Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||||
Titolo: | Disposizioni urgenti in materia di introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano A.C. 2168-B - Elementi per l'esame in Assemblea | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 149 Progressivo: 3 | ||||
Data: | 23/06/2017 | ||||
Organi della Camera: | II-Giustizia |
Introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano
23 giugno 2017
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Indice |
Contenuto|Discussione e attività istruttoria in Commissione in sede referente|I pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva| |
La proposta di legge trasmessa dal Senato introduce nell'ordinamento italiano il delitto di tortura. La proposta torna all'esame della Camera in quarta lettura: dopo l'approvazione del Senato in un testo unificato il 5 marzo 2014, il provvedimento è stato approvato dalla Camera con modifiche il 9 aprile 2015. Il Senato lo ha approvato con ulteriori modifiche il 17 maggio 2017. La Commissione Giustizia della Camera non ha apportato ulteriori modifiche al testo.
ContenutoLa proposta di legge, modificata dal Senato (C. 2168-B), introduce nel codice penale il delitto di tortura. Oltre che nella Convenzione ONU del 1984 (v. ultra), il divieto di tortura è sancito da altre fonti sovranazionali. L'art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo prevede che "Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti". Identica formulazione è contenuta nell'art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Lo Statuto della Corte penale internazionale (ratificato dall'Italia con la legge n. 232 del 1989), considera la tortura come crimine contro l'umanità (art. 7) al pari degli altri delitti su cui la Corte ha giurisdizione. Per lo Statuto, con tale delitto si intende "infliggere intenzionalmente gravi dolori o sofferenze, fisiche o mentali ad una persona di cui si abbia la custodia o il controllo; in tale termine non rientrano i dolori o le sofferenze derivanti esclusivamente da sanzioni legittime o che siano inscindibilmente connessi a tali sanzioni o dalle stesse incidentalmente occasionati". Il dibattito presso il Senato si è sostanzialmente concentrato sull'opportunità di una formulazione del reato di tortura quanto più possibile aderente a quella della Convenzione ONU del 1984 contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (la c.d. CAT) e quindi sulla scelta o meno della tortura come reato proprio - del solo pubblico ufficiale - e a dolo specifico. Altro profilo ampiamente dibattuto è stato quello relativo alla necessità della reiterazione delle condotte illecite ai fini della configurazione del reato. La Convenzione di New York contro la torturaLa citata Convenzione ONU del 1984 contro la tortura, ratificata dall'Italia con la legge n. 498/1988, prevede l'obbligo per gli Stati di legiferare affinché qualsiasi atto di tortura sia espressamente e immediatamente contemplato come reato nel diritto penale interno (articolo 4). Per tortura ai sensi dell'articolo 1, comma 1, della Convenzione si intende "qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso, o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate". Nella CAT, quindi, la specificità del reato di tortura è individuata e saldamente agganciata alla partecipazione agli atti di violenza, nei confronti di quanti sono sottoposti a restrizioni di libertà, di chi è titolare di una funzione pubblica. La tortura è ivi individuata come reato proprio del pubblico ufficiale che trova la sua specifica manifestazione nell'abuso di potere, quindi nell'esercizio arbitrario ed illegale di una forza legittima. Per quanto riguarda poi l'elemento soggettivo-psicologico del reato, sono richiesti al pubblico ufficiale due requisiti: il perseguimento di un particolare scopo, ossia ottenere dalla persona torturata (o da una terza persona) informazioni o una confessione; il dolo nell''infliggere dolore e sofferenze (uso dell'avverbio intenzionalmente). In base alla Convenzione, questi ultimi elementi (di natura oggettiva) non debbono, tuttavia, essere di lievi entità: le condotte di violenza o di minaccia per connotare il reato devono cioè aver prodotto sofferenze "forti" a livello fisico e psichico. L'ultima parte della definizione di tortura contenuta nella CAT si prefigge l'obbiettivo di escludere dalle azioni proibite quegli atti che derivano dall'applicazione di sanzioni legittime, quindi previste dalla legge. In questo modo, gli autori della Convenzione hanno voluto proteggere gli Stati dall'essere condannati a livello internazionale per il normale funzionamento del loro ordinamento giudiziario e carcerario. Il comma 2 dell'art. 1 lascia impregiudicato ogni strumento internazionale e ogni legge nazionale che contiene o può contenere disposizioni di portata più ampia.
