Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea |
Titolo: | 'Contratti nel settore digitale per l'Europa - Sfruttare al massimo il potenziale del commercio elettronico' (Comunicazione (COM(2015)633) - 'Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale' (COM(2015)634) - 'Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita online e di altri tipi di vendita a distanza di beni' (COM(2015)635) |
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Esame di atti e documenti dell'UE Numero: 45 |
Data: | 15/02/2016 |
Camera dei deputati
XVII LEGISLATURA
Documentazione per le Commissioni
esame di atti e documenti dell’unione europea
“Contratti nel settore digitale per l'Europa - Sfruttare al massimo il potenziale del commercio elettronico”
(Comunicazione (COM(2015)633)
“Proposta
di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati
aspetti dei contratti
di fornitura di contenuto digitale”
(COM(2015)634)
“Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita online e di altri tipi di vendita a distanza di beni”
(COM(2015)635)
n. 45
15 febbraio 2016
Il dossier è stato curato dall’Ufficio rapporti con l’Unione europea
(' 066760.2145 - * cdrue@camera.it)
Il capitolo ‘Il quadro normativo nazionale’ è stato curato dal Servizio Studi, Dipartimento attività produttive (' 066760.9574 * st_attprod@camera.it)
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I N D I C E
Dati sull’e-commerce transfrontaliero
· Il mercato del commercio elettronico europeo
La proposta di direttiva sui contratti di fornitura di contenuto digitale (COM(634)2015)
Il quadro normativo nazionale (a cura del Servizio Studi)
· Esame presso altri Parlamenti nazionali
Tipo di atto |
Una Comunicazione e due Proposte di direttiva |
Data di adozione |
9 dicembre 2015 |
Base giuridica |
Articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) |
Settori di intervento |
Protezione del consumatore, contratti, mercato unico, commercio elettronico, tecnologia digitale |
Esame presso le istituzioni dell’UE |
Trasmissione al Consiglio e al Parlamento europeo il 9 dicembre 2015 |
Assegnazione |
La Comunicazione, già assegnata il 17 dicembre 2015 alla X Commissione (Attività produttive), in data 1° febbraio è stata assegnata alle Commissioni riunite IX (Trasporti) e X (Attività produttive) Le Proposte di direttiva sono state assegnate il 12 gennaio 2015 alle Commissioni riunite IX (Trasporti) e X (Attività produttive) |
Segnalazione da parte del Governo |
La Comunicazione è stata segnalata il 15 dicembre 2015 Le Proposte di direttiva sono state segnalate il 12 gennaio 2015 |
Lo
scorso 9 dicembre la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure
concernenti il commercio elettronico nell’ambito della Strategia per
il mercato unico digitale (COM(192)2015).
Si tratta delle prime iniziative emanate in attuazione della suddetta Strategia
e mirano a sfruttare appieno il potenziale del commercio elettronico. Il
pacchetto si compone di tre provvedimenti: una comunicazione (COM(633)2015), concernente i
contratti nel settore digitale, e due proposte di direttiva (COM(634)2015 e COM(635)2015), riguardanti, rispettivamente,
la fornitura di contenuti digitali e le vendite a distanza di
beni materiali.
Come preannunciato dalla Commissione, le proposte in questione saranno completate dalle altre misure contenute nella Strategia, quali quelle riguardanti gli oneri legati all’IVA, i servizi di consegna transfrontaliera dei pacchi, l’ammodernamento del quadro relativo al diritto d’autore, l’eliminazione dei geoblocchi e la revisione del regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori.
Il pacchetto di misure in esame si propone di trovare un giusto equilibrio fra il riconoscimento di un elevato grado di protezione dei consumatori a livello europeo e lo stimolo alle attività commerciali delle imprese attraverso una completa armonizzazione delle norme. In tal modo, si prevede, da un lato, di accrescere la fiducia dei consumatori nei confronti delle vendite online e, dall’altro, di garantire alle imprese certezza giuridica e minori costi per la gestione del commercio transfrontaliero.
Secondo
un’indagine condotta da Eurostat, pubblicata lo scorso 8 febbraio, in occasione
del Safer Internet Day, nel 2015 il 25% degli utenti di Internet nell'UE
ha sperimentato problemi legati alla sicurezza (virus, abuso di dati personali,
perdite finanziarie o accesso di bambini a siti web inappropriati).
Anche se il tasso è sceso rispetto al 2010, ciò ancora scoraggia alcuni consumatori
dall’effettuare acquisti online.
La percentuale più bassa si riscontra nella Repubblica Ceca (10%) e la più alta in Croazia (42%), mentre in Italia la percentuale è pari al 28%, di poco superiore alla media dell’UE.
Fonte: Eurostat
I dati di Eurostat illustrano, inoltre, che a livello UE, le preoccupazioni circa la sicurezza nel 2015 hanno scoraggiato il 19% degli utenti di Internet dal procedere ad un acquisto online, il 18% dall’utilizzo di servizi bancari online e il 13% dall’accesso tramite una connessione Wi-Fi al di fuori della propria abitazione.
Per quanto riguarda, invece,
la semplificazione del quadro giuridico, ad avviso della Commissione, essa
costituisce un presupposto fondamentale per le imprese ai fini della loro
competitività sui mercati digitali europei. Infatti, la diversità delle norme
nazionali di diritto contrattuale, secondo le stime riportate nella valutazione
di impatto che accompagna le proposte SWD(2015)275, genererebbe costi una tantum di circa 4
miliardi di euro per i dettaglianti che vendono ai privati, a carico
principalmente delle micro-e piccole imprese.
Nel dettaglio, i costi una tantum connessi al diritto contrattuale sostenuti dalle imprese per entrare nel mercato di uno Stato membro sono stimati in circa 9000 euro. L'impatto dei costi, tuttavia, può variare molto a seconda delle dimensioni dell’impresa e incide particolarmente sulle micro e piccole imprese con un fatturato più basso, come illustrato nella tabella riportata di seguito. Per esempio, la decisione di una microimpresa di esportare in quattro Stati membri comporterebbe costi pari a circa 36.000 euro, che superano il 10% del suo fatturato annuo.
Wholesale and retail trade |
||||||
Average annual turnover per firm |
Number of Member States entered (with transaction costs per Member State = €9,000) |
|||||
1 Member State |
2 Member States |
3 Member States |
4 Member States |
27 (EU) |
||
Micro |
358 439 |
2.51% |
5.02% |
7.53% |
10.04% |
67.79% |
Small |
6 333 525 |
0.14% |
0.28% |
0.43% |
0.57% |
3.84% |
Medium |
45 049 125 |
0.02% |
0.04% |
0.06% |
0.08% |
0.54% |
Large |
439 583 481 |
0.002% |
0.004% |
0.01% |
0.01% |
0.06% |
Fonte: Eurostat Structural Business Statistics 2012, SME Panel Survey
Negli ultimi anni il mercato del commercio elettronico europeo si è sviluppato molto rapidamente e potrebbe rappresentare uno dei principali motori della crescita dell’UE. Tuttavia, le potenzialità del settore non sono ancora sfruttate pienamente a causa dell’eccessiva frammentazione ancora esistente.
Dai dati forniti dalla Commissione europea, risulta che l'economia di Internet crea 2,6 posti di lavoro per ciascun posto di lavoro andato perduto nei settori "tradizionali" e amplia la scelta dei consumatori, anche nelle zone rurali o isolate. I risparmi realizzati grazie ai prezzi inferiori praticati online e alla più ampia scelta di prodotti e servizi disponibili sono stimati in 11,7 miliardi di euro, ossia lo 0,12% del PIL europeo. Se il commercio elettronico rappresentasse il 15% del commercio al dettaglio e se gli ostacoli al mercato interno fossero eliminati, i risparmi per i consumatori potrebbero toccare i 204 miliardi di euro, ossia l'1,7% del PIL europeo.
Secondo gli ultimi dati forniti da Eurostat, nel 2014, il 15% degli individui nell’Unione europea ha acquistato beni e/o servizi attraverso Internet da venditori al di fuori del proprio Paese di residenza, con un aumento considerevole del 25% rispetto al 2013. Le motivazioni principali del ricorso al commercio transfrontaliero sono state: prezzi competitivi e un’offerta maggiore di beni e servizi. Gli acquisti cross-border sono stati più elevati in Stati membri più piccoli con una limitata offerta interna online, come il Lussemburgo (65%) e Malta (39%), o in Stati con un legame regionale o linguistico forte con Stati confinanti, come l’Austria (40%), la Finlandia (36%), la Danimarca (36%) e il Belgio (34%). Il commercio elettronico cross-border è comunque cresciuto in misura significativa in quasi tutti gli Stati membri.
Per quanto riguarda l’Italia, pur registrandosi un tendenziale aumento a partire dal 2012, si evidenza che la percentuale raggiunta nel 2014 è pari al 9%, ben al di sotto della media dell’Unione europea, che è del 15%.
Per quanto concerne,
invece, l’impatto dell’e-commerce sull’economia europea, dai dati
riportati dalla Commissione, emerge che:
· la quota dell’Internet economy europea è pari al 2,45% del prodotto interno lordo dell’EU, una percentuale che si prevede si raddoppierà nel 2016 e quasi triplicherà nel 2020;
· i posti di lavoro direttamente o indirettamente connessi con l’economia digitale ammontano a circa 2,5 milioni e sono destinati a crescere;
· secondo i dati forniti dalle associazioni nazionali di commercio elettronico, i siti Internet di e-commerce alla fine del 2014 hanno raggiunto la cifra di circa 715.000, crescendo ad un ritmo del 15% per anno;
·
4 miliardi di pacchi sono
stati spediti in ambito nazionale e transfrontaliero.
Dal punto di vista dell’impatto sull’occupazione, secondo le stime della Commissione, livelli più elevati di attività economica dovrebbero avere un effetto positivo sui livelli di occupazione nell'UE: si presume che l'aumento permanente del PIL dell'UE di 4 miliardi di euro all'anno porterebbe ad un aumento netto dell'occupazione nell'ordine di grandezza di circa 60.000 posti di lavoro.
Nel contesto della valutazione d'impatto, la Commissione non ritiene possibile allocare gli effetti occupazionali stimati tra i diversi settori dell'economia. Tuttavia, essa suppone che un’ulteriore crescita delle vendite online potrebbe in qualche misura avere un effetto negativo sui “negozi fisici”. Questa, peraltro, è considerata una tendenza già riscontrata derivante dalla digitalizzazione e dalla diffusione di Internet. Infatti, secondo le stime riportate nella valutazione d’impatto, la rapida crescita delle vendite online avrebbe comportato una riduzione delle vendite in-store nel 2015 sia in Europa (-1,4%) sia negli Stati Uniti (-1,9%). Comunque, l’online continuerebbe ad essere solo un canale di distribuzione. Infatti, modelli di business multicanale o omni-canale sono sempre più applicati dalle imprese che operano online, così come nei negozi fisici.
Per quanto riguarda
segnatamente le ripercussioni sui livelli occupazionali, occorrerebbe valutare
anche quali sarebbero, per altro verso, i posti di lavoro che potrebbero venire
meno per effetto dell’espansione degli acquisti digitali transfrontalieri presso
imprese di altri Stati membri, anche in considerazione del differenziale di
sviluppo del mercato digitale.
In tema di consegna transfrontaliera dei pacchi, si evidenzia che, dai risultati della consultazione pubblica lanciata lo scorso giugno dalla Commissione europea, emerge che sia i venditori online che i loro potenziali acquirenti ritengono che i prezzi e le condizioni per la consegna dei pacchi rappresentino ancora un ostacolo agli acquisti online.
Uno studio della
Saint-Louis University, pubblicato dalla Commissione europea, mostra che le spese
per la spedizione transfrontaliera di un pacco possono essere anche cinque
volte più alte del loro equivalente nazionale. Il prezzo più alto, però,
non è legato al costo della consegna, quanto piuttosto ai ricarichi
dell’operatore: a titolo di esempio si cita il caso di un pacco del peso di 2
kg per il quale dall'Austria all'Italia le spese per la consegna del pacco sono
di 14 euro, mentre dall'Italia all'Austria le spese salgono a 25 euro.
Si segnala anche che le disfunzioni dell’e-commerce nel nostro Paese sono state di recente oggetto di indagine da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato per pratiche commerciali scorrette.
Le fattispecie in questione hanno riguardato prevalentemente ipotesi di mancata consegna del prodotto, in cui l’Autorità garante ha irrogato sanzioni pecuniarie per “informazioni relative alla disponibilità dei prodotti e ai tempi di consegna” e per “opposizione di ostacoli all’esercizio dei diritti contrattuali dei consumatori acquirenti”. In altri casi, sempre per mancata consegna del prodotto, l’AGCM ha disposto che l’impresa “sospendesse ogni attività diretta alla vendita di prodotti non disponibili”, comunicandone l’esecuzione all’Autorità, con la previsione di una sanzione amministrativa pecuniaria in caso di inottemperanza[1].
Il grafico seguente mostra immediatamente l’importanza del Regno Unito nel settore dell’e-commerce in termini di fatturato. La sua quota rappresenta, infatti, quasi un terzo dell’intero mercato del commercio elettronico europeo, mentre l’Italia si assesta soltanto al 3,1%. Da rilevare anche che insieme il Regno Unito, la Germania e la Francia raggiungono la quota del 60,2%.
La tabella seguente riporta, invece, i dati relativi al fatturato del commercio elettronico di beni e servizi nel 2014 di alcuni Paesi dell’UE, espresso in milioni di euro:
Italia |
13.278 |
Spagna |
16.900 |
Germania |
71.200 |
Regno Unito |
127.200 |
Francia |
56.800 |
Fonte: E-commerce Foundation
Secondo le stime di E-commerce Europe, citate dalla Commissione europea, la crescita dei mercati maturi si sta livellando; ciononostante il tasso di crescita complessivo a livello europeo si mantiene costante, soprattutto grazie alla rapida crescita dell’e-commerce nei Paesi dell’Est. Come risultato, la quota dei tre Paesi leader in Europa – il Regno Unito, la Germania e la Francia – pari al 60% dovrebbe decrescere gradualmente fino a circa il 55% nel 2016. Paesi come l’Italia e la Spagna sono ancora indietro rispetto ai tre Paesi leaders, ma si stima che nel prossimo futuro miglioreranno la loro quota di mercato. Fattori decisivi saranno: l’aumento di fiducia nella navigazione in Internet, una maggiore disponibilità di risorse e lo sviluppo di reti veloci e accessibili attraverso smartphones e tablets.
Tra tutti i Paesi coperti dal rapporto sopracitato, la Russia risulta quello con il tasso di crescita in termini di fatturato di e-commerce maggiore nel 2014, seguito da Ungheria, Polonia e Ucraina.
Dallo scoreboard dell’Agenda digitale europea, con cui la Commissione europea monitora i progressi compiuti dagli Stati membri in tale ambito, risulta che le imprese italiane sono ancora largamente non digitali e potrebbero trarre benefici dall’utilizzo dell’e-commerce. Infatti, solo il 5,1% delle piccole e medie imprese vende online e il fatturato dell’e-commerce per le imprese italiane è pari al 4,9% del fatturato totale.
L’Italia, inoltre, secondo il rapporto, ha una delle percentuali più basse di utenti Internet regolari nell’UE, pari al 59%, mentre il 31% della popolazione italiana non ha mai usato Internet. Sotto il profilo della fiducia nei confronti dell’e-commerce, si evidenzia che solo il 42% degli utenti di Internet fa uso di online banking e solo il 35% acquista online.
Segue una tabella che riporta i dati relativi all’e-commerce per le imprese con almeno 10 dipendenti, con l’esclusione del settore finanziario. I dati riguardano la percentuale delle imprese che vendono online (almeno 1% del fatturato) (fonte: Eurostat).
GEO/TIME |
2010 |
2011 |
2012 |
2013 |
2014 |
Germany |
22 |
20 |
22 |
22 |
23 |
Spain |
12 |
11 |
13 |
13 |
17 |
France |
12 |
11 |
11 |
11 |
12 |
Italy |
4 |
4 |
4 |
5 |
5 |
UK |
14 |
15 |
18 |
19 |
20 |
La tabella seguente reca, invece, i dati relativi all’e-commerce per quanto riguarda gli acquirenti. I dati si riferiscono alla percentuale dei consumatori che hanno effettuato un acquisto online negli ultimi 12 mesi (fonte: Eurostat).
GEO/TIME |
2010 |
2011 |
2012 |
2013 |
2014 |
Germany |
60 |
64 |
65 |
69 |
70 |
Spain |
24 |
27 |
30 |
32 |
37 |
France |
54 |
53 |
57 |
59 |
62 |
Italy |
15 |
15 |
17 |
20 |
22 |
UK |
67 |
71 |
73 |
77 |
79 |
Dai
dati risultanti dal Cross-border e-commerce Report 2014, richiamato
dalla Commissione europea, per quanto riguarda l’Italia, il commercio
elettronico risulta ancora non pienamente sviluppato.
Guidati dalla mancanza di disponibilità nel loro mercato nazionale, nel 2014, 16,8 milioni di persone, circa il 30% della popolazione italiana, hanno acquistato beni e servizi da siti web non italiani.
I consumatori italiani acquistano principalmente dal Regno Unito e dalla Germania.
Le esportazioni del mercato online non corrispondono alle importazioni, poiché solo una su quattro imprese italiane vende oltre frontiera; quelle che lo fanno vendono principalmente a Germania, Spagna e Regno Unito.
La
moda, il cibo e il turismo sono stati i settori leader
delle esportazioni di e-commerce transfrontaliero nel 2013,
mentre, per quanto riguarda le importazioni, il numero maggiore di
acquisti ha riguardato i biglietti aerei.
Per quanto concerne, invece, il commercio elettronico interno le categorie di beni più acquistate sono: elettronica, abbigliamento e calzature.
Il sito web di e-commerce con la quota di mercato più elevata in Italia è la piattaforma online non italiana eBay, con il 18,7%.
Per quanto riguarda invece i metodi di pagamento, i più utilizzati sono le carta di credito/debito e PayPal.
Si evidenzia che in Italia l’e-commerce sta prendendo forma soprattutto grazie all’enorme penetrazione della telefonia mobile, soprattutto di smartphone.
Oltre
un quinto della popolazione acquista tramite smartphone o tablet. Il
tasso di penetrazione della telefonia mobile è pari al 159%, uno
dei più alti in Europa, con un tasso di penetrazione degli smartphone
del 64,1% (in aumento del 23,5% dal 2012) e 38,4 milioni di
utenti. Il tasso di penetrazione dei tablet è invece pari al 19,6%,
in aumento del 5% dal 2012.
Anche il mobile e-commerce transfrontaliero è in crescita, con quasi un terzo degli acquisti online effettuati su un sito Internet non italiano, guidati soprattutto dalla mancanza di disponibilità nel mercato nazionale.
L’Italia è seconda soltanto al Regno Unito per il commercio online mobile nell’UE.
Uno degli ostacoli che le imprese incontrano nel commercio elettronico è rappresentato dalla necessità di conformarsi ai diversi regimi IVA degli Stati membri in cui esse operano. La Commissione stima che le imprese che vendono oltre frontiera sostengono costi di adeguamento ai diversi regimi pari ad almeno 5000 euro per ciascuno degli Stati membri in cui opera.
Nel 2015 ha avuto luogo un cambiamento importante per le imprese aventi sede nell’UE che vendono servizi elettronici a consumatori europei. Esse devono ora versare l’IVA al Paese di residenza dei loro clienti, anziché al Paese in cui hanno la loro sede centrale, ai sensi della direttiva 2008/8/UE sul luogo delle prestazioni di servizi (recepita in Italia con il decreto legislativo n. 42 del 2015). Le imprese, quindi, non potranno più beneficiare dei vantaggi fiscali connessi ad una regolamentazione più favorevole in uno degli Stati membri (come è avvenuto, ad esempio, in passato con il Lussemburgo). Tale modifica, che la Commissione prevede di estendere alle vendite online di beni materiali, comporta, peraltro, un consistente carico amministrativo per le imprese, chiamate non solo ad individuare la provenienza dei loro clienti, ma anche a conformarsi alle diverse regolamentazioni IVA dei singoli Stati membri.
Una proposta di direttiva della Commissione in materia di IVA applicabile al commercio elettronico è attesa entro la fine del 2016, che, tra le altre misure, dovrebbe estendere alle vendite online di beni materiali:
· le nuove regole in vigore dal 1° gennaio 2015 per tutti i servizi elettronici di telecomunicazione e di radiodiffusione, per i quali l’IVA è riscossa nel luogo in cui ha sede il cliente;
· il sistema elettronico di registrazione a pagamento, varato di recente per i servizi elettronici, sempre al fine di ridurre i costi e alleviare gli oneri amministrativi a carico delle imprese.
In merito, si osserva che uno dei maggiori ostacoli per il commercio online transfrontaliero sarebbe costituito dall’estrema diversificazione delle aliquote applicate dai singoli Stati membri, sulla cui armonizzazione peraltro non sono state annunciate misure specifiche.
Il mercato dei prodotti con contenuto digitale nell’UE è in rapida espansione. Si citano alcuni esempi:
· il settore delle applicazioni mobili è cresciuto sensibilmente negli ultimi cinque anni e, secondo le stime della Commissione, nel 2018 dovrebbe apportare all'economia dell'UE 63 miliardi di euro;
· nel 2013 i consumi stimati per il settore dei videogiochi sono stati pari a 16 miliardi di euro;
· nel settore musicale i ricavi del digitale rappresentano attualmente il 31% dei ricavi totali.
Allo stato attuale, tuttavia, non ci sono rimedi specifici a livello UE per difetti del prodotto con contenuto digitale. In particolare, non è tutelato il diritto dell'utente nei confronti del professionista quando i prodotti, ad esempio, non possono essere scaricati, sono incompatibili con altri hardware/software, non funzionano correttamente o addirittura danneggiano il computer.
Inoltre, l'utente non può incidere sul contenuto dei contratti relativi a detti prodotti, perché tali contratti sono di norma contratti per adesione. Il contratto potrebbe limitare il diritto dell'utente in caso di malfunzionamento del prodotto oppure escludere il diritto al risarcimento dell'utente qualora il prodotto abbia causato danni al computer.
I
contratti per la fornitura di prodotti a contenuto digitale possono anche avere
una qualificazione diversa nei vari Stati membri (contratti di servizio,
di locazione, di vendita), con la conseguente previsione di rimedi diversificati
a tutela del consumatore. Tutto ciò può ingenerare incertezza giuridica nelle
imprese riguardo ai loro obblighi e negli utenti in merito ai loro diritti.
Alcuni aspetti del diritto dei contratti relativi alla fornitura online di prodotti a contenuto digitale sono già disciplinati dal diritto dell'Unione. Ad esempio, la direttiva sui diritti dei consumatori 2011/83/UE prevede norme uniformi relative alle informazioni da fornire al consumatore prima della conclusione del contratto e il diritto del consumatore di recedere dal contratto in caso di ripensamento; la direttiva sulle clausole contrattuali abusive 93/13/CEE stabilisce norme in materia di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. Tuttavia, mancano norme dell'UE che regolamentino altri aspetti del diritto dei contratti relativi ai prodotti a contenuto digitale, in particolare i rimedi disponibili in caso di prodotto difettoso.
Di seguito si riportano alcuni dati estratti da un sondaggio condotto da TNS Political & Social, su richiesta della Commissione europea, sull’accesso transfrontaliero ai contenuti online.
I primi dati
riguardano la portabilità transfrontaliera degli abbonamenti. Il 20%
degli utenti Internet paga un abbonamento per accedere a contenuti digitali online.
Di questi il 17% ha provato ad accedere a contenuti online da un
altro Stato membro. Un numero molto limitato di utenti Internet (8%),
invece, ha provato ad accedere a contenuti online attraverso servizi
intesi per utenti di altri Stati membri, generalmente per contenuti audiovisivi
(5%).
Le ragioni principali che spingono alla ricerca di contenuti online generalmente intesi per utenti di altri Stati membri sono: l’indisponibilità nel proprio Paese (53%) e una scelta più ampia di contenuti (40%).
Complessivamente, il 56% di coloro che hanno provato ad accedere a contenuti online transfrontalieri ha incontrato difficoltà: in particolare il 27% non è riuscito ad accedere o a scaricare i contenuti desiderati. Di questi, il 16% ha dichiarato di essere stato reindirizzato alla versione nazionale del sito, mentre il 5% ha affermato che il metodo di pagamento utilizzato è stato respinto.
Al contrario, le ragioni principali per cui i consumatori europei non hanno provato ad accedere a contenuti online cross border sono: la mancanza di interesse in contenuti digitali (54%) e una scelta sufficiente nel proprio Paese (51%).
Di seguito si riporta una tabella che evidenzia la frequenza di accesso o di download di contenuti digitali, negli ultimi 12 mesi, attraverso servizi online intesi per utenti di altri Stati membri. Gli utenti Internet di Irlanda, Lussemburgo e Malta sono i frequentatori più assidui, mentre gli italiani si assestano su valori che vanno dallo 0 al 3% (Fonte: TNS Political & Social).
La
proposta di direttiva in esame ha lo scopo di armonizzare determinati
aspetti dei contratti di fornitura di contenuti digitali. La disparità tra
le norme nazionali di diritto contrattuale o la mancanza delle stesse in alcuni
Stati membri sono, infatti, tra i principali ostacoli allo sviluppo
dell’offerta di contenuti digitali.
In particolare, la proposta di direttiva reca alcune disposizioni sulla conformità del contenuto digitale, sui rimedi a disposizione dei consumatori in caso di difetto di conformità del contenuto digitale con le previsioni contrattuali e sulle modalità per l’esercizio di tali rimedi (articolo 1).
L’articolo 2 chiarisce cosa di intende per contenuto digitale:
· dati prodotti e forniti in formato digitale (registrazioni audio o video, applicazioni etc.);
· servizi che consentono la creazione, il trattamento o la memorizzazione di dati in forma digitale, forniti dal consumatore, ovvero la condivisione di dati forniti da altri utenti del servizio.
La proposta di direttiva non pregiudica le disposizioni nazionali relative ad aspetti che non sono disciplinati dalla stessa (ad esempio: norme sulla formazione e la validità dei contratti e sulla liceità del contenuto) e si applica a tutti i contenuti digitali, indipendentemente dal supporto utilizzato per la loro trasmissione (supporto durevole, download effettuato dal consumatore, trasmissione in streaming eccetera).
La direttiva non si applicherebbe, invece, ai contratti concernenti:
· servizi in cui l'intervento del fornitore costituisce una componente predominante e il formato digitale costituisce solo un vettore;
· servizi di comunicazione elettronica;
· servizi sanitari;
· servizi di gioco d'azzardo;
· servizi finanziari.
Non
vengono fatte differenziazioni in base alla natura della controprestazione.
I contenuti digitali, infatti, possono essere forniti anche in cambio di una controprestazione
non pecuniaria consistente nel consenso all’accesso a dati personali[2],
a meno che la richiesta di dati personali non sia strettamente necessaria ai
fini dell'esecuzione del contratto o del rispetto di obblighi di legge (articolo
3).
Per
quanto riguarda il trattamento dei dati personali, ad avviso della
Commissione, non vi sarebbe alcun impatto. Le norme previste sarebbero in piena
conformità con gli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali e con
l’attuale e futura legislazione europea sulla protezione dei dati, in
particolare con la direttiva 95/46/CE (che dovrebbe essere sostituita dal
futuro regolamento generale sulla protezione dei dati COM(2012)11). Le norme
contenute nella proposta di direttiva chiariscono gli obblighi contrattuali del
commerciante quando il contenuto digitale è fornito in cambio di una
controprestazione non pecuniaria (per esempio dati personali), ma non
stabilisce norme specifiche in materia di protezione dei dati personali.
Secondo la Commissione, le regole riguardanti il contenuto digitale fornito in
cambio dell’accesso a dati personali aumenterà la consapevolezza del valore
economico dei dati personali dei consumatori e contribuirà ulteriormente a una
migliore protezione.
A
riguardo, sembra comunque opportuno chiarire se si possa con certezza escludere
la configurabilità della pratica del cosiddetto profiling commerciale, ossia
dell’insieme delle attività che, attraverso l’elaborazione dei dati conferiti,
consentono all’azienda di “etichettare” il cliente, mediante operazioni di
classificazione basate sulla selezione dei suoi gusti e preferenze. Tale
condotta, infatti, si pone in aperto contrasto con la norma di cui all’articolo
23 del D.Lgs. n. 196/2003 in materia di privacy, che recita: “il consenso è
validamente prestato solo se è espresso liberamente e specificamente con
riferimento ad un trattamento chiaramente individuato”; anche se è da rilevare
che nell’ultima versione della proposta di regolamento sulla protezione dei
dati è previsto che il profiling possa essere oggetto di esplicito consenso
dell’interessato.
Inoltre, nell’ottica di una piena armonizzazione, la proposta di direttiva impedisce che gli Stati membri impongano ulteriori prescrizioni formali o sostanziali inerenti agli aspetti disciplinati, incluse quelle volte a garantire al consumatore un livello di tutela diverso, più o meno favorevole (articolo 4).
Al riguardo, possono essere avanzati dubbi sull’opportunità di una piena armonizzazione che escluda la possibilità che uno Stato membro possa adottare disposizioni di maggior tutela del consumatore. Si tratta peraltro di una tecnica già utilizzata dalla direttiva sui diritti dei consumatori 2011/83/UE sopracitata, che, nell’ottica della massima armonizzazione, all’articolo 4 (Livello di armonizzazione) prevede che: “Salvo che la presente direttiva disponga altrimenti, gli Stati membri non mantengono o adottano nel loro diritto nazionale disposizioni divergenti da quelle stabilite dalla presente direttiva, incluse le disposizioni più o meno severe per garantire al consumatore un livello di tutela diverso”.
In merito, si tratta di chiarire se l’armonizzazione integrale possa comportare un progresso ovvero un arretramento rispetto agli standard attualmente assicurati.
La fornitura del contenuto digitale può avvenire a favore del consumatore o anche di un terzo che lo mette a disposizione del consumatore (articolo 5) e il contenuto digitale deve corrispondere alle caratteristiche previste dal contratto (funzionalità, interoperabilità, accessibilità, continuità e sicurezza) ed essere idoneo e aggiornato.
Qualora il contratto non stabilisca in modo chiaro e completo i requisiti del contenuto digitale, quest’ultimo deve corrispondere alle finalità di un contenuto digitale dalle medesime caratteristiche, tenendo conto della controprestazione, di eventuali norme tecniche internazionali esistenti e di qualsiasi dichiarazione pubblica resa dal fornitore o da altre persone a monte della catena di operazioni commerciali. Il contenuto digitale, inoltre, deve essere conforme al contratto per l'intero periodo previsto e deve essere fornito nella versione più recente disponibile, se non concordato diversamente (articolo 6).
Nel caso di integrazione errata del contenuto digitale nell’ambiente digitale del consumatore, si prevede che sussista difetto di conformità del contenuto digitale se quest’ultimo è stato integrato dal fornitore oppure, nell’ipotesi di integrazione eseguita dal consumatore, se l'errata integrazione è dovuta a una carenza di istruzioni (articolo 7).
Il contenuto digitale fornito al consumatore è libero da qualsiasi diritto di terzi, inclusi quelli basati sulla proprietà intellettuale (articolo 8). L’onore della prova riguardo alla conformità del contenuto digitale al contratto è a carico del fornitore, a meno che quest’ultimo non dimostri che l'ambiente digitale del consumatore non è compatibile con i requisiti tecnici del contenuto digitale e il fornitore abbia informato il consumatore di tali requisiti prima della conclusione del contratto. Qualora, però, il consumatore non collabori con il fornitore nella definizione del proprio ambiente digitale, l'onere della prova è a carico del consumatore (articolo 9)
Il fornitore è responsale nei confronti del consumatore per la mancata fornitura del contenuto digitale e per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della fornitura e per tutto il periodo prestabilito (articolo 10). In caso di omissione del fornitore nel conferire il contenuto digitale conforme, il consumatore ha il diritto di recedere immediatamente dal contratto (articolo 11).
Nell’ipotesi di difetto di conformità del contenuto digitale, il consumatore ha diritto al ripristino della stessa, senza spese e entro un periodo di tempo ragionevole, salvo che sia impossibile, sproporzionato - in quanto comporta costi irragionevoli - o illegale.
Al
contempo, il consumatore ha diritto a una riduzione del prezzo proporzionale
alla diminuzione di valore del contenuto digitale o di recedere dal
contratto se il ripristino è impossibile, sproporzionato o illegale, se non
è stato eseguito dal fornitore entro un periodo ragionevole o potrebbe arrecare
un disagio notevole al consumatore, nonché nel caso in cui il fornitore abbia
dichiarato che non procederà al ripristino. Il consumatore può recedere dal
contratto solo se il difetto di conformità compromette la funzionalità,
l'interoperabilità, l'accessibilità, la continuità e la sicurezza del contenuto
digitale; l’onere della prova contraria è a carico del fornitore
(articolo 12).
Nell’eventualità
che il consumatore receda dal contratto, il fornitore deve:
· rimborsare al consumatore il prezzo pagato entro 14 giorni dal ricevimento della comunicazione di recesso;
· astenersi dall'uso della controprestazione non pecuniaria eseguita dal consumatore e fornire al consumatore gli strumenti tecnici per recuperare tutti i contenuti forniti.
Per quanto concerne, invece, gli obblighi a carico del consumatore in caso di recesso, questi deve astenersi dall'utilizzare il contenuto digitale, cancellandolo o rendendolo incomprensibile, e, se il contenuto è stato fornito su un supporto durevole, su richiesta e a spese del fornitore, deve restituirlo entro 14 giorni dal ricevimento della richiesta (articolo 13).
È fatto salvo il diritto del consumatore al risarcimento di qualsiasi danno economico al proprio ambiente digitale causato da un difetto di conformità o dall’omessa fornitura del contenuto digitale (articolo 14).
La proposta di direttiva regola anche le ipotesi e le forme in cui il fornitore può apportare modifiche al contenuto digitale laddove la fornitura sia prevista per un determinato periodo di tempo (articolo 15). Se la durata del contratto è indeterminata o superiore a 12 mesi, inoltre, il consumatore ha il diritto di recedere dal contratto in qualsiasi momento dopo la scadenza del primo periodo di 12 mesi (articolo 16).
È contemplato, poi, un diritto di regresso del fornitore quando la sua responsabilità nei confronti del consumatore derivi da un atto o da un'omissione di una persona a monte della catena di operazioni commerciali. In tal caso, il fornitore ha il diritto di agire nei suoi confronti, con le azioni e le modalità determinate dal diritto nazionale (articolo 17).
L’articolo 19 esclude la vincolatività per il consumatore di qualsiasi clausola contrattuale che, a danno dello stesso, escluda o limiti l’applicazione delle misure nazionali di recepimento della direttiva in esame.
Infine, la proposta di direttiva prevede che gli Stati membri la recepiscano entro due anni dalla sua entrata in vigore (articolo 21) e che la Commissione europea, entro cinque anni dall’entrata in vigore, la riesamini e presenti una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio, considerando l'opportunità di includere nella disciplina i contratti di fornitura di contenuto digitale che abbiano come controprestazioni la pubblicità o la raccolta indiretta di dati (articolo 22).
La Commissione afferma che la proposta si basa sull'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, concernente le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno.
La Commissione afferma che la proposta è conforme al principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 5 del trattato sull'Unione europea, in quanto gli obiettivi della proposta non possono essere adeguatamente realizzati dagli Stati membri. Considerato, infatti, che l’obiettivo generale dell'iniziativa è eliminare le barriere legate al diritto contrattuale nell'ambiente online, gli Stati membri non sarebbero sufficientemente in grado di rimuovere gli ostacoli esistenti tra le legislazioni nazionali, mentre un'iniziativa a livello dell'Unione potrebbe meglio conseguire tale obiettivo.
La Commissione afferma che la proposta è conforme al principio di proporzionalità sancito dall'articolo 5 del Trattato sull'Unione europea, poiché si limita a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi. La proposta, infatti, non intende armonizzare tutti gli aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale, ma verte solo sull'armonizzazione dei diritti contrattuali mirati alle transazioni commerciali transfrontaliere online al fine di rimuoverne gli ostacoli. Inoltre, la scelta della forma giuridica della direttiva anziché del regolamento consente di limitare l'interferenza nel diritto nazionale, lascia agli Stati membri la libertà di adattarne l'attuazione nel diritto nazionale.
Dai dati citati dalla Commissione risulta che nel 2014 il 50% dei consumatori dell'UE ha fatto acquisti online, a fronte del 30% nel 2007, con un tasso medio di crescita annuale del 22%. Le vendite al dettaglio online di beni materiali hanno superato i 200 miliardi di euro nel 2014, raggiungendo una quota pari al 7% delle vendite al dettaglio complessive nell'UE.
Come
per i contenuti digitali, alcuni aspetti del diritto dei contratti relativi
agli acquisti online di beni materiali da parte dei consumatori sono già
stati oggetto delle sopracitate direttive sui diritti dei consumatori e sulle
clausole contrattuali abusive. Contrariamente ai contenuti digitali,
inoltre, i rimedi in caso di beni materiali difettosi sono oggetto di specifica
disciplina europea (la direttiva sulla vendita e sulle garanzie dei beni di
consumo 1999/44/CE). Tuttavia,
tale armonizzazione fissa solo norme minime, pertanto gli Stati membri possono
prevedere norme di maggior tutela per i consumatori. Molti Stati membri si sono
avvalsi di questa possibilità in merito ad aspetti diversi e in misura diversa.
La presente proposta di direttiva mira, quindi, ad armonizzare le norme dell'Unione europea applicabili alla vendita online e agli altri tipi di vendita a distanza di beni che sono ancora oggetto di difformità tra gli Stati membri. Infatti, mentre le norme riguardanti gli obblighi di informativa precontrattuale, il diritto di recesso e le condizioni di consegna sono state pienamente armonizzate, altri elementi contrattuali essenziali a tutela del consumatore - quali i criteri di conformità, altri rimedi, oltre al recesso, e le modalità per il loro esercizio in caso di non conformità del bene al contratto - sono regolati in termini parzialmente differenti dagli Stati membri. A giudizio della Commissione europea, le varie differenze nazionali costituiscono un ostacolo ad un'efficace tutela dei diritti dei consumatori, che non fidandosi del commercio elettronico transfrontaliero, optano per l'acquisto entro il territorio nazionale disponendo pertanto di una gamma più limitata di beni a prezzi meno competitivi.
La
proposta in esame prevede quindi la piena armonizzazione degli elementi
sopra citati, vietando agli Stati membri di adottare o mantenere
disposizioni legislative meno severe o più severe rispetto a quelle previste
(articolo 3).
Si applica ai contratti di vendita di beni a distanza tra venditori e consumatori, con l’esclusione dei contratti di fornitura di servizi. Qualora il contratto di vendita disciplini sia la vendita di beni che la fornitura di servizi, le misure proposte si applicheranno solo alla parte relativa alle vendita di beni (articolo 1).
Al fine di chiarire ciò che il consumatore può aspettarsi dal bene e ciò di cui il venditore è responsabile nel caso in cui il bene consegnato non corrisponda alle aspettative, la proposta procede all'armonizzazione delle norme sulla conformità al contratto, fissando i criteri che il bene deve soddisfare a tale scopo. In particolare, il bene dovrà soddisfare tutti i requisiti stabiliti nel contratto, corrispondendo alla qualità, alla quantità e alla descrizione contrattuale e precontrattuale. Inoltre, dovrà essere idoneo ad usi speciali richiesti dal consumatore e garantiti dal venditore al momento della conclusione del contratto (articolo 4).
Oltre ai suddetti requisiti, la proposta fissa anche una serie di ulteriori requisiti che costituiscono gli standard abitualmente attesi da un bene: essere idoneo a tutti gli scopi per i quali di norma si impiegano i beni con le stesse caratteristiche; essere consegnato con gli accessori - compreso l'imballaggio - le istruzioni per l'installazione o altre istruzioni che il consumatore si attende; possedere la qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo (articolo 5).
Poiché la maggior parte dei beni prima dell'utilizzo da parte del consumatore necessita di essere installata, la proposta specifica che qualsiasi difetto di conformità causato da un'imperfetta installazione del bene deve essere considerato difetto di conformità al contratto quando essa rientra nella responsabilità del venditore (articolo 6).
Al fine poi di garantire al consumatore di godere del bene conformemente al contratto, viene stabilito che il bene deve essere libero da qualsiasi diritto di terzi, inclusi quelli basati sulla proprietà intellettuale (articolo 7).
Al riguardo, non è chiaro come si possa applicare tale disposizione con riferimento ai beni per i quali vigono regimi a tutela della proprietà intellettuale (ad esempio libri, dischi, soggetti al diritto d’autore, oppure oggetti di design protetti da brevetti o marchi).
La proposta provvede ad indicare chiaramente il momento rilevante ai fini della valutazione della conformità del bene al contratto, affinché si configuri la responsabilità del venditore per inadempimento. Tale momento coincide con il momento in cui il consumatore, o un terzo da lui designato, acquisisce il possesso fisico del bene o quando esso è consegnato ad un vettore scelto dal consumatore per il trasporto, quando questi non sia proposto dal venditore. La proposta chiarisce che, nei casi in cui è prevista l'installazione, quando questa avviene sotto la responsabilità del venditore, il consumatore acquisisce il possesso fisico bene al momento in cui l'installazione è terminata. Quando invece il bene deve essere installato dal consumatore, questi acquisisce il possesso fisico del bene allo scadere di un lasso di tempo ragionevole per effettuare l'installazione e comunque non oltre 30 giorni dal momento in cui ottiene il controllo del bene. Un elemento di novità rispetto alla direttiva 1999/44/CE è rappresentato dal fatto che non è più previsto l'obbligo per il consumatore di denunciare il difetto del bene entro due mesi e che l'onere a carico del venditore di provare l'assenza di difetti di conformità si estende ad un periodo di due anni, in luogo dei sei mesi attuali (articolo 8).
Si
può in proposito segnalare l’opportunità di valutare se la modifica
prospettata, che sposta interamente sul venditore l’onere della prova, sia
suscettibile di ingenerare una condizione di incertezza quanto agli obblighi a
carico del venditore stesso, tale da disincentivare le vendite a distanza,
compromettendo in tal modo l’obiettivo di promuovere lo sviluppo del commercio transfrontaliero
e alimentando, nel contempo, la crescita del contenzioso giudiziario.
Per quanto concerne i rimedi del consumatore per difetto di conformità al contratto, la proposta prevede una gerarchia di opzioni che, nell'ordine, comprendono la riparazione o sostituzione del bene, in un lasso di tempo ragionevole e senza inconvenienti per il consumatore e - ove ciò non fosse possibile o non realizzabile in un tempo ragionevole - la riduzione proporzionale del prezzo e la risoluzione del contratto. Inoltre, la proposta sancisce il diritto del consumatore di rifiutare di pagare qualsiasi parte del prezzo non ancora versata finché il venditore non avrà ripristinato la conformità del bene (articolo 9).
Nel caso di sostituzione del bene, la proposta impone al venditore l'obbligo di riprendere possesso del bene sostituito a proprie spese. Il consumatore non dovrà pagare per l'uso fatto di tale bene prima della sostituzione (articolo 10).
La proposta specifica poi che il consumatore può scegliere tra riparazione e sostituzione purché il rimedio scelto non sia impossibile o illecito o non comporti dei costi sproporzionati per il venditore (articolo 11).
Nel caso in cui sussistano le condizioni per la risoluzione del contratto, ad esempio quando il venditore non ripara o sostituisce un bene entro un termine ragionevole, il testo chiarisce innanzitutto che, se sono consegnati più beni, questa opzione potrà essere esercitata solo per quelle parti del contratto che si riferiscono ai beni non conformi. Differentemente da quanto previsto dalla direttiva 1999/44/CE, il consumatore può decidere di risolvere il contratto anche per difetti di lieve entità.
Il consumatore potrà comunicare al venditore l'intenzione di rescindere dal contratto mediante qualsiasi mezzo; sembra, quindi, di potersi dedurre che non sia richiesta la forma scritta. Il rimborso delle spese da parte del venditore avverrà entro 14 giorni dal ricevimento di detta comunicazione e il consumatore dovrà restituire il bene entro 14 giorni dall'invio della stessa. Se la restituzione del bene è impossibile a causa della sua distruzione o perdita, il consumatore dovrà pagare il valore monetario del bene distrutto (articolo 13). Il termine per il diritto ai rimedi previsti è di due anni dal momento rilevante per la determinazione della conformità (articolo 14).
Circa le garanzie commerciali, la proposta specifica che queste vincolano giuridicamente il garante secondo quanto stabilito nelle informazioni precontrattuali, nella pubblicità e nella dichiarazione di garanzia. La dichiarazione di garanzia dovrà rispettare alcuni obblighi di trasparenza in termini di forma e contenuto. In particolare, dovrà essere messa a disposizione su un supporto durevole e in un linguaggio comprensibile e dovrà contenere alcuni precisi elementi (dichiarazione chiara sui diritti legali del consumatore e informazioni su come avvalersi della garanzia commerciale). In caso di difformità delle condizioni indicate nella pubblicità rispetto a quelle contenute nella dichiarazione di garanzia, la proposta precisa che prevalgono quelle più vantaggiose per i consumatori. Agli Stati membri è lasciata la facoltà di stabilire norme aggiuntive sulle garanzie commerciali purché non pregiudichino il livello di protezione previsto dalla direttiva (articolo15).
La proposta prevede poi un diritto di regresso nel caso in cui il difetto di conformità al contratto di cui il venditore risulta responsabile è causato da un soggetto operante nei precedenti anelli della catena di transazioni commerciali. In tal caso, il venditore potrà rivalersi su tale persona secondo le modalità stabilite dagli Stati membri (articolo 16).
La proposta lascia, inoltre, agli Stati membri l'obbligo di garantire che esistano i mezzi adeguati ed efficaci per l'osservanza delle disposizioni previste dalla direttiva (articolo 17).
Gli Stati membri dovranno recepire la direttiva entro due anni dalla sua entrata in vigore (articolo 20), che avverrà il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione (articolo 21).
La Commissione afferma che la proposta è conforme al principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 5 del Trattato sull'Unione europea. L’obiettivo dell'iniziativa di eliminare le barriere legate al diritto contrattuale che ostacolano gli scambi online non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri. Le norme sulla vendita di beni di cui alla direttiva 1999/44/CE sono di armonizzazione minima e consentono un'attuazione diversificata da parte degli Stati membri. La frammentazione giuridica che ne è derivata può essere risolta solo con un intervento coordinato a livello di UE.
La Commissione afferma che la proposta è conforme al principio di proporzionalità sancito dall'articolo 5 del Trattato sull'Unione europea, poiché si limita a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi. La proposta, infatti, non intende armonizzare tutti gli aspetti dei contratti di vendita online, ma si concentra sull'ulteriore armonizzazione solo dei diritti contrattuali essenziali dei consumatori per le transazioni commerciali transfrontaliere online che sono stati identificati come barriere al commercio. Inoltre, la scelta della forma giuridica della direttiva, in luogo del regolamento, limiterà notevolmente l’interferenza nel diritto nazionale.
Il Codice del consumo (D.Lgs. 206/2005) all'articolo 68 rinvia al decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70 (recante attuazione della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno) per la disciplina sulle offerte di servizi della società dell'informazione, effettuate ai consumatori per via elettronica.
Il commercio elettronico (come definito nella Comunicazione della Commissione europea "Un'iniziativa europea in materia di Commercio Elettronico" COM(97)157), consiste nello svolgimento per via elettronica di attività commerciali di varia natura (commercializzazione di beni e servizi, distribuzione di contenuti digitali, effettuazione di operazioni finanziarie e di borsa, appalti pubblici ed altre procedure di tipo transattivo delle pubbliche amministrazioni). Esso non si esaurisce nella semplice transazione, ma può abbracciare anche altre fasi e aspetti del rapporto: ricerca ed individuazione dell'interlocutore, trattativa e negoziazione, adempimenti e scritture formali, pagamenti, consegna del bene acquistato o venduto.
Uno dei cardini del programma di azione e-Europe è rappresentato dalla direttiva 2000/31/CE adottata con l'obiettivo di favorire la libera circolazione e lo sviluppo dei "servizi della società dell'informazione", vale a dire delle "attività economiche svolte in linea (online)" - con particolare riferimento al commercio elettronico. La direttiva 2000/31/CE è stata recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 70 del 9 aprile 2003 in attuazione della delega al Governo contenuta nell'articolo 31 della legge 1° marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001) e nel rispetto dei principi e secondo le procedure definite dalla stessa legge comunitaria, con l'obiettivo principale di eliminare gli ostacoli che limitano lo sviluppo del commercio elettronico, nonché la promozione della libera circolazione dei servizi legati alla società dell'informazione.
Con riferimento a questi ultimi, il Ministero delle attività produttive, richiamandosi al considerando 17 della direttiva citata, in una circolare del 7 luglio 2003 (n. 3561/C) ha precisato che per "servizi della società dell'informazione" devono intendersi le attività economiche svolte on-line e qualsiasi altro servizio prestato dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica (mediante apparecchiature elettroniche di elaborazione - compresa la trasmissione digitale - e di memorizzazione di dati) e a richiesta individuale di un destinatario di servizi (vale a dire la persona fisica o giuridica che utilizzi il servizio della società di informazione).
Il decreto legislativo n. 70/03 interviene, in conformità alla direttiva, nei seguenti settori:
· la disciplina giuridica dello stabilimento dei prestatori di beni o servizi della società dell'informazione;
· il regime delle comunicazioni commerciali; la disciplina dei contratti per via elettronica;
· la responsabilità degli intermediari,
· i codici di condotta;
· la composizione extragiudiziaria delle controversie,
· i ricorsi giurisdizionali e la cooperazione tra Stati membri.
In via preliminare, occorre ricordare che l'articolo 1 del decreto legislativo, nell'enunciare le finalità del provvedimento, fa espressamente salva l'applicazione delle disposizioni sulla tutela della salute pubblica e dei consumatori e la normativa in materia di ordine pubblico, riciclaggio e traffici illeciti. Fa salva, altresì, la disciplina in materia bancaria, finanziaria, assicurativa e dei sistemi di pagamento, nonché le funzioni di vigilanza e controllo, di competenza degli organi di polizia.
Tra le materie escluse dal campo di applicazione del provvedimento si segnalano: gli aspetti fiscali del commercio elettronico; le questioni relative alla tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche e, in particolare, del diritto alla vita privata, con specifico riguardo al trattamento dei dati personali nel settore delle telecomunicazioni; le intese restrittive della concorrenza; le prestazioni di servizi effettuate da soggetti stabiliti in Paesi non appartenenti allo spazio economico europeo; le attività dei notai o di altre professioni equivalenti, nella misura in cui implicano un nesso diretto e specifico con l'esercizio dei pubblici poteri; la rappresentanza e la difesa processuali; i giochi d'azzardo, ove ammessi, che implicano una posta pecuniaria in giochi di fortuna, comprese le lotterie e le scommesse.
Due i principi di ordine generale stabiliti dalla direttiva: l'assoggettamento dei servizi della società dell'informazione al diritto nazionale dello Stato membro di stabilimento del prestatore e il divieto di limitazione di libera circolazione dei servizi provenienti da un altro Stato, sono recepiti dall'articolo 3.
Per accedere all'attività di servizi della società dell'informazione il prestatore di servizi deve fare riferimento alla disciplina e all'ambito dell'attività del Paese in cui è stabilito; pertanto, le attività economiche online costituenti servizi forniti da un prestatore stabilito all'interno del territorio italiano soggiacciono, oltre che alle norme dettate dal decreto legislativo in commento, anche alle disposizioni nazionali applicabili all'ambito regolamentato. Queste, a loro volta, non possono limitare la libera circolazione dei servizi online provenienti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro a meno che non si versi in una delle materie tassativamente escluse da queste disposizioni (diritto d'autore, emissione di moneta elettronica, attività assicurativa ecc.) (articolo 4).
Ancora in deroga al principio della libera circolazione dei servizi il decreto legislativo (articolo 5) consente l'adozione, da parte dell'autorità giudiziaria, di specifici provvedimenti limitanti la circolazione dei servizi provenienti da un altro Stato membro. Indicano, altresì, in quali casi e a quali condizioni l'obbligo di non creare ostacoli alla libera circolazione dei servizi della società dell'informazione possa essere derogato. Si tratta, in questo caso, di deroghe di carattere generale dovute a motivi di ordine pubblico, di tutela della salute pubblica, di pubblica sicurezza e di tutela dei consumatori. I provvedimenti di salvaguardia degli interessi lesi possono essere adottati a condizione che siano necessari e proporzionati.
In caso di controversie riguardanti il prestatore stabilito (colui che offre i servizi attraverso una installazione stabile e per un tempo indeterminato) si applicano le disposizioni del regolamento CE n. 44/2001 del Consiglio dell'Unione Europea del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento, l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Sono previste deroghe ai suddetti principi.
Nel decreto viene ribadito il principio introdotto dalla direttiva 2000/31/CE (articolo 4) in ordine al regime di stabilimento, in base al quale l'accesso all'attività di prestazione dei servizi della società dell'informazione non può essere subordinato ad alcuna forma di autorizzazione preventiva.
La citata circolare del Ministero delle attività produttive al riguardo precisa che si continua ad applicare la disciplina di cui all'articolo 18 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, che prevede una preventiva comunicazione all'autorità competente e la facoltà di avviare l'attività una volta decorsi 30 giorni dal ricevimento della comunicazione.
Gli articoli 7, 8, 9, 10 e 12 del decreto legislativo definiscono gli obblighi posti a carico delle persone che forniscono servizi della società dell'informazione in ordine a:
· fornitura delle informazioni di base sul servizio ai destinatari di questo e alle autorità competenti (articolo 7);
· specifica evidenziazione del carattere commerciale delle comunicazioni, quando questo ricorra, tipicamente nel caso di offerte, concorsi o giochi promozionali (articolo 8);
· specifica evidenziazione, per le comunicazioni commerciali non sollecitate trasmesse per posta elettronica, della loro natura e della facoltà per il destinatario di opporsi al ricevimento, in futuro, di analoghe comunicazioni (articolo 9);
· conformità dell'uso delle comunicazioni commerciali da parte di appartenenti a professioni regolamentate alle relative regolamentazioni in materia di deontologia professionale (articolo 10);
· fornitura delle informazioni tecniche preordinate alla conclusione del contratto (articolo 12).
Si tratta, innanzitutto, di obblighi di carattere informativo.
Le informazioni fondamentali e obbligatorie che il prestatore deve mettere a disposizione in modo diretto, permanente e facilmente accessibile ai potenziali clienti ed alle autorità competenti, in aggiunta agli obblighi informativi previsti per specifici beni o servizi sono previste a garanzia di una adeguata informazione e di tutela a favore del destinatario del servizio.
Il fornitore ha l'obbligo di informare il consumatore sui dati identificativi del fornitore, sulle caratteristiche essenziali del bene o del servizio offerto e del loro costo, nonché delle modalità di pagamento e di consegna del bene o più in generale di esecuzione del contratto. L'informazione obbligatoria va fornita in modo chiaro e comprensibile e con ogni mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione impiegata, osservando, in particolare, i principi di lealtà in materia di transazione commerciale. La norma specifica che l'obbligo di registrazione della testata editoriale telematica vale solo per le attività per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001, n. 62[4], o comunque ne facciano specifica richiesta.
Per esigenze di trasparenza e tutela dei consumatori è, inoltre, prevista una specifica e stringente informativa in caso di "comunicazione commerciale" vale a dire destinata, in modo diretto o indiretto, alla promozione di beni, servizi o immagine di un'impresa, di un'organizzazione o di un soggetto che esercita un'attività economica che costituisce un servizio della società dell'informazione.
Per evitare intrusioni nella vita privata il decreto stabilisce anche che le comunicazioni commerciali non sollecitate, trasmesse da un prestatore per posta elettronica, devono essere chiaramente identificate come tali fin dal momento in cui il destinatario le riceve e devono indicare la facoltà di opporsi in futuro al loro ricevimento in futuro.
Sono comunque fatti salvi gli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia di protezione dei consumatori nei contratti a distanza e di tutela della vita privata nel settore delle telecomunicazioni. La comunicazione commerciale effettuata nell'ambito di una professione regolamentata deve comunque avvenire nel rispetto delle norme etiche e dei codici di condotta di categoria.
Il decreto legislativo individua le categorie di contratti che non possono essere concluse per via elettronica.
Si tratta dei contratti:
a) che istituiscono o trasferiscono diritti su beni immobili diversi dalla locazione;
b) che richiedono per legge l'intervento di organi giurisdizionali, o soggetti che esercitano pubblici poteri;
c) di fideiussione o di garanzie prestate da persone che agiscono a fini che esulano dalle loro attività commerciali, imprenditoriali o professionali;
d) disciplinati dal diritto di famiglia o di successione (articolo 11).
Ulteriori obblighi informativi posti a carico del prestatore (articolo 12) riguardano la fornitura di informazioni tecniche preordinate alla conclusione del contratto per via elettronica cui il prestatore è tenuto prima dell'inoltro dell'ordine da parte del destinatario. Tali obblighi sono in aggiunta a quelli previsti per specifici beni e servizi nonché a quelli previsti con riferimento ai contratti a distanza e riguardano:
· le varie fasi tecniche da seguire per concludere il contratto;
· il modo di archiviazione del contratto concluso e le relative modalità di accesso;
· i mezzi tecnici messi a disposizione del destinatario per consentirgli l'individuazione e la correzione di errori di inserimento dei dati prima dell'inoltro dell'ordine al prestatore;
· gli eventuali codici di condotta cui aderisce il prestatore e i modi per accedervi per via telematica ;
· le lingue a disposizioni per la conclusione del contratto, oltre alla lingua italiana.
Per quanto concerne la fase di conclusione del contratto il decreto legislativo prevede che il prestatore, senza ingiustificato ritardo e per via telematica, accusi ricevuta dell'ordine del destinatario, contenente un riepilogo delle condizioni applicabili al contratto e una serie di informazioni relative a: caratteristiche del bene o del servizio, prezzo, mezzi di pagamento, recesso, costi di consegna e imposte (articolo 13).
Quanto poi alla responsabilità dei prestatori di servizi che agiscono come intermediari, la disciplina introdotta dagli articoli 14-16 opera una distinzione in relazione alle attività di: semplice trasporto (mere conduit), memorizzazione intermedia e temporanea (caching) e memorizzazione di informazioni fornite dal destinatario del servizio (hosting).
Nel caso di semplice trasporto, il prestatore di servizi non è responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che non ne origini la trasmissione, non ne scelga il destinatario e non ne possa modificare il contenuto. In pratica si stabilisce che il carrier, l'operatore telefonico, non è responsabile (articolo 14).
Anche nel secondo caso, che è quello dei provider che si limitano a fornire l'accesso alla rete, la responsabilità è collegata ad interventi di manipolazione dei dati memorizzati. Infatti, se il servizio consiste nella trasmissione di informazioni fornite dal destinatario di un servizio su una rete di comunicazione (caching), l'intermediario non è responsabile per la memorizzazione di tali dati ove non modifichi le informazioni, si conformi alle condizioni di accesso e di aggiornamento delle informazioni, non impieghi la tecnologia a disposizione per ottenere dati sull'impiego delle informazioni, agisca con prontezza per rimuovere le informazioni che ha memorizzato (articolo 15).
Infine, nel caso in cui il servizio consista nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio (hosting) - come, ad esempio, la messa a disposizione di uno spazio server per siti o pagine Web - l'intermediario non è responsabile delle informazioni memorizzate se non è a conoscenza della loro illiceità, e sempre che, nel caso in cui ne venga a conoscenza, agisca immediatamente per rimuoverle su ordine delle autorità competenti (articolo 16).
Nel regolare la responsabilità del prestatore di servizi della società dell'informazione il decreto (articolo 17), pur escludendo per gli intermediari sopraindicati un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni trasmesse o memorizzate ovvero un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite, riconosce come civilmente responsabili del contenuto dei servizi nel caso in cui, richiesti dall'autorità giudiziaria o amministrativa competente, non abbiano agito tempestivamente per impedire l'accesso a detto contenuto, ovvero se, a conoscenza del carattere illecito del contenuto non abbia provveduto ad informarne l'autorità competente.
Da ultimo gli articoli 18, 19, 20 e 21 attuando le disposizioni del capo III della direttiva (Applicazione) riguardano: l'elaborazione volontaria di codici di condotta da parte delle organizzazioni imprenditoriali, professionali o di consumatori; la composizione extragiudiziale delle controversie anche in via informatica e i ricorsi giurisdizionali; la diffusione delle informazioni sulla normativa in esame dal parte del Ministero delle attività produttive che funziona da "punto di contatto nazionale"; le sanzioni.
L'articolo 21 prevede che le violazioni degli obblighi definiti dagli articoli 7, 8, 9, 10 e 12 testé richiamati siano punite, salvo che il fatto non costituisca reato, con una sanzione amministrativa pecuniaria da 103 a 10.000 euro.
La proposte di direttiva sono accompagnate da una relazione sulla valutazione d'impatto, che ha preso in considerazione cinque alternative strategiche:
· opzione 1: norme pienamente armonizzate sul contenuto digitale e sui beni;
· opzione 2: norme pienamente armonizzate sul contenuto digitale e applicazione del diritto nazionale dell'operatore economico in combinazione con le norme armonizzate vigenti sui beni;
· opzione 3: norme pienamente armonizzate sul contenuto digitale e nessun cambiamento per i beni;
· opzione 4: norme minime armonizzate sul contenuto digitale e nessun cambiamento per i beni;
· opzione 5: contratto tipo europeo volontario connesso ad un marchio di fiducia UE.
A seguito di un'analisi comparativa dell'impatto di tali opzioni, la relazione è giunta alla conclusione che l'opzione 1 conseguirebbe meglio gli obiettivi strategici, in quanto ridurrebbe i costi legati al diritto contrattuale per gli operatori economici e faciliterebbe il commercio elettronico transfrontaliero. Le principali norme concernenti gli scambi transfrontalieri sarebbero identiche in tutti gli Stati membri, offrendo certezza giuridica. Nella relazione si afferma, inoltre, che le nuove norme sui contenuti digitali potrebbero comportare costi aggiuntivi per le imprese, che sarebbero tuttavia limitati rispetto alla situazione attuale, grazie a norme pienamente armonizzate.
La valutazione d'impatto analizza le ripercussioni principali delle proposte. In particolare, le due proposte eliminerebbero le barriere agli scambi online transfrontalieri legate al diritto contrattuale, sia per i consumatori che per le imprese, producendo i seguenti risultati:
· altre 122.000 imprese venderebbero online oltre frontiera;
· le esportazioni intra UE aumenterebbero di circa 1 miliardo di euro;
· i prezzi al dettaglio calerebbero in tutti gli Stati membri, con una media UE del meno 0,25%;
· il consumo delle famiglie aumenterebbe in ogni Stato membro, con una media UE pari a più 0,23%, corrispondente a circa 18 miliardi di euro;
· un numero di nuovi consumatori compreso tra 7,8 e 13 milioni inizierebbe ad effettuare acquisti online transfrontalieri;
· l'importo medio annuo speso da ciascun acquirente transfrontaliero aumenterebbe di 40 euro;
· il PIL complessivo reale dell'UE aumenterebbe di circa 4 miliardi di euro l'anno.
Nella valutazione si afferma, inoltre, che le imprese dovranno sopportare i costi necessari per conformarsi alla nuova direttiva, ma in ultima analisi trarranno vantaggi maggiori dall’armonizzazione delle norme e, comunque, i costi aggiuntivi saranno limitati e dureranno soltanto per un breve periodo transitorio. Per quanto riguarda, in particolare, il prolungamento del termine per l’inversione dell’onere della prova da 6 mesi a 2 anni, si valuta che questo non avrà un impatto molto significativo sulle imprese perché de facto, già oggi, l’inversione dell’onere della prova opera spesso per l’intero periodo di garanzia legale dei 2 anni.
Il 3 e il 5 febbraio 2016 il Governo ha trasmesso alle Camere, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 24 dicembre 2014, n. 234, le relazioni elaborate dal Ministero della giustizia sulle proposte di direttiva COM(634)2015 e COM(635)2015. La valutazione delle finalità delle proposte è complessivamente positiva. I progetti, peraltro, non sono considerati di particolare urgenza, in quanto non risulta che vi siano criticità da risolvere nell’immediatezza e che l’impatto positivo sul commercio transfrontaliero si realizzerebbe in un arco temporale verosimilmente non istantaneo.
Le disposizioni sono ritenute conformi all’interesse nazionale in quanto mirano, rispettivamente, a colmare le attuali lacune giuridiche in materia di protezione dei consumatori a livello di UE e ad ampliare il mercato delle vendite a distanza, in particolare online, a vantaggio delle imprese e dei consumatori.
Il Ministero sottolinea che le proposte di direttiva comporteranno la necessità di armonizzare la normativa nazionale in materia di contratti con la modifica di alcuni articoli del codice civile.
Per
quanto riguarda la proposta concernente i contratti di fornitura di
contenuti digitali, il Ministero evidenzia che essa presenta aspetti
che appaiono non del tutto omogenei rispetto alla direttiva 2011/83/UE,
che va ad integrare. Ad esempio, il concetto di contenuto digitale di
cui alla proposta sembra più ampio di quello previsto dalla direttiva, pertanto
occorrerebbe specificare meglio quali norme trovano applicazione ai contratti
in questione. Inoltre, si prospetta diversamente anche la natura imperativa
delle norme a tutela del consumatore, che escludono la vincolatività delle
clausole contrattuali che derogano alle norme nazionali di recepimento della
direttiva. Il Ministero, inoltre, ritiene utile chiarire se il sistema
risarcitorio previsto sia adeguato al nostro e non sia limitato alla sola
perdita economica.
Per quanto concerne, invece, la proposta di direttiva relativa ai beni materiali, il Ministero rileva che potrebbe emergere la necessità di un intervento normativo dell’Unione anche in ordine alle vendite “faccia a faccia”, allo scopo di armonizzare la disciplina delle vendite a distanza con la normativa in materia di vendite dirette, per consentire alle imprese di avere un’unica normativa di riferimento. Si rileva, inoltre, un punto di contrasto con la normativa nazionale, rappresentato dal fatto che, in caso di vizi che rendano il bene inidoneo o ne diminuiscano il valore, il compratore non potrà più scegliere tra riduzione del prezzo e risoluzione del contratto, ai sensi dell’articolo 1492 del codice civile, ma avrà diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene ai requisiti indicati nel contratto.
In particolare, la relazione evidenzia due criticità:
· la mancanza di un termine di decadenza entro il quale il compratore deve denunciare il difetto di conformità del bene, che dovrebbe essere uniforme in tutti gli Stati membri;
· la mancanza di un termine massimo entro il quale il venditore debba procedere alla riparazione o sostituzione del bene, per consentire al consumatore l’esercizio del diritto alla risoluzione.
Sulla base dei dati forniti dal sito IPEX, l’esame dell’atto risulta avviato da parte di: Repubblica Ceca, Finlandia, Germania, Svezia, Olanda, Romania, Lituania, Polonia e Irlanda.
La X Commissione (Industria, commercio, turismo) del Senato, nella seduta del 3 febbraio 2016, ha avviato l’esame delle proposte di direttiva in questione.
· [1] Testo del provvedimento PS9813 - SHOPPING MGM-MANCATA CONSEGNA PRODOTTO
· Testo del provvedimento PS9821 - IL MERCATO DELL'AFFARE-MANCATA CONSEGNA
· Testo del provvedimento PS10002 - ZIONSMARTSHOP-E COMMERCE
[2] Si tratterebbe dei contratti in cui il fornitore richiede dati (nome, indirizzo e-mail o foto) che il consumatore fornisce attivamente, ad esempio attraverso una procedura di registrazione individuale o sulla base di un contratto che consente l'accesso ai dati del consumatore.