Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||
Titolo: | Promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili - COM(2016)767 | ||
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Esame di atti e documenti dell'UE Numero: 82 | ||
Data: | 21/04/2017 | ||
Descrittori: |
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21 aprile 2017 |
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n. 82 |
Promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (COM(2016)767) |
Tipo di atto |
Proposta di direttiva |
Data di adozione |
30 novembre 2016 |
Base giuridica |
Articolo 194, paragrafo 2, del TFUE |
Settori di intervento |
Consumo d'energia, inquinamento atmosferico, risorse rinnovabili, gas a effetto serra, risparmio energetico |
Esame presso le istituzioni dell’UE |
Assegnato alla Commissione industria, ricerca ed energia del Parlamento europeo |
Assegnazione |
27 febbraio—VIII (Ambiente) e X (Attività produttive) |
Segnalazione da parte del Governo |
28 febbraio 2017 |
La proposta di direttiva in esame (COM(2016)767) fa parte del pacchetto “Energia pulita per tutti gli europei” ed è volta a garantire il conseguimento dell’obiettivo UE del 27% del consumo di energia da fonti rinnovabili (RES) entro il 2030, concordato in sede di Consiglio europeo nell’ottobre 2014. A differenza dell’attuale quadro che assume come orizzonte temporale il 2020, di cui alla direttiva 2009/28/CE, con la proposta di direttiva la Commissione non prevede l’introduzione di target nazionali vincolanti, ma fissa un obiettivo collettivo a livello di Unione. La proposta prevede, invece, misure vincolanti per settore (energia elettrica, riscaldamento-raffrescamento e trasporti).
La soluzione individuata dalla Commissione è, quindi, quella di un partenariato con gli Stati membri e la combinazione dei loro piani nazionali sostenuti da un quadro di misure comuni a livello unionale.
A giudizio della Commissione europea, la proposta si è resa necessaria poiché le proiezioni indicano che, in assenza di nuove iniziative, la quota di rinnovabili nell’energia consumata nel 2030 si attesterebbe intorno al 24,3% - molto al di sotto dell’obiettivo minimo del 27% - e potrebbe impedire all’Unione di rispettare collettivamente gli impegni assunti con l’accordo di Parigi del 2015
Inoltre, in assenza di un quadro normativo aggiornato, sussiste il rischio che si accentuino le differenze tra gli Stati membri, per cui quelli più virtuosi continuerebbero a incrementare la loro quota di energie rinnovabili, mentre gli altri non avrebbero alcun incentivo ad aumentarne la produzione e il consumo di energia da rinnovabili, con conseguente possibile distorsione del mercato interno dell’energia.
La proposta di direttiva abroga alcune disposizioni della direttiva 2009/28/CE, che aveva fissato obiettivi nazionali vincolanti per tutti i Paesi dell’UE, allo scopo di portare la quota di energia da fonti energetiche rinnovabili al 20% di tutta l’energia dell’UE entro il 2020 e al 10% specificatamente per il settore dei trasporti. Le quote sono misurate in termini di consumo finale lordo di energia, ossia di energia totale consumata da tutte le fonti, incluse quelle rinnovabili.
In particolare, secondo la direttiva vigente:
· ogni Stato membro deve predisporre un piano d’azione nazionale per il 2020, stabilendo in che modo intende raggiungere gli obiettivi;
· per contribuire al raggiungimento degli obiettivi in maniera efficiente sotto il profilo dei costi, gli Stati membri possono scambiare energia da fonti rinnovabili (per il computo connesso ai propri piani d’azione, gli Stati membri possono anche ricevere energia rinnovabile da Paesi non appartenenti all’UE, a condizione che l’energia sia consumata nell’UE e sia prodotta da impianti moderni ed efficienti);
· ciascuno Stato membro deve essere in grado di garantire l’origine dell’energia elettrica, del riscaldamento e del raffreddamento prodotta da fonti rinnovabili;
· gli Stati membri devono costruire le infrastrutture necessarie per l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili nel settore dei trasporti.
La direttiva 2009/28/CE, insieme alla direttiva 98/70/CE, relative alla qualità della benzina e dei combustibili diesel, sono state modificate dalla direttiva 2015/1513, che mira ad avviare la transizione da biocarburanti convenzionali[1] (di prima generazione) a biocarburanti avanzati[2] (di seconda generazione) che realizzano sostanziali riduzioni delle emissioni di gas serra. In particolare, essa introduce un limite massimo del 7% sui biocarburanti convenzionali ai fini del raggiungimento degli obiettivi della direttiva in materia di energie rinnovabili per il consumo finale di energia nei trasporti entro il 2020.
Secondo la Relazione della Commissione europea sui progressi compiuti in materia di energie rinnovabili (COM(2017)57), l’UE e la maggior parte dei suoi Stati membri sono sulla strada giusta per raggiungere i loro obiettivi vincolanti per il 2020.
In particolare, secondo la Relazione:
· le energie rinnovabili hanno svolto un ruolo importante nella sicurezza energetica: il loro contributo ai risparmi sulle importazioni di combustibili fossili nel 2015 si stima sia stato pari a 16 miliardi di euro e dovrebbe arrivare a 58 miliardi di euro nel 2030;
· le energie rinnovabili vanno di pari passo con l’efficienza energetica: nel settore dell’energia elettrica, il passaggio dai combustibili fossili a fonti rinnovabili non combustibili potrebbe ridurre il consumo di energia primaria, mentre nel settore dell’edilizia, le soluzioni basate sulle rinnovabili possono migliorare il rendimento energetico degli edifici in modo efficace sotto il profilo dei costi;
· le energie rinnovabili sono un motore essenziale per la decarbonizzazione del sistema energetico dell’Unione: nel 2015 hanno contribuito a ridurre le emissioni lorde di gas a effetto serra per una quota pari alle emissioni dell’Italia[3];
· le energie rinnovabili svolgono un ruolo di primo piano nel rendere l’UE un leader mondiale nell’innovazione (30% di brevetti nel settore delle energie rinnovabili).