L'art. 3 della Convenzione ha previsto, per ogni Stato parte, il divieto di espulsione, respingimento ed estradizione di una persona verso un altro Stato nel quale vi siano seri motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta alla tortura. Per determinare l'esistenza di tali condizioni, le autorità competenti terranno conto di tutte le considerazioni pertinenti, ivi compresa, se del caso, l'esistenza nello Stato interessato, di un insieme di violazioni sistematiche dei diritti dell'uomo, gravi, flagranti o massicce.
Gli elementi costitutivi del reato di tortura nel testo in esameLa proposta approvata dal Senato, dal punto di vista sistematico, connota il delitto in modo non del tutto coincidente con quello previsto dalla Convenzione ONU e sembrerebbe rendere più ampia l'applicazione della fattispecie, potendo la tortura essere commessa da chiunque e indipendentemente dallo scopo che il soggetto abbia eventualmente perseguito con la sua condotta. Nel testo, la commissione del reato da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio costituisce, anziché un elemento costitutivo, una fattispecie aggravata del delitto di tortura. Ulteriore elemento di distinzione, rispetto al testo della Convenzione ONU, concerne la situazione di inferiorità della vittima del reato, non più limitata alla privazione della libertà personale.
Nello specifico, la proposta si compone di 6 articoli.
Il reato di torturaL'articolo 1 introduce nel titolo XII (Delitti contro la persona), sez. III (Delitti contro la libertà morale) del codice penale gli articoli 613-bis e 613-ter. Il primo articolo disciplina la fattispecie incriminatrice del delitto di tortura. L'art. 613-bis c.p. punisce, infatti, con la reclusione da 4 a 10 anni chiunque, con violenze o minacce gravi ovvero agendo con crudeltà cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza ovvero che si trovi in situazione di minorata difesa, se il fatto è commesso con più condotte ovvero comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. Pertanto, affinché si realizzi il reato di tortura: - deve sussistere un nesso di causalità tra l'azione posta in essere dall'agente e le acute sofferenza fisiche ovvero il verificabile trauma psichico; - la condotta deve essere stata connotata da almeno uno dei seguenti elementi: violenze, minacce gravi, crudeltà; - la vittima deve trovarsi in almeno una delle seguenti condizioni: essere persona privata della libertà personale; essere affidata alla custodia (o potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza) dell'autore del reato; trovarsi in situazione di minorata difesa; - il fatto deve essere stato commesso secondo almeno una delle seguenti modalità: pluralità di condotte; tale da comportare un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.
Rispetto al testo Camera si segnala, in particolare:
Il reato appare quindi caratterizzato sia dal dolo generico e, in quanto reato di evento, dalla gravità della tortura (le sofferenze "acute" inflitte alla vittima o il verificabile trauma psichico). Già dal dibattito in prima lettura al Senato (Assemblea, 5 marzo 2014) emerge dalle parole del relatore (sen. D'Ascola) come si sia ritenuto di qualificare le sofferenze cagionate dalla tortura "come acute, traendo questo termine dalla medicina, da quella generale ma anche dalla medicina legale, che ha elaborato il concetto di un'acuta sofferenza come un concetto ristretto e determinabile. Quindi, il legislatore penale ha guardato anche ad altri rami del nostro sistema e, in particolare, alla scienza medica e ai contenuti e ai significati elaborati dalla scienza medica, come si conviene fare allorquando il legislatore apre una finestra su settori diversi dall'ordinamento giuridico in generale e dall'ordinamento giuridico in particolare e sostanzialmente richiama, nel contesto di quella scienza, le elaborazioni che sono proprie di quel determinato settore scientifico".
Diversamente dall'art. 1 della Convenzione, che non descrive le modalità della condotta dell'autore del reato, l'art. 613-bis prevede esplicitamente che la tortura si realizza mediante violenze o minacce gravi o crudeltà (ovvero con trattamento inumano e degradante). La necessità della pluralità delle condotte (violenze o minacce) non sembra consentire di contestare il reato di tortura in presenza di un solo atto di violenza o minaccia. Peraltro, dalla formulazione del testo pare che, pur in assenza di una pluralità di condotte, si perfezioni il reato di tortura qualora si sia determinato un trattamento inumano o degradante per la dignità della persona. In tale ultima ipotesi, per la contestazione del reato, si dovrebbe prescindere dalla pluralità delle condotte. Si ricorda inoltre che, tra i reati già previsti dal codice penale vigente, l'art. 572 c.p. (Maltrattamenti contro familiari e conviventi) punisce con la reclusione da due a sei anni - tra l'altro - chiunque maltratti una persona a lui affidata per ragioni di cura,vigilanza o custodia. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da 4 a 9 anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da 7 a 15 anni; se ne deriva la morte, la reclusione da 12 a 24 anni (secondo comma).
Fattispecie aggravate del reatoL'art. 613-bis prevede poi specifiche fattispecie formulate sotto forma di fattispecie aggravate del reato di tortura. La prima fattispecie aggravata (secondo comma), conseguente all'opzione del delitto come reato comune, interessa la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio dell'autore del reato, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio; la pena prevista è in tal caso la reclusione da 5 a 12 anni (era da 5 a 15 anni nel testo Camera). Viene precisato dal terzo comma dell'art. 613-bis che la fattispecie in questione ("il comma precedente") non si applica se le sofferenze per la tortura derivano unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti. Si ricorda che il testo approvato dalla Camera, nell'ipotesi di legittima esecuzione di misure privative o limitative di diritti, non escludeva solo l'applicazione dell'aggravante ma escludeva espressamente anche la sussistenza della stessa fattispecie di tortura di cui al primo comma.
Il secondo gruppo di fattispecie aggravate (quarto comma) consiste nell'avere causato lesioni personali comuni (aumento fino a 1/3 della pena), gravi (aumento di 1/3 della pena) o gravissime (aumento della metà). Il Senato ha precisato che anche tali fattispecie aggravate derivano "dai fatti" indicati dal primo comma e non "dal fatto". Anche in questo caso il reato aggravato si perfeziona solo in presenza di una pluralità di azioni. Le altre fattispecie aggravate (quinto comma) riguardano la morte come conseguenza della tortura nelle due diverse ipotesi: di morte non voluta, ma conseguenza dell'attività di tortura (30 anni di reclusione, mentre nel testo della Camera era previsto l'aumento di due terzi delle pene); di morte come conseguenza voluta da parte dell'autore del reato (pena dell'ergastolo). Anche in questo caso, Il Senato ha precisato che tali fattispecie aggravate derivano "dai fatti" indicati dal primo comma. Con riguardo alla pena per l'aggravante della morte come conseguenza non voluta della tortura (30 anni) si ricorda che per l'omicidio preterintenzionale, cui la fattispecie potrebbe ricondursi, l'art. 584 c.p. stabilisce che chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 (percosse) e 582 (lesioni), cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da 10 a 18 anni. La pena – in base all'art. 585 – è aumentata fino a un terzo, se concorre – tra l'altro – la circostanza aggravante relativa all'avere agito con sevizie o crudeltà.
L'istigazione alla tortura da parte del pubblico ufficialeL'art. 1 della proposta di legge aggiunge, poi, al codice penale l'art. 613-ter con cui si punisce il reato proprio consistente nell'istigazione a commettere tortura commessa dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio, sempre nei confronti di altro pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.In base all'art. 414 c.p. chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell'istigazione: con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti; con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni (primo comma). Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena da uno a cinque anni (secondo comma). Alla medesima pena soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti. Le pene sono aumentate se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici (terzo comma). Fuori dei casi di cui all'articolo 302, se l'istigazione o l'apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l'umanità la pena è aumentata della metà. La pena è aumentata fino a due terzi se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici (quarto comma). La nuova fattispecie introdotta dall'art. 613-ter non è connotata dalla pubblicità della condotta. Rispetto al testo-Camera:
L'istigazione sarà punibile sia nel caso in cui non sia accolta sia nel caso in cui sia accolta ma ad essa non segua alcun reato. Va, inoltre, segnalato che la rilevanza penale qui conferita all'istigazione pare derivare dal fatto che non si è in presenza di istigazione alla commissione di un generico reato bensì a commettere reato di tortura, che avviene in genere in un contesto caratterizzato dalla presenza di due (o più) pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio.
Profili processualiL'articolo 2 - identico al testo-Camera - è norma procedurale che novella l'art. 191 del codice di procedura penale, aggiungendovi un comma 2-bis che introduce il principio dell'inutilizzabilità, nel processo penale, delle dichiarazioni eventualmente ottenute per effetto di tortura. La norma fa eccezione a tale principio solo nel caso in cui tali dichiarazioni vengano utilizzate contro l'autore del fatto e solo al fine di provarne la responsabilità penale. L'art. 191 c.p.p. prevede che le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate. La norma mira a riaffermare il principio di legalità della prova: solo le prove acquisite in modo conforme alle previsioni di legge possono essere utilizzate ai fini della corretta formazione del convincimento del giudice. Viola, ad esempio, il divieto stabilito dall'art. 188 c.p. - che impedisce l'uso di metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di determinazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti - le testimonianze estorte tramite la minaccia delle armi o attraverso la somministrazione di droghe o sotto ipnosi.
Il Senato ha soppresso la disposizione del testo trasmesso dalla Camera (già art. 3) di modifica dell'art. 157 del codice penale che inseriva anche il delitto di tortura fra i reati per i quali sono raddoppiati i termini di prescrizione. L'art. 29 dello Statuto della Corte penale internazionale stabilisce invece che tale delitto deve essere imprescrittibile.
I divieti di espulsione, respingimento ed estradizioneL'articolo 3 coordina con l'introduzione del resto di tortura l'art. 19 del TU immigrazione (d.lgs. 286/1998), cui è aggiunto un comma 1-bis che vieta le espulsioni, i respingimenti e le estradizioni ogni volta sussistano fondati motivi di ritenere che, nei Paesi nei confronti dei quali queste misure amministrative dovrebbero produrre i loro effetti, la persona rischi di essere sottoposta a tortura. La disposizione - sostanzialmente aderente al contenuto dell'art. 3 della Convenzione - precisa che tale valutazione tiene conto se nel Paese in questione vi siano violazioni "sistematiche e gravi" dei diritti umani. Diversamente, il testo-Camera integrava col riferimento alla tortura il contenuto del comma 1 dello stesso art. 19 TU che, attualmente, prevede il divieto di espulsione e respingimento (manca il riferimento all'estradizione) ogni qualvolta, nei Paesi di provenienza degli stranieri, essi avrebbero potuto essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali. Il comma 1 era integrato dal riferimento al pericolo di tortura della persona oggetto della misura ovvero al rischio di rinvio verso un altro Stato nel quale non sarebbe protetto dalla persecuzione o dalla tortura ovvero da violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani.
Esclusione dall'immunità per condannati o indagati per torturaL'articolo 4 - i cui contenuti sono stati parzialmente riformulati durante l'esame al Senato - esclude il riconoscimento di ogni "forma di immunità" per gli stranieri che siano indagati o siano stati condannati per il delitto di tortura in altro Stato o da un tribunale internazionale (comma 1). Il testo trasmesso al Senato riguardava, negli stessi casi, la sola immunità dalla giurisdizione e faceva espresso riferimento al rispetto del diritto internazionale. L'immunità diplomatica di cui si tratta riguarda in via principale i Capi di Stato o di governo stranieri quando si trovino in Italia, e secondariamente il personale diplomatico-consolare eventualmente da accreditare presso l'Italia da parte di uno Stato estero. La fonte normativa del riconoscimento delle immunità diplomatiche risiede nella ratifica, da parte del nostro paese (legge n. 804 del 1967), delle due Convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche (1961) e sulle relazioni consolari (1963). La codificazione di questo tema riguarda però direttamente i soli agenti diplomatici o consolari accreditati presso uno Stato estero. L'estensione ai Capi di Stato e di governo delle immunità diplomatiche quando si trovino in un altro paese consegue per analogia e in base al diritto internazionale consuetudinario (o generale) – che, diversamente dalla consuetudine nel diritto interno, costituisce livello normativo prevalente sul diritto pattizio risultante da trattati internazionali. Occorre altresì segnalare che in ambito giurisprudenziale si è affermata la tendenza a riconoscere l'immunità anche ai militari all'estero, che comporta la loro non sottoponibilità al giudizio penale o civile per atti compiuti in servizio in uno Stato estero. E' tuttavia da escludersi l'immunità personale di cui godono altri organi statali (come gli agenti diplomatici) che non può essere oggetto d'interpretazione estensiva.
