Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea |
Titolo: | Proposta di regolamento relativo all'importazione di beni culturali (COM(2017)375) |
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Esame di atti e documenti dell'UE Numero: 98 |
Data: | 03/10/2017 |
3 ottobre 2017 |
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n. 98 |
Proposta di regolamento relativo all'importazione di beni culturali (COM(2017)375) |
Tipo di atto |
Proposta di regolamento |
Data di adozione |
13 luglio 2017 |
Base giuridica |
Articoli 3 e 207 TFUE |
Settori di intervento |
licenza d'importazione, lotta contro la criminalità, Paesi terzi, traffico illecito, importazione (UE), terrorismo, bene culturale, commercio d’arte, regime doganale dell'UE, sorveglianza all'importazione |
Assegnazione |
26 luglio 2017 -VII Commissione (Cultura) |
Il 13 luglio 2017 la Commissione europea ha presentato la proposta di regolamento relativo all’importazione di beni culturali (COM(2017)375). L’iniziativa mira a impedire l'importazione e il deposito nell'UE di beni culturali esportati illegalmente da un Paese terzo, riducendo il traffico dei beni culturali, contrastando il finanziamento del terrorismo e proteggendo il patrimonio culturale, in particolare i reperti archeologici dei Paesi di origine in cui sono in corso conflitti armati.
A tal fine, la proposta prevede una serie di misure:
· una nuova definizione comune dell'UE di "beni culturali" all'importazione, di cui all’elenco allegato alla proposta, che copre un'ampia gamma di oggetti, tra cui ritrovamenti archeologici, antiche pergamene, rovine di monumenti storici, opere d'arte, collezioni e oggetti di antiquariato;
· Le nuove disposizioni si applicheranno solo ai beni culturali che hanno dimostrato di essere maggiormente a rischio, vale a dire quelli di almeno 250 anni al momento dell'importazione.
· l'istituzione di un nuovo sistema di licenze per l'importazione di reperti archeologici, parti di monumenti, antichi manoscritti e libri. Gli importatori sono tenuti a ottenere licenze di importazione dalle autorità competenti nell'UE, prima di introdurre tali beni nell'Unione;
· un sistema di certificazione più rigoroso per l’importazione di altre categorie di beni culturali che prevede la presentazione di una dichiarazione firmata o dichiarazione giurata che dimostri che i beni sono stati esportati legalmente dal Paese terzo;
· la facoltà per le autorità doganali di sequestrare e trattenere i beni quando non è possibile dimostrare che i beni culturali in questione sono stati esportati legalmente.
Secondo la Commissione europea, l’intervento è necessario in quanto, allo stato attuale, l'UE applica divieti alle merci provenienti dall'Iraq e dalla Siria (Vedi paragrafo sul quadro normativo nell’UE), ma non esiste un quadro generale dell'UE per l'importazione di beni culturali e le attuali legislazioni nazionali in materia sono divergenti e inefficaci, permettendo così a esportatori e importatori di sfruttare tale situazione e utilizzare i profitti realizzati per finanziare attività illecite come il terrorismo.
In linea generale, si può osservare che non risulta sufficientemente chiara la finalità del provvedimento. Infatti, se per un verso la Commissione europea sembra voler perseguire l’obiettivo di porre in essere una disciplina uniforme e armonizzata, volta a prevenire e contrastare le importazioni illegali nell’UE di beni culturali da qualunque Paese di provenienza, per altro verso sembra voler contrastare più specificamente il saccheggio, il trafugamento, l’importazione e la vendita illegali di beni culturali antichi provenienti da territori che si trovano in determinate situazioni (conflitti interni, instabilità). Al riguardo, si può rilevare che se l’obiettivo prioritario deve intendersi l’adozione di una disciplina armonizzata sull’importazione illegale di beni culturali, conseguentemente non dovrebbero porsi limiti riferiti all’età dei beni stessi. Paradossalmente, infatti, ciò potrebbe indurre le organizzazioni criminali a spostare l’oggetto dei loro traffici sui beni culturali più recenti. Né può ritenersi del tutto convincente l’argomentazione sostenuta dalla Commissione europea per cui l’introduzione del requisito dei 250 anni di età sarebbe volto a non ostacolare in misura sproporzionata il commercio di beni culturali, considerato che si è in presenza di comportamenti illeciti e non di dinamiche commerciali ordinarie. Allo stesso modo, non può ritenersi sufficiente il richiamo della Commissione europea alla legislazione statunitense in materia che già prevede il limite di età dei 250 anni.
Se, invece, l’obiettivo prioritario è quello di fronteggiare situazioni specifiche, quali i conflitti armati cui fa riferimento la relazione illustrativa, si potrebbe valutare l’opportunità di estendere l’ambito di applicazione della disciplina già adottata per Iraq e Siria a qualunque altro Paese si trovi nelle medesime condizioni.
Come evidenziato dalla Commissione europea, negli ultimi anni fazioni belligeranti e gruppi terroristici hanno perpetrato una serie di reati ai danni del patrimonio culturale mondiale. Ad esempio, i talebani in Afghanistan hanno distrutto i Buddha di Bamiyan, la milizia di Ansar Dine ha attaccato tombe e mausolei nella città antica di Timbuctu e l’ISIS ha demolito il tempio Baal Shamin a Palmira, in Siria.
