Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri | ||
Titolo: | Recenti sviluppi della crisi libica | ||
Serie: | Note di politica internazionale Numero: 75 | ||
Data: | 06/10/2015 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari |
Recenti sviluppi della crisi libica
6 ottobre 2015
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L'inserimento dell'ISIS nello scenario libicoDopo la Riconquista di Bengasiriconquista parziale di Bengasi da parte del generale Haftar alla fine di ottobre, il 10 novembre 2014 vi era stata però la proclamazione del califfato nella città di Derna (nella Libia nord orientale): i dirigenti giuravano fedeltà all'ISIS ed al suo leader al-Baghdadi, il quale da parte sua accettava la dichiarazione di fedeltà e affermava pubblicamente di sostenere il califfato libico. La formazione radicale "Shura Council for the Youth of Islam" avrebbe messo sotto controllo la città ed imposto la shari'a utilizzando esecuzioni pubbliche per instaurare un clima di terrore ad essa favorevole. La proclamazione del califfato di Derna segnava una tappa importante nell'azione dell'ISIS in Libia, con l'esercizio di un'attrazione concorrente rispetto al network di al-Qaida, che aveva tentato di penetrare nel paese dalla fine del 2011 cercando di stabilire legami importanti e di indirizzare le milizie radicali verso la propria missione, senza tuttavia riuscirvi pienamente. Il 12 novembre tre autobomba colpivano l'area estrema orientale controllata dal parlamento di Tobruk, provocando cinque vittime e decine di feriti. Il giorno dopo a Tripoli altre autobomba esplodevano davanti alle sedi diplomatiche di Egitto ed Emirati Arabi Uniti: il governo di Tobruk guidato da al-Thani era costretto a riconoscere di non controllare la capitale, in balìa delle milizie islamiste, ed a richiedere alle ambasciate straniere di innalzare i propri livelli di sicurezza. Cionondimeno, verso la fine di novembre iniziavano bombardamenti aerei sulla periferia di Tripoli, diretti contro le postazioni della coalizione islamista "Alba della Libia" e condotti dalle forze del generale Haftar, frattanto pienamente ricondotto nell'ambito del governo di Tobruk. All'inizio di dicembre slittava ancora un colloquio, mediato dall'inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia delle Nazioni Unite Bernardino León, per l'inizio del dialogo nazionale. Pochi giorni dopo, mentre il governo di Tobruk preannunciava l'invio di truppe di terra per la ripresa di Tripoli, gli islamisti mostravano di voler assumere il controllo degli importantissimi terminal petroliferi della costa mediana della Libia (Sidra e Ras Lanuf), sui quali tentavano perfino di condurre alcuni raid aerei. La significativa presenza di combattenti libici in Siria (che nel corso degli anni ha visto avvicendarsi circa cinquemila persone) costituiva un elemento di facile previsione a favore di un Rafforzamento delle forze dell'ISIS in Libiarapido rafforzamento degli elementi radicali pro-ISIS anche all'interno della Libia, e in particolare proprio nella città di Derna, in realtà mai controllata da nessuna autorità centrale nell'era post-Gheddafi. Lo stesso vale per molte altre città libiche, come ad esempio Sirte: qui nella notte tra il 12 e il 13 febbraio 2015 l'ISIS assumeva formalmente il controllo, impadronendosi di un fondamentale scalo portuale. L'offensiva su Sirte non rappresentava peraltro l'unica operazione compiuta dall'ISIS in Libia: il 13 febbraio i militanti attaccavano due pozzi petroliferi, ad el-Bahi, nei pressi del terminal costiero di Ras Lanuf, e a el-Dahra, nel Sud Ovest. Nove giorni prima, per mezzo di Ansar al-Sharia, l'ISIS aveva attaccato un altro pozzo libico francese, al-Mabrouk, a circa 170 km a Sud di Sirte, facendo almeno 10 morti. Molti altri segnali dimostravano il dilagare delle milizie del califfato in ampie zone della Libia: va ricordato che l'ISIS aveva già rivendicato l'attacco suicida all'Hotel Corinthia di Tripoli del 27 gennaio, in cui erano morti non meno di cinque stranieri. Va però ricordato che il 5 febbraio le forze militari fedeli al governo di Tobruk avevano annunciato la presa del porto di Bengasi – nonostante voci in senso contrario da parte degli islamisti di Ansar al-Sharia. Il 12 febbraio L'assassinio di 21 egiziani coptil'ISIS annunciava sul web di avere ucciso 21 ostaggi egiziani copti, rapiti a Sirte all'inizio di gennaio:l'annuncio era corredato da fotografie eloquenti dell'ormai tristemente noto cerimoniale mediatico dell'ISIS.Il governo egiziano per la verità non confermava la morte dei propri connazionali, iniziando tuttavia a progettare l'evacuazione dei numerosissimi egiziani presenti sul suolo libico. L'arrivo dell'ISIS a Sirte provocava una ferma presa di posizione del Ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, il quale, di fronte ad una situazione che a suo dire costituiva una minaccia per l'Italia, e in mancanza di un successo della mediazione delle Nazioni Unite tra le fazioni libiche, sosteneva in un'intervista a Sky Tg 24 che l'Italia era pronta a combattere in un quadro di legalità internazionale. Segnava frattanto il passo la mediazione dell'ONU, il cui unico successo sembrava essere la partecipazione del parlamento di Tripoli - non riconosciuto dalla Comunità internazionale - ai colloqui di Ghadames. Il 15 febbraio giungeva la decisione italiana di chiudere temporaneamente l'Ambasciata a Tripoli, l'unica tra quelle europee ancora aperta dopo la vittoria delle milizie filoislamiche nella capitale dell'agosto 2014, provvedendo a rimpatriare per nave i pochi italiani rimasti in loco. Intanto l'ISIS rincarava la dose, minacciando direttamente l'Italia con un un video sulla decapitazione dei 21 egiziani copti, che sarebbe avvenuta proprio su una spiaggia del Mediterraneo. Mentre approntava un ponte aereo di proporzioni gigantesche per l'evacuazione dei propri connazionali dalla Libia, il governo egiziano il 16 febbraio lanciava tre ondate di raid aerei che provocavano decine di vittime tra gli appartenenti all'ISIS, soprattutto nella zona di Derna: gli attacchi egiziani erano coadiuvati anche dall'aviazione libica fedele al governo di Tobruk, che a sua volta colpiva postazioni jihadiste a Sirte e Ben Jawad. Frattanto il premier libico di Tobruk, al-Thani, esortava le potenze mondiali ad azioni militari sul suolo libico, precisando successivamente di riferirsi solo a missioni aeree contro le milizie dell'ISIS. Per quanto concerne la Santa Sede, questa aveva modo di esplicitare la propria posizione sulla questione libica nel corso dell'incontro delle delegazioni governative vaticana e italiana del 17 febbraio, per la celebrazione della ricorrenza dei Patti Lateranensi e del Nuovo Concordato: all'incontro partecipava anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Le due delegazioni convenivano sulla necessità di una risposta rapida nei confronti della Libia, con un possibile intervento armato – da considerare comunque con grande cautela - solo nella cornice del diritto internazionale. La delegazione vaticana prendeva altresì atto delle rassicurazioni del Ministro dell'interno Alfano sull'inesistenza al momento di specifiche minacce alla Santa sede. La La posizione italiana sulla crisi libicaposizione italiana riceveva ulteriore articolazione nella stessa giornata nel vertice a Palazzo Chigi tra il Presidente del Consiglio, i Ministri dell'interno, degli esteri e della difesa e alcuni esponenti dell'intelligence italiana: veniva ribadito come, pur nell'urgenza della situazione, fosse necessario privilegiare la via diplomatica - rispetto alla quale l'Italia deve svolgere un ruolo di avanguardia -, mentre ogni intervento a carattere militare dovrà avvenire sotto l'egida delle Nazioni Unite. Il riavvicinamento attraverso la mediazione dell'ONU delle due opposte fazioni diTobruk e Tripoli costituisce del resto presupposto indispensabile anche per l'intervento internazionale in Libia, che la stessa Libia unitariamente dovrà eventualmente richiedere. Queste posizioni del Governo erano il giorno successivo presentate in Parlamento dal Ministro degli esteri Gentiloni. Lo stesso 18 febbraio il Consiglio di sicurezza dell'ONU svolgeva una riunione fiume per discutere la richieste egiziana di dar vita a una forza militare per affrontare l'espansione dell'ISIS in Libia. La riunione del Consiglio di sicurezza si svolgeva in contemporanea con un vertice internazionale a Washington contro l'estremismo islamico, con la partecipazione di più di 60 paesi. L'orientamento internazionale prevalente sembrava ancora quello di dare tempo alla mediazione diplomatica dell'Inviato speciale dell'ONU Bernardino Leon, posponendo le richieste egiziane di un'accelerazione della risposta militare: cionondimeno le truppe del Cairo nella stessa giornata del 18 febbraio avrebbero compiuto un'incursione nel territorio libico fino a Derna, nel corso della quale avrebbero ucciso più di 150 combattenti dell'ISIS, catturandone una cinquantina. Il 20 febbraio un attentato perpetrato con tre autobomba ad al-Quba da appartenenti all'ISIS causava una cinquantina di morti e 80 feriti. L'attacco era finalizzato a colpire la sede del Direttorato alla sicurezza del governo libico diTobruk e l'abitazione del presidente del parlamento AqilaSaleh. Mentre la mediazione diplomatica delle Nazioni Unite segnava il passo, principalmente per le posizioni assai distanti delle due fazioni libiche, il capo del governo di Tobruk al-Thani lanciava un nuovo allarme sulla presenza di miliziani jihadisti di Boko Haram che dalla Nigeria sarebbero entrati nel territorio libico per congiungersi con l'ISIS, cui il movimento terrorista nigeriano recentemente aveva aderito. Nelle stesse ore a Tripoli veniva assassinata una attivista da sempre contraria alle milizie islamiche che avevano preso il controllo della capitale nel 2014, e che contro di esse aveva guidato anche alcune manifestazioni. L'intrico libico era inoltre confermato inoltre dalle accuse che al-Thani lanciava contro la Turchia, a suo dire finanziatrice delle milizie che controllano Tripoli: il premier di Tobruk ha annunciato il divieto ad operare in Libia per tutte le aziende con sede in Turchia. La diplomazia italiana nei giorni dal 24 al 26 febbraio riscontrava identità di vedute rispettivamente nel vertice bilaterale di Parigi del Presidente del Consiglio Matteo Renzi con il presidente francese Hollande, nella visita del Ministro degli esteri Paolo Gentiloni a Tunisi e ricevendo il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg: in tutti questi casi l'accento è stato posto sulla necessità di scommettere ancora sull'opera di mediazione delle Nazioni Unite, nella cui cornice unicamente sarebbe comunque ipotizzabile anche un intervento in Libia di tipo militare, ma solo dopo il raggiungimento di un accordo tra le principali fazioni che ivi si contrappongono. Stoltenberg in particolare precisava che certamente la NATO avrebbe potuto offrire un supporto logistico-militare nei termini della difesa dalle minacce potenzialmente provenienti dal Nordafrica, ma molto al di qua di qualunque ipotesi di intervento dell'Alleanza sul terreno. Giungeva intanto da Tobruk la notizia significativa della nomina a Capo di stato maggiore e a Ministro della difesa del generale Khalifa Haftar. Il 5 marzo il Presidente del Consiglio Renzi, nel suo viaggio a Mosca,riscontrava tra l'altro la convergenza di vedute con Vladimir Putin sulla necessità di una soluzione mediata dall'ONU per la grave situazione della Libia.Un minor livello di convergenza il Presidente Renzi ha certamente riscontrato il 13 marzo incontrando in Egitto il presidente al-Sisi, impegnato direttamente con le proprie forze armate nel contrasto all'ISIS in territorio libico: cionondimeno, il Presidente Renzi ha constatato una possibile evoluzione delle posizioni anche da parte egiziana, e comunque il riconoscimento della lotta al terrorismo come priorità assoluta. La situazione di caos politico-istituzionale della Libia era intanto emersa con chiarezza a Roma - come già in precedenza in altre capitali europee - quando il nuovo Ambasciatore designato dal governo di Tobruk si presentava il 9 marzo nella sede dell'ambasciata libica a Roma, ed in assenza dell'Ambasciatore titolare, era coinvolto in un tafferuglio con gli agenti della sicurezza. L'Ambasciatore titolare ha successivamente precisato di non voler cedere il passo al nuovo nominato in quanto questi sarebbe esponente di una sola fazione libica, e non dello Stato e del popolo libico nel loro insieme. Va aggiunto che nella situazione data la sede diplomatica è stata anche lasciata priva di finanziamenti per il pagamento degli stipendi al personale diplomatico e a quello impiegatizio - anche italiano. Il 14 marzo si assisteva all'apertura di un nuovo fronte del conflitto in corso in Libia:infatti le milizie fedeli a Tripoli, filoislamiche ma ben distinte da quelle dell'ISIS, iniziavano a muovere L'offensiva su Sirteverso la città di Sirte, lasciando le posizioni circostanti alla città - una sorta di assedio dopo la conquista della medesima da parte dell'ISIS alla metà di febbraio. L'offensiva non sembrava in un primo tempo avere successo, ma certamente segnava un nuovo livello nello scontro. Va poi ricordato che le milizie islamiche di Tripoli costituiscono il braccio armato di quel governo che, pur non riconosciuto dalla Comunità internazionale, avrebbe comunque dovuto avere un ruolo decisivo nel negoziato mediato dall'ONU, negoziato che si presentava vieppiù difficile con l'emergere di una posizione ad esso contraria proprio da parte dell'uomo forte di Tobruk, il generale Khalifa Haftar. Il 19 marzo le possibilità di una soluzione negoziale della questione libicaapparivano allontanarsi ulteriormente: infatti si diffondevano notizie sull'avvicinamento di truppe fedeli al governo di Tobruk a ovest e a sud della capitale libica Tripoli, dove ingaggiavano combattimenti con le milizie filoislamiche fedeli al governo di Tripoli. L'aviazione fedele a Tobruk compivainoltre un'incursione sull'aeroporto tripolino di Mitiga, dove danneggiava una pista, ritardando in tal modo anche l'arrivo dei delegati di Tripoli in Marocco, dove doveva cominciare l'ennesimo round negoziale mediato dalle Nazioni Unite. |
Le posizioni assunte dall'Unione europea e dall'ItaliaPer quanto riguarda le istituzioni europee, la Libia costituiva punto essenziale tanto del Vertice dei Ministri degli esteri del 16 marzo, quanto del successivo Consiglio europeo del 20: pur se sullo sfondo, l'Europa non mancava di ventilare anche la possibilità di utilizzare opzioni di politica di sicurezza e difesa, ma solo nel quadro di un accordo con le Nazioni Unite - e comunque dopo il raggiungimento di un esito positivo nel negoziato tra le fazioni di Tripoli e di Tobruk in lotta per il potere. Nessuno spazio invece alla possibilità di un'azione di carattere squisitamente militare, ed è significativo che proprio il presidente francese Hollande si sia fatto interprete di questa posizione in modo peculiare. Mentre l'offensiva del generale Haftar su Tripoli perdevà slancio, peraltro con la continuazione dei raid aerei su varie località della Libia occidentale,emergeva come queste azioni militari non fossero l'unico ostacolo pesante sulla via del negoziato: l'Inviato speciale delle Nazioni Unite Bernardino Leon, di passaggio a Tobruk, non era ricevuto dal presidente del parlamento AkilaSaleh–oltretutto leader della fazione riconosciuta dalla Comunità internazionale. Saleh non avrebbe in particolare gradito l'ipotesi di soluzione istituzionale perorata da Leon, e già preannunciata, da attuare mediante la figura di un presidente e di un Consiglio presidenziale: quest'ultimo organismo era stato introdotto nel negoziato proprio dalla fazione avversa che domina Tripoli, e, soprattutto, avrebbe implicato elezioni anticipate che il parlamento di Tobruk, che si considera l'unico legittimo, esclude a priori. Sottesa al conflitto libico è progressivamente emersa anche su questo scenario l'impressione che si tratti in parte di una guerra alimentata da potenze straniere, più o meno intorno alle stesse coordinate già registrate in altri conflitti. Non può infatti sfuggire come il governo di Tripoli sia guidato da al-Baraassi, esponente dei Fratelli musulmani, e questa corrente risulti costantemente appoggiata dalla Turchia nei diversi scenari mediorientali -e per questo motivo Ankara ha peggiorato i propri rapporti con il Cairo dopo la destituzione di Mohammed Morsi-, nonché dal sempre attivo e ambiguo Qatar.Sull'altro versante, invece, è palese l'appoggio che il governo riconosciuto di Tobruk ha ricevuto dall'Egitto e dagli Emirati Arabi Uniti, sospettati sin dall'agosto 2014 di aver compiuto raid aerei contro le milizie filoislamiche. In maggiore lontananza si intravede anche il ruolo dell'Arabia Saudita, esattamente contrario a quello turco, nel senso di una costante opposizione alle correnti jihadiste ispirate alla Fratellanza musulmana, la cui forza destabilizzatrice di Islam socialmente ispirato evidentemente Riyad teme più di ogni altra cosa. Vi è infine la variabile solo apparentemente impazzita del terrorismo, con un ruolo crescente dell'ISIS, ma anche con le residue ambizioni di al-Qaida. Nell'imminenza di una ripresa dei colloqui diplomatici in Marocco, affiancati da una parallela iniziativa algerina con l'incontro di diversi leader politici per discutere una bozza di accordo, il 12 e 13 aprile l'ISISportava a termine nella capitale Tripoli due attentati spettacolari e dalla valenza simbolica, colpendo il cancello della residenza dell'ambasciatore del Marocco, mentre il giorno precedente era stata attaccata la sede diplomatica sudcoreana, paese di origine del Segretario generale delle Nazioni Unite BanKi-moon. Il 15 aprile l'urgenza della questione libica era rappresentata dal Ministro degli esteri Gentiloni alla riunione degli omologhi del G7 di Lubecca: i Ministri hanno concordato sul fatto che non vi sia una soluzione meramente militare del conflitto libico, ma solo una soluzione da perseguire anzitutto sul piano politico, lanciando un ulteriore incoraggiamento alla mediazione diplomatica dell'ONU. Il Ministro Gentiloni non ha mancato da parte sua di attirare l'attenzione anche sull'urgenza di potenziare gli sforzi a livello UE per rispondere alla gravissima emergenza dell'immigrazione illegale nel Mediterraneo, in questo corroborato anche dalle dichiarazioni dell'Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini. Nelle stesse ore, tuttavia, raid aerei di forze del governo diTobrukcolpivano nuovamente l'aeroporto di Tripoli di Mitiga. Nella notte fra il 16 e il 17 aprile si verificava un episodio sintomatico della situazione nel Mediterraneo: infatti un'unità della Marina Militare italiana riusciva a sventare il sequestro di un peschereccio di Mazara del Vallo da parte di un rimorchiatore con a bordo elementi libici armati: il tentativo di sequestro si inquadrava nell'annosa controversia tra la marineria da pesca siciliana e la Libia, la quale rivendica la propria sovranità in acque territoriali che vanno ben oltre il limite internazionalmente riconosciuto. Nessun dubbio da parte delle autorità militari italiane sul fatto che il blitzfosse avvenuto in acque internazionali. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, nella sua visita a Washington, riscontrava il 17 aprile un sostanziale appoggio degli Stati Uniti agli sforzi dell'Italia per urgenti iniziative volte a far fronte tanto all'emergenza del conflitto libico e della diffusione in esso delle frange terroristiche dell'ISIS, quanto alla non meno grave situazione dell'immigrazione illegale nel Mediterraneo, con il suo carico intollerabile di vittime del mare. Il Presidente degli Stati Uniti conveniva in particolare sulla impossibilità di una soluzione meramente militare, e ancor meno se affidata agli attacchi aerei dei droni. Dopo secche minacce di congelamento del negoziato da parte dell'Inviato speciale dell'ONU Bernardino Leon a seguito di ulteriori combattimenti a est di Tripoli, il 19 aprile, in concomitanza del disastroso naufragio con centinaia di vittime in prossimità della costa libica, trapelava come il negoziato avesse raggiunto risultati incoraggianti, con la messa a punto di un testo su cui in buona parte le diverse fazioni potevano dirsi d'accordo. L'Inviato dell'ONU non nascondeva peraltro che una parte essenziale del negoziato, quella che prevedeva il coinvolgimento di rappresentanti dei gruppi armati e degli anziani delle tribù, fosse ancora da incardinare. Leon lanciava anche un indiretto monito al generale Haftar, per la sua condotta potenzialmente distruttiva del negoziato,concretizzatasi in diversi attacchi in direzione di Tripoli, operati soprattutto da milizie guidate da quella di Zintan. Proprio a frenare in qualche modo le iniziative di Haftar sembrava diretta la richiesta di un gruppo di deputati del parlamento di Tobruk di convocare il generale per ottenere delucidazioni sulla situazione militare nel paese. Giungevano frattanto da Derna segnali di ribellione di alcune parti della popolazione ai brutali metodi repressivi instaurati dall'ISIS e ispirati alla più rigorista visione della Sharia. Il 23 aprile il Vertice europeo straordinario sull'immigrazione, svoltosi a Bruxelles, stabiliva la triplicazione dei fondi per la missione Triton, estendendone altresì la portata e la dotazione di mezzi – come anche per la missione Poseidon coordinata dalla Grecia -, senza peraltro modificarne il carattere istituzionale di missione di controllo delle frontiere esterne dell'Unione. Come rilevato dal Presidente della Commissione UE Juncker, tuttavia, non troppo soddisfacenti erano i risultati relativi ai profili del ricollocamento dei migranti tra i diversi Stati membri – sintomatica la posizione del Regno Unito, il cui premier Cameron assicurava cospicui mezzi aerei e navali per il potenziamento di Triton, a patto di non dirottare poi i migranti in territorio britannico -, su cui comunque la Commissione annunciava di voler insistere prossimamente. A medio termine il Vertice ha previsto azioni sotto l'ombrello PESD, tali anche da colpire i natanti del traffico illegale già prima del loro utilizzo – dunque sulla costa libica -, ma al proposito si sono sollevate diverse perplessità in base al diritto internazionale. Le stesse autorità riconosciute di Tobruk hanno seccamente bocciato l'8 maggio ogni ipotesi di intervento europeo per la distruzione sul suolo libico dei barconi utilizzati dai trafficanti di esseri umani, lamentando di non essere stare mai consultate, come riferito dall'ambasciatore libico presso le Nazioni Unite -, e rivendicando invece forniture di armamenti tali da rendere possibile la riconquista da Tobruk di tutto il territorio libico. La presa di posizione di Tobruk ha indubbiamente costituito una ulteriore complicazione negli sforzi che vedono in prima linea l'Italia per ottenere dal Consiglio di sicurezza dell'ONU una risoluzione che stia alla base di un'iniziativa di contrasto anche militare al traffico di esseri umani nel Mediterraneo - risoluzione che non sembra tuttavia poter prescindere da un'esplicita richiesta delle autorità libiche riconosciute.L'11 maggio lo stesso ambasciatore libico all'ONU Ibrahim Dabbashi ha rincarato la dose, sostenendo che il governo di Tobruk potrà consentire, in coordinamento con la UE – e in tal senso avrebbe ricevuto rassicurazioni dall'Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini -, solo ad un'azione di carattere umanitario volta a salvare vite umane. Secondo Dabbashi la sovranità libica dovrà essere comunque salvaguardata anche dalle Nazioni Unite, che dovranno prevedere l'accordo della autorità riconosciute di Tobruk per ogni iniziativa che pure il Consiglio di sicurezza dovesse autorizzare. Inoltre l'ambasciatore ha anticipato che, in caso di mancati progressi del negoziato mediato dall'Inviato ONU Bernardino Leon entro l'inizio del Ramadan, le autorità di Tobrukavrebbero proceduto con la forza alla ripresa della Tripolitania e della capitale. Alla fine di aprile si era intanto purtroppo verificato il ritrovamento dei corpi sgozzati dei cinque componenti di una troupe della televisione libica rapiti nell'agosto 2014: il ritrovamento è avvenuto nei pressi della città di Bayda, a circa 80 km dal cuore del "califfato" Derna, ma che ospitava al momento alcune sedute del parlamento e del governo internazionalmente riconosciuti, la cui sede principale è a Tobruk, e nei cui confronti il macabro ritrovamento è apparso come una ulteriore sfida dell'ISIS. Sempre l'11 maggio si verificava un episodio che accresceva ulteriormente la tensione tra le autorità di Tobruk e la Turchia, già accusata in febbraio di sostenere le milizie islamiste che ormai da quasi un anno controllavano Tripoli: infatti una nave da carico battente bandiera delle Isole Cook, ma sostanzialmente turca, che si trovava al largo delle coste della Cirenaica, veniva dapprima bombardata da terra e poi subiva due attacchi da parte dell'aviazione libica fedele a Tobruk. Di conseguenza si verificava la morte di un ufficiale turco e il ferimento di alcuni marinai - dell'equipaggio facevano parte anche sei cittadini georgiani e un cittadino azero. La Turchia, che ha condannato con forza quello che ha definito uno spregevole attacco, ha sostenuto che il cargo si trovava in acque internazionali e stava portando un carico di cartongesso proprio a Tobruk. Le autorità libiche riconosciute, invece, hanno ribattuto che la nave da carico turca si era portata nelle acque territoriali libiche nonostante moniti e colpi di avvertimento per farne arrestare la navigazione: la nave al momento dell'attacco sarebbe stata a solo 16 miglia dal porto di Derna, e quindi da Tobruk si è temuto che volesse violare l'embargo sulla città imposto dopo la sua conquista da parte dell'ISIS. In realtà più che al "califfato" i sospetti di Tobruk sono sembrati diretti alla possibilità che la nave turca rifornisse di armi a Derna una fazione jihadista distinta dall'ISIS, il cosiddetto Consiglio dei mujaheddin, comunque contrario alle autorità di Tobruk e probabilmente legato alla direzione politica filoislamica di Tripoli. Dal canto suo il Capo dello Stato Sergio Mattarella, concludendo l'11 maggio la sua visita in Spagna, attirava l'attenzione sul rischio che in caso di mancanza di una sollecita iniziativa internazionale sotto l'egida dell'ONU la Libia possa divenire un vero e proprio serbatoio di insediamenti terroristici. Il Presidente della Repubblica non ha mancato di sottolineare anche come qualunque iniziativa pur indispensabile non possa prescindere dal consenso del popolo libico, e debba comunque dispiegarsi nel quadro di un'azione più ampia dell'Europa – la consapevolezza della cui necessità peraltro appare ultimamente accresciuta - per agevolare lo sviluppo nei paesi d'origine dei flussi migratori, senza di che questi non potranno che crescere sempre più. Sull'urgenza dell'iniziativa europea ed internazionale il Capo dello Stato ha riscontrato la piena concordanza del governo spagnolo, e in particolare del Primo Ministro Mariano Rajoy. A riprova della gravità e dell'urgenza del problema migratorio giungevano il 12 maggio i dati di Eurostat, in base ai quali nel 2014 il numero dei rifugiati accolti nel territorio dell'Unione europea è cresciuto del 50% rispetto all'anno precedente: il nostro Paese ha accolto, come la Francia, oltre 20.000 rifugiati, a fronte degli oltre 47.000 della Germania e dei 33.000 della Svezia. Nella stessa giornata fonti europee riferivano della proposta dell'Italia di ospitare il quartier generale della costituenda missione europea di contrasto al traffico illegale dei migranti nel Mediterraneo, indicando altresì già il capo della missione nella persona dell'ammiraglio Enrico Credendino. Le proposte italiane trovavano accoglienza il 18 maggio a Bruxelles in sede di Consiglio dei ministri esteri e difesa dell'Unione europea: il via libera alla missione navale di contrasto alle attività illegali di trasporto dei migranti nel Mediterraneone ha fissato come richiesto il quartier generale a Roma, affidandone il comando all'ammiraglio Credendino. La missione, denominata EUNAVFOR MED, ha avuto un mandato iniziale di 12 mesi, a fronte del quale per i primi due è stato stanziato un budget di 11,82 milioni di euro. La missione è stata prevista in tre fasi: in attesa del consenso delle Nazioni Unite o di un futuro governo libico di unità nazionale, senza di che non è pensabile un intervento nelle acque territoriali libiche, la prima fase della missione si sarebbe risolta nel pattugliamento e nella raccolta di informazione in acque internazionali - la NATO, partecipando al Consiglio esteri e difesa europeo, ha assicurato a richiesta la propria collaborazione. Nell'ipotesi di un successivo via libera all'operatività in acque libiche, la missione dovrebbe avere come obiettivo il sequestro e la distruzione dei mezzi con cui i trafficanti di esseri umani perpetrano i loro reati. Il via ufficiale alla prima fase della missione è stato previsto subito dopo il Consiglio affari esteri del 22 giugno. Va intanto ricordato l'allarme lanciato dal Pentagono sui crescenti segnali di radicamento dell'ISIS in Libia, scenario fino a quel punto considerato marginale per l'azione del "califfato", ma nel quale vi sarebbe stato un crescente invio di denaro, combattenti e istruttori, segnalando la volontà di fare della Libia una piattaforma di lancio per azioni terroristiche a vasto raggio in tutta la regione, inclusa l'Europa. Va peraltro segnalato che il governo libico riconosciuto a livello internazionale, quello con sede a Tobruk, ma che certamente non è in grado di controllare tutto il territorio libico, in una lettera alle Nazioni Unite ha riconosciuto l'incapacità del paese di contrastare le migrazioni illegali verso l'Europa, e ha richiesto di collaborare proprio con l'Unione europea per un piano d'azione finalizzato a tale scopo. Il governo di Tobruk ha anticipato di non accettare alcun piano di distruzione dei barconi utilizzati dai trafficanti se non operato in stretto coordinamento con le autorità libiche, e ha comunque preventivamente condannato ed escluso ogni azione armata contro imbarcazioni in navigazione. Per quanto concerne la lenta elaborazione della risoluzione richiesta alle Nazioni Unite va segnalata la netta opposizione dei rappresentanti russi all'ipotesi della distruzione dei barconi: secondo Mosca le operazioni non devono spingersi oltre il sequestro del naviglio impegnato nel traffico clandestino. Del resto la stessa Unione europea non è stata in grado di escludere completamente la possibilità di vittime civili a margine dell'azione di contrasto ai trafficanti.
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L'avvio della Missione EUNAVFOR MEDA riprova della gravità e dell'urgenza del problema migratorio giungevano il 12 maggio i dati di Eurostat, in base ai quali nel 2014 il numero dei rifugiati accolti nel territorio dell'Unione europea è cresciuto del 50% rispetto all'anno precedente: il nostro Paese ha accolto, come la Francia, oltre 20.000 rifugiati, a fronte degli oltre 47.000 della Germania e dei 33.000 della Svezia. Nella stessa giornata fonti europee riferivano della proposta dell'Italia di ospitare il quartier generale della costituenda missione europea di contrasto al traffico illegale dei migranti nel Mediterraneo, indicando altresì già il capo della missione nella persona dell'ammiraglio Enrico Credendino. Le proposte italiane trovavano accoglienza il 18 maggio a Bruxelles in sede di Consiglio dei ministri esteri e difesa dell'Unione europea: il via libera alla missione navale di contrasto alle attività illegali di trasporto dei migranti nel Mediterraneone ha fissato come richiesto il quartier generale a Roma, affidandone il comando all'ammiraglio Credendino. La missione, denominata EUNAVFOR MED, ha avuto un mandato iniziale di 12 mesi, a fronte del quale per i primi due è stato stanziato un budget di 11,82 milioni di euro. La missione è stata prevista in tre fasi: in attesa del consenso delle Nazioni Unite o di un futuro governo libico di unità nazionale, senza di che non è pensabile un intervento nelle acque territoriali libiche, la prima fase della missione si sarebbe risolta nel pattugliamento e nella raccolta di informazione in acque internazionali - la NATO, partecipando al Consiglio esteri e difesa europeo, ha assicurato a richiesta la propria collaborazione. Nell'ipotesi di un successivo via libera all'operatività in acque libiche, la missione dovrebbe avere come obiettivo il sequestro e la distruzione dei mezzi con cui i trafficanti di esseri umani perpetrano i loro reati. Il via ufficiale alla prima fase della missione è stato previsto subito dopo il Consiglio affari esteri del 22 giugno. Va intanto ricordato l'allarme lanciato dal Pentagono sui crescenti segnali di radicamento dell'ISIS in Libia, scenario fino a quel punto considerato marginale per l'azione del "califfato", ma nel quale vi sarebbe stato un crescente invio di denaro, combattenti e istruttori, segnalando la volontà di fare della Libia una piattaforma di lancio per azioni terroristiche a vasto raggio in tutta la regione, inclusa l'Europa. Va peraltro segnalato che il governo libico riconosciuto a livello internazionale, quello con sede a Tobruk, ma che certamente non è in grado di controllare tutto il territorio libico, in una lettera alle Nazioni Unite ha riconosciuto l'incapacità del paese di contrastare le migrazioni illegali verso l'Europa, e ha richiesto di collaborare proprio con l'Unione europea per un piano d'azione finalizzato a tale scopo. Il governo di Tobruk ha anticipato di non accettare alcun piano di distruzione dei barconi utilizzati dai trafficanti se non operato in stretto coordinamento con le autorità libiche, e ha comunque preventivamente condannato ed escluso ogni azione armata contro imbarcazioni in navigazione. Per quanto concerne la lenta elaborazione della risoluzione richiesta alle Nazioni Unite va segnalata la netta opposizione dei rappresentanti russi all'ipotesi della distruzione dei barconi: secondo Mosca le operazioni non devono spingersi oltre il sequestro del naviglio impegnato nel traffico clandestino. Del resto la stessa Unione europea non è stata in grado di escludere completamente la possibilità di vittime civili a margine dell'azione di contrasto ai trafficanti. A riprova della situazione di profonda instabilità della Libia proprio a Tobruk il 26 maggio, in capo ad una giornata di proteste nei pressi del parlamento, cui avevano preso parte anche manifestanti armati, il premier al-Thani, mentre si recava in aeroporto, era fatto segno di colpi di arma da fuoco, dai quali rimanevano feriti alcuni uomini della scorta. Alla fine di maggio l'ISIS metteva a segno un nuovo successo, con la conquista dell'aeroporto civile di Sirte, dopo aver costretto al ritiro la brigata 166 di Misurata, fedele al governo filoislamico di Tripoli della coalizione di Fajr Libya. Proprio il nuovo ‘premier' di Tripoli al-Ghweil lanciava un avvertimento all'Unione europea di non procedere all'ingresso nelle acque libiche per contrastare l'attività dei trafficanti di esseri umani senza il permesso di Tripoli, che in caso contrario ha minacciato l'uso delle armi. Il 6 giugno l'ISIS conseguiva un nuovo successo territoriale, conquistando il villaggio di Harawa, nodo intermedio sulla strada che da Sirte conduce ad un'altra roccaforte "del califfato", Nawfaliyah, a soli 50 km dai più importanti terminal petroliferi libici, quelli di Ras Lanuf. Nelle stesse ore nell'ovest della Libia l'ISIS procedeva al rapimento di 86 migranti eritrei cristiani, mentre si recavano su un automezzo verso Tripoli: gli eritrei musulmani sono stati invece rilasciati. Il 9 giugno la buona notizia della liberazione del medico catanese Ignazio Scaravilli, sequestrato in gennaio, era offuscata da un retroscena svelato in un articolo dell'Huffington Post, nel quale l'autore sosteneva che Scaravilli, liberato già una settimana prima, era stato trattenuto quale forma di pressione sull'Italia per un pieno riconoscimento politico anche del governo filoislamico di Tripoli da parte del nostro Paese - senza peraltro che il retroscena trovasse conferme ufficiali. Nella stessa giornata l'annuncio dell'ISIS di essersi impadronito di una centrale elettrica 30 km a ovest di Sirte sanciva il pieno possesso della città libica, nonché di ampie fasce di territorio circostante. Frattanto, dopo la consegna in Marocco (8 giugno) da parte dell'inviato speciale dell'ONU Bernardino Leon di un'ennesima bozza per un accordo tra le diverse fazioni libiche, alle reazioni entusiastiche della fazione filoislamica al potere a Tripoli facevano riscontro più caute posizioni della delegazione di Tobruk, che prendeva tempo rinviando di qualche giorno ogni commento, e precisamente a dopo l'incontro di Berlino con i rappresentanti degli Stati membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU. Il 15 giugno un attacco aereo dicaccia F-15 americani, preceduto da consultazioni con il governo libico ad interim, avrebbe portato alla morte di Mokhtar Belmokhtar, storico esponente di al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI) e con un lungo passato di attività terroristiche sin dai tempi dello scontro fra integralisti ed esercito in Algeria negli Anni Novanta. Comunque, a fronte dell'esultanza delle autorità libiche di Tobruk, gli Stati Uniti hanno mantenuto una certa prudenza sull'effettiva morte di Belmokhtar. Dopo tanti successi, anche l'ISIS sembrava toccare una cocente sconfitta quando il 18 giugno appariva ormai chiaro che aveva perso il possesso di Derna, dopo una settimana di scontri con altre milizie integraliste sì, ma fattesi interpreti della stanchezza della popolazione della città per i metodi estremi di applicazione della Sharia, di punizioni e di censure messe in campo dal "califfato". La sollevazione della popolazione di Derna è stata coadiuvata anche da attacchi intermittenti dell'aviazione fedele alle autorità di Tibruk, che si sarebbero impadronite di un accesso occidentale alla città. All'inizio di luglio finalmente gli sforzi dell'inviato speciale dell'ONU Bernardino Leon sembravano avere successo: in Marocco Leon ha comunicato l'accordo dei rappresentanti delle autorità di Tobruk, nonché delle milizie che dominano le città di Zintan e Misurata, e di altre fazioni indipendenti, su una bozza d'intesa - successivamente firmata -, che prevede la fine dei combattimenti e la formazione di un governo di unità nazionale con un premier e due vicepremier, che dovrà durare in carica almeno un anno. L'unico parlamento riconosciuto sarà quello di Tobruk, e ciò costituisce forse la condizione che più mina l'intesa, che infatti non è stata firmata dalle autorità filoislamiche di Tripoli - le quali tuttavia si sono mantenute su un atteggiamento di possibilismo, nel senso di dare la propria disponibilità ad eventuali nuovi incontri mediati dalle Nazioni Unite per apportare modifiche alla bozza d'intesa siglata dalle altre fazioni. Sul fronte delle violenze va segnalato che il 9 luglio, prima della sigla dell'intesa tra quasi tutte le fazioni avvenuta tre giorni dopo, era stato assassinato il colonnello al-Wesh, legato al governo filoislamico di Tripoli e capo dell'intelligence nella città di Misurata. La violenta deflagrazione che ha condotto alla morte di al-Wesh è sembrata riconducibile all'azione dell'ISIS. Altri scenari caldi sono stati nei giorni seguenti quelli di Bengasi, con una ventina di morti e un'ottantina di feriti in violenti scontri tra soldati libici ed estremisti islamici di vario segno; e di Sirte, dove l'ISIS ha continuato a bombardare, evidentemente per consolidare il possesso della città, dopo la clamorosa perdita della roccaforte di Derna. |
I più recenti sviluppi ed il prolungato stallo negozialeIl 20 luglio si apprendeva del rapimento di quattro lavoratori italiani dipendenti dalla società parmense Bonatti - operante nel campo della costruzione e della manutenzione di impianti energetici - sequestrati mentre, in rientro dalla Tunisia, si trovavano probabilmente nella zona di Mellitah, a 60 km da Tripoli, nei pressi del terminal del gasdotto tra la Libia e il nostro Paese, gestito in società dall'ENI e dalla Mellitah Oil Gas Company libica. Nella difficoltà di formulare a caldo ipotesi sugli autori del sequestro, la Farnesina ricordava di aver già da febbraio sconsigliato agli italiani di restare in Libia, sospendendo contestualmente pro tempore le proprie attività diplomatiche a Tripoli, e procedendo all'evacuazione di tutti i connazionali che ne avessero fatto richiesta. Il 5 agosto, mentre si spargeva la notizia di un ennesimo naufragio con quasi trecento dispersi davanti alle coste libiche, le prospettive di successo della mediazione dell'ONU sembravano ulteriormente messe in pericolo dal duro attacco delle autorità di Tobruk contro quelle che controllano la capitale, qualificate quale governo illegittimo e responsabile del caos e della violenza sistematica che ha portato al collasso della Libia: le milizie proislamiste di Tripoli, secondo il premier di Tobruk al-Thani, sarebbero fuorilegge. Anche il generale Haftar ha attaccato i proislamisti di Tripoli, accusandoli di diffondere menzogne e di destabilizzare il paese, fomentando la rivalità fra le diverse tribù. Era intanto rinvenuto il cadavere del giudice el-Namly, rapito a fine luglio a Sirte da milizie jihadiste, sul cui corpo erano evidenti segni di tortura. Dopo che l'11 agosto un nuovo naufragio di un barcone aveva provocato una cinquantina di vittime, il giorno di Ferragosto una nave della Marina italiana soccorreva un altro barcone stracarico di migranti a poche miglia dalla costa libica, rinvenendo una quarantina di cadaveri nella stiva dell'imbarcazione, probabilmente vittime di esalazioni del combustibile. In questo contesto il ministro dell'interno Alfano rivendicava il ruolo positivo dell'Italia nel soccorso dei migranti e nel distinguere tra i profughi da scenari di guerra e coloro che entrano illegalmente nel territorio italiano, rispondendo in parte, ma anche stemperando la polemica, nei confronti di monsignor Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, da cui erano provenute critiche al Governo italiano nei giorni precedenti per l'asserita assenza nell'infinita tragedia dei migranti nel Mediterraneo. Si aveva intanto notizia di una stretta rigoristica a Sirte da parte dell'ISIS - che intanto non perdeva occasione per lanciare sul Web nuove minacce contro Roma e il centro della Cristianità -: qui, dopo aver decapitato e crocifisso 12 miliziani avversari, lo Stato islamico annunciava la sostituzione dei tribunali civili con le corti islamiche, procedendo anche a "riformare" l'istruzione con la rigida separazione di uomini e donne nelle scuole e nelle università. Ferree regole religiose sono state imposte anche con la diffusione di un nuovo calendario, e a nuovi orari e imposte sono stati assoggettati opifici e officine. Il 28 agosto in un nuovo naufragio davanti alle coste della città libica di Zuara, nei pressi del confine con la Tunisia, si sono contati circa duecento morti, una quarantina dei quali ancora una volta ritrovati nella stiva di una delle due imbarcazioni. Il ripetersi dei naufragi e l'endemicità dell'immigrazione illegale verso l'Europa ha provocato in questo caso forti proteste da parte degli abitanti di Zuara nei confronti degli scafisti. Il 13 settembre, dopo che il 27 agosto, ancora una volta senza la delegazione di Tripoli, erano ripresi in Marocco i tentativi di chiudere l'accordo per un nuovo assetto politico della Libia, l'inviato dell'ONU Bernardino Leon annunciava il superamento da parte di tutte le delegazioni presenti dei principali punti di disaccordo. Tuttavia, nonostante la prematura esultanza da parte di molti ambienti internazionali, all'annuncio di Leon non è ancora seguita l'effettiva conclusione del negoziato, con la firma del relativo accordo: un nodo caldo è attualmente quello della composizione del futuro governo di unità nazionale, per il quale l'inviato dell'ONU si è posto l'obiettivo di ottenere da entrambe le parti candidature per le cariche di primo ministro e dei due vicepremier - ancora una volta è stata la delegazione di Tripoli a differire la presentazione delle proprie candidature. Il 25 settembre l'uccisione all'alba, nei dintorni del Medical Center di Tripoli, di un boss del traffico di migranti verso l'Europa provocava accuse alle forze speciali italiane da parte del presidente del congresso di Tripoli, Nuri Abu Sahmain, cui il trafficante ucciso sarebbe stato molto vicino. Secca la smentita da parte italiana, e ciò tanto da parte della Farnesina quanto di ambienti della difesa, come anche da parte di esponenti dell'intelligence del nostro Paese. Controversa è rimasta peraltro l'identità del trafficante ucciso. L'Italia non ha tuttavia mancato di ribadire la propria disponibilità a un ruolo guida nei confronti della situazione libica: intervenendo infatti a New York per l'apertura della sessione annuale dell'Assemblea generale dell'ONU, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il 29 settembre, ha chiarito come l'Italia sia pronta a collaborare con un governo di unità nazionale e ad assumere, su richiesta del (futuro) governo libico un ruolo di guida per la stabilizzazione del paese con il sostegno della Comunità internazionale. Tutto ciò, ha proseguito il Presidente Renzi, anche alla luce dei rischi che l'affacciarsi dell'ISIS sulla sponda sud del Mediterraneo comporta per il nostro Paese e per l'intera Europa. Due giorni dopo il Ministro degli Esteri Gentiloni ha ribadito il sostegno italiano alla fase finale del negoziato tra le fazioni libiche mediato da Bernardino Leon, che a detta di Gentiloni non deve essere indebolito nella sua figura di mediatore solo per l'approssimarsi della scadenza del suo mandato - e in tal senso il Presidente Renzi e il Ministro Gentiloni hanno espressamente chiesto al Segretario generale dell'ONU di sostenere con forza Bernardino Leon. Per quanto poi riguarda il coinvolgimento dell'Italia nella questione libica, il Ministro Gentiloni ha chiarito non trattarsi affatto di una corposa spedizione, ma di interventi limitati su richiesta delle sperabilmente ricostituite autorità libiche, interventi che potranno andare dal monitoraggio elettorale alla messa in sicurezza di alcuni luoghi chiave del paese. L'incontro dei rappresentanti di Tripoli e di Tobruk al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite (2 ottobre), quale forte momento di pressione della Comunità internazionale sulle fazioni libiche per giungere alla stretta finale dell'accordo, non ha dato i risultati sperati, e anzi il capo della delegazione dei filoislamisti che dominano Tripoli ha definito l'incontro un disastro – pur non chiudendo la porta alla possibilità di un accordo, da perseguire in ulteriori incontri nella città statunitense, e poi successivamente con la ripresa dei colloqui in Marocco. Cionondimeno l'incontro del 2 ottobre ha plasticamente rappresentato alle fazioni libiche la consapevolezza internazionale che non sia possibile frapporre ulteriori ritardi al raggiungimento di un accordo, da concludere assolutamente anche per porre fine all'instabilità che favorisce sia la diffusione dell'ISIS che le attività illegali degli scafisti. Non a caso all'incontro del 2 ottobre, oltre al Segretario generale dell'ONU e a Bernardino Leon, hanno partecipato anche il Segretario di Stato USA John Kerry, il Ministro degli Esteri italiano Gentiloni - unitamente ad altri colleghi di paesi membri dell'Unione europea -, e gli omologhi di Marocco, Algeria, Egitto, Turchia, Qatar e altri. |