Obbligo di estradizioneIl comma 2 dell'articolo 4, non modificato dal Senato, prevede l'obbligo di estradizione verso lo Stato richiedente dello straniero indagato o condannato per il reato di tortura; nel caso di procedimento davanti ad un tribunale internazionale, lo straniero è estradato verso il Paese individuato in base alla normativa internazionale.
Gli articoli 5 e 6 della proposta di legge contengono, rispettivamente, la disposizione di invarianza finanziaria e quella sull'entrata in vigore della legge il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. |
Discussione e attività istruttoria in Commissione in sede referenteLa Commissione Giustizia ha avviato, il 6 giugno 2017. l'esame della proposta di legge cui ha dedicato cinque sedute. Nella seduta del 22 giugno ha conferito mandato al relatore Vazio a riferire favorevolmente in Assemblea sul testo trasmesso dal Senato. Si segnala che, in data 16 giugno 2017, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muiznieks, ha indirizzato ai Presidenti di entrambe le Camere, delle Commissioni Giustizia di ciascuna di esse e al senatore Manconi, quale Presidente della Commissione straordinaria per i diritti umani costituita presso il Senato, una nota con cui rappresenta talune preoccupazioni su alcuni aspetti del testo approvato dal Senato e ritrasmesso alla Camera, che, a suo avviso, sembrano in contrasto con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, con le raccomandazioni del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e con la Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura – UNCAT. In particolare, le preoccupazioni manifestate dal Commissario si riferiscono al fatto che, per la configurabilità del reato di tortura, siano necessarie "più condotte di violenza o minacce gravi ovvero crudeltà"; che la tortura si configuri anche in presenza di trattamenti inumani e degradanti (laddove l'articolo 3 della Convenzione EDU prevede la disgiuntiva "trattamenti inumani o degradanti"); inoltre, quanto alla tortura di tipo psicologico, che essa cagioni un trauma verificabile sotto tale profilo. La nota del Commissario europeo sottolinea ancora che vi sono altri aspetti di divergenza della definizione contenuta nella proposta di legge rispetto a quella di cui all'art. 1 della Convenzione ONU sulla tortura e che ciò comporta il rischio che episodi di tortura o di pene e trattamenti inumani o degradanti restino non normati, dando luogo a casi di impunità. Inoltre la nota, considerato che il testo approvato dal Senato adotta una definizione ampia di tortura che ricomprende anche i comportamenti di privati cittadini, sottolinea l'importanza di garantire che questo non conduca a indebolire la tutela contro le torture inflitte per mano di pubblici ufficiali. In conclusione, il Commissario rileva che le nuove disposizioni dovrebbero prevedere pene adeguate per i responsabili di atti di tortura o pene e trattamenti inumani o degradanti, avendo quindi un effetto deterrente e dovrebbero garantire che la punibilità per questo reato non sia soggetta a prescrizione, né sia possibile emanare in questi casi misure di clemenza, amnistia, indulto o sospensione della sentenza. |
I pareri espressi dalle Commissioni in sede consultivaLa Commissione Affari costituzionali ha espresso, il 22 giugno 2017, parere favorevole con una condizione e sette osservazioni. La condizione riguarda la necessità di valutare se la previsione della pena fissa di 30 anni di reclusione, stabilita dall'articolo 1, comma 1, capoverso articolo 613-bis, quinto comma, per la circostanza aggravante, derivante dall'avere provocato come conseguenza non voluta la morte della persona offesa, sia coerente con la giurisprudenza in tema di pene fisse e sia ragionevolmente «proporzionata», per la natura dell'illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico reato di tortura; tale valutazione dovrà tenere inoltre conto conto della sanzione base – reclusione da quattro a dieci anni – stabilita per il medesimo reato; - l'opportunità di chiarire - all'articolo 1, comma 1, capoverso Art. 613-bis, primo comma, in relazione al requisito della gravità delle violenze e delle minacce («violenze e minacce gravi») - se la locuzione «violenze o minacce gravi» consenta o meno di riferire la gravità anche alle violenze; La Commissione Bilancio ha espresso parere favorevole il 22 giugno 2017. |