Inoltre, i profitti realizzati dalla vendita di opere d'arte, sculture e reperti archeologici di valore provenienti da alcuni Paesi terzi sono spesso utilizzati per finanziare attività terroristiche. Ad esempio in Afghanistan vi sono intere zone, controllate dai talebani, dove le antichità vengono rinvenute e successivamente vendute sul mercato a prezzi fino a 300 mila euro per finanziare le loro attività di guerra.
L'Europa, con il suo ricco patrimonio culturale e l'apprezzamento per l'arte e la storia, la sua vicinanza al Medio Oriente e all'Africa e il suo enorme mercato dell'arte è una meta interessante per questo commercio illecito.
Tuttavia, è molto difficile valutare il valore del commercio illegale di beni culturali poiché si tratta di un’attività criminale. Secondo Interpol, il mercato nero delle opere d'arte sta diventando tanto redditizio quanto quello della droga, delle armi e delle merci contraffatte. Secondo l'UNESCO, insieme al commercio di droga e degli armamenti, il mercato nero dei beni culturali costituisce uno dei più radicati commerci illeciti nel mondo. I principali mercati di destinazione sono l'Europa e l'America del Nord, mentre la Cina è considerata insieme fonte e mercato nel commercio mondiale di beni culturali per la sua crescente ricchezza.
Secondo stime riportate dalla Commissione europea, solo il 30-40% delle vendite di antichità avviene attraverso case d'aste, dove i pezzi sono pubblicati nei cataloghi; il resto avviene attraverso transazioni private. Secondo le stesse stime, nell'80-90% delle vendite di antichità i beni hanno origini illecite. Inoltre, il valore finanziario totale del commercio illegale di beni culturali è stato stimato tra i 2,5 e i 5 miliardi di euro annui ed è inferiore soltanto al traffico di armi e di narcotici.
Alcuni beni culturali sono particolarmente vulnerabili alla dispersione e quindi alla scomparsa e alla perdita (per distruzione o appropriazione ingiusta) e pertanto hanno bisogno di una protezione speciale. Questo è il caso in particolare del patrimonio archeologico e dei manufatti religiosi. Le analisi statistiche delle aste di Sotheby's hanno dimostrato, ad esempio, che le antichità egiziane, greche e romane hanno un valore più elevato rispetto a quelle di altre società del passato.
Le situazioni di crisi o di conflitto aumentano il rischio di traffico di beni culturali che sono per loro natura soggetti a furti e saccheggi. Particolarmente a rischio sono i beni di Paesi con numerosi siti archeologici, dove è difficile mantenere un inventario della proprietà culturale e assicurare un efficace controllo delle aree, spesso remote, in cui si trovano i siti archeologici.
Un'altra questione, direttamente correlata al problema del traffico, è rappresentata dalle zone franche (aree fiscali in cui non vengono applicati dazi doganali su importazioni o esportazioni) che possono servire come deposito per beni culturali saccheggiati e nascondere la proprietà di beni di grande valore.
Secondo stime riportate dalla Commissione europea, il valore delle vendite sul mercato lecito globale di opere d'arte e oggetti di antiquariato[1] nel 2016 è stato di circa 56 miliardi di euro. Le vendite private rappresentano circa il 53% e quelle attraverso le case d'asta circa il 47%. La quota del mercato statunitense è del 43%, quella dell'Europa del 35% e quella della Cina del 19%. Il valore totale del mercato europeo è di circa 19 miliardi di euro, con il Regno Unito che rappresenta i due terzi, o il 24% del commercio globale. Tra gli altri Paesi europei, la Svizzera rappresenta il 6%, la Francia il 5%, la Germania il 3%, l’Italia 1,5%, mentre l’Austria, la Spagna e i Paesi Bassi rappresentano ciascuno circa lo 0,5%. Le vendite online sono in rapida crescita nel contesto del mercato mondiale. Alcune stime conservative riportate dalla Commissione europea fissano il valore del commercio elettronico a circa 4 miliardi di euro, con una tendenza al rialzo, che rappresenta circa il 7% delle vendite di opere d'arte e oggetti di antiquariato.
L'Europa si colloca al primo posto tra i continenti in termini di esportazioni di opere d'arte e oggetti di antiquariato, per un totale di circa 12,3 miliardi di euro, e al secondo posto in termini di importazioni dopo le Americhe, con circa 9,7 miliardi di euro di importazioni di arte e di antiquariato in e tra i Paesi europei; più della metà delle importazioni vanno in Gran Bretagna.
Il mercato europeo delle aste per l'arte e l'antiquariato è il secondo più grande del mondo, avendo realizzato nel 2016 vendite per circa 4,5 miliardi di euro. L’Italia occupa il 10° posto a livello mondiale nel mercato delle vendite all’asta con circa 118 milioni di euro nel 2016.
Tuttavia, per quanto riguarda in particolare le antichità classiche e l'arte antica, il mercato delle aste europeo, stimato in circa 57 milioni di euro, è relativamente piccolo rispetto a quello cinese (circa 250 milioni di euro), ma più grande di quello statunitense (circa 44 milioni di euro). Secondo quanto riportato dalla Commissione europea, 6 lotti su 10 tra quelli venduti all'asta in Europa nel corso del 2016 sono originari dell’Estremo Oriente.
Nel corso degli anni sono state adottate misure a livello internazionale, unionale e nazionale per combattere il traffico di beni culturali. Queste misure riguardano il movimento di beni culturali (esportazione, importazione e trasferimento di proprietà) al fine di tutelare gli interessi dei singoli Stati e della comunità internazionale.
La proposta di regolamento completerebbe il quadro normativo dell'UE in materia di commercio di beni culturali.
Infatti, l'Unione ha norme comuni esclusivamente sull'esportazione dei beni culturali (regolamento (CE) n. 116/2009), e sulla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro (direttiva 2014/60/UE). Per quanto riguarda l'importazione e il transito, oltre al Codice doganale (regolamento (UE) n. 952/2013), una normativa specifica si applica solo ai beni culturali provenienti dall'Iraq (regolamento (CE) n. 1210/2003) e dalla Siria (regolamento (UE) n. 36/2012), quando vi sono ragionevoli motivi per sospettare che i beni siano stati rimossi senza il consenso del loro legittimo proprietario o in violazione del diritto nazionale o internazionale. Questi due strumenti rappresentano l'unico esempio di misure restrittive adottate finora dall'Unione europea per quanto riguarda l'importazione di beni culturali.
Tutti gli Stati membri dell'UE regolano il commercio dei beni culturali. La maggior parte delle legislazioni nazionali fanno riferimento al proprio patrimonio culturale e spesso includono beni culturali che non sono coperti dalle disposizioni unionali comuni del regolamento (CE) n. 116/2009 sull'esportazione dei beni culturali. Gli Stati membri adottano misure concernenti l'esportazione e il movimento intra-Unione di tali beni.
Le disposizioni giuridiche specifiche degli Stati membri relative all'importazione di beni culturali sono molto rare. In Grecia è necessaria una licenza di importazione per alcuni beni culturali; in Spagna e in Italia esistono disposizioni per le licenze di importazione, ma il loro utilizzo da parte degli operatori è su base volontaria: tale licenza di importazione è spesso richiesta dagli operatori per facilitare la loro ri-esportazione legale.
Tuttavia, negli ultimi anni, soprattutto in risposta alla crisi in Medio Oriente, alcuni Stati membri (Germania, Francia, Austria e Paesi Bassi) hanno introdotto una legislazione per combattere il traffico illecito di beni culturali. La Germania e la Francia richiedono un certificato di esportazione dal Paese di provenienza per consentire l'ingresso di beni culturali nel loro territorio, mentre l’Austria e i Paesi Bassi hanno vietato l'importazione di beni culturali che sono stati illegalmente esportati dai Paesi di origine. L'Austria e la Germania esigono anche che gli acquirenti di beni culturali esercitino la dovuta diligenza per assicurarsi che i beni culturali abbiano una provenienza lecita.
La protezione dei beni culturali è una pratica internazionale consolidata. Vi sono tre accordi internazionali per proteggere i beni culturali dal saccheggio e per combattere il commercio illecito:
· la Convenzione dell'Aia del 1954 sulla tutela del patrimonio culturale in caso di conflitto armato, e i suoi 2 Protocolli aggiuntivi, rispettivamente del 1954 e del 1999 (128 Stati firmatari, tra cui l’Italia, che l’ha ratificata con la legge n. 279 del 1958);
· la Convenzione UNESCO del 1970 concernente le misure da adottare per interdire e impedire l'illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali (Vedi paragrafo sull’impatto sull’ordinamento nazionale);
È stata firmata da 131 Stati, tra cui 25 Stati membri dell’UE (Malta, Irlanda e Lituania non l’hanno ancora sottoscritta). L’Italia l’ha ratificata con la legge n. 873 del 1975.
· la Convenzione UNIDROIT del 1995 sui beni culturali rubati o illecitamente esportati (Vedi paragrafo sull’impatto sull’ordinamento nazionale).
La Convenzione è stata ratificata solo da 16 Stati membri. Ciò è da attribuirsi principalmente ai conflitti tra la Convenzione e l’ordinamento di alcuni Stati membri. L’Italia l’ha firmata e ratificata con la legge n. 213 del 1999.
Gli Stati Uniti impongono restrizioni all'importazione su richiesta dei membri della Convenzione UNESCO del 1970 e pubblicano un elenco di beni soggetti a tali restrizioni. I beni elencati possono essere importati negli Stati Uniti solo dopo il rilascio di un permesso di esportazione da parte del Paese di provenienza o se accompagnati da altra documentazione attestante che il bene ha lasciato il Paese di provenienza prima dell'imposizione di restrizioni.
La Svizzera, invece, richiede una dichiarazione di accompagnamento, quando una proprietà culturale è importata o in transito, che affermi che l’esportazione della proprietà culturale da uno Stato firmatario della Convenzione dell'UNESCO del 1970 non è soggetta a permesso secondo le leggi di tale Stato.
La proposta si inserisce anche nel quadro di altre politiche dell'Unione e concorre alla loro attuazione, segnatamente:
· l'Agenda europea sulla sicurezza (COM(2015)185), che sottolinea l'importanza della lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata;
· il Piano d’azione per rafforzare la lotta contro il finanziamento del terrorismo (COM(2016)50), che elenca una serie di iniziative politiche e legislative (inclusa la presente proposta) da adottare nell'ambito di una strategia d'insieme in tale settore.
Sulla base degli impegni assunti nel Piano, nel dicembre 2016 la Commissione europea ha presentato un pacchetto normativo, tuttora all'esame delle istituzioni legislative europee, recante:
Nell'ambito del Piano si ricorda, altresì, che è tuttora all'esame delle istituzioni legislative europee una proposta di modifica alla quarta direttiva antiriciclaggio volta a contrastare nuovi mezzi di finanziamento del terrorismo, con particolare riferimento all'uso di valute virtuali e delle carte prepagate.
La proposta di regolamento fa inoltre seguito alla risoluzione del Parlamento europeo del 30 aprile 2015 sulla distruzione di siti culturali ad opera dell'ISIS, che invitava, tra l'altro, a intraprendere azioni decise per porre fine al commercio illecito di beni culturali e a sviluppare programmi europei di formazione per giudici, ufficiali di polizia e di dogana, pubbliche amministrazioni e operatori del mercato in senso lato, nonché campagne di sensibilizzazione intese a scoraggiare l'acquisto e la vendita di beni culturali ottenuti in maniera illecita.
Infine la Commissione europea annuncia che, mediante un progetto pilota, nel biennio 2017-2018 l'UE collaborerà con l’UNESCO per ideare moduli formativi sul traffico di beni culturali per i gruppi professionali interessati, inclusi i funzionari di polizia. Lo stesso progetto pilota finanzierà inoltre un ampio studio delle dimensioni del commercio illecito di beni culturali. Per lo sviluppo delle capacità delle autorità di contrasto si ricorrerà anche allo Strumento di assistenza tecnica e scambio di informazioni (TAIEX)[2] dell'UE.
A livello globale la presente proposta deve essere considerata anche alla luce delle seguenti iniziative:
· la dichiarazione dei leader del G20 dell'8 luglio 2017, in cui essi hanno dichiarato il loro impegno a lottare contro le fonti alternative di finanziamento del terrorismo, fra cui il trafugamento e il contrabbando di oggetti di antichità;
· la risoluzione 2347(2017), del 24 marzo 2017, del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che ha invitato gli Stati membri a intraprendere azioni per contrastare il commercio e il traffico illecito di beni culturali, in particolare quando hanno origine in un contesto di conflitto armato e sono opera di gruppi terroristici;
· l’invito a tutti gli Stati, lanciato nel marzo 2017 dai ministri della cultura del G7, a vietare il commercio di beni culturali trafugati che siano stati illecitamente portati oltre i confini, sottolineando l'importanza di forme di collaborazione più intense tra le autorità giudiziarie e di polizia internazionali.
La proposta di regolamento si compone di 15 articoli.
L’articolo 1 stabilisce l’oggetto e l’ambito di applicazione del regolamento. Esso definisce le condizioni e le procedure per l’entrata dei beni culturali nel territorio doganale dell’Unione e non si applica ai beni culturali in transito sul territorio doganale dell’Unione.
Secondo la Commissione europea, per entrata dei beni culturali nel territorio doganale dell'Unione si devono intendere sia le merci destinate al mercato dell'UE o all'uso-consumo privato all’interno dell’UE (immissione in libera pratica), sia le merci vincolate a un regime doganale speciale diverso dal transito (ad esempio deposito doganale e zone franche). Tale ampio ambito di applicazione non deve tuttavia ledere il principio della libertà di transito delle merci.
L’articolo 2 reca una serie di definizioni dei termini utilizzati ai fini del regolamento.
Secondo la Commissione europea, è opportuno basarle su quelle utilizzate nella Convenzione dell'UNESCO del 1970 e nella Convenzione dell'UNIDROIT del 1995, in considerazione della familiarità che molti Paesi terzi e la maggior parte degli Stati membri hanno con le disposizioni di tali convenzioni.
In particolare s’intende:
· per “bene culturale”, qualsiasi oggetto di importanza archeologica, preistorica, storica, letteraria, artistica o scientifica e che rientra nelle categorie elencate nella tabella dell'allegato e soddisfa la soglia di età minima ivi indicata;
· per "Paese di origine", il Paese nel cui attuale territorio sono stati creati o scoperti i beni culturali, mentre per "Paese di esportazione" l'ultimo Paese in cui i beni culturali sono stati detenuti in modo permanente in conformità delle disposizioni legislative e regolamentari di tale Paese prima di essere spediti nell'Unione;
· con l’espressione "in modo permanente", un periodo di almeno un mese e per scopi diversi dall'utilizzo temporaneo, dal transito, dall'esportazione o dalla spedizione;
· con l’espressione "immissione in libera pratica", le merci non unionali destinate al mercato dell'Unione o destinate all'uso o al consumo privato nell'ambito del territorio doganale dell'Unione;
· con l’espressione "vincolo a un regime speciale diverso dal transito", il vincolo di beni a uno dei regimi doganali speciali di cui all’articolo 210 del regolamento (UE) n. 952/2013[3]. |
L'articolo 3 (entrata di beni culturali nel territorio doganale dell’Unione) stabilisce che l'entrata di beni culturali nel territorio doganale dell'Unione sia soggetta a due diversi regimi a seconda della categoria di beni interessati: una licenza di importazione ovvero una dichiarazione dell'importatore.
Inoltre, prevede che i beni culturali possano entrare temporaneamente nel territorio doganale dell’Unione a fini formativi, scientifici e di ricerca accademica o nei casi in cui sia necessario un rifugio temporaneo per preservarli dalla distruzione o dalla perdita, qualora nel Paese di origine sia in corso un conflitto armato o una catastrofe naturale. L'articolo 4 (licenza di importazione) stabilisce le categorie di beni culturali[4] per i quali è obbligatorio che il titolare dei beni presenti una domanda di licenza di importazione alle autorità doganali dello Stato membro di entrata.
La domanda deve essere accompagnata da un documento attestante che i beni culturali sono stati esportati dal Paese di origine in conformità delle sue disposizioni legislative e regolamentari. Tuttavia, se il Paese di esportazione è parte contraente della Convenzione dell'UNESCO del 1970, la domanda deve essere accompagnata da un documento attestante che i beni culturali sono stati esportati da tale Paese in conformità delle sue disposizioni legislative e regolamentari.
In pratica, se il Paese di esportazione non è quello in cui l'oggetto è stato scoperto o creato ("Paese di origine"), si opera una distinzione in funzione del fatto che il Paese di esportazione sia o no uno Stato firmatario della convenzione dell'UNESCO del 1970. Se è uno Stato firmatario, e quindi impegnato nella lotta contro il traffico illecito di beni culturali, il richiedente deve dimostrare che i beni sono stati esportati legalmente da tale Paese; in caso contrario, deve dimostrare che i beni sono stati esportati legalmente dal Paese di origine.
L’articolo 4 stabilisce, inoltre, che l'autorità competente dello Stato membro di entrata verifichi la completezza della domanda e possa domandare al richiedente di fornire informazioni o documenti mancanti entro 30 giorni dalla ricezione della domanda. L'autorità competente ha 90 giorni dalla presentazione della domanda completa per decidere se rilasciare o respingere la domanda. La domanda può essere respinta se non sussistono prove del fatto che i beni culturali siano stati esportati dal Paese di origine (nel caso di un Paese di esportazione non parte contraente della Convenzione dell'UNESCO del 1970) o dal Paese di esportazione (nel caso di un Paese di esportazione parte contraente della Convenzione dell'UNESCO del 1970) in conformità delle loro disposizioni legislative e regolamentari o se l'autorità competente dispone di ragionevoli motivazioni per credere che il titolare dei beni non li abbia acquisiti legalmente.
L'articolo 5 (dichiarazione dell’importatore) stabilisce le categorie di beni culturali[5] per i quali è obbligatorio che l’importatore presenti una dichiarazione alle autorità doganali dello Stato membro di entrata. Essa deve contenere una dichiarazione firmata dal titolare dei beni in cui afferma che i beni sono stati esportati dal Paese di origine in conformità delle sue disposizioni legislative e regolamentari. Tuttavia, nel caso in cui il Paese di esportazione sia parte contraente della Convenzione dell'UNESCO del 1970, il titolare dei beni nella dichiarazione firmata deve affermare che i beni sono stati esportati da tale Paese in conformità delle sue disposizioni legislative e regolamentari.
Inoltre, l’articolo 5 prevede che la dichiarazione dell'importatore includa un documento standardizzato in cui i beni culturali siano descritti in modo sufficientemente dettagliato da permetterne l'identificazione da parte delle autorità doganali.
Il documento standardizzato sarà un Object ID, che rappresenta uno standard internazionale ai fini della descrizione di beni culturali. È stato promosso da importanti organismi di contrasto, musei, organizzazioni per il patrimonio culturale, organizzazioni per il commercio e la valutazione di oggetti d'arte e società assicurative. È stato inoltre sostenuto dall'UNESCO quale standard internazionale per la registrazione di dati minimi sui beni culturali mobili. L'Object ID è conosciuto e usato da molti Stati membri per la catalogazione di oggetti nelle banche dati digitali a opera delle rispettive unità di polizia specializzate, in quanto rappresenta un mezzo rapido per la trasmissione di informazioni e la definizione di obblighi informativi minimi per i musei.
L'articolo 6 (controllo e verifica doganali) stabilisce che sia la licenza di importazione, che la dichiarazione dell'importatore devono essere presentate all'ufficio doganale competente.
Per quanto concerne la licenza di importazione, le autorità doganali devono controllare se essa corrisponda ai beni presentati. A tal fine, possono esaminare fisicamente i beni, anche mediante una perizia. Invece, circa la dichiarazione dell'importatore, le autorità doganali devono controllare se essa soddisfi le prescrizioni stabilite e se corrisponde ai beni presentati. A tal fine, possono chiedere ulteriori informazioni ed esaminare fisicamente i beni, anche mediante una perizia.
Infine, le autorità doganali devono registrare l'entrata dei beni culturali, conservare l'originale dei documenti e consegnarne una copia al dichiarante, in modo da garantire la tracciabilità dei beni.
L'articolo 7 (uffici doganali competenti) dispone la pubblicazione periodica da parte della Commissione europea degli elenchi degli uffici doganali competenti designati dagli Stati membri.
L'articolo 8 (trattenimento temporaneo da parte delle autorità doganali) stabilisce che le autorità doganali possono sequestrare e trattenere temporaneamente i beni culturali introdotti nel territorio doganale dell'Unione qualora non possa essere dimostrato che i beni culturali in questione sono stati esportati legalmente dal Paese di origine.
La decisione amministrativa, impugnabile in conformità delle procedure stabilite dalla normativa nazionale, deve essere accompagnata da una motivazione da comunicare al dichiarante. Inoltre, il periodo del trattenimento temporaneo non deve eccedere i sei mesi, altrimenti i beni devono essere messi a disposizione del dichiarante.
L'articolo 9 (cooperazione amministrativa) afferma che gli Stati membri sono tenuti a garantire la cooperazione tra le rispettive autorità competenti e possono sviluppare una banca dati elettronica per agevolare l'archiviazione e lo scambio di informazioni.
Al riguardo, si può osservare che dal combinato disposto della relazione illustrativa e dell’articolato non si evince con sufficiente chiarezza se la costituzione di un sistema elettronico per l’archiviazione e lo scambio di informazioni (che presumibilmente assumerebbe la veste di una banca dati) sia obbligatoria o rimessa alla discrezionalità degli Stati membri. Occorre al riguardo valutare l’opportunità di rimettere la costituzione e la gestione della banca dati alle competenze della Commissione europea, considerato che la stessa, in base ai commi 3 e 4 dell’articolo 9, può adottare atti di esecuzione per la messa a disposizione, il funzionamento e la manutenzione del sistema elettronico e che si tratta di materia transnazionale.
L'articolo 10 (sanzioni) impone agli Stati membri di prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive per le violazioni del presente regolamento, in particolare per la resa di false dichiarazioni e la presentazione di informazioni false, e di comunicarle alla Commissione europea (entro 18 mesi dall'entrata in vigore del regolamento e poi qualsiasi modifica successiva).
L'articolo 11 (formazione, sviluppo delle capacità e sensibilizzazione) prevede che gli Stati membri organizzino adeguate sessioni di formazione e di sviluppo delle capacità per le autorità doganali competenti, nonché campagne per sensibilizzare in particolare i potenziali acquirenti di beni culturali.
L'articolo 12 (esercizio della delega) conferisce alla Commissione europea il potere di adottare atti delegati riguardo alle modifiche del criterio della soglia di età minima per le diverse categorie di beni culturali. Tale delega può essere revocata in qualsiasi momento dal Parlamento europeo o dal Consiglio, ma la decisione di revoca non pregiudica la validità degli atti delegati già in vigore. Inoltre, prima dell'adozione dell'atto delegato la Commissione europea deve consultare gli esperti designati da ciascuno Stato membro. Infine, l'atto delegato entra in vigore solo se il Parlamento europeo e il Consiglio non sollevano obiezioni.
Appare tuttavia opportuno valutare se la delega conferita alla Commissione europea, ancorché revocabile, non sia eccessivamente ampia, considerato che investe l’ambito oggettivo di applicazione del regolamento, laddove si consente la modifica della soglia minima di età e delle categorie dei beni culturali che ne sarebbero soggette. Occorre al riguardo valutare se modifiche di tale rilievo dovrebbero essere adottate con una procedura legislativa.
L'articolo 13 (procedura di comitato) dispone che la Commissione europea è assistita nell’attuazione del presente regolamento dal comitato istituito dall'articolo 8 del citato regolamento (CE) n. 116/2009.
L'articolo 14 (comunicazione e valutazione) stabilisce le informazioni che gli Stati membri devono fornire alla Commissione europea (dichiarazioni dell'importatore registrate; violazioni del presente regolamento; numero di domande di licenza di importazione presentate e numero di domande di licenza di importazione respinte; statistiche sul commercio di beni culturali; numero di casi in cui i beni culturali sono stati trattenuti; numero di casi in cui i beni culturali sono stati abbandonati allo Stato).
Inoltre, stabilisce che la Commissione europea rediga una relazione per il Parlamento europeo e il Consiglio sull’applicazione del presente regolamento tre anni dopo la sua data di applicazione e poi successivamente ogni cinque anni.
L'articolo 15 dispone l'entrata in vigore del regolamento stabilendo che esso si applichi a partire dal 1° gennaio 2019.
Infine l’allegato riporta l’elenco delle categorie di beni culturali oggetto della presente proposta di regolamento. Per tutte le categorie, la soglia minima di età è fissata a 250 anni.
Secondo la Commissione europea, tale soglia non ostacola in misura sproporzionata il commercio di beni e permette di concentrarsi sui beni culturali che più probabilmente costituiscono l'obiettivo dei saccheggiatori nelle zone di conflitto, senza escludere altri beni il cui controllo è necessario per assicurare la protezione del patrimonio culturale.
Secondo la Commissione europea, l'UE ha competenza esclusiva sulla politica commerciale e sulla normativa doganale, incluse le misure di controllo doganale all'importazione, a norma degli articoli 3 e 207 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).
In particolare, a norma dell'articolo 207, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno il potere di adottare le misure che definiscono il quadro di attuazione della politica commerciale comune, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria.
Secondo la Commissione europea, l'ambito di applicazione della proposta in esame comprende un'ampia varietà di beni senza ostacolare gli scambi legittimi, grazie a un limite minimo di età di 250 anni per tali beni. Tale limite di età rappresenterebbe un approccio equilibrato in linea con le norme in vigore in alcune altre giurisdizioni e contribuirebbe a garantire un approccio coerente a livello internazionale.
La Commissione europea ha preso in considerazione opzioni rappresentate da strumenti giuridici non vincolanti e misure di carattere legislativo focalizzate su due importanti elementi: la definizione adeguata dello spettro di beni culturali interessati dall'iniziativa e gli obblighi documentali volti a certificare la natura lecita dei beni.
Le imprese e i rappresentanti di interessi si sono espressi a favore di opzioni di carattere non legislativo e preferirebbero non avere obblighi documentali specifici per l'UE all'importazione. Tra tali obblighi sembrerebbero opporsi in misura minore alla dichiarazione dell'importatore.
Le autorità pubbliche degli Stati membri, le ONG e la società civile si sono espresse a favore di misure più rigorose, quali certificati di esportazione o licenze di importazione; tali soggetti nutrono dubbi sull'efficacia della dichiarazione dell'importatore, poiché l'autocertificazione non è mai stata testata in tale ambito.
L'opzione scelta dalla Commissione europea unisce strumenti giuridicamente non vincolanti e misure di carattere legislativo per un'ampia varietà di beni, con un limite minimo di età di 250 anni. Sono inoltre previsti obblighi documentali volti a dimostrare la provenienza lecita.
La principale novità che deriverebbe all’ordinamento nazionale è costituita dalla previsione di obbligatorietà della “licenza di importazione” per l’entrata di alcune categorie di beni culturali nel territorio doganale dell’Unione.
La circolazione dei beni culturali in ambito internazionale è disciplinata dal Capo V del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/2004).
In particolare, l’art. 64-bis, chiarendo il principio ispiratore dell’intero Capo V, specifica che il controllo sulla circolazione internazionale è finalizzato a preservare l'integrità del patrimonio culturale in tutte le sue componenti ed è esercitato nel rispetto degli
indirizzi e dei vincoli fissati in ambito comunitario, nonché degli impegni assunti mediante la stipula e la ratifica di Convenzioni internazionali e costituisce funzione di preminente interesse nazionale.
La Convenzione Unesco del 1970 ha formulato i principi fondamentali per la protezione e per il trasferimento dei beni culturali. Essa ha definito, innanzitutto, beni culturali quelli che da ciascuno Stato sono designati come importanti per l’archeologia, la storia, la letteratura, l’arte, la scienza e che appartengono alle categorie specificamente indicate (articolo 1)[6]. Ha, inoltre, previsto l’istituzione di un certificato di esportazione che legittimi l’uscita di un bene dal territorio di uno Stato (articolo 6).
Per quanto concerne la sfera di applicazione, la Convenzione ha impegnato gli Stati contraenti a (articolo 7):
- impedire l’acquisizione, da parte di musei e istituzioni similari, di beni culturali provenienti da un altro Stato parte della Convenzione, esportati illecitamente dopo la sua entrata in vigore;
- proibire l’importazione di beni culturali rubati in un museo o in un monumento pubblico civile o religioso, o in un’istituzione similare, nel territorio di un altro Stato parte della Convenzione, a condizione che venga provato che tali beni siano da esso già inventariati;
- recuperare e restituire, su richiesta dello Stato d’origine parte della Convenzione, qualsiasi bene culturale rubato e importato dopo la sua entrata in vigore, corrispondendo un equo indennizzo al possessore in buona fede.
La Convenzione è stata ratificata dall’Italia con L. 30 ottobre 1975, n. 873.
La Convenzione UNIDROIT del 1995, intervenuta per colmare alcune carenze della Convenzione Unesco[7], si applica alle richieste di carattere internazionale volte ad ottenere la restituzione di beni culturali rubati o esportati illecitamente dal territorio di uno Stato contraente (articolo 1). I beni culturali considerati (articolo 2 e Annesso 1) sono sostanzialmente quelli già previsti all’art. 1 della Convenzione UNESCO, ma non è più richiesta la condizione della previa designazione del bene da parte degli Stati. E’ stata ratificata dall’Italia con L. 7 giugno 1999, n. 213.
Con specifico riferimento all’ingresso nel territorio nazionale, l’articolo 72 dispone, tra l’altro, che l'importazione da un Paese terzo delle cose o dei beni indicati nell'art. 65, comma 3, è certificato, a domanda, dall'ufficio di esportazione. Si tratta del c.d. “certificato di importazione”.
In particolare, il citato articolo 65, comma 3 (come modificato, da ultimo, dall’articolo 1, comma 175, della L. 4 agosto 2017, n. 124), stabilisce che è soggetta ad autorizzazione – previo rilascio dell’attestato di libera circolazione (articolo 68) – l'uscita definitiva dal territorio nazionale di:
· cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre 70 anni, il cui valore - fatta eccezione per reperti archeologici, smembramento di monumenti, incunaboli e manoscritti, e archivi - sia superiore ad € 13.500[8];
· archivi e singoli documenti, appartenenti a privati, che presentino interesse culturale;
· cose rientranti nelle categorie di cui all'articolo 11, comma 1, lettere f), g) ed h), a chiunque appartengano. Si tratta di: fotografie, con relativi negativi e matrici, esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento, documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali, comunque realizzate, la cui produzione risalga ad oltre 25 anni; mezzi di trasporto aventi più di 75 anni; beni e strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di 50 anni.
I certificati di avvenuta importazione sono rilasciati sulla base di documentazione idonea ad identificare la cosa o il bene e a comprovarne la provenienza dal territorio del Paese terzo dai quali la cosa o il bene medesimi sono stati importati. Ai fini del rilascio, non è ammessa la produzione, da parte degli interessati, di atti di notorietà o di dichiarazioni sostitutive dei medesimi.
Quest’ultima previsione è stata introdotta nell’articolo 72 del d.lgs. 42/2004 dall'articolo 2, comma 1, lettera bbb), del d.lgs. 26 marzo 2008, n. 62, a seguito – come rileva la nota Prot. 5071 del 9 marzo 2009 dell’ufficio legislativo del Mibact – della prassi, invalsa presso gli uffici di esportazione, di ritenere sufficiente la produzione, da parte degli interessati, di dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà, che aveva determinato l’insorgere di comportamenti elusivi di uno specifico obbligo di puntuale documentazione.
I certificati di avvenuta importazione hanno validità quinquennale e possono essere prorogati su richiesta dell'interessato.
Condizioni, modalità e procedure per il rilascio e la proroga dei certificati, con particolare riguardo all'accertamento della provenienza della cosa o del bene importati, possono essere stabilite con decreto ministeriale.
Il termine per l’emanazione di tale decreto - finora non intervenuto – è stato fissato dall’articolo 1, comma 176, della già citata L. 4 agosto 2017, n. 124 , in 60 giorni dalla data della sua entrata in vigore (avvenuta il 29 agosto 2017).
Inoltre, gli articoli 87 e 87-bis stabiliscono che restano ferme le già citate Convenzioni UNIDROIT e Unesco
Sulla base dei dati forniti dal sito IPEX, l’esame dell’atto risulta avviato nei Parlamenti di: Finlandia, Germania, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Svezia.
XVII legislatura – Documentazione per le Commissioni – Esame di atti e documenti dell’ UE, n. 98, 3 ottobre 2017
Il bollettino è stato curato dall’Ufficio Rapporti con l’Unione europea (' 06 6760.2145 - * cdrue@camera.it)
[1]Di antiquariato sono generalmente considerati gli oggetti di età superiore a 100 anni.
[2]Sostiene le amministrazioni pubbliche per quanto riguarda il ravvicinamento, l'applicazione e l'attuazione della legislazione dell’UE, nonché facilitando la condivisione delle migliori pratiche dell'UE.
[3]Articolo 210: “Le merci possono essere vincolate a una delle seguenti categorie di regimi speciali: a) transito, che comprende il transito esterno e interno; b) deposito, che comprende il deposito doganale e le zone franche; c) uso particolare, che comprende l'ammissione temporanea e l'uso finale; d) perfezionamento, che comprende il perfezionamento attivo e passivo”.
[4]Si tratta di beni culturali particolarmente esposti al rischio di saccheggio e distruzione: prodotti di scavi archeologici, regolari o clandestini, e di scoperte archeologiche terrestri o subacquee; elementi provenienti dallo smembramento di monumenti artistici o storici o di siti archeologici; manoscritti rari e incunaboli.
[5]Collezioni ed esemplari rari di fauna, flora, mineralogia e anatomia, e oggetti aventi interesse paleontologico; beni riguardanti la storia, compresa la storia della scienza e della tecnica, la storia militare e sociale, nonché la vita dei leader, dei pensatori, degli scienziati e degli artisti nazionali e gli avvenimenti di importanza nazionale; oggetti di antichità, quali iscrizioni, monete e sigilli incisi; oggetti aventi interesse etnologico; oggetti aventi interesse artistico (quadri, pitture e disegni eseguiti interamente a mano su qualsiasi supporto e di qualsiasi materia, esclusi i disegni industriali e gli oggetti manufatturati decorati a mano; opere originali dell'arte statuaria e dell'arte scultoria, di qualsiasi materia; incisioni, stampe e litografie originali; assemblaggi e montaggi artistici originali di qualsiasi materia); libri, documenti e pubblicazioni antichi d'interesse particolare, isolati o in collezioni; francobolli, marche da bollo e simili, isolati o in collezione; archivi, compresi gli archivi fonografici, fotografici e cinematografici; oggetti di mobilia e strumenti musicali antichi.
[6]Si tratta di: collezioni ed esemplari rari di flora, fauna, mineralogia, anatomia; oggetti di interesse paleontologico; beni inerenti alla storia, compresa la storia delle scienze e della tecnica; prodotti di scavi archeologici (regolari e clandestini) e di ritrovamenti archeologici; elementi provenienti dallo smembramento di monumenti; oggetti di antiquariato aventi oltre 100 anni (come iscrizioni, monete e sigilli incisi); materiale etnologico; beni di interesse artistico, quali quadri, dipinti e disegni fatti interamente a mano, produzioni originali dell'arte statuaria e della scultura, incisioni, stampe e litografie originali, assemblaggi e montaggi artistici originali in qualunque materia, manoscritti rari ed incunaboli, libri, documenti e pubblicazioni antichi d'interesse particolare, francobolli, marche da bollo e simili, archivi, compresi gli archivi fotografici, fotografici e cinematografici, oggetti d'arredo di oltre cent'anni di età e strumenti musicali antichi.
[7]Come si è visto, la Convenzione Unesco limita il proprio ambito di applicazione agli oggetti provenienti da musei o da istituzioni analoghe e figuranti nei relativi inventari. Inoltre, prescrive un diritto all'indennizzo dell'acquirente in buona fede, ma non ne disciplina la procedura. Lo stesso accade per quanto riguarda l'esportazione illecita.
[8]Prima delle modifiche introdotte dalla L. 124/2017, la soglia di età era fissata a 50 anni e non era previsto il limite minimo di valore.