Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento finanze
Titolo: Disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A. - D.L. 99/2017 - A.S. 2879
Riferimenti:
AC N. 4565/XVII   DL N. 99 DEL 25-GIU-17
Serie: Progetti di legge    Numero: 600    Progressivo: 2
Data: 13/07/2017
Organi della Camera: VI-Finanze
Altri riferimenti:
AS N. 2879/XVII     


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Disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A.

13 luglio 2017
Progetti di legge


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Premessa

 

Il provvedimento in esame introduce disposizioni urgenti per facilitare la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A. e per garantire la continuità del sostegno del credito alle famiglie e alle imprese del territorio.

Tali misure consistono anzitutto nella vendita di parte delle attività delle due banche a un acquirente - di fatto individuato in Intesa Sanpaolo - ed il trasferimento del relativo personale.

Per garantire la continuità dell'accesso al credito da parte delle famiglie e delle imprese, nonché per la gestione dei processi di ristrutturazione delle banche in liquidazione, si dispone:

  • una iniezione di liquidità pari a circa 4,8 miliardi di euro;
  • la concessione di garanzie statali, per un ammontare massimo di circa 12 miliardi di euro, sul finanziamento della massa liquidatoria dei due istituti da parte di Intesa Sanpaolo.

Per i creditori subordinati delle banche che siano investitori al dettaglio è previsto un meccanismo di ristoro analogo a quello stabilito dal decreto legge n. 59 del 2016 per gli istituti posti in risoluzione nel novembre 2015; le prestazioni sono a carico del Fondo interbancario di tutela dei depositanti.

Sono introdotte misure per rendere fiscalmente neutre le operazioni di cessione e gli interventi pubblici che le possono accompagnare. Si intende inoltre consentire il trasferimento dei crediti per le imposte differite delle banche in liquidazione al cessionario dell'azienda bancaria.

Nel corso dell'esame in sede referente è stato rifuso nel provvedimento in esame il contenuto del decreto-legge n. 89 del 2017Detto provvedimento ha modificato la disciplina dell'intervento statale nelle procedure di risanamento e ricapitalizzazione degli istituti bancari recata dal decreto-legge n. 237 del 2016, intervenendo in particolare sulla normativa che concerne il riparto degli oneri di risanamento delle banche tra azionisti e creditori subordinati (cd. burden sharing).

 

Si ricorda che il 23 giugno 2017 la Banca Centrale Europea ha dichiarato le due banche in condizione di dissesto (failing or likely to fail).

Secondo le regole UE, una banca in dissesto ordinariamente viene sottoposta a liquidazione secondo le ordinarie procedure di insolvenza, salvo il caso in cui il Comitato unico di risoluzione reputi che vi sia un interesse pubblico a sottoporre l'istituto a risoluzione, in quanto la liquidazione ordinaria potrebbe compromettere la stabilità finanziaria, interrompere la prestazione di funzioni essenziali e pregiudicare la tutela dei depositanti (considerando 45 della direttiva 2014/59/UE, cd. BRRD, che reca la disciplina europea dei salvataggi bancari).

 

Nella medesima data, il predetto Comitato di risoluzione unico (SRB – Single Resolution Board), richiesto di valutare se vi fossero tutti i requisiti per una risoluzione secondo la disciplina europea per i salvataggi bancari (direttiva 2014/59/UE, cd. BRRD), è giunto alla conclusione che non è possibile dichiarare la risoluzione, in quanto non sussiste il requisito dell'interesse pubblico.

In tali circostanze le regole europee prevedono l'applicazione delle procedure di insolvenza di ciascuno Stato, sotto l'egida della competente autorità nazionale di vigilanza a specifiche condizioni.

 

Si ricorda in proposito che la citata direttiva BRRD (articolo 32, par.1, lettera c) della direttiva 2014/59/UE) e i decreti legislativi di recepimento (in particolare il D.Lgs. n. 180 del 2015, all'articolo 20, comma 2) prevedono che la risoluzione è disposta quando la relativa autorità ha accertato la sussistenza dell'interesse pubblico.

La disciplina della crisi degli istituti bancari è stata profondamente modificata dalla predetta direttiva BRRD, che ha introdotto una nuova modalità di gestione delle crisi: la cd. risoluzione, con cui viene avviato un processo di ristrutturazione gestito da autorità indipendenti – le autorità di risoluzione – che, attraverso l'utilizzo di tecniche e poteri offerti dalle disposizioni europee, mira a evitare interruzioni nella prestazione dei servizi essenziali offerti dalla banca (ad esempio, i depositi e i servizi di pagamento); ripristinare condizioni di sostenibilità economica della parte sana della banca; liquidare le parti restanti.

Secondo le regole UE, una banca in dissesto è ordinariamente sottoposta a liquidazione secondo le ordinarie procedure di insolvenza, salvo il caso in cui il Comitato unico di risoluzione reputi che vi sia un interesse pubblico a sottoporre l'istituto a risoluzione, in quanto la liquidazione ordinaria potrebbe mettere a repentaglio la stabilità finanziare, interrompere lo svolgimento di funzioni critiche e mettere a repentaglio la tutela dei depositanti (considerando 45 della direttiva BRRD).

La normativa italiana di recepimento riconosce sussistente detto interesse pubblico ove la risoluzione è necessaria e proporzionata per conseguire uno o più obiettivi indicati all'articolo 21 del D.Lgs. n. 180/2015 (continuità delle funzioni essenziali dei soggetti in crisi, stabilità finanziaria, contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela) e la sottoposizione della banca a liquidazione coatta amministrativa non consentirebbe di realizzare questi obiettivi nella stessa misura.

Di conseguenza in presenza di uno stato di dissesto, anche solo prospettico, le autorità competenti devono valutare se è possibile attivare la procedura ordinaria di liquidazione coatta amministrativa o se è utile avviare la procedura di risoluzione.

 

Fuori dal contesto della risoluzione, le regole europee prevedono la possibilità di richiedere l'approvazione della Commissione UE sull'uso di aiuti pubblici per facilitare la liquidazione.

Più in dettaglio, ove gli Stati membri ritengano necessario prendere in considerazione un intervento pubblico per mitigare gli effetti dell'uscita dal mercato di un istituto bancario, trovano applicazione le regole europee in tema di aiuti di Stato: in particolare, per il settore bancario le regole sono individuate nella Comunicazione della Commissione UE del luglio 2013 (cd. Banking Communication).

Essa richiede che i possessori di azioni e di obbligazioni subordinate contribuiscano pienamente ai costi di risanamento (cd misure di burden sharing), in modo tale che le distorsioni della concorrenza siano limitate.

Dall'altro lato, le medesime regole UE stabiliscono che i possessori di obbligazioni seniornon devono contribuire al risanamento e i depositantirimangono pienamente tutelati, coerentemente alle regole UE.

 

La Commissione UE riferisce che l'Italia, in tale contesto, ha ritenuto che la liquidazione delle due banche possa avere un forte impatto sull'economia reale delle regioni in cui esse sono maggiormente operative.

Il Governo ha dunque ritenuto necessario applicare la normativa del Testo unico bancario (D.Lgs. n. 385 del 1993, articoli 80-95), che prevede l'avvio della procedura di liquidazione coatta amministrativa e contestualmente adottare misure di aiuto pubblico volte a sostenere una gestione ordinata della crisi delle due banche, nel contesto di una speciale procedura d'insolvenza.

Il 24 giugno 2017 l'Italia ha notificato alla Commissione Europea il piano di aiuti per facilitare la liquidazione di BPVi e Veneto Banca.

Il 25 giugno 2017 la Commissione ha approvato le misure predisposte dall'Italia e contenute nel provvedimento in esame.

 

Come riferito dal Commissario alla Concorrenza, Margrethe Vestager, la decisione della Commissione consente all'Italia di adottare misure volte a facilitare la liquidazione di entrambi gli istituti. In particolare, lo Stato italiano intende supportare la vendita e l'integrazione degli asset, così come il trasferimento dei dipendenti, ad Intesa Sanpaolo. Secondo quanto riportato dal Commissario, i possessori di azioni e i creditori junior hanno pienamente contribuito al risanamento, così riducendo i costi a carico dello Stato, mentre i depositanti rimangono pienamente tutelati. Tali misure, come affermato dal Commissario, contribuiranno a rimuovere 18 miliardi di crediti deteriorati (non performing loans) dal sistema bancario italiano, sostenendo così il suo consolidamento.
 

Come anticipato, le misure consistono anzitutto nella vendita di parte delle attività delle due banche a Intesa Sanpaolo, ivi incluso il trasferimento del relativo personale. Sotto il profilo finanziario, le misure adottate dal Governo per garantire la continuità dell'accesso al credito da parte delle famiglie e delle imprese, nonché per la gestione dei processi di ristrutturazione delle banche in liquidazione consistono in iniezioni di liquidità pari a 4,8 miliardi di euro. A questa cifra si aggiungono circa 400 milioni, quale eventuale costo da sostenere per le garanzie prestate dallo Stato sugli impegni delle banche in liquidazione, per un ammontare massimo di circa 12 miliardi di euro.

 

La Commissione ha ritenuto che tali misure siano in linea con la regolamentazione europea in materia di aiuti di Stato alle banche e, in particolare, con la citata Comunicazione della Commissione di luglio 2013 sugli aiuti di Stato al settore bancario, in quanto gli attuali possessori di azioni e di obbligazioni subordinate hanno pienamente contribuito ai costi del risanamento, riducendo così il costo dell'intervento per lo Stato.

Entrambi gli istituti destinatari degli aiuti saranno dunque liquidati in modo ordinato e usciranno dal mercato; le attività trasferite a Intesa San Paolo verranno ristrutturate e significativamente ridotte; queste misure limiteranno le distorsioni della concorrenza che vengono da tali aiuti.

La Commissione riferisce che sia le garanzie sia gli apporti di capitale sono coperti dai crediti di rango più elevato (senior) vantati dallo Stato italiano sulle attività comprese nella massa fallimentare. Di conseguenza, il costo netto per lo Stato italiano sarà nettamente inferiore all'importo nominale dei provvedimenti previsti.

Inoltre, a parere della Commissione, il soggetto acquirente (Intesa) è stato scelto in una procedura aperta, equa e trasparente, gestita interamente dalle autorità italiane, che hanno assicurato la vendita degli asset secondo la migliore offerta ricevuta: non si tratta dunque di un aiuto di Stato nei confronti di Intesa. Le autorità europee reputano che detta vendita consentirà di abbassare l'ammontare della rimanente massa liquidatoria, finanziata da crediti forniti da Intesa.

Si ricorda in questa sede che la Banca d'Italia ha pubblicato, sul proprio sito internet, un dossier (sotto forma di domande e risposte) relativo alla crisi delle banche venete.

Articolo 01 - Modifiche al decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237

Nel corso dell'esame in sede referente è stato rifuso nel provvedimento in esame (introdotto articolo 01) il contenuto del decreto-legge n. 89 del 2017.

Detto provvedimento ha modificato la disciplina dell'intervento statale nelle procedure di risanamento e ricapitalizzazione degli istituti bancari recata dal decreto-legge n. 237 del 2016, intervenendo in particolare sulla normativa che concerne il riparto degli oneri di risanamento delle banche tra azionisti e creditori subordinati (cd. burden sharing); esso consiste nella riduzione forzosa del capitale o del debito subordinato e/o nella conversione di quest'ultimo in azioni.

Si prevede in particolare che, ove la banca abbia presentato o formalmente comunicato l'intenzione di presentare richiesta di intervento dello Stato, sia prorogato di sei mesi il termine di scadenza delle passività oggetto delle predette misure di burden sharing, se tale termine di scadenza ricade nei sei mesi successivi alla presentazione dell'istanza o della formale comunicazione dell'intenzione di presentarla.

La norma in esame interviene inoltre sulle misure di ricapitalizzazione degli istituti bancari da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, effettuata mediante l'acquisto di azioni o altri strumenti rappresentativi del capitale: in particolare, si allunga (di 60 giorni, da 60 a 120) il periodo concesso per il completamento, da parte del MEF, delle operazioni di acquisto delle azioni delle banche interessate al risanamento, ove tali azioni derivino dalle predette misure di burden sharing.

Conseguentemente, il comma 2 dell'articolo 1 del ddl di conversione abroga il decreto-legge 16 giugno 2017, n. 89, confermando la validità degli atti e dei provvedimenti adottati e facendo salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge.