Dalla relazione risulta, inoltre, che gli Stati membri hanno proceduto all’eliminazione degli ostacoli amministrativi, ma i progressi non sono stati omogenei in tutta l’Unione e vi è ancora un ampio margine di miglioramento, soprattutto per quanto riguarda la concessione automatica delle autorizzazioni dopo la scadenza della procedura amministrativa e la creazione di sportelli unici.
La produzione primaria di energie rinnovabili nell’UE tra il 1990 e il 2015 è aumentata del 184% (con un tasso di crescita medio annuo del 4,3%). Gli unici due decrementi dal 1990 si sono registrati nel 2011 (-2,2%) e nel 2002 (-1,4%) (Dati Eurostat).
La quota di consumo delle energie rinnovabili dall’8,5% nel 2004 è passata al 16,7% nel 2015. L’incremento ha riguardato tutti gli Stati membri, ma con vistose differenze. Nel 2015, Svezia (53,9%), Finlandia (39,3%), Lettonia (37,6%), Austria (33,0%) e Danimarca (30,8%) hanno registrato le quote più elevate, Lussemburgo e Malta (5,0%), Paesi Bassi (5,8%), Belgio (7,9%) e Regno Unito (8,2%) hanno registrato le quote più basse.
Tra i 28 Stati membri dell'Unione europea, 11 hanno già raggiunto il loro obiettivo nazionale per il 2020: Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Croazia, Italia, Lituania, Ungheria, Romania, Finlandia e Svezia. Austria e Slovacchia sono a circa un punto percentuale dal raggiungimento del loro obiettivo, mentre i più lontani dai loro obiettivi sono: Paesi Bassi (8,2 punti percentuali dal raggiungimento dell’obiettivo), Francia (7,8), Irlanda e Regno Unito (entrambi 6,8) e Lussemburgo (6).
Fonte: Eurostat
Il riscaldamento e il raffrescamento restano i settori principali in termini di diffusione assoluta delle energie rinnovabili. La quota più elevata si registrano, tuttavia, nel settore dell’energia elettrica, in cui la quota di energia da fonti rinnovabili è cresciuta di 1,4 punti percentuali all’anno tra il 2004 e il 2014. La quota di energia da fonti rinnovabili nel settore del riscaldamento e del raffrescamento è cresciuta di 0,8 punti percentuali l’anno nello stesso periodo di tempo, mentre il settore dei trasporti ha registrato la crescita più lenta, con 0,5 punti percentuali in media all’anno.
Il settore del riscaldamento e raffrescamento assorbe circa il 50% dell’energia consumata nell’Unione e il 75% di questa quota è ancora d’origine fossile.
Nel 2015, le energie rinnovabili hanno rappresentato il 18,6% del consumo totale di energia per il riscaldamento e il raffreddamento nell’UE. Si tratta di un aumento significativo se confrontato con il 10,2% del 2004, al quale hanno contribuito gli incrementi nei settori industriali, nei servizi e per l'uso residenziale.
La biomassa solida continua a fornire il più ampio contributo (82%) alla produzione di calore da fonti rinnovabili (72 Mtoe). La produzione da pompe di calore è aumentata stabilmente da 1,8 Mtoe nel 2004 a 9,7 Mtoe nel 2015, superando l’andamento indicativo dei piani d’azione nazionali per le energie rinnovabili
(7,3 Mtoe). L’Italia è il Paese leader nella diffusione di questa tecnologia, che viene utilizzata principalmente ai fini del raffrescamento. Nel 2015 l’utilizzo di rifiuti rinnovabili ammontava a 3,4 Mtoe. La quota di biogas nel settore del riscaldamento e del raffrescamento, che nel 2004 era trascurabile (0,7 Mtoe), nel 2015 ha superato i valori previsti, attestandosi a 3,2 Mtoe. La produzione di calore dal solare termico (2 Mtoe) nel 2015 è stata inferiore alle proiezioni previste nei piani d’azione nazionali per le energie rinnovabili (3 Mtoe). Anche la diffusione del geotermico, con una produzione di circa 0,7 Mtoe nel 2015, è stata inferiore all’andamento previsto dai piani d’azione nazionali per le energie rinnovabili. Grazie al loro elevato potenziale naturale, Italia, Francia e Ungheria sono i leader europei della produzione geotermica.
Con il 28,3% stimato di energia elettrica da fonti rinnovabili nel 2015, l’UE è ben al di sopra del suo andamento aggregato indicato nei piani d’azione nazionali per le energie rinnovabili nell’energia elettrica. L’energia idroelettrica continua a rappresentare la quota più ampia di energia elettrica da fonti rinnovabili, sebbene la sua quota sia scesa dal 74% del 2004 al 38% nel 2015. Svezia, Francia, Italia, Austria e Spagna detengono il 70% circa di tutta l’energia idroelettrica dell’Unione europea. La diffusione dell’energia eolica è più che quadruplicata nel periodo 2004-2015 e rappresenta circa un terzo dell’energia elettrica da fonti rinnovabili, principalmente grazie all’eolico su terraferma, con Germania e Spagna che forniscono i maggiori contributi. L’eolico in mare, invece, ha mostrato progressi più lenti del previsto, principalmente a causa dei costi inizialmente elevati e ai problemi di connessione alla rete. Negli ultimi anni lo sviluppo si è comunque accelerato in modo significativo. Il solare fotovoltaico è cresciuto rapidamente e nel 2015 rappresentava il 12% di tutta l’energia elettrica da fonti rinnovabili.
Nel 2015 il 38% dell’energia elettrica da solare fotovoltaico nell’UE è stata prodotta in Germania, Italia e Spagna. La crescita considerevole dell’energia elettrica da solare fotovoltaico è da ascrivere al rapido progresso tecnologico, alla riduzione dei costi e a tempi relativamente brevi di realizzazione dei progetti. La produzione di energia elettrica da biomassa[4] è cresciuta, passando da 9 Mtoe nel 2010 a 13 Mtoe nel 2015, senza raggiungere tuttavia il livello previsto. La diffusione di biogas[5] e bioliquidi[6] combinati, entrambi a livelli trascurabili nel 2004, ha raggiunto il 7% di energia elettrica da fonti rinnovabili nel 2015. L’uso del biogas è cresciuto più rapidamente del previsto, soprattutto in Germania e in Italia.
La domanda di energia nel settore dei trasporti rappresenta circa un terzo della domanda totale dell’Unione ed è quasi interamente soddisfatta dal petrolio. Pertanto, a giudizio della Commissione, il settore dei trasporti è nettamente indietro rispetto ad altri settori, in particolare per effetto della mancanza di forti incentivi all’innovazione, sia sul fronte dell’energia sia su quello delle tecnologie necessarie per la decarbonizzazione a lungo termine e la diversificazione dei trasporti e le limitazioni infrastrutturali all’elettrificazione.
Il settore dei trasporti è l’unico attualmente al di sotto degli andamenti aggregati indicati nei piani d’azione nazionali per le energie rinnovabili a livello dell’UE, con il 6% della quota di energie da fonti rinnovabili nel 2015. Ciò conferma un progresso piuttosto lento verso l’obiettivo obbligatorio del 10%, causato da varie difficoltà tra cui l’incertezza sul quadro normativo per i biocarburanti prodotti da coltivazione di terreni agricoli e dai cambiamenti indiretti della destinazione dei terreni.
L’energia rinnovabile in questo settore è rappresentata principalmente dai biocarburanti (88%), mentre l’energia elettrica ha un ruolo ancora limitato. Il biodiesel è il carburante principale utilizzato per i trasporti nell’UE e rappresenta il 79% dell’utilizzo totale di biocarburanti nel 2015, anche se non raggiunge la diffusione prevista indicata dall’andamento dei piani d’azione nazionali per le energie rinnovabili per il 2015 (10,9 Mtoe anziché 14,4 Mtoe). I principali consumatori di biodiesel sono Francia, Germania e Italia. Il bioetanolo è la seconda fonte di energia rinnovabile e rappresenta il 20% dei biocarburanti, sebbene il suo utilizzo non raggiunga il livello previsto nei piani d’azione nazionali per le energie rinnovabili nel 2015 (2,6 Mtoe anziché 4,9 Mtoe). Nel 2015 i principali consumatori sono stati Germania, Regno Unito e Francia, seguiti da Spagna, Svezia, Polonia e Paesi Bassi. L’energia elettrica da fonti rinnovabili ha contribuito per 1,7 Mtoe al consumo finale lordo di energia nel settore dei trasporti nel 2015, pari al 13% in meno rispetto all’andamento aggregato previsto dai piani d’azione nazionali per le energie rinnovabili. Altre fonti di energia rinnovabile (compreso il biogas) non hanno un ruolo di rilievo, ma sono diffuse in alcuni Stati membri (ad esempio in Svezia e Finlandia). La quota di biocarburanti prodotti da rifiuti, residui, materie ligno-cellulosiche e materie cellulosiche di origine non alimentare nel mix di biocarburanti dell’UE è aumentata, passando dall’1% del 2009 al 23% del 2015, grazie soprattutto a Svezia, Regno Unito e Germania. A livello dell’UE, questi biocarburanti hanno superato di tre volte l’andamento previsto, con circa 3 Mtoe nel 2015, soprattutto a motivo dell’utilizzo di oli da cucina esausti.
La proposta, in sostanza, modifica e integra la direttiva 2009/28/CE di cui contestualmente dispone l’abrogazione.
Tra le disposizioni introdotte dalla proposta di direttiva si segnalano in particolare quelle in materia di:
· schemi di sostegno, che vengono parzialmente aperti alla partecipazione di produzioni provenienti da altri Stati membri;
· garanzie di origine dell’energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili;
· semplificazione delle procedure per il rilascio delle autorizzazioni dei progetti di energia rinnovabile;
· autoconsumatori e comunità produttrici/consumatrici;
· obiettivi settoriali per il riscaldamento/raffrescamento e i trasporti.
Nel dettaglio, le principali disposizioni della proposta che modificano in modo sostanziale la direttiva 2009/28/CE o vi aggiungono nuovi elementi sono elencate di seguito.
L’articolo 1 definisce l’oggetto della proposta, la quale prevede un quadro comune per la promozione dell’energia da fonti rinnovabili, fissando un obiettivo vincolante dell’Unione per la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo nel 2030.
L’articolo 2 apporta alcune modifiche e integrazioni alle definizioni. In particolare, nell’ambito della definizione dell’energia da fonti rinnovabili, viene meno il riferimento alle energie aerotermica, idrotermica e oceanica e si introducono quelli al calore ambiente e all’energia mareomotrice, del moto ondoso e ad altre forme di energia marina; mentre per l’energia solare si distingue tra solare termico e fotovoltaico.
L’articolo 3 fissa l’obiettivo vincolante dell’Unione per il 2030 prevedendo che gli Stati membri assicurino collettivamente che la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo sia almeno pari al 27%. L’articolo 3 prevede anche che la quota di energia da rinnovabili di ciascuno Stato membro non possa essere inferiore all’obiettivo fissato per il 2020. Inoltre, gli Stati membri stabiliscono e notificano alla Commissione i propri contributi all’obiettivo per il 2030 nei rispettivi piani nazionali integrati per l'energia e il clima. Infine, a partire dal 2021, viene eliminato l’obiettivo del 10% di energia da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti.
Al riguardo, si può osservare che il testo sembra presentare una parziale contraddizione laddove, per un verso, rende più stringenti gli obiettivi comuni da conseguire a livello dell’UE e, per altro verso, attenua gli obblighi gravanti su ciascun Paese membro attivando una sorta di “partenariato”, peraltro non puntualmente definito sul piano normativo e procedurale tra i diversi Paesi. Si può al riguardo prospettare l’eventualità che la previsione di un obiettivo collettivo possa essere smentita dai comportamenti concreti di singoli Stati membri, pregiudicando in tal modo l’esito finale. Ciò in considerazione del fatto che alcuni dei maggiori consumatori di energia nell’ambito dell’UE si collocano molto al di sotto del target previsto per il 2020: ad esempio Germania, Francia e Polonia che, ovviamente, incidono sul dato complessivo del consumo molto più dei Paesi più virtuosi (Svezia, Finlandia, Danimarca).
L’articolo 4 reca auna disciplina innovativa che prevede che gli Stati membri, nel rispetto delle norme sugli aiuti di Stato, possano applicare regimi di sostegno finanziario per l’energia elettrica da fonti rinnovabili al fine di conseguire l’obiettivo unionale. Gli Stati membri devono assicurare, inoltre, che il sostegno venga concesso in base a una procedura di gara aperta, trasparente, competitiva, non discriminatoria ed efficace sotto il profilo dei costi, soggetta a valutazione almeno ogni quattro anni.
L’articolo 5, al primo paragrafo, prevede l’apertura dei regimi di sostegno per l’energia elettrica da fonti rinnovabili ai produttori con sede in un altro Stato membro; in tal modo si intende evitare il rischio di interventi discriminatori all’interno dell’UE. Lo stesso articolo, al secondo paragrafo, prevede che gli Stati membri debbano assicurare che il sostegno sia aperto parzialmente e progressivamente agli impianti ubicati in altri Stati membri (almeno il 10% all’anno tra il 2021 e il 2025 e almeno il 15% all’anno tra il 2026 e il 2030), mediante procedure di gara aperte, congiunte, sistemi di certificazione aperti o regimi di sostegno congiunti. L’allocazione dell’energia elettrica rinnovabile che beneficerà del sostegno sarà oggetto di un accordo di cooperazione transfrontaliera che stabilirà le norme per l’erogazione del finanziamento, sulla base del principio che l’energia va contabilizzata a favore dello Stato membro che ha finanziato l’impianto.
Al riguardo, si può osservare che, mentre il primo paragrafo impone un divieto di discriminazione in base alla sede del produttore, il secondo paragrafo introduce una novità laddove impone che una quota minima - e tuttavia crescente negli anni - dei benefici venga riconosciuta addirittura ad impianti ubicati in altri Stati membri. Tale norma, che può farsi discendere dalla prevalenza di una sorta di responsabilità collettiva rispetto a quella dei singoli Paesi membri, si presta tuttavia a favorire comportamenti opportunistici deresponsabilizzando gli Stati meno virtuosi che potrebbero trarre da queste disposizioni il duplice vantaggio di veder realizzati nel proprio territorio impianti utili ad abbattere le emissioni senza stanziare risorse ma a valere su disponibilità finanziarie impegnate da altri Stati membri.
L’articolo 6 è volto a garantire la stabilità e la prevedibilità degli investimenti, laddove stabilisce che eventuali revisioni del livello e delle condizioni del sostegno disposte dagli Stati membri non incidano negativamente sui progetti già finanziati.
Con riferimento alle risorse finanziarie da attivare per conseguire gli obiettivi previsti, si segnala che nel testo della proposta in esame non vi è alcun accenno agli strumenti già in essere, che vengono invece richiamati nella relazione e nei documenti di lavoro allegati (Horizon 2020, FEIS, BEI, SIE, NER300).
Peraltro, la stessa relazione evidenzia una contraddizione relativamente alla quantificazione di investimenti necessari per conseguire l’obiettivo indicato del 27%, stimati, per il solo comparto elettrico, dapprima in 254 miliardi e successivamente in 1.000 miliardi di euro per il periodo 2015-2030.
L’articolo 7, concernente le modalità di calcolo del consumo finale lordo di energia da fonti rinnovabili, apporta modifiche sostanziali alla direttiva vigente (articolo 5) limitatamente al settore dei trasporti. In particolare, ai fini di detto calcolo, viene limitato il contributo al conseguimento dell’obiettivo UE dei biocarburanti, dei bioliquidi e dei combustibili da biomassa nel settore dei trasporti (stradali e ferroviari), prodotti da colture alimentari o foraggere, che non potrà essere superiore al 7%. Tale limite si ridurrà fino al 3,8% nel 2030, secondo la traiettoria di cui all’allegato X, di seguito riportata.
Come affermato nel preambolo della proposta, i biocarburanti derivanti da colture alimentari rivestono un ruolo limitato nella decarbonizzazione del settore dei trasporti e determinano ripercussioni indirette dovute al cambio di destinazione colturale dei terreni. Pertanto, in base alla strategia della Commissione europea, questi ultimi dovrebbero essere gradualmente eliminati e sostituiti da biocarburanti avanzati.
Inoltre, gli Stati membri potranno fissare un limite inferiore e distinguere tra diversi tipi di biocarburanti, bioliquidi e combustibili da biomassa (ad esempio fissando un limite inferiore per i biocarburanti ottenuti da colture oleaginose per alimenti o mangimi).
Infine, ai fini del calcolo del consumo finale lordo di energia elettrica prodotta da rinnovabili, viene ricompresa anche l’energia prodotta da autoconsumatori e da comunità produttrici/consumatrici di energia rinnovabile.
L’articolo 15 interviene in materia di norme nazionali concernenti le procedure di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze applicabili agli impianti, prevedendo che gli Stati membri debbano assicurare che gli investitori possano fare sufficiente affidamento sul sostegno pianificato per l’energia da fonti rinnovabili, definendo e pubblicando un calendario a lungo termine in relazione ai previsti stanziamenti per il sostegno, che copra almeno i successivi tre anni.
L’articolo 16 prevede che, entro il 1° gennaio 2021, gli Stati membri istituiscano uno o più sportelli amministrativi unici, incaricati di coordinare l’intero processo autorizzativo delle domande di autorizzazione a costruire e gestire impianti e le connesse infrastrutture della rete di trasmissione e distribuzione per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Tale procedimento non potrà superare il termine di tre anni. Inoltre, lo stesso articolo prevede che gli Stati membri debbano facilitare il ripotenziamento (repowering[7]) degli impianti esistenti di produzione di energie rinnovabili, garantendo una procedura autorizzativa semplificata e rapida, di durata non superiore un anno.
L’articolo 17 introduce una procedura semplificata per i progetti di dimostrazione e gli impianti di piccole dimensioni (con una capacità elettrica inferiore a 50 kW), che potranno collegarsi alla rete previa semplice notifica al gestore del sistema di distribuzione. Una procedura accelerata è prevista anche per il rilascio delle autorizzazioni per il ripotenziamento degli impianti esistenti: notifica allo sportello amministrativo unico, che dovrà decidere entro sei mesi.
L’articolo 19 modifica l’articolo 15 della direttiva vigente in materia di garanzie di origine dell’energia elettrica, del calore e del freddo prodotti da fonti energetiche rinnovabili, rilasciate su richiesta dei produttori di energia. In particolare, la norma prevede che gli Stati membri provvedano affinché nessuna garanzia di origine sia rilasciata a un produttore che riceva sostegno finanziario per la stessa produzione di energia da fonti rinnovabili. Inoltre, è previsto che gli Stati membri rilascino tali garanzie di origine e le trasferiscano al mercato mediante vendita all’asta e che il ricavato delle aste sia utilizzato per compensare le sovvenzioni pubbliche a favore delle energie rinnovabili. Inoltre, il sistema delle garanzie di origine viene esteso al gas rinnovabile e viene reso obbligatorio il rilascio delle garanzie di origine per il riscaldamento e il raffrescamento su richiesta del produttore.
L’articolo 21, concernente gli autoconsumatori di energia da fonti rinnovabili, stabilisce che gli Stati membri provvedono affinché gli autoconsumatori di energia da fonti rinnovabili, individualmente o attraverso aggregatori, siano autorizzati a praticare l’autoconsumo e a vendere le eccedenze di produzione di energia elettrica rinnovabile senza essere soggetti a procedure sproporzionate e oneri che non tengono conto dei costi. La stessa norma prevede che gli autoconsumatori ricevano una remunerazione per l’energia elettrica da fonti rinnovabili autogenerata che immettono nella rete, che rispecchi il valore di mercato dell’energia elettrica alimentata in rete. Infine, viene fissata una soglia relativa alla quantità annua di energia che i consumatori immettono nella rete (non superiore a 10 MWh, per le famiglie, e a 500 MWh, per le persone giuridiche) affinché non siano considerati fornitori di energia. Gli Stati membri possono fissare una soglia più elevata. Si prevede, infine che gli Stati membri provvedano affinché gli autoconsumatori che abitano nello stesso condominio (o si trovano nello stesso sito commerciale o con servizi condivisi o in un sistema di distribuzione chiuso), siano autorizzati a praticare l’autoconsumo collettivamente come se si trattasse di un unico autoconsumatore di energia rinnovabile.
L’articolo 22 prevede disposizioni analoghe anche per le comunità produttrici/consumatrici di energia al fine di consentire loro di partecipare al mercato. La norma definisce una comunità produttrice/consumatrice di energia rinnovabile come una PMI o un’organizzazione senza fini di lucro, i cui azionisti o membri collaborano per la generazione, la distribuzione, lo stoccaggio o la fornitura di energia rinnovabile, che soddisfi almeno quattro dei seguenti criteri:
· gli azionisti o i membri sono persone fisiche, autorità locali, o PMI operanti nei settori dell’energia rinnovabile;
· almeno il 51% degli azionisti o dei membri sono persone fisiche;
· almeno il 51% delle azioni o dei diritti di partecipazione sono di proprietà di rappresentanti di interessi socio-economici locali, pubblici o privati, o cittadini con un interesse diretto nelle attività della comunità;
· almeno il 51% dei posti nel consiglio di amministrazione sono riservati a rappresentanti di interessi socio-economici locali, pubblici o privati, o a cittadini con un interesse diretto nelle attività della comunità;
· la comunità non ha installato più di 18 MW di capacità di energia rinnovabile destinata all’energia elettrica, al riscaldamento e raffrescamento e ai trasporti, in media ogni anno nell’ultimo quinquennio.
L’articolo 23 concerne l’inclusione dell’energia rinnovabile negli impianti di riscaldamento e raffrescamento e prevede che ciascuno Stato membro si impegni ad aumentare la quota di energia rinnovabile destinata al riscaldamento e al raffrescamento di almeno 1 punto percentuale ogni anno. Tale aumento potrà essere realizzato mediante le seguenti opzioni:
· integrazione fisica dell’energia rinnovabile (nell’energia e nel relativo combustibile destinati al riscaldamento e al raffrescamento);
· misure dirette di mitigazione (installazione negli edifici di sistemi ad alto rendimento di riscaldamento e raffrescamento o utilizzo di energia rinnovabile per i processi industriali di riscaldamento e raffrescamento);
· misure indirette di mitigazione, corredate di certificati negoziabili attestanti il rispetto dell’obbligo, realizzate da un altro operatore economico (installatore indipendente di tecnologia o società di servizi energetici che fornisce servizi di installazione).
L’articolo 24 prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie per consentire ai clienti dei sistemi di teleriscaldamento o teleraffrescamento che non costituiscono «teleriscaldamento e teleraffreddamento efficienti» di disconnettersi dal sistema al fine di generare in proprio il riscaldamento o il raffrescamento da fonti rinnovabili, oppure di passare a un altro fornitore di calore o di freddo che ha accesso al sistema. Gli Stati membri, inoltre, dovranno provvedere affinché i fornitori di teleriscaldamento e teleraffrescamento forniscano ai consumatori finali informazioni sul loro rendimento energetico e sulla quota di energia da fonti rinnovabili nei loro sistemi.
L’articolo 25 concerne l’inclusione dell’energia da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti e prevede che, a partire dal 1° gennaio 2021, gli Stati membri impongano ai fornitori di combustibili di includere nel totale dei carburanti per autotrazione che forniscono nel corso di un anno civile una quota minima di energia proveniente da biocarburanti avanzati e altri biocarburanti e biogas prodotti a partire da materie prime di cui all’allegato IX (ad esempio, frazione di biomassa da rifiuti urbani non differenziati, alghe, gusci, paglia), da carburanti per autotrazione liquidi e gassosi da fonti rinnovabili di origine non biologica, da combustibili fossili ricavati dai rifiuti e dall’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. La quota minima dovrà essere pari almeno all’1,5% nel 2021, con un aumento fino ad almeno il 6,8% nel 2030, seguendo la traiettoria di cui all’allegato X, riportata di seguito.
In tale quota totale, il contributo dei biocarburanti e biogas avanzati prodotti a partire dalle materie di cui al suddetto allegato IX dovrà rappresentare almeno lo 0,5% dei carburanti per autotrazione a decorrere dal 1º gennaio 2021, con un aumento fino ad almeno il 3,6% entro il 2030, seguendo la seguente traiettoria.
Inoltre, si prevede che la riduzione di emissioni di gas a effetto serra grazie all’uso di biocarburanti avanzati e altri biocarburanti e biogas prodotti da materie prime di cui al suddetto allegato IX sia pari ad almeno il 70% al 1º gennaio 2021. Infine, l’articolo prevede che gli Stati membri istituiscano una banca dati che consenta di tracciare i carburanti per autotrazione e impongano agli operatori economici interessati di inserire informazioni sulle transazioni effettuate e le caratteristiche di sostenibilità dei biocarburanti ammissibili (compresi i gas a effetto serra emessi durante il loro ciclo di vita), a partire dal loro luogo di produzione fino al fornitore di carburante che immette il carburante sul mercato. Le banche dati nazionali dovranno essere collegate tra loro in modo da consentire la tracciabilità delle transazioni di combustibili tra Stati membri.
L’articolo 26, che modifica l’articolo 17 della direttiva vigente, prevede che, ai fini del raggiungimento degli obiettivi unionali, oltre ai criteri di sostenibilità, attualmente previsti per i biocarburanti e i bioliquidi, vengano considerati anche quelli di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Inoltre, tali criteri vengono estesi anche ai combustibili da biomassa, differenziando tra combustibili di origine agricola, non agricola e forestale. In particolare, si prevede che i combustibili ottenuti da biomassa forestale debbano soddisfare una serie di requisiti al fine di: ridurre al minimo il rischio di utilizzare una produzione non sostenibile; ottemperare agli obblighi relativi alla destinazione dei suoli, al cambiamento della destinazione dei suoli e alla silvicoltura (LULUCF); garantire il mantenimento del livello di assorbimento del carbonio nelle foreste.
Lo stesso articolo prevede che il requisito di prestazione in termini di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra dei biocombustibili, affinchè vengano considerati ai fini del raggiungimento degli obiettivi unionali, sia pari almeno:
· al 50% per i biocarburanti e i bioliquidi prodotti negli impianti in funzione al 5 ottobre 2015 o prima di tale data;
· al 60% per i biocarburanti e i bioliquidi prodotti negli impianti in funzione a partire dal 5 ottobre 2015;
· al 70% per i biocarburanti e i bioliquidi prodotti negli impianti in funzione dopo il 1° gennaio 2021;
· all’80% per l’energia elettrica, il riscaldamento e il raffrescamento da combustibili da biomassa usati negli impianti in funzione a partire dal 1° gennaio 2021 e all’85 % per gli impianti in funzione a partire dal 1° gennaio 2026.
Al fine di evitare oneri amministrativi eccessivi, i criteri di sostenibilità e di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra si applicano solo agli impianti di produzione di energia elettrica e di riscaldamento da combustibili da biomassa con una capacità pari o superiore a 20 MW. Inoltre, al fine di rendere più efficiente la conversione dell’energia elettrica da biomassa, riducendo le emissioni di gas serra e di inquinanti atmosferici, l’energia elettrica prodotta da biomassa nei nuovi impianti[8] verrà contabilizzata ai fini del conseguimento degli obiettivi solo se prodotta applicando una tecnologia di cogenerazione ad alto rendimento (senza pregiudicare il sostegno pubblico erogato nel quadro di regimi approvati entro 3 anni dalla data di entrata in vigore della proposta di direttiva in esame).
L’articolo 27, che modifica l’articolo 18 della direttiva vigente, prevede che gli Stati membri impongano agli operatori economici l’obbligo di dimostrare che sono stati rispettati oltre ai criteri di sostenibilità, già previsti dalla normativa attuale, anche quelli di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per i biocarburanti, i bioliquidi e i combustibili da biomassa. In tale contesto, viene meglio chiarito e specificato il “sistema di equilibrio di massa”[9] che gli operatori economici sono obbligati ad utilizzare per dimostrare che i criteri di sostenibilità sono mantenuti lungo tutta la catena di consegna. Sempre l’articolo 27 incoraggia l’introduzione di sistemi volontari a livello internazionale o nazionale che fissino norme per la produzione sostenibile di biocarburanti, bioliquidi e combustibili da biomassa e che certifichino che la loro produzione soddisfi le predette norme. Inoltre, al fine di garantire il rispetto dei criteri di sostenibilità e di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, segnatamente nell’intento di prevenire le frodi, la Commissione può stabilire norme attuative dettagliate, comprese norme di controllo affidabile, trasparente e indipendente cui sottoporre i sistemi volontari, prestando particolare attenzione all’esigenza di rendere minimo l’onere amministrativo. Si prevede poi il coinvolgimento degli Stati membri nella governance dei sistemi volontari, autorizzando gli stessi a controllare il funzionamento degli organismi di certificazione accreditati dall’organismo nazionale competente.
L’articolo 28, che modifica l’articolo 19 della direttiva vigente, riguarda la metodologia di calcolo delle emissioni di gas serra dei biocarburanti, dei bioliquidi e dei combustibili da biomassa, che potrà essere aggiornata periodicamente dalla Commissione europea.
L’articolo 30, che modifica l’articolo 23 della direttiva vigente, fissa una clausola di riesame di portata generale stabilendo che nel 2026 la Commissione presenti una proposta legislativa relativa al quadro normativo per la promozione dell’energia da fonti rinnovabili per il periodo successivo al 2030.
Infine, gli articoli 3, 4, 16, paragrafi da 1 a 8, 22, 23, 24 e 26 della direttiva vigente sono abrogati dalla presente proposta, mentre gli altri articoli non citati recano modifiche di dettaglio o di adattamento alle nuove disposizioni.
Il 24 marzo 2017 il Governo ha trasmesso alle Camere la relazione ai sensi dell’articolo 6, comma 4, della legge n. 234 del 2012, segnalando le seguenti criticità:
· in primo luogo il Governo, pur ritenendo che la proposta rispetti il principio di sussidiarietà, in particolare poiché non incide sul diritto degli Stati membri di definire il proprio mix energetico, considera opportuno effettuare un approfondimento sulle disposizioni relative alla definizione dei meccanismi di sostegno alle fonti rinnovabili. Infatti, l'obbligo di apertura parziale dei regimi di sostegno alla partecipazione transfrontaliera disposto dalla proposta di rifusione della direttiva, fatte salve le disposizioni sugli aiuti di Stato in materia di energia e ambiente, potrebbe limitare le prerogative degli Stati membri nella definizione degli strumenti di incentivazione. Tuttavia, il Governo ritiene tale disposizione proporzionata nella misura in cui propone un’apertura parziale alla partecipazione transfrontaliera, la sottoscrizione di accordi bilaterali e di conteggiare la produzione rinnovabile sul contributo dello Stato membro incentivante;
· inoltre, secondo il Governo, nel delineare l’obiettivo comune si dovrebbe contestualmente disporre di un'ampia gamma di strumenti per realizzarlo, riconoscendo le diverse situazioni nazionali. Per l'Italia, infatti, l’ulteriore estensione della capacità di produzione da fonti rinnovabili incontrerebbe un limite nei vincoli architettonici e paesaggistici e nella concreta disponibilità di nuove aree da devolvere a produzioni intensive. In particolare, per quanto riguarda la promozione dell'uso di rinnovabili nel settore del riscaldamento, si riscontrerebbe un limite nelle emissioni atmosferiche legate all'uso delle biomasse nel settore residenziale, soprattutto nelle città;
· a giudizio del Governo, una rigida applicazione della disciplina sugli aiuti di Stato potrebbe vanificare la flessibilità che la proposta di direttiva accorda agli Stati membri circa le misure d’incentivazione, impedendo molte azioni e costringendo a conformarsi a modelli di sostegno in gran parte predeterminati. Per il Governo sarebbe auspicabile, pertanto, che la proposta di direttiva chiarisse sia gli aspetti degli aiuti di Stato che quelli della tassazione energetica, con un approccio organico e semplice, fornendo agli Stati un set di regole immediatamente applicabili e di sicura compatibilità con le regole europee;
· la proposta di direttiva, all’articolo 25, comma 1, stabilisce che gli Stati membri impongano ai fornitori di combustibili di includere una quota minima di energia proveniente da fonti rinnovabili o biocarburanti avanzati nella quota totale di carburante per autotrazione che forniscono, ma non fornisce alcuna metodologia di calcolo per la determinazione della quota di biocarburante, nello specifico biometano, proveniente dalla rete di distribuzione del gas naturale. Pertanto, per il Governo sarebbe necessario colmare tale lacuna normativa fornendo una metodologia di calcolo per determinarne la quota senza creare discriminazione tra biocarburanti avanzati e incentivando la produzione e i consumi di tale fonte energetica;
· circa le disposizioni relative ai sistemi di teleriscaldamento/teleraffrescamento, il Governo ritiene opportuno che tra le motivazioni per esercitare il diritto di disconnessione dalla rete rientrino anche quelle relative agli impatti di tali disconnessioni sulla rete, nonché considerazioni sulla qualità del servizio o particolari condizioni contrattuali, quali valutazioni di prezzo;
· sempre con riguardo ai settori del teleriscaldamento e teleraffrescamento, secondo il Governo il modello di “full third party access”[10] non appare pienamente adattabile al modello italiano, caratterizzato da reti di medie e piccole dimensioni e da una forte integrazione verticale tra le attività di produzione, distribuzione e vendita e, di conseguenza, sarebbe opportuno mantenere una più ampia discrezionalità in capo agli Stati membri circa il modello più idoneo alla promozione delle fonti rinnovabili in tali settori.
La base giuridica per le misure proposte è individuata dalla Commissione nell’articolo 194 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), che definisce i principali obiettivi della politica dell’Unione nel settore dell’energia: garantire il funzionamento del mercato dell’energia, garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, promuovere il risparmio energetico, l’efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili e promuovere l’interconnessione delle reti energetiche.
Secondo la Commissione, l’azione a livello di Unione è necessaria per: assicurare che gli Stati membri contribuiscano all’obiettivo unionale minimo vincolante del 27% di energia da fonti rinnovabili; evitare distorsioni e frammentazione del mercato interno dell’energia; abbattere diversi ostacoli agli investimenti pubblici e privati. Inoltre, la Commissione evidenzia che gli Stati membri conservano un ampio margine di discrezionalità e flessibilità nel modo in cui promuovere lo sviluppo delle energie rinnovabili.
Secondo la Commissione, la proposta rispetta il principio di proporzionalità poiché delinea le azioni che l’Unione deve intraprendere per assicurarsi di conseguire l’obiettivo minimo del 27%, lasciando agli Stati membri la facoltà di attuarle e sviluppare il settore dell’energia rinnovabile nel modo più consono alle rispettive situazioni, preferenze e potenzialità nazionali. Inoltre, le disposizioni proposte non inciderebbero su alcune importanti prerogative nazionali.
Nella valutazione d’impatto la Commissione, come anticipato, stima che il fabbisogno d’investimenti per l’UE nel suo insieme nel periodo 2015-2030 sia pari a circa mille miliardi di euro nella sola generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili (circa 57 miliardi all’anno). Alla luce di questo dato, a suo avviso, il rafforzamento della fiducia degli investitori è un aspetto cruciale, anche in considerazione del calo degli investimenti nelle rinnovabili, che nel 2015 - con 48,8 miliardi di dollari - sono diminuiti del 60% rispetto al 2011. L’UE, pur non perdendo il primato degli investimenti pro capite nell’energia rinnovabile, ha visto un rapido declino degli investimenti totali in questo settore, che nel 2010 costituivano circa la metà, mentre nel 2015 sono scesi a meno di un quinto.
La stessa Commissione, nel documento di lavoro allegato alla proposta di direttiva, evidenzia che attualmente non ci sono strumenti UE volti a fornire credito o finanziamenti con capitale di rischio esclusivamente a progetti di produzione delle rinnovabili. Il bilancio dell'UE sostiene alcuni progetti dimostrativi di nuove tecnologie sotto Secure, Clean and Efficient Energy Challenge di Horizon 2020[11]. I Fondi strutturali e di investimento europei (ESIF) dedicano molta attenzione agli investimenti in basse emissioni di carbonio nel periodo 2014-2020, compreso il sostegno a progetti di energia rinnovabile e alla relativa ricerca e innovazione, che può assumere la forma di sovvenzioni o di strumenti finanziari (ad esempio, prestiti, garanzie o capitale di rischio). Inoltre, il NER300, finanziato attraverso la vendita di 300 milioni di quote di emissione del sistema ETS, è un programma di finanziamento per lo sviluppo di progetti dimostrativi innovativi energetici a basse emissioni, tra cui tecnologie RES innovative nell’EU. Per il periodo successivo al 2020, un Fondo per l'innovazione dovrebbe essere istituito attraverso la vendita di 450 milioni di quote di emissione che potrebbero finanziare progetti innovativi RES. L'UE, inoltre, sta investendo indirettamente in progetti di produzione da fonti rinnovabili, mediante strumenti come il Fondo Marguerite e il Fondo europeo per l'efficienza energetica. Infine, la Banca europea per gli investimenti (BEI) sta fornendo credito e capitale di rischio per progetti di produzione di energia rinnovabile e “grid projects”, in tutti gli Stati membri, e il Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) sta fornendo alla BEI capacità addizionale di assunzione del rischio.
La proposta è stata assegnata alla Commissione industria, ricerca ed energia del Parlamento europeo. Il 27 febbraio 2017 è stata discussa in sede di Consiglio trasporti, telecomunicazioni e energia. Diversi Governi hanno sostenuto il passaggio ad un approccio per le energie rinnovabili più basato sul mercato e hanno sottolineato che la flessibilità nella scelta dell'opzione più conveniente rimane un elemento chiave. Preoccupazioni sono state espresse, invece, riguardo alla parziale apertura transfrontaliera dei regimi di sostegno per l’energia elettrica da fonti rinnovabili. Inoltre, è stata prospettata l’esigenza di un approccio cauto sulla graduale eliminazione dei biocarburanti di prima generazione, in quanto ciò potrebbe penalizzare gli “early movers” e creare incertezza negli investitori in generale.
Sulla base dei dati forniti dal sito IPEX, l’esame dell’atto risulta concluso da parte di: Austria, Repubblica Ceca, Irlanda e Lituania.
XVII legislatura – Documentazione per le Commissioni – Esame di atti e documenti dell’ UE, n. 82, 21 aprile 2017
Il bollettino è stato curato dall’Ufficio Rapporti con l’Unione europea (' 06 6760.2145 - * cdrue@camera.it)
[1] Provenienti da colture alimentari, come zucchero, amido e oli vegetali prodotti da terreni utilizzando materie prime che possono essere utilizzate anche per l'alimentazione umana e animale.
[2] Provenienti da fonti che non sono in concorrenza diretta con colture alimentari e foraggere, come i rifiuti e i residui agricoli.
[3] 436 MtCO2eq rispetto allo scenario di riferimento del 2005.
[4] La frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani.
[5] Gas combustibile che si produce durante la fermentazione di materiale organico in assenza di ossigeno.
[6] Combustibili liquidi per scopi energetici diversi dal trasporto, compresi l’elettricità, il riscaldamento ed il raffreddamento, prodotti a partire dalla biomassa.
[7] Il rinnovamento delle centrali elettriche che producono energia rinnovabile, compresa la sostituzione integrale o parziale di impianti o apparecchiature e sistemi operativi, al fine di sostituire la capacità o aumentare l’efficienza.
[8] In funzione 3 anni dopo la data di adozione della proposta di direttiva
[9] È il metodo che permette di creare un nesso tra le informazioni o le asserzioni relative alle materie prime o ai prodotti intermedi e le asserzioni riguardanti i prodotti finali (catena di rintracciabilità), che in genere comprende tutte le fasi dalla produzione delle materie prime fino alla fornitura del carburante destinato al consumo.
[10] Si tratta di un modello organizzativo basato sull’accesso non discriminatorio alla rete da parte di soggetti terzi rispetto al gestore della rete stessa, promuovendo in tal modo un rapporto diretto tra il cliente e il produttore.
[11] (C(2016)1349 of 9 March 2016)