Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Missione ad Erbil della III Commissione Affari esteri della Camera dei deputati (3-4 novembre 2014)
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 144
Data: 30/10/2014
Descrittori:
COMMISSIONI PERMANENTI   IRAQ
KURDISTAN   MEDIO ORIENTE
POLITICA ESTERA   RELAZIONI INTERNAZIONALI
SIRIA   TURCHIA
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
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Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Missione ad Erbil della III Commissione Affari esteri della Camera dei deputati

(3-4 novembre 2014)

 

 

 

 

 

 

n. 144

 

 

 

 

30 ottobre 2014

 


Servizio responsabile:

 

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

Ha collaborato:

 

Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 / 066760-2146 – * cdrue@camera.it

 

 

 

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File: ES0295.docx

 


INDICE

La Regione autonoma del Kurdistan iracheno (a cura del Ministero degli affari esteri  e della cooperazione internazionale) 3

Gli interventi anti-ISIL in Iraq e Siria (a cura del Ministero degli affari esteri  e della cooperazione internazionale) 35

Recenti sviluppi del quadro politico iracheno (a cura del Ministero degli affari esteri  e della cooperazione internazionale) 39

Rapporti tra Turchia e Kurdistan iracheno (a cura del Ministero degli affari esteri  e della cooperazione internazionale) 41

L’attività parlamentare in materia (a cura del Servizio Studi della Camera dei deputati) 43

Rapporti tra Unione europea ed Iraq (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea) 55

Profili biografici

§     Mr. Yousif Mohammed Sadiq Speaker of Kurdistan Parliament-Iraq  63

§     Qubad Talabani Vice Primo ministro del Governo regionale del kurdistan  65

Pubblicistica

§     ’Stati Uniti d’America: I dubbi sugli attacchi ‘intelligenti’ degli Stati Uniti’, in: www.lookoutnews.it, 2 ottobre 2014  69

§     ’Turchia: La Turchia in guerra contro lo Stato islamico’, in: www.lookoutnews.it, 3 ottobre 2014  69

§     G. Cuscito ‘Le debolezze della coalizione contro lo Stato Islamico in Iraq e Siria’, in: Limes, 2 ottobre 2014  69

§     ’Turchia: Gli jihadisti in cammino verso l’Europa’, in: www.lookoutnews.it, 6 ottobre 2014  69

§     G. Cucchi ‘Il campanello d’allarme – Grazie, Califfato! Grazie, Califfo!’, in: www.affarinternazionali.it, 6 ottobre 2014  69

§     V. Camporini ‘Perché l’intervento contro ISIS non sarà sufficiente’, in: www.aspeninstitute.it, 7 ottobre 2014  69

§     V. Giannotta ‘L’ISIS e la possibile svolta della politica estera turca’, in: www.aspeninstitute.it, 7 ottobre 2014  69

§     R. Menotti ‘I raid aerei contro ISIS: il volto soft dell’hard power’, in: www.aspeninstitute.it, 7 ottobre 2014  69

§     A. M. Valli ‘Vaticano e Iran uniti per proteggere i cristiani’, in: www.affarinternazionali.it, 7 ottobre 2014  69

§     U. Tramballi ‘Le periferie della grande guerra contro il califfato’, in: www.affarinternazionali.it, 7 ottobre 2014  69

§     M. Arnaboldi ‘Sharia4: un ponte tra Europa e Levante’, in: Commentary ISPI, 8 ottobre 2014  69

§     ’Siria: Kobane sotto assedio: le falle della strategia americana’, in: www.lookoutnews.it, 9 ottobre 2014  69

§     G. Cucchi ‘E se Lawrence d’Arabia avesse avuto ragione?’, in: Limes, 9 ottobre 2014  69

§     F. Ventura ‘Lo Stato Islamico minaccia l’equilibrio idropolitico in Siria e Iraq’, in: Limes, 9 ottobre 2014  69

§     E. Harris ‘ISIS and Social Media’, in: www.cesi-italia.org., 9 ottobre 2014  69

§     M. Guidi ‘La Turchia osserva il massacro dei curdi di Kobane’, in: www.affarinternazionali.it, 9 ottobre 2014  69

§     ’Siria: L’intervento di terra americano in Siria e Iraq? Poco credibile’, in: www.lookoutnews.it, 10 ottobre 2014  69

§     L. Liimatainen ‘Lo Stato Islamico e il ricordo del primo jihad in Arabia Saudita’, in: Limes, 10 ottobre 2014  69

§     A. M. Cossiga ‘Invece di bombardare lo Stato Islamico, dovremmo dialogarci’, in: Limes, 13 ottobre 2014  69

§     N. Ronzitti ‘Casini e Cicchitto, l’Onu contro il Califfo – Si può intervenire anche senza le Nazioni Unite’, in: www.affarinternazionali.it, 13 ottobre 2014  69

§     ’Turchia: La Turchia combatte i curdi e aiuta lo Stato Islamico’, in: www.lookoutnews.it, 15 ottobre 2014  70

§     ’Iraq: Baghdad nel mirino dello Stato Islamico, in: www.lookoutnews.it, 16 ottobre 2014  70

§     ’Siria: I caccia dello Stato Islamico’, in: www.lookoutnews.it, 17 ottobre 2014  70

§     F. Ventura ‘La guerra all’Is è l’ultima priorità per la Turchia in Siria’, in: Limes, 17 ottobre 2014  70

§     ’Siria: La prova di forza di Kobane’, in: www.lookoutnews.it, 20 ottobre 2014  70

§     A. M. Cossiga ‘Ribadisco: prima di distruggere lo Stato Islamico, parliamoci’, in: Limes, 20 ottobre 2014  70

§     ‘Turchia: Chi sono i curdi’, in: www.lookoutnews.it, 23 ottobre 2014  70

§     ’Siria: La storia si ripete: le armi degli USA in mano al nemico’, in: www.lookoutnews.it, 23 ottobre 2014  70

§     F. Arpino ‘Fare la guerra al Califfo, fingendo di non farla all’Islam’, in: www.affarinternazionali.it, 23 ottobre 2014  70

§     G. Cuscito ‘Nella lotta all’Is Kobane è un’emergenza, l’Anbar è la priorità’, in: Limes, 17 ottobre 2014  70

§     R. Giaconi ‘I due fronti australiani della guerra allo stato Islamico’, in: Limes, 29 ottobre 2014  70

§     A. Plebani ‘L’Iraq tra le ombre del califfato e le speranze del nuovo esecutivo Al-Abadi’, paper presentato al Seminario della Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della NATO sul tema Isis: conoscere una minaccia, Roma, 30 ottobre 2014  70

Documentazione allegata

§     OCHA (UNITED NATIONS OFFICE FOR THE COORDINATION OF HUMANITARIAN AFFAIRS) ‘Iraq CRISIS’ Situation Report No. 17 (18 October – 24 October 2014) 73

 

 

 


Schede di lettura

 


SIWEB

L’Offensiva dello “Stato islamico” in Iraq ed in Siria:
cronologia degli ultimi avvenimenti
(a cura del Servizio Studi
della Camera dei deputati)

 

 

Giugno 2014

Il 5 giugno la formazione jihadista dello “Stato islamico” (IS) forniva una prima assoluta dimostrazione di forza sullo scenario iracheno – mentre già da tempo si era invece affermata nella caotica situazione dei combattimenti in territorio siriano -  conquistando importanti posizioni, e per di più con il controllo di una regione in cui si concentrano le scarse risorse petrolifere di Damasco - con l’occupazione per alcune ore di diversi quartieri di una delle città simbolo degli sciiti iracheni, Samarra, che i miliziani dell’IS abbandonavano solo dopo molte ore di scontri con le forze di sicurezza irachene, coadiuvate anche da elicotteri.

Intanto a Falluja, da gennaio nelle mani dell’IS, oltre alle centinaia di vittime dei bombardamenti governativi che inutilmente hanno tentato di riprendere la città, la situazione umanitaria della popolazione si rivelava agli occhi di una delegazione del Comitato internazionale della Croce rossa assolutamente disastrosa, con grave penuria di cibo, acqua e materiale sanitario, e con l’unico ospedale gravemente danneggiato.

Il 7 giugno una serie di attentati per mezzo di autobomba devastava alcuni quartieri periferici sciiti di Baghdad, provocando almeno 60 morti, nelle stesse ore in cui nel campus universitario di Ramadi, ad appena 100 km dalla capitale, i miliziani jihadisti prendevano in ostaggio studenti e impiegati. Intanto a Mosul una sessantina di morti erano il risultato di scontri tra forze di sicurezza e miliziani qaidisti, dopo che già il giorno precedente vi erano state oltre 30 vittime. Le azioni dell’IS cominciavano a mostrare un’ampiezza allarmante, ben al di fuori della provincia di al-Anbar.

Il 10 giugno questi timori erano pienamente confermati, con la caduta in mano all’ IS di gran parte della provincia settentrionale di Ninive, e soprattutto della sua capitale Mosul, seconda città del paese, posta al centro della regione petrolifera del nord dell’Iraq. Nella circostanza erano confermate le paure sulla tenuta dell’esercito iracheno, che perlopiù si limitava a ripiegare dalle proprie posizioni, mentre i miliziani jihadisti dilagavano anche in parte nelle due province limitrofe di Kirkuk e Salahuddin – in quei giorni centinaia di soldati iracheni venivano decapitati dai jihadisti, spargendo il terrore nelle popolazioni limitrofe e provocando sdegno in tutto il mondo.

Nei giorni successivi emergeva come le divisioni tra sciiti e sunniti avessero minato le forze armate di Baghdad, oltretutto non addestrate ad azioni antiguerriglia, nonostante gli ingenti acquisti di armamenti sofisticati degli ultimi anni. A fronte di questi sviluppi il governo di Baghdad reagiva con un appello per distribuire armi ed equipaggiamenti militari ai volontari intenzionati a combattere contro i miliziani dell’IS e contro il loro capo al-Baghdadi, conosciuto anche come Abu Dua, dal 2011 al vertice dell’organizzazione, con l’obiettivo di dar vita a un califfato che raggruppi le regioni settentrionali dell’Iraq e della Siria, cancellando gli ormai secolari confini tracciati dalle potenze coloniali europee.

L’11 giugno l’avanzata dell’IS appariva inarrestabile, con la conquista di Tikrit, ex roccaforte di Saddam Hussein e principale città della provincia di Salahuddin. La strategia dell’IS cominciava a delinearsi, con il chiaro obiettivo di un controllo delle risorse petrolifere dell’Iraq settentrionale, da conseguire con l’accerchiamento della città di Kirkuk, avendo conseguito nel frattempo il controllo della più grande raffineria di petrolio dell’Iraq e di una centrale elettrica di grande importanza regionale - le mosse dell’IS sullo scenario iracheno vanno collegate a quanto già conseguito in territorio siriano, dove le zone conquistate sono anch’esse le sole ricche di petrolio del paese.

L’avanzata dell’IS, tuttavia, era destinata fatalmente a scontrarsi con le ambizioni dei curdo-iracheni, che, nonostante forti contrasti con Baghdad, già da tempo avevano iniziato ad esportare autonomamente il petrolio del nord, e vedevano ora in pericolo la posizione di forza conquistata dopo la caduta di Saddam Hussein. In effettiil 12 giugno le truppe curde dei peshmerga assumevano il controllo di Kirkuk, dopo lunghi giorni in cui erano rimaste attestate sulle proprie posizioni, attendendo un’intesa con il governo di Baghdad.

Al quadro complessivo va aggiunta anche la catastrofe umanitaria, con oltre mezzo milione di iracheni costretti ad abbandonare le proprie case - da sommare ai quasi 300.000 rifugiati in Iraq in fuga dalla guerra civile siriana-, di fronte alla violenza fanatica dell’IS, che dava inizio alla distruzione e all’incendio di chiese e conventi cristiani. Anche la Turchia si trovava involontariamente coinvolta, quando una cinquantina di propri diplomatici venivano presi in ostaggio dall’IS, circostanza particolarmente imbarazzante per Ankara, visto lo scoperto appoggio prestato agli elementi jihadisti siriani in lotta contro il regime di Assad, ma che non aveva potuto prevedere l’apparire sulla scena di un elemento come l’IS, relativamente tollerato dal regime di Assad in quanto già da tempo impegnato in una dura lotta contro gli elementi jihadisti più legati ad al-Qaida.

Il precipitare della situazione induceva il 13 giugno, nel corso delle consuete preghiere del venerdì, il Grande Ayatollah dell’Iraq al-Sistani a richiamare i fedeli alla difesa della capitale contro l’avanzata dei jihadisti sunniti, nelle stesse ore in cui si aveva notizia dell’ingresso in Iraq di alcune centinaia di volontari provenienti dalle file dei pasdaran iraniani. La gravità della situazione induceva anche il presidente degli Stati Uniti Obama ad una presa di posizione in diretta televisiva, durante la quale prometteva una decisione nel giro di pochi giorni sugli aiuti al governo iracheno per respingere l’IS: il presidente Obama precisava anche che gli USA non si sarebbero fatti coinvolgere nel nuovo dramma iracheno senza un piano di cooperazione tra le diverse parti del paese, e in ogni caso Obama escludeva categoricamente l’invio di truppe di terra.

Le preoccupazioni di Teheran per lo sviluppo degli eventi sullo scenario iracheno erano testimoniate il 14 giugno dalle dichiarazioni del presidente Rohani, che si diceva pronto a intervenire, mentre cresceva l’avanguardia di pasdaran iraniani dislocati in territorio iracheno. Rohani si spingeva a immaginare una possibile collaborazione contro l’IS tra Iran e Stati Uniti, ma solo dopo aver constatato l’effettivo impegno di Washington sulla questione – Washington che dal canto suo rendeva noto di aver disposto lo spostamento nel Golfo Persico di una squadra navale comprendente la portaerei HW Bush.

Nei giorni successivi la battaglia nel nord dell’Iraq si concentrava prevalentemente intorno alle infrastrutture energetiche, tanto che diverse compagnie straniere del petrolio preparavano l’evacuazione del proprio personale: i combattimenti si accanivano particolarmente attorno alla più grande raffineria del paese, che ciascuna delle parti rivendicava di aver posto sotto il proprio controllo.

Frattanto il governo iracheno, per bocca del ministro degli esteri Zebari, rendeva noto di aver richiesto ufficialmente l’intervento aereo americano contro i miliziani dell’IS, che intanto procedevano al rapimento di 40 operai indiani impiegati nella zona. Il presidente iraniano Rohani tornava a far sentire la propria voce a difesa dei luoghi sacri degli imam sciiti in territorio iracheno, che l’Iran sarebbe disposto a proteggere in tutti i modi, anche con l’invio di numerosi volontari già pronti a recarsi in Iraq.

Gli Stati Uniti precisavano i contorni del proprio impegno dicendosi pronti a inviare a Baghdad fino a 300 consiglieri militari e a compiere azioni mirate contro i miliziani dell’IS, pur continuando ad escludere in ogni modo l’invio di truppe di terra. Più rilevante della prospettiva di impegno militare appariva nel contempo lo sforzo politico della Casa Bianca, che faceva sempre meno per nascondere l’ostilità alla formazione di un governo nuovamente presieduto da Nuri al-Maliki- ormai percepito come troppo scopertamente legato all’Iran e agli interessi confessionali sciiti, e inviso in particolar modo all’Arabia Saudita e alla Turchia, sul cui impegno invece gli Stati Uniti contano in modo particolare per una soluzione della complessa questione posta dall’IS.

Tra l’altro, proprio nel maturare dell’ostilità contro al-Maliki si infrangevano le possibilità di un’effettiva collaborazione di Washington con Teheran, come evidenziato da un aspro intervento della Guida Suprema iraniana Ali Khamenei – non seguita peraltro su questo terreno dal Grande Ayatollah iracheno al-Sistani, che il 20 giugno lanciava un appello per cacciare i ribelli e formare un governo efficace che evitasse gli errori del passato, con un’implicita ma pesantissima critica all’operato di al-Maliki. In questo difficile contesto il segretario di Stato americano John Kerry il 23 giugno si recava a Baghdad per far presente la posizione americana, favorevole alla formazione di un governo in cui tutte le componenti del paese fossero rappresentate: frattanto le truppe dell’IS assumevano il controllo del confine iracheno con la Giordania.

Il 28 giugno i combattimenti proseguivano in direzioni opposte: mentre infatti le truppe fedeli ad al-Maliki erano impegnate in una controffensiva per la riconquista di Tikrit, i miliziani dell’IS si spingevano fino all’estrema periferia di Baghdad, e nei combattimenti sarebbero morti una ventina di soldati governativi. Il luogo dello scontro, a una cinquantina di km da Baghdad, dista solo 20 km dalla città santa di Karbala, residenza della maggiore autorità religiosa sciita del Medio Oriente, ovvero il Grande Ayatollah al-Sistani.

Il 29 giugno si aveva da parte dell’IS la proclamazione della nascita di un califfato nei territori conquistati in Iraq e in Siria: l’IS annunciava altresì di aver cambiato il proprio nome semplicemente in quello di Stato islamico (IS). Il gruppo innalzava il proprio leader Abu Bakr al-Baghdadi al rango di califfo, e quindi di capo dei musulmani in tutto il mondo. Naturalmente all’atto di nascita del califfato non era attribuita alcuna rilevanza diplomatica, per quanto si tratti di un territorio con una superficie pari a quella dell’Ungheria, attraversato dal più grande fiume mediorientale, l’Eufrate, e con numerosi valichi frontalieri verso la Turchia e la Giordania. Peraltro appare assai diverso l’assetto di governo nei territori siriano e iracheno: mentre infatti in Siria l’IS è impegnato in combattimenti contro altri gruppi jihadisti, e sembra imporre con la forza la propria supremazia alle popolazioni locali, in Iraq il movimento jihadista appare sostenuto da ampi strati della popolazione sunnita, in odio alla politica giudicata discriminatoria e filoiraniana del premier di Baghdad al-Maliki.

L’aggravarsi della situazione di sicurezza dell’Iraq induceva il 30 giugno la Casa Bianca a inviare un ulteriore contingente di duecento soldati equipaggiati per il combattimento a protezione dell’ambasciata USA e dell’aeroporto di Baghdad. Sul fronte politico, intanto, nell’imminenza della riunione del 1° luglio del nuovo parlamento uscito dalle elezioni del 30 aprile, aveva luogo una riunione dell’Alleanza nazionale, piattaforma che riunisce le principali formazioni politiche sciite, completamente disertata da curdi e sunniti, nonostante avesse in programma colloqui per la designazione del premier.

Nuove notizie di atrocità compiute dai miliziani dell’IS venivano ridimensionate dal patriarca caldeo di Baghdad, Mons. Sako, evidentemente allo scopo di non esacerbare gli animi in una situazione comunque assai difficile per la comunità cristiane da sempre residenti nei luoghi caduti sotto il controllo del “califfato”.

Un segnale importante delle preoccupazioni sulla sicurezza del paese era stata intanto fornita dalla decisione delle autorità di Baghdad di oscurare i principali social network in territorio iracheno per tre settimane, decisione annullata proprio il 30 giugno.

 

Luglio 2014

Il mese di luglio si apriva con la richiesta, da parte del presidente del Kurdistan iracheno Massoud Barzani al Parlamento della Regione autonoma, di tenere un referendum sull'indipendenza: la mossa di Barzani va inquadrata nel nuovo scenario destabilizzato dell’Iraq, rispetto al quale sembra mirare, più che ad una soluzione, ad assicurare gli interessi della minoranza curda del paese, oltretutto in prima linea contro l’assalto dell’IS.

Alla metà di luglio a Mosul la stretta imposta dall’IS – in previsione della quale già all’arrivo delle milizie jihadiste centinaia di migliaia di abitanti cristiani, curdi e turcomanni avevano precipitosamente abbandonato la città – si rivelava pienamente, con l’imposizione di rigidi precetti ispirati alla Shari’a, e con l’avvio di una vera e propria furia iconoclasta diretta contro statue, mausolei e immagini ritenuti offensivi dell’Islam, nonché contro moschee sciite e chiese cristiane. Numerosi funzionari governativi a Mosul venivano rapiti, mentre si accrescevano le pressioni nei confronti dei non sunniti.

Questa escalation culminava il 18 luglio, quando migliaia di cristiani rimasti a Mosul ne venivano cacciati a forza, e subivano rapine e ulteriori vessazioni mentre precipitosamente tentavano di raggiungere le aree controllate dai curdi.

Con il passare dei giorni si chiariva il principale criterio seguito dall’IS nella distruzione di antichi templi, ovvero il criterio di colpire maggiormente i luoghi oggetto di culto da parte di diverse confessioni, come ad esempio l’antica moschea di Giona, sita nei pressi delle rovine dell’antica città di Ninive, per tradizione il luogo di sepoltura del profeta ebraico, visitato da cristiani, ebrei e musulmani, e che i jihadisti procedevano il 25 luglio a distruggere con esplosivi, qualificandola quale luogo di apostasia proprio perché oggetto di pellegrinaggi congiunti tra fedeli di diverse religioni. Nella stessa giornata e per gli stessi motivi i miliziani distruggevano la tomba di Seth, il figlio di Adamo ed Eva dal quale secondo la Bibbia discenderebbe tutta l’umanità.

L’aggravarsi della pressione contro i cristiani aveva provocato già nei giorni precedenti un’iniziativa del patriarca caldeo di Baghdad mons. Sako, che in una lettera al Segretario generale dell’ONU aveva chiesto l’intervento del Consiglio di sicurezza per porre fine alle atrocità perpetrate contro i cristiani. Mons. Sako riscontrava il 26 luglio la vicinanza e la partecipazione del Papa in un colloquio telefonico, mentre il patriarca della Chiesa siro-ortodossa preannunciava la richiesta delle Chiese d’Oriente alle più alte autorità religiose musulmane di una condanna dei crimini compiuti contro i cristiani dai miliziani dell’IS. Effettivamente il 9 agosto, in un colloquio a Najaf con Mons. Sako, al-Sistani avrebbe condannato gli attacchi alle minoranze religiose.

 

 

 

Agosto 2014

L’inizio di agosto vedeva un’ulteriore forte accelerazione nell’espansione dell’IS, e un rapido cedimento dei peshmerga, che erano costretti ad abbandonare le proprie posizioni e a ripiegare in montagna: tra il 2 e il 3 agosto cadevano in mano alle forze jihadiste dell’IS le città di Zumar e Sinjar, nonché i campi petroliferi di AinZalah e Batma.

La città di Sinjar aveva già accolto decine di migliaia di profughi messi in fuga dall’avanzata dell’IS delle passate settimane, e all’interno di essa rendeva tutto ancor più tragico la presenza della minoranza degli Yazidi, parlanti una lingua curda e seguaci di una religione antichissima ispirata allo zoroastrismo persiano, che gli islamisti radicali considerano una religione adoratrice del diavolo. Conseguenza immediata dell’avvicinamento dell’IS a Sinjar era la fuga di migliaia di essi sulle montagne, in una condizione di totale precarietà e a rischio della vita. La gravità della situazione induceva il 4 agosto il premier iracheno al-Maliki a superare le diffidenze nei confronti dei curdi iracheni, ordinando all’aviazione di Baghdad di operare in appoggio aipeshmerga.

Il 5 agosto nel Parlamento di Baghdad una deputata della comunità degli Yazidi riferiva che 500 uomini erano stati assassinati dai jihadisti e centinaia di donne fatte prigioniere e trasferite. Nella stessa giornata il Consiglio di sicurezza dell’ONU esprimeva condanna delle azioni dell’IS, i cui attacchi sistematici contro i civili in base alla loro origine etnica, la loro religione o le loro convinzioni personali rientrano nella categoria dei crimini contro l’umanità, i cui autori divengono responsabili e perseguibili. Tuttavia, più incisiva della Dichiarazione del Consiglio di sicurezza appariva almeno potenzialmente il patto di collaborazione tra i curdi dell’Iraq, della Turchia e della Siria, che si dicevano pronti ad accantonare le annose divergenze per uno sforzo comune contro l’avanzata dei jihadisti.

Sempre il 5 agosto il viceministro degli esteri italiano Pistelli si recava a Baghdad, incontrando anche il presidente della Repubblica da poco eletto, il curdo Fouad Masum: secondo Pistelli la minaccia dell’IS è tale da coinvolgere la stabilità dell’intero Medio Oriente, e non solo quella dell’Iraq, e di fronte ad essa non è possibile restare inerti.

Dopo una notte di bombardamenti in ampie zone della piana di Ninive, l’IS provocava un nuovo gigantesco esodo di cristiani da numerosi villaggi, valutati in circa centomila, ancora una volta in fuga in condizioni disperate, come efficacemente descritto nell’appello di Mons. Sako all’agenzia Asianews del 7 agosto - nel quale l’alto prelato rilevava anche la scarsa cooperazione tra autorità curde e centrali del paese, e quindi le poche speranze di fermare l’onda di piena dell’IS in assenza di un intervento della comunità internazionale. Non a caso nella stessa giornata del 7 agosto il Papa lanciava un appello per porre fine al dramma umanitario in atto e per assistere i numerosissimi sfollati.

Frattanto l’IS si impadroniva della più grande città cristiana in Iraq, Qaraqosh, provocando decine di migliaia di altri profughi: nelle stesse ore cadeva nelle mani dei jihadisti anche la più grande diga dell’Iraq, quella sul Tigri a nord di Mosul, dalla quale dipendono le forniture idriche in gran parte del nord iracheno. Le truppe dei peshmerga non apparivano intanto in grado di opporsi validamente all’avanzata dell’IS, e in più il Kurdistan iracheno risentiva della grande massa di centinaia di migliaia di profughi ormai entrati in cerca di scampo nel suo territorio.

In questo clima il presidente degli Stati Uniti Obama autorizzava attacchi aerei mirati a protezione dei civili – per evitare un genocidio - e del personale americano nel nord dell’Iraq: i raid iniziavano l’8 agosto, poco prima delle 13 ora italiana, dopo il lancio di viveri e aiuti umanitari per i profughi nell’area di Sinjar. L’iniziativa americana veniva subito salutata con favore dalla Francia, pronta a prendervi parte. Anche dal Regno Unito giungeva sostegno all’azione statunitense, senza peraltro prevedere un proprio intervento militare, se non in termini di assistenza tecnico-militare gli Stati Uniti e aiuto umanitario per gli sfollati. L’Italia, con una dichiarazione del ministro degli esteri Federica Mogherini, condivideva prontamente la scelta americana.

Le prime ondate di attacchi contro i miliziani dell’IS sembravano assai efficaci - come sottolineato dal presidente della regione autonoma del Kurdistan barzani, che però chiedeva anche di ricevere l’armamento necessario per proseguire l’offensiva sul terreno -, e consentivano ai peshmerga il 10 agosto la riconquista di due cittadine situate in posizione strategica, mentre circa la metà degli Yazidi intrappolati da giorni sulle montagne vicine a Sirjan, circa 20.000, riuscivano a porsi in salvo. Sul fronte politico iracheno crescevano intanto le pressioni su al-Maliki per una sua rinuncia alla riconferma al la carica di premier - da ultimo il 10 agosto il ministro degli esteri francese Fabius recatosi a Baghdad, che ribadiva la necessità di un governo iracheno inclusivo di tutte le componenti del paese. Il presidente Masum, allo scopo di accelerare la formazione del nuovo esecutivo, si spingeva a minacciare lo scioglimento del parlamento se non fosse stato nominato in breve tempo un nuovo primo ministro.

Il giorno successivo, 11 agosto, il presidente Masum incaricava di dar vita al nuovo governo Haidar al-Abadi, anch’egli sciita, su indicazione della riunione dei partiti sciiti (Alleanza nazionale): a tale designazione reagiva con veemenza il premier uscente al-Maliki, definendola una violazione della Costituzione - in quanto il suo partito, lo Stato del diritto, aveva riportato la maggioranza relativa nelle elezioni del 30 aprile. Al-Maliki mobilitava alcuni suoi sostenitori, dopo che nella notte tra 10 e 11 agosto aveva esercitato forti pressioni con un ingente schieramento di esercito e polizia nel centro di Baghdad.

A tutto ciò aveva reagito l’inviato dell’ONU a Baghdad Mladenov, che diffidava le forze di sicurezza dal porre in atto interferenze del processo politico democratico, mentre gli Stati Uniti confermavano i propri orientamenti dei giorni precedenti approvando la novità politica rappresentata dall’incarico ad al-Abadi, proseguivano i raid contro i miliziani dell’IS e iniziavano la fornitura diretta di armi ai miliziani curdi. Sul piano internazionale anche la Lega araba, per bocca del suo segretario al-Arabi, condannava le violenze dell’IS come crimine contro l’umanità, mentre il portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera europea appoggiava la formazione di un nuovo esecutivo capace di affrontare la crisi in atto ripristinando l’unità nazionale.

Il 12 agosto si registravano segnali di movimento anche sul fronte dell’Unione europea, dove il capo della diplomazia francese Fabius e il suo omologo italiano Federica Mogherini richiedevano con urgenza la riunione straordinaria di unCconsiglio dei ministri degli esteri per affrontare la situazione irachena.

Intanto si riuniva il Comitato politico straordinario con la partecipazione degli ambasciatori a Bruxelles dei 28 Stati membri dell’UE, e si cominciava a intravedere la possibilità della fornitura di armi da parte degli Stati membri ai peshmerga curdi: il Comitato politico straordinario raggiungeva anche un’intesa sul rafforzamento del coordinamento dell’aiuto umanitario, affidato alla Commissione europea  in virtù del meccanismo di protezione civile di cui essa dispone per accrescere l’efficacia degli interventi in situazioni di crisi. Proprio dalla Commissione, ed in particolare dal Commissario agli aiuti umanitari Georgieva, veniva poi l’annuncio dello stanziamento di ulteriori 5 milioni di euro per la situazione umanitaria nel nord dell’Iraq.

Il 13 agosto al-Maliki proseguiva nella sua ostinata resistenza alla svolta politica rappresentata dall’incarico per il nuovo governo ad al-Abadi, presentando ricorso alla Corte federale: la sua posizione si faceva tuttavia sempre più isolata, stante l’assenso alla designazione di al-Abadi proveniente dall’Organizzazione della conferenza islamica e, soprattutto, dall’Iran e dalla Siria – ciò privava di colpo al-Maliki della sponda più importante su cui giocare. Intanto la capitale Baghdad veniva colpita da quattro autobomba, con la morte di una ventina di persone e il ferimento di una cinquantina.

Sul terreno dell’Iraq settentrionale un centinaio di marines e forze speciali americani atterravano sul territorio montuoso nei pressi di Sinjar per organizzare l’esodo di circa 30.000 civili Yazidi ancora intrappolati sul luogo: nel contempo Washington disponeva l’invio di altri 130 consiglieri militari in Iraq.

Anticipando gli sviluppi in sede europea, il presidente francese Hollande stabiliva nella stessa giornata del 13 agosto di procedere senz’altro all’invio di armi ai peshmerga curdi.

Il 14 agosto finalmente al-Maliki, dopo la notizia dell’invito a farsi da parte già da tempo pervenutogli dalla guida suprema degli sciiti iracheni,il  Grande Ayatollah al-Sistani, annunciava le proprie dimissioni e l’appoggio al nuovo premier incaricato al-Abadi. Sul terreno intanto secondo gli americani diveniva meno urgente un’operazione per evacuare i profughi Yazidi dalle montagne intorno a Sinjar, perché nel frattempo grazie ai raid aerei statunitensi era stato rotto l’assedio di cui erano sottoposti da parte dell’IS.

Il 15 agosto si svolgeva il Consiglio dei ministri degli affari esteri UE richiesto con forza da Francia e Italia, nel corso del quale era espresso sostegno agli Stati membri per la fornitura di armi ai peshmerga curdi. Il Consiglio straordinario si occupava anche dell’assistenza umanitaria alla popolazione colpita dall’IS, esprimendo apprezzamento per la rinuncia di al-Maliki, con un invito al nuovo premier incaricato a dar vita a un governo di ampia inclusione. I ministri degli esteri degli Stati UE esprimevano inoltre una forte volontà di facilitare una reazione politica regionale contro l’espansione dell’IS. Nella stessa giornata il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvava all’unanimità una risoluzione volta ad ostacolare i finanziamenti e le forniture di armi all’IS.

Alla metà di agosto si spargeva la notizia di massacri effettuati dalla formazione jihadista dell’IS anche in territorio siriano, ove dall’inizio del mese sarebbero stati massacrati circa 700 appartenenti al gruppo tribale dei Chaitat, renitente ad accettare l’autorità dell’IS.

Il 16 agosto veniva denunciato un nuovo crimine commesso dall’IS nel villaggio di Kojo, vicino a Sinjar, con l’uccisione di un’ottantina di uomini e quasi duecento donne rapite. Sul terreno dei combattimenti l’aviazione americana intensificava gli attacchi aerei sulle postazioni dell’IS a presidio della diga di Mosul, precedendo un attacco di terra dei peshmerga sullo stesso obiettivo. Intanto nella capitale del Kurdistan Erbil arrivava il primo dei sei voli umanitari predisposti dal nostro paese.

Il 17 agosto l’intensificazione dei raid aerei americani contro le milizie dell’IS consentiva ai peshmerga la riconquista della diga di Mosul e di tre cittadine situate a est della stessa. Questi sviluppi positivi potrebbero tuttavia avere il loro pendant negativo, come sottolineato dal ministro degli esteri tedesco Steinmeier di ritorno da una missione il 16 agosto a Baghdad e nel Kurdistan, preoccupato per la possibilità che i successi dei peshmerga curdi in una situazione di debolezza delle forze armate federali irachene possano facilitare la formazione di uno Stato curdo indipendente che sarebbe, secondo Steinmeier, un fattore di ulteriore destabilizzazione regionale.

Si riaccendeva intanto il versante siriano dell’IS, dove l’aviazione di Damasco attaccava ripetutamente le postazioni jihadiste nella provincia di Raqqa: secondo molti osservatori Assad cercava in questo modo di allinearsi alle iniziative messe in campo dagli Stati Uniti contro l’IS in territorio iracheno, accreditandosi nel quadro di una più generale lotta contro tutti i fondamentalisti.

Il 18 agosto le forze curde in lotta contro l’IS annunciavano la riconquista, dopo la diga di Mosul, di altre località nel nord dell’Iraq, e di prepararsi a riprendere la stessa Mosul ai miliziani jihadisti. Per la verità alcuni combattimenti proseguivanoanche nei pressi della diga, ma secondo il portavoce del comando delle forze armate irachene si trattava solo di scontri limitati in alcuni edifici prospicienti, mentre vi era anche la necessità dello sminamento di altri fabbricati. Combattimenti tra le forze armate irachene e i miliziani dell’IS erano in corso inoltre nella provincia di al-Anbar.

Rilevante la presa di posizione di Papa Francesco il quale, nel viaggio aereo di ritorno dalla Corea del sud, si spingeva a criticare ogni approccio unilaterale, a favore di un’azione della Comunità internazionale sotto l’egida dell’ONU, volta esclusivamente a porre fine all’aggressione dell’IS nel nord dell’Iraq, e non a dar vita a una nuova guerra o a nuovi bombardamenti. Il Papa si diceva inoltre disposto a recarsi in Kurdistan, dove già nei giorni precedenti aveva inviato il cardinale Fernando Filoni, già Nunzio apostolico a Baghdad. Il cardinal Filoni, in una dichiarazione congiunta con il patriarca caldeo Mons. Sako, chiedeva alla Comunità internazionale un intervento volto non solo alla fornitura di aiuti umanitari, ma anche alla liberazione dei luoghi occupati dall’IS con rapidità e in via definitiva.

La forte connessione tra il versante siriano e quello iracheno del “califfato” proclamato alla fine di giugno dall’IS riceveva purtroppo un’altra tragica conferma quando, asseritamente in risposta ai raid aerei USA contro le formazioni dell’IS in territorio iracheno, la stessa organizzazione qaidista procedeva alla barbara esecuzione, mediante decapitazione, del reporter americano James Foley, che era scomparso in territorio siriano circa un anno prima – all’esecuzione veniva dato abilmente risalto mediatico per mezzo di un video diffuso sulla rete Internet. Nei giorni seguenti emergeva l’elevata probabilità che l’assassino di Foley potesse essere Abdel Bary, un jihadista proveniente dal Regno Unito, dove era conosciuto come cantante rap: anche questo era interpretato come un abile segnale dell’IS agli ambienti jihadisti dell’immigrazione in Europa.

Il 20 agosto registrava una duplice iniziativa del nostro Paese: la gravità degli sviluppi nel nord dell’Iraq induceva infatti il Governo ad un passaggio parlamentare specificamente dedicato al paese mesopotamico, rendendo alle Commissioni congiunte esteri e Difesa di Camera e Senato comunicazioni sui recenti sviluppi della situazione in Iraq anche con riferimento agli esiti del Consiglio straordinario dei Ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014.

La discussione portava poi all’approvazione separata di risoluzioni da parte delle due Commissioni della Camera e delle due omologhe del Senato, con le quali il Governo ha ottenuto il ricercato sostegno parlamentare anzitutto per procedere alla fornitura di armi ai peshmerga curdi impegnati sul terreno a contrastare l’avanzata delle milizie dell’IS.

Dal canto suo il Presidente del Consiglio Matteo Renzi si recava nella stessa giornata in Iraq e, dopo la capitale Baghdad, visitava la capitale del Kurdistan iracheno Erbil: in entrambi i luoghi il Presidente Renzi affermava con forza la necessità di un impegno dell’Europa di fronte alle gravissime violazioni dei diritti delle minoranze e ai massacri perpetrati dall’IS. Gli aspetti politici dell’Iraq dopo la formazione del nuovo governo e le questioni delle relazioni economiche con l’Italia erano invece oggetto dei colloqui con il nuovo premier incaricato al-Abadi.

Alla fine di agosto progressivamente la Casa Bianca si spingeva a valutare la possibilità di effettuare raid aerei contro l’IS anche nella parte siriana del territorio controllato dall’organizzazione jihadista: il regime di Assad – che nelle ultime settimane aveva aumentato gli attacchi aerei contro le postazioni dell’IS - coglieva prontamente l’occasione di una collaborazione con Washington, assolutamente impensabile fino a quel momento, ma poneva alcune condizioni per bocca del ministro degli esteri Muallim, ovvero di poter coordinare le proprie operazioni militari con quelle americane e di ottenere una legittimazione piena del regime di Assad, che rivendica una posizione centrale nella lotta internazionalmente condivisa contro l’IS.

Pur nella gravità della situazione - l’IS aveva conquistato appena da poche ore una delle più grandi basi aeree siriane - gli Stati Uniti si mostravano del tutto riluttanti alle profferte di Damasco.

Piuttosto, Washington tentava di avviare una collaborazione con i propri alleati tradizionali per dar vita a un fronte comune finalizzato ad attacchi contro le basi dell’IS anche in territorio siriano. Frattanto l’offensiva jihadista in Siria si avvicinava anche alle posizioni israeliane sul Golan, con un attacco imputato al Fronte Jabat al-Nusra – in effetti acerrimo rivale dell’IS - sulla parte delle alture controllata dall’esercito siriano, che registrava la perdita di 20 soldati. A seguito dell’attacco i miliziani si impossessavano del valico di Quneitra, proprio sul confine con Israele.

La gravità della minaccia in corso anche per la Siria era efficacemente delineata anche da un rapporto reso noto a Ginevra il 27 agosto dalla Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria, dal quale emergeva che in tutto il territorio controllato dall’IS si dava luogo a esecuzioni, amputazioni e flagellazioni pubbliche, e inoltre all’arruolamento persino di bambini di 10 anni. Chiunque poteva essere vittima di tali punizioni alla minima violazione della rigida interpretazione della legge islamica imposta dall’IS.

 

Settembre 2014

Il 2 settembre circolava un video sulla rete nel quale veniva mostrata l’uccisione e la decapitazione del giovane reporter freelance americano Steven Sotloff di Miami, la cui madre invano aveva supplicato i suoi rapitori dell’IS di esercitare clemenza. Nel consueto macabro cerimonialeSotloff, prima della sua uccisione, era stato costretto a sconfessare la politica estera americana, della quale sosteneva di essere sul punto di pagare personalmente il prezzo. Anche l’esecutore del barbaro omicidio appariva essere lo stesso già impegnato nella decapitazione di James Foley.

La reazione degli Stati Uniti, oltre a disporre l’invio di altri 350 soldati per la protezione di personale e sedi statunitensi nella capitale irachena - con il numero dei militari inviati in Iraq che, dall’inizio dell’offensiva dell’IS superava la cifra di 800 unità -, consisteva nell’accelerazione dei preparativi per una vasta coalizione internazionale contro l’IS, nella quale un contributo decisivo doveva essere fornito dalla presenza di Stati arabi, sia per accrescere la legittimazione dello schieramento anti-IS, sia per mettere con le spalle al muro quelle forze che all’interno delle monarchie del Golfo hanno espresso simpatie e appoggio per le correnti jihadiste operanti in Medio Oriente in diversi paesi. In ogni caso il presidente americano Obama chiariva che la lotta contro l’IS non sarebbe stata di breve periodo, e che avrebbe comportato una strategia su diversi piani, onde ridurre l’influenza militare e i finanziamenti del cosiddetto califfato. Anche il governo francese si esprimeva per un’accelerazione dell’impegno contro l’IS, accennando a una risposta politica, umanitaria e se necessario militare nel quadro del diritto internazionale.

Il vertice NATO nel Galles del 4/5 settembre riusciva a registrare un’ampia convergenza proprio sul punto della strategia di lotta contro l’IS: la decisione fondamentale era quella di dar vita a una vasta coalizione comprensiva anche di forze esterne alla NATOper combattere l’estremismo islamico dilagante in Iraq e Siria, della quale faranno parte dieci paesi, ossia nove della NATO (USA, Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Danimarca, Polonia, Turchia e Canada) e l’Australia, che già poche ore prima aveva provveduto alla consegna di armamenti alle forze curde dell’Iraq settentrionale impegnate direttamente nella lotta contro i miliziani dell’IS. Contemporaneamente veniva l’invito ad altri importanti attori regionali come Egitto, Turchia, Arabia Saudita a unirsi agli sforzi della coalizione al fine della distruzione del califfato di al-Baghdadi. Proprio inriferimento all’Egitto va segnalato che il 6 settembre le autorità del Cairo rendevano nota la presenza di cellule operative dell’IS anche in territorio egiziano, nella regione del Sinai a sud del valico di Rafah verso la Striscia di Gaza: le forze di sicurezza egiziane, veniva anticipato, avrebbero lanciato a giorni un’offensiva militare contro i jihadisti.

Dopo che gli Stati Uniti avevano lanciato nuovi attacchi aerei sull’IS nella parte occidentale dell’Iraq, a protezione della diga di Haditha, anche nel nostro Paese la minaccia dell’IS riceveva adeguata considerazione in due informative alle Camere svolte dal Ministro dell’interno Alfano il 9 settembre: secondo il Ministro non andava sottovalutata la specifica minaccia dell’IS nei confronti dell’Italia e di Roma, sede della principale autorità cristiana. Secondo il ministro Alfano si rendeva urgente la criminalizzazione di comportamenti di partecipazione a conflitti armati o atti di terrorismo anche al di fuori dei confini nazionali,commessi da parsoneresidenti in Italia o da cittadini italiani, ai quali, inoltre, in caso di forti sospetti, si doveva contemplare la possibilità di imporre misure di sorveglianza speciale con obbligo di dimora, impedendone così l’espatrio a fini terroristici. Infine il Ministro sottolineava come anche nei confronti delle ondate di sbarchi dal Nord Africa in territorio italiano fosse necessario applicare la più stretta sorveglianza per prevenire episodi di terrorismo sul territorio nazionale.

Poche ore prima intanto a Baghdad sembrava essersi sbloccata la questione della formazione del nuovo governo,sul quale tuttavia sembravano continuare a incombere le tradizionali divisioni: infatti ministeri chiave come quello degli esteri  e del petrolio rimanevano in mani sciite, mentre le finanze erano andate al curdo Shawes, e restava sospesa la designazione di titolari di importanti ministeri,  come quelli della difesa, della sicurezza e degli interni. Sembrava ancora lontano il punto fondamentale di una reintegrazione dei sunniti nella compagine politica nazionale, tuttavia premessa indispensabile di un ricompattamento dell’esercito, che aveva mostrato gravi segni di sgretolamento di fronte all’offensiva dell’IS. Lo stesso rapporto tra l’entità regionale curda e il governo centrale di Baghdad rimaneva problematico, in attesa di risolvere la questione delle esportazioni di petrolio che il Kurdistan iracheno aveva iniziato autonomamente in maggio, collegata allo status di Kirkuk, città strategica dal punto di vista petrolifero occupata dai curdi per prevenire le azioni dell’IS. Sullo sfondo restava poi l’eventualità di una indipendenza a pieno titolo del Kurdistan iracheno, naturalmente osteggiata dal governo centrale di Bahgdad, e che un paese chiave come la Turchia non poteva non vedere negativamente.

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, commemorando le vittime dell’11 settembre 2001, annunciava in un discorso televisivo alla nazione l’espansione delle operazioni contro l’IS alla parte siriana del territorio controllato dal califfato: poco prima gli USA avevano autorizzato ulteriori 25 milioni di dollari per assistenza militare immediata al governo iracheno e alla regione del Kurdistan impegnati nel contenimento della avanzata dell’IS.

Mentre Obama si rivolgeva alla nazione, il tavolo di lavoro di Gedda tra il segretario di Stato Kerry e 10 paesi arabi inaugurava la partecipazione di questi ultimi alla coalizione contro l’IS: decisivo dal punto di vista soprattutto politico, lo schieramento dei paesi arabi annoverava le monarchie del Golfo e inoltre l’Egitto, la Giordania, la Turchia e il Libano. Particolarmente rilevante appariva il coinvolgimento del Qatar nella coalizione anti-IS, visto l’atteggiamento assai ambiguo tenuto da Doha nello scenario mediorientale e nordafricano, con il sostegno costante a gruppi jihadisti variamente connotati. Non a caso Kerry sottolineava anche la necessità che le emittenti regionali come al-Arabiya ed al-Jazeera avrebbero dovuto chiarire alle popolazioni arabe quale fosse al momento attuale il nemico contro cui concentrare gli sforzi. Altrettanto significativa la mancanza dallo schieramento guidato dagli Stati Uniti della Siria e dell’Iran, per diversi motivi di incompatibilità con gli scopi e gli interessi geopolitici degli altri paesi partecipanti alla coalizione dal lato arabo.

Proseguiva intanto la scia di orrore dell’IS, che il 13 settembre, tramite Twitter, diffondeva il video dell’esecuzione dell’operatore umanitario britannico David Haines, che era stato rapito nel 2013 in Siria, anche stavolta ignorando gli appelli di poche ore prima della famiglia dell’ostaggio. Tra l’altro Haines era apparso anche nel filmato che in precedenza aveva mostrato l’uccisione dell’ostaggio americano Sotloff, e, ulteriore macabro presagio, nel video sull’uccisione di Haines compariva anche l’ostaggio britannico Alan Henning, con minaccia di giustiziare anche quest’ultimo. L’uccisione di Hainesveniva attribuita dalla voce di un miliziano dell’IS proprio all’impegno britannico ad armare i peshmerga curdi contro l’IS.

Il 14 settembre l’Australia forniva 400 militari delle forze aeree, assieme a otto velivoli da combattimento, un ricognitoree un rifornitore aereo in volo. Intanto il 15 settembre nell’incontro di Parigi la coalizione anti-IS ribadiva i propri impegni, che ormai riunivano 25 Stati contro il califfato. Dal punto di vista tuttavia degli attacchi aerei soltanto Stati Uniti, Francia e probabilmente Emirati Arabi Uniti risultavanodirettamente impegnati. Il 19 settembre si verificavano i primi bombardamenti aerei francesi contro postazioni dell’IS: nella stessa giornata la Camera dei rappresentanti belga, dopo un lungo dibattito, autorizzava per un mese la partecipazione di forze militari del paese-circa 120 uomini, tra i quali otto piloti e un certo numero di caccia F-16-alle operazioni militari contro il califfato. Per quanto concerne l’Italia, il Ministro degli esteri Mogherini dichiarava a New York, in margine alla partecipazione a una riunione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che il nostro Paese avrebbe potuto partecipare a livello militare in attività di addestramento, sostegno logistico ed eventuale rifornimento in volo di aerei della coalizione: secondo Mogherini, peraltro, non risultavano al momento specifiche minacce contro l’Italia da parte dell’IS.

La strategia americana assumeva intanto contorni più precisi non escludendo più l’intervento di terra, ma anzi vedendo in esso un elemento essenziale per la completa vittoria contro l’IS, affidandosi però per esso ai peshmerga curdi e all’eventualità di coinvolgere contro lo Stato islamico tribù sunnite presenti sul territorio – peraltro non facilmente conciliabili con le autorità centrali di Baghdad. Per quanto concerne la Germania, questa risultavaaver inviato 40 consulenti militari e aver fornito armi ai curdi, senza tuttavia alcuna partecipazione ad attacchi aerei.

L’accentuarsi della pressione del califfato nella parte siriana, con l’attacco alle città curde del Nord, aumentava in modo spettacolare il coinvolgimento della Turchia nella questione: in poche ore 130.000 profughi curdi si aggiungevano al milione di rifugiati già affluiti in Turchia a seguito dell’ormai più che triennale conflitto siriano, ponendo Ankara di fronte alla necessità di studiare soluzioni per il contenimento dell’avanzata dell’IS e al tempo stesso per il soccorso dei profughi curdi.

In tal senso già da alcune settimane la Turchia ventilava l’ipotesi di istituire una zona cuscinetto alla frontiera con la Siria, dove insediare anche aree sicure per ospitare i profughi. Non va tuttavia dimenticato che, stante il secolare problema di Ankara con le minoranze curde all’interno del proprio paese, l’atteggiamento turco difficilmente poteva essere quello di facilitare l’afflusso in territorio siriano di combattenti curdi di origine turca, pure richiesto da vari appelli del PKK (il partito curdo di Ocalan, sempre sospetto agli occhi delle autorità turche, nonostante le aperture degli ultimi anni).

La Turchia veniva comunque sempre più messa alle strette sia pure indirettamente anche dall’alleato americano, che non poteva non constatare con irritazione la mancata partecipazione di uno Stato regionale, che costituisce oltretutto un pilastro della NATO, alla coalizione anti-IS, e che inoltre ventilava in seno alle Nazioni Unite l’approvazione di una risoluzione del Consiglio di sicurezza contro il reclutamento e il finanziamento delle correnti jihadiste - attività dalle quali la Turchia durante il conflitto siriano si era tutt’altro che astenuta.

Mentre nel corso della sessione inaugurale dell’Assemblea generale dell’ONU a New York diversi altri paesi decidevano di fornire aiuti militari alla coalizione contro l’IS, la minaccia terroristica sembrava raggiungere perfino l’Australia, dove un diciottenne di origine afghana veniva ucciso a Melbourne il 23 settembre: le autorità di polizia australiane rendevano noto il giorno successivo che si trattava di un soggetto già sospetto per terrorismo, contrario all’impegno dell’Australia nella lotta contro l’IS – aveva per questo indirizzato minacce al premier australiano -e associato al gruppo radicale al-Furqan, con passaporto già ritirato per motivi di sicurezza.

Intanto un altro paese pagava un duro tributo per la partecipazione alla lotta contro l’IS, quando il 24 settembre il gruppo algerino dei Soldati del califfato, collegato all’IS, decapitava il cittadino francese Hervé Pierre Gourdel, recatosi nel paese per compiere escursioni sulle montagne settentrionali: l’uccisione di Gourdel costituiva una rappresaglia per la continuazione dei raid aerei francesi sul califfato, che i rapitori algerini avevano espressamente chiesto di interrompere.

Anche nel nostro Paese si rendeva noto un innalzamento ulteriore dei livelli di allarme, soprattutto in relazione al fenomeno dei combattenti europei impegnati nelle file del califfato, minaccia potenziale in caso di ritorno in territorio europeo.Al rinnovato allarme lanciato dal Ministro dell’interno Alfano faceva seguito il 25 settembre l’intervento del Presidente del consiglio Renzi all’Assemblea generale dell’ONU, nel corso del quale veniva ribadito come le azioni dell’IS costituissero un vero e proprio genocidio e una minaccia per l’umanità: in più, il Presidente del consiglio metteva in luce come per l’Italia fosse prioritario ancheaffrontare il pericolosissimo focolaio di instabilità costituito dalla situazione di frammentazione della Libia.

Frattanto, mentre installazioni petrolifere dell’IS venivano colpite da attacchi dell’aviazione statunitense e di paesi arabi sia in Siria che in Iraq, proseguiva in Australia l’azione delle forze di polizia, che con l’impiego di centinaia di uomini compivano ulteriori perquisizioni a Sidney e Brisbane alla ricerca di eventuali nuovi piani per l’attuazione di attacchi terroristici.

Il 26 settembre registrava un ulteriore sviluppo favorevole alla coalizione contro l’IS, quando la Camera dei Comuni approvava con un largo margine l’intervento aereo britannico in Iraq, espressamente richiesto dal governo di Baghdad. La risoluzione del Parlamento britannico autorizzava altresì la possibilità di impiegare truppe di terra non combattenti per scopi di addestramento delle forze irachene e curde sul terreno. Nella stessa giornata anche la Danimarcaannunciava un forte incremento del proprio coinvolgimento nelle operazioni control’IS, dispiegando 250 unità tra piloti e personale di supporto, nonché sette caccia F-16.

A fronte del crescente coinvolgimento internazionale nella coalizione contro l’IS, il Coordinatore europeo antiterrorismo De Kerchove non mancava di richiamare l’attenzione sul parallelo incremento dei rischi di attentati in territorio europeo: infatti i cittadini europei unitisi ai combattenti del califfato risultavano ormai essere complessivamente circa 3.000, due terzi dei quali partiti da Francia, Regno Unito e Germania, ma non meno di 350 anche dal Belgio. In Italia il numero di tali soggetti era valutato in una cinquantina, perlopiù di origine non italiana, ma derivanti da immigrazione nel nostro Paese.

Con l’approssimarsi delle truppe dell’IS alla cittadina curdo-siriana di Kobane si verificavano anche numerose manifestazioni di protesta in Europa e negli Stati Uniti per richiedere l’intervento urgente a sostegno degli abitanti della città e dei profughi sempre più numerosi, proprio nelle stesse ore in cui i primi attacchi americani colpivano in effettii sobborghi della città già conquistati dall’IS.

La difficile situazione di Kobane sembrava tuttavia accelerare anche la necessità di una presa di posizione turca:dopo i contatti avuti a New York a margine della sessione inaugurale dell’Assemblea generale dell’ONU, il presidente Erdogan si spingeva a sostenere la necessità di un’operazione di terra control’IS, nella quale impiegare anche le ingenti forze militari turche, sia per riconquistare territorio sottraendolo al califfato, sia per accrescere la sicurezza della popolazione in fuga dai combattimenti. Erdogan chiariva inoltre come fossero in corso negoziati per la determinazione della composizione della coalizione da impegnare nell’operazione di terra-l’opposizione parlamentare turca non mancava peraltro di esprimere subito dopo dissenso rispetto all’ipotesi di inviare militari turchi fuori dei confini nazionali.

Due giorni dopo, il 29 settembre, forze aeree britanniche partite dalla base cipriota di Akrotiricompivano le prime missioni sul territorio iracheno contro l’IS, mentre le preoccupazioni dell’esercito nazionale iracheno per la grave situazione sul terreno conducevano alla riabilitazione di fatto dei disertori sunniti, nel quadro di un’ampia campagna di reclutamento per rafforzare i ranghi militari. Senza ancora intervenire nel conflitto scatenatosi attorno alla città di Kobane, la Turchia procedeva comunque a schierare numerosi carri armati sul confine siriano.

Il 30 settembre, mentre i servizi di intelligence statunitensi riferivano di aver a suo tempo avvisato la Casa Bianca sulla pericolosità del fenomeno del califfato, senza riscontrare un interesse prioritario sull’argomento; la Santa sede tornava a far sentire la propria voce, richiedendo che la minaccia dell’IS fosse affrontata con un uso della forza proporzionato e multilaterale. Frattanto si verificavano lievi progressi nelle posizioni delle forze curde dei Peshmerga, che riuscivano a riconquistare la cittadina di Rabia e il valico di frontiera prospiciente. Il bilancio delle violenze in Iraq nel mese di settembre, secondo fonti ONU, registrava la morte di circa 1100 persone.

 

Ottobre 2014

L’avanzata curda proseguiva il 1° ottobre, affiancando le forze armate irachene, con la riconquista della cittadina di Taza Kharmatho, tuttavia riempita dall’IS di ordigni e trappole esplosive, quindi di fatto impraticabile.Il 2 ottobre il parlamento turco approvava con una maggioranza di circa i due terzi l’autorizzazione alle operazioni contro il califfato, autorizzazione consistente sia nel permesso accordato alle operazioni militari lanciate dall’interno del territorio turco da altri attori regionali e internazionali, ma anche nella possibilità di ingresso diretto delle truppe di Ankara nel territorio siriano.

La decisione del parlamento di Ankara destava vibrate proteste da parte della Siria e, con toni più morbidi, dell’Iran: ma lo stesso al-Maliki, ex premier iracheno sciita, si diceva del tutto contrario all’ingresso delle truppe turche in territorio iracheno. Tutto ciò non sembrava però dissuadere la Turchia, il cui primo ministro Davutoglu si diceva pronto a fare tutto il possibile per impedire la caduta dell’ultima roccaforte, Kobane, tra il territorio controllato dall’IS e il confine turco. Intanto nelle altre zone dell’Iraq, ai parziali successi dell’IS a ovest di Baghdad faceva riscontro la prosecuzione dell’avanzata delle forze curde e irachene a Nord della capitale.

Ancora nuovo orrore destava la diffusione di un video sulla decapitazione dell’ostaggio britannico Alan Henning, video nel quale venivano formulate minacce nei confronti di un altro prigioniero dell’IS, anch’egli operatore della cooperazione, l’americano Peter Kassig. Il fronte anti-IS si arricchiva però in quelle stesse ore di due nuovi protagonisti, quando i governi australiano e canadese annunciavano la partecipazione ai raid aerei contro il califfato.

Il 4 ottobre cominciavano a diffondersi i dubbi dell’Amministrazione USA sulla strategia portata avanti con gli attacchi aerei contro l’IS, che non si mostrava efficace come sperato: a fronte di ciò, lo stesso IS compiva una sorta di svolta mediatica, quando in un video appariva un militante del califfato a volto scoperto, minacciando i paesi occidentali e lanciando pesanti insulti al premier britannico Cameron. Sul terreno intanto l’IS riusciva a impadronirsi della città di irachena di Kabisa, mentre in due diversi agguati nella provincia irachena di Diyala perdevano la vita un ufficiale e sette soldati delle forze armate di Baghdad.

Il 5 ottobre si stringeva sempre più l’assedio di Kobane da parte dei miliziani dell’IS: in questo contesto alcuni di essi erano vittime di un attacco suicida da parte di una donna curda. Nelle stesse ore, la minaccia dell’IS sembrava allargarsi al territorio libanese - non senza forti punti interrogativi sul fatto che in questo caso il tentativo di invasione fosse stato portato avanti assieme alla milizia sunnita, in altri scenari nemica, di al-Nusra-, dove però la forte opposizione armata del movimento sciita Hizbollah sembrava riuscire a contenere la minaccia.

Il 6 ottobre, mentre da molti segnali sembra avvicinarsi la capitolazione di Kobane, la Turchia persisteva nel suo atteggiamento di non intervento, la motivazione del quale, emergeva sempre più chiaramente, erano le preoccupazioni di Ankara per qualunque possibile conquista di uno status di sovranità o anche di forte autonomia da parte dei curdi del nord siriano, ai quali invece i turchi chiedevano prioritariamente di rompere qualsiasi legame con il regime di Assad, la cui destituzione - chiariva lo stesso primo ministro Davutoglu - era condizione imprescindibile della partecipazione turca ad un attacco di terra contro il califfato nell’ambito della strategia anti-IS della Casa Bianca. Del resto Davutoglu non nascondeva le preoccupazioni turche, in quanto a suo dire intervenire a Kobane avrebbe determinato conseguenze per tutto il confine turco-siriano. In questo contestoAnkara doveva anche subire l’imbarazzo derivante dalle rivelazioni del Times, che rendeva noto che a fronte dei 46 ostaggi turchi liberati la settimana precedente, Ankara aveva restituito all’IS ben 180 jihadisti.

Crescevano intanto gli allarmi dei servizi segreti occidentali per l’allargarsi della galassia terrorista ispirata alle gesta dell’IS: infatti sempre più chiaramente gruppi legati all’orizzonte politico-religioso del califfato di al-Baghdadi si mostravano attivi in Egitto (nord del Sinai), in Libia, in Tunisia e Algeria, nello Yemen, ma anche in Uzbekistan, in Indonesia e Malesia, e, per certi versi, tra Nigeria e Camerun, con il movimento islamista BokoHaram. Infatti, a differenza della matrice araba orientale, AQMI (al-Qaida nel Maghreb islamico) sembrava tutt’altro che in dissidio con l’IS.

Il 7 ottobre alcuni manifestanti curdi irrompevano nell’edificio del Parlamento europeo a Bruxelles, protestando vivacemente per la situazione di Kobane, e più in generale per la difficile situazione delle popolazioni curde minacciate dall’IS-cinque giorni prima unacinquantina di manifestanti curdi avevano compiuto un’analoga manifestazione proprio in Italia, davanti alla Camera dei deputati. Emergeva intanto un altro tratto inumano e inquietante della strategia del califfato, ovvero l’uso spregiudicato delle risorse idriche e dell’elettricità per colpire anche territori non direttamente controllati, attraverso il taglio di cavi e la conquista di dighe e condutture.

L’8 ottobre si registravanoin Turchia una ventina di morti - incerte le responsabilità - a seguito delle manifestazioni per la giornata di mobilitazione indetta dai partiti filo-curdi in relazione all’assedio di Kobane da parte dell’IS. Nella stessa giornata il presidente degli Stati Uniti, riunito al Pentagono con i massimi vertici militari, non nascondeva il proprio disappunto per l’inerzia dimostrata dalla Turchia sulla vicenda di Kobane, ma anche per l’apparente inefficacia dei pur numerosi raid aerei compiuti in Iraq (270) e in Siria (120) contro le postazioni del califfato.

Il 9 ottobre, mentre ormai i miliziani dell’IS sembravano essere penetrati parzialmente nella città di Kobane, emergeva un’altra questione che la Turchia considerava come prioritaria e preliminare ad un proprio intervento di terra, ovvero la creazione di una zona di interdizione al sorvolo nel Nord della Siria - come dichiarato dal ministro degli esteri turco Cavusoglu. Al proposito sia il regime di Damasco che la Russia rifiutavano recisamente questa eventualità, rimandando adun’eventuale decisione in materia del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Anche il Segretario generale della NATO Stoltenberg smentiva che l’Alleanza atlantica avesse discusso dell’argomento. Nell’intricato scenario siriano, nonostante l’ingombrante presenza dell’IS, proseguivano anche numerosi i raid aerei del regime di Damasco contro gli oppositori armati, nei cui ranghi peraltro si contano numerosi jihadisti, per quanto distinti dalle milizie del Califfato-come quelli di al-Nusra, probabilmente autori del sequestro nel Nord-Ovest siriano del parroco francescano della comunità cristiana di Knayeh, rilasciato proprio il 9 ottobre, a differenza del gruppo di fedeli con cui si trovava, rimasti nelle mani dei rapitori.

Qualche problema nella coalizione anti-IS emergeva in relazione alla condotta del Qatar, notoriamente finanziatore di gruppi jihadisti in tutto lo scenario mediorientale, ma nel contempo formalmente aderente alla coalizione internazionale contro l’IS: la preoccupazione saudita, giordana ed emiratina per il proseguire dei flussi finanziari verso il Califfato conduceva l’11 ottobre questi paesi a manifestare disappunto verso Doha, peraltro sotto la lente d’ingrandimento dello stesso Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti per il suo costante sostegno a gruppi qaidisti come il Fronte al-Nusra, Hamas e i talebani dell’Afghanistan.

Proprio gli Stati Uniti tuttavia hanno non poche difficoltà a rapportarsi al Qatar, da cui dipendono per le basi logistiche di molte delle azioni militari dirette contro l’IS, nonché per alcuni nevralgici momenti di mediazione che Doha ha potuto portare avanti proprio in ragione dei suoi rapporti con l’islamismo radicale. Nel Regno Unito si levavano esortazioni a boicottare alcune proprietà qatariote a Londra, come i famosi grandi magazzini Harrods, e più in generale polemiche per l’atteggiamento britannico, giudicato troppo morbido, nei confronti del Qatar.

Intanto a Kobane i curdi resistevano con tenacia agli attacchi dell’IS, che tuttavia sembrava concentrare ingenti forze anche nei pressi della città petrolifera di Kirkuk. A Baghdad una quarantina di persone perdevano la vita in seguito a una serie di attacchi suicidi contro quartieri per la maggior parte sciiti della capitale irachena. Nuove efferatezze dell’IS emergevano in riferimento all’uccisione a Mosul di quattro donne in meno di una settimana – si trattava di due medici, una giurista e una parlamentare.

Sempre l’11 ottobre, con una lettera inviata al Corriere della Sera, i presidenti delle Commissioni Esteri della Camera, Fabrizio Cicchitto e del Senato, Pierferdinando Casini, chiedevano di schierare forze delle Nazioni Unite in Medio Oriente per contrastare in modo più efficace l’avanzata dei terroristi dell’IS in Medio Oriente: “Non è possibile – scrivono - che il mondo assista in modo sostanzialmente passivo alla tragedia che sta avvenendo. La comunità internazionale deve prendersi le sue responsabilità e quindi porre in essere un risoluto e risolutivo intervento politico-militare di contrasto all’Isis, realizzato dalle forze dell’Onu che non lascino soli i peshmerga, i quali in ogni caso stanno pagando un significativo tributo di sangue. Siamo a uno snodo cruciale della sicurezza globale, che prescinde dalle vecchie e nuove contrapposizioni tra Est ed Ovest oppure tra Nord e Sud, e dovrebbe perciò indurre a una mobilitazione generale, cui l’Unione europea, in particolare, potrebbe dare impulso.

In questo contesto la voce della Chiesa tornava a farsi sentire con le dichiarazioni del segretario di Stato vaticano card. Parolin, che esortava a ogni sforzo per fermare l’aggressione contro le minoranze in corso in Medio Oriente, che desta grande preoccupazione nello stesso Pontefice: il card. Parolin ribadiva la legittimità dell’uso della forza in un contesto multilaterale, ancor meglio se autorizzata dalle Nazioni Unite, se l’obiettivo si limita a quello di porre fine ad un’aggressione.

La battaglia continuava a infuriare a Kobane, dove però l’IS incontrava forte resistenza da parte delle milizie curde, mentre l’uccisione del capo della polizia della provincia occidentale irachena di al-Anbar faceva temere un’estensione a questa provincia dell’azione del Califfato; il 13 ottobre un rapporto pubblicato da Amnesty International rendeva noto come con la complicità delle autorità irachene le milizie sciite avessero rapito e ucciso decine di civili sunniti negli ultimi mesi, come rappresaglia per le azioni dell’IS. La presa della città di Hit da parte dell’IS rinfocolava i timori per la provincia di al-Anbar. Inoltre, la Turchia smentiva la notizia proveniente da Washington in merito alla concessione di una base aerea turca per i bombardamenti americani sulla milizie del Califfato.

Il 14 ottobre la Turchia, significativamente, compiva raid aerei contro i curdi turchi del PKK nel sud-est del proprio territorio. Intanto un attentato suicida perpetrato con un’autobomba uccideva a Baghdad 25 persone, incluso il deputato e vice capo dell’organizzazione Badr Ahmed al-Khafaji.

Rinnovati timori venivano intanto dall’annuncio dell’effettivo ritrovamento in Iraq, nel periodo di occupazione da parte delle truppe statunitensi, di numerose armi chimiche - non certo quelle letali il cui possesso da parte di Saddam era stato posto alla base dell’invasione del paese -, anche se ormai spesso deteriorate, su cui era stato mantenuto il segreto più stretto. Alcuni di questi armamenti si teme ora possano cadere nelle mani dell’IS, che controlla una vasta porzione del territorio iracheno. Mentre a Mosul le milizie del Califfato procedevano all’esecuzione di 46 persone, in Italia si riuniva il 15 ottobre il Consiglio supremo di difesa, per il quale l’Italia e l’Europa devono fronteggiare rischi importanti in relazione all’espansione dell’IS in Medio Oriente, anche in considerazione del fenomeno dei foreign fighters di ritorno in Europa dal teatro di guerra. Proprio un maggior coordinamento europeo dovrà essere la chiave decisiva per far fronte al rinnovato allarme.

Il 16 ottobre il Ministro della difesa Roberta Pinotti, intervenendo dinanzi alle Commissioni riunite esteri e difesa dei due rami del Parlamento, ribadiva la serietà della minaccia rappresentata dall’IS: in questo senso il Governo italiano annunciava un ulteriore contributo alla coalizione, consistente nell’invio complessivo di un massimo di 280 militari con compiti addestrativi per le milizie curde, due droni Predator ed un rifornitore in volo. Inoltre il Ministro preannunciava l’invio di ulteriore munizionamento, ma anche l’eventuale cessione, ove possibile, alle milizie curde di proiettili anticarro e blindati in uso all’esercito italiano. Proseguivano intanto gli attentati a Baghdad, dove quattro autobomba provocavano la morte di 36 persone e il ferimento di un centinaio. Alla fine della giornata si registrava un significativo arretramento dell’IS a Kobane, ma, parallelamente, una recrudescenza dei combattimenti nella provincia di al-Anbar, pur nel quadro di un alleggerimento della pressione diretta verso la capitale irachena.

Il 17 ottobre, mentre proseguivano i progressi curdi a Kobane, anche grazie alla maggiore efficacia dei raid aerei della coalizione, 60 miliziani dell’IS perdevano la vita nell’attacco al loro campo a Jaberiya, assaltato da elementi dell’esercito e della polizia iracheni. Altri esponenti di rilievo dell’IS venivano uccisi a Ramadi. Peraltro l’IS riceveva attestazioni di appoggio dalla penisola arabica, con un appello delle locali cellule di al-Qaida a tutti i musulmani per il sostegno all’IS e l’attacco in ogni forma contro l’America. Gli stessi Stati Uniti non confermavano le voci secondo le quali erano venuti in possesso dell’IS tre aviogetti da combattimento siriani, che sarebbero stati visti già diverse volte volare a bassa quota, presumibilmente guidati da ufficiali disertori dell’aviazione irachena.

Mentre proseguivano gli attentati a Baghdad e in altre località irachene contro gli sciiti, il 20 ottobre si verificava una svolta nell’atteggiamento della Turchia, che si diceva finalmente disponibile a consentire il passaggio della truppe dei Peshmerga curdi a sostegno dei difensori di Kobane. Intanto per la prima volta gli Stati Uniti paracadutavano armamenti alle milizie curde, ma, sfortunatamente, una parte di questi cadeva nelle mani di miliziani dell’IS. Questi ultimi, secondo un volontario americano operante sul terreno, avrebbero usato anche armi chimiche durante l’assedio di Kobane, come sarebbe documentato da alcune foto appositamente fornite. Due giorni dopo, il 24 ottobre, ufficiali dell’esercito iracheno confermavano l’uso di armi chimiche contro le proprie truppe da parte dell’IS, mentre nuove prove venivano in merito all’utilizzazione di tali armamenti anche nell’assedio di Kobane. Si tratterebbe di cloro, come indicato dai sintomi di avvelenamento riscontrati.

Nuovi segnali di allargamento della sfera di azione dell’IS venivano dal Libano, ove nella città settentrionale di Tripoli si verificavano scontri tra l’esercito di Beirut e militanti sunniti collegati al Califfato: dopo due giorni, il 27 ottobre, la cellula jihadista risultava distrutta.

 

 

 

 

 


SIWEB

L’attività parlamentare in materia
(a cura del Servizio Studi
della Camera dei deputati
)

 

Già partire dalla fine del 2013, il Parlamento italiano ha iniziato a seguire l’evoluzione del teatro di crisi iracheno-siriano, segnato dall’iniziativa offensiva dello “Stato islamico” (IS), formazione paramilitare di matrice islamista, adottando una serie di misure normative volte a consentire la partecipazione italiana a missioni umanitarie di assistenza ai rifugiati dell’area ed al sostegno delle forze curdo-irachene impegnate nel contrasto all’IS.

In questa prospettiva, il dispositivo dell’ordine del giorno 9/01670-AR/062 d’iniziativa dell’on. Massimo Artini, presentato in Assemblea durante l’esame del disegno di legge di conversione del decreto di proroga della partecipazione italiana alle missioni internazionali per l’ultimo trimestre 2013[2], accolto dal Governo (seduta del 3 dicembre 2013), impegnava il Governo ad adoperarsi, per il tramite della missione diplomatica prevista dal provvedimento, anche per ottenere dalla Turchia e dalla Regione autonoma curda (KRG) l’apertura dei valichi al fine di consentire il passaggio degli aiuti umanitari ai rifugiati siriani presenti nella regione.

Si rammenta che l’art. 6, co. 2 del decreto di proroga delle missioni (D.L. 114/2013) ha disposto l’invio in missione nell'area di confine turco-siriana, per il periodo 1° ottobre - 31 dicembre 2013, di un funzionario diplomatico autorizzato ad avvalersi, per l’espletamento delle proprie attività, del supporto di due unità di personale locale.

Nell’ambito dell’audizione sugli sviluppi di politica estera in relazione al semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, svolta davanti alle Commissioni riunite Affari esteri della Camera e del Senato (3 luglio 2014), il Ministro degli affari esteri Federica Mogherini ha evidenziato l’intenzione del nostro Paese di esercitare nel semestre un ruolo di accompagnamento della politica estera europea sul versante della crisi siriana e irachena.

Posto che, di fatto, il confine tra i due Paesi è sparito, uno dei principali rischi connessi alla crisi – ha affermato Mogherini - è l’espansione degli effetti destabilizzati del conflitto sui Paesi vicini, primo fra tutti il Libano, del quale l'Italia è impegnata a sostenere le forze armate in chiave sia di sicurezza interna e delle frontiere, sia di unità nazionale. Il Ministro ha sottolineato, altresì, il rischio che l'avanzata e le attività di IS in Iraq mettano a seria prova la stabilità della Giordania, con conseguenti ripercussioni negative anche sul fronte mediorientale più tradizionalmente inteso, a partire da Israele.

Mogherini ha ribadito l’impegno italiano anzitutto sul versante dell'assistenza umanitaria, per fronteggiare la quale sono stati stanziati nuovi fondi soprattutto attraverso canali multilaterali. Quanto al fronte interno iracheno, il messaggio che il nostro Paese sta veicolando agli attori interni all'Iraq e ai Paesi della regione che hanno influenza diretta o indiretta sui diversi attori iracheni – ha dichiarato il Ministro - è che si arrivi il più rapidamente possibile a un nuovo governo di unità nazionale rappresentativo di tutte le parti della società irachena e, in particolare, non solo degli sciiti, ma anche dei sunniti e dei curdi; la disgregazione, della realtà irachena, infatti, rappresentando un fattore di grave rischio per la sicurezza, diventa tema di interesse prioritario dei grandi Paesi attori della regione (Iran, Paesi del Golfo a partire dall'Arabia Saudita, e Turchia) che si trovano a condividere l’interesse alla stabilità dell'Iraq.

All’estrema instabilità e drammaticità della situazione irachena, una drammaticità che si tende peraltro a rimuovere, nonché all’interesse strategico italiano all’esercizio della propria responsabilità in quel Paese, Mogherini aveva fatto riferimento anche in un passaggio dell’audizione sulle linee programmatiche del dicastero degli Affari esteri, svolta davanti alle Commissioni riunite Affari esteri della Camera e del Senato il 18 marzo 2014.

Il 20 agosto 2014 davanti alle Commissioni congiunte Esteri e Difesa di Camera e Senato si sono svolte le Comunicazioni del Governo sui recenti sviluppi della situazione in Iraq anche con riferimento agli esiti del Consiglio straordinario dei Ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014.

Come precisato dal Presidente della Commissione Affari esteri della Camera, on. Fabrizio Cicchitto, fondamento della seduta è la lettera inviata ai presidenti delle quattro Commissioni dai Ministri Mogherini e Pinotti, i quali - richiamata l’attenzione sulla riunione straordinaria del Consiglio dei Ministri degli esteri dell'Unione europea svoltasi a Bruxelles il 15 agosto - esprimevano la disponibilità a riferire alle Commissioni parlamentari in considerazione del particolare rilievo dell'ordine del giorno di quella riunione. Il presidente Cicchitto richiamava altresì l’appello rivolto dall’Ambasciatore iracheno a Roma, a nome del suo Governo e di tutte le comunità del suo popolo, affinche l'Italia potesse dimostrare concretamente la sua vicinanza all'Iraq e, in particolare, al Kurdistan iracheno, a fronte della tragedia umanitaria di cui sono vittime, dagli inizi di giugno, le popolazioni locali e le minoranze etniche e religiose.

Nella propria relazione il Ministro degli Affari esteri, Federica Mogherini, richiamato il quadro di instabilità ormai assai prossimo in Giordania e Libano e potenzialmente estensibile ad altri paesi  (Turchia ed Iran) a seguito del massiccio afflusso di rifugiati e delle pesanti ripercussioni di sicurezza interna, si è concentrata sull’avanzata dell’IS.  Tale organizzazione – sottolineava il capo della diplomazia italiana - separatasi da Al Qaeda ritenuta troppo morbida, è il cuore della questione che gli iracheni, i curdi in particolare, stanno fronteggiando; l’obiettivo principale di IS, ha affermato il Ministro, sono le popolazioni civili, in particolare le minoranze cristiana e yazida e tutte le minoranze in genere.

In tale contesto, secondo Mogherini, la questione centrale non è tanto la protezione di alcune minoranze quanto, invece, l’affermazione del principio della convivenza civile e pacifica in un territorio. Il Ministro degli affari esteri riferiva quindi dell’intensa iniziativa del nostro Paese negli ultimi mesi, alla luce della collocazione dell’Iraq tra le priorità strategiche dell’attività di governo: prima ancora dell’incontro di giugno, a Roma, con il presidente del Kurdistan Barzani, l'Italia si era infatti fatta promotrice, nell’ambito del vertice tra Unione europea e Lega araba (11 giugno) di una dichiarazione comprensiva di un riferimento esplicito alla situazione in Iraq, dove si condannava l'ondata di attacchi terroristici, si chiamavano il Governo dell'Iraq e il Governo della Regione autonoma del Kurdistan a unire le proprie forze politiche e militari per ripristinare la sicurezza a Mosul ed a Ninive, si riaffermava l'impegno per l'unità e l'integrità territoriale dell'Iraq e si richiamavano le risoluzioni delle Nazioni Unite 1267 e 1989 che dichiarano l'IS organizzazione terroristica, imponendo sanzioni ed una serie di misure riconosciute dalla comunità internazionale.

In quell'occasione Mogherini aveva incontrato l’omologo iracheno Zebari con il quale ha avuto un primo scambio di opinioni su quello che la comunità internazionale, a partire dall'UE, avrebbe potuto fare per sostenere in qualche modo la resistenza all'avanzata dell'IS.

A tale contatto avevano fatto seguito ulteriori attività: in sede di Consiglio affari esteri dell'Unione europea di luglio, ad esempio, l'Italia, ha proposto un punto in agenda sulla protezione in particolare dei cristiani di Ninive; inoltre, il Viceministro Pistelli si recava a Baghdad ed a Erbil il 6 e 7 agosto (e della missione riferiva in Senato, in audizione informale, il sottosegretario Della Vedova l’8 agosto). Il Ministro degli esteri riferiva quindi di avere avuto, sempre l’8 agosto, una conversazione telefonica con il presidente Barzani durante la quale aveva raccolto non solo la richiesta di un forte sostegno sul versante umanitario, ma anche la prospettiva di un sostegno dal punto di vista della sicurezza e militare: a seguito di tali contatti era stata redatta la lettera ai presidenti delle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato (v. infra) nonché quella indirizzata all'Alto rappresentante per la politica estera UE Catherine Ashton per avere una convocazione immediata del Consiglio Affari esteri, svoltosi come accennato il 15 agosto.

Su proposta italiana il Consiglio affari esteri dell’UE aveva esaminato non soltanto la situazione drammatica in Iraq, ma anche quella in Medio Oriente, quella in Libia ed un aggiornamento sulla situazione in Ucraina. Nell’ambito della costruzione di tale cornice internazionale, a partire dalla dimensione europea, Mogherini ha rammentato i contatti costanti con gli interlocutori regionali quali il Ministro degli esteri iraniano, turco, emiratino, qatariota, giordano oltre ai Contatti con la Santa Sede. Tale lavoro diplomatico ha prodotto la convergenza su tre linee d’azione condivise a Bruxelles con i partner europei, che il Ministro così sintetizzava:

1.     immediati aiuti umanitari. Dal punto di vista dell’Italia, il nostro Paese aveva stanziato già un milione di euro per gli aiuti umanitari: 500 mila euro all'OMS per gli sfollati nelle regioni di Erbil, Dohuk e Sulaymaniyah, più un milione di euro per un fondo presso la nostra Ambasciata a Baghdad e gli uffici di Erbil (Kurdistan), per progetti delle ONG nel campo della sanità, dell'istruzione e della formazione professionale. A questo si sono aggiunti negli ultimi giorni sei voli fatti insieme alla Difesa che hanno portato in totale 50 tonnellate di acqua e generi alimentari di prima necessità. Sul versante europeo si è condivisa la scelta di attivare meccanismi di cooperazione che consentano di coordinare gli aiuti per evitare sovrapposizioni e raddoppiamenti: allo scopo è stato messo in campo un meccanismo di coordinamento europeo;

2.     esame di una modalità di risposta positiva, sottoposta alle Commissioni, alla richiesta  formulata dal Governo centrale iracheno e da quello della Regione autonoma del Kurdistan, di forniture militari; sul punto si diffonderà nel dettaglio la comunicazione del Ministro Pinotti, ma – ribadiva Mogherini - per il Governo era fondamentale che questo lavoro si svolgesse innanzitutto in una cornice internazionale ed europea - da qui la richiesta della convocazione del Consiglio affari esteri dell’UE -, e con il coinvolgimento del Parlamento “che credo oggi possa compiersi; ma questo chiaramente dipenderà dalla volontà delle Commissioni”;

3.     azione politica, necessaria ad individuare le soluzioni di lungo termine. Si tratta di lavorare ad un quadro sostenibile all'interno dell'Iraq e nella regione, un quadro politico inclusivo che garantisca l'unità, l'integrità territoriale dell'Iraq e il suo inserimento in un contesto regionale che aiuti a rispondere alla minaccia dell’IS che riguarda in primis gli iracheni ma anche l’intera regione, l’UE e il mondo intero. In tale contesto è significativo che al-Abadi abbia ricevuto l'incoraggiamento e l'invito a procedere velocemente alla formazione di un Governo inclusivo anche dall'Iran, oltre che da Washington, dall'Araba Saudita e dall'Unione europea, in un contesto di consenso difficilmente riscontrabile in quella regione ed al quale l’Italia ha attivamente contribuito.

Mogherini richiamava quindi le conclusioni del Consiglio affari esteri di Ferragosto dove, sulla base di un consenso unanime, viene accolta con favore la decisione dei singoli Stati membri di rispondere positivamente alla richiesta delle autorità del Governo regionale curdo di ricevere urgentemente materiali militari, sulla base delle capacità e delle leggi nazionali degli Stati membri e con il consenso delle autorità nazionali irachene. Il Ministro sottolineava la rilevanza di tale consenso che consente al sostegno militare di affluire attraverso canali istituzionali internazionalmente riconosciuti (cessione da Governo a Governo). I

l secondo elemento che ha composto il quadro di riferimento internazionale – aggiungeva Mogherini – è la risoluzione n. 2170 delle Nazioni Unite del 16 agosto che riafferma, tra il resto, la necessità di combattere con ogni strumento, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite e con l'ordinamento internazionale, le minacce alla pace internazionale e alla sicurezza causate da atti terroristici. Riferendosi al passaggio di coinvolgimento del Parlamento, ritenuto dal Governo imprescindibile a fianco della cornice internazionale testé rammentata, il Ministro affermava che sebbene esso non sia necessario sotto il profilo formale esso è tuttavia fondamentale dal punto di vista politico, come momento di condivisione di un importante passaggio con le Commissioni competenti.

Il Ministro della Difesa Roberta Pinotti, fornite precisazioni tecniche sulla fornitura degli aiuti umanitari immediati decisi dal Consiglio Affari esteri dell’UE, offriva quindi una serie di informazioni sui materiali d’armamento che il Governo italiano valutava di poter fornire: in particolare, si tratta in equipaggiamenti per la difesa personale e d'area. Il Ministro rammentava, altresì, che Francia e Gran Bretagna avevano già effettuato o avviato analoghe operazioni mentre la Germania stava valutando il proprio contributo alla fornitura di mezzi e materiali militari. Pinotti riferiva quindi dell’ipotesi di prevedere la copertura finanziaria degli oneri connessi ai vari aspetti delle forniture militari richieste dalla autorità irachene e curde con apposito emendamento al decreto-legge 109/2014 in corso di conversione, concernente la proroga delle missioni internazionali nel secondo semestre.

Alla fine della seduta congiunta e dopo le riunioni separate degli uffici di presidenza delle Commissioni dei due rami del Parlamento, lo stesso 20 agosto si svolgevano le riunioni delle Commissioni per il voto di risoluzioni.

Presso la Camera le Commissioni riunite Affari Esteri e Difesa discutevano congiuntamente le risoluzioni sul contributo dell'Italia alle iniziative internazionali per la crisi nel Nord dell'Iraq 7-00456 Cicchitto e Vito, 7-00457 Artini e Sibilia e 7-00458 Duranti e Palazzotto. E’ stata approvata la risoluzione 7-00456 per la quale il Ministro Mogherini ha espresso il parere favorevole del Governo, votata per parti separate (parte motiva e parte dispositiva) con votazioni per appello nominale[3].

Con la risoluzione 7-00456 le Commissioni Esteri e Difesa preso atto di quanto riferito dai Ministri e degli esiti del Consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014, valutato che l'occupazione di ampie porzioni di territorio iracheno e siriano cadute sotto il controllo dell'IS e di ulteriori forze terroristiche fondamentaliste rappresenta una seria minaccia alla sicurezza internazionale, ai sensi della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 2170 (2014), adottata nell'ambito del Capitolo VII della Carta; manifestata viva preoccupazione per la catastrofe umanitaria e le atrocità che soprattutto nel Nord dell'Iraq stanno subendo le minoranze religiose ed in particolare quella cristiana e quella yazida; sottolineata la necessità di tutelare la natura multiconfessionale della regione; incoraggiata la formazione di un nuovo governo iracheno in cui possano riconoscersi tutte le componenti del Paese, a garanzia della sua integrità territoriale e condivisa la ferma condanna espressa dal Consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto nei confronti degli attacchi perpetrati dall'IS e dagli altri gruppi armati associati, che si configurano come veri e propri crimini contro l'umanità, impegnano il Governo a dare attuazione agli indirizzi formulati dal Consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014, rispondendo, d'intesa con i partner europei e transatlantici, alle richieste di aiuto umanitario e di supporto militare delle autorità regionali curde, con il consenso delle autorità nazionali irachene.

Presso il Senato della Repubblica le omologhe Commissioni Esteri e Difesa hanno approvato la risoluzione Doc. XXIV, n. 34, di identico tenore.

Nella seduta dell’Assemblea della Camera del 9 settembre 2014[4] nell’ambito dell’informativa urgente del Governo sul tema del terrorismo internazionale di matrice religiosa il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha dedicato una delle tre parti dell’intervento all’esame della struttura, alle modalità di finanziamento, di propaganda e di reclutamento dell’IS, evidenziandone il carattere di  soggettività statuale antagonista che punta a trarre il massimo profitto dalla crisi dello Stato nazione dei Paesi islamici. L’intervento si è incentrato, inoltre, sulla reazione al fenomeno IS da parte dei Paesi coinvolti e sulla specifica situazione italiana con i relativi  fattori di rischio e di allarme, in ossequio all’obiettivo dichiarato dell’informativa che è quello di mettere a parte il Parlamento dello stato delle conoscenze del fenomeno, delle possibili ricadute sul suolo nazionale e del quadro di cooperazione internazionale globale. L’informativa urgente è stata resa, nella medesima giornata del 9 settembre, anche presso l’Assemblea del Senato della Repubblica.

In pari data, il Ministro degli esteri riferiva alle Commissioni Esteri e Difesa dei due rami del Parlamento sugli esiti del Vertice dell’Alleanza atlantica, tenutosi il 4 ed il 5 settembre in Galles, sottolineando come in quella sede fosse emersa con chiarezza una convergenza tra i partner atlantici circa l’esigenza  di non coinvolgere la NATO in quanto tale nel teatro di crisi siriano-iracheno ma di creare una rete di Paesi che non coinvolgesse solamente alcuni Stati membri del Patto atlantico, ma anche altri Stati, al di fuori dell’Alleanza atlantica a partire dai Paesi arabi ed islamici, con una pluralità di strumenti, non principalmente militari, ma soprattutto sul versante dell’aiuto umanitario, del controllo dei flussi economici e finanziari, fondamentale per arginare i rifornimenti e l’accesso di risorse di ISIS, nella cornice di Nazioni unite.

In quella stessa giornata del 9 settembre, il Governo presentava una proposta emendativa all’art. 4 del disegno di legge di conversione del richiamato decreto-legge n. 109/2014[5], di proroga della partecipazione italiana e missioni internazionali, volta ad autorizzare per l'anno 2014, la spesa di euro 1.965.886 per il trasporto degli aiuti umanitari a favore della popolazione civile irachena effettuato nel mese di agosto, nonché per il trasporto del materiale di armamento ceduto, a titolo gratuito, alla Repubblica dell'Iraq.

In sede di approvazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge, il Governo accoglieva il 17 settembre scorso un ordine del giorno, d’iniziativa dell’on. Gianluca Rizzo (9/2598-A-R/32), riformulato nel corso della seduta, che impegna il Governo a non assumere ulteriori iniziative d'invio in Iraq di armi e militari oltre a quelli presenti nel decreto in esame, senza prima aver dato preventiva comunicazione alle Camere o alle Commissioni competenti che adottano le conseguenti deliberazioni.

I profili della sicurezza interna italiana davanti all’evoluzione della minaccia jihadista esplicitamente rivolta al nostro Paese sono stati oggetto di un’interrogazione a risposta immediata in Assemblea alla Camera (3-01047, Dorina Bianchi ed altri) svolta nella seduta del 24 settembre. In sede di replica il Ministro Alfano ha confermato la necessità di innalzare il livello di guardia, in considerazione sia delle dirette minacce all’Italia, sia anche dell'offensiva delle forze di cooperazione in territorio siriano suscettibile di innescare forme di reazione.

Nell’ambito di una strategia focalizzata sulla valutazione di qualsiasi segnale di pericolo, per quanto tenue, il Ministro dell’Interno ha sottolineato che può considerarsi convocato in permanenza il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, tavolo di alto coordinamento che riunisce  rappresentanti delle Forze di polizia e degli organismi informativi. In un quadro di azione europea - ha affermato Alfano – sta procedendo la proposta italiana, cui può giovare la funzione di Presidenza di turno dell’Ue, di costituire una squadra multidisciplinare di monitoraggio dei combattenti stranieri, nonché il progetto di realizzazione di una banca dati basata sul codice di protezione passeggeri (passenger name record) che metta a disposizione delle polizie le liste dei passeggeri dei voli in transito nell'area Schengen o in arrivo dai Paesi terzi.

Nella seduta dell’11 settembre 2014 presso la Commissione Difesa della Camera si è svolta l’interrogazione a risposta immediata 5-03522 d’iniziativa dell’on. Donatella Duranti sui rischi connessi alla fornitura di armi alle forze curde in Iraq. Con riferimento, in particolare, alla parte dell’interrogazione che si incentra sul rischio di “sviamento”, ossia la perdita di controllo sui destinatari della fornitura, nel testo della risposta viene precisato che, ai sensi di quanto stabilito con un apposito documento (End User Certificate), firmato dal Governo regionale curdo il 28 agosto 2014 su richiesta delle autorità italiane, i destinatari finali della fornitura sono chiaramente individuati e gli utilizzatori finali sono tenuti a non riesportare o trasferire il materiale italiano oggetto dell’operazione senza il consenso delle autorità italiane.

L’End User Certificate prevede che il materiale verificato dalla autorità irachene venga consegnato a destinatari preventivamente individuati, responsabili della distribuzione agli utilizzatori finali, rigorosamente appartenenti all’etnia curda. Le procedure avverranno sotto la supervisione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per il tramite della Rappresentanza diplomatica di Erbil. Quanto all’utilizzo per “fini istituzionali” di materiale d’armamento sequestrato, che è altra questione posta dagli interroganti, nel testo della risposta si esplicita che il necessario decreto interministeriale Giustizia-Difesa-Economia (come stabilito a suo tempo dalla legge 108/2009 e, successivamente, dall’articolo 319 del Codice dell'ordinamento militare[6]) è stato assunto il 4 settembre 2014; con tale provvedimento è stata determinata la destinazione di tali materiali ad uso istituzionale della Difesa.

Le iniziative a protezione del cantone di Kobane nel Kurdistan occidentale (a pochi chilometri dal confine con la Turchia) pesantemente attaccato dall’IS da metà settembre, e la posizione del governo di Ankara, sono stati oggetto dell’interrogazione a risposta immediata in Commissione Esteri 5-03672 d’iniziativa dell’on. Emanuele Scagliusi svolta nella seduta del 1° ottobre.

Ancora sull’assedio della città siriana di Kobane da parte dei miliziani dell'IS e sulla posizione della Turchia è intervenuta alla Camera (seduta del 10 ottobre) l’interpellanza urgente in Assemblea 2-00709 d’iniziativa dell’on. Erasmo Palazzotto. L’on. interpellante ha evidenziato, tra il resto, come l’attacco portato alla capitale – Kobane appunto - della regione autonoma del Rojava costituitasi nel Kurdistan siriano a novembre 2013 dall’unione delle tre enclavi curde di Kobane, Afrin e Cizre, dotatasi di istituzioni democratiche e di forze di difesa del popolo (YPG) e divenuta un pacifico esempio di convivenza e tolleranza di etnie e religioni diverse (curdi, arabi, turcomanni, assiri, armeni, cristiani, yazidi, musulmani), punti a distruggere il simbolo di un'alternativa possibile al modello sociale e religioso perseguito dall’IS.

In sede di replica, il rappresentante del Governo ha dato ampiamente conto della posizione della Turchia sulla strategia di contrasto all’IS, allo stato refrattaria all’opzione di intervento di terra limitato alla città di Kobane propugnato dall’opposizione parlamentare (in particolare dal CHP, il Partito repubblicano del popolo), ed ancorata al testo di una mozione approvata il 1° ottobre il cui mandato – ritenuto troppo vago - autorizza per un anno l'esercito ad intervenire oltre confine, in territorio siriano e iracheno, per fare fronte alle crescenti minacce poste dall'avanzata delle forze dell'IS e consente il transito in territorio turco di truppe straniere nonché l'utilizzo delle basi militari turche da parte della coalizione internazionale.

Il Sottosegretario ha rammentato, altresì, che la Turchia non acconsente nemmeno all’apertura del valico che porta all’enclave di Kobane che consentirebbe – come ha sottolineato anche l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, autore di un appello alla Turchia in tal senso – “ai volontari di entrare nella città con equipaggiamenti sufficienti contribuendo alle operazioni di autodifesa”.

La posizione italiana – ha affermato l’esponente dell’esecutivo – si fonda sull’auspicio che, nel pieno rispetto delle esigenze di sicurezza turche, Ankara sappia articolare il proprio apporto alla strategia della coalizione, commisurandolo alla vasta portata della minaccia di IS alla stabilità della regione mediorientale e della Turchia stessa; e del resto molti soggetti internazionali e numerosi altri Paesi cercano di convincere la Turchia a fare di più, o almeno consentire il passaggio di chi vuole andare a combattere per difendere l’enclave di Kobane, attaccata su più lati con armi pesanti (le armi dell'esercito iracheno prese a Mosul ed anche quelle dell'esercito siriano) e difesa soltanto dalle forze di protezione del popolo curdo delle YPG.

Quanto agli interventi sul piano umanitario, il rappresentante del Governo ha rammentato la tempestività dell’intervento della cooperazione italiana in risposta alla crisi umanitaria in Iraq visto l'afflusso di rifugiati siriani e, più recentemente, a causa dell'offensiva dell'IS. Rammentato che recenti stime delle Nazioni Unite quotano a oltre 1,8 milioni gli sfollati in Iraq, il sottosegretario ha sottolineato che sino ad ora sono stati erogati (dall’Italia) 500.000 euro all'OMS, 250.000 euro al PAM, 230.000 euro all'UNICEF; inoltre, parte del programma del valore di 1 milione di euro già avviato in Iraq in favore dei rifugiati siriani presenti nelle aree del Kurdistan iracheno, è stato riconvertito per realizzare attività in ambito sanitario e formativo in favore dei nuovi sfollati interni presenti nel Paese. Quanto alla regione di Kobane, le precarie condizioni di sicurezza non hanno sino ad ora consentito lo svolgimento di attività umanitarie internazionali.

Da ultimo, il 16 ottobre, presso le Commissioni congiunte Esteri e Difesa della Camera e del Senato si è svolta l’audizione del Ministro della difesa e del sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova, sugli sviluppi del quadro internazionale, con particolare riferimento all'Iraq. In apertura di seduta il Presidente della Commissione Difesa, on. Elio Vito, ha fatto riferimento alla forte preoccupazione per l’attuale quadro geopolitico internazionale emersa nella recente riunione del Consiglio supremo di difesa, con particolare riferimento ai rischi rilevanti per l’Europa e per l’Italia connessi alla pressione militare dell’IS in Siria e in Iraq e correlati anche alla forza attrattiva che il movimento sembra poter esercitare su altre formazioni jihadiste e dell’estremismo islamico in aree non contigue ai territori controllati. In tale situazione – ha sottolineato Vito - il Consiglio supremo di difesa ha rilevato che è necessario che l’Italia, insieme a Nazioni Unite e Unione europea, consideri con estrema attenzione gli eventi in corso ed eserciti ogni possibile sforzo per prevenire, in particolare, l’ulteriore destabilizzazione della Libia; inoltre, la gravità della  situazione evidenzia l’urgenza e l’importanza, pur nei limiti della ridotta disponibilità di risorse, di una rapida trasformazione delle nostre Forze armate e dell’organizzazione europea della sicurezza.

Il Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, dopo aver richiamato origine ed ambizioni espansionistiche dell’IS, definito violentissimo attore politico e militare, ed averne evidenziato il forte appeal ideologico ed economico che fa quotare a 30 mila uomini - nell’ipotesi più pessimistica -  la consistenza del contingente di combattenti, ha rammentato le molteplici iniziative, di carattere sia politico sia militare, poste in campo dalla comunità internazionale per contrastare i fenomeno, a partire dalla collocazione dell’IS nelle black lists delle organizzazioni terroristiche da parte di Paesi musulmani quali la Turchia (2013) e, recentemente, l’Arabia saudita.

Pinotti ha affermato che sessanta tra Paesi ed organizzazioni internazionali cooperano in una coalizione di fatto adottando misure di contrasto, e fra questi almeno dieci stanno concretamente operando con azioni militari. Quanto al nostro Paese, esso sta contribuendo agli sforzi della comunità internazionale con una molteplicità di misure, incluse quelle di carattere militare; a settembre sono state consegnate alle forze curde, ovviamente con il pieno appoggio del Governo iracheno, mitragliatrici in dotazione all’Esercito italiano giudicate cedibili in considerazione dei surplus esistenti nei nostri depositi.

È poi iniziata la fase di confezionamento e trasporto di munizionamento di modello ex sovietico conservato nel deposito di Guardia del Moro, dopo che il materiale era stato confiscato dall’autorità giudiziaria nel 1994. Si tratta – ha precisato Pinotti - di munizionamento per mitragliatrice pesante, nonché di munizioni per sistemi controcarro dei tipi in uso da parte delle forze curde. Il trasporto verso la città di Erbil, nella regione del Kurdistan. La necessità di proseguire nel contributo italiano nelle operazioni contro l’IS vede il nostro Paese orientato verso la fornitura di altro materiale giudicato cedibile nonché verso l’invio di un velivolo KC-767 per il rifornimento in volo degli assetti aerei della coalizione, di due velivoli a pilotaggio remoto tipo Predator per la sorveglianza della regione e di una cellula di ufficiali per le attività di pianificazione. Inoltre si prevede l’invio di personale per l’addestramento e la formazione delle forze che contrastano l’IS, come espressamente richiesto dalle autorità curde: si tratta di un totale di circa duecento militari, inclusi gli elementi di supporto, i quali andrebbero a operare nei luoghi concordati con le autorità irachene e i Paesi della coalizione, presumibilmente ad Erbil.

Il Ministro ha fatto cenno anche all’arrivo in Italia di alcuni militari curdi che verranno addestrati all’uso dei sistemi d’arma che hanno ricevuto in cessione. Inoltre – ha aggiunto Pinotti - sarà possibile inserire successivamente in teatro circa ottanta unità di personale con funzione di consigliere per gli alti comandi delle forze irachene, che porta il totale del personale a 280 unità. Infine, è in fase di pianificazione l’invio di altri assetti pilotati per la ricognizione aerea. Come emerso nel corso del dibattito, poiché l’invio di ulteriori contributi italiani risponde alle necessità riscontrabili in teatro, tale invio rientra nell’ambito del mandato conferito dalle risoluzioni parlamentari del 20 agosto, e, pertanto, non necessita di un ulteriore passaggio “politico” in Parlamento.

Il sottosegretario Della Vedova ha rammentato la scelta di un approccio sin dall’inizio multidimensionale alla questione del contrasto all’IS comprensivo di misure non solo militari, ma anche di sostegno politico, di comunicazione pubblica, di contrasto ai flussi di combattenti stranieri e al loro finanziamento, di coordinamento informativo, umanitarie, di cooperazione nel settore educativo, di promozione delle opportunità di sviluppo economico e sociale; fondato sull’assunzione di concrete responsabilità da parte dei Paesi della regione; pragmatico nel tenere conto delle specificità e delle diverse realtà sul terreno; informato al concetto di unicità del teatro siro-iracheno, viste le caratteristiche di mobilità e rapida capacità di adattamento dimostrate dallo Stato islamico.

Tutto ciò al fine – ha sottolineato il Sottosegretario – non solo di contrastare direttamente, ma anche di ricostituire stabilmente equilibri politico-sociali realistici e sostenibili nei singoli Paesi della regione. Sotto il profilo dell’assistenza umanitaria alla drammatica emergenza che si estende dall’Iraq occidentale alla Siria Nord-orientale, Dalla Vedova ha rammentato che attraverso la cooperazione italiana sono state avviate operazioni nel Kurdistan iracheno per un totale di oltre 2 milioni di euro, di cui 980,000 per attività delle organizzazioni internazionali già presenti in loco (l’OMS, il PAM e l’Unicef) nei settori della salute e sicurezza alimentare, acqua e protezione dei minori.

 

 


Rapporti tra Unione europea ed Iraq
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

L'UE sostiene la transizione dell'Iraq verso la democrazia e la sua integrazione all'interno della regione e nella comunità internazionale.

Nel maggio del 2012, la UE e l'Iraq hanno firmato un accordo di partenariato e di cooperazione, che fornisce un quadro per promuovere il dialogo e la cooperazione sui seguenti temi: questioni politiche e sociali; diritti umani; lo stato di diritto; migrazione; ambiente; commercio; cultura; energia; trasporto e sicurezza.

Sostegno dell’UE all’aiuto umanitario

La situazione umanitaria in Iraq si è deteriorata rapidamente negli ultimi mesi con l'escalation del conflitto armato. Le Nazioni Unite stimano che almeno 23 milioni di persone sono colpite dal conflitto, con 5,2 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria. Tra questi, 1,8 milioni di sfollati dal gennaio 2014 e 3,6 milioni di persone che vivono in zone di conflitto attive, di cui almeno 2,2 milioni sono in immediato bisogno di aiuti umanitari .

Le difficoltà di accesso in molte parti dell'Iraq occidentale e centrale limitano la capacità di fornire assistenza umanitaria..

Il 22 ottobre scorso la Commissione europea ha deciso lo stanziamento supplementare di 3 milioni di euro per aiuti umanitari destinati a sostenere le popolazioni civili per l’arrivo dell’inverno, portando il totale degli stanziamenti per il 2014 a circa 20 milioni di euro.

 Il sostegno umanitario totale della Commissione europea in Iraq dal 2007 ammonta a quasi 150 milioni di euro, compreso il sostegno ai profughi siriani in Iraq. L'assistenza viene prestata attraverso le agenzie delle Nazioni Unite, le organizzazioni internazionali e ONG internazionali.

Recenti prese di posizione del Consiglio dell’UE

Il Consiglio dell’UE nelle conclusioni sulla situazione in Iraq adottate il 15 agosto 2014 ha:

·        ribadito il suo impegno a favore dell'unità, sovranità e integrità territoriale dell'Iraq ed espresso preoccupazione per il grave deterioramento delle condizioni di sicurezza e della situazione umanitaria nel paese, soprattutto nelle regioni settentrionali in conseguenza degli attacchi dell'ISIL e di altri gruppi armati associati;

·        condannato le violazioni dei diritti umani fondamentali, in particolare nei confronti delle minoranze religiose o dei gruppi più vulnerabili;

·        apprezzato la decisione di singoli Stati membri di rispondere positivamente alla richiesta delle autorità regionali curde riguardo alla fornitura urgente di materiale militare;

·        accolto con favore la nomina di Haider Al Abadi a primo ministro designato e espresso fiducia per la costituzione di un nuovo governo inclusivo e in grado di rispondere alle esigenze di tutti i cittadini iracheni. Il Consiglio invita tutti i leader politici, religiosi e tribali, in particolare delle popolazioni sunnita e curda, a promuovere la fiducia nelle istituzioni democratiche;

·        espresso sostegno alla missione di assistenza dell'ONU per l'Iraq (UNAMI) e invitato i paesi confinanti dell'Iraq e gli altri partner a rafforzare la cooperazione.

Il Consiglio dell’UE ha adotta da ultimo, il 20 ottobre scorso, delle  conclusioni sulla crisi dovuta all'ISIL/Da'esh in Siria e in Iraq a, nelle quali:

·        sostiene gli sforzi profusi da oltre sessanta Stati per contrastare la minaccia posta dall'ISIL/Da'esh, compresa l'azione militare nel rispetto del diritto internazionale. Osserva che in questo contesto l'azione militare è necessaria ma non sufficiente e rientra in un più ampio sforzo che comprende misure nei settori politico/diplomatico, della lotta al terrorismo e al finanziamento del terrorismo, nonché nei settori umanitario e della comunicazione. L'UE invita tutti i partner a attuare le pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in particolare la 2170 e la 2178, e a incrementare gli sforzi a livello nazionale per impedire all'ISIL/Da'esh di beneficiare dei profitti derivanti dalle vendite illegali di petrolio e altri beni;

·        ritiene che in conseguenza delle sue politiche e delle sue azioni, il regime di Assad non può essere un partner nella lotta contro l'ISIL/Da'esh;

·        ribadisce il suo fermo impegno a contrastare il grave problema rappresentato dai combattenti stranieri entrati nelle file dell'ISIL/Da'esh e di altri gruppi terroristici;

·        è determinato a prendere provvedimenti immediati e a lungo termine per impedire all'ISIL/Da'esh di beneficiare delle sue fonti di finanziamento e approvvigionamento, nonché per potenziare la sua cooperazione con i paesi confinanti della Siria e dell'Iraq in materia di sicurezza e di lotta al terrorismo;

·        accoglie con favore la formazione del nuovo governo iracheno l'8 settembre e accoglie con favore il fatto che i ministri curdi abbiano assunto le proprie cariche governative. Invita il governo iracheno e il governo della regione del Kurdistan a trovare una soluzione duratura alle loro divergenze;

·        ribadisce il suo fermo impegno a favore dell'unità, della sovranità e dell'integrità territoriale dell'Iraq. È soddisfatto degli sforzi della coalizione, tra cui la decisione dei singoli Stati membri di fornire materiale militare e consulenza all'Iraq per arginare la capacità dell'ISIL/Da'esh di colpire la popolazione civile. Chiede al governo di avvicinarsi a tutte le componenti della società irachena e di perseguire, senza indugio, un processo di riconciliazione nazionale. Sollecita tutte le componenti della società irachena a unirsi nella lotta contro l'ISIL/Da'esh e nel sostegno al processo di riconciliazione nazionale;

·        dichiara la sua disponibilità a sostenere il Governo dell’Iraq nello sviluppo delle riforme necessarie in un ampio spettro di settori, tra cui il settore della sicurezza e l'ordinamento giudiziario;

·        chiede all'Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE di sviluppare una strategia regionale globale per la Siria e l'Iraq, nonché per far fronte alla minaccia dell'ISIL/Da'esh.

Risoluzioni del Parlamento europeo

Nella risoluzione sulla situazione in Iraq, approvata il 14 luglio 2014 il Parlamento europeo:

·        esprime profonda preoccupazione per il rapido aggravarsi della situazione della sicurezza in Iraq e condanna fermamente gli attacchi perpetrati dall'IS contro lo Stato e i cittadini iracheni;

·        sostiene le autorità irachene nella lotta contro il terrorismo dell'IS, ma sottolinea che la risposta alla questione della sicurezza deve essere combinata con una soluzione politica sostenibile che coinvolga tutte le componenti della società irachena;

·        sottolinea inoltre che, nella lotta al terrorismo, occorre rispettare i diritti umani e il diritto umanitario internazionale e sollecita le forze di sicurezza irachene ad agire in linea con il diritto internazionale e nazionale;

·        respinge senza riserve e considera illegittimo l'annuncio della leadership dell'IS, che dichiara di aver stabilito un califfato nelle zone attualmente sotto il suo controllo, e rifiuta l'idea di eventuali modifiche, unilaterali e imposte con la forza, di confini riconosciuti a livello internazionale;

·        sottolinea che l'IS è soggetto all'embargo sugli armamenti e al congelamento dei beni imposto dalle risoluzioni 1267 (1999) e 1989 (2011) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e pone in rilievo l'importanza di una rapida ed efficace attuazione delle misure in questione;

·        invita tutte le parti a contribuire agli sforzi volti a promuovere la sicurezza e la stabilità in Iraq e in particolare a incoraggiare il governo iracheno ad avviare un dialogo con la minoranza sunnita e a riorganizzare l'esercito in modo inclusivo, non settario e imparziale;

·        invita la comunità internazionale, in particolare l'UE, ad agevolare un dialogo regionale sui problemi del Medio Oriente e ad associarvi tutti gli attori più rilevanti, in particolare l'Iran e l'Arabia Saudita;

·        sottolinea che l'UE dovrebbe sviluppare un approccio strategico globale per la regione e osserva, in particolare, che l'Iran, l'Arabia Saudita e gli altri Stati del Golfo, alla luce del loro ruolo fondamentale, dovrebbero partecipare agli sforzi di allentamento delle tensioni in Siria e in Iraq;

·        prende atto dell'annuncio del governo regionale curdo in merito all'organizzazione di un referendum sull'indipendenza; fa tuttavia appello al parlamento e al presidente del Kurdistan iracheno, Massoud Barzani, affinché sostengano un processo inclusivo nel rispetto dei diritti delle minoranze non curde che vivono nella regione.

 

Nella risoluzione sulla situazione in Iraq e in Siria e offensiva dell'IS, del 18 settembre 2014, il Parlamento europeo:

·        sottolinea che gli attacchi sistematici contro i civili a causa della loro appartenenza etnica o politica, della loro religione, del loro credo o del loro genere costituiscono un crimine contro l'umanità;

·        esprime la sua solidarietà con i membri delle comunità cristiane perseguitate, nonché con le altre minoranze religiose oggetto di persecuzioni;

·        respinge senza riserve e considera illegittimo l'annuncio della leadership dell'IS, che dichiara di aver stabilito un califfato nelle zone attualmente sotto il suo controllo e sottolinea che la creazione e l'espansione del «califfato islamico», nonché le attività di altri gruppi estremisti in Iraq e in Siria, costituiscono una minaccia diretta alla sicurezza dei paesi europei;

·        invita il Consiglio dell’UE a prendere in considerazione un utilizzo più efficace delle attuali misure restrittive, in particolare per impedire che l'IS tragga vantaggio dalla vendita illecita di petrolio o dalla vendita di altre risorse sui mercati internazionali;

·        invita l'UE a imporre sanzioni a tutti i soggetti (governi e imprese pubbliche o private) coinvolti nel trasporto, nella trasformazione, nella raffinazione e nella commercializzazione del petrolio estratto in zone controllate dall'IS, unitamente a rigorosi controlli dei flussi finanziari;

·        si compiace dell'invito degli Stati Uniti a formare una coalizione internazionale contro l'IS;

·        accoglie con favore la decisione presa dalla Lega araba il 7 settembre 2014 di adottare le misure necessarie per affrontare l'IS e collaborare nel contesto degli sforzi internazionali, regionali e nazionali ed invita la Lega araba a discutere in merito alla possibilità di modificare la Convenzione araba per la repressione del terrorismo del 1998 per contrastare il terrorismo globale;

·        invita gli Stati membri dell'UE ad assistere le autorità irachene e locali con tutti i mezzi possibili, ivi compresi adeguati aiuti militari, affinché respingano l'espansione terroristica dell'IS;

·        si compiace della decisione di singoli Stati membri di rispondere positivamente alla richiesta delle autorità regionali curde riguardo alla fornitura urgente di materiale militare ed invita gli Stati membri che stanno fornendo materiale militare alle autorità regionali curde a coordinare i relativi sforzi e a mettere in atto misure per impedire una diffusione incontrollata e l'uso di materiale militare contro i civili;

·        invita la Turchia a impegnarsi in maniera chiara e inequivocabile per contrastare la minaccia alla sicurezza comune posta dall'IS;

·        invita l'UE ad agevolare un dialogo regionale sui problemi del Medio Oriente e ad includervi in particolare l'Iran e l'Arabia Saudita;

·        invita la comunità internazionale a mobilitarsi in misura maggiore, a mostrarsi più disponibile nella condivisione degli oneri e ad apportare un sostegno finanziario diretto ai paesi di accoglienza;

·        sottolinea che, nel lungo termine, solo una soluzione politica duratura e inclusiva che comporti una transizione pacifica verso un governo realmente rappresentativo in Siria contribuirebbe a neutralizzare la minaccia dell'IS e di altre organizzazioni estremiste;

·        ribadisce la sua preoccupazione per il fatto che migliaia di combattenti stranieri transfrontalieri, tra cui cittadini degli Stati membri, si siano uniti all'insurrezione dell'IS; invita gli Stati membri ad adottare misure adeguate per impedire ai combattenti di lasciare il loro territorio nonché a sviluppare una strategia comune per i servizi di sicurezza e le agenzie dell'UE per quanto concerne il monitoraggio e il controllo dei jihadisti.

La missione EUJUST LEX-Iraq

Il 31 dicembre 2013 si è conclusa la missione integrata dell'UE sullo stato di diritto per l'Iraq (EUJUST LEX-Iraq) che era finalizzata alla formazione, guida, monitoraggio e consulenza ai funzionari della giustizia penale in Iraq. Tra l'inizio della sua fase operativa nel 2005 e la sua conclusione, la missione ha intrapreso attività di sviluppo delle capacità per 7000 funzionari, contribuendo a rafforzare lo stato di diritto e a promuovere una cultura del rispetto dei diritti umani in Iraq.

 

 

 




[1] Prevede un referendum popolare, non ancora svoltosi,  per definire lo status territoriale di Kirkuk e dei territori contesi. L’articolo 140 prevede:

First: The executive authority shall undertake the necessary steps to complete the implementation of the requirements of all subparagraphs of Article 58 of the Transitional Administrative Law.

Second: The responsibility placed upon the executive branch of the Iraqi Transitional Government stipulated in Article 58 of the Transitional Administrative Law shall extend and continue to the executive authority elected in accordance with this Constitution, provided that it accomplishes completely (normalization and census and concludes with a referendum in Kirkuk and other disputed territories to determine the will of their citizens), by a date not to exceed the 31st of December 2007.

 

 

 

[2]     D.L. 114/2013 (Proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione) convertito, con modificazioni dalla legge 9 dicembre 2013,n. 135.

[3]     Anche le due risoluzioni non approvate sono state votate per parti separate, i particolare intera parte motiva e singoli impegni della parte dispositiva,  e con votazioni per appello nominale.

 

[5]     Decreto-legge 1° agosto 2014, n. 109, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché' disposizioni per il rinnovo dei comitati degli italiani all'estero, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° ottobre 2014, n. 141, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché disposizioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero.

[6]     L’articolo 319 del D. lgs. 15 marzo 2010, n. 66 ai primi due periodi prevede che le armi, le munizioni, gli esplosivi e gli altri materiali di interesse militare sequestrati e acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo di confisca dell’autorità giudiziaria possono essere assegnati al Ministero della difesa per finalità istituzionali, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri della difesa e dell’economia e delle finanze. Si provvede con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, nel caso in cui la confisca è stata disposta dall’autorità giudiziaria militare.

SERVIZIO STUDI

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Missione ad Erbil della III Commissione Affari esteri della Camera dei deputati

(3-4 novembre 2014)

 

 

 

 

 

 

n. 144

 

 

 

 

30 ottobre 2014

 


Servizio responsabile:

 

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

Ha collaborato:

 

Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 / 066760-2146 – * cdrue@camera.it

 

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: ES0295.docx

 


INDICE

La Regione autonoma del Kurdistan iracheno (a cura del Ministero degli affari esteri  e della cooperazione internazionale) 3

Gli interventi anti-ISIL in Iraq e Siria (a cura del Ministero degli affari esteri  e della cooperazione internazionale) 35

Recenti sviluppi del quadro politico iracheno (a cura del Ministero degli affari esteri  e della cooperazione internazionale) 39

Rapporti tra Turchia e Kurdistan iracheno (a cura del Ministero degli affari esteri  e della cooperazione internazionale) 41

L’attività parlamentare in materia (a cura del Servizio Studi della Camera dei deputati) 43

Rapporti tra Unione europea ed Iraq (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea) 55

Profili biografici

§     Mr. Yousif Mohammed Sadiq Speaker of Kurdistan Parliament-Iraq  63

§     Qubad Talabani Vice Primo ministro del Governo regionale del kurdistan  65

Pubblicistica

§     ’Stati Uniti d’America: I dubbi sugli attacchi ‘intelligenti’ degli Stati Uniti’, in: www.lookoutnews.it, 2 ottobre 2014  69

§     ’Turchia: La Turchia in guerra contro lo Stato islamico’, in: www.lookoutnews.it, 3 ottobre 2014  69

§     G. Cuscito ‘Le debolezze della coalizione contro lo Stato Islamico in Iraq e Siria’, in: Limes, 2 ottobre 2014  69

§     ’Turchia: Gli jihadisti in cammino verso l’Europa’, in: www.lookoutnews.it, 6 ottobre 2014  69

§     G. Cucchi ‘Il campanello d’allarme – Grazie, Califfato! Grazie, Califfo!’, in: www.affarinternazionali.it, 6 ottobre 2014  69

§     V. Camporini ‘Perché l’intervento contro ISIS non sarà sufficiente’, in: www.aspeninstitute.it, 7 ottobre 2014  69

§     V. Giannotta ‘L’ISIS e la possibile svolta della politica estera turca’, in: www.aspeninstitute.it, 7 ottobre 2014  69

§     R. Menotti ‘I raid aerei contro ISIS: il volto soft dell’hard power’, in: www.aspeninstitute.it, 7 ottobre 2014  69

§     A. M. Valli ‘Vaticano e Iran uniti per proteggere i cristiani’, in: www.affarinternazionali.it, 7 ottobre 2014  69

§     U. Tramballi ‘Le periferie della grande guerra contro il califfato’, in: www.affarinternazionali.it, 7 ottobre 2014  69

§     M. Arnaboldi ‘Sharia4: un ponte tra Europa e Levante’, in: Commentary ISPI, 8 ottobre 2014  69

§     ’Siria: Kobane sotto assedio: le falle della strategia americana’, in: www.lookoutnews.it, 9 ottobre 2014  69

§     G. Cucchi ‘E se Lawrence d’Arabia avesse avuto ragione?’, in: Limes, 9 ottobre 2014  69

§     F. Ventura ‘Lo Stato Islamico minaccia l’equilibrio idropolitico in Siria e Iraq’, in: Limes, 9 ottobre 2014  69

§     E. Harris ‘ISIS and Social Media’, in: www.cesi-italia.org., 9 ottobre 2014  69

§     M. Guidi ‘La Turchia osserva il massacro dei curdi di Kobane’, in: www.affarinternazionali.it, 9 ottobre 2014  69

§     ’Siria: L’intervento di terra americano in Siria e Iraq? Poco credibile’, in: www.lookoutnews.it, 10 ottobre 2014  69

§     L. Liimatainen ‘Lo Stato Islamico e il ricordo del primo jihad in Arabia Saudita’, in: Limes, 10 ottobre 2014  69

§     A. M. Cossiga ‘Invece di bombardare lo Stato Islamico, dovremmo dialogarci’, in: Limes, 13 ottobre 2014  69

§     N. Ronzitti ‘Casini e Cicchitto, l’Onu contro il Califfo – Si può intervenire anche senza le Nazioni Unite’, in: www.affarinternazionali.it, 13 ottobre 2014  69

§     ’Turchia: La Turchia combatte i curdi e aiuta lo Stato Islamico’, in: www.lookoutnews.it, 15 ottobre 2014  70

§     ’Iraq: Baghdad nel mirino dello Stato Islamico, in: www.lookoutnews.it, 16 ottobre 2014  70

§     ’Siria: I caccia dello Stato Islamico’, in: www.lookoutnews.it, 17 ottobre 2014  70

§     F. Ventura ‘La guerra all’Is è l’ultima priorità per la Turchia in Siria’, in: Limes, 17 ottobre 2014  70

§     ’Siria: La prova di forza di Kobane’, in: www.lookoutnews.it, 20 ottobre 2014  70

§     A. M. Cossiga ‘Ribadisco: prima di distruggere lo Stato Islamico, parliamoci’, in: Limes, 20 ottobre 2014  70

§     ‘Turchia: Chi sono i curdi’, in: www.lookoutnews.it, 23 ottobre 2014  70

§     ’Siria: La storia si ripete: le armi degli USA in mano al nemico’, in: www.lookoutnews.it, 23 ottobre 2014  70

§     F. Arpino ‘Fare la guerra al Califfo, fingendo di non farla all’Islam’, in: www.affarinternazionali.it, 23 ottobre 2014  70

§     G. Cuscito ‘Nella lotta all’Is Kobane è un’emergenza, l’Anbar è la priorità’, in: Limes, 17 ottobre 2014  70

§     R. Giaconi ‘I due fronti australiani della guerra allo stato Islamico’, in: Limes, 29 ottobre 2014  70

§     A. Plebani ‘L’Iraq tra le ombre del califfato e le speranze del nuovo esecutivo Al-Abadi’, paper presentato al Seminario della Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della NATO sul tema Isis: conoscere una minaccia, Roma, 30 ottobre 2014  70

Documentazione allegata

§     OCHA (UNITED NATIONS OFFICE FOR THE COORDINATION OF HUMANITARIAN AFFAIRS) ‘Iraq CRISIS’ Situation Report No. 17 (18 October – 24 October 2014) 73

 

 

 


Schede di lettura

 


SIWEB

L’Offensiva dello “Stato islamico” in Iraq ed in Siria:
cronologia degli ultimi avvenimenti
(a cura del Servizio Studi
della Camera dei deputati)

 

 

Giugno 2014

Il 5 giugno la formazione jihadista dello “Stato islamico” (IS) forniva una prima assoluta dimostrazione di forza sullo scenario iracheno – mentre già da tempo si era invece affermata nella caotica situazione dei combattimenti in territorio siriano -  conquistando importanti posizioni, e per di più con il controllo di una regione in cui si concentrano le scarse risorse petrolifere di Damasco - con l’occupazione per alcune ore di diversi quartieri di una delle città simbolo degli sciiti iracheni, Samarra, che i miliziani dell’IS abbandonavano solo dopo molte ore di scontri con le forze di sicurezza irachene, coadiuvate anche da elicotteri.

Intanto a Falluja, da gennaio nelle mani dell’IS, oltre alle centinaia di vittime dei bombardamenti governativi che inutilmente hanno tentato di riprendere la città, la situazione umanitaria della popolazione si rivelava agli occhi di una delegazione del Comitato internazionale della Croce rossa assolutamente disastrosa, con grave penuria di cibo, acqua e materiale sanitario, e con l’unico ospedale gravemente danneggiato.

Il 7 giugno una serie di attentati per mezzo di autobomba devastava alcuni quartieri periferici sciiti di Baghdad, provocando almeno 60 morti, nelle stesse ore in cui nel campus universitario di Ramadi, ad appena 100 km dalla capitale, i miliziani jihadisti prendevano in ostaggio studenti e impiegati. Intanto a Mosul una sessantina di morti erano il risultato di scontri tra forze di sicurezza e miliziani qaidisti, dopo che già il giorno precedente vi erano state oltre 30 vittime. Le azioni dell’IS cominciavano a mostrare un’ampiezza allarmante, ben al di fuori della provincia di al-Anbar.

Il 10 giugno questi timori erano pienamente confermati, con la caduta in mano all’ IS di gran parte della provincia settentrionale di Ninive, e soprattutto della sua capitale Mosul, seconda città del paese, posta al centro della regione petrolifera del nord dell’Iraq. Nella circostanza erano confermate le paure sulla tenuta dell’esercito iracheno, che perlopiù si limitava a ripiegare dalle proprie posizioni, mentre i miliziani jihadisti dilagavano anche in parte nelle due province limitrofe di Kirkuk e Salahuddin – in quei giorni centinaia di soldati iracheni venivano decapitati dai jihadisti, spargendo il terrore nelle popolazioni limitrofe e provocando sdegno in tutto il mondo.

Nei giorni successivi emergeva come le divisioni tra sciiti e sunniti avessero minato le forze armate di Baghdad, oltretutto non addestrate ad azioni antiguerriglia, nonostante gli ingenti acquisti di armamenti sofisticati degli ultimi anni. A fronte di questi sviluppi il governo di Baghdad reagiva con un appello per distribuire armi ed equipaggiamenti militari ai volontari intenzionati a combattere contro i miliziani dell’IS e contro il loro capo al-Baghdadi, conosciuto anche come Abu Dua, dal 2011 al vertice dell’organizzazione, con l’obiettivo di dar vita a un califfato che raggruppi le regioni settentrionali dell’Iraq e della Siria, cancellando gli ormai secolari confini tracciati dalle potenze coloniali europee.

L’11 giugno l’avanzata dell’IS appariva inarrestabile, con la conquista di Tikrit, ex roccaforte di Saddam Hussein e principale città della provincia di Salahuddin. La strategia dell’IS cominciava a delinearsi, con il chiaro obiettivo di un controllo delle risorse petrolifere dell’Iraq settentrionale, da conseguire con l’accerchiamento della città di Kirkuk, avendo conseguito nel frattempo il controllo della più grande raffineria di petrolio dell’Iraq e di una centrale elettrica di grande importanza regionale - le mosse dell’IS sullo scenario iracheno vanno collegate a quanto già conseguito in territorio siriano, dove le zone conquistate sono anch’esse le sole ricche di petrolio del paese.

L’avanzata dell’IS, tuttavia, era destinata fatalmente a scontrarsi con le ambizioni dei curdo-iracheni, che, nonostante forti contrasti con Baghdad, già da tempo avevano iniziato ad esportare autonomamente il petrolio del nord, e vedevano ora in pericolo la posizione di forza conquistata dopo la caduta di Saddam Hussein. In effettiil 12 giugno le truppe curde dei peshmerga assumevano il controllo di Kirkuk, dopo lunghi giorni in cui erano rimaste attestate sulle proprie posizioni, attendendo un’intesa con il governo di Baghdad.

Al quadro complessivo va aggiunta anche la catastrofe umanitaria, con oltre mezzo milione di iracheni costretti ad abbandonare le proprie case - da sommare ai quasi 300.000 rifugiati in Iraq in fuga dalla guerra civile siriana-, di fronte alla violenza fanatica dell’IS, che dava inizio alla distruzione e all’incendio di chiese e conventi cristiani. Anche la Turchia si trovava involontariamente coinvolta, quando una cinquantina di propri diplomatici venivano presi in ostaggio dall’IS, circostanza particolarmente imbarazzante per Ankara, visto lo scoperto appoggio prestato agli elementi jihadisti siriani in lotta contro il regime di Assad, ma che non aveva potuto prevedere l’apparire sulla scena di un elemento come l’IS, relativamente tollerato dal regime di Assad in quanto già da tempo impegnato in una dura lotta contro gli elementi jihadisti più legati ad al-Qaida.

Il precipitare della situazione induceva il 13 giugno, nel corso delle consuete preghiere del venerdì, il Grande Ayatollah dell’Iraq al-Sistani a richiamare i fedeli alla difesa della capitale contro l’avanzata dei jihadisti sunniti, nelle stesse ore in cui si aveva notizia dell’ingresso in Iraq di alcune centinaia di volontari provenienti dalle file dei pasdaran iraniani. La gravità della situazione induceva anche il presidente degli Stati Uniti Obama ad una presa di posizione in diretta televisiva, durante la quale prometteva una decisione nel giro di pochi giorni sugli aiuti al governo iracheno per respingere l’IS: il presidente Obama precisava anche che gli USA non si sarebbero fatti coinvolgere nel nuovo dramma iracheno senza un piano di cooperazione tra le diverse parti del paese, e in ogni caso Obama escludeva categoricamente l’invio di truppe di terra.

Le preoccupazioni di Teheran per lo sviluppo degli eventi sullo scenario iracheno erano testimoniate il 14 giugno dalle dichiarazioni del presidente Rohani, che si diceva pronto a intervenire, mentre cresceva l’avanguardia di pasdaran iraniani dislocati in territorio iracheno. Rohani si spingeva a immaginare una possibile collaborazione contro l’IS tra Iran e Stati Uniti, ma solo dopo aver constatato l’effettivo impegno di Washington sulla questione – Washington che dal canto suo rendeva noto di aver disposto lo spostamento nel Golfo Persico di una squadra navale comprendente la portaerei HW Bush.

Nei giorni successivi la battaglia nel nord dell’Iraq si concentrava prevalentemente intorno alle infrastrutture energetiche, tanto che diverse compagnie straniere del petrolio preparavano l’evacuazione del proprio personale: i combattimenti si accanivano particolarmente attorno alla più grande raffineria del paese, che ciascuna delle parti rivendicava di aver posto sotto il proprio controllo.

Frattanto il governo iracheno, per bocca del ministro degli esteri Zebari, rendeva noto di aver richiesto ufficialmente l’intervento aereo americano contro i miliziani dell’IS, che intanto procedevano al rapimento di 40 operai indiani impiegati nella zona. Il presidente iraniano Rohani tornava a far sentire la propria voce a difesa dei luoghi sacri degli imam sciiti in territorio iracheno, che l’Iran sarebbe disposto a proteggere in tutti i modi, anche con l’invio di numerosi volontari già pronti a recarsi in Iraq.

Gli Stati Uniti precisavano i contorni del proprio impegno dicendosi pronti a inviare a Baghdad fino a 300 consiglieri militari e a compiere azioni mirate contro i miliziani dell’IS, pur continuando ad escludere in ogni modo l’invio di truppe di terra. Più rilevante della prospettiva di impegno militare appariva nel contempo lo sforzo politico della Casa Bianca, che faceva sempre meno per nascondere l’ostilità alla formazione di un governo nuovamente presieduto da Nuri al-Maliki- ormai percepito come troppo scopertamente legato all’Iran e agli interessi confessionali sciiti, e inviso in particolar modo all’Arabia Saudita e alla Turchia, sul cui impegno invece gli Stati Uniti contano in modo particolare per una soluzione della complessa questione posta dall’IS.

Tra l’altro, proprio nel maturare dell’ostilità contro al-Maliki si infrangevano le possibilità di un’effettiva collaborazione di Washington con Teheran, come evidenziato da un aspro intervento della Guida Suprema iraniana Ali Khamenei – non seguita peraltro su questo terreno dal Grande Ayatollah iracheno al-Sistani, che il 20 giugno lanciava un appello per cacciare i ribelli e formare un governo efficace che evitasse gli errori del passato, con un’implicita ma pesantissima critica all’operato di al-Maliki. In questo difficile contesto il segretario di Stato americano John Kerry il 23 giugno si recava a Baghdad per far presente la posizione americana, favorevole alla formazione di un governo in cui tutte le componenti del paese fossero rappresentate: frattanto le truppe dell’IS assumevano il controllo del confine iracheno con la Giordania.

Il 28 giugno i combattimenti proseguivano in direzioni opposte: mentre infatti le truppe fedeli ad al-Maliki erano impegnate in una controffensiva per la riconquista di Tikrit, i miliziani dell’IS si spingevano fino all’estrema periferia di Baghdad, e nei combattimenti sarebbero morti una ventina di soldati governativi. Il luogo dello scontro, a una cinquantina di km da Baghdad, dista solo 20 km dalla città santa di Karbala, residenza della maggiore autorità religiosa sciita del Medio Oriente, ovvero il Grande Ayatollah al-Sistani.

Il 29 giugno si aveva da parte dell’IS la proclamazione della nascita di un califfato nei territori conquistati in Iraq e in Siria: l’IS annunciava altresì di aver cambiato il proprio nome semplicemente in quello di Stato islamico (IS). Il gruppo innalzava il proprio leader Abu Bakr al-Baghdadi al rango di califfo, e quindi di capo dei musulmani in tutto il mondo. Naturalmente all’atto di nascita del califfato non era attribuita alcuna rilevanza diplomatica, per quanto si tratti di un territorio con una superficie pari a quella dell’Ungheria, attraversato dal più grande fiume mediorientale, l’Eufrate, e con numerosi valichi frontalieri verso la Turchia e la Giordania. Peraltro appare assai diverso l’assetto di governo nei territori siriano e iracheno: mentre infatti in Siria l’IS è impegnato in combattimenti contro altri gruppi jihadisti, e sembra imporre con la forza la propria supremazia alle popolazioni locali, in Iraq il movimento jihadista appare sostenuto da ampi strati della popolazione sunnita, in odio alla politica giudicata discriminatoria e filoiraniana del premier di Baghdad al-Maliki.

L’aggravarsi della situazione di sicurezza dell’Iraq induceva il 30 giugno la Casa Bianca a inviare un ulteriore contingente di duecento soldati equipaggiati per il combattimento a protezione dell’ambasciata USA e dell’aeroporto di Baghdad. Sul fronte politico, intanto, nell’imminenza della riunione del 1° luglio del nuovo parlamento uscito dalle elezioni del 30 aprile, aveva luogo una riunione dell’Alleanza nazionale, piattaforma che riunisce le principali formazioni politiche sciite, completamente disertata da curdi e sunniti, nonostante avesse in programma colloqui per la designazione del premier.

Nuove notizie di atrocità compiute dai miliziani dell’IS venivano ridimensionate dal patriarca caldeo di Baghdad, Mons. Sako, evidentemente allo scopo di non esacerbare gli animi in una situazione comunque assai difficile per la comunità cristiane da sempre residenti nei luoghi caduti sotto il controllo del “califfato”.

Un segnale importante delle preoccupazioni sulla sicurezza del paese era stata intanto fornita dalla decisione delle autorità di Baghdad di oscurare i principali social network in territorio iracheno per tre settimane, decisione annullata proprio il 30 giugno.

 

Luglio 2014

Il mese di luglio si apriva con la richiesta, da parte del presidente del Kurdistan iracheno Massoud Barzani al Parlamento della Regione autonoma, di tenere un referendum sull'indipendenza: la mossa di Barzani va inquadrata nel nuovo scenario destabilizzato dell’Iraq, rispetto al quale sembra mirare, più che ad una soluzione, ad assicurare gli interessi della minoranza curda del paese, oltretutto in prima linea contro l’assalto dell’IS.

Alla metà di luglio a Mosul la stretta imposta dall’IS – in previsione della quale già all’arrivo delle milizie jihadiste centinaia di migliaia di abitanti cristiani, curdi e turcomanni avevano precipitosamente abbandonato la città – si rivelava pienamente, con l’imposizione di rigidi precetti ispirati alla Shari’a, e con l’avvio di una vera e propria furia iconoclasta diretta contro statue, mausolei e immagini ritenuti offensivi dell’Islam, nonché contro moschee sciite e chiese cristiane. Numerosi funzionari governativi a Mosul venivano rapiti, mentre si accrescevano le pressioni nei confronti dei non sunniti.

Questa escalation culminava il 18 luglio, quando migliaia di cristiani rimasti a Mosul ne venivano cacciati a forza, e subivano rapine e ulteriori vessazioni mentre precipitosamente tentavano di raggiungere le aree controllate dai curdi.

Con il passare dei giorni si chiariva il principale criterio seguito dall’IS nella distruzione di antichi templi, ovvero il criterio di colpire maggiormente i luoghi oggetto di culto da parte di diverse confessioni, come ad esempio l’antica moschea di Giona, sita nei pressi delle rovine dell’antica città di Ninive, per tradizione il luogo di sepoltura del profeta ebraico, visitato da cristiani, ebrei e musulmani, e che i jihadisti procedevano il 25 luglio a distruggere con esplosivi, qualificandola quale luogo di apostasia proprio perché oggetto di pellegrinaggi congiunti tra fedeli di diverse religioni. Nella stessa giornata e per gli stessi motivi i miliziani distruggevano la tomba di Seth, il figlio di Adamo ed Eva dal quale secondo la Bibbia discenderebbe tutta l’umanità.

L’aggravarsi della pressione contro i cristiani aveva provocato già nei giorni precedenti un’iniziativa del patriarca caldeo di Baghdad mons. Sako, che in una lettera al Segretario generale dell’ONU aveva chiesto l’intervento del Consiglio di sicurezza per porre fine alle atrocità perpetrate contro i cristiani. Mons. Sako riscontrava il 26 luglio la vicinanza e la partecipazione del Papa in un colloquio telefonico, mentre il patriarca della Chiesa siro-ortodossa preannunciava la richiesta delle Chiese d’Oriente alle più alte autorità religiose musulmane di una condanna dei crimini compiuti contro i cristiani dai miliziani dell’IS. Effettivamente il 9 agosto, in un colloquio a Najaf con Mons. Sako, al-Sistani avrebbe condannato gli attacchi alle minoranze religiose.

 

 

 

Agosto 2014

L’inizio di agosto vedeva un’ulteriore forte accelerazione nell’espansione dell’IS, e un rapido cedimento dei peshmerga, che erano costretti ad abbandonare le proprie posizioni e a ripiegare in montagna: tra il 2 e il 3 agosto cadevano in mano alle forze jihadiste dell’IS le città di Zumar e Sinjar, nonché i campi petroliferi di AinZalah e Batma.

La città di Sinjar aveva già accolto decine di migliaia di profughi messi in fuga dall’avanzata dell’IS delle passate settimane, e all’interno di essa rendeva tutto ancor più tragico la presenza della minoranza degli Yazidi, parlanti una lingua curda e seguaci di una religione antichissima ispirata allo zoroastrismo persiano, che gli islamisti radicali considerano una religione adoratrice del diavolo. Conseguenza immediata dell’avvicinamento dell’IS a Sinjar era la fuga di migliaia di essi sulle montagne, in una condizione di totale precarietà e a rischio della vita. La gravità della situazione induceva il 4 agosto il premier iracheno al-Maliki a superare le diffidenze nei confronti dei curdi iracheni, ordinando all’aviazione di Baghdad di operare in appoggio aipeshmerga.

Il 5 agosto nel Parlamento di Baghdad una deputata della comunità degli Yazidi riferiva che 500 uomini erano stati assassinati dai jihadisti e centinaia di donne fatte prigioniere e trasferite. Nella stessa giornata il Consiglio di sicurezza dell’ONU esprimeva condanna delle azioni dell’IS, i cui attacchi sistematici contro i civili in base alla loro origine etnica, la loro religione o le loro convinzioni personali rientrano nella categoria dei crimini contro l’umanità, i cui autori divengono responsabili e perseguibili. Tuttavia, più incisiva della Dichiarazione del Consiglio di sicurezza appariva almeno potenzialmente il patto di collaborazione tra i curdi dell’Iraq, della Turchia e della Siria, che si dicevano pronti ad accantonare le annose divergenze per uno sforzo comune contro l’avanzata dei jihadisti.

Sempre il 5 agosto il viceministro degli esteri italiano Pistelli si recava a Baghdad, incontrando anche il presidente della Repubblica da poco eletto, il curdo Fouad Masum: secondo Pistelli la minaccia dell’IS è tale da coinvolgere la stabilità dell’intero Medio Oriente, e non solo quella dell’Iraq, e di fronte ad essa non è possibile restare inerti.

Dopo una notte di bombardamenti in ampie zone della piana di Ninive, l’IS provocava un nuovo gigantesco esodo di cristiani da numerosi villaggi, valutati in circa centomila, ancora una volta in fuga in condizioni disperate, come efficacemente descritto nell’appello di Mons. Sako all’agenzia Asianews del 7 agosto - nel quale l’alto prelato rilevava anche la scarsa cooperazione tra autorità curde e centrali del paese, e quindi le poche speranze di fermare l’onda di piena dell’IS in assenza di un intervento della comunità internazionale. Non a caso nella stessa giornata del 7 agosto il Papa lanciava un appello per porre fine al dramma umanitario in atto e per assistere i numerosissimi sfollati.

Frattanto l’IS si impadroniva della più grande città cristiana in Iraq, Qaraqosh, provocando decine di migliaia di altri profughi: nelle stesse ore cadeva nelle mani dei jihadisti anche la più grande diga dell’Iraq, quella sul Tigri a nord di Mosul, dalla quale dipendono le forniture idriche in gran parte del nord iracheno. Le truppe dei peshmerga non apparivano intanto in grado di opporsi validamente all’avanzata dell’IS, e in più il Kurdistan iracheno risentiva della grande massa di centinaia di migliaia di profughi ormai entrati in cerca di scampo nel suo territorio.

In questo clima il presidente degli Stati Uniti Obama autorizzava attacchi aerei mirati a protezione dei civili – per evitare un genocidio - e del personale americano nel nord dell’Iraq: i raid iniziavano l’8 agosto, poco prima delle 13 ora italiana, dopo il lancio di viveri e aiuti umanitari per i profughi nell’area di Sinjar. L’iniziativa americana veniva subito salutata con favore dalla Francia, pronta a prendervi parte. Anche dal Regno Unito giungeva sostegno all’azione statunitense, senza peraltro prevedere un proprio intervento militare, se non in termini di assistenza tecnico-militare gli Stati Uniti e aiuto umanitario per gli sfollati. L’Italia, con una dichiarazione del ministro degli esteri Federica Mogherini, condivideva prontamente la scelta americana.

Le prime ondate di attacchi contro i miliziani dell’IS sembravano assai efficaci - come sottolineato dal presidente della regione autonoma del Kurdistan barzani, che però chiedeva anche di ricevere l’armamento necessario per proseguire l’offensiva sul terreno -, e consentivano ai peshmerga il 10 agosto la riconquista di due cittadine situate in posizione strategica, mentre circa la metà degli Yazidi intrappolati da giorni sulle montagne vicine a Sirjan, circa 20.000, riuscivano a porsi in salvo. Sul fronte politico iracheno crescevano intanto le pressioni su al-Maliki per una sua rinuncia alla riconferma al la carica di premier - da ultimo il 10 agosto il ministro degli esteri francese Fabius recatosi a Baghdad, che ribadiva la necessità di un governo iracheno inclusivo di tutte le componenti del paese. Il presidente Masum, allo scopo di accelerare la formazione del nuovo esecutivo, si spingeva a minacciare lo scioglimento del parlamento se non fosse stato nominato in breve tempo un nuovo primo ministro.

Il giorno successivo, 11 agosto, il presidente Masum incaricava di dar vita al nuovo governo Haidar al-Abadi, anch’egli sciita, su indicazione della riunione dei partiti sciiti (Alleanza nazionale): a tale designazione reagiva con veemenza il premier uscente al-Maliki, definendola una violazione della Costituzione - in quanto il suo partito, lo Stato del diritto, aveva riportato la maggioranza relativa nelle elezioni del 30 aprile. Al-Maliki mobilitava alcuni suoi sostenitori, dopo che nella notte tra 10 e 11 agosto aveva esercitato forti pressioni con un ingente schieramento di esercito e polizia nel centro di Baghdad.

A tutto ciò aveva reagito l’inviato dell’ONU a Baghdad Mladenov, che diffidava le forze di sicurezza dal porre in atto interferenze del processo politico democratico, mentre gli Stati Uniti confermavano i propri orientamenti dei giorni precedenti approvando la novità politica rappresentata dall’incarico ad al-Abadi, proseguivano i raid contro i miliziani dell’IS e iniziavano la fornitura diretta di armi ai miliziani curdi. Sul piano internazionale anche la Lega araba, per bocca del suo segretario al-Arabi, condannava le violenze dell’IS come crimine contro l’umanità, mentre il portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera europea appoggiava la formazione di un nuovo esecutivo capace di affrontare la crisi in atto ripristinando l’unità nazionale.

Il 12 agosto si registravano segnali di movimento anche sul fronte dell’Unione europea, dove il capo della diplomazia francese Fabius e il suo omologo italiano Federica Mogherini richiedevano con urgenza la riunione straordinaria di unCconsiglio dei ministri degli esteri per affrontare la situazione irachena.

Intanto si riuniva il Comitato politico straordinario con la partecipazione degli ambasciatori a Bruxelles dei 28 Stati membri dell’UE, e si cominciava a intravedere la possibilità della fornitura di armi da parte degli Stati membri ai peshmerga curdi: il Comitato politico straordinario raggiungeva anche un’intesa sul rafforzamento del coordinamento dell’aiuto umanitario, affidato alla Commissione europea  in virtù del meccanismo di protezione civile di cui essa dispone per accrescere l’efficacia degli interventi in situazioni di crisi. Proprio dalla Commissione, ed in particolare dal Commissario agli aiuti umanitari Georgieva, veniva poi l’annuncio dello stanziamento di ulteriori 5 milioni di euro per la situazione umanitaria nel nord dell’Iraq.

Il 13 agosto al-Maliki proseguiva nella sua ostinata resistenza alla svolta politica rappresentata dall’incarico per il nuovo governo ad al-Abadi, presentando ricorso alla Corte federale: la sua posizione si faceva tuttavia sempre più isolata, stante l’assenso alla designazione di al-Abadi proveniente dall’Organizzazione della conferenza islamica e, soprattutto, dall’Iran e dalla Siria – ciò privava di colpo al-Maliki della sponda più importante su cui giocare. Intanto la capitale Baghdad veniva colpita da quattro autobomba, con la morte di una ventina di persone e il ferimento di una cinquantina.

Sul terreno dell’Iraq settentrionale un centinaio di marines e forze speciali americani atterravano sul territorio montuoso nei pressi di Sinjar per organizzare l’esodo di circa 30.000 civili Yazidi ancora intrappolati sul luogo: nel contempo Washington disponeva l’invio di altri 130 consiglieri militari in Iraq.

Anticipando gli sviluppi in sede europea, il presidente francese Hollande stabiliva nella stessa giornata del 13 agosto di procedere senz’altro all’invio di armi ai peshmerga curdi.

Il 14 agosto finalmente al-Maliki, dopo la notizia dell’invito a farsi da parte già da tempo pervenutogli dalla guida suprema degli sciiti iracheni,il  Grande Ayatollah al-Sistani, annunciava le proprie dimissioni e l’appoggio al nuovo premier incaricato al-Abadi. Sul terreno intanto secondo gli americani diveniva meno urgente un’operazione per evacuare i profughi Yazidi dalle montagne intorno a Sinjar, perché nel frattempo grazie ai raid aerei statunitensi era stato rotto l’assedio di cui erano sottoposti da parte dell’IS.

Il 15 agosto si svolgeva il Consiglio dei ministri degli affari esteri UE richiesto con forza da Francia e Italia, nel corso del quale era espresso sostegno agli Stati membri per la fornitura di armi ai peshmerga curdi. Il Consiglio straordinario si occupava anche dell’assistenza umanitaria alla popolazione colpita dall’IS, esprimendo apprezzamento per la rinuncia di al-Maliki, con un invito al nuovo premier incaricato a dar vita a un governo di ampia inclusione. I ministri degli esteri degli Stati UE esprimevano inoltre una forte volontà di facilitare una reazione politica regionale contro l’espansione dell’IS. Nella stessa giornata il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvava all’unanimità una risoluzione volta ad ostacolare i finanziamenti e le forniture di armi all’IS.

Alla metà di agosto si spargeva la notizia di massacri effettuati dalla formazione jihadista dell’IS anche in territorio siriano, ove dall’inizio del mese sarebbero stati massacrati circa 700 appartenenti al gruppo tribale dei Chaitat, renitente ad accettare l’autorità dell’IS.

Il 16 agosto veniva denunciato un nuovo crimine commesso dall’IS nel villaggio di Kojo, vicino a Sinjar, con l’uccisione di un’ottantina di uomini e quasi duecento donne rapite. Sul terreno dei combattimenti l’aviazione americana intensificava gli attacchi aerei sulle postazioni dell’IS a presidio della diga di Mosul, precedendo un attacco di terra dei peshmerga sullo stesso obiettivo. Intanto nella capitale del Kurdistan Erbil arrivava il primo dei sei voli umanitari predisposti dal nostro paese.

Il 17 agosto l’intensificazione dei raid aerei americani contro le milizie dell’IS consentiva ai peshmerga la riconquista della diga di Mosul e di tre cittadine situate a est della stessa. Questi sviluppi positivi potrebbero tuttavia avere il loro pendant negativo, come sottolineato dal ministro degli esteri tedesco Steinmeier di ritorno da una missione il 16 agosto a Baghdad e nel Kurdistan, preoccupato per la possibilità che i successi dei peshmerga curdi in una situazione di debolezza delle forze armate federali irachene possano facilitare la formazione di uno Stato curdo indipendente che sarebbe, secondo Steinmeier, un fattore di ulteriore destabilizzazione regionale.

Si riaccendeva intanto il versante siriano dell’IS, dove l’aviazione di Damasco attaccava ripetutamente le postazioni jihadiste nella provincia di Raqqa: secondo molti osservatori Assad cercava in questo modo di allinearsi alle iniziative messe in campo dagli Stati Uniti contro l’IS in territorio iracheno, accreditandosi nel quadro di una più generale lotta contro tutti i fondamentalisti.

Il 18 agosto le forze curde in lotta contro l’IS annunciavano la riconquista, dopo la diga di Mosul, di altre località nel nord dell’Iraq, e di prepararsi a riprendere la stessa Mosul ai miliziani jihadisti. Per la verità alcuni combattimenti proseguivanoanche nei pressi della diga, ma secondo il portavoce del comando delle forze armate irachene si trattava solo di scontri limitati in alcuni edifici prospicienti, mentre vi era anche la necessità dello sminamento di altri fabbricati. Combattimenti tra le forze armate irachene e i miliziani dell’IS erano in corso inoltre nella provincia di al-Anbar.

Rilevante la presa di posizione di Papa Francesco il quale, nel viaggio aereo di ritorno dalla Corea del sud, si spingeva a criticare ogni approccio unilaterale, a favore di un’azione della Comunità internazionale sotto l’egida dell’ONU, volta esclusivamente a porre fine all’aggressione dell’IS nel nord dell’Iraq, e non a dar vita a una nuova guerra o a nuovi bombardamenti. Il Papa si diceva inoltre disposto a recarsi in Kurdistan, dove già nei giorni precedenti aveva inviato il cardinale Fernando Filoni, già Nunzio apostolico a Baghdad. Il cardinal Filoni, in una dichiarazione congiunta con il patriarca caldeo Mons. Sako, chiedeva alla Comunità internazionale un intervento volto non solo alla fornitura di aiuti umanitari, ma anche alla liberazione dei luoghi occupati dall’IS con rapidità e in via definitiva.

La forte connessione tra il versante siriano e quello iracheno del “califfato” proclamato alla fine di giugno dall’IS riceveva purtroppo un’altra tragica conferma quando, asseritamente in risposta ai raid aerei USA contro le formazioni dell’IS in territorio iracheno, la stessa organizzazione qaidista procedeva alla barbara esecuzione, mediante decapitazione, del reporter americano James Foley, che era scomparso in territorio siriano circa un anno prima – all’esecuzione veniva dato abilmente risalto mediatico per mezzo di un video diffuso sulla rete Internet. Nei giorni seguenti emergeva l’elevata probabilità che l’assassino di Foley potesse essere Abdel Bary, un jihadista proveniente dal Regno Unito, dove era conosciuto come cantante rap: anche questo era interpretato come un abile segnale dell’IS agli ambienti jihadisti dell’immigrazione in Europa.

Il 20 agosto registrava una duplice iniziativa del nostro Paese: la gravità degli sviluppi nel nord dell’Iraq induceva infatti il Governo ad un passaggio parlamentare specificamente dedicato al paese mesopotamico, rendendo alle Commissioni congiunte esteri e Difesa di Camera e Senato comunicazioni sui recenti sviluppi della situazione in Iraq anche con riferimento agli esiti del Consiglio straordinario dei Ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014.

La discussione portava poi all’approvazione separata di risoluzioni da parte delle due Commissioni della Camera e delle due omologhe del Senato, con le quali il Governo ha ottenuto il ricercato sostegno parlamentare anzitutto per procedere alla fornitura di armi ai peshmerga curdi impegnati sul terreno a contrastare l’avanzata delle milizie dell’IS.

Dal canto suo il Presidente del Consiglio Matteo Renzi si recava nella stessa giornata in Iraq e, dopo la capitale Baghdad, visitava la capitale del Kurdistan iracheno Erbil: in entrambi i luoghi il Presidente Renzi affermava con forza la necessità di un impegno dell’Europa di fronte alle gravissime violazioni dei diritti delle minoranze e ai massacri perpetrati dall’IS. Gli aspetti politici dell’Iraq dopo la formazione del nuovo governo e le questioni delle relazioni economiche con l’Italia erano invece oggetto dei colloqui con il nuovo premier incaricato al-Abadi.

Alla fine di agosto progressivamente la Casa Bianca si spingeva a valutare la possibilità di effettuare raid aerei contro l’IS anche nella parte siriana del territorio controllato dall’organizzazione jihadista: il regime di Assad – che nelle ultime settimane aveva aumentato gli attacchi aerei contro le postazioni dell’IS - coglieva prontamente l’occasione di una collaborazione con Washington, assolutamente impensabile fino a quel momento, ma poneva alcune condizioni per bocca del ministro degli esteri Muallim, ovvero di poter coordinare le proprie operazioni militari con quelle americane e di ottenere una legittimazione piena del regime di Assad, che rivendica una posizione centrale nella lotta internazionalmente condivisa contro l’IS.

Pur nella gravità della situazione - l’IS aveva conquistato appena da poche ore una delle più grandi basi aeree siriane - gli Stati Uniti si mostravano del tutto riluttanti alle profferte di Damasco.

Piuttosto, Washington tentava di avviare una collaborazione con i propri alleati tradizionali per dar vita a un fronte comune finalizzato ad attacchi contro le basi dell’IS anche in territorio siriano. Frattanto l’offensiva jihadista in Siria si avvicinava anche alle posizioni israeliane sul Golan, con un attacco imputato al Fronte Jabat al-Nusra – in effetti acerrimo rivale dell’IS - sulla parte delle alture controllata dall’esercito siriano, che registrava la perdita di 20 soldati. A seguito dell’attacco i miliziani si impossessavano del valico di Quneitra, proprio sul confine con Israele.

La gravità della minaccia in corso anche per la Siria era efficacemente delineata anche da un rapporto reso noto a Ginevra il 27 agosto dalla Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria, dal quale emergeva che in tutto il territorio controllato dall’IS si dava luogo a esecuzioni, amputazioni e flagellazioni pubbliche, e inoltre all’arruolamento persino di bambini di 10 anni. Chiunque poteva essere vittima di tali punizioni alla minima violazione della rigida interpretazione della legge islamica imposta dall’IS.

 

Settembre 2014

Il 2 settembre circolava un video sulla rete nel quale veniva mostrata l’uccisione e la decapitazione del giovane reporter freelance americano Steven Sotloff di Miami, la cui madre invano aveva supplicato i suoi rapitori dell’IS di esercitare clemenza. Nel consueto macabro cerimonialeSotloff, prima della sua uccisione, era stato costretto a sconfessare la politica estera americana, della quale sosteneva di essere sul punto di pagare personalmente il prezzo. Anche l’esecutore del barbaro omicidio appariva essere lo stesso già impegnato nella decapitazione di James Foley.

La reazione degli Stati Uniti, oltre a disporre l’invio di altri 350 soldati per la protezione di personale e sedi statunitensi nella capitale irachena - con il numero dei militari inviati in Iraq che, dall’inizio dell’offensiva dell’IS superava la cifra di 800 unità -, consisteva nell’accelerazione dei preparativi per una vasta coalizione internazionale contro l’IS, nella quale un contributo decisivo doveva essere fornito dalla presenza di Stati arabi, sia per accrescere la legittimazione dello schieramento anti-IS, sia per mettere con le spalle al muro quelle forze che all’interno delle monarchie del Golfo hanno espresso simpatie e appoggio per le correnti jihadiste operanti in Medio Oriente in diversi paesi. In ogni caso il presidente americano Obama chiariva che la lotta contro l’IS non sarebbe stata di breve periodo, e che avrebbe comportato una strategia su diversi piani, onde ridurre l’influenza militare e i finanziamenti del cosiddetto califfato. Anche il governo francese si esprimeva per un’accelerazione dell’impegno contro l’IS, accennando a una risposta politica, umanitaria e se necessario militare nel quadro del diritto internazionale.

Il vertice NATO nel Galles del 4/5 settembre riusciva a registrare un’ampia convergenza proprio sul punto della strategia di lotta contro l’IS: la decisione fondamentale era quella di dar vita a una vasta coalizione comprensiva anche di forze esterne alla NATOper combattere l’estremismo islamico dilagante in Iraq e Siria, della quale faranno parte dieci paesi, ossia nove della NATO (USA, Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Danimarca, Polonia, Turchia e Canada) e l’Australia, che già poche ore prima aveva provveduto alla consegna di armamenti alle forze curde dell’Iraq settentrionale impegnate direttamente nella lotta contro i miliziani dell’IS. Contemporaneamente veniva l’invito ad altri importanti attori regionali come Egitto, Turchia, Arabia Saudita a unirsi agli sforzi della coalizione al fine della distruzione del califfato di al-Baghdadi. Proprio inriferimento all’Egitto va segnalato che il 6 settembre le autorità del Cairo rendevano nota la presenza di cellule operative dell’IS anche in territorio egiziano, nella regione del Sinai a sud del valico di Rafah verso la Striscia di Gaza: le forze di sicurezza egiziane, veniva anticipato, avrebbero lanciato a giorni un’offensiva militare contro i jihadisti.

Dopo che gli Stati Uniti avevano lanciato nuovi attacchi aerei sull’IS nella parte occidentale dell’Iraq, a protezione della diga di Haditha, anche nel nostro Paese la minaccia dell’IS riceveva adeguata considerazione in due informative alle Camere svolte dal Ministro dell’interno Alfano il 9 settembre: secondo il Ministro non andava sottovalutata la specifica minaccia dell’IS nei confronti dell’Italia e di Roma, sede della principale autorità cristiana. Secondo il ministro Alfano si rendeva urgente la criminalizzazione di comportamenti di partecipazione a conflitti armati o atti di terrorismo anche al di fuori dei confini nazionali,commessi da parsoneresidenti in Italia o da cittadini italiani, ai quali, inoltre, in caso di forti sospetti, si doveva contemplare la possibilità di imporre misure di sorveglianza speciale con obbligo di dimora, impedendone così l’espatrio a fini terroristici. Infine il Ministro sottolineava come anche nei confronti delle ondate di sbarchi dal Nord Africa in territorio italiano fosse necessario applicare la più stretta sorveglianza per prevenire episodi di terrorismo sul territorio nazionale.

Poche ore prima intanto a Baghdad sembrava essersi sbloccata la questione della formazione del nuovo governo,sul quale tuttavia sembravano continuare a incombere le tradizionali divisioni: infatti ministeri chiave come quello degli esteri  e del petrolio rimanevano in mani sciite, mentre le finanze erano andate al curdo Shawes, e restava sospesa la designazione di titolari di importanti ministeri,  come quelli della difesa, della sicurezza e degli interni. Sembrava ancora lontano il punto fondamentale di una reintegrazione dei sunniti nella compagine politica nazionale, tuttavia premessa indispensabile di un ricompattamento dell’esercito, che aveva mostrato gravi segni di sgretolamento di fronte all’offensiva dell’IS. Lo stesso rapporto tra l’entità regionale curda e il governo centrale di Baghdad rimaneva problematico, in attesa di risolvere la questione delle esportazioni di petrolio che il Kurdistan iracheno aveva iniziato autonomamente in maggio, collegata allo status di Kirkuk, città strategica dal punto di vista petrolifero occupata dai curdi per prevenire le azioni dell’IS. Sullo sfondo restava poi l’eventualità di una indipendenza a pieno titolo del Kurdistan iracheno, naturalmente osteggiata dal governo centrale di Bahgdad, e che un paese chiave come la Turchia non poteva non vedere negativamente.

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, commemorando le vittime dell’11 settembre 2001, annunciava in un discorso televisivo alla nazione l’espansione delle operazioni contro l’IS alla parte siriana del territorio controllato dal califfato: poco prima gli USA avevano autorizzato ulteriori 25 milioni di dollari per assistenza militare immediata al governo iracheno e alla regione del Kurdistan impegnati nel contenimento della avanzata dell’IS.

Mentre Obama si rivolgeva alla nazione, il tavolo di lavoro di Gedda tra il segretario di Stato Kerry e 10 paesi arabi inaugurava la partecipazione di questi ultimi alla coalizione contro l’IS: decisivo dal punto di vista soprattutto politico, lo schieramento dei paesi arabi annoverava le monarchie del Golfo e inoltre l’Egitto, la Giordania, la Turchia e il Libano. Particolarmente rilevante appariva il coinvolgimento del Qatar nella coalizione anti-IS, visto l’atteggiamento assai ambiguo tenuto da Doha nello scenario mediorientale e nordafricano, con il sostegno costante a gruppi jihadisti variamente connotati. Non a caso Kerry sottolineava anche la necessità che le emittenti regionali come al-Arabiya ed al-Jazeera avrebbero dovuto chiarire alle popolazioni arabe quale fosse al momento attuale il nemico contro cui concentrare gli sforzi. Altrettanto significativa la mancanza dallo schieramento guidato dagli Stati Uniti della Siria e dell’Iran, per diversi motivi di incompatibilità con gli scopi e gli interessi geopolitici degli altri paesi partecipanti alla coalizione dal lato arabo.

Proseguiva intanto la scia di orrore dell’IS, che il 13 settembre, tramite Twitter, diffondeva il video dell’esecuzione dell’operatore umanitario britannico David Haines, che era stato rapito nel 2013 in Siria, anche stavolta ignorando gli appelli di poche ore prima della famiglia dell’ostaggio. Tra l’altro Haines era apparso anche nel filmato che in precedenza aveva mostrato l’uccisione dell’ostaggio americano Sotloff, e, ulteriore macabro presagio, nel video sull’uccisione di Haines compariva anche l’ostaggio britannico Alan Henning, con minaccia di giustiziare anche quest’ultimo. L’uccisione di Hainesveniva attribuita dalla voce di un miliziano dell’IS proprio all’impegno britannico ad armare i peshmerga curdi contro l’IS.

Il 14 settembre l’Australia forniva 400 militari delle forze aeree, assieme a otto velivoli da combattimento, un ricognitoree un rifornitore aereo in volo. Intanto il 15 settembre nell’incontro di Parigi la coalizione anti-IS ribadiva i propri impegni, che ormai riunivano 25 Stati contro il califfato. Dal punto di vista tuttavia degli attacchi aerei soltanto Stati Uniti, Francia e probabilmente Emirati Arabi Uniti risultavanodirettamente impegnati. Il 19 settembre si verificavano i primi bombardamenti aerei francesi contro postazioni dell’IS: nella stessa giornata la Camera dei rappresentanti belga, dopo un lungo dibattito, autorizzava per un mese la partecipazione di forze militari del paese-circa 120 uomini, tra i quali otto piloti e un certo numero di caccia F-16-alle operazioni militari contro il califfato. Per quanto concerne l’Italia, il Ministro degli esteri Mogherini dichiarava a New York, in margine alla partecipazione a una riunione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che il nostro Paese avrebbe potuto partecipare a livello militare in attività di addestramento, sostegno logistico ed eventuale rifornimento in volo di aerei della coalizione: secondo Mogherini, peraltro, non risultavano al momento specifiche minacce contro l’Italia da parte dell’IS.

La strategia americana assumeva intanto contorni più precisi non escludendo più l’intervento di terra, ma anzi vedendo in esso un elemento essenziale per la completa vittoria contro l’IS, affidandosi però per esso ai peshmerga curdi e all’eventualità di coinvolgere contro lo Stato islamico tribù sunnite presenti sul territorio – peraltro non facilmente conciliabili con le autorità centrali di Baghdad. Per quanto concerne la Germania, questa risultavaaver inviato 40 consulenti militari e aver fornito armi ai curdi, senza tuttavia alcuna partecipazione ad attacchi aerei.

L’accentuarsi della pressione del califfato nella parte siriana, con l’attacco alle città curde del Nord, aumentava in modo spettacolare il coinvolgimento della Turchia nella questione: in poche ore 130.000 profughi curdi si aggiungevano al milione di rifugiati già affluiti in Turchia a seguito dell’ormai più che triennale conflitto siriano, ponendo Ankara di fronte alla necessità di studiare soluzioni per il contenimento dell’avanzata dell’IS e al tempo stesso per il soccorso dei profughi curdi.

In tal senso già da alcune settimane la Turchia ventilava l’ipotesi di istituire una zona cuscinetto alla frontiera con la Siria, dove insediare anche aree sicure per ospitare i profughi. Non va tuttavia dimenticato che, stante il secolare problema di Ankara con le minoranze curde all’interno del proprio paese, l’atteggiamento turco difficilmente poteva essere quello di facilitare l’afflusso in territorio siriano di combattenti curdi di origine turca, pure richiesto da vari appelli del PKK (il partito curdo di Ocalan, sempre sospetto agli occhi delle autorità turche, nonostante le aperture degli ultimi anni).

La Turchia veniva comunque sempre più messa alle strette sia pure indirettamente anche dall’alleato americano, che non poteva non constatare con irritazione la mancata partecipazione di uno Stato regionale, che costituisce oltretutto un pilastro della NATO, alla coalizione anti-IS, e che inoltre ventilava in seno alle Nazioni Unite l’approvazione di una risoluzione del Consiglio di sicurezza contro il reclutamento e il finanziamento delle correnti jihadiste - attività dalle quali la Turchia durante il conflitto siriano si era tutt’altro che astenuta.

Mentre nel corso della sessione inaugurale dell’Assemblea generale dell’ONU a New York diversi altri paesi decidevano di fornire aiuti militari alla coalizione contro l’IS, la minaccia terroristica sembrava raggiungere perfino l’Australia, dove un diciottenne di origine afghana veniva ucciso a Melbourne il 23 settembre: le autorità di polizia australiane rendevano noto il giorno successivo che si trattava di un soggetto già sospetto per terrorismo, contrario all’impegno dell’Australia nella lotta contro l’IS – aveva per questo indirizzato minacce al premier australiano -e associato al gruppo radicale al-Furqan, con passaporto già ritirato per motivi di sicurezza.

Intanto un altro paese pagava un duro tributo per la partecipazione alla lotta contro l’IS, quando il 24 settembre il gruppo algerino dei Soldati del califfato, collegato all’IS, decapitava il cittadino francese Hervé Pierre Gourdel, recatosi nel paese per compiere escursioni sulle montagne settentrionali: l’uccisione di Gourdel costituiva una rappresaglia per la continuazione dei raid aerei francesi sul califfato, che i rapitori algerini avevano espressamente chiesto di interrompere.

Anche nel nostro Paese si rendeva noto un innalzamento ulteriore dei livelli di allarme, soprattutto in relazione al fenomeno dei combattenti europei impegnati nelle file del califfato, minaccia potenziale in caso di ritorno in territorio europeo.Al rinnovato allarme lanciato dal Ministro dell’interno Alfano faceva seguito il 25 settembre l’intervento del Presidente del consiglio Renzi all’Assemblea generale dell’ONU, nel corso del quale veniva ribadito come le azioni dell’IS costituissero un vero e proprio genocidio e una minaccia per l’umanità: in più, il Presidente del consiglio metteva in luce come per l’Italia fosse prioritario ancheaffrontare il pericolosissimo focolaio di instabilità costituito dalla situazione di frammentazione della Libia.

Frattanto, mentre installazioni petrolifere dell’IS venivano colpite da attacchi dell’aviazione statunitense e di paesi arabi sia in Siria che in Iraq, proseguiva in Australia l’azione delle forze di polizia, che con l’impiego di centinaia di uomini compivano ulteriori perquisizioni a Sidney e Brisbane alla ricerca di eventuali nuovi piani per l’attuazione di attacchi terroristici.

Il 26 settembre registrava un ulteriore sviluppo favorevole alla coalizione contro l’IS, quando la Camera dei Comuni approvava con un largo margine l’intervento aereo britannico in Iraq, espressamente richiesto dal governo di Baghdad. La risoluzione del Parlamento britannico autorizzava altresì la possibilità di impiegare truppe di terra non combattenti per scopi di addestramento delle forze irachene e curde sul terreno. Nella stessa giornata anche la Danimarcaannunciava un forte incremento del proprio coinvolgimento nelle operazioni control’IS, dispiegando 250 unità tra piloti e personale di supporto, nonché sette caccia F-16.

A fronte del crescente coinvolgimento internazionale nella coalizione contro l’IS, il Coordinatore europeo antiterrorismo De Kerchove non mancava di richiamare l’attenzione sul parallelo incremento dei rischi di attentati in territorio europeo: infatti i cittadini europei unitisi ai combattenti del califfato risultavano ormai essere complessivamente circa 3.000, due terzi dei quali partiti da Francia, Regno Unito e Germania, ma non meno di 350 anche dal Belgio. In Italia il numero di tali soggetti era valutato in una cinquantina, perlopiù di origine non italiana, ma derivanti da immigrazione nel nostro Paese.

Con l’approssimarsi delle truppe dell’IS alla cittadina curdo-siriana di Kobane si verificavano anche numerose manifestazioni di protesta in Europa e negli Stati Uniti per richiedere l’intervento urgente a sostegno degli abitanti della città e dei profughi sempre più numerosi, proprio nelle stesse ore in cui i primi attacchi americani colpivano in effettii sobborghi della città già conquistati dall’IS.

La difficile situazione di Kobane sembrava tuttavia accelerare anche la necessità di una presa di posizione turca:dopo i contatti avuti a New York a margine della sessione inaugurale dell’Assemblea generale dell’ONU, il presidente Erdogan si spingeva a sostenere la necessità di un’operazione di terra control’IS, nella quale impiegare anche le ingenti forze militari turche, sia per riconquistare territorio sottraendolo al califfato, sia per accrescere la sicurezza della popolazione in fuga dai combattimenti. Erdogan chiariva inoltre come fossero in corso negoziati per la determinazione della composizione della coalizione da impegnare nell’operazione di terra-l’opposizione parlamentare turca non mancava peraltro di esprimere subito dopo dissenso rispetto all’ipotesi di inviare militari turchi fuori dei confini nazionali.

Due giorni dopo, il 29 settembre, forze aeree britanniche partite dalla base cipriota di Akrotiricompivano le prime missioni sul territorio iracheno contro l’IS, mentre le preoccupazioni dell’esercito nazionale iracheno per la grave situazione sul terreno conducevano alla riabilitazione di fatto dei disertori sunniti, nel quadro di un’ampia campagna di reclutamento per rafforzare i ranghi militari. Senza ancora intervenire nel conflitto scatenatosi attorno alla città di Kobane, la Turchia procedeva comunque a schierare numerosi carri armati sul confine siriano.

Il 30 settembre, mentre i servizi di intelligence statunitensi riferivano di aver a suo tempo avvisato la Casa Bianca sulla pericolosità del fenomeno del califfato, senza riscontrare un interesse prioritario sull’argomento; la Santa sede tornava a far sentire la propria voce, richiedendo che la minaccia dell’IS fosse affrontata con un uso della forza proporzionato e multilaterale. Frattanto si verificavano lievi progressi nelle posizioni delle forze curde dei Peshmerga, che riuscivano a riconquistare la cittadina di Rabia e il valico di frontiera prospiciente. Il bilancio delle violenze in Iraq nel mese di settembre, secondo fonti ONU, registrava la morte di circa 1100 persone.

 

Ottobre 2014

L’avanzata curda proseguiva il 1° ottobre, affiancando le forze armate irachene, con la riconquista della cittadina di Taza Kharmatho, tuttavia riempita dall’IS di ordigni e trappole esplosive, quindi di fatto impraticabile.Il 2 ottobre il parlamento turco approvava con una maggioranza di circa i due terzi l’autorizzazione alle operazioni contro il califfato, autorizzazione consistente sia nel permesso accordato alle operazioni militari lanciate dall’interno del territorio turco da altri attori regionali e internazionali, ma anche nella possibilità di ingresso diretto delle truppe di Ankara nel territorio siriano.

La decisione del parlamento di Ankara destava vibrate proteste da parte della Siria e, con toni più morbidi, dell’Iran: ma lo stesso al-Maliki, ex premier iracheno sciita, si diceva del tutto contrario all’ingresso delle truppe turche in territorio iracheno. Tutto ciò non sembrava però dissuadere la Turchia, il cui primo ministro Davutoglu si diceva pronto a fare tutto il possibile per impedire la caduta dell’ultima roccaforte, Kobane, tra il territorio controllato dall’IS e il confine turco. Intanto nelle altre zone dell’Iraq, ai parziali successi dell’IS a ovest di Baghdad faceva riscontro la prosecuzione dell’avanzata delle forze curde e irachene a Nord della capitale.

Ancora nuovo orrore destava la diffusione di un video sulla decapitazione dell’ostaggio britannico Alan Henning, video nel quale venivano formulate minacce nei confronti di un altro prigioniero dell’IS, anch’egli operatore della cooperazione, l’americano Peter Kassig. Il fronte anti-IS si arricchiva però in quelle stesse ore di due nuovi protagonisti, quando i governi australiano e canadese annunciavano la partecipazione ai raid aerei contro il califfato.

Il 4 ottobre cominciavano a diffondersi i dubbi dell’Amministrazione USA sulla strategia portata avanti con gli attacchi aerei contro l’IS, che non si mostrava efficace come sperato: a fronte di ciò, lo stesso IS compiva una sorta di svolta mediatica, quando in un video appariva un militante del califfato a volto scoperto, minacciando i paesi occidentali e lanciando pesanti insulti al premier britannico Cameron. Sul terreno intanto l’IS riusciva a impadronirsi della città di irachena di Kabisa, mentre in due diversi agguati nella provincia irachena di Diyala perdevano la vita un ufficiale e sette soldati delle forze armate di Baghdad.

Il 5 ottobre si stringeva sempre più l’assedio di Kobane da parte dei miliziani dell’IS: in questo contesto alcuni di essi erano vittime di un attacco suicida da parte di una donna curda. Nelle stesse ore, la minaccia dell’IS sembrava allargarsi al territorio libanese - non senza forti punti interrogativi sul fatto che in questo caso il tentativo di invasione fosse stato portato avanti assieme alla milizia sunnita, in altri scenari nemica, di al-Nusra-, dove però la forte opposizione armata del movimento sciita Hizbollah sembrava riuscire a contenere la minaccia.

Il 6 ottobre, mentre da molti segnali sembra avvicinarsi la capitolazione di Kobane, la Turchia persisteva nel suo atteggiamento di non intervento, la motivazione del quale, emergeva sempre più chiaramente, erano le preoccupazioni di Ankara per qualunque possibile conquista di uno status di sovranità o anche di forte autonomia da parte dei curdi del nord siriano, ai quali invece i turchi chiedevano prioritariamente di rompere qualsiasi legame con il regime di Assad, la cui destituzione - chiariva lo stesso primo ministro Davutoglu - era condizione imprescindibile della partecipazione turca ad un attacco di terra contro il califfato nell’ambito della strategia anti-IS della Casa Bianca. Del resto Davutoglu non nascondeva le preoccupazioni turche, in quanto a suo dire intervenire a Kobane avrebbe determinato conseguenze per tutto il confine turco-siriano. In questo contestoAnkara doveva anche subire l’imbarazzo derivante dalle rivelazioni del Times, che rendeva noto che a fronte dei 46 ostaggi turchi liberati la settimana precedente, Ankara aveva restituito all’IS ben 180 jihadisti.

Crescevano intanto gli allarmi dei servizi segreti occidentali per l’allargarsi della galassia terrorista ispirata alle gesta dell’IS: infatti sempre più chiaramente gruppi legati all’orizzonte politico-religioso del califfato di al-Baghdadi si mostravano attivi in Egitto (nord del Sinai), in Libia, in Tunisia e Algeria, nello Yemen, ma anche in Uzbekistan, in Indonesia e Malesia, e, per certi versi, tra Nigeria e Camerun, con il movimento islamista BokoHaram. Infatti, a differenza della matrice araba orientale, AQMI (al-Qaida nel Maghreb islamico) sembrava tutt’altro che in dissidio con l’IS.

Il 7 ottobre alcuni manifestanti curdi irrompevano nell’edificio del Parlamento europeo a Bruxelles, protestando vivacemente per la situazione di Kobane, e più in generale per la difficile situazione delle popolazioni curde minacciate dall’IS-cinque giorni prima unacinquantina di manifestanti curdi avevano compiuto un’analoga manifestazione proprio in Italia, davanti alla Camera dei deputati. Emergeva intanto un altro tratto inumano e inquietante della strategia del califfato, ovvero l’uso spregiudicato delle risorse idriche e dell’elettricità per colpire anche territori non direttamente controllati, attraverso il taglio di cavi e la conquista di dighe e condutture.

L’8 ottobre si registravanoin Turchia una ventina di morti - incerte le responsabilità - a seguito delle manifestazioni per la giornata di mobilitazione indetta dai partiti filo-curdi in relazione all’assedio di Kobane da parte dell’IS. Nella stessa giornata il presidente degli Stati Uniti, riunito al Pentagono con i massimi vertici militari, non nascondeva il proprio disappunto per l’inerzia dimostrata dalla Turchia sulla vicenda di Kobane, ma anche per l’apparente inefficacia dei pur numerosi raid aerei compiuti in Iraq (270) e in Siria (120) contro le postazioni del califfato.

Il 9 ottobre, mentre ormai i miliziani dell’IS sembravano essere penetrati parzialmente nella città di Kobane, emergeva un’altra questione che la Turchia considerava come prioritaria e preliminare ad un proprio intervento di terra, ovvero la creazione di una zona di interdizione al sorvolo nel Nord della Siria - come dichiarato dal ministro degli esteri turco Cavusoglu. Al proposito sia il regime di Damasco che la Russia rifiutavano recisamente questa eventualità, rimandando adun’eventuale decisione in materia del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Anche il Segretario generale della NATO Stoltenberg smentiva che l’Alleanza atlantica avesse discusso dell’argomento. Nell’intricato scenario siriano, nonostante l’ingombrante presenza dell’IS, proseguivano anche numerosi i raid aerei del regime di Damasco contro gli oppositori armati, nei cui ranghi peraltro si contano numerosi jihadisti, per quanto distinti dalle milizie del Califfato-come quelli di al-Nusra, probabilmente autori del sequestro nel Nord-Ovest siriano del parroco francescano della comunità cristiana di Knayeh, rilasciato proprio il 9 ottobre, a differenza del gruppo di fedeli con cui si trovava, rimasti nelle mani dei rapitori.

Qualche problema nella coalizione anti-IS emergeva in relazione alla condotta del Qatar, notoriamente finanziatore di gruppi jihadisti in tutto lo scenario mediorientale, ma nel contempo formalmente aderente alla coalizione internazionale contro l’IS: la preoccupazione saudita, giordana ed emiratina per il proseguire dei flussi finanziari verso il Califfato conduceva l’11 ottobre questi paesi a manifestare disappunto verso Doha, peraltro sotto la lente d’ingrandimento dello stesso Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti per il suo costante sostegno a gruppi qaidisti come il Fronte al-Nusra, Hamas e i talebani dell’Afghanistan.

Proprio gli Stati Uniti tuttavia hanno non poche difficoltà a rapportarsi al Qatar, da cui dipendono per le basi logistiche di molte delle azioni militari dirette contro l’IS, nonché per alcuni nevralgici momenti di mediazione che Doha ha potuto portare avanti proprio in ragione dei suoi rapporti con l’islamismo radicale. Nel Regno Unito si levavano esortazioni a boicottare alcune proprietà qatariote a Londra, come i famosi grandi magazzini Harrods, e più in generale polemiche per l’atteggiamento britannico, giudicato troppo morbido, nei confronti del Qatar.

Intanto a Kobane i curdi resistevano con tenacia agli attacchi dell’IS, che tuttavia sembrava concentrare ingenti forze anche nei pressi della città petrolifera di Kirkuk. A Baghdad una quarantina di persone perdevano la vita in seguito a una serie di attacchi suicidi contro quartieri per la maggior parte sciiti della capitale irachena. Nuove efferatezze dell’IS emergevano in riferimento all’uccisione a Mosul di quattro donne in meno di una settimana – si trattava di due medici, una giurista e una parlamentare.

Sempre l’11 ottobre, con una lettera inviata al Corriere della Sera, i presidenti delle Commissioni Esteri della Camera, Fabrizio Cicchitto e del Senato, Pierferdinando Casini, chiedevano di schierare forze delle Nazioni Unite in Medio Oriente per contrastare in modo più efficace l’avanzata dei terroristi dell’IS in Medio Oriente: “Non è possibile – scrivono - che il mondo assista in modo sostanzialmente passivo alla tragedia che sta avvenendo. La comunità internazionale deve prendersi le sue responsabilità e quindi porre in essere un risoluto e risolutivo intervento politico-militare di contrasto all’Isis, realizzato dalle forze dell’Onu che non lascino soli i peshmerga, i quali in ogni caso stanno pagando un significativo tributo di sangue. Siamo a uno snodo cruciale della sicurezza globale, che prescinde dalle vecchie e nuove contrapposizioni tra Est ed Ovest oppure tra Nord e Sud, e dovrebbe perciò indurre a una mobilitazione generale, cui l’Unione europea, in particolare, potrebbe dare impulso.

In questo contesto la voce della Chiesa tornava a farsi sentire con le dichiarazioni del segretario di Stato vaticano card. Parolin, che esortava a ogni sforzo per fermare l’aggressione contro le minoranze in corso in Medio Oriente, che desta grande preoccupazione nello stesso Pontefice: il card. Parolin ribadiva la legittimità dell’uso della forza in un contesto multilaterale, ancor meglio se autorizzata dalle Nazioni Unite, se l’obiettivo si limita a quello di porre fine ad un’aggressione.

La battaglia continuava a infuriare a Kobane, dove però l’IS incontrava forte resistenza da parte delle milizie curde, mentre l’uccisione del capo della polizia della provincia occidentale irachena di al-Anbar faceva temere un’estensione a questa provincia dell’azione del Califfato; il 13 ottobre un rapporto pubblicato da Amnesty International rendeva noto come con la complicità delle autorità irachene le milizie sciite avessero rapito e ucciso decine di civili sunniti negli ultimi mesi, come rappresaglia per le azioni dell’IS. La presa della città di Hit da parte dell’IS rinfocolava i timori per la provincia di al-Anbar. Inoltre, la Turchia smentiva la notizia proveniente da Washington in merito alla concessione di una base aerea turca per i bombardamenti americani sulla milizie del Califfato.

Il 14 ottobre la Turchia, significativamente, compiva raid aerei contro i curdi turchi del PKK nel sud-est del proprio territorio. Intanto un attentato suicida perpetrato con un’autobomba uccideva a Baghdad 25 persone, incluso il deputato e vice capo dell’organizzazione Badr Ahmed al-Khafaji.

Rinnovati timori venivano intanto dall’annuncio dell’effettivo ritrovamento in Iraq, nel periodo di occupazione da parte delle truppe statunitensi, di numerose armi chimiche - non certo quelle letali il cui possesso da parte di Saddam era stato posto alla base dell’invasione del paese -, anche se ormai spesso deteriorate, su cui era stato mantenuto il segreto più stretto. Alcuni di questi armamenti si teme ora possano cadere nelle mani dell’IS, che controlla una vasta porzione del territorio iracheno. Mentre a Mosul le milizie del Califfato procedevano all’esecuzione di 46 persone, in Italia si riuniva il 15 ottobre il Consiglio supremo di difesa, per il quale l’Italia e l’Europa devono fronteggiare rischi importanti in relazione all’espansione dell’IS in Medio Oriente, anche in considerazione del fenomeno dei foreign fighters di ritorno in Europa dal teatro di guerra. Proprio un maggior coordinamento europeo dovrà essere la chiave decisiva per far fronte al rinnovato allarme.

Il 16 ottobre il Ministro della difesa Roberta Pinotti, intervenendo dinanzi alle Commissioni riunite esteri e difesa dei due rami del Parlamento, ribadiva la serietà della minaccia rappresentata dall’IS: in questo senso il Governo italiano annunciava un ulteriore contributo alla coalizione, consistente nell’invio complessivo di un massimo di 280 militari con compiti addestrativi per le milizie curde, due droni Predator ed un rifornitore in volo. Inoltre il Ministro preannunciava l’invio di ulteriore munizionamento, ma anche l’eventuale cessione, ove possibile, alle milizie curde di proiettili anticarro e blindati in uso all’esercito italiano. Proseguivano intanto gli attentati a Baghdad, dove quattro autobomba provocavano la morte di 36 persone e il ferimento di un centinaio. Alla fine della giornata si registrava un significativo arretramento dell’IS a Kobane, ma, parallelamente, una recrudescenza dei combattimenti nella provincia di al-Anbar, pur nel quadro di un alleggerimento della pressione diretta verso la capitale irachena.

Il 17 ottobre, mentre proseguivano i progressi curdi a Kobane, anche grazie alla maggiore efficacia dei raid aerei della coalizione, 60 miliziani dell’IS perdevano la vita nell’attacco al loro campo a Jaberiya, assaltato da elementi dell’esercito e della polizia iracheni. Altri esponenti di rilievo dell’IS venivano uccisi a Ramadi. Peraltro l’IS riceveva attestazioni di appoggio dalla penisola arabica, con un appello delle locali cellule di al-Qaida a tutti i musulmani per il sostegno all’IS e l’attacco in ogni forma contro l’America. Gli stessi Stati Uniti non confermavano le voci secondo le quali erano venuti in possesso dell’IS tre aviogetti da combattimento siriani, che sarebbero stati visti già diverse volte volare a bassa quota, presumibilmente guidati da ufficiali disertori dell’aviazione irachena.

Mentre proseguivano gli attentati a Baghdad e in altre località irachene contro gli sciiti, il 20 ottobre si verificava una svolta nell’atteggiamento della Turchia, che si diceva finalmente disponibile a consentire il passaggio della truppe dei Peshmerga curdi a sostegno dei difensori di Kobane. Intanto per la prima volta gli Stati Uniti paracadutavano armamenti alle milizie curde, ma, sfortunatamente, una parte di questi cadeva nelle mani di miliziani dell’IS. Questi ultimi, secondo un volontario americano operante sul terreno, avrebbero usato anche armi chimiche durante l’assedio di Kobane, come sarebbe documentato da alcune foto appositamente fornite. Due giorni dopo, il 24 ottobre, ufficiali dell’esercito iracheno confermavano l’uso di armi chimiche contro le proprie truppe da parte dell’IS, mentre nuove prove venivano in merito all’utilizzazione di tali armamenti anche nell’assedio di Kobane. Si tratterebbe di cloro, come indicato dai sintomi di avvelenamento riscontrati.

Nuovi segnali di allargamento della sfera di azione dell’IS venivano dal Libano, ove nella città settentrionale di Tripoli si verificavano scontri tra l’esercito di Beirut e militanti sunniti collegati al Califfato: dopo due giorni, il 27 ottobre, la cellula jihadista risultava distrutta.

 

 

 

 

 


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L’attività parlamentare in materia
(a cura del Servizio Studi
della Camera dei deputati
)

 

Già partire dalla fine del 2013, il Parlamento italiano ha iniziato a seguire l’evoluzione del teatro di crisi iracheno-siriano, segnato dall’iniziativa offensiva dello “Stato islamico” (IS), formazione paramilitare di matrice islamista, adottando una serie di misure normative volte a consentire la partecipazione italiana a missioni umanitarie di assistenza ai rifugiati dell’area ed al sostegno delle forze curdo-irachene impegnate nel contrasto all’IS.

In questa prospettiva, il dispositivo dell’ordine del giorno 9/01670-AR/062 d’iniziativa dell’on. Massimo Artini, presentato in Assemblea durante l’esame del disegno di legge di conversione del decreto di proroga della partecipazione italiana alle missioni internazionali per l’ultimo trimestre 2013[2], accolto dal Governo (seduta del 3 dicembre 2013), impegnava il Governo ad adoperarsi, per il tramite della missione diplomatica prevista dal provvedimento, anche per ottenere dalla Turchia e dalla Regione autonoma curda (KRG) l’apertura dei valichi al fine di consentire il passaggio degli aiuti umanitari ai rifugiati siriani presenti nella regione.

Si rammenta che l’art. 6, co. 2 del decreto di proroga delle missioni (D.L. 114/2013) ha disposto l’invio in missione nell'area di confine turco-siriana, per il periodo 1° ottobre - 31 dicembre 2013, di un funzionario diplomatico autorizzato ad avvalersi, per l’espletamento delle proprie attività, del supporto di due unità di personale locale.

Nell’ambito dell’audizione sugli sviluppi di politica estera in relazione al semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, svolta davanti alle Commissioni riunite Affari esteri della Camera e del Senato (3 luglio 2014), il Ministro degli affari esteri Federica Mogherini ha evidenziato l’intenzione del nostro Paese di esercitare nel semestre un ruolo di accompagnamento della politica estera europea sul versante della crisi siriana e irachena.

Posto che, di fatto, il confine tra i due Paesi è sparito, uno dei principali rischi connessi alla crisi – ha affermato Mogherini - è l’espansione degli effetti destabilizzati del conflitto sui Paesi vicini, primo fra tutti il Libano, del quale l'Italia è impegnata a sostenere le forze armate in chiave sia di sicurezza interna e delle frontiere, sia di unità nazionale. Il Ministro ha sottolineato, altresì, il rischio che l'avanzata e le attività di IS in Iraq mettano a seria prova la stabilità della Giordania, con conseguenti ripercussioni negative anche sul fronte mediorientale più tradizionalmente inteso, a partire da Israele.

Mogherini ha ribadito l’impegno italiano anzitutto sul versante dell'assistenza umanitaria, per fronteggiare la quale sono stati stanziati nuovi fondi soprattutto attraverso canali multilaterali. Quanto al fronte interno iracheno, il messaggio che il nostro Paese sta veicolando agli attori interni all'Iraq e ai Paesi della regione che hanno influenza diretta o indiretta sui diversi attori iracheni – ha dichiarato il Ministro - è che si arrivi il più rapidamente possibile a un nuovo governo di unità nazionale rappresentativo di tutte le parti della società irachena e, in particolare, non solo degli sciiti, ma anche dei sunniti e dei curdi; la disgregazione, della realtà irachena, infatti, rappresentando un fattore di grave rischio per la sicurezza, diventa tema di interesse prioritario dei grandi Paesi attori della regione (Iran, Paesi del Golfo a partire dall'Arabia Saudita, e Turchia) che si trovano a condividere l’interesse alla stabilità dell'Iraq.

All’estrema instabilità e drammaticità della situazione irachena, una drammaticità che si tende peraltro a rimuovere, nonché all’interesse strategico italiano all’esercizio della propria responsabilità in quel Paese, Mogherini aveva fatto riferimento anche in un passaggio dell’audizione sulle linee programmatiche del dicastero degli Affari esteri, svolta davanti alle Commissioni riunite Affari esteri della Camera e del Senato il 18 marzo 2014.

Il 20 agosto 2014 davanti alle Commissioni congiunte Esteri e Difesa di Camera e Senato si sono svolte le Comunicazioni del Governo sui recenti sviluppi della situazione in Iraq anche con riferimento agli esiti del Consiglio straordinario dei Ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014.

Come precisato dal Presidente della Commissione Affari esteri della Camera, on. Fabrizio Cicchitto, fondamento della seduta è la lettera inviata ai presidenti delle quattro Commissioni dai Ministri Mogherini e Pinotti, i quali - richiamata l’attenzione sulla riunione straordinaria del Consiglio dei Ministri degli esteri dell'Unione europea svoltasi a Bruxelles il 15 agosto - esprimevano la disponibilità a riferire alle Commissioni parlamentari in considerazione del particolare rilievo dell'ordine del giorno di quella riunione. Il presidente Cicchitto richiamava altresì l’appello rivolto dall’Ambasciatore iracheno a Roma, a nome del suo Governo e di tutte le comunità del suo popolo, affinche l'Italia potesse dimostrare concretamente la sua vicinanza all'Iraq e, in particolare, al Kurdistan iracheno, a fronte della tragedia umanitaria di cui sono vittime, dagli inizi di giugno, le popolazioni locali e le minoranze etniche e religiose.

Nella propria relazione il Ministro degli Affari esteri, Federica Mogherini, richiamato il quadro di instabilità ormai assai prossimo in Giordania e Libano e potenzialmente estensibile ad altri paesi  (Turchia ed Iran) a seguito del massiccio afflusso di rifugiati e delle pesanti ripercussioni di sicurezza interna, si è concentrata sull’avanzata dell’IS.  Tale organizzazione – sottolineava il capo della diplomazia italiana - separatasi da Al Qaeda ritenuta troppo morbida, è il cuore della questione che gli iracheni, i curdi in particolare, stanno fronteggiando; l’obiettivo principale di IS, ha affermato il Ministro, sono le popolazioni civili, in particolare le minoranze cristiana e yazida e tutte le minoranze in genere.

In tale contesto, secondo Mogherini, la questione centrale non è tanto la protezione di alcune minoranze quanto, invece, l’affermazione del principio della convivenza civile e pacifica in un territorio. Il Ministro degli affari esteri riferiva quindi dell’intensa iniziativa del nostro Paese negli ultimi mesi, alla luce della collocazione dell’Iraq tra le priorità strategiche dell’attività di governo: prima ancora dell’incontro di giugno, a Roma, con il presidente del Kurdistan Barzani, l'Italia si era infatti fatta promotrice, nell’ambito del vertice tra Unione europea e Lega araba (11 giugno) di una dichiarazione comprensiva di un riferimento esplicito alla situazione in Iraq, dove si condannava l'ondata di attacchi terroristici, si chiamavano il Governo dell'Iraq e il Governo della Regione autonoma del Kurdistan a unire le proprie forze politiche e militari per ripristinare la sicurezza a Mosul ed a Ninive, si riaffermava l'impegno per l'unità e l'integrità territoriale dell'Iraq e si richiamavano le risoluzioni delle Nazioni Unite 1267 e 1989 che dichiarano l'IS organizzazione terroristica, imponendo sanzioni ed una serie di misure riconosciute dalla comunità internazionale.

In quell'occasione Mogherini aveva incontrato l’omologo iracheno Zebari con il quale ha avuto un primo scambio di opinioni su quello che la comunità internazionale, a partire dall'UE, avrebbe potuto fare per sostenere in qualche modo la resistenza all'avanzata dell'IS.

A tale contatto avevano fatto seguito ulteriori attività: in sede di Consiglio affari esteri dell'Unione europea di luglio, ad esempio, l'Italia, ha proposto un punto in agenda sulla protezione in particolare dei cristiani di Ninive; inoltre, il Viceministro Pistelli si recava a Baghdad ed a Erbil il 6 e 7 agosto (e della missione riferiva in Senato, in audizione informale, il sottosegretario Della Vedova l’8 agosto). Il Ministro degli esteri riferiva quindi di avere avuto, sempre l’8 agosto, una conversazione telefonica con il presidente Barzani durante la quale aveva raccolto non solo la richiesta di un forte sostegno sul versante umanitario, ma anche la prospettiva di un sostegno dal punto di vista della sicurezza e militare: a seguito di tali contatti era stata redatta la lettera ai presidenti delle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato (v. infra) nonché quella indirizzata all'Alto rappresentante per la politica estera UE Catherine Ashton per avere una convocazione immediata del Consiglio Affari esteri, svoltosi come accennato il 15 agosto.

Su proposta italiana il Consiglio affari esteri dell’UE aveva esaminato non soltanto la situazione drammatica in Iraq, ma anche quella in Medio Oriente, quella in Libia ed un aggiornamento sulla situazione in Ucraina. Nell’ambito della costruzione di tale cornice internazionale, a partire dalla dimensione europea, Mogherini ha rammentato i contatti costanti con gli interlocutori regionali quali il Ministro degli esteri iraniano, turco, emiratino, qatariota, giordano oltre ai Contatti con la Santa Sede. Tale lavoro diplomatico ha prodotto la convergenza su tre linee d’azione condivise a Bruxelles con i partner europei, che il Ministro così sintetizzava:

1.     immediati aiuti umanitari. Dal punto di vista dell’Italia, il nostro Paese aveva stanziato già un milione di euro per gli aiuti umanitari: 500 mila euro all'OMS per gli sfollati nelle regioni di Erbil, Dohuk e Sulaymaniyah, più un milione di euro per un fondo presso la nostra Ambasciata a Baghdad e gli uffici di Erbil (Kurdistan), per progetti delle ONG nel campo della sanità, dell'istruzione e della formazione professionale. A questo si sono aggiunti negli ultimi giorni sei voli fatti insieme alla Difesa che hanno portato in totale 50 tonnellate di acqua e generi alimentari di prima necessità. Sul versante europeo si è condivisa la scelta di attivare meccanismi di cooperazione che consentano di coordinare gli aiuti per evitare sovrapposizioni e raddoppiamenti: allo scopo è stato messo in campo un meccanismo di coordinamento europeo;

2.     esame di una modalità di risposta positiva, sottoposta alle Commissioni, alla richiesta  formulata dal Governo centrale iracheno e da quello della Regione autonoma del Kurdistan, di forniture militari; sul punto si diffonderà nel dettaglio la comunicazione del Ministro Pinotti, ma – ribadiva Mogherini - per il Governo era fondamentale che questo lavoro si svolgesse innanzitutto in una cornice internazionale ed europea - da qui la richiesta della convocazione del Consiglio affari esteri dell’UE -, e con il coinvolgimento del Parlamento “che credo oggi possa compiersi; ma questo chiaramente dipenderà dalla volontà delle Commissioni”;

3.     azione politica, necessaria ad individuare le soluzioni di lungo termine. Si tratta di lavorare ad un quadro sostenibile all'interno dell'Iraq e nella regione, un quadro politico inclusivo che garantisca l'unità, l'integrità territoriale dell'Iraq e il suo inserimento in un contesto regionale che aiuti a rispondere alla minaccia dell’IS che riguarda in primis gli iracheni ma anche l’intera regione, l’UE e il mondo intero. In tale contesto è significativo che al-Abadi abbia ricevuto l'incoraggiamento e l'invito a procedere velocemente alla formazione di un Governo inclusivo anche dall'Iran, oltre che da Washington, dall'Araba Saudita e dall'Unione europea, in un contesto di consenso difficilmente riscontrabile in quella regione ed al quale l’Italia ha attivamente contribuito.

Mogherini richiamava quindi le conclusioni del Consiglio affari esteri di Ferragosto dove, sulla base di un consenso unanime, viene accolta con favore la decisione dei singoli Stati membri di rispondere positivamente alla richiesta delle autorità del Governo regionale curdo di ricevere urgentemente materiali militari, sulla base delle capacità e delle leggi nazionali degli Stati membri e con il consenso delle autorità nazionali irachene. Il Ministro sottolineava la rilevanza di tale consenso che consente al sostegno militare di affluire attraverso canali istituzionali internazionalmente riconosciuti (cessione da Governo a Governo). I

l secondo elemento che ha composto il quadro di riferimento internazionale – aggiungeva Mogherini – è la risoluzione n. 2170 delle Nazioni Unite del 16 agosto che riafferma, tra il resto, la necessità di combattere con ogni strumento, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite e con l'ordinamento internazionale, le minacce alla pace internazionale e alla sicurezza causate da atti terroristici. Riferendosi al passaggio di coinvolgimento del Parlamento, ritenuto dal Governo imprescindibile a fianco della cornice internazionale testé rammentata, il Ministro affermava che sebbene esso non sia necessario sotto il profilo formale esso è tuttavia fondamentale dal punto di vista politico, come momento di condivisione di un importante passaggio con le Commissioni competenti.

Il Ministro della Difesa Roberta Pinotti, fornite precisazioni tecniche sulla fornitura degli aiuti umanitari immediati decisi dal Consiglio Affari esteri dell’UE, offriva quindi una serie di informazioni sui materiali d’armamento che il Governo italiano valutava di poter fornire: in particolare, si tratta in equipaggiamenti per la difesa personale e d'area. Il Ministro rammentava, altresì, che Francia e Gran Bretagna avevano già effettuato o avviato analoghe operazioni mentre la Germania stava valutando il proprio contributo alla fornitura di mezzi e materiali militari. Pinotti riferiva quindi dell’ipotesi di prevedere la copertura finanziaria degli oneri connessi ai vari aspetti delle forniture militari richieste dalla autorità irachene e curde con apposito emendamento al decreto-legge 109/2014 in corso di conversione, concernente la proroga delle missioni internazionali nel secondo semestre.

Alla fine della seduta congiunta e dopo le riunioni separate degli uffici di presidenza delle Commissioni dei due rami del Parlamento, lo stesso 20 agosto si svolgevano le riunioni delle Commissioni per il voto di risoluzioni.

Presso la Camera le Commissioni riunite Affari Esteri e Difesa discutevano congiuntamente le risoluzioni sul contributo dell'Italia alle iniziative internazionali per la crisi nel Nord dell'Iraq 7-00456 Cicchitto e Vito, 7-00457 Artini e Sibilia e 7-00458 Duranti e Palazzotto. E’ stata approvata la risoluzione 7-00456 per la quale il Ministro Mogherini ha espresso il parere favorevole del Governo, votata per parti separate (parte motiva e parte dispositiva) con votazioni per appello nominale[3].

Con la risoluzione 7-00456 le Commissioni Esteri e Difesa preso atto di quanto riferito dai Ministri e degli esiti del Consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014, valutato che l'occupazione di ampie porzioni di territorio iracheno e siriano cadute sotto il controllo dell'IS e di ulteriori forze terroristiche fondamentaliste rappresenta una seria minaccia alla sicurezza internazionale, ai sensi della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 2170 (2014), adottata nell'ambito del Capitolo VII della Carta; manifestata viva preoccupazione per la catastrofe umanitaria e le atrocità che soprattutto nel Nord dell'Iraq stanno subendo le minoranze religiose ed in particolare quella cristiana e quella yazida; sottolineata la necessità di tutelare la natura multiconfessionale della regione; incoraggiata la formazione di un nuovo governo iracheno in cui possano riconoscersi tutte le componenti del Paese, a garanzia della sua integrità territoriale e condivisa la ferma condanna espressa dal Consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto nei confronti degli attacchi perpetrati dall'IS e dagli altri gruppi armati associati, che si configurano come veri e propri crimini contro l'umanità, impegnano il Governo a dare attuazione agli indirizzi formulati dal Consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014, rispondendo, d'intesa con i partner europei e transatlantici, alle richieste di aiuto umanitario e di supporto militare delle autorità regionali curde, con il consenso delle autorità nazionali irachene.

Presso il Senato della Repubblica le omologhe Commissioni Esteri e Difesa hanno approvato la risoluzione Doc. XXIV, n. 34, di identico tenore.

Nella seduta dell’Assemblea della Camera del 9 settembre 2014[4] nell’ambito dell’informativa urgente del Governo sul tema del terrorismo internazionale di matrice religiosa il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha dedicato una delle tre parti dell’intervento all’esame della struttura, alle modalità di finanziamento, di propaganda e di reclutamento dell’IS, evidenziandone il carattere di  soggettività statuale antagonista che punta a trarre il massimo profitto dalla crisi dello Stato nazione dei Paesi islamici. L’intervento si è incentrato, inoltre, sulla reazione al fenomeno IS da parte dei Paesi coinvolti e sulla specifica situazione italiana con i relativi  fattori di rischio e di allarme, in ossequio all’obiettivo dichiarato dell’informativa che è quello di mettere a parte il Parlamento dello stato delle conoscenze del fenomeno, delle possibili ricadute sul suolo nazionale e del quadro di cooperazione internazionale globale. L’informativa urgente è stata resa, nella medesima giornata del 9 settembre, anche presso l’Assemblea del Senato della Repubblica.

In pari data, il Ministro degli esteri riferiva alle Commissioni Esteri e Difesa dei due rami del Parlamento sugli esiti del Vertice dell’Alleanza atlantica, tenutosi il 4 ed il 5 settembre in Galles, sottolineando come in quella sede fosse emersa con chiarezza una convergenza tra i partner atlantici circa l’esigenza  di non coinvolgere la NATO in quanto tale nel teatro di crisi siriano-iracheno ma di creare una rete di Paesi che non coinvolgesse solamente alcuni Stati membri del Patto atlantico, ma anche altri Stati, al di fuori dell’Alleanza atlantica a partire dai Paesi arabi ed islamici, con una pluralità di strumenti, non principalmente militari, ma soprattutto sul versante dell’aiuto umanitario, del controllo dei flussi economici e finanziari, fondamentale per arginare i rifornimenti e l’accesso di risorse di ISIS, nella cornice di Nazioni unite.

In quella stessa giornata del 9 settembre, il Governo presentava una proposta emendativa all’art. 4 del disegno di legge di conversione del richiamato decreto-legge n. 109/2014[5], di proroga della partecipazione italiana e missioni internazionali, volta ad autorizzare per l'anno 2014, la spesa di euro 1.965.886 per il trasporto degli aiuti umanitari a favore della popolazione civile irachena effettuato nel mese di agosto, nonché per il trasporto del materiale di armamento ceduto, a titolo gratuito, alla Repubblica dell'Iraq.

In sede di approvazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge, il Governo accoglieva il 17 settembre scorso un ordine del giorno, d’iniziativa dell’on. Gianluca Rizzo (9/2598-A-R/32), riformulato nel corso della seduta, che impegna il Governo a non assumere ulteriori iniziative d'invio in Iraq di armi e militari oltre a quelli presenti nel decreto in esame, senza prima aver dato preventiva comunicazione alle Camere o alle Commissioni competenti che adottano le conseguenti deliberazioni.

I profili della sicurezza interna italiana davanti all’evoluzione della minaccia jihadista esplicitamente rivolta al nostro Paese sono stati oggetto di un’interrogazione a risposta immediata in Assemblea alla Camera (3-01047, Dorina Bianchi ed altri) svolta nella seduta del 24 settembre. In sede di replica il Ministro Alfano ha confermato la necessità di innalzare il livello di guardia, in considerazione sia delle dirette minacce all’Italia, sia anche dell'offensiva delle forze di cooperazione in territorio siriano suscettibile di innescare forme di reazione.

Nell’ambito di una strategia focalizzata sulla valutazione di qualsiasi segnale di pericolo, per quanto tenue, il Ministro dell’Interno ha sottolineato che può considerarsi convocato in permanenza il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, tavolo di alto coordinamento che riunisce  rappresentanti delle Forze di polizia e degli organismi informativi. In un quadro di azione europea - ha affermato Alfano – sta procedendo la proposta italiana, cui può giovare la funzione di Presidenza di turno dell’Ue, di costituire una squadra multidisciplinare di monitoraggio dei combattenti stranieri, nonché il progetto di realizzazione di una banca dati basata sul codice di protezione passeggeri (passenger name record) che metta a disposizione delle polizie le liste dei passeggeri dei voli in transito nell'area Schengen o in arrivo dai Paesi terzi.

Nella seduta dell’11 settembre 2014 presso la Commissione Difesa della Camera si è svolta l’interrogazione a risposta immediata 5-03522 d’iniziativa dell’on. Donatella Duranti sui rischi connessi alla fornitura di armi alle forze curde in Iraq. Con riferimento, in particolare, alla parte dell’interrogazione che si incentra sul rischio di “sviamento”, ossia la perdita di controllo sui destinatari della fornitura, nel testo della risposta viene precisato che, ai sensi di quanto stabilito con un apposito documento (End User Certificate), firmato dal Governo regionale curdo il 28 agosto 2014 su richiesta delle autorità italiane, i destinatari finali della fornitura sono chiaramente individuati e gli utilizzatori finali sono tenuti a non riesportare o trasferire il materiale italiano oggetto dell’operazione senza il consenso delle autorità italiane.

L’End User Certificate prevede che il materiale verificato dalla autorità irachene venga consegnato a destinatari preventivamente individuati, responsabili della distribuzione agli utilizzatori finali, rigorosamente appartenenti all’etnia curda. Le procedure avverranno sotto la supervisione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per il tramite della Rappresentanza diplomatica di Erbil. Quanto all’utilizzo per “fini istituzionali” di materiale d’armamento sequestrato, che è altra questione posta dagli interroganti, nel testo della risposta si esplicita che il necessario decreto interministeriale Giustizia-Difesa-Economia (come stabilito a suo tempo dalla legge 108/2009 e, successivamente, dall’articolo 319 del Codice dell'ordinamento militare[6]) è stato assunto il 4 settembre 2014; con tale provvedimento è stata determinata la destinazione di tali materiali ad uso istituzionale della Difesa.

Le iniziative a protezione del cantone di Kobane nel Kurdistan occidentale (a pochi chilometri dal confine con la Turchia) pesantemente attaccato dall’IS da metà settembre, e la posizione del governo di Ankara, sono stati oggetto dell’interrogazione a risposta immediata in Commissione Esteri 5-03672 d’iniziativa dell’on. Emanuele Scagliusi svolta nella seduta del 1° ottobre.

Ancora sull’assedio della città siriana di Kobane da parte dei miliziani dell'IS e sulla posizione della Turchia è intervenuta alla Camera (seduta del 10 ottobre) l’interpellanza urgente in Assemblea 2-00709 d’iniziativa dell’on. Erasmo Palazzotto. L’on. interpellante ha evidenziato, tra il resto, come l’attacco portato alla capitale – Kobane appunto - della regione autonoma del Rojava costituitasi nel Kurdistan siriano a novembre 2013 dall’unione delle tre enclavi curde di Kobane, Afrin e Cizre, dotatasi di istituzioni democratiche e di forze di difesa del popolo (YPG) e divenuta un pacifico esempio di convivenza e tolleranza di etnie e religioni diverse (curdi, arabi, turcomanni, assiri, armeni, cristiani, yazidi, musulmani), punti a distruggere il simbolo di un'alternativa possibile al modello sociale e religioso perseguito dall’IS.

In sede di replica, il rappresentante del Governo ha dato ampiamente conto della posizione della Turchia sulla strategia di contrasto all’IS, allo stato refrattaria all’opzione di intervento di terra limitato alla città di Kobane propugnato dall’opposizione parlamentare (in particolare dal CHP, il Partito repubblicano del popolo), ed ancorata al testo di una mozione approvata il 1° ottobre il cui mandato – ritenuto troppo vago - autorizza per un anno l'esercito ad intervenire oltre confine, in territorio siriano e iracheno, per fare fronte alle crescenti minacce poste dall'avanzata delle forze dell'IS e consente il transito in territorio turco di truppe straniere nonché l'utilizzo delle basi militari turche da parte della coalizione internazionale.

Il Sottosegretario ha rammentato, altresì, che la Turchia non acconsente nemmeno all’apertura del valico che porta all’enclave di Kobane che consentirebbe – come ha sottolineato anche l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, autore di un appello alla Turchia in tal senso – “ai volontari di entrare nella città con equipaggiamenti sufficienti contribuendo alle operazioni di autodifesa”.

La posizione italiana – ha affermato l’esponente dell’esecutivo – si fonda sull’auspicio che, nel pieno rispetto delle esigenze di sicurezza turche, Ankara sappia articolare il proprio apporto alla strategia della coalizione, commisurandolo alla vasta portata della minaccia di IS alla stabilità della regione mediorientale e della Turchia stessa; e del resto molti soggetti internazionali e numerosi altri Paesi cercano di convincere la Turchia a fare di più, o almeno consentire il passaggio di chi vuole andare a combattere per difendere l’enclave di Kobane, attaccata su più lati con armi pesanti (le armi dell'esercito iracheno prese a Mosul ed anche quelle dell'esercito siriano) e difesa soltanto dalle forze di protezione del popolo curdo delle YPG.

Quanto agli interventi sul piano umanitario, il rappresentante del Governo ha rammentato la tempestività dell’intervento della cooperazione italiana in risposta alla crisi umanitaria in Iraq visto l'afflusso di rifugiati siriani e, più recentemente, a causa dell'offensiva dell'IS. Rammentato che recenti stime delle Nazioni Unite quotano a oltre 1,8 milioni gli sfollati in Iraq, il sottosegretario ha sottolineato che sino ad ora sono stati erogati (dall’Italia) 500.000 euro all'OMS, 250.000 euro al PAM, 230.000 euro all'UNICEF; inoltre, parte del programma del valore di 1 milione di euro già avviato in Iraq in favore dei rifugiati siriani presenti nelle aree del Kurdistan iracheno, è stato riconvertito per realizzare attività in ambito sanitario e formativo in favore dei nuovi sfollati interni presenti nel Paese. Quanto alla regione di Kobane, le precarie condizioni di sicurezza non hanno sino ad ora consentito lo svolgimento di attività umanitarie internazionali.

Da ultimo, il 16 ottobre, presso le Commissioni congiunte Esteri e Difesa della Camera e del Senato si è svolta l’audizione del Ministro della difesa e del sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova, sugli sviluppi del quadro internazionale, con particolare riferimento all'Iraq. In apertura di seduta il Presidente della Commissione Difesa, on. Elio Vito, ha fatto riferimento alla forte preoccupazione per l’attuale quadro geopolitico internazionale emersa nella recente riunione del Consiglio supremo di difesa, con particolare riferimento ai rischi rilevanti per l’Europa e per l’Italia connessi alla pressione militare dell’IS in Siria e in Iraq e correlati anche alla forza attrattiva che il movimento sembra poter esercitare su altre formazioni jihadiste e dell’estremismo islamico in aree non contigue ai territori controllati. In tale situazione – ha sottolineato Vito - il Consiglio supremo di difesa ha rilevato che è necessario che l’Italia, insieme a Nazioni Unite e Unione europea, consideri con estrema attenzione gli eventi in corso ed eserciti ogni possibile sforzo per prevenire, in particolare, l’ulteriore destabilizzazione della Libia; inoltre, la gravità della  situazione evidenzia l’urgenza e l’importanza, pur nei limiti della ridotta disponibilità di risorse, di una rapida trasformazione delle nostre Forze armate e dell’organizzazione europea della sicurezza.

Il Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, dopo aver richiamato origine ed ambizioni espansionistiche dell’IS, definito violentissimo attore politico e militare, ed averne evidenziato il forte appeal ideologico ed economico che fa quotare a 30 mila uomini - nell’ipotesi più pessimistica -  la consistenza del contingente di combattenti, ha rammentato le molteplici iniziative, di carattere sia politico sia militare, poste in campo dalla comunità internazionale per contrastare i fenomeno, a partire dalla collocazione dell’IS nelle black lists delle organizzazioni terroristiche da parte di Paesi musulmani quali la Turchia (2013) e, recentemente, l’Arabia saudita.

Pinotti ha affermato che sessanta tra Paesi ed organizzazioni internazionali cooperano in una coalizione di fatto adottando misure di contrasto, e fra questi almeno dieci stanno concretamente operando con azioni militari. Quanto al nostro Paese, esso sta contribuendo agli sforzi della comunità internazionale con una molteplicità di misure, incluse quelle di carattere militare; a settembre sono state consegnate alle forze curde, ovviamente con il pieno appoggio del Governo iracheno, mitragliatrici in dotazione all’Esercito italiano giudicate cedibili in considerazione dei surplus esistenti nei nostri depositi.

È poi iniziata la fase di confezionamento e trasporto di munizionamento di modello ex sovietico conservato nel deposito di Guardia del Moro, dopo che il materiale era stato confiscato dall’autorità giudiziaria nel 1994. Si tratta – ha precisato Pinotti - di munizionamento per mitragliatrice pesante, nonché di munizioni per sistemi controcarro dei tipi in uso da parte delle forze curde. Il trasporto verso la città di Erbil, nella regione del Kurdistan. La necessità di proseguire nel contributo italiano nelle operazioni contro l’IS vede il nostro Paese orientato verso la fornitura di altro materiale giudicato cedibile nonché verso l’invio di un velivolo KC-767 per il rifornimento in volo degli assetti aerei della coalizione, di due velivoli a pilotaggio remoto tipo Predator per la sorveglianza della regione e di una cellula di ufficiali per le attività di pianificazione. Inoltre si prevede l’invio di personale per l’addestramento e la formazione delle forze che contrastano l’IS, come espressamente richiesto dalle autorità curde: si tratta di un totale di circa duecento militari, inclusi gli elementi di supporto, i quali andrebbero a operare nei luoghi concordati con le autorità irachene e i Paesi della coalizione, presumibilmente ad Erbil.

Il Ministro ha fatto cenno anche all’arrivo in Italia di alcuni militari curdi che verranno addestrati all’uso dei sistemi d’arma che hanno ricevuto in cessione. Inoltre – ha aggiunto Pinotti - sarà possibile inserire successivamente in teatro circa ottanta unità di personale con funzione di consigliere per gli alti comandi delle forze irachene, che porta il totale del personale a 280 unità. Infine, è in fase di pianificazione l’invio di altri assetti pilotati per la ricognizione aerea. Come emerso nel corso del dibattito, poiché l’invio di ulteriori contributi italiani risponde alle necessità riscontrabili in teatro, tale invio rientra nell’ambito del mandato conferito dalle risoluzioni parlamentari del 20 agosto, e, pertanto, non necessita di un ulteriore passaggio “politico” in Parlamento.

Il sottosegretario Della Vedova ha rammentato la scelta di un approccio sin dall’inizio multidimensionale alla questione del contrasto all’IS comprensivo di misure non solo militari, ma anche di sostegno politico, di comunicazione pubblica, di contrasto ai flussi di combattenti stranieri e al loro finanziamento, di coordinamento informativo, umanitarie, di cooperazione nel settore educativo, di promozione delle opportunità di sviluppo economico e sociale; fondato sull’assunzione di concrete responsabilità da parte dei Paesi della regione; pragmatico nel tenere conto delle specificità e delle diverse realtà sul terreno; informato al concetto di unicità del teatro siro-iracheno, viste le caratteristiche di mobilità e rapida capacità di adattamento dimostrate dallo Stato islamico.

Tutto ciò al fine – ha sottolineato il Sottosegretario – non solo di contrastare direttamente, ma anche di ricostituire stabilmente equilibri politico-sociali realistici e sostenibili nei singoli Paesi della regione. Sotto il profilo dell’assistenza umanitaria alla drammatica emergenza che si estende dall’Iraq occidentale alla Siria Nord-orientale, Dalla Vedova ha rammentato che attraverso la cooperazione italiana sono state avviate operazioni nel Kurdistan iracheno per un totale di oltre 2 milioni di euro, di cui 980,000 per attività delle organizzazioni internazionali già presenti in loco (l’OMS, il PAM e l’Unicef) nei settori della salute e sicurezza alimentare, acqua e protezione dei minori.

 

 


Rapporti tra Unione europea ed Iraq
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

L'UE sostiene la transizione dell'Iraq verso la democrazia e la sua integrazione all'interno della regione e nella comunità internazionale.

Nel maggio del 2012, la UE e l'Iraq hanno firmato un accordo di partenariato e di cooperazione, che fornisce un quadro per promuovere il dialogo e la cooperazione sui seguenti temi: questioni politiche e sociali; diritti umani; lo stato di diritto; migrazione; ambiente; commercio; cultura; energia; trasporto e sicurezza.

Sostegno dell’UE all’aiuto umanitario

La situazione umanitaria in Iraq si è deteriorata rapidamente negli ultimi mesi con l'escalation del conflitto armato. Le Nazioni Unite stimano che almeno 23 milioni di persone sono colpite dal conflitto, con 5,2 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria. Tra questi, 1,8 milioni di sfollati dal gennaio 2014 e 3,6 milioni di persone che vivono in zone di conflitto attive, di cui almeno 2,2 milioni sono in immediato bisogno di aiuti umanitari .

Le difficoltà di accesso in molte parti dell'Iraq occidentale e centrale limitano la capacità di fornire assistenza umanitaria..

Il 22 ottobre scorso la Commissione europea ha deciso lo stanziamento supplementare di 3 milioni di euro per aiuti umanitari destinati a sostenere le popolazioni civili per l’arrivo dell’inverno, portando il totale degli stanziamenti per il 2014 a circa 20 milioni di euro.

 Il sostegno umanitario totale della Commissione europea in Iraq dal 2007 ammonta a quasi 150 milioni di euro, compreso il sostegno ai profughi siriani in Iraq. L'assistenza viene prestata attraverso le agenzie delle Nazioni Unite, le organizzazioni internazionali e ONG internazionali.

Recenti prese di posizione del Consiglio dell’UE

Il Consiglio dell’UE nelle conclusioni sulla situazione in Iraq adottate il 15 agosto 2014 ha:

·        ribadito il suo impegno a favore dell'unità, sovranità e integrità territoriale dell'Iraq ed espresso preoccupazione per il grave deterioramento delle condizioni di sicurezza e della situazione umanitaria nel paese, soprattutto nelle regioni settentrionali in conseguenza degli attacchi dell'ISIL e di altri gruppi armati associati;

·        condannato le violazioni dei diritti umani fondamentali, in particolare nei confronti delle minoranze religiose o dei gruppi più vulnerabili;

·        apprezzato la decisione di singoli Stati membri di rispondere positivamente alla richiesta delle autorità regionali curde riguardo alla fornitura urgente di materiale militare;

·        accolto con favore la nomina di Haider Al Abadi a primo ministro designato e espresso fiducia per la costituzione di un nuovo governo inclusivo e in grado di rispondere alle esigenze di tutti i cittadini iracheni. Il Consiglio invita tutti i leader politici, religiosi e tribali, in particolare delle popolazioni sunnita e curda, a promuovere la fiducia nelle istituzioni democratiche;

·        espresso sostegno alla missione di assistenza dell'ONU per l'Iraq (UNAMI) e invitato i paesi confinanti dell'Iraq e gli altri partner a rafforzare la cooperazione.

Il Consiglio dell’UE ha adotta da ultimo, il 20 ottobre scorso, delle  conclusioni sulla crisi dovuta all'ISIL/Da'esh in Siria e in Iraq a, nelle quali:

·        sostiene gli sforzi profusi da oltre sessanta Stati per contrastare la minaccia posta dall'ISIL/Da'esh, compresa l'azione militare nel rispetto del diritto internazionale. Osserva che in questo contesto l'azione militare è necessaria ma non sufficiente e rientra in un più ampio sforzo che comprende misure nei settori politico/diplomatico, della lotta al terrorismo e al finanziamento del terrorismo, nonché nei settori umanitario e della comunicazione. L'UE invita tutti i partner a attuare le pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in particolare la 2170 e la 2178, e a incrementare gli sforzi a livello nazionale per impedire all'ISIL/Da'esh di beneficiare dei profitti derivanti dalle vendite illegali di petrolio e altri beni;

·        ritiene che in conseguenza delle sue politiche e delle sue azioni, il regime di Assad non può essere un partner nella lotta contro l'ISIL/Da'esh;

·        ribadisce il suo fermo impegno a contrastare il grave problema rappresentato dai combattenti stranieri entrati nelle file dell'ISIL/Da'esh e di altri gruppi terroristici;

·        è determinato a prendere provvedimenti immediati e a lungo termine per impedire all'ISIL/Da'esh di beneficiare delle sue fonti di finanziamento e approvvigionamento, nonché per potenziare la sua cooperazione con i paesi confinanti della Siria e dell'Iraq in materia di sicurezza e di lotta al terrorismo;

·        accoglie con favore la formazione del nuovo governo iracheno l'8 settembre e accoglie con favore il fatto che i ministri curdi abbiano assunto le proprie cariche governative. Invita il governo iracheno e il governo della regione del Kurdistan a trovare una soluzione duratura alle loro divergenze;

·        ribadisce il suo fermo impegno a favore dell'unità, della sovranità e dell'integrità territoriale dell'Iraq. È soddisfatto degli sforzi della coalizione, tra cui la decisione dei singoli Stati membri di fornire materiale militare e consulenza all'Iraq per arginare la capacità dell'ISIL/Da'esh di colpire la popolazione civile. Chiede al governo di avvicinarsi a tutte le componenti della società irachena e di perseguire, senza indugio, un processo di riconciliazione nazionale. Sollecita tutte le componenti della società irachena a unirsi nella lotta contro l'ISIL/Da'esh e nel sostegno al processo di riconciliazione nazionale;

·        dichiara la sua disponibilità a sostenere il Governo dell’Iraq nello sviluppo delle riforme necessarie in un ampio spettro di settori, tra cui il settore della sicurezza e l'ordinamento giudiziario;

·        chiede all'Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE di sviluppare una strategia regionale globale per la Siria e l'Iraq, nonché per far fronte alla minaccia dell'ISIL/Da'esh.

Risoluzioni del Parlamento europeo

Nella risoluzione sulla situazione in Iraq, approvata il 14 luglio 2014 il Parlamento europeo:

·        esprime profonda preoccupazione per il rapido aggravarsi della situazione della sicurezza in Iraq e condanna fermamente gli attacchi perpetrati dall'IS contro lo Stato e i cittadini iracheni;

·        sostiene le autorità irachene nella lotta contro il terrorismo dell'IS, ma sottolinea che la risposta alla questione della sicurezza deve essere combinata con una soluzione politica sostenibile che coinvolga tutte le componenti della società irachena;

·        sottolinea inoltre che, nella lotta al terrorismo, occorre rispettare i diritti umani e il diritto umanitario internazionale e sollecita le forze di sicurezza irachene ad agire in linea con il diritto internazionale e nazionale;

·        respinge senza riserve e considera illegittimo l'annuncio della leadership dell'IS, che dichiara di aver stabilito un califfato nelle zone attualmente sotto il suo controllo, e rifiuta l'idea di eventuali modifiche, unilaterali e imposte con la forza, di confini riconosciuti a livello internazionale;

·        sottolinea che l'IS è soggetto all'embargo sugli armamenti e al congelamento dei beni imposto dalle risoluzioni 1267 (1999) e 1989 (2011) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e pone in rilievo l'importanza di una rapida ed efficace attuazione delle misure in questione;

·        invita tutte le parti a contribuire agli sforzi volti a promuovere la sicurezza e la stabilità in Iraq e in particolare a incoraggiare il governo iracheno ad avviare un dialogo con la minoranza sunnita e a riorganizzare l'esercito in modo inclusivo, non settario e imparziale;

·        invita la comunità internazionale, in particolare l'UE, ad agevolare un dialogo regionale sui problemi del Medio Oriente e ad associarvi tutti gli attori più rilevanti, in particolare l'Iran e l'Arabia Saudita;

·        sottolinea che l'UE dovrebbe sviluppare un approccio strategico globale per la regione e osserva, in particolare, che l'Iran, l'Arabia Saudita e gli altri Stati del Golfo, alla luce del loro ruolo fondamentale, dovrebbero partecipare agli sforzi di allentamento delle tensioni in Siria e in Iraq;

·        prende atto dell'annuncio del governo regionale curdo in merito all'organizzazione di un referendum sull'indipendenza; fa tuttavia appello al parlamento e al presidente del Kurdistan iracheno, Massoud Barzani, affinché sostengano un processo inclusivo nel rispetto dei diritti delle minoranze non curde che vivono nella regione.

 

Nella risoluzione sulla situazione in Iraq e in Siria e offensiva dell'IS, del 18 settembre 2014, il Parlamento europeo:

·        sottolinea che gli attacchi sistematici contro i civili a causa della loro appartenenza etnica o politica, della loro religione, del loro credo o del loro genere costituiscono un crimine contro l'umanità;

·        esprime la sua solidarietà con i membri delle comunità cristiane perseguitate, nonché con le altre minoranze religiose oggetto di persecuzioni;

·        respinge senza riserve e considera illegittimo l'annuncio della leadership dell'IS, che dichiara di aver stabilito un califfato nelle zone attualmente sotto il suo controllo e sottolinea che la creazione e l'espansione del «califfato islamico», nonché le attività di altri gruppi estremisti in Iraq e in Siria, costituiscono una minaccia diretta alla sicurezza dei paesi europei;

·        invita il Consiglio dell’UE a prendere in considerazione un utilizzo più efficace delle attuali misure restrittive, in particolare per impedire che l'IS tragga vantaggio dalla vendita illecita di petrolio o dalla vendita di altre risorse sui mercati internazionali;

·        invita l'UE a imporre sanzioni a tutti i soggetti (governi e imprese pubbliche o private) coinvolti nel trasporto, nella trasformazione, nella raffinazione e nella commercializzazione del petrolio estratto in zone controllate dall'IS, unitamente a rigorosi controlli dei flussi finanziari;

·        si compiace dell'invito degli Stati Uniti a formare una coalizione internazionale contro l'IS;

·        accoglie con favore la decisione presa dalla Lega araba il 7 settembre 2014 di adottare le misure necessarie per affrontare l'IS e collaborare nel contesto degli sforzi internazionali, regionali e nazionali ed invita la Lega araba a discutere in merito alla possibilità di modificare la Convenzione araba per la repressione del terrorismo del 1998 per contrastare il terrorismo globale;

·        invita gli Stati membri dell'UE ad assistere le autorità irachene e locali con tutti i mezzi possibili, ivi compresi adeguati aiuti militari, affinché respingano l'espansione terroristica dell'IS;

·        si compiace della decisione di singoli Stati membri di rispondere positivamente alla richiesta delle autorità regionali curde riguardo alla fornitura urgente di materiale militare ed invita gli Stati membri che stanno fornendo materiale militare alle autorità regionali curde a coordinare i relativi sforzi e a mettere in atto misure per impedire una diffusione incontrollata e l'uso di materiale militare contro i civili;

·        invita la Turchia a impegnarsi in maniera chiara e inequivocabile per contrastare la minaccia alla sicurezza comune posta dall'IS;

·        invita l'UE ad agevolare un dialogo regionale sui problemi del Medio Oriente e ad includervi in particolare l'Iran e l'Arabia Saudita;

·        invita la comunità internazionale a mobilitarsi in misura maggiore, a mostrarsi più disponibile nella condivisione degli oneri e ad apportare un sostegno finanziario diretto ai paesi di accoglienza;

·        sottolinea che, nel lungo termine, solo una soluzione politica duratura e inclusiva che comporti una transizione pacifica verso un governo realmente rappresentativo in Siria contribuirebbe a neutralizzare la minaccia dell'IS e di altre organizzazioni estremiste;

·        ribadisce la sua preoccupazione per il fatto che migliaia di combattenti stranieri transfrontalieri, tra cui cittadini degli Stati membri, si siano uniti all'insurrezione dell'IS; invita gli Stati membri ad adottare misure adeguate per impedire ai combattenti di lasciare il loro territorio nonché a sviluppare una strategia comune per i servizi di sicurezza e le agenzie dell'UE per quanto concerne il monitoraggio e il controllo dei jihadisti.

La missione EUJUST LEX-Iraq

Il 31 dicembre 2013 si è conclusa la missione integrata dell'UE sullo stato di diritto per l'Iraq (EUJUST LEX-Iraq) che era finalizzata alla formazione, guida, monitoraggio e consulenza ai funzionari della giustizia penale in Iraq. Tra l'inizio della sua fase operativa nel 2005 e la sua conclusione, la missione ha intrapreso attività di sviluppo delle capacità per 7000 funzionari, contribuendo a rafforzare lo stato di diritto e a promuovere una cultura del rispetto dei diritti umani in Iraq.

 

 

 




[1] Prevede un referendum popolare, non ancora svoltosi,  per definire lo status territoriale di Kirkuk e dei territori contesi. L’articolo 140 prevede:

First: The executive authority shall undertake the necessary steps to complete the implementation of the requirements of all subparagraphs of Article 58 of the Transitional Administrative Law.

Second: The responsibility placed upon the executive branch of the Iraqi Transitional Government stipulated in Article 58 of the Transitional Administrative Law shall extend and continue to the executive authority elected in accordance with this Constitution, provided that it accomplishes completely (normalization and census and concludes with a referendum in Kirkuk and other disputed territories to determine the will of their citizens), by a date not to exceed the 31st of December 2007.

 

 

 

[2]     D.L. 114/2013 (Proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione) convertito, con modificazioni dalla legge 9 dicembre 2013,n. 135.

[3]     Anche le due risoluzioni non approvate sono state votate per parti separate, i particolare intera parte motiva e singoli impegni della parte dispositiva,  e con votazioni per appello nominale.

 

[5]     Decreto-legge 1° agosto 2014, n. 109, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché' disposizioni per il rinnovo dei comitati degli italiani all'estero, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° ottobre 2014, n. 141, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché disposizioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero.

[6]     L’articolo 319 del D. lgs. 15 marzo 2010, n. 66 ai primi due periodi prevede che le armi, le munizioni, gli esplosivi e gli altri materiali di interesse militare sequestrati e acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo di confisca dell’autorità giudiziaria possono essere assegnati al Ministero della difesa per finalità istituzionali, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri della difesa e dell’economia e delle finanze. Si provvede con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, nel caso in cui la confisca è stata disposta dall’autorità giudiziaria militare.

SERVIZIO STUDI

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Missione ad Erbil della III Commissione Affari esteri della Camera dei deputati

(3-4 novembre 2014)

 

 

 

 

 

 

n. 144

 

 

 

 

30 ottobre 2014

 


Servizio responsabile:

 

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

Ha collaborato:

 

Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 / 066760-2146 – * cdrue@camera.it

 

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: ES0295.docx

 


INDICE

La Regione autonoma del Kurdistan iracheno (a cura del Ministero degli affari esteri  e della cooperazione internazionale) 3

Gli interventi anti-ISIL in Iraq e Siria (a cura del Ministero degli affari esteri  e della cooperazione internazionale) 35

Recenti sviluppi del quadro politico iracheno (a cura del Ministero degli affari esteri  e della cooperazione internazionale) 39

Rapporti tra Turchia e Kurdistan iracheno (a cura del Ministero degli affari esteri  e della cooperazione internazionale) 41

L’attività parlamentare in materia (a cura del Servizio Studi della Camera dei deputati) 43

Rapporti tra Unione europea ed Iraq (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea) 55

Profili biografici

§     Mr. Yousif Mohammed Sadiq Speaker of Kurdistan Parliament-Iraq  63

§     Qubad Talabani Vice Primo ministro del Governo regionale del kurdistan  65

Pubblicistica

§     ’Stati Uniti d’America: I dubbi sugli attacchi ‘intelligenti’ degli Stati Uniti’, in: www.lookoutnews.it, 2 ottobre 2014  69

§     ’Turchia: La Turchia in guerra contro lo Stato islamico’, in: www.lookoutnews.it, 3 ottobre 2014  69

§     G. Cuscito ‘Le debolezze della coalizione contro lo Stato Islamico in Iraq e Siria’, in: Limes, 2 ottobre 2014  69

§     ’Turchia: Gli jihadisti in cammino verso l’Europa’, in: www.lookoutnews.it, 6 ottobre 2014  69

§     G. Cucchi ‘Il campanello d’allarme – Grazie, Califfato! Grazie, Califfo!’, in: www.affarinternazionali.it, 6 ottobre 2014  69

§     V. Camporini ‘Perché l’intervento contro ISIS non sarà sufficiente’, in: www.aspeninstitute.it, 7 ottobre 2014  69

§     V. Giannotta ‘L’ISIS e la possibile svolta della politica estera turca’, in: www.aspeninstitute.it, 7 ottobre 2014  69

§     R. Menotti ‘I raid aerei contro ISIS: il volto soft dell’hard power’, in: www.aspeninstitute.it, 7 ottobre 2014  69

§     A. M. Valli ‘Vaticano e Iran uniti per proteggere i cristiani’, in: www.affarinternazionali.it, 7 ottobre 2014  69

§     U. Tramballi ‘Le periferie della grande guerra contro il califfato’, in: www.affarinternazionali.it, 7 ottobre 2014  69

§     M. Arnaboldi ‘Sharia4: un ponte tra Europa e Levante’, in: Commentary ISPI, 8 ottobre 2014  69

§     ’Siria: Kobane sotto assedio: le falle della strategia americana’, in: www.lookoutnews.it, 9 ottobre 2014  69

§     G. Cucchi ‘E se Lawrence d’Arabia avesse avuto ragione?’, in: Limes, 9 ottobre 2014  69

§     F. Ventura ‘Lo Stato Islamico minaccia l’equilibrio idropolitico in Siria e Iraq’, in: Limes, 9 ottobre 2014  69

§     E. Harris ‘ISIS and Social Media’, in: www.cesi-italia.org., 9 ottobre 2014  69

§     M. Guidi ‘La Turchia osserva il massacro dei curdi di Kobane’, in: www.affarinternazionali.it, 9 ottobre 2014  69

§     ’Siria: L’intervento di terra americano in Siria e Iraq? Poco credibile’, in: www.lookoutnews.it, 10 ottobre 2014  69

§     L. Liimatainen ‘Lo Stato Islamico e il ricordo del primo jihad in Arabia Saudita’, in: Limes, 10 ottobre 2014  69

§     A. M. Cossiga ‘Invece di bombardare lo Stato Islamico, dovremmo dialogarci’, in: Limes, 13 ottobre 2014  69

§     N. Ronzitti ‘Casini e Cicchitto, l’Onu contro il Califfo – Si può intervenire anche senza le Nazioni Unite’, in: www.affarinternazionali.it, 13 ottobre 2014  69

§     ’Turchia: La Turchia combatte i curdi e aiuta lo Stato Islamico’, in: www.lookoutnews.it, 15 ottobre 2014  70

§     ’Iraq: Baghdad nel mirino dello Stato Islamico, in: www.lookoutnews.it, 16 ottobre 2014  70

§     ’Siria: I caccia dello Stato Islamico’, in: www.lookoutnews.it, 17 ottobre 2014  70

§     F. Ventura ‘La guerra all’Is è l’ultima priorità per la Turchia in Siria’, in: Limes, 17 ottobre 2014  70

§     ’Siria: La prova di forza di Kobane’, in: www.lookoutnews.it, 20 ottobre 2014  70

§     A. M. Cossiga ‘Ribadisco: prima di distruggere lo Stato Islamico, parliamoci’, in: Limes, 20 ottobre 2014  70

§     ‘Turchia: Chi sono i curdi’, in: www.lookoutnews.it, 23 ottobre 2014  70

§     ’Siria: La storia si ripete: le armi degli USA in mano al nemico’, in: www.lookoutnews.it, 23 ottobre 2014  70

§     F. Arpino ‘Fare la guerra al Califfo, fingendo di non farla all’Islam’, in: www.affarinternazionali.it, 23 ottobre 2014  70

§     G. Cuscito ‘Nella lotta all’Is Kobane è un’emergenza, l’Anbar è la priorità’, in: Limes, 17 ottobre 2014  70

§     R. Giaconi ‘I due fronti australiani della guerra allo stato Islamico’, in: Limes, 29 ottobre 2014  70

§     A. Plebani ‘L’Iraq tra le ombre del califfato e le speranze del nuovo esecutivo Al-Abadi’, paper presentato al Seminario della Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della NATO sul tema Isis: conoscere una minaccia, Roma, 30 ottobre 2014  70

Documentazione allegata

§     OCHA (UNITED NATIONS OFFICE FOR THE COORDINATION OF HUMANITARIAN AFFAIRS) ‘Iraq CRISIS’ Situation Report No. 17 (18 October – 24 October 2014) 73

 

 

 



SIWEB

L’Offensiva dello “Stato islamico” in Iraq ed in Siria:
cronologia degli ultimi avvenimenti
(a cura del Servizio Studi
della Camera dei deputati)

 

 

Giugno 2014

Il 5 giugno la formazione jihadista dello “Stato islamico” (IS) forniva una prima assoluta dimostrazione di forza sullo scenario iracheno – mentre già da tempo si era invece affermata nella caotica situazione dei combattimenti in territorio siriano -  conquistando importanti posizioni, e per di più con il controllo di una regione in cui si concentrano le scarse risorse petrolifere di Damasco - con l’occupazione per alcune ore di diversi quartieri di una delle città simbolo degli sciiti iracheni, Samarra, che i miliziani dell’IS abbandonavano solo dopo molte ore di scontri con le forze di sicurezza irachene, coadiuvate anche da elicotteri.

Intanto a Falluja, da gennaio nelle mani dell’IS, oltre alle centinaia di vittime dei bombardamenti governativi che inutilmente hanno tentato di riprendere la città, la situazione umanitaria della popolazione si rivelava agli occhi di una delegazione del Comitato internazionale della Croce rossa assolutamente disastrosa, con grave penuria di cibo, acqua e materiale sanitario, e con l’unico ospedale gravemente danneggiato.

Il 7 giugno una serie di attentati per mezzo di autobomba devastava alcuni quartieri periferici sciiti di Baghdad, provocando almeno 60 morti, nelle stesse ore in cui nel campus universitario di Ramadi, ad appena 100 km dalla capitale, i miliziani jihadisti prendevano in ostaggio studenti e impiegati. Intanto a Mosul una sessantina di morti erano il risultato di scontri tra forze di sicurezza e miliziani qaidisti, dopo che già il giorno precedente vi erano state oltre 30 vittime. Le azioni dell’IS cominciavano a mostrare un’ampiezza allarmante, ben al di fuori della provincia di al-Anbar.

Il 10 giugno questi timori erano pienamente confermati, con la caduta in mano all’ IS di gran parte della provincia settentrionale di Ninive, e soprattutto della sua capitale Mosul, seconda città del paese, posta al centro della regione petrolifera del nord dell’Iraq. Nella circostanza erano confermate le paure sulla tenuta dell’esercito iracheno, che perlopiù si limitava a ripiegare dalle proprie posizioni, mentre i miliziani jihadisti dilagavano anche in parte nelle due province limitrofe di Kirkuk e Salahuddin – in quei giorni centinaia di soldati iracheni venivano decapitati dai jihadisti, spargendo il terrore nelle popolazioni limitrofe e provocando sdegno in tutto il mondo.

Nei giorni successivi emergeva come le divisioni tra sciiti e sunniti avessero minato le forze armate di Baghdad, oltretutto non addestrate ad azioni antiguerriglia, nonostante gli ingenti acquisti di armamenti sofisticati degli ultimi anni. A fronte di questi sviluppi il governo di Baghdad reagiva con un appello per distribuire armi ed equipaggiamenti militari ai volontari intenzionati a combattere contro i miliziani dell’IS e contro il loro capo al-Baghdadi, conosciuto anche come Abu Dua, dal 2011 al vertice dell’organizzazione, con l’obiettivo di dar vita a un califfato che raggruppi le regioni settentrionali dell’Iraq e della Siria, cancellando gli ormai secolari confini tracciati dalle potenze coloniali europee.

L’11 giugno l’avanzata dell’IS appariva inarrestabile, con la conquista di Tikrit, ex roccaforte di Saddam Hussein e principale città della provincia di Salahuddin. La strategia dell’IS cominciava a delinearsi, con il chiaro obiettivo di un controllo delle risorse petrolifere dell’Iraq settentrionale, da conseguire con l’accerchiamento della città di Kirkuk, avendo conseguito nel frattempo il controllo della più grande raffineria di petrolio dell’Iraq e di una centrale elettrica di grande importanza regionale - le mosse dell’IS sullo scenario iracheno vanno collegate a quanto già conseguito in territorio siriano, dove le zone conquistate sono anch’esse le sole ricche di petrolio del paese.

L’avanzata dell’IS, tuttavia, era destinata fatalmente a scontrarsi con le ambizioni dei curdo-iracheni, che, nonostante forti contrasti con Baghdad, già da tempo avevano iniziato ad esportare autonomamente il petrolio del nord, e vedevano ora in pericolo la posizione di forza conquistata dopo la caduta di Saddam Hussein. In effettiil 12 giugno le truppe curde dei peshmerga assumevano il controllo di Kirkuk, dopo lunghi giorni in cui erano rimaste attestate sulle proprie posizioni, attendendo un’intesa con il governo di Baghdad.

Al quadro complessivo va aggiunta anche la catastrofe umanitaria, con oltre mezzo milione di iracheni costretti ad abbandonare le proprie case - da sommare ai quasi 300.000 rifugiati in Iraq in fuga dalla guerra civile siriana-, di fronte alla violenza fanatica dell’IS, che dava inizio alla distruzione e all’incendio di chiese e conventi cristiani. Anche la Turchia si trovava involontariamente coinvolta, quando una cinquantina di propri diplomatici venivano presi in ostaggio dall’IS, circostanza particolarmente imbarazzante per Ankara, visto lo scoperto appoggio prestato agli elementi jihadisti siriani in lotta contro il regime di Assad, ma che non aveva potuto prevedere l’apparire sulla scena di un elemento come l’IS, relativamente tollerato dal regime di Assad in quanto già da tempo impegnato in una dura lotta contro gli elementi jihadisti più legati ad al-Qaida.

Il precipitare della situazione induceva il 13 giugno, nel corso delle consuete preghiere del venerdì, il Grande Ayatollah dell’Iraq al-Sistani a richiamare i fedeli alla difesa della capitale contro l’avanzata dei jihadisti sunniti, nelle stesse ore in cui si aveva notizia dell’ingresso in Iraq di alcune centinaia di volontari provenienti dalle file dei pasdaran iraniani. La gravità della situazione induceva anche il presidente degli Stati Uniti Obama ad una presa di posizione in diretta televisiva, durante la quale prometteva una decisione nel giro di pochi giorni sugli aiuti al governo iracheno per respingere l’IS: il presidente Obama precisava anche che gli USA non si sarebbero fatti coinvolgere nel nuovo dramma iracheno senza un piano di cooperazione tra le diverse parti del paese, e in ogni caso Obama escludeva categoricamente l’invio di truppe di terra.

Le preoccupazioni di Teheran per lo sviluppo degli eventi sullo scenario iracheno erano testimoniate il 14 giugno dalle dichiarazioni del presidente Rohani, che si diceva pronto a intervenire, mentre cresceva l’avanguardia di pasdaran iraniani dislocati in territorio iracheno. Rohani si spingeva a immaginare una possibile collaborazione contro l’IS tra Iran e Stati Uniti, ma solo dopo aver constatato l’effettivo impegno di Washington sulla questione – Washington che dal canto suo rendeva noto di aver disposto lo spostamento nel Golfo Persico di una squadra navale comprendente la portaerei HW Bush.

Nei giorni successivi la battaglia nel nord dell’Iraq si concentrava prevalentemente intorno alle infrastrutture energetiche, tanto che diverse compagnie straniere del petrolio preparavano l’evacuazione del proprio personale: i combattimenti si accanivano particolarmente attorno alla più grande raffineria del paese, che ciascuna delle parti rivendicava di aver posto sotto il proprio controllo.

Frattanto il governo iracheno, per bocca del ministro degli esteri Zebari, rendeva noto di aver richiesto ufficialmente l’intervento aereo americano contro i miliziani dell’IS, che intanto procedevano al rapimento di 40 operai indiani impiegati nella zona. Il presidente iraniano Rohani tornava a far sentire la propria voce a difesa dei luoghi sacri degli imam sciiti in territorio iracheno, che l’Iran sarebbe disposto a proteggere in tutti i modi, anche con l’invio di numerosi volontari già pronti a recarsi in Iraq.

Gli Stati Uniti precisavano i contorni del proprio impegno dicendosi pronti a inviare a Baghdad fino a 300 consiglieri militari e a compiere azioni mirate contro i miliziani dell’IS, pur continuando ad escludere in ogni modo l’invio di truppe di terra. Più rilevante della prospettiva di impegno militare appariva nel contempo lo sforzo politico della Casa Bianca, che faceva sempre meno per nascondere l’ostilità alla formazione di un governo nuovamente presieduto da Nuri al-Maliki- ormai percepito come troppo scopertamente legato all’Iran e agli interessi confessionali sciiti, e inviso in particolar modo all’Arabia Saudita e alla Turchia, sul cui impegno invece gli Stati Uniti contano in modo particolare per una soluzione della complessa questione posta dall’IS.

Tra l’altro, proprio nel maturare dell’ostilità contro al-Maliki si infrangevano le possibilità di un’effettiva collaborazione di Washington con Teheran, come evidenziato da un aspro intervento della Guida Suprema iraniana Ali Khamenei – non seguita peraltro su questo terreno dal Grande Ayatollah iracheno al-Sistani, che il 20 giugno lanciava un appello per cacciare i ribelli e formare un governo efficace che evitasse gli errori del passato, con un’implicita ma pesantissima critica all’operato di al-Maliki. In questo difficile contesto il segretario di Stato americano John Kerry il 23 giugno si recava a Baghdad per far presente la posizione americana, favorevole alla formazione di un governo in cui tutte le componenti del paese fossero rappresentate: frattanto le truppe dell’IS assumevano il controllo del confine iracheno con la Giordania.

Il 28 giugno i combattimenti proseguivano in direzioni opposte: mentre infatti le truppe fedeli ad al-Maliki erano impegnate in una controffensiva per la riconquista di Tikrit, i miliziani dell’IS si spingevano fino all’estrema periferia di Baghdad, e nei combattimenti sarebbero morti una ventina di soldati governativi. Il luogo dello scontro, a una cinquantina di km da Baghdad, dista solo 20 km dalla città santa di Karbala, residenza della maggiore autorità religiosa sciita del Medio Oriente, ovvero il Grande Ayatollah al-Sistani.

Il 29 giugno si aveva da parte dell’IS la proclamazione della nascita di un califfato nei territori conquistati in Iraq e in Siria: l’IS annunciava altresì di aver cambiato il proprio nome semplicemente in quello di Stato islamico (IS). Il gruppo innalzava il proprio leader Abu Bakr al-Baghdadi al rango di califfo, e quindi di capo dei musulmani in tutto il mondo. Naturalmente all’atto di nascita del califfato non era attribuita alcuna rilevanza diplomatica, per quanto si tratti di un territorio con una superficie pari a quella dell’Ungheria, attraversato dal più grande fiume mediorientale, l’Eufrate, e con numerosi valichi frontalieri verso la Turchia e la Giordania. Peraltro appare assai diverso l’assetto di governo nei territori siriano e iracheno: mentre infatti in Siria l’IS è impegnato in combattimenti contro altri gruppi jihadisti, e sembra imporre con la forza la propria supremazia alle popolazioni locali, in Iraq il movimento jihadista appare sostenuto da ampi strati della popolazione sunnita, in odio alla politica giudicata discriminatoria e filoiraniana del premier di Baghdad al-Maliki.

L’aggravarsi della situazione di sicurezza dell’Iraq induceva il 30 giugno la Casa Bianca a inviare un ulteriore contingente di duecento soldati equipaggiati per il combattimento a protezione dell’ambasciata USA e dell’aeroporto di Baghdad. Sul fronte politico, intanto, nell’imminenza della riunione del 1° luglio del nuovo parlamento uscito dalle elezioni del 30 aprile, aveva luogo una riunione dell’Alleanza nazionale, piattaforma che riunisce le principali formazioni politiche sciite, completamente disertata da curdi e sunniti, nonostante avesse in programma colloqui per la designazione del premier.

Nuove notizie di atrocità compiute dai miliziani dell’IS venivano ridimensionate dal patriarca caldeo di Baghdad, Mons. Sako, evidentemente allo scopo di non esacerbare gli animi in una situazione comunque assai difficile per la comunità cristiane da sempre residenti nei luoghi caduti sotto il controllo del “califfato”.

Un segnale importante delle preoccupazioni sulla sicurezza del paese era stata intanto fornita dalla decisione delle autorità di Baghdad di oscurare i principali social network in territorio iracheno per tre settimane, decisione annullata proprio il 30 giugno.

 

Luglio 2014

Il mese di luglio si apriva con la richiesta, da parte del presidente del Kurdistan iracheno Massoud Barzani al Parlamento della Regione autonoma, di tenere un referendum sull'indipendenza: la mossa di Barzani va inquadrata nel nuovo scenario destabilizzato dell’Iraq, rispetto al quale sembra mirare, più che ad una soluzione, ad assicurare gli interessi della minoranza curda del paese, oltretutto in prima linea contro l’assalto dell’IS.

Alla metà di luglio a Mosul la stretta imposta dall’IS – in previsione della quale già all’arrivo delle milizie jihadiste centinaia di migliaia di abitanti cristiani, curdi e turcomanni avevano precipitosamente abbandonato la città – si rivelava pienamente, con l’imposizione di rigidi precetti ispirati alla Shari’a, e con l’avvio di una vera e propria furia iconoclasta diretta contro statue, mausolei e immagini ritenuti offensivi dell’Islam, nonché contro moschee sciite e chiese cristiane. Numerosi funzionari governativi a Mosul venivano rapiti, mentre si accrescevano le pressioni nei confronti dei non sunniti.

Questa escalation culminava il 18 luglio, quando migliaia di cristiani rimasti a Mosul ne venivano cacciati a forza, e subivano rapine e ulteriori vessazioni mentre precipitosamente tentavano di raggiungere le aree controllate dai curdi.

Con il passare dei giorni si chiariva il principale criterio seguito dall’IS nella distruzione di antichi templi, ovvero il criterio di colpire maggiormente i luoghi oggetto di culto da parte di diverse confessioni, come ad esempio l’antica moschea di Giona, sita nei pressi delle rovine dell’antica città di Ninive, per tradizione il luogo di sepoltura del profeta ebraico, visitato da cristiani, ebrei e musulmani, e che i jihadisti procedevano il 25 luglio a distruggere con esplosivi, qualificandola quale luogo di apostasia proprio perché oggetto di pellegrinaggi congiunti tra fedeli di diverse religioni. Nella stessa giornata e per gli stessi motivi i miliziani distruggevano la tomba di Seth, il figlio di Adamo ed Eva dal quale secondo la Bibbia discenderebbe tutta l’umanità.

L’aggravarsi della pressione contro i cristiani aveva provocato già nei giorni precedenti un’iniziativa del patriarca caldeo di Baghdad mons. Sako, che in una lettera al Segretario generale dell’ONU aveva chiesto l’intervento del Consiglio di sicurezza per porre fine alle atrocità perpetrate contro i cristiani. Mons. Sako riscontrava il 26 luglio la vicinanza e la partecipazione del Papa in un colloquio telefonico, mentre il patriarca della Chiesa siro-ortodossa preannunciava la richiesta delle Chiese d’Oriente alle più alte autorità religiose musulmane di una condanna dei crimini compiuti contro i cristiani dai miliziani dell’IS. Effettivamente il 9 agosto, in un colloquio a Najaf con Mons. Sako, al-Sistani avrebbe condannato gli attacchi alle minoranze religiose.

 

 

 

Agosto 2014

L’inizio di agosto vedeva un’ulteriore forte accelerazione nell’espansione dell’IS, e un rapido cedimento dei peshmerga, che erano costretti ad abbandonare le proprie posizioni e a ripiegare in montagna: tra il 2 e il 3 agosto cadevano in mano alle forze jihadiste dell’IS le città di Zumar e Sinjar, nonché i campi petroliferi di AinZalah e Batma.

La città di Sinjar aveva già accolto decine di migliaia di profughi messi in fuga dall’avanzata dell’IS delle passate settimane, e all’interno di essa rendeva tutto ancor più tragico la presenza della minoranza degli Yazidi, parlanti una lingua curda e seguaci di una religione antichissima ispirata allo zoroastrismo persiano, che gli islamisti radicali considerano una religione adoratrice del diavolo. Conseguenza immediata dell’avvicinamento dell’IS a Sinjar era la fuga di migliaia di essi sulle montagne, in una condizione di totale precarietà e a rischio della vita. La gravità della situazione induceva il 4 agosto il premier iracheno al-Maliki a superare le diffidenze nei confronti dei curdi iracheni, ordinando all’aviazione di Baghdad di operare in appoggio aipeshmerga.

Il 5 agosto nel Parlamento di Baghdad una deputata della comunità degli Yazidi riferiva che 500 uomini erano stati assassinati dai jihadisti e centinaia di donne fatte prigioniere e trasferite. Nella stessa giornata il Consiglio di sicurezza dell’ONU esprimeva condanna delle azioni dell’IS, i cui attacchi sistematici contro i civili in base alla loro origine etnica, la loro religione o le loro convinzioni personali rientrano nella categoria dei crimini contro l’umanità, i cui autori divengono responsabili e perseguibili. Tuttavia, più incisiva della Dichiarazione del Consiglio di sicurezza appariva almeno potenzialmente il patto di collaborazione tra i curdi dell’Iraq, della Turchia e della Siria, che si dicevano pronti ad accantonare le annose divergenze per uno sforzo comune contro l’avanzata dei jihadisti.

Sempre il 5 agosto il viceministro degli esteri italiano Pistelli si recava a Baghdad, incontrando anche il presidente della Repubblica da poco eletto, il curdo Fouad Masum: secondo Pistelli la minaccia dell’IS è tale da coinvolgere la stabilità dell’intero Medio Oriente, e non solo quella dell’Iraq, e di fronte ad essa non è possibile restare inerti.

Dopo una notte di bombardamenti in ampie zone della piana di Ninive, l’IS provocava un nuovo gigantesco esodo di cristiani da numerosi villaggi, valutati in circa centomila, ancora una volta in fuga in condizioni disperate, come efficacemente descritto nell’appello di Mons. Sako all’agenzia Asianews del 7 agosto - nel quale l’alto prelato rilevava anche la scarsa cooperazione tra autorità curde e centrali del paese, e quindi le poche speranze di fermare l’onda di piena dell’IS in assenza di un intervento della comunità internazionale. Non a caso nella stessa giornata del 7 agosto il Papa lanciava un appello per porre fine al dramma umanitario in atto e per assistere i numerosissimi sfollati.

Frattanto l’IS si impadroniva della più grande città cristiana in Iraq, Qaraqosh, provocando decine di migliaia di altri profughi: nelle stesse ore cadeva nelle mani dei jihadisti anche la più grande diga dell’Iraq, quella sul Tigri a nord di Mosul, dalla quale dipendono le forniture idriche in gran parte del nord iracheno. Le truppe dei peshmerga non apparivano intanto in grado di opporsi validamente all’avanzata dell’IS, e in più il Kurdistan iracheno risentiva della grande massa di centinaia di migliaia di profughi ormai entrati in cerca di scampo nel suo territorio.

In questo clima il presidente degli Stati Uniti Obama autorizzava attacchi aerei mirati a protezione dei civili – per evitare un genocidio - e del personale americano nel nord dell’Iraq: i raid iniziavano l’8 agosto, poco prima delle 13 ora italiana, dopo il lancio di viveri e aiuti umanitari per i profughi nell’area di Sinjar. L’iniziativa americana veniva subito salutata con favore dalla Francia, pronta a prendervi parte. Anche dal Regno Unito giungeva sostegno all’azione statunitense, senza peraltro prevedere un proprio intervento militare, se non in termini di assistenza tecnico-militare gli Stati Uniti e aiuto umanitario per gli sfollati. L’Italia, con una dichiarazione del ministro degli esteri Federica Mogherini, condivideva prontamente la scelta americana.

Le prime ondate di attacchi contro i miliziani dell’IS sembravano assai efficaci - come sottolineato dal presidente della regione autonoma del Kurdistan barzani, che però chiedeva anche di ricevere l’armamento necessario per proseguire l’offensiva sul terreno -, e consentivano ai peshmerga il 10 agosto la riconquista di due cittadine situate in posizione strategica, mentre circa la metà degli Yazidi intrappolati da giorni sulle montagne vicine a Sirjan, circa 20.000, riuscivano a porsi in salvo. Sul fronte politico iracheno crescevano intanto le pressioni su al-Maliki per una sua rinuncia alla riconferma al la carica di premier - da ultimo il 10 agosto il ministro degli esteri francese Fabius recatosi a Baghdad, che ribadiva la necessità di un governo iracheno inclusivo di tutte le componenti del paese. Il presidente Masum, allo scopo di accelerare la formazione del nuovo esecutivo, si spingeva a minacciare lo scioglimento del parlamento se non fosse stato nominato in breve tempo un nuovo primo ministro.

Il giorno successivo, 11 agosto, il presidente Masum incaricava di dar vita al nuovo governo Haidar al-Abadi, anch’egli sciita, su indicazione della riunione dei partiti sciiti (Alleanza nazionale): a tale designazione reagiva con veemenza il premier uscente al-Maliki, definendola una violazione della Costituzione - in quanto il suo partito, lo Stato del diritto, aveva riportato la maggioranza relativa nelle elezioni del 30 aprile. Al-Maliki mobilitava alcuni suoi sostenitori, dopo che nella notte tra 10 e 11 agosto aveva esercitato forti pressioni con un ingente schieramento di esercito e polizia nel centro di Baghdad.

A tutto ciò aveva reagito l’inviato dell’ONU a Baghdad Mladenov, che diffidava le forze di sicurezza dal porre in atto interferenze del processo politico democratico, mentre gli Stati Uniti confermavano i propri orientamenti dei giorni precedenti approvando la novità politica rappresentata dall’incarico ad al-Abadi, proseguivano i raid contro i miliziani dell’IS e iniziavano la fornitura diretta di armi ai miliziani curdi. Sul piano internazionale anche la Lega araba, per bocca del suo segretario al-Arabi, condannava le violenze dell’IS come crimine contro l’umanità, mentre il portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera europea appoggiava la formazione di un nuovo esecutivo capace di affrontare la crisi in atto ripristinando l’unità nazionale.

Il 12 agosto si registravano segnali di movimento anche sul fronte dell’Unione europea, dove il capo della diplomazia francese Fabius e il suo omologo italiano Federica Mogherini richiedevano con urgenza la riunione straordinaria di unCconsiglio dei ministri degli esteri per affrontare la situazione irachena.

Intanto si riuniva il Comitato politico straordinario con la partecipazione degli ambasciatori a Bruxelles dei 28 Stati membri dell’UE, e si cominciava a intravedere la possibilità della fornitura di armi da parte degli Stati membri ai peshmerga curdi: il Comitato politico straordinario raggiungeva anche un’intesa sul rafforzamento del coordinamento dell’aiuto umanitario, affidato alla Commissione europea  in virtù del meccanismo di protezione civile di cui essa dispone per accrescere l’efficacia degli interventi in situazioni di crisi. Proprio dalla Commissione, ed in particolare dal Commissario agli aiuti umanitari Georgieva, veniva poi l’annuncio dello stanziamento di ulteriori 5 milioni di euro per la situazione umanitaria nel nord dell’Iraq.

Il 13 agosto al-Maliki proseguiva nella sua ostinata resistenza alla svolta politica rappresentata dall’incarico per il nuovo governo ad al-Abadi, presentando ricorso alla Corte federale: la sua posizione si faceva tuttavia sempre più isolata, stante l’assenso alla designazione di al-Abadi proveniente dall’Organizzazione della conferenza islamica e, soprattutto, dall’Iran e dalla Siria – ciò privava di colpo al-Maliki della sponda più importante su cui giocare. Intanto la capitale Baghdad veniva colpita da quattro autobomba, con la morte di una ventina di persone e il ferimento di una cinquantina.

Sul terreno dell’Iraq settentrionale un centinaio di marines e forze speciali americani atterravano sul territorio montuoso nei pressi di Sinjar per organizzare l’esodo di circa 30.000 civili Yazidi ancora intrappolati sul luogo: nel contempo Washington disponeva l’invio di altri 130 consiglieri militari in Iraq.

Anticipando gli sviluppi in sede europea, il presidente francese Hollande stabiliva nella stessa giornata del 13 agosto di procedere senz’altro all’invio di armi ai peshmerga curdi.

Il 14 agosto finalmente al-Maliki, dopo la notizia dell’invito a farsi da parte già da tempo pervenutogli dalla guida suprema degli sciiti iracheni,il  Grande Ayatollah al-Sistani, annunciava le proprie dimissioni e l’appoggio al nuovo premier incaricato al-Abadi. Sul terreno intanto secondo gli americani diveniva meno urgente un’operazione per evacuare i profughi Yazidi dalle montagne intorno a Sinjar, perché nel frattempo grazie ai raid aerei statunitensi era stato rotto l’assedio di cui erano sottoposti da parte dell’IS.

Il 15 agosto si svolgeva il Consiglio dei ministri degli affari esteri UE richiesto con forza da Francia e Italia, nel corso del quale era espresso sostegno agli Stati membri per la fornitura di armi ai peshmerga curdi. Il Consiglio straordinario si occupava anche dell’assistenza umanitaria alla popolazione colpita dall’IS, esprimendo apprezzamento per la rinuncia di al-Maliki, con un invito al nuovo premier incaricato a dar vita a un governo di ampia inclusione. I ministri degli esteri degli Stati UE esprimevano inoltre una forte volontà di facilitare una reazione politica regionale contro l’espansione dell’IS. Nella stessa giornata il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvava all’unanimità una risoluzione volta ad ostacolare i finanziamenti e le forniture di armi all’IS.

Alla metà di agosto si spargeva la notizia di massacri effettuati dalla formazione jihadista dell’IS anche in territorio siriano, ove dall’inizio del mese sarebbero stati massacrati circa 700 appartenenti al gruppo tribale dei Chaitat, renitente ad accettare l’autorità dell’IS.

Il 16 agosto veniva denunciato un nuovo crimine commesso dall’IS nel villaggio di Kojo, vicino a Sinjar, con l’uccisione di un’ottantina di uomini e quasi duecento donne rapite. Sul terreno dei combattimenti l’aviazione americana intensificava gli attacchi aerei sulle postazioni dell’IS a presidio della diga di Mosul, precedendo un attacco di terra dei peshmerga sullo stesso obiettivo. Intanto nella capitale del Kurdistan Erbil arrivava il primo dei sei voli umanitari predisposti dal nostro paese.

Il 17 agosto l’intensificazione dei raid aerei americani contro le milizie dell’IS consentiva ai peshmerga la riconquista della diga di Mosul e di tre cittadine situate a est della stessa. Questi sviluppi positivi potrebbero tuttavia avere il loro pendant negativo, come sottolineato dal ministro degli esteri tedesco Steinmeier di ritorno da una missione il 16 agosto a Baghdad e nel Kurdistan, preoccupato per la possibilità che i successi dei peshmerga curdi in una situazione di debolezza delle forze armate federali irachene possano facilitare la formazione di uno Stato curdo indipendente che sarebbe, secondo Steinmeier, un fattore di ulteriore destabilizzazione regionale.

Si riaccendeva intanto il versante siriano dell’IS, dove l’aviazione di Damasco attaccava ripetutamente le postazioni jihadiste nella provincia di Raqqa: secondo molti osservatori Assad cercava in questo modo di allinearsi alle iniziative messe in campo dagli Stati Uniti contro l’IS in territorio iracheno, accreditandosi nel quadro di una più generale lotta contro tutti i fondamentalisti.

Il 18 agosto le forze curde in lotta contro l’IS annunciavano la riconquista, dopo la diga di Mosul, di altre località nel nord dell’Iraq, e di prepararsi a riprendere la stessa Mosul ai miliziani jihadisti. Per la verità alcuni combattimenti proseguivanoanche nei pressi della diga, ma secondo il portavoce del comando delle forze armate irachene si trattava solo di scontri limitati in alcuni edifici prospicienti, mentre vi era anche la necessità dello sminamento di altri fabbricati. Combattimenti tra le forze armate irachene e i miliziani dell’IS erano in corso inoltre nella provincia di al-Anbar.

Rilevante la presa di posizione di Papa Francesco il quale, nel viaggio aereo di ritorno dalla Corea del sud, si spingeva a criticare ogni approccio unilaterale, a favore di un’azione della Comunità internazionale sotto l’egida dell’ONU, volta esclusivamente a porre fine all’aggressione dell’IS nel nord dell’Iraq, e non a dar vita a una nuova guerra o a nuovi bombardamenti. Il Papa si diceva inoltre disposto a recarsi in Kurdistan, dove già nei giorni precedenti aveva inviato il cardinale Fernando Filoni, già Nunzio apostolico a Baghdad. Il cardinal Filoni, in una dichiarazione congiunta con il patriarca caldeo Mons. Sako, chiedeva alla Comunità internazionale un intervento volto non solo alla fornitura di aiuti umanitari, ma anche alla liberazione dei luoghi occupati dall’IS con rapidità e in via definitiva.

La forte connessione tra il versante siriano e quello iracheno del “califfato” proclamato alla fine di giugno dall’IS riceveva purtroppo un’altra tragica conferma quando, asseritamente in risposta ai raid aerei USA contro le formazioni dell’IS in territorio iracheno, la stessa organizzazione qaidista procedeva alla barbara esecuzione, mediante decapitazione, del reporter americano James Foley, che era scomparso in territorio siriano circa un anno prima – all’esecuzione veniva dato abilmente risalto mediatico per mezzo di un video diffuso sulla rete Internet. Nei giorni seguenti emergeva l’elevata probabilità che l’assassino di Foley potesse essere Abdel Bary, un jihadista proveniente dal Regno Unito, dove era conosciuto come cantante rap: anche questo era interpretato come un abile segnale dell’IS agli ambienti jihadisti dell’immigrazione in Europa.

Il 20 agosto registrava una duplice iniziativa del nostro Paese: la gravità degli sviluppi nel nord dell’Iraq induceva infatti il Governo ad un passaggio parlamentare specificamente dedicato al paese mesopotamico, rendendo alle Commissioni congiunte esteri e Difesa di Camera e Senato comunicazioni sui recenti sviluppi della situazione in Iraq anche con riferimento agli esiti del Consiglio straordinario dei Ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014.

La discussione portava poi all’approvazione separata di risoluzioni da parte delle due Commissioni della Camera e delle due omologhe del Senato, con le quali il Governo ha ottenuto il ricercato sostegno parlamentare anzitutto per procedere alla fornitura di armi ai peshmerga curdi impegnati sul terreno a contrastare l’avanzata delle milizie dell’IS.

Dal canto suo il Presidente del Consiglio Matteo Renzi si recava nella stessa giornata in Iraq e, dopo la capitale Baghdad, visitava la capitale del Kurdistan iracheno Erbil: in entrambi i luoghi il Presidente Renzi affermava con forza la necessità di un impegno dell’Europa di fronte alle gravissime violazioni dei diritti delle minoranze e ai massacri perpetrati dall’IS. Gli aspetti politici dell’Iraq dopo la formazione del nuovo governo e le questioni delle relazioni economiche con l’Italia erano invece oggetto dei colloqui con il nuovo premier incaricato al-Abadi.

Alla fine di agosto progressivamente la Casa Bianca si spingeva a valutare la possibilità di effettuare raid aerei contro l’IS anche nella parte siriana del territorio controllato dall’organizzazione jihadista: il regime di Assad – che nelle ultime settimane aveva aumentato gli attacchi aerei contro le postazioni dell’IS - coglieva prontamente l’occasione di una collaborazione con Washington, assolutamente impensabile fino a quel momento, ma poneva alcune condizioni per bocca del ministro degli esteri Muallim, ovvero di poter coordinare le proprie operazioni militari con quelle americane e di ottenere una legittimazione piena del regime di Assad, che rivendica una posizione centrale nella lotta internazionalmente condivisa contro l’IS.

Pur nella gravità della situazione - l’IS aveva conquistato appena da poche ore una delle più grandi basi aeree siriane - gli Stati Uniti si mostravano del tutto riluttanti alle profferte di Damasco.

Piuttosto, Washington tentava di avviare una collaborazione con i propri alleati tradizionali per dar vita a un fronte comune finalizzato ad attacchi contro le basi dell’IS anche in territorio siriano. Frattanto l’offensiva jihadista in Siria si avvicinava anche alle posizioni israeliane sul Golan, con un attacco imputato al Fronte Jabat al-Nusra – in effetti acerrimo rivale dell’IS - sulla parte delle alture controllata dall’esercito siriano, che registrava la perdita di 20 soldati. A seguito dell’attacco i miliziani si impossessavano del valico di Quneitra, proprio sul confine con Israele.

La gravità della minaccia in corso anche per la Siria era efficacemente delineata anche da un rapporto reso noto a Ginevra il 27 agosto dalla Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria, dal quale emergeva che in tutto il territorio controllato dall’IS si dava luogo a esecuzioni, amputazioni e flagellazioni pubbliche, e inoltre all’arruolamento persino di bambini di 10 anni. Chiunque poteva essere vittima di tali punizioni alla minima violazione della rigida interpretazione della legge islamica imposta dall’IS.

 

Settembre 2014

Il 2 settembre circolava un video sulla rete nel quale veniva mostrata l’uccisione e la decapitazione del giovane reporter freelance americano Steven Sotloff di Miami, la cui madre invano aveva supplicato i suoi rapitori dell’IS di esercitare clemenza. Nel consueto macabro cerimonialeSotloff, prima della sua uccisione, era stato costretto a sconfessare la politica estera americana, della quale sosteneva di essere sul punto di pagare personalmente il prezzo. Anche l’esecutore del barbaro omicidio appariva essere lo stesso già impegnato nella decapitazione di James Foley.

La reazione degli Stati Uniti, oltre a disporre l’invio di altri 350 soldati per la protezione di personale e sedi statunitensi nella capitale irachena - con il numero dei militari inviati in Iraq che, dall’inizio dell’offensiva dell’IS superava la cifra di 800 unità -, consisteva nell’accelerazione dei preparativi per una vasta coalizione internazionale contro l’IS, nella quale un contributo decisivo doveva essere fornito dalla presenza di Stati arabi, sia per accrescere la legittimazione dello schieramento anti-IS, sia per mettere con le spalle al muro quelle forze che all’interno delle monarchie del Golfo hanno espresso simpatie e appoggio per le correnti jihadiste operanti in Medio Oriente in diversi paesi. In ogni caso il presidente americano Obama chiariva che la lotta contro l’IS non sarebbe stata di breve periodo, e che avrebbe comportato una strategia su diversi piani, onde ridurre l’influenza militare e i finanziamenti del cosiddetto califfato. Anche il governo francese si esprimeva per un’accelerazione dell’impegno contro l’IS, accennando a una risposta politica, umanitaria e se necessario militare nel quadro del diritto internazionale.

Il vertice NATO nel Galles del 4/5 settembre riusciva a registrare un’ampia convergenza proprio sul punto della strategia di lotta contro l’IS: la decisione fondamentale era quella di dar vita a una vasta coalizione comprensiva anche di forze esterne alla NATOper combattere l’estremismo islamico dilagante in Iraq e Siria, della quale faranno parte dieci paesi, ossia nove della NATO (USA, Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Danimarca, Polonia, Turchia e Canada) e l’Australia, che già poche ore prima aveva provveduto alla consegna di armamenti alle forze curde dell’Iraq settentrionale impegnate direttamente nella lotta contro i miliziani dell’IS. Contemporaneamente veniva l’invito ad altri importanti attori regionali come Egitto, Turchia, Arabia Saudita a unirsi agli sforzi della coalizione al fine della distruzione del califfato di al-Baghdadi. Proprio inriferimento all’Egitto va segnalato che il 6 settembre le autorità del Cairo rendevano nota la presenza di cellule operative dell’IS anche in territorio egiziano, nella regione del Sinai a sud del valico di Rafah verso la Striscia di Gaza: le forze di sicurezza egiziane, veniva anticipato, avrebbero lanciato a giorni un’offensiva militare contro i jihadisti.

Dopo che gli Stati Uniti avevano lanciato nuovi attacchi aerei sull’IS nella parte occidentale dell’Iraq, a protezione della diga di Haditha, anche nel nostro Paese la minaccia dell’IS riceveva adeguata considerazione in due informative alle Camere svolte dal Ministro dell’interno Alfano il 9 settembre: secondo il Ministro non andava sottovalutata la specifica minaccia dell’IS nei confronti dell’Italia e di Roma, sede della principale autorità cristiana. Secondo il ministro Alfano si rendeva urgente la criminalizzazione di comportamenti di partecipazione a conflitti armati o atti di terrorismo anche al di fuori dei confini nazionali,commessi da parsoneresidenti in Italia o da cittadini italiani, ai quali, inoltre, in caso di forti sospetti, si doveva contemplare la possibilità di imporre misure di sorveglianza speciale con obbligo di dimora, impedendone così l’espatrio a fini terroristici. Infine il Ministro sottolineava come anche nei confronti delle ondate di sbarchi dal Nord Africa in territorio italiano fosse necessario applicare la più stretta sorveglianza per prevenire episodi di terrorismo sul territorio nazionale.

Poche ore prima intanto a Baghdad sembrava essersi sbloccata la questione della formazione del nuovo governo,sul quale tuttavia sembravano continuare a incombere le tradizionali divisioni: infatti ministeri chiave come quello degli esteri  e del petrolio rimanevano in mani sciite, mentre le finanze erano andate al curdo Shawes, e restava sospesa la designazione di titolari di importanti ministeri,  come quelli della difesa, della sicurezza e degli interni. Sembrava ancora lontano il punto fondamentale di una reintegrazione dei sunniti nella compagine politica nazionale, tuttavia premessa indispensabile di un ricompattamento dell’esercito, che aveva mostrato gravi segni di sgretolamento di fronte all’offensiva dell’IS. Lo stesso rapporto tra l’entità regionale curda e il governo centrale di Baghdad rimaneva problematico, in attesa di risolvere la questione delle esportazioni di petrolio che il Kurdistan iracheno aveva iniziato autonomamente in maggio, collegata allo status di Kirkuk, città strategica dal punto di vista petrolifero occupata dai curdi per prevenire le azioni dell’IS. Sullo sfondo restava poi l’eventualità di una indipendenza a pieno titolo del Kurdistan iracheno, naturalmente osteggiata dal governo centrale di Bahgdad, e che un paese chiave come la Turchia non poteva non vedere negativamente.

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, commemorando le vittime dell’11 settembre 2001, annunciava in un discorso televisivo alla nazione l’espansione delle operazioni contro l’IS alla parte siriana del territorio controllato dal califfato: poco prima gli USA avevano autorizzato ulteriori 25 milioni di dollari per assistenza militare immediata al governo iracheno e alla regione del Kurdistan impegnati nel contenimento della avanzata dell’IS.

Mentre Obama si rivolgeva alla nazione, il tavolo di lavoro di Gedda tra il segretario di Stato Kerry e 10 paesi arabi inaugurava la partecipazione di questi ultimi alla coalizione contro l’IS: decisivo dal punto di vista soprattutto politico, lo schieramento dei paesi arabi annoverava le monarchie del Golfo e inoltre l’Egitto, la Giordania, la Turchia e il Libano. Particolarmente rilevante appariva il coinvolgimento del Qatar nella coalizione anti-IS, visto l’atteggiamento assai ambiguo tenuto da Doha nello scenario mediorientale e nordafricano, con il sostegno costante a gruppi jihadisti variamente connotati. Non a caso Kerry sottolineava anche la necessità che le emittenti regionali come al-Arabiya ed al-Jazeera avrebbero dovuto chiarire alle popolazioni arabe quale fosse al momento attuale il nemico contro cui concentrare gli sforzi. Altrettanto significativa la mancanza dallo schieramento guidato dagli Stati Uniti della Siria e dell’Iran, per diversi motivi di incompatibilità con gli scopi e gli interessi geopolitici degli altri paesi partecipanti alla coalizione dal lato arabo.

Proseguiva intanto la scia di orrore dell’IS, che il 13 settembre, tramite Twitter, diffondeva il video dell’esecuzione dell’operatore umanitario britannico David Haines, che era stato rapito nel 2013 in Siria, anche stavolta ignorando gli appelli di poche ore prima della famiglia dell’ostaggio. Tra l’altro Haines era apparso anche nel filmato che in precedenza aveva mostrato l’uccisione dell’ostaggio americano Sotloff, e, ulteriore macabro presagio, nel video sull’uccisione di Haines compariva anche l’ostaggio britannico Alan Henning, con minaccia di giustiziare anche quest’ultimo. L’uccisione di Hainesveniva attribuita dalla voce di un miliziano dell’IS proprio all’impegno britannico ad armare i peshmerga curdi contro l’IS.

Il 14 settembre l’Australia forniva 400 militari delle forze aeree, assieme a otto velivoli da combattimento, un ricognitoree un rifornitore aereo in volo. Intanto il 15 settembre nell’incontro di Parigi la coalizione anti-IS ribadiva i propri impegni, che ormai riunivano 25 Stati contro il califfato. Dal punto di vista tuttavia degli attacchi aerei soltanto Stati Uniti, Francia e probabilmente Emirati Arabi Uniti risultavanodirettamente impegnati. Il 19 settembre si verificavano i primi bombardamenti aerei francesi contro postazioni dell’IS: nella stessa giornata la Camera dei rappresentanti belga, dopo un lungo dibattito, autorizzava per un mese la partecipazione di forze militari del paese-circa 120 uomini, tra i quali otto piloti e un certo numero di caccia F-16-alle operazioni militari contro il califfato. Per quanto concerne l’Italia, il Ministro degli esteri Mogherini dichiarava a New York, in margine alla partecipazione a una riunione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che il nostro Paese avrebbe potuto partecipare a livello militare in attività di addestramento, sostegno logistico ed eventuale rifornimento in volo di aerei della coalizione: secondo Mogherini, peraltro, non risultavano al momento specifiche minacce contro l’Italia da parte dell’IS.

La strategia americana assumeva intanto contorni più precisi non escludendo più l’intervento di terra, ma anzi vedendo in esso un elemento essenziale per la completa vittoria contro l’IS, affidandosi però per esso ai peshmerga curdi e all’eventualità di coinvolgere contro lo Stato islamico tribù sunnite presenti sul territorio – peraltro non facilmente conciliabili con le autorità centrali di Baghdad. Per quanto concerne la Germania, questa risultavaaver inviato 40 consulenti militari e aver fornito armi ai curdi, senza tuttavia alcuna partecipazione ad attacchi aerei.

L’accentuarsi della pressione del califfato nella parte siriana, con l’attacco alle città curde del Nord, aumentava in modo spettacolare il coinvolgimento della Turchia nella questione: in poche ore 130.000 profughi curdi si aggiungevano al milione di rifugiati già affluiti in Turchia a seguito dell’ormai più che triennale conflitto siriano, ponendo Ankara di fronte alla necessità di studiare soluzioni per il contenimento dell’avanzata dell’IS e al tempo stesso per il soccorso dei profughi curdi.

In tal senso già da alcune settimane la Turchia ventilava l’ipotesi di istituire una zona cuscinetto alla frontiera con la Siria, dove insediare anche aree sicure per ospitare i profughi. Non va tuttavia dimenticato che, stante il secolare problema di Ankara con le minoranze curde all’interno del proprio paese, l’atteggiamento turco difficilmente poteva essere quello di facilitare l’afflusso in territorio siriano di combattenti curdi di origine turca, pure richiesto da vari appelli del PKK (il partito curdo di Ocalan, sempre sospetto agli occhi delle autorità turche, nonostante le aperture degli ultimi anni).

La Turchia veniva comunque sempre più messa alle strette sia pure indirettamente anche dall’alleato americano, che non poteva non constatare con irritazione la mancata partecipazione di uno Stato regionale, che costituisce oltretutto un pilastro della NATO, alla coalizione anti-IS, e che inoltre ventilava in seno alle Nazioni Unite l’approvazione di una risoluzione del Consiglio di sicurezza contro il reclutamento e il finanziamento delle correnti jihadiste - attività dalle quali la Turchia durante il conflitto siriano si era tutt’altro che astenuta.

Mentre nel corso della sessione inaugurale dell’Assemblea generale dell’ONU a New York diversi altri paesi decidevano di fornire aiuti militari alla coalizione contro l’IS, la minaccia terroristica sembrava raggiungere perfino l’Australia, dove un diciottenne di origine afghana veniva ucciso a Melbourne il 23 settembre: le autorità di polizia australiane rendevano noto il giorno successivo che si trattava di un soggetto già sospetto per terrorismo, contrario all’impegno dell’Australia nella lotta contro l’IS – aveva per questo indirizzato minacce al premier australiano -e associato al gruppo radicale al-Furqan, con passaporto già ritirato per motivi di sicurezza.

Intanto un altro paese pagava un duro tributo per la partecipazione alla lotta contro l’IS, quando il 24 settembre il gruppo algerino dei Soldati del califfato, collegato all’IS, decapitava il cittadino francese Hervé Pierre Gourdel, recatosi nel paese per compiere escursioni sulle montagne settentrionali: l’uccisione di Gourdel costituiva una rappresaglia per la continuazione dei raid aerei francesi sul califfato, che i rapitori algerini avevano espressamente chiesto di interrompere.

Anche nel nostro Paese si rendeva noto un innalzamento ulteriore dei livelli di allarme, soprattutto in relazione al fenomeno dei combattenti europei impegnati nelle file del califfato, minaccia potenziale in caso di ritorno in territorio europeo.Al rinnovato allarme lanciato dal Ministro dell’interno Alfano faceva seguito il 25 settembre l’intervento del Presidente del consiglio Renzi all’Assemblea generale dell’ONU, nel corso del quale veniva ribadito come le azioni dell’IS costituissero un vero e proprio genocidio e una minaccia per l’umanità: in più, il Presidente del consiglio metteva in luce come per l’Italia fosse prioritario ancheaffrontare il pericolosissimo focolaio di instabilità costituito dalla situazione di frammentazione della Libia.

Frattanto, mentre installazioni petrolifere dell’IS venivano colpite da attacchi dell’aviazione statunitense e di paesi arabi sia in Siria che in Iraq, proseguiva in Australia l’azione delle forze di polizia, che con l’impiego di centinaia di uomini compivano ulteriori perquisizioni a Sidney e Brisbane alla ricerca di eventuali nuovi piani per l’attuazione di attacchi terroristici.

Il 26 settembre registrava un ulteriore sviluppo favorevole alla coalizione contro l’IS, quando la Camera dei Comuni approvava con un largo margine l’intervento aereo britannico in Iraq, espressamente richiesto dal governo di Baghdad. La risoluzione del Parlamento britannico autorizzava altresì la possibilità di impiegare truppe di terra non combattenti per scopi di addestramento delle forze irachene e curde sul terreno. Nella stessa giornata anche la Danimarcaannunciava un forte incremento del proprio coinvolgimento nelle operazioni control’IS, dispiegando 250 unità tra piloti e personale di supporto, nonché sette caccia F-16.

A fronte del crescente coinvolgimento internazionale nella coalizione contro l’IS, il Coordinatore europeo antiterrorismo De Kerchove non mancava di richiamare l’attenzione sul parallelo incremento dei rischi di attentati in territorio europeo: infatti i cittadini europei unitisi ai combattenti del califfato risultavano ormai essere complessivamente circa 3.000, due terzi dei quali partiti da Francia, Regno Unito e Germania, ma non meno di 350 anche dal Belgio. In Italia il numero di tali soggetti era valutato in una cinquantina, perlopiù di origine non italiana, ma derivanti da immigrazione nel nostro Paese.

Con l’approssimarsi delle truppe dell’IS alla cittadina curdo-siriana di Kobane si verificavano anche numerose manifestazioni di protesta in Europa e negli Stati Uniti per richiedere l’intervento urgente a sostegno degli abitanti della città e dei profughi sempre più numerosi, proprio nelle stesse ore in cui i primi attacchi americani colpivano in effettii sobborghi della città già conquistati dall’IS.

La difficile situazione di Kobane sembrava tuttavia accelerare anche la necessità di una presa di posizione turca:dopo i contatti avuti a New York a margine della sessione inaugurale dell’Assemblea generale dell’ONU, il presidente Erdogan si spingeva a sostenere la necessità di un’operazione di terra control’IS, nella quale impiegare anche le ingenti forze militari turche, sia per riconquistare territorio sottraendolo al califfato, sia per accrescere la sicurezza della popolazione in fuga dai combattimenti. Erdogan chiariva inoltre come fossero in corso negoziati per la determinazione della composizione della coalizione da impegnare nell’operazione di terra-l’opposizione parlamentare turca non mancava peraltro di esprimere subito dopo dissenso rispetto all’ipotesi di inviare militari turchi fuori dei confini nazionali.

Due giorni dopo, il 29 settembre, forze aeree britanniche partite dalla base cipriota di Akrotiricompivano le prime missioni sul territorio iracheno contro l’IS, mentre le preoccupazioni dell’esercito nazionale iracheno per la grave situazione sul terreno conducevano alla riabilitazione di fatto dei disertori sunniti, nel quadro di un’ampia campagna di reclutamento per rafforzare i ranghi militari. Senza ancora intervenire nel conflitto scatenatosi attorno alla città di Kobane, la Turchia procedeva comunque a schierare numerosi carri armati sul confine siriano.

Il 30 settembre, mentre i servizi di intelligence statunitensi riferivano di aver a suo tempo avvisato la Casa Bianca sulla pericolosità del fenomeno del califfato, senza riscontrare un interesse prioritario sull’argomento; la Santa sede tornava a far sentire la propria voce, richiedendo che la minaccia dell’IS fosse affrontata con un uso della forza proporzionato e multilaterale. Frattanto si verificavano lievi progressi nelle posizioni delle forze curde dei Peshmerga, che riuscivano a riconquistare la cittadina di Rabia e il valico di frontiera prospiciente. Il bilancio delle violenze in Iraq nel mese di settembre, secondo fonti ONU, registrava la morte di circa 1100 persone.

 

Ottobre 2014

L’avanzata curda proseguiva il 1° ottobre, affiancando le forze armate irachene, con la riconquista della cittadina di Taza Kharmatho, tuttavia riempita dall’IS di ordigni e trappole esplosive, quindi di fatto impraticabile.Il 2 ottobre il parlamento turco approvava con una maggioranza di circa i due terzi l’autorizzazione alle operazioni contro il califfato, autorizzazione consistente sia nel permesso accordato alle operazioni militari lanciate dall’interno del territorio turco da altri attori regionali e internazionali, ma anche nella possibilità di ingresso diretto delle truppe di Ankara nel territorio siriano.

La decisione del parlamento di Ankara destava vibrate proteste da parte della Siria e, con toni più morbidi, dell’Iran: ma lo stesso al-Maliki, ex premier iracheno sciita, si diceva del tutto contrario all’ingresso delle truppe turche in territorio iracheno. Tutto ciò non sembrava però dissuadere la Turchia, il cui primo ministro Davutoglu si diceva pronto a fare tutto il possibile per impedire la caduta dell’ultima roccaforte, Kobane, tra il territorio controllato dall’IS e il confine turco. Intanto nelle altre zone dell’Iraq, ai parziali successi dell’IS a ovest di Baghdad faceva riscontro la prosecuzione dell’avanzata delle forze curde e irachene a Nord della capitale.

Ancora nuovo orrore destava la diffusione di un video sulla decapitazione dell’ostaggio britannico Alan Henning, video nel quale venivano formulate minacce nei confronti di un altro prigioniero dell’IS, anch’egli operatore della cooperazione, l’americano Peter Kassig. Il fronte anti-IS si arricchiva però in quelle stesse ore di due nuovi protagonisti, quando i governi australiano e canadese annunciavano la partecipazione ai raid aerei contro il califfato.

Il 4 ottobre cominciavano a diffondersi i dubbi dell’Amministrazione USA sulla strategia portata avanti con gli attacchi aerei contro l’IS, che non si mostrava efficace come sperato: a fronte di ciò, lo stesso IS compiva una sorta di svolta mediatica, quando in un video appariva un militante del califfato a volto scoperto, minacciando i paesi occidentali e lanciando pesanti insulti al premier britannico Cameron. Sul terreno intanto l’IS riusciva a impadronirsi della città di irachena di Kabisa, mentre in due diversi agguati nella provincia irachena di Diyala perdevano la vita un ufficiale e sette soldati delle forze armate di Baghdad.

Il 5 ottobre si stringeva sempre più l’assedio di Kobane da parte dei miliziani dell’IS: in questo contesto alcuni di essi erano vittime di un attacco suicida da parte di una donna curda. Nelle stesse ore, la minaccia dell’IS sembrava allargarsi al territorio libanese - non senza forti punti interrogativi sul fatto che in questo caso il tentativo di invasione fosse stato portato avanti assieme alla milizia sunnita, in altri scenari nemica, di al-Nusra-, dove però la forte opposizione armata del movimento sciita Hizbollah sembrava riuscire a contenere la minaccia.

Il 6 ottobre, mentre da molti segnali sembra avvicinarsi la capitolazione di Kobane, la Turchia persisteva nel suo atteggiamento di non intervento, la motivazione del quale, emergeva sempre più chiaramente, erano le preoccupazioni di Ankara per qualunque possibile conquista di uno status di sovranità o anche di forte autonomia da parte dei curdi del nord siriano, ai quali invece i turchi chiedevano prioritariamente di rompere qualsiasi legame con il regime di Assad, la cui destituzione - chiariva lo stesso primo ministro Davutoglu - era condizione imprescindibile della partecipazione turca ad un attacco di terra contro il califfato nell’ambito della strategia anti-IS della Casa Bianca. Del resto Davutoglu non nascondeva le preoccupazioni turche, in quanto a suo dire intervenire a Kobane avrebbe determinato conseguenze per tutto il confine turco-siriano. In questo contestoAnkara doveva anche subire l’imbarazzo derivante dalle rivelazioni del Times, che rendeva noto che a fronte dei 46 ostaggi turchi liberati la settimana precedente, Ankara aveva restituito all’IS ben 180 jihadisti.

Crescevano intanto gli allarmi dei servizi segreti occidentali per l’allargarsi della galassia terrorista ispirata alle gesta dell’IS: infatti sempre più chiaramente gruppi legati all’orizzonte politico-religioso del califfato di al-Baghdadi si mostravano attivi in Egitto (nord del Sinai), in Libia, in Tunisia e Algeria, nello Yemen, ma anche in Uzbekistan, in Indonesia e Malesia, e, per certi versi, tra Nigeria e Camerun, con il movimento islamista BokoHaram. Infatti, a differenza della matrice araba orientale, AQMI (al-Qaida nel Maghreb islamico) sembrava tutt’altro che in dissidio con l’IS.

Il 7 ottobre alcuni manifestanti curdi irrompevano nell’edificio del Parlamento europeo a Bruxelles, protestando vivacemente per la situazione di Kobane, e più in generale per la difficile situazione delle popolazioni curde minacciate dall’IS-cinque giorni prima unacinquantina di manifestanti curdi avevano compiuto un’analoga manifestazione proprio in Italia, davanti alla Camera dei deputati. Emergeva intanto un altro tratto inumano e inquietante della strategia del califfato, ovvero l’uso spregiudicato delle risorse idriche e dell’elettricità per colpire anche territori non direttamente controllati, attraverso il taglio di cavi e la conquista di dighe e condutture.

L’8 ottobre si registravanoin Turchia una ventina di morti - incerte le responsabilità - a seguito delle manifestazioni per la giornata di mobilitazione indetta dai partiti filo-curdi in relazione all’assedio di Kobane da parte dell’IS. Nella stessa giornata il presidente degli Stati Uniti, riunito al Pentagono con i massimi vertici militari, non nascondeva il proprio disappunto per l’inerzia dimostrata dalla Turchia sulla vicenda di Kobane, ma anche per l’apparente inefficacia dei pur numerosi raid aerei compiuti in Iraq (270) e in Siria (120) contro le postazioni del califfato.

Il 9 ottobre, mentre ormai i miliziani dell’IS sembravano essere penetrati parzialmente nella città di Kobane, emergeva un’altra questione che la Turchia considerava come prioritaria e preliminare ad un proprio intervento di terra, ovvero la creazione di una zona di interdizione al sorvolo nel Nord della Siria - come dichiarato dal ministro degli esteri turco Cavusoglu. Al proposito sia il regime di Damasco che la Russia rifiutavano recisamente questa eventualità, rimandando adun’eventuale decisione in materia del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Anche il Segretario generale della NATO Stoltenberg smentiva che l’Alleanza atlantica avesse discusso dell’argomento. Nell’intricato scenario siriano, nonostante l’ingombrante presenza dell’IS, proseguivano anche numerosi i raid aerei del regime di Damasco contro gli oppositori armati, nei cui ranghi peraltro si contano numerosi jihadisti, per quanto distinti dalle milizie del Califfato-come quelli di al-Nusra, probabilmente autori del sequestro nel Nord-Ovest siriano del parroco francescano della comunità cristiana di Knayeh, rilasciato proprio il 9 ottobre, a differenza del gruppo di fedeli con cui si trovava, rimasti nelle mani dei rapitori.

Qualche problema nella coalizione anti-IS emergeva in relazione alla condotta del Qatar, notoriamente finanziatore di gruppi jihadisti in tutto lo scenario mediorientale, ma nel contempo formalmente aderente alla coalizione internazionale contro l’IS: la preoccupazione saudita, giordana ed emiratina per il proseguire dei flussi finanziari verso il Califfato conduceva l’11 ottobre questi paesi a manifestare disappunto verso Doha, peraltro sotto la lente d’ingrandimento dello stesso Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti per il suo costante sostegno a gruppi qaidisti come il Fronte al-Nusra, Hamas e i talebani dell’Afghanistan.

Proprio gli Stati Uniti tuttavia hanno non poche difficoltà a rapportarsi al Qatar, da cui dipendono per le basi logistiche di molte delle azioni militari dirette contro l’IS, nonché per alcuni nevralgici momenti di mediazione che Doha ha potuto portare avanti proprio in ragione dei suoi rapporti con l’islamismo radicale. Nel Regno Unito si levavano esortazioni a boicottare alcune proprietà qatariote a Londra, come i famosi grandi magazzini Harrods, e più in generale polemiche per l’atteggiamento britannico, giudicato troppo morbido, nei confronti del Qatar.

Intanto a Kobane i curdi resistevano con tenacia agli attacchi dell’IS, che tuttavia sembrava concentrare ingenti forze anche nei pressi della città petrolifera di Kirkuk. A Baghdad una quarantina di persone perdevano la vita in seguito a una serie di attacchi suicidi contro quartieri per la maggior parte sciiti della capitale irachena. Nuove efferatezze dell’IS emergevano in riferimento all’uccisione a Mosul di quattro donne in meno di una settimana – si trattava di due medici, una giurista e una parlamentare.

Sempre l’11 ottobre, con una lettera inviata al Corriere della Sera, i presidenti delle Commissioni Esteri della Camera, Fabrizio Cicchitto e del Senato, Pierferdinando Casini, chiedevano di schierare forze delle Nazioni Unite in Medio Oriente per contrastare in modo più efficace l’avanzata dei terroristi dell’IS in Medio Oriente: “Non è possibile – scrivono - che il mondo assista in modo sostanzialmente passivo alla tragedia che sta avvenendo. La comunità internazionale deve prendersi le sue responsabilità e quindi porre in essere un risoluto e risolutivo intervento politico-militare di contrasto all’Isis, realizzato dalle forze dell’Onu che non lascino soli i peshmerga, i quali in ogni caso stanno pagando un significativo tributo di sangue. Siamo a uno snodo cruciale della sicurezza globale, che prescinde dalle vecchie e nuove contrapposizioni tra Est ed Ovest oppure tra Nord e Sud, e dovrebbe perciò indurre a una mobilitazione generale, cui l’Unione europea, in particolare, potrebbe dare impulso.

In questo contesto la voce della Chiesa tornava a farsi sentire con le dichiarazioni del segretario di Stato vaticano card. Parolin, che esortava a ogni sforzo per fermare l’aggressione contro le minoranze in corso in Medio Oriente, che desta grande preoccupazione nello stesso Pontefice: il card. Parolin ribadiva la legittimità dell’uso della forza in un contesto multilaterale, ancor meglio se autorizzata dalle Nazioni Unite, se l’obiettivo si limita a quello di porre fine ad un’aggressione.

La battaglia continuava a infuriare a Kobane, dove però l’IS incontrava forte resistenza da parte delle milizie curde, mentre l’uccisione del capo della polizia della provincia occidentale irachena di al-Anbar faceva temere un’estensione a questa provincia dell’azione del Califfato; il 13 ottobre un rapporto pubblicato da Amnesty International rendeva noto come con la complicità delle autorità irachene le milizie sciite avessero rapito e ucciso decine di civili sunniti negli ultimi mesi, come rappresaglia per le azioni dell’IS. La presa della città di Hit da parte dell’IS rinfocolava i timori per la provincia di al-Anbar. Inoltre, la Turchia smentiva la notizia proveniente da Washington in merito alla concessione di una base aerea turca per i bombardamenti americani sulla milizie del Califfato.

Il 14 ottobre la Turchia, significativamente, compiva raid aerei contro i curdi turchi del PKK nel sud-est del proprio territorio. Intanto un attentato suicida perpetrato con un’autobomba uccideva a Baghdad 25 persone, incluso il deputato e vice capo dell’organizzazione Badr Ahmed al-Khafaji.

Rinnovati timori venivano intanto dall’annuncio dell’effettivo ritrovamento in Iraq, nel periodo di occupazione da parte delle truppe statunitensi, di numerose armi chimiche - non certo quelle letali il cui possesso da parte di Saddam era stato posto alla base dell’invasione del paese -, anche se ormai spesso deteriorate, su cui era stato mantenuto il segreto più stretto. Alcuni di questi armamenti si teme ora possano cadere nelle mani dell’IS, che controlla una vasta porzione del territorio iracheno. Mentre a Mosul le milizie del Califfato procedevano all’esecuzione di 46 persone, in Italia si riuniva il 15 ottobre il Consiglio supremo di difesa, per il quale l’Italia e l’Europa devono fronteggiare rischi importanti in relazione all’espansione dell’IS in Medio Oriente, anche in considerazione del fenomeno dei foreign fighters di ritorno in Europa dal teatro di guerra. Proprio un maggior coordinamento europeo dovrà essere la chiave decisiva per far fronte al rinnovato allarme.

Il 16 ottobre il Ministro della difesa Roberta Pinotti, intervenendo dinanzi alle Commissioni riunite esteri e difesa dei due rami del Parlamento, ribadiva la serietà della minaccia rappresentata dall’IS: in questo senso il Governo italiano annunciava un ulteriore contributo alla coalizione, consistente nell’invio complessivo di un massimo di 280 militari con compiti addestrativi per le milizie curde, due droni Predator ed un rifornitore in volo. Inoltre il Ministro preannunciava l’invio di ulteriore munizionamento, ma anche l’eventuale cessione, ove possibile, alle milizie curde di proiettili anticarro e blindati in uso all’esercito italiano. Proseguivano intanto gli attentati a Baghdad, dove quattro autobomba provocavano la morte di 36 persone e il ferimento di un centinaio. Alla fine della giornata si registrava un significativo arretramento dell’IS a Kobane, ma, parallelamente, una recrudescenza dei combattimenti nella provincia di al-Anbar, pur nel quadro di un alleggerimento della pressione diretta verso la capitale irachena.

Il 17 ottobre, mentre proseguivano i progressi curdi a Kobane, anche grazie alla maggiore efficacia dei raid aerei della coalizione, 60 miliziani dell’IS perdevano la vita nell’attacco al loro campo a Jaberiya, assaltato da elementi dell’esercito e della polizia iracheni. Altri esponenti di rilievo dell’IS venivano uccisi a Ramadi. Peraltro l’IS riceveva attestazioni di appoggio dalla penisola arabica, con un appello delle locali cellule di al-Qaida a tutti i musulmani per il sostegno all’IS e l’attacco in ogni forma contro l’America. Gli stessi Stati Uniti non confermavano le voci secondo le quali erano venuti in possesso dell’IS tre aviogetti da combattimento siriani, che sarebbero stati visti già diverse volte volare a bassa quota, presumibilmente guidati da ufficiali disertori dell’aviazione irachena.

Mentre proseguivano gli attentati a Baghdad e in altre località irachene contro gli sciiti, il 20 ottobre si verificava una svolta nell’atteggiamento della Turchia, che si diceva finalmente disponibile a consentire il passaggio della truppe dei Peshmerga curdi a sostegno dei difensori di Kobane. Intanto per la prima volta gli Stati Uniti paracadutavano armamenti alle milizie curde, ma, sfortunatamente, una parte di questi cadeva nelle mani di miliziani dell’IS. Questi ultimi, secondo un volontario americano operante sul terreno, avrebbero usato anche armi chimiche durante l’assedio di Kobane, come sarebbe documentato da alcune foto appositamente fornite. Due giorni dopo, il 24 ottobre, ufficiali dell’esercito iracheno confermavano l’uso di armi chimiche contro le proprie truppe da parte dell’IS, mentre nuove prove venivano in merito all’utilizzazione di tali armamenti anche nell’assedio di Kobane. Si tratterebbe di cloro, come indicato dai sintomi di avvelenamento riscontrati.

Nuovi segnali di allargamento della sfera di azione dell’IS venivano dal Libano, ove nella città settentrionale di Tripoli si verificavano scontri tra l’esercito di Beirut e militanti sunniti collegati al Califfato: dopo due giorni, il 27 ottobre, la cellula jihadista risultava distrutta.

 

 

 

 

 


SIWEB

L’attività parlamentare in materia
(a cura del Servizio Studi
della Camera dei deputati
)

 

Già partire dalla fine del 2013, il Parlamento italiano ha iniziato a seguire l’evoluzione del teatro di crisi iracheno-siriano, segnato dall’iniziativa offensiva dello “Stato islamico” (IS), formazione paramilitare di matrice islamista, adottando una serie di misure normative volte a consentire la partecipazione italiana a missioni umanitarie di assistenza ai rifugiati dell’area ed al sostegno delle forze curdo-irachene impegnate nel contrasto all’IS.

In questa prospettiva, il dispositivo dell’ordine del giorno 9/01670-AR/062 d’iniziativa dell’on. Massimo Artini, presentato in Assemblea durante l’esame del disegno di legge di conversione del decreto di proroga della partecipazione italiana alle missioni internazionali per l’ultimo trimestre 2013[2], accolto dal Governo (seduta del 3 dicembre 2013), impegnava il Governo ad adoperarsi, per il tramite della missione diplomatica prevista dal provvedimento, anche per ottenere dalla Turchia e dalla Regione autonoma curda (KRG) l’apertura dei valichi al fine di consentire il passaggio degli aiuti umanitari ai rifugiati siriani presenti nella regione.

Si rammenta che l’art. 6, co. 2 del decreto di proroga delle missioni (D.L. 114/2013) ha disposto l’invio in missione nell'area di confine turco-siriana, per il periodo 1° ottobre - 31 dicembre 2013, di un funzionario diplomatico autorizzato ad avvalersi, per l’espletamento delle proprie attività, del supporto di due unità di personale locale.

Nell’ambito dell’audizione sugli sviluppi di politica estera in relazione al semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, svolta davanti alle Commissioni riunite Affari esteri della Camera e del Senato (3 luglio 2014), il Ministro degli affari esteri Federica Mogherini ha evidenziato l’intenzione del nostro Paese di esercitare nel semestre un ruolo di accompagnamento della politica estera europea sul versante della crisi siriana e irachena.

Posto che, di fatto, il confine tra i due Paesi è sparito, uno dei principali rischi connessi alla crisi – ha affermato Mogherini - è l’espansione degli effetti destabilizzati del conflitto sui Paesi vicini, primo fra tutti il Libano, del quale l'Italia è impegnata a sostenere le forze armate in chiave sia di sicurezza interna e delle frontiere, sia di unità nazionale. Il Ministro ha sottolineato, altresì, il rischio che l'avanzata e le attività di IS in Iraq mettano a seria prova la stabilità della Giordania, con conseguenti ripercussioni negative anche sul fronte mediorientale più tradizionalmente inteso, a partire da Israele.

Mogherini ha ribadito l’impegno italiano anzitutto sul versante dell'assistenza umanitaria, per fronteggiare la quale sono stati stanziati nuovi fondi soprattutto attraverso canali multilaterali. Quanto al fronte interno iracheno, il messaggio che il nostro Paese sta veicolando agli attori interni all'Iraq e ai Paesi della regione che hanno influenza diretta o indiretta sui diversi attori iracheni – ha dichiarato il Ministro - è che si arrivi il più rapidamente possibile a un nuovo governo di unità nazionale rappresentativo di tutte le parti della società irachena e, in particolare, non solo degli sciiti, ma anche dei sunniti e dei curdi; la disgregazione, della realtà irachena, infatti, rappresentando un fattore di grave rischio per la sicurezza, diventa tema di interesse prioritario dei grandi Paesi attori della regione (Iran, Paesi del Golfo a partire dall'Arabia Saudita, e Turchia) che si trovano a condividere l’interesse alla stabilità dell'Iraq.

All’estrema instabilità e drammaticità della situazione irachena, una drammaticità che si tende peraltro a rimuovere, nonché all’interesse strategico italiano all’esercizio della propria responsabilità in quel Paese, Mogherini aveva fatto riferimento anche in un passaggio dell’audizione sulle linee programmatiche del dicastero degli Affari esteri, svolta davanti alle Commissioni riunite Affari esteri della Camera e del Senato il 18 marzo 2014.

Il 20 agosto 2014 davanti alle Commissioni congiunte Esteri e Difesa di Camera e Senato si sono svolte le Comunicazioni del Governo sui recenti sviluppi della situazione in Iraq anche con riferimento agli esiti del Consiglio straordinario dei Ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014.

Come precisato dal Presidente della Commissione Affari esteri della Camera, on. Fabrizio Cicchitto, fondamento della seduta è la lettera inviata ai presidenti delle quattro Commissioni dai Ministri Mogherini e Pinotti, i quali - richiamata l’attenzione sulla riunione straordinaria del Consiglio dei Ministri degli esteri dell'Unione europea svoltasi a Bruxelles il 15 agosto - esprimevano la disponibilità a riferire alle Commissioni parlamentari in considerazione del particolare rilievo dell'ordine del giorno di quella riunione. Il presidente Cicchitto richiamava altresì l’appello rivolto dall’Ambasciatore iracheno a Roma, a nome del suo Governo e di tutte le comunità del suo popolo, affinche l'Italia potesse dimostrare concretamente la sua vicinanza all'Iraq e, in particolare, al Kurdistan iracheno, a fronte della tragedia umanitaria di cui sono vittime, dagli inizi di giugno, le popolazioni locali e le minoranze etniche e religiose.

Nella propria relazione il Ministro degli Affari esteri, Federica Mogherini, richiamato il quadro di instabilità ormai assai prossimo in Giordania e Libano e potenzialmente estensibile ad altri paesi  (Turchia ed Iran) a seguito del massiccio afflusso di rifugiati e delle pesanti ripercussioni di sicurezza interna, si è concentrata sull’avanzata dell’IS.  Tale organizzazione – sottolineava il capo della diplomazia italiana - separatasi da Al Qaeda ritenuta troppo morbida, è il cuore della questione che gli iracheni, i curdi in particolare, stanno fronteggiando; l’obiettivo principale di IS, ha affermato il Ministro, sono le popolazioni civili, in particolare le minoranze cristiana e yazida e tutte le minoranze in genere.

In tale contesto, secondo Mogherini, la questione centrale non è tanto la protezione di alcune minoranze quanto, invece, l’affermazione del principio della convivenza civile e pacifica in un territorio. Il Ministro degli affari esteri riferiva quindi dell’intensa iniziativa del nostro Paese negli ultimi mesi, alla luce della collocazione dell’Iraq tra le priorità strategiche dell’attività di governo: prima ancora dell’incontro di giugno, a Roma, con il presidente del Kurdistan Barzani, l'Italia si era infatti fatta promotrice, nell’ambito del vertice tra Unione europea e Lega araba (11 giugno) di una dichiarazione comprensiva di un riferimento esplicito alla situazione in Iraq, dove si condannava l'ondata di attacchi terroristici, si chiamavano il Governo dell'Iraq e il Governo della Regione autonoma del Kurdistan a unire le proprie forze politiche e militari per ripristinare la sicurezza a Mosul ed a Ninive, si riaffermava l'impegno per l'unità e l'integrità territoriale dell'Iraq e si richiamavano le risoluzioni delle Nazioni Unite 1267 e 1989 che dichiarano l'IS organizzazione terroristica, imponendo sanzioni ed una serie di misure riconosciute dalla comunità internazionale.

In quell'occasione Mogherini aveva incontrato l’omologo iracheno Zebari con il quale ha avuto un primo scambio di opinioni su quello che la comunità internazionale, a partire dall'UE, avrebbe potuto fare per sostenere in qualche modo la resistenza all'avanzata dell'IS.

A tale contatto avevano fatto seguito ulteriori attività: in sede di Consiglio affari esteri dell'Unione europea di luglio, ad esempio, l'Italia, ha proposto un punto in agenda sulla protezione in particolare dei cristiani di Ninive; inoltre, il Viceministro Pistelli si recava a Baghdad ed a Erbil il 6 e 7 agosto (e della missione riferiva in Senato, in audizione informale, il sottosegretario Della Vedova l’8 agosto). Il Ministro degli esteri riferiva quindi di avere avuto, sempre l’8 agosto, una conversazione telefonica con il presidente Barzani durante la quale aveva raccolto non solo la richiesta di un forte sostegno sul versante umanitario, ma anche la prospettiva di un sostegno dal punto di vista della sicurezza e militare: a seguito di tali contatti era stata redatta la lettera ai presidenti delle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato (v. infra) nonché quella indirizzata all'Alto rappresentante per la politica estera UE Catherine Ashton per avere una convocazione immediata del Consiglio Affari esteri, svoltosi come accennato il 15 agosto.

Su proposta italiana il Consiglio affari esteri dell’UE aveva esaminato non soltanto la situazione drammatica in Iraq, ma anche quella in Medio Oriente, quella in Libia ed un aggiornamento sulla situazione in Ucraina. Nell’ambito della costruzione di tale cornice internazionale, a partire dalla dimensione europea, Mogherini ha rammentato i contatti costanti con gli interlocutori regionali quali il Ministro degli esteri iraniano, turco, emiratino, qatariota, giordano oltre ai Contatti con la Santa Sede. Tale lavoro diplomatico ha prodotto la convergenza su tre linee d’azione condivise a Bruxelles con i partner europei, che il Ministro così sintetizzava:

1.     immediati aiuti umanitari. Dal punto di vista dell’Italia, il nostro Paese aveva stanziato già un milione di euro per gli aiuti umanitari: 500 mila euro all'OMS per gli sfollati nelle regioni di Erbil, Dohuk e Sulaymaniyah, più un milione di euro per un fondo presso la nostra Ambasciata a Baghdad e gli uffici di Erbil (Kurdistan), per progetti delle ONG nel campo della sanità, dell'istruzione e della formazione professionale. A questo si sono aggiunti negli ultimi giorni sei voli fatti insieme alla Difesa che hanno portato in totale 50 tonnellate di acqua e generi alimentari di prima necessità. Sul versante europeo si è condivisa la scelta di attivare meccanismi di cooperazione che consentano di coordinare gli aiuti per evitare sovrapposizioni e raddoppiamenti: allo scopo è stato messo in campo un meccanismo di coordinamento europeo;

2.     esame di una modalità di risposta positiva, sottoposta alle Commissioni, alla richiesta  formulata dal Governo centrale iracheno e da quello della Regione autonoma del Kurdistan, di forniture militari; sul punto si diffonderà nel dettaglio la comunicazione del Ministro Pinotti, ma – ribadiva Mogherini - per il Governo era fondamentale che questo lavoro si svolgesse innanzitutto in una cornice internazionale ed europea - da qui la richiesta della convocazione del Consiglio affari esteri dell’UE -, e con il coinvolgimento del Parlamento “che credo oggi possa compiersi; ma questo chiaramente dipenderà dalla volontà delle Commissioni”;

3.     azione politica, necessaria ad individuare le soluzioni di lungo termine. Si tratta di lavorare ad un quadro sostenibile all'interno dell'Iraq e nella regione, un quadro politico inclusivo che garantisca l'unità, l'integrità territoriale dell'Iraq e il suo inserimento in un contesto regionale che aiuti a rispondere alla minaccia dell’IS che riguarda in primis gli iracheni ma anche l’intera regione, l’UE e il mondo intero. In tale contesto è significativo che al-Abadi abbia ricevuto l'incoraggiamento e l'invito a procedere velocemente alla formazione di un Governo inclusivo anche dall'Iran, oltre che da Washington, dall'Araba Saudita e dall'Unione europea, in un contesto di consenso difficilmente riscontrabile in quella regione ed al quale l’Italia ha attivamente contribuito.

Mogherini richiamava quindi le conclusioni del Consiglio affari esteri di Ferragosto dove, sulla base di un consenso unanime, viene accolta con favore la decisione dei singoli Stati membri di rispondere positivamente alla richiesta delle autorità del Governo regionale curdo di ricevere urgentemente materiali militari, sulla base delle capacità e delle leggi nazionali degli Stati membri e con il consenso delle autorità nazionali irachene. Il Ministro sottolineava la rilevanza di tale consenso che consente al sostegno militare di affluire attraverso canali istituzionali internazionalmente riconosciuti (cessione da Governo a Governo). I

l secondo elemento che ha composto il quadro di riferimento internazionale – aggiungeva Mogherini – è la risoluzione n. 2170 delle Nazioni Unite del 16 agosto che riafferma, tra il resto, la necessità di combattere con ogni strumento, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite e con l'ordinamento internazionale, le minacce alla pace internazionale e alla sicurezza causate da atti terroristici. Riferendosi al passaggio di coinvolgimento del Parlamento, ritenuto dal Governo imprescindibile a fianco della cornice internazionale testé rammentata, il Ministro affermava che sebbene esso non sia necessario sotto il profilo formale esso è tuttavia fondamentale dal punto di vista politico, come momento di condivisione di un importante passaggio con le Commissioni competenti.

Il Ministro della Difesa Roberta Pinotti, fornite precisazioni tecniche sulla fornitura degli aiuti umanitari immediati decisi dal Consiglio Affari esteri dell’UE, offriva quindi una serie di informazioni sui materiali d’armamento che il Governo italiano valutava di poter fornire: in particolare, si tratta in equipaggiamenti per la difesa personale e d'area. Il Ministro rammentava, altresì, che Francia e Gran Bretagna avevano già effettuato o avviato analoghe operazioni mentre la Germania stava valutando il proprio contributo alla fornitura di mezzi e materiali militari. Pinotti riferiva quindi dell’ipotesi di prevedere la copertura finanziaria degli oneri connessi ai vari aspetti delle forniture militari richieste dalla autorità irachene e curde con apposito emendamento al decreto-legge 109/2014 in corso di conversione, concernente la proroga delle missioni internazionali nel secondo semestre.

Alla fine della seduta congiunta e dopo le riunioni separate degli uffici di presidenza delle Commissioni dei due rami del Parlamento, lo stesso 20 agosto si svolgevano le riunioni delle Commissioni per il voto di risoluzioni.

Presso la Camera le Commissioni riunite Affari Esteri e Difesa discutevano congiuntamente le risoluzioni sul contributo dell'Italia alle iniziative internazionali per la crisi nel Nord dell'Iraq 7-00456 Cicchitto e Vito, 7-00457 Artini e Sibilia e 7-00458 Duranti e Palazzotto. E’ stata approvata la risoluzione 7-00456 per la quale il Ministro Mogherini ha espresso il parere favorevole del Governo, votata per parti separate (parte motiva e parte dispositiva) con votazioni per appello nominale[3].

Con la risoluzione 7-00456 le Commissioni Esteri e Difesa preso atto di quanto riferito dai Ministri e degli esiti del Consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014, valutato che l'occupazione di ampie porzioni di territorio iracheno e siriano cadute sotto il controllo dell'IS e di ulteriori forze terroristiche fondamentaliste rappresenta una seria minaccia alla sicurezza internazionale, ai sensi della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 2170 (2014), adottata nell'ambito del Capitolo VII della Carta; manifestata viva preoccupazione per la catastrofe umanitaria e le atrocità che soprattutto nel Nord dell'Iraq stanno subendo le minoranze religiose ed in particolare quella cristiana e quella yazida; sottolineata la necessità di tutelare la natura multiconfessionale della regione; incoraggiata la formazione di un nuovo governo iracheno in cui possano riconoscersi tutte le componenti del Paese, a garanzia della sua integrità territoriale e condivisa la ferma condanna espressa dal Consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto nei confronti degli attacchi perpetrati dall'IS e dagli altri gruppi armati associati, che si configurano come veri e propri crimini contro l'umanità, impegnano il Governo a dare attuazione agli indirizzi formulati dal Consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014, rispondendo, d'intesa con i partner europei e transatlantici, alle richieste di aiuto umanitario e di supporto militare delle autorità regionali curde, con il consenso delle autorità nazionali irachene.

Presso il Senato della Repubblica le omologhe Commissioni Esteri e Difesa hanno approvato la risoluzione Doc. XXIV, n. 34, di identico tenore.

Nella seduta dell’Assemblea della Camera del 9 settembre 2014[4] nell’ambito dell’informativa urgente del Governo sul tema del terrorismo internazionale di matrice religiosa il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha dedicato una delle tre parti dell’intervento all’esame della struttura, alle modalità di finanziamento, di propaganda e di reclutamento dell’IS, evidenziandone il carattere di  soggettività statuale antagonista che punta a trarre il massimo profitto dalla crisi dello Stato nazione dei Paesi islamici. L’intervento si è incentrato, inoltre, sulla reazione al fenomeno IS da parte dei Paesi coinvolti e sulla specifica situazione italiana con i relativi  fattori di rischio e di allarme, in ossequio all’obiettivo dichiarato dell’informativa che è quello di mettere a parte il Parlamento dello stato delle conoscenze del fenomeno, delle possibili ricadute sul suolo nazionale e del quadro di cooperazione internazionale globale. L’informativa urgente è stata resa, nella medesima giornata del 9 settembre, anche presso l’Assemblea del Senato della Repubblica.

In pari data, il Ministro degli esteri riferiva alle Commissioni Esteri e Difesa dei due rami del Parlamento sugli esiti del Vertice dell’Alleanza atlantica, tenutosi il 4 ed il 5 settembre in Galles, sottolineando come in quella sede fosse emersa con chiarezza una convergenza tra i partner atlantici circa l’esigenza  di non coinvolgere la NATO in quanto tale nel teatro di crisi siriano-iracheno ma di creare una rete di Paesi che non coinvolgesse solamente alcuni Stati membri del Patto atlantico, ma anche altri Stati, al di fuori dell’Alleanza atlantica a partire dai Paesi arabi ed islamici, con una pluralità di strumenti, non principalmente militari, ma soprattutto sul versante dell’aiuto umanitario, del controllo dei flussi economici e finanziari, fondamentale per arginare i rifornimenti e l’accesso di risorse di ISIS, nella cornice di Nazioni unite.

In quella stessa giornata del 9 settembre, il Governo presentava una proposta emendativa all’art. 4 del disegno di legge di conversione del richiamato decreto-legge n. 109/2014[5], di proroga della partecipazione italiana e missioni internazionali, volta ad autorizzare per l'anno 2014, la spesa di euro 1.965.886 per il trasporto degli aiuti umanitari a favore della popolazione civile irachena effettuato nel mese di agosto, nonché per il trasporto del materiale di armamento ceduto, a titolo gratuito, alla Repubblica dell'Iraq.

In sede di approvazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge, il Governo accoglieva il 17 settembre scorso un ordine del giorno, d’iniziativa dell’on. Gianluca Rizzo (9/2598-A-R/32), riformulato nel corso della seduta, che impegna il Governo a non assumere ulteriori iniziative d'invio in Iraq di armi e militari oltre a quelli presenti nel decreto in esame, senza prima aver dato preventiva comunicazione alle Camere o alle Commissioni competenti che adottano le conseguenti deliberazioni.

I profili della sicurezza interna italiana davanti all’evoluzione della minaccia jihadista esplicitamente rivolta al nostro Paese sono stati oggetto di un’interrogazione a risposta immediata in Assemblea alla Camera (3-01047, Dorina Bianchi ed altri) svolta nella seduta del 24 settembre. In sede di replica il Ministro Alfano ha confermato la necessità di innalzare il livello di guardia, in considerazione sia delle dirette minacce all’Italia, sia anche dell'offensiva delle forze di cooperazione in territorio siriano suscettibile di innescare forme di reazione.

Nell’ambito di una strategia focalizzata sulla valutazione di qualsiasi segnale di pericolo, per quanto tenue, il Ministro dell’Interno ha sottolineato che può considerarsi convocato in permanenza il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, tavolo di alto coordinamento che riunisce  rappresentanti delle Forze di polizia e degli organismi informativi. In un quadro di azione europea - ha affermato Alfano – sta procedendo la proposta italiana, cui può giovare la funzione di Presidenza di turno dell’Ue, di costituire una squadra multidisciplinare di monitoraggio dei combattenti stranieri, nonché il progetto di realizzazione di una banca dati basata sul codice di protezione passeggeri (passenger name record) che metta a disposizione delle polizie le liste dei passeggeri dei voli in transito nell'area Schengen o in arrivo dai Paesi terzi.

Nella seduta dell’11 settembre 2014 presso la Commissione Difesa della Camera si è svolta l’interrogazione a risposta immediata 5-03522 d’iniziativa dell’on. Donatella Duranti sui rischi connessi alla fornitura di armi alle forze curde in Iraq. Con riferimento, in particolare, alla parte dell’interrogazione che si incentra sul rischio di “sviamento”, ossia la perdita di controllo sui destinatari della fornitura, nel testo della risposta viene precisato che, ai sensi di quanto stabilito con un apposito documento (End User Certificate), firmato dal Governo regionale curdo il 28 agosto 2014 su richiesta delle autorità italiane, i destinatari finali della fornitura sono chiaramente individuati e gli utilizzatori finali sono tenuti a non riesportare o trasferire il materiale italiano oggetto dell’operazione senza il consenso delle autorità italiane.

L’End User Certificate prevede che il materiale verificato dalla autorità irachene venga consegnato a destinatari preventivamente individuati, responsabili della distribuzione agli utilizzatori finali, rigorosamente appartenenti all’etnia curda. Le procedure avverranno sotto la supervisione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per il tramite della Rappresentanza diplomatica di Erbil. Quanto all’utilizzo per “fini istituzionali” di materiale d’armamento sequestrato, che è altra questione posta dagli interroganti, nel testo della risposta si esplicita che il necessario decreto interministeriale Giustizia-Difesa-Economia (come stabilito a suo tempo dalla legge 108/2009 e, successivamente, dall’articolo 319 del Codice dell'ordinamento militare[6]) è stato assunto il 4 settembre 2014; con tale provvedimento è stata determinata la destinazione di tali materiali ad uso istituzionale della Difesa.

Le iniziative a protezione del cantone di Kobane nel Kurdistan occidentale (a pochi chilometri dal confine con la Turchia) pesantemente attaccato dall’IS da metà settembre, e la posizione del governo di Ankara, sono stati oggetto dell’interrogazione a risposta immediata in Commissione Esteri 5-03672 d’iniziativa dell’on. Emanuele Scagliusi svolta nella seduta del 1° ottobre.

Ancora sull’assedio della città siriana di Kobane da parte dei miliziani dell'IS e sulla posizione della Turchia è intervenuta alla Camera (seduta del 10 ottobre) l’interpellanza urgente in Assemblea 2-00709 d’iniziativa dell’on. Erasmo Palazzotto. L’on. interpellante ha evidenziato, tra il resto, come l’attacco portato alla capitale – Kobane appunto - della regione autonoma del Rojava costituitasi nel Kurdistan siriano a novembre 2013 dall’unione delle tre enclavi curde di Kobane, Afrin e Cizre, dotatasi di istituzioni democratiche e di forze di difesa del popolo (YPG) e divenuta un pacifico esempio di convivenza e tolleranza di etnie e religioni diverse (curdi, arabi, turcomanni, assiri, armeni, cristiani, yazidi, musulmani), punti a distruggere il simbolo di un'alternativa possibile al modello sociale e religioso perseguito dall’IS.

In sede di replica, il rappresentante del Governo ha dato ampiamente conto della posizione della Turchia sulla strategia di contrasto all’IS, allo stato refrattaria all’opzione di intervento di terra limitato alla città di Kobane propugnato dall’opposizione parlamentare (in particolare dal CHP, il Partito repubblicano del popolo), ed ancorata al testo di una mozione approvata il 1° ottobre il cui mandato – ritenuto troppo vago - autorizza per un anno l'esercito ad intervenire oltre confine, in territorio siriano e iracheno, per fare fronte alle crescenti minacce poste dall'avanzata delle forze dell'IS e consente il transito in territorio turco di truppe straniere nonché l'utilizzo delle basi militari turche da parte della coalizione internazionale.

Il Sottosegretario ha rammentato, altresì, che la Turchia non acconsente nemmeno all’apertura del valico che porta all’enclave di Kobane che consentirebbe – come ha sottolineato anche l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, autore di un appello alla Turchia in tal senso – “ai volontari di entrare nella città con equipaggiamenti sufficienti contribuendo alle operazioni di autodifesa”.

La posizione italiana – ha affermato l’esponente dell’esecutivo – si fonda sull’auspicio che, nel pieno rispetto delle esigenze di sicurezza turche, Ankara sappia articolare il proprio apporto alla strategia della coalizione, commisurandolo alla vasta portata della minaccia di IS alla stabilità della regione mediorientale e della Turchia stessa; e del resto molti soggetti internazionali e numerosi altri Paesi cercano di convincere la Turchia a fare di più, o almeno consentire il passaggio di chi vuole andare a combattere per difendere l’enclave di Kobane, attaccata su più lati con armi pesanti (le armi dell'esercito iracheno prese a Mosul ed anche quelle dell'esercito siriano) e difesa soltanto dalle forze di protezione del popolo curdo delle YPG.

Quanto agli interventi sul piano umanitario, il rappresentante del Governo ha rammentato la tempestività dell’intervento della cooperazione italiana in risposta alla crisi umanitaria in Iraq visto l'afflusso di rifugiati siriani e, più recentemente, a causa dell'offensiva dell'IS. Rammentato che recenti stime delle Nazioni Unite quotano a oltre 1,8 milioni gli sfollati in Iraq, il sottosegretario ha sottolineato che sino ad ora sono stati erogati (dall’Italia) 500.000 euro all'OMS, 250.000 euro al PAM, 230.000 euro all'UNICEF; inoltre, parte del programma del valore di 1 milione di euro già avviato in Iraq in favore dei rifugiati siriani presenti nelle aree del Kurdistan iracheno, è stato riconvertito per realizzare attività in ambito sanitario e formativo in favore dei nuovi sfollati interni presenti nel Paese. Quanto alla regione di Kobane, le precarie condizioni di sicurezza non hanno sino ad ora consentito lo svolgimento di attività umanitarie internazionali.

Da ultimo, il 16 ottobre, presso le Commissioni congiunte Esteri e Difesa della Camera e del Senato si è svolta l’audizione del Ministro della difesa e del sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova, sugli sviluppi del quadro internazionale, con particolare riferimento all'Iraq. In apertura di seduta il Presidente della Commissione Difesa, on. Elio Vito, ha fatto riferimento alla forte preoccupazione per l’attuale quadro geopolitico internazionale emersa nella recente riunione del Consiglio supremo di difesa, con particolare riferimento ai rischi rilevanti per l’Europa e per l’Italia connessi alla pressione militare dell’IS in Siria e in Iraq e correlati anche alla forza attrattiva che il movimento sembra poter esercitare su altre formazioni jihadiste e dell’estremismo islamico in aree non contigue ai territori controllati. In tale situazione – ha sottolineato Vito - il Consiglio supremo di difesa ha rilevato che è necessario che l’Italia, insieme a Nazioni Unite e Unione europea, consideri con estrema attenzione gli eventi in corso ed eserciti ogni possibile sforzo per prevenire, in particolare, l’ulteriore destabilizzazione della Libia; inoltre, la gravità della  situazione evidenzia l’urgenza e l’importanza, pur nei limiti della ridotta disponibilità di risorse, di una rapida trasformazione delle nostre Forze armate e dell’organizzazione europea della sicurezza.

Il Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, dopo aver richiamato origine ed ambizioni espansionistiche dell’IS, definito violentissimo attore politico e militare, ed averne evidenziato il forte appeal ideologico ed economico che fa quotare a 30 mila uomini - nell’ipotesi più pessimistica -  la consistenza del contingente di combattenti, ha rammentato le molteplici iniziative, di carattere sia politico sia militare, poste in campo dalla comunità internazionale per contrastare i fenomeno, a partire dalla collocazione dell’IS nelle black lists delle organizzazioni terroristiche da parte di Paesi musulmani quali la Turchia (2013) e, recentemente, l’Arabia saudita.

Pinotti ha affermato che sessanta tra Paesi ed organizzazioni internazionali cooperano in una coalizione di fatto adottando misure di contrasto, e fra questi almeno dieci stanno concretamente operando con azioni militari. Quanto al nostro Paese, esso sta contribuendo agli sforzi della comunità internazionale con una molteplicità di misure, incluse quelle di carattere militare; a settembre sono state consegnate alle forze curde, ovviamente con il pieno appoggio del Governo iracheno, mitragliatrici in dotazione all’Esercito italiano giudicate cedibili in considerazione dei surplus esistenti nei nostri depositi.

È poi iniziata la fase di confezionamento e trasporto di munizionamento di modello ex sovietico conservato nel deposito di Guardia del Moro, dopo che il materiale era stato confiscato dall’autorità giudiziaria nel 1994. Si tratta – ha precisato Pinotti - di munizionamento per mitragliatrice pesante, nonché di munizioni per sistemi controcarro dei tipi in uso da parte delle forze curde. Il trasporto verso la città di Erbil, nella regione del Kurdistan. La necessità di proseguire nel contributo italiano nelle operazioni contro l’IS vede il nostro Paese orientato verso la fornitura di altro materiale giudicato cedibile nonché verso l’invio di un velivolo KC-767 per il rifornimento in volo degli assetti aerei della coalizione, di due velivoli a pilotaggio remoto tipo Predator per la sorveglianza della regione e di una cellula di ufficiali per le attività di pianificazione. Inoltre si prevede l’invio di personale per l’addestramento e la formazione delle forze che contrastano l’IS, come espressamente richiesto dalle autorità curde: si tratta di un totale di circa duecento militari, inclusi gli elementi di supporto, i quali andrebbero a operare nei luoghi concordati con le autorità irachene e i Paesi della coalizione, presumibilmente ad Erbil.

Il Ministro ha fatto cenno anche all’arrivo in Italia di alcuni militari curdi che verranno addestrati all’uso dei sistemi d’arma che hanno ricevuto in cessione. Inoltre – ha aggiunto Pinotti - sarà possibile inserire successivamente in teatro circa ottanta unità di personale con funzione di consigliere per gli alti comandi delle forze irachene, che porta il totale del personale a 280 unità. Infine, è in fase di pianificazione l’invio di altri assetti pilotati per la ricognizione aerea. Come emerso nel corso del dibattito, poiché l’invio di ulteriori contributi italiani risponde alle necessità riscontrabili in teatro, tale invio rientra nell’ambito del mandato conferito dalle risoluzioni parlamentari del 20 agosto, e, pertanto, non necessita di un ulteriore passaggio “politico” in Parlamento.

Il sottosegretario Della Vedova ha rammentato la scelta di un approccio sin dall’inizio multidimensionale alla questione del contrasto all’IS comprensivo di misure non solo militari, ma anche di sostegno politico, di comunicazione pubblica, di contrasto ai flussi di combattenti stranieri e al loro finanziamento, di coordinamento informativo, umanitarie, di cooperazione nel settore educativo, di promozione delle opportunità di sviluppo economico e sociale; fondato sull’assunzione di concrete responsabilità da parte dei Paesi della regione; pragmatico nel tenere conto delle specificità e delle diverse realtà sul terreno; informato al concetto di unicità del teatro siro-iracheno, viste le caratteristiche di mobilità e rapida capacità di adattamento dimostrate dallo Stato islamico.

Tutto ciò al fine – ha sottolineato il Sottosegretario – non solo di contrastare direttamente, ma anche di ricostituire stabilmente equilibri politico-sociali realistici e sostenibili nei singoli Paesi della regione. Sotto il profilo dell’assistenza umanitaria alla drammatica emergenza che si estende dall’Iraq occidentale alla Siria Nord-orientale, Dalla Vedova ha rammentato che attraverso la cooperazione italiana sono state avviate operazioni nel Kurdistan iracheno per un totale di oltre 2 milioni di euro, di cui 980,000 per attività delle organizzazioni internazionali già presenti in loco (l’OMS, il PAM e l’Unicef) nei settori della salute e sicurezza alimentare, acqua e protezione dei minori.

 

 


Rapporti tra Unione europea ed Iraq
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

L'UE sostiene la transizione dell'Iraq verso la democrazia e la sua integrazione all'interno della regione e nella comunità internazionale.

Nel maggio del 2012, la UE e l'Iraq hanno firmato un accordo di partenariato e di cooperazione, che fornisce un quadro per promuovere il dialogo e la cooperazione sui seguenti temi: questioni politiche e sociali; diritti umani; lo stato di diritto; migrazione; ambiente; commercio; cultura; energia; trasporto e sicurezza.

Sostegno dell’UE all’aiuto umanitario

La situazione umanitaria in Iraq si è deteriorata rapidamente negli ultimi mesi con l'escalation del conflitto armato. Le Nazioni Unite stimano che almeno 23 milioni di persone sono colpite dal conflitto, con 5,2 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria. Tra questi, 1,8 milioni di sfollati dal gennaio 2014 e 3,6 milioni di persone che vivono in zone di conflitto attive, di cui almeno 2,2 milioni sono in immediato bisogno di aiuti umanitari .

Le difficoltà di accesso in molte parti dell'Iraq occidentale e centrale limitano la capacità di fornire assistenza umanitaria..

Il 22 ottobre scorso la Commissione europea ha deciso lo stanziamento supplementare di 3 milioni di euro per aiuti umanitari destinati a sostenere le popolazioni civili per l’arrivo dell’inverno, portando il totale degli stanziamenti per il 2014 a circa 20 milioni di euro.

 Il sostegno umanitario totale della Commissione europea in Iraq dal 2007 ammonta a quasi 150 milioni di euro, compreso il sostegno ai profughi siriani in Iraq. L'assistenza viene prestata attraverso le agenzie delle Nazioni Unite, le organizzazioni internazionali e ONG internazionali.

Recenti prese di posizione del Consiglio dell’UE

Il Consiglio dell’UE nelle conclusioni sulla situazione in Iraq adottate il 15 agosto 2014 ha:

·        ribadito il suo impegno a favore dell'unità, sovranità e integrità territoriale dell'Iraq ed espresso preoccupazione per il grave deterioramento delle condizioni di sicurezza e della situazione umanitaria nel paese, soprattutto nelle regioni settentrionali in conseguenza degli attacchi dell'ISIL e di altri gruppi armati associati;

·        condannato le violazioni dei diritti umani fondamentali, in particolare nei confronti delle minoranze religiose o dei gruppi più vulnerabili;

·        apprezzato la decisione di singoli Stati membri di rispondere positivamente alla richiesta delle autorità regionali curde riguardo alla fornitura urgente di materiale militare;

·        accolto con favore la nomina di Haider Al Abadi a primo ministro designato e espresso fiducia per la costituzione di un nuovo governo inclusivo e in grado di rispondere alle esigenze di tutti i cittadini iracheni. Il Consiglio invita tutti i leader politici, religiosi e tribali, in particolare delle popolazioni sunnita e curda, a promuovere la fiducia nelle istituzioni democratiche;

·        espresso sostegno alla missione di assistenza dell'ONU per l'Iraq (UNAMI) e invitato i paesi confinanti dell'Iraq e gli altri partner a rafforzare la cooperazione.

Il Consiglio dell’UE ha adotta da ultimo, il 20 ottobre scorso, delle  conclusioni sulla crisi dovuta all'ISIL/Da'esh in Siria e in Iraq a, nelle quali:

·        sostiene gli sforzi profusi da oltre sessanta Stati per contrastare la minaccia posta dall'ISIL/Da'esh, compresa l'azione militare nel rispetto del diritto internazionale. Osserva che in questo contesto l'azione militare è necessaria ma non sufficiente e rientra in un più ampio sforzo che comprende misure nei settori politico/diplomatico, della lotta al terrorismo e al finanziamento del terrorismo, nonché nei settori umanitario e della comunicazione. L'UE invita tutti i partner a attuare le pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in particolare la 2170 e la 2178, e a incrementare gli sforzi a livello nazionale per impedire all'ISIL/Da'esh di beneficiare dei profitti derivanti dalle vendite illegali di petrolio e altri beni;

·        ritiene che in conseguenza delle sue politiche e delle sue azioni, il regime di Assad non può essere un partner nella lotta contro l'ISIL/Da'esh;

·        ribadisce il suo fermo impegno a contrastare il grave problema rappresentato dai combattenti stranieri entrati nelle file dell'ISIL/Da'esh e di altri gruppi terroristici;

·        è determinato a prendere provvedimenti immediati e a lungo termine per impedire all'ISIL/Da'esh di beneficiare delle sue fonti di finanziamento e approvvigionamento, nonché per potenziare la sua cooperazione con i paesi confinanti della Siria e dell'Iraq in materia di sicurezza e di lotta al terrorismo;

·        accoglie con favore la formazione del nuovo governo iracheno l'8 settembre e accoglie con favore il fatto che i ministri curdi abbiano assunto le proprie cariche governative. Invita il governo iracheno e il governo della regione del Kurdistan a trovare una soluzione duratura alle loro divergenze;

·        ribadisce il suo fermo impegno a favore dell'unità, della sovranità e dell'integrità territoriale dell'Iraq. È soddisfatto degli sforzi della coalizione, tra cui la decisione dei singoli Stati membri di fornire materiale militare e consulenza all'Iraq per arginare la capacità dell'ISIL/Da'esh di colpire la popolazione civile. Chiede al governo di avvicinarsi a tutte le componenti della società irachena e di perseguire, senza indugio, un processo di riconciliazione nazionale. Sollecita tutte le componenti della società irachena a unirsi nella lotta contro l'ISIL/Da'esh e nel sostegno al processo di riconciliazione nazionale;

·        dichiara la sua disponibilità a sostenere il Governo dell’Iraq nello sviluppo delle riforme necessarie in un ampio spettro di settori, tra cui il settore della sicurezza e l'ordinamento giudiziario;

·        chiede all'Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE di sviluppare una strategia regionale globale per la Siria e l'Iraq, nonché per far fronte alla minaccia dell'ISIL/Da'esh.

Risoluzioni del Parlamento europeo

Nella risoluzione sulla situazione in Iraq, approvata il 14 luglio 2014 il Parlamento europeo:

·        esprime profonda preoccupazione per il rapido aggravarsi della situazione della sicurezza in Iraq e condanna fermamente gli attacchi perpetrati dall'IS contro lo Stato e i cittadini iracheni;

·        sostiene le autorità irachene nella lotta contro il terrorismo dell'IS, ma sottolinea che la risposta alla questione della sicurezza deve essere combinata con una soluzione politica sostenibile che coinvolga tutte le componenti della società irachena;

·        sottolinea inoltre che, nella lotta al terrorismo, occorre rispettare i diritti umani e il diritto umanitario internazionale e sollecita le forze di sicurezza irachene ad agire in linea con il diritto internazionale e nazionale;

·        respinge senza riserve e considera illegittimo l'annuncio della leadership dell'IS, che dichiara di aver stabilito un califfato nelle zone attualmente sotto il suo controllo, e rifiuta l'idea di eventuali modifiche, unilaterali e imposte con la forza, di confini riconosciuti a livello internazionale;

·        sottolinea che l'IS è soggetto all'embargo sugli armamenti e al congelamento dei beni imposto dalle risoluzioni 1267 (1999) e 1989 (2011) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e pone in rilievo l'importanza di una rapida ed efficace attuazione delle misure in questione;

·        invita tutte le parti a contribuire agli sforzi volti a promuovere la sicurezza e la stabilità in Iraq e in particolare a incoraggiare il governo iracheno ad avviare un dialogo con la minoranza sunnita e a riorganizzare l'esercito in modo inclusivo, non settario e imparziale;

·        invita la comunità internazionale, in particolare l'UE, ad agevolare un dialogo regionale sui problemi del Medio Oriente e ad associarvi tutti gli attori più rilevanti, in particolare l'Iran e l'Arabia Saudita;

·        sottolinea che l'UE dovrebbe sviluppare un approccio strategico globale per la regione e osserva, in particolare, che l'Iran, l'Arabia Saudita e gli altri Stati del Golfo, alla luce del loro ruolo fondamentale, dovrebbero partecipare agli sforzi di allentamento delle tensioni in Siria e in Iraq;

·        prende atto dell'annuncio del governo regionale curdo in merito all'organizzazione di un referendum sull'indipendenza; fa tuttavia appello al parlamento e al presidente del Kurdistan iracheno, Massoud Barzani, affinché sostengano un processo inclusivo nel rispetto dei diritti delle minoranze non curde che vivono nella regione.

 

Nella risoluzione sulla situazione in Iraq e in Siria e offensiva dell'IS, del 18 settembre 2014, il Parlamento europeo:

·        sottolinea che gli attacchi sistematici contro i civili a causa della loro appartenenza etnica o politica, della loro religione, del loro credo o del loro genere costituiscono un crimine contro l'umanità;

·        esprime la sua solidarietà con i membri delle comunità cristiane perseguitate, nonché con le altre minoranze religiose oggetto di persecuzioni;

·        respinge senza riserve e considera illegittimo l'annuncio della leadership dell'IS, che dichiara di aver stabilito un califfato nelle zone attualmente sotto il suo controllo e sottolinea che la creazione e l'espansione del «califfato islamico», nonché le attività di altri gruppi estremisti in Iraq e in Siria, costituiscono una minaccia diretta alla sicurezza dei paesi europei;

·        invita il Consiglio dell’UE a prendere in considerazione un utilizzo più efficace delle attuali misure restrittive, in particolare per impedire che l'IS tragga vantaggio dalla vendita illecita di petrolio o dalla vendita di altre risorse sui mercati internazionali;

·        invita l'UE a imporre sanzioni a tutti i soggetti (governi e imprese pubbliche o private) coinvolti nel trasporto, nella trasformazione, nella raffinazione e nella commercializzazione del petrolio estratto in zone controllate dall'IS, unitamente a rigorosi controlli dei flussi finanziari;

·        si compiace dell'invito degli Stati Uniti a formare una coalizione internazionale contro l'IS;

·        accoglie con favore la decisione presa dalla Lega araba il 7 settembre 2014 di adottare le misure necessarie per affrontare l'IS e collaborare nel contesto degli sforzi internazionali, regionali e nazionali ed invita la Lega araba a discutere in merito alla possibilità di modificare la Convenzione araba per la repressione del terrorismo del 1998 per contrastare il terrorismo globale;

·        invita gli Stati membri dell'UE ad assistere le autorità irachene e locali con tutti i mezzi possibili, ivi compresi adeguati aiuti militari, affinché respingano l'espansione terroristica dell'IS;

·        si compiace della decisione di singoli Stati membri di rispondere positivamente alla richiesta delle autorità regionali curde riguardo alla fornitura urgente di materiale militare ed invita gli Stati membri che stanno fornendo materiale militare alle autorità regionali curde a coordinare i relativi sforzi e a mettere in atto misure per impedire una diffusione incontrollata e l'uso di materiale militare contro i civili;

·        invita la Turchia a impegnarsi in maniera chiara e inequivocabile per contrastare la minaccia alla sicurezza comune posta dall'IS;

·        invita l'UE ad agevolare un dialogo regionale sui problemi del Medio Oriente e ad includervi in particolare l'Iran e l'Arabia Saudita;

·        invita la comunità internazionale a mobilitarsi in misura maggiore, a mostrarsi più disponibile nella condivisione degli oneri e ad apportare un sostegno finanziario diretto ai paesi di accoglienza;

·        sottolinea che, nel lungo termine, solo una soluzione politica duratura e inclusiva che comporti una transizione pacifica verso un governo realmente rappresentativo in Siria contribuirebbe a neutralizzare la minaccia dell'IS e di altre organizzazioni estremiste;

·        ribadisce la sua preoccupazione per il fatto che migliaia di combattenti stranieri transfrontalieri, tra cui cittadini degli Stati membri, si siano uniti all'insurrezione dell'IS; invita gli Stati membri ad adottare misure adeguate per impedire ai combattenti di lasciare il loro territorio nonché a sviluppare una strategia comune per i servizi di sicurezza e le agenzie dell'UE per quanto concerne il monitoraggio e il controllo dei jihadisti.

La missione EUJUST LEX-Iraq

Il 31 dicembre 2013 si è conclusa la missione integrata dell'UE sullo stato di diritto per l'Iraq (EUJUST LEX-Iraq) che era finalizzata alla formazione, guida, monitoraggio e consulenza ai funzionari della giustizia penale in Iraq. Tra l'inizio della sua fase operativa nel 2005 e la sua conclusione, la missione ha intrapreso attività di sviluppo delle capacità per 7000 funzionari, contribuendo a rafforzare lo stato di diritto e a promuovere una cultura del rispetto dei diritti umani in Iraq.

 

 

 




[1] Prevede un referendum popolare, non ancora svoltosi,  per definire lo status territoriale di Kirkuk e dei territori contesi. L’articolo 140 prevede:

First: The executive authority shall undertake the necessary steps to complete the implementation of the requirements of all subparagraphs of Article 58 of the Transitional Administrative Law.

Second: The responsibility placed upon the executive branch of the Iraqi Transitional Government stipulated in Article 58 of the Transitional Administrative Law shall extend and continue to the executive authority elected in accordance with this Constitution, provided that it accomplishes completely (normalization and census and concludes with a referendum in Kirkuk and other disputed territories to determine the will of their citizens), by a date not to exceed the 31st of December 2007.

 

 

 

[2]     D.L. 114/2013 (Proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione) convertito, con modificazioni dalla legge 9 dicembre 2013,n. 135.

[3]     Anche le due risoluzioni non approvate sono state votate per parti separate, i particolare intera parte motiva e singoli impegni della parte dispositiva,  e con votazioni per appello nominale.

 

[5]     Decreto-legge 1° agosto 2014, n. 109, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché' disposizioni per il rinnovo dei comitati degli italiani all'estero, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° ottobre 2014, n. 141, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché disposizioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero.

[6]     L’articolo 319 del D. lgs. 15 marzo 2010, n. 66 ai primi due periodi prevede che le armi, le munizioni, gli esplosivi e gli altri materiali di interesse militare sequestrati e acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo di confisca dell’autorità giudiziaria possono essere assegnati al Ministero della difesa per finalità istituzionali, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri della difesa e dell’economia e delle finanze. Si provvede con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, nel caso in cui la confisca è stata disposta dall’autorità giudiziaria militare.

SERVIZIO STUDI

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Missione ad Erbil della III Commissione Affari esteri della Camera dei deputati

(3-4 novembre 2014)

 

 

 

 

 

 

n. 144

 

 

 

 

30 ottobre 2014

 


Servizio responsabile:

 

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

Ha collaborato:

 

Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 / 066760-2146 – * cdrue@camera.it

 

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: ES0295.docx

 


INDICE

La Regione autonoma del Kurdistan iracheno (a cura del Ministero degli affari esteri  e della cooperazione internazionale) 3

Gli interventi anti-ISIL in Iraq e Siria (a cura del Ministero degli affari esteri  e della cooperazione internazionale) 35

Recenti sviluppi del quadro politico iracheno (a cura del Ministero degli affari esteri  e della cooperazione internazionale) 39

Rapporti tra Turchia e Kurdistan iracheno (a cura del Ministero degli affari esteri  e della cooperazione internazionale) 41

L’attività parlamentare in materia (a cura del Servizio Studi della Camera dei deputati) 43

Rapporti tra Unione europea ed Iraq (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea) 55

Profili biografici

§     Mr. Yousif Mohammed Sadiq Speaker of Kurdistan Parliament-Iraq  63

§     Qubad Talabani Vice Primo ministro del Governo regionale del kurdistan  65

Pubblicistica

§     ’Stati Uniti d’America: I dubbi sugli attacchi ‘intelligenti’ degli Stati Uniti’, in: www.lookoutnews.it, 2 ottobre 2014  69

§     ’Turchia: La Turchia in guerra contro lo Stato islamico’, in: www.lookoutnews.it, 3 ottobre 2014  69

§     G. Cuscito ‘Le debolezze della coalizione contro lo Stato Islamico in Iraq e Siria’, in: Limes, 2 ottobre 2014  69

§     ’Turchia: Gli jihadisti in cammino verso l’Europa’, in: www.lookoutnews.it, 6 ottobre 2014  69

§     G. Cucchi ‘Il campanello d’allarme – Grazie, Califfato! Grazie, Califfo!’, in: www.affarinternazionali.it, 6 ottobre 2014  69

§     V. Camporini ‘Perché l’intervento contro ISIS non sarà sufficiente’, in: www.aspeninstitute.it, 7 ottobre 2014  69

§     V. Giannotta ‘L’ISIS e la possibile svolta della politica estera turca’, in: www.aspeninstitute.it, 7 ottobre 2014  69

§     R. Menotti ‘I raid aerei contro ISIS: il volto soft dell’hard power’, in: www.aspeninstitute.it, 7 ottobre 2014  69

§     A. M. Valli ‘Vaticano e Iran uniti per proteggere i cristiani’, in: www.affarinternazionali.it, 7 ottobre 2014  69

§     U. Tramballi ‘Le periferie della grande guerra contro il califfato’, in: www.affarinternazionali.it, 7 ottobre 2014  69

§     M. Arnaboldi ‘Sharia4: un ponte tra Europa e Levante’, in: Commentary ISPI, 8 ottobre 2014  69

§     ’Siria: Kobane sotto assedio: le falle della strategia americana’, in: www.lookoutnews.it, 9 ottobre 2014  69

§     G. Cucchi ‘E se Lawrence d’Arabia avesse avuto ragione?’, in: Limes, 9 ottobre 2014  69

§     F. Ventura ‘Lo Stato Islamico minaccia l’equilibrio idropolitico in Siria e Iraq’, in: Limes, 9 ottobre 2014  69

§     E. Harris ‘ISIS and Social Media’, in: www.cesi-italia.org., 9 ottobre 2014  69

§     M. Guidi ‘La Turchia osserva il massacro dei curdi di Kobane’, in: www.affarinternazionali.it, 9 ottobre 2014  69

§     ’Siria: L’intervento di terra americano in Siria e Iraq? Poco credibile’, in: www.lookoutnews.it, 10 ottobre 2014  69

§     L. Liimatainen ‘Lo Stato Islamico e il ricordo del primo jihad in Arabia Saudita’, in: Limes, 10 ottobre 2014  69

§     A. M. Cossiga ‘Invece di bombardare lo Stato Islamico, dovremmo dialogarci’, in: Limes, 13 ottobre 2014  69

§     N. Ronzitti ‘Casini e Cicchitto, l’Onu contro il Califfo – Si può intervenire anche senza le Nazioni Unite’, in: www.affarinternazionali.it, 13 ottobre 2014  69

§     ’Turchia: La Turchia combatte i curdi e aiuta lo Stato Islamico’, in: www.lookoutnews.it, 15 ottobre 2014  70

§     ’Iraq: Baghdad nel mirino dello Stato Islamico, in: www.lookoutnews.it, 16 ottobre 2014  70

§     ’Siria: I caccia dello Stato Islamico’, in: www.lookoutnews.it, 17 ottobre 2014  70

§     F. Ventura ‘La guerra all’Is è l’ultima priorità per la Turchia in Siria’, in: Limes, 17 ottobre 2014  70

§     ’Siria: La prova di forza di Kobane’, in: www.lookoutnews.it, 20 ottobre 2014  70

§     A. M. Cossiga ‘Ribadisco: prima di distruggere lo Stato Islamico, parliamoci’, in: Limes, 20 ottobre 2014  70

§     ‘Turchia: Chi sono i curdi’, in: www.lookoutnews.it, 23 ottobre 2014  70

§     ’Siria: La storia si ripete: le armi degli USA in mano al nemico’, in: www.lookoutnews.it, 23 ottobre 2014  70

§     F. Arpino ‘Fare la guerra al Califfo, fingendo di non farla all’Islam’, in: www.affarinternazionali.it, 23 ottobre 2014  70

§     G. Cuscito ‘Nella lotta all’Is Kobane è un’emergenza, l’Anbar è la priorità’, in: Limes, 17 ottobre 2014  70

§     R. Giaconi ‘I due fronti australiani della guerra allo stato Islamico’, in: Limes, 29 ottobre 2014  70

§     A. Plebani ‘L’Iraq tra le ombre del califfato e le speranze del nuovo esecutivo Al-Abadi’, paper presentato al Seminario della Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della NATO sul tema Isis: conoscere una minaccia, Roma, 30 ottobre 2014  70

Documentazione allegata

§     OCHA (UNITED NATIONS OFFICE FOR THE COORDINATION OF HUMANITARIAN AFFAIRS) ‘Iraq CRISIS’ Situation Report No. 17 (18 October – 24 October 2014) 73

 

 

 



SIWEB

L’Offensiva dello “Stato islamico” in Iraq ed in Siria:
cronologia degli ultimi avvenimenti
(a cura del Servizio Studi
della Camera dei deputati)

 

 

Giugno 2014

Il 5 giugno la formazione jihadista dello “Stato islamico” (IS) forniva una prima assoluta dimostrazione di forza sullo scenario iracheno – mentre già da tempo si era invece affermata nella caotica situazione dei combattimenti in territorio siriano -  conquistando importanti posizioni, e per di più con il controllo di una regione in cui si concentrano le scarse risorse petrolifere di Damasco - con l’occupazione per alcune ore di diversi quartieri di una delle città simbolo degli sciiti iracheni, Samarra, che i miliziani dell’IS abbandonavano solo dopo molte ore di scontri con le forze di sicurezza irachene, coadiuvate anche da elicotteri.

Intanto a Falluja, da gennaio nelle mani dell’IS, oltre alle centinaia di vittime dei bombardamenti governativi che inutilmente hanno tentato di riprendere la città, la situazione umanitaria della popolazione si rivelava agli occhi di una delegazione del Comitato internazionale della Croce rossa assolutamente disastrosa, con grave penuria di cibo, acqua e materiale sanitario, e con l’unico ospedale gravemente danneggiato.

Il 7 giugno una serie di attentati per mezzo di autobomba devastava alcuni quartieri periferici sciiti di Baghdad, provocando almeno 60 morti, nelle stesse ore in cui nel campus universitario di Ramadi, ad appena 100 km dalla capitale, i miliziani jihadisti prendevano in ostaggio studenti e impiegati. Intanto a Mosul una sessantina di morti erano il risultato di scontri tra forze di sicurezza e miliziani qaidisti, dopo che già il giorno precedente vi erano state oltre 30 vittime. Le azioni dell’IS cominciavano a mostrare un’ampiezza allarmante, ben al di fuori della provincia di al-Anbar.

Il 10 giugno questi timori erano pienamente confermati, con la caduta in mano all’ IS di gran parte della provincia settentrionale di Ninive, e soprattutto della sua capitale Mosul, seconda città del paese, posta al centro della regione petrolifera del nord dell’Iraq. Nella circostanza erano confermate le paure sulla tenuta dell’esercito iracheno, che perlopiù si limitava a ripiegare dalle proprie posizioni, mentre i miliziani jihadisti dilagavano anche in parte nelle due province limitrofe di Kirkuk e Salahuddin – in quei giorni centinaia di soldati iracheni venivano decapitati dai jihadisti, spargendo il terrore nelle popolazioni limitrofe e provocando sdegno in tutto il mondo.

Nei giorni successivi emergeva come le divisioni tra sciiti e sunniti avessero minato le forze armate di Baghdad, oltretutto non addestrate ad azioni antiguerriglia, nonostante gli ingenti acquisti di armamenti sofisticati degli ultimi anni. A fronte di questi sviluppi il governo di Baghdad reagiva con un appello per distribuire armi ed equipaggiamenti militari ai volontari intenzionati a combattere contro i miliziani dell’IS e contro il loro capo al-Baghdadi, conosciuto anche come Abu Dua, dal 2011 al vertice dell’organizzazione, con l’obiettivo di dar vita a un califfato che raggruppi le regioni settentrionali dell’Iraq e della Siria, cancellando gli ormai secolari confini tracciati dalle potenze coloniali europee.

L’11 giugno l’avanzata dell’IS appariva inarrestabile, con la conquista di Tikrit, ex roccaforte di Saddam Hussein e principale città della provincia di Salahuddin. La strategia dell’IS cominciava a delinearsi, con il chiaro obiettivo di un controllo delle risorse petrolifere dell’Iraq settentrionale, da conseguire con l’accerchiamento della città di Kirkuk, avendo conseguito nel frattempo il controllo della più grande raffineria di petrolio dell’Iraq e di una centrale elettrica di grande importanza regionale - le mosse dell’IS sullo scenario iracheno vanno collegate a quanto già conseguito in territorio siriano, dove le zone conquistate sono anch’esse le sole ricche di petrolio del paese.

L’avanzata dell’IS, tuttavia, era destinata fatalmente a scontrarsi con le ambizioni dei curdo-iracheni, che, nonostante forti contrasti con Baghdad, già da tempo avevano iniziato ad esportare autonomamente il petrolio del nord, e vedevano ora in pericolo la posizione di forza conquistata dopo la caduta di Saddam Hussein. In effettiil 12 giugno le truppe curde dei peshmerga assumevano il controllo di Kirkuk, dopo lunghi giorni in cui erano rimaste attestate sulle proprie posizioni, attendendo un’intesa con il governo di Baghdad.

Al quadro complessivo va aggiunta anche la catastrofe umanitaria, con oltre mezzo milione di iracheni costretti ad abbandonare le proprie case - da sommare ai quasi 300.000 rifugiati in Iraq in fuga dalla guerra civile siriana-, di fronte alla violenza fanatica dell’IS, che dava inizio alla distruzione e all’incendio di chiese e conventi cristiani. Anche la Turchia si trovava involontariamente coinvolta, quando una cinquantina di propri diplomatici venivano presi in ostaggio dall’IS, circostanza particolarmente imbarazzante per Ankara, visto lo scoperto appoggio prestato agli elementi jihadisti siriani in lotta contro il regime di Assad, ma che non aveva potuto prevedere l’apparire sulla scena di un elemento come l’IS, relativamente tollerato dal regime di Assad in quanto già da tempo impegnato in una dura lotta contro gli elementi jihadisti più legati ad al-Qaida.

Il precipitare della situazione induceva il 13 giugno, nel corso delle consuete preghiere del venerdì, il Grande Ayatollah dell’Iraq al-Sistani a richiamare i fedeli alla difesa della capitale contro l’avanzata dei jihadisti sunniti, nelle stesse ore in cui si aveva notizia dell’ingresso in Iraq di alcune centinaia di volontari provenienti dalle file dei pasdaran iraniani. La gravità della situazione induceva anche il presidente degli Stati Uniti Obama ad una presa di posizione in diretta televisiva, durante la quale prometteva una decisione nel giro di pochi giorni sugli aiuti al governo iracheno per respingere l’IS: il presidente Obama precisava anche che gli USA non si sarebbero fatti coinvolgere nel nuovo dramma iracheno senza un piano di cooperazione tra le diverse parti del paese, e in ogni caso Obama escludeva categoricamente l’invio di truppe di terra.

Le preoccupazioni di Teheran per lo sviluppo degli eventi sullo scenario iracheno erano testimoniate il 14 giugno dalle dichiarazioni del presidente Rohani, che si diceva pronto a intervenire, mentre cresceva l’avanguardia di pasdaran iraniani dislocati in territorio iracheno. Rohani si spingeva a immaginare una possibile collaborazione contro l’IS tra Iran e Stati Uniti, ma solo dopo aver constatato l’effettivo impegno di Washington sulla questione – Washington che dal canto suo rendeva noto di aver disposto lo spostamento nel Golfo Persico di una squadra navale comprendente la portaerei HW Bush.

Nei giorni successivi la battaglia nel nord dell’Iraq si concentrava prevalentemente intorno alle infrastrutture energetiche, tanto che diverse compagnie straniere del petrolio preparavano l’evacuazione del proprio personale: i combattimenti si accanivano particolarmente attorno alla più grande raffineria del paese, che ciascuna delle parti rivendicava di aver posto sotto il proprio controllo.

Frattanto il governo iracheno, per bocca del ministro degli esteri Zebari, rendeva noto di aver richiesto ufficialmente l’intervento aereo americano contro i miliziani dell’IS, che intanto procedevano al rapimento di 40 operai indiani impiegati nella zona. Il presidente iraniano Rohani tornava a far sentire la propria voce a difesa dei luoghi sacri degli imam sciiti in territorio iracheno, che l’Iran sarebbe disposto a proteggere in tutti i modi, anche con l’invio di numerosi volontari già pronti a recarsi in Iraq.

Gli Stati Uniti precisavano i contorni del proprio impegno dicendosi pronti a inviare a Baghdad fino a 300 consiglieri militari e a compiere azioni mirate contro i miliziani dell’IS, pur continuando ad escludere in ogni modo l’invio di truppe di terra. Più rilevante della prospettiva di impegno militare appariva nel contempo lo sforzo politico della Casa Bianca, che faceva sempre meno per nascondere l’ostilità alla formazione di un governo nuovamente presieduto da Nuri al-Maliki- ormai percepito come troppo scopertamente legato all’Iran e agli interessi confessionali sciiti, e inviso in particolar modo all’Arabia Saudita e alla Turchia, sul cui impegno invece gli Stati Uniti contano in modo particolare per una soluzione della complessa questione posta dall’IS.

Tra l’altro, proprio nel maturare dell’ostilità contro al-Maliki si infrangevano le possibilità di un’effettiva collaborazione di Washington con Teheran, come evidenziato da un aspro intervento della Guida Suprema iraniana Ali Khamenei – non seguita peraltro su questo terreno dal Grande Ayatollah iracheno al-Sistani, che il 20 giugno lanciava un appello per cacciare i ribelli e formare un governo efficace che evitasse gli errori del passato, con un’implicita ma pesantissima critica all’operato di al-Maliki. In questo difficile contesto il segretario di Stato americano John Kerry il 23 giugno si recava a Baghdad per far presente la posizione americana, favorevole alla formazione di un governo in cui tutte le componenti del paese fossero rappresentate: frattanto le truppe dell’IS assumevano il controllo del confine iracheno con la Giordania.

Il 28 giugno i combattimenti proseguivano in direzioni opposte: mentre infatti le truppe fedeli ad al-Maliki erano impegnate in una controffensiva per la riconquista di Tikrit, i miliziani dell’IS si spingevano fino all’estrema periferia di Baghdad, e nei combattimenti sarebbero morti una ventina di soldati governativi. Il luogo dello scontro, a una cinquantina di km da Baghdad, dista solo 20 km dalla città santa di Karbala, residenza della maggiore autorità religiosa sciita del Medio Oriente, ovvero il Grande Ayatollah al-Sistani.

Il 29 giugno si aveva da parte dell’IS la proclamazione della nascita di un califfato nei territori conquistati in Iraq e in Siria: l’IS annunciava altresì di aver cambiato il proprio nome semplicemente in quello di Stato islamico (IS). Il gruppo innalzava il proprio leader Abu Bakr al-Baghdadi al rango di califfo, e quindi di capo dei musulmani in tutto il mondo. Naturalmente all’atto di nascita del califfato non era attribuita alcuna rilevanza diplomatica, per quanto si tratti di un territorio con una superficie pari a quella dell’Ungheria, attraversato dal più grande fiume mediorientale, l’Eufrate, e con numerosi valichi frontalieri verso la Turchia e la Giordania. Peraltro appare assai diverso l’assetto di governo nei territori siriano e iracheno: mentre infatti in Siria l’IS è impegnato in combattimenti contro altri gruppi jihadisti, e sembra imporre con la forza la propria supremazia alle popolazioni locali, in Iraq il movimento jihadista appare sostenuto da ampi strati della popolazione sunnita, in odio alla politica giudicata discriminatoria e filoiraniana del premier di Baghdad al-Maliki.

L’aggravarsi della situazione di sicurezza dell’Iraq induceva il 30 giugno la Casa Bianca a inviare un ulteriore contingente di duecento soldati equipaggiati per il combattimento a protezione dell’ambasciata USA e dell’aeroporto di Baghdad. Sul fronte politico, intanto, nell’imminenza della riunione del 1° luglio del nuovo parlamento uscito dalle elezioni del 30 aprile, aveva luogo una riunione dell’Alleanza nazionale, piattaforma che riunisce le principali formazioni politiche sciite, completamente disertata da curdi e sunniti, nonostante avesse in programma colloqui per la designazione del premier.

Nuove notizie di atrocità compiute dai miliziani dell’IS venivano ridimensionate dal patriarca caldeo di Baghdad, Mons. Sako, evidentemente allo scopo di non esacerbare gli animi in una situazione comunque assai difficile per la comunità cristiane da sempre residenti nei luoghi caduti sotto il controllo del “califfato”.

Un segnale importante delle preoccupazioni sulla sicurezza del paese era stata intanto fornita dalla decisione delle autorità di Baghdad di oscurare i principali social network in territorio iracheno per tre settimane, decisione annullata proprio il 30 giugno.

 

Luglio 2014

Il mese di luglio si apriva con la richiesta, da parte del presidente del Kurdistan iracheno Massoud Barzani al Parlamento della Regione autonoma, di tenere un referendum sull'indipendenza: la mossa di Barzani va inquadrata nel nuovo scenario destabilizzato dell’Iraq, rispetto al quale sembra mirare, più che ad una soluzione, ad assicurare gli interessi della minoranza curda del paese, oltretutto in prima linea contro l’assalto dell’IS.

Alla metà di luglio a Mosul la stretta imposta dall’IS – in previsione della quale già all’arrivo delle milizie jihadiste centinaia di migliaia di abitanti cristiani, curdi e turcomanni avevano precipitosamente abbandonato la città – si rivelava pienamente, con l’imposizione di rigidi precetti ispirati alla Shari’a, e con l’avvio di una vera e propria furia iconoclasta diretta contro statue, mausolei e immagini ritenuti offensivi dell’Islam, nonché contro moschee sciite e chiese cristiane. Numerosi funzionari governativi a Mosul venivano rapiti, mentre si accrescevano le pressioni nei confronti dei non sunniti.

Questa escalation culminava il 18 luglio, quando migliaia di cristiani rimasti a Mosul ne venivano cacciati a forza, e subivano rapine e ulteriori vessazioni mentre precipitosamente tentavano di raggiungere le aree controllate dai curdi.

Con il passare dei giorni si chiariva il principale criterio seguito dall’IS nella distruzione di antichi templi, ovvero il criterio di colpire maggiormente i luoghi oggetto di culto da parte di diverse confessioni, come ad esempio l’antica moschea di Giona, sita nei pressi delle rovine dell’antica città di Ninive, per tradizione il luogo di sepoltura del profeta ebraico, visitato da cristiani, ebrei e musulmani, e che i jihadisti procedevano il 25 luglio a distruggere con esplosivi, qualificandola quale luogo di apostasia proprio perché oggetto di pellegrinaggi congiunti tra fedeli di diverse religioni. Nella stessa giornata e per gli stessi motivi i miliziani distruggevano la tomba di Seth, il figlio di Adamo ed Eva dal quale secondo la Bibbia discenderebbe tutta l’umanità.

L’aggravarsi della pressione contro i cristiani aveva provocato già nei giorni precedenti un’iniziativa del patriarca caldeo di Baghdad mons. Sako, che in una lettera al Segretario generale dell’ONU aveva chiesto l’intervento del Consiglio di sicurezza per porre fine alle atrocità perpetrate contro i cristiani. Mons. Sako riscontrava il 26 luglio la vicinanza e la partecipazione del Papa in un colloquio telefonico, mentre il patriarca della Chiesa siro-ortodossa preannunciava la richiesta delle Chiese d’Oriente alle più alte autorità religiose musulmane di una condanna dei crimini compiuti contro i cristiani dai miliziani dell’IS. Effettivamente il 9 agosto, in un colloquio a Najaf con Mons. Sako, al-Sistani avrebbe condannato gli attacchi alle minoranze religiose.

 

 

 

Agosto 2014

L’inizio di agosto vedeva un’ulteriore forte accelerazione nell’espansione dell’IS, e un rapido cedimento dei peshmerga, che erano costretti ad abbandonare le proprie posizioni e a ripiegare in montagna: tra il 2 e il 3 agosto cadevano in mano alle forze jihadiste dell’IS le città di Zumar e Sinjar, nonché i campi petroliferi di AinZalah e Batma.

La città di Sinjar aveva già accolto decine di migliaia di profughi messi in fuga dall’avanzata dell’IS delle passate settimane, e all’interno di essa rendeva tutto ancor più tragico la presenza della minoranza degli Yazidi, parlanti una lingua curda e seguaci di una religione antichissima ispirata allo zoroastrismo persiano, che gli islamisti radicali considerano una religione adoratrice del diavolo. Conseguenza immediata dell’avvicinamento dell’IS a Sinjar era la fuga di migliaia di essi sulle montagne, in una condizione di totale precarietà e a rischio della vita. La gravità della situazione induceva il 4 agosto il premier iracheno al-Maliki a superare le diffidenze nei confronti dei curdi iracheni, ordinando all’aviazione di Baghdad di operare in appoggio aipeshmerga.

Il 5 agosto nel Parlamento di Baghdad una deputata della comunità degli Yazidi riferiva che 500 uomini erano stati assassinati dai jihadisti e centinaia di donne fatte prigioniere e trasferite. Nella stessa giornata il Consiglio di sicurezza dell’ONU esprimeva condanna delle azioni dell’IS, i cui attacchi sistematici contro i civili in base alla loro origine etnica, la loro religione o le loro convinzioni personali rientrano nella categoria dei crimini contro l’umanità, i cui autori divengono responsabili e perseguibili. Tuttavia, più incisiva della Dichiarazione del Consiglio di sicurezza appariva almeno potenzialmente il patto di collaborazione tra i curdi dell’Iraq, della Turchia e della Siria, che si dicevano pronti ad accantonare le annose divergenze per uno sforzo comune contro l’avanzata dei jihadisti.

Sempre il 5 agosto il viceministro degli esteri italiano Pistelli si recava a Baghdad, incontrando anche il presidente della Repubblica da poco eletto, il curdo Fouad Masum: secondo Pistelli la minaccia dell’IS è tale da coinvolgere la stabilità dell’intero Medio Oriente, e non solo quella dell’Iraq, e di fronte ad essa non è possibile restare inerti.

Dopo una notte di bombardamenti in ampie zone della piana di Ninive, l’IS provocava un nuovo gigantesco esodo di cristiani da numerosi villaggi, valutati in circa centomila, ancora una volta in fuga in condizioni disperate, come efficacemente descritto nell’appello di Mons. Sako all’agenzia Asianews del 7 agosto - nel quale l’alto prelato rilevava anche la scarsa cooperazione tra autorità curde e centrali del paese, e quindi le poche speranze di fermare l’onda di piena dell’IS in assenza di un intervento della comunità internazionale. Non a caso nella stessa giornata del 7 agosto il Papa lanciava un appello per porre fine al dramma umanitario in atto e per assistere i numerosissimi sfollati.

Frattanto l’IS si impadroniva della più grande città cristiana in Iraq, Qaraqosh, provocando decine di migliaia di altri profughi: nelle stesse ore cadeva nelle mani dei jihadisti anche la più grande diga dell’Iraq, quella sul Tigri a nord di Mosul, dalla quale dipendono le forniture idriche in gran parte del nord iracheno. Le truppe dei peshmerga non apparivano intanto in grado di opporsi validamente all’avanzata dell’IS, e in più il Kurdistan iracheno risentiva della grande massa di centinaia di migliaia di profughi ormai entrati in cerca di scampo nel suo territorio.

In questo clima il presidente degli Stati Uniti Obama autorizzava attacchi aerei mirati a protezione dei civili – per evitare un genocidio - e del personale americano nel nord dell’Iraq: i raid iniziavano l’8 agosto, poco prima delle 13 ora italiana, dopo il lancio di viveri e aiuti umanitari per i profughi nell’area di Sinjar. L’iniziativa americana veniva subito salutata con favore dalla Francia, pronta a prendervi parte. Anche dal Regno Unito giungeva sostegno all’azione statunitense, senza peraltro prevedere un proprio intervento militare, se non in termini di assistenza tecnico-militare gli Stati Uniti e aiuto umanitario per gli sfollati. L’Italia, con una dichiarazione del ministro degli esteri Federica Mogherini, condivideva prontamente la scelta americana.

Le prime ondate di attacchi contro i miliziani dell’IS sembravano assai efficaci - come sottolineato dal presidente della regione autonoma del Kurdistan barzani, che però chiedeva anche di ricevere l’armamento necessario per proseguire l’offensiva sul terreno -, e consentivano ai peshmerga il 10 agosto la riconquista di due cittadine situate in posizione strategica, mentre circa la metà degli Yazidi intrappolati da giorni sulle montagne vicine a Sirjan, circa 20.000, riuscivano a porsi in salvo. Sul fronte politico iracheno crescevano intanto le pressioni su al-Maliki per una sua rinuncia alla riconferma al la carica di premier - da ultimo il 10 agosto il ministro degli esteri francese Fabius recatosi a Baghdad, che ribadiva la necessità di un governo iracheno inclusivo di tutte le componenti del paese. Il presidente Masum, allo scopo di accelerare la formazione del nuovo esecutivo, si spingeva a minacciare lo scioglimento del parlamento se non fosse stato nominato in breve tempo un nuovo primo ministro.

Il giorno successivo, 11 agosto, il presidente Masum incaricava di dar vita al nuovo governo Haidar al-Abadi, anch’egli sciita, su indicazione della riunione dei partiti sciiti (Alleanza nazionale): a tale designazione reagiva con veemenza il premier uscente al-Maliki, definendola una violazione della Costituzione - in quanto il suo partito, lo Stato del diritto, aveva riportato la maggioranza relativa nelle elezioni del 30 aprile. Al-Maliki mobilitava alcuni suoi sostenitori, dopo che nella notte tra 10 e 11 agosto aveva esercitato forti pressioni con un ingente schieramento di esercito e polizia nel centro di Baghdad.

A tutto ciò aveva reagito l’inviato dell’ONU a Baghdad Mladenov, che diffidava le forze di sicurezza dal porre in atto interferenze del processo politico democratico, mentre gli Stati Uniti confermavano i propri orientamenti dei giorni precedenti approvando la novità politica rappresentata dall’incarico ad al-Abadi, proseguivano i raid contro i miliziani dell’IS e iniziavano la fornitura diretta di armi ai miliziani curdi. Sul piano internazionale anche la Lega araba, per bocca del suo segretario al-Arabi, condannava le violenze dell’IS come crimine contro l’umanità, mentre il portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera europea appoggiava la formazione di un nuovo esecutivo capace di affrontare la crisi in atto ripristinando l’unità nazionale.

Il 12 agosto si registravano segnali di movimento anche sul fronte dell’Unione europea, dove il capo della diplomazia francese Fabius e il suo omologo italiano Federica Mogherini richiedevano con urgenza la riunione straordinaria di unCconsiglio dei ministri degli esteri per affrontare la situazione irachena.

Intanto si riuniva il Comitato politico straordinario con la partecipazione degli ambasciatori a Bruxelles dei 28 Stati membri dell’UE, e si cominciava a intravedere la possibilità della fornitura di armi da parte degli Stati membri ai peshmerga curdi: il Comitato politico straordinario raggiungeva anche un’intesa sul rafforzamento del coordinamento dell’aiuto umanitario, affidato alla Commissione europea  in virtù del meccanismo di protezione civile di cui essa dispone per accrescere l’efficacia degli interventi in situazioni di crisi. Proprio dalla Commissione, ed in particolare dal Commissario agli aiuti umanitari Georgieva, veniva poi l’annuncio dello stanziamento di ulteriori 5 milioni di euro per la situazione umanitaria nel nord dell’Iraq.

Il 13 agosto al-Maliki proseguiva nella sua ostinata resistenza alla svolta politica rappresentata dall’incarico per il nuovo governo ad al-Abadi, presentando ricorso alla Corte federale: la sua posizione si faceva tuttavia sempre più isolata, stante l’assenso alla designazione di al-Abadi proveniente dall’Organizzazione della conferenza islamica e, soprattutto, dall’Iran e dalla Siria – ciò privava di colpo al-Maliki della sponda più importante su cui giocare. Intanto la capitale Baghdad veniva colpita da quattro autobomba, con la morte di una ventina di persone e il ferimento di una cinquantina.

Sul terreno dell’Iraq settentrionale un centinaio di marines e forze speciali americani atterravano sul territorio montuoso nei pressi di Sinjar per organizzare l’esodo di circa 30.000 civili Yazidi ancora intrappolati sul luogo: nel contempo Washington disponeva l’invio di altri 130 consiglieri militari in Iraq.

Anticipando gli sviluppi in sede europea, il presidente francese Hollande stabiliva nella stessa giornata del 13 agosto di procedere senz’altro all’invio di armi ai peshmerga curdi.

Il 14 agosto finalmente al-Maliki, dopo la notizia dell’invito a farsi da parte già da tempo pervenutogli dalla guida suprema degli sciiti iracheni,il  Grande Ayatollah al-Sistani, annunciava le proprie dimissioni e l’appoggio al nuovo premier incaricato al-Abadi. Sul terreno intanto secondo gli americani diveniva meno urgente un’operazione per evacuare i profughi Yazidi dalle montagne intorno a Sinjar, perché nel frattempo grazie ai raid aerei statunitensi era stato rotto l’assedio di cui erano sottoposti da parte dell’IS.

Il 15 agosto si svolgeva il Consiglio dei ministri degli affari esteri UE richiesto con forza da Francia e Italia, nel corso del quale era espresso sostegno agli Stati membri per la fornitura di armi ai peshmerga curdi. Il Consiglio straordinario si occupava anche dell’assistenza umanitaria alla popolazione colpita dall’IS, esprimendo apprezzamento per la rinuncia di al-Maliki, con un invito al nuovo premier incaricato a dar vita a un governo di ampia inclusione. I ministri degli esteri degli Stati UE esprimevano inoltre una forte volontà di facilitare una reazione politica regionale contro l’espansione dell’IS. Nella stessa giornata il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvava all’unanimità una risoluzione volta ad ostacolare i finanziamenti e le forniture di armi all’IS.

Alla metà di agosto si spargeva la notizia di massacri effettuati dalla formazione jihadista dell’IS anche in territorio siriano, ove dall’inizio del mese sarebbero stati massacrati circa 700 appartenenti al gruppo tribale dei Chaitat, renitente ad accettare l’autorità dell’IS.

Il 16 agosto veniva denunciato un nuovo crimine commesso dall’IS nel villaggio di Kojo, vicino a Sinjar, con l’uccisione di un’ottantina di uomini e quasi duecento donne rapite. Sul terreno dei combattimenti l’aviazione americana intensificava gli attacchi aerei sulle postazioni dell’IS a presidio della diga di Mosul, precedendo un attacco di terra dei peshmerga sullo stesso obiettivo. Intanto nella capitale del Kurdistan Erbil arrivava il primo dei sei voli umanitari predisposti dal nostro paese.

Il 17 agosto l’intensificazione dei raid aerei americani contro le milizie dell’IS consentiva ai peshmerga la riconquista della diga di Mosul e di tre cittadine situate a est della stessa. Questi sviluppi positivi potrebbero tuttavia avere il loro pendant negativo, come sottolineato dal ministro degli esteri tedesco Steinmeier di ritorno da una missione il 16 agosto a Baghdad e nel Kurdistan, preoccupato per la possibilità che i successi dei peshmerga curdi in una situazione di debolezza delle forze armate federali irachene possano facilitare la formazione di uno Stato curdo indipendente che sarebbe, secondo Steinmeier, un fattore di ulteriore destabilizzazione regionale.

Si riaccendeva intanto il versante siriano dell’IS, dove l’aviazione di Damasco attaccava ripetutamente le postazioni jihadiste nella provincia di Raqqa: secondo molti osservatori Assad cercava in questo modo di allinearsi alle iniziative messe in campo dagli Stati Uniti contro l’IS in territorio iracheno, accreditandosi nel quadro di una più generale lotta contro tutti i fondamentalisti.

Il 18 agosto le forze curde in lotta contro l’IS annunciavano la riconquista, dopo la diga di Mosul, di altre località nel nord dell’Iraq, e di prepararsi a riprendere la stessa Mosul ai miliziani jihadisti. Per la verità alcuni combattimenti proseguivanoanche nei pressi della diga, ma secondo il portavoce del comando delle forze armate irachene si trattava solo di scontri limitati in alcuni edifici prospicienti, mentre vi era anche la necessità dello sminamento di altri fabbricati. Combattimenti tra le forze armate irachene e i miliziani dell’IS erano in corso inoltre nella provincia di al-Anbar.

Rilevante la presa di posizione di Papa Francesco il quale, nel viaggio aereo di ritorno dalla Corea del sud, si spingeva a criticare ogni approccio unilaterale, a favore di un’azione della Comunità internazionale sotto l’egida dell’ONU, volta esclusivamente a porre fine all’aggressione dell’IS nel nord dell’Iraq, e non a dar vita a una nuova guerra o a nuovi bombardamenti. Il Papa si diceva inoltre disposto a recarsi in Kurdistan, dove già nei giorni precedenti aveva inviato il cardinale Fernando Filoni, già Nunzio apostolico a Baghdad. Il cardinal Filoni, in una dichiarazione congiunta con il patriarca caldeo Mons. Sako, chiedeva alla Comunità internazionale un intervento volto non solo alla fornitura di aiuti umanitari, ma anche alla liberazione dei luoghi occupati dall’IS con rapidità e in via definitiva.

La forte connessione tra il versante siriano e quello iracheno del “califfato” proclamato alla fine di giugno dall’IS riceveva purtroppo un’altra tragica conferma quando, asseritamente in risposta ai raid aerei USA contro le formazioni dell’IS in territorio iracheno, la stessa organizzazione qaidista procedeva alla barbara esecuzione, mediante decapitazione, del reporter americano James Foley, che era scomparso in territorio siriano circa un anno prima – all’esecuzione veniva dato abilmente risalto mediatico per mezzo di un video diffuso sulla rete Internet. Nei giorni seguenti emergeva l’elevata probabilità che l’assassino di Foley potesse essere Abdel Bary, un jihadista proveniente dal Regno Unito, dove era conosciuto come cantante rap: anche questo era interpretato come un abile segnale dell’IS agli ambienti jihadisti dell’immigrazione in Europa.

Il 20 agosto registrava una duplice iniziativa del nostro Paese: la gravità degli sviluppi nel nord dell’Iraq induceva infatti il Governo ad un passaggio parlamentare specificamente dedicato al paese mesopotamico, rendendo alle Commissioni congiunte esteri e Difesa di Camera e Senato comunicazioni sui recenti sviluppi della situazione in Iraq anche con riferimento agli esiti del Consiglio straordinario dei Ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014.

La discussione portava poi all’approvazione separata di risoluzioni da parte delle due Commissioni della Camera e delle due omologhe del Senato, con le quali il Governo ha ottenuto il ricercato sostegno parlamentare anzitutto per procedere alla fornitura di armi ai peshmerga curdi impegnati sul terreno a contrastare l’avanzata delle milizie dell’IS.

Dal canto suo il Presidente del Consiglio Matteo Renzi si recava nella stessa giornata in Iraq e, dopo la capitale Baghdad, visitava la capitale del Kurdistan iracheno Erbil: in entrambi i luoghi il Presidente Renzi affermava con forza la necessità di un impegno dell’Europa di fronte alle gravissime violazioni dei diritti delle minoranze e ai massacri perpetrati dall’IS. Gli aspetti politici dell’Iraq dopo la formazione del nuovo governo e le questioni delle relazioni economiche con l’Italia erano invece oggetto dei colloqui con il nuovo premier incaricato al-Abadi.

Alla fine di agosto progressivamente la Casa Bianca si spingeva a valutare la possibilità di effettuare raid aerei contro l’IS anche nella parte siriana del territorio controllato dall’organizzazione jihadista: il regime di Assad – che nelle ultime settimane aveva aumentato gli attacchi aerei contro le postazioni dell’IS - coglieva prontamente l’occasione di una collaborazione con Washington, assolutamente impensabile fino a quel momento, ma poneva alcune condizioni per bocca del ministro degli esteri Muallim, ovvero di poter coordinare le proprie operazioni militari con quelle americane e di ottenere una legittimazione piena del regime di Assad, che rivendica una posizione centrale nella lotta internazionalmente condivisa contro l’IS.

Pur nella gravità della situazione - l’IS aveva conquistato appena da poche ore una delle più grandi basi aeree siriane - gli Stati Uniti si mostravano del tutto riluttanti alle profferte di Damasco.

Piuttosto, Washington tentava di avviare una collaborazione con i propri alleati tradizionali per dar vita a un fronte comune finalizzato ad attacchi contro le basi dell’IS anche in territorio siriano. Frattanto l’offensiva jihadista in Siria si avvicinava anche alle posizioni israeliane sul Golan, con un attacco imputato al Fronte Jabat al-Nusra – in effetti acerrimo rivale dell’IS - sulla parte delle alture controllata dall’esercito siriano, che registrava la perdita di 20 soldati. A seguito dell’attacco i miliziani si impossessavano del valico di Quneitra, proprio sul confine con Israele.

La gravità della minaccia in corso anche per la Siria era efficacemente delineata anche da un rapporto reso noto a Ginevra il 27 agosto dalla Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria, dal quale emergeva che in tutto il territorio controllato dall’IS si dava luogo a esecuzioni, amputazioni e flagellazioni pubbliche, e inoltre all’arruolamento persino di bambini di 10 anni. Chiunque poteva essere vittima di tali punizioni alla minima violazione della rigida interpretazione della legge islamica imposta dall’IS.

 

Settembre 2014

Il 2 settembre circolava un video sulla rete nel quale veniva mostrata l’uccisione e la decapitazione del giovane reporter freelance americano Steven Sotloff di Miami, la cui madre invano aveva supplicato i suoi rapitori dell’IS di esercitare clemenza. Nel consueto macabro cerimonialeSotloff, prima della sua uccisione, era stato costretto a sconfessare la politica estera americana, della quale sosteneva di essere sul punto di pagare personalmente il prezzo. Anche l’esecutore del barbaro omicidio appariva essere lo stesso già impegnato nella decapitazione di James Foley.

La reazione degli Stati Uniti, oltre a disporre l’invio di altri 350 soldati per la protezione di personale e sedi statunitensi nella capitale irachena - con il numero dei militari inviati in Iraq che, dall’inizio dell’offensiva dell’IS superava la cifra di 800 unità -, consisteva nell’accelerazione dei preparativi per una vasta coalizione internazionale contro l’IS, nella quale un contributo decisivo doveva essere fornito dalla presenza di Stati arabi, sia per accrescere la legittimazione dello schieramento anti-IS, sia per mettere con le spalle al muro quelle forze che all’interno delle monarchie del Golfo hanno espresso simpatie e appoggio per le correnti jihadiste operanti in Medio Oriente in diversi paesi. In ogni caso il presidente americano Obama chiariva che la lotta contro l’IS non sarebbe stata di breve periodo, e che avrebbe comportato una strategia su diversi piani, onde ridurre l’influenza militare e i finanziamenti del cosiddetto califfato. Anche il governo francese si esprimeva per un’accelerazione dell’impegno contro l’IS, accennando a una risposta politica, umanitaria e se necessario militare nel quadro del diritto internazionale.

Il vertice NATO nel Galles del 4/5 settembre riusciva a registrare un’ampia convergenza proprio sul punto della strategia di lotta contro l’IS: la decisione fondamentale era quella di dar vita a una vasta coalizione comprensiva anche di forze esterne alla NATOper combattere l’estremismo islamico dilagante in Iraq e Siria, della quale faranno parte dieci paesi, ossia nove della NATO (USA, Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Danimarca, Polonia, Turchia e Canada) e l’Australia, che già poche ore prima aveva provveduto alla consegna di armamenti alle forze curde dell’Iraq settentrionale impegnate direttamente nella lotta contro i miliziani dell’IS. Contemporaneamente veniva l’invito ad altri importanti attori regionali come Egitto, Turchia, Arabia Saudita a unirsi agli sforzi della coalizione al fine della distruzione del califfato di al-Baghdadi. Proprio inriferimento all’Egitto va segnalato che il 6 settembre le autorità del Cairo rendevano nota la presenza di cellule operative dell’IS anche in territorio egiziano, nella regione del Sinai a sud del valico di Rafah verso la Striscia di Gaza: le forze di sicurezza egiziane, veniva anticipato, avrebbero lanciato a giorni un’offensiva militare contro i jihadisti.

Dopo che gli Stati Uniti avevano lanciato nuovi attacchi aerei sull’IS nella parte occidentale dell’Iraq, a protezione della diga di Haditha, anche nel nostro Paese la minaccia dell’IS riceveva adeguata considerazione in due informative alle Camere svolte dal Ministro dell’interno Alfano il 9 settembre: secondo il Ministro non andava sottovalutata la specifica minaccia dell’IS nei confronti dell’Italia e di Roma, sede della principale autorità cristiana. Secondo il ministro Alfano si rendeva urgente la criminalizzazione di comportamenti di partecipazione a conflitti armati o atti di terrorismo anche al di fuori dei confini nazionali,commessi da parsoneresidenti in Italia o da cittadini italiani, ai quali, inoltre, in caso di forti sospetti, si doveva contemplare la possibilità di imporre misure di sorveglianza speciale con obbligo di dimora, impedendone così l’espatrio a fini terroristici. Infine il Ministro sottolineava come anche nei confronti delle ondate di sbarchi dal Nord Africa in territorio italiano fosse necessario applicare la più stretta sorveglianza per prevenire episodi di terrorismo sul territorio nazionale.

Poche ore prima intanto a Baghdad sembrava essersi sbloccata la questione della formazione del nuovo governo,sul quale tuttavia sembravano continuare a incombere le tradizionali divisioni: infatti ministeri chiave come quello degli esteri  e del petrolio rimanevano in mani sciite, mentre le finanze erano andate al curdo Shawes, e restava sospesa la designazione di titolari di importanti ministeri,  come quelli della difesa, della sicurezza e degli interni. Sembrava ancora lontano il punto fondamentale di una reintegrazione dei sunniti nella compagine politica nazionale, tuttavia premessa indispensabile di un ricompattamento dell’esercito, che aveva mostrato gravi segni di sgretolamento di fronte all’offensiva dell’IS. Lo stesso rapporto tra l’entità regionale curda e il governo centrale di Baghdad rimaneva problematico, in attesa di risolvere la questione delle esportazioni di petrolio che il Kurdistan iracheno aveva iniziato autonomamente in maggio, collegata allo status di Kirkuk, città strategica dal punto di vista petrolifero occupata dai curdi per prevenire le azioni dell’IS. Sullo sfondo restava poi l’eventualità di una indipendenza a pieno titolo del Kurdistan iracheno, naturalmente osteggiata dal governo centrale di Bahgdad, e che un paese chiave come la Turchia non poteva non vedere negativamente.

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, commemorando le vittime dell’11 settembre 2001, annunciava in un discorso televisivo alla nazione l’espansione delle operazioni contro l’IS alla parte siriana del territorio controllato dal califfato: poco prima gli USA avevano autorizzato ulteriori 25 milioni di dollari per assistenza militare immediata al governo iracheno e alla regione del Kurdistan impegnati nel contenimento della avanzata dell’IS.

Mentre Obama si rivolgeva alla nazione, il tavolo di lavoro di Gedda tra il segretario di Stato Kerry e 10 paesi arabi inaugurava la partecipazione di questi ultimi alla coalizione contro l’IS: decisivo dal punto di vista soprattutto politico, lo schieramento dei paesi arabi annoverava le monarchie del Golfo e inoltre l’Egitto, la Giordania, la Turchia e il Libano. Particolarmente rilevante appariva il coinvolgimento del Qatar nella coalizione anti-IS, visto l’atteggiamento assai ambiguo tenuto da Doha nello scenario mediorientale e nordafricano, con il sostegno costante a gruppi jihadisti variamente connotati. Non a caso Kerry sottolineava anche la necessità che le emittenti regionali come al-Arabiya ed al-Jazeera avrebbero dovuto chiarire alle popolazioni arabe quale fosse al momento attuale il nemico contro cui concentrare gli sforzi. Altrettanto significativa la mancanza dallo schieramento guidato dagli Stati Uniti della Siria e dell’Iran, per diversi motivi di incompatibilità con gli scopi e gli interessi geopolitici degli altri paesi partecipanti alla coalizione dal lato arabo.

Proseguiva intanto la scia di orrore dell’IS, che il 13 settembre, tramite Twitter, diffondeva il video dell’esecuzione dell’operatore umanitario britannico David Haines, che era stato rapito nel 2013 in Siria, anche stavolta ignorando gli appelli di poche ore prima della famiglia dell’ostaggio. Tra l’altro Haines era apparso anche nel filmato che in precedenza aveva mostrato l’uccisione dell’ostaggio americano Sotloff, e, ulteriore macabro presagio, nel video sull’uccisione di Haines compariva anche l’ostaggio britannico Alan Henning, con minaccia di giustiziare anche quest’ultimo. L’uccisione di Hainesveniva attribuita dalla voce di un miliziano dell’IS proprio all’impegno britannico ad armare i peshmerga curdi contro l’IS.

Il 14 settembre l’Australia forniva 400 militari delle forze aeree, assieme a otto velivoli da combattimento, un ricognitoree un rifornitore aereo in volo. Intanto il 15 settembre nell’incontro di Parigi la coalizione anti-IS ribadiva i propri impegni, che ormai riunivano 25 Stati contro il califfato. Dal punto di vista tuttavia degli attacchi aerei soltanto Stati Uniti, Francia e probabilmente Emirati Arabi Uniti risultavanodirettamente impegnati. Il 19 settembre si verificavano i primi bombardamenti aerei francesi contro postazioni dell’IS: nella stessa giornata la Camera dei rappresentanti belga, dopo un lungo dibattito, autorizzava per un mese la partecipazione di forze militari del paese-circa 120 uomini, tra i quali otto piloti e un certo numero di caccia F-16-alle operazioni militari contro il califfato. Per quanto concerne l’Italia, il Ministro degli esteri Mogherini dichiarava a New York, in margine alla partecipazione a una riunione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che il nostro Paese avrebbe potuto partecipare a livello militare in attività di addestramento, sostegno logistico ed eventuale rifornimento in volo di aerei della coalizione: secondo Mogherini, peraltro, non risultavano al momento specifiche minacce contro l’Italia da parte dell’IS.

La strategia americana assumeva intanto contorni più precisi non escludendo più l’intervento di terra, ma anzi vedendo in esso un elemento essenziale per la completa vittoria contro l’IS, affidandosi però per esso ai peshmerga curdi e all’eventualità di coinvolgere contro lo Stato islamico tribù sunnite presenti sul territorio – peraltro non facilmente conciliabili con le autorità centrali di Baghdad. Per quanto concerne la Germania, questa risultavaaver inviato 40 consulenti militari e aver fornito armi ai curdi, senza tuttavia alcuna partecipazione ad attacchi aerei.

L’accentuarsi della pressione del califfato nella parte siriana, con l’attacco alle città curde del Nord, aumentava in modo spettacolare il coinvolgimento della Turchia nella questione: in poche ore 130.000 profughi curdi si aggiungevano al milione di rifugiati già affluiti in Turchia a seguito dell’ormai più che triennale conflitto siriano, ponendo Ankara di fronte alla necessità di studiare soluzioni per il contenimento dell’avanzata dell’IS e al tempo stesso per il soccorso dei profughi curdi.

In tal senso già da alcune settimane la Turchia ventilava l’ipotesi di istituire una zona cuscinetto alla frontiera con la Siria, dove insediare anche aree sicure per ospitare i profughi. Non va tuttavia dimenticato che, stante il secolare problema di Ankara con le minoranze curde all’interno del proprio paese, l’atteggiamento turco difficilmente poteva essere quello di facilitare l’afflusso in territorio siriano di combattenti curdi di origine turca, pure richiesto da vari appelli del PKK (il partito curdo di Ocalan, sempre sospetto agli occhi delle autorità turche, nonostante le aperture degli ultimi anni).

La Turchia veniva comunque sempre più messa alle strette sia pure indirettamente anche dall’alleato americano, che non poteva non constatare con irritazione la mancata partecipazione di uno Stato regionale, che costituisce oltretutto un pilastro della NATO, alla coalizione anti-IS, e che inoltre ventilava in seno alle Nazioni Unite l’approvazione di una risoluzione del Consiglio di sicurezza contro il reclutamento e il finanziamento delle correnti jihadiste - attività dalle quali la Turchia durante il conflitto siriano si era tutt’altro che astenuta.

Mentre nel corso della sessione inaugurale dell’Assemblea generale dell’ONU a New York diversi altri paesi decidevano di fornire aiuti militari alla coalizione contro l’IS, la minaccia terroristica sembrava raggiungere perfino l’Australia, dove un diciottenne di origine afghana veniva ucciso a Melbourne il 23 settembre: le autorità di polizia australiane rendevano noto il giorno successivo che si trattava di un soggetto già sospetto per terrorismo, contrario all’impegno dell’Australia nella lotta contro l’IS – aveva per questo indirizzato minacce al premier australiano -e associato al gruppo radicale al-Furqan, con passaporto già ritirato per motivi di sicurezza.

Intanto un altro paese pagava un duro tributo per la partecipazione alla lotta contro l’IS, quando il 24 settembre il gruppo algerino dei Soldati del califfato, collegato all’IS, decapitava il cittadino francese Hervé Pierre Gourdel, recatosi nel paese per compiere escursioni sulle montagne settentrionali: l’uccisione di Gourdel costituiva una rappresaglia per la continuazione dei raid aerei francesi sul califfato, che i rapitori algerini avevano espressamente chiesto di interrompere.

Anche nel nostro Paese si rendeva noto un innalzamento ulteriore dei livelli di allarme, soprattutto in relazione al fenomeno dei combattenti europei impegnati nelle file del califfato, minaccia potenziale in caso di ritorno in territorio europeo.Al rinnovato allarme lanciato dal Ministro dell’interno Alfano faceva seguito il 25 settembre l’intervento del Presidente del consiglio Renzi all’Assemblea generale dell’ONU, nel corso del quale veniva ribadito come le azioni dell’IS costituissero un vero e proprio genocidio e una minaccia per l’umanità: in più, il Presidente del consiglio metteva in luce come per l’Italia fosse prioritario ancheaffrontare il pericolosissimo focolaio di instabilità costituito dalla situazione di frammentazione della Libia.

Frattanto, mentre installazioni petrolifere dell’IS venivano colpite da attacchi dell’aviazione statunitense e di paesi arabi sia in Siria che in Iraq, proseguiva in Australia l’azione delle forze di polizia, che con l’impiego di centinaia di uomini compivano ulteriori perquisizioni a Sidney e Brisbane alla ricerca di eventuali nuovi piani per l’attuazione di attacchi terroristici.

Il 26 settembre registrava un ulteriore sviluppo favorevole alla coalizione contro l’IS, quando la Camera dei Comuni approvava con un largo margine l’intervento aereo britannico in Iraq, espressamente richiesto dal governo di Baghdad. La risoluzione del Parlamento britannico autorizzava altresì la possibilità di impiegare truppe di terra non combattenti per scopi di addestramento delle forze irachene e curde sul terreno. Nella stessa giornata anche la Danimarcaannunciava un forte incremento del proprio coinvolgimento nelle operazioni control’IS, dispiegando 250 unità tra piloti e personale di supporto, nonché sette caccia F-16.

A fronte del crescente coinvolgimento internazionale nella coalizione contro l’IS, il Coordinatore europeo antiterrorismo De Kerchove non mancava di richiamare l’attenzione sul parallelo incremento dei rischi di attentati in territorio europeo: infatti i cittadini europei unitisi ai combattenti del califfato risultavano ormai essere complessivamente circa 3.000, due terzi dei quali partiti da Francia, Regno Unito e Germania, ma non meno di 350 anche dal Belgio. In Italia il numero di tali soggetti era valutato in una cinquantina, perlopiù di origine non italiana, ma derivanti da immigrazione nel nostro Paese.

Con l’approssimarsi delle truppe dell’IS alla cittadina curdo-siriana di Kobane si verificavano anche numerose manifestazioni di protesta in Europa e negli Stati Uniti per richiedere l’intervento urgente a sostegno degli abitanti della città e dei profughi sempre più numerosi, proprio nelle stesse ore in cui i primi attacchi americani colpivano in effettii sobborghi della città già conquistati dall’IS.

La difficile situazione di Kobane sembrava tuttavia accelerare anche la necessità di una presa di posizione turca:dopo i contatti avuti a New York a margine della sessione inaugurale dell’Assemblea generale dell’ONU, il presidente Erdogan si spingeva a sostenere la necessità di un’operazione di terra control’IS, nella quale impiegare anche le ingenti forze militari turche, sia per riconquistare territorio sottraendolo al califfato, sia per accrescere la sicurezza della popolazione in fuga dai combattimenti. Erdogan chiariva inoltre come fossero in corso negoziati per la determinazione della composizione della coalizione da impegnare nell’operazione di terra-l’opposizione parlamentare turca non mancava peraltro di esprimere subito dopo dissenso rispetto all’ipotesi di inviare militari turchi fuori dei confini nazionali.

Due giorni dopo, il 29 settembre, forze aeree britanniche partite dalla base cipriota di Akrotiricompivano le prime missioni sul territorio iracheno contro l’IS, mentre le preoccupazioni dell’esercito nazionale iracheno per la grave situazione sul terreno conducevano alla riabilitazione di fatto dei disertori sunniti, nel quadro di un’ampia campagna di reclutamento per rafforzare i ranghi militari. Senza ancora intervenire nel conflitto scatenatosi attorno alla città di Kobane, la Turchia procedeva comunque a schierare numerosi carri armati sul confine siriano.

Il 30 settembre, mentre i servizi di intelligence statunitensi riferivano di aver a suo tempo avvisato la Casa Bianca sulla pericolosità del fenomeno del califfato, senza riscontrare un interesse prioritario sull’argomento; la Santa sede tornava a far sentire la propria voce, richiedendo che la minaccia dell’IS fosse affrontata con un uso della forza proporzionato e multilaterale. Frattanto si verificavano lievi progressi nelle posizioni delle forze curde dei Peshmerga, che riuscivano a riconquistare la cittadina di Rabia e il valico di frontiera prospiciente. Il bilancio delle violenze in Iraq nel mese di settembre, secondo fonti ONU, registrava la morte di circa 1100 persone.

 

Ottobre 2014

L’avanzata curda proseguiva il 1° ottobre, affiancando le forze armate irachene, con la riconquista della cittadina di Taza Kharmatho, tuttavia riempita dall’IS di ordigni e trappole esplosive, quindi di fatto impraticabile.Il 2 ottobre il parlamento turco approvava con una maggioranza di circa i due terzi l’autorizzazione alle operazioni contro il califfato, autorizzazione consistente sia nel permesso accordato alle operazioni militari lanciate dall’interno del territorio turco da altri attori regionali e internazionali, ma anche nella possibilità di ingresso diretto delle truppe di Ankara nel territorio siriano.

La decisione del parlamento di Ankara destava vibrate proteste da parte della Siria e, con toni più morbidi, dell’Iran: ma lo stesso al-Maliki, ex premier iracheno sciita, si diceva del tutto contrario all’ingresso delle truppe turche in territorio iracheno. Tutto ciò non sembrava però dissuadere la Turchia, il cui primo ministro Davutoglu si diceva pronto a fare tutto il possibile per impedire la caduta dell’ultima roccaforte, Kobane, tra il territorio controllato dall’IS e il confine turco. Intanto nelle altre zone dell’Iraq, ai parziali successi dell’IS a ovest di Baghdad faceva riscontro la prosecuzione dell’avanzata delle forze curde e irachene a Nord della capitale.

Ancora nuovo orrore destava la diffusione di un video sulla decapitazione dell’ostaggio britannico Alan Henning, video nel quale venivano formulate minacce nei confronti di un altro prigioniero dell’IS, anch’egli operatore della cooperazione, l’americano Peter Kassig. Il fronte anti-IS si arricchiva però in quelle stesse ore di due nuovi protagonisti, quando i governi australiano e canadese annunciavano la partecipazione ai raid aerei contro il califfato.

Il 4 ottobre cominciavano a diffondersi i dubbi dell’Amministrazione USA sulla strategia portata avanti con gli attacchi aerei contro l’IS, che non si mostrava efficace come sperato: a fronte di ciò, lo stesso IS compiva una sorta di svolta mediatica, quando in un video appariva un militante del califfato a volto scoperto, minacciando i paesi occidentali e lanciando pesanti insulti al premier britannico Cameron. Sul terreno intanto l’IS riusciva a impadronirsi della città di irachena di Kabisa, mentre in due diversi agguati nella provincia irachena di Diyala perdevano la vita un ufficiale e sette soldati delle forze armate di Baghdad.

Il 5 ottobre si stringeva sempre più l’assedio di Kobane da parte dei miliziani dell’IS: in questo contesto alcuni di essi erano vittime di un attacco suicida da parte di una donna curda. Nelle stesse ore, la minaccia dell’IS sembrava allargarsi al territorio libanese - non senza forti punti interrogativi sul fatto che in questo caso il tentativo di invasione fosse stato portato avanti assieme alla milizia sunnita, in altri scenari nemica, di al-Nusra-, dove però la forte opposizione armata del movimento sciita Hizbollah sembrava riuscire a contenere la minaccia.

Il 6 ottobre, mentre da molti segnali sembra avvicinarsi la capitolazione di Kobane, la Turchia persisteva nel suo atteggiamento di non intervento, la motivazione del quale, emergeva sempre più chiaramente, erano le preoccupazioni di Ankara per qualunque possibile conquista di uno status di sovranità o anche di forte autonomia da parte dei curdi del nord siriano, ai quali invece i turchi chiedevano prioritariamente di rompere qualsiasi legame con il regime di Assad, la cui destituzione - chiariva lo stesso primo ministro Davutoglu - era condizione imprescindibile della partecipazione turca ad un attacco di terra contro il califfato nell’ambito della strategia anti-IS della Casa Bianca. Del resto Davutoglu non nascondeva le preoccupazioni turche, in quanto a suo dire intervenire a Kobane avrebbe determinato conseguenze per tutto il confine turco-siriano. In questo contestoAnkara doveva anche subire l’imbarazzo derivante dalle rivelazioni del Times, che rendeva noto che a fronte dei 46 ostaggi turchi liberati la settimana precedente, Ankara aveva restituito all’IS ben 180 jihadisti.

Crescevano intanto gli allarmi dei servizi segreti occidentali per l’allargarsi della galassia terrorista ispirata alle gesta dell’IS: infatti sempre più chiaramente gruppi legati all’orizzonte politico-religioso del califfato di al-Baghdadi si mostravano attivi in Egitto (nord del Sinai), in Libia, in Tunisia e Algeria, nello Yemen, ma anche in Uzbekistan, in Indonesia e Malesia, e, per certi versi, tra Nigeria e Camerun, con il movimento islamista BokoHaram. Infatti, a differenza della matrice araba orientale, AQMI (al-Qaida nel Maghreb islamico) sembrava tutt’altro che in dissidio con l’IS.

Il 7 ottobre alcuni manifestanti curdi irrompevano nell’edificio del Parlamento europeo a Bruxelles, protestando vivacemente per la situazione di Kobane, e più in generale per la difficile situazione delle popolazioni curde minacciate dall’IS-cinque giorni prima unacinquantina di manifestanti curdi avevano compiuto un’analoga manifestazione proprio in Italia, davanti alla Camera dei deputati. Emergeva intanto un altro tratto inumano e inquietante della strategia del califfato, ovvero l’uso spregiudicato delle risorse idriche e dell’elettricità per colpire anche territori non direttamente controllati, attraverso il taglio di cavi e la conquista di dighe e condutture.

L’8 ottobre si registravanoin Turchia una ventina di morti - incerte le responsabilità - a seguito delle manifestazioni per la giornata di mobilitazione indetta dai partiti filo-curdi in relazione all’assedio di Kobane da parte dell’IS. Nella stessa giornata il presidente degli Stati Uniti, riunito al Pentagono con i massimi vertici militari, non nascondeva il proprio disappunto per l’inerzia dimostrata dalla Turchia sulla vicenda di Kobane, ma anche per l’apparente inefficacia dei pur numerosi raid aerei compiuti in Iraq (270) e in Siria (120) contro le postazioni del califfato.

Il 9 ottobre, mentre ormai i miliziani dell’IS sembravano essere penetrati parzialmente nella città di Kobane, emergeva un’altra questione che la Turchia considerava come prioritaria e preliminare ad un proprio intervento di terra, ovvero la creazione di una zona di interdizione al sorvolo nel Nord della Siria - come dichiarato dal ministro degli esteri turco Cavusoglu. Al proposito sia il regime di Damasco che la Russia rifiutavano recisamente questa eventualità, rimandando adun’eventuale decisione in materia del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Anche il Segretario generale della NATO Stoltenberg smentiva che l’Alleanza atlantica avesse discusso dell’argomento. Nell’intricato scenario siriano, nonostante l’ingombrante presenza dell’IS, proseguivano anche numerosi i raid aerei del regime di Damasco contro gli oppositori armati, nei cui ranghi peraltro si contano numerosi jihadisti, per quanto distinti dalle milizie del Califfato-come quelli di al-Nusra, probabilmente autori del sequestro nel Nord-Ovest siriano del parroco francescano della comunità cristiana di Knayeh, rilasciato proprio il 9 ottobre, a differenza del gruppo di fedeli con cui si trovava, rimasti nelle mani dei rapitori.

Qualche problema nella coalizione anti-IS emergeva in relazione alla condotta del Qatar, notoriamente finanziatore di gruppi jihadisti in tutto lo scenario mediorientale, ma nel contempo formalmente aderente alla coalizione internazionale contro l’IS: la preoccupazione saudita, giordana ed emiratina per il proseguire dei flussi finanziari verso il Califfato conduceva l’11 ottobre questi paesi a manifestare disappunto verso Doha, peraltro sotto la lente d’ingrandimento dello stesso Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti per il suo costante sostegno a gruppi qaidisti come il Fronte al-Nusra, Hamas e i talebani dell’Afghanistan.

Proprio gli Stati Uniti tuttavia hanno non poche difficoltà a rapportarsi al Qatar, da cui dipendono per le basi logistiche di molte delle azioni militari dirette contro l’IS, nonché per alcuni nevralgici momenti di mediazione che Doha ha potuto portare avanti proprio in ragione dei suoi rapporti con l’islamismo radicale. Nel Regno Unito si levavano esortazioni a boicottare alcune proprietà qatariote a Londra, come i famosi grandi magazzini Harrods, e più in generale polemiche per l’atteggiamento britannico, giudicato troppo morbido, nei confronti del Qatar.

Intanto a Kobane i curdi resistevano con tenacia agli attacchi dell’IS, che tuttavia sembrava concentrare ingenti forze anche nei pressi della città petrolifera di Kirkuk. A Baghdad una quarantina di persone perdevano la vita in seguito a una serie di attacchi suicidi contro quartieri per la maggior parte sciiti della capitale irachena. Nuove efferatezze dell’IS emergevano in riferimento all’uccisione a Mosul di quattro donne in meno di una settimana – si trattava di due medici, una giurista e una parlamentare.

Sempre l’11 ottobre, con una lettera inviata al Corriere della Sera, i presidenti delle Commissioni Esteri della Camera, Fabrizio Cicchitto e del Senato, Pierferdinando Casini, chiedevano di schierare forze delle Nazioni Unite in Medio Oriente per contrastare in modo più efficace l’avanzata dei terroristi dell’IS in Medio Oriente: “Non è possibile – scrivono - che il mondo assista in modo sostanzialmente passivo alla tragedia che sta avvenendo. La comunità internazionale deve prendersi le sue responsabilità e quindi porre in essere un risoluto e risolutivo intervento politico-militare di contrasto all’Isis, realizzato dalle forze dell’Onu che non lascino soli i peshmerga, i quali in ogni caso stanno pagando un significativo tributo di sangue. Siamo a uno snodo cruciale della sicurezza globale, che prescinde dalle vecchie e nuove contrapposizioni tra Est ed Ovest oppure tra Nord e Sud, e dovrebbe perciò indurre a una mobilitazione generale, cui l’Unione europea, in particolare, potrebbe dare impulso.

In questo contesto la voce della Chiesa tornava a farsi sentire con le dichiarazioni del segretario di Stato vaticano card. Parolin, che esortava a ogni sforzo per fermare l’aggressione contro le minoranze in corso in Medio Oriente, che desta grande preoccupazione nello stesso Pontefice: il card. Parolin ribadiva la legittimità dell’uso della forza in un contesto multilaterale, ancor meglio se autorizzata dalle Nazioni Unite, se l’obiettivo si limita a quello di porre fine ad un’aggressione.

La battaglia continuava a infuriare a Kobane, dove però l’IS incontrava forte resistenza da parte delle milizie curde, mentre l’uccisione del capo della polizia della provincia occidentale irachena di al-Anbar faceva temere un’estensione a questa provincia dell’azione del Califfato; il 13 ottobre un rapporto pubblicato da Amnesty International rendeva noto come con la complicità delle autorità irachene le milizie sciite avessero rapito e ucciso decine di civili sunniti negli ultimi mesi, come rappresaglia per le azioni dell’IS. La presa della città di Hit da parte dell’IS rinfocolava i timori per la provincia di al-Anbar. Inoltre, la Turchia smentiva la notizia proveniente da Washington in merito alla concessione di una base aerea turca per i bombardamenti americani sulla milizie del Califfato.

Il 14 ottobre la Turchia, significativamente, compiva raid aerei contro i curdi turchi del PKK nel sud-est del proprio territorio. Intanto un attentato suicida perpetrato con un’autobomba uccideva a Baghdad 25 persone, incluso il deputato e vice capo dell’organizzazione Badr Ahmed al-Khafaji.

Rinnovati timori venivano intanto dall’annuncio dell’effettivo ritrovamento in Iraq, nel periodo di occupazione da parte delle truppe statunitensi, di numerose armi chimiche - non certo quelle letali il cui possesso da parte di Saddam era stato posto alla base dell’invasione del paese -, anche se ormai spesso deteriorate, su cui era stato mantenuto il segreto più stretto. Alcuni di questi armamenti si teme ora possano cadere nelle mani dell’IS, che controlla una vasta porzione del territorio iracheno. Mentre a Mosul le milizie del Califfato procedevano all’esecuzione di 46 persone, in Italia si riuniva il 15 ottobre il Consiglio supremo di difesa, per il quale l’Italia e l’Europa devono fronteggiare rischi importanti in relazione all’espansione dell’IS in Medio Oriente, anche in considerazione del fenomeno dei foreign fighters di ritorno in Europa dal teatro di guerra. Proprio un maggior coordinamento europeo dovrà essere la chiave decisiva per far fronte al rinnovato allarme.

Il 16 ottobre il Ministro della difesa Roberta Pinotti, intervenendo dinanzi alle Commissioni riunite esteri e difesa dei due rami del Parlamento, ribadiva la serietà della minaccia rappresentata dall’IS: in questo senso il Governo italiano annunciava un ulteriore contributo alla coalizione, consistente nell’invio complessivo di un massimo di 280 militari con compiti addestrativi per le milizie curde, due droni Predator ed un rifornitore in volo. Inoltre il Ministro preannunciava l’invio di ulteriore munizionamento, ma anche l’eventuale cessione, ove possibile, alle milizie curde di proiettili anticarro e blindati in uso all’esercito italiano. Proseguivano intanto gli attentati a Baghdad, dove quattro autobomba provocavano la morte di 36 persone e il ferimento di un centinaio. Alla fine della giornata si registrava un significativo arretramento dell’IS a Kobane, ma, parallelamente, una recrudescenza dei combattimenti nella provincia di al-Anbar, pur nel quadro di un alleggerimento della pressione diretta verso la capitale irachena.

Il 17 ottobre, mentre proseguivano i progressi curdi a Kobane, anche grazie alla maggiore efficacia dei raid aerei della coalizione, 60 miliziani dell’IS perdevano la vita nell’attacco al loro campo a Jaberiya, assaltato da elementi dell’esercito e della polizia iracheni. Altri esponenti di rilievo dell’IS venivano uccisi a Ramadi. Peraltro l’IS riceveva attestazioni di appoggio dalla penisola arabica, con un appello delle locali cellule di al-Qaida a tutti i musulmani per il sostegno all’IS e l’attacco in ogni forma contro l’America. Gli stessi Stati Uniti non confermavano le voci secondo le quali erano venuti in possesso dell’IS tre aviogetti da combattimento siriani, che sarebbero stati visti già diverse volte volare a bassa quota, presumibilmente guidati da ufficiali disertori dell’aviazione irachena.

Mentre proseguivano gli attentati a Baghdad e in altre località irachene contro gli sciiti, il 20 ottobre si verificava una svolta nell’atteggiamento della Turchia, che si diceva finalmente disponibile a consentire il passaggio della truppe dei Peshmerga curdi a sostegno dei difensori di Kobane. Intanto per la prima volta gli Stati Uniti paracadutavano armamenti alle milizie curde, ma, sfortunatamente, una parte di questi cadeva nelle mani di miliziani dell’IS. Questi ultimi, secondo un volontario americano operante sul terreno, avrebbero usato anche armi chimiche durante l’assedio di Kobane, come sarebbe documentato da alcune foto appositamente fornite. Due giorni dopo, il 24 ottobre, ufficiali dell’esercito iracheno confermavano l’uso di armi chimiche contro le proprie truppe da parte dell’IS, mentre nuove prove venivano in merito all’utilizzazione di tali armamenti anche nell’assedio di Kobane. Si tratterebbe di cloro, come indicato dai sintomi di avvelenamento riscontrati.

Nuovi segnali di allargamento della sfera di azione dell’IS venivano dal Libano, ove nella città settentrionale di Tripoli si verificavano scontri tra l’esercito di Beirut e militanti sunniti collegati al Califfato: dopo due giorni, il 27 ottobre, la cellula jihadista risultava distrutta.

 

 

 

 

 


SIWEB

L’attività parlamentare in materia
(a cura del Servizio Studi
della Camera dei deputati
)

 

Già partire dalla fine del 2013, il Parlamento italiano ha iniziato a seguire l’evoluzione del teatro di crisi iracheno-siriano, segnato dall’iniziativa offensiva dello “Stato islamico” (IS), formazione paramilitare di matrice islamista, adottando una serie di misure normative volte a consentire la partecipazione italiana a missioni umanitarie di assistenza ai rifugiati dell’area ed al sostegno delle forze curdo-irachene impegnate nel contrasto all’IS.

In questa prospettiva, il dispositivo dell’ordine del giorno 9/01670-AR/062 d’iniziativa dell’on. Massimo Artini, presentato in Assemblea durante l’esame del disegno di legge di conversione del decreto di proroga della partecipazione italiana alle missioni internazionali per l’ultimo trimestre 2013[2], accolto dal Governo (seduta del 3 dicembre 2013), impegnava il Governo ad adoperarsi, per il tramite della missione diplomatica prevista dal provvedimento, anche per ottenere dalla Turchia e dalla Regione autonoma curda (KRG) l’apertura dei valichi al fine di consentire il passaggio degli aiuti umanitari ai rifugiati siriani presenti nella regione.

Si rammenta che l’art. 6, co. 2 del decreto di proroga delle missioni (D.L. 114/2013) ha disposto l’invio in missione nell'area di confine turco-siriana, per il periodo 1° ottobre - 31 dicembre 2013, di un funzionario diplomatico autorizzato ad avvalersi, per l’espletamento delle proprie attività, del supporto di due unità di personale locale.

Nell’ambito dell’audizione sugli sviluppi di politica estera in relazione al semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, svolta davanti alle Commissioni riunite Affari esteri della Camera e del Senato (3 luglio 2014), il Ministro degli affari esteri Federica Mogherini ha evidenziato l’intenzione del nostro Paese di esercitare nel semestre un ruolo di accompagnamento della politica estera europea sul versante della crisi siriana e irachena.

Posto che, di fatto, il confine tra i due Paesi è sparito, uno dei principali rischi connessi alla crisi – ha affermato Mogherini - è l’espansione degli effetti destabilizzati del conflitto sui Paesi vicini, primo fra tutti il Libano, del quale l'Italia è impegnata a sostenere le forze armate in chiave sia di sicurezza interna e delle frontiere, sia di unità nazionale. Il Ministro ha sottolineato, altresì, il rischio che l'avanzata e le attività di IS in Iraq mettano a seria prova la stabilità della Giordania, con conseguenti ripercussioni negative anche sul fronte mediorientale più tradizionalmente inteso, a partire da Israele.

Mogherini ha ribadito l’impegno italiano anzitutto sul versante dell'assistenza umanitaria, per fronteggiare la quale sono stati stanziati nuovi fondi soprattutto attraverso canali multilaterali. Quanto al fronte interno iracheno, il messaggio che il nostro Paese sta veicolando agli attori interni all'Iraq e ai Paesi della regione che hanno influenza diretta o indiretta sui diversi attori iracheni – ha dichiarato il Ministro - è che si arrivi il più rapidamente possibile a un nuovo governo di unità nazionale rappresentativo di tutte le parti della società irachena e, in particolare, non solo degli sciiti, ma anche dei sunniti e dei curdi; la disgregazione, della realtà irachena, infatti, rappresentando un fattore di grave rischio per la sicurezza, diventa tema di interesse prioritario dei grandi Paesi attori della regione (Iran, Paesi del Golfo a partire dall'Arabia Saudita, e Turchia) che si trovano a condividere l’interesse alla stabilità dell'Iraq.

All’estrema instabilità e drammaticità della situazione irachena, una drammaticità che si tende peraltro a rimuovere, nonché all’interesse strategico italiano all’esercizio della propria responsabilità in quel Paese, Mogherini aveva fatto riferimento anche in un passaggio dell’audizione sulle linee programmatiche del dicastero degli Affari esteri, svolta davanti alle Commissioni riunite Affari esteri della Camera e del Senato il 18 marzo 2014.

Il 20 agosto 2014 davanti alle Commissioni congiunte Esteri e Difesa di Camera e Senato si sono svolte le Comunicazioni del Governo sui recenti sviluppi della situazione in Iraq anche con riferimento agli esiti del Consiglio straordinario dei Ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014.

Come precisato dal Presidente della Commissione Affari esteri della Camera, on. Fabrizio Cicchitto, fondamento della seduta è la lettera inviata ai presidenti delle quattro Commissioni dai Ministri Mogherini e Pinotti, i quali - richiamata l’attenzione sulla riunione straordinaria del Consiglio dei Ministri degli esteri dell'Unione europea svoltasi a Bruxelles il 15 agosto - esprimevano la disponibilità a riferire alle Commissioni parlamentari in considerazione del particolare rilievo dell'ordine del giorno di quella riunione. Il presidente Cicchitto richiamava altresì l’appello rivolto dall’Ambasciatore iracheno a Roma, a nome del suo Governo e di tutte le comunità del suo popolo, affinche l'Italia potesse dimostrare concretamente la sua vicinanza all'Iraq e, in particolare, al Kurdistan iracheno, a fronte della tragedia umanitaria di cui sono vittime, dagli inizi di giugno, le popolazioni locali e le minoranze etniche e religiose.

Nella propria relazione il Ministro degli Affari esteri, Federica Mogherini, richiamato il quadro di instabilità ormai assai prossimo in Giordania e Libano e potenzialmente estensibile ad altri paesi  (Turchia ed Iran) a seguito del massiccio afflusso di rifugiati e delle pesanti ripercussioni di sicurezza interna, si è concentrata sull’avanzata dell’IS.  Tale organizzazione – sottolineava il capo della diplomazia italiana - separatasi da Al Qaeda ritenuta troppo morbida, è il cuore della questione che gli iracheni, i curdi in particolare, stanno fronteggiando; l’obiettivo principale di IS, ha affermato il Ministro, sono le popolazioni civili, in particolare le minoranze cristiana e yazida e tutte le minoranze in genere.

In tale contesto, secondo Mogherini, la questione centrale non è tanto la protezione di alcune minoranze quanto, invece, l’affermazione del principio della convivenza civile e pacifica in un territorio. Il Ministro degli affari esteri riferiva quindi dell’intensa iniziativa del nostro Paese negli ultimi mesi, alla luce della collocazione dell’Iraq tra le priorità strategiche dell’attività di governo: prima ancora dell’incontro di giugno, a Roma, con il presidente del Kurdistan Barzani, l'Italia si era infatti fatta promotrice, nell’ambito del vertice tra Unione europea e Lega araba (11 giugno) di una dichiarazione comprensiva di un riferimento esplicito alla situazione in Iraq, dove si condannava l'ondata di attacchi terroristici, si chiamavano il Governo dell'Iraq e il Governo della Regione autonoma del Kurdistan a unire le proprie forze politiche e militari per ripristinare la sicurezza a Mosul ed a Ninive, si riaffermava l'impegno per l'unità e l'integrità territoriale dell'Iraq e si richiamavano le risoluzioni delle Nazioni Unite 1267 e 1989 che dichiarano l'IS organizzazione terroristica, imponendo sanzioni ed una serie di misure riconosciute dalla comunità internazionale.

In quell'occasione Mogherini aveva incontrato l’omologo iracheno Zebari con il quale ha avuto un primo scambio di opinioni su quello che la comunità internazionale, a partire dall'UE, avrebbe potuto fare per sostenere in qualche modo la resistenza all'avanzata dell'IS.

A tale contatto avevano fatto seguito ulteriori attività: in sede di Consiglio affari esteri dell'Unione europea di luglio, ad esempio, l'Italia, ha proposto un punto in agenda sulla protezione in particolare dei cristiani di Ninive; inoltre, il Viceministro Pistelli si recava a Baghdad ed a Erbil il 6 e 7 agosto (e della missione riferiva in Senato, in audizione informale, il sottosegretario Della Vedova l’8 agosto). Il Ministro degli esteri riferiva quindi di avere avuto, sempre l’8 agosto, una conversazione telefonica con il presidente Barzani durante la quale aveva raccolto non solo la richiesta di un forte sostegno sul versante umanitario, ma anche la prospettiva di un sostegno dal punto di vista della sicurezza e militare: a seguito di tali contatti era stata redatta la lettera ai presidenti delle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato (v. infra) nonché quella indirizzata all'Alto rappresentante per la politica estera UE Catherine Ashton per avere una convocazione immediata del Consiglio Affari esteri, svoltosi come accennato il 15 agosto.

Su proposta italiana il Consiglio affari esteri dell’UE aveva esaminato non soltanto la situazione drammatica in Iraq, ma anche quella in Medio Oriente, quella in Libia ed un aggiornamento sulla situazione in Ucraina. Nell’ambito della costruzione di tale cornice internazionale, a partire dalla dimensione europea, Mogherini ha rammentato i contatti costanti con gli interlocutori regionali quali il Ministro degli esteri iraniano, turco, emiratino, qatariota, giordano oltre ai Contatti con la Santa Sede. Tale lavoro diplomatico ha prodotto la convergenza su tre linee d’azione condivise a Bruxelles con i partner europei, che il Ministro così sintetizzava:

1.     immediati aiuti umanitari. Dal punto di vista dell’Italia, il nostro Paese aveva stanziato già un milione di euro per gli aiuti umanitari: 500 mila euro all'OMS per gli sfollati nelle regioni di Erbil, Dohuk e Sulaymaniyah, più un milione di euro per un fondo presso la nostra Ambasciata a Baghdad e gli uffici di Erbil (Kurdistan), per progetti delle ONG nel campo della sanità, dell'istruzione e della formazione professionale. A questo si sono aggiunti negli ultimi giorni sei voli fatti insieme alla Difesa che hanno portato in totale 50 tonnellate di acqua e generi alimentari di prima necessità. Sul versante europeo si è condivisa la scelta di attivare meccanismi di cooperazione che consentano di coordinare gli aiuti per evitare sovrapposizioni e raddoppiamenti: allo scopo è stato messo in campo un meccanismo di coordinamento europeo;

2.     esame di una modalità di risposta positiva, sottoposta alle Commissioni, alla richiesta  formulata dal Governo centrale iracheno e da quello della Regione autonoma del Kurdistan, di forniture militari; sul punto si diffonderà nel dettaglio la comunicazione del Ministro Pinotti, ma – ribadiva Mogherini - per il Governo era fondamentale che questo lavoro si svolgesse innanzitutto in una cornice internazionale ed europea - da qui la richiesta della convocazione del Consiglio affari esteri dell’UE -, e con il coinvolgimento del Parlamento “che credo oggi possa compiersi; ma questo chiaramente dipenderà dalla volontà delle Commissioni”;

3.     azione politica, necessaria ad individuare le soluzioni di lungo termine. Si tratta di lavorare ad un quadro sostenibile all'interno dell'Iraq e nella regione, un quadro politico inclusivo che garantisca l'unità, l'integrità territoriale dell'Iraq e il suo inserimento in un contesto regionale che aiuti a rispondere alla minaccia dell’IS che riguarda in primis gli iracheni ma anche l’intera regione, l’UE e il mondo intero. In tale contesto è significativo che al-Abadi abbia ricevuto l'incoraggiamento e l'invito a procedere velocemente alla formazione di un Governo inclusivo anche dall'Iran, oltre che da Washington, dall'Araba Saudita e dall'Unione europea, in un contesto di consenso difficilmente riscontrabile in quella regione ed al quale l’Italia ha attivamente contribuito.

Mogherini richiamava quindi le conclusioni del Consiglio affari esteri di Ferragosto dove, sulla base di un consenso unanime, viene accolta con favore la decisione dei singoli Stati membri di rispondere positivamente alla richiesta delle autorità del Governo regionale curdo di ricevere urgentemente materiali militari, sulla base delle capacità e delle leggi nazionali degli Stati membri e con il consenso delle autorità nazionali irachene. Il Ministro sottolineava la rilevanza di tale consenso che consente al sostegno militare di affluire attraverso canali istituzionali internazionalmente riconosciuti (cessione da Governo a Governo). I

l secondo elemento che ha composto il quadro di riferimento internazionale – aggiungeva Mogherini – è la risoluzione n. 2170 delle Nazioni Unite del 16 agosto che riafferma, tra il resto, la necessità di combattere con ogni strumento, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite e con l'ordinamento internazionale, le minacce alla pace internazionale e alla sicurezza causate da atti terroristici. Riferendosi al passaggio di coinvolgimento del Parlamento, ritenuto dal Governo imprescindibile a fianco della cornice internazionale testé rammentata, il Ministro affermava che sebbene esso non sia necessario sotto il profilo formale esso è tuttavia fondamentale dal punto di vista politico, come momento di condivisione di un importante passaggio con le Commissioni competenti.

Il Ministro della Difesa Roberta Pinotti, fornite precisazioni tecniche sulla fornitura degli aiuti umanitari immediati decisi dal Consiglio Affari esteri dell’UE, offriva quindi una serie di informazioni sui materiali d’armamento che il Governo italiano valutava di poter fornire: in particolare, si tratta in equipaggiamenti per la difesa personale e d'area. Il Ministro rammentava, altresì, che Francia e Gran Bretagna avevano già effettuato o avviato analoghe operazioni mentre la Germania stava valutando il proprio contributo alla fornitura di mezzi e materiali militari. Pinotti riferiva quindi dell’ipotesi di prevedere la copertura finanziaria degli oneri connessi ai vari aspetti delle forniture militari richieste dalla autorità irachene e curde con apposito emendamento al decreto-legge 109/2014 in corso di conversione, concernente la proroga delle missioni internazionali nel secondo semestre.

Alla fine della seduta congiunta e dopo le riunioni separate degli uffici di presidenza delle Commissioni dei due rami del Parlamento, lo stesso 20 agosto si svolgevano le riunioni delle Commissioni per il voto di risoluzioni.

Presso la Camera le Commissioni riunite Affari Esteri e Difesa discutevano congiuntamente le risoluzioni sul contributo dell'Italia alle iniziative internazionali per la crisi nel Nord dell'Iraq 7-00456 Cicchitto e Vito, 7-00457 Artini e Sibilia e 7-00458 Duranti e Palazzotto. E’ stata approvata la risoluzione 7-00456 per la quale il Ministro Mogherini ha espresso il parere favorevole del Governo, votata per parti separate (parte motiva e parte dispositiva) con votazioni per appello nominale[3].

Con la risoluzione 7-00456 le Commissioni Esteri e Difesa preso atto di quanto riferito dai Ministri e degli esiti del Consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014, valutato che l'occupazione di ampie porzioni di territorio iracheno e siriano cadute sotto il controllo dell'IS e di ulteriori forze terroristiche fondamentaliste rappresenta una seria minaccia alla sicurezza internazionale, ai sensi della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 2170 (2014), adottata nell'ambito del Capitolo VII della Carta; manifestata viva preoccupazione per la catastrofe umanitaria e le atrocità che soprattutto nel Nord dell'Iraq stanno subendo le minoranze religiose ed in particolare quella cristiana e quella yazida; sottolineata la necessità di tutelare la natura multiconfessionale della regione; incoraggiata la formazione di un nuovo governo iracheno in cui possano riconoscersi tutte le componenti del Paese, a garanzia della sua integrità territoriale e condivisa la ferma condanna espressa dal Consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto nei confronti degli attacchi perpetrati dall'IS e dagli altri gruppi armati associati, che si configurano come veri e propri crimini contro l'umanità, impegnano il Governo a dare attuazione agli indirizzi formulati dal Consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto 2014, rispondendo, d'intesa con i partner europei e transatlantici, alle richieste di aiuto umanitario e di supporto militare delle autorità regionali curde, con il consenso delle autorità nazionali irachene.

Presso il Senato della Repubblica le omologhe Commissioni Esteri e Difesa hanno approvato la risoluzione Doc. XXIV, n. 34, di identico tenore.

Nella seduta dell’Assemblea della Camera del 9 settembre 2014[4] nell’ambito dell’informativa urgente del Governo sul tema del terrorismo internazionale di matrice religiosa il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha dedicato una delle tre parti dell’intervento all’esame della struttura, alle modalità di finanziamento, di propaganda e di reclutamento dell’IS, evidenziandone il carattere di  soggettività statuale antagonista che punta a trarre il massimo profitto dalla crisi dello Stato nazione dei Paesi islamici. L’intervento si è incentrato, inoltre, sulla reazione al fenomeno IS da parte dei Paesi coinvolti e sulla specifica situazione italiana con i relativi  fattori di rischio e di allarme, in ossequio all’obiettivo dichiarato dell’informativa che è quello di mettere a parte il Parlamento dello stato delle conoscenze del fenomeno, delle possibili ricadute sul suolo nazionale e del quadro di cooperazione internazionale globale. L’informativa urgente è stata resa, nella medesima giornata del 9 settembre, anche presso l’Assemblea del Senato della Repubblica.

In pari data, il Ministro degli esteri riferiva alle Commissioni Esteri e Difesa dei due rami del Parlamento sugli esiti del Vertice dell’Alleanza atlantica, tenutosi il 4 ed il 5 settembre in Galles, sottolineando come in quella sede fosse emersa con chiarezza una convergenza tra i partner atlantici circa l’esigenza  di non coinvolgere la NATO in quanto tale nel teatro di crisi siriano-iracheno ma di creare una rete di Paesi che non coinvolgesse solamente alcuni Stati membri del Patto atlantico, ma anche altri Stati, al di fuori dell’Alleanza atlantica a partire dai Paesi arabi ed islamici, con una pluralità di strumenti, non principalmente militari, ma soprattutto sul versante dell’aiuto umanitario, del controllo dei flussi economici e finanziari, fondamentale per arginare i rifornimenti e l’accesso di risorse di ISIS, nella cornice di Nazioni unite.

In quella stessa giornata del 9 settembre, il Governo presentava una proposta emendativa all’art. 4 del disegno di legge di conversione del richiamato decreto-legge n. 109/2014[5], di proroga della partecipazione italiana e missioni internazionali, volta ad autorizzare per l'anno 2014, la spesa di euro 1.965.886 per il trasporto degli aiuti umanitari a favore della popolazione civile irachena effettuato nel mese di agosto, nonché per il trasporto del materiale di armamento ceduto, a titolo gratuito, alla Repubblica dell'Iraq.

In sede di approvazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge, il Governo accoglieva il 17 settembre scorso un ordine del giorno, d’iniziativa dell’on. Gianluca Rizzo (9/2598-A-R/32), riformulato nel corso della seduta, che impegna il Governo a non assumere ulteriori iniziative d'invio in Iraq di armi e militari oltre a quelli presenti nel decreto in esame, senza prima aver dato preventiva comunicazione alle Camere o alle Commissioni competenti che adottano le conseguenti deliberazioni.

I profili della sicurezza interna italiana davanti all’evoluzione della minaccia jihadista esplicitamente rivolta al nostro Paese sono stati oggetto di un’interrogazione a risposta immediata in Assemblea alla Camera (3-01047, Dorina Bianchi ed altri) svolta nella seduta del 24 settembre. In sede di replica il Ministro Alfano ha confermato la necessità di innalzare il livello di guardia, in considerazione sia delle dirette minacce all’Italia, sia anche dell'offensiva delle forze di cooperazione in territorio siriano suscettibile di innescare forme di reazione.

Nell’ambito di una strategia focalizzata sulla valutazione di qualsiasi segnale di pericolo, per quanto tenue, il Ministro dell’Interno ha sottolineato che può considerarsi convocato in permanenza il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, tavolo di alto coordinamento che riunisce  rappresentanti delle Forze di polizia e degli organismi informativi. In un quadro di azione europea - ha affermato Alfano – sta procedendo la proposta italiana, cui può giovare la funzione di Presidenza di turno dell’Ue, di costituire una squadra multidisciplinare di monitoraggio dei combattenti stranieri, nonché il progetto di realizzazione di una banca dati basata sul codice di protezione passeggeri (passenger name record) che metta a disposizione delle polizie le liste dei passeggeri dei voli in transito nell'area Schengen o in arrivo dai Paesi terzi.

Nella seduta dell’11 settembre 2014 presso la Commissione Difesa della Camera si è svolta l’interrogazione a risposta immediata 5-03522 d’iniziativa dell’on. Donatella Duranti sui rischi connessi alla fornitura di armi alle forze curde in Iraq. Con riferimento, in particolare, alla parte dell’interrogazione che si incentra sul rischio di “sviamento”, ossia la perdita di controllo sui destinatari della fornitura, nel testo della risposta viene precisato che, ai sensi di quanto stabilito con un apposito documento (End User Certificate), firmato dal Governo regionale curdo il 28 agosto 2014 su richiesta delle autorità italiane, i destinatari finali della fornitura sono chiaramente individuati e gli utilizzatori finali sono tenuti a non riesportare o trasferire il materiale italiano oggetto dell’operazione senza il consenso delle autorità italiane.

L’End User Certificate prevede che il materiale verificato dalla autorità irachene venga consegnato a destinatari preventivamente individuati, responsabili della distribuzione agli utilizzatori finali, rigorosamente appartenenti all’etnia curda. Le procedure avverranno sotto la supervisione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per il tramite della Rappresentanza diplomatica di Erbil. Quanto all’utilizzo per “fini istituzionali” di materiale d’armamento sequestrato, che è altra questione posta dagli interroganti, nel testo della risposta si esplicita che il necessario decreto interministeriale Giustizia-Difesa-Economia (come stabilito a suo tempo dalla legge 108/2009 e, successivamente, dall’articolo 319 del Codice dell'ordinamento militare[6]) è stato assunto il 4 settembre 2014; con tale provvedimento è stata determinata la destinazione di tali materiali ad uso istituzionale della Difesa.

Le iniziative a protezione del cantone di Kobane nel Kurdistan occidentale (a pochi chilometri dal confine con la Turchia) pesantemente attaccato dall’IS da metà settembre, e la posizione del governo di Ankara, sono stati oggetto dell’interrogazione a risposta immediata in Commissione Esteri 5-03672 d’iniziativa dell’on. Emanuele Scagliusi svolta nella seduta del 1° ottobre.

Ancora sull’assedio della città siriana di Kobane da parte dei miliziani dell'IS e sulla posizione della Turchia è intervenuta alla Camera (seduta del 10 ottobre) l’interpellanza urgente in Assemblea 2-00709 d’iniziativa dell’on. Erasmo Palazzotto. L’on. interpellante ha evidenziato, tra il resto, come l’attacco portato alla capitale – Kobane appunto - della regione autonoma del Rojava costituitasi nel Kurdistan siriano a novembre 2013 dall’unione delle tre enclavi curde di Kobane, Afrin e Cizre, dotatasi di istituzioni democratiche e di forze di difesa del popolo (YPG) e divenuta un pacifico esempio di convivenza e tolleranza di etnie e religioni diverse (curdi, arabi, turcomanni, assiri, armeni, cristiani, yazidi, musulmani), punti a distruggere il simbolo di un'alternativa possibile al modello sociale e religioso perseguito dall’IS.

In sede di replica, il rappresentante del Governo ha dato ampiamente conto della posizione della Turchia sulla strategia di contrasto all’IS, allo stato refrattaria all’opzione di intervento di terra limitato alla città di Kobane propugnato dall’opposizione parlamentare (in particolare dal CHP, il Partito repubblicano del popolo), ed ancorata al testo di una mozione approvata il 1° ottobre il cui mandato – ritenuto troppo vago - autorizza per un anno l'esercito ad intervenire oltre confine, in territorio siriano e iracheno, per fare fronte alle crescenti minacce poste dall'avanzata delle forze dell'IS e consente il transito in territorio turco di truppe straniere nonché l'utilizzo delle basi militari turche da parte della coalizione internazionale.

Il Sottosegretario ha rammentato, altresì, che la Turchia non acconsente nemmeno all’apertura del valico che porta all’enclave di Kobane che consentirebbe – come ha sottolineato anche l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, autore di un appello alla Turchia in tal senso – “ai volontari di entrare nella città con equipaggiamenti sufficienti contribuendo alle operazioni di autodifesa”.

La posizione italiana – ha affermato l’esponente dell’esecutivo – si fonda sull’auspicio che, nel pieno rispetto delle esigenze di sicurezza turche, Ankara sappia articolare il proprio apporto alla strategia della coalizione, commisurandolo alla vasta portata della minaccia di IS alla stabilità della regione mediorientale e della Turchia stessa; e del resto molti soggetti internazionali e numerosi altri Paesi cercano di convincere la Turchia a fare di più, o almeno consentire il passaggio di chi vuole andare a combattere per difendere l’enclave di Kobane, attaccata su più lati con armi pesanti (le armi dell'esercito iracheno prese a Mosul ed anche quelle dell'esercito siriano) e difesa soltanto dalle forze di protezione del popolo curdo delle YPG.

Quanto agli interventi sul piano umanitario, il rappresentante del Governo ha rammentato la tempestività dell’intervento della cooperazione italiana in risposta alla crisi umanitaria in Iraq visto l'afflusso di rifugiati siriani e, più recentemente, a causa dell'offensiva dell'IS. Rammentato che recenti stime delle Nazioni Unite quotano a oltre 1,8 milioni gli sfollati in Iraq, il sottosegretario ha sottolineato che sino ad ora sono stati erogati (dall’Italia) 500.000 euro all'OMS, 250.000 euro al PAM, 230.000 euro all'UNICEF; inoltre, parte del programma del valore di 1 milione di euro già avviato in Iraq in favore dei rifugiati siriani presenti nelle aree del Kurdistan iracheno, è stato riconvertito per realizzare attività in ambito sanitario e formativo in favore dei nuovi sfollati interni presenti nel Paese. Quanto alla regione di Kobane, le precarie condizioni di sicurezza non hanno sino ad ora consentito lo svolgimento di attività umanitarie internazionali.

Da ultimo, il 16 ottobre, presso le Commissioni congiunte Esteri e Difesa della Camera e del Senato si è svolta l’audizione del Ministro della difesa e del sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova, sugli sviluppi del quadro internazionale, con particolare riferimento all'Iraq. In apertura di seduta il Presidente della Commissione Difesa, on. Elio Vito, ha fatto riferimento alla forte preoccupazione per l’attuale quadro geopolitico internazionale emersa nella recente riunione del Consiglio supremo di difesa, con particolare riferimento ai rischi rilevanti per l’Europa e per l’Italia connessi alla pressione militare dell’IS in Siria e in Iraq e correlati anche alla forza attrattiva che il movimento sembra poter esercitare su altre formazioni jihadiste e dell’estremismo islamico in aree non contigue ai territori controllati. In tale situazione – ha sottolineato Vito - il Consiglio supremo di difesa ha rilevato che è necessario che l’Italia, insieme a Nazioni Unite e Unione europea, consideri con estrema attenzione gli eventi in corso ed eserciti ogni possibile sforzo per prevenire, in particolare, l’ulteriore destabilizzazione della Libia; inoltre, la gravità della  situazione evidenzia l’urgenza e l’importanza, pur nei limiti della ridotta disponibilità di risorse, di una rapida trasformazione delle nostre Forze armate e dell’organizzazione europea della sicurezza.

Il Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, dopo aver richiamato origine ed ambizioni espansionistiche dell’IS, definito violentissimo attore politico e militare, ed averne evidenziato il forte appeal ideologico ed economico che fa quotare a 30 mila uomini - nell’ipotesi più pessimistica -  la consistenza del contingente di combattenti, ha rammentato le molteplici iniziative, di carattere sia politico sia militare, poste in campo dalla comunità internazionale per contrastare i fenomeno, a partire dalla collocazione dell’IS nelle black lists delle organizzazioni terroristiche da parte di Paesi musulmani quali la Turchia (2013) e, recentemente, l’Arabia saudita.

Pinotti ha affermato che sessanta tra Paesi ed organizzazioni internazionali cooperano in una coalizione di fatto adottando misure di contrasto, e fra questi almeno dieci stanno concretamente operando con azioni militari. Quanto al nostro Paese, esso sta contribuendo agli sforzi della comunità internazionale con una molteplicità di misure, incluse quelle di carattere militare; a settembre sono state consegnate alle forze curde, ovviamente con il pieno appoggio del Governo iracheno, mitragliatrici in dotazione all’Esercito italiano giudicate cedibili in considerazione dei surplus esistenti nei nostri depositi.

È poi iniziata la fase di confezionamento e trasporto di munizionamento di modello ex sovietico conservato nel deposito di Guardia del Moro, dopo che il materiale era stato confiscato dall’autorità giudiziaria nel 1994. Si tratta – ha precisato Pinotti - di munizionamento per mitragliatrice pesante, nonché di munizioni per sistemi controcarro dei tipi in uso da parte delle forze curde. Il trasporto verso la città di Erbil, nella regione del Kurdistan. La necessità di proseguire nel contributo italiano nelle operazioni contro l’IS vede il nostro Paese orientato verso la fornitura di altro materiale giudicato cedibile nonché verso l’invio di un velivolo KC-767 per il rifornimento in volo degli assetti aerei della coalizione, di due velivoli a pilotaggio remoto tipo Predator per la sorveglianza della regione e di una cellula di ufficiali per le attività di pianificazione. Inoltre si prevede l’invio di personale per l’addestramento e la formazione delle forze che contrastano l’IS, come espressamente richiesto dalle autorità curde: si tratta di un totale di circa duecento militari, inclusi gli elementi di supporto, i quali andrebbero a operare nei luoghi concordati con le autorità irachene e i Paesi della coalizione, presumibilmente ad Erbil.

Il Ministro ha fatto cenno anche all’arrivo in Italia di alcuni militari curdi che verranno addestrati all’uso dei sistemi d’arma che hanno ricevuto in cessione. Inoltre – ha aggiunto Pinotti - sarà possibile inserire successivamente in teatro circa ottanta unità di personale con funzione di consigliere per gli alti comandi delle forze irachene, che porta il totale del personale a 280 unità. Infine, è in fase di pianificazione l’invio di altri assetti pilotati per la ricognizione aerea. Come emerso nel corso del dibattito, poiché l’invio di ulteriori contributi italiani risponde alle necessità riscontrabili in teatro, tale invio rientra nell’ambito del mandato conferito dalle risoluzioni parlamentari del 20 agosto, e, pertanto, non necessita di un ulteriore passaggio “politico” in Parlamento.

Il sottosegretario Della Vedova ha rammentato la scelta di un approccio sin dall’inizio multidimensionale alla questione del contrasto all’IS comprensivo di misure non solo militari, ma anche di sostegno politico, di comunicazione pubblica, di contrasto ai flussi di combattenti stranieri e al loro finanziamento, di coordinamento informativo, umanitarie, di cooperazione nel settore educativo, di promozione delle opportunità di sviluppo economico e sociale; fondato sull’assunzione di concrete responsabilità da parte dei Paesi della regione; pragmatico nel tenere conto delle specificità e delle diverse realtà sul terreno; informato al concetto di unicità del teatro siro-iracheno, viste le caratteristiche di mobilità e rapida capacità di adattamento dimostrate dallo Stato islamico.

Tutto ciò al fine – ha sottolineato il Sottosegretario – non solo di contrastare direttamente, ma anche di ricostituire stabilmente equilibri politico-sociali realistici e sostenibili nei singoli Paesi della regione. Sotto il profilo dell’assistenza umanitaria alla drammatica emergenza che si estende dall’Iraq occidentale alla Siria Nord-orientale, Dalla Vedova ha rammentato che attraverso la cooperazione italiana sono state avviate operazioni nel Kurdistan iracheno per un totale di oltre 2 milioni di euro, di cui 980,000 per attività delle organizzazioni internazionali già presenti in loco (l’OMS, il PAM e l’Unicef) nei settori della salute e sicurezza alimentare, acqua e protezione dei minori.

 

 


Rapporti tra Unione europea ed Iraq
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

L'UE sostiene la transizione dell'Iraq verso la democrazia e la sua integrazione all'interno della regione e nella comunità internazionale.

Nel maggio del 2012, la UE e l'Iraq hanno firmato un accordo di partenariato e di cooperazione, che fornisce un quadro per promuovere il dialogo e la cooperazione sui seguenti temi: questioni politiche e sociali; diritti umani; lo stato di diritto; migrazione; ambiente; commercio; cultura; energia; trasporto e sicurezza.

Sostegno dell’UE all’aiuto umanitario

La situazione umanitaria in Iraq si è deteriorata rapidamente negli ultimi mesi con l'escalation del conflitto armato. Le Nazioni Unite stimano che almeno 23 milioni di persone sono colpite dal conflitto, con 5,2 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria. Tra questi, 1,8 milioni di sfollati dal gennaio 2014 e 3,6 milioni di persone che vivono in zone di conflitto attive, di cui almeno 2,2 milioni sono in immediato bisogno di aiuti umanitari .

Le difficoltà di accesso in molte parti dell'Iraq occidentale e centrale limitano la capacità di fornire assistenza umanitaria..

Il 22 ottobre scorso la Commissione europea ha deciso lo stanziamento supplementare di 3 milioni di euro per aiuti umanitari destinati a sostenere le popolazioni civili per l’arrivo dell’inverno, portando il totale degli stanziamenti per il 2014 a circa 20 milioni di euro.

 Il sostegno umanitario totale della Commissione europea in Iraq dal 2007 ammonta a quasi 150 milioni di euro, compreso il sostegno ai profughi siriani in Iraq. L'assistenza viene prestata attraverso le agenzie delle Nazioni Unite, le organizzazioni internazionali e ONG internazionali.

Recenti prese di posizione del Consiglio dell’UE

Il Consiglio dell’UE nelle conclusioni sulla situazione in Iraq adottate il 15 agosto 2014 ha:

·        ribadito il suo impegno a favore dell'unità, sovranità e integrità territoriale dell'Iraq ed espresso preoccupazione per il grave deterioramento delle condizioni di sicurezza e della situazione umanitaria nel paese, soprattutto nelle regioni settentrionali in conseguenza degli attacchi dell'ISIL e di altri gruppi armati associati;

·        condannato le violazioni dei diritti umani fondamentali, in particolare nei confronti delle minoranze religiose o dei gruppi più vulnerabili;

·        apprezzato la decisione di singoli Stati membri di rispondere positivamente alla richiesta delle autorità regionali curde riguardo alla fornitura urgente di materiale militare;

·        accolto con favore la nomina di Haider Al Abadi a primo ministro designato e espresso fiducia per la costituzione di un nuovo governo inclusivo e in grado di rispondere alle esigenze di tutti i cittadini iracheni. Il Consiglio invita tutti i leader politici, religiosi e tribali, in particolare delle popolazioni sunnita e curda, a promuovere la fiducia nelle istituzioni democratiche;

·        espresso sostegno alla missione di assistenza dell'ONU per l'Iraq (UNAMI) e invitato i paesi confinanti dell'Iraq e gli altri partner a rafforzare la cooperazione.

Il Consiglio dell’UE ha adotta da ultimo, il 20 ottobre scorso, delle  conclusioni sulla crisi dovuta all'ISIL/Da'esh in Siria e in Iraq a, nelle quali:

·        sostiene gli sforzi profusi da oltre sessanta Stati per contrastare la minaccia posta dall'ISIL/Da'esh, compresa l'azione militare nel rispetto del diritto internazionale. Osserva che in questo contesto l'azione militare è necessaria ma non sufficiente e rientra in un più ampio sforzo che comprende misure nei settori politico/diplomatico, della lotta al terrorismo e al finanziamento del terrorismo, nonché nei settori umanitario e della comunicazione. L'UE invita tutti i partner a attuare le pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in particolare la 2170 e la 2178, e a incrementare gli sforzi a livello nazionale per impedire all'ISIL/Da'esh di beneficiare dei profitti derivanti dalle vendite illegali di petrolio e altri beni;

·        ritiene che in conseguenza delle sue politiche e delle sue azioni, il regime di Assad non può essere un partner nella lotta contro l'ISIL/Da'esh;

·        ribadisce il suo fermo impegno a contrastare il grave problema rappresentato dai combattenti stranieri entrati nelle file dell'ISIL/Da'esh e di altri gruppi terroristici;

·        è determinato a prendere provvedimenti immediati e a lungo termine per impedire all'ISIL/Da'esh di beneficiare delle sue fonti di finanziamento e approvvigionamento, nonché per potenziare la sua cooperazione con i paesi confinanti della Siria e dell'Iraq in materia di sicurezza e di lotta al terrorismo;

·        accoglie con favore la formazione del nuovo governo iracheno l'8 settembre e accoglie con favore il fatto che i ministri curdi abbiano assunto le proprie cariche governative. Invita il governo iracheno e il governo della regione del Kurdistan a trovare una soluzione duratura alle loro divergenze;

·        ribadisce il suo fermo impegno a favore dell'unità, della sovranità e dell'integrità territoriale dell'Iraq. È soddisfatto degli sforzi della coalizione, tra cui la decisione dei singoli Stati membri di fornire materiale militare e consulenza all'Iraq per arginare la capacità dell'ISIL/Da'esh di colpire la popolazione civile. Chiede al governo di avvicinarsi a tutte le componenti della società irachena e di perseguire, senza indugio, un processo di riconciliazione nazionale. Sollecita tutte le componenti della società irachena a unirsi nella lotta contro l'ISIL/Da'esh e nel sostegno al processo di riconciliazione nazionale;

·        dichiara la sua disponibilità a sostenere il Governo dell’Iraq nello sviluppo delle riforme necessarie in un ampio spettro di settori, tra cui il settore della sicurezza e l'ordinamento giudiziario;

·        chiede all'Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE di sviluppare una strategia regionale globale per la Siria e l'Iraq, nonché per far fronte alla minaccia dell'ISIL/Da'esh.

Risoluzioni del Parlamento europeo

Nella risoluzione sulla situazione in Iraq, approvata il 14 luglio 2014 il Parlamento europeo:

·        esprime profonda preoccupazione per il rapido aggravarsi della situazione della sicurezza in Iraq e condanna fermamente gli attacchi perpetrati dall'IS contro lo Stato e i cittadini iracheni;

·        sostiene le autorità irachene nella lotta contro il terrorismo dell'IS, ma sottolinea che la risposta alla questione della sicurezza deve essere combinata con una soluzione politica sostenibile che coinvolga tutte le componenti della società irachena;

·        sottolinea inoltre che, nella lotta al terrorismo, occorre rispettare i diritti umani e il diritto umanitario internazionale e sollecita le forze di sicurezza irachene ad agire in linea con il diritto internazionale e nazionale;

·        respinge senza riserve e considera illegittimo l'annuncio della leadership dell'IS, che dichiara di aver stabilito un califfato nelle zone attualmente sotto il suo controllo, e rifiuta l'idea di eventuali modifiche, unilaterali e imposte con la forza, di confini riconosciuti a livello internazionale;

·        sottolinea che l'IS è soggetto all'embargo sugli armamenti e al congelamento dei beni imposto dalle risoluzioni 1267 (1999) e 1989 (2011) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e pone in rilievo l'importanza di una rapida ed efficace attuazione delle misure in questione;

·        invita tutte le parti a contribuire agli sforzi volti a promuovere la sicurezza e la stabilità in Iraq e in particolare a incoraggiare il governo iracheno ad avviare un dialogo con la minoranza sunnita e a riorganizzare l'esercito in modo inclusivo, non settario e imparziale;

·        invita la comunità internazionale, in particolare l'UE, ad agevolare un dialogo regionale sui problemi del Medio Oriente e ad associarvi tutti gli attori più rilevanti, in particolare l'Iran e l'Arabia Saudita;

·        sottolinea che l'UE dovrebbe sviluppare un approccio strategico globale per la regione e osserva, in particolare, che l'Iran, l'Arabia Saudita e gli altri Stati del Golfo, alla luce del loro ruolo fondamentale, dovrebbero partecipare agli sforzi di allentamento delle tensioni in Siria e in Iraq;

·        prende atto dell'annuncio del governo regionale curdo in merito all'organizzazione di un referendum sull'indipendenza; fa tuttavia appello al parlamento e al presidente del Kurdistan iracheno, Massoud Barzani, affinché sostengano un processo inclusivo nel rispetto dei diritti delle minoranze non curde che vivono nella regione.

 

Nella risoluzione sulla situazione in Iraq e in Siria e offensiva dell'IS, del 18 settembre 2014, il Parlamento europeo:

·        sottolinea che gli attacchi sistematici contro i civili a causa della loro appartenenza etnica o politica, della loro religione, del loro credo o del loro genere costituiscono un crimine contro l'umanità;

·        esprime la sua solidarietà con i membri delle comunità cristiane perseguitate, nonché con le altre minoranze religiose oggetto di persecuzioni;

·        respinge senza riserve e considera illegittimo l'annuncio della leadership dell'IS, che dichiara di aver stabilito un califfato nelle zone attualmente sotto il suo controllo e sottolinea che la creazione e l'espansione del «califfato islamico», nonché le attività di altri gruppi estremisti in Iraq e in Siria, costituiscono una minaccia diretta alla sicurezza dei paesi europei;

·        invita il Consiglio dell’UE a prendere in considerazione un utilizzo più efficace delle attuali misure restrittive, in particolare per impedire che l'IS tragga vantaggio dalla vendita illecita di petrolio o dalla vendita di altre risorse sui mercati internazionali;

·        invita l'UE a imporre sanzioni a tutti i soggetti (governi e imprese pubbliche o private) coinvolti nel trasporto, nella trasformazione, nella raffinazione e nella commercializzazione del petrolio estratto in zone controllate dall'IS, unitamente a rigorosi controlli dei flussi finanziari;

·        si compiace dell'invito degli Stati Uniti a formare una coalizione internazionale contro l'IS;

·        accoglie con favore la decisione presa dalla Lega araba il 7 settembre 2014 di adottare le misure necessarie per affrontare l'IS e collaborare nel contesto degli sforzi internazionali, regionali e nazionali ed invita la Lega araba a discutere in merito alla possibilità di modificare la Convenzione araba per la repressione del terrorismo del 1998 per contrastare il terrorismo globale;

·        invita gli Stati membri dell'UE ad assistere le autorità irachene e locali con tutti i mezzi possibili, ivi compresi adeguati aiuti militari, affinché respingano l'espansione terroristica dell'IS;

·        si compiace della decisione di singoli Stati membri di rispondere positivamente alla richiesta delle autorità regionali curde riguardo alla fornitura urgente di materiale militare ed invita gli Stati membri che stanno fornendo materiale militare alle autorità regionali curde a coordinare i relativi sforzi e a mettere in atto misure per impedire una diffusione incontrollata e l'uso di materiale militare contro i civili;

·        invita la Turchia a impegnarsi in maniera chiara e inequivocabile per contrastare la minaccia alla sicurezza comune posta dall'IS;

·        invita l'UE ad agevolare un dialogo regionale sui problemi del Medio Oriente e ad includervi in particolare l'Iran e l'Arabia Saudita;

·        invita la comunità internazionale a mobilitarsi in misura maggiore, a mostrarsi più disponibile nella condivisione degli oneri e ad apportare un sostegno finanziario diretto ai paesi di accoglienza;

·        sottolinea che, nel lungo termine, solo una soluzione politica duratura e inclusiva che comporti una transizione pacifica verso un governo realmente rappresentativo in Siria contribuirebbe a neutralizzare la minaccia dell'IS e di altre organizzazioni estremiste;

·        ribadisce la sua preoccupazione per il fatto che migliaia di combattenti stranieri transfrontalieri, tra cui cittadini degli Stati membri, si siano uniti all'insurrezione dell'IS; invita gli Stati membri ad adottare misure adeguate per impedire ai combattenti di lasciare il loro territorio nonché a sviluppare una strategia comune per i servizi di sicurezza e le agenzie dell'UE per quanto concerne il monitoraggio e il controllo dei jihadisti.

La missione EUJUST LEX-Iraq

Il 31 dicembre 2013 si è conclusa la missione integrata dell'UE sullo stato di diritto per l'Iraq (EUJUST LEX-Iraq) che era finalizzata alla formazione, guida, monitoraggio e consulenza ai funzionari della giustizia penale in Iraq. Tra l'inizio della sua fase operativa nel 2005 e la sua conclusione, la missione ha intrapreso attività di sviluppo delle capacità per 7000 funzionari, contribuendo a rafforzare lo stato di diritto e a promuovere una cultura del rispetto dei diritti umani in Iraq.

 

 

 




[1] Prevede un referendum popolare, non ancora svoltosi,  per definire lo status territoriale di Kirkuk e dei territori contesi. L’articolo 140 prevede:

First: The executive authority shall undertake the necessary steps to complete the implementation of the requirements of all subparagraphs of Article 58 of the Transitional Administrative Law.

Second: The responsibility placed upon the executive branch of the Iraqi Transitional Government stipulated in Article 58 of the Transitional Administrative Law shall extend and continue to the executive authority elected in accordance with this Constitution, provided that it accomplishes completely (normalization and census and concludes with a referendum in Kirkuk and other disputed territories to determine the will of their citizens), by a date not to exceed the 31st of December 2007.

 

 

 

[2]     D.L. 114/2013 (Proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione) convertito, con modificazioni dalla legge 9 dicembre 2013,n. 135.

[3]     Anche le due risoluzioni non approvate sono state votate per parti separate, i particolare intera parte motiva e singoli impegni della parte dispositiva,  e con votazioni per appello nominale.

 

[5]     Decreto-legge 1° agosto 2014, n. 109, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché' disposizioni per il rinnovo dei comitati degli italiani all'estero, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° ottobre 2014, n. 141, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché disposizioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero.

[6]     L’articolo 319 del D. lgs. 15 marzo 2010, n. 66 ai primi due periodi prevede che le armi, le munizioni, gli esplosivi e gli altri materiali di interesse militare sequestrati e acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo di confisca dell’autorità giudiziaria possono essere assegnati al Ministero della difesa per finalità istituzionali, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri della difesa e dell’economia e delle finanze. Si provvede con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, nel caso in cui la confisca è stata disposta dall’autorità giudiziaria militare.