La crisi delle banche venete

Con nota tecnica del 15 aprile 2016, la Banca d'Italia ha fornito alcuni chiarimenti relativi agli intermediari Banca Popolare di Vicenza (BPV) e Veneto Banca (VB). Le predette banche sono state investite da due tipologie di problematiche, legate alla loro originaria natura di banche popolari non quotate: la modalità di determinazione del prezzo delle azioni e i finanziamenti concessi dalle banche alla clientela per la sottoscrizione delle azioni della banca medesima. Relativamente al prezzo delle azioni, per le banche popolari non quotate il codice civile (articolo 2528) attribuisce la responsabilità di fissare il prezzo all'assemblea dei soci, su proposta degli amministratori. Riguardo alla raccolta di capitale (ed emissione di azioni) a fronte di finanziamenti erogati dalle stesse banche emittenti ai sottoscrittori delle azioni (cosiddette 5 "azioni finanziate"), la normativa di settore prevede che le azioni acquistate grazie a un finanziamento della banca emittente non possono essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza. Tale patrimonio è considerato dalla normativa di settore come il primo cuscinetto di sicurezza per assorbire eventuali perdite; deve essere quindi costituito da risorse sicure, non da elementi a elevato rischio di essere vanificate da un finanziamento non restituito.
Per quanto concerne la Banca Popolare di Vicenza, le controversie hanno riguardato principalmente l'operatività in azioni proprie che, dal gennaio del 2014 (a seguito dell'entrata in vigore del regolamento europeo n. 575 del 26 giugno 2013), richiede in ogni caso un'autorizzazione della Vigilanza, la quale subordina la decisione ad una valutazione prudenziale, poiché nel momento in cui la banca riacquista le proprie azioni dai suoi soci riduce il patrimonio.
Nel corso del 2014, come rileva la Banca d'Italia, è emerso che la Banca Popolare di Vicenza acquistava azioni proprie senza aver prima richiesto l'autorizzazione alla Vigilanza. Le ispezioni del 2015 hanno rilevato, oltre ai riacquisti di azioni proprie effettuati senza la necessaria autorizzazione, anche il problema delle "azioni finanziate" non dedotte per un ammontare cospicuo dal patrimonio di vigilanza. La Banca d'Italia ha rilevato come ciò abbia comportato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale di circa 1 miliardo di euro, registrato dalla banca nella relazione semestrale al 30 giugno e nel bilancio d'esercizio 2015. La situazione patrimoniale ha inoltre risentito del deterioramento del portafoglio creditizio, che ha comportato la contabilizzazione di 1,3 miliardi di euro di rettifiche di valore nel bilancio 2015 (+54% rispetto all'anno precedente). Come riferito dalla Banca d'Italia, l'alta dirigenza di BPV è stata rinnovata e la banca, in coerenza con il nuovo piano industriale, ha poi deliberato un piano complessivo di rafforzamento patrimoniale o di modifica radicale della corporate governance che comprende la trasformazione in S.p.A. (approvata dall'Assemblea il 3 marzo 2016), un aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro e la quotazione in Borsa delle azioni (tramite un'operazione di Initial Public Offering, IPO). Il cambio di forma giuridica e l'obbligo di trasformazione in società quotata hanno comportato una significativa svalutazione delle azioni, il cui valore è passato dai 62,50 euro nel 2014 (approvazione bilancio 2013) ai 6,3 euro di febbraio 2016.
Con l'intervento del fondo Atlante nell'aprile del 2016 è stato sottoscritto un nuovo aumento di capitale, con l'ulteriore abbassamento del prezzo di ciascuna azione a 10 centesimi di euro.
Con comunicato stampa del 9 gennaio 2017 l'istituto ha annunciato l'avvio di un'iniziativa di conciliazione transattiva rivolta agli azionisti che hanno investito in azioni BPVi negli ultimi 10 anni. L'offerta pubblica di transazione prevede un riconoscimento economico pari a 9 euro per ogni azione acquistata tramite una banca del Gruppo Banca Popolare di Vicenza a partire dal 1° gennaio 2007 e sino al 31 dicembre 2016, al netto delle vendite; il riconoscimento sarà erogato a fronte della rinuncia dell'azionista a qualsiasi pretesa in relazione all'investimento in (o mancato disinvestimento di) titoli azionari Banca Popolare di Vicenza, titoli che rimarranno comunque di proprietà dell'azionista. La platea è stata stimata in circa 94.000 azionisti, individuati secondo criteri oggettivi, che comprendono principalmente persone fisiche, società di persone, fondazioni, ONLUS ed enti senza fine di lucro. Contestualmente BPVI ha costituto un fondo, per complessivi 30 milioni di euro, a sostegno degli azionisti che versano in condizioni disagiate.
L'iniziativa si basa sulla consapevolezza della presenza di situazioni di impoverimento e grave disagio sociale che coinvolgono alcuni azionisti risparmiatori di BPVi, oltreché sulla volontà di ricostruire un rapporto di fiducia tra la Banca e i suoi soci risparmiatori. Il fondo è riservato esclusivamente agli azionisti che rientrano nel perimetro dell'Offerta di Transazione e che rinunciano ad azioni risarcitorie, l'attivazione del fondo è subordinata all'esito positivo della stessa Offerta di Transazione. Il termine di adesione all'Offerta di Transazione, in origine fissato al 22 marzo 2017, è stato prorogato al 28 marzo 2017.
Il 9 aprile 2017 l'istituto ha reso noto che a tale offerta hanno aderito 66.770 azionisti (71,9%), portatori del 68,7% delle azioni comprese nell'Offerta di Transazione .
L'istituto, il 1° febbraio 2017, ha comunicato di aver ricevuto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze il decreto con il provvedimento di concessione della garanzia dello Stato su nuove emissioni obbligazionarie ai sensi del decreto-legge n. 237 del 2016 e di aver contestualmente avviato l'operatività necessaria per l'emissione di titoli garantiti.
Il 17 marzo 2017 BPVI ha reso noto che è in fase di finalizzazione il nuovo Piano industriale 2017-2021 - già sottoposto alle Autorità di Vigilanza - nel quale è previsto un progetto di fusione con il Gruppo Veneto Banca unitamente ad un intervento di rafforzamento patrimoniale da realizzarsi nel 2017. Nella medesima occasione la Banca Popolare di Vicenza, nell'ambito delle modalità di reperimento dei capitali necessari ad implementare la citata ricapitalizzazione, ha comunicato al MEF, Banca d'Italia e BCE l'intenzione di accedere alle già citate misure di ricapitalizzazione precauzionale di cui al decreto-legge n. 237 del 2016.
Il 1° giugno 2017 l'istituto ha effettuato una seconda emissione obbligazionaria con garanzia dello Stato, ai sensi del decreto-legge n. 237 del 2016, per un importo complessivo di 2,2 miliardi di euro nominali, tasso nominale annuo lordo 0,50% e scadenza 1 giugno 2020 (ISIN: IT0005247645). Il titolo è stato sottoscritto interamente dall'emittente e verrà utilizzato per incrementare i buffer di liquidità del Gruppo. Con questa emissione le obbligazioni in essere con garanzia statale emesse dalla Banca ammontano a 5,2 miliardi di euro nominali (di cui 3,0 miliardi di euro emessi nel febbraio 2017).
Con riferimento a Veneto Banca, la problematica illustrata dalla Banca d'Italia concerne in particolare il fenomeno delle "azioni finanziate" non dedotte, reiterato nel tempo nonostante i solleciti delle Autorità di vigilanza e le sanzioni irrogate. Nella richiamata nota tecnica, la Banca d'Italia rileva che detta prassi ha comportato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale per circa 300 milioni di euro, registrato dalla banca nella relazione trimestrale al 30 settembre 2015 e nel bilancio d'esercizio 2015; ulteriori 56 milioni di euro sono emersi dal completamento delle analisi svolte dalla funzione di revisione interna della banca su richiesta della Vigilanza. La situazione patrimoniale ha inoltre risentito anche del deterioramento del portafoglio creditizio, che ha comportato la contabilizzazione di oltre 700 milioni di euro di rettifiche di valore su crediti nel bilancio 2015. La necessità di "squalificare" le "azioni finanziate" e di recepire le ulteriori perdite emerse ha imposto alla banca di ricostituire i margini patrimoniali regolamentari. Ai cambiamenti di governance del 2015 sono seguiti la definizione di un piano di rafforzamento patrimoniale, per 1 miliardo di euro, nonché la trasformazione in società per azioni, ai sensi delle nuove norme sulle banche popolari (decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito con legge 24 marzo 2015, n. 33) e la quotazione in borsa. Nel corso del 2016 la governance aziendale ha avuto un sostanziale rinnovo, conclusosi con l'avvio dell'azione di responsabilità il 16 novembre 2016 nei confronti degli ex componenti del Consiglio di Amministrazione e del Collegio Sindacale nonché dell'ex Direttore Generale di Veneto Banca S.p.A. Analogamente a quanto disposto da BPVi, Veneto Banca ha annunciato l'avvio di un'iniziativa di conciliazione transattiva, mediante un'Offerta di Transazione con un indennizzo forfettario ed onnicomprensivo pari al 15% della perdita teorica sofferta in conseguenza degli acquisti di Azioni Veneto Banca (al netto delle vendite effettuate e dei dividendi percepiti) avvenuti nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2007 ed il 31 dicembre 2016, a fronte della rinuncia dell'azionista a promuovere azioni legali. L'iniziativa si rivolge a circa 75.000 azionisti, pari a circa l'85% del totale. Il Consiglio di Amministrazione di Veneto Banca ha deliberato inoltre la costituzione di un Fondo di solidarietà di 30 milioni di euro per sostenere i Soci che versano in comprovate situazioni di particolare disagio socio-economico, rivolto ai medesimi destinatari dell'Offerta Pubblica di Transazione; anche in questo caso i beneficiari dovranno rinunciare ad azioni risarcitorie nei confronti della Banca. Il fondo diventa effettivo a seguito dell'esito positivo dell'Offerta stessa. L'Offerta si è conclusa il 28 marzo, a seguito della proroga dei termini.
Si ricorda che la Banca ha effettuato nel febbraio 2017 due emissioni garantite dallo Stato ai sensi del D.L. n. 237 del 2016.
A seguito della richiesta presentata nella medesima data di BPVi (17 marzo 2017) di ricapitalizzazione precauzionale di cui al decreto-legge n. 237 del 2016, anche Veneto Banca ha manifestato l'intenzione di accedere al sostegno finanziario straordinario e temporaneo da parte dello Stato italiano ("ricapitalizzazione precauzionale"), ai sensi del D.L 237/2016.
Il 23 giugno scorso, la Banca Centrale Europea ha dichiarato le due banche in condizione di dissesto (failing or likely to fail). Successivamente il Comitato di risoluzione unico (SRB – Single Resolution Board) ha valutato se vi fossero tutti i tre requisiti per una risoluzione secondo la direttiva europea per i salvataggi bancari (BRRD), giungendo alla conclusione che non è possibile dichiarare la risoluzione in quanto non sussiste il requisito dell'interesse pubblico. Per ulteriori informazioni si rinvia al commento dell'articolo 1 del provvedimento in esame.
Come riferito dalla Banca d'Italia nel dossier relativo alla crisi delle banche venete, alla data della liquidazione le banche avevano emesso obbligazioni garantite dallo Stato per 8,6 miliardi.
 Per ulteriori approfondimenti sulla situazione del mercato del credito in Veneto, si veda il rapporto annuale 2016 "L'economia del Veneto" pubblicato dalla Banca d'Italia (capitolo 5).

Più in dettaglio, le norme in commento intervengono sul meccanismo di compensazione per i detentori di obbligazioni coinvolte nelle misure di burden sharing, che non siano controparti qualificate o investitori professionali (articolo 01, comma 1, lettera a), che novella l'articolo 19, comma 2 del decreto-legge n. 237 del 2016). In particolare, si allunga da 60 a 120 giorni – decorrenti dalla data di pubblicazione del decreto che dispone le misure di burden sharing - il periodo concesso per il completamento dell'operazione di acquisto, da parte del MEF, delle azioni derivanti dall'applicazione dei predetti strumenti di riparto degli oneri.

 

L'articolo 19 richiamato disciplina la procedura che consente al MEF di ricapitalizzare gli istituti bancari, mediante la sottoscrizione di azioni ordinarie fornite di diritto di voto pieno, computabili come Common Equity Tier 1.
Il MEF può sottoscrivere non solo azioni di nuova emissione, ma anche azioni rivenienti dall'applicazione delle misure di riparto degli oneri (cd. burden sharingper cui si veda ai paragrafi successivi) nell'ambito di transazioni tra l'emittente e gli azionisti divenuti tali a seguito dell'applicazione delle misure di ripartizione degli oneri, purché tali soggetti non siano controparti qualificate, al fine di prevenire o comporre una controversia legata al collocamento o alla negoziazione da parte dell'emittente degli strumenti finanziari a cui siano state applicate le predette misure di burden sharing. La banca interessata propone agli investitori al dettaglio una transazione, limitatamente agli strumenti per la cui offerta sussisteva obbligo di pubblicare un prospetto, e salvo che siano stati acquistati da una controparte qualificata o da un investitore professionale diverso dalla banca o società del suo gruppo e senza avvalersi di servizi o attività d'investimento prestate dalla banca o società del suo gruppo.

 

Tale allungamento, come riferito dal Governo nella relazione illustrativa al decreto-legge n. 89 del 2017, intende consentire un'adeguata valutazione da parte degli investitori coinvolti.

 

Con un secondo gruppo di  modifiche, di cui all'articolo 01, comma 1, lettera b) (il quale interviene sull'articolo 22 del decreto-legge n. 237, con l'aggiunta di un comma 2-ter) si dispone che, ove l'istituto emittente abbia presentato o abbia formalmente comunicato l'intenzione di presentare, a seguito dell'accertamento dei requisiti di accesso, la richiesta di intervento dello Stato, sia automaticamente prorogato di sei mesi il termine di scadenza delle passività oggetto di burden sharing, se tale termine di scadenza ricade nei sei mesi successivi alla presentazione dell'istanza o della formale comunicazione dell'intenzione di presentarla.

Scopo dichiarato della norma è quello di assicurare la parità di trattamento nella ripartizione degli oneri.

Tale proroga, per espressa previsione normativa, non comporta inadempimento ai sensi di legge o di clausole contrattuali, ivi incluse quelle relative ad altri rapporti di cui è parte l'Emittente o una componente del gruppo bancario di cui esso è parte.

 

Il richiamato articolo 22 disciplina le misure di partecipazione, da parte di azionisti e creditori subordinati, agli oneri di ricapitalizzazione della banca, chiarendo che la sottoscrizione delle azioni da parte del MEF è effettuata solo dopo l'applicazione delle misure di ripartizione degli oneri, allo scopo di contenere il ricorso ai fondi pubblici.
Le norme richiamate stabiliscono tra l'altro: le regole relative all'inefficacia delle garanzie rilasciate sugli strumenti oggetto di conversione e i principi applicabili alla conversione medesima. Si illustrano i casi in cui, previo parere negativo della Commissione UE, non si dà luogo in tutto o in parte alla conversione. Viene disciplinata la tutela giurisdizionale avverso le misure di conversione, nonché l'insieme degli effetti del burden sharing e dell'erogazione dei sostegno pubblico sui rapporti contrattuali dell'intermediario. Le norme in esame vengono poi qualificate come disposizioni di applicazione necessaria.
 
In proposito occorre preliminarmente ricordare che il Tier 1 capitalchiamato anche patrimonio di base o di qualità primaria, è costituito dal capitale versato, dalle riserve e dagli utili non distribuiti. Sono esclusi dal Tier 1: le azioni proprie, l'avviamento, le immobilizzazioni immateriali e le perdite dei vari esercizi (compreso quello in corso). Dal Tier 1 capital rimangono escluse anche le rettifiche di valore operate sul portafoglio di negoziazione.
Il Tier 1 Capital risulta, a sua volta, costituito dal c.d.  Common Equity Tier 1 Capital ("CET1"), ossia il capitale di qualità primaria costituito dagli strumenti con la più spiccata capacità di assorbimento delle perdite e dall'Additional Tier 1 Capital ("AT1"), costituto da "nuovi" strumenti ibridi la cui principale caratteristica qualitativa è una più spiccata capacità di assorbimento delle perdite. Si tratta, tra l'altro, di strumenti innovativi di capitale che, in caso di necessità, interrompono la distribuzione delle cedole per andare a rimpinguare il capitale primario della banca. Tali ibridi appartengono alla categoria in evoluzione dei titoli "quasi-equity", ossia dei titoli posti nella zona di confine tra il patrimonio e i debiti. I cosiddetti ibridi sono invece parte fondamentale del cosiddetto Tier 2 capital (o patrimonio supplementare), composto da riserve di valutazioni e da un'ampia schiera di strumenti innovativi di capitale (oltre che ibridi). Vi è anche un Tier 3 capital (prestiti subordinati di terzo livello) in cui confluiscono strumenti di capitale non riconducibili alle prime due categorie.
 
Oggetto della conversione in azioni ordinarie di nuova emissione, ai sensi della disciplina del burden sharing, sono (articolo 22, comma 2):
  • gli strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 (Additional Tier1), aventi le caratteristiche indicate nell'articolo 19, comma 1 (azioni ordinarie con diritto di voto non limitato né condizionato nell'assemblea ordinaria e nell'assemblea straordinaria, non privilegiate nella distribuzione degli utili né postergate nell'attribuzione delle perdite). Sono inclusi negli strumenti convertibili quelli qualificati come strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 ai sensi della cd. "clausola di grandfathering" del citato regolamento e relative disposizioni di attuazione, nonché le altre passività dell'Emittente aventi un grado di subordinazione nella gerarchia concorsuale uguale o superiore. In sintesi, la clausola di grandfathering consente di computare nell'Additional Tier 1 alcuni strumenti che secondo le regole ordinarie ne sarebbero esclusi, per un periodo limitato di tempo e a specifiche condizioni;
  • gli strumenti e prestiti computabili come elementi di classe 2 ai sensi delle citate norme UE (strumenti subordinati, Tier 2), ivi inclusi gli strumenti coperti dalla clausola di grandfathering, nonché gli altri strumenti e prestiti aventi lo stesso grado di subordinazione nella gerarchia concorsuale (lettera b));
  • gli strumenti e i prestiti diversi a quelli indicati dalle lettere a) e b), il cui diritto al rimborso del capitale è contrattualmente subordinato al soddisfacimento dei diritti di tutti i creditori non subordinati dell'Emittente (altri strumenti subordinati).

 

La Relazione illustrativa del decreto-legge n. 89 rileva come il decreto-legge n. 237 non contenga una norma (cd. freezing) che cristallizzi a una certa data la situazione delle passività suscettibili di burden sharing. Intento del Governo è ovviare a tale mancanza; "in considerazione della non prevista durata delle negoziazioni con le istituzioni dell'Unione Europea" competenti a valutare la conformità della misura di intervento pubblico con il quadro normativo comunitario. A parere dell'esecutivo, l'assenza di una norma di freezing può rivelarsi pregiudizievole per la parità di trattamento dei creditori, ove vengano a scadenza, nelle more della procedura di autorizzazione, alcune delle passività coinvolte.

 

Alla proroga si applica, in quanto compatibile, il comma 10 dell'articolo 22, che disciplina gli effetti dell'azione delle misure di burden sharing e di erogazione dei sostegno pubblico sui rapporti contrattuali dell'intermediario. Tale comma dispone, tra l'altro, l'inefficacia delle pattuizioni contrattuali che ricollegano a tali misure conseguenze negative per l'intermediario o per altro componente del gruppo bancario di appartenenza (clausole risolutive espresse, clausole di event of default; di cross-default o di acceleration event). In secondo luogo, viene chiarito che le misure disposte dal MEF non costituiscono di per sé inadempimento contrattuale e pertanto non consentono ai creditori di attivare i rimedi previsti in tali casi (ad esempio risoluzione, decadenza dal beneficio del termine, escussione delle garanzie e altro).

Le norme in commento chiariscono infine che, durante la proroga, le passività producono interessi secondo le previsioni contrattuali applicabili.

 La citata relazione illustrativa chiarisce che la proroga della scadenza non avrebbe effetti retroattivi; essa riguarda infatti solo le passività che verranno a scadenza dopo l'entrata in vigore del decreto legge.

 

Si segnala che la normativa europea in materia di sostegno al settore bancario, con particolare riferimento alla direttiva BRRD ed alla Comunicazione della Commissione del luglio 2013, non sembra specificamente contemplare lo strumento della sospensione prevista dalle norme in esame, sebbene dette fonti normative non vietino espressamente il ricorso al cd. freezing.  Il punto 41 della comunicazione della Commissione UE del luglio 2013, relativa all'applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria luglio 2013 dispone che un'adeguata condivisione degli oneri deve comportare di norma contributi da parte di detentori di capitale ibrido e di debito subordinato, i quali devono contribuire a ridurre la carenza di capitale nella massima misura possibile. 

In tale ambito la Comunicazione precisa che, in ogni caso, i deflussi di liquidità dal beneficiario ai detentori di tali titoli devono essere evitati, nella misura in cui ciò sia giuridicamente possibile.

In considerazione delle modifiche apportate con l'articolo in esame, il titolo del decreto-legge in commento è stato integrato col riferimento alle misure per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio.


Articolo 1 - Ambito di applicazione

 

L'articolo 1 individua l'ambito di applicazione del provvedimento, precisando che lo stesso disciplina l'avvio e lo svolgimento della liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A., nonché le modalità e le condizioni delle misure a sostegno delle stesse, in conformità alla disciplina europea in materia di aiuti di Stato (comma 1).

 

In considerazione della rifusione, effettuata nel corso dell'esame in sede referente, del contenuto decreto-legge n. 89 del 2017 nel provvedimento in esame (introdotto articolo 01), il comma 1-bisdell'articolo 1 dispone l'abrogazione del predetto decreto-legge, mantenendo la validità degli atti e dei provvedimenti adottati e facendo salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge. 

Il comma 2 prevede che le misure del decreto che integrano la fattispecie di aiuto di Stato, ai sensi dell'articolo 107 del TFUE, sono adottate subordinatamente alla positiva decisione della Commissione europea che stabilisca la loro compatibilità con la relativa disciplina europea.

L'articolo 107, paragrafo 3, lett. b), del TFUE consente agli Stati membri di effettuare interventi pubblici ritenuti aiuti compatibili con il mercato interno quando sono volti a porre rimedio ad un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro. Con la comunicazione della Commissione UE del 2013, relativa all'applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria, sono state individuate le condizioni per l'autorizzazione degli aiuti alla liquidazione.
Per essere ritenuto compatibile, nel caso di banche in liquidazione, si richiede che: i costi della liquidazione siano ridotti al minimo necessario; le distorsioni alla concorrenza siano limitate; siano previste misure di condivisione degli oneri a carico di azionisti e creditori subordinati. In particolare, al momento di determinare se vi è un aiuto a favore dell'acquirente dell'ente creditizio o di parti di esso, la Commissione valuta se: a) il processo di vendita è aperto, incondizionato e non discriminatorio; b) la vendita avviene a condizioni di mercato; c) l'ente creditizio (o il governo, in funzione della struttura scelta) massimizza il prezzo di vendita delle attività e passività interessate.
Si ricorda che il 19 luglio 2016 la Corte di giustizia dell'UE ha emanato una sentenza nella quale rileva la legittimità della comunicazione della Commissione europea sugli aiuti al settore bancario. In particolare, secondo la Corte, la ripartizione degli oneri tra azionisti e creditori subordinati in vista dell'autorizzazione, da parte della Commissione, degli aiuti di Stato a favore di una banca sottocapitalizzata, non viola il diritto dell'Unione.

 

Come anticipato in premessa, il 24 giugno 2017 l'Italia ha notificato alla Commissione Europea il piano di aiuti per facilitare la liquidazione di BPVi e Veneto Banca.

Il 25 giugno 2017 la Commissione ha approvato le misure predisposte dall'Italia e contenute nel provvedimento in esame.

 

Il comma 3 stabilisce che il Ministero dell'economia e delle finanze, sulla base degli elementi forniti dalla Banca d'Italia, debba presentare alla Commissione europea una relazione annuale, sino al termine della procedura, con le informazioni dettagliate riguardo agli interventi dello Stato effettuati in esecuzione del decreto in esame.

Articolo 2 - Liquidazione coatta amministrativa

 

L'articolo 2 del provvedimento, ad esito della positiva decisione della Commissione UE sulle misure adottate dall'Italia per agevolare l'uscita dal mercato di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, consente al Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta della Banca d'Italia, di:

  1. sottoporre le due banche a liquidazione coatta amministrativa, disponendo altresì la continuazione dell'esercizio dell'impresa (articolo 2, comma 1, lettere a) e b));
  2. prevedere la cessione dell'azienda bancaria o di rami di essa ad un acquirente (articolo 2, comma 1, lettera c));
  3. adottare misure di sostegno pubblico per la predetta cessione.

Sono previste specifiche misure (comma 2) per l'accertamento del passivo dei soggetti in liquidazione e viene chiarita la decorrenza (comma 3) dei provvedimenti di liquidazione, cessione degli asset e di sostegno pubblico disposti ai sensi delle norme in esame.

 

Più in dettaglio il comma 1, a seguito del parere positivo della Commissione UE (reso il 25 giugno 2017; si veda più diffusamente la premessa al presente dossier), affida a uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, adottati su proposta della Banca d'Italia, il compito di disporre:

a)   la liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca e di Banca Popolare di Vicenza;

b)  la continuazione, ove necessario, dell'esercizio dell'impresa o di determinati rami di attività, per il tempo tecnico necessario ad attuare le cessioni previste ai sensi del provvedimento in esame. In deroga all'articolo 90, comma 3, del decreto legislativo 1°; settembre 1993, n. 385 (Testo Unico Bancario), la continuazione è disposta senza necessità di acquisire autorizzazioni o pareri della Banca d'Italia o del comitato di sorveglianza.

Ai sensi del richiamato comma 3, infatti, in via ordinaria la continuazione dell'impresa bancaria o di determinati rami di essa è richiesta dai commissari liquidatori, nei casi di necessità e per il miglior realizzo dell'attivo; essa viene concessa previa autorizzazione della Banca d'Italia, secondo le cautele indicate dal comitato di sorveglianza;

c)   la cessione da parte dei commissari liquidatori degli asset all'acquirente individuato (Intesa Sanpaolo) in conformità all'offerta vincolante formulata dal cessionario medesimo. Con l'offerta il cessionario assume gli impegni ai fini del rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato, identificati nell'offerta stessa. Con comunicato stampa del 26 giugno 2017, Intesa Sanpaolo ha reso noto di aver firmato con i commissari liquidatori di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca il contratto di acquisto, al prezzo simbolico di un euro, di alcune attività e passività e alcuni rapporti giuridici facenti capo alle due banche (si veda la scheda di lettura dell'articolo 3 per ulteriori dettagli);

d)  gli specifici interventi pubblici a sostegno della cessione degli asset, in conformità all'offerta vincolante di cui alla lettera c).

In estrema sintesi, si ricorda che l'articolo 4 autorizza il MEF ad effettuare i seguenti interventi pubblici a sostegno dell'operazione: concessione della garanzia dello Stato a copertura dello sbilancio di cessione; erogazione di un supporto finanziario per ricostituire i fondi propri del cessionario per un ammontare idoneo a fronteggiare l'assorbimento patrimoniale derivante dalle attività ponderate per il rischio acquisito; concessione della garanzia dello Stato sull'adempimento di obblighi assunti dalle due banche in relazione a impegni, dichiarazioni e garanzie da esse assunti; erogazione al cessionario di fondi a sostegno di misure di ristrutturazione aziendale.

 

Ai sensi del comma 2, dopo l'adozione dei predetti decreti, l'accertamento del passivo dei soggetti in liquidazione ai sensi dell'articolo 86 del Testo unico bancario è condotto con riferimentoai soli crediti non ceduti, retrocessi ai sensi dell'articolo 4 o sorti dopo l'avvio della procedura.

 

Si rammenta che l'articolo 4, commi 4 e 5 del provvedimento in esame consentono al cessionario degli asset delle banche in liquidazione di retrocedere al cedente alcuni beni, a specifiche condizioni di legge o nei casi previsto dal contratto di cessione.
 
In estrema sintesi, l'articolo 86 del TUB (come modificato dal D.Lgs. n. 181 del 2015, che ha recepito la normativa europea sulla crisi bancaria per la parte di modifica del TUB) reca la procedura di accertamento del passivo da parte di commissari liquidatori. La procedura prevede anzitutto che i commissari comunichino a ciascun creditore le somme risultanti a credito, con riserva di eventuali contestazioni. Analoga comunicazione viene inviata a coloro che risultino titolari di diritti reali su beni e strumenti finanziari relativi ai servizi di investimento. Entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione, i creditori e i titolari dei diritti possono presentare i reclami ai commissari, allegando i documenti giustificativi.
Successivamente i commissari presentano alla Banca d'Italia, sentiti i cessati amministratori della banca, l'elenco dei creditori ammessi e delle somme riconosciute a ciascuno, indicando i diritti di prelazione e l'ordine degli stessi, nonché gli elenchi dei titolari dei diritti e di coloro cui è stato negato il riconoscimento delle pretese. Si prevede inoltre che i commissari depositino in cancelleria, a disposizione degli aventi diritto, gli elenchi dei creditori privilegiati, dei titolari di diritti reali sui beni e sugli strumenti finanziari relativi ai servizi di investimento, nonché dei soggetti appartenenti alle medesime categorie cui è stato negato il riconoscimento delle pretese. Ai commissari spetta altresì il compito di comunicare senza indugio, a mezzo posta elettronica certificata, a coloro ai quali è stato negato in tutto o in parte il riconoscimento delle pretese, la decisione presa nei loro riguardi. Espletati tali adempimenti, lo stato passivo diventa esecutivo.

 

Il comma 3 dispone che l'efficacia dei provvedimenti adottati ai sensi del comma 1 decorre, relativamente a quanto previsto in base alle lettere b), c) e d) del medesimo comma (quindi con l'esclusione del provvedimento di liquidazione), dalla data di insediamento degli organi liquidatori e, comunque, dal sesto giorno lavorativo successivo alla data di adozione del provvedimento che dispone la liquidazione coatta (ai sensi del richiamato articolo 83, comma 1, del Testo unico bancario).

Con una disposizione di chiusura, per quanto non disposto dal decreto in esame si rimanda alla disciplina della liquidazione contenuta nel Testo unico bancario.

La risoluzione e la liquidazione coatta amministrativa nel quadro della direttiva BRRD

 

Si rammenta che la Direttiva 2014/59/UE che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento è stata recepita in Italia con due decreti legislativi distinti:
  • il D.Lgs. n. 181 del 2015, che introduce nel Testo unico bancario le disposizioni relative ai piani di risanamento, alle forme di sostegno all'interno dei gruppi bancari, alle misure di intervento precoce; sono inoltre modificate le norme sull'amministrazione straordinaria delle banche e la disciplina della liquidazione coatta amministrativa. Le stesse materie sono inserite nel Testo unico in materia di intermediazione finanziaria con riferimento alle società di intermediazione mobiliare (SIM); sono inoltre dettate le disposizioni sulle procedure di risoluzione delle SIM non incluse in un gruppo bancario o che non rientrino nell'ambito della vigilanza consolidata (SIM stand alone);
  • il D.Lgs. n. 180 del 2015, che reca la disciplina in materia di predisposizione di piani di risoluzione, avvio e chiusura delle procedure di risoluzione, adozione delle misure di risoluzione, gestione della crisi di gruppi cross-border, poteri e funzioni dell'autorità di risoluzione nazionale e disciplina del fondo dì risoluzione nazionale.
La nuova disciplina europea anticipa alla fase fisiologica dell'attività bancaria la gestione dell'eventuale crisi. Nei periodi di ordinaria operatività deve quindi essere svolta un'attività preparatoria continua della gestione di una crisi, sia da parte di banche e gruppi, sia da parte delle Autorità competenti. Da un lato, le banche ed i gruppi devono predisporre - ed aggiornare almeno annualmente - un piano di risanamento contenente misure idonee a fronteggiare un deterioramento significativo della situazione finanziaria. Già durante la fase di normale operatività della banca, le autorità di risoluzione devono preparare piani di risoluzione che individuino le strategie e le azioni da intraprendere in caso di crisi.
Alla luce del quadro delle norme comunitarie e nazionali di attuazione, viene introdotta una nuova modalità di gestione delle crisi bancarie: la cd. risoluzione, con cui viene avviato un processo di ristrutturazione gestito da autorità indipendenti – le autorità di risoluzione – che, attraverso l'utilizzo di tecniche e poteri offerti dalle disposizioni europee, mira a evitare interruzioni nella prestazione dei servizi essenziali offerti dalla banca (ad esempio, i depositi e i servizi di pagamento); ripristinare condizioni di sostenibilità economica della parte sana della banca; liquidare le parti restanti.
La misura della liquidazione coatta amministrativa rimane in vigore in alternativa alla risoluzione.
Secondo le regole UE, una banca in dissesto è ordinariamente sottoposta a liquidazione secondo le ordinarie procedure di insolvenza, salvo il caso in cui il Comitato unico di risoluzione reputi che vi sia un interesse pubblico a sottoporre l'istituto a risoluzione, in quanto la liquidazione ordinaria potrebbe mettere a repentaglio la stabilità finanziare, interrompere lo svolgimento di funzioni critiche e mettere a repentaglio la tutela dei depositanti (considerando 45 della direttiva BRRD).
Di conseguenza in presenza di uno stato di dissesto, anche solo prospettico, le autorità competenti devono valutare se è possibile attivare la procedura ordinaria di liquidazione coatta amministrativa o se è utile avviare la procedura di risoluzione. Con la risoluzione viene avviato un processo di ristrutturazione gestito da autorità indipendenti – le autorità di risoluzione – che, attraverso l'utilizzo di tecniche e poteri offerti dalle disposizioni europee, mira a evitare interruzioni nella prestazione dei servizi essenziali offerti dalla banca (ad esempio, i depositi e i servizi di pagamento); ripristinare condizioni di sostenibilità economica della parte sana della banca; liquidare le parti restanti.
Come anticipato, lo stato di dissesto è presupposto per l'avvio della liquidazione coatta amministrativa, alla luce delle modifiche necessarie al recepimento della BRRD, in assenza dei presupposti per la risoluzione. La liquidazione coatta può essere disposta anche su istanza motivata degli organi amministrativi, dell'assemblea straordinaria, dei commissari straordinari o dei liquidatori (articolo 80 del Testo Unico Bancario)
Organi della liquidazione (articolo 81 TUB), nominati dalla Banca d'Italia, sono:
a)    uno o più commissari liquidatori (che hanno la rappresentanza legale della banca, esercitano tutte le azioni a essa spettanti e procedono alle operazioni della liquidazione e , nell'esercizio delle loro funzioni, sono pubblici ufficiali ai sensi dell'articolo 84 TUB)
b)    un comitato di sorveglianza composto da tre a cinque membri, che nomina a maggioranza di voti il proprio presidente (ai sensi del richiamato articolo 84, esso assiste i commissari nell'esercizio delle loro funzioni, controlla l'operato degli stessi e fornisce pareri nei casi previsti dalla presente sezione o dalle disposizioni della Banca d'Italia).
Possono essere nominati come liquidatori anche società o altri enti.
Il principale effetto della liquidazione (articolo 83 TUB) consiste nel fatto che, dalla data di insediamento degli organi liquidatori, e comunque dal sesto giorno lavorativo successivo alla data di adozione del provvedimento che dispone la liquidazione coatta, sono sospesi il pagamento delle passività di qualsiasi genere e le restituzioni di beni di terzi. Contro la banca in liquidazione non può essere promossa né proseguita alcuna azione, salvo specifiche eccezioni di legge, né, per qualsiasi titolo, può essere parimenti promosso né proseguito alcun atto di esecuzione forzata o cautelare.
I commissari liquidatori prendono in consegna l'azienda dai precedenti organi di amministrazione o di liquidazione ordinaria con un sommario processo verbale, acquisiscono una situazione dei conti e formano quindi l'inventario (articolo 85 TUB). Procedono poi all'accertamento del passivo (articolo 86 TUB).
Dolo la liquidazione dell'attivo e l'effettuazione di riparti ai creditori ed alla restituzione ai clienti della banca (articoli 90-91 del TUB), i commissari sottopongono il bilancio finale di liquidazione, il rendiconto finanziario e il piano di riparto (articolo 92 TUB) alla Banca d'Italia.
Articolo 3 - Cessioni

 

 L'articolo 3 del provvedimento consente ai commissari liquidatori nominati dalla Banca d'Italia di cedere l'azienda delle banche venete poste in liquidazione, o parti di essa (comma 1), a un soggetto selezionato sulla base di una procedura aperta, concorrenziale, non discriminatoria di selezione (comma 3) dell'offerta di acquisto più conveniente.

Tale soggetto è stato in particolare individuato in Intesa Sanpaolo, come annunciato dalla banca in un comunicato stampa del 26 giugno.

La Banca d'Italia, nel dossier sulla crisi delle due banche, ha chiarito che per la scelta del contraente, seguendo le consuete indicazioni della Commissione Europea, è stata avviata una procedura aperta, concorrenziale, non discriminatoria, con l'ausilio di un consulente indipendente scelto dopo una gara. E' stata predisposta una "data room" con i dati analitici delle due banche; cinque gruppi bancari e un gruppo assicurativo hanno fatto richiesta di accedervi. Al termine del periodo concesso sono state avanzate due offerte vincolanti: una di Unicredit, riferita soltanto a una parte molto piccola del complesso da vendere, l'altra da parte di Intesa Sanpaolo, risultata vincente. Nel complesso, pur nei ristrettissimi tempi a disposizione, la procedura ha consentito agli acquirenti potenzialmente interessati di valutare l'opportunità e di formulare una proposta. I tempi per la selezione dell'acquirente sono stati condizionati, tra l'altro, dall'evoluzione delle negoziazioni sul progetto di ricapitalizzazione precauzionale, abbandonato solo pochi giorni prima dell'avvio della procedura di selezione.
L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nel proprio Bollettino del 10 luglio 2017 ha ritenuto che la cessione a Banca Intesa e la relativa concentrazione non sia idonea a pregiudicare l'assetto concorrenziale dell'offerta in alcuno dei mercati rilevanti. L'Autorità ha reputato che, nella valutazione complessiva dell'operazione, rilevano la marginalità delle quote post-merger nella maggior parte dei mercati interessati, ovvero la marginalità dell'incremento, nonché le specificità riscontrate nei mercati in cui le quote detenute dalle parti risultano significative, senza che ciò si traduca in un reale potere di mercato delle stesse anche in ragione dell'andamento decrescente dell'ultimo triennio e alla luce della presenza di numerosi e qualificati concorrenti in grado di condizionare le dinamiche strategiche e commerciali del settore.

Per assicurare la continuità dell'esercizio dell'impresa, sono previste misure speciali - anche in deroga alle disposizioni civilistiche - per garantire l'immediata efficacia della cessione nei confronti dei terzi (articolo 3, comma 2).

Il comma 4 prevede che, se la concentrazione che deriva dalla cessione non è disciplinata dal regolamento comunitario sulle concentrazioni tra imprese, essa si intende autorizzata anche in deroga alle procedure stabilite dalla legislazione nazionale antitrust, per rilevanti interessi generali dell'economia nazionale.

Il comma 5 dispone che, se la cessione comprende titoli assistiti da garanzia dello Stato su passività di nuova emissione (disciplinate dal decreto-legge n. 237 del 2016), il corrispettivo della garanzia è riconsiderato per tener conto della rischiosità del soggetto garantito. Il cessionario può altresì rinunciare, in tutto o in parte, alla garanzia dello Stato per i titoli da esso acquistati; in questo caso, la garanzia si estingue e, in relazione alla rinuncia, non è dovuto alcun corrispettivo.

 

Più in dettaglio, il comma 1 dell'articolo 3 dispone che i commissari liquidatori cedano le aziende bancarie di Veneto Banca e di Banca Popolare di Vicenza, o singoli rami, nonché i beni, i diritti e i rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, ad un soggetto individuato sulla base di una procedura aperta, concorrenziale, non discriminatoria di selezione dell'offerta di acquisto più conveniente, ai sensi del comma 3.

Alla cessione non si applica la speciale disciplina di vigilanza prevista dal Testo Unico Bancario per le cessioni di banche (articolo 58, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7 del TUB), salvo per quanto espressamente richiamato nel decreto in esame.

 

In sintesi, l'articolo 58 (comma 1) TUB prevede che la Banca d'Italia emani istruzioni per la cessione a banche di aziende, di rami d'azienda, di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco. Tali istruzioni possono stabilire che le operazioni di maggiore rilevanza siano sottoposte ad autorizzazione (comma 1). Si prevede una specifica forma di pubblicità (comma 2) dell'avvenuta cessione, che dopo la pubblicazione produce efficacia nei confronti del debitore (comma 4). I creditori ceduti hanno facoltà, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari predetti, di esigere dal cedente o dal cessionario l'adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione. Trascorso il termine di tre mesi, il cessionario risponde in via esclusiva (comma 5). Le disposizioni di vigilanza si applicano anche alle cessioni in favore dei soggetti, diversi dalle banche, inclusi nell'ambito della vigilanza consolidata e in favore degli intermediari finanziari iscritti all'albo (comma 7).
Dalla lettera della norma sembrano trovare applicazione nel caso di specie:
  • il comma 3 dell'articolo 58, che mantiene ferma la validità dei privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestati o comunque esistenti a favore del cedente, nonché le trascrizioni nei pubblici registri degli atti di acquisto dei beni oggetto di locazione finanziaria compresi nella cessione, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione; restano altresì applicabili, ai sensi di detto comma 3, le discipline speciali, anche di carattere processuale, previste per i crediti ceduti;
  • il comma 6 dell'articolo 58, il quale prevede che le parti di contratti ceduti possano recedere entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari suddetti, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità del cedente.

 

Non si applica inoltre, stante la specialità della disciplina in esame, la norma sulla cessione dell'impresa nel contesto delle ordinarie operazioni di liquidazione coatta amministrativa (di cui all'articolo 90, comma 2 TUB).

 

Le norme in esame espressamente escludono dalla cessione, anche in deroga al principio della par condicio creditorum (sancito dall'articolo 2741 c.c.):

  • determinate passività indicate dalle norme sul bail-in nel quadro di una procedura di risoluzione (art. 52, comma 1, lettera a), punti i), ii), iii) e iv), del D.Lgs. n. 180 del 2015).

Si tratta, in particolare: delle riserve e del capitale rappresentato da azioni, anche non computate nel capitale regolamentare, nonché dagli altri strumenti finanziari computabili nel capitale primario di classe 1, con conseguente estinzione dei relativi diritti amministrativi e patrimoniali; del valore nominale degli strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1, anche per la parte non computata nel capitale regolamentare; del valore nominale degli elementi di classe 2, anche per la parte non computata nel capitale regolamentare; del valore nominale dei debiti subordinati diversi dagli strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 o dagli elementi di classe 2.

  • i debiti delle banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati, derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, ivi compresi i debiti in detti ambiti verso i soggetti destinatari di offerte di transazione presentate dalle banche stesse;
  • le passività derivanti da controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa.

 

Il comma 2 prevede norme speciali per assicurare l'immediata efficacia della cessione nei confronti dei terzi, anche in considerazione della necessità di assicurare la continuità dell'esercizio dell'impresa per evitare lo scioglimento dei contratti conseguente all'avvio della procedura concorsuale.

In particolare si dispone l'efficacia della cessione verso i terzi a seguito della pubblicazione sul sito della Banca d'Italia della notizia della cessione.

Al riguardo si evidenzia che il 26 giugno 2017 sul sito della Banca d'Italia è stato pubblicata la notizia del contratto di cessione a Intesa Sanpaolo S.p.A. di ramo delle aziende bancarie Veneto Banca S.p.A. in l.c.a. e Banca Popolare di Vicenza S.p.a. in l.c.a..

Sono esclusi dal perimetro della cessione, tra l'altro, i crediti deteriorati (sofferenze, inadempienze probabili ed esposizioni scadute) e ulteriori attività e passività delle banche in liquidazione, come specificate nel contratto di cessione. Sono altresì esclusi i diritti degli azionisti, gli strumenti di capitale (computabili e non nei fondi propri) e le passività subordinate. Il cessionario succede, senza soluzione di continuità, alle banche in liquidazione coatta amministrativa nei diritti, nelle attività, nelle passività, nei rapporti, nei privilegi e nelle garanzie, nonché nei giudizi, oggetto di cessione, secondo quanto previsto nell'offerta dallo stesso formulata e oggetto di accettazione da parte dei commissari liquidatori delle banche medesime. L'acquisto delle suddette attività e passività prevede il pagamento del corrispettivo simbolico di 1 euro da parte del cessionario ed è stato da questi condizionato all'attivazione di talune misure di intervento pubblico a sostegno della cessione, come disciplinate dal provvedimento in esame.

 

Non è dunque necessario svolgere altri adempimenti previsti dalla legge, anche a fini costitutivi, di pubblicità notizia o dichiarativa, ivi inclusi quelli previsti dagli articoli 1264 (per l'efficacia della cessione nei confronti del debitore), 2022 (sui trasferimenti dei titoli nominativi), 2355 (sugli adempimenti per la circolazione delle azioni), 2470 (sui trasferimenti di quote di s.r.l.), 2525 (sul passaggio delle quote in società cooperative), 2556 (sui trasferimenti di imprese soggette a registrazione) e 2559, primo comma (sulla cessione dei crediti relativi all'azienda ceduta), del codice civile, né adempiere a quanto previsto dal già illustrato articolo 58, comma 2, del Testo unico bancario.

 

Ferme restando la validità dei privilegi e delle garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestati o comunque esistenti a favore del cedente, nonché le trascrizioni nei pubblici registri degli atti di acquisto dei beni oggetto di locazione finanziaria compresi nella cessione (già illustrato articolo 58, comma 3, TUB), il cessionario effettua gli adempimenti eventualmente richiesti a fini costitutivi, di pubblicità notizia o dichiarativa, così come l'indicazione di dati catastali e confini per gli immobili trasferiti, entro 180 giorni dalla pubblicazione sul sito (dunque entro il 23 dicembre 2017).

Restano fermi gli obblighi di comunicazione previsti dall'articolo 120 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 in tema di decorrenza delle valute e calcolo degli interessi.

Nei confronti dei debitori ceduti la pubblicazione sul sito produce gli effetti indicati dall'articolo 1264 del codice civile, diventando dunque efficace nei loro confronti.

Inoltre, non si applicano i termini previsti dalla legge (articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428) per le comunicazioni relative ai trasferimenti d'azienda in cui sono complessivamente occupati più di quindici lavoratori.

Il cessionario risponde solo dei debiti ricompresi nel perimetro della cessione; questi non è obbligato solidalmente con il cedente, nel caso di cessione dell'azienda nella cui attività è stato commesso un reato, al pagamento della sanzione pecuniaria prevista dalla legge (non si applica dunque l'articolo 31 del D.lgs. n. 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa di enti e società).

Si chiarisce che al cessionario si applica l'articolo 47, comma 9, del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180 in tema di cessione di enti sottoposti a risoluzione.

In tali ipotesi il cessionario succede all'ente risolto, limitatamente ai diritti, alle attività o alle passività ceduti:
a)    nel diritto alla libera prestazione dei servizi in un altro Stato membro;
b)   nel diritto allo stabilimento in un altro Stato membro;
c)    nei diritti di partecipazione dell'ente sottoposto a risoluzione a infrastrutture di mercato, a sedi di negoziazione, a sistemi di indennizzo degli investitori e a sistemi di garanzia dei depositanti, purché il cessionario rispetti i requisiti per la partecipazione a detti sistemi.

 

Sono previste regole specifiche per i beni culturali, come definiti ai sensi del relativo codice (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42). In particolare, ai fini dell'esercizio della prelazione di acquisto da parte del MIBACT o degli enti territoriali autorizzati ex lege, la denuncia di trasferimento (di cui all'articolo 59) è effettuata dal cessionario entro trenta giorni dalla conclusione del contratto di cessione. Inoltre, la condizione sospensiva prevista dall'articolo 61, comma 4, del medesimo decreto legislativo si applica alla sola clausola del contratto di cessione relativa al trasferimento dei beni culturali.

In sintesi, ai sensi dell'articolo 60 del codice dei beni culturali, il Ministero o, ove previsto dalla legge, la regione o gli altri enti pubblici territoriali interessati, hanno facoltà di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso o conferiti in società, rispettivamente, al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione o al medesimo valore attribuito nell'atto di conferimento. La prelazione è esercitata nel termine di sessanta giorni dalla data di ricezione della denuncia di trasferimento. 4. In pendenza del predetto termine, l'atto di alienazione rimane condizionato sospensivamente all'esercizio della prelazione e all'alienante è vietato effettuare la consegna della cosa.

Non si applica il comma 6 del medesimo articolo, che, nel caso in cui il Ministero eserciti la prelazione su parte delle cose alienate, consente all'acquirente di recedere dal contratto.

 

Al contratto di cessione, nella parte in cui esso ha ad oggetto il trasferimento di beni immobili, non si applicano:

  • l'articolo 6 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 (in tema di obbligo di allegare all'atto di vendita l'attestato di prestazione energetica degli edifici); l'articolo 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52 (relativo all'obbligo di allegare all'atto di trasferimento le planimetrie ed altri dati catastali); l'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica, 6 giugno 200, n.. 380 (relativo all'obbligo di allegare il certificato di destinazione urbanistica agli atti di trasferimento di beni immobili); l'articolo 36, nella parte in cui prevede il diritto del locatore ceduto di opporsi alla cessione del contratto di locazione da parte del conduttore, per il caso in cui gli immobili siano parte di un'azienda, e l'articolo 38 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (quest'ultimo in tema di prelazione del conduttore nell'acquisto di un immobile locato) (comma 2, lettera a) dell'articolo 3 in esame);
  • le nullità di cui agli articoli 46 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e 40, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (rispettivamente riferite ai trasferimenti di edifici, o loro parti, senza estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria, ovvero senza licenza o concessione ad edificare). Si chiarisce che, ove l'immobile ceduto si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, il cessionario presenta domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni dalla conclusione del contratto di cessione (comma 2, lettera b) dell'articolo 3 in esame);
  • le altre ipotesi di nullità previste dalla vigente disciplina in materia urbanistica, ambientale o relativa ai beni culturali e qualsiasi altra normativa nazionale o regionale, comprese le regole dei piani regolatori o del governo del territorio degli enti locali e le pianificazioni di altri enti pubblici che possano incidere sulla conformità urbanistica, edilizia, storica ed architettonica dell'immobile (comma 2, lettera c) dell'articolo 3 in esame).

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Il comma 3 stabilisce che il cessionario sia individuato, anche sulla base di trattative a livello individuale, nell'ambito di una procedura, anche se svolta prima dell'entrata in vigore del decreto, aperta, concorrenziale, non discriminatoria di selezione dell'offerta di acquisto più conveniente, nonché avendo riguardo agli impegni che esso dovrà assumersi ai fini del rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato. Le spese per la procedura selettiva, incluse quelle per la consulenza di esperti in materia finanziaria, contabile, legale, sono a carico del soggetto in liquidazione e possono essere anticipate dal Ministero. Una volta recuperate, dette somme sono acquisite all'erario mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato.

 

In proposito si veda supra la comunicazione della Banca d'Italia sul proprio sito internet. L'acquirente è stato individuato in Intesa Sanpaolo, come annunciato dalla banca in un comunicato stampa del 26 giugno.

Inoltre, come anticipato nella premessa al presente lavoro, a parere della Commissione UE, il soggetto acquirente è stato scelto in una procedura aperta, equa e trasparente, gestita interamente dalle autorità italiane, che hanno assicurato la vendita degli asset secondo la migliore offerta ricevuta: non si tratta dunque di un aiuto di Stato nei confronti di Intesa. Le autorità europee reputano che detta vendita consentirà di abbassare l'ammontare della rimanente massa liquidatoria, finanziata da crediti forniti da Intesa.

 

Il comma 4 prevede che, se la concentrazione che deriva dalla cessione non è disciplinata dal regolamento comunitario sulle concentrazioni tra imprese (regolamento (UE) n. 139/2004), essa si intende autorizzata, in deroga alle procedure stabilite dalla legislazione nazionale antitrust, per rilevanti interessi generali dell'economia nazionale.

 

Infine, il comma 5 dispone che se la cessione comprende titoli assistiti da garanzia dello Stato su passività di nuova emissione (disciplinate dal decreto-legge n. 237 del 2016), il corrispettivo della garanzia è riconsiderato per tener conto della rischiosità del soggetto garantito. Il cessionario può altresì rinunciare, in tutto o in parte, alla garanzia dello Stato per i titoli da esso acquistati; in questo caso, la garanzia si estingue e, in relazione alla rinuncia, non è dovuto alcun corrispettivo.

 

Si ricorda in questa sede che il Capo I del decreto-legge. n. 237 del 2016 ha disciplinato la concessione della garanzia dello Stato sulle passività delle banche aventi sede legale in Italia (articoli 1-9) e sui finanziamenti erogati discrezionalmente dalla Banca d'Italia alle banche italiane per fronteggiare gravi crisi di liquidità (emergency liquidity assistance – ELA, articoli 10-11).
La garanzia è concessa dal MEF nel rispetto della disciplina europea in materia di aiuti di Stato, sulla base di una decisione positiva della Commissione europea sul regime di concessione della garanzia o, nel caso la banca beneficiaria soffra di una carenza di capitale, sulla notifica individuale.
Per accedere alla garanzia gli strumenti di debito devono essere emessi successivamente all'entrata in vigore del decreto legge, con durata residua non inferiore a tre mesi e non superiore a cinque anni (o a sette anni per le obbligazioni bancarie garantite), e rimborso del capitale in un'unica soluzione a scadenza; essi inoltre devono essere a tasso fisso, in euro, senza clausole di subordinazione nel rimborso del capitale e nel pagamento degli interessi, non devono essere titoli strutturati o prodotti complessi né incorporare una componente derivata.
L'ammontare delle garanzie è limitato a quanto strettamente necessario per ripristinare la capacità di finanziamento a medio-lungo termine delle banche beneficiarie; l'ammontare massimo delle operazioni di ciascuna banca non può eccedere, di norma, i fondi propri a fini di vigilanza.
L'autorità di vigilanza verifica il rispetto dei requisiti di fondi propri e l'inesistenza di carenze di capitale evidenziate nell'ambito di prove di stress. La garanzia può essere concessa anche a favore di una banca che non rispetta tali requisiti, se la banca ha urgente bisogno di sostegno della liquidità; ovvero a favore di una banca in risoluzione o di un ente-ponte a seguito di notifica individuale alla Commissione.
La garanzia è onerosa, incondizionata, irrevocabile e a prima richiesta e copre il capitale e gli interessi; il valore nominale degli strumenti finanziari con durata superiore ai 3 anni sui quali può essere prestata la garanzia non può eccedere un terzo del valore nominale totale degli strumenti finanziari emessi dalla banca; sono escluse dalla garanzia le passività computabili nei fondi propri a fini di vigilanza.
Nel caso di banche con urgente bisogno di sostegno alla liquidità, di banche in risoluzione e di ente-ponte, la garanzia può essere concessa, su strumenti finanziari con scadenza non superiore a due mesi, in deroga al limite minimo di durata di tre mesi ordinariamente fissato dalle norme in commento.
Il corrispettivo per la garanzia è determinato caso per caso sulla base della valutazione del rischio di ciascuna operazione, in linea con le comunicazioni della Commissione in materia.
La richiesta della garanzia è presentata secondo un modello predisposto dal Dipartimento del Tesoro, il quale la concede sulla base di una valutazione positiva della Banca d'Italia. A specifiche condizioni, la banca è tenuta a presentare un piano di ristrutturazione per confermare la redditività e la capacità di raccolta a lungo termine senza ricorso al sostegno pubblico, da sottoporre alla Commissione europea.
Qualora una banca non sia in grado di adempiere all'obbligazione garantita, invia - entro 30 giorni dalla scadenza - una richiesta motivata alla Banca d'Italia e al Tesoro, il quale provvede al pagamento. La banca rimborsa le somme pagate dallo Stato con l'applicazione di interessi al tasso legale; contestualmente, essa presenta un piano di ristrutturazione da sottoporre alla Commissione europea.
Le somme corrisposte dal Tesoro agli istituti di credito per onorare la garanzia sono vincolate per destinazione e non aggredibili da altri creditori della banca a diverso titolo.

Si rinvia all'articolo 1 del provvedimento in esame per ulteriori dettagli sulle emissioni obbligazionarie garantite effettuate della banche in liquidazione ai sensi della predetta disciplina.

Articolo 4 - Interventi dello Stato

 

L'articolo 4 autorizza il Ministro ad effettuare specifici interventi pubblici a sostegno dell'operazione di liquidazione delle banche venete (comma 1). Più in dettaglio si tratta dei seguenti interventi:

  1. concessione della garanzia dello Stato a copertura dello sbilancio di cessione;
  2. erogazione di un supporto finanziario per ricostituire i fondi propri del cessionario, per un ammontare idoneo a fronteggiare l'assorbimento patrimoniale derivante dalle attività ponderate per il rischio acquisito;
  3. concessione della garanzia dello Stato sull'adempimento di obblighi delle due banche in liquidazione, in relazione a impegni, dichiarazioni e garanzie da esse assunti;
  4. erogazione al cessionario di fondi a sostegno di misure di ristrutturazione aziendale.

Il cessionario anticipa al commissario liquidatore le spese necessarie per il funzionamento della procedura di liquidazione coatta amministrativa (comma 2); è previsto uno specifico ordine per il pagamento dei crediti concessi dal cessionario degli asset e per l'escussione delle garanzie statali (comma 3). Si prevede poi lo svolgimento di una due diligence sul compendio ceduto, con possibilità di retrocedere al cedente alcuni beni ed asset aziendali (commi 4 e 7), a specifiche condizioni di legge oppure secondo quanto appositamente previsto dal contratto di cessione (commi 5 e 6).

 

Più in dettaglio, ai sensi del comma 1 il Ministro dell'economia e delle finanze, anche in deroga alle norme di contabilità di Stato, con uno o più decreti dispone le seguenti misure:

a)   concessione della garanzia dello Stato, autonoma e a prima richiesta, sull'adempimento, da parte del soggetto in liquidazione:

  1. degli obblighi derivanti dal finanziamento, erogato dal cessionario o da società che, al momento dell'avvio della liquidazione coatta amministrativa, appartenevano al gruppo bancario di una delle banche, a copertura dello sbilancio di cessione, definito in esito alla procedura - appositamente prevista - di due diligence, disciplinata al comma 4 del presente articolo, e alle retrocessioni di beni ed asset dal cessionario al cedente (di cui al comma 5, lettera a): si tratta di partecipazioni detenute da società che, all'avvio della liquidazione coatta amministrativa, erano controllate da una delle banche, nonché di crediti di dette società classificati come attività deteriorate). La garanzia può essere concessa per un importo massimo di 5.351 milioni di euro, elevabile fino a 6.351 milioni di euro, a seguito della predetta due diligence;
  2. degli obblighi di riacquisto dei crediti ad alto rischio non classificati come attività deteriorate, indicati dal comma 5, lettera b), per un importo massimo di 4.000 milioni di euro;

b)  fornitura di supporto finanziario al cessionario delle banche in liquidazione, a fronte del fabbisogno di capitale generato dall'operazione di cessione, per un importo massimo di 3.500 milioni di euro;

c)   concessione della garanzia dello Stato, autonoma e a prima richiesta, sull'adempimento degli obblighi a carico del soggetto in liquidazione derivanti da impegni, dichiarazioni e garanzie concesse dal soggetto in liquidazione nel contratto di cessione, per un importo massimo pari alla somma tra 1.500 milioni di euro e il risultato della differenza tra il valore dei contenziosi pregressi dei soggetti in liquidazione, come indicato negli atti di causa, e il relativo accantonamento a fondo rischi, per un importo massimo di euro 491 milioni;

d)  l'erogazione al cessionario di risorse a sostegno di misure di ristrutturazione aziendale, in conformità agli impegni assunti dal cessionario necessari ai fini del rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato, per un importo massimo di euro 1.285 milioni.

 

Complessivamente, dunque, l'iniezione di liquidità è pari a circa 4,8 miliardi di euro e la concessione di garanzie statali arriva ad un ammontare massimo di circa 12 miliardi di euro.

 

Ai sensi del comma 2, i provvedimenti ministeriali di adozione delle misure in esame devono stabilire uno specifico contenuto del contratto di cessione: occorre che tale contratto preveda l'anticipazione da parte del cessionario, al commissario liquidatore, delle spese necessarie per il funzionamento della procedura di liquidazione coatta amministrativa, incluse le indennità spettanti agli organi liquidatori.

 

Si segnala che la norma in esame fa rinvio "al decreto di cui all'articolo 2, comma 1"; tale disposizione si riferisce invece ad uno o più decreti, aventi ad oggetto misure eterogenee tra loro.

 

Il decreto prevede quindi che il Ministero rimborsi al cessionario quanto anticipato. Il Ministero acquisisce un credito nei confronti del soggetto sottoposto a liquidazione coatta amministrativa per il rimborso. Il credito derivante dall'anticipo concesso dal cessionario o dal rimborso effettuato dal Ministero è prededucibile ai sensi delle specifiche regole della legge fallimentare (articolo 111, comma 1, numero 1) e articolo 111-bis della legge fallimentare)

 

L'articolo 111, primo comma, della L.F. reca l'ordine con cui sono erogate le somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo, ponendo in prima posizione quelle per il pagamento dei crediti prededucibili. Si tratta di crediti qualificati come tali dalla legge e soddisfatti con preferenza rispetto agli altri.
Ai sensi dell'articolo 111-bis, i crediti prededucibili vanno anzitutto accertati secondo le modalità di legge, salvo specifiche esclusioni. Essi vanno soddisfatti per il capitale, le spese e gli interessi con il ricavato della liquidazione del patrimonio mobiliare e immobiliare, tenuto conto delle rispettive cause di prelazione, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti. Il corso degli interessi cessa al momento del pagamento. I crediti prededucibili sorti nel corso del fallimento che sono liquidi, esigibili e non contestati per collocazione e per ammontare, possono essere soddisfatti ai di fuori del procedimento di riparto se l'attivo è presumibilmente sufficiente a soddisfare tutti i titolari di tali crediti. Il pagamento deve essere autorizzato dal comitato dei creditori ovvero dal giudice delegato. Se l'attivo è insufficiente, la distribuzione deve avvenire secondo i criteri della graduazione e della proporzionalità, conformemente all'ordine assegnato dalla legge.

 

Il comma 3 dispone che il credito del cessionario derivante dal finanziamento a copertura dello sbilancio di cessione, nella misura garantita dallo Stato, e il relativo credito di regresso dello Stato derivante dall'escussione della garanzia, siano pagati dopo i crediti prededucibili, ai sensi degli illustrati articoli 111, comma 1, numero 1) e 111-bis della legge fallimentare, e prima di ogni altro credito.

Per i pagamenti effettuati ai sensi delle altre misure di cui al comma 1 (lettera a), punto ii., e lettere b),c) e d)), il Ministero acquisisce un credito nei confronti del soggetto sottoposto a liquidazione coatta amministrativa.

Il credito del Ministero e il credito del cessionario derivante da violazione, inadempimento o non conformità degli impegni, dichiarazioni e garanzie concesse dal soggetto in liquidazione e garantiti dallo Stato, sono pagati con preferenza rispetto ai crediti chirografari, ma dopo i crediti per il finanziamento dello sbilancio di cessione. Il medesimo trattamento è riservato alla parte non garantita del credito del cessionario derivante dal finanziamento dello sbilancio di cessione.

 

Il comma 4 disciplina, come anticipato, la procedura di due diligence.

Entro il termine previsto dal contratto di cessione, un collegio di esperti indipendenti effettua una due diligence sul compendio ceduto, secondo quanto previsto nel contratto di cessione e applicando i criteri di valutazione ivi previsti, anche ai sensi dell'articolo 1349, primo comma, del codice civile.

La richiamata norma del codice prevede che, ove la determinazione della prestazione dedotta in contratto sia deferita a un terzo e non risulta che le parti vollero rimettersi al suo mero arbitrio, il terzo deve procedere con equo apprezzamento.

Il collegio è composto da tre componenti, di cui uno nominato dal Ministero, uno dal cessionario ed il terzo, con funzione di Presidente, designato di comune accordo dagli esperti nominati dalle parti o, in mancanza di accordo, dal Presidente del Tribunale di Roma.

Tali esperti possiedono i requisiti indicati dall'articolo 15, comma 3, del decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237, ovvero non devono avere in corso né devono avere intrattenuto relazioni di affari, professionali o finanziarie con la banca o la capogruppo richiedenti l'intervento statale, tali da comprometterne l'indipendenza.

 

Ad esito della due diligence:

a)   il Ministro dell'economia e delle finanze dispone con decreto l'eventuale adeguamento dell'importo dell'intervento, nei limiti del comma 1, lettera b), ovvero 3.500 milioni di euro;

b)  il cessionario può restituire o retrocedere al soggetto in liquidazione attività, passività o rapporti dei soggetti in liquidazione o di società appartenenti ai gruppi bancari delle banche, entro il termine e alle condizioni definiti dal decreto ministeriale di adozione delle misure in commento. Si applica la predetta lettera a) in ordine agli adeguamenti dell'importo.

 

Il comma 5 autorizza il contratto di cessione a prevedere, in favore del cessionario, la possibilità di retrocedere alle banche in liquidazione i seguenti beni:

a)   partecipazioni detenute da società che, all'avvio della liquidazione coatta amministrativa, erano controllate da una delle banche, nonché i crediti di dette società classificati come attività deteriorate;

b)  crediti ad alto rischio non classificati come attività deteriorate, entro tre anni dalla cessione.

 

Il comma 6 dispone che alle restituzioni e retrocessioni stabilite ex lege o contrattualmente si applicano le specifiche norme derogatorie, in tema di cessioni di beni, indicate all'articolo 3, comma 2, per i trasferimenti di asset dai soggetti in liquidazione al cessionario. Si rinvia alla relativa scheda di lettura per la loro puntuale individuazione.

 

Nel caso di restituzioni e retrocessioni ad esito della due diligence, (comma 7) così come nel caso di restituzioni al soggetto in liquidazione in forza di condizioni risolutive della cessione pattuite nel contratto, il soggetto in liquidazione risponde dei debiti e delle passività restituiti o retrocessi, con piena liberazione del cessionario retrocedente anche nei confronti dei creditori e dei terzi.

Articolo 5 - Cessione di crediti deteriorati

 

L'articolo 5 disciplina la cessione alla Società per la Gestione di Attività S.p.A., da parte dei commissari liquidatori, dei crediti deteriorati e di altri attivi non ceduti o retrocessi. Il corrispettivo della cessione è rappresentato da un credito della liquidazione nei confronti della società, pari al valore di iscrizione contabile dei beni e dei rapporti giuridici ceduti nel bilancio della SGA S.p.A.. A quest'ultima è attribuita l'amministrazione degli stessi.

La Società per la Gestione di Attività S.G.A. S.p.A. è stata costituita in occasione del salvataggio del Banco di Napoli nel 1997 allo scopo di recuperare i crediti in sofferenza. Tale Società è stata acquisita da parte del Ministero dell'economia e delle finanze con l'articolo 7 del decreto-legge n. 59 del 2016. A fronte del trasferimento delle azioni della Società è riconosciuto un corrispettivo non superiore a 600.000 euro, pari al loro valore nominale. La norma ha previsto che successivamente all'acquisizione la Società può estendere la sua operatività, acquistando e gestendo crediti e altre attività finanziarie anche da soggetti diversi dal Banco di Napoli.
 Si ricorda che la Società per la Gestione di Attività S.G.A. S.p.A. è stata utilizzata nel 1997 nell'ambito dell'operazione di salvataggio e risanamento del Banco di Napoli: in sostanza si tratta di una sorta di bad bank alla quale sono state trasferite le sofferenze bancarie dell'istituto con lo scopo di recuperare i crediti in sofferenza. Il Banco di Napoli spa ha ceduto alla SGA crediti incagliati a titolo oneroso e pro soluto che, al netto della svalutazione per le perdite previste, ammontavano a circa 12.378 miliardi di lire (circa 6,4 miliardi di euro). Tale operazione è stata in gran parte attuata: infatti la SGA è riuscita a rientrare di circa il 90 per cento delle esposizioni cedute dal Banco di Napoli (fonte Borsa Italiana). La S.G.A. ha altresì acquistato crediti e attivi dall'ISVEIMER S.p.A. (Istituto per lo Sviluppo Economico dell'Italia Meridionale) in liquidazione.
Si ricorda che tramite il decreto-legge n. 497 del 1996 lo Stato ha provveduto alla ricapitalizzazione del Banco di Napoli per 2.000 miliardi di lire; sono state inoltre fornite anticipazioni di cassa da parte della Banca d'Italia. Tale operazione è stata sottoposta al vaglio della Commissione europea la quale, con la decisione del 29 luglio 1998 ha approvato, con alcune condizioni, l'aiuto concesso dall'Italia al Banco di Napoli.
La Società per la Gestione di Attività S.G.A. S.p.A., con sede a Napoli, risulta attualmente iscritta, in quanto intermediario finanziario di credito, nell'Albo unico degli intermediari finanziari (art. 106 del TUB). Precedentemente all'attuazione della riforma del TUB (ad opera del D.Lgs. n. 141 del 2010), la SGA era iscritta sia nell'elenco generale di cui all'articolo 106 sia nell'elenco speciale di cui all'articolo 107. Essa, pertanto, è sempre stata sottoposta a controlli di vigilanza prudenziale da parte della Banca d'Italia.
Il capitale sociale, interamente versato, ammonta a 600.000 euro. Da notizie informali si apprende che la Società per la Gestione di Attività S.G.A. S.p.A. al 31 dicembre 2014 aveva 484 milioni tra cassa e disponibilità liquide, più altri 238 milioni alla voce crediti, secondo la più recente visura camerale disponibile. Gran parte delle attività finanziarie disponibili per la vendita sono costituite da titoli di stato.

 

Ai sensi del comma 1, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze si prevede che i commissari liquidatori cedano alla Società per la Gestione di Attività S.p.A. (di seguito SGA), crediti deteriorati e altri attivi delle banche poste in liquidazione non ceduti (secondo l'articolo 3 del provvedimento in esame) o retrocessi (secondo l'articolo 4 ), unitamente ad eventuali altri beni, contratti, rapporti giuridici accessori o connessi ai crediti ceduti alla SGA.

La disposizione prevede una deroga alle norme del Testo unico bancario in tema di cessioni di rami d'azienda bancaria (articoli 58, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7 e 90, comma 2). Si applica l'articolo 3, comma 2 il quale prevede che, in caso di urgenza, il Ministro dell'economia e delle finanze sostituisca il CICR e dei provvedimenti assunti dia notizia al CICR nella prima riunione successiva, che deve essere convocata entro trenta giorni.

Si ricorda che le disposizioni - oggetto di deroga - di cui all'articolo 58 TUB riguardano, in particolare: la disciplina della cessione di rapporti giuridici, con particolare riferimento alle istruzioni emanate dalla Banca d'Italia per la cessione a banche di aziende, di rami d'azienda, di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco; le disposizioni in materia di pubblicità e trasparenza dell'avvenuta cessione per le quali il TUB prevede l'iscrizione nel registro delle imprese e la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, nonché la possibilità che Banca d'Italia stabilisca forme integrative di pubblicità; gli effetti civilistici di cui all'art. 1264 in termini di efficacia della cessione riguardo al debitore ceduto degli adempimenti pubblicitari stessi; la facoltà dei creditori ceduti, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari, di esigere dal cedente o dal cessionario l'adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione; la possibilità da parte di coloro che sono parte dei contratti ceduti di recedere dal contratto entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità del cedente. Infine, la disposizione oggetto di deroga di cui all'articolo 90 (liquidazione dell'attivo), si riferisce invece alla possibilità, prevista dal TUB, che i commissari, con il parere favorevole del comitato di sorveglianza e previa autorizzazione della Banca d'Italia, possano cedere attività e passività, l'azienda, rami d'azienda nonché beni e rapporti giuridici individuabili in blocco.

 

Il comma 2 stabilisce che il corrispettivo della cessione sia rappresentato da un credito della liquidazione coatta amministrativanei confronti della SGA S.p.A,. pari al valore di iscrizione contabile dei beni e dei rapporti giuridici ceduti nel bilancio della SGA S.p.A..

 

Il comma 3 prevede che la SGA S.p.A. amministri i crediti e gli altri beni e rapporti giuridici acquistati ai sensi del comma 1. In tal senso è prevista una deroga alle disposizioni di carattere generale emanate dalla Banca d'Italia, aventi ad oggetto l'adeguatezza patrimoniale, di cui all'articolo 108 in materia di vigilanza del Testo unico bancario.

 

Il comma 4 prevede che:

  • la SGA possa costituire uno o più patrimoni destinati esclusivamente all'esercizio dell'attività di amministrazione dei crediti e degli altri beni e rapporti giuridici acquistati ai sensi del presente articolo;
  • i patrimoni destinati possano essere costituiti per un valore anche superiore al 10 per cento del patrimonio netto della società;
  • la relativa deliberazione dell'organo di amministrazione determini i beni e i rapporti giuridici compresi nel patrimonio destinato;
  • detta deliberazione sia depositata, iscritta e pubblicata secondo le previsioni civilistiche (articolo 2436 del codice civile, che disciplina gli adempimenti pubblicitari per le modifiche statutarie nelle società per azioni);
  • ai sensi del secondo comma dell'articolo 2447‑quater del codice civile, nel termine di sessanta giorni dall'iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese, i creditori sociali anteriori all'iscrizione possano fare opposizione. Il tribunale, nonostante l'opposizione, può disporre che la deliberazione sia eseguita previa prestazione da parte della società di idonea garanzia;
  • decorsi 60 giorni dall'iscrizione della deliberazione, ovvero dopo l'iscrizione nel registro delle imprese del provvedimento del tribunale, i beni e i rapporti giuridici individuati siano destinati esclusivamente al soddisfacimento del credito della liquidazione coatta amministrativa nei confronti della SGA (comma 2 dell'articolo 5 in commento) e costituiscano patrimonio separato a tutti gli effetti da quello della SGA e dagli altri patrimoni destinati eventualmente costituiti;
  • per le obbligazioni contratte in relazione al patrimonio destinato, la SGA risponda nei limiti del patrimonio stesso, salvo che la deliberazione dell'organo di amministrazione non disponga diversamente;
  • si applichino le disposizioni di cui all'articolo 2447‑quinquies, cc. 2, 3 e 4 del codice civile in materia di diritti dei creditori;
  • i beni e i rapporti compresi nel patrimonio destinato siano distintamente indicati nello stato patrimoniale della società;
  • si applichino le disposizioni dell'articolo 2447‑septies del codice civile, in materia di bilancio che impongono una separata evidenziazione dei rendiconti riferiti ai diversi patrimoni;
  • il rendiconto separato sia redatto in conformità ai principi contabili internazionali;
  • infine, per quanto non diversamente disposto dall'articolo in esame, ai patrimoni destinati si applichino le disposizioni del codice civile sopra richiamate.

 

Il comma 5 prevede che la costituzione dei patrimoni destinati possa essere disposta anche con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze pubblicato per estratto e per notizia nella Gazzetta Ufficiale. In questo caso, la costituzione ha efficacia dal giorno della pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale o, se precedente, da quello della pubblicazione effettuata da parte della Banca d'Italia sul proprio sito (cfr. art. 3, c. 2, primo periodo, del provvedimento in esame). E' prevista a riguardo una deroga al regime civilistico di cui all'articolo 2447-quater, secondo comma, in materia di pubblicità della costituzione del patrimonio destinato e all'articolo 2447-quinquies, commi primo e secondo, in materia di diritti dei creditori.

Il comma 5 stabilisce altresì che i patrimoni destinati costituiti con decreto possano essere modificati con deliberazione dell'organo di amministrazione della SGA S.p.A. in conformità a quanto previsto al comma 4.

 

Il comma 6 dispone che alla società SGA S.p.A. si applichi la disposizione ai sensi della quale il Ministero dell'economia e delle finanze, nell'esercizio dei propri diritti di azionista, provvede a nominare i nuovi consigli, prevedendo la composizione degli stessi con tre membri, di cui due dipendenti dell'amministrazione economico-finanziaria e il terzo con funzioni di amministratore delegato (ultimi due periodi dell'articolo 23-quinquies, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, Decreto Revisione spesa pubblica).

Articolo 6 - Misure di ristoro

 

L'articolo 6 disciplina le misure di ristoro a favore degli investitori che, al momento dell'avvio della liquidazione coatta amministrativa, detenevano strumenti finanziari di debito subordinato emessi dalle banche poste in liquidazione col presente provvedimento, sottoscritti o acquistati entro la data del 12 giugno 2014 nell'ambito di un rapporto negoziale diretto con le medesime Banche emittenti. Tali soggetti possono accedere alle prestazioni del Fondo di solidarietà, istituito dalla legge di stabilità per il 2016, in favore dei soggetti che avevano investito in strumenti finanziari subordinati delle istituzioni bancarie poste in risoluzione alla fine di novembre 2015.

Si segnala che la Banca d'Italia, nel più volte menzionato dossier sulla crisi delle banche venete, ha illustrato le conseguenze dell'operazione su azionisti e investitori.

 

Il comma 1 prevede che gli investitori (persone fisiche, imprenditori individuali, imprenditori agricoli o coltivatori diretti o i loro successori mortis causa) che, al momento dell'avvio della liquidazione coatta amministrativa di cui al provvedimento in esame, detenevano strumenti finanziari di debito subordinato emessi dalle banche poste in liquidazione e acquistati nell'ambito di un rapporto negoziale diretto con le medesime emittenti, possono accedere alle prestazioni del Fondo di solidarietà per l'erogazione di prestazioni in favore degli investitori, istituito dalla legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208/2015, art. 1, comma 855).

Il comma 855 prevedeva che il Fondo fosse destinato ai soggetti che, alla data di entrata in vigore del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, detenevano strumenti finanziari subordinati emessi dagli istituti sottoposti a risoluzione a fine novembre 2015.

Il comma 1 in esame stabilisce altresì che l'accesso al Fondo di solidarietà avviene secondo quanto stabilito dall'articolo 1, commi da 855 a 861 della legge medesima, come nel tempo modificate e integrate.

I commi da 855 a 861 della richiamata legge di stabilità 2016 hanno istituito un Fondo di solidarietà in favore degli investitori persone fisiche, imprenditori individuali, coltivatori diretti o imprenditori agricoli che, alla data del 23 novembre 2015, detenevano strumenti finanziari subordinati emessi dalle banche poste in risoluzione alla fine di novembre 2015.
L'accesso alle prestazioni è stato riservato agli investitori persone fisicheimprenditori individuali, nonché imprenditori agricoli o coltivatori diretti. Il Fondo di solidarietà è alimentato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi – FIDT in conformità con le norme europee sugli aiuti di Stato e da questo gestito con risorse proprie.
La legge ha demandato a provvedimenti di rango secondario la definizione, tra l'altro, delle modalità di gestione del Fondo, delle modalità e le condizioni di accesso, inclusi le modalità e i termini per la presentazione delle istanza, delle procedure da esperire che possono anche essere di natura arbitrale (cfr. D.M. 9 maggio 2017, n. 83, Regolamento disciplinante la procedura di natura arbitrale di accesso al Fondo di solidarietà) e le ulteriori disposizioni attuative (comma 857).
In caso di ricorso alla procedura arbitrale, le prestazioni del Fondo sono subordinate all'accertamento delle violazioni degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal Testo Unico Finanziario (D.Lgs. n. 58 del 1998) per quanto riguarda i servizi e le attività di investimento concernenti i predetti strumenti finanziari subordinati (comma 858). Con D.P.C.M. del 28 aprile 2017, n. 82 del 13 giugno 2017 è stato emanato il regolamento recante i criteri e le modalità di nomina degli arbitri per l'erogazione, da parte del Fondo di solidarietà, di prestazioni in favore degli investitori. Esso è stato adottato sentite le Commissioni parlamentari competenti. Si ricorda che detti arbitri devono avere specifici requisiti di imparzialità, indipendenza, professionalità e onorabilità (comma 859).
Gli articoli da 8 a 10 del decreto-legge n. 59 del 2016 hanno introdotto una disciplina di dettaglio in favore dei soggetti che hanno investito nelle banche sottoposte a procedure di risoluzione, che consente a specifiche condizioni di legge e in presenza di determinati presupposti di ordine patrimoniale e reddituale, di chiedere l'erogazione di un indennizzo forfetario. Si veda infra per ulteriori dettagli.
L'articolo 26-bis, commi 1-3 del decreto-legge n. 237 del 2016 ha novellato le disposizioni del decreto-legge n. 59 del 2016 in materia di accesso al Fondo di solidarietà. In particolare le norme hanno ampliato la nozione di "investitore" che può accedere alle tutele del Fondo e hanno stabilito la gratuità del servizio di assistenza agli investitori per la compilazione e la presentazione delle istanze.
La legge di stabilità 2016 ha comunque fatto salvo il diritto al risarcimento del danno, prevedendo la surroga del Fondo nel risarcimento e nel limite delle somme eventualmente corrisposte (comma 860). La gestione del Fondo di solidarietà è stata affidata al Fondo interbancario di tutela dei depositi, chiarendo che ai relativi oneri e spese di gestione si provvede esclusivamente con le risorse finanziarie del Fondo di solidarietà (comma 861).

Il secondo periodo del comma 1 prevede che per investitori si intendono anche il coniuge, il convivente more uxorio e i parenti entro il secondo grado in possesso dei citati strumenti finanziari a seguito di trasferimento con atto tra vivi.

Il terzo periodo del comma 1 chiarisce che esso si applica solo quando gli strumenti finanziari di debito subordinato sono stati sottoscritti o acquistati entro la data del 12 giugno 2014 e che, in caso di acquisto a titolo gratuito, si faccia riferimento al momento in cui lo strumento è stato acquistato dal dante causa.

 

Il comma 2 stabilisce che agli investitori di cui al comma precedente si applichino le disposizioni in materia di accesso al Fondo di solidarietà con erogazione diretta di cui all'articolo 9 del richiamato decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59. Il comma prevede altresì che l'istanza di erogazione dell'indennizzo forfettario (comma 6 del citato articolo 9) debba essere presentata, a pena di decadenza, entro il 30 settembre 2017.

Più in dettaglio, l'articolo 9 disciplina l'accesso al Fondo di solidarietà con erogazione diretta. L'articolo stabilisce che gli investitori - in possesso di un patrimonio mobiliare di proprietà inferiore a 100.000 euro o con un reddito complessivo ai fini dell'IRPEF nell'anno 2014 inferiore a 35.000 euro - che abbiano acquistato gli strumenti finanziari delle banche poste in risoluzione, entro la data del 12 giugno 2014 e che li detenevano alla data della risoluzione delle Banche in liquidazione possono chiedere al Fondo l'erogazione di un indennizzo forfetario pari all'80 per cento del corrispettivo pagato per l'acquisto degli strumenti finanziari, al netto degli oneri e spese connessi all'operazione di acquisto e della differenza positiva tra il rendimento degli strumenti finanziari subordinati e il rendimento di mercato individuato secondo specifici parametri. Viene inoltre precisato che la presentazione dell'istanza di indennizzo forfettario preclude la possibilità di esperire la procedura arbitrale (ex commi da 857 a 860, legge stabilità 2016). Parimenti l'attivazione della procedura arbitrale preclude la possibilità di esperire la procedura di cui all'articolo 9 e laddove la predetta procedura sia stata già attivata, la relativa istanza è improcedibile. Limitatamente agli strumenti finanziari acquistati oltre il 12 giugno 2014 gli investitori possono accedere alla procedura arbitrale, anche laddove abbiamo fatto istanza per l'erogazione dell'indennizzo forfettario in relazione agli strumenti acquistati in data anteriore al 12 giugno 2014. Il Consiglio del Fondo interbancario di tutela dei depositi il 1° agosto 2016 ha approvato il Regolamento per gli indennizzi forfettari del Fondo di solidarietà, che definisce le modalità di invio delle istanze di indennizzo e le verifiche sulla completezza della documentazione e sulla sussistenza delle condizioni per l'accesso alla procedura di rimborso.
Si ricorda che il termine per accedere all'indennizzo forfettario relativamente agli strumenti finanziari delle banche poste in risoluzione a novembre 2015 è stato prorogato al 31 maggio 2017 dall'articolo 26-bis del D.L. n. 237 del 2016.

 

Articolo 7 - Disposizioni fiscali

 

 L'articolo 7 introduce apposite norme in materia fiscale riguardanti il trattamento delle cessioni previste dall'articolo 3, in riferimento ai profili relativi alle DTA, all'IVA, all'IRES e all'IRAP.

In sinesi si dispone che le cessioni di azienda previste dall'articolo 3 determinano anche la cessione delle DTA. Le stesse cessioni sono considerate cessioni di rami d'azienda e quindi escluse dall'IVA. Le eventuali plusvalenze sono inoltre esenti ai fini IRES e IRAP. I contributi erogati dal Ministero dell'economia e delle finanze al soggetto cessionario non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte dirette e al valore della produzione netta ai fini IRAP; mentre le spese sostenute dal cessionario nell'ambito delle misure di ristrutturazione aziendale sono comunque deducibili dal reddito complessivo ai fini delle imposte sul reddito e dal valore della produzione netta ai fini IRAP.

In particolare, il comma 1 stabilisce che con le cessioni previste dall'articolo 3 (cessioni di azienda, di suoi singoli rami, di beni e di rapporti giuridici disposte con decreti del Ministro dell'Economia e delle finanze relativamente alle banche poste in liquidazione coatta amministrativa) sono trasferiti anche i crediti d'imposta convertiti (c.d. DTA) ai sensi dell'articolo 2, commi 55 – 56-ter, del decreto-legge n. 225 del 2010, con la possibilità di fruizione in capo ai cessionari dei medesimi crediti nella misura spettante ai cedenti.

La disciplina delle Deferred Tax Assets – DTA (imposte differite attive) consente di qualificare come crediti d'imposta le attività per imposte anticipate iscritte in bilancio in presenza di perdita civilistica, fiscale, oppure in caso di liquidazione volontaria o assoggettamento a procedure concorsuali o di gestione delle crisi.
La disciplina delle DTA è stata introdotta nell'ottica di migliorare il trattamento fiscale degli enti creditizi e finanziari, in sostanza per colmare il divario di incidenza delle imposte anticipate nei bilanci degli operatori italiani (in particolare gli enti creditizi e finanziari) rispetto a quelli europei. La finalità della disciplina per quanto riguarda gli enti creditizi, infatti, è quella di assicurare, attraverso la trasformazione, una "qualità" patrimoniale sufficiente a evitare, in presenza di perdite, eventuali necessarie ricapitalizzazioni, imposte dalle regole di Basilea 3.
La normativa prevede un meccanismo di conversione automatica in crediti di imposta, da utilizzare in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del D.Lgs. 241/1997; in tal modo, le DTA sono "smobilizzabili" e, pertanto, concorrerebbero all'assorbimento delle perdite al pari del capitale e delle altre riserve, divenendo per tale via pienamente riconoscibili ai fini di vigilanza. Il medesimo meccanismo è previsto anche per le DTA che derivino da disallineamenti temporali nella rilevazione di bilancio e fiscale e che siano destinati a riassorbirsi nel tempo, come nel caso dell'affrancamento del valore dell'avviamento e delle altre attività immateriali effettuato ai sensi dell'art. 15 del D.L. n. 185 del 2008.
In particolare la normativa è contenuta nell'articolo 2, commi da 55 a 57, del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, al fine di consentire la trasformazione in credito di imposta delle attività per imposte anticipate(DTA) iscritte in bilancio, relative alle svalutazioni di crediti - non ancora dedotte ai sensi dell'articolo 106, comma 3, del TUIR - e al valore dell'avviamento e delle altre attività immateriali i cui componenti negativi sono deducibili ai fini delle imposte sui redditi in più periodi d'imposta. Sul punto è intervenuto successivamente l'articolo 9 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, che ha previsto la conversione delle DTA in presenza di perdite fiscali rilevanti ai sensi dell'articolo 84 del TUIR, e l'articolo 1, commi da 167 a 171, della L. 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), che ha esteso l'originario ambito applicativo della disciplina sulle DTA a quelle relative all'IRAP. Ulteriori modifiche sono state apportate dal D.L. n. 83 del 2015; specifiche norme per gli enti in risoluzione sono contenute nella legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), come si vedrà in seguito.
Le richiamate disposizioni del decreto-legge n. 225 del 2010 differenziano la disciplina delle diverse fattispecie di trasformazione delle imposte anticipate in crediti d'imposta.
La prima fattispecie è prevista dal comma 55 dell'articolo 2 del decreto legge n. 225 del 2010, ai sensi del quale le imposte differite attive che possono essere trasformate in credito verso l'Erario sono quelle che originano dal differimento della deduzione dei componenti negativi relativi:
  • alla svalutazione dei crediti degli enti finanziari e creditizi, nonché alle perdite su crediti, non ancora dedotte ai fini delle imposte sui redditi;
  • alle rettifiche di valore nette per deterioramento dei crediti, non ancora dedotte dalla base imponibile IRAP;
  • al valore dell'avviamento e delle altre attività immateriali i cui componenti negativi sono deducibili in più periodi d'imposta ai fini delle imposte sui redditi e dell'IRAP.
La trasformazione è possibile solo qualora nel bilancio individuale della società sia rilevata una perdita d'esercizio.
Il successivo comma 56 ha fissato la decorrenza della predetta trasformazione dalla data di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea dei soci o dell'organo competente per legge (anche nel caso di patologia dell'andamento aziendale), operando per un importo pari al prodotto - da effettuarsi sulla base dei dati del medesimo bilancio approvato - tra:
  • la perdita d'esercizio;
  • il rapporto fra le attività per imposte anticipate e la somma del capitale sociale e delle riserve.
I commi 55 e 56 disciplinano dunque la trasformazione delle DTA qualificate in credito di imposta in presenza di perdita civilistica.
La seconda fattispecie di trasformazione di imposte anticipate in crediti d'imposta è prevista dal comma 56-bis (inserito dal decreto-legge n. 201 del 2011), che consente la trasformazione in crediti d'imposta delle DTA da perdite fiscali, per la quota dovuta alla deduzione dei componenti negativi di reddito di cui al comma 55. La trasformazione riguarda le DTA da perdite fiscali "generate" dai componenti negativi di reddito di cui al comma 55 per l'intero ammontare delle stesse che trova capienza nella perdita fiscale dell'esercizio. La trasformazione decorre dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi in cui viene rilevata la perdita fiscale.
Rientra nelle ipotesi di trasformazione in crediti d'imposta di DTA da perdita fiscale anche la fattispecie (introdotta dalla legge di stabilità 2014) individuata dal comma 56-bis1, che riguarda le DTA generate dalle componenti negative IRAP: si può trasformare in crediti d'imposta - in caso di base imponibile IRAP, ovvero valore della produzione netta, negativa - la quota delle attività per imposte anticipate di cui al comma 55, riferita ai componenti negativi di cui al medesimo comma (perdite e svalutazioni; rettifiche di valore per deterioramento) che hanno concorso alla formazione del valore della produzione netta negativo. La trasformazione decorre dalla data di presentazione della dichiarazione ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive in cui viene rilevato il valore della produzione netta negativo di cui al presente comma.
La disciplina di cui al comma 56-bis1 è applicabile ai bilanci di liquidazione volontaria ovvero relativi a società sottoposte a procedure concorsuali o di gestione delle crisi, ivi inclusi quelli riferiti all'amministrazione straordinaria e alla liquidazione coatta amministrativa di banche e altri intermediari finanziari vigilati dalla Banca d'Italia.
La terza fattispecie di trasformazione di imposte anticipate in crediti d'imposta è prevista dal comma 56-ter, con riferimento ai bilanci di liquidazione volontaria ovvero relativi a società sottoposte a procedure concorsuali o di gestione delle crisi, ivi inclusi quelli riferiti all'amministrazione straordinaria e alla liquidazione coatta amministrativa di banche e altri intermediari finanziari vigilati dalla Banca d'Italia.
Si tratta dunque di trasformazione delle DTA in credito d'imposta nel caso di liquidazione volontaria, assoggettamento a procedure concorsuali o gestione delle crisi.
Si ricorda che il comma 850 della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015) ha disciplinato il trattamento tributario delle DTA – Deferred Tax Assets per gli istituti nei confronti dei quali sono adottate azioni di risoluzione.
L'articolo 11 del decreto-legge n. 59 del 2016 ha modificato la disciplina sulla attività per imposte anticipate nel caso in cui ad esse non corrisponda un effettivo pagamento anticipato di imposte (cd. DTA "di tipo 2"), prevedendo il pagamento di un canone. L'articolo 26-bis, comma 4, del decreto-legge n. 237 del 2016 ha modificato la decorrenza della relativa disciplina, nonché i termini e le modalità per il versamento del canone.

 Il comma 2 prevede che le cessioni di cui all'articolo 3 sono considerate cessioni di rami d'azienda e quindi escluse dall'IVA. Lo stesso comma prevede, inoltre, che gli atti aventi ad oggetto le cessioni, nonché le retrocessioni e le restituzioni, sono soggette alle imposte di registro, ipotecaria e catastale, ove dovute, nella misura fissa di 200 euro ciascuna.

Si ricorda che la cessione d'azienda o di rami d'azienda, ai sensi dell'articolo 2, comma 3, lettera b), del D.P.R. n. 633 del 1972, si configura come un'operazione esclusa dal campo di applicazione dell'IVA. Tenendo conto del principio di alternatività IVA/registro, disposto dall'articolo 40 del D.P.R. n. 131 del 1986, l'esclusione dal campo di applicazione dell'IVA per difetto del presupposto oggettivo comporta che la cessione dell'azienda o di un suo ramo deve essere assoggettata all'imposta di registro.

 

Il comma 3 dispone che al soggetto cessionario e al soggetto cedente si applicano le disposizioni previste dall'articolo 15 del decreto-legge n. 18 del 2016, in materia di non imponibilità ai fini IRES e IRAP delle eventuali plusvalenze che possano emergere in occasione della cessione, operando per le suddette cessioni lo stesso regime di neutralità attualmente previsto per le operazioni di fusione o di scissione.

L'articolo 15 citato disciplina il trattamento ai fini IRES e IRAP da applicare alle operazioni di cessione di diritti, attività e passività di un ente sottoposto a risoluzione a un ente ponte, previste dall'articolo 43 del D.Lgs. n. 180 del 2015, prevedendo che ai fini fiscali la cessione di diritti, attività e passività di un ente sottoposto a risoluzione a un ente ponte non costituisce realizzo di plusvalenze o minusvalenze. I beni ricevuti dall'ente ponte sono valutati fiscalmente in base agli ultimi valori fiscali riconosciuti in capo all'ente cedente. In sostanza, il trattamento fiscale della cessione di attività e passività da un soggetto sottoposto a risoluzione ad un ente ponete viene equiparato a quello attualmente previsto in caso di fusioni o di scissioni.
Si ricorda che il D.Lgs. n. 180 del 2015 disciplina la predisposizioni di piani di risoluzione delle crisi bancarie, avvio e chiusura delle procedure di risoluzione, adozione delle misure di risoluzione, gestione della crisi di gruppi cross-border, poteri e funzioni dell'autorità di risoluzione nazionale e disciplina del fondo di risoluzione nazionale. Le Autorità preposte all'adozione delle misure di risoluzione delle banche potranno attivare una serie di misure, tra cui il temporaneo trasferimento delle attività e delle passività a un'entità (bridge bank) costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato, il trasferimento delle attività deteriorate a un veicolo (bad bank) che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli ed il cd. bail-in, ossia la procedura che consente di svalutare azioni e crediti e convertirli in azioni, per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali.

 

Il comma 4 prevede che le somme ricevute dal cessionario ai sensi dell'articolo 4 (contributi o fondi erogati dal Ministero dell'economia e delle finanze, incluse le risorse a sostegno di misure di ristrutturazione aziendale per un importo massimo di 1,285 miliardi – art. 4, comma 1, lett. d)) non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte dirette e al valore della produzione netta ai fini IRAP. Si prevede inoltre che le spese sostenute dal cessionario nell'ambito delle misure di ristrutturazione aziendale sovvenzionate con i contributi di cui all'articolo 4, comma 1, lett. d), sono comunquededucibili dal reddito complessivo ai fini delle imposte sul reddito e dal valore della produzione netta ai fini IRAP.

 Il comma 5 prevede che al soggetto cessionario e al soggetto cedente si applicano le disposizioni previste per la società beneficiaria e la società scissa dai commi 8 e 9 dell'articolo 11 del decreto-legge n. 59 del 2016, in materia di determinazione del canone annuo calcolato sulle attività per imposte anticipate, prevedendo il subentro del cessionario in luogo del cedente.

Il comma 8 citato disciplina il caso in cui siano state effettuate operazioni straordinarie a partire dall'esercizio in corso al 31 dicembre 2008 e, dunque, l'ipotesi in cui le imprese coinvolte nella disciplina della trasformabilità di DTA abbiano incrementato le attività per imposte anticipate, in qualità di società incorporante o risultante da una o più fusioni o in qualità di beneficiaria di una o più scissioni. In tali ipotesi, per determinare l'ammontare delle attività per imposte anticipate si tiene conto anche delle attività per imposte anticipate iscritte alla fine dell'esercizio in corso al 31 dicembre 2007 nei bilanci delle società incorporate, fuse o scisse, e delle attività per imposte anticipate trasformate in credito d'imposta dalle società incorporate, fuse o scisse. Per determinare le imposte versate si tiene conto anche delle imposte versate dalle società incorporate, fuse o scisse.
Il comma 9 riapre i termini per l'esercizio dell'opzione per i soggetti interessati da operazioni straordinarie dopo il 31 dicembre 2015. Si chiarisce che, a partire dall'esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, le imprese interessate dalle disposizioni in tema di trasformazione di DTA in credito d'imposta, ove non abbiano esercitato l'opzione per il mantenimento del regime e che incorporino o risultino da una o più fusioni di altre imprese, oppure siano beneficiarie di una o più scissioni, godono della possibilità di esercitare l'opzione predetta entro un mese dalla chiusura dell'esercizio in corso alla data in cui ha effetto la fusione o la scissione.

Articolo 8 - Disposizioni di attuazione

 

L'articolo 8 (unico comma) prevede che il Ministro dell'economia e delle finanze possa dettare disposizioni tecniche di attuazione del provvedimento con uno o più decreti di natura non regolamentare.

Articolo 9 - Disposizioni finanziarie

 

 L'articolo 9 stabilisce che le misure all'esame siano adottate a valere e nei limiti delle disponibilità del Fondo istituito dall'articolo 24 decreto legge n. 237 del 2016 "Tutela del risparmio nel settore creditizio". L'articolo individua inoltre ulteriori misure di carattere ordinamentale al fine di attuare il provvedimento in esame.

 Il comma 1 stabilisce che le misure all'esame siano adottate a valere e nei limiti delle disponibilità del Fondo istituito dall'articolo 24 decreto legge n. 237 del 2016 "Tutela del risparmio nel settore creditizio", e dunque, nell'ambito degli interventi autorizzati dalle risoluzioni parlamentari di approvazione della Relazione al Parlamento presentata il 21 dicembre 2016.

L'articolo 24 del decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237 al comma 1 istituiva nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un Fondo con una dotazione di 20 miliardi di euro per l'anno 2017. Il Fondo è destinato alla copertura degli oneri derivanti dalle operazioni di sottoscrizione e acquisto di azioni effettuate per il rafforzamento patrimoniale e dalle garanzie concesse dallo Stato su passività di nuova emissione e sull'erogazione di liquidità di emergenza a favore delle banche e dei gruppi bancari italiani.

 Il comma 2 stabilisce che alla compensazione degli eventuali effetti finanziari derivanti dall'esito della due diligence sul compendio ceduto (cfr. sopra art. 4, c. 4), e della retrocessione al soggetto in liquidazione di ulteriori attività, passività o rapporti (cfr. sopra art. 4, c. 5), si provveda per l'anno 2018 nel limite massimo di 300 milioni di euro a valere sul Fondo per le esigenze indifferibili (art. 1, c. 200, legge 23 dicembre 2014, n. 190). Il secondo periodo prevede che, al fine della determinazione dello sbilancio di cessione, i commissari liquidatori forniscano al Ministero dell'economia e delle finanze una situazione patrimoniale in esito alla due diligence citata e successivamente aggiornata al 31 dicembre di ogni anno.

 Il comma 3 prevede che, ai fini dell'immediata attuazione delle disposizioni del provvedimento in esame, il Ministro dell'economia e delle finanze apporti, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio. Si stabilisce altresì che, ove necessario e previa richiesta dell'amministrazione competente, il Ministero dell'economia e delle finanze possa disporre il ricorso ad anticipazioni di tesoreria, la cui regolarizzazione avviene tempestivamente con l'emissione di ordini di pagamento sui pertinenti capitoli di spesa.

Articolo 10 - Entrata in vigore

 L'articolo 10 stabilisce che il decreto-legge entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana (25 giugno 2017).

Conseguentemente, il nuovo comma 2 dell'articolo 1 del ddl di conversione abroga il decreto-legge 16 giugno 2017, n. 89, confermando la validità degli atti e dei provvedimenti adottati e facendo salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge.Conseguentemente, il nuovo comma 2 dell'articolo 1 del ddl di conversione abroga il decreto-legge 16 giugno 2017, n. 89, confermando la validità degli atti e dei provvedimenti adottati e facendo salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge.Conseguentemente, il nuovo comma 2 dell'articolo 1 del ddl di conversione abroga il decreto-legge 16 giugno 2017, n. 89, confermando la validità degli atti e dei provvedimenti adottati e facendo salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge.