Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri | ||||||||
Titolo: | Missione ad Erbil della III Commissione Affari esteri della Camera dei deputati (3-4 novembre 2014) | ||||||||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 144 | ||||||||
Data: | 30/10/2014 | ||||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari | ||||||||
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Camera dei deputati |
XVII LEGISLATURA |
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Documentazione e ricerche |
Missione ad Erbil della III Commissione Affari esteri della Camera dei
deputati |
(3-4 novembre
2014) |
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n. 144 |
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30 ottobre 2014 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri ( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it |
|
Ha collaborato: Ufficio Rapporti con
l’Unione europea ( 066760-2145 / 066760-2146 – * cdrue@camera.it |
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INDICE
La
Regione autonoma del Kurdistan iracheno (a cura del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale)
Gli interventi anti-ISIL in Iraq e Siria (a cura del Ministero degli affari
esteri e della cooperazione
internazionale)
Recenti sviluppi del quadro politico iracheno (a cura del
Ministero degli affari esteri e della cooperazione
internazionale)
Rapporti tra Turchia e Kurdistan iracheno (a cura del
Ministero degli affari esteri e della
cooperazione internazionale)
L’attività parlamentare in materia (a cura del Servizio Studi della Camera dei
deputati)
Rapporti tra Unione europea ed Iraq (a
cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)
Profili biografici
§ Mr. Yousif Mohammed Sadiq Speaker
of Kurdistan Parliament-Iraq
§
Qubad Talabani Vice Primo ministro del Governo regionale del kurdistan
Pubblicistica
§
’Stati Uniti
d’America: I dubbi sugli attacchi ‘intelligenti’ degli Stati Uniti’, in: www.lookoutnews.it, 2 ottobre 2014
§
’Turchia: La
Turchia in guerra contro lo Stato islamico’, in: www.lookoutnews.it, 3 ottobre 2014
§
G. Cuscito ‘Le
debolezze della coalizione contro lo Stato Islamico in Iraq e Siria’, in:
Limes, 2 ottobre 2014
§
’Turchia: Gli
jihadisti in cammino verso l’Europa’, in: www.lookoutnews.it,
6 ottobre 2014
§
G. Cucchi ‘Il
campanello d’allarme – Grazie, Califfato! Grazie, Califfo!’, in: www.affarinternazionali.it, 6 ottobre 2014
§
V. Camporini ‘Perché
l’intervento contro ISIS non sarà sufficiente’, in: www.aspeninstitute.it, 7 ottobre 2014
§
V. Giannotta
‘L’ISIS e la possibile svolta della politica estera turca’, in: www.aspeninstitute.it, 7 ottobre 2014
§
R. Menotti ‘I
raid aerei contro ISIS: il volto soft dell’hard power’, in: www.aspeninstitute.it, 7 ottobre 2014
§
A. M. Valli ‘Vaticano
e Iran uniti per proteggere i cristiani’, in: www.affarinternazionali.it,
7 ottobre 2014
§
U. Tramballi ‘Le
periferie della grande guerra contro il califfato’, in: www.affarinternazionali.it, 7 ottobre 2014
§
M. Arnaboldi ‘Sharia4:
un ponte tra Europa e Levante’, in: Commentary ISPI, 8 ottobre 2014
§
’Siria: Kobane
sotto assedio: le falle della strategia americana’, in: www.lookoutnews.it, 9 ottobre 2014
§
G. Cucchi ‘E
se Lawrence d’Arabia avesse avuto ragione?’, in: Limes, 9 ottobre 2014
§
F. Ventura ‘Lo
Stato Islamico minaccia l’equilibrio idropolitico in Siria e Iraq’, in:
Limes, 9 ottobre 2014
§ E. Harris ‘ISIS and Social Media’, in: www.cesi-italia.org.,
9 ottobre 2014
§
M. Guidi ‘La
Turchia osserva il massacro dei curdi di Kobane’, in: www.affarinternazionali.it, 9 ottobre 2014
§
’Siria: L’intervento
di terra americano in Siria e Iraq? Poco credibile’, in: www.lookoutnews.it, 10 ottobre 2014
§
L. Liimatainen ‘Lo Stato Islamico e il ricordo del primo jihad in Arabia Saudita’, in:
Limes, 10 ottobre 2014
§
A. M. Cossiga ‘Invece di bombardare lo Stato Islamico, dovremmo dialogarci’, in:
Limes, 13 ottobre 2014
§
N. Ronzitti ‘Casini
e Cicchitto, l’Onu contro il Califfo – Si può intervenire anche senza le
Nazioni Unite’, in: www.affarinternazionali.it,
13 ottobre 2014
§
’Turchia: La
Turchia combatte i curdi e aiuta lo Stato Islamico’, in: www.lookoutnews.it, 15 ottobre 2014
§
’Iraq: Baghdad
nel mirino dello Stato Islamico, in: www.lookoutnews.it,
16 ottobre 2014
§
’Siria: I
caccia dello Stato Islamico’, in: www.lookoutnews.it,
17 ottobre 2014
§
F. Ventura ‘La
guerra all’Is è l’ultima priorità per la Turchia in Siria’, in: Limes, 17
ottobre 2014
§
’Siria: La
prova di forza di Kobane’, in: www.lookoutnews.it,
20 ottobre 2014
§
A. M. Cossiga ‘Ribadisco: prima di distruggere lo Stato Islamico, parliamoci’, in:
Limes, 20 ottobre 2014
§
‘Turchia:
Chi sono i curdi’, in: www.lookoutnews.it, 23 ottobre 2014
§
’Siria: La
storia si ripete: le armi degli USA in mano al nemico’, in: www.lookoutnews.it, 23 ottobre 2014
§
F. Arpino ‘Fare
la guerra al Califfo, fingendo di non farla all’Islam’, in: www.affarinternazionali.it, 23 ottobre 2014
§
G. Cuscito ‘Nella
lotta all’Is Kobane è un’emergenza, l’Anbar è la priorità’, in: Limes, 17
ottobre 2014
§
R. Giaconi ‘I
due fronti australiani della guerra allo stato Islamico’, in: Limes, 29
ottobre 2014
§
A. Plebani ‘L’Iraq
tra le ombre del califfato e le speranze del nuovo esecutivo Al-Abadi’, paper presentato al Seminario della
Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della NATO sul tema Isis: conoscere una minaccia, Roma, 30
ottobre 2014
Documentazione allegata
§ OCHA (UNITED NATIONS OFFICE FOR THE
COORDINATION OF HUMANITARIAN AFFAIRS) ‘Iraq
CRISIS’ Situation Report No. 17 (18 October – 24 October 2014)
L’Offensiva dello
“Stato islamico” in Iraq ed in Siria:
cronologia degli ultimi avvenimenti
(a
cura del Servizio Studi
della Camera dei deputati)
Giugno 2014
Il 5 giugno la formazione jihadista dello “Stato islamico” (IS) forniva una
prima assoluta dimostrazione di forza sullo scenario iracheno – mentre già da
tempo si era invece affermata nella caotica situazione dei combattimenti in
territorio siriano - conquistando
importanti posizioni, e per di più con il controllo di una regione in cui si
concentrano le scarse risorse petrolifere di Damasco - con l’occupazione per alcune ore di diversi quartieri di una delle
città simbolo degli sciiti iracheni, Samarra, che i miliziani dell’IS
abbandonavano solo dopo molte ore di scontri con le forze di sicurezza
irachene, coadiuvate anche da elicotteri.
Intanto a Falluja, da gennaio nelle mani dell’IS, oltre alle centinaia di
vittime dei bombardamenti governativi che inutilmente hanno tentato di
riprendere la città, la situazione umanitaria della popolazione si rivelava
agli occhi di una delegazione del Comitato internazionale della Croce rossa
assolutamente disastrosa, con grave penuria di cibo, acqua e materiale
sanitario, e con l’unico ospedale gravemente danneggiato.
Il 7
giugno una serie di attentati per mezzo di autobomba devastava alcuni
quartieri periferici sciiti di Baghdad, provocando almeno 60 morti, nelle
stesse ore in cui nel campus universitario di Ramadi, ad appena 100 km dalla
capitale, i miliziani jihadisti prendevano in ostaggio studenti e impiegati.
Intanto a Mosul una sessantina di morti erano il risultato di scontri tra forze
di sicurezza e miliziani qaidisti, dopo che già il giorno precedente vi erano
state oltre 30 vittime. Le azioni dell’IS
cominciavano a mostrare un’ampiezza allarmante, ben al di fuori della provincia
di al-Anbar.
Il
10 giugno questi timori erano
pienamente confermati, con la caduta in
mano all’ IS di gran parte della provincia settentrionale di Ninive, e
soprattutto della sua capitale Mosul, seconda città del paese, posta al
centro della regione petrolifera del nord dell’Iraq. Nella circostanza erano confermate le paure sulla tenuta
dell’esercito iracheno, che perlopiù si limitava a ripiegare dalle proprie
posizioni, mentre i miliziani jihadisti dilagavano anche in parte nelle due
province limitrofe di Kirkuk e Salahuddin – in quei giorni centinaia di soldati
iracheni venivano decapitati dai jihadisti, spargendo il terrore nelle
popolazioni limitrofe e provocando sdegno in tutto il mondo.
Nei
giorni successivi emergeva come le divisioni tra sciiti e sunniti avessero
minato le forze armate di Baghdad,
oltretutto non addestrate ad azioni antiguerriglia, nonostante gli ingenti
acquisti di armamenti sofisticati degli ultimi anni. A fronte di questi sviluppi
il governo di Baghdad reagiva con un appello per distribuire armi ed
equipaggiamenti militari ai volontari intenzionati a combattere contro i
miliziani dell’IS e contro il loro capo
al-Baghdadi, conosciuto anche come Abu Dua, dal 2011 al vertice dell’organizzazione,
con l’obiettivo di dar vita a un califfato che raggruppi le regioni
settentrionali dell’Iraq e della Siria, cancellando gli ormai secolari
confini tracciati dalle potenze coloniali europee.
L’11 giugno l’avanzata dell’IS appariva
inarrestabile, con la conquista di Tikrit, ex roccaforte di Saddam Hussein e
principale città della provincia di Salahuddin. La strategia dell’IS cominciava a delinearsi, con il chiaro obiettivo
di un controllo delle risorse petrolifere dell’Iraq settentrionale, da conseguire
con l’accerchiamento della città di Kirkuk, avendo conseguito nel frattempo il
controllo della più grande raffineria di petrolio dell’Iraq e di una centrale
elettrica di grande importanza regionale - le mosse dell’IS sullo scenario
iracheno vanno collegate a quanto già conseguito in territorio siriano, dove le
zone conquistate sono anch’esse le sole ricche di petrolio del paese.
L’avanzata dell’IS, tuttavia, era destinata
fatalmente a scontrarsi con le ambizioni dei curdo-iracheni,
che, nonostante forti contrasti con Baghdad, già da tempo avevano iniziato ad
esportare autonomamente il petrolio del nord, e vedevano ora in pericolo la
posizione di forza conquistata dopo la caduta di Saddam Hussein. In effettiil 12 giugno le truppe curde dei peshmerga assumevano il controllo di
Kirkuk, dopo lunghi giorni in cui erano rimaste attestate sulle proprie
posizioni, attendendo un’intesa con il governo di Baghdad.
Al
quadro complessivo va aggiunta anche la catastrofe
umanitaria, con oltre mezzo milione di iracheni costretti ad abbandonare le
proprie case - da sommare ai quasi 300.000 rifugiati in Iraq in fuga dalla
guerra civile siriana-, di fronte alla violenza fanatica dell’IS, che dava inizio alla distruzione e
all’incendio di chiese e conventi cristiani. Anche la Turchia si trovava involontariamente coinvolta, quando una
cinquantina di propri diplomatici venivano presi in ostaggio dall’IS,
circostanza particolarmente imbarazzante per Ankara, visto lo scoperto appoggio
prestato agli elementi jihadisti siriani in lotta contro il regime di Assad, ma
che non aveva potuto prevedere l’apparire sulla scena di un elemento come l’IS,
relativamente tollerato dal regime di Assad in quanto già da tempo impegnato in
una dura lotta contro gli elementi jihadisti più legati ad al-Qaida.
Il
precipitare della situazione induceva il
13 giugno, nel corso delle consuete preghiere del venerdì, il Grande
Ayatollah dell’Iraq al-Sistani a
richiamare i fedeli alla difesa della capitale contro l’avanzata dei jihadisti
sunniti, nelle stesse ore in cui si aveva notizia dell’ingresso in Iraq di
alcune centinaia di volontari provenienti dalle file dei pasdaran iraniani. La
gravità della situazione induceva anche il
presidente degli Stati Uniti Obama ad una presa di posizione in diretta
televisiva, durante la quale prometteva una decisione nel giro di pochi giorni
sugli aiuti al governo iracheno per respingere l’IS: il presidente Obama
precisava anche che gli USA non si sarebbero fatti coinvolgere nel nuovo dramma
iracheno senza un piano di cooperazione tra le diverse parti del paese, e in
ogni caso Obama escludeva categoricamente l’invio di truppe di terra.
Le preoccupazioni di Teheran
per lo sviluppo degli eventi sullo scenario iracheno erano testimoniate il 14
giugno dalle dichiarazioni del presidente Rohani, che si diceva pronto a
intervenire, mentre cresceva l’avanguardia di pasdaran iraniani dislocati in
territorio iracheno. Rohani si spingeva
a immaginare una possibile collaborazione contro l’IS tra Iran e Stati Uniti,
ma solo dopo aver constatato l’effettivo impegno di Washington sulla questione
– Washington che dal canto suo rendeva noto di aver disposto lo spostamento nel Golfo Persico di una
squadra navale comprendente la portaerei HW Bush.
Nei giorni successivi la battaglia nel nord
dell’Iraq si concentrava prevalentemente intorno alle infrastrutture
energetiche,
tanto che diverse compagnie straniere del petrolio preparavano l’evacuazione
del proprio personale: i combattimenti si accanivano particolarmente attorno
alla più grande raffineria del paese, che ciascuna delle parti rivendicava di
aver posto sotto il proprio controllo.
Frattanto
il governo iracheno, per bocca del
ministro degli esteri Zebari, rendeva
noto di aver richiesto ufficialmente l’intervento aereo americano contro i
miliziani dell’IS, che intanto procedevano al rapimento di 40 operai indiani
impiegati nella zona. Il presidente iraniano Rohani tornava a far sentire la
propria voce a difesa dei luoghi sacri degli imam sciiti in territorio
iracheno, che l’Iran sarebbe disposto a proteggere in tutti i modi, anche con
l’invio di numerosi volontari già pronti a recarsi in Iraq.
Gli
Stati Uniti precisavano i contorni del proprio impegno dicendosi pronti a
inviare a Baghdad fino a 300 consiglieri militari e a compiere azioni mirate
contro i miliziani dell’IS, pur continuando ad escludere in ogni modo l’invio
di truppe di terra. Più rilevante della prospettiva di impegno militare
appariva nel contempo lo sforzo politico
della Casa Bianca, che faceva sempre meno per nascondere l’ostilità alla
formazione di un governo nuovamente presieduto da Nuri al-Maliki- ormai
percepito come troppo scopertamente legato all’Iran e agli interessi
confessionali sciiti, e inviso in particolar modo all’Arabia Saudita e alla
Turchia, sul cui impegno invece gli Stati Uniti contano in modo particolare per
una soluzione della complessa questione posta dall’IS.
Tra
l’altro, proprio nel maturare dell’ostilità contro al-Maliki si infrangevano le
possibilità di un’effettiva collaborazione di Washington con Teheran, come
evidenziato da un aspro intervento della Guida Suprema iraniana Ali Khamenei –
non seguita peraltro su questo terreno dal Grande Ayatollah iracheno
al-Sistani, che il 20 giugno lanciava un appello per cacciare i ribelli e
formare un governo efficace che evitasse gli errori del passato, con
un’implicita ma pesantissima critica all’operato di al-Maliki. In questo
difficile contesto il segretario di Stato americano John Kerry il 23 giugno si recava a Baghdad per far presente la
posizione americana, favorevole alla formazione di un governo in cui tutte le
componenti del paese fossero rappresentate: frattanto le truppe dell’IS
assumevano il controllo del confine iracheno con la Giordania.
Il
28 giugno i combattimenti proseguivano in direzioni opposte: mentre infatti le
truppe fedeli ad al-Maliki erano impegnate in una controffensiva per la
riconquista di Tikrit, i miliziani dell’IS si spingevano fino all’estrema
periferia di Baghdad, e nei combattimenti sarebbero morti una ventina di
soldati governativi. Il luogo dello scontro, a una cinquantina di km da
Baghdad, dista solo 20 km dalla città
santa di Karbala, residenza della maggiore autorità religiosa sciita del
Medio Oriente, ovvero il Grande Ayatollah al-Sistani.
Il 29 giugno si aveva da parte dell’IS la proclamazione della nascita di un califfato
nei territori conquistati in Iraq e in Siria: l’IS annunciava altresì di
aver cambiato il proprio nome semplicemente in quello di Stato islamico (IS).
Il gruppo innalzava il proprio leader Abu Bakr al-Baghdadi al rango di califfo,
e quindi di capo dei musulmani in tutto il mondo. Naturalmente all’atto di
nascita del califfato non era attribuita alcuna rilevanza diplomatica, per
quanto si tratti di un territorio con
una superficie pari a quella dell’Ungheria, attraversato dal più grande
fiume mediorientale, l’Eufrate, e con numerosi valichi frontalieri verso la
Turchia e la Giordania. Peraltro appare assai diverso l’assetto di governo nei
territori siriano e iracheno: mentre infatti in Siria l’IS è impegnato in
combattimenti contro altri gruppi jihadisti, e sembra imporre con la forza la
propria supremazia alle popolazioni locali, in Iraq il movimento jihadista
appare sostenuto da ampi strati della popolazione sunnita, in odio alla
politica giudicata discriminatoria e filoiraniana del premier di Baghdad
al-Maliki.
L’aggravarsi
della situazione di sicurezza dell’Iraq induceva il 30 giugno la Casa Bianca a inviare un ulteriore contingente di
duecento soldati equipaggiati per il combattimento a protezione dell’ambasciata
USA e dell’aeroporto di Baghdad. Sul fronte politico, intanto, nell’imminenza
della riunione del 1° luglio del nuovo parlamento uscito dalle elezioni del 30
aprile, aveva luogo una riunione dell’Alleanza nazionale, piattaforma che
riunisce le principali formazioni politiche sciite, completamente disertata da
curdi e sunniti, nonostante avesse in programma colloqui per la designazione
del premier.
Nuove
notizie di atrocità compiute dai miliziani dell’IS venivano ridimensionate dal
patriarca caldeo di Baghdad, Mons. Sako,
evidentemente allo scopo di non esacerbare gli animi in una situazione comunque assai difficile per la
comunità cristiane da sempre residenti nei luoghi caduti sotto il controllo
del “califfato”.
Un
segnale importante delle preoccupazioni sulla sicurezza del paese era stata
intanto fornita dalla decisione delle autorità di Baghdad di oscurare i
principali social network in
territorio iracheno per tre settimane, decisione annullata proprio il 30
giugno.
Luglio 2014
Il
mese di luglio si apriva con la richiesta, da parte del presidente del Kurdistan iracheno Massoud Barzani al Parlamento della
Regione autonoma, di tenere un referendum sull'indipendenza: la
mossa di Barzani va inquadrata nel nuovo scenario destabilizzato dell’Iraq,
rispetto al quale sembra mirare, più che ad una soluzione, ad assicurare gli
interessi della minoranza curda del paese, oltretutto in prima linea contro
l’assalto dell’IS.
Alla metà di luglio a Mosul la stretta
imposta dall’IS –
in previsione della quale già all’arrivo delle milizie jihadiste centinaia di
migliaia di abitanti cristiani, curdi e turcomanni avevano precipitosamente
abbandonato la città – si rivelava
pienamente, con l’imposizione di rigidi precetti ispirati alla Shari’a, e con l’avvio di una vera e propria furia iconoclasta
diretta contro statue, mausolei e immagini ritenuti offensivi dell’Islam,
nonché contro moschee sciite e chiese cristiane. Numerosi funzionari
governativi a Mosul venivano rapiti, mentre si accrescevano le pressioni nei
confronti dei non sunniti.
Questa
escalation culminava il 18 luglio,
quando migliaia di cristiani rimasti a
Mosul ne venivano cacciati a forza, e subivano rapine e ulteriori
vessazioni mentre precipitosamente tentavano di raggiungere le aree controllate
dai curdi.
Con
il passare dei giorni si chiariva il principale criterio seguito dall’IS nella
distruzione di antichi templi, ovvero il criterio di colpire maggiormente i
luoghi oggetto di culto da parte di diverse confessioni, come ad esempio
l’antica moschea di Giona, sita nei pressi delle rovine dell’antica città di
Ninive, per tradizione il luogo di sepoltura del profeta ebraico, visitato da
cristiani, ebrei e musulmani, e che i jihadisti procedevano il 25 luglio a
distruggere con esplosivi, qualificandola quale luogo di apostasia proprio
perché oggetto di pellegrinaggi congiunti tra fedeli di diverse religioni. Nella stessa giornata e per gli stessi
motivi i miliziani distruggevano la tomba di Seth, il figlio di Adamo ed Eva
dal quale secondo la Bibbia discenderebbe tutta l’umanità.
L’aggravarsi
della pressione contro i cristiani aveva provocato già nei giorni precedenti
un’iniziativa del patriarca caldeo di Baghdad mons. Sako, che in una lettera al
Segretario generale dell’ONU aveva chiesto l’intervento del Consiglio di
sicurezza per porre fine alle atrocità perpetrate contro i cristiani. Mons.
Sako riscontrava il 26 luglio la vicinanza e la partecipazione del Papa in un
colloquio telefonico, mentre il patriarca della Chiesa siro-ortodossa
preannunciava la richiesta delle Chiese d’Oriente alle più alte autorità
religiose musulmane di una condanna dei crimini compiuti contro i cristiani dai
miliziani dell’IS. Effettivamente il 9 agosto, in un colloquio a Najaf con Mons.
Sako, al-Sistani avrebbe condannato gli
attacchi alle minoranze religiose.
Agosto 2014
L’inizio di agosto vedeva un’ulteriore forte
accelerazione nell’espansione dell’IS, e un rapido cedimento dei peshmerga, che erano costretti ad
abbandonare le proprie posizioni e a ripiegare in montagna:
tra il 2 e il 3 agosto cadevano in mano alle forze jihadiste dell’IS le città di Zumar e Sinjar, nonché i
campi petroliferi di AinZalah e Batma.
La
città di Sinjar aveva già accolto decine di migliaia di profughi messi in fuga
dall’avanzata dell’IS delle passate settimane, e all’interno di essa rendeva
tutto ancor più tragico la presenza della minoranza degli Yazidi, parlanti una
lingua curda e seguaci di una religione antichissima ispirata allo zoroastrismo
persiano, che gli islamisti radicali considerano una religione adoratrice del
diavolo. Conseguenza immediata dell’avvicinamento dell’IS a Sinjar era la fuga
di migliaia di essi sulle montagne, in una condizione di totale precarietà e a
rischio della vita. La gravità della situazione induceva il 4 agosto il premier
iracheno al-Maliki a superare le diffidenze nei confronti dei curdi iracheni,
ordinando all’aviazione di Baghdad di operare in appoggio aipeshmerga.
Il 5 agosto nel Parlamento di Baghdad una
deputata della comunità degli Yazidi riferiva che 500 uomini erano stati
assassinati dai jihadisti e centinaia di donne fatte prigioniere e trasferite.
Nella stessa giornata il Consiglio di sicurezza dell’ONU esprimeva condanna
delle azioni dell’IS, i cui attacchi sistematici contro i civili in base alla
loro origine etnica, la loro religione o le loro convinzioni personali
rientrano nella categoria dei crimini contro l’umanità, i cui autori divengono
responsabili e perseguibili. Tuttavia, più incisiva della Dichiarazione del
Consiglio di sicurezza appariva almeno potenzialmente il patto di
collaborazione tra i curdi dell’Iraq, della Turchia e della Siria, che si
dicevano pronti ad accantonare le annose divergenze per uno sforzo comune
contro l’avanzata dei jihadisti.
Sempre
il 5 agosto il viceministro degli esteri
italiano Pistelli si recava a Baghdad, incontrando anche il presidente
della Repubblica da poco eletto, il curdo Fouad Masum: secondo Pistelli la
minaccia dell’IS è tale da coinvolgere la stabilità dell’intero Medio Oriente,
e non solo quella dell’Iraq, e di fronte ad essa non è possibile restare
inerti.
Dopo
una notte di bombardamenti in ampie zone della piana di Ninive, l’IS provocava un nuovo gigantesco esodo di cristiani da
numerosi villaggi, valutati in circa centomila, ancora una volta in fuga in
condizioni disperate, come efficacemente descritto nell’appello di Mons. Sako
all’agenzia Asianews del 7 agosto -
nel quale l’alto prelato rilevava anche la scarsa cooperazione tra autorità
curde e centrali del paese, e quindi le poche speranze di fermare l’onda di piena
dell’IS in assenza di un intervento della comunità internazionale. Non a caso
nella stessa giornata del 7 agosto il Papa lanciava un appello per porre fine
al dramma umanitario in atto e per assistere i numerosissimi sfollati.
Frattanto l’IS si impadroniva della più
grande città cristiana in Iraq, Qaraqosh, provocando decine di migliaia di
altri profughi:
nelle stesse ore cadeva nelle mani dei
jihadisti anche la più grande diga dell’Iraq, quella sul Tigri a nord di
Mosul, dalla quale dipendono le forniture idriche in gran parte del nord
iracheno. Le truppe dei peshmerga non
apparivano intanto in grado di opporsi validamente all’avanzata dell’IS, e in
più il Kurdistan iracheno risentiva della grande massa di centinaia di migliaia
di profughi ormai entrati in cerca di scampo nel suo territorio.
In
questo clima il presidente degli Stati
Uniti Obama autorizzava attacchi aerei mirati a protezione dei civili – per
evitare un genocidio - e del personale americano nel nord dell’Iraq: i raid
iniziavano l’8 agosto, poco prima delle 13 ora italiana, dopo il lancio di
viveri e aiuti umanitari per i profughi nell’area di Sinjar. L’iniziativa americana veniva subito
salutata con favore dalla Francia, pronta a prendervi parte. Anche dal Regno
Unito giungeva sostegno all’azione statunitense, senza peraltro prevedere un
proprio intervento militare, se non in termini di assistenza
tecnico-militare gli Stati Uniti e aiuto umanitario per gli sfollati. L’Italia, con una dichiarazione del
ministro degli esteri Federica Mogherini, condivideva prontamente la scelta
americana.
Le prime ondate di attacchi contro i
miliziani dell’IS sembravano assai efficaci -
come sottolineato dal presidente della regione autonoma del Kurdistan barzani,
che però chiedeva anche di ricevere l’armamento necessario per proseguire
l’offensiva sul terreno -, e consentivano
ai peshmerga il 10 agosto la
riconquista di due cittadine situate in posizione strategica, mentre circa
la metà degli Yazidi intrappolati da giorni sulle montagne vicine a Sirjan,
circa 20.000, riuscivano a porsi in salvo. Sul fronte politico iracheno
crescevano intanto le pressioni su al-Maliki per una sua rinuncia alla
riconferma al la carica di premier - da ultimo il 10 agosto il ministro degli
esteri francese Fabius recatosi a Baghdad, che ribadiva la necessità di un
governo iracheno inclusivo di tutte le componenti del paese. Il presidente
Masum, allo scopo di accelerare la formazione del nuovo esecutivo, si spingeva
a minacciare lo scioglimento del parlamento se non fosse stato nominato in
breve tempo un nuovo primo ministro.
Il
giorno successivo, 11 agosto, il
presidente Masum incaricava di dar vita al nuovo governo Haidar al-Abadi, anch’egli
sciita, su indicazione della riunione dei partiti sciiti (Alleanza nazionale): a tale designazione reagiva con veemenza il
premier uscente al-Maliki, definendola una violazione della Costituzione -
in quanto il suo partito, lo Stato del diritto, aveva riportato la maggioranza
relativa nelle elezioni del 30 aprile. Al-Maliki mobilitava alcuni suoi
sostenitori, dopo che nella notte tra 10 e 11 agosto aveva esercitato forti
pressioni con un ingente schieramento di esercito e polizia nel centro di
Baghdad.
A
tutto ciò aveva reagito l’inviato dell’ONU a Baghdad Mladenov, che diffidava le forze di sicurezza dal porre in atto
interferenze del processo politico democratico, mentre gli Stati Uniti
confermavano i propri orientamenti dei giorni precedenti approvando la novità
politica rappresentata dall’incarico ad al-Abadi, proseguivano i raid contro i
miliziani dell’IS e iniziavano la fornitura diretta di armi ai miliziani curdi.
Sul piano internazionale anche la Lega araba, per bocca del suo segretario
al-Arabi, condannava le violenze dell’IS come crimine contro l’umanità, mentre
il portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera europea appoggiava
la formazione di un nuovo esecutivo capace di affrontare la crisi in atto
ripristinando l’unità nazionale.
Il 12
agosto si registravano segnali di movimento anche sul fronte dell’Unione
europea, dove il capo della diplomazia francese Fabius e il suo omologo
italiano Federica Mogherini richiedevano con urgenza la riunione straordinaria
di unCconsiglio dei ministri degli esteri per affrontare la situazione
irachena.
Intanto si riuniva il Comitato politico straordinario con la partecipazione degli
ambasciatori a Bruxelles dei 28 Stati membri dell’UE, e si cominciava a
intravedere la possibilità della fornitura di armi da parte degli Stati membri
ai peshmerga curdi: il Comitato
politico straordinario raggiungeva anche un’intesa sul rafforzamento del
coordinamento dell’aiuto umanitario, affidato alla Commissione europea in virtù del meccanismo di protezione civile
di cui essa dispone per accrescere l’efficacia degli interventi in situazioni
di crisi. Proprio dalla Commissione, ed in particolare dal Commissario agli
aiuti umanitari Georgieva, veniva poi l’annuncio dello stanziamento di
ulteriori 5 milioni di euro per la situazione umanitaria nel nord dell’Iraq.
Il 13
agosto al-Maliki proseguiva nella sua ostinata resistenza alla svolta
politica rappresentata dall’incarico per il nuovo governo ad al-Abadi,
presentando ricorso alla Corte federale: la sua posizione si faceva tuttavia
sempre più isolata, stante l’assenso
alla designazione di al-Abadi proveniente dall’Organizzazione della conferenza
islamica e, soprattutto, dall’Iran e dalla Siria – ciò privava di colpo
al-Maliki della sponda più importante su cui giocare. Intanto la capitale
Baghdad veniva colpita da quattro autobomba, con la morte di una ventina di
persone e il ferimento di una cinquantina.
Sul
terreno dell’Iraq settentrionale un centinaio di marines e forze speciali
americani atterravano sul territorio montuoso nei pressi di Sinjar
per organizzare l’esodo di circa 30.000 civili Yazidi ancora intrappolati sul
luogo: nel contempo Washington disponeva l’invio di altri 130 consiglieri
militari in Iraq.
Anticipando
gli sviluppi in sede europea, il presidente francese Hollande stabiliva nella
stessa giornata del 13 agosto di procedere senz’altro all’invio di armi ai peshmerga curdi.
Il
14 agosto finalmente al-Maliki,
dopo la notizia dell’invito a farsi da parte già da tempo pervenutogli dalla
guida suprema degli sciiti iracheni,il
Grande Ayatollah al-Sistani, annunciava
le proprie dimissioni e l’appoggio al nuovo premier incaricato al-Abadi.
Sul terreno intanto secondo gli americani diveniva meno urgente un’operazione
per evacuare i profughi Yazidi dalle montagne intorno a Sinjar, perché nel
frattempo grazie ai raid aerei statunitensi era stato rotto l’assedio di cui
erano sottoposti da parte dell’IS.
Il
15 agosto si svolgeva il Consiglio dei ministri degli affari esteri UE
richiesto con forza da Francia e Italia, nel corso del quale era espresso
sostegno agli Stati membri per la fornitura di armi ai peshmerga curdi. Il
Consiglio straordinario si occupava anche dell’assistenza umanitaria alla
popolazione colpita dall’IS, esprimendo apprezzamento per la rinuncia di
al-Maliki, con un invito al nuovo premier incaricato a dar vita a un governo di
ampia inclusione. I ministri degli esteri degli Stati UE esprimevano inoltre
una forte volontà di facilitare una reazione politica regionale contro
l’espansione dell’IS. Nella stessa giornata
il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvava all’unanimità una risoluzione
volta ad ostacolare i finanziamenti e le forniture di armi all’IS.
Alla metà di agosto si spargeva la
notizia di massacri effettuati dalla
formazione jihadista dell’IS anche in territorio siriano, ove dall’inizio
del mese sarebbero stati massacrati circa 700 appartenenti al gruppo tribale
dei Chaitat, renitente ad accettare l’autorità dell’IS.
Il
16 agosto veniva denunciato un nuovo crimine commesso dall’IS nel villaggio di
Kojo, vicino a Sinjar, con l’uccisione di un’ottantina di uomini e quasi duecento
donne rapite.
Sul terreno dei combattimenti l’aviazione americana intensificava gli attacchi
aerei sulle postazioni dell’IS a presidio della diga di Mosul, precedendo un
attacco di terra dei peshmerga sullo
stesso obiettivo. Intanto nella capitale del Kurdistan Erbil arrivava il primo
dei sei voli umanitari predisposti dal nostro paese.
Il
17 agosto l’intensificazione dei raid aerei americani contro le milizie dell’IS
consentiva ai peshmerga la
riconquista della diga di Mosul e
di tre cittadine situate a est della stessa. Questi sviluppi positivi
potrebbero tuttavia avere il loro pendant
negativo, come sottolineato dal ministro degli esteri tedesco Steinmeier di
ritorno da una missione il 16 agosto a Baghdad e nel Kurdistan, preoccupato per
la possibilità che i successi dei peshmerga
curdi in una situazione di debolezza delle forze armate federali irachene
possano facilitare la formazione di uno Stato curdo indipendente che sarebbe,
secondo Steinmeier, un fattore di ulteriore destabilizzazione regionale.
Si riaccendeva intanto il versante siriano dell’IS, dove l’aviazione di Damasco attaccava
ripetutamente le postazioni jihadiste nella provincia di Raqqa: secondo
molti osservatori Assad cercava in questo modo di allinearsi alle iniziative
messe in campo dagli Stati Uniti contro l’IS in territorio iracheno,
accreditandosi nel quadro di una più generale lotta contro tutti i
fondamentalisti.
Il 18
agosto le forze curde in lotta contro l’IS annunciavano la riconquista,
dopo la diga di Mosul, di altre località nel nord dell’Iraq, e di prepararsi a
riprendere la stessa Mosul ai miliziani jihadisti. Per la verità alcuni
combattimenti proseguivanoanche nei pressi della diga, ma secondo il portavoce
del comando delle forze armate irachene si trattava solo di scontri limitati in
alcuni edifici prospicienti, mentre vi era anche la necessità dello sminamento
di altri fabbricati. Combattimenti tra le forze armate irachene e i miliziani
dell’IS erano in corso inoltre nella provincia di al-Anbar.
Rilevante la presa di posizione di Papa Francesco il quale, nel viaggio aereo
di ritorno dalla Corea del sud, si spingeva a criticare ogni approccio
unilaterale, a favore di un’azione della Comunità internazionale sotto l’egida
dell’ONU, volta esclusivamente a porre fine all’aggressione dell’IS nel nord
dell’Iraq, e non a dar vita a una nuova guerra o a nuovi bombardamenti. Il Papa
si diceva inoltre disposto a recarsi in Kurdistan, dove già nei giorni
precedenti aveva inviato il cardinale Fernando Filoni, già Nunzio apostolico a Baghdad.
Il cardinal Filoni, in una dichiarazione congiunta con il patriarca caldeo Mons.
Sako, chiedeva alla Comunità internazionale un intervento volto non solo alla
fornitura di aiuti umanitari, ma anche alla liberazione dei luoghi occupati
dall’IS con rapidità e in via definitiva.
La forte connessione tra il versante siriano e quello iracheno del
“califfato” proclamato alla fine di giugno dall’IS riceveva purtroppo
un’altra tragica conferma quando, asseritamente in risposta ai raid aerei USA
contro le formazioni dell’IS in territorio iracheno, la stessa organizzazione
qaidista procedeva alla barbara
esecuzione, mediante decapitazione, del reporter americano James Foley, che
era scomparso in territorio siriano circa un anno prima – all’esecuzione veniva
dato abilmente risalto mediatico per mezzo di un video diffuso sulla rete
Internet. Nei giorni seguenti emergeva l’elevata probabilità che l’assassino di
Foley potesse essere Abdel Bary, un
jihadista proveniente dal Regno Unito, dove era conosciuto come cantante
rap: anche questo era interpretato come un abile segnale dell’IS agli ambienti
jihadisti dell’immigrazione in Europa.
Il 20 agosto registrava una duplice iniziativa del nostro Paese: la gravità degli sviluppi nel nord dell’Iraq induceva infatti il Governo
ad un passaggio parlamentare specificamente dedicato al paese mesopotamico,
rendendo alle Commissioni congiunte
esteri e Difesa di Camera e Senato comunicazioni sui recenti sviluppi della
situazione in Iraq anche con riferimento agli esiti del Consiglio straordinario
dei Ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014.
La discussione portava poi all’approvazione separata di risoluzioni da
parte delle due Commissioni della Camera e delle due omologhe del Senato, con
le quali il Governo ha ottenuto il ricercato sostegno parlamentare anzitutto
per procedere alla fornitura di armi ai peshmerga
curdi impegnati sul terreno a contrastare l’avanzata delle milizie dell’IS.
Dal canto suo il Presidente del Consiglio Matteo Renzi si recava nella stessa
giornata in Iraq e, dopo la capitale Baghdad, visitava la capitale del
Kurdistan iracheno Erbil: in entrambi i luoghi il Presidente Renzi affermava
con forza la necessità di un impegno dell’Europa di fronte alle gravissime
violazioni dei diritti delle minoranze e ai massacri perpetrati dall’IS. Gli
aspetti politici dell’Iraq dopo la formazione del nuovo governo e le questioni
delle relazioni economiche con l’Italia erano invece oggetto dei colloqui con
il nuovo premier incaricato al-Abadi.
Alla fine di agosto progressivamente la Casa Bianca si spingeva a
valutare la possibilità di effettuare raid aerei contro l’IS anche nella parte
siriana del territorio
controllato dall’organizzazione jihadista: il regime di Assad – che nelle
ultime settimane aveva aumentato gli attacchi aerei contro le postazioni dell’IS
- coglieva prontamente l’occasione di una collaborazione con Washington,
assolutamente impensabile fino a quel momento, ma poneva alcune condizioni per
bocca del ministro degli esteri Muallim, ovvero di poter coordinare le proprie
operazioni militari con quelle americane e di ottenere una legittimazione piena
del regime di Assad, che rivendica una posizione centrale nella lotta
internazionalmente condivisa contro l’IS.
Pur nella gravità della situazione -
l’IS aveva conquistato appena da poche ore una delle più grandi basi aeree
siriane - gli Stati Uniti si mostravano del tutto riluttanti alle profferte di
Damasco.
Piuttosto, Washington tentava di
avviare una collaborazione con i propri alleati tradizionali per dar vita a un
fronte comune finalizzato ad attacchi contro le basi dell’IS anche in
territorio siriano. Frattanto l’offensiva jihadista in Siria si avvicinava
anche alle posizioni israeliane sul Golan, con un attacco imputato al Fronte
Jabat al-Nusra – in effetti acerrimo rivale dell’IS - sulla parte delle alture
controllata dall’esercito siriano, che registrava la perdita di 20 soldati. A
seguito dell’attacco i miliziani si impossessavano del valico di Quneitra,
proprio sul confine con Israele.
La gravità della minaccia in corso anche per
la Siria era efficacemente delineata anche da un rapporto reso noto a Ginevra il 27 agosto dalla Commissione d’inchiesta
delle Nazioni Unite sulla Siria, dal quale emergeva che in tutto il territorio controllato dall’IS
si dava luogo a esecuzioni, amputazioni e flagellazioni pubbliche, e
inoltre all’arruolamento persino di bambini di 10 anni. Chiunque poteva essere
vittima di tali punizioni alla minima violazione della rigida interpretazione
della legge islamica imposta dall’IS.
Settembre
2014
Il 2 settembre circolava un video sulla rete
nel quale veniva mostrata l’uccisione e la
decapitazione del giovane reporter
freelance americano Steven Sotloff di Miami, la cui madre invano aveva
supplicato i suoi rapitori dell’IS di esercitare clemenza. Nel consueto macabro
cerimonialeSotloff, prima della sua uccisione, era stato costretto a
sconfessare la politica estera americana, della quale sosteneva di essere sul
punto di pagare personalmente il prezzo. Anche l’esecutore del barbaro omicidio
appariva essere lo stesso già impegnato nella decapitazione di James Foley.
La
reazione degli Stati Uniti, oltre a disporre l’invio di altri 350 soldati per
la protezione di personale e sedi statunitensi nella capitale irachena -
con il numero dei militari inviati in Iraq che, dall’inizio dell’offensiva
dell’IS superava la cifra di 800 unità -, consisteva nell’accelerazione dei preparativi per una vasta coalizione internazionale
contro l’IS, nella quale un contributo decisivo doveva essere fornito dalla
presenza di Stati arabi, sia per accrescere la legittimazione dello
schieramento anti-IS, sia per mettere con le spalle al muro quelle forze che
all’interno delle monarchie del Golfo hanno espresso simpatie e appoggio per le
correnti jihadiste operanti in Medio Oriente in diversi paesi. In ogni caso il
presidente americano Obama chiariva che la lotta contro l’IS non sarebbe stata
di breve periodo, e che avrebbe comportato una strategia su diversi piani, onde
ridurre l’influenza militare e i finanziamenti del cosiddetto califfato. Anche
il governo francese si esprimeva per
un’accelerazione dell’impegno contro l’IS, accennando a una risposta politica,
umanitaria e se necessario militare nel quadro del diritto internazionale.
Il
vertice NATO nel Galles del 4/5 settembre riusciva a registrare un’ampia
convergenza proprio sul punto della strategia di lotta contro l’IS: la
decisione fondamentale era quella di dar vita a una vasta coalizione comprensiva anche di forze esterne alla NATOper
combattere l’estremismo islamico dilagante in Iraq e Siria, della quale faranno
parte dieci paesi, ossia nove della NATO (USA, Regno Unito, Italia, Francia,
Germania, Danimarca, Polonia, Turchia e Canada) e l’Australia, che già poche
ore prima aveva provveduto alla consegna di armamenti alle forze curde
dell’Iraq settentrionale impegnate direttamente nella lotta contro i miliziani
dell’IS. Contemporaneamente veniva l’invito
ad altri importanti attori regionali come Egitto, Turchia, Arabia Saudita a
unirsi agli sforzi della coalizione al fine della distruzione del califfato
di al-Baghdadi. Proprio inriferimento all’Egitto va segnalato che il 6
settembre le autorità del Cairo rendevano nota la presenza di cellule operative
dell’IS anche in territorio egiziano, nella regione del Sinai a sud del valico
di Rafah verso la Striscia di Gaza: le forze di sicurezza egiziane, veniva
anticipato, avrebbero lanciato a giorni un’offensiva militare contro i
jihadisti.
Dopo che gli Stati Uniti avevano lanciato
nuovi attacchi aerei sull’IS nella parte occidentale dell’Iraq, a protezione
della diga di Haditha, anche nel nostro
Paese la minaccia dell’IS riceveva adeguata considerazione in due informative
alle Camere svolte dal Ministro dell’interno Alfano il 9 settembre: secondo
il Ministro non andava sottovalutata la
specifica minaccia dell’IS nei confronti dell’Italia e di Roma, sede della
principale autorità cristiana. Secondo il ministro Alfano si rendeva urgente la
criminalizzazione di comportamenti di partecipazione a conflitti armati o atti
di terrorismo anche al di fuori dei confini nazionali,commessi da
parsoneresidenti in Italia o da cittadini italiani, ai quali, inoltre, in caso
di forti sospetti, si doveva contemplare la possibilità di imporre misure di
sorveglianza speciale con obbligo di dimora, impedendone così l’espatrio a fini
terroristici. Infine il Ministro sottolineava come anche nei confronti delle ondate di sbarchi dal Nord Africa in
territorio italiano fosse necessario applicare la più stretta sorveglianza
per prevenire episodi di terrorismo sul territorio nazionale.
Poche ore prima intanto a Baghdad sembrava essersi sbloccata la questione della formazione del
nuovo governo,sul quale tuttavia sembravano continuare a incombere le
tradizionali divisioni: infatti ministeri chiave come quello degli esteri e del petrolio rimanevano in mani sciite,
mentre le finanze erano andate al curdo Shawes, e restava sospesa la
designazione di titolari di importanti ministeri, come quelli della difesa, della sicurezza e
degli interni. Sembrava ancora lontano il punto fondamentale di una
reintegrazione dei sunniti nella compagine politica nazionale, tuttavia
premessa indispensabile di un ricompattamento dell’esercito, che aveva mostrato
gravi segni di sgretolamento di fronte all’offensiva dell’IS. Lo stesso
rapporto tra l’entità regionale curda e il governo centrale di Baghdad rimaneva
problematico, in attesa di risolvere la questione delle esportazioni di
petrolio che il Kurdistan iracheno aveva iniziato autonomamente in maggio,
collegata allo status di Kirkuk, città strategica dal punto di vista
petrolifero occupata dai curdi per prevenire le azioni dell’IS. Sullo sfondo
restava poi l’eventualità di una indipendenza a pieno titolo del Kurdistan
iracheno, naturalmente osteggiata dal governo centrale di Bahgdad, e che un
paese chiave come la Turchia non poteva non vedere negativamente.
Il
presidente degli Stati Uniti Barack Obama,
commemorando le vittime dell’11 settembre 2001, annunciava in un discorso televisivo alla nazione l’espansione delle
operazioni contro l’IS alla parte siriana del territorio controllato dal
califfato: poco prima gli USA avevano autorizzato ulteriori 25 milioni di
dollari per assistenza militare immediata al governo iracheno e alla regione
del Kurdistan impegnati nel contenimento della avanzata dell’IS.
Mentre Obama si rivolgeva alla nazione, il tavolo di lavoro di Gedda tra il
segretario di Stato Kerry e 10 paesi arabi inaugurava la partecipazione di
questi ultimi alla coalizione contro l’IS: decisivo dal punto di vista
soprattutto politico, lo schieramento dei paesi arabi annoverava le monarchie
del Golfo e inoltre l’Egitto, la Giordania, la Turchia e il Libano. Particolarmente rilevante appariva il
coinvolgimento del Qatar nella coalizione anti-IS, visto l’atteggiamento
assai ambiguo tenuto da Doha nello scenario mediorientale e nordafricano, con
il sostegno costante a gruppi jihadisti variamente connotati. Non a caso Kerry
sottolineava anche la necessità che le
emittenti regionali come al-Arabiya
ed al-Jazeera avrebbero dovuto
chiarire alle popolazioni arabe quale fosse al momento attuale il nemico contro
cui concentrare gli sforzi. Altrettanto significativa la mancanza dallo
schieramento guidato dagli Stati Uniti della Siria e dell’Iran, per diversi
motivi di incompatibilità con gli scopi e gli interessi geopolitici degli altri
paesi partecipanti alla coalizione dal lato arabo.
Proseguiva intanto la scia di orrore dell’IS,
che il 13 settembre, tramite Twitter, diffondeva il video dell’esecuzione dell’operatore umanitario
britannico David Haines, che era stato rapito nel 2013 in Siria, anche
stavolta ignorando gli appelli di poche ore prima della famiglia dell’ostaggio.
Tra l’altro Haines era apparso anche nel filmato che in precedenza aveva
mostrato l’uccisione dell’ostaggio americano Sotloff, e, ulteriore macabro
presagio, nel video sull’uccisione di Haines compariva anche l’ostaggio
britannico Alan Henning, con minaccia di giustiziare anche quest’ultimo.
L’uccisione di Hainesveniva attribuita dalla voce di un miliziano dell’IS
proprio all’impegno britannico ad armare i peshmerga
curdi contro l’IS.
Il 14
settembre l’Australia forniva 400 militari delle forze aeree, assieme a
otto velivoli da combattimento, un ricognitoree un rifornitore aereo in volo.
Intanto il 15 settembre nell’incontro di Parigi la coalizione anti-IS ribadiva
i propri impegni, che ormai riunivano 25 Stati contro il califfato. Dal punto
di vista tuttavia degli attacchi aerei soltanto Stati Uniti, Francia e
probabilmente Emirati Arabi Uniti risultavanodirettamente impegnati. Il 19 settembre si verificavano i primi
bombardamenti aerei francesi contro postazioni dell’IS: nella stessa
giornata la Camera dei rappresentanti belga, dopo un lungo dibattito,
autorizzava per un mese la partecipazione di forze militari del paese-circa 120
uomini, tra i quali otto piloti e un certo numero di caccia F-16-alle
operazioni militari contro il califfato. Per quanto concerne l’Italia, il Ministro degli esteri Mogherini
dichiarava a New York, in margine alla partecipazione a una riunione del
Consiglio di sicurezza dell’ONU, che il
nostro Paese avrebbe potuto partecipare a livello militare in attività di
addestramento, sostegno logistico ed eventuale rifornimento in volo di aerei
della coalizione: secondo Mogherini, peraltro, non risultavano al momento
specifiche minacce contro l’Italia da parte dell’IS.
La
strategia americana assumeva intanto contorni più precisi non escludendo più
l’intervento di terra,
ma anzi vedendo in esso un elemento essenziale per la completa vittoria contro
l’IS, affidandosi però per esso ai peshmerga curdi e all’eventualità di
coinvolgere contro lo Stato islamico tribù sunnite presenti sul territorio
– peraltro non facilmente conciliabili con le autorità centrali di Baghdad. Per
quanto concerne la Germania, questa risultavaaver inviato 40 consulenti
militari e aver fornito armi ai curdi, senza tuttavia alcuna partecipazione ad
attacchi aerei.
L’accentuarsi
della pressione del califfato nella parte siriana, con l’attacco alle città
curde del Nord, aumentava in modo spettacolare il coinvolgimento della Turchia
nella questione: in
poche ore 130.000 profughi curdi si aggiungevano al milione di rifugiati già
affluiti in Turchia a seguito dell’ormai più che triennale conflitto siriano,
ponendo Ankara di fronte alla necessità di studiare soluzioni per il
contenimento dell’avanzata dell’IS e al tempo stesso per il soccorso dei
profughi curdi.
In tal senso già da alcune settimane la
Turchia ventilava l’ipotesi di istituire una zona cuscinetto alla frontiera con
la Siria, dove insediare anche aree sicure per ospitare i profughi. Non va
tuttavia dimenticato che, stante il secolare
problema di Ankara con le minoranze curde all’interno del proprio paese,
l’atteggiamento turco difficilmente poteva essere quello di facilitare
l’afflusso in territorio siriano di combattenti curdi di origine turca, pure
richiesto da vari appelli del PKK
(il partito curdo di Ocalan, sempre sospetto agli occhi delle autorità turche,
nonostante le aperture degli ultimi anni).
La
Turchia veniva comunque sempre più messa alle strette sia pure indirettamente
anche dall’alleato americano,
che non poteva non constatare con irritazione la mancata partecipazione di uno
Stato regionale, che costituisce oltretutto un pilastro della NATO, alla
coalizione anti-IS, e che inoltre ventilava in seno alle Nazioni Unite
l’approvazione di una risoluzione del Consiglio di sicurezza contro il
reclutamento e il finanziamento delle correnti jihadiste - attività dalle quali
la Turchia durante il conflitto siriano si era tutt’altro che astenuta.
Mentre nel corso della sessione inaugurale
dell’Assemblea generale dell’ONU a New York diversi altri paesi decidevano di
fornire aiuti militari alla coalizione contro l’IS, la minaccia terroristica
sembrava raggiungere perfino l’Australia, dove un diciottenne di origine
afghana veniva ucciso a Melbourne il 23 settembre: le autorità di polizia
australiane rendevano noto il giorno successivo che si trattava di un soggetto
già sospetto per terrorismo, contrario all’impegno dell’Australia nella lotta
contro l’IS – aveva per questo indirizzato minacce al premier australiano -e
associato al gruppo radicale al-Furqan, con passaporto già ritirato per motivi
di sicurezza.
Intanto un altro paese pagava un duro
tributo per la partecipazione alla lotta contro l’IS, quando il 24 settembre il gruppo algerino dei
Soldati del califfato, collegato all’IS, decapitava il cittadino francese Hervé
Pierre Gourdel, recatosi nel paese per compiere escursioni sulle montagne
settentrionali: l’uccisione di Gourdel costituiva una rappresaglia per la continuazione dei raid aerei francesi sul califfato,
che i rapitori algerini avevano espressamente chiesto di interrompere.
Anche
nel nostro Paese si rendeva noto un innalzamento ulteriore dei livelli di
allarme, soprattutto in relazione al fenomeno dei combattenti europei impegnati
nelle file del califfato, minaccia potenziale in caso di ritorno in territorio
europeo.Al rinnovato allarme
lanciato dal Ministro dell’interno Alfano faceva seguito il 25 settembre l’intervento del Presidente del consiglio Renzi
all’Assemblea generale dell’ONU, nel corso del quale veniva ribadito come
le azioni dell’IS costituissero un vero e proprio genocidio e una minaccia per
l’umanità: in più, il Presidente del consiglio metteva in luce come per
l’Italia fosse prioritario ancheaffrontare
il pericolosissimo focolaio di instabilità costituito dalla situazione di
frammentazione della Libia.
Frattanto, mentre installazioni petrolifere dell’IS venivano colpite da attacchi
dell’aviazione statunitense e di paesi arabi sia in Siria che in Iraq,
proseguiva in Australia l’azione delle forze di polizia, che con l’impiego di
centinaia di uomini compivano ulteriori perquisizioni a Sidney e Brisbane alla
ricerca di eventuali nuovi piani per l’attuazione di attacchi terroristici.
Il
26 settembre
registrava un ulteriore sviluppo favorevole alla coalizione contro l’IS, quando
la Camera dei Comuni approvava con un
largo margine l’intervento aereo britannico in Iraq, espressamente richiesto
dal governo di Baghdad. La risoluzione del Parlamento britannico
autorizzava altresì la possibilità di impiegare truppe di terra non combattenti
per scopi di addestramento delle forze irachene e curde sul terreno. Nella
stessa giornata anche la Danimarcaannunciava
un forte incremento del proprio coinvolgimento nelle operazioni control’IS,
dispiegando 250 unità tra piloti e personale di supporto, nonché sette caccia
F-16.
A fronte del crescente coinvolgimento
internazionale nella coalizione contro l’IS, il Coordinatore europeo antiterrorismo De Kerchove non mancava di
richiamare l’attenzione sul parallelo incremento
dei rischi di attentati in territorio europeo: infatti i cittadini europei
unitisi ai combattenti del califfato risultavano
ormai essere complessivamente circa 3.000, due terzi dei quali partiti da Francia, Regno Unito e Germania, ma non
meno di 350 anche dal Belgio. In
Italia il numero di tali soggetti era valutato in una cinquantina, perlopiù di
origine non italiana, ma derivanti da immigrazione nel nostro Paese.
Con
l’approssimarsi delle truppe dell’IS alla cittadina curdo-siriana di Kobane si
verificavano anche numerose manifestazioni di protesta in Europa e negli Stati
Uniti per richiedere l’intervento urgente a sostegno degli abitanti della città
e dei profughi sempre più numerosi,
proprio nelle stesse ore in cui i primi attacchi americani colpivano in
effettii sobborghi della città già conquistati dall’IS.
La
difficile situazione di Kobane sembrava tuttavia accelerare anche la necessità
di una presa di posizione turca:dopo
i contatti avuti a New York a margine della sessione inaugurale dell’Assemblea
generale dell’ONU, il presidente Erdogan
si spingeva a sostenere la necessità di un’operazione di terra control’IS,
nella quale impiegare anche le ingenti forze militari turche, sia per
riconquistare territorio sottraendolo al califfato, sia per accrescere la
sicurezza della popolazione in fuga dai combattimenti. Erdogan chiariva inoltre
come fossero in corso negoziati per la determinazione della composizione della
coalizione da impegnare nell’operazione di terra-l’opposizione parlamentare
turca non mancava peraltro di esprimere subito dopo dissenso rispetto
all’ipotesi di inviare militari turchi fuori dei confini nazionali.
Due giorni dopo, il 29 settembre, forze aeree britanniche partite dalla base
cipriota di Akrotiricompivano le prime
missioni sul territorio iracheno contro l’IS, mentre le preoccupazioni
dell’esercito nazionale iracheno per la grave situazione sul terreno
conducevano alla riabilitazione di fatto
dei disertori sunniti, nel quadro di un’ampia campagna di reclutamento per
rafforzare i ranghi militari. Senza ancora intervenire nel conflitto
scatenatosi attorno alla città di Kobane, la
Turchia procedeva comunque a
schierare numerosi carri armati sul confine siriano.
Il 30
settembre, mentre i servizi di intelligence
statunitensi riferivano di aver a suo tempo avvisato la Casa Bianca sulla
pericolosità del fenomeno del califfato, senza riscontrare un interesse
prioritario sull’argomento; la Santa sede tornava a far sentire la propria
voce, richiedendo che la minaccia dell’IS fosse affrontata con un uso della
forza proporzionato e multilaterale. Frattanto si verificavano lievi progressi nelle posizioni delle forze
curde dei Peshmerga, che
riuscivano a riconquistare la cittadina di Rabia e il valico di frontiera
prospiciente. Il bilancio delle violenze
in Iraq nel mese di settembre, secondo fonti ONU, registrava la morte di circa
1100 persone.
Ottobre
2014
L’avanzata curda proseguiva il 1° ottobre,
affiancando le forze armate irachene, con la riconquista della cittadina di
Taza Kharmatho, tuttavia riempita dall’IS di ordigni e trappole esplosive,
quindi di fatto impraticabile.Il 2
ottobre il parlamento turco approvava con una maggioranza di circa i due terzi
l’autorizzazione alle operazioni contro il califfato, autorizzazione
consistente sia nel permesso accordato alle operazioni militari lanciate
dall’interno del territorio turco da altri attori regionali e internazionali,
ma anche nella possibilità di ingresso diretto delle truppe di Ankara nel
territorio siriano.
La
decisione del parlamento di Ankara destava vibrate proteste da parte della
Siria e, con toni più morbidi, dell’Iran:
ma lo stesso al-Maliki, ex premier iracheno sciita, si diceva del tutto
contrario all’ingresso delle truppe turche in territorio iracheno. Tutto ciò
non sembrava però dissuadere la Turchia, il cui primo ministro Davutoglu si
diceva pronto a fare tutto il possibile per
impedire la caduta dell’ultima roccaforte, Kobane, tra il territorio controllato dall’IS e il confine turco.
Intanto nelle altre zone dell’Iraq, ai parziali successi dell’IS a ovest di
Baghdad faceva riscontro la prosecuzione dell’avanzata delle forze curde e
irachene a Nord della capitale.
Ancora nuovo orrore destava la diffusione di
un video sulla decapitazione
dell’ostaggio britannico Alan Henning, video nel quale venivano formulate
minacce nei confronti di un altro prigioniero dell’IS, anch’egli operatore
della cooperazione, l’americano Peter Kassig. Il fronte anti-IS si arricchiva
però in quelle stesse ore di due nuovi protagonisti, quando i governi australiano e canadese annunciavano la partecipazione ai
raid aerei contro il califfato.
Il 4 ottobre cominciavano a diffondersi i dubbi dell’Amministrazione USA sulla
strategia portata avanti con gli attacchi aerei contro l’IS, che non si
mostrava efficace come sperato: a fronte di ciò, lo stesso IS compiva una sorta
di svolta mediatica, quando in un video appariva un militante del califfato a
volto scoperto, minacciando i paesi occidentali e lanciando pesanti insulti al premier britannico Cameron. Sul terreno
intanto l’IS riusciva a impadronirsi della città di irachena di Kabisa, mentre
in due diversi agguati nella provincia irachena di Diyala perdevano la vita un
ufficiale e sette soldati delle forze armate di Baghdad.
Il 5 ottobre si stringeva sempre più
l’assedio di Kobane da parte dei miliziani dell’IS: in questo contesto alcuni
di essi erano vittime di un attacco
suicida da parte di una donna curda. Nelle stesse ore, la minaccia dell’IS sembrava allargarsi al territorio libanese -
non senza forti punti interrogativi sul fatto che in questo caso il tentativo
di invasione fosse stato portato avanti assieme alla milizia sunnita, in altri
scenari nemica, di al-Nusra-, dove però la forte opposizione armata del
movimento sciita Hizbollah sembrava
riuscire a contenere la minaccia.
Il 6 ottobre, mentre da molti segnali sembra avvicinarsi la capitolazione di Kobane,
la Turchia persisteva nel suo atteggiamento di non intervento, la
motivazione del quale, emergeva sempre più chiaramente, erano le preoccupazioni
di Ankara per qualunque possibile conquista di uno status di sovranità o anche
di forte autonomia da parte dei curdi del nord siriano, ai quali invece i
turchi chiedevano prioritariamente di rompere qualsiasi legame con il regime di
Assad, la cui destituzione - chiariva lo stesso primo ministro Davutoglu - era condizione imprescindibile della
partecipazione turca ad un attacco di terra contro il califfato nell’ambito della
strategia anti-IS della Casa Bianca. Del resto Davutoglu non nascondeva le
preoccupazioni turche, in quanto a suo dire intervenire a Kobane avrebbe
determinato conseguenze per tutto il confine turco-siriano. In questo contestoAnkara doveva anche subire l’imbarazzo
derivante dalle rivelazioni del Times,
che rendeva noto che a fronte dei 46 ostaggi turchi liberati la settimana
precedente, Ankara aveva restituito all’IS ben 180 jihadisti.
Crescevano
intanto gli allarmi dei servizi segreti occidentali per l’allargarsi della
galassia terrorista ispirata alle gesta dell’IS:
infatti sempre più chiaramente gruppi legati all’orizzonte politico-religioso
del califfato di al-Baghdadi si mostravano attivi in Egitto (nord del Sinai),
in Libia, in Tunisia e Algeria, nello Yemen, ma anche in Uzbekistan, in
Indonesia e Malesia, e, per certi versi, tra Nigeria e Camerun, con il
movimento islamista BokoHaram. Infatti, a differenza della matrice araba
orientale, AQMI (al-Qaida nel Maghreb islamico) sembrava tutt’altro che in
dissidio con l’IS.
Il 7
ottobre alcuni manifestanti curdi irrompevano nell’edificio del Parlamento
europeo a Bruxelles, protestando vivacemente per la situazione di Kobane, e più
in generale per la difficile situazione delle popolazioni curde minacciate
dall’IS-cinque giorni prima unacinquantina di manifestanti curdi avevano
compiuto un’analoga manifestazione proprio in Italia, davanti alla Camera dei
deputati. Emergeva intanto un altro
tratto inumano e inquietante della strategia del califfato, ovvero l’uso
spregiudicato delle risorse idriche e dell’elettricità per colpire anche
territori non direttamente controllati, attraverso il taglio di cavi e la
conquista di dighe e condutture.
L’8
ottobre si registravanoin Turchia una ventina di morti -
incerte le responsabilità - a seguito delle manifestazioni per la giornata di
mobilitazione indetta dai partiti filo-curdi in relazione all’assedio di Kobane
da parte dell’IS. Nella stessa giornata il presidente degli Stati Uniti,
riunito al Pentagono con i massimi vertici militari, non nascondeva il proprio
disappunto per l’inerzia dimostrata dalla Turchia sulla vicenda di Kobane, ma
anche per l’apparente inefficacia dei pur numerosi raid aerei compiuti in Iraq
(270) e in Siria (120) contro le postazioni del califfato.
Il 9
ottobre, mentre ormai i miliziani dell’IS sembravano essere penetrati
parzialmente nella città di Kobane, emergeva un’altra questione che la Turchia considerava come prioritaria e
preliminare ad un proprio intervento di terra, ovvero la creazione di una zona
di interdizione al sorvolo nel Nord della Siria - come dichiarato dal
ministro degli esteri turco Cavusoglu. Al proposito sia il regime di Damasco
che la Russia rifiutavano recisamente questa eventualità, rimandando
adun’eventuale decisione in materia del Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Anche il Segretario generale della NATO Stoltenberg smentiva che l’Alleanza
atlantica avesse discusso dell’argomento. Nell’intricato scenario siriano,
nonostante l’ingombrante presenza dell’IS, proseguivano
anche numerosi i raid aerei del regime di Damasco contro gli oppositori armati,
nei cui ranghi peraltro si contano numerosi jihadisti, per quanto distinti
dalle milizie del Califfato-come quelli di al-Nusra, probabilmente autori del
sequestro nel Nord-Ovest siriano del parroco francescano della comunità
cristiana di Knayeh, rilasciato proprio il 9 ottobre, a differenza del gruppo
di fedeli con cui si trovava, rimasti nelle mani dei rapitori.
Qualche
problema nella coalizione anti-IS emergeva in relazione alla condotta del Qatar,
notoriamente finanziatore di gruppi jihadisti in tutto lo scenario
mediorientale, ma nel contempo formalmente aderente alla coalizione
internazionale contro l’IS: la preoccupazione saudita, giordana ed emiratina
per il proseguire dei flussi finanziari verso il Califfato conduceva l’11 ottobre questi paesi a manifestare
disappunto verso Doha, peraltro sotto la lente d’ingrandimento dello stesso
Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti per il suo costante sostegno a gruppi
qaidisti come il Fronte al-Nusra, Hamas e i talebani dell’Afghanistan.
Proprio gli Stati Uniti tuttavia hanno non poche difficoltà a rapportarsi al Qatar,
da cui dipendono per le basi logistiche di molte delle azioni militari dirette
contro l’IS, nonché per alcuni nevralgici momenti di mediazione che Doha ha
potuto portare avanti proprio in ragione dei suoi rapporti con l’islamismo
radicale. Nel Regno Unito si levavano esortazioni a boicottare alcune proprietà
qatariote a Londra, come i famosi grandi magazzini Harrods, e più in generale
polemiche per l’atteggiamento britannico, giudicato troppo morbido, nei
confronti del Qatar.
Intanto
a Kobane i curdi resistevano con tenacia agli attacchi dell’IS,
che tuttavia sembrava concentrare ingenti forze anche nei pressi della città
petrolifera di Kirkuk. A Baghdad una quarantina di persone perdevano la vita in
seguito a una serie di attacchi suicidi contro quartieri per la maggior parte
sciiti della capitale irachena. Nuove efferatezze dell’IS emergevano in
riferimento all’uccisione a Mosul di
quattro donne in meno di una settimana – si trattava di due medici, una
giurista e una parlamentare.
Sempre l’11 ottobre, con una lettera
inviata al Corriere della Sera, i
presidenti delle Commissioni Esteri della Camera, Fabrizio Cicchitto e del Senato, Pierferdinando Casini, chiedevano di schierare forze delle Nazioni
Unite in Medio Oriente per contrastare in modo più efficace l’avanzata dei
terroristi dell’IS in Medio Oriente: “Non è possibile – scrivono - che
il mondo assista in modo sostanzialmente passivo alla tragedia che sta
avvenendo. La comunità internazionale deve prendersi le sue responsabilità e
quindi porre in essere un risoluto e risolutivo intervento politico-militare di
contrasto all’Isis, realizzato dalle forze dell’Onu che non lascino soli i peshmerga, i quali in ogni caso stanno
pagando un significativo tributo di sangue. Siamo a uno snodo cruciale della
sicurezza globale, che prescinde dalle vecchie e nuove contrapposizioni tra Est
ed Ovest oppure tra Nord e Sud, e dovrebbe perciò indurre a una mobilitazione
generale, cui l’Unione europea, in particolare, potrebbe dare impulso”.
In questo contesto la voce della Chiesa
tornava a farsi sentire con le
dichiarazioni del segretario di Stato vaticano card. Parolin, che esortava
a ogni sforzo per fermare l’aggressione contro le minoranze in corso in Medio
Oriente, che desta grande preoccupazione nello stesso Pontefice: il card.
Parolin ribadiva la legittimità dell’uso della forza in un contesto
multilaterale, ancor meglio se autorizzata dalle Nazioni Unite, se l’obiettivo
si limita a quello di porre fine ad un’aggressione.
La battaglia continuava a infuriare a
Kobane, dove però l’IS incontrava forte resistenza da parte delle milizie
curde, mentre l’uccisione del capo della polizia della provincia occidentale
irachena di al-Anbar faceva temere un’estensione a questa provincia dell’azione
del Califfato; il 13 ottobre un rapporto pubblicato da Amnesty International rendeva noto come con la complicità delle
autorità irachene le milizie sciite avessero rapito e ucciso decine di civili
sunniti negli ultimi mesi, come rappresaglia per le azioni dell’IS. La
presa della città di Hit da parte dell’IS rinfocolava i timori per la provincia
di al-Anbar. Inoltre, la Turchia
smentiva la notizia proveniente da Washington in merito alla concessione di una
base aerea turca per i bombardamenti americani sulla milizie del Califfato.
Il
14 ottobre la Turchia, significativamente, compiva raid aerei contro i curdi
turchi del PKK nel sud-est del proprio territorio.
Intanto un attentato suicida perpetrato con un’autobomba uccideva a Baghdad 25
persone, incluso il deputato e vice capo dell’organizzazione Badr Ahmed
al-Khafaji.
Rinnovati timori venivano intanto
dall’annuncio dell’effettivo ritrovamento in Iraq, nel periodo di occupazione
da parte delle truppe statunitensi, di numerose armi chimiche - non certo
quelle letali il cui possesso da parte di Saddam era stato posto alla base
dell’invasione del paese -, anche se ormai spesso deteriorate, su cui era stato
mantenuto il segreto più stretto. Alcuni di questi armamenti si teme ora
possano cadere nelle mani dell’IS, che controlla una vasta porzione del
territorio iracheno. Mentre a Mosul le milizie del Califfato procedevano
all’esecuzione di 46 persone, in Italia si
riuniva il 15 ottobre il Consiglio supremo di difesa, per il quale l’Italia
e l’Europa devono fronteggiare rischi importanti in relazione all’espansione
dell’IS in Medio Oriente, anche in considerazione del fenomeno dei foreign fighters di ritorno in Europa
dal teatro di guerra. Proprio un maggior coordinamento europeo dovrà essere la
chiave decisiva per far fronte al rinnovato allarme.
Il
16 ottobre il Ministro della
difesa Roberta Pinotti, intervenendo dinanzi alle Commissioni riunite esteri e
difesa dei due rami del Parlamento, ribadiva la serietà della minaccia
rappresentata dall’IS: in questo senso il
Governo italiano annunciava un ulteriore contributo alla coalizione,
consistente nell’invio complessivo di un massimo di 280 militari con compiti
addestrativi per le milizie curde, due droni Predator ed un rifornitore in volo. Inoltre il Ministro
preannunciava l’invio di ulteriore munizionamento, ma anche l’eventuale
cessione, ove possibile, alle milizie curde di proiettili anticarro e blindati
in uso all’esercito italiano. Proseguivano intanto gli attentati a Baghdad,
dove quattro autobomba provocavano la morte di 36 persone e il ferimento di un
centinaio. Alla fine della giornata si registrava un significativo arretramento dell’IS a Kobane, ma, parallelamente,
una recrudescenza dei combattimenti nella provincia di al-Anbar, pur nel quadro
di un alleggerimento della pressione diretta verso la capitale irachena.
Il
17 ottobre, mentre proseguivano i progressi curdi a Kobane,
anche grazie alla maggiore efficacia dei raid aerei della coalizione, 60
miliziani dell’IS perdevano la vita nell’attacco al loro campo a Jaberiya,
assaltato da elementi dell’esercito e della polizia iracheni. Altri esponenti
di rilievo dell’IS venivano uccisi a Ramadi. Peraltro l’IS riceveva
attestazioni di appoggio dalla penisola arabica, con un appello delle locali
cellule di al-Qaida a tutti i musulmani per il sostegno all’IS e l’attacco in
ogni forma contro l’America. Gli stessi Stati Uniti non confermavano le voci
secondo le quali erano venuti in possesso dell’IS tre aviogetti da
combattimento siriani, che sarebbero stati visti già diverse volte volare a
bassa quota, presumibilmente guidati da ufficiali disertori dell’aviazione
irachena.
Mentre proseguivano gli attentati a Baghdad
e in altre località irachene contro gli sciiti, il 20 ottobre si verificava una
svolta nell’atteggiamento della Turchia,
che si diceva finalmente disponibile a consentire il passaggio della truppe dei
Peshmerga curdi a sostegno dei difensori di Kobane. Intanto per la prima volta
gli Stati Uniti paracadutavano armamenti alle milizie curde, ma,
sfortunatamente, una parte di questi cadeva nelle mani di miliziani dell’IS.
Questi ultimi, secondo un volontario americano operante sul terreno, avrebbero
usato anche armi chimiche durante l’assedio di Kobane, come sarebbe documentato
da alcune foto appositamente fornite. Due giorni dopo, il 24 ottobre, ufficiali
dell’esercito iracheno confermavano l’uso di armi chimiche contro le proprie
truppe da parte dell’IS, mentre nuove prove venivano in merito
all’utilizzazione di tali armamenti anche nell’assedio di Kobane. Si
tratterebbe di cloro, come indicato dai sintomi di avvelenamento riscontrati.
Nuovi
segnali di allargamento della sfera di azione dell’IS venivano dal Libano,
ove nella città settentrionale di Tripoli si verificavano scontri tra
l’esercito di Beirut e militanti sunniti collegati al Califfato: dopo due
giorni, il 27 ottobre, la cellula jihadista risultava distrutta.
Già partire dalla fine del 2013, il Parlamento italiano ha iniziato a seguire l’evoluzione del teatro di crisi iracheno-siriano, segnato dall’iniziativa offensiva dello “Stato islamico” (IS), formazione paramilitare di matrice islamista, adottando una serie di misure normative volte a consentire la partecipazione italiana a missioni umanitarie di assistenza ai rifugiati dell’area ed al sostegno delle forze curdo-irachene impegnate nel contrasto all’IS.
In questa prospettiva, il dispositivo dell’ordine del giorno 9/01670-AR/062
d’iniziativa dell’on. Massimo Artini, presentato in Assemblea durante l’esame
del disegno di legge di conversione del decreto di proroga della partecipazione
italiana alle missioni internazionali per l’ultimo trimestre 2013[2],
accolto dal Governo (seduta del 3
dicembre 2013), impegnava il Governo ad adoperarsi, per il tramite della
missione diplomatica prevista dal provvedimento, anche per ottenere dalla
Turchia e dalla Regione autonoma curda (KRG) l’apertura dei valichi al
fine di consentire il passaggio degli aiuti umanitari ai rifugiati siriani
presenti nella regione.
Si rammenta che l’art. 6, co. 2 del decreto di proroga delle missioni (D.L. 114/2013) ha disposto l’invio in missione nell'area di confine turco-siriana, per il periodo 1° ottobre - 31 dicembre 2013, di un funzionario diplomatico autorizzato ad avvalersi, per l’espletamento delle proprie attività, del supporto di due unità di personale locale.
Nell’ambito dell’audizione sugli sviluppi di politica estera in relazione al semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, svolta davanti alle Commissioni riunite Affari esteri della Camera e del Senato (3 luglio 2014), il Ministro degli affari esteri Federica Mogherini ha evidenziato l’intenzione del nostro Paese di esercitare nel semestre un ruolo di accompagnamento della politica estera europea sul versante della crisi siriana e irachena.
Posto che, di fatto, il confine tra i due Paesi è sparito, uno dei principali rischi connessi alla crisi – ha affermato Mogherini - è l’espansione degli effetti destabilizzati del conflitto sui Paesi vicini, primo fra tutti il Libano, del quale l'Italia è impegnata a sostenere le forze armate in chiave sia di sicurezza interna e delle frontiere, sia di unità nazionale. Il Ministro ha sottolineato, altresì, il rischio che l'avanzata e le attività di IS in Iraq mettano a seria prova la stabilità della Giordania, con conseguenti ripercussioni negative anche sul fronte mediorientale più tradizionalmente inteso, a partire da Israele.
Mogherini
ha ribadito l’impegno italiano anzitutto sul versante dell'assistenza
umanitaria, per fronteggiare la quale sono stati stanziati nuovi fondi
soprattutto attraverso canali multilaterali. Quanto
al fronte interno iracheno, il
messaggio che il nostro Paese sta veicolando agli attori interni all'Iraq e ai
Paesi della regione che hanno influenza diretta o indiretta sui diversi attori
iracheni – ha dichiarato il Ministro - è che si arrivi il più rapidamente
possibile a un nuovo governo di unità nazionale rappresentativo di tutte le
parti della società irachena e, in particolare, non solo degli sciiti, ma anche
dei sunniti e dei curdi; la disgregazione, della realtà irachena, infatti,
rappresentando un fattore di grave rischio per la sicurezza, diventa tema di
interesse prioritario dei grandi Paesi attori della regione (Iran, Paesi del
Golfo a partire dall'Arabia Saudita, e Turchia) che si trovano a condividere l’interesse
alla stabilità dell'Iraq.
All’estrema instabilità e drammaticità della
situazione irachena, una drammaticità che si tende peraltro a rimuovere, nonché
all’interesse strategico italiano all’esercizio della propria responsabilità in
quel Paese, Mogherini aveva fatto riferimento anche in un passaggio dell’audizione
sulle linee programmatiche del dicastero degli Affari esteri, svolta davanti
alle Commissioni riunite Affari esteri della Camera e del Senato il 18 marzo 2014.
Il 20 agosto
2014 davanti alle Commissioni congiunte Esteri e Difesa di Camera e Senato
si sono svolte le Comunicazioni del Governo sui recenti sviluppi della
situazione in Iraq anche con riferimento agli esiti del Consiglio
straordinario dei Ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014.
Come precisato dal
Presidente della Commissione Affari esteri della Camera, on. Fabrizio
Cicchitto, fondamento della seduta è la lettera inviata ai presidenti delle
quattro Commissioni dai Ministri Mogherini e Pinotti, i quali - richiamata l’attenzione
sulla riunione straordinaria del Consiglio dei Ministri degli esteri
dell'Unione europea svoltasi a Bruxelles il 15 agosto - esprimevano la
disponibilità a riferire alle Commissioni parlamentari in considerazione del
particolare rilievo dell'ordine del giorno di quella riunione. Il presidente
Cicchitto richiamava altresì l’appello rivolto dall’Ambasciatore iracheno a
Roma, a nome del suo Governo e di tutte le comunità del suo popolo, affinche
l'Italia potesse dimostrare concretamente la sua vicinanza all'Iraq e, in
particolare, al Kurdistan iracheno, a fronte della tragedia umanitaria
di cui sono vittime, dagli inizi di giugno, le popolazioni locali e le
minoranze etniche e religiose.
Nella propria
relazione il Ministro degli Affari esteri, Federica Mogherini, richiamato il
quadro di instabilità ormai assai prossimo in Giordania e Libano e
potenzialmente estensibile ad altri paesi
(Turchia ed Iran) a seguito del massiccio afflusso di rifugiati e
delle pesanti ripercussioni di sicurezza interna, si è concentrata sull’avanzata
dell’IS. Tale organizzazione –
sottolineava il capo della diplomazia italiana - separatasi da Al Qaeda ritenuta troppo morbida, è il
cuore della questione che gli iracheni, i curdi in particolare, stanno
fronteggiando; l’obiettivo principale di IS, ha affermato il Ministro, sono le
popolazioni civili, in particolare le minoranze cristiana e yazida e tutte le
minoranze in genere.
In tale contesto,
secondo Mogherini, la questione centrale non è tanto la protezione di alcune
minoranze quanto, invece, l’affermazione del principio della convivenza civile
e pacifica in un territorio. Il Ministro degli affari esteri riferiva quindi
dell’intensa iniziativa del nostro Paese negli ultimi mesi, alla luce della
collocazione dell’Iraq tra le priorità strategiche dell’attività di governo:
prima ancora dell’incontro di giugno, a Roma, con il presidente del Kurdistan
Barzani, l'Italia si era infatti fatta promotrice, nell’ambito del vertice tra
Unione europea e Lega araba (11 giugno) di una dichiarazione comprensiva di un
riferimento esplicito alla situazione in Iraq, dove si condannava l'ondata di
attacchi terroristici, si chiamavano il Governo dell'Iraq e il Governo della
Regione autonoma del Kurdistan a unire le proprie forze politiche e militari
per ripristinare la sicurezza a Mosul ed a Ninive, si riaffermava
l'impegno per l'unità e l'integrità territoriale dell'Iraq e si richiamavano le
risoluzioni delle Nazioni Unite 1267 e 1989 che dichiarano l'IS organizzazione
terroristica, imponendo sanzioni ed una serie di misure riconosciute dalla
comunità internazionale.
In quell'occasione
Mogherini aveva incontrato l’omologo iracheno Zebari con il quale ha avuto un
primo scambio di opinioni su quello che la comunità internazionale, a partire
dall'UE, avrebbe potuto fare per sostenere in qualche modo la resistenza
all'avanzata dell'IS.
A tale contatto
avevano fatto seguito ulteriori attività: in sede di Consiglio affari esteri
dell'Unione europea di luglio, ad esempio, l'Italia, ha proposto un punto in
agenda sulla protezione in particolare dei cristiani di Ninive; inoltre, il
Viceministro Pistelli si recava a Baghdad ed a Erbil il 6 e 7 agosto (e
della missione riferiva in Senato, in audizione informale, il sottosegretario
Della Vedova l’8 agosto). Il Ministro degli esteri riferiva quindi di avere
avuto, sempre l’8 agosto, una conversazione telefonica con il presidente
Barzani durante la quale aveva raccolto non solo la richiesta di un forte
sostegno sul versante umanitario, ma anche la prospettiva di un sostegno dal
punto di vista della sicurezza e militare: a seguito di tali contatti
era stata redatta
la lettera ai
presidenti delle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato (v. infra)
nonché quella indirizzata all'Alto rappresentante per la politica estera UE
Catherine Ashton per avere una convocazione immediata del Consiglio Affari esteri,
svoltosi come accennato il 15 agosto.
Su proposta
italiana il Consiglio affari esteri dell’UE aveva esaminato non soltanto
la situazione drammatica in Iraq, ma anche quella in Medio Oriente, quella in
Libia ed un aggiornamento sulla situazione in Ucraina. Nell’ambito della
costruzione di tale cornice internazionale, a partire dalla dimensione europea,
Mogherini ha rammentato i contatti costanti con gli interlocutori regionali
quali il Ministro degli esteri iraniano, turco, emiratino, qatariota, giordano oltre
ai Contatti con la Santa Sede. Tale lavoro diplomatico ha prodotto la
convergenza su tre linee d’azione condivise a Bruxelles con i partner europei, che il Ministro così
sintetizzava:
1.
immediati
aiuti umanitari. Dal punto di vista dell’Italia, il nostro Paese aveva stanziato già un
milione di euro per gli aiuti umanitari: 500 mila euro all'OMS per gli
sfollati nelle regioni di Erbil, Dohuk e Sulaymaniyah, più un milione di euro
per un fondo presso la nostra Ambasciata a Baghdad e gli uffici di Erbil
(Kurdistan), per progetti delle ONG nel campo della sanità, dell'istruzione
e della formazione professionale. A questo si sono aggiunti negli ultimi giorni
sei voli fatti insieme alla Difesa che hanno portato in totale 50 tonnellate di
acqua e generi alimentari di prima necessità. Sul versante europeo si è
condivisa la scelta di attivare meccanismi di cooperazione che consentano di
coordinare gli aiuti per evitare sovrapposizioni e raddoppiamenti: allo scopo è
stato messo in campo un meccanismo di coordinamento europeo;
2. esame di una modalità di risposta
positiva, sottoposta alle Commissioni, alla richiesta formulata dal Governo centrale iracheno e da
quello della Regione autonoma del Kurdistan, di forniture militari; sul
punto si diffonderà nel dettaglio la comunicazione del Ministro Pinotti, ma –
ribadiva Mogherini - per il Governo era fondamentale che questo lavoro si
svolgesse innanzitutto in una cornice internazionale ed europea - da qui
la richiesta della convocazione del Consiglio affari esteri dell’UE -, e con il
coinvolgimento del Parlamento “che credo
oggi possa compiersi; ma questo chiaramente dipenderà dalla volontà delle
Commissioni”;
3.
azione
politica,
necessaria ad individuare le soluzioni di lungo termine. Si tratta di lavorare
ad un quadro sostenibile all'interno dell'Iraq e nella regione, un quadro
politico inclusivo che garantisca l'unità, l'integrità territoriale dell'Iraq e
il suo inserimento in un contesto regionale che aiuti a rispondere alla
minaccia dell’IS che riguarda in primis gli iracheni ma anche l’intera regione,
l’UE e il mondo intero. In tale contesto è significativo che al-Abadi abbia
ricevuto l'incoraggiamento e l'invito a procedere velocemente alla formazione
di un Governo inclusivo anche dall'Iran, oltre che da Washington, dall'Araba
Saudita e dall'Unione europea, in un contesto di consenso difficilmente
riscontrabile in quella regione ed al quale l’Italia ha attivamente
contribuito.
Mogherini
richiamava quindi le conclusioni del Consiglio affari esteri di Ferragosto
dove, sulla base di un consenso unanime, viene accolta con favore la decisione
dei singoli Stati membri di rispondere positivamente alla richiesta
delle autorità del Governo regionale curdo di ricevere urgentemente
materiali militari, sulla base delle capacità e delle leggi nazionali degli
Stati membri e con il consenso delle autorità nazionali irachene. Il Ministro
sottolineava la rilevanza di tale consenso che consente al sostegno militare di
affluire attraverso canali istituzionali internazionalmente riconosciuti
(cessione da Governo a Governo). I
l secondo elemento
che ha composto il quadro di riferimento internazionale – aggiungeva Mogherini
– è la risoluzione n. 2170 delle Nazioni Unite del 16 agosto che
riafferma, tra il resto, la necessità di combattere con ogni strumento, in
conformità con la Carta delle Nazioni Unite e con l'ordinamento internazionale,
le minacce alla pace internazionale e alla sicurezza causate da atti
terroristici. Riferendosi al passaggio di coinvolgimento del Parlamento,
ritenuto dal Governo imprescindibile a fianco della cornice internazionale
testé rammentata, il Ministro affermava che sebbene esso non sia necessario
sotto il profilo formale esso è tuttavia fondamentale dal punto di vista
politico, come momento di condivisione di un importante passaggio con le
Commissioni competenti.
Il Ministro della
Difesa Roberta Pinotti, fornite precisazioni tecniche sulla fornitura degli
aiuti umanitari immediati decisi dal Consiglio Affari esteri dell’UE, offriva
quindi una serie di informazioni sui materiali d’armamento che il Governo
italiano valutava di poter fornire: in particolare, si tratta in
equipaggiamenti per la difesa personale e d'area. Il Ministro rammentava,
altresì, che Francia e Gran Bretagna avevano già effettuato o avviato
analoghe operazioni mentre la Germania stava valutando il proprio
contributo alla fornitura di mezzi e materiali militari. Pinotti riferiva
quindi dell’ipotesi di prevedere la copertura finanziaria degli oneri connessi
ai vari aspetti delle forniture militari richieste dalla autorità irachene e
curde con apposito emendamento al decreto-legge 109/2014 in corso di
conversione, concernente la proroga delle missioni internazionali nel secondo
semestre.
Alla fine della
seduta congiunta e dopo le riunioni separate degli uffici di presidenza delle
Commissioni dei due rami del Parlamento, lo stesso 20 agosto si svolgevano
le riunioni delle Commissioni per il voto di risoluzioni.
Presso la Camera
le Commissioni riunite Affari Esteri e Difesa discutevano congiuntamente le
risoluzioni sul contributo dell'Italia alle iniziative internazionali per la
crisi nel Nord dell'Iraq 7-00456 Cicchitto e Vito, 7-00457 Artini e Sibilia e
7-00458 Duranti e Palazzotto. E’ stata approvata la risoluzione 7-00456
per la quale il Ministro Mogherini ha espresso il parere favorevole del
Governo, votata per parti separate (parte motiva e parte dispositiva) con
votazioni per appello nominale[3].
Con la risoluzione
7-00456 le Commissioni Esteri e Difesa preso atto di quanto riferito dai
Ministri e degli esiti del Consiglio straordinario dei ministri degli esteri
dell'Unione europea del 15 agosto 2014, valutato che l'occupazione di ampie
porzioni di territorio iracheno e siriano cadute sotto il controllo dell'IS e
di ulteriori forze terroristiche fondamentaliste rappresenta una seria minaccia
alla sicurezza internazionale, ai sensi della risoluzione del Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite n. 2170 (2014), adottata nell'ambito del Capitolo
VII della Carta; manifestata viva preoccupazione per la catastrofe
umanitaria e le atrocità che soprattutto nel Nord dell'Iraq stanno subendo le
minoranze religiose ed in particolare quella cristiana e quella yazida; sottolineata
la necessità di tutelare la natura multiconfessionale della regione; incoraggiata
la formazione di un nuovo governo iracheno in cui possano riconoscersi tutte le
componenti del Paese, a garanzia della sua integrità territoriale e condivisa
la ferma condanna espressa dal Consiglio straordinario dei ministri degli
esteri dell'Unione europea del 15 agosto nei confronti degli attacchi
perpetrati dall'IS e dagli altri gruppi armati associati, che si configurano
come veri e propri crimini contro l'umanità, impegnano il Governo a dare attuazione
agli indirizzi formulati dal Consiglio straordinario dei ministri degli esteri
dell'Unione europea del 15 agosto 2014, rispondendo, d'intesa con i
partner europei e transatlantici, alle richieste di aiuto umanitario e di
supporto militare delle autorità regionali curde, con il consenso delle
autorità nazionali irachene.
Presso il Senato
della Repubblica le omologhe Commissioni Esteri e Difesa hanno approvato la
risoluzione Doc. XXIV, n. 34, di identico tenore.
Nella seduta
dell’Assemblea della Camera del 9 settembre 2014[4] nell’ambito dell’informativa urgente del Governo
sul tema del terrorismo internazionale di matrice religiosa il ministro
dell’Interno, Angelino Alfano, ha dedicato una delle tre parti dell’intervento
all’esame della struttura, alle modalità di finanziamento, di propaganda e di
reclutamento dell’IS, evidenziandone il carattere di soggettività statuale antagonista che punta
a trarre il massimo profitto dalla crisi dello Stato nazione dei Paesi islamici.
L’intervento si è incentrato, inoltre, sulla reazione al fenomeno IS da parte
dei Paesi coinvolti e sulla specifica situazione italiana con i relativi fattori di rischio e di allarme, in ossequio
all’obiettivo dichiarato dell’informativa che è quello di mettere a parte il
Parlamento dello stato delle conoscenze del fenomeno, delle possibili ricadute
sul suolo nazionale e del quadro di cooperazione internazionale globale.
L’informativa urgente è stata resa, nella medesima giornata del 9 settembre,
anche presso l’Assemblea del Senato della Repubblica.
In pari data, il
Ministro degli esteri riferiva alle Commissioni Esteri e Difesa dei due rami
del Parlamento sugli esiti del Vertice dell’Alleanza atlantica,
tenutosi il 4 ed il 5 settembre in Galles, sottolineando come in quella sede
fosse emersa con chiarezza una convergenza tra i partner atlantici circa
l’esigenza di non coinvolgere
la NATO in quanto tale nel teatro di crisi siriano-iracheno ma di creare una rete di Paesi che non coinvolgesse
solamente alcuni Stati membri del Patto atlantico, ma anche altri Stati, al di
fuori dell’Alleanza atlantica a partire dai Paesi arabi ed islamici, con
una pluralità di strumenti, non principalmente militari, ma soprattutto sul
versante dell’aiuto umanitario, del controllo dei flussi economici e finanziari,
fondamentale per arginare i rifornimenti e l’accesso di risorse di ISIS, nella
cornice di Nazioni unite.
In quella stessa
giornata del 9 settembre, il Governo presentava una proposta emendativa all’art.
4 del disegno di legge di conversione del richiamato decreto-legge n. 109/2014[5], di proroga della partecipazione italiana e
missioni internazionali, volta ad autorizzare per l'anno 2014, la spesa di euro
1.965.886 per il trasporto degli aiuti umanitari a favore della popolazione
civile irachena effettuato nel mese di agosto, nonché per il trasporto del
materiale di armamento ceduto, a titolo gratuito, alla Repubblica dell'Iraq.
In sede di
approvazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge, il Governo
accoglieva il 17 settembre scorso un ordine del giorno, d’iniziativa
dell’on. Gianluca Rizzo (9/2598-A-R/32), riformulato nel corso della seduta, che impegna il Governo a non assumere ulteriori iniziative
d'invio in Iraq di armi e militari oltre a quelli presenti nel decreto in
esame, senza prima aver dato preventiva comunicazione alle Camere o alle
Commissioni competenti che adottano le conseguenti deliberazioni.
I profili della sicurezza
interna italiana davanti all’evoluzione della minaccia jihadista esplicitamente
rivolta al nostro Paese sono stati oggetto di un’interrogazione a risposta
immediata in Assemblea alla Camera (3-01047, Dorina Bianchi ed altri)
svolta nella seduta del 24 settembre. In sede di replica il Ministro
Alfano ha confermato la necessità di innalzare il livello di guardia, in
considerazione sia delle dirette minacce all’Italia, sia anche dell'offensiva
delle forze di cooperazione in territorio siriano suscettibile di innescare
forme di reazione.
Nell’ambito di una
strategia focalizzata sulla valutazione di qualsiasi segnale di pericolo, per
quanto tenue, il Ministro dell’Interno ha sottolineato che può considerarsi
convocato in permanenza il Comitato di analisi strategica antiterrorismo,
tavolo di alto coordinamento che riunisce rappresentanti delle Forze di polizia e degli
organismi informativi. In un quadro di azione europea - ha affermato Alfano –
sta procedendo la proposta italiana, cui può giovare la funzione di Presidenza
di turno dell’Ue, di costituire una squadra multidisciplinare di monitoraggio
dei combattenti stranieri, nonché il progetto di realizzazione di una banca
dati basata sul codice di protezione passeggeri (passenger name record)
che metta a disposizione delle polizie le liste dei passeggeri dei voli in
transito nell'area Schengen o in arrivo dai Paesi terzi.
Nella seduta dell’11
settembre 2014 presso la Commissione Difesa della Camera si è svolta l’interrogazione
a risposta immediata 5-03522 d’iniziativa dell’on. Donatella Duranti sui rischi
connessi alla fornitura di armi alle forze curde in Iraq. Con riferimento, in particolare, alla parte
dell’interrogazione che si incentra sul rischio di “sviamento”, ossia la
perdita di controllo sui destinatari della fornitura, nel testo della risposta
viene precisato che, ai sensi di quanto stabilito con un apposito documento
(End User Certificate), firmato dal
Governo regionale curdo il 28 agosto 2014 su richiesta delle autorità italiane,
i destinatari finali della fornitura sono chiaramente individuati e gli
utilizzatori finali sono tenuti a non riesportare o trasferire il materiale
italiano oggetto dell’operazione senza il consenso delle autorità italiane.
L’End User Certificate prevede che il
materiale verificato dalla autorità irachene venga consegnato a destinatari
preventivamente individuati, responsabili della distribuzione agli utilizzatori
finali, rigorosamente appartenenti all’etnia curda. Le procedure avverranno
sotto la supervisione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione
internazionale, per il tramite della Rappresentanza diplomatica di Erbil.
Quanto all’utilizzo per “fini istituzionali” di materiale d’armamento
sequestrato, che è altra questione posta dagli interroganti, nel testo della
risposta si esplicita che il necessario decreto interministeriale
Giustizia-Difesa-Economia (come stabilito a suo tempo dalla legge 108/2009 e,
successivamente, dall’articolo 319 del Codice dell'ordinamento militare[6]) è stato assunto il 4 settembre 2014; con tale
provvedimento è stata determinata la destinazione di tali materiali ad uso
istituzionale della Difesa.
Le iniziative a protezione
del cantone di Kobane nel Kurdistan occidentale (a pochi chilometri dal
confine con la Turchia) pesantemente attaccato dall’IS da metà settembre, e la
posizione del governo di Ankara, sono stati oggetto dell’interrogazione a
risposta immediata in Commissione Esteri 5-03672 d’iniziativa dell’on.
Emanuele Scagliusi svolta nella seduta del 1° ottobre.
Ancora
sull’assedio della città siriana di Kobane da parte dei miliziani dell'IS
e sulla posizione della Turchia è intervenuta alla Camera (seduta del 10
ottobre) l’interpellanza urgente in Assemblea 2-00709 d’iniziativa
dell’on. Erasmo Palazzotto. L’on. interpellante ha evidenziato, tra il
resto, come l’attacco portato alla capitale – Kobane appunto - della regione
autonoma del Rojava costituitasi nel Kurdistan siriano a novembre 2013
dall’unione delle tre enclavi curde di Kobane, Afrin e Cizre,
dotatasi di istituzioni democratiche e di forze di difesa del popolo (YPG) e
divenuta un pacifico esempio di convivenza e tolleranza di etnie e religioni
diverse (curdi, arabi, turcomanni, assiri, armeni, cristiani, yazidi,
musulmani), punti a distruggere il simbolo di un'alternativa possibile al
modello sociale e religioso perseguito dall’IS.
In sede di
replica, il rappresentante del Governo ha dato ampiamente conto della posizione
della Turchia sulla strategia di contrasto all’IS, allo stato refrattaria
all’opzione di intervento di terra limitato alla città di Kobane propugnato
dall’opposizione parlamentare (in particolare dal CHP, il Partito repubblicano
del popolo), ed ancorata al testo di una mozione approvata il 1° ottobre il cui
mandato – ritenuto troppo vago - autorizza per un anno l'esercito ad
intervenire oltre confine, in territorio siriano e iracheno, per fare fronte
alle crescenti minacce poste dall'avanzata delle forze dell'IS e consente il
transito in territorio turco di truppe straniere nonché l'utilizzo delle basi
militari turche da parte della coalizione internazionale.
Il Sottosegretario
ha rammentato, altresì, che la Turchia non acconsente nemmeno all’apertura del
valico che porta all’enclave di
Kobane che consentirebbe – come ha sottolineato anche l’inviato speciale delle
Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, autore di un appello alla
Turchia in tal senso – “ai volontari di
entrare nella città con equipaggiamenti sufficienti contribuendo alle
operazioni di autodifesa”.
La posizione italiana – ha affermato l’esponente dell’esecutivo – si
fonda sull’auspicio che, nel pieno rispetto delle esigenze di sicurezza turche,
Ankara sappia articolare il proprio apporto alla strategia della coalizione,
commisurandolo alla vasta portata della minaccia di IS alla stabilità della
regione mediorientale e della Turchia stessa; e del resto molti soggetti
internazionali e numerosi altri Paesi cercano di convincere la Turchia a fare
di più, o almeno consentire il passaggio di chi vuole andare a combattere per
difendere l’enclave di Kobane, attaccata su più lati con armi pesanti (le
armi dell'esercito iracheno prese a Mosul ed anche quelle dell'esercito siriano)
e difesa soltanto dalle forze di protezione del popolo curdo delle YPG.
Quanto agli interventi sul piano umanitario, il rappresentante del Governo ha rammentato la
tempestività dell’intervento della cooperazione italiana in risposta alla crisi
umanitaria in Iraq visto l'afflusso di rifugiati siriani e, più recentemente, a
causa dell'offensiva dell'IS. Rammentato che recenti stime delle Nazioni Unite
quotano a oltre 1,8 milioni gli sfollati in Iraq, il sottosegretario ha sottolineato
che sino ad ora sono stati erogati (dall’Italia) 500.000 euro all'OMS, 250.000
euro al PAM, 230.000 euro all'UNICEF; inoltre, parte del programma del
valore di 1 milione di euro già avviato in Iraq in favore dei rifugiati siriani
presenti nelle aree del Kurdistan iracheno, è stato riconvertito per realizzare
attività in ambito sanitario e formativo in favore dei nuovi sfollati interni
presenti nel Paese. Quanto alla regione di Kobane, le precarie
condizioni di sicurezza non hanno sino ad ora consentito lo svolgimento di
attività umanitarie internazionali.
Da ultimo, il 16
ottobre, presso le Commissioni congiunte Esteri e Difesa della
Camera e del Senato si è svolta l’audizione del Ministro della difesa e del
sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale,
Benedetto Della Vedova, sugli sviluppi del quadro internazionale,
con particolare riferimento all'Iraq. In apertura di seduta il
Presidente della Commissione Difesa, on. Elio Vito, ha fatto riferimento
alla forte preoccupazione per l’attuale quadro geopolitico internazionale emersa
nella recente riunione del Consiglio supremo di difesa, con particolare
riferimento ai rischi rilevanti per l’Europa e per l’Italia connessi alla
pressione militare dell’IS in Siria e in Iraq e correlati anche alla forza
attrattiva che il movimento sembra poter esercitare su altre formazioni
jihadiste e dell’estremismo islamico in aree non contigue ai territori
controllati. In tale situazione – ha sottolineato Vito - il Consiglio supremo di
difesa ha rilevato che è necessario che l’Italia, insieme a Nazioni Unite e
Unione europea, consideri con estrema attenzione gli eventi in corso ed
eserciti ogni possibile sforzo per prevenire, in particolare, l’ulteriore
destabilizzazione della Libia; inoltre, la gravità della situazione evidenzia l’urgenza e l’importanza,
pur nei limiti della ridotta disponibilità di risorse, di una rapida
trasformazione delle nostre Forze armate e dell’organizzazione europea della
sicurezza.
Il Ministro della
Difesa, Roberta Pinotti, dopo aver richiamato origine ed ambizioni
espansionistiche dell’IS, definito violentissimo attore politico e militare, ed
averne evidenziato il forte appeal ideologico ed economico che fa quotare a 30
mila uomini - nell’ipotesi più pessimistica -
la consistenza del contingente di combattenti, ha rammentato le
molteplici iniziative, di carattere sia politico sia militare, poste in campo
dalla comunità internazionale per contrastare i fenomeno, a partire dalla
collocazione dell’IS nelle black lists delle organizzazioni terroristiche da
parte di Paesi musulmani quali la Turchia (2013) e, recentemente, l’Arabia
saudita.
Pinotti ha
affermato che sessanta tra Paesi ed organizzazioni internazionali cooperano in
una coalizione di fatto adottando misure di contrasto, e fra questi almeno
dieci stanno concretamente operando con azioni militari. Quanto al nostro
Paese, esso sta contribuendo agli sforzi della comunità
internazionale con una molteplicità di misure, incluse quelle di carattere
militare; a settembre sono state consegnate alle forze curde, ovviamente con il
pieno appoggio del Governo iracheno, mitragliatrici in dotazione all’Esercito
italiano giudicate cedibili in considerazione dei surplus esistenti nei nostri depositi.
È poi iniziata la fase di confezionamento e
trasporto di munizionamento di modello ex
sovietico conservato nel deposito di Guardia del Moro, dopo che il materiale era stato confiscato
dall’autorità giudiziaria nel 1994. Si tratta – ha precisato Pinotti - di
munizionamento per mitragliatrice pesante, nonché di munizioni per sistemi
controcarro dei tipi in uso da parte delle forze curde. Il trasporto verso la
città di Erbil, nella regione del Kurdistan. La necessità di proseguire nel
contributo italiano nelle operazioni contro l’IS vede il nostro Paese
orientato verso la fornitura di altro materiale giudicato cedibile nonché verso
l’invio di un velivolo KC-767 per il rifornimento in volo degli assetti
aerei della coalizione, di due velivoli a pilotaggio remoto tipo Predator per
la sorveglianza della regione e di una cellula di ufficiali per le attività di
pianificazione. Inoltre si prevede l’invio di personale per l’addestramento
e la formazione delle forze che contrastano l’IS, come espressamente
richiesto dalle autorità curde: si tratta di un totale di circa duecento
militari, inclusi gli elementi di supporto, i quali andrebbero a operare nei
luoghi concordati con le autorità irachene e i Paesi della coalizione,
presumibilmente ad Erbil.
Il Ministro ha
fatto cenno anche all’arrivo in Italia di alcuni militari curdi che verranno
addestrati all’uso dei sistemi d’arma che hanno ricevuto in cessione. Inoltre
– ha aggiunto Pinotti - sarà possibile inserire successivamente in teatro circa
ottanta unità di personale con funzione di consigliere per gli alti comandi
delle forze irachene, che porta il totale del personale a 280 unità.
Infine, è in fase di pianificazione l’invio di altri assetti pilotati per la
ricognizione aerea. Come emerso nel corso del dibattito, poiché l’invio di ulteriori
contributi italiani risponde alle necessità riscontrabili in teatro, tale invio
rientra nell’ambito del mandato conferito dalle risoluzioni parlamentari del 20
agosto, e, pertanto, non necessita di un ulteriore passaggio “politico” in
Parlamento.
Il sottosegretario
Della Vedova ha rammentato la scelta di un approccio sin dall’inizio multidimensionale
alla questione del contrasto all’IS comprensivo di misure non solo militari, ma
anche di sostegno politico, di comunicazione pubblica, di contrasto ai flussi
di combattenti stranieri e al loro finanziamento, di coordinamento informativo,
umanitarie, di cooperazione nel settore educativo, di promozione delle
opportunità di sviluppo economico e sociale; fondato sull’assunzione di
concrete responsabilità da parte dei Paesi della regione; pragmatico nel tenere
conto delle specificità e delle diverse realtà sul terreno; informato al
concetto di unicità del teatro siro-iracheno, viste le caratteristiche di
mobilità e rapida capacità di adattamento dimostrate dallo Stato islamico.
Tutto ciò al fine
– ha sottolineato il Sottosegretario – non solo di contrastare direttamente, ma
anche di ricostituire stabilmente equilibri politico-sociali realistici e
sostenibili nei singoli Paesi della regione. Sotto il profilo dell’assistenza
umanitaria alla drammatica emergenza che si estende dall’Iraq occidentale alla
Siria Nord-orientale, Dalla Vedova ha rammentato che attraverso la cooperazione
italiana sono state avviate operazioni nel Kurdistan iracheno per un totale
di oltre 2 milioni di euro, di cui 980,000 per attività delle
organizzazioni internazionali già presenti in
loco (l’OMS, il PAM e l’Unicef) nei settori della salute e sicurezza
alimentare, acqua e protezione dei minori.
L'UE sostiene la
transizione dell'Iraq verso la democrazia e la sua integrazione all'interno
della regione e nella comunità internazionale.
Nel maggio del 2012, la UE e l'Iraq hanno
firmato un accordo di partenariato e di
cooperazione, che fornisce un quadro per promuovere il dialogo e la
cooperazione sui seguenti temi: questioni politiche e sociali; diritti umani;
lo stato di diritto; migrazione; ambiente; commercio; cultura; energia;
trasporto e sicurezza.
Sostegno dell’UE
all’aiuto umanitario
La situazione
umanitaria in Iraq si è deteriorata rapidamente negli ultimi mesi con
l'escalation del conflitto armato. Le Nazioni
Unite stimano che almeno 23 milioni
di persone sono colpite dal conflitto, con 5,2 milioni di persone bisognose
di assistenza umanitaria. Tra questi, 1,8 milioni di sfollati dal gennaio 2014
e 3,6 milioni di persone che vivono in zone di conflitto attive, di cui almeno
2,2 milioni sono in immediato bisogno di aiuti umanitari .
Le difficoltà di accesso in molte parti
dell'Iraq occidentale e centrale limitano la capacità di fornire assistenza
umanitaria..
Il 22 ottobre
scorso la Commissione europea ha
deciso lo stanziamento supplementare di 3 milioni di euro per aiuti umanitari
destinati a sostenere le popolazioni civili per l’arrivo dell’inverno, portando
il totale degli stanziamenti per il 2014
a circa 20 milioni di euro.
Il sostegno
umanitario totale della Commissione europea in Iraq dal 2007 ammonta a quasi 150
milioni di euro, compreso il sostegno ai profughi siriani in Iraq.
L'assistenza viene prestata attraverso le agenzie delle Nazioni Unite, le
organizzazioni internazionali e ONG internazionali.
Recenti prese di
posizione del Consiglio dell’UE
Il Consiglio
dell’UE nelle conclusioni sulla situazione
in Iraq adottate il 15 agosto 2014
ha:
·
ribadito il suo impegno a favore dell'unità, sovranità e
integrità territoriale dell'Iraq ed espresso preoccupazione per il grave
deterioramento delle condizioni di sicurezza e della situazione umanitaria nel
paese, soprattutto nelle regioni
settentrionali in conseguenza degli attacchi dell'ISIL e di altri gruppi
armati associati;
·
condannato le violazioni
dei diritti umani fondamentali, in
particolare nei confronti delle minoranze
religiose o dei gruppi più vulnerabili;
·
apprezzato la
decisione di singoli Stati membri di
rispondere positivamente alla richiesta
delle autorità regionali curde riguardo alla fornitura urgente di materiale militare;
·
accolto con
favore la nomina di Haider Al Abadi a primo ministro designato e espresso
fiducia per la costituzione di un nuovo
governo inclusivo e in grado di rispondere alle esigenze di tutti i
cittadini iracheni. Il Consiglio invita tutti i leader politici, religiosi e
tribali, in particolare delle popolazioni
sunnita e curda, a promuovere la fiducia
nelle istituzioni democratiche;
·
espresso sostegno alla missione di assistenza
dell'ONU per l'Iraq (UNAMI) e invitato i paesi confinanti dell'Iraq e gli
altri partner a rafforzare la cooperazione.
Il Consiglio dell’UE ha adotta da ultimo,
il 20 ottobre scorso, delle conclusioni
sulla crisi dovuta all'ISIL/Da'esh in
Siria e in Iraq a, nelle quali:
·
sostiene gli
sforzi profusi da oltre sessanta Stati per contrastare la minaccia posta
dall'ISIL/Da'esh, compresa l'azione militare nel rispetto del diritto
internazionale. Osserva che in questo contesto l'azione militare è necessaria ma non sufficiente e rientra in un più ampio sforzo che comprende misure nei
settori politico/diplomatico, della lotta al terrorismo e al finanziamento del
terrorismo, nonché nei settori umanitario e della comunicazione. L'UE
invita tutti i partner a attuare le pertinenti risoluzioni del Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite, in particolare la 2170 e la 2178, e a
incrementare gli sforzi a livello nazionale per impedire all'ISIL/Da'esh di
beneficiare dei profitti derivanti dalle vendite illegali di petrolio e altri
beni;
·
ritiene che in
conseguenza delle sue politiche e delle sue azioni, il regime di Assad non può essere un partner nella lotta contro l'ISIL/Da'esh;
·
ribadisce il suo
fermo impegno a contrastare il grave
problema rappresentato dai combattenti stranieri entrati nelle file
dell'ISIL/Da'esh e di altri gruppi terroristici;
·
è determinato a
prendere provvedimenti immediati e a lungo termine per impedire all'ISIL/Da'esh di
beneficiare delle sue fonti di finanziamento e approvvigionamento, nonché
per potenziare la sua cooperazione con i paesi confinanti della Siria e
dell'Iraq in materia di sicurezza e di lotta al terrorismo;
·
accoglie con favore la formazione del nuovo governo
iracheno l'8 settembre e accoglie con favore il fatto che i ministri curdi
abbiano assunto le proprie cariche governative. Invita il governo iracheno e il governo della regione del Kurdistan a trovare una
soluzione duratura alle loro divergenze;
·
ribadisce il suo
fermo impegno a favore dell'unità, della
sovranità e dell'integrità territoriale dell'Iraq. È soddisfatto degli
sforzi della coalizione, tra cui la decisione dei singoli Stati membri di
fornire materiale militare e consulenza all'Iraq per arginare la capacità
dell'ISIL/Da'esh di colpire la popolazione civile. Chiede al governo di
avvicinarsi a tutte le componenti della società irachena e di perseguire, senza
indugio, un processo di riconciliazione nazionale. Sollecita tutte le
componenti della società irachena a unirsi nella lotta contro l'ISIL/Da'esh e
nel sostegno al processo di riconciliazione nazionale;
·
dichiara la sua
disponibilità a sostenere il Governo
dell’Iraq nello sviluppo delle riforme necessarie in un ampio spettro di
settori, tra cui il settore della sicurezza
e l'ordinamento giudiziario;
·
chiede all'Alto Rappresentante per la politica estera
e di sicurezza dell’UE di sviluppare
una strategia regionale globale per la Siria e l'Iraq, nonché per far
fronte alla minaccia dell'ISIL/Da'esh.
Risoluzioni del
Parlamento europeo
Nella risoluzione sulla situazione in Iraq,
approvata il 14 luglio 2014 il Parlamento europeo:
·
esprime profonda
preoccupazione per il rapido aggravarsi
della situazione della sicurezza in Iraq e condanna fermamente gli attacchi perpetrati dall'IS contro lo
Stato e i cittadini iracheni;
·
sostiene le
autorità irachene nella lotta contro il terrorismo dell'IS, ma sottolinea che
la risposta alla questione della sicurezza deve essere combinata con una soluzione politica sostenibile che coinvolga
tutte le componenti della società irachena;
·
sottolinea
inoltre che, nella lotta al terrorismo, occorre rispettare i diritti umani e il diritto umanitario internazionale e
sollecita le forze di sicurezza irachene ad agire in linea con il diritto
internazionale e nazionale;
·
respinge senza
riserve e considera illegittimo
l'annuncio della leadership dell'IS, che dichiara di aver stabilito un
califfato nelle zone attualmente sotto il suo controllo, e rifiuta l'idea di eventuali modifiche, unilaterali e imposte con la
forza, di confini riconosciuti a
livello internazionale;
·
sottolinea che l'IS è soggetto all'embargo sugli armamenti
e al congelamento dei beni imposto dalle risoluzioni 1267 (1999) e 1989 (2011)
del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e pone in rilievo l'importanza
di una rapida ed efficace attuazione delle misure in questione;
·
invita tutte le
parti a contribuire agli sforzi volti a promuovere la sicurezza e la stabilità
in Iraq e in particolare a incoraggiare
il governo iracheno ad avviare un dialogo con la minoranza sunnita e a
riorganizzare l'esercito in modo inclusivo, non settario e imparziale;
·
invita la
comunità internazionale, in particolare l'UE, ad agevolare un dialogo regionale sui problemi del Medio
Oriente e ad associarvi tutti gli attori più rilevanti, in particolare
l'Iran e l'Arabia Saudita;
·
sottolinea che l'UE dovrebbe sviluppare un approccio
strategico globale per la regione e osserva, in particolare, che l'Iran,
l'Arabia Saudita e gli altri Stati del Golfo, alla luce del loro ruolo
fondamentale, dovrebbero partecipare agli sforzi di allentamento delle tensioni
in Siria e in Iraq;
·
prende atto
dell'annuncio del governo regionale
curdo in merito all'organizzazione di un referendum sull'indipendenza; fa tuttavia appello al parlamento e
al presidente del Kurdistan iracheno, Massoud Barzani, affinché sostengano un processo inclusivo nel rispetto dei diritti
delle minoranze non curde che vivono nella regione.
Nella risoluzione sulla situazione in Iraq e in
Siria e offensiva dell'IS, del 18
settembre 2014, il Parlamento
europeo:
·
sottolinea che
gli attacchi sistematici contro i civili a causa della loro appartenenza etnica
o politica, della loro religione, del loro credo o del loro genere costituiscono
un crimine contro l'umanità;
·
esprime la sua solidarietà con i membri delle comunità cristiane perseguitate, nonché con le altre
minoranze religiose oggetto di persecuzioni;
·
respinge senza
riserve e considera illegittimo l'annuncio della leadership dell'IS, che
dichiara di aver stabilito un califfato nelle zone attualmente sotto il suo
controllo e sottolinea che la creazione
e l'espansione del «califfato islamico», nonché le attività di altri gruppi
estremisti in Iraq e in Siria, costituiscono una minaccia diretta alla sicurezza dei paesi europei;
·
invita il
Consiglio dell’UE a prendere in considerazione un utilizzo più efficace delle attuali misure restrittive, in
particolare per impedire che l'IS tragga vantaggio dalla vendita illecita di
petrolio o dalla vendita di altre risorse sui mercati internazionali;
·
invita l'UE a imporre sanzioni a tutti i soggetti
(governi e imprese pubbliche o private) coinvolti nel trasporto, nella
trasformazione, nella raffinazione e nella commercializzazione del petrolio estratto in zone controllate
dall'IS, unitamente a rigorosi controlli dei flussi finanziari;
·
si compiace dell'invito degli Stati Uniti a
formare una coalizione internazionale contro l'IS;
·
accoglie con favore la decisione presa dalla Lega araba
il 7 settembre 2014 di adottare le misure necessarie per affrontare l'IS e collaborare nel contesto degli sforzi
internazionali, regionali e nazionali ed invita la Lega araba a discutere
in merito alla possibilità di modificare
la Convenzione araba per la repressione del terrorismo del 1998 per
contrastare il terrorismo globale;
·
invita gli Stati membri dell'UE ad assistere le
autorità irachene e locali con tutti
i mezzi possibili, ivi compresi adeguati aiuti militari, affinché respingano l'espansione terroristica dell'IS;
·
si compiace della decisione di singoli Stati membri di rispondere positivamente alla richiesta delle autorità
regionali curde riguardo alla fornitura
urgente di materiale militare ed invita gli Stati membri che stanno
fornendo materiale militare alle autorità regionali curde a coordinare i
relativi sforzi e a mettere in atto misure per impedire una diffusione incontrollata e l'uso di materiale militare
contro i civili;
·
invita la Turchia a impegnarsi in maniera chiara
e inequivocabile per contrastare la minaccia alla sicurezza comune posta
dall'IS;
·
invita l'UE ad agevolare un dialogo regionale sui problemi
del Medio Oriente e ad includervi in particolare l'Iran e l'Arabia Saudita;
·
invita la comunità internazionale a mobilitarsi in
misura maggiore, a mostrarsi più disponibile nella condivisione degli oneri e ad apportare un sostegno finanziario diretto ai paesi di accoglienza;
·
sottolinea che,
nel lungo termine, solo una soluzione
politica duratura e inclusiva che comporti una transizione pacifica verso un
governo realmente rappresentativo in
Siria contribuirebbe a neutralizzare la minaccia dell'IS e di altre
organizzazioni estremiste;
·
ribadisce la sua
preoccupazione per il fatto che migliaia di combattenti stranieri transfrontalieri, tra cui cittadini degli
Stati membri, si siano uniti all'insurrezione dell'IS; invita gli Stati membri
ad adottare misure adeguate per impedire ai combattenti di lasciare il loro
territorio nonché a sviluppare una
strategia comune per i servizi di sicurezza e le agenzie dell'UE per quanto concerne il monitoraggio e il controllo dei jihadisti.
Il 31 dicembre 2013 si è conclusa la missione
integrata dell'UE sullo stato di diritto per l'Iraq (EUJUST LEX-Iraq) che era finalizzata
alla formazione, guida, monitoraggio e consulenza ai funzionari della
giustizia penale in Iraq. Tra l'inizio della sua fase operativa nel 2005 e la
sua conclusione, la missione ha intrapreso attività di sviluppo delle capacità
per 7000 funzionari, contribuendo a rafforzare lo stato di diritto e a
promuovere una cultura del rispetto dei diritti umani in Iraq.
[1] Prevede un referendum
popolare, non ancora svoltosi, per definire lo status territoriale di
Kirkuk e dei territori contesi. L’articolo 140 prevede:
First: The executive authority
shall undertake the necessary steps to complete the implementation of the
requirements of all subparagraphs of Article 58 of the Transitional
Administrative Law.
Second: The responsibility placed
upon the executive branch of the Iraqi Transitional Government stipulated in
Article 58 of the Transitional Administrative Law shall extend and continue to
the executive authority elected in accordance with this Constitution, provided
that it accomplishes completely (normalization and census and concludes with a
referendum in Kirkuk and other disputed territories to determine the will of
their citizens), by a date not to exceed the 31st of December 2007.
[2] D.L. 114/2013 (Proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia,
iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione
e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il
consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione) convertito, con
modificazioni dalla legge 9 dicembre 2013,n. 135.
[3] Anche
le due risoluzioni non approvate sono state votate per parti separate, i
particolare intera parte motiva e singoli impegni della parte dispositiva, e con votazioni per appello nominale.
[4] Il resoconto stenografico della seduta rinvenibile alla URL https://www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0286&tipo=stenografico#sed0286.stenografico.tit00020
[5] Decreto-legge
1° agosto 2014, n. 109, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze
armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai
processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni
internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione,
nonché' disposizioni per il rinnovo dei comitati degli italiani all'estero,
convertito, con modificazioni, dalla legge 1° ottobre 2014, n. 141, recante
proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia,
iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di
ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni
internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione,
nonché disposizioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero.
[6] L’articolo 319 del D. lgs. 15 marzo 2010, n.
66 ai primi due periodi prevede che le
armi, le munizioni, gli esplosivi e gli altri materiali di interesse militare
sequestrati e acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo di
confisca dell’autorità giudiziaria possono essere assegnati al Ministero della
difesa per finalità istituzionali, con decreto del Ministro della giustizia, di
concerto con i Ministri della difesa e dell’economia e delle finanze. Si
provvede con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze, nel caso in cui la confisca è stata disposta
dall’autorità giudiziaria militare.