Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Disposizioni urgenti in materia di introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano A.C. 2168-B - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 2168-B/XVII   AC N. 2168-A/XVII
AC N. 2168/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 149    Progressivo: 3
Data: 06/06/2017
Organi della Camera: II-Giustizia


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Introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano

6 giugno 2017
Schede di lettura


Indice

Contenuto|Necessità dell'intervento con legge|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Compatibilità con la Convenzione EDU (a cura dell'Avvocatura della Camera dei deputati)|


La proposta di legge trasmessa dal Senato introduce nell'ordinamento italiano il delitto di tortura. La proposta torna all'esame della Camera in quarta lettura: dopo l'approvazione del Senato in un testo unificato il 5 marzo 2014, il provvedimento è stato approvato dalla Camera con modifiche il 9 aprile 2015. Il Senato lo ha approvato con ulteriori modifiche il 17 maggio 2017.

Contenuto

La proposta di legge approvata dal Senato (C. 2168-B) introduce nel codice penale il delitto di tortura.

Il dibattito presso il Senato si è sostanzialmente concentrato sull'opportunità di una formulazione del reato di tortura quanto più possibile attinente a quella della Convenzione ONU del 1984 e quindi sulla scelta o meno della tortura come reato proprio - del solo pubblico ufficiale - e a dolo specifico. Altro profilo molto dibattuto è stato quello relativo alla necessità della reiterazione delle condotte illecite ai fini della configurazione del reato.

La Convenzione di New York contro la torturaLa citata Convenzione ONU del 1984 contro la tortura ed altri trattamenti e pene crudeli, inumane e degradanti (la c.d. CAT), ratificata dall'Italia con la legge n. 498/1988, prevede l'obbligo per gli Stati di legiferare affinché qualsiasi atto di tortura sia espressamente e immediatamente contemplato come reato nel diritto penale interno (articolo 4). Per tortura ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione ONU si intende "qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso, o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate". Nella CAT, quindi, la specificità del reato di tortura è individuata e saldamente agganciata alla partecipazione agli atti di violenza, nei confronti di quanti sono sottoposti a restrizioni di libertà, di chi è titolare di una funzione pubblica. La tortura è ivi individuata come reato proprio del pubblico ufficiale che trova la sua specifica manifestazione nell'abuso di potere, quindi nell'esercizio arbitrario ed illegale di una forza legittima. Per quanto riguarda poi l'elemento soggettivo-psicologico del reato, sono richiesti al pubblico ufficiale due requisiti: il perseguimento di un particolare scopo, ossia ottenere dalla persona torturata (o da una terza persona) informazioni o una confessione; il dolo nell''infliggere dolore e sofferenze (uso dell'avverbio intenzionalmente). In base alla Convenzione, questi ultimi elementi (di natura oggettiva) non debbono, tuttavia, essere di lievi entità: le condotte di violenza o di minaccia per connotare il reato devono cioè aver prodotto sofferenze "forti" a livello fisico e psichico. L'ultima parte della definizione di tortura contenuta nella CAT si prefigge l'obbiettivo di escludere dalle azioni proibite quegli atti che derivano dall'applicazione di sanzioni legittime, quindi previste dalla legge. In questo modo, gli autori della Convenzione hanno voluto proteggere gli Stati dall'essere condannati a livello internazionale per il normale funzionamento del loro ordinamento giudiziario e carcerario. L'art. 3 della Convenzione. L'art. 3 della Convenzione ha previsto, per ogni Stato parte, il divieto di espulsione, respingimento ed estradizione di una persona verso un altro Stato nel quale vi siano seri motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta alla tortura. Per determinare l'esistenza di tali condizioni, le autorità competenti terranno conto di tutte le considerazioni pertinenti, ivi compresa, se del caso, l'esistenza nello Stato interessato, di un insieme di violazioni sistematiche dei diritti dell'uomo, gravi, flagranti o massicce. 

Gli elementi costitutivi del reato di tortura nel testo in esameLa proposta approvata dal Senato, dal punto di vista sistematico, connota il delitto in modo non del tutto coincidente con quello previsto dalla Convenzione ONU. Il testo approvato, infatti, prevede che il delitto di tortura:

  • sia un reato comune (anziché un reato proprio del pubblico ufficiale); analoga impostazione aveva il testo trasmesso dalla Camera;
  • e (diversamente dal testo-Camera) sia  caratterizzato dal dolo generico.

Entrambi gli elementi contribuiscono a rendere più ampia l'applicazione della fattispecie, potendo la tortura essere commessa da chiunque e indipendentemente dallo scopo che il soggetto abbia eventualmente perseguito con la sua condotta.

La commissione del reato da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio costituisce, anziché un elemento costitutivo, un'aggravante del delitto di tortura.

Ulteriore elemento di distinzione, rispetto al testo della Convenzione ONU, concerne la situazione di inferiorità della vittima del reato, non più limitata alla privazione della libertà personale.

 

Nello specifico, la proposta  si compone di 6 articoli.

Il reato di torturaL'articolo 1 introduce nel titolo XII (Delitti contro la persona), sez. III (Delitti contro la libertà morale) del codice penale gli articoli 613-bis e 613-ter.

Il primo articolo disciplina la fattispecie incriminatrice del delitto di tortura, costruito come reato comune, eventualmente aggravato.

L'art. 613-bis c.p. punisce, infatti, con la reclusione da 4 a 10 anni chiunque, con violenze o minacce gravi ovvero agendo con crudeltà cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza ovvero che si trovi in situazione di minorata difesa, se il fatto è commesso con più condotte ovvero comporta un trattamento inumano o degradante per la dignità della persona.

Pertanto, affinché si realizzi il reato di tortura:

- deve sussistere un nesso di causalità tra l'azione posta in essere dall'agente e le acute sofferenza fisiche ovvero il verificabile trauma psichico;

- la condotta deve essere stata connotata da almeno uno dei seguenti elementi: violenze, minacce gravi, crudeltà;

- la vittima deve trovarsi in almeno una delle seguenti condizioni: essere persona privata della libertà personale; essere affidata alla custodia (o potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza) dell'autore del reato; trovarsi in situazione di minorata difesa;

- il fatto deve essere stato commesso secondo almeno una delle seguenti modalità: pluralità di condotte; tale da comportare un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.

Rispetto al testo Camera si segnala, in particolare:

  • la necessaria pluralità delle violenze o delle minacce;
    Il testo, elaborato nel corso dell'esame in terza lettura dalla Commissione Giustizia del Senato e sottoposto all'esame dell'Assemblea (S. 10 e abb.-C), puniva chi cagiona acute soffferenze con "reiterate violenze o minacce gravi". L'Assemblea del Senato, nella seduta del 14 luglio 2016, ha soppresso la parola "reiterate". Successivamente, nella seduta del 16 maggio 2017, ha aggiunto in coda al primo comma dell'art. 613-bis c.p. una nuova condizione per il perfezionamento del reato, consistente nella commissione del fatto mediante più condotte ovvero se esso comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona;
  • il requisito della gravità delle violenze e delle minacce; si valuti se la locuzione utilizzata ("violenze o minacce gravi") consenta di riferire univocamente la gravità anche alle violenze;
  • l'estensione della fattispecie agli atti commessi con crudeltà;  si ricorda che l'aver agito con crudeltà verso le persone costituisce già un'aggravante in base all'art. 61, n. 4), c.p.;
  • la soppressione del richiamo alla violazione degli obblighi di protezione, cura o assistenza;
  • la soppressione del riferimento alla intenzionalità nel provocare acute sofferenze;
  • l'esplicito riferimento alle persone private della libertà personale e alla condizione di minorata difesa; si ricorda che il codice penale (art. 61, n. 5) prevede come aggravante del reato la condizione di minorata difesa ovvero "l'avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa".
  • l'estensione dell'elenco dei casi di affidamento della vittima al potere del reo;
  • in relazione agli effetti dell'illecito, l'introduzione del richiamo al verificabile trauma psichico provocato dalla tortura; la locuzione "trauma psichico" non è definita nella legislazione; il riferimento alla sua verificabilità sembra superfluo, in quanto ogni elemento di qualsiasi fattispecie criminale richiede di essere accertato in sede giudiziale;
  • la soppressione del riferimento alla commissione della tortura per motivi etnici, orientamento sessuale od opinioni politiche o religiose;
  • la scomparsa del dolo specifico (nel testo trasmesso al Senato lo scopo della tortura era quello di ottenere informazioni, infliggere una punizione o vincere una resistenza);
  • il riferimento alla tortura come trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.

 

Il reato comune appare quindi caratterizzato sia dal dolo generico e, in quanto reato di evento, dalla gravità della tortura (le sofferenze "acute" inflitte alla vittima o il verificabile trauma psichico).

Già dal dibattito in prima lettura al Senato (Assemblea, 5 marzo 2014) emerge dalle parole del relatore (sen. D'Ascola) come si sia ritenuto di qualificare le sofferenze cagionate dalla tortura "come acute, traendo questo termine dalla medicina, da quella generale ma anche dalla medicina legale, che ha elaborato il concetto di un'acuta sofferenza come un concetto ristretto e determinabile. Quindi, il legislatore penale ha guardato anche ad altri rami del nostro sistema e, in particolare, alla scienza medica e ai contenuti e ai significati elaborati dalla scienza medica, come si conviene fare allorquando il legislatore apre una finestra su settori diversi dall'ordinamento giuridico in generale e dall'ordinamento giuridico in particolare e sostanzialmente richiama, nel contesto di quella scienza, le elaborazioni che sono proprie di quel determinato settore scientifico".

 Diversamente dall'art. 1 della Convenzione, che non descrive le modalità della condotta dell'autore del reato, l'art. 613-bis prevede esplicitamente che la tortura si realizza mediante violenze o minacce gravi o crudeltà (ovvero con trattamento inumano e degradante).

La necessità della pluralità delle condotte (violenze o minacce) non sembra consentire di contestare il reato di tortura in presenza di un solo atto di violenza o minaccia. Peraltro, dalla formulazione del testo pare che, pur in assenza di una pluralità di condotte, si perfezioni il reato di tortura qualora si sia determinato un trattamento inumano o degradante per la dignità della persona. In tale ultima ipotesi, per la contestazione del reato, si dovrebbe prescindere dalla  pluralità delle condotte. 

Si consideri inoltre che, tra i reati già previsti dal codice penale vigente, l'art. 572 c.p. (Maltrattamenti contro familiari e conviventi) punisce con la reclusione da due a sei anni - tra l'altro - chiunque maltratti una persona a lui affidata per ragioni di cura,vigilanza o custodia. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da 4 a 9 anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da 7 a 15 anni; se ne deriva la morte, la reclusione da 12 a 24 anni (secondo comma).

 Si valuti – soprattutto in relazione alle conseguenze sull'entità della sanzione - il rapporto tra la nuova disciplina e quella sul concorso materiale di reati o del concorso formale di norme. Occorre quindi valutare se e quando il delitto di tortura possa concorrere con quelli, ad essa connessi, già previsti dal codice (quali ad esempio percosse, minacce, lesioni, violenza privata, ecc.). Va valutato, in particolare, se e quando tali condotte possano ritenersi assorbite dal delitto previsto dal nuovo articolo 613-bis.

Si valuti inoltre se, in talune delimitate ipotesi (ad esempio rispetto al vigente art. 572, secondo comma, c.p.), la proposta di legge possa determinare pene meno severe.

 

Fattispecie aggravate del reatoL'art. 613-bis prevede poi specifiche fattispecie formulate sotto forma di fattispecie aggravate del reato di tortura.

La prima fattispecie aggravata (secondo comma), conseguente all'opzione del delitto come reato comune, interessa la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio dell'autore del reato, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio; la pena prevista è in tal caso la reclusione da 5 a 12 anni (era da 5 a 15 anni nel testo Camera).

L'analoga aggravante comune (art. 61, n. 9, c.p.) renderebbe possibile l'aumento della pena fino a un terzo (teoricamente, quindi, avrebbe potuto portare ad una condanna anche più elevata).

Viene precisato dal terzo comma dell'art. 613-bis che la fattispecie in questione ("il comma precedente") non si applica se le sofferenze per la tortura derivano unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti.

Si osserva che il testo approvato dalla Camera, nell'ipotesi di legittima esecuzione di misure privative o limitative di diritti, non escludeva solo l'applicazione dell'aggravante ma escludeva espressamente anche la sussistenza della stessa fattispecie di tortura di cui al primo comma.

Si osserva inoltre che, alla lettera della disposizione, l'inapplicabilità dell'aggravante è prevista solo con riferimento alle sofferenze e non anche al trauma psichico.

Il secondo gruppo di fattispecie aggravate (quarto comma) consiste nell'avere causato lesioni personali comuni (aumento fino a 1/3 della pena), gravi (aumento di 1/3 della pena) o gravissime (aumento della metà). Il Senato ha precisato che anche tali fattispecie aggravate derivano "dai fatti" indicati dal primo comma e non "dal fatto". Anche in questo caso il reato aggravato si perfeziona solo in presenza di una pluralità di azioni.

Le altre fattispecie aggravate (quinto comma) riguardano la morte come conseguenza della tortura nelle due diverse ipotesi: di morte non voluta, ma conseguenza dell'attività di tortura (30 anni di reclusione, mentre nel testo della Camera era previsto l'aumento di due terzi delle pene); di morte come conseguenza voluta da parte dell'autore del reato (pena dell'ergastolo). Anche in questo caso, Il Senato ha precisato che tali fattispecie aggravate derivano "dai fatti" indicati dal primo comma.

Con riguardo alla pena per l'aggravante della morte come conseguenza non voluta della tortura (30 anni) si ricorda che per l'omicidio preterintenzionale, cui la fattispecie potrebbe ricondursi, l'art. 584 c.p. stabilisce che chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 (percosse) e 582 (lesioni), cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da 10 a 18 anni. La pena – in base all'art. 585 – è aumentata fino a un terzo, se concorre – tra l'altro – la circostanza aggravante relativa all'avere agito con sevizie o crudeltà.

Si osserva inoltre che, mentre la prima e la terza fattispecie sono formulate con autonoma determinazione della pena, la seconda fa riferimento all'aumento di pena rispetto al primo comma. Si valuti se la diversa formulazione porti a configurare aggravanti oppure autonome figura di reato. In questa seconda evenienza, alcune di tali figure sarebbero caratterizzate da pena fissa.

 

L'istigazione alla tortura da parte del pubblico ufficialeL'art. 1 della proposta di legge aggiunge, poi, al codice penale l'art. 613-ter con cui si punisce il reato proprio consistente nell'istigazione a commettere tortura commessa dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio, sempre nei confronti di altro pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.In base all'art. 414 c.p. chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell'istigazione: con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti; con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni (primo comma). Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena da uno a cinque anni (secondo comma). Alla medesima pena soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti. Le pene sono aumentate se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici (terzo comma). Fuori dei casi di cui all'articolo 302, se l'istigazione o l'apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l'umanità la pena è aumentata della metà. La pena è aumentata fino a due terzi se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici (quarto comma).

La nuova fattispecie introdotta dall'art. 613-ter non è connotata dalla pubblicità della condotta.

Rispetto al testo-Camera:

  • è stato introdotto il riferimento alle modalità concretamente idonee proprie della istigazione alla tortura; il testo non esplicita a cosa sia riferito il requisito della idoneità;
  • è soppressa la clausola di specialità del reato di cui all'art. 613-ter rispetto all'istigazione a delinquere di cui all'art. 414 c.p. ("fuori dei casi previsti dall'articolo 414); si valuti se, a seguito di tale soppressione, l'istigazione pubblica a commettere tortura - con la sanzione più severa prevista dal  codice - possa essere ancora sanzionata in base all'art. 414 c.p.
  • è stata ridotta l'entità della sanzione (ora da sei mesi a tre anni, nel testo della Camera era da uno a sei anni).

L'istigazione sarà punibile sia nel caso in cui non sia accolta sia nel caso in cui sia accolta ma ad essa non segua alcun reato. Va, inoltre, segnalato che la rilevanza penale qui conferita all'istigazione pare derivare dal fatto che non si è in presenza di istigazione alla commissione di un generico reato bensì a commettere reato di tortura, che avviene in genere in un contesto caratterizzato dalla presenza di due (o più) pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio.

Si osserva che la nuova fattispecie prevista dall'art. 613-ter c.p. non prevede l'aggravante per l'utilizzazione di strumenti informatici o telematici, invece prevista dall'art. 414 c.p.

 

Profili processualiL'articolo 2  - identico al testo-Camera - è norma procedurale che novella l'art. 191 del codice di procedura penale, aggiungendovi un comma 2-bis che introduce il principio dell'inutilizzabilità, nel processo penale, delle dichiarazioni eventualmente ottenute per effetto di tortura. La norma fa eccezione a tale principio solo nel caso in cui tali dichiarazioni vengano utilizzate contro l'autore del fatto e solo al fine di provarne la responsabilità penale.

 L'art. 191 c.p.p. prevede che le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate. La norma mira a riaffermare il principio di legalità della prova: solo le prove acquisite in modo conforme alle previsioni di legge possono essere utilizzate ai fini della corretta formazione del convincimento del giudice. Viola, ad esempio, il divieto stabilito dall'art. 188 c.p. - che impedisce l'uso di metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di determinazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti - le testimonianze estorte tramite la minaccia delle armi o attraverso la somministrazione di droghe o sotto ipnosi.

 

Il Senato ha soppresso la disposizione del testo trasmesso dalla Camera (già art. 3) di modifica dell'art. 157  del codice penale che inseriva anche il delitto di tortura fra i reati per i quali sono raddoppiati i termini di prescrizione.

I divieti di espulsione, respingimento ed estradizioneL'articolo 3 coordina con l'introduzione del resto di tortura l'art. 19 del TU immigrazione (D.Lgs 286/1998), cui è aggiunto un comma 1-bis che vieta le espulsioni, i respingimenti e le estradizioni ogni volta sussistano fondati motivi di ritenere che, nei Paesi nei confronti dei quali queste misure amministrative dovrebbero produrre i loro effetti, la persona rischi di essere sottoposta a tortura. La disposizione - sostanzialmente aderente al contenuto dell'art. 3 della Convenzione -  precisa che tale valutazione tiene conto se nel Paese in questione vi siano violazioni "sistematiche e gravi" dei diritti umani.

Diversamente, il testo-Camera integrava col riferimento alla tortura  il contenuto del comma 1 dello stesso art. 19 TU che, attualmente, prevede il divieto di espulsione e respingimento (manca il riferimento all'estradizione) ogni qualvolta, nei Paesi di provenienza degli stranieri, essi avrebbero potuto essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali. Il comma 1 era integrato dal riferimento al pericolo di tortura della persona oggetto della misura ovvero al rischio di rinvio verso un altro Stato nel quale non sarebbe protetto dalla persecuzione o dalla tortura ovvero da violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani.

 

Esclusione dall'immunità per condannati o indagati per torturaL'articolo 4 - i cui contenuti sono stati parzialmente riformulati durante l'esame al Senato -  esclude il riconoscimento di ogni "forma di immunità" per gli stranieri che siano indagati o siano stati condannati  per il delitto di tortura in altro Stato o da un tribunale internazionale (comma 1). Il testo trasmesso al Senato riguardava, negli stessi casi, la sola immunità dalla giurisdizione e faceva espresso riferimento al rispetto del diritto internazionale.

L'immunità diplomatica di cui si tratta riguarda in via principale i Capi di Stato o di governo stranieri quando si trovino in Italia, e secondariamente il personale diplomatico-consolare eventualmente da accreditare presso l'Italia da parte di uno Stato estero. La fonte normativa del riconoscimento delle immunità diplomatiche risiede nella ratifica, da parte del nostro paese (legge n. 804 del 1967), delle due Convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche (1961) e sulle relazioni consolari (1963). La codificazione di questo tema riguarda però direttamente i soli agenti diplomatici o consolari accreditati presso uno Stato estero. L'estensione ai Capi di Stato e di governo delle immunità diplomatiche quando si trovino in un altro paese consegue per analogia e in base al diritto internazionale consuetudinario (o generale) – che, diversamente dalla consuetudine nel diritto interno, costituisce livello normativo prevalente sul diritto pattizio risultante da trattati internazionali. Occorre altresì segnalare che in ambito giurisprudenziale si è affermata la tendenza a riconoscere l'immunità anche ai militari all'estero, che comporta la loro non sottoponibilità al giudizio penale o civile per atti compiuti in servizio in uno Stato estero. E' tuttavia da escludersi l'immunità personale di cui godono altri organi statali (come gli agenti diplomatici) che non può essere oggetto d'interpretazione estensiva.

In relazione a tale previsione, che costituirebbe norma di rango ordinario, andrebbe valutato se la sua portata può configurare una limitazione ad immunità penali costituzionalmente tutelate. Infatti, occorre considerare non solo le citate Convenzioni di Vienna del 1961 e del 1963 sulle relazioni diplomatiche e consolari, ma anche la giurisprudenza della Corte costituzionale (v. le sentenze gemelle nn. 348 e 349 del 2007) nonché gli articoli 10, 11, 87 e soprattutto 117, primo comma, della Costituzione, che conferisce ai trattati natura di norma interposta. Le immunità delle quali godono gli agenti diplomatici costituirebbero pertanto immunità coperte dal diritto costituzionale.

 

Obbligo di estradizioneIl comma 2 dell'articolo 4, non modificato dal Senato, prevede l'obbligo di estradizione verso lo Stato richiedente dello straniero indagato o condannato per il reato di tortura; nel caso di procedimento davanti ad un tribunale internazionale, lo straniero è estradato verso il Paese individuato in base alla normativa internazionale.

 

Gli articoli 5 e 6 della proposta di legge contengono, rispettivamente, la disposizione di invarianza finanziaria e quella sull'entrata in vigore della legge il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


Necessità dell'intervento con legge

La materia penale è riservata alla legge: il ricorso alla legge si rende quindi necessario.


Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

L'intervento legislativo è ascrivibile alla materia "ordinamento penale", di competenza legislativa statale esclusiva in base all'art. 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione.


Compatibilità con la Convenzione EDU (a cura dell'Avvocatura della Camera dei deputati)

Contenuto della Convenzione e giurisprudenza della Corte

L'art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) proibisce espressamente la tortura. In particolare, vi si prevede che "Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti", distinguendo tre tipi di condotte: la tortura, i trattamenti o le pene inumane, i trattamenti o le pene degradanti. Una sola delle condotte descritte nell'articolo 3 è sufficiente a integrarne la violazione, purché esse raggiungano un livello minimo di gravità. In che cosa esse debbano consistere precisamente la Convenzione non dichiara. Si è tuttavia sempre adottata una concezione elastica sia di tortura (intesa come inflizione di dolore intenso o di mantenimento in condizioni di prostrazione fisica) sia di trattamento disumano e degradante, facendo riferimento a comportamenti violenti, arbitrari o minacciosi nei confronti di vittime che non possono difendersi, minori, anziane, in condizioni di assoggettamento et similia.  

Come dalla gran parte delle disposizioni della Convenzione, anche dall'articolo 3 derivano sia obblighi negativi (vale a dire, divieti per la pubblica autorità di incidere negativamente sulla sfera della persona), sia obblighi positivi (vale a dire, doveri di promozione e tutela dei diritti umani, anche attraverso l'efficace e celere inchiesta giudiziaria sulle violazioni patite dai cittadini a opera di terzi).

I principi esposti sono stati enucleati in una consolidata giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che parte dal caso Irlanda c. Regno Unito del 1978, per arrivare ai numerosi casi più recenti, tra i quali Mouisel c. Francia del 2003 e Gäfgen c. Germania del 2010 fino, da ultimo, a Mindadze c. Georgia del 2017. Questi assunti restano confermati anche dalle pronunce nei confronti dell'Italia.

Si ricorda, infatti, una copiosa giurisprudenza in materia riferita, in parte, alla situazione carceraria e, in parte, alle espulsioni dei migranti.

Quanto al primo profilo, si rammenta la sentenza Scoppola c. Italia del 2008, in cui fu accertata la violazione dell'articolo 3 in ragione del regime detentivo applicato a una persona disabile, senza le adeguate garanzie mediche; e la Torreggiani c. Italia del 2013, in cui è stata ravvisata la violazione dell'art. 3 nell'insufficienza degli spazi negli stabilimenti carcerari a motivo del sovraffollamento.

In ordine al secondo aspetto, la Corte ha riconosciuto a più riprese che l'espulsione e il connesso rimpatrio verso Paesi nei quali gli stranieri rischiavano di essere imprigionati o torturati costituisce violazione del parametro di cui all'articolo 3 (si vedano, in proposito, le sentenze Saadi c. Italia del 2008, Ben Salah c. Italia del 2009, Trabelsi c. Italia del 2010 e Hirsi c. Italia del 2012).

La pronuncia più recente riguarda i fatti di Genova del 2001 e l'irruzione delle forze dell'ordine nella scuola Diaz, nella quale a molti manifestanti erano state cagionate fratture agli arti, lesioni agli organi interni, ecchimosi di varia gravità e altro. Pur risarcito in sede penale in Italia, uno di essi aveva fatto ricorso alla CEDU per sentire condannata l'Italia per la violazione dell'articolo 3, poiché in definitiva coloro che materialmente avevano posto in essere quelle condotte erano andati sostanzialmente esenti da qualsiasi sanzione. Nella sentenza (Cestaro c. Italia del 2015) la Corte ha affermato, tra l'altro, che essa deve assicurarsi che lo Stato adempia come si deve all'obbligo di tutelare i diritti delle persone che rientrano nella sua giurisdizione. Di conseguenza, la Corte «deve mantenere la sua funzione di controllo e intervenire nel caso esista una evidente sproporzione tra la gravità dell'atto e la sanzione inflitta. Altrimenti, il dovere che hanno gli Stati di condurre un'inchiesta effettiva perderebbe molto del suo senso». La sentenza ha anche affermato che «affinché un'inchiesta sia effettiva nella pratica, la condizione preliminare è che lo Stato abbia promulgato delle disposizioni di diritto penale che puniscono le pratiche contrarie all'articolo. In effetti, l'assenza di una legislazione penale sufficiente per prevenire e punire effettivamente gli autori di atti contrari all'articolo 3 può impedire alle autorità di perseguire le offese a questo valore fondamentale delle società democratiche, di valutarne la gravità, di pronunciare pene adeguate e di escludere l'applicazione di qualsiasi misura che possa alleggerire eccessivamente la sanzione, a scapito del suo effetto preventivo e dissuasivo».

Il testo in discussione

Il testo approvato dalla Camera (S. 10 e abb.-B), introducendo nell'articolo 1, comma 1, gli articoli 613-bis e 613-ter nel codice penale, concepiva il delitto di tortura centrandolo sulla condotta di cagionare a una persona affidata o comunque sottoposta all'autorità, alla vigilanza o alla custodia dell'agente acute sofferenze psichiche o fisiche. La modalità della condotta descritta era la violenza o la minaccia. La disposizione approvata dalla Camera prevedeva altresì il dolo diretto (era infatti previsto che la condotta del cagionare le sofferenze fosse intenzionale); e, alternativamente, il dolo specifico dell'ottenere informazioni o dichiarazioni, o di infliggere una punizione, o ancora di vincere una resistenza; o la motivazione della discriminazione etnica, politica, religiosa o di orientamento sessuale.

Nell'articolo 4, la proposta approvata dalla Camera introduceva una modifica del Testo unico sull'immigrazione, che vietava in modo assoluto l'espulsione o il respingimento dello straniero verso uno Stato in cui egli potesse essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche o condizioni personali o sociali, od oggetto di tortura o comunque rinviato dallo Stato di destinazione a un altro in cui corresse i medesimi pericoli.

Quanto alla fattispecie incriminatrice di base, ne derivava che l'accertamento del giudice sulla condotta era unico, poiché diretto alla verifica di un'azione volta a cagionare le acute sofferenze fisiche o psichiche.

Nel complesso, appare che quel testo fosse conforme al diritto della Convenzione, come sinteticamente descritto supra.

Viceversa, il testo modificato dal Senato e ritrasmesso alla Camera modifica l'assetto strutturale del reato (v. la nuova formulazione dell'articolo 1, comma 1, capoverso comma 613-bis) poiché, in primo luogo, richiede che le modalità della condotta (violenza o minaccia) assumano il carattere della gravità; in secondo luogo, contempla l'alternativa dell'agire con crudeltà; in terzo luogo, muta l'evento della sofferenza psichica in un "verificabile trauma psichico"; e da ultimo richiede che il fatto sia commesso con più condotte, oppure che comporti un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.