pena pecuniaria).

Il comma 6 sopprime nell’art. 445, comma 1-bis, il riferimento alla sentenza “di cui all’art. 444, comma 2”, Si tratta della inefficacia della sentenza di patteggiamento nei giudizi civili o amministrativi. Tale riferimento – sebbene non risulti errato - è stato probabilmente considerato superfluo dal d.d.l., stante la formulazione del comma 1 dello stesso art. 445.

Il comma 7 sopprime i limiti all’estinzione del reato a seguito di patteggiamento, previsti dal comma 2 dell’art. 445 (v. ante); è, infatti, eliminato il riferimento all’irrogazione della pena detentiva non superiore a due anni (soli o congiunti a pena pecuniaria).

Il comma 8 aggiunge un comma 2-bis all’art. 448 c.p.p. che prevede che il ricorso per cassazione da parte del PM e dell’imputato contro la sentenza del giudice che accoglie il patteggiamento possa essere presentato soltanto per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato (vizi della volontà), al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione del fatto e alla illegalità della pena o delle misure di sicurezza applicate.

 

Il comma 9 aggiunge un articolo 448-bis al codice di rito penale che introduce un nuovo istituto processuale analogo al patteggiamento, la sentenza di condanna su richiesta dell’imputato.

Il solo imputato potrà chiedere personalmente al giudice una condanna a pena specificamente determinata e comunque, tenuto conto delle circostanze e della diminuzione da un terzo alla metà, non superiore a otto anni di reclusione.

La richiesta potrà essere avanzata entro specifici limiti temporali del procedimento di primo grado (in udienza preliminare, fino alla chiusura della discussione; se questa manca, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, nel giudizio). Essa è subordinata all’ammissione del fatto-reato da parte dell’imputato che dovrà chiedere l’immediato interrogatorio.

A differenza del patteggiamento, tale istituto prevede quindi una specifica ammissione di responsabilità dell’imputato e costituisce una vera e propria sentenza di condanna (l’art. 445, comma 1-bis, stabilisce invece che, salve diverse disposizioni di legge, la sentenza di patteggiamento è equiparata ad una pronuncia di condanna).

Il giudice, dopo l’interrogatorio dell’imputato, se ritiene raggiunta la prova della sua responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio, emette sentenza di condanna, ad esclusione del caso in cui la pena risulti al giudice troppo esigua in relazione ai limiti massimi edittali previsti; nella sentenza, il giudice decide anche sulla domanda dell’eventuale parte civile.

Se la richiesta dell’imputato è, invece, rigettata dal giudice, questi, salvo il caso di proscioglimento, dispone il giudizio abbreviato.

L’art. 448-bis prevede, tuttavia, esclusioni oggettive dall’ambito di applicazione del nuovo istituto. L’imputato non potrà, quindi, chiedere al giudice la sentenza di condanna in oggetto in relazione ad una serie di delitti di particolare gravità ed allarme sociale. Il catalogo dei reati esclusi è lo stesso del vigente comma 1-bis dell’art. 444 c.p.p. (soppresso dal comma 3 dell’articolo 14 in esame; v. ante) che - ove la pena superi due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria - esclude nei procedimenti per tali reati la possibilità di patteggiamento.

 

In relazione ai possibili gravami, l’art. 448-bis prevede l’inappellabilità per l’imputato della sentenza di condanna da lui stesso richiesta. Al contrario, il PM potrà appellare la decisione ma solo ove la sentenza modifichi il titolo del reato inizialmente ascritto all’imputato o escluda l’esistenza di un’aggravante ad effetto speciale o stabilisca una pena di specie diversa da quella ordinaria prevista per il reato.

Il comma 10, infine, coordina il contenuto dell’art. 651 c.p.p. (relativo all’efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno) con l’introduzione del nuovo istituto relativo alla sentenza di condanna a richiesta dell’imputato.

L’art. 651 stabilisce, al comma 1, che la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale.

Il comma 2 della stessa disposizione - secondo cui analoga efficacia di giudicato ha la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata in sede di giudizio abbreviato (salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato tale rito) - è integrato dal riferimento anche alla sentenza di condanna a richiesta dell’imputato.

 

 

 

 

 

Testo a fronte

Normativa vigente

A.C. 2798

Codice di procedura penale
Art. 444
Applicazione della pena su richiesta

1. L'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria.

1. L'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera tre anni soli o congiunti a pena pecuniaria.

1-bis. Sono esclusi dall'applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, i procedimenti per i delitti di cui agli articoli 600-bis, 600-quater, primo, secondo, terzo e quinto comma, 600-quater, secondo comma, 600-quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies, nonché 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza, o recidivi ai sensi dell'articolo 99, quarto comma, del codice penale, qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria.

Abrogato.

 

1-ter. Nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 322-bis del codice penale, l'ammissibilità della richiesta di cui al comma 1 del presente articolo è subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato.

2. Se vi è il consenso anche della parte che non ha formulato la richiesta e non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell'articolo 129, il giudice, sulla base degli atti, se ritiene corrette la qualificazione giuridica del fatto, l'applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti, nonché congrua la pena indicata, ne dispone con sentenza l'applicazione enunciando nel dispositivo che vi è stata la richiesta delle parti [c.p.p. 445]. Se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda; l'imputato è tuttavia condannato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, salvo che ricorrano giusti motivi per la compensazione totale o parziale. Non si applica la disposizione dell'articolo 75, comma 3.

2. Identico.

3. La parte, nel formulare la richiesta, può subordinarne l'efficacia, alla concessione della sospensione condizionale della pena. In questo caso il giudice, se ritiene che la sospensione condizionale non può essere concessa, rigetta la richiesta.

3. Identico.

 

 

Art. 445
Effetti dell’applicazione della pena su richiesta

1. La sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'articolo 240 del codice penale.

1. La sentenza non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'articolo 240 del codice penale.

1-bis. Salvo quanto previsto dall'articolo 653, la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna.

1-bis. Salvo quanto previsto dall'articolo 653, la sentenza anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna.

2. Il reato è estinto, ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale, e se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l'applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena.

2. Il reato è estinto se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale, e se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l'applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena.

 

 

 


 

Art. 15
(Esposizione introduttiva a fini di valutazione delle richieste di prova)

 

L’articolo 15 del disegno di legge in esame modifica l’art. 493 c.p.p. relativo alle richieste di prove in sede di dibattimento.

In particolare, il nuovo comma 1 ripristina la distinzione tra PM e altre parti in relazione all’esposizione dei fatti e delle prove richieste.

 

Attualmente tale disposizione prevede che il pubblico ministero, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato nell'ordine indicano i fatti che intendono provare e chiedono l'ammissione delle prove.

