Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Lo scenario afghano
Serie: Note di politica internazionale    Numero: 13
Data: 28/05/2013
Descrittori:
AFGHANISTAN     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari


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Lo scenario afghano

28 maggio 2013



Indice

Il quadro istituzionale|La situazione politica interna|Il vertice NATO di Chicago e la conferenza di Tokyo del luglio 2012|La strategia di transizione|



Il quadro istituzionale

Dal punto di vista della forma istituzionale, l'Afghanistan è una Repubblica islamica, retta da un regime presidenziale. Quanto alla forma di governo, il paese sud asiatico è una Repubblica presidenziale: secondo la Costituzione del 2004, il Presidente è pertanto sia Capo dello Stato che Capo del Governo.

Nell'esercizio del potere esecutivo il Presidente è affiancato da due Vicepresidenti eletti  assieme a lui con voto diretto e sistema maggioritario a doppio turno. Qualora nessun candidato ottenga almeno il 50% dei voti al primo turno, i due candidati più votati passano al ballottaggio. La durata del mandato è di cinque anni, rinnovabile una sola volta. I membri del Governo, che  riflette tradizionalmente la composizione etnica del paese (Pashtun 42%, Tajiki 27%, Azari 9% ed Uzbeki 9% ) vengono nominati dal Presidente ed ottengono la fiducia individuale dalla Camera bassa del Parlamento. Anche altre significative decisioni del Presidente, quali le nomine delle massime autorità dello Stato, i decreti e la firma di trattati, devono essere sottoposti alla Camera Bassa, che ha il diritto di rigettarle. Il Presidente può rinviare le leggi al Parlamento, ma è tenuto a promulgarle se questo le riapprova con una maggioranza qualificata.

Il potere legislativo è esercitato dal Parlamento bicamerale composto dalla Camera alta (Meshrano Jirga) e dalla Camera menzionata Camera bassa (Wolesi Jirga). I titolari dei 102 seggi della Camera Alta sono eletti per un terzo dai 34 consigli provinciali, con mandato di quattro anni, per un terzo (34 seggi) dai consigli di distretto, con mandato triennale e per un terzo sono nominati dal Presidente, con mandato di durata quinquennale. La Wolesi Jirga conta 249 seggi i cui titolari sono eletti con sistema proporzionale e mandato quinquennale.

Le disposizioni elettorali stabiliscono, a seconda della densità della popolazione, il numero dei candidati da eleggere in ciascuna delle 34 circoscrizioni; tale numero oscilla tra un massimo di 33 eletti per la circoscrizione della capitale Kabul e un minimo di due (Nimroz, Nuristan e Panjsher); dieci seggi (di cui almeno tre a donne) sono riservati ai nomadi Kuchis, popolazione pashtun della parte orientale e meridionale dell'Afghanistan.

La Costituzione riserva 68 seggi (27,3% del totale) alle donne; tuttavia, anche se una candidata riceve voti sufficienti a vincere un seggio al di fuori del sistema delle quote, il suo seggio viene computato tra i 68 riservati.

La Costituzione prevede la possibilità, per il Governo, di convocare una Loya Jirga (Gran Consiglio) sulle questioni che riguardino l'indipendenza, la sovranità nazionale e l'integrità territoriale: il Consiglio, composto da parlamentari e da presidenti dei consigli provinciali e distrettuali può modificare le disposizioni della Costituzione e perseguire il Presidente.

 

Un regime presidenziale


La situazione politica interna

 

Dall'iniziale conteggio dei voti espressi alle elezioni presidenziali del 20 agosto 2009 era risultata la rielezione di Hamid Karzai con il 54% delle preferenze, a fronte del 28% ottenuto dal rivale Abdullah Abdullah. Le contestazioni sulla regolarità del voto ampiamente espresse sia all'interno del Paese sia dalla comunità internazionale, con accuse di brogli elettorali ad entrambi i contendenti, e il conseguente riconteggio delle schede, avevano prodotto la convocazione dei comizi elettorali per il turno di ballottaggio, calendarizzato per il 7 novembre. Il ritiro, alla vigilia delle consultazioni elettorali, di Abdullah Abdullah, in polemica con l'autorità preposta alla procedure elettorali – quell'Indipendent Election Commission del cui presidente chiedeva le dimissioni - provocava la cancellazione del ballottaggio e la proclamazione (giuridicamente controversa) di Karzai a Presidente. Primo vicepresidente è Mohammad Qasim Fahim e secondo vicepresidente Mohammad Karim Khalili.

 

Dopo la controversa vittoria elettorale del 2009 Karzai si è trovato a fronteggiare l'ostilità della Camera bassa, che ha più volte negato la fiducia individuale ai membri del Governo indicati dal Presidente, mentre la comunità internazionale lo ha ripetutamente posto sotto pressione a causa del persistente sistema di corruzione presente nel paese.

