Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento finanze
Titolo: Attuazione della direttiva 2014/59/UE (Risoluzione crisi enti creditizi) - Atto del Governo 209 - Schede di lettura
Riferimenti:
SCH.DEC 209/XVII     
Serie: Atti del Governo    Numero: 209
Data: 12/10/2015
Descrittori:
BANCHE ISTITUTI E AZIENDE DI CREDITO   CONTRIBUTI PUBBLICI
DIRETTIVE DELL'UNIONE EUROPEA   L 2015 0114
Organi della Camera: VI-Finanze


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Attuazione della direttiva 2014/59/UE (Risoluzione crisi enti creditizi)

12 ottobre 2015
Atto del Governo


Indice

Premessa|Contenuto|Appendice|


Premessa

Lo schema di decreto legislativo in esame, al fine di recepire la direttiva 2014/59/UE, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento (cosiddetta direttiva BRRD – Bank Recovery and Resolution Directive), reca una disciplina puntuale delle procedure di risoluzione e di gestione delle crisi bancarie e degli intermediari finanziari.

Il recepimento della direttiva BRRD è affidato a due distinti schemi di decreto legislativo:

  • l'atto del Governo n. 208 - per il quale si rinvia al relativo dossier di documentazione - che introduce nel Testo unico bancario le disposizioni relative ai piani di risanamento, alle forme di sostegno all'interno dei gruppi bancari, alle misure di intervento precoce; sono inoltre modificate le norme sull'amministrazione straordinaria delle banche e la disciplina della liquidazione coatta amministrativa. Le stesse materie sono inserite nel Testo unico in materia di intermediazione finanziaria con riferimento alle società di intermediazione mobiliare (SIM); sono inoltre dettate le disposizioni sulle procedure di risoluzione delle SIM non incluse in un gruppo bancario o che non rientrino nell'ambito della vigilanza consolidata (SIM stand alone);
  • l'atto del Governo n. 209 - oggetto del presente dossier - che reca la disciplina in materia di predisposizione di piani di risoluzione, adozione delle misure di risoluzione, gestione della crisi di gruppi cross-border, poteri e funzioni dell'autorità di risoluzione nazionale e disciplina del fondo di risoluzione nazionale.

 

Si rammenta che con lettera datata 28 gennaio 2015 la Commissione europea ha avviato nei confronti dell'Italia la procedura d'infrazione 2015/0066 per mancato recepimento nel nostro ordinamento della direttiva 2014/59/UE .

Il termine di recepimento della direttiva, entrata in vigore il 2 luglio 2014, è fissato al 31 dicembre 2014. Gli Stati membri devono applicare le disposizioni di recepimento a decorrere dal 1° gennaio 2015, ad eccezione delle disposizioni relative ad alcune procedure (c.d. bail-in) che devono essere applicate non più tardi del 1° gennaio 2016.

Nell'ambito di tale procedura il 28 maggio 2015 è stato inviato all'Italia un parere motivato.

 I criteri di delega

La direttiva n. 59  è; inserita nell'Allegato B della legge di delegazione europea 2014 (legge 9 luglio 2015, n. 114) che reca, all'articolo 8, specifici criteri di delega.

L'articolo 8, comma 1, prevede tra i princìpi e i criteri direttivi che le norme sul bail-in, ossia del meccanismo di forzosa svalutazione delle azioni e del debito di un ente creditizio soggetto a risoluzione, si applichino a partire dal 2016, secondo quanto disposto dalla direttiva medesima; si precisa che l'attivazione di tali poteri dovrà avvenire valutando inoltre l'opportunità di stabilire modalità applicative di tale meccanismo coerenti con la forma societaria cooperativa (lettera b)).

Si dispone la designazione della Banca d'Italia quale autorità di risoluzione nazionale, prevedendo che sia assicurato il tempestivo scambio di informazioni con il Ministero dell'economia e delle finanze e l'approvazione di quest'ultimo prima di dare attuazione a decisioni che abbiano un impatto diretto sul bilancio oppure implicazioni sistemiche. Le necessarie modifiche di coordinamento del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1°; settembre 1993, n. 385 (TUB), e del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), dovranno avvenire nel rispetto del riparto di attribuzioni tra la Banca d'Italia e la CONSOB previste a legislazione vigente (lettera d)).

L'attuazione della delega deve prevedere anche una disciplina secondaria nella materia oggetto di recepimento, da adottarsi secondo le linee guida emanate dall'Autorità bancaria europea (ABE) in attuazione della direttiva 2014/59/UE (lettera e)).

Si prevede l'estensione delle vigenti norme in tema di responsabilità dei componenti delle autorità di vigilanza e dei dipendenti nell'esercizio dell'attività di controllo anche all'esercizio delle funzioni disciplinate dalla direttiva 2014/59/UE oggetto di recepimento, con riferimento alla Banca d'Italia, ai componenti dei suoi organi, ai suoi dipendenti, nonché agli organi delle procedure previste dalle norme europee (lettera g)).

La delega provvede anche al recepimento della disciplina sanzionatoria, secondo specifiche indicazioni su modalità, termini e parametri di individuazione delle sanzioni pecuniarie (lettera l)). Si prevede, tra l'altro, che siano introdotte nell'ordinamento nazionale nuove fattispecie di illeciti amministrativi corrispondenti alle fattispecie sanzionatorie previste dalla direttiva, stabilendo l'entità delle sanzioni amministrative pecuniarie, in modo tale che:

  • la sanzione applicabile alle società o agli enti sia compresa tra un minimo di 30.000 euro e un massimo del 10 per cento del fatturato;
  • la sanzione applicabile alle persone fisiche sia compresa tra un minimo di 5.000 euro e un massimo di 5 milioni di euro;
  • qualora il vantaggio ottenuto dall'autore della violazione sia superiore ai limiti massimi sopra indicati, le sanzioni siano elevate fino al doppio dell'ammontare del vantaggio ottenuto, purché tale ammontare sia determinabile.

Con riferimento alle fattispecie connotate da minore effettiva offensività o pericolosità, si dovranno prevedere, ove compatibili con la direttiva 2014/59/UE, efficaci strumenti per la deflazione del contenzioso o per la semplificazione dei procedimenti di applicazione della sanzione, anche conferendo alla Banca d'Italia la facoltà di escludere l'applicazione della sanzione per condotte prive di effettiva offensività o pericolosità.

Sono recati anche i princìpi per l'istituzione di uno o più fondi di risoluzione delle crisi bancarie, che prevedono l'istituzione di uno o più fondi di risoluzione; la definizione delle modalità di calcolo e di riscossione dei contributi dovuti da parte degli enti che vi aderiscono; la determinazione delle modalità di amministrazione dei fondi e della struttura deputata alla loro gestione (lettera m)).

Si prevedono, quindi, adeguate forme di coordinamento tra l'autorità di risoluzione e l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS) per l'applicazione di misure di risoluzione a società di partecipazione finanziaria mista e, ove controllino una o più imprese di assicurazione o riassicurazione, a società di partecipazione mista (lettera n)).

Il nuovo quadro della gestione della crisi bancaria

Nella disciplina nazionale vigente, la crisi bancaria viene affrontata precipuamente con due strumenti disciplinati dal Testo Unico Bancario, ossia l'amministrazione controllata e la procedura di liquidazione coatta amministrativa. Entrambe le procedure intervengono ove l'istituto si trovi già in una situazione patologica: per l'attivazione dell'amministrazione straordinaria (vigente articolo 70 TUB) devono risultare gravi irregolarità nell'amministrazione, gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l'attività della banca; ovvero devono essere previste gravi perdite del patrimonio; ovvero lo scioglimento deve essere richiesto con istanza motivata dagli organi amministrativi ovvero dall'assemblea straordinaria. Per la liquidazione invece (articolo 80 TUB) le irregolarità nell'amministrazione o le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o le perdite devono connotarsi da eccezionale gravità.

 La nuova disciplina europea anticipa alla fase fisiologica dell'attività bancaria la gestione dell'eventuale crisi. Nei periodi di ordinaria operatività deve quindi essere svolta un'attività preparatoria continua della gestione di una crisi, sia da parte di banche e gruppi, sia da parte delle Autorità competenti. Di seguito si illustra il quadro risultante dalle norme UE e dalle disposizioni di attuazione (A.A.G.G. n. 208 e n. 209).

I piani di risanamento

Da un lato, le banche ed i gruppi devono predisporre - ed aggiornare almeno annualmente - un piano di risanamento contenente misure idonee a fronteggiare un deterioramento significativo della situazione finanziaria, basato su assunzioni realistiche e relative a scenari che prevedano situazioni di crisi anche gravi esso deve essere sottoposto alle competenti autorità per la sua valutazione, che viene effettuata entro sei mesi dall'approvazione del piano.

A tal fine la normativa italiana di attuazione (articolo 1, comma 12 dell'A.G. n. 208) inserisce una specifica disciplina nel Testo Unico Bancario (Titolo IV, Parte II, nuovo Capo II-bis), dedicata ai piani di risanamento, al sostegno finanziario di gruppo e alle forme di intervento precoce.

Le misure di intervento precoce

Già durante la fase di normale operatività della banca, le autorità di risoluzione devono preparare piani di risoluzione (nel quadro della disciplina di attuazione, essi sono disciplinati dall'A.G. 209, articoli 7 e seguenti) che individuino le strategie e le azioni da intraprendere in caso di crisi. Esse potranno intervenire, con poteri assai estesi, già in questa fase, per creare le condizioni che facilitino l'applicazione degli strumenti di risoluzione, cioè migliorare la risolvibilità delle singole banche.

Sarà compito delle autorità di supervisione approvare piani di risanamento predisposti dagli intermediari, dove vengono indicate le misure da attuare ai primi segni di deterioramento delle condizioni della banca. La BRRD mette, inoltre, a disposizione delle autorità di supervisione strumenti di intervento tempestivo (early intervention) che integrano le tradizionali misure prudenziali e sono graduati in funzione della problematicità dell'intermediario: nei casi più gravi, si potrà disporre la rimozione dell'intero organo di amministrazione e dell'alta dirigenza e, se ciò non basta, nominare uno o più amministratori temporanei.

Viene a tal fine introdotta nel Testo Unico Bancario (articolo 1, comma 13 dell'A.G. 208), nel Titolo IV dedicato alla crisi bancaria, una nuova sezione dedicata alle misure di intervento precoce.

E' conseguentemente modificata la disciplina dell'amministrazione straordinaria. Essa è disposta direttamente dalla Banca d'Italia e non più dal Ministero dell'economia: dunque, la Banca d'Italia può sciogliere gli organi di amministrazione e controllo delle banche (articolo 1, comma 14 dell'A.G. 208) al ricorrere degli stessi presupposti per l'attivazione dei poteri di intervento precoce, ossia quando risultano gravi violazioni di disposizioni legislative, regolamentari o statutarie o gravi irregolarità nell'amministrazione, ovvero quando il deterioramento della situazione della banca o del gruppo bancario sia particolarmente significativo.

Resta fermo che l'amministrazione straordinaria può attivarsi ove siano previste gravi perdite del patrimonio oppure se lo scioglimento è richiesto con istanza motivata dagli organi amministrativi ovvero dall'assemblea straordinaria.

La risoluzione

Alla luce del quadro delle norme comunitarie e nazionali di attuazione, viene introdotta una nuova modalità di gestione delle crisi bancarie: la cd. risoluzione, con cui viene avviato un processo di ristrutturazione gestito da autorità indipendenti – le autorità di risoluzione – che, attraverso l'utilizzo di tecniche e poteri offerti dalle disposizioni europee, mira a:

  • evitare interruzioni nella prestazione dei servizi essenziali offerti dalla banca (ad esempio, i depositi e i servizi di pagamento);
  • ripristinare condizioni di sostenibilità economica della parte sana della banca;
  • liquidare le parti restanti.

La misura della liquidazione coatta amministrativa, rimane in vigore quale alternativa alla risoluzione. In presenza di uno stato di dissesto, anche solo prospettico, le autorità di risoluzione devono valutare se è possibile attivare la procedura ordinaria di liquidazione coatta amministrativa o se è necessario avviare la procedura di risoluzione.

A tale scopo i decreti delegati (A.G. n. 208, articolo 1, comma 23) modificano i presupposti per l'avvio della liquidazione coatta amministrativa, che viene avviata alle medesime condizioni per l'avvio delle nuove procedure di gestione delle crisi; in particolare, i presupposti per l'avvio della liquidazione sono quelli previsti dalla specifica normativa sulla gestione delle crisi (A.G. n. 209, articolo 17) per l'avvio della cd. risoluzione: lo stato di dissesto o il rischio di dissesto, ove non sia ragionevolmente possibile prospettare soluzioni alternative in tempi adeguati (di mercato o di vigilanza).

Sono individuati alcuni criteri di scelta, per le Autorità competenti, sulla misura da intraprendere: la risoluzione è disposta (articolo 20, comma 2, dell'A.G. n. 209) quando la Banca d'Italia ha accertato la sussistenza dell'interesse pubblico, che ricorre quando la risoluzione è necessaria e proporzionata per conseguire gli obiettivi indicati dalle norme (tra cui la continuità delle funzioni essenziali della banca, la stabilità finanziaria, il contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, la tutela dei depositanti), mentre la sottoposizione della banca a liquidazione coatta amministrativa non consentirebbe di realizzare questi obiettivi nella stessa misura.

Ai fini della risoluzione di banche e gruppi, le autorità preposte allo scopo potranno attivare una serie di misure (A.G. n. 209, articoli 17 e seguenti):

  • vendere una parte dell'attività a un acquirente privato;
  • trasferire temporaneamente le attività e passività a un'entità (bridge bank) costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato;
  • trasferire le attività deteriorate a un veicolo (bad bank) che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli;
  • applicare il bail-in, ossia svalutare azioni e crediti e convertirli in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali.

Contenuto

Lo schema in esame è suddiviso in otto titoli.

 

Il Titolo I reca le disposizioni di carattere generale e, in particolare, contiene le definizioni utili per identificare gli elementi del provvedimento (articolo 1) e l'ambito di applicazione delle norme introdotte (articolo 2).

 

In particolare si segnala che sono definiti:

  • il cd. bail-in, ossia la misura che implica la riduzione o la conversione in capitale dei diritti degli azionisti e dei creditori;
  • l'ente-ponte, ossia la società di capitali costituita per acquisire, detenere e vendere, in tutto o in parte, azioni o altre partecipazioni emesse da un ente sottoposto a risoluzione, o attività, diritti e passività di uno o più enti sottoposti a risoluzione per preservarne le funzioni essenziali;
  • la società veicolo per la gestione delle attività, ovvero la società di capitali costituita per acquisire, in tutto o in parte, le attività, i diritti e le passività di uno o più enti sottoposti a risoluzione o di un ente-ponte.

Le norme in esame si applicano alle banche con sede legale in Italia, alle società italiane capogruppo di un gruppo bancario e a quelle appartenenti a un gruppo bancario ai sensi delle norme del TU bancario, alle società incluse nella vigilanza consolidata ed alle società, aventi sede legale in Italia, incluse nella vigilanza consolidata in un altro Stato membro (società bancarie, finanziarie e strumentali non comprese in un gruppo bancario, ma controllate da un soggetto che controlla una banca o un gruppo; società che controllano almeno una banca).

 

Il Titolo II dello schema individua la Banca d'Italia (articolo 3) come autorità di risoluzione nazionale, nei confronti dei soggetti cui si applicano le norme in commento, se essi hanno sede legale in Italia, salvo ove diversamente indicato; ove specificato dalle norme in esame, tali funzioni e poteri sono esercitati nei confronti delle succursali stabilite in Italia di banche extracomunitarie. Inoltre, la Banca d'Italia espleta le funzioni di autorità di risoluzione di gruppo ove sia indicata come tale in base alle norme UE. Si prevede che l'Autorità, nell'esercizio della propria autonomia organizzativa, disponga di adeguate forme di separazione tra le funzioni connesse con la gestione delle crisi e le altre funzioni da essa svolte, in modo da assicurarne l'indipendenza operativa (articolo 3, comma 6). Essa deve istituire forme di collaborazione e coordinamento tra le relative strutture. Tali misure organizzative sono rese pubbliche.

Il Ministro dell'economia e delle finanze (articolo 4) ha il precipuo compito di approvare il provvedimento con cui la Banca d'Italia dispone l'avvio della risoluzione ed esercita le funzioni previste dalle norme in esame, in attuazione dei principi di delega contenuti all'articolo 8, comma 1, lettera d) della legge di delegazione europea 2014. Si prevede inoltre (comma 2 dell'articolo 4) un meccanismo di tempestivo scambio informativo tra MEF e Autorità.

Nell'articolo 5 sono contenute le prescrizioni relative all'applicazione del segreto d'ufficio alle strutture pubbliche coinvolte nella risoluzione. L'articolo 6 disciplina le forme di collaborazione con altre Autorità ed altri enti pubblici.

 

Nel Titolo III sono disciplinate le misure preparatorie per l'attivazione del meccanismo di risoluzione.

In estrema sintesi, l'Autorità di risoluzione deve pianificare strategie per definire exante, per ogni banca o gruppo, le possibili modalità di gestione di un eventuale dissesto. A tal fine la Banca d'Italia deve predisporre piani di risoluzione, individuali o di gruppo (rispettivamente, articoli 7 e 8 dello schema), nei quali sono individuate le misure da adottare in caso di dissesto.

Tali piani sono aggiornati con cadenza almeno annuale, ovvero in caso di significativo mutamento della struttura giuridica o organizzativa del gruppo o della sua situazione patrimoniale o finanziaria, avendo riguardo a ogni componente del gruppo. Sono previste le forme di collaborazione attiva (articolo 9) dei soggetti cui il piano di risoluzione si riferisce, ai fini della predisposizione e del tempestivo aggiornamento del piano; sono disciplinate puntualmente (articolo 10) le modalità di trasmissione - anche per il tramite della Banca Centrale Europea, se questa è l'autorità competente - delle informazioni necessarie per la predisposizione, l'aggiornamento e l'applicazione dei piani di risoluzione. Con l'articolo 11 si dispone che la Banca d'Italia possa, con provvedimenti di carattere generale o particolare, prevedere modalità semplificate di adempimento degli obblighi informativi e di collaborazione, avendo riguardo alle possibili conseguenze del dissesto della banca o del gruppo, in considerazione delle loro caratteristiche, ivi inclusi le dimensioni, la complessità operativa, la struttura societaria, lo scopo mutualistico, l'adesione a un sistema di tutela istituzionale. L'Autorità, in occasione della preparazione e dell'aggiornamento dei piani di risoluzione, deve valutare la risolvibilità di una banca o di un gruppo.

 

Gli articoli 12 e 13 rispettivamente definiscono i requisiti di risolvibilità di una banca o di un gruppo. In particolare, una banca si intende risolvibile quando, anche in presenza di situazioni di instabilità finanziaria generalizzata o di eventi sistemici, essa può essere assoggettata a liquidazione coatta amministrativa o a risoluzione, minimizzando le conseguenze negative significative per il sistema finanziario italiano, di altri Stati membri o dell'Unione europea e nella prospettiva di assicurare la continuità delle funzioni essenziali.

La valutazione non deve fare affidamento sulle seguenti misure:

  1. sostegno finanziario pubblico straordinario, fatto salvo l'utilizzo dei fondi di risoluzione;
  2. assistenza di liquidità di emergenza fornita dalla banca centrale;
  3. assistenza di liquidità fornita dalla banca centrale con garanzie durata e tasso di interesse non standard.

Valgono analoghi criteri per i gruppi con la differenza che, in tali ipotesi, la risoluzione deve minimizzare le conseguenze negative significative per il sistema finanziario degli Stati membri in cui le componenti del gruppo sono stabilite, di altri Stati membri o dell'Unione europea, nella prospettiva di assicurare la continuità delle funzioni essenziali svolte dalle componenti del gruppo mediante la loro separazione, se facilmente praticabile in modo tempestivo, o con altri mezzi.

L'Autorità è inoltre chiamata a rimuovere gli eventuali ostacoli che si potrebbero presentare in caso di avvio della liquidazione coatta amministrativa o della risoluzione.

Di conseguenza, il primo passo è quello di individuare l'esistenza di detti ostacoli alla risolvibilità di una banca o di un gruppo (rispettivamente, articoli 14 e 15) e di comunicarli, oltre che alle Autorità nazionali ed europee competenti, alla banca ed al gruppo medesimo; gli enti interessati potranno individuare e comunicare misure alternative per rimuovere gli impedimenti, che dovranno essere approvati dalle Autorità competenti le quali potranno, altrimenti, adottare misure specifiche (articolo 16 dello schema).

Tra le misure adottabili da parte della Banca d'Italia ai sensi del predetto articolo 16 si segnalano le seguenti:

  • modificare o adottare accordi di finanziamento infragruppo, o elaborare contratti di servizio, infragruppo o con terzi, per la prestazione di funzioni essenziali;
  • limitare il livello massimo di esposizione ai rischi, individuali e aggregati;
  • cedere o dismettere determinati beni o rapporti giuridici;
  • limitare, sospendere o cessare determinate attività, linee di business, vendita di prodotti, o astenersi da intraprenderne di nuovi.

La Banca d'Italia può inoltre imporre modifiche alla forma giuridica o alla struttura operativa della banca o di società del gruppo, o alla struttura del gruppo o imporre a una società non finanziaria che controlla almeno una banca, anche se avente sede legale in altri Stati membri, di costituire una società finanziaria intermedia che controlli la banca, se necessario per agevolarne la risoluzione ed evitare che la risoluzione determini conseguenze negative sulle componenti non finanziarie del gruppo.

 

Il Titolo IV dello schema in esame disciplina i profili applicativi comuni a tutte le procedure attivabili in caso di dissesto. In particolare. sono disciplinati in questo Capo i presupposti per l'avvio delle procedure di gestione delle crisi, gli obiettivi e i principi della risoluzione e la valutazione delle attività e delle passività dell'intermediario in dissesto, da intraprendere prima del write-down (riduzione del valore delle azioni) o dell'avvio della risoluzione.

 

In particolare l'articolo 17 chiarisce che per l'attivazione delle misure di gestione delle crisi devono ricorrere congiuntamente i seguenti presupposti:

  • l'istituto è in dissesto o a rischio di dissesto;
  • non si possono ragionevolmente prospettare misure alternative che permettono di superare la situazione di dissesto in tempi adeguati: intervento di soggetti privati o di un sistema di tutela istituzionale, o un'azione di vigilanza, che può includere misure di intervento precoce o l'amministrazione straordinaria ai sensi del Testo Unico Bancario.

La condizione di dissesto o rischio di dissesto vi è quando ricorrono una o più delle seguenti situazioni:

  • risultano irregolarità nell'amministrazione o violazioni di disposizioni legislative, regolamentarie o statutarie che regolano l'attività della banca di gravità tale che giustificherebbero la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività;
  • risultano perdite patrimoniali di eccezionale gravità, tali da privare la banca dell'intero patrimonio o di un importo significativo del patrimonio;
  • le sue attività sono inferiori alle passività;
  • non è in grado di pagare i propri debiti alla scadenza;
  • elementi oggettivi indicano che una o più delle situazioni su indicate nelle lettere si realizzeranno nel prossimo futuro;
  • è stato erogato un sostegno finanziario pubblico straordinario a suo favore, salvo quanto previsto dello schema in esame (articolo 18).

Si specifica che le misure da adottare in caso di crisi (indicate all'articolo 20) possono essere disposte anche se non sono state precedentemente adottate misure di intervento precoce o l'amministrazione straordinaria.

 

L'articolo 18 specifica le condizioni alle quali una banca, pur destinataria di un sostegno finanziario straordinario, non è considerata in condizioni di dissesto o a rischio di dissesto. Devono ricorrere due condizioni: la prima condizione è che sia stato concesso sostegno finanziario pubblico straordinario, per evitare o porre rimedio a una grave perturbazione dell'economia e preservare la stabilità finanziaria, con le seguenti specifiche forme:

  1. una garanzia dello Stato a sostegno degli strumenti di liquidità fomiti dalla banca centrale alle condizioni da essa applicate;
  2. una garanzia dello Stato sulle passività di nuova emissione;
  3. la sottoscrizione di fondi propri o l'acquisto di strumenti di capitale effettuati a prezzi e condizioni che non conferiscono un vantaggio alla banca, se al momento della sottoscrizione o dell'acquisto questa non versa in una delle situazioni di dissesto o rischio di dissesto per la riduzione o la conversione di azioni. In questa ipotesi, la sottoscrizione deve essere effettuata unicamente per far fronte a carenze di capitale evidenziate nell'ambito di stress test condotti a livello nazionale, UE o del Meccanismo di Vigilanza Unico, o nell'ambito delle verifiche della qualità degli attivi o di analoghi esercizi condotti dalla Banca Centrale Europea, dall'ABE o da autorità nazionali.

La seconda condizione riguarda le modalità di erogazione del sostegno finanziario pubblico straordinario, che deve essere stato previamente approvato ai sensi della disciplina sugli aiuti di Stato e, in alcune ipotesi, è riservato a banche con patrimonio netto positivo; inoltre deve essere stato adottato su base cautelativa e temporanea, in misura proporzionale alla perturbazione dell'economia; e deve essere utilizzato per coprire perdite registrate o che verranno verosimilmente registrate nel futuro.

Si segnala che la disposizione in commento presenta un refuso, in quanto non è chiarito il soggetto che "ha registrato o verosimilmente registrerà nel prossimo futuro", sebbene sia possibile evincere che si tratti dell'istituto bancario destinatario di misure di sostegno straordinario.

L'articolo 19 disciplina le modalità di accertamento dei presupposti di cui supra.

L'articolo 20 individua le strade che possono essere intraprese nei confronti degli istituti in dissesto o rischio di dissesto e per cui non sono prospettabili soluzioni alternative (ai sensi dell'articolo 17).

A questo punto la Banca d'Italia o l'autorità competente può alternativamente disporre:

  • il cd. write down, ossia la riduzione o conversione di azioni, di altre partecipazioni e di strumenti di capitale emessi dalla banca ove ciò consente di rimediare allo stato di dissesto o di rischio di dissesto;
  • la risoluzione della banca (secondo quanto previsto dal Capo III del Titolo in esame) o la liquidazione coatta amministrativa ai sensi del TUB, ove il bail in non consenta di rimediare allo stato di dissesto o di rischio di dissesto.

In particolare, per avere una risoluzione la Banca d'Italia deve accertare la sussistenza dell'interesse pubblico, che ricorre quando: la risoluzione è necessaria e proporzionata per conseguire uno o più obiettivi indicati all'articolo 21, ossia la continuità delle funzioni essenziali delle banche, la stabilità finanziaria, il contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, la tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela; la sottoposizione della banca a liquidazione coatta amministrativa non consentirebbe di realizzare questi obiettivi nella stessa misura.

L'articolo 22 elenca quali sono i principi cui si conforma la risoluzione della banca. Particolare importanza riveste il principio di cui alla lettera a) del comma 1, che ripartisce le perdite tra azionisti e creditori. Tali soggetti subiscono le perdite secondo la priorità applicabile in sede di procedura concorsuale e, comunque, in misura non peggiore di quanto avverrebbe in caso di liquidazione coatta amministrativa (cd. no creditor worse off). Si chiarisce che i depositi protetti non subiscono perdite e che i livelli apicali di dirigenza, amministrazione e controllo, salvo specifiche ipotesi, sono di regola sostituiti. Inoltre, le azioni di risoluzione devono tenere conto della complessità operativa, dimensionale e organizzativa dei soggetti coinvolti, nonché della natura dell'attività svolta; esse sono effettuate nel rispetto della disciplina sugli aiuti di Stato UE.

Si chiarisce (articolo 23) che l'avvio della risoluzione richiede una valutazione equa, prudente e realistica delle attività e passività dell'ente interessato: la Banca d'Italia affida l'incarico ad un esperto indipendente, ivi incluso il commissario straordinario, nominato ai sensi del TUB.

In estrema sintesi, la valutazione (articoli 24 e 25) è volta a fornire clementi utili per accertare che ricorrono i presupposti per il write-down o la risoluzione; quantificare le perdite della banca o del gruppo e il fabbisogno di capitale necessario per la sua ricapitalizzazione; definire il presumibile valore di mercato dell'intermediario in caso di liquidazione per rispettare il principio del c.d. no creditor worse off. Sussistendo motivi di urgenza, la valutazione può essere effettuata provvisoriamente dall'Autorità di risoluzione, ma andrà confermata da una successiva valutazione definitiva dell'esperto indipendente. L'articolo 26 definisce le modalità di esercizio delle eventuali tutele giurisdizionali avverso le procedure in esame: chiarisce che non è ammessa tutela contro la valutazione di per sé, fino a quando non è applicata una misura di gestione della crisi bancaria.

Gli articoli da 27 a 31 (Capo II del Titolo IV) definiscono la procedura per la riduzione (write down) o conversione di azioni, altre partecipazioni e di strumenti di capitale.

In particolare, l'articolo 27 disciplina i presupposti dell'applicazione di tale istituto, che può essere avviato da solo, se ciò consente di rimediare al dissesto (anche con l'aiuto di soggetti privati, ovvero misure UE o aiuti di Stato autorizzati dalla Commissione) ovvero in seno ad una misura di risoluzione dell'istituto bancario. Sono individuati (articolo 28) gli strumenti soggetti a riduzione o conversione, ossia le riserve, le azioni e gli altri strumenti partecipativi o di capitale, computabili nei fondi propri su base individuale o consolidata, a seconda che si tratti di un istituto o di un gruppo. L'articolo 29 individua la procedura di riduzione e di conversione, nonché le regole per effettuare tale conversione; essa è disposta dalla Banca d'Italia, che deve cooperare con altre Autorità di Stati UE (articolo 30) ove ricorrano i presupposti previsti dalla normativa europea. L'articolo 31 chiarisce che i titolari degli strumenti soggetti a conversione possono ricevere azioni computabili nel capitale primario di classe l (core tier 1) emesse anche da altre componenti del gruppo societario interessato dalla riduzione; non possono essere attribuiti a tali soggetti strumenti di capitale primario di classe l che siano stati emessi dopo un apporto di fondi propri da parte dello Stato o di società controllate dallo Stato.

Gli articoli da 32 a 38 (Capo III del Titolo IV) disciplinano la procedura di avvio e chiusura della risoluzione. Essa si apre (articolo 32) con un provvedimento adottato dalla Banca d'Italia soggetto ad approvazione del Ministro dell'Economia e delle Finanze. Esso contiene il programma della risoluzione, in cui sono indicate le misure che la Banca d'Italia deve adottare per conseguire gli obiettivi della risoluzione. Detto programma è soggetto a uno specifico regime di pubblicità e può essere modificato o revocato, ove necessario. L'articolo 33 disciplina gli specifici presupposti per avviare la risoluzione di altri soggetti e, in particolare delle società finanziarie con sede legale in Italia, se controllata da una società inclusa nella vigilanza consolidata; le società diverse da banche e SIM che controllino almeno una banca, a specifiche condizioni.

Per l'attuazione del programma di risoluzione (articolo 34) la Banca d'Italia può seguire diverse strade:

  • nomina di un commissario speciale, cui vengono conferiti poteri degli azionisti e degli organi di amministrazione;
  • adozione diretta di atti che tengono luogo di quelli dei competenti organi sociali;
  • emanazione di provvedimenti nei confronti dell'intermediario in risoluzione.

 

Gli effetti della risoluzione (articolo 35) variano secondo il tipo di misure intraprese. Ove vi siano commissari speciali o la Banca d'Italia eserciti direttamente le funzioni dei partecipanti al capitale e degli organi apicali, si ha la sospensione dei diritti di voto e di quelli che derivano da partecipazioni che consentono di influire sull'ente. Inoltre decadono gli organi apicali.

L'articolo 36 coordina i rapporti tra la normativa sullo stato di insolvenza dichiarato dall'organo giurisdizionale competente e la disciplina della risoluzione.

Più in dettaglio, se l'ente sottoposto a risoluzione si trova in stato di insolvenza alla data di adozione del provvedimento di avvio della risoluzione, il tribunale del luogo in cui la banca ha la sede legale, su ricorso dei commissari liquidatori, su istanza del pubblico ministero o d'ufficio accerta tale stato con sentenza. La legittimazione dei commissari liquidatori a chiedere l'insolvenza spetta ai commissari speciali che si occupano della banca sottoposta a misure di risoluzione (articolo 37 dello schema in esame), ovvero - laddove non nominati - alla Banca d'Italia o a un soggetto da essa appositamente designato. Il tribunale accerta lo stato di insolvenza dell'ente sottoposto a risoluzione avendo riguardo alla situazione esistente al momento dell'avvio della risoluzione.

Sono disciplinati i poteri dei commissari speciali (articolo 37) e le modalità di chiusura della risoluzione (articolo 38).

L'esito della risoluzione può variare a seconda dei casi: l'intermediario porrà essere restituito alla sua gestione ordinaria, ovvero si dovrà procedere alla sua liquidazione, dopo la cessione in blocco di beni e rapporti giuridici, ovvero potrà essere creata una cd. bridge bank.

Il Capo IV del Titolo IV reca la disciplina delle singole misure di risoluzione, individuate (articolo 39) nelle seguenti procedure:

  • cessione in blocco di beni e rapporti giuridici ad un soggetto terzo, ad un ente-ponte, o ad una società veicolo per la gestione delle attività;
  • bail-in.

Gli articoli 40 e 41 si occupano della cessione ad un soggetto terzo che non sia un ente-ponte o una società veicolo. In particolare sono individuati l'oggetto della cessione (azioni, partecipazioni, diritti, attività e passività dell'ente sottoposto a risoluzione), le condizioni (di mercato), le modalità di pagamento del prezzo, i principi cui è informata la cessione (trasparenza e correttezza informativa; non discriminazione e predisposizione di presidi per evitare il conflitto di interessi; ottenimento del prezzo più alto possibile) e l'eventuale rilascio delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento di attività riservate ove il cessionario ne sia privo.

Gli articoli da 42 a 44 disciplinano la cessione ad un cd. ente-ponte (cd. bridge bank). Per tale si intende (articolo 42) l'ente costituito per gestire beni e rapporti giuridici acquistati ai sensi delle procedure di risoluzione, con l'obiettivo di mantenere la continuità delle funzioni essenziali precedentemente svolte dall'ente sottoposto a risoluzione e, quando le condizioni di mercato sono adeguate, cedere a terzi le partecipazioni al capitale o i diritti, le attività o le passività acquistate. Il capitale dell'ente-ponte è interamente o parzialmente detenuto dal fondo di risoluzione o da autorità pubbliche; la Banca d'Italia ne approva l'atto costitutivo e lo statuto, nonché la strategia e il profilo di rischio; approva la nomina dei componenti degli organi di amministrazione e controllo dell'ente-ponte, l'attribuzione di deleghe e le remunerazioni; stabilisce restrizioni all'attività dell'ente-ponte, ove necessario per assicurare il rispetto delia disciplina degli aiuti di Stato. Una peculiarità di tale ente è che può essere autorizzato allo svolgimento delle attività bancaria e di investimento in via provvisoria, ancorché non soddisfi inizialmente i requisiti di legge. L'articolo 43 disciplina oggetto, modalità, effetti della cessione all'ente-ponte di azioni, partecipazioni, attività e passività dell'ente sottoposto a risoluzione. L'ente ponte (articolo 44) cessa ove non sussistano più le condizioni per la sua esistenza, ossia nel caso si fonda con un altro soggetto, oppure ove le autorità pubbliche o il fondo di risoluzione ne ritrasferiscano a terzi le attività; ove i diritti, le attività e le passività dell'ente siano ceduti a un terzo; sono completati la liquidazione delle attività e il pagamento delle passività. Esso comunque cessa quando è accertato che nessuna delle situazioni precedentemente elencate ha ragionevoli probabilità di verificarsi e, comunque, ove siano trascorsi due anni dall'ultima cessione dell'ente-ponte. Il termine di due anni può essere prorogato in presenza di specifiche condizioni di legge.

Gli articoli 45 e 46 recano le norme sulla cessione alla società veicolo (bad bank). Questa si differenza dall'ente ponte perché la sua funzione è massimizzare il valore dei beni e dei rapporti giuridici ad essa ceduti, mediante una successiva cessione o la liquidazione della società medesima (articolo 45). Essa è posseduta interamente o parzialmente dal fondo di risoluzione o da autorità pubbliche, come l'ente ponte. La disciplina della sua costituzione è analoga a quella dell'ente-ponte (approvazione della Banca d'Italia), ma per la cessione dei beni e dei diritti dell'ente sottoposto a risoluzione valgono principi diversi (articolo 46): tali attività e passività possono convergere alla società veicolo dall'ente sottoposto a risoluzione o dell' ente-ponte, in una o più soluzioni, al verificarsi di almeno uno dei seguenti presupposti:

  • condizioni di mercato tali che la liquidazione dci diritti e delle attività nell'ambito della procedura concorsuale applicabile potrebbe avere effetti negativi sui mercati finanziari;
  • cessione necessaria per garantire il corretto funzionamento dell'ente sottoposto a risoluzione o dell' ente-ponte;
  • cessione necessaria per massimizzare i proventi ricavabili dalla liquidazione.

Il corrispettivo per la cessione può essere simbolico o anche mancare e può consistere in titoli di debito emessi dalla società veicolo.

L'articolo 47 reca disposizioni comuni ai tre tipi di cessioni (privati, ente-ponte o società veicolo), in particolare concernenti il regime delle eccezioni, la pubblicità delle cessioni, la possibilità di ritrasferimento dei beni all'ente originario o all'ente ponte.

 

Gli articoli da 48 a 59 disciplinano il cd. bail in, che consiste nella riduzione o nella conversione in azioni delle passività emesse dall'intermediario in risoluzione; il bail-in potrà essere adottato a partire dal 1° gennaio 2016.

Esso può essere disposto (articolo 48) da solo, se sufficiente al risanamento e con lo scopo di ripristino del patrimonio dell'ente sottoposto a risoluzione nella misura necessaria al rispetto dei requisiti prudenziali e idonea a ristabilire la fiducia del mercato; ovvero anche congiuntamente alle operazioni di cessione, per ridurre le passività cedute.

L'articolo 49 chiarisce che sono escluse dal bail-in alcune passività, tra cui i depositi protetti fino a 100.000 euro, le passività garantite, le passività interbancarie con scadenza originaria inferiore a sette giorni.

E' prevista la possibilità per la Banca d'Italia di escludere eccezionalmente, in tutto o in parte, ulteriori passività, alle seguenti condizioni:

  1. ove non sia possibile applicare il bail-in a tali passività in tempi ragionevoli;
  2. l'esclusione è strettamente necessaria e proporzionata a specifici scopi (assicurare la continuità delle funzioni essenziali e delle principali linee di operatività dell'ente sottoposto a risoluzione, per consentirgli di preservare la propria operatività e la fornitura di servizi chiave; evitare un contagio che perturberebbe gravemente il funzionamento dei mercati finanziari e delle infrastrutture di mercato con gravi ricadute negative sull'economia di uno Stato membro o dell'Unione europea);
  3. l'inclusione di tali passività nell'applicazione del bail-in determinerebbe una distruzione di valore tale che gli altri creditori sopporterebbero perdite maggiori rispetto a quelle che essi subirebbero in caso di esclusione di tali passività dal meccanismo.

L'esclusione deve seguire specifici principi ed essere tempestivamente notificata alla Commissione UE. Le perdite escluse sono dunque spalmate sui titolari di altre passività o sul fondo di risoluzione, il cui intervento è condizionato all'effettuazione di un bail-in pari ad almeno l'8 per cento del totale passivo. In questo caso, il fondo di risoluzione può intervenire per coprire il relativo fabbisogno di capitale con una contribuzione che non può eccedere il 5 per cento del totale passivo. Anche per il bail-in vale il no creditor worse off: il creditore soggetto a bail-in non si deve trovare in una condizione peggiore rispetto a quella in cui si troverebbe se, in alternativa alla risoluzione, fosse stato attivato il più tradizionale strumento della liquidazione coatta amministrativa.

L'articolo 50 chiarisce i requisiti minimi delle passività soggette alla procedura, determinato dalla Banca d'Italia; l'articolo 51 fissa i criteri per la determinazione dell'importo del bail-in; l'articolo 52 chiarisce il trattamento di azionisti e creditori, fissando in particolare l'ordine con il quale è effettuata l'allocazione dell'importo da sottoporre a bail in tra i soggetti interessati. L'articolo 53 reca l'opportuna disciplina di coordinamento con il TUB in materia di acquisto di partecipazioni qualificate o del loro incremento, affinché le procedure autorizzatorie non interferiscano con la procedura di risoluzione. L'articolo 54 disciplina le modalità di bail-in per i derivati. Con l'articolo 55 si chiarisce che il tasso di conversione compensa adeguatamente il creditore per le perdite subite a seguito della riduzione o della conversione. E' data facoltà alla Banca d'Italia di applicare tassi di conversione diversi a categorie di passività aventi posizione diversa nell'ordine di priorità applicabile in sede concorsuale. Se si applicano tassi di conversione diversi, il tasso di conversione applicabile alle passività sovraordinate in tale ordine è maggiore di quello applicabile alle passività subordinate.

L'articolo 56 disciplina il piano di riorganizzazione aziendale, da redigere e attuare quando la funzione del bail in è di ricapitalizzare un ente sottoposto a risoluzione. Esso è redatto (e attuato) a carico dei commissari speciali o dell'organo di amministrazione; è comunicato alla Banca d'Italia, che ne valuta l'adeguatezza allo scopo di ripristinare la sostenibilità economica a lungo termine dell'ente, ed eventualmente lo approva, o chiede che esso sia modificato.

L'articolo 57 disciplina gli effetti del bail in, mentre l'articolo 58 consente la rimozione degli eventuali ostacoli al bail-in. L'articolo 59 reca disposizioni in ordine al riconoscimento contrattuale della misura: se una passività soggetta a bail-in è disciplinata dal diritto di uno Stato terzo, i contratti delle banche devono includere una clausola mediante la quale il creditore riconosce che la passività è assoggettabile a un eventuale bail-in disposto dalla Banca d'Italia e accetta di subirne gli effetti. La clausola si considera in ogni caso inserita di diritto nel contratto, anche in sostituzione di clausole difformi eventualmente apposte dalle parti, senza che sia dovuto alcun indennizzo per la sua mancata previsione.

Il Capo V del titolo IV disciplina i poteri della Banca d'Italia per attuare il programma di risoluzione. ln particolare è previsto, al fine di assicurare la continuità operativa della banca e l'efficacia delle misure di risoluzione, che possano essere sospesi temporaneamente i diritti dei creditori di escutere garanzie o recedere dai contratti.

L'articolo 60 disciplina i poteri generali di risoluzione della Banca d'Italia, che spaziano dal potere di richiesta di informazioni a specifiche azioni sui titoli rappresentativi di capitale e al potere di removal degli organi apicali. Salvo quando diversamente disposto dalle norme, nell'esercizio di tali poteri l'istituto non è tenuto a ottenere il consenso da parte di qualsiasi soggetto pubblico o privato, inclusi azionisti o creditori dell' ente sottoposto a risoluzione, né a fornire comunicazioni prima dell'esercizio dei poteri di risoluzione. L'articolo 61 disciplina i poteri accessori della Banca d'Italia, esercitabili salvo i diritti di risarcimento e di indennizzo previsti nelle norme in esame. Ai sensi dell'articolo 62, la Banca d'Italia può imporre ad un ente sottoposto a risoluzione o ad altre componenti del gruppo di appartenenza di fornire al cessionario i servizi e i mezzi necessari per esercitare le attività cedute, esclusa ogni forma di sostegno finanziario. L'articolo 63 reca le procedure di esecuzione di misure disposte da autorità di risoluzione di altri Stati membri; l'articolo 64 disciplina i poteri della Banca d'Italia in relazione ad attività ubicate in un Stato terzo o ad azioni, altre partecipazioni, diritti o passività disciplinati dal diritto di uno Stato terzo.

L'articolo 65 disciplina l'effetto dell'avvio delle procedure di gestione della crisi e di risoluzione sui contratti stipulati dagli enti che vi sono sottoposti; in linea generale, si dispone che in tali casi non siano integrati in automatico i presupposti per l'inadempimento contrattuale (dunque non si può escutere la garanzia o richiedere automaticamente la dichiarazione dello stato di insolvenza).

L'articolo 66 consente alla Banca d'Italia di sospendere gli obblighi di pagamento o di consegna a norma di un contratto di cui l'ente sottoposto a risoluzione è parte, a specifiche condizioni. Con l'articolo 67 si prevede che la Banca d'Italia possa limitare l'escussione di garanzie aventi a oggetto attività dell'ente sottoposto a risoluzione; analogamente (articolo 68) essa può sospendere l'attivazione di meccanismi terminativi (ossia clausole che consentono alle parti contrattuali il diritto di sciogliere un contratto o chiuderlo, di esigere l'intera prestazione con decadenza dal beneficio del termine, etc.: in generale, ogni disposizione che consente la sospensione, la modifica o l'estinzione di un'obbligazione da parte di un contraente o impedisce l'insorgere di un obbligo previsto dal contratto) riconosciuti alla controparte di un contratto stipulato da un ente sottoposto a risoluzione, a condizione che continuino a essere eseguiti gli obblighi di pagamento e di consegna, nonché di prestazione della garanzia.

Con il Capo VI del Titolo IV si disciplina il coordinamento della Banca d'Italia con le altre autorità di risoluzione europee nei collegi di risoluzione, quando la crisi riguarda gruppi cross-border.

Sono in particolare individuati (articolo 69) i principi e criteri relativi a decisioni o azioni che coinvolgono più Stati membri: cooperazione con finalità di coordinamento ed efficacia delle decisioni e delle azioni; considerazione dell'impatto delle decisioni o azioni sulla stabilità finanziaria e, più in generale, sugli interessi degli altri Stati membri coinvolti; bilanciamento degli interessi dei diversi Stati membri interessati; applicazione delle previsioni e misure indicate nei piani di risoluzione, a meno che, in relazione alle circostanze, gli obiettivi della risoluzione possano essere meglio perseguiti in altro modo. Sono poi disciplinate le modalità di partecipazione ai cd. collegi di risoluzione (articolo 70) previsti dagli articoli 88 e 89 della direttiva BRRD (2014/59/UE).

Detti collegi sono costituiti dalle autorità di risoluzione a livello di gruppo per l'esercizio dei compiti connessi alla risoluzione e, se del caso, per assicurare la cooperazione e il coordinamento con le autorità omologhe di paesi terzi. Essi costituiscono un quadro in cui l'autorità di risoluzione a livello di gruppo, le altre autorità di risoluzione e, se del caso, le autorità competenti e le autorità di vigilanza su base consolidata possono svolgere una serie di compiti, tra i quali l'elaborazione dei piani di risoluzione a livello di gruppo, la decisione circa la necessità di stendere un programma di risoluzione ed il raggiungimento dell'accordo sul programma proposto, il coordinamento della comunicazione al pubblico delle strategie e dei programmi di risoluzione di gruppo e dell'impiego dei meccanismi di finanziamento. Inoltre, i collegi di risoluzione possono essere utilizzati quali forum di discussione di questioni inerenti alla risoluzione della crisi di un gruppo transfrontaliero.

Per quanto invece concerne i collegi europei di risoluzione, ove un ente di un paese terzo o un'impresa madre di un paese terzo abbia enti filiazione nell'Unione stabiliti in due o più Stati membri, oppure due o più succursali nell'Unione ritenute significative da due o più Stati membri, le autorità di risoluzione degli Stati membri in cui sono stabiliti tali enti filiazione nell'Unione o in cui tali succursali significative sono situate costituiscono un cd. collegio europeo di risoluzione. Il collegio europeo di risoluzione svolge le funzioni ed esegue i compiti del collegio di risoluzione in relazione agli enti filiazione e, nella misura in cui detti compiti siano pertinenti, alle succursali.

In particolare, in seno a tali collegi:

  • la Banca d'Italia, se è l'autorità di risoluzione di una società controllata sottoposta a vigilanza consolidata in un altro Stato membro, può chiedere il riesame del piano di risoluzione di gruppo che può avere effetti sulle finanze pubbliche (articolo 71);
  • sono disciplinate le decisioni sulle azioni di risoluzione in seno ai collegi di risoluzione e la partecipazione del MEF (articolo 72);
  • vengono fissati i principi (articolo 73) per lo scambio dei flussi informativi tra Autorità;

Nel Capo VII del Titolo IV si disciplina il rapporto con gli Stati terzi.