 

Il nuovo comma 1 ritorna sostanzialmente alla formulazione dei primi due commi dell’art. 493 anteriore alla cd. riforma Carotti (L. 479/1999): oltre a stabilire la priorità (rispetto alle altre parti) dello stesso PM nella richiesta di prove al giudice, prevede che il pubblico ministero espone concisamente i fatti oggetto dell’imputazione per consentire al giudice di valutare la rilevanza e la pertinenza delle prove di cui si chiede l’ammissione. Successivamente, le altre parti e l’imputato indicano i fatti che intendono provare e chiedono l’ammissione delle prove.

Una seconda modifica interessa il comma 4, che prevede attualmente che il presidente impedisce ogni divagazione, ripetizione e interruzione e ogni lettura o esposizione del contenuto degli atti compiuti durante le indagini preliminari.

In tale sede, è introdotto l’obbligo del presidente del tribunale (o, se si è in tale sede, della corte d’assise) di regolare l’esposizione introduttiva delle parti.

 

 

Testo a fronte

Normativa vigente

A.C. 2798

Codice di procedura penale

Art. 493

Richieste di prova

1. Il pubblico ministero, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato nell'ordine indicano i fatti che intendono provare e chiedono l'ammissione delle prove.

1. Il pubblico ministero espone concisamente i fatti oggetto dell'imputazione al fine di consentire al giudice di valutare la pertinenza e la rilevanza delle prove di cui chiede l'ammissione. Successivamente, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato, nell'ordine, indicano i fatti che intendono provare e chiedono l'ammissione delle prove

2. E' ammessa l'acquisizione di prove non comprese nella lista prevista dall'articolo 468 quando la parte che le richiede dimostra di non averle potute indicare tempestivamente.

2. Identico.

3. Le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva.

3. Identico-

4. Il presidente impedisce ogni divagazione, ripetizione e interruzione e ogni lettura o esposizione del contenuto degli atti compiuti durante le indagini preliminari.

4. Il presidente regola l'esposizione introduttiva e impedisce ogni divagazione, ripetizione e interruzione e ogni lettura o esposizione del contenuto degli atti compiuti durante le indagini preliminari.

 


 

Art. 16
(Modifiche in materia di requisiti della sentenza)

L’articolo 16 interviene sull’art. 546 c.p.p. in relazione al contenuto della sentenza, con l’intento di rafforzare gli elementi della motivazione in fatto.

 

In base al primo comma dell’art. 546, la sentenza contiene: a) l'intestazione «in nome del popolo italiano» e l'indicazione dell'autorità che l'ha pronunciata; b) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private; c) l'imputazione; d) l'indicazione delle conclusioni delle parti; e) la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l'indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie; f) il dispositivo, con l'indicazione degli articoli di legge applicati; g) la data e la sottoscrizione del giudice.

 

Viene integralmente sostituita ed integrata la lett. e) del comma 1, in cui è prevista anche l’indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati.

Il complessivo contenuto degli elementi valutativi di cui alla lett. e) dovrà, inoltre, avere riguardo: all’accertamento dei fatti e alle circostanze relative all’imputazione e alla loro qualificazione giuridica; alla punibilità e alla determinazione della pena e della misura di sicurezza; alla responsabilità civile da reato; all’accertamento dei fatti dai quali dipende l’applicazione di norma processuali.

 

 


 

Capo III
Semplificazione delle impugnazioni

Art. 17
(Modifiche alle disposizioni generali sulle impugnazioni)

L’articolo 17 interviene sulla parte del codice di procedura penale che disciplina in generale le impugnazioni.

 

In particolare, il comma 1 modifica l’art. 571, comma 1, del codice di procedura, per specificare che l’impugnazione può essere proposta dall’imputato personalmente, oltre che a mezzo di un procuratore speciale, in tutti i giudizi diversi dal ricorso per cassazione. La previsione va letta in combinato con la modifica dell’art. 613 c.p.p., operata dall’art. 19, comma 4, del disegno di legge, che ha escluso per il giudizio in cassazione che l’imputato possa presentare personalmente l’atto di ricorso (v. ultra).

 

I commi 2 e 3 modificano l’articolo 591 c.p.p., relativo all’inammissibilità dell’impugnazione per prevedere, a fini deflattivi, che alcune ipotesi di inammissibilità siano rilevabili da parte dello stesso giudice che ha pronunciato il provvedimento da impugnare (c.d. giudice a quo), senza dover aspettare l’intervento del giudice di secondo grado (c.d. giudice ad quem).

 

Attualmente, la corretta instaurazione del giudizio di impugnazione (di qualsiasi giudizio di impugnazione, visto che la disposizione è inserita nella parte generale) postula che l'atto con il quale le parti sollecitano il controllo del giudice di grado superiore soddisfi i requisiti posti dall'art. 591 a pena di inammissibilità. In base a late disposizione, le cause di inammissibilità possono essere (comma 1):

§  il difetto di legittimazione all’impugnazione (lett. a);

§  la mancanza di interesse ad impugnare (lett. a);

§  l’improponibilità del mezzo di impugnazione (ad esempio perché il provvedimento non è impugnabile) (lett. b);

§  la violazione di modalità formali (ad esempio per l’assenza di motivazione, contestuale o separata; presentazione ad una cancelleria incompetente con trasmissione tardiva a quella competente), riconducibili agli articoli da 581 a 583, 585 e 586 c.p.p. (lett. c). In particolare, l'inosservanza dei requisiti di forma stabiliti dall'art. 581 (enunciazione dei capi della decisione da impugnare; formulazione delle richieste; enunciazione dei motivi) rappresenta l'unica causa di inammissibilità, tra quelle enumerate nell'art. 591, afferente a carenze intrinseche all'atto di impugnazione, che, dunque, possono essere valutate sulla scorta del mero esame dell'atto stesso, senza che sia necessario ricorrere ad elementi di giudizio ad esso esterni; l'inosservanza delle modalità di presentazione e spedizione dell'atto di impugnazione stabilite dagli artt. 582 e 583 costituisce causa di inammissibilità esterna all'atto di impugnazione, relativa ad adempimenti formali chiaramente successivi al compimento di quest'ultimo; è causa di inammissibilità anche l'inosservanza dell'art. 585, ovvero della disposizione che stabilisce i termini per impugnare a pena di decadenza e l'eventuale deposito di motivi nuovi;

§  la rinuncia all’impugnazione in base all’art. 589 c.p.p. (lett. d).

L’inammissibilità è dichiarata, anche d’ufficio, dal giudice dell’impugnazione, anche quando la parte abbia rinunciato alla propria impugnazione e questa sia, quindi, divenuta inammissibile (comma 2), essendo sempre esclusa la legittimazione del giudice a quo. Si tratta di una precisa scelta del legislatore del 1988, in aperta rottura con il modello previgente[6], che ha privato l'autorità che ha emesso il provvedimento impugnato di ogni potere di valutazione al riguardo. Solo in base al disposto dell'art. 590 (Trasmissione di atti in seguito all’impugnazione), invero, il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato sembra conservare un limitato potere di qualificazione dell'atto di impugnazione, finalizzato alla corretta individuazione del giudice dell'impugnazione e alla conseguente trasmissione a quest'ultimo degli atti del procedimento.

Il provvedimento dichiarativo dell’inammissibilità ha la forma dell’ordinanza e deve essere notificato a chi ha proposto il gravame. Se l’inammissibilità attiene ad un atto di appello, l’interessato può proporre ricorso per cassazione (comma 3).

Qualora non rilevata in via preliminare, l'inammissibilità può essere dichiarata, con una sorta di intervento suppletivo, all'esito del giudizio di impugnazione, con sentenza (comma 4).

 

Il disegno di legge inserisce nell’art. 591 c.p.p. il comma 1-bis, attraverso il quale affida al giudice a quo, ovverosia al «giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato», il compito di dichiarare con ordinanza, anche d’ufficio, e senza formalità, l’inammissibilità dell’impugnazione (e, quindi, l’esecuzione della sentenza) in presenza dei seguenti vizi dell’atto (tratti in parte dal comma 1 dell’art. 591, che non viene modificato):

·          difetto di legittimazione all’impugnazione;

·          mancata enunciazione dei motivi dell’impugnazione;

·          non impugnabilità del provvedimento;

·          inosservanza delle modalità di presentazione, di spedizione dell'atto di impugnazione;

·          violazione dei termini previsti per l’impugnazione;

·          impugnazione di ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari e nel dibattimento (senza, nel contempo, impugnare la sentenza);

·          intervenuta rinuncia all’impugnazione.

Con una ulteriore modifica di coordinamento, al comma 2 dell’art. 591 c.p.p., è precisato che il potere del giudice dell'impugnazione di dichiarare, anche di ufficio, con ordinanza l'inammissibilità e disporre l'esecuzione del provvedimento impugnato, è esercitato se l’inammissibilità non è stata rilevata dal giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato.

 

Testo a fronte

Normativa vigente

A.C. 2798

Codice di procedura penale

Libro IX – Impugnazioni
Titolo I – Disposizioni generali

Articolo 571

Impugnazione dell’imputato

1. L'imputato può proporre impugnazione personalmente o per mezzo di un procuratore speciale nominato anche prima della emissione del provvedimento.

1. Salvo quanto previsto per il ricorso per cassazione dall’articolo 613, comma 1, l'imputato può proporre impugnazione personalmente o per mezzo di un procuratore speciale nominato anche prima della emissione del provvedimento.

2. Il tutore per l'imputato soggetto alla tutela e il curatore speciale per l'imputato incapace di intendere o di volere, che non ha tutore, possono proporre l'impugnazione che spetta all'imputato.

2. Identico.

3. Può inoltre proporre impugnazione il difensore dell'imputato al momento del deposito del provvedimento ovvero il difensore nominato a tal fine.

3. Identico.

4. L'imputato, nei modi previsti per la rinuncia, può togliere effetto all'impugnazione proposta dal suo difensore. Per l'efficacia della dichiarazione nel caso previsto dal comma 2, è necessario il consenso del tutore o del curatore speciale.

4. Identico.

 

 

Articolo 591

Inammissibilità dell'impugnazione

1. L'impugnazione è inammissibile:

a) quando è proposta da chi non è legittimato o non ha interesse;

b) quando il provvedimento non è impugnabile;

c) quando non sono osservate le disposizioni degli articoli 581, 582, 583, 585 e 586;

d) quando vi è rinuncia all'impugnazione.

1. Identico.

 

1-bis. Il giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato, anche d’ufficio e senza formalità, dichiara con ordinanza l’inammissibilità dell’impugnazione e dispone l’esecuzione del provvedimento se mancano i motivi e nei casi elencati nel comma 1, lettere a), limitatamente al difetto di legittimazione, b), c), esclusa l’inosservanza delle disposizioni dell’articolo 581, e d).

2. Il giudice dell'impugnazione, anche di ufficio, dichiara con ordinanza l'inammissibilità e dispone l'esecuzione del provvedimento impugnato.

2. Se non è stata rilevata dal giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato, il giudice dell'impugnazione, anche di ufficio, dichiara con ordinanza l'inammissibilità e dispone l'esecuzione del provvedimento impugnato.

3. L'ordinanza è notificata a chi ha proposto l'impugnazione ed è soggetta a ricorso per cassazione. Se l'impugnazione è stata proposta personalmente dall'imputato, l'ordinanza è notificata anche al difensore.

3. Identico.

4. L'inammissibilità, quando non è stata rilevata a norma del comma 2, può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento.

4. Identico.

 

 

 


 

Art. 18
(Modifiche alle disposizioni in materia di appello

L’articolo 18 del disegno di legge, con finalità deflattive, reintroduce nel codice di procedura penale il c.d. concordato sui motivi in appello, abrogato nel 2008.

Tale modifica integra la riforma del giudizio di appello delineata dalla delega affidata al Governo dall’art. 25 del provvedimento in esame per la riforma del codice di procedura penale (v. ultra).

 

Si ricorda, infatti, che l’istituto del concordato sui motivi di appello era già previsto nel codice di procedura penale del 1989, all’art. 599, Decisioni in camera di consiglio, comma 4, in base al quale la Corte d'appello, anche al di fuori dei casi previsti dal comma 1 dell'art. 599, provvedeva in camera di consiglio qualora le parti ne facessero richiesta, dichiarando di concordare sull'accoglimento, totale o parziale dei motivi di impugnazione, con rinuncia contestuale agli altri e, se l'accordo comportava una nuova determinazione della pena, ne indicavano il quantum. Il favor legislativo nei confronti di questo meccanismo era reso evidente dalla possibilità di riproporre la richiesta, rigettata in sede di atti preliminari, nel dibattimento a norma degli artt. 599, comma 5, e 602, comma 2.

L’istituto rispondeva all’esigenza di ampliare le ipotesi di giustizia penale negoziata e di deflazionare il carico giudiziario, in considerazione dei limitati poteri del giudice di appello al quale veniva lasciato il compito di verificare la congruità e la legalità della pena oggetto della richiesta.

Sull’istituto era però intervenuta la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 435 del 1990, aveva giudicato le disposizioni sul concordato costituzionalmente illegittime per eccesso di delega, rendendo necessario un ulteriore intervento del legislatore (legge n. 14 del 1999) per ripristinare le norme caducate dalla Corte.

Da ultimo, però, il concordato sui motivi in appello è stato abrogato dal decreto-legge n. 92 del 2008 (c.d. decreto-sicurezza), nell’intento del legislatore di recuperare, in primo grado, il ricorso al "patteggiamento", disincentivato dalle potenzialità connesse all'accordo in appello, e soprattutto di garantire una maggiore severità del trattamento sanzionatorio.

 

Il disegno di legge, con il comma 1 dell’articolo 18, inserisce nel codice di procedura penale il nuovo articolo 599-bis, rubricato Concordato anche con rinuncia ai motivi di appello, che sostanzialmente riproduce il testo dei commi 4 e 5 dell’art. 599 in vigore prima dell’abrogazione del 2008. In particolare, la disposizione consente alle parti di concludere un accordo sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi d’appello, da sottoporre al giudice d’appello, che deciderà in merito in camera di consiglio.

Se l’accordo comporta una rideterminazione della pena, anche tale nuova pena dovrà essere concordata tra le parti (pubblico ministero, imputato e persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria) e sottoposta al giudice (comma 1).

In base al comma 3, se il giudice decide di non accogliere l’accordo tra le parti che gli viene sottoposto, ordina la citazione a comparire al dibattimento; la richiesta e la rinuncia perdono effetto ma potranno essere riproposte nel dibattimento.

Diversamente dal testo del 1999, il disegno di legge del Governo delimita il campo d’applicazione dell’istituto, escludendolo in relazione ad alcuni reati e quando si procede nei confronti di alcuni imputati. In particolare, il concordato in appello non potrà trovare applicazione se si procede per:

·          i reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., ovvero

-          reati di associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina o alla tratta di persone;

-          reati di associazione a delinquere finalizzata a commettere un delitto di sfruttamento sessuale dei minori;

-          reati di associazione a delinquere finalizzata a commettere un delitto di contraffazione;

-          delitti di tratta di persone e sfruttamento della schiavitù;

-          reati di associazione a delinquere di tipo mafioso o commessi per agevolare tali associazioni;

-          reato di sequestro di persona a scopo di estorsione;

-          reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, al contrabbando di tabacchi e al traffico di rifiuti

·          i reati di cui all’art. 51, comma 3-quater c.p.p., ovvero i reati con finalità di terrorismo;

·          sfruttamento sessuale dei minori (prostituzione minorile; pornografia minorile; detenzione di materiale pornografico; pornografia virtuale, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico; turismo sessuale; atti sessuali con minorenne);

·          violenza sessuale semplice, aggravata e di gruppo.

Il concordato in appello non potrà essere proposto neanche se si procede contro un delinquente abituale, professionale o per tendenza.

Con disposizione innovativa, il comma 4 dell’art. 599-bis dispone che il procuratore generale presso la Corte d’appello debba confrontarsi con i PM del suo ufficio e del distretto per poi indicare criteri idonei a orientare la valutazione di tutti i PM del distretto rispetto al concordato sui motivi in appello; tali criteri dovranno essere elaborati tenendo conto della diversa tipologia dei reati e della complessità dei procedimenti penali. La disposizione, peraltro, fa salvo quanto previsto dall’art. 53 c.p.p., ovvero l’affermazione dell’autonomia del pubblico ministero nell’udienza.

Il testo non indica peraltro quale dei due elementi (indirizzo unitario o autonomia del singolo PM) debba prevalere né quali siano le conseguenze del mancato seguito da parte del PM rispetto ai criteri indicati dal procuratore generale.

 

Il comma 2 dell’articolo 18 interviene sull’art. 602 c.p.p., relativo al dibattimento in appello, per ripristinare la previsione sul concordato sui motivi in appello anche in questa fase. Introduce a tal fine un comma 1-bis dal contenuto identico al precedente comma 2, abrogato nel 2008. Diversamente da quanto previsto prima dell’abrogazione del 2008, però, la riforma del Governo esclude anche in questo caso che il concordato possa trovare applicazione a fronte dei reati e degli imputati indicati dall’art. 599-bis.

 

Infine, il comma 3 dell’articolo 18 aggiunge un comma 4-bis all’art. 603 del codice di procedura penale, per prevedere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale da parte del giudice anche quando l’appello:

-        è proposto dal PM;

-        riguarda una sentenza di proscioglimento;

-        è fondato sulle valutazioni di attendibilità della prova dichiarativa;

-        non appare manifestamente infondato.

 

 


 

Art. 19
(Modifiche alle disposizioni in materia di rimessione del processo e di ricorso per cassazione)

L’articolo 19 dispone in ordine ai procedimenti dinanzi alla Corte di cassazione.

Anche le disposizioni dell’art. 19 si inseriscono, come quelle dell’art. 18 sull’appello, nella complessiva riforma delle impugnazioni prevista dalla delega dell’art. 25 (in particolare, si prevede la ricorribilità per cassazione soltanto per violazione di legge in caso di cd. “doppia conforme” di assoluzione).

In particolare, il comma 1 interviene sull’art. 48 c.p.p. che, nell’ambito della rimessione del processo penale, disciplina la decisione che la Corte di cassazione assume in camera di consiglio e, al comma 6, prevede che in caso di rigetto o inammissibilità della richiesta di rimessione, le parti private che l’hanno richiesta possano essere condannate a pagare una somma da 1.000 a 5.000 euro.

In merito, il disegno di legge prevede che: tale somma possa essere aumentata fino al doppio in ragione della causa di inammissibilità della richiesta di rimessione; ogni due anni, l’importo delle somme possa essere rivisto con decreto ministeriale, tenendo conto dell’andamento dell’inflazione.

La disposizione non chiarisce quali siano i parametri che consentono alla Cassazione di aumentare fino alla metà la somma da versare alla cassa delle ammende.

 

I commi 2 e 3 intervengono sul ricorso per cassazione, modificando l’art. 610 c.p.p. per gli aspetti relativi all’inammissibilità del ricorso. In particolare la riforma prevede:

-        che, quando il presidente della Corte rileva una causa di inammissibilità del ricorso e lo assegna all’apposita sezione, la cancelleria della Corte debba, nell’avviso che invia alle parti relativo alla data dell’udienza, enunciare anche la causa di inammissibilità rilevata con specifico riferimento al contenuto dei motivi di ricorso (modifica del comma 1);

-        che, quando l’inammissibilità non sia stata già dichiarata dal giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (in base all’art. 591, comma 1-bis, v. sopra), alla dichiarazione di inammissibilità possa provvedere la Cassazione senza formalità di procedura;

-        che la Cassazione possa, sempre senza formalità, dichiarare l’inammissibilità del ricorso contro la sentenza di patteggiamento e contro la sentenza che accoglie il concordato sui motivi in appello;

-        che contro le dichiarazioni di inammissibilità della Corte di cassazione sia proponibile il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, da rivolgere alla stessa Corte, in base all’art. 625-bis c.p.p. (nuovo comma 5-bis).

 

 

 

Il comma 4 modifica l’art. 613 c.p.p. per escludere che la parte possa provvedere personalmente alla presentazione del ricorso per Cassazione. Il ricorso, le memorie e gli eventuali motivi nuovi devono essere sottoscritti sempre da un difensore abilitato al patrocinio in Cassazione.

 

I commi 5 e 6 modificano l’art. 616 c.p.p. per quanto riguarda la condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria in caso di inammissibilità del ricorso.

 

Già attualmente l’art. 616 c.p.p. prevede che in caso di inammissibilità del ricorso per cassazione la parte proponente sia condannata, oltre che al pagamento delle spese processuali, anche al pagamento – in favore della cassa delle ammende – di una somma da 258 a 2.065 euro. Tale sanzione può essere applicata dal giudice anche in caso di rigetto del ricorso.

Sulla formulazione dell’art. 616 è intervenuta però la Corte costituzionale che ha dichiarato l’incostituzionalità della disposizione nella parte in cui non lascia alcun margine di discrezionalità alla Cassazione, che è obbligata ad applicare sempre la sanzione pecuniaria, anche nell’ipotesi in cui la parte che ha proposto ricorso non sia responsabile della sua inammissibilità (sentenza n. 186 del 2000).

Peraltro, a fronte di coloro che dubitavano anche che la disposizione fosse in contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., laddove prevede la condanna del ricorrente ad una sanzione pecuniaria per "punirlo" dell'impugnazione "azzardata", la stessa Corte di cassazione ha giudicato il dubbio infondato (Sez. VI, 16.3.1999, Sapienza, in Mass. Uff., 213914). Secondo la Suprema Corte, infatti, in primo luogo, la norma non limiterebbe l'esperibilità del ricorso per cassazione, intervenendo solo a disciplinarne gli effetti; d'altro canto, il diritto alla tutela giurisdizionale, di cui all'art. 24 Cost., non sarebbe assoluto e incondizionato, non potendo consentirsi, per il preminente interesse pubblico alla repressione dell'abuso dell'azione giudiziale manifestamente infondata, che l'esercizio del diritto d'impugnazione in sede di legittimità, abbia un'estensione tale da farne deviare la sua funzione verso uno scopo sterile e dilatorio.

 

Il disegno di legge, analogamente a quanto previsto per la richiesta di rimessione del processo, prevede che la sanzione pecuniaria possa essere aumentata fino al triplo in ragione della causa di inammissibilità del ricorso e che, ogni due anni, tali cifre possano essere riviste con decreto ministeriale, tenendo conto dell’andamento dell’inflazione.

Anche in questo caso la disposizione non chiarisce quali siano i parametri che consentono alla Cassazione di aumentare fino al triplo la somma da versare alla cassa delle ammende.

 

Il comma 7 modifica l’art. 618, in tema di decisione delle sezioni unite, ovvero la disposizione che oggi prevede, in caso di possibile contrasto giurisprudenziale, che le sezioni della Corte possano rimettere la decisione di un ricorso a loro assegnato alle sezioni unite.

Il disegno di legge conferma questa previsione e aggiunge due ulteriori commi all’art. 618, con i quali stabilisce:

-      che la rimessione alle sezioni unite può essere effettuata dalle sezioni semplici anche quando queste si trovino a dovere decidere di un ricorso eventualmente applicando un principio di diritto già enunciato dalle sezioni unite ma non condiviso dai giudici della sezione competente. La riforma dunque induce le sezioni a rimettere la decisione alle sezioni unite piuttosto che a decidere in contrasto con quanto dalle stesse affermato (comma 1-bis);

-      che le sezioni unite possono enunciare il principio di diritto anche d’ufficio, quando il ricorso sia stato dichiarato inammissibile per una causa sopravvenuta (comma 1-ter).

 

Il comma 8 modifica l’articolo 620 del codice di procedura penale per specificare in quali casi la Corte di cassazione può procedere all’annullamento della decisione senza rinvio della causa al giudice di merito. In particolare, il disegno di legge sostituisce la lettera l) del comma 1, che attualmente prevede che la Cassazione possa trattenere la causa quando «ritiene superfluo il rinvio ovvero può essa medesima procedere alla determinazione della pena o dare i provvedimenti necessari».

La riforma specifica che la Corte può procedere autonomamente se non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto e, quanto alla rideterminazione della pena, se può essere effettuata sulla base delle statuizioni del giudice di merito.

 

Infine, il comma 9 interviene sul ricorso straordinario per la correzione dell'errore materiale o di fatto contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla Corte di Cassazione, di cui all’art. 625-bis c.p.p. Il disegno di legge, in particolare, interviene sull’ipotesi di rilevazione d’ufficio, dunque da parte della stessa Cassazione, dell’errore, per precisare che:

-        la rilevazione dell’errore può essere effettuata senza formalità;

-        la Corte può rilevare l’errore entro 90 giorni dalla deliberazione. Attualmente, invece, non è posto alcun limite di tempo dall’intervento della Corte. Dunque, la Corte potrà rilevare d’ufficio l’errore nei primi 90 giorni dalla deliberazione, successivamente saranno le parti a potere richiederne la correzione, entro 180 giorni dal deposito del provvedimento.

 

 

Testo a fronte

Normativa vigente

A.C. 2798

Codice di procedura penale

Libro IX – Impugnazioni
Titolo III – Ricorso per cassazione
Capo II - Procedimento

Articolo 610

Atti preliminari

1. Il presidente della corte di cassazione, se rileva una causa di inammissibilità dei ricorsi, li assegna ad apposita sezione. Il presidente della sezione fissa la data per la decisione in camera di consiglio. La cancelleria dà comunicazione del deposito degli atti e della data dell'udienza al procuratore generale ed ai difensori nel termine di cui al comma 5. L'avviso contiene l'enunciazione della causa di inammissibilità rilevata. Si applica il comma 1 dell'articolo 611. Ove non venga dichiarata l'inammissibilità, gli atti sono rimessi al presidente della corte.

1. Il presidente della corte di cassazione, se rileva una causa di inammissibilità dei ricorsi, li assegna ad apposita sezione. Il presidente della sezione fissa la data per la decisione in camera di consiglio. La cancelleria dà comunicazione del deposito degli atti e della data dell'udienza al procuratore generale ed ai difensori nel termine di cui al comma 5. L'avviso contiene l'enunciazione della causa di inammissibilità rilevata con riferimento al contenuto dei motivi di ricorso. Si applica il comma 1 dell'articolo 611. Ove non venga dichiarata l'inammissibilità, gli atti sono rimessi al presidente della corte.

1-bis. Il presidente della corte di cassazione provvede all'assegnazione dei ricorsi alle singole sezioni secondo i criteri stabiliti dalle leggi di ordinamento giudiziario.

1-bis. Identico.

2. Il presidente, su richiesta del procuratore generale, dei difensori delle parti o anche di ufficio, assegna il ricorso alle sezioni unite quando le questioni proposte sono di speciale importanza o quando occorre dirimere contrasti insorti tra le decisioni delle singole sezioni.

2. Identico.

3. Il presidente della corte, se si tratta delle sezioni unite, ovvero il presidente della sezione fissa la data per la trattazione del ricorso in udienza pubblica o in camera di consiglio e designa il relatore. Il presidente dispone altresì la riunione dei giudizi nei casi previsti dall'articolo 17 e la separazione dei medesimi quando giovi alla speditezza della decisione.

3. Identico.

4. [abrogato]

 

5. Almeno trenta giorni prima della data dell'udienza, la cancelleria ne dà avviso al procuratore generale e ai difensori, indicando se il ricorso sarà deciso a seguito di udienza pubblica ovvero in camera di consiglio.

5. Identico.

 

5-bis. Nei casi previsti dall'articolo 591, comma 1-bis, la corte dichiara, senza formalità di procedura, l'inammissibilità del ricorso, se non è stata rilevata dal giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato. Allo stesso modo la corte dichiara l'inammissibilità del ricorso contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti e contro la sentenza pronunciata a norma dell'articolo 599-bis. Contro tale provvedimento è ammesso il ricorso straordinario a norma dell'articolo 625-bis

 

 

Capo III - Sentenza

Articolo 616

Spese e sanzione pecuniaria in caso di rigetto o di inammissibilità del ricorso

1. Con il provvedimento che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto è condannata al pagamento delle spese del procedimento. Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la parte privata è inoltre condannata con lo stesso provvedimento al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da euro 258 a euro 2.065. Nello stesso modo si può provvedere quando il ricorso è rigettato.

1. Con il provvedimento che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto è condannata al pagamento delle spese del procedimento. Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la parte privata è inoltre condannata con lo stesso provvedimento al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da euro 258 a euro 2.065, che può essere aumentata fino al triplo, tenuto conto della causa di inammissibilità del ricorso. Nello stesso modo si può provvedere quando il ricorso è rigettato.

 

1-bis. Gli importi di cui al comma 1 sono adeguati ogni due anni in relazione alla variazione, accertata dall'Istituto nazionale di statistica, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel biennio precedente, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

 

 

Articolo 618

Decisioni delle sezioni unite

1. Se una sezione della corte rileva che la questione di diritto sottoposta al suo esame ha dato luogo, o può dar luogo, a un contrasto giurisprudenziale, su richiesta delle parti o di ufficio, può con ordinanza rimettere il ricorso alle sezioni unite.

1. Identico.

 

1-bis. Se una sezione della corte ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso.

 

1-ter. Il principio di diritto può essere enunciato dalle sezioni unite, anche d'ufficio, quando il ricorso è dichiarato inammissibile per una causa sopravvenuta.

 

 

Articolo 620

Annullamento senza rinvio

1. Oltre che nei casi particolarmente previsti dalla legge, la corte pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio:

1. Identico:

a) se il fatto non è previsto dalla legge come reato, se il reato è estinto o se l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita;

a) identico;

b) se il reato non appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario;

b) identico;

c) se il provvedimento impugnato contiene disposizioni che eccedono i poteri della giurisdizione, limitatamente alle medesime;

c) identico;

d) se la decisione impugnata consiste in un provvedimento non consentito dalla legge;

d) identico;

e) se la sentenza è nulla a norma e nei limiti dell'articolo 522 in relazione a un reato concorrente;

e) identico;

f) se la sentenza è nulla a norma e nei limiti dell'articolo 522 in relazione a un fatto nuovo;

f) identico;

g) se la condanna è stata pronunciata per errore di persona [c.p.p. 68, 129];

g) identico;

h) se vi è contraddizione fra la sentenza o l'ordinanza impugnata e un'altra anteriore concernente la stessa persona e il medesimo oggetto, pronunciata dallo stesso o da un altro giudice penale;

h) identico;

i) se la sentenza impugnata ha deciso in secondo grado su materia per la quale non è ammesso l'appello [c.p.p. 443, 448, comma 2, 593, commi 2 e 3];

i) identico;

l) in ogni altro caso in cui la corte ritiene superfluo il rinvio ovvero può essa medesima procedere alla determinazione della pena o dare i provvedimenti necessari.

l) se la corte ritiene di poter decidere la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, o di rideterminare la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito o di adottare i provvedimenti necessari, e in ogni altro caso in cui ritiene superfluo il rinvio.

 

 

Articolo 625-bis
Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto

1. E' ammessa, a favore del condannato, la richiesta per la correzione dell'errore materiale o di fatto contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla corte di cassazione.

1. Identico.

2. La richiesta è proposta dal procuratore generale o dal condannato, con ricorso presentato alla corte di cassazione entro centottanta giorni dal deposito del provvedimento. La presentazione del ricorso non sospende gli effetti del provvedimento, ma, nei casi di eccezionale gravità, la corte provvede, con ordinanza, alla sospensione.

2. Identico.

3. L'errore materiale di cui al comma 1 può essere rilevato dalla corte di cassazione, d'ufficio, in ogni momento.

3. L'errore materiale di cui al comma 1 può essere rilevato dalla corte di cassazione, d'ufficio, in ogni momento e senza formalità. L'errore di fatto può essere rilevato dalla corte di cassazione, d'ufficio, entro novanta giorni dalla deliberazione.

4. Quando la richiesta è proposta fuori dell'ipotesi prevista al comma 1 o, quando essa riguardi la correzione di un errore di fatto, fuori del termine previsto al comma 2, ovvero risulta manifestamente infondata, la corte, anche d'ufficio, ne dichiara con ordinanza l'inammissibilità; altrimenti procede in camera di consiglio, a norma dell'articolo 127 e, se accoglie la richiesta, adotta i provvedimenti necessari per correggere l'errore.

4. Identico.


 

Art. 20
(Modifiche alle disposizioni in materia di rescissione del giudicato)

 

L'articolo 20 abroga l'art. 625-ter c.p.p. concernente la rescissione del giudicato, introdotto dalla legge n. 67/2014, con riferimento alla nuova disciplina concernente gli imputati irreperibili (L. 67/2014).

 

L'art. 625-ter è inserito all'interno della parte seconda, Libro IX (impugnazioni), titolo III, del c.p.p., dedicato al ricorso per cassazione. Attualmente, spetta infatti alla Corte di cassazione decidere in ordine alla domanda di rescissione del giudicato presentata dal condannato o sottoposto a misura di sicurezza in via definitiva, nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo, qualora provi che l'assenza è stata dovuta a una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo.

 

L'articolo 20 del disegno di legge, nell'abrogare l'art. 625-ter c.p.p., introduce (comma 2) un nuovo art. 629-bis all'interno del Titolo IV relativo alla revisione. Il nuovo articolo riproduce la stessa disciplina della rescissione del giudicato già prevista dall'art. 625-ter, con una rilevante differenza: analogamente agli altri casi di revisione, spetta alla corte d'appello territorialmente competente decidere in ordine alla richiesta e, in caso di accoglimento, revocare la sentenza e disporre la trasmissione degli atti al giudice di primo grado. Anche in tal caso, la sottrazione della competenza alla cassazione deriva dal fatto che la citata legge 67/2014 ha attribuito a quest’ultima le decisioni sulle rescissioni anche per motivi di merito, ambito sostanzialmente estraneo alle competenze della corte.

La richiesta deve essere presentata, a pena di inammissibilità, personalmente dall'interessato o da un difensore munito di procura speciale autenticata, entro trenta giorni dal momento dell'avvenuta conoscenza del procedimento.

Il comma 3 dell'articolo 20 individua poi la disciplina transitoria: le nuove disposizioni si applicano anche in riferimento ai giudicati già formati al momento dell'entrata in vigore della legge, salvo che sia stata già presentata richiesta di rescissione.


 

Art. 21
(Relazione sull'amministrazione della giustizia)

 

L'articolo 21 prevede che i presidenti di corte di appello, con la relazione sull'amministrazione della giustizia all'inizio di ogni anno giudiziario, debbano riferire dati e valutazioni circa la durata dei giudizi di appello avverso le sentenze di condanna, in relazione al periodo di sospensione del termine di prescrizione di cui al nuovo articolo 159, comma 2, del codice penale (vedi art. 5 del disegno di legge).

La finalità è quella di valutare se il periodo biennale di sospensione del corso della prescrizione previsto dal nuovo art. 159 tra la sentenza di condanna e quella emessa nel giudizio di appello sia effettivamente sufficiente allo svolgimento del giudizio

La stessa relazione dovrà contenere dati e notizie sull'andamento dei giudizi di appello definiti ai sensi del nuovo articolo 599-bis c.p.p. (vedi art. 18 del disegno di legge) sul concordato anche con rinuncia ai motivi di appello.

Lo scopo è, in tal caso, quello di verificare l’effettiva efficacia deflattiva dell’intervento confrontando l’entità della riduzione della pena irrogata in appello mediante concordato rispetto alla pena stabilita in primo grado.


 

Titolo III - Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e alla normativa di organizzazione dell'ufficio del pubblico ministero

Art. 22
(Modifiche all'articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale)

 

L'articolo 22 modifica l'art. 129 delle disposizioni di attuazione del c.p.p., concernente le informazioni sull'azione penale relativa ai reati ambientali con la finalità di sanare il mancato coordinamento di alcune disposizioni con quelle introdotte dal DL n. 136 del 2013 (L. conv. n. 6 del 2014), Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate.

In particolare, viene precisato al comma 3-ter dell’art. 129 che, quando esercita l'azione penale per i reati previsti nel codice dell'ambiente ovvero per i reati previsti dal codice penale o da leggi speciali comportanti un pericolo o un pregiudizio per l'ambiente, il pubblico ministero – nell'informare il Ministero dell'ambiente e la Regione nel cui territorio i fatti si sono verificati – deve dare notizia dell'imputazione

 

In tal modo, il tenore letterale della disposizione è reso omogeneo rispetto a quello del comma 1 dello stesso articolo 129, per il quale – con riferimento all'obbligo di comunicazione dell'esercizio dell'azione penale nei confronti di un dipendente pubblico – il pubblico ministero deve dare «notizia dell'imputazione». Secondo la relazione illustrativa del disegno di legge, la formulazione vigente non sarebbe adeguata allo scopo, dal momento che non consente all'autorità amministrativa di operare una reale valutazione in ordine alla gravità del fatto contestato.

 

L'articolo 22 sopprime inoltre le disposizioni secondo cui:

-        il PM, nell'informazione, indica le norme di legge che si assumono violate;

-        i procedimenti di competenza delle amministrazioni (Ambiente, Salute, Politiche agricole, Regione), che abbiano ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, possono essere avviati o proseguiti anche in pendenza del procedimento penale, in conformità alle norme vigenti;

-        per le infrazioni di maggiore gravità, sanzionate con la revoca di autorizzazioni o con la chiusura di impianti, l'ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell'accertamento dei fatti addebitati, può sospendere il procedimento amministrativo fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare strumenti cautelari.

Le soppressioni sono previste in quanto non è considerata condivisibile la collocazione, nell'ambito di una disposizione inerente gli obblighi di comunicazione all'autorità amministrativa dell'esercizio dell'azione penale, di una norma regolante i rapporti tra il procedimento penale in materia di reati ambientali (nonché in materia di tutela della salute e della sicurezza agroalimentare) e i procedimenti amministrativi riguardanti i medesimi fatti.

 

Si osserva che il disegno di legge non prevede tuttavia una più adeguata collocazione di tali disposizioni (ad esempio, nelle specifiche disposizioni regolanti la materia dei procedimenti amministrativi di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare).

 

 

 


 

Art. 23
(Modifiche al decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, in materia di poteri di controllo del procuratore della Repubblica e di contenuti della relazione al procuratore generale presso la Corte di cassazione)

 

L'articolo 23 riguarda l’organizzazione dell'ufficio del pubblico ministero, modificando il decreto legislativo n. 106 del 2006.

In particolare sono integrate le funzioni del procuratore della Repubblica in ordine ad una fase di notevole rilievo del procedimento penale cioè l’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro.

 

E’, quindi, aggiunta tra le funzioni proprie del procuratore della Repubblica (art. 2, comma 1, del D.Lgs 106) – oggi consistenti nell'assicurare il corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell'azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto processo da parte del suo ufficio –anche quella di assicurare l'osservanza delle disposizioni relative all'iscrizione delle notizie di reato (comma 1).

Correlativamente, per coordinamento, è aggiunta tra le attività di vigilanza del PG presso la corte d’appelloattualmente comprendenti il corretto ed uniforme esercizio dell'azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto processo, nonché il puntuale esercizio da parte dei procuratori della Repubblica dei poteri di direzione, controllo e organizzazione degli uffici - la verifica dell’osservanza delle disposizioni relative all'iscrizione delle notizie di reato (art. 6, comma 1, del D.Lgs 106).


 

Titolo IV - Delega al governo per la riforma del processo penale e dell'ordinamento penitenziario

Art. 24
(Delega al Governo per la riforma del processo penale e dell'ordinamento penitenziario)

 

L'articolo 24 – il primo articolo del Titolo IV del disegno di legge – affida al Governo due deleghe, entrambe da esercitare entro un anno dall’entrata in vigore del provvedimento in esame sulla base dei principi e i criteri direttivi previsti dagli artt. 25 e 26 del disegno di legge:

§  con la prima il Governo è delegato a modificare entro un anno, con più decreti legislativi, la disciplina del processo penale;

§  la seconda delega riguarda la riforma della disciplina dell'ordinamento penitenziario, contenuta nella legge 354 del 1975.

I decreti legislativi sono adottati su proposta del Ministro della giustizia. I relativi schemi sono trasmessi alle competenti commissioni parlamentari per il parere. I pareri sono resi nel termine di 45 giorni, decorsi i quali i decreti possono essere comunque adottati. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine di delega, o successivamente, quest'ultimo termine è prorogato di sessanta giorni.

 

 


 

Art. 25
(Princìpi e criteri direttivi per la riforma del processo penale in materia di intercettazione di conversazioni o comunicazioni e di giudizi di impugnazione)

L'articolo 25, nell'ambito della delega per la riforma del processo penale, individua principi e criteri direttivi della nuova disciplina in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni e di giudizi di impugnazione.

Per quanto riguarda le intercettazioni sono stabiliti i seguenti principi e criteri direttivi:

§   prevedere disposizioni per garantire la riservatezza delle comunicazioni e conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazione, in conformità all'articolo 15 Cost., attraverso prescrizioni che incidano anche sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni e che diano una precisa scansione procedimentale all'udienza di selezione del materiale intercettativo, avendo speciale riguardo alla tutela della riservatezza delle comunicazioni e conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento, in specie dei difensori nei colloqui con l'assistito, e delle comunicazioni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale;

§   prevedere la semplificazione delle condizioni per l'impiego delle intercettazioni delle conversazioni e comunicazioni telefoniche e telematiche nei procedimenti per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione;

§   prevedere la garanzia giurisdizionale per l'acquisizione dei dati relativi al traffico telefonico, telematico ed informatico, e il potere d'intervento d'urgenza del pubblico ministero.

Per quanto riguarda le impugnazioni sono stabiliti i seguenti principi e criteri direttivi:

§   prevedere la ricorribilità per cassazione soltanto per violazione di legge sia della sentenza che conferma la pronuncia di assoluzione di primo grado, individuando i casi in cui possa affermarsi la conformità delle due decisioni di merito, sia delle sentenze emesse in grado di appello nei procedimenti di competenza del giudice di pace;

§   prevedere che il PG presso la corte di appello possa appellare soltanto nei casi di avocazione e di acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice di primo grado;

§   prevedere la legittimazione del pubblico ministero ad appellare avverso la sentenza di condanna solo quando abbia modificato il titolo del reato o abbia escluso la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o che stabilisca una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato;

§   prevedere la legittimazione dell'imputato ad appellare avverso le sentenze di proscioglimento emesse al termine del dibattimento, salvo che siano pronunciate con le formule: "il fatto non sussiste"; "l'imputato non lo ha commesso"; "il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima";

§   prevedere la proponibilità dell'appello solo per uno o più dei motivi tassativamente previsti, con onere di indicazione specifica, a pena di inammissibilità, delle eventuali prove da assumere in rinnovazione;

§   prevedere la titolarità dell'appello incidentale in capo all'imputato e limiti di proponibilità;

§   prevedere che l'inammissibilità dell'appello venga dichiarata in camera di consiglio con l'intervento del pubblico ministero e dei difensori.

 


 

Art. 26
(Princìpi e criteri direttivi per la riforma dell'ordinamento penitenziario)

 

L'articolo 26 contiene una delega diretta a modificare l'ordinamento penitenziario, secondo una serie di principi e criteri direttivi:

§   semplificazione delle procedure, anche con la previsione del contraddittorio differito ed eventuale, per le decisioni di competenza del magistrato e del tribunale di sorveglianza, fatta eccezione di quelle relative alla revoca delle misure alternative alla detenzione;

§   revisione dei presupposti di accesso alle misure alternative, sia con riferimento ai presupposti soggettivi che con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse;

§   eliminazione di automatismi e preclusioni che impediscono o rendono molto difficile, sia per i recidivi che per gli autori di determinate categorie di reati, l'individualizzazione del trattamento rieducativo e revisione della disciplina di preclusione ai benefici penitenziari per i condannati alla pena dell'ergastolo;

§   previsione di attività di giustizia riparativa e delle relative procedure, quali momenti qualificanti del percorso di recupero sociale sia in ambito intramurario che in misura alternativa;

§   maggiore valorizzazione del lavoro, in ogni sua forma intramuraria ed esterna, quale strumento di responsabilizzazione individuale e di reinserimento sociale dei condannati;

§   previsione di un più ampio ricorso al volontariato sia all'interno del carcere, sia in collaborazione con gli Uffici di esecuzione penale esterna;

§   disciplina dell'utilizzo dei collegamenti audiovisivi sia a fini processuali, nel rispetto del diritto di difesa, sia per favorire le relazioni familiari;

§   riconoscimento del diritto all'affettività delle persone detenute e delle condizioni generali di esercizio;

§   adeguamento delle norme dell’ordinamento penitenziario alle esigenze rieducative dei detenuti minori di età.

 

 

 


 

Art. 27
(Princìpi e criteri direttivi per l'adozione di norme di attuazione, di coordinamento e transitorie)

 

Un’ulteriore delega è affidata al Governo dall’articolo 27 con riguardo: alle norme di attuazione dei decreti legislativi di riforma del processo penale e dell’ordinamento penitenziario (previste negli articoli 25 e 26); alle norme di coordinamento delle stesse con tutte le altre leggi dello Stato; alle norme di carattere transitorio.

Si osserva che la delega non individua specifici principi e criteri direttivi.


 

Art. 28
(Disposizioni integrative e correttive)

 

L'articolo 28 autorizza il Governo ad adottare, entro un anno, con la stessa procedura di cui all’art. 24, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi, nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dagli articoli 25 e 26.


 

 

Art. 29
(Clausola di invarianza finanziaria)

L’articolo 29 reca la clausola di invarianza finanziaria.

 


 

 

Art. 30
(Entrata in vigore)

 

L'articolo 30 disciplina l’entrata in vigore della legge: il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 


 

 



[1]     D.L. 8 giugno 1992, n. 306, Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356.

[2]     L. 28 aprile 2014, n. 67, Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili.

[3]     Legge 5 dicembre 2005, n. 251, Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione.

[4]     Si ricorda, infatti, che il 28 maggio 2014 la Commissione Giustizia della Camera ha avviato l’esame in sede referente delle proposte di legge C. 1174 (Colletti), C. 1528 (Mazziotti di Celso), C. 2150 (Ferranti), cui è stata poi abbinata la proposta C. 2767 (Pagano) relativa alla modifica del solo art. 159 c.p. Nella seduta del 14 gennaio 2015, la Commissione ha adottato come testo base per il prosieguo dei lavori un nuovo testo della proposta di legge C. 2150.

Sulle proposte di legge, la Commissione ha svolto un’indagine conoscitiva nel corso della quale sono stati auditi Franco Roberti (Procuratore nazionale antimafia); Piercamillo Davigo (Consigliere della II Sezione penale presso la Corte di Cassazione); Francesco Greco (Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Milano); Domenico Pulitanò (ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Milano-Bicocca); Iole Anna Savini (componente del Comitato Esecutivo di Transparency International Italia - Associazione contro la corruzione); Fausto Giunta (ordinario di diritto penale presso l'Università di Firenze); Glauco Giostra (ordinario di procedura penale presso l'Università La Sapienza di Roma); Tullio Padovani (ordinario di diritto penale presso la Scuola Superiore S. Anna di Pisa); Beniamino Migliucci (Presidente dell'Unione Camere penali italiane); Rodolfo Maria Sabelli (Presidente dell'Associazione nazionale magistrati).

[5]     Nella relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2012, del 25 gennaio 2013.

[6]     L’articolo 207 del precedente codice di procedura penale, del 1930, rubricato “Dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione pronunciata dal giudice a quo” stabiliva infatti al primo comma che «Quando l’impugnazione è stata proposta da chi non ne aveva il diritto o contro un provvedimento non soggetto all’impugnazione stessa o quando la dichiarazione o i motivi non sono stati presentati nella forma, nel tempo e nel luogo prescritti o non sono state eseguite le notificazioni stabilite a pena di decadenza o vi è stata rinuncia all’impugnazione, il giudice che emise il provvedimento impugnato pronuncia in camera di consiglio ordinanza con cui dichiara inammissibile l’impugnazione e ordina l’esecuzione».