Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Bilancio
Titolo: Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno
Riferimenti: AC N.4601/XVII
Serie: Progetti di legge   Numero: 597/2
Data: 27/07/2017
Organi della Camera: V Bilancio


 

Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno

 

Parte I – Schede di lettura

 

 

D.L. 91/2017 – A.C. 4601

 

luglio 2017

 

I N D I C E

 

Articolo 1, commi 1-17-bis (Misura a favore dei giovani imprenditori nel Mezzogiorno, denominata «Resto al Sud»). 3

Articolo 2 (Misure e interventi finanziari a favore dell’imprenditoria giovanile in agricoltura e di promozione delle filiere del Mezzogiorno). 12

Articolo 2-bis (Interventi urgenti a favore della ricerca per contrastare la diffusione del coleottero Xylosandrus compactus). 14

Articolo 3 (Banca delle terre abbandonate o incolte e misure). 15

Articolo 3-bis (Cluster tecnologici nazionali per l'accelerazione e la qualificazione della programmazione nel campo della ricerca e innovazione a favore delle aree del Mezzogiorno)  22

Articolo 3-ter (Interventi in materia di integrazione salariale straordinaria per imprese operanti in aree di crisi industriale complessa). 25

Articolo 4 (Istituzioni di zone economiche speciali). 26

Articolo 5 (ZES: benefici fiscali e semplificazioni). 30

Articolo 6 (Disposizioni di semplificazione per la valorizzazione dei Patti per lo sviluppo)  34

Articolo 6-bis (Disposizioni per agevolare le intese regionali a favore degli investimenti)  38

Articolo 6-ter (Misure per il completamento delle infrastrutture). 41

Articolo 7 (Valorizzazione dei contratti istituzionali di sviluppo – CIS per la città di Matera)  42

Articolo 8, commi 1 e 1-bis (Disposizioni di semplificazione in materia di amministrazione straordinaria). 46

Articolo 8, comma 1-ter (Sistema di remunerazione della disponibilità di capacità produttiva di energia elettrica). 51

Articolo 8, comma 1-quater (Esclusione dei Corpi volontari dei vigili del fuoco dal bilancio consolidato di regioni ed enti locali). 55

Articolo 9 (Misure urgenti ambientali in materia di classificazione dei rifiuti)  58

Articolo 9-bis (Attuazione della direttiva (UE) 2015/720 sulla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero Procedura d'infrazione n. 2017/0127). 63

Articolo 9-ter (Disposizioni per l'utilizzo delle disponibilità residue alla chiusura delle contabilità speciali in materia di protezione civile e trasferite alle Regioni). 80

Articolo 9-quater (Disposizioni concernenti i servizi di trasporto pubblico locale)  82

Articolo 9-quinquies (Rapporto di lavoro del trasporto pubblico locale). 84

Articolo 9-sexies (Misure per il contrasto degli incendi dolosi). 86

Articolo 10 (Ulteriori misure in favore dell'occupazione nel Mezzogiorno e lavoratori nel settore della pesca marittima). 87

Articolo 10-bis (Progetti speciali di prevenzioni danni nella regione Sardegna)  89

Articolo 10-ter (Disposizioni in materia di sviluppo di unità produttive del Ministero della difesa nel Mezzogiorno). 91

Articolo 11, commi 1-4 (Interventi urgenti per il contrasto della povertà educativa minorile e della dispersione scolastica nel Mezzogiorno). 93

Articolo 11, commi 4-bis e 4-ter (Contributo agli istituti per sordi). 95

Articolo 11-bis (Misure urgenti per garantire lo svolgimento dell’anno scolastico 2017/2018 nelle aree colpite dagli eventi sismici del 2016 e 2017). 98

Articolo 11-ter (Misure per interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici)  100

Articolo 11-quater (Interventi urgenti in materia di edilizia giudiziaria nelle Regioni del Mezzogiorno). 106

Articolo 12, commi 1-8 (Disciplina del costo standard per studente universitario)  107

Articolo 12, comma 8-bis (Contributi alla Fondazione Accademia Nazionale di Santa Cecilia)  118

Articolo 12-bis (Disposizioni relative all’università degli studi Trento). 120

Articolo 13 (Disposizioni in materia di risanamento ambientale da parte dell’Amministrazione straordinaria di ILVA). 123

Articolo 13-bis (Disposizioni in materia di bonifica ambientale e rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale - comprensorio Bagnoli Coroglio). 131

Articolo 13-ter (Lavoratori affetti da patologia asbesto-correlata). 132

Articolo 14 (Proroga dei termini per l'effettuazione degli investimenti di cui all'articolo 1, comma 9, della legge 11 dicembre 2016, n. 232). 134