Più in dettaglio, l'articolo 74 reca le procedure di riconoscimento e applicazione delle misure di risoluzione adottate in Stati terzi ove manchi un accordo internazionale di cooperazione, stipulato dall'Unione Europea, che disciplini il riconoscimento e l'esecuzione delle misure di risoluzione adottate in Stati terzi. Sono in particolare elencate le ipotesi in cui la Banca d'Italia, sentite le altre autorità di risoluzione facenti parte del collegio europeo di risoluzione, se istituito, può decidere di non riconoscere le misure di risoluzione avviate in uno Stato terzo. L'articolo 75 individua le condizioni alle quali la Banca d'Italia può adottare misure di risoluzione nei confronti di succursali italiane di una banca avente sede legale in uno Stato terzo non sottoposta a risoluzione in tale Stato, ovvero al ricorrere di specifiche condizioni. Sono poi chiarite le modalità di cooperazione con le autorità degli Stati terzi (articolo 76) e di scambio di informazioni riservate (articolo 77).

 

Il Titolo V dello schema in esame disciplina i cd. fondi di risoluzione nazionali.

Essi sono costituiti per raccogliere contributi (ex ante e, se necessario, anche ex post) dalle banche per finanziare la risoluzione attraverso operazioni quali, ad esempio, la concessione di garanzie sulle attività o passività dell'intermediario sottoposto a risoluzione, l'esecuzione di conferimenti nel capitale sociale di una bridge bank o di una bad bank, l'erogazione di indennizzi ad azionisti o creditori per assicurare il rispetto del principio del no creditor worse off.

In base a quanto previsto nell'ambito del Regolamento SRM, il fondo di risoluzione italiano è destinato a confluire nel fondo di risoluzione unico, una volta che il Meccanismo di Risoluzione Unico sia divenuto pienamente operativo.

Si ricorda brevemente che il meccanismo di risoluzione unico (SRM) costituisce uno dei pilastri dell'unione bancaria; il suo scopo è garantire una risoluzione ordinata delle banche in dissesto, con costi minimi per i contribuenti e per l'economia reale. Esso si compone di un'autorità di risoluzione a livello dell'UE - il Comitato di risoluzione unico - e di un fondo di risoluzione comune, finanziato dal settore bancario. Esso entra in vigore il 1° gennaio 2016 ed è destinato ad essere utilizzato per la risoluzione delle banche in dissesto quando sono esaurite le altre opzioni, ad esempio lo strumento del bail-in.
Il Fondo è finanziato dai contributi del settore bancario, con una costituzione graduale (nell'arco di 8 anni, quindi con completamento nel 2024); esso dovrebbe raggiungere almeno l'1% dell'importo dei depositi protetti di tutti gli enti creditizi autorizzati in tutti gli Stati membri dell'unione bancaria. Il suo importo stimato è di circa 55 miliardi di EUR. Il singolo contributo dovuto da ciascuna banca è calcolato in percentuale dell'ammontare delle sue passività (esclusi i fondi propri e i depositi protetti) in relazione alle passività aggregate (esclusi i fondi propri e i depositi protetti) di tutti gli enti creditizi autorizzati negli Stati membri partecipanti. I contributi saranno adattati in proporzione ai rischi assunti da ciascun ente. I contributi delle banche raccolti a livello nazionale saranno trasferiti al Fondo di risoluzione unico.
Condizione preliminare per l'accesso al Fondo è l'applicazione delle norme di bail-in e dei principi stabiliti nella direttiva BRRD e nel regolamento 806/2014 (Regolamento SRM).
Il Fondo è inizialmente costituito di "comparti nazionali", che verranno gradualmente fusi nel corso della fase transitoria della durata di otto anni. Questa messa in comune dell'utilizzo dei fondi versati inizierà con il 40% nel primo anno e un ulteriore 20% nel secondo anno, per poi aumentare continuamente di uguale importo nei rimanenti sei anni, fintantoché i comparti nazionali non cesseranno di esistere. Il trasferimento e la messa in comune dei fondi sono definiti in un accordo intergovernativo distinto tra gli Stati membri che aderiscono all'unione bancaria. 26 Stati membri (tutti i paesi dell'UE, tranne Svezia e Regno Unito) hanno firmato l'accordo il 21 maggio 2014. In una dichiarazione separata, i firmatari hanno espresso l'intenzione di completare il processo di ratifica per tempo, affinché l'SRM diventi operativo a partire dal 1° gennaio 2016.
Gli Stati membri non appartenenti alla zona euro che hanno firmato l'accordo dovranno osservare i diritti e gli obblighi che discendono dall'accordo soltanto una volta che avranno aderito al meccanismo di vigilanza unico e al meccanismo di risoluzione unico.
Nel dicembre del 2013 i ministri delle finanze dell'UE hanno adottato una dichiarazione che precisa che, durante la fase di costituzione iniziale del Fondo di risoluzione unico, finanziamenti ponte saranno disponibili a partire da fonti nazionali, sostenuti da prelievi a carico delle banche, oppure dal meccanismo europeo di stabilità, conformemente alle procedure esistenti. Saranno altresì possibili trasferimenti temporanei tra comparti nazionali. Durante la fase di transizione verranno elaborate misure comuni di sostegno che faciliteranno l'assunzione di prestiti da parte del Fondo di risoluzione unico e saranno infine rimborsate mediante contributi del settore bancario.

La disciplina BRRD è completata dal regolamento delegato 2015/63 della Commissione Europea che, ai sensi dell'articolo 107, BRRD, reca la disciplina di attuazione in materia di determinazione dei contributi ex ante al fondo di risoluzione nazionale. Il regolamento 2015/63 è; direttamente applicabile ed esso assegna direttamente all'autorità di risoluzione i necessari poteri.

 

L'articolo 76 istituisce presso la Banca d'Italia uno o più fondi di risoluzione; essi sono alimentati:

  • dai contributi ordinari (articolo 82), versati annualmente dalle banche aventi sede legale in Italia e dalle succursali italiane di banche extracomunitarie, ai fini del raggiungimento del livello specificato dalle norme stesse, nell'ammontare determinato dalla Banca d'Italia;
  • dai contributi straordinari (articolo 83), versati dagli stessi soggetti quando i contributi ordinari sono insufficienti a coprire perdite, costi o altre spese. I contributi straordinari sono calcolati conformemente a quanto previsto per i contributi ordinari, assicurando che il loro ammontare non superi il triplo dell'importo annuo medio dei contributi ordinari dovuti fino al raggiungimento del livello-obiettivo fissato dalla normativa in esame. La Banca d'Italia può rinviare, in tutto o in parte, il pagamento dei contributi straordinari quando esso metterebbe a repentaglio la liquidità o solvibilità del soggetto tenuto ad effettuarlo, a specifiche condizioni fissate dalla Commissione UE;
  • da prestiti e altre forme di sostegno finanziario, quando i contributi ordinari non sono sufficienti a coprire le perdite, i costi o le altre spese sostenuti e i contributi straordinari non sono prontamente disponibili o sufficienti. In particolare, l'articolo 84 consente di contrarre prestiti con meccanismi di finanziamento istituiti in un altro Stato membro, e viceversa di concederne;
  • da somme versate dall'ente sottoposto a risoluzione o dall'ente-ponte, interessi e altri utili derivanti dai propri investimenti.

I contributi costituiscono un patrimonio autonomo, distinto dal patrimonio della Banca d'Italia e da quello di ciascun soggetto che le ha fornite. Come tale, risponde solo delle obbligazioni contratte per l'esercizio delie funzioni previste dalle norme in esame e non è aggredibile dai creditori della Banca d'Italia o nell'interesse degli stessi, né dai creditori dei soggetti che hanno versato le risorse raccolte nei fondi o nell'interesse degli stessi.

L'articolo 79 chiarisce gli scopi dei fondi di risoluzione: essi possono essere usati solo nell'ambito delle procedure di risoluzione con diverse modalità (tra cui, a titolo esemplificativo: a garanzia di attività o passività dell'ente sottoposto a risoluzione, per la concessione di finanziamenti, per l'acquisto di attività dell'ente sottoposto a risoluzione etc.). Si chiarisce che i fondi di risoluzione non possono essere usati per assorbire direttamente le perdite di uno dei soggetti sottoposti a risoluzione né per ricapitalizzarli. Ai sensi dell'articolo 80, i fondi di risoluzione sono istituiti presso altri soggetti individuati dalla Banca d'Italia, ivi inclusi i sistemi di garanzia dei depositanti.

L'articolo 81 chiarisce che entro il 31 dicembre 2024 la dotazione finanziaria complessiva dei fondi di risoluzione deve essere pari all'l per cento dei depositi protetti, risultanti alla data di chiusura dell'ultimo bilancio annuale dei soggetti tenuti al versamento dei contributi, da essi approvato. La Banca d'Italia può prorogare il predetto termine per un massimo di quattro anni se i fondi di risoluzione hanno effettuato esborsi cumulativi per una percentuale superiore allo 0,5 per cento dei depositi protetti di tutti i soggetti tenuti al versamento dei contributi.

L'articolo 85 chiarisce come vengono utilizzati i fondi nel caso di risoluzione di un gruppo con componenti in altri Stati membri: in tali casi, le risorse sono utilizzate secondo un piano di finanziamento proposto dall'autorità di risoluzione di gruppo e approvato nell'ambito del programma di risoluzione.

L'articolo 86 chiarisce l'intervento del sistema di garanzia dei depositanti nel caso di risoluzioni. Il sistema di garanzia cui aderisce l'ente sottoposto a risoluzione corrisponde a tale ente una somma in denaro pari:

  • in caso di applicazione dei bail-in, all'ammontare di cui i depositi protetti sarebbero stati ridotti, ai fini dell'assorbimento delle perdite, se a quei depositi fosse stato applicato il bail-in; oppure
  • in caso di cessione di beni e rapporti giuridici a un privato, all'ente-ponte o a una società veicolo per la gestione delle attività, l'ammontare delle perdite che i depositi protetti avrebbero subito, se avessero ricevuto il medesimo trattamento riservato ai creditori soggetti a perdite aventi lo stesso ordine di priorità.

In caso di applicazione del bail-in, il sistema di garanzia dei depositanti non contribuisce agli oneri per la ricapitalizzazione dell'ente o dell'ente-ponte. Quanto dovuto dal sistema di garanzia dei depositanti non può eccedere l'ammontare delle perdite che esso avrebbe sostenuto se la banca fosse stata sottoposta a liquidazione coatta amministrativa.

Ove i depositi ammessi al rimborso detenuti presso una banca soggetta a risoluzione siano trasferiti solo parzialmente a un ente-ponte o a un'altra banca per effetto della cessione dell'attività d'impresa, i depositanti non vantano alcun diritto nei confronti dei sistema di garanzia dei depositanti in relazione alla porzione non trasferita, purché l'importo dei depositi trasferiti sia pari o superiore a 100.000 euro (l'importo massimo protetto ai sensi dell'articolo 96-bis comma 5, del TUB).

 

Il Titolo VI dello schema in esame contiene le norme che garantiscono il rispetto del principio del no creditor worse off di azionisti e creditori, e cioè il principio secondo cui tali soggetti subiscono le perdite secondo la priorità applicabile in sede di procedura concorsuale ma, comunque, in misura non peggiore di quanto avverrebbe in caso di liquidazione coatta amministrativa o analoga procedura concorsuale.

Tale principio è esplicitato per il caso di applicazione del bail-in e di cessioni parziali (articolo 87). A presidio di tale principio, si chiarisce che un esperto indipendente incaricato dalla Banca d'Italia (articolo 88), a seguito delle azioni di risoluzione, effettua tempestivamente una valutazione per determinare il trattamento che gli azionisti e i creditori - incluso, se del caso, il sistema di garanzia dei depositanti - avrebbero ricevuto, nel momento in cui è stata accertata la sussistenza dei presupposti per l'avvio della risoluzione, se l'ente sottoposto a risoluzione fosse stato liquidato secondo la liquidazione coatta amministrativa disciplinata dal Testo Unico Bancario o altra analoga procedura concorsuale applicabile e le azioni di risoluzione non fossero state poste in essere; valuta inoltre l'eventuale differenza rispetto al trattamento ricevuto da costoro in concreto, per effetto delle azioni di risoluzione. Inoltre azionisti e creditori, incluso il sistema di garanzia dei depositanti, che sulla base della valutazione risultino aver subito perdite maggiori di quelle che avrebbe subito in una liquidazione coatta amministrativa o altra analoga procedura concorsuale applicabile, hanno diritto a ricevere, a titolo di indennizzo, esclusivamente una somma equivalente alla differenza determinata dall'esperto, a carico del fondo di risoluzione (articolo 89).

Sono previsti meccanismi di salvaguardia per le controparti contrattuali nel caso di cessioni parziali (articolo 90), in particolare concernenti le controparti di alcuni accordi di garanzia e di garanzia finanziaria con trasferimento dei titolo in proprietà, così come in alcuni accordi di compensazione, di netting, per obbligazioni garantite e nel caso di alcuni contratti di finanza strutturata, con specifiche modalità recate dagli articoli da 91 a 93. L'articolo 94 reca le tutele dei sistemi di negoziazione, compensazione e regolamento nel caso di cessioni parziali.

L'articolo 95 rinvia al Codice del processo amministrativo per la tutela giurisdizionale amministrativa; nei giudizi avverso le misure di gestione della crisi, si presume fino a prova contraria che la sospensione dei provvedimenti della Banca d'Italia o del Ministro dell'economia e delle finanze sarebbe contraria all'interesse pubblico; nei medesimi giudizi non si applicano alcune norme del Codice del processo amministrativo (gli articoli 19 e 63, comma 4, rispettivamente relativi al verificatore e consulente tecnico e alla loro attività nel processo ai fini del reperimento dei mezzi di prova).

 

Il Titolo VII reca l'apparato sanzionatorio (articoli 96-98). Viene in particolare fatto rinvio all'impianto sanzionatorio introdotto dal D.Lgs. n. 72 del 2015 nel Testo Unico Bancario, che ha recepito la direttiva 2013/36/UE (cosiddetta CRD 4) intervenendo sugli articoli da articolo 144 a 145-ter del Testo Unico Bancario.

Il richiamato decreto legislativo n. 72 del 2015 ha riformato l'impianto sanzionatorio amministrativo del Testo Unico Bancario, con riferimento sia a specifiche fattispecie, sia ai principi ed alla misura delle sanzioni applicabili.
Coerentemente a quanto previsto dalla legge di delega, è stato differenziato il trattamento di persone fisiche e di persone giuridiche ed è stata rimodulata la misura delle sanzioni, prevedendo l'innalzamento della pena ove il vantaggio ricavato dalle violazioni sia superiore ai massimali di legge. In sintesi:
  • stato costruito un sistema sanzionatorio volto a colpire in primo luogo l'ente e, solo sulla base di presupposti individuati dal diritto nazionale, anche l'esponente aziendale o la persona fisica responsabile della violazione (modifiche all'articolo 144);
  • ai sensi dell'articolo 144-bis la Banca d'Italia può disporre, per le violazioni connotate da scarsa offensività o pericolosità, in alternativa all'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, nei confronti della società o dell'ente una sanzione consistente nell'ordine di eliminare le infrazioni (cease and desist order), anche indicando le misure da adottare e il termine per l'adempimento. Nel caso di inosservanza a tale ordine, si applicano le sanzioni pecuniarie, elevandone l'ammontare fino a un terzo, fermi i limiti di legge;
  • l'articolo 144-ter disciplina le sanzioni applicabili agli esponenti aziendali o al personale. Coerentemente alle prescrizioni di delega, l'applicazione delle misure al personale o agli esponenti apicali è secondaria alle misure sanzionatorie nei confronti della persona giuridica cui fanno capo;
  • l'articolo 144-quater reca i criteri per la determinazione del quantum delle sanzioni. Tra di esse vi sono: la gravità e la durata della violazione, la capacità finanziaria del responsabile e l'entità del vantaggio ottenuto, il livello di cooperazione con la Banca d'Italia ed anche le potenziali conseguenze sistemiche della violazione;
  • l'articolo 144-quinquies estende l'impianto sanzionatorio così delineato anche al caso in caso di inosservanza del regolamento n. 575/2013 sui requisiti di capitale, nell'ambito della relativa materia, nonché per le violazioni delle relative norme tecniche di regolamentazione e di attuazione emanate dalla Commissione Europea, ovvero in caso di inosservanza degli atti dell'ABE direttamente applicabili ai soggetti vigilati;
  • con le modifiche all'articolo 145 del TUB sono stati rivisti la procedura per l'applicazione delle sanzioni e il regime di pubblicità delle stesse, con rafforzamento del contraddittorio col soggetto sanzionato e la previsione della pubblicazione dei provvedimenti, in luogo dei giornali cartacei, sul sito web della Banca d'Italia; viene dettata una puntuale disciplina dell'opposizione alla sanzione, con possibilità di ricorrere in corte d'appello;
  • sono introdotti gli articoli 145-ter (che impone la comunicazione all'EBA dei provvedimenti sanzionatori) e 145-quater (che conferisce alla Banca d'Italia il potere di emanare le relative disposizioni attuative).

L'articolo 99 recepisce nell'ordinamento le modifiche alla legislazione europea introdotte dal Titolo X della direttiva BRRD.

Il comma 5 dell'articolo 99 introduce una deroga all'articolo 114 TUF in materia di diffusione di informazioni privilegiate; come chiarito dalla relazione illustrativa, infatti, la direttiva BRRD non reca norme di raccordo con la normativa UE in tema di abusi di mercato. Viene introdotta una norma in linea con l'articolo 17, comma 5, del regolamento (UE) n. 596/2014 relativo agli abusi di mercato, applicabile a partire da luglio 2016: si prevede la possibilità, nel caso l'emittente sia un ente creditizio o finanziario, di ritardare la comunicazione al pubblico di informazioni privilegiate al fine di salvaguardare la stabilità del sistema finanziario.

L'articolo 100 reca norme di coordinamento con la legge fallimentare, in materia di liquidazione coatta amministrativa, per tenere conto dell'introduzione della procedura di risoluzione. In particolare, si precisa che la sentenza che dichiara lo stato di insolvenza dell'ente sottoposto a liquidazione coatta amministrativa senza fallimento deve essere comunicata entro tre giorni all'autorità competente, perché questa disponga, oltre che la liquidazione, l'eventuale avvio delle procedure di risoluzione.

L'articolo 101 reca disposizioni penali, introdotte anche in mancanza di uno specifico criterio di delega; con l'introduzione del comma 3-bis all'articolo 2638 del codice civile, che disciplina il reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, viene effettuata l'equiparazione delle autorità di risoluzione alle autorità di vigilanza anche agli effetti della legge penale.

Viene altresì chiarito che – ai sensi delle norme generali – la violazione dell'obbligo di segreto (di cui al già commentato articolo 5), è punita a norma dell'articolo 622 del codice penale, ma si procede d'ufficio e non su querela.

Gli articoli 102 e 103 recano il contenuto provvisorio dei piani di risoluzione, da applicarsi fintantoché non intervengano i provvedimenti della Banca d'Italia attuativi della introdotta disciplina. Analogamente, l'articolo 104 indica il regime transitorio degli elementi da considerare nell'ambito della valutazione di risolvibilità di una banca o di un gruppo; il contenuto del piano di riorganizzazione aziendale a seguito del bail-in è provvisoriamente disciplinato dall'articolo 105.

L'articolo 106 chiarisce che lo schema in esame entra in vigore lo stesso giorno di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, in deroga alle norme generali, e posticipa al 1° gennaio 2016 l'operatività delle norme sul bail-in, coerentemente alle prescrizioni UE.

L'articolo 107 reca la clausola di invarianza finanziaria.


Appendice

Il contenuto della direttiva

La direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive – BRRD) affronta il tema delle crisi delle banche approntando strumenti nuovi che le autorità possono impiegare per gestire in maniera ordinata eventuali situazioni di dissesto non solo a seguito del loro manifestarsi, ma anche in via preventiva o ai primi segnali di difficoltà.

Essa introduce una molteplicità di strumenti, aventi carattere preventivo, carattere di intervento immediato, così come strumenti di "risoluzione" della crisi.

Per limitare al massimo l'erogazione di risorse pubbliche a favore delle banche in crisi, le autorità disporranno di poteri per allocare gli oneri della risoluzione, in primo luogo, in capo agli azionisti e ai creditori, secondo la gerarchia concorsuale stabilita dalla direttiva e, in secondo luogo, su un fondo di risoluzione alimentato dal sistema bancario.

Per quanto concerne l'ambito applicativo, la direttiva BRRD si applica alle imprese di investimento e a tutte le banche. In linea con i princìpi elaborati in ambito G-20, essa prevede un approccio graduale alla gestione delle crisi bancarie.

Le norme europee prevedono che, nei periodi di ordinaria operatività, sia svolta un'attività preparatoria continua della gestione di una crisi. Le banche devono predisporre – ed aggiornare almeno annualmente – un piano di risanamento contenente misure idonee a fronteggiare un deterioramento significativo della situazione finanziaria, basato su assunzioni realistiche e relative a scenari che prevedano situazioni di crisi anche gravi. Il piano non deve assumere la possibilità di accesso a forme di finanziamento pubblico straordinarie. Esso deve essere sottoposto alle competenti autorità per la sua valutazione che viene effettuata entro sei mesi dall'approvazione del piano.

Le autorità di risoluzione devono elaborare preventivamente piani di risoluzione, da attivare per gestire le situazioni di crisi. Devono essere individuati ed eliminati gli eventuali ostacoli alla possibilità di "risolvere" in maniera ordinata gli intermediari.

Le autorità di risoluzione possono intervenire in via autoritativa fino a imporre – secondo un principio di proporzionalità – modifiche alla struttura operativa, giuridica e organizzativa degli intermediari, per ridurne la complessità o per isolare, in un'ottica di preservazione, le funzioni critiche.

Ai primi segnali di deterioramento delle condizioni finanziarie o patrimoniali, le autorità di vigilanza (la Banca d'Italia o, per le banche di dimensioni maggiori, la BCE) possono adottare provvedimenti che integreranno il tradizionale strumentario degli interventi prudenziali. La direttiva conferisce infatti alle autorità competenti strumenti di intervento rapido al fine di evitare che il peggioramento della situazione finanziaria di un determinato ente sia tale da non lasciare alternative agli strumenti di risoluzione; tali capacità di intervento rapido comprendono anche la possibilità di rimuovere i vertici dell'ente e di nominare amministratori straordinari, con il compito di affrontare le difficoltà finanziarie dell'istituto.

In presenza di uno stato di dissesto, anche solo prospettico, le autorità di risoluzione devono valutare se è possibile attivare la procedura ordinaria d'insolvenza – nel nostro ordinamento bancario, la liquidazione coatta amministrativa – o se è necessario avviare la speciale procedura di risoluzione, di nuova introduzione. La procedura ordinaria d'insolvenza non può essere avviata se le autorità di risoluzione valutano che essa non è idonea ad assicurare il conseguimento degli obiettivi d'interesse pubblico sottesi alla disciplina sulle crisi, cioè preservare la stabilità sistemica, minimizzare il sostegno pubblico, tutelare depositanti e clienti. In questo caso, viene disposta la procedura di risoluzione.

Nell'ambito della risoluzione è possibile applicare una vasta gamma di strumenti per superare la crisi. In particolare, le autorità competenti devono predisporre un piano per ciascun ente in cui vengono illustrate le procedure da porre in atto con rapidità dall'autorità medesima al fine di assicurare la continuità delle funzioni dell'ente sottoposto a tale procedura. Può essere disposto il trasferimento forzoso di beni e rapporti giuridici dall'intermediario in crisi ad acquirenti privati, potranno essere costituiti veicoli societari per salvaguardare le funzioni essenziali e ricollocarle sul mercato (ente ponte o bridge bank) o realizzare il valore a lungo termine delle attività deteriorate (bad bank).

Lo strumento più innovativo di una procedura di risoluzione è, tuttavia, il cd. bail-in, che consiste nella riduzione forzosa del valore delle azioni e del debito della banca in crisi, e/o nella conversione di quest'ultimo in capitale.

In tal senso, si passa da un sistema in cui la risoluzione delle crisi è imperniata sul ricorso ad apporti esterni, forniti dallo Stato (bail-out) ad un nuovo sistema, che ricerca all'interno degli stessi intermediari le risorse necessarie tramite il coinvolgimento di azionisti e creditori (bail-in).

Sono escluse dall'applicazione del bail-in alcune categorie di passività, segnatamente quelle più rilevanti per la stabilità sistemica o quelle protette nell'ambito fallimentare, come i depositi di valore inferiore a 100.000 euro, le obbligazioni garantite da attivi della banca, i debiti a breve sul mercato interbancario. Altre categorie di passività potranno essere escluse dall'autorità di risoluzione, in casi particolari, sulla base di una valutazione specifica degli effetti sulla stabilità sistemica e del possibile contagio. Nell'allocazione delle perdite dovrà essere rispettata la gerarchia prevista dalla direttiva, che in parte modifica quella concorsuale prevedendo, tra l'altro, che i depositi superiori a 100.000 euro detenuti dalle persone fisiche e dalle piccole e medie imprese siano colpiti dopo gli altri crediti chirografari (c.d. pecking order). In ogni caso, il trattamento riservato agli azionisti e ai creditori nell'ambito della risoluzione non potrà essere peggiore rispetto a quello che essi avrebbero subìto in caso di liquidazione coatta amministrativa.

La direttiva dispone inoltre che gli Stati membri istituiscano meccanismi di finanziamento per rendere effettivi gli strumenti e i poteri delle autorità competenti in caso di risoluzione: tali fondi dovranno disporre, a partire dal 2025, di mezzi finanziari pari ad almeno l'1% dell'ammontare dei depositi protetti nel territorio nazionale. In casi eccezionali, le autorità di risoluzione possono escludere, integralmente o parzialmente, le passività e utilizzare i meccanismi di finanziamento per assorbire le perdite o ricapitalizzare la banca. Tale possibilità si può esercitare solo quando le perdite che ammontano almeno all'8% delle passività totali, fondi propri compresi, siano già state assorbite mediante strumenti di bail-in. Inoltre, il finanziamento del fondo di risoluzione si deve limitare al 5% delle passività totali, fondi propri compresi, oppure ai mezzi a disposizione del fondo e all'importo che può essere raccolto mediante conferimenti successivi in un arco di tre anni.

Il salvataggio attraverso il finanziamento pubblico si configura, nella nuova architettura, come un estremo rimedio qualora le procedure previste dalla direttiva non siano sufficienti a risolvere la crisi e a prevenire effetti dannosi all'economia. I governi possono in particolare intervenire attraverso specifici strumenti di stabilizzazione che possono consistere nell'apporto di capitale pubblico per ricapitalizzare un istituto ovvero nella nazionalizzazione temporanea dell'istituto medesimo. In ogni caso la possibilità di utilizzare gli strumenti di stabilizzazione pubblici soggiace al medesimo limite dell'8% di assorbimento delle perdite mediante procedimento di bail-in e la verifica della compatibilità dell'intervento con la disciplina degli aiuti di Stato.

Secondo quanto previsto dal regolamento istitutivo del Meccanismo di Risoluzione Unico e dal connesso Accordo Intergovernativo, dal 2016 i Fondi di risoluzione nazionali saranno sostituiti da un Fondo unico europeo, inizialmente diviso in comparti nazionali che progressivamente confluiranno in un comparto comune.

Sotto il profilo istituzionale, la direttiva prevede che le funzioni di risoluzione e i relativi poteri siano assegnati da ciascuno Stato membro a uno specifico soggetto pubblico, l'autorità di risoluzione. Essa potrà essere creata ad hoc oppure individuata nella banca centrale, nell'autorità di vigilanza, nel ministero dell'economia; in questo secondo caso dovranno essere adottati presidi volti ad assicurare la separazione strutturale tra le funzioni di risoluzione e gli altri compiti dell'autorità. La direttiva assegna agli Stati membri la facoltà di prevedere che le decisioni dell'autorità di risoluzione con implicazioni sulla stabilità sistemica o sulle finanze pubbliche siano soggette all'approvazione del ministro competente per le materie economiche. A partire dal 1° gennaio 2016, con l'entrata a pieno regime del Meccanismo di Risoluzione Unico, i compiti che la direttiva assegna all'autorità di risoluzione nazionale saranno svolti in coordinamento con il Comitato di Risoluzione Unico (Single Resolution Board), costituito nell'ambito del Meccanismo di Risoluzione Unico, sulla base della ripartizione di competenze stabilita nel relativo regolamento istitutivo.

Il termine di recepimento della direttiva, entrata in vigore il 2 luglio 2014, è fissato al 31 dicembre 2014. Gli Stati membri devono applicare le disposizioni di recepimento a decorrere dal 1° gennaio 2015, ad eccezione di alcune disposizioni relative alle procedure di bail-in che devono essere applicate non più tardi del 1° gennaio 2016.