Alle elezioni parlamentari del 18 settembre 2010, anche questa volta afflitte da brogli che ne hanno minacciato la validità nonché da problemi connessi alle condizioni di sicurezza del paese, ha fatto seguito una lunga querelle sulla validità dei voti e quindi sull'identificazione degli eletti, che ha determinato il differimento della sessione di apertura del Parlamento alla fine di gennaio 2011, peraltro in un quadro di contenziosi non del tutto risolti. L'influenza politica della maggioranza pashtun filo-presidenziale è comunque uscita ridimensionata dal voto.

Va rammentato che il sistema elettorale afghano non si avvale dei registri elettorali che permettano di identificare con certezza i votanti e di evitare il voto multiplo. Tale carenza è connessa al più generale problema dell'anagrafe dei cittadini, di difficile gestione sia a causa della precarietà della situazione di sicurezza, sia della presenza di popolazione nomade e di un'ampia diaspora all'estero; ma sono in particolare ostacoli di natura etnico-politica ad opporsi al censimento, dai cui esiti potrebbe evidenziarsi il ridimensionamento della consistenza numerica delle due principali componenti etniche del paese, pashtun e tagika, con conseguenti modifiche negli assetti di potere.

L'attuale agenda politica afghana si incentra sul ritiro delle forze della coalizione internazionale e sul passaggio alle forze nazionali delle responsabilità della sicurezza del paese. A tale proposito, nell'incontro tra il Presidente USA e l'omologo afghano in occasione del vertice dei Capi di Stato e di Governo dei paesi membri della NATO (Chicago, 20-21 maggio 2012) Barak Obama ha confermato la tempistica del ritiro stabilita al vertice di Lisbona (novembre 2010), affermando che "il mondo sostiene la strategia di transizione della Nato per mettere fine alla guerra entro il 2014" anche se non ha nascosto che" resta ancora molto lavoro da fare". Karzai, per parte sua, ha dichiarato che "l'Afghanistan non vuole più essere un peso per gli Stati Uniti e la Comunità internazionale", ribadendo altresì l'impegno del suo paese per raggiungere l'autosufficienza nei tempi concordati a Lisbona con il passaggio, entro la fine del 2014, della responsabilità della sicurezza in mani afgane. La tabella di marcia prevede che le forze afghane vengano messe in grado di essere operative già a partire dalla metà del 2013, con le truppe dell'Alleanza atlantica che cesseranno di combattere e resteranno sul territorio con funzione prevalentemente di supporto.

Il generale Joseph Dunford, comandante della missione ISAF si è dichiarato ottimista sull'esito dell'operazione e sul futuro dell'Afghanistan: "le elezioni nella primavera 2014 saranno uno straordinario evento per l'Afghanistan e saranno un indicatore dei 10 anni di opportunità che seguiranno". Il Generale ha aggiunto: "Quando guardo alle forze afghane mi faccio tre domande. La prima: potranno assumere il comando nel 2013? E la risposta è sì. la seconda domanda è: quando guardo alle elezioni, potranno offrire la sicurezza necessaria? E la risposta è sì. La terza domanda è: potranno garantire una totale sicurezza della transizione alla fine del 2014? E la risposta è sì".

 



 

Le elezioni del settembre 2010
La tempistica del ritiro dall'Afghanistan


Il vertice NATO di Chicago e la conferenza di Tokyo del luglio 2012

Il vertice dell'Alleanza atlantica svoltosi a Chicago il 20 e il 21 maggio 2012 ha confermato il completamento del ritiro delle truppe della missione ISAF entro il dicembre 2014 quando sarà completato il graduale trasferimento delle responsabilità per la sicurezza del paese dalle truppe ISAF alle Forze di sicurezza afghane. Gli alleati si sono impegnati a proseguire il loro sostegno all'Afghanistan nella marcia verso la sua autonomia in materia di sicurezza, verso una migliore governance ed uno sviluppo economico e sociale. La loro presenza nel paese si svilupperà attraverso una nuova missione con compiti di formazione, di consulenza e di supporto. Il Governo afghano si è impegnato a perseguire i principi del buon governo, della lotta alla corruzione e del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, compresa la parità tra uomini e donne, nonché la trasparenza e la regolarità delle elezioni.

Gli Alleati hanno ribadito il loro impegno, anche finanziario, a contribuire alla formazione, all'equipaggiamento e allo sviluppo delle capacità delle forze afghane a cui viene trasferita la responsabilità della sicurezza del paese. Il costo di questa operazione è individuato in 4.100 milioni di dollari annui, per un decennio (con possibilità di rivedere periodicamente lo stanziamento sulla base della situazione di sicurezza del paese).

L'impegno finanziario della Comunità internazionale è stato definito nella Conferenza di Tokyo dell'8 luglio 2012, che ha riunito il governo afgano e la comunità internazionale, focalizzandosi sugli elementi non-security.

Nel loro insieme Chicago e Tokyo costituiscono i rinnovati e più robusti pilastri fondativi della partnership internazionale con Kabul, finalizzata a supportare lo sviluppo e la crescita sostenibile dell'Afghanistan lungo quella che viene definita la Transformation Decade (2015-2024). Gli impegni assunti dai partecipanti in entrambi gli eventi sono stati costruiti sui risultati della Conferenza di Bonn (5 dicembre 2011), nella quale il governo afgano e la comunità internazionale avevano rinnovato l'impegno reciproco di lungo termine in materia di governance, sicurezza, processo di pace, sviluppo sociale ed economico e cooperazione regionale.

All'inizio del "decennio di trasformazione" 2015- 2024 la Comunità internazionale si è impegnata a fornire oltre 16 miliardi di dollari entro il 2015, e a continuare a fornire il supporto fino al 2017. Le risorse, nel complesso, sono pari al livello di aiuti del decennio passato per rispondere al gap di bilancio stimato dalla Banca Mondiale (tra 3,3 e 3,9 miliardi di dollari nei primi tre anni) e dal governo afgano.

Quanto alla posizione italiana a Tokyo, il rappresentante italiano, il sottosegretario agli Affari esteri Staffan de Mistura, ha sottolineato l'importanza di aver superato il vecchio concetto di mutuo impegno, risalente alla Conferenza di Bonn del 2011, a favore della più impegnativa mutua reciproca responsabilità, fondativa di un rapporto più maturo tra l'Afghanistan e la comunità internazionale.

In tale contesto le risorse finanziarie messe a disposizione dei progetti di sviluppo diverranno concretamente disponibili solo a fronte di concreti miglioramenti in termini di tutela dei diritti umani, con particolare riguardo ai diritti delle donne. La consistenza degli sforzi dell'Italia per aiutare l'Afghanistan corrisponde all'entità dell'impegno economico annunciato al Summit Nato di Chicago in 120 milioni di euro annui per il triennio 2015-2017 a sostegno delle forze di sicurezza afghane.



 

L'impegno finanziario internazionale per l'Afghanistan


La strategia di transizione

 

Le difficoltà nel conseguimento degli obiettivi fissati dalla strategia annunciata a West Point e riconfermata a distanza di un anno (16 dicembre 2010) - ossia sottrarre l'iniziativa ai talebani, proteggere la popolazione e sostenere l'esecutivo nel miglioramento della governance – insieme a forti dubbi nell'opinione pubblica americana sui costi connessi ad un approccio dagli esiti incerti, hanno portato l'Amministrazione ad un ripensamento della questione.

L'avvio di una strategia di transizione che prevede il passaggio delle responsabilità di sicurezza alle forze armate e di polizia afghane, con l'obiettivo di giungere entro il 2014 al completo ritiro delle truppe di combattimento operanti nel quadro della missione ISAF è emerso dal Vertice Nato di Lisbona (19-20 novembre 2010).

Il ritiro dall'Afghanistan è iniziato già nel 2011. Attualmente il 90% del paese è sotto il comando delle forze afghane.

Entro il prossimo mese di giugno è prevista la cosiddetta milestone, il momento in cui le operazioni di combattimento saranno al 100% condotte dalle forze afghane e la missione ISAF assumerà la modalità di "consulenza e supporto". La data precisa sarà annunciata dal presidente Karzai. Da quel momento la missione rimarrà comunque disponibile a dare supporto anche per operazioni di combattimento su richiesta delle autorità di Kabul.

I tempi del ritiro dei contingenti nazionali sono stati decisi dai singoli governi. La Francia ad esempio, che nell'aprile 2012 aveva circa 3.600 soldati, ha già ridotto il suo impegno alle 459 unità attuali. Le tappe previste per la smobilitazione Usa sono invece quelle di una riduzione del contingente a 50.000 unità a novembre e a 34.000 entro febbraio 2014 (livello che sarà mantenuto anche nel periodo delle elezioni presidenziali, che si terranno il 5 aprile 2014).

Sull'interpretazione del termine temporale si è aperto nella comunità internazionale un dibattito dagli esiti potenzialmente pericolosi in quanto, da un'interpretazione del 2014 come scadenza rigida (come nel caso di Spagna e Canada) sarebbe derivato un atteggiamento attendista degli insurgents, pronti a un nuovo dispiegamento massiccio del loro potenziale dopo il ritiro degli assetti combat internazionali. Non a caso, il presidente Obama ha sottolineato da subito la determinazione a non abbandonare in nessun caso l'Afghanistan a se stesso dopo il 2014. Nella medesima direzione opera anche l'accordo di partenariato di lungo periodo tra Karzai e il Segretario generale della NATO, in base al quale il sostegno internazionale all'Afghanistan continuerà fino al raggiungimento della reale possibilità afgana di far fronte al possibile ritorno dei talebani. Barak Obama, inoltre, per rassicurare i paesi occidentali preoccupati dalle possibili operazioni sui territori nazionali di terroristi con basi in Afghanistan, ha assicurato il mantenimento in Afghanistan di una efficiente struttura di controterrorismo sino al perdurare della minaccia di Al Qaida. L'Italia ha preannunciato l'invio di 200 addestratori.

 

Per un inquadramento dei profili strategico-militari della crisi afghana, cfr. "La missione in Afghanistan" (Servizio Studi, Documentazioni e ricerche n. 20 del 28 maggio 2013)

 

Il ritiro dei contingenti nazionali