Articolo 15 (Assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali nelle regioni del Mezzogiorno)  137

Articolo 15-bis (Commissione parlamentare per le questioni regionali). 139

Articoli 15-ter (Sanzioni ISTAT per i comuni di minori dimensioni demografiche)  141

Articolo 15-quater (Deroga alle sanzioni patto di stabilità per i comuni colpiti dal sisma)  143

Articolo 15-quinquies (Contributo province e città metropolitane). 145

Articolo 15-sexies (Intese regionali per la cessione di spazi finanziari agli enti locali)  150

Articolo 15-septies (Gestione dei contenziosi relativi al programma di risanamento e sviluppo di Reggio Calabria). 152

Articolo 15-octies, comma 1 (Personale della scuola nei territori colpiti dagli eventi sismici)  154

Articolo 15-octies, comma 2 (Servizi nelle scuole). 155

Articolo 16 (Misure urgenti per affrontare situazioni di marginalità sociale)  159

Articolo 16-bis (Ripristino e messa in sicurezza Strada dei parchi). 166

Articolo 16-ter (Sistema automatico per la detenzione dei flussi di merce in entrata nei centri storici delle Città metropolitane). 169

Articolo 16-quater (Risorse per interventi infrastrutturali sulla rete stradale di interconnessione con l'autostrada Salerno-Reggio Calabria). 171

Articolo 16-quinquies (Tavolo per il riordino della disciplina dei servizi automobilistici interregionali di competenza statale). 173

Articolo 16-sexies (Disposizioni urgenti per il proseguimento delle attività emergenziali nelle aree del centro-Italia colpite dal sisma e per l'efficacia delle attività di protezione civile)  176

Articolo 16-septies (Utilizzo avanzi di amministrazione per i Comuni colpiti dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016). 185

Articolo 16-octies (Rimborso imposte per soggetti interessati da eventi sismici nel 1990 nelle province di Catania, Ragusa e Siracusa e Molise). 187

Articolo 16-novies (Celebrazioni di Antonio Gramsci). 190

Articolo 16-decies (Disposizioni concernenti la ripartizione delle quote aggiuntive di tonno rosso). 193

 

 


Articolo 1, commi 1-17-bis
(Misura a favore dei giovani imprenditori nel Mezzogiorno, denominata «Resto al Sud»)

 

 

L’articolo 1, commi 1-15, - come risultante dagli emendamenti accolti dal Senato - contempla forme di incentivazione per i giovani del Mezzogiorno, per promuovere la costituzione di nuove imprese nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. La misura, denominata “Resto al Sud”, è rivolta ai giovani di età compresa tra i 18 e i 35 anni, residenti, al momento della presentazione della domanda, nelle regioni citate, ovvero che ivi trasferiscano la residenza nei termini di legge, e che mantengano nelle stesse regioni la residenza per tutta la durata del finanziamento, che consiste per il 35 per cento in erogazioni a fondo perduto e per il 65 per cento è un prestito a tasso zero da rimborsare, complessivamente, in otto anni di cui i primi due di preammortamento. Al finanziamento della misura di cui all’articolo in esame si provvede, ai sensi del comma 16, mediante utilizzo delle risorse del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione - programmazione 2014-2020 per un importo complessivo fino a 1.250 milioni.

 

Il comma 1 attiva una nuova misura di incentivazione per i giovani del Mezzogiorno, per promuovere la costituzione di nuove imprese nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. La misura, denominata “Resto al Sud”, è uno strumento per realizzare strategie imprenditoriali mediante apposita delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE): esse, secondo la relazione di accompagnamento del disegno di legge di conversione, saranno "in grado di fronteggiare il problema dell’abbandono dei territori di origine e di rilanciare l’economia, ponendo così le basi per il radicamento di condizioni favorevoli allo sviluppo di una nuova cultura d’impresa".

Il comma 2 specifica che la misura è rivolta ai giovani di età compresa tra i 18 e i 35 anni, residenti, al momento della presentazione della domanda, nelle regioni citate, ovvero che ivi trasferiscano la residenza entro sessanta giorni dalla comunicazione dell’esito positivo dell’istruttoria, e che mantengano nelle stesse regioni la residenza per tutta la durata del finanziamento. Il Senato ha aggiunto la possibilità che il termine di trasferimento, in caso di residenza all'estero, decorra entro centoventi giorni dalla comunicazione dell’esito positivo dell’istruttoria. È requisito indispensabile non aver fruito di incentivi pubblici nazionali, rivolti all’autoimprenditorialità, nel triennio antecedente la domanda di finanziamento; il Senato ha aggiunto il divieto di essere stati titolari di attività di impresa in esercizio alla data di entrata in vigore del decreto legge; inoltre, con l'introduzione di un comma 12-bis, il Senato ha prescritto che al momento dell'accettazione del finanziamento e per tutta la durata del rimborso dello stesso, il beneficiario, pena decadenza, non risulti titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato presso un altro soggetto.

 

La relazione alle Camere[1] di cui all'articolo 26 del decreto legislativo n. 185/2000 riferita al 2015 (come quelle relative agli anni dal 2007 al 2014) reca una parte prima (Autoimprenditorialità), in cui si dà conto delle attività svolte e degli esiti conseguiti nel periodo considerato per quanto attiene all'applicazione delle misure di cui al Titolo I del decreto n. 185. Vi si rende noto che al 31 dicembre 2015 le "imprese out" (erogazioni complete, vincoli di legge in corso e mutui in fase di rimborso) "sono pari a n. 352 e presentano i seguenti risultati: investimenti realizzati per euro 389.841.000; agevolazioni ricevute per euro 424.081.000; addetti pari a 4.282 unità". Tali risultati sono illustrati sulla base delle sei macro-fasi del processo operativo “Autoimprenditorialità” di seguito elencate: informazione e comunicazione; valutazione istruttoria; esecuzione del contratto di concessione delle agevolazioni; gestione amministrativa e finanziaria del contratto di concessione delle agevolazioni; controllo del rispetto dei vincoli legislativi; valutazione degli effetti delle misure. La relazione 2015 dà conto degli avanzamenti nelle erogazioni, rispetto alla situazione al 31 dicembre 2014 e fornisce dati numerici sul rispetto dei vincoli legislativi. In merito alla valutazione delle performance, nel 2015 è stato selezionato un campione di 207 imprese, per le quali sono stati rilevati fatturato e risultato lordo dell'esercizio 2014 ed i dati attuali di patrimonio netto, soci ed addetti.

 

Il comma 3 individua, quale amministrazione titolare, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e, come soggetto gestore, l’Agenzia Nazionale per l’Attrazione degli Investimenti - Invitalia, che - all'uopo firmataria di una convenzione ai cui oneri si provvede nel limite massimo dell'uno per cento delle risorse destinate alla misura - esaminerà[2] le istanze pervenute, attraverso una piattaforma dedicata, entro 60 giorni dalla presentazione dell’istanza, salvo i tempi necessari per un’unica richiesta di integrazione documentale durante la fase di istruttoria (comma 5).

 

Invitalia (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa S.p.A.) è una società per azioni interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze che esercita i diritti di azionista, d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico, che svolge le funzioni di indirizzo e controllo sulla società medesima. Quest'ultima è stata istituita come società per azioni Sviluppo Italia ai sensi del comma 1 dell’articolo 1 del decreto legislativo 9 gennaio 1999, n. 1, con lo scopo, attraverso l'erogazione di servizi e l'acquisizione di partecipazioni, di promuovere attività produttive, attrarre investimenti, promuovere iniziative occupazionali e nuova imprenditorialità, con particolare riferimento al Mezzogiorno e alle altre aree depresse, come definite ai sensi della normativa comunitaria. La società ha assunto la denominazione di Invitalia dal mese di luglio 2008, ai sensi dell’articolo 1, comma 460, della legge 27 dicembre 2006 n. 296, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)”[3]

 

Il comma 4 prevede che gli enti pubblici e le università, previa comunicazione ad Invitalia, possano fornire, a titolo gratuito, servizi di consulenza e assistenza nelle varie fasi di sviluppo del progetto imprenditoriale. Lo stesso regime si applica alle associazioni e gli enti del terzo settore di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 6 giugno 2016, n. 106, a seguito della modifica apportata dal Senato, che ha eliminato il requisito del previo accreditamento presso il soggetto gestore contenuto nel testo originario del decreto-legge. Le pubbliche amministrazioni, però, prestano i servizi nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

In effetti, l'articolo 55 dello Schema di decreto legislativo recante codice del Terzo settore (Atto del Governo n. 417) richiede alle Amministrazioni pubbliche nell'ambito dello svolgimento dei propri compiti istituzionali di programmazione e progettazione di interventi e servizi, di coinvolgere attivamente gli enti del terzo settore, individuati secondo principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento.

 

Le istanze di agevolazioni (comma 6) possono essere presentate, fino ad esaurimento delle risorse[4], dai giovani destinatari della misura già costituiti o da costