Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Recepimento della Direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali Schema di D.Lgs. n. 64 Schede di lettura
Riferimenti:
SCH.DEC 64/XVII     
Serie: Atti del Governo    Numero: 49
Data: 18/12/2013
Descrittori:
CONSIGLIO EUROPEO   DIRETTIVE DELL'UNIONE EUROPEA
INTERPRETI E TRADUTTORI   L 2013 0096
PARLAMENTO EUROPEO   PROCESSO PENALE
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Atti del Governo

Recepimento della Direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali

 

Schema di D.Lgs. n. 64

(articolo 1 della legge 6 agosto 2013, n. 96)

Schede di lettura

 

 

 

 

 

n. 49

 

 

 

18 dicembre 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9559 / 066760-9148 – * st_giustizia@camera.it

 

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Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

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File: GI0146.doc


INDICE

Schede di lettura

Introduzione                                                                                                       3

La direttiva 2010/64/UE                                                                                     3

L’ordinamento italiano                                                                                      6

§      La Costituzione                                                                                                6

§      La normativa                                                                                                    6

§      La giurisprudenza costituzionale                                                                     8

§      Le dimensioni del fenomeno                                                                         11

La legge delega                                                                                               11

§      Principi e criteri direttivi (art. 32, legge 234/2012)                                         12

Procedure di contenzioso                                                                              13

Il contenuto dello schema di decreto legislativo                                        14

 

 


Schede di lettura

 


Introduzione

Lo schema di decreto è diretto ad assicurare l’interpretazione e la traduzione nei procedimenti penali, affinché l’imputato di lingua straniera che non conosca l’italiano sia messo in condizione di partecipare consapevolmente al processo, in attuazione della legge di delegazione europea 2013. La Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per il mancato recepimento della direttiva in materia.

Lo schema in esame fa parte di un gruppo di schemi di decreto legislativo approvati dal Consiglio dei ministri nella riunione del 3 dicembre 2013, in prossimità della scadenza dei termini per l’esercizio della delega (4 dicembre). In questo modo il Governo può avvalersi, nell’esercizio della potestà legislativa delegata, di un meccanismo di scorrimento dei termini, disposto in via generale dall’articolo 31, comma 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, recante le norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea. In base a tale norma, qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare scada nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini di delega o successivamente, questi ultimi sono prorogati di tre mesi (vale a dire, nel caso di specie, fino al 4 marzo 2014).

 

La direttiva 2010/64/UE

La direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010 - già inserita nel ddl comunitaria 2010 e 2011 - individua norme minime comuni relative all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, con l’obiettivo di rafforzare la fiducia reciproca tra i paesi dell’Unione europea e di garantire il diritto ad un processo equo[1].

 

Il diritto a un processo equo è affermato dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberà fondamentali (CEDU) e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea. Inoltre, l’art. 48, paragrafo 2, della stessa Carta garantisce il rispetto dei diritti della difesa.

La direttiva in esame si inserisce in questo contesto ed è riconducibile ad un pacchetto più ampio di misure volte a rafforzare i diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali in ambito europeo[2].

Si rammenta peraltro che il testo della direttiva riprende in gran parte la proposta della Commissione di decisione-quadro del Consiglio sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, dell’8 luglio 2009. Si ricorda, infatti, che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e il venir meno del c.d. terzo pilastro, anche la cooperazione giudiziaria penale deve essere ora disciplinata a livello europeo con l’ordinaria procedura legislativa e dunque con l’approvazione di direttive (in luogo delle precedenti decisioni-quadro).

 

La direttiva costituisce la prima misura della c.d. Tabella di marcia di Stoccolma (Risoluzione del Consiglio del 30 novembre 2009, concernente la tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali).

Le ulteriori tappe sono costituite dalla direttiva 2012/13/UE, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali (termine di recepimento 2 giugno 2014) e dalla direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato (termine di recepimento 16 novembre 2015). Entrambe le direttive – insieme alla 2010/64/UE sull’interpretazione e traduzione nei procedimenti penali - sono comprese tra quelle da attuare in base alla legge di delegazione europea 2013 (n. 96/2013). Tutte e tre recano disposizioni su interpretazione e traduzione.

Per quanto riguarda il campo d’applicazione, la direttiva stabilisce le norme minime comuni per i paesi dell’Unione europea sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali e nei procedimenti per l’esecuzione del mandato di arresto europeo (art. 1).

Le disposizioni si applicano dunque a coloro che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento penale cui sono sottoposti: il diritto matura allorquando la persona è avvisata di essere indagata per un reato e permane sino alla conclusione del procedimento (ovvero fino alla decisione definitiva).

Il diritto all’interpretazione e alla traduzione non si estende dunque alla fase successiva alla conclusione del procedimento, ovvero all’esecuzione della pena.

 

In particolare, il diritto all’interpretazione comporta per i paesi dell’UE l’obbligo di rendere disponibile agli interessati un interprete per le comunicazioni con il loro avvocato, nonché per qualsiasi interrogatorio o audizione (es. davanti alla polizia) durante il procedimento o all’atto della presentazione di un ricorso e in ogni fase del procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo. Lo stesso diritto dovrà essere garantito alle persone con problemi di udito o difficoltà di linguaggio (art. 2).

Gli Stati dovranno inoltre individuare apposite procedure per accertare se l’interessato abbia davvero bisogno dell’interpretazione e dovranno consentirgli – a fronte del diniego del diritto – di impugnare la relativa decisione; l’interessato potrà altresì contestare la qualità dell’interpretazione qualora la ritenga insufficiente a tutelare l’equità del procedimento.

 

Il diritto alla traduzione scritta di tutti i documenti del procedimento è inoltre affermato dall’art. 3 della direttiva, che lo prevede in particolare per i seguenti atti:

§         le decisioni che privano una persona della propria libertà;

§         gli atti contenenti i capi d’imputazione;

§         le sentenze.

La traduzione dovrà essere effettuata «entro un periodo di tempo ragionevole». Caso per caso, le autorità competenti potranno decidere di tradurre altri documenti, anche previa istanza di parte. In casi eccezionali è possibile fornire una traduzione orale o un riassunto orale di documenti fondamentali, anziché una traduzione scritta, a condizione che tale traduzione orale o riassunto orale non pregiudichi l’equità del procedimento.

 

L’art. 4 della direttiva stabilisce che - indipendentemente dall’esito del procedimento - gli Stati membri sostengono i costi di interpretazione e di traduzione.

 

I paesi dell’Unione dovranno garantire che la qualità dell’interpretazione e della traduzione sia sufficiente per permettere agli interessati di capire i capi di imputazione loro contestati e di esercitare il proprio diritto alla difesa. A tale scopo, gli Stati membri devono prendere misure concrete e in particolare si impegnano a istituire un registro o dei registri di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati (art. 5).

 

In base all’art. 7 gli Stati dovranno far sì che, attraverso la verbalizzazione, si prenda nota del fatto che la persona interessata:

§         è stata sottoposta ad interrogatori o ad udienze con l’assistenza di un interprete;

§         ha ricevuto una traduzione orale o un riassunto orale dei documenti fondamentali;

§         ha rinunciato al diritto alla traduzione di documenti.

 

La direttiva, entrata in vigore il 15 novembre 2010, ha come termine di recepimento il 27 ottobre 2013. Come specificato dall’art. 8, l’attuazione della direttiva non dovrà comportare in nessun modo un arretramento nelle tutele già attualmente previste dai singoli ordinamenti.

 

L’ordinamento italiano

La Costituzione

Per quanto concerne il recepimento di questa direttiva nell’ordinamento italiano si ricorda che l’art. 111, terzo comma, della Costituzione afferma che nel processo penale la legge assicura che la persona accusata di un reato sia «assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo». Si tratta di una delle manifestazioni del principio del giusto processo regolato dalla legge, attraverso cui si deve attuare la giurisdizione (primo comma dell’art. 111 Cost.) e, più in generale, del diritto inviolabile di difesa in ogni stato e grado del procedimento (art. 24, secondo comma, Cost.).

 

La normativa

Come ricordato, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848, all’art. 6, terzo comma, lettera a), stabilisce che "ogni accusato ha diritto ( ..) a essere informato, nel più breve spazio di tempo, nella lingua che egli comprende e in maniera dettagliata, della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta". La lettera e) prevede poi che ogni accusato ha diritto di “farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza”.

Si tratta inoltre dell’identica disposizione contenuta nell'art. 14, terzo comma, lettera a), del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, patto che è stato firmato il 19 dicembre 1966 a New York ed è stato reso esecutivo in Italia con la legge 25 ottobre 1977, n. 881.

Inoltre, il codice di procedura penale, agli articoli 143-147, riconosce il diritto per l’imputato (e l’indagato) che non conosce la lingua italiana di «farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di potere comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa». Sarà l’autorità procedente a provvedere alla nomina dell’interprete – attraverso il ricorso ad appositi albi tenuti presso il tribunale – ed a conferirgli anche il compito di procedere a traduzione di atti.

L’art. 109 c.p.p. disciplina inoltre, a pena di nullità, la lingua degli atti e, in particolare, prevede alcune garanzie per il cittadino italiano appartenente a una minoranza linguistica riconosciuta il quale, a richiesta, è interrogato o esaminato nella madrelingua; anche il relativo verbale è redatto in tale lingua; nella stessa lingua sono poi tradotti gli atti del procedimento a lui indirizzati.

Il diritto all’interprete nell’ambito di un processo penale costituisce quindi una condizione indispensabile per porre in essere un diritto fondamentale dell’imputato, quello alla difesa e alla «parità fra le parti».

L’art. 169 c.p.p., al terzo comma, stabilisce che l'invito a dichiarare o a eleggere domicilio nel territorio dello Stato rivolto all'imputato straniero deve essere redatto nella lingua dell'accusato quando dagli atti risulti che quest'ultimo non conosce la lingua italiana.

Una disposizione sugli interpreti è infine prevista dall’art. 119 c.p.p. con riguardo alla partecipazione del sordo, muto o sordomuto ad atti del procedimento.

Le spese per l’interpretariato e la traduzione sono anticipate dall’Erario e, in caso di condanna, sono recuperate (art. 49 del DPR 115/2002, Testo unico sulle spese di giustizia), come le altre spese ripetibili. E’ fatta eccezione per il caso in cui l’imputato benefici del patrocinio a spese dello Stato.

 

Rispetto alle disposizioni della direttiva, peraltro, la normativa statale vigente può presentare profili di lacunosità per quanto concerne in particolare:

-          la distinzione tra le figure e le competenze dell’interprete e del traduttore;

L’art. 143, comma 2, prevede infatti la nomina di un interprete laddove si renda necessaria la traduzione di uno scritto in lingua straniera. L’art. 147 c.p.p. conferma la confusione tra le due figure ove tratta dei termini che l’interprete deve rispettare per la consegna di traduzioni scritte. Nemmeno l’art. 242 c.p.p., che regolamenta la traduzione di documenti e nastri magnetofonici, fa riferimento alla figura del traduttore, limitandosi a rimandare all’art. 143 c.p.p. La legge richiama dunque sempre ed esclusivamente la figura dell’interprete, affidandogli entrambi i compiti, ossia l’attività prettamente traduttiva e quella interpretativa in senso stretto.

 

-          i criteri per valutare il grado di conoscenza della lingua italiana da parte dell’indagato/imputato;

La normativa vigente non fornisce indicazioni precise né circa il grado minimo di competenza linguistica richiesto a un imputato, né circa la soglia oltre la quale si riveli necessaria un’assistenza linguistica in suo favore. Va infatti precisato che, contrariamente a quanto avviene per i cittadini italiani appartenenti a minoranze etnico-linguistiche riconosciute, i quali usufruiscono della tutela linguistica a prescindere dalla loro conoscenza della lingua italiana, il solo fatto che un imputato straniero non possegga la cittadinanza italiana non è di per sé presupposto unico e sufficiente per l’assegnazione di un interprete. Il cittadino straniero, infatti, ha diritto a tale assistenza previa dimostrazione della sua insufficiente conoscenza dell’italiano. Al contempo, però, la normativa non suggerisce procedure specifiche volte a verificare la sua competenza linguistica, né tanto meno fissa parametri di riferimento per la valutazione delle stesse, con questo attribuendo all’autorità procedente un ampio potere discrezionale.

 

-          i criteri per accertare l’idoneità e le competenze dell’interprete.

La normativa vigente non fornisce indicazioni circa i criteri di scelta e di nomina dell’interprete, al di là dell’art. 143 c.p.p., che tuttavia si limita a definire le caratteristiche che rendono un candidato interprete non idoneo piuttosto che stabilire i prerequisiti che questi dovrebbe possedere per fornire un servizio di qualità. L’interprete viene generalmente scelto tra coloro che si sono iscritti nell’albo dei periti del tribunale ma i requisiti di iscrizione variano da un ufficio giudiziario ad un altro.

 

La giurisprudenza costituzionale

Sull’estensione del diritto all’interprete è intervenuta anche la Corte costituzionale che (sent. 10/1993) ha dato un’interpretazione ampia dei contenuti dell’art. 143 c.p.p., sulla nomina dell’interprete, alla luce dei principi costituzionali e delle norme internazionali recepite dal nostro ordinamento.

La Corte, nella sentenza 10/1993, non ha infatti condiviso il presupposto interpretativo, per cui la regola predisposta dall'art. 143, primo comma, c.p.p., relativa al diritto dell'imputato di farsi assistere gratuitamente da un interprete, sarebbe rigorosamente circoscritta agli atti orali e possa, quindi, essere estesa alla notificazione di atti scritti soltanto in riferimento ai casi espressamente previsti come eccezioni a quella regola (vale a dire, gli artt. 109, secondo comma, e 169, terzo comma, c.p.p.).

La Corte ha avuto modo di evidenziare anche il rilievo delle fonti del diritto internazionale in materia.

Per la Corte, il collegamento delle norme internazionali con l'art. 143 c.p.p., che ad esse assicura la garanzia dell'effettività e dell'applicabilità in concreto, fa sì che il diritto dell'imputato ad essere immediatamente e dettagliatamente informato nella lingua da lui conosciuta della natura e dei motivi dell'imputazione contestatagli debba essere considerato un diritto soggettivo perfetto, direttamente azionabile (v. analogamente sent. n. 62 del 1992). “E, poiché si tratta di un diritto la cui garanzia, ancorché esplicitata da atti aventi il rango della legge ordinaria, esprime un contenuto di valore implicito nel riconoscimento costituzionale, a favore di ogni uomo (cittadino o straniero), del diritto inviolabile alla difesa (art. 24, secondo comma, della Costituzione), ne consegue che, in ragione della natura di quest'ultimo quale principio fondamentale, ai sensi dell'art. 2 della Costituzione, il giudice è sottoposto al vincolo interpretativo di conferire alle norme, che contengono le garanzie dei diritti di difesa in ordine alla esatta comprensione dell'accusa, un significato espansivo, diretto a render concreto ed effettivo, nei limiti del possibile, il sopra indicato diritto dell'imputato”.

Nel disciplinare con una norma di carattere generale il diritto dell'imputato di farsi assistere gratuitamente da un interprete, l'art. 143 c.p.p. ha prodotto nel sistema processuale penale una significativa innovazione rispetto alla disciplina dello stesso processo contenuta nel codice precedente. L'art. 143 del nuovo codice, invece, pur mantenendo all'interprete le funzioni tipiche del collaboratore dell'autorità giudiziaria (secondo comma), marca nettamente la differenza con la precedente disciplina assegnando primariamente allo stesso una connotazione e un ruolo propri di istituti preordinati alla tutela della difesa, tanto da configurare il ricorso all'interprete come oggetto di un preciso diritto dell'imputato e da qualificare la relativa funzione in termini di "assistenza".

Tale innovazione, che sottolinea il valore del diritto alla difesa come strumento di reale partecipazione dell'imputato al processo attraverso l'effettiva comprensione dei distinti atti e dei singoli momenti di svolgimento dello stesso, pone il nuovo sistema processuale penale in sintonia con i principi contenuti nelle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia in materia di diritti della persona.

È da siffatto rapporto con i suddetti principi, alimentato dal necessario collegamento con i valori costituzionali attinenti ai diritti della difesa (art. 24, secondo comma, della Costituzione), che deriva, nei termini precedentemente precisati, una particolare forza espansiva dell'art. 143, primo comma, c.p.p., che il giudice penale, in sede di interpretazione, non può ignorare.

La Corte osserva poi che l'art. 143, primo comma, c.p.p., definisce significativamente il contenuto dell'attività dell'interprete in dipendenza della finalità generale di garantire all'imputato che non intende o non parla la lingua italiana di "comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa". Questa ampia finalizzazione induce la Corte a ritenere che l'art. 143 sia suscettibile di un'applicazione estensibile a tutte le ipotesi in cui l'imputato, ove non potesse giovarsi dell'ausilio dell'interprete, sarebbe pregiudicato nel suo diritto di partecipare effettivamente allo svolgimento del processo penale. Inoltre, il fatto che la disciplina dell'istituto in questione sia contenuta nel titolo dedicato alla "traduzione degli atti" e il fatto che il processo penale, a differenza di quello civile, non distingue la figura del traduttore da quella dell'interprete, inducono a ritenere che, in via generale, il diritto all'interprete possa essere fatto valere e possa essere fruito, stando al tenore letterale dello stesso art. 143 c.p.p., ogni volta che l'imputato abbia bisogno della traduzione nella lingua da lui conosciuta in ordine a tutti gli atti a lui indirizzati, sia scritti che orali.

Pertanto, per la Corte, la mancanza di un espresso obbligo di traduzione nella lingua nota all'imputato straniero sia del decreto di citazione a giudizio davanti al pretore (art. 555 c.p.p.), sia dell'avviso, contenuto nel decreto di giudizio immediato, concernente la facoltà di richiedere il giudizio abbreviato (artt. 456, secondo comma, e 458, primo comma, c.p.p.), non può impedire la piena espansione della garanzia assicurata dall'art. 143, primo comma, c.p.p., in conformità ai diritti dell'imputato riconosciuti dalle convenzioni internazionali ratificate in Italia e dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

In altri termini, per la Corte, interpretato alla luce dei principi appena ricordati, l'art. 143, primo comma, c.p.p. impone che si proceda alla nomina dell'interprete o del traduttore immediatamente al verificarsi della circostanza della mancata conoscenza della lingua italiana da parte della persona nei cui confronti si procede, tanto se tale circostanza sia evidenziata dallo stesso interessato, quanto se, in difetto di ciò, sia accertata dall'autorità procedente. Quest'ultima evenienza, anzi, va riferita anche alla fase delle indagini preliminari.

Pertanto, il diritto a farsi assistere gratuitamente da un interprete comporta per la Corte, ad una corretta interpretazione dell'art. 143 c.p.p., che l'attività di assistenza svolta da quest'ultimo a favore dell'indagato ricomprenda, fra l'altro, la traduzione, in tutti i suoi elementi costitutivi - incluso l'avviso relativo alla facoltà di richiedere il giudizio abbreviato - del decreto di citazione a giudizio, sia se emesso dal Giudice per le indagini preliminari (nel procedimento innanzi al tribunale), sia se adottato dal Pubblico ministero (nel rito pretorile).

Questa conclusione, oltre a essere indotta da un preciso collegamento ermeneutico con i principi costituzionali stabiliti dall'art. 24 e con i diritti dell'imputato garantiti dalle sopra menzionate convenzioni internazionali sui diritti della persona, costituisce uno svolgimento coerente della stessa funzione che l'art. 143 c.p.p. assegna all'interprete. Questi, infatti, proprio perché assiste l'imputato (o l'indagato) al fine di fargli comprendere l'esatto significato dell'accusa formulata contro di lui e di fargli seguire il compimento degli atti cui partecipa, non può non estendere la sua opera di collaborazione anche all'atto con il quale l'imputato è messo a conoscenza della natura e dei motivi dell'imputazione, oltreché delle facoltà riconosciutegli al fine di contrapporsi all'accusa, qual è essenzialmente il decreto di citazione a giudizio, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi.

 

In attesa del recepimento della direttiva è rimesso essenzialmente alla giurisprudenza determinare l’estensione del diritto all’interprete e alla traduzione. Ad esempio, a fronte di una certa estensione giurisprudenziale degli atti da tradurre gratuitamente, risulta consolidato invece l’orientamento secondo cui le sentenze e gli estratti contumaciali non sono comprese tra gli atti rispetto ai quali la legge processuale assicura all’imputato alloglotto il diritto alla traduzione nella lingua a lui conosciuta (v. ad esempio Cass., Sez. I, 3 giugno 2010).

 

Le dimensioni del fenomeno

L’analisi di impatto della regolamentazione che accompagna lo schema di decreto legislativo precisa che non esiste un dato generale sulle dimensioni del fenomeno.

Da un’analisi a campione riferita agli uffici delle Procure della Repubblica di Bologna, Roma, Napoli, Palermo, le spese per interpreti e traduttori risulta pari a poco più di 6 milioni di euro per 956 decreti di liquidazione emessi (si tratta del 5% dell’importo complessivo per le spese sostenute per gli ausiliari del magistrato).

Viene sottolineato che per il futuro non è possibile prevedere il numero dei procedimenti che necessiteranno della nomina di interpreti o traduttori. In via presuntiva si ipotizza che le spese possano raggiungere il 10% del totale delle spese per gli ausiliari del giudice.

 

La legge delega

La delega per l’attuazione della direttiva 2011/93/UE è contenuta nella legge 6 agosto 2013, n. 96 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2013).

In particolare, l’articolo 1, comma 1, delega il Governo ad adottare, secondo le procedure, i principi e i criteri direttivi di cui agli articoli 31 e 32 della legge 234/2012 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea), i decreti legislativi per l'attuazione delle direttive elencate negli allegati A e B. La direttiva 2010/64/UE è inserita nell’allegato B.

Il comma 2 individua il termine per l’esercizio della delega mediante rinvio all’art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012.

La norma citata dispone, analogamente a quanto previsto in precedenza per le leggi comunitarie annuali, che il termine per l’esercizio delle deleghe conferite al Governo con la legge di delegazione europea sia di due mesi antecedenti il termine di recepimento indicato in ciascuna delle direttive. Per le direttive il cui termine così determinato sia già scaduto alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea, o scada nei tre mesi successivi, la delega deve essere esercitata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Per le direttive che non prevedono un termine di recepimento, il termine per l’esercizio della delega è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea.

Si ricorda che il comma 5 dell’art. 31 della legge n. 234 prevede inoltre che il Governo possa adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in base alla delega conferita con la legge di delegazione entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, sempre nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla legge stessa.

 

Il comma 3 prevede che gli schemi di decreto legislativo recanti attuazione delle direttive incluse nell’allegato B siano sottoposti al parere delle competenti Commissioni parlamentari. Tale procedura è estesa anche ai decreti di attuazione delle direttive di cui all’allegato A, qualora in essi sia previsto il ricorso a sanzioni penali.

 

La disposizione ripropone lo schema procedurale applicato nelle precedenti leggi comunitarie e ora disciplinato in via generale dall’art. 31, comma 3, della legge 234 del 2012. Essa prevede che gli schemi di decreto legislativo, una volta acquisiti gli altri pareri previsti dalla legge, siano trasmessi alle Camere per l’espressione del parere e che, decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti siano emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare scada nei trenta giorni che precedono il termine per l’esercizio della delega o successivamente, il termine per la delega è prorogato di tre mesi. Si intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l’eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni emerse in sede parlamentare.

Il comma 9 del medesimo art. 31 prevede altresì che ove il Governo non intenda conformarsi ai pareri espressi dagli organi parlamentari relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi, ritrasmette i testi alle Camere, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.

 

Sugli schemi di decreto legislativo che comportano conseguenze finanziarie è prevista inoltre l’espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari (ovvero le Commissioni Bilancio delle due Camere).

Tale procedura, anch’essa mutuata dalle precedenti leggi comunitarie e disciplinata in via generale dall’art. 31, comma 4, della legge n. 234, prevede altresì che il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate al fine di garantire la copertura finanziaria ai sensi dell’art. 81, quarto comma, della Costituzione, deve sottoporre i testi (corredati delle necessarie informazioni integrative) a un nuovo parere delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che si esprimono entro 20 giorni.

 

Principi e criteri direttivi (art. 32, legge 234/2012)

Essendo la direttiva 2011/93/UE inserita nell’allegato B della legge di delegazione europea 2013, non esistono specifici principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega.

Occorre fare riferimento ai principi e criteri generali fissati all’art. 32 della legge n. 234 del 2012 per l’attuazione del diritto dell’Unione europea, e dunque:

a)        le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti;

b)        ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, anche attraverso il riassetto e la semplificazione normativi;

c)        gli atti di recepimento di direttive dell'Unione europea non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse (c.d. gold plating);

d)        ove necessario, al fine di assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi;

e)        al recepimento di direttive o di altri atti che modificano precedenti direttive o di atti già attuati con legge o con decreto legislativo si procede apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione;

f)          nella redazione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;

g)        quando si verificano sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, l’efficacia e la trasparenza dell’azione amministrativa, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e delle competenze delle regioni e degli enti territoriali;

h)        le direttive che riguardano le stesse materie o che comunque comportano modifiche degli stessi atti normativi vengono attuate con un unico decreto legislativo, compatibilmente con i diversi termini di recepimento;

i)          è sempre assicurata la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea e non può essere previsto in ogni caso un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani.

 

Procedure di contenzioso

(a cura dell’Ufficio Rapporti Unione Europea

 

In data 28 novembre 2013 la Commissione europea ha deciso di inviare all’Italia una lettera di messa in mora (ex art. 258 TFUE) per il mancato recepimento della direttiva 2010/64/UE del 20 ottobre 2010, sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali (procedura di infrazione n. 2013_0398). Gli Stati membri avrebbero dovuto provvedere alla messa in vigore delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 27 ottobre 2013.

 

 

Il contenuto dello schema di decreto legislativo

Lo schema di decreto legislativo dà attuazione alla direttiva 2010/64/UE.

Si osserva preliminarmente che appare necessario che il contenuto dello schema in esame sia coordinato con le prossime disposizioni di attuazione delle direttive sopra richiamate: direttiva 2012/13/UE, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali (termine di recepimento 2 giugno 2014); direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato (termine di recepimento 16 novembre 2015). Anche tali direttive recano disposizioni concernenti interpretariato e traduzione.

 

Lo schema in esame è composto da 4 articoli.

L’articolo 1 modifica due articoli del codice di procedura penale. La prima modifica (lett. a)) interessa l’art. 104 c.p.p. sui colloqui del difensore con l’imputato in custodia cautelare.

In base all’art. 104 c.p.p.,, l'imputato in stato di custodia cautelare ha diritto di conferire con il difensore fin dall'inizio dell'esecuzione della misura (comma 1). La persona arrestata in flagranza o fermata in quanto indiziata di delitto a norma dell'articolo 384 ha diritto di conferire con il difensore subito dopo l'arresto o il fermo (comma 2). Nel corso delle indagini preliminari, quando sussistono specifiche ed eccezionali ragioni di cautela, il giudice su richiesta del pubblico ministero può, con decreto motivato, dilazionare, per un tempo non superiore a cinque giorni, l'esercizio del diritto di conferire con il difensore (comma 3). Nell'ipotesi di arresto o di fermo, il potere previsto dal comma 3 è esercitato dal pubblico ministero fino al momento in cui l'arrestato o il fermato è posto a disposizione del giudice (comma 4).

 

Viene aggiunto un nuovo comma 5 secondo cui l’imputato in stato di custodia cautelare, l’arrestato e il fermato, che non conoscono la lingua italiana, hanno diritto all’assistenza gratuita di un interprete per conferire con il difensore a norma dei commi precedenti. Per la nomina dell’interprete si applicano le disposizioni del Titolo IV del Libro II (ovverosia le disposizioni sulla traduzione degli atti).

Il Titolo IV (Traduzione degli atti) è composto dai seguenti articoli:

§         143 (Nomina dell’interprete);

§         144 (Incapacità e incompatibilità dell’interprete);

§         145 (Ricusazione e astensione dell’interprete);

§         146 (Conferimento dell’incarico);

§         147 (Termine per le traduzioni scritte. Sostituzione dell’interprete).

 

La seconda modifica (lett. b)) sostituisce l’art. 143 c.p.p., oggi rubricato “Nomina dell’interprete”.

L’art. 143 vigente prevede che l'imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di potere comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa. La conoscenza della lingua italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano (comma 1). Oltre che nel caso previsto dal comma 1 e dall'articolo 119 (sulla partecipazione del sordo, muto o sordomuto ad atti del procedimento), l'autorità procedente nomina un interprete quando occorre tradurre uno scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intelligibile ovvero quando la persona che vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana. La dichiarazione può anche essere fatta per iscritto e in tale caso è inserita nel verbale con la traduzione eseguita dall'interprete (comma 2). L'interprete è nominato anche quando il giudice, il pubblico ministero o l'ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare (comma 3). La prestazione dell'ufficio di interprete è obbligatoria (comma 4).

Il nuovo art. 143 c.p.p. introduce le seguenti innovazioni:

-             il diritto dell’imputato che non consoce la lingua italiana all’assistenza gratuita di un interprete è indipendente dall’esito del procedimento e riguarda espressamente anche lo svolgimento delle udienze cui prende parte (comma 1); la modifica è connessa a quella al testo unico sulle spese di giustizia, che esclude dalle spese ripetibili quelle per interpreti e traduttori (v. ultra, art. 3 dello schema);

-             tale diritto è esteso espressamente anche alle comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio ovvero al fine di presentare un’istanza o una memoria nel corso del procedimento (comma 1);

-             negli stessi casi, l’autorità procedente deve disporre la traduzione scritta di una serie di atti, entro un termine congruo, in modo da consentire l’esercizio dei diritti e delle facoltà della difesa. Sono indicati a tal fine i seguenti atti: l’informazione di garanzia, l’informazione sul diritto di difesa, i provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, i decreti che dispongono l’udienza preliminare e la citazione a giudizio, le sentenze e i decreti penali di condanna (comma 2);

-             il giudice può disporre, anche su richiesta di parte, con atto motivato, impugnabile unitamente alla sentenza, la traduzione gratuita di altri atti o anche solo di parte di essi, ritenuti essenziali per consentire all’imputato di conoscere le accuse a suo carico (comma 3); non è previsto espressamente che nei casi del comma 3 si tratti di traduzione scritta;

-             l’accertamento sulla conoscenza della lingua italiana è compiuto dall’autorità giudiziaria (comma 4);

-             oltre all’interprete, anche il traduttore deve essere nominato anche quando il giudice, il p.m. o l’ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare (comma 5);

-             la nomina del traduttore è regolata dagli artt. 144 ss. del titolo IV (che già disciplinano l’attività dell’interprete, ad esempio con riguardo alle incompatibilità e agli obblighi professionali).

Si osserva che lo schema non prevede, secondo quanto indicato nelle premesse della direttiva al n. 22, che la traduzione debba avere luogo nella lingua madre dell’imputato ovvero in altra lingua, purchè non ne sia pregiudicata la possibilità di comprensione effettiva.

 

L’articolo 2 dello schema di decreto legislativo modifica le disposizioni di attuazione del c.p.p.. Le modifiche paiono essere dirette a rafforzare la qualità dell’assistenza linguistica, secondo quanto indicato dalla direttiva (v. in aprticolare gli artt. 2 e 3). Le modifiche apportate dallo schema al c.p.p. sono le seguenti:

-             sono integrate con il richiamo all’interpretariato e alla traduzione le categorie di esperti che debbono essere previste dall’albo dei periti presso ogni tribunale. Viene così recepita la disposizione dell’art. 5, par. 2, della direttiva, concernente la necessità di istituire albi o registri. A tal fine è modificato l’art. 67, comma 2, delle disposizioni di attuazione del c.p.p.

Il vigente articolo 67 delle disp.att. c.p.p. stabilisce che presso ogni tribunale è istituito un albo dei periti, diviso in categorie (comma 1). Nell'albo sono sempre previste le categorie di esperti in medicina legale, psichiatria, contabilità, ingegneria e relative specialità, infortunistica del traffico e della circolazione stradale, balistica, chimica, analisi e comparazione della grafia (comma 2). Quando il giudice nomina come perito un esperto non iscritto negli albi, designa, se possibile, una persona che svolge la propria attività professionale presso un ente pubblico (copmma 3). Nel caso previsto dal comma 3, il giudice indica specificamente nell'ordinanza di nomina le ragioni della scelta (comma 4). In ogni caso il giudice evita di designare quale perito le persone che svolgano o abbiano svolto attività di consulenti di parte in procedimenti collegati a norma dell'articolo 371 comma 2 del codice (comma 5).

 

-             È modificata la disciplina sulla formazione e revisione dell’albo dei periti, alla cui formazione partecipano anche le associazioni rappresentative a livello nazionale delle professioni non regolamentate. A tal fine è modificato l’art. 68, comma 1, delle disposizioni di attuazione del c.p.p.

Il vigente art. 68 delle disp. att. c.p.p. prevede che 1. L'albo dei periti previsto dall'articolo 67 è tenuto a cura del presidente del tribunale ed è formato da un comitato da lui presieduto e composto dal procuratore della Repubblica presso il medesimo tribunale, dal presidente del consiglio dell'ordine forense, dal presidente dell'ordine o del collegio a cui appartiene la categoria di esperti per la quale si deve provvedere ovvero da loro delegati (comma 1). Il comitato decide sulla richiesta di iscrizione e di cancellazione dall'albo. Il comitato può assumere informazioni e delibera a maggioranza dei voti. In caso di parità di voti, prevale il voto del presidente (comma 3). Il comitato provvede ogni due anni alla revisione dell'albo per cancellare gli iscritti per i quali è venuto meno alcuno dei requisiti previsti dall'articolo 69, comma 3, o è sorto un impedimento a esercitare l'ufficio di perito (comma 4).

La relazione illustrativa dello schema di decreto evidenzia che nel nostro ordinamento è già dato rilievo alle associazioni professionali rappresentative a livello nazionale delle professioni non regolamentate (ad es., in base all’art. 26 del d.lgs. 206/2007 presso il Ministero della giustizia è istituito un elenco in cui sono annotate le associazioni rappresentative a livello nazionale delle professioni non regolamentate).

 

L’articolo 3 dello schema di decreto legislativo modifica il testo unico delle spese di giustizia, precisando che sono escluse dalle spese ripetibili quelle relative agli interpreti e ai traduttori nominati nei casi previsti dall’articolo 143 c.p.p. A tal fine è modificato l’art. 5 del testo unico.

Il vigente art. 5 del DPR 115/2002 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) prevede che sono spese ripetibili:a) le spese di spedizione, i diritti e le indennità di trasferta degli ufficiali giudiziari per le notificazioni; b) le spese relative alle trasferte per il compimento di atti fuori dalla sede in cui si svolge il processo; c) le spese e le indennità per i testimoni; d) gli onorari, le spese e le indennità di trasferta e le spese per l'adempimento dell'incarico degli ausiliari del magistrato; e) le indennità di custodia; f) le spese per la pubblicazione dei provvedimenti del magistrato; g) le spese per la demolizione di opere abusive e la riduzione in pristino dei luoghi; h) le spese straordinarie; i) le spese di mantenimento dei detenuti. i-bis) le spese relative alle prestazioni previste dall'articolo 96 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e quelle funzionali all'utilizzo delle prestazioni medesime (comma 1). Sono spese non ripetibili: a) le indennità dei magistrati onorari, dei giudici popolari nei collegi di assise e degli esperti; b) le spese relative alle trasferte dei magistrati professionali di corte di assise per il dibattimento tenuto in luogo diverso da quello di normale convocazione (comma 2). Fermo quanto disposto dall'articolo 696, del codice di procedura penale, non sono ripetibili le spese per le rogatorie dall'estero e per le estradizioni da e per l'estero (comma 3).

 

Si osserva che la modifica riguarda l’elencazione al comma 1 delle spese ripetibili, in cui è inserita una clausola di esclusione. Appare utile valutare l’opportunità di modificare l’elencazione al comma 2 relativa alle spese non ripetibili.

Sotto il profilo formale occorre esplicitare il comma in cui si inserisce la modifica della lettera d): il comma 1 dell’art. 5.

 

L’articolo 4 dello schema di decreto legislativo reca le disposizioni finanziarie. Agli oneri derivanti dal decreto (euro 6.084.833,36 ogni anno), si provvede per il triennio 2014-2016 a carico del fondo di rotazione (art. 5 della legge 183/1987), istituito, nell'ambito del Ministero del tesoro - Ragioneria generale dello Stato, con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio per l’attuazione delle politiche comunitarie (comma 1).

Tale fondo di rotazione si avvale di un apposito conto corrente infruttifero, aperto presso la tesoreria centrale dello Stato denominato «Ministero del tesoro - fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie», nel quale sono versate: a) le disponibilità residue del fondo per il finanziamento dei regolamenti comunitari, (legge 3 ottobre 1977, n. 863) , che viene soppresso a decorrere dalla data di inizio della operatività del nuovo fondo; b) le somme erogate dalle istituzioni delle Comunità europee per contributi e sovvenzioni a favore dell'Italia; c) le somme da individuare annualmente in sede di legge finanziaria (opra legge di stabilità), sulla base delle indicazioni del comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), nell'ambito delle autorizzazioni di spesa recate da disposizioni di legge aventi le stesse finalità di quelle previste dalle norme comunitarie da attuare; d) le somme annualmente determinate con la legge di approvazione del bilancio dello Stato.

 

Dal 2017, agli oneri si provvede mediante la riduzione delle spese modulabili nell’ambito del programma “Giustizia civile e penale” della missione “Giustizia” dello stato di previsione del Ministero della giustizia (comma 2).

Il Ministero della giustizia dovrà monitorare gli oneri derivanti dall’attuazione del decreto e, qualora si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni del comma 1, ne dovrà dare tempestiva comunicazione al Ministero dell’Economia e delle finanze. Quest’ultimo dovrà a sua volta provvedere, con decreto, alla riduzione delle spese rimodulabili previste in base alla legge di contabilità.

 

Si osserva in fine che lo schema di decreto non esplicita che la nuova disciplina si applica anche ai procedimenti per l’esecuzione di un mandato di arresto europeo, secondo quanto previsto dall’art. 2, par. 7, della direttiva. E’ dunque da valutare se sia sufficiente a tale riguardo il rinvio al c.p.p. e alle leggi complementari, in quanto compatibili, contenuto nell’art. 39 della legge 65/2009, che conforma il diritto interno alla decisione quadro relativa al mandato d'arresto europeo.

 

 

 


 

 



[1]     Si ricorda che la proposta di direttiva (PE-CONS 1/10) è stata sottoposta in fase ascendente all’esame delle competenti Commissioni parlamentari. In particolare, la 14° Commissione permanente del Senato ha approvato il 23 aprile 2010 una risoluzione (doc. XVIII-bis, n. 1) con osservazioni favorevoli e alcuni rilievi.

[2]     In particolare, il 30 novembre 2009 il Consiglio ha adottato una risoluzione relativa a una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali; seguendo un approccio in varie tappe, la tabella di marcia ha invitato ad adottare misure concernenti il diritto alla traduzione e all’interpretazione (misura A), il diritto a informazioni relative ai diritti e all’accusa (misura B), il diritto alla consulenza legale e all’assistenza legale gratuita (misura C), il diritto alla comunicazione con familiari, datori di lavoro e autorità consolari (misura D), nonché le garanzie speciali per indagati o imputati vulnerabili (misura E). La tabella, valutata positivamente dal Consiglio europeo, è stata integrata nel programma di Stoccolma (punto 2.4), adottato il 10 dicembre 2009. Peraltro, nella stessa sede, il Consiglio europeo ha invitato la Commissione a esaminare ulteriori elementi in materia di diritti procedurali minimi per gli indagati e gli imputati, nonché a valutare la necessità di affrontare altre questioni, ad esempio la presunzione d’innocenza, in modo da promuovere una migliore cooperazione in tale settore.