Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento finanze | ||
Titolo: | Commissione bicamerale d'inchiesta sul sistema bancario e finanziario - A.C. 4410-A | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 562 Progressivo: 1 | ||
Data: | 19/05/2017 | ||
Organi della Camera: | VI-Finanze |
Commissione bicamerale d'inchiesta sul sistema bancario e finanziario
22 maggio 2017
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Indice |
Contenuto|Quadro normativo|La crisi delle banche italiane| |
ContenutoLa proposta di legge in esame (articolo 1) intende istituire una Commissione bicamerale di inchiesta sul sistema bancario e finanziario, avendo particolare riguardo alla tutela dei risparmiatori. Tale Commissione (articolo 2) è costituita da venti senatori e da venti deputati, nominati dai presidenti delle Camere in proporzione al numero dei componenti dei gruppi. Essa è chiamata a verificare (articolo 3) gli effetti sul sistema bancario italiano della crisi finanziaria globale e le conseguenze dell'aggravamento del debito sovrano; la gestione degli Istituti bancari coinvolti in situazioni di crisi o di dissesto, destinatari anche in forma indiretta di risorse pubbliche o posti in risoluzione; l'efficacia delle attività di vigilanza sul sistema bancario e sui mercati finanziari; l'adeguatezza della disciplina legislativa e regolamentare nazionale ed europea sul sistema bancario e finanziario, nonché sul sistema di vigilanza, anche ai fini della prevenzione e gestione delle crisi bancarie. Il provvedimento disciplina (articolo 4) l'attività di indagine della Commissione e la richiesta di atti e documenti da parte della stessa (articolo 5). I componenti della Commissione, i funzionari e il personale addetti alla Commissione stessa, nonché ogni altra persona che collabora con essa o compie o concorre a compiere atti d'inchiesta, oppure ne viene a conoscenza per ragioni d'ufficio o di servizio, sono vincolati al segreto (articolo 6). L'articolo 7 disciplina il funzionamento dell'organo e in particolare pone il limite alle spese per suo il funzionamento in 150.000 euro. Gli oneri sono posti per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio interno della Camera dei deputati. Può essere autorizzato, su richiesta della Commissione e con determinazione dei Presidenti delle due Camere, un incremento delle predette spese in misura non superiore al 30 per cento, per motivate esigenze connesse allo svolgimento dell'inchiesta.
La proposta di legge in esame (articolo 1, comma 1) intende istituire una Commissione bicamerale di inchiesta sul sistema bancario e finanziario, avendo particolare riguardo alla tutela dei risparmiatori. Essa conclude i propri lavori entro un anno (comma 2) dalla sua costituzione, e comunque entro la fine della XVII legislatura, presentando alle Camere una relazione sull'attività svolta e sui risultati dell'inchiesta (comma 3). La Commissione è istituita ai sensi dell'articolo 82 Cost., che consente a ciascuna Camera di disporre inchieste su materie di pubblico interesse, nominando a tale scopo - fra i propri componenti - una Commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. Essa procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria. Si veda più diffusamente infra il paragrafo relativo al quadro normativo. Sono ammesse relazioni di minoranza (articolo 1, comma 3); inoltre il Presidente della Commissione trasmette alle Camere, dopo sei mesi dalla costituzione della Commissione stessa, una relazione sullo stato dei lavori.
L'articolo 2 disciplina la composizione della Commissione, che è costituita da venti senatori e da venti deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari. Deve essere assicurata la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento. I componenti della Commissione devono dichiarare, alla presidenza della Camera di appartenenza, di avere ricoperto incarichi di amministrazione e di controllo negli istituti bancari oggetto dell'inchiesta (comma 1). Ai sensi del comma 2, i Presidenti delle due Camere, entro dieci giorni dalla nomina dei componenti, convocano la Commissione per la costituzione dell'Ufficio di Presidenza. Il comma 3 chiarisce la composizione dell'Ufficio di Presidenza (Presidente, due Vice Presidenti e due Segretari) e le modalità di elezione dello stesso (da parte dei commissari a scrutinio segreto). Nella elezione del Presidente, se nessuno riporta la maggioranza assoluta dei voti, si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti è proclamato eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età. Inoltre (comma 4) la Commissione elegge al proprio interno due Vice Presidenti e due Segretari. Per l'elezione, rispettivamente, dei due Vice Presidenti e dei due Segretari, ciascun componente della Commissione scrive sulla propria scheda un solo nome. Sono eletti coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti è proclamato eletto il più anziano di età.
L'articolo 3 elenca le competenze della Commissione. Essa verifica: a) gli effetti sul sistema bancario italiano della crisi finanziaria globale e le conseguenze dell'aggravamento del debito sovrano;
b) la gestione degli Istituti bancari che sono rimasti coinvolti in situazioni di crisi o di dissesto e sono stati o sono destinatari, anche in forma indiretta, di risorse pubbliche o sono stati posti in risoluzione. In particolare, per tali Istituti la Commissione deve verificare:
c) l'efficacia delle attività di vigilanza sul sistema bancario e sui mercati finanziari poste in essere dagli organi preposti, in relazione alla tutela del risparmio, alla modalità di applicazione delle regole e degli strumenti di controllo vigenti, con particolare riguardo alle modalità di applicazione e all'idoneità degli interventi, dei poteri sanzionatori e degli strumenti di controllo disposti, nonché all'adeguatezza delle modalità di presidio dai rischi e di salvaguardia della trasparenza dei mercati;
d) l'adeguatezza della disciplina legislativa e regolamentare, nazionale ed europea sul sistema bancario e finanziario, nonché sul sistema di vigilanza, anche ai fini della prevenzione e gestione delle crisi bancarie.
L'articolo 4 disciplina l'attività di indagine della Commissione che, ai sensi dell'articolo 82 Cost., procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le medesime limitazioni dell'autorità giudiziaria (comma 1). Di conseguenza, per le audizioni a testimonianza rese davanti alla Commissione – ferme restando le ordinarie competenze del giudice - si applica la disciplina del codice penale che, nell'ambito dei delitti contro l'attività giudiziaria, sanziona il rifiuto di atti legalmente dovuti (art. 366) e la falsa testimonianza (art. 372).
L'art. 366 c.p. (Rifiuto di atti legalmente dovuti) punisce con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da 30 a 516 euro chiunque - nominato dall'autorità giudiziaria in qualità di perito, interprete, ovvero custode di cose sequestrate - ottenga con mezzi fraudolenti l'esenzione dall'obbligo di comparire o di prestare il suo ufficio. Le stesse pene si applicano a chiunque, chiamato dinanzi all'autorità giudiziaria per adempiere ad alcuna delle predette funzioni, rifiuta di dare le proprie generalità, ovvero di prestare il giuramento richiesto, ovvero di assumere o di adempiere le funzioni medesime. La sopracitata disciplina si applica;
Se il colpevole è un perito o un interprete, la condanna importa la pena accessoria dell'interdizione dalla professione o da un'arte (salvi i casi previsti dalla legge, la sua durata varia tra un mese e 5 anni). L'art. 372 c.p. (Falsa testimonianza) punisce con la reclusione da due a sei anni chiunque, deponendo come testimone innanzi all'autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato.
Si chiarisce (comma 3) che alla Commissione, limitatamente all'oggetto delle indagini di sua competenza, non può essere opposto il segreto d'ufficio né il segreto professionale o quello bancario, fatta eccezione per il segreto tra difensore e parte processuale nell'ambito del mandato. Per il segreto di Stato si applica quanto previsto dalla disciplina generale posta dalla legge 3 agosto 2007, n. 124.
Il segreto di Stato è attualmente disciplinato principalmente dalla legge di riforma dei servizi di informazione (L. 124/2007) e, in sede processuale, dagli artt. 202 e segg. c.p.p. Quest'ultimo, in particolare, prevede tra l'altro che i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l'obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato. Si ricorda che il segreto d'ufficio obbliga l'impiegato pubblico a non divulgare a chi non ne abbia diritto informazioni riguardanti provvedimenti od operazioni amministrative, ovvero notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni, al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso (art. 15, DPR 3/1957). In sede processuale, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria, i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l'obbligo di astenersi dal deporre su fatti conosciuti per ragioni del loro ufficio che devono rimanere segreti (art. 201 c.p.p.). Parimenti, determinate categorie di persone (sacerdoti, medici, avvocati ecc.) non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria, ad esempio in qualità di periti (segreto professionale ex art. 200 c.p.p.). Per quanto riguarda il segreto bancario si applicano le disposizioni in materia di riservatezza dei dati personali che prevedono che la comunicazione a terzi di dati personali relativi a un cliente è ammessa se lo stesso vi acconsente (art. 23 del Codice della privacy, D.Lgs. 196/2003) o se ricorre uno dei casi in cui il trattamento può essere effettuato senza il consenso (art. 24 del Codice). Fuori dei casi di operazioni di comunicazione dei dati strumentali alle prestazioni richieste e ai servizi erogati (per le quali non è necessario ottenere il consenso degli interessati: art. 24, comma 1, lett. b), del Codice), gli istituti di credito e il personale incaricato dell'esecuzione delle operazioni bancarie di volta in volta richieste devono mantenere il riserbo sulle informazioni utilizzate. Parziali deroghe sono previste per le indagini tributarie.
Ove (comma 4) gli atti o i documenti attinenti all'oggetto dell'inchiesta siano stati assoggettati al vincolo del segreto da parte delle competenti Commissioni parlamentari di inchiesta, detto segreto non può essere opposto alla Commissione. La Commissione non può adottare (comma 5) provvedimenti che restringano la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione nonché la libertà personale, fatto salvo l'accompagnamento coattivo del testimone, del perito, del consulente tecnico, dell'interprete o del custode (di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale).
L'articolo 5 disciplina la richiesta di atti e documenti da parte della Commissione. Essa (comma 1) può ottenere, anche in deroga alla disciplina del segreto d'indagine (articolo 329 del codice di procedura penale), copie di atti o documenti relativi a procedimenti o inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti, inerenti all'oggetto dell'inchiesta. L'autorità giudiziaria provvede tempestivamente e può ritardare, con decreto motivato solo per ragioni di natura istruttoria, la trasmissione di copie degli atti e documenti richiesti. Il decreto ha efficacia per trenta giorni e può essere rinnovato. Quando tali ragioni vengono meno, l'autorità giudiziaria provvede senza ritardo a trasmettere quanto richiesto. L'autorità giudiziaria può trasmettere copie di atti e documenti anche di propria iniziativa. È la Commissione (comma 2) a stabilire quali atti e documenti non devono essere divulgati, anche in relazione ad esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso. Devono comunque essere coperti dal segreto i nomi, gli atti e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.
L'articolo 6 disciplina l'obbligo del segreto per i componenti della Commissione, i funzionari e il personale addetti alla Commissione stessa, nonché per ogni altra persona che collabora con essa o compie o concorre a compiere atti d'inchiesta oppure ne viene a conoscenza per ragioni d'ufficio o di servizio. L'obbligo perdura anche dopo la cessazione dell'incarico, per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti acquisiti al procedimento d'inchiesta. Ove non costituisca più grave reato (comma 2), la violazione del segreto è punita come rivelazione del segreto d'ufficio ai sensi dell'articolo 326 del codice penale.
Nell'ambito dei delitti contro la pubblica amministrazione, l'art. 326 c.p.(Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio) sanziona con la reclusione da sei mesi a tre anni, il pubblico ufficiale (o l'incaricato di pubblico servizio) che, violando i doveri del suo servizio o della sua funzione o, comunque, abusando della sua qualità, rivela o agevola la conoscenza di notizie di ufficio destinate alla segretezza; per l'agevolazione della rivelazione è solo colposa si applica la reclusione fino a un anno. Il medesimo articolo 326 punisce gli stessi soggetti:
Si chiarisce (comma 3) che, salvo il compimento di più grave reato, le stesse pene si applicano a chiunque diffonda in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, atti o documenti del procedimento di inchiesta dei quali sia stata vietata la divulgazione.
L'articolo 7 dispone (comma 1) la pubblicità delle sedute della Commissione, salvo diversa decisione della Commissione stessa; l'attività e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno (comma 2), approvato dalla Commissione stessa prima dell'inizio dei lavori. Ciascun componente può proporre modifiche al regolamento. La Commissione può avvalersi dell'opera di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria (comma 3), nonché di tutte le collaborazioni ritenute necessarie. Il Presidente effettua le designazioni sentita la Commissione. Inoltre per l'espletamento dei propri compiti la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dai Presidenti delle Camere, d'intesa tra loro (comma 4).
Infine il comma 5 pone il limite alle spese per il funzionamento della Commissione, fissato in 150.000 euro, che sono poste per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio interno della Camera dei deputati. I Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, con determinazione adottata d'intesa tra loro, possono autorizzare un incremento delle spese, comunque in misura non superiore al 30 per cento, a seguito di richiesta formulata dal Presidente della Commissione per motivate esigenze connesse allo svolgimento dell'inchiesta, corredata di certificazione delle spese sostenute. |
Quadro normativoCome ricordato all'inizio, in base all'articolo 82 della Costituzione, ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. L'Istituzione della Commissione di inchiesta può essere deliberata anche da una sola Camera, con atto non legislativo. Nella storia parlamentare si è però andata affermando la prassi di deliberare le inchieste anche con legge, affidandole a Commissioni composte di deputati e senatori, ovvero, in alcuni casi, con due delibere di identico contenuto adottate dalle rispettive assemblee con gli strumenti regolamentari. Nel primo caso viene istituita una vera e propria Commissione bicamerale, mentre nel secondo si hanno due distinte Commissioni che possono deliberare di procedere in comune nei lavori d'inchiesta, rimanendo tuttavia distinte quanto ad imputazione giuridica dei rispettivi atti. In ogni caso, per quanto riguarda il procedimento di formazione, l'articolo 140 del Regolamento della Camera e l'articolo 162 del Regolamento del Senato stabiliscono che per l'esame delle proposte di inchiesta si segue la procedura prevista per i progetti di legge. Per quanto riguarda la nomina dei componenti, il secondo comma dell'articolo 82 della Costituzione prevede che la composizione della Commissione deve rispecchiare la proporzione dei gruppi; tale nomina, quindi, deve essere improntata al rispetto del principio di proporzionalità. Di conseguenza, si applicano l'articolo 56, comma 3, del regolamento Camera e l'articolo 25, comma 3, reg. Senato, i quali stabiliscono che per le nomine delle Commissioni che, per prescrizione di legge o regolamento debbano essere composte in modo da rispecchiare la proporzione dei Gruppi parlamentari, il Presidente comunica ai Gruppi il numero dei posti spettanti a ciascuno in base al suddetto criterio richiedendo la designazione di un eguale numero di nomi. In alcuni casi, l'atto costitutivo della Commissione ha previsto espressamente che il Presidente sia nominato tra i parlamentari non appartenenti alla Commissione, dal Presidente dell'Assemblea ovvero d'intesa tra i Presidenti delle due Camere in caso di Commissione bicamerale. Poteri inerenti alla organizzazione dei lavori sono quelli riguardanti la fissazione del programma dei lavori e l'istituzione di sottocommissioni nonché l'elaborazione e l'approvazione di un regolamento interno. Al riguardo si rammenta che da tempo si è venuta formando la prassi secondo la quale le Commissioni d'inchiesta adottano un proprio regolamento, ferma restando l'applicabilità del regolamento della Camera di appartenenza del Presidente della Commissione per quanto non espressamente previsto dal predetto regolamento interno. La durata dei lavori della Commissione è stabilita dal relativo atto istitutivo, che fissa la data di presentazione della relazione finale (che è atto conclusivo dell'attività, anche se il termine assegnato alla Commissione non è ancora scaduto) o assegna un termine finale ai lavori stessi, a partire dalla costituzione o dall'insediamento della Commissione ovvero dalla data di entrata in vigore della legge istitutiva. Si ricorda che le Commissioni istituite con atto non legislativo cessano comunque la propria attività con la fine della legislatura mentre quelle istituite con legge possono essere prorogate con una nuova legge. L'articolo 82, comma secondo, della Costituzione stabilisce che la Commissione d'inchiesta procede alle indagini ed agli esami con gli stessi I poteri delle Commissioni d'inchiesta e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria (c.d. principio del parallelismo). I poteri coercitivi che la Commissione d'inchiesta può esercitare sono naturalmente quelli propri della fase "istruttoria" delle indagini giudiziarie, dato che la Commissione è priva di poteri giudicanti e non può quindi accertare reati ed irrogare sanzioni. La Commissione può quindi disporre ispezioni e perquisizioni personali e domiciliari, sequestri, intercettazioni telefoniche, perizie, ricognizioni, esperimento di prove testimoniali ed accompagnamento coattivo dei testi renitenti. In particolare, come chiarito anche dal provvedimento in esame, per le convocazioni di testimoni davanti alla Commissione si applicano gli articoli 366 - rifiuto di uffici legalmente dovuti da parte dei periti, interpreti, o custode di cose sottoposte a custodia e da parte dei testimoni - e 372 - falsa testimonianza - del codice penale, ferme restando le competenze dell'autorità giudiziaria. La Commissione deve comunque assicurare il rispetto dei diritti fondamentali di difesa discendenti dal disposto dell'articolo 24 Costituzione riconoscendo, ad esempio, il diritto all'assistenza del difensore ogni volta che il suo mancato esercizio possa pregiudicare la posizione processuale della persona interrogata. Il parallelismo con i poteri della magistratura disposto dal citato comma secondo dell'articolo 82 della Costituzione si estende anche agli aspetti relativi alle limitazioni dei poteri della Commissione stessa. In via generale si può affermare che lo svolgimento dell'inchiesta trova gli stessi limiti che la vigente legislazione pone alle indagini dell'autorità giudiziaria, fermo restando che l'atto istitutivo della Commissione può disporne di ulteriori, ovvero prevedere l'inapplicabilità nei confronti della Commissione stessa di disposizioni limitative dell'attività d'indagine dell'autorità giudiziaria; al riguardo si rammenta, in via esemplificativa, che l'articolo 3, comma 2, della legge 30 giugno 1994, n. 430, istitutiva della Commissione antimafia nel corso della XII legislatura, ha disposto la non opponibilità alla Commissione del segreto di Stato con riferimento ai fatti di mafia, camorra ed altre associazioni criminali similari (reati per i quali all'epoca era prevista l'opponibilità del segreto di stato, si vede la versione dell'articolo 204 c.p.p. prima delle modifiche apportate dalla legge n. 124/2007). Particolarmente complesso è il problema dei Rapporti tra commissioni di inchiesta e le concorrenti indagini della autorità giudiziaria. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 26 del 2008, ha rilevato che i poteri di indagine spettanti, rispettivamente, alle Commissioni parlamentari di inchiesta e agli organi della magistratura requirente hanno ambiti e funzioni differenti, con la conseguenza che l'esercizio degli uni non può avvenire a danno degli altri, e viceversa. Infatti, il compito delle suddette Commissioni non è di "giudicare", ma solo di raccogliere notizie e dati necessari per l'esercizio delle funzioni delle Camere. Pertanto, il normale corso della giustizia non può essere paralizzato a mera discrezione degli organi parlamentari, ma deve arrestarsi unicamente nel momento in cui l'esercizio dei poteri di indagine dell'autorità giudiziaria possa incidere illegittimamente su fatti ad essa soggettivamente e oggettivamente sottratti e rientranti nella competenza degli organi parlamentari. Sulla base di questa argomentazione, nel conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma nei confronti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, la Corte ha, da una parte, riconosciuto il potere della Commissione parlamentare di disporre lo svolgimento di accertamenti tecnici non ripetibili sull'autovettura corpo del reato, potendo la Commissione esercitare gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria ex articolo 82, secondo comma, Cost., e ha, dall'altra, negato che la Commissione potesse opporre un rifiuto alla richiesta, avanzata dalla Procura, di acconsentire allo svolgimento congiunto dei predetti accertamenti tecnici, in base al principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato. Per quanto riguarda l'opponibilità del segreto, fondamentale è la sentenza n. 231/1975 della Corte costituzionale, che ha risolto il conflitto di attribuzioni tra Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia ed i tribunali di Torino e Milano. La Corte ha stabilito che la Commissione non ha l'obbligo di trasmettere ai Tribunali gli atti e documenti da essa formati o direttamente disposti, gli scritti e gli anonimi ad essa originariamente rivolti, che la Commissione abbia ritenuto di mantenere segreti (c.d. segreto funzionale), nonché gli atti già a disposizione del potere giudiziario. La Corte ha stabilito invece l'obbligo per la Commissione di trasmettere ai Tribunali predetti gli altri atti e documenti in suo possesso che non siano coperti all'origine da segreto o siano coperti da segreto non opponibile all'autorità giudiziaria. |
La crisi delle banche italianeLa recessione che ha colpito tra il 2008 e il 2014 l'economia ha inciso profondamente sulle condizioni delle banche italiane ed è stata alla base del rilevante aumento dei crediti deteriorati. Come rilevato dal Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco in occasione dell'intervento all'Università Bocconi del 9 novembre 2016, all'impatto della recessione si sono aggiunte le conseguenze di gestioni azzardate e prassi operative non conformi ai principi regolamentari, amplificate a volte da una governance inadeguata che ha di fatto consentito una spiccata autoreferenzialità dei manager. In più casi i comportamenti hanno anche assunto rilevanza penale. Alla radice delle anomalie nei processi di erogazione del credito – ha rilevato nella medesima occasione il Governatore della Banca d'Italia - si possono identificare alcuni tratti comuni, in particolare per le banche medio-piccole: il tentativo di raggiungere in breve tempo obiettivi reddituali ambiziosi e una crescita imprudente dei volumi del credito, con l'offerta di finanziamenti a segmenti di clientela precedentemente non servita o a grandi prenditori. In tal modo sono cresciuti i rischi dovuti alla concentrazione delle esposizioni, per singolo cliente o per settore di attività economica, in particolare nel comparto immobiliare. Nei casi più gravi la gestione delle grandi esposizioni è risultata appannaggio personale dei vertici aziendali; non è stata, quindi, adeguatamente bilanciata dai contrappesi e dalle dialettiche interne di controllo che devono normalmente caratterizzare la funzionalità organizzativa delle banche. Inoltre, gli intermediari hanno adottato pratiche aggressive, in cui l'offerta e la distribuzione di alcuni prodotti abbinati a quelli tipici bancari sono risultate poco attente alle reali esigenze finanziarie della clientela. Criticità sono emerse, altresì, con riferimento ai finanziamenti per dipendenti e pensionati, quali i prestiti contro cessione del quinto, risultati connotati da opacità informative e gravati da costi spesso eccessivi. Nella Relazione per Paese relativa all'Italia del febbraio 2017, la Commissione UE rileva come persistano nel sistema bancario italiano carenze strutturali di lunga data, quali elevati costi operativi e i predetti deficit in materia di governo societario. La Commissione UE ha inoltre rilevato il persistere di una scarsa redditività delle banche, determinata da diversi fattori, tra cui il contesto di tassi d'interesse bassi e la concorrenza sui prezzi per attrarre i mutuatari con merito di credito più elevato, che riducono i margini di interesse netti; accanto a ciò si rileva – tra l'altro - una limitata ripresa creditizia e la riduzione dei proventi non da interessi a causa dell'andamento sfavorevole del mercato. In tale contesto il livello elevato dei crediti deteriorati, sommato alla redditività strutturalmente scarsa, indebolisce la capacità delle banche di sostenere gli investimenti e la ripresa economica. Vi sono state inoltre alcune specifiche vicende relative ad alcune banche italiane, che hanno richiesto l'intervento delle Autorità di vigilanza e/o del Governo. Le quattro banche poste in risoluzione nel 2015In primo luogo, nel novembre 2015 il Governo e la Banca d'Italia hanno dato il via alla procedura di risoluzione di quattro banche da tempo in amministrazione straordinaria: Banca delle Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti. La procedura è stata consolidata con il decreto-legge n. 183 del 2015 e poi con la legge di stabilità 2016 (articolo 1, commi da 842 a 854 della legge n. 208 del 2015, che riproducono il contenuto del decreto, contestualmente abrogato). Detto provvedimento, nel quadro delle procedure di risoluzione delle crisi bancarie, ha inteso agevolare l'attuazione dei programmi di risoluzione dei predetti istituti, costituendo gli enti-ponte previsti dai provvedimenti di avvio della risoluzione degli istituti bancari, con l'obiettivo di mantenere la continuità delle funzioni essenziali precedentemente svolte dalle medesime banche, in sostanza permettendo la continuazione dell'attività economica in capo a nuove entità. La Banca d'Italia ha adottato lo statuto, ha nominato i primi componenti degli organi di amministrazione e controllo e determinato i compensi degli organi apicali dei nuovi istituti. Al contempo con la richiamata legge di stabilità 2016 è stato istituito un Fondo di solidarietà in favore degli investitori persone fisiche, imprenditori individuali, coltivatori diretti o imprenditori agricoli che, alla data del 23 novembre 2015, detenevano strumenti finanziari subordinati emessi dalle banche poste in risoluzione, la cui disciplina è stata successivamente dettagliata nel tempo (in particolare dagli articoli da 8 a 10 del decreto-legge n. 59 del 2016). A specifiche condizioni di legge e in presenza di determinati presupposti di ordine patrimoniale e reddituale, questi investitori hanno potuto chiedere l'erogazione di un indennizzo forfetario, pari all'80 per cento del corrispettivo pagato per l'acquisto degli strumenti finanziari, al netto degli oneri e spese connessi all'operazione di acquisto e della differenza positiva tra il rendimento degli strumenti finanziari subordinati e il rendimento di mercato individuato secondo specifici parametri. La presentazione dell'istanza di indennizzo forfetario preclude, a specifiche condizioni, la possibilità di esperire la procedura arbitrale, disciplinata dalla medesima legge di stabilità 2016 (commi da 857 a 860).
Monte dei Paschi di SienaA seguito della pubblicazione, il 29 luglio 2016, dei risultati dello stress test dell'EBA, quattro delle cinque principali banche italiane comprese nel campione EBA hanno mostrato una buona tenuta (UniCredit, Intesa Sanpaolo, Banco Popolare e UBI Banca). Il Monte dei Paschi di Siena ha superato il test nello scenario di base, mostrando nello scenario avverso un risultato negativo. Dal novembre del 2013 il gruppo è sottoposto a un piano di ristrutturazione approvato dalla Commissione europea. Circa la metà della complessiva riduzione di capitale registrata dal Monte dei Paschi è attribuibile alla diminuzione del margine di interesse; la restante parte è dovuta all'incremento delle deduzioni patrimoniali e delle perdite su crediti e alle svalutazioni sui titoli di Stato detenuti nel portafoglio AFS, come chiarito dalla Banca d'Italia nella nota di approfondimento dedicata agli stress test.
Il Consiglio di amministrazione del Monte dei Paschi ha deliberato a fine luglio 2016 un piano che prevedeva la cessione dell'intero portafoglio di crediti in sofferenza e un aumento di capitale fino a 5 miliardi, tale da incrementare significativamente gli accantonamenti sui restanti crediti deteriorati. Per effetto di tale operazione, la banca intendeva detenere prestiti deteriorati – ma non in sofferenza – in linea con quelli medi del sistema bancario italiano. La Banca ha dunque comunicato al mercato la volontà di procedere al rafforzamento di capitale per complessivi 5 miliardi. Stante l'impossibilità di reperire sul mercato tale cifra, il 23 dicembre 2016 MPS ha inviato alla BCE un'istanza di sostegno finanziario straordinario e temporaneo per l'accesso alla misura della ricapitalizzazione precauzionale. In pari data la Banca ha inviato alla Banca d'Italia e al Ministero dell'Economia e delle Finanze un'istanza per ammissione alla garanzia dello Stato disciplinata dal decreto-legge n. 237 del 2016, per ottenere la possibilità di emettere ulteriori passività garantite dallo Stato. Il 26 dicembre 2016 Monte dei Paschi di Siena ha reso noto di aver ricevuto una comunicazione della BCE, quale autorità competente per la vigilanza di MPS, che richiedeva di raccogliere 8,8 miliardi di nuovo capitale, quasi 4 miliardi di euro in più rispetto alla cifra pianificata dal luglio 2016. La BCE ha già definito l'entità della ricapitalizzazione precauzionale del gruppo, fissandola in 8,8 miliardi. In seguito all'insuccesso del piano di rafforzamento basato su capitali privati, MPS il 30 dicembre 2016 ha presentato istanza per la ricapitalizzazione precauzionale, trasmettendo le prime linee guida di un piano di ristrutturazione. Come riferito dalla Banca d'Italia nell'audizione del 17 gennaio 2017 presso le Commissioni finanze di Camera e Senato, si prevede di ultimare il nuovo piano di ristrutturazione in tempi brevi. Con comunicato stampa del 25 gennaio 2017, Monte dei Paschi ha annunciato di avere effettuato due emissioni di titoli con garanzia dello Stato; il 15 marzo 2017 Monte dei Paschi S.p.A. ha comunicato di aver effettuato l'emissione di un titolo con garanzia dello Stato, ai sensi del Decreto Legge n. 237/2016, cui le principali agenzie di rating hanno assegnato un giudizio allineato a quello della Repubblica Italiana, stante la presenza della garanzia statale. Banca Popolare di Vicenza e Veneto BancaCon nota tecnica del 15 aprile 2016, la Banca d'Italia ha fornito alcuni chiarimenti relativi agli intermediari Banca Popolare di Vicenza (BPV) e Veneto Banca (VB). Le predette banche sono state investite da due tipologie di problematiche, legate alla loro originaria natura di banche popolari non quotate: la modalità di determinazione del prezzo delle azioni e i finanziamenti concessi dalle banche alla clientela per la sottoscrizione delle azioni della banca medesima. Relativamente al prezzo delle azioni, per le banche popolari non quotate il codice civile (articolo 2528) attribuisce la responsabilità di fissare il prezzo all'assemblea dei soci, su proposta degli amministratori. Riguardo alla raccolta di capitale (ed emissione di azioni) a fronte di finanziamenti erogati dalle stesse banche emittenti ai sottoscrittori delle azioni (cosiddette "azioni finanziate"), la normativa di settore prevede che le azioni acquistate grazie a un finanziamento della banca emittente non possono essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza. Tale patrimonio è considerato dalla normativa di settore come il primo cuscinetto di sicurezza per assorbire eventuali perdite; deve essere quindi costituito da risorse sicure, non da elementi a elevato rischio di essere vanificate da un finanziamento non restituito. Per quanto invece concerne la Banca Popolare di Vicenza, le controversie hanno riguardato principalmente l'operatività in azioni proprie che, dal gennaio del 2014 (a seguito dell'entrata in vigore del regolamento europeo n. 575 del 26 giugno 2013), richiede in ogni caso un'autorizzazione della Vigilanza, la quale subordina la decisione ad una valutazione prudenziale, poiché nel momento in cui la banca riacquista le proprie azioni dai suoi soci riduce il patrimonio. Nel corso del 2014, come rileva la Banca d'Italia, è emerso che la BPV acquistava azioni proprie senza aver prima richiesto l'autorizzazione alla Vigilanza. Le ispezioni del 2015 hanno rilevato, oltre ai riacquisti di azioni proprie effettuati senza la necessaria autorizzazione, anche il problema delle "azioni finanziate" non dedotte per un ammontare cospicuo dal patrimonio di vigilanza. La Banca d'Italia ha rilevato come ciò abbia comportato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale di circa 1 miliardo di euro, registrato dalla banca nella relazione semestrale al 30 giugno e nel bilancio d'esercizio 2015. La situazione patrimoniale ha inoltre risentito del deterioramento del portafoglio creditizio, che ha comportato la contabilizzazione di 1,3 miliardi di euro di rettifiche di valore nel bilancio 2015 (+54% rispetto all'anno precedente). Come riferito dalla Banca d'Italia, l'alta dirigenza di BPV è stata rinnovata e la banca, in coerenza con il nuovo piano industriale, ha poi deliberato un piano complessivo di rafforzamento patrimoniale o di modifica radicale della corporate governance che comprende la trasformazione in S.p.A. (approvata dall'Assemblea il 3 marzo 2016), un aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro e la quotazione in Borsa delle azioni (tramite un'operazione di Initial Public Offering, IPO). Il cambio di forma giuridica e l'obbligo di trasformazione in società quotata hanno comportato una significativa svalutazione delle azioni, il cui valore è passato dai 62,50 euro nel 2014 (approvazione bilancio 2013) ai 6,3 euro di febbraio 2016. Con l'intervento del fondo Atlante nell'aprile del 2016 è stato sottoscritto un nuovo aumento di capitale, con l'ulteriore abbassamento del prezzo di ciascuna azione a 10 centesimi di euro. Con comunicato stampa del 9 gennaio 2017 l'istituto ha annunciato l'avvio di un'iniziativa di conciliazione transattiva rivolta agli azionisti che hanno investito in azioni BPVi negli ultimi 10 anni. L'offerta pubblica di transazione prevede un riconoscimento economico pari a 9 euro per ogni azione acquistata tramite una banca del Gruppo Banca Popolare di Vicenza a partire dal 1° gennaio 2007 e sino al 31 dicembre 2016, al netto delle vendite; il riconoscimento sarà erogato a fronte della rinuncia dell'azionista a qualsiasi pretesa in relazione all'investimento in (o mancato disinvestimento di) titoli azionari Banca Popolare di Vicenza, titoli che rimarranno comunque di proprietà dell'azionista. La platea è stata stimata in circa 94.000 azionisti, individuati secondo criteri oggettivi, che comprendono principalmente persone fisiche, società di persone, fondazioni, ONLUS ed enti senza fine di lucro. Contestualmente BPVI ha costituto un fondo, per complessivi 30 milioni di euro, a sostegno degli azionisti che versano in condizioni disagiate. L'iniziativa si basa sulla consapevolezza della presenza di situazioni di impoverimento e grave disagio sociale che coinvolgono alcuni azionisti risparmiatori di BPVi, oltreché sulla volontà di ricostruire un rapporto di fiducia tra la Banca e i suoi soci risparmiatori. Il fondo è riservato esclusivamente agli azionisti che rientrano nel perimetro dell'Offerta di Transazione e che rinunciano ad azioni risarcitorie, l'attivazione del fondo è subordinata all'esito positivo della stessa Offerta di Transazione. Il termine di adesione all'Offerta di Transazione, in origine fissato al 22 marzo 2017, è stato prorogato al 28 marzo 2017. Al 17 marzo 2017 l'istituto ha registrato 65.505 Manifestazioni di Interesse (pari al 68,8% delle azioni oggetto del perimetro) a fronte delle quali sono stati già sottoscritti 52.865 accordi transattivi (pari al 49,6% delle azioni in perimetro).
L'istituto il 1° febbraio 2017 ha comunicato di aver ricevuto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze il decreto con il provvedimento di concessione della garanzia dello Stato su nuove emissioni obbligazionarie ai sensi del decreto-legge n. 237 del 2016 e di aver contestualmente avviato l'operatività necessaria per l'emissione di titoli garantiti. Il 17 marzo 2017 BPVI ha reso noto che è in fase di finalizzazione il nuovo Piano industriale 2017-2021 - già sottoposto alle Autorità di Vigilanza - nel quale è previsto un progetto di fusione con il Gruppo Veneto Banca unitamente ad un intervento di rafforzamento patrimoniale da realizzarsi nel 2017. Nella medesima occasione la Banca Popolare di Vicenza, nell'ambito delle modalità di reperimento dei capitali necessari ad implementare la citata ricapitalizzazione, ha comunicato al MEF, Banca d'Italia e BCE l'intenzione di accedere alle già citate misure di ricapitalizzazione precauzionale di cui al decreto-legge n. 237 del 2016.
Con riferimento a Veneto Banca, la problematica illustrata dalla Banca d'Italia concerne in particolare il fenomeno delle "azioni finanziate" non dedotte, reiterato nel tempo nonostante i solleciti delle Autorità di vigilanza e le sanzioni irrogate. Nella richiamata nota tecnica, la Banca d'Italia rileva che detta prassi ha comportato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale per circa 300 milioni di euro, registrato dalla banca nella relazione trimestrale al 30 settembre 2015 e nel bilancio d'esercizio 2015; ulteriori 56 milioni di euro sono emersi dal completamento delle analisi svolte dalla funzione di revisione interna della banca su richiesta della Vigilanza. La situazione patrimoniale ha inoltre risentito anche del deterioramento del portafoglio creditizio, che ha comportato la contabilizzazione di oltre 700 milioni di euro di rettifiche di valore su crediti nel bilancio 2015. La necessità di "squalificare" le "azioni finanziate" e di recepire le ulteriori perdite emerse ha imposto alla banca di ricostituire i margini patrimoniali regolamentari. Ai cambiamenti di governance del 2015 sono seguiti la definizione di un piano di rafforzamento patrimoniale, per 1 miliardo di euro, nonché la trasformazione in società per azioni, ai sensi delle nuove norme sulle banche popolari (decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito con legge 24 marzo 2015, n. 33) e la quotazione in borsa. Nel corso del 2016 la governance aziendale ha avuto un sostanziale rinnovo, conclusosi con l'avvio dell'azione di responsabilità il 16 novembre 2016 nei confronti degli ex componenti del Consiglio di Amministrazione e del Collegio Sindacale nonché dell'ex Direttore Generale di Veneto Banca S.p.A. Analogamente a quanto disposto da BPVi, Veneto Banca ha annunciato l'avvio di un'iniziativa di conciliazione transattiva, mediante un'Offerta di Transazione con un indennizzo forfettario ed onnicomprensivo pari al 15% della perdita teorica sofferta in conseguenza degli acquisti di Azioni Veneto Banca (al netto delle vendite effettuate e dei dividendi percepiti) avvenuti nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2007 ed il 31 dicembre 2016, a fronte della rinuncia dell'azionista a promuovere azioni legali. L'iniziativa si rivolge a circa 75.000 azionisti, pari a circa l'85% del totale. Il Consiglio di Amministrazione di Veneto Banca ha deliberato inoltre la costituzione di un Fondo di solidarietà di 30 milioni di euro per sostenere i Soci che versano in comprovate situazioni di particolare disagio socio-economico, rivolto ai medesimi destinatari dell'Offerta Pubblica di Transazione; anche in questo caso i beneficiari dovranno rinunciare ad azioni risarcitorie nei confronti della Banca. Il fondo diventa effettivo a seguito dell'esito positivo dell'Offerta stessa. L'Offerta si è conclusa il 28 marzo, a seguito della proroga dei termini. Anche Veneto Banca ha utilizzato gli strumenti previsti dal decreto-legge n. 237 del 2016, in particolare la concessione della garanzia dello Stato su nuove emissioni obbligazionarie; effettuando nel febbraio 2017 due emissioni garantite ai sensi delle predette norme. |