Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Il Rapporto 2013 African Economic Outlook
Serie: Note di politica internazionale    Numero: 34
Data: 04/11/2013
Descrittori:
AFRICA   ECONOMIA
PIANI DI SVILUPPO     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari


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Il Rapporto 2013 African Economic Outlook

4 novembre 2013



Indice

Il quadro macroeconomico|I capitali provenienti dall'estero|L'integrazione regionale|Lo sviluppo umano e la governance democratica nel continente africano|Le trasformazioni strutturali e le risorse|



L'African Economic Outlook (AEO) Report è uno strumento per il monitoraggio dello sviluppo economico del continente africano. Fornisce previsioni a medio termine sulla crescita economica e alcuni indicatori macroeconomici riguardanti 53 dei 54 paesi africani (solo la Somalia non è ancora coperta dal monitoraggio).

L'edizione 2013 contiene anche una parte dedicata ad un tema speciale: "trasformazione strutturale e risorse naturali" nella convinzione che queste ultime siano il motore della trasformazione economica del continente.

Come in precedenza, il Rapporto nasce dalla collaborazione tra la Banca africana di sviluppo, il Centro per lo sviluppo dell'OCSE, l'UNECA (Commissione economica delle Nazioni Unite per l'Africa) e l'UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo).


Il quadro macroeconomico

Il Rapporto informa che l'economia africana, nel suo insieme, continua a mostrare un alto grado di resistenza alla crisi economica globale. Nel 2012 la crescita è stata al suo massimo - 6,6% - grazie in particolare alla produzione di petrolio libico; con l'esclusione della Libia, la crescita è stata calcolata intorno al 4,2%. In molte regioni dell'Africa, però, (Nord Africa, Mali, Repubblica Democratica del Congo e Nigeria) la crescita è stata ostacolata da tensioni politiche o da problemi inerenti la sicurezza.

La domanda interna, sostenuta da consumi privati e da investimenti sia privati che pubblici, è stata uno degli elementi di traino nell'economia di molti paesi africani. Le esportazioni risentono invece della debolezza dell'economia globale, anche se, con poche eccezioni, il prezzo delle merci rimane piuttosto favorevole agli esportatori africani.

Sul lato dell'offerta, invece, la crescita è sostenuta dai settori dell'agricoltura e dei servizi e, nei paesi ricchi di materie prime, dalla crescente produzione di petrolio e dall'estrazione di minerali.

La situazione differisce ampiamente tra le varie regioni dell'Africa e, all'interno di queste, tra i vari paesi.

In Egitto le previsioni di crescita sono intorno al 2% nel 2013, con un aumento al 3,5% nel 2014, rimanendo così al di sotto dei livelli precedenti il rovesciamento di Mubarak. La Tunisia è in ripresa (3,4% nel 2013) dopo il crollo del 2011 (-1,9%). Marocco e Mauritania continuano a crescere ad un ritmo alto (5 e 5,5%, rispettivamente, il tasso di crescita previsto per il 2014).

I tassi di crescita più elevati si registrano nell'Africa occidentale (6,7% nel 2012 e previsioni del 6,7 e 7,4% nel 2013 e 2014 rispettivamente). I paesi a più rapida crescita sono Nigeria, Ghana e Costa d'Avorio, favorita dal buon andamento del settore petrolifero e minerario. Benin, Capo Verde e Guinea Bissau crescono invece più lentamente (al di sotto del 5%).

Nell'Africa orientale la maggior parte dei paesi ha un tasso di crescita compreso tra il 5 e il 7%. Particolarmente buone le previsioni per Ruanda, Tanzania, Etiopia, Eritrea e Uganda. In Sudan, l'economia ha subito un forte contraccolpo in seguito alla secessione del Sud Sudan, paese per il quale non sono disponibili dati. Nella regioni si è verificata una contrazione del PIL nel 2012 e le proiezioni e si prevedono solo minimi incrementi del tasso di crescita per gli anni 2013 e 2014.

Nell'Africa centrale il PIL continuerà probabilmente a crescere tra il 5,7 nel 2013 e il 5,4% nel 2014. Il Ciad, favorito dalla produzione di petrolio e dal settore agricolo, e la Repubblica Democratica del Congo, dove il settore minerario spinge l'economia, cresceranno al di sopra della media.

L'economia dell'Africa Meridionale crescerà del 4,1% nel 2012 e del 4,6%. La crescita sarà maggiormente tendente al rialzo in Angola, Mozambico, Zambia e Botswana. Il Sudafrica è stato invece danneggiato dagli scioperi dei minatori nel 2012 e dalla recessione dell'eurozona. La crescita nello Zimbabwe aumenta (5% nel 2013) ma, a causa della crisi economica, il PIL è ancora meno di un quarto di quello del 2001.

La crescita del PIL nello Swaziland continua ad essere la più bassa di tutto il continente africano.

Il tasso di inflazione medio è aumentato nel 2012 al 9% circa (nel 2011 era dell'8,5% e nel 2010 del 7%). L'aumento dell'inflazione nel 2011-2012 è da attribuire principalmente all'aumento dei prezzi degli alimenti e del carburante. Le previsioni parlano di una diminuzione di un paio di punti percentuali nel 2013-2014. L'Africa orientale e quella occidentale sono le regioni del continente maggiormente afflitte dal problema. All'interno di queste, i paesi più colpiti sono Guinea, Nigeria, Eritrea, Etiopia e Uganda.

Considerato il rischio di un'ulteriore svolta depressiva dovuta alla diminuzione della domanda globale, molti paesi continuano a perseguire politiche fiscali espansive (nel 2012, Algeria, Burkina Faso, Repubblica del Congo, Camerun, Sudafrica, Namibia e Zambia). Ma molti altri paesi invece, privilegiano strategie di rafforzamento fiscale per assicurare la sostenibilità del debito: questo è messo in atto soprattutto in paesi a rischio di un troppo forte indebitamento (Egitto, Ghana, Etiopia, Botswana, Ruanda, Malawi, Zimbabwe) .

Le prospettive economiche del continente africano dipendono da molti fattori, interni e internazionali: volume e proventi delle esportazioni, turismo, aiuti dai paesi donatori, investimenti stranieri e rimesse degli emigrati. Secondo le stime dei redattori del Rapporto, un 1% di diminuzione del PIL dei paesi OCSE produce una diminuzione del PIL africano dello 0,5% circa e una diminuzione delle esportazioni africane del 10 per cento circa: il commercio è il principale veicolo di contagio della crisi e una crisi globale prolungata può avere effetti molto gravi sulle esportazioni dall'Africa.

I fattori interni di rischio per le economie africane sono costituiti principalmente dalla instabilità politica di alcuni paesi. Cionondimeno il Rapporto delinea un quadro cautamente ottimistico, supportato dalla forte crescita degli ultimi 15 anni e dalla resistenza alla recessione globale del 2009.



I capitali provenienti dall'estero

Di fondamentale importanza per l'economia africana il flusso di capitali proveniente dall'estero che, nel 2012, ha raggiunto la cifra record di 186,3 miliardi di dollari: di questi, 60,4 miliardi erano costituiti da rimesse e 56,1 da aiuti ODA (Official Development Aid proveniente dai paesi donatori dell'OCSE).

Il Rapporto individua due linee di tendenza, che sono andate delineandosi dopo la crisi del 2008: per la prima volta il volume delle rimesse ha superato quello degli aiuti e degli investimenti esteri diretti e, in secondo luogo, la crescente integrazione dell'Africa con le economie emergenti, specie con i paesi in cerca di materie prime.

I flussi finanziari provenienti dall'estero si concentrano però su pochi paesi, e in particolare su Nigeria, Sudafrica, Egitto, Marocco e Repubblica democratica del Congo che, nel complesso, assorbono oltre il 50% dei finanziamenti esteri. Circa la metà dei paesi africani, invece, conta ancora sugli aiuti internazionali, che per essi costituiscono la fonte di maggior finanziamento dello sviluppo: si tratta di paesi da poco usciti da un conflitto, o poveri di materie prime, oppure paesi che non hanno sbocco al mare o a grandi vie di comunicazione.

Come accennato, i paesi emergenti sono sempre più alla ricerca di materie prime africane. Fra essi primeggiano Cina, India e Brasile, che si sono inseriti nel mercato delle esportazioni africane, dapprima occupato solo da Europa e Stati Uniti. Dal 2000 al 2011, le esportazioni verso il paesi emergenti sono passate dall'8 al 22%; contestualmente, quelle verso l'Europa sono diminuite dal 47 al 33 per cento e quelle verso gli USA dal 17 al 10%.



L'integrazione regionale

ll Rapporto affronta inoltre il capitolo dell'integrazione regionale africana, il cui rafforzamento è, secondo il documento, frenato da una scarsità di risorse, dalla presenza di molte piccole economie e da un insufficiente coordinamento a livello nazionale e subregionale. Viene tuttavia citata come positiva l' Area tripartita di Libero scambio istituita nel 2011 dai Capi di Stato e di Governo di COMESA (Common Market for Eastern and Southern Africa) EAC (East Africa Community) e SADC (Southern African Development Community) e che si pone come modello per un nuovo approccio all'integrazione regionale.



Lo sviluppo umano e la governance democratica nel continente africano

Molti paesi africani hanno fatto registrare un miglioramento nello sviluppo umano, come dimostra la tabella dell'UNDP che classifica i paesi del mondo in base all'Indice di Sviluppo Umano. Le Seychelles, ad esempio, si collocano al 46° posto (dati 2012) davanti a paesi dell'Unione europea come Croazia, Romania e Bulgaria. La maggior parte dei paesi africani è classificata "low human development" (dal 142° al 186° posto). Tra di essi, in Angola, Burundi, Etiopia, Mozambico, Ruanda, Sierra Leone e Zimbabwe, si registrano notevoli progressi, soprattutto per quanto riguarda l'aspettativa di vita.

Mentre, nel 2012, le proteste nell'Africa del Nord hanno avuto come movente principale la richiesta di riforme politiche, quelle nell'Africa sub-sahariana erano spinte da motivazioni economiche: richiesta di aumento dei salari o preoccupazione per l'aumento dei prezzi. Il Rapporto evidenzia il fatto che tra il 2011 e il 2012 si sono svolte oltre 50 elezioni, tra presidenziali e parlamentari, segno che la democrazia sta prendendo piede in Africa. Ciononostante, il consolidamento della democrazia è difficile in molti paesi di quel continente, a causa dello scarso sviluppo socioeconomico o della forte influenza dei militari sulla politica.



Le trasformazioni strutturali e le risorse

E' questo il tema speciale affrontato nel Rapporto African Economic Outlook 2013.

Il Rapporto sostiene la necessità di accelerare la trasformazione delle economie dei paesi africani per creare posti di lavoro più numerosi e qualitativamente migliori.

Sebbene infatti il tasso di crescita sia raddoppiato rispetto a quello degli anni '90, il rapporto posti di lavoro/popolazione - che misura la quota di popolazione (nella fascia di età lavorativa) occupata in lavori attivi – è rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi vent'anni: 59% nel 1991 e 60% nel 2011.

Questo significa che la crescita, per produrre maggiori posti di lavoro, deve essere accompagnata da riforme strutturali: trasferimento di risorse economiche da attività a bassa produttività (quelle di tipo famigliare, ad esempio) ad attività più produttive. Questo significa creare nuove attività più produttive e movimentare le risorse e il lavoro dalle attività tradizionali alle nuove attività che, con una produttività più elevata, consentiranno salari maggiori e condizioni di lavoro migliori.

La creazione di nuove attività in Africa è più lenta che in altre regioni del mondo, per esempio l'Asia, ma la strada imboccata a partire dal 2000 è, secondo il Rapporto, corretta.

La trasformazione strutturale dovrà essere guidata dallo sfruttamento delle risorse agricole ed estrattive: questo è il messaggio centrale del Rapporto che in più punti sottolinea l'interdipendenza tra l'esistenza di un forte settore legato alle risorse naturale e la crescita di attività produttive. Del resto, molti paesi del mondo hanno già dimostrato che i settori delle risorse naturali possono essere il motore della trasformazione strutturale, a patto che i governi mettano in atto le giuste politiche.

Sono molti gli elementi necessari alla trasformazione strutturale: infrastrutture, istruzione, buone istituzioni e leggi, capacità di governo, un sistema fiscale equo, accesso al credito, un mercato efficace e sufficientemente largo.

Per ottenere una trasformazione strutturale basata sulle risorse naturali, il Rapporto suggerisce un approccio formato da quattro livelli:

1) mettere in atto le condizioni per la trasformazione strutturale: servizi pubblici di alta qualità; creare un ambiente istituzionale e normativo favorevole; capacità di governo; accesso alla finanza e ai mercati;

2) incentivare gli investimenti per l'esplorazione e lo sfruttamento delle risorse estrattive. Quanto alle altre risorse naturali, creare efficaci sistemi di gestione del territorio, favorire la ricerca e le capacità per gli specifici settori. L'agricoltura è spesso penalizzata da insufficienti forniture di fertilizzanti.

3) utilizzare le rendite provenienti dalle risorse naturali. Per i paesi nei quali le risorse naturali generano rendite con effetti significativi sul resto dell'economia e sull'ambiente, queste possono fornire gli elementi necessari per rinforzare le condizioni della trasformazione strutturale. La gestione delle rendite dovrà naturalmente essere corretta, per evitare effetti deleteri come volatilità o sprechi, così come per evitare che lo scopo finale sia quello della ricerca della rendita fine a se stessa.

4) attuare politiche attive di promozione della trasformazione strutturale particolarmente volte ad accrescere la produzione agricola e a creare dei legami con le industrie estrattive. La trasformazione agricola è stata la chiave del successo economico in molti paesi in Asia, America latina ed Europa. L'Africa, a sua volta, può fare molto per iniziare la sua rivoluzione verde e promuovere la commercializzazione dell'agricoltura.