Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: L'accordo tra Serbia e Kosova per la minoranza serbo-kosovara del Nord
Serie: Note di politica internazionale    Numero: 7
Data: 29/04/2013
Descrittori:
KOSOVO   MINORANZE ETNICHE E RELIGIOSE
SERBIA   TRATTATI ED ACCORDI INTERNAZIONALI
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari


+ maggiori informazioni sul dossier


L'accordo tra Serbia e Kosovo per la minoranza serbo-kosovara del Nord.

29 aprile 2013




In Kosovo, dopo la storica dichiarazione di indipendenza del febbraio 2008 – che in Serbia provocava l'uscita di Kostunica dall'alleanza con i democratici di Tadic, che tuttavia si affermavano nelle elezioni dell'11 maggio -, la politica del governo guidato dal 2007 da Hashim Thaci evitava saggiamente di affrontare di petto le rivendicazioni della minoranza serba del nord, come anche di immischiare il neonato paese in altre situazioni balcaniche caratterizzate dalla significativa presenza di minoranze etniche albanesi. In tal modo, pur nella precarietà della situazione, ancora totalmente nelle mani delle missioni internazionali in loco, entro la fine del 2008 il Kosovo era stato riconosciuto da 53 Stati membri dell'ONU, tra cui gli USA e una larga maggioranza di appartenenti all'Unione europea. Tuttavia il paese presentava la più alta disoccupazione dei Balcani (45%), e si confermava nodo essenziale di traffici illegali, sia per il riciclaggio di denaro che per gli stupefacenti.

I primi passi del nuovo governo serbo (nato nel luglio 2008)  non erano invece troppo graditi alle cancellerie occidentali, in quanto, seppur con metodi pacifici e diplomatici, proseguiva la ferma opposizione serba all'indipendenza del Kosovo, incarnata soprattutto dal ministro degli esteri Vuk Jeremic. Va però sottolineato come, in presenza di una forte opposizione di impronta nazionalistica, ancorché divisa, al governo non restasse probabilmente altro che insistere sulla questione del Kosovo, anche  in vista della sentenza della Corte internazionale di giustizia chiesta da Belgrado, al fine di contenere il possibile ritorno dei nazionalisti stessi, ansiosi di cavalcare l'orgoglio ferito dei serbi.

Nel novembre 2009 si svolgevano le prime elezioni locali in Kosovo dopo l'indipendenza: al di là del risultato, reso difficilmente interpretabile dalla miriade di liste e piccoli partiti, tanto l'affluenza che la regolarità della consultazione risultavano migliori che nel 2007. La vittoria arrideva al Partito democratico del Kosovo (PDK) del premier Thaci, che conquistava 14 delle 36 municipalità interessate, mentre 7 di esse andavano alla Lega democratica del Kosovo. Il fatto che le due formazioni, alleate a livello nazionale, si presentassero divise alle amministrative, era prodromico alla fine della coalizione.

Il 22 luglio 2010 la Corte internazionale di giustizia si pronunciava sulla richiesta presentata dalla Serbia in ordine all'illegalità della secessione del Kosovo: le speranze serbe venivano demolite dalla sentenza, in base alla quale la dichiarazione di indipendenza del 2008 non costituiva violazione del diritto internazionale. La reazione serba era tuttavia assai moderata, e l'Unione europea ricompensava questo atteggiamento con la formale accettazione della richiesta per ottenere lo status di paese candidato presentata dalla Serbia nel dicembre 2009.

In Kosovo, Hashim Thaci capitalizzava prontamente il prestigio derivante dalla sentenza: quando in settembre il Capo dello Stato Sejdiu si dimetteva dalla carica per incompatibilità con la posizione di leader della Lega democratica del Kosovo, che veniva ritirata dalla coalizione di governo, Thaci induceva l'autoscioglimento del Parlamento. Le elezioni legislative anticipate si tenevano il 12 dicembre, e il partito di Thaci si affermava con il 34% dei voti, a fronte del 23% della LDK di Seidiu. A parte le numerose contestazioni sulla regolarità del voto, Thaci doveva confrontarsi con il rapporto Marty, nel quale il delegato svizzero del Consiglio d'Europa accusava il premier kosovaro di appartenere a un'organizzazione criminale dedita a traffici illeciti di ogni specie, incluso quello di organi umani, perpetrati anzitutto durante la guerra del Kosovo nel 1999. Le gravissime accuse provocavano tuttavia prevalentemente un moto nazionalistico di solidarietà verso Thaci, permettendogli di mascherare la difficile situazione economica, con la disoccupazione sempre altissima e il calo delle rimesse degli emigrati, colpiti dalla crisi economica internazionale nei rispettivi paesi, e soprattutto nella vicina Grecia. All'inizio del 2011 le trattative per il nuovo governo sfociavano nella formazione di un esecutivo di coalizione tra il partito di Thaci, una serie di piccole formazioni politiche delle minoranze etniche e l'Alleanza per il rinnovamento del Kosovo di Pacolli, un uomo d'affari miliardario in stretti rapporti d'affari con la Russia. Proprio i suoi legami con Mosca – percepita nel paese come il nemico principale sulla scena internazionale - provocavano però una sollevazione dopo la sua elezione a Capo dello Stato, e anche grazie a un'escamotage giuridico la situazione si risolveva con le sue dimissioni. Al suo posto veniva eletta Atifete Jahjaga, una donna di 36 anni, già vicecapo della polizia kosovara.

Invece della temuta disgregazione della coalizione di governo, ciò che veramente creava al premier grandi difficoltà era l'azione di polizia del 25 luglio 2011, quando due unità speciali kosovare tentavano di assumere il controllo di due posti di frontiera nella zona nord popolata da serbo-kosovari, che fino a quel momento era stata come una terra di nessuno dal punto di vista doganale. Il tentativo kosovaro era causato dalla necessità di impedire l'afflusso incontrollato di merci serbe, come anche di riscuotere dazi doganali essenziali alla precaria economia kosovara. Sta di fatto che l'irruzione poliziesca provocava immediatamente l'erezione di una ventina tra barricate e blocchi stradali da parte dei serbi, attorno ai quali si accendevano periodici tafferugli per tutto il resto dell'anno, coinvolgendo anche appartenenti alla missione KFOR della NATO. La grave crisi frustrava le speranze del governo serbo di ottenere finalmente lo status di paese candidato all'adesione alla UE:  Belgrado veniva indirettamente coinvolta nei tumulti in quanto il suo rifiuto di riconoscere l'indipendenza del Kosovo veniva equiparato ad un incoraggiamento ai serbo-kosovari, e configurava comunque uno stato di cattive relazioni con un paese vicino (il Kosovo), che secondo la cancelliera Angela Merkel contraddiceva i requisiti per l'ingresso nell'Unione europea. 

A metà gennaio 2012 si scatenavano violenti scontri di segno opposto nel nord del Kosovo, per iniziativa di estremisti kosovaro-albanesi intenzionati a impedire l'ingresso di merci serbe nel Kosovo, le quali, in ragione del mancato rispetto degli accordi commerciali da parte di Belgrado, sarebbero state troppo abbondanti in Kosovo, a fronte di una scarsità di merci kosovare in Serbia. Il 15 e 16 febbraio 2012 si svolgeva il criticatissimo referendum tra i serbi del Kosovo settentrionale, che al 99,74% si sono dichiarati, alla vigilia del quarto anniversario dell'indipendenza di Pristina, contro la sovranità del Kosovo e le sue istituzioni. Il referendum, privo di valore giuridico, minava soprattutto i piani del presidente serbo Tadic, ostacolandone l'accreditamento presso le istituzioni europee proprio sulla cruciale questione dei rapporti con Pristina.

Il 24 febbraio 2012, nell'ambito del Forum di dialogo tra Kosovo e Serbia, venivano tuttavia raggiunti degli accordi giudicati molto positivi dall'Unione europea: in particolare, si concordava sulla partecipazione del Kosovo, assieme a Belgrado, ai Forum regionali, nonché sull'applicazione dell'accordo sulla gestione integrata delle frontiere, anche per porre rimedio agli scontri ripetutamente verificatasi ai confini settentrionali del Kosovo. Non a caso il 1º marzo il Consiglio europeo di Bruxelles riconosceva finalmente alla Serbia lo status di paese candidato all'adesione all'Unione europea, premiando chiaramente la politica riformista ed europeista del presidente Tadic. Il 6 maggio 2012 si svolgevano in Serbia congiuntamente le elezioni presidenziali, legislative e municipali: le elezioni legislative e quelle presidenziali si sono svolte anche per i serbi residenti nel Kosovo, dopo un accordo tra Belgrado e Pristina mediato dall'OSCE, impegnata anche nel monitoraggio del processo elettorale nell'intera Serbia. Naturalmente sul territorio kosovaro l'OSCE ha potuto avvalersi della collaborazione della missione internazionale KFOR e della missione europea EULEX, e le operazioni di voto si sono svolte senza incidenti.

All'inizio di giugno 2012 si riaccendeva tuttavia la violenza nel Nord del Kosovo, ove manifestanti serbo-kosovari si scontravano con militari della KFOR impegnati a smantellare alcune barricate  - erette nell'estate 2011 al confine con la Serbia per protestare contro la presenza di poliziotti kosovari albanesi ai posti di confine -: il bilancio non ha fortunatamente registrato vittime, ma tre manifestanti e due militari NATO sono rimasti feriti.

Il 10 settembre, quattro anni e mezzo dopo la proclamazione dell'indipendenza del 2008, il Kosovo ha raggiunto, almeno sul piano formale, la piena sovranità: è infatti cessata la supervisione sul paese esercitata fino a quel momento dall'ISG (Gruppo internazionale di orientamento sul Kosovo, composto da 25 Stati sostenitori della prima ora di Pristina). Se la Comunità internazionale sembra aver riconosciuto a Pristina sostanziali progressi sulla via della democrazia e dello Stato di diritto, non va dimenticato che la sovranità del paese è rimasta a lungo contestata dai serbo-kosovari residenti nel nord, nonché dalla stessa Serbia, il cui premier Ivica Dacic ribadiva in un primo tempo anch'egli che Belgrado non avrebbe mai riconosciuto l'indipendenza kosovara – anche se i colloqui tra le parti, con il decisivo impulso della UE, raggiungevano qualche risultato distensivo. L'accordo sulla gestione integrata delle frontiere tra serbi, kosovari e missione europea EULEX, in procinto di entrare in vigore in metà delle sei postazioni dal 10 dicembre 2012, provocava comunque nuove minacce dei serbi del nord del Kosovo, intenzionati a rifiutare in ogni modo il solidificarsi di una vera frontiera con la Serbia e le sue implicazioni, come l'eventuale imposizione di dazi o l'obbligo di servirsi di documenti kosovari. Tuttavia, per uno dei frequenti paradossi della politica, proprio il governo serbo di impronta teoricamente più nazionalista succeduto al periodo di Tadic e capeggiato da Dacic si  spingeva nel marzo 2013 ad ammettere che in qualche modo il Kosovo non va più considerato parte della Serbia, e che sarebbe tempo per tutti i serbi di prenderne atto, superando le bugie raccontate a lungo negli anni passati. Ciononostante però i colloqui ripetuti a Bruxelles tra le rispettive delegazioni non hanno registrato a lungo veri progressi, soprattutto sull'estensione dello status di autonomia per le comunità serbo-kosovare del nord: l'8 aprile la Serbia ha ufficialmente respinto la proposta europea di soluzione per le relazioni con il Kosovo, pur dicendosi pronta a proseguire con urgenza il negoziato bilaterale con Pristina mediato dall'Unione europea.

Tuttavia la diplomazia europea, e in primo luogo l'Alto rappresentante Catherine Ashton, non si davano per vinti e rilanciavano con forza le trattative, mentre la Commissione europea rinviava il 16 aprile la presentazione dei rapporti sulla Serbia e sul Kosovo nel loro cammino verso l'Europa, proprio per accrescere la panoplia degli strumenti diplomatici di pressione sui due paesi. In questo modo il 19 aprile veniva raggiunto un accordo definito storico tra il premier kosovaro Hashim Thaci e quello serbo Ivica Dacic, finalizzato alla sistemazione della zona settentrionale del Kosovo, abitata prevalentemente da serbi e oggettivamente facilitata dalla vicinanza geografica nel mantenimento di forti legami con Belgrado. L'accordo ha previsto anche la collaborazione della NATO alla sua attuazione, NATO che intanto continuerà a garantire come ha fatto finora la sicurezza dell'intero Kosovo. La parte fondamentale dell'accordo serbo-kosovaro, articolato in 15 punti, prevede la nascita di una associazione dei comuni a maggioranza serba nel Kosovo settentrionale, associazione che godrà di una vasta autonomia che va dai poteri di polizia all'amministrazione della giustizia, tuttavia nell'ambito delle strutture nazionali del Kosovo. Nel contesto dell'accordo ciascuna parte si impegna a non agire per bloccare il percorso di integrazione europea dell'altro contraente, nonché a contribuire nel 2013 all'organizzazione di elezioni nei comuni del Nord del Kosovo. Nel dettaglio, per quanto concerne i poteri di polizia, gli esponenti serbo-kosovari saranno inquadrati nelle strutture kosovare di pari grado, ma si prevede la figura di un capo della polizia regionale per le quattro municipalità del Kosovo settentrionale a maggioranza serba, figura che sarà appannaggio di un serbo-kosovaro nominato dal ministro dell'interno del Kosovo da una lista di nomi fornita dall'associazione dei comuni serbo-kosovari. Nel Kosovo settentrionale la composizione dei corpi di polizia rifletterà quella etnica della popolazione. Per quanto riguarda la giustizia, si procederà a una integrazione delle autorità giudiziarie, mentre la Corte di appello di Pristina darà vita a un gruppo composto da una maggioranza di giudici serbo-kosovari specializzato per le questioni che riguardano i comuni a maggioranza serba. La municipalità di Mitrovica Nord ospiterà una divisione permanente della Corte d'appello.

Nelle more della ratifica dell'accordo nelle rispettive capitali si sono levate   forti le voci dei serbi del Kosovo settentrionale, come anche della Chiesa   ortodossa di Belgrado, fortemente contrari all'accordo appena siglato -   in effetti va ricordato che i serbi del Nord del Kosovo non sono stati inclusi nelle   estenuanti tornate negoziali che hanno condotto alla firma dell'accordo.   Il 24 aprile Aleksandar Vulin, direttore dell'Ufficio governativo serbo per il Kosovo,   si è dimesso in polemica con l'accordo del 19 aprile, dichiarando altresì di appoggiare   la richiesta dei serbo-kosovari di sottoporre l'intesa a referendum anche in   Serbia – questi hanno ribadito l'assoluta opposizione all'accordo anche nell'incontro   con Dacic del 25 aprile, con l'argomentazione che il rispetto dell'accordo implicherebbe   il riconoscimento implicito dell'indipendenza del Kosovo. Dopo l'incontro, il vicepremier   serbo Vucic ha aperto alla possibilità del referendum, e uguale posizione ha espresso   il presidente Nikolic il giorno dopo al Commissario europeo all'allargamento Stefan Fuele.   Il parlamento serbo ha approvato nella stessa giornata del 26 aprile a larga maggioranza   l'accordo del 19 aprile – i sì sono stati 173 su 203 deputati presenti. L'unico partito contrario   è stato il Partito del progresso serbo, nazionalista, dell'ex premier Vojislav Kostunica, che ha   accusato il governo di aver tradito i serbi del Kosovo e di aver violato la Costituzione della Serbia,   mentre alcune centinaia di estremisti di destra manifestavano innanzi al Parlamento di Belgrado.   Una grande manifestazione nella capitale serba è stata annunciata anche dai serbo-kosovari   per il prossimo 10 maggio. In ogni modo, il 22 aprile il Parlamento kosovaro aveva approvato l'accordo e poche ore dopo la Commissione europea presentava ai ministri degli esteri della UE riuniti a Lussemburgo i rapporti su Serbia e Kosovo, che raccomandano rispettivamente l'apertura dei negoziati per l'adesione e dei negoziati per l'accordo di associazione all'Unione europea. Le relative decisioni sono previste nel Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo del 27 giugno prossimo.