Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: L'evoluzione della crisi libica dopo l'accordo di Skhirat: cronologia degli avvenimenti
Serie: Note di politica internazionale    Numero: 84
Data: 03/08/2016
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
IV-Difesa


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L'evoluzione della crisi libica dopo l'accordo di Skhirat: cronologia degli avvenimenti

3 agosto 2016


Indice

I tentativi di creazione di un esecutivo di unità nazionale|Il dibattito sull'impiego della base aerea di Sigonella e l'ipotesi d'invio di un contingente italiano in Libia|L’assassinio di due ostaggi italiani e la liberazione degli altri due connazionali rapiti|Il consolidamento del nuovo esecutivo|I più recenti sviluppi e l'intervento degli Stati Uniti contro le posizioni dell'ISIS a Sirte|


Il 13 dicembre si svolgeva a Roma, una Conferenza per stabilire le linee-guida per il raggiungimento di un accordo politico intra-libico l'iniziativa, fortemente sostenuta dal Governo italiano, mirava da un lato ad evitare un voto diretto di approvazione del progetto di mediazione ONU da parte dei due Parlamenti rivali di Tripoli di Tobruk, ed al tenpo stesso intendeva impegnare la maggioranza dei membri delle due assemblee alla firma diretta do un'ntesa.

Tale impostazione era il frutto anche del nuovo approccio del mediatore delle Nazioni Unite succeduto a Bernardino Leon, il diplomatico tedesco Martin Kobler, intento a coinvolgere nella firma dell'accordo anche rappresentanti delle municipalità libiche, capi tribali e membri della società civile. Si trattava tra l'altro di un escamotage volto a interrompere il potere di ricatto delle milizie sui parlamentari di riferimento. Oltre all'incontro di Roma, il nostro Paese poteva verificare in quegli stessi giorni il ruolo acquisito nella composizione della crisi libica con la nomina del generale di corpo d'armata Paolo Serra a senior advisor di Martin Kobler per le questioni di sicurezza correlate al dialogo politico in Libia.

 La Conferenza di Roma si dimostrava un passo decisivo, poichè il 17 dicembre a Skhirat, in Marocco, veniva firmato l'Accordo politico libico, con la sigla di 90 membri della Camera dei rappresentanti di Tobruk e di 69 deputati del Congresso nazionale di Tripoli. L'intesa ha previsto la formazione di un governo di unità nazionale, a sua volta articolato in un Consiglio di presidenza e in un Gabinetto, nonché di una Camera dei rappresentanti e di un Consiglio di Stato. Al Consiglio di presidenza, guidato da Fayez Serraj, è stato attribuito il compito di formare la lista dei ministri di un governo di unità nazionale da insediare a Tripoli entro un mese giorni. In ossequio all'impostazione della Conferenza di Roma, hanno apposto la propria firma all'accordo politico numerosi rappresentanti della società civile, dei partiti politici e delle municipalità libiche.

Il giorno successivo, 18 dicembre, il Consiglio di sicurezza dell'ONU adottava all'unanimità la risoluzione 2254 sulla Libia, nella quale si invita il Consiglio di Presidenza formato in base all'accordo del giorno precedente a lavorare con sollecitudine per rispettare il termine dei 30 giorni per la formazione del governo di unità nazionale, e nel contempo si richiede agli Stati membri delle Nazioni Unite di rispondere alle richieste di assistenza del governo di unità nazionale per l'attuazione dell'accordo politico libico e per far fronte alle minacce alla sicurezza provenienti dall'ISIS o da al-Qaida.

I tentativi di creazione di un esecutivo di unità nazionale

Il 20 gennaio 2016 il nuovo Consiglio di Presidenza libico era in grado di rendere nota la lista dei membri del Governo di unità nazionale, forte di 32 ministri e 64 sottosegretari. Nelle stesse ore la ministra della Difesa Pinotti, a margine di un incontro a Parigi per una riunione del gruppo ristretto della coalizione anti-ISIS, ribadiva la disponibilità dell'Italia ad assumere un ruolo guida nella stabilizzazione della Libia, a condizione che intervenissero richieste ufficiali in tal senso da parte delle autorità di quel paese e che il processo di stabilizzazione fosse messo in atto congiuntamente dall'Italia e dai suoi alleati.

Tuttavia cinque giorni dopo, il 25 gennaio, il Parlamento di Tobruk rigettava di fatto la compagine, votando a larga maggioranza una mozione che dava ulteriori dieci giorni a Fayez Serraj per presentare una nuova lista di ministri. Un'altra mozione, inoltre, votata quasi all'unanimità dal parlamento di Tobruk, bloccava anche il via libera all'accordo politico di Skhirat, ponendo come condizione assoluta l'eliminazione dell'articolo 8 delle disposizioni finali dell'accordo, articolo che delega le nomine e le decisioni militari al Consiglio di Presidenza, spropriandone di fatto interamente l'influente generale Khalifa Haftar.

Quanto al coinvolgimento del nostro Paese nella crisi libica, va rilevato anzitutto come nell'incontro a Washington dell'8 febbraio tra il presidente Obama e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella,  quest'ultimo avesse avuto assicurazioni dal Presidente americano che gli Stati Uniti si trovavano in consonanza con il nostro Paese nel subordinare qualsiasi intervento di carattere militare in Libia alla formazione di un governo nazionale unitario ed all'eventuale richiesta da parte di quest'ultimo, rimanendo comunque nell'ambito della legalità internazionale rappresentata dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Intanto il 14 febbraio, ancora una volta a Skhirat in Marocco, era stata stilata la lista di una nuova compagine di governo, assai più leggera della precedente, con 13 ministri e cinque ministri di Stato: tra essi tre donne. Mentre nei dicasteri della difesa e dell'interno erano confermati rispettivamente al-Burghuthi e al-Khouja, agli esteri era nominato un ex ministro della cooperazione in carica negli ultimi anni del regime di Gheddafi, Mohammed Sayala. In particolare, il premier incaricato Serraj ha fatto leva sulla conferma di al-Burghuthi alla difesa come possibile punto di mediazione, in quanto pur essendo stato questi agli ordini di Haftar, sarebbe risultato gradito a varie milizie filo islamiche della fazione di Tripoli, così come il ministro dell'interno in pectore al-Khouja, già attivo nella stessa carica proprio a Tripoli.

La nuova lista di ministri trovava però nuovamente nel Consiglio di Presidenza l'opposizione di due esponenti favorevoli al generale Haftar, al-Qatrani e al-Aswad, che non la sottoscrivevano. Proprio al-Qatrani lasciava intendere la pregiudiziale opposizione di una parte significativa del parlamento di Tobruk al ministro della difesa designato, e accusava il Consiglio di presidenza di essere controllato dai Fratelli Musulmani.

Il 19 febbraio era stato lanciato un raid aereo statunitense contro postazioni dell'ISIS nella cittadina di Sabrata, a una settantina di km. da Tripoli: l'attacco aereo ha avuto come obiettivo un campo di addestramento di appartenenti allo "Stato islamico", e avrebbe provocato una quarantina di vittime, senza peraltro poter escludere la morte di diversi civili - accertata purtroppo invece la morte di due cittadini serbi, dipendenti dell'ambasciata di Belgrado in Libia e rapiti nel novembre 2015.

Nel raid probabilmente perdeva la vita Noureddine Chouchane, ritenuto l'ideatore degli attacchi ai turisti in Tunisia al Museo del Bardo e sulla spiaggia di Sousse. Sabrata risultava da alcuni mesi il bastione più occidentale del "Califfato" in Libia: i jihadisti si erano dapprima accordati con le tribù locali per occupare parti della città, poi, sarebbero stati in grado di creare campi di addestramento. Per tutta risposta, comunque, circa 150 miliziani dell'ISIS occupavano nei giorni seguenti il quartier generale della sicurezza di Sabrata: i miliziani venivano successivamente respinti, ma non prima di aver decapitato una decina di agenti di sicurezza libici.

Intervenendo alla Camera dei deputati dei deputati nell'ambito del question time il 24 febbraio la ministra della Difesa Pinotti chiariva innanzitutto come per l'attacco americano su Sabrata l'Italia non avesse concesso né basi né il sorvolo del territorio nazionale. La Ministra ribadiva poi la costante linea dell'Italia di opposizione all'ISIS, ma tramite il coinvolgimento diretto e attivo della popolazione e dei governi locali, cui fornire il necessario supporto, che poteva valere anche nei confronti della Libia quando questa si fosse dotata di un governo stabile e riconosciuto. La Ministra, infine, ricordava come la base di Sigonella (pur non interessata dall'azione di pochi giorni prima) fosse stata costantemente utilizzata dalle forze americane, fin dagli Anni Cinquanta: sin da allora l'impiego della base è stato oggetto caso per caso di discussione e autorizzazione da parte italiana, in coerenza con le nostre strategie di politica estera e di difesa elaborate dal Governo in costante raccordo con il Parlamento.

Sul fronte del percorso politico-istituzionale della Libia, il 24 febbraio 101 parlamentari di Tobruk firmavano una petizione a sostegno del nuovo esecutivo proposto da Serraj, un fatto che, pur non significando ancora il via libera di Tobruk, costituiva uno snodo potenzialmente importante nella questione.

Infatti il 1° marzo il Ministro degli esteri italiano Paolo Gentiloni, a colloquio a New York con l'incaricato speciale delle Nazioni Unite per la Libia Martin Kobler - che il giorno dopo avrebbe riferito al Consiglio di sicurezza dell'ONU - avanzava la proposta italiana di far leva sul pronunciamento dei 101 parlamentari di Tobruk per considerare espressa e formalizzata la volontà della maggioranza di quel consesso parlamentare - ove peraltro, come emerso da una lettera del vicepresidente Hamuhu a Martin Kobler, un libero dibattito sarebbe stato più volte impedito anche con la violenza.

L'urgenza di sbloccare la situazione istituzionale libica emergeva sempre più pressante anche in rapporto allo stato avanzato dei preparativi per quello che potrebbe essere un secondo intervento internazionale nel paese nordafricano, per il quale intanto veniva istituito a Roma il centro di coordinamento della coalizione. Le difficoltà della situazione libica si confermavano tuttavia il 4 marzo, quando colpi di granate anticarro raggiungevano a Tripoli la sede del Partito della patria, il giorno dopo che più di 50 deputati del Congresso nazionale generale di Tripoli a quel partito riferentisi avevano dichiarato il proprio appoggio al nascente governo unitario.

Per di più alcuni deputati di Tobruk avevano frattanto negato di aver apposto la propria firma alla petizione del 24 febbraio, ponendo in ulteriore difficoltà i piani di Martin Kobler e anche la proposta avanzata dal nostro Paese - diversi media libici avevano tra l'altro protestato contro l'escamotage fatto proprio da Kobler, qualificato alla stregua di un tentativo di aggiramento della maggioranza qualificata richiesta per l'approvazione del parlamento di Tobruk della nuova lista dei ministri. Per uscire dall'impasse emergeva da parte dell'inviato speciale delle Nazioni Unite la prospettazione di una possibile ripresa del dialogo politico libico, per affidare nuovamente a un formato extraparlamentare la riconciliazione nazionale e il via libera a un nuovo esecutivo, superando i blocchi e i veti incrociati delle varie minoranze del paese. Su questo obiettivo di Kobler un portavoce del Dipartimento di Stato americano esprimeva convinto sostegno.


Il dibattito sull'impiego della base aerea di Sigonella e l'ipotesi d'invio di un contingente italiano in Libia

Una polemica interna allo schieramento politico italiano si apriva dopo le rivelazioni del 22 febbraio del Wall Street Journal, secondo le quali dal mese di gennaio sarebbero decollati dalla base NATO italiana di Sigonella droni armati statunitensi per operazioni di bombardamento contro l'ISIS in Libia e in altre località del Nordafrica. Il Ministero della difesa italiano ha confermato l'accordo tra Washington e Roma per l'utilizzo della base di Sigonella, negando tuttavia che fossero già in corso voli finalizzati a tali missioni, e precisando che ogni singola missione avrebbe dovuto essere sottoposta all'autorizzazione del Governo italiano. Inoltre l'accordo non avrebbe riguardato tanto la Libia, e quindi un'accelerazione della possibilità di intervento militare nel paese nordafricano, quanto profili più generali di protezione e sicurezza del personale impegnato nella lotta contro l'ISIS in tutti gli scenari in cui il "Califfato" è presente.

Le opposizioni parlamentari hanno lamentato di non essere state adeguatamente informate dal Governo su tali sviluppi, a loro dire particolarmente preoccupanti alla luce del più volte manifestato allarme degli Stati Uniti per la crescente presenza dell'ISIS in Libia, con la richiesta di una maggior cooperazione agli alleati europei.

Tutte queste questioni venivano affrontate il 25 febbraio dal Consiglio supremo di difesa presieduto dal Capo dello Stato Sergio Mattarella, dal quale emergeva la disponibilità italiana a intervenire, ma solo su richiesta di un'autorità libica ricostituita unitariamente, per una missione di supporto che avrebbe visto impegnato un numero limitato di militari, con compiti di addestramento delle forze locali e sorveglianza di siti particolarmente sensibili, come ambasciate e palazzi istituzionali.

Va segnalato che lo stesso presidente del Consiglio Renzi, anche nel clima di costernazione destato dall'uccisione dei due tecnici italiani (v. infra) in Libia e prima del rientro dei due colleghi superstiti, esprimeva forte contrarietà ad ogni accelerazione mediatica finalizzata ad un possibile intervento del nostro Paese nello scenario libico, definita quale atto di irresponsabilità.

Matteo Renzi ribadiva che la priorità dell'Italia era diplomatica, e mirava anzitutto alla formazione di un governo libico unitario, ed effettivamente gran parte dell'arco politico-parlamentare sembrava convergere sulla cautela del Presidente Renzi, sulla quale sono apparse altresì quasi perfettamente sintoniche fonti dell'Eliseo, in vista dell'incontro dell'8 marzo tra Matteo Renzi e il Presidente francese Hollande.

Lo stesso ambasciatore americano a Roma John Phillips è sembrato assai più cauto quando è tornato sull'argomento dell'impegno italiano in Libia, sottolineando di aver fatto riferimento, nell'intervista di tre giorni prima al Corriere della Sera, al contingente italiano di 5.000 uomini per la Libia in base a precedenti indicazioni della stessa Italia, e non come forma di suggerimento da parte degli USA, consapevoli che si trattava di decisioni ancora da adottare.

L'incontro italo-francese di Venezia dell'8 marzo registrava la convergenza tra i due Governi sulla priorità della formazione dell'esecutivo unitario in Libia, pur sottolineando l'urgenza di addivenire a una soluzione dell'intricato problema istituzionale - come sostenuto in particolare dal presidente francese Hollande, alludendo alla presenza ormai ben radicata del terrorismo dell'ISIS in Libia. 

Un'incognita fondamentale anche nei rapporti tra i paesi occidentali rimaneva però quella della tempistica dell'intervento militare contro l'ISIS, che da parte degli Stati Uniti e, par di comprendere, della Francia, si correlava alla necessità di impedire un eccessivo rafforzamento delle milizie del "Califfato", che rischiava di rendere insufficiente l'intervento militare su scala limitata al momento nei piani generali.

Le posizioni dell'Italia erano ribadite in Parlamento nella giornata del 9 marzo, anzitutto con l'intervento del ministro degli esteri Gentiloni alla Camera ed al Senato: il Ministro richiamava la linea di prudenza sull'intervento militare in Libia, un teatro, ricordava, nel quale oltre ad almeno cinquemila combattenti dell'ISIS vi sarebbero circa duecentomila uomini armati, inquadrati in varie milizie o gruppi tribali. Il Governo italiano, proseguiva il ministro Gentiloni, tentava di favorire la formazione di un governo libico unitario, consentendo alla maggioranza del parlamento di Tobruk favorevole al premier designato Fayez Serraj di esprimersi anche al di fuori del consesso parlamentare, per superare le minacce da parte delle frange più estremiste.

Dal canto suo la ministra della difesa Pinotti, intervenendo nella stessa giornata in seno al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR) reiterava analoghe dichiarazioni, precisando che una missione di tipo militare avrebbe potuto dispiegarsi solo su richiesta libica , e in ogni caso dopo l'approvazione da parte del Parlamento; la ministra Pinotti precisava poi non esservi al momento forze speciali militari italiane in Libia.

Il 10 marzo si svolgeva peraltro a Tunisi la preannunciata riunione del dialogo politico libico - la via alternativa scelta dalle forze interessate alla formazione di un governo unitario in Libia per aggirare il veto rappresentato dal parlamento di Tobruk nei confronti del nuovo esecutivo -, subito paralzzata da complicate procedure di insediamento del Comitato di dialogo.


L’assassinio di due ostaggi italiani e la liberazione degli altri due connazionali rapiti

Il 2 marzo purtroppo si era intanto avuta notizia dell'uccisione di Salvatore Failla e Fausto Piano - due dei quattro ostaggi italiani, tecnici dell'azienda Bonatti, rapiti in Libia nel luglio 2015 - che perdevano la vita nel corso di un attacco a Sabrata delle milizie fedeli a Tripoli nei confronti di gruppi ritenuti vicini all'ISIS. Nel caos di Sabrata è stato particolarmente difficile nelle prime ore ricostruire gli eventi, anche per la delicatezza della situazione, che sembrava far immaginare la volontà delle autorità cittadine di trattenere i due ostaggi superstiti – Gino Pollicardo e Filippo Calcagno -, alla ricerca di una qualche forma di riconoscimento politico di Tripoli, cui le autorità di Sabrata risultavano collegate. All'alba del 6 marzo poteva atterrare all'aeroporto di Ciampino l'aereo che riportava a casa i due tecnici superstiti, che già in tarda mattinata erano ascoltati dai magistrati in una caserma del Reparto Operativo Speciale dei Carabinieri.

Solo nella notte tra il 9 e il 10 marzo le salme di Salvatore Failla e Fausto Piano potevano far rientro in Italia, accolte all'aeroporto di Ciampino dai familiari e dal ministro degli esteri Gentiloni. La tragica vicenda dava luogo a polemiche contro l'attitudine tenuta dal Governo; in particolare l'avvocato della famiglia Failla, stigmatizzava lo svolgimento dell'autopsia effettuata in Libia che avrebbe reso impossibile l'identificazione della dinamica esatta dell'uccisione dei due tecnici italiani. Tuttavia, l'autopsia subito effettuata al Policlinico Gemelli di Roma evidenziava come i colpi mortali per Failla e Piano fossero stati indirizzati verso parti del corpo non compatibili con quanto dichiarato ancora il 10 marzo dal sindaco di Sabrata, che riaffermava la tesi di un'esecuzione da parte dei rapitori prima del blitz delle milizie libiche. Un'altra questione su cui si registrava dissenso tra le autorità italiane e quelle libiche era quella dell'appartenenza all'ISIS dei carcerieri di Failla e Piano, data per scontata delle autorità libiche ed esclusa invece nettamente dall'intelligence italiana.


Il consolidamento del nuovo esecutivo

Il 10 marzo il Dialogo politico libico - che riuniva i negoziatori dell'accordo di Skhirat, svolgendo la funzione di assemblea di saggi - rivolgeva un'istanza al Consiglio di Presidenza affinché prendesse "le misure necessarie per cominciare rapidamente il suo lavoro a Tripoli"; tale istanza riconosceva valore al documento dei cento rappresentanti del Parlamento di Tobruk, pur chiedendo a quest'ultimo di completare le tappe richieste per l'insediamento del governo. La formula, volutamente ambivalente, non precisava se il documento sostituisse il voto parlamentare. Tuttavia tale ambiguità rischiava di rendere fragile la base giuridica della proclamazione di legittimità del Consiglio presidenziale.

Il 12 marzo 2016, infatti, il Consiglio di Presidenza del governo di unità nazionale, riunitosi a Tunisi, si autoproclamava legittimo, rivolgendo un appello a tutte le istituzioni libiche a prendere contatto con il nuovo governo al fine di mettere in atto le modalità di passaggio del potere. Tuttavia alcuni membri del Dialogo libico contestavano l'interpretazione data della dichiarazione del 10 marzo da parte del Consiglio presidenziale.

Al di là di questioni di fragilità giuridica, il nuovo Governo mancava di ancoraggio territoriale, in quanto era costretto a riunirsi tra la Tunisia ed il Marocco, mentre sul terreno la Libia restava di fatto sotto il controllo di due governi rivali, quello di Baida-Tobruk e quello di Tripoli. In particolare, la situazione nella capitale era estremamente ostile. Khalifa al-Ghwell, primo ministro del governo di Tripoli - emanazione del General National Congress (GNC) - era appoggiato da una alleanza di milizie di Tripoli e Misurata, islamico-moderate, ma anche più radicali. Al-Ghwell minacciava di far arrestare Fayez Al Serraj, premier dell'unico esecutivo riconosciuto dalla Comunità internazionale, quello di unità nazionale, se fosse arrivato nella capitale libica. Al-Ghwell affermava di non aver intenzione di cedere i suoi poteri al governo Al-Serraj nato sotto l'egida delle Nazioni Unite, in quanto questo non aveva l'appoggio del parlamento di Tripoli (General National Congress - GNC), nato dalle prime elezioni libere della Libia nel 2012, ma sconfessato a livello internazionale.

Il 18 marzo Al-Serraj, parlando dall'emittente Al-Libya, ribadiva che "l'esecutivo sarà presto a Tripoli"; ciò doveva avvenire entro fine marzo - insisteva l'Inviato delle Nazioni Unite Martin Kobler - altrimenti la credibilità del nuovo esecutivo sarebbe svanita e si sarebbe dovuto riconvocare il Dialogo politico libico. Frattanto a Bengasi scendevano in piazza i simpatizzanti del generale Khalifa Haftar; a Tripoli, si registravano i primi scontri tra il «Fronte Samud» e le milizie favorevoli al governo Al-Serraj.

Il 13 marzo, in una riunione a livello ministeriale al Quai d'Orsay di Parigi, Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Stati Uniti ed Unione europea nella Dichiarazione finale qualificavano il governo di unità nazionale come il "solo governo legittimo in Libia", ribadendo la necessità che l'insediamento a Tripoli e il pacifico passaggio delle consegne, nonché la messa in funzione del quadro istituzionale previsto dall'Accordo di Skhirat, fossero implementati appena possibile. I partecipanti alla ministeriale di Parigi ricordavano inoltre la possibilità di comminare sanzioni contro gli individui che ostacolavano il processo politico, l'istituzione del governo di unità nazionale o l'attuazione dell'Accordo di Skhirat.

Il 30 marzo 2016 Fayez Serraj e altri sei membri del Consiglio presidenziale sbarcavano a Tripoli, presso la base navale di Abu-Seta, a bordo di una motovedetta libica partita da Sfax, in Tunisia. Lo sbarco avveniva pacificamente, sebbene in un clima di tensione nel quale il capo del governo di Tripoli Gwell aveva inizialmente messo in guardia Serraj dall'entrare a Tripoli, minacciando di farlo arrestare.

Quasi contemporaneamente, il 31 marzo, l'Unione europea - attraverso una procedura scritta - adottava sanzioni (congelamento dei beni e divieto di viaggio) contro tre esponenti libici accusati di ostacolare il governo di unità nazionale: due del governo di Tripoli - il premier Khalifa al-Ghwell e il presidente del Parlamento Nouri Abu Sahmain - e uno del governo di Tobruk - il presidente del Parlamento Aguila Saleh. Sempre il 31 marzo, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU adottava la Risoluzione n. 2278 (2016), che pone sotto il controllo del governo di unità nazionale il commercio del petrolio e le armi non soggette ad embargo.Il 20 aprile anche gli Stati Uniti imponevano sanzioni individuali contro Gwell.

Ai primi di aprile la Coalizione Alba Libica, che aveva sostenuto il Governo di Tripoli, si era ormai dissolta; pertanto, sia il Primo Ministro Gwell che il presidente del parlamento di Tripoli Nuri Abu Sahmain lasciavano la capitale. Serraj sembrava esser riuscito ad insediarsi, grazie al lavoro prima di intelligence e poi diplomatico che aveva portato dalla parte di Serraj le milizie di Misurata e le milizie islamiste tripoline di Abdel Hakim Belhadj. A questo punto, l'amministrazione Gwell rimaneva priva di appoggio, considerato anche che la stessa Fratellanza Musulmana libica era in buona parte favorevole ad una transizione verso il nuovo Governo Serraj.

Il governo Serraj incassava anche l'endorsement da parte di Ibrahim Jadran, potente capo delle Guardie Petrolifere - attive in Cirenaica e protettrici anche degli insediamenti dell'ENI in Tripolitania -, che dopo aver oscillato tra l'appoggio a Tobruk e a Misurata, prendeva le distanze dal generale Haftar riposizionandosi nel campo del nuovo governo di Tripoli. Anche la Banca centrale della Libia e la Compagnia nazionale petrolifera (Noc) riconoscevano l'autorità del Governo di unità nazionale.

Tuttavia, erano presenti a Tripoli almeno 41 milizie, di cui solo una parte aveva accettato il governo Serraj, mentre a Tobruk sembrava che il Generale Haftar si imponesse sempre più come figura determinante militarmente e politicamente.

Dopo quindici giorni dall'ingresso di Serraj a Tripoli, il Generale Serra, senior advisor del Rappresentante Speciale dell'ONU Martin Kobler per le questioni di sicurezza relative al dialogo in Libia, nell'audizione innanzi alle Commissioni Difesa congiunte di Camera e Senato (13 aprile 2016), definiva la situazione in Libia "calma, instabile e tesa".

Il processo di pacificazione ipotizzato dall'ONU prevedeva, come tappe successive, il voto di fiducia della Camera dei Rappresentanti di Tobruk al nuovo governo di unità nazionale; l'accordo tra il nuovo governo e la Banca centrale; l'unificazione delle compagnie petrolifere nazionali; la costruzione del nuovo Stato, tenendo conto della Sharia'a.

Il 25 aprile 2016 il Consiglio presidenziale di unità nazionale, in un "comunicato stampa", faceva appello alle Nazioni Unite e alla Comunità internazionale perché aiutassero la Libia a difendere le risorse petrolifere dai possibili attacchi di DAESH. In particolare si temevano possibili attacchi terroristici contro alcuni siti petroliferi offshore, per far fallire il progetto di riconciliazione nazionale. Si invitavano poi i paesi africani ed europei vicini a rafforzare la cooperazione con le autorità libiche e a intensificare i controlli alle frontiere.

Tale comunicato del governo Serraj - che doveva ancora riscuotere la fiducia del Parlamento di Tobruk – poteva preludere ad una richiesta formale di intervento militare internazionale per contenere l'espansione di DAESH, la quale era a sua volta già incalzata dall'offensiva del Generale Haftar sferrata a fine febbraio 2016 (che gli aveva consentito di riprendersi quasi tutta Bengasi dopo 2 anni, grazie anche al sostegno di truppe scelte francesi che hanno aiutato ad individuare i bersagli, mettendo il Generale nelle condizioni di controllare una zona di diverse centinaia di chilometri tra la mezzaluna petrolifera ed il confine egiziano).

A Bengasi le forze del Generale avevano riconquistato quasi l'intera città, espellendone gli uomini del Consiglio della Shura dei Rivoluzionari di Bengasi – coalizione che raggruppava Ansar Al-Sharia e i miliziani della Brigata Martiri del 17 febbraio e del Libyan Shield che fanno riferimento alla Fratellanza Musulmana. Numerose fonti affermavano che l'avanzata di Haftar avesse beneficiato di nuovi rinforzi in armi ed equipaggiamenti giunti dall'Egitto e del supporto di forze speciali francesi - che avrebbero curato la pianificazione delle operazioni ed agito anche come consiglieri sul terreno - nonché di forze speciali inglesi.

Con la riconquista di Bengasi, la posizione negoziale di Haftar e del suo braccio politico, il presidente del Parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, si irrigidiva: per alcune settimane Serraj era convocato direttamente al Cairo per i negoziati in cui si cercava di imporre una revisione totale degli equilibri in seno al governo (di unità nazionale) a favore di Haftar. Fallito questo tentativo, Saleh decideva di non far votare più il parlamento sulla fiducia a Serraj, e questo spingeva gli Occidentali alla sequenza di forzature ben note. Lo scenario di un'eventuale avanzata di Haftar sulla Mezzaluna di Sirte non poteva che preoccupare lo stesso Serraj e ciò potrebbe averlo spinto ad annunciare la richiesta di aiuto internazionale a difesa delle risorse petrolifere.

In effetti, la posizione del Generale Haftar si palesava sempre più forte, incontrando crescente sostegno internazionale anche nella Francia, che, se da un lato ufficialmente sosteneva Serraj, dall'altro aveva da tempo dispiegato forze speciali che operavano come pianificatori e consiglieri embedded con le forze di Haftar, e aveva inoltre stretto un'alleanza di ferro con Al Sisi, fatta di accordi commerciali e mega forniture militari.

Il ministro degli Esteri Gentiloni, durante il question time innanzi all'Assemblea del Senato del 28 aprile 2016, rispondendo ad alcuni quesiti sulle iniziative di Egitto e Francia nella crisi libica, affermava che Italia e Stati Uniti si sarebbero fatti promotori a breve di un rilancio del "concerto diplomatico a sostegno del governo Serraj". Per quanto concerne la linea dell'Italia, Gentiloni ribadiva il ruolo di leadership diplomatica che si esprime nell'obiettivo dellaa stabilizzazione di un paese unito, affinché esso si consolidi e possa gradualmente formulare richieste di aiuto, dapprima umanitarie, poi economiche e - quando sarà il momento - di sicurezza, cui l'Italia avrebbe risposto sulla base delle richieste libiche e della validazione delle Nazioni Unite.

Il capo della diplomazia italiana sottolineava l'importanza del fatto che le autorità libiche non apparissero manovrabili dall'esterno; in particolare, riguardo alle sfide di sicurezza, affermava la necessità di mettere le autorità libiche in condizione di sconfiggere l'Isis e di non scavalcare i libici: vi sarebbe stata in atto una competizione tra le fazioni libiche per chi arriva prima a Sirte.

Queste affermazioni del nostro Ministro degli Esteri erano suffragate all'inizio di maggio dalle notizie di scontri a sud di Sirte tra le milizie del generale Haftar e combattenti della coalizione Fajr Libya, alleata con le milizie di Misurata fedeli a Serraj: i combattimenti erano il risultato del mancato accoglimento dell'invito dello stesso Serraj a tutte le forze contrarie allo Stato islamico a fermare temporaneamente ogni azione militare in vista della formazione del comando unificato capace di coordinare l'attacco contro il "Califfato". La persistente divisione nel fronte libico si accompagnava inoltre a un perdurante stallo della questione fondamentale del voto favorevole del parlamento di Tobruk all'esecutivo di Serraj, precondizione assolutamente necessaria perché lo stesso Serraj potesse chiedere il sostegno internazionale, finalizzato tra l'altro anche alla lotta all'ISIS e al controllo dei movimenti migratori verso l'Europa.

Emergeva subito dopo come il generale Haftarr, lungi dal voler attendere il ricongiungimento delle proprie forze con quelle delle milizie di Misurata, che da ovest si avvicinavano anch'esse a Sirte, avesse impartito l'ordine diretto di un attacco alla città natale di Gheddafi per scacciarne l'ISIS.

Queste manovre, unitamente ai ripetuti dinieghi del presidente del Parlamento di Tobruk Aqila Saleh a far votare la fiducia all'esecutivo di Serraj, apparivano sempre più condizionate dall'incertezza del futuro ruolo del generale Haftar nel paese, la cui importanza evidentemente il generale tentava di accrescere forzando la mano sul terreno da un lato, e congelando sine die l'importantissima fiducia all'esecutivo di Serraj dall'altro.

In questa situazione le milizie dell'ISIS davano segnali di vitalità contrattaccando verso ovest e impadronendosi ad Abu Grein di un avamposto delle milizie di Misurata, a un centinaio di km. a est di questa città. Nei giorni successivi le truppe del "Califfato" proseguivano l'offensiva, tanto da costringere le autorità di Misurata a proclamare lo stato di emergenza.

Frattanto gli Stati Uniti imponevano il 13 maggio nuove sanzioni al presidente del Parlamento di Tobruk Aqila Saleh, per i ritardi che frapponeva alla possibilità di una transizione politica in Libia. La diplomazia italiana, dal canto suo, si attivava nei confronti della Russia per tentare di ottenere da Mosca, solido alleato dell'Egitto, una pressione sul generale Haftar, con l'obiettivo di sgomberare finalmente il campo dal suo ostruzionismo nei confronti di una piena legittimazione delll'Esecutivo di Serraj.

 


I più recenti sviluppi e l'intervento degli Stati Uniti contro le posizioni dell'ISIS a Sirte

Il 16 maggio si svolgeva a Vienna, fortemente voluta soprattutto da Italia e Stati Uniti, una conferenza con la partecipazione di 20 Stati, i quali firmavano una dichiarazione di pieno riconoscimento del governo di unità nazionale di Serrai, aprendo la strada all'alleggerimento dell'embargo sulle armi nei confronti degli attori positivi della ricostruzione dello Stato libico, nonché all'addestramento ed equipaggiamento delle nuove forze armate del paese, anche nel quadro di una strategia per il contrasto ai traffici di esseri umani - tra i firmatari vi erano infatti paesi di transito dei migranti, quali la stessa Libia, l'Egitto, il Ciad, il Sudan, la Tunisia, l'Algeria e il Niger. Il ministro degli Esteri Gentiloni sottolineava il grande valore politico della conferenza di Vienna, con il risultato del riconoscimento da parte della Comunità internazionale del Governo presieduto da Serraj. Lo stesso Gentiloni precisava come non fosse alle viste alcun intervento militare straniero in Libia, quanto piuttosto la disponibilità, anzitutto italiana, ad addestrare ed equipaggiare le forze militari libiche, inclusa la guardia costiera – nei confronti di quest'ultima erano ormai in fase avanzata i preparativi della missione europea EUNAVFOR-MED.

Dopo l'invio all'Alta Rappresentante europeo per la politica estera e di sicurezza Mogherini di una lettera del premier libico Serraj per richiedere l'assistenza europea nell'addestramento della marina, della guardia costiera e dei servizi di sicurezza della Libia; il 23 maggio i Ministri degli esteri europei estendevano di un anno – la formale decisione è stata però perfezionata il 20 giugno - il mandato dell'operazione EUNAVFOR-MED, aggiungendo all'iniziale missione di contrasto ai traffici illegali di esseri umani l'addestramento della marina e della guardia costiera libica, nonché un contributo alla messa in atto dell'embargo delle Nazioni Unite sugli armamenti diretti in Libia - per quest'ultimo compito, tuttavia, Federica Mogherini specificava la necessità di una successiva risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU, effettivamente adottata il 15 giugno. EUNAVFOR-MED, inoltre, pur restando operativamente al di fuori delle acque territoriali libiche, ha potuto estendere il proprio raggio d'azione a est, fino a coprire quasi l'intera costa della Libia.

Alla fine di maggio si profilava un'altra ipotesi di scontro tra il Governo di accordo nazionale progressivamente emergente dal Consiglio presidenziale guidato da Serraj e le autorità di Tobruk, stavolta in ordine alla stampa di 4 miliardi di dinari in banconote commissionata proprio da Tobruk alla Russia: queste banconote, con la firma del governatore insediato a Beida -e quindi nell'ambito dell'autorità di Tobruk - potevano rappresentare una ulteriore emancipazione da Tripoli, esautorando di fatto la Banca centrale libica, saldamente collegata al governo di accordo nazionale di Serraj. La crisi è stata superata con l'accettazione da parte di Tripoli delle nuove banconote, considerando probabilmente l'utilità della nuova massiccia immissione di contante in un paese che lamenta scarsa liquidità. Cionondimeno, è rimasto il vulnus, seppur solo iniziale, al monopolio della moneta da parte delle autorità libiche internazionalmente riconosciute.

Negli stessi giorni di fine maggio si palesava un completo rovesciamento della situazione militare: infatti, dopo che all'inizio di maggio le milizie del "Califfato" si erano spinte in direzione di Misurata, destando grande allarme nella città, alla fine del mese una controffensiva delle milizie alleate al governo di unità nazionale di Serraj conduceva all'annuncio di aver completamente capovolto la situazione, giungendo a soli 12 km. da Sirte - e ciò mentre l'annunciato attacco finale alla roccaforte dell'ISIS da parte delle truppe del generale Haftar sembrava invece ristagnare, addirittura trovandosi ancora a fronteggiare alcune sacche jihadiste nella città di Bengasi.

Tuttavia, nonostante lo sfondamento del 9 giugno delle difese dell'ISIS da parte di truppe corazzate del governo di unità nazionale - che facevano ingresso anche a harawa, 70 km. più a est nel territorio sotto controllo del "Califfato" -, dopo l'accerchiamento a tenaglia di Sirte da parte di forze terrestri coadiuvate da bombardamenti aerei e dallo spiegamento di mezzi navali; la strenua resistenza dei miliziani dello Stato islamico faceva sì che nel centro della città ancora alla fine di luglio proseguissero i combattimenti, senza che le truppe del governo nazionale riuscissero ad aver ragione della resistenza dei miliziani islamisti.

Sul piano diplomatico, va segnalato l'incontro del 27 maggio tra il ministro degli Esteri Gentiloni e il vicepremier libico Ahmed Mitig, durante il quale il capo della Farnesina ha assicurato piena collaborazione con il governo Serraj per il controllo delle frontiere.

Il 17 luglio un elicottero appartenente alle forze aeree sotto il comando del generale Haftar era abbattuto nei pressi di Bengasi dalle milizie islamiste locali: nei giorni successivi voci ricorrenti si spargevano sulla presenza a bordo di due cittadini francesi, membri delle forze speciali di Parigi: dopo una serie di dinieghi, lo stesso Presidente francese Hollande ammetteva la morte di suoi connazionali impegnati in rischiose missioni di intelligence nella parte orientale della Libia.

L'ammissione francese - che confermava le voci ricorrenti da mesi sulla presenza di forze speciali dei principali paesi occidentali già operanti in Libia - provocava vive proteste da parte di Serraj, secondo il quale le pur giuste ragioni della lotta contro il terrorismo non giustificano interventi di potenze straniere a insaputa delle autorità libiche. Inoltre vi sono state manifestazioni popolari di protesta contro la presenza francese in Libia, anche in considerazione del caos succeduto all'intervento internazionale del 2011, in cui la Francia ebbe il ruolo di punta.

L'episodio ha fatto poi affiorare ancor più chiaramente il sostegno francese al generale Haftar, poco coerente con le dichiarazioni ufficiali di sostegno al governo di unità nazionale libico da parte delle autorità di Parigi.

Il ristagnare dei combattimenti per strappare Sirte alle milizie del "Califfato" ha provocato infine, da parte del governo di Serraj, la richiesta di supporto militare agli Stati Uniti, che il presidente Obama ha approvato dietro raccomandazione del segretario alla difesa Ashton Carter. In tal modo il 1° agosto vi sono stati i primi raid aerei statunitensi contro obiettivi dell'ISIS a Sirte, che avrebbero provocato pesanti perdite. Lo stesso Serraj ha delimitato i confini dell'intervento aereo statunitense, richiesto nella sola area di Sirte, a tempo limitato e senza l'impiego di truppe sul terreno. Dal canto suo il generale al-Ghasri, portavoce delle milizie filogovernative, ha accusato gli oppositori dell'intervento americano di sostenere oggettivamente l'ISIS, le cui sofisticate armi possono essere colpite con efficacia solo da una tecnologia militare superiore, quale quella in possesso degli USA.

Dal canto suo il portavoce del Pentagono Peter Cook ha affermato che gli attacchi aerei di precisione andranno avanti fintantoché lo riterrà opportuno il governo libico riconosciuto, onde consentire alle truppe ad esso riferentisi una decisiva avanzata su Sirte. Non è mancato peraltro chi ha correlato il deciso intervento statunitense contro l'ISS in Libia alla delicata fase per il rinnovo della presidenza degli Stati Uniti. I repubblicani hanno peraltro adottato un'altra tattica, quella cioè di bloccare nel Congresso la votazione per l'autorizzazione all'uso della forza, tanto che il presupposto per l'ordine presidenziale lo si è dovuto cercare nell'autorizzazione a suo tempo rilasciata da Capitol Hill a George W. Bush per gli attacchi contro al-Qaida. Comunque, nonostante le proteste russe, il portavoce del Segretario generale dell'ONU ha comunicato che l'intervento USA in Libia appare coerente con la risoluzione 2259 del Consiglio di Sicurezza.

L'Italia ha valutato positivamente l'inizio dei bombardamenti americani su Sirte, inquadrati nelle iniziative per ridare stabilità e pace al popolo libico - come comunicato dalla Farnesina. Peraltro il 2 agosto il Ministro degli Esteri Gentiloni ha chiarito come il nostro Paese avrebbe valutato la possibilità di intervenire contro l'ISIS a Sirte, ovvero di mettere a disposizione degli alleati le basi italiane - richiesta peraltro a quel momento non pervenuta. In un colloquio telefonico diretto con Serraj, il Ministro Gentiloni ha assicurato la continuazione del sostegno italiano per riportare la Libia ad una situazione di stabilità, garantendo in ogni caso il sostegno umanitario e sanitario.

Il 3 agosto, intervenendo alla Camera dei deputati per il question time, la ministra della difesa Pinotti ha chiarito come il Governo italiano sia pronto a considerare di concedere l'utilizzo delle basi e degli spazi aerei nazionali a supporto dell'operazione statunitense, qualora ciò dovesse rivelarsi utile a una più rapida conclusione dell'azione in corso contro l'ISIS. Infatti, sempre secondo la Ministra Pinotti, per l'Italia l'eliminazione delle centrali terroristiche dell'ISIS in Libia è di fondamentale importanza, e va realizzata con il coinvolgimento diretto e attivo delle popolazioni e dei governi locali, fornendo, su loro richiesta, il necessario supporto anche militare. Secondo la Ministra, Il carattere circoscritto nel tempo e nel territorio dell'azione statunitense, finalizzata a sconfiggere le forze terroristiche nella zona di Sirte, e la sua piena coerenza con la risoluzione 2259 del Consiglio di sicurezza dell'ONU, favoriscono la positiva valutazione dell'Italia in ordine all'operazione e la disponibilità alla nostra partecipazione nelle forme che si riterranno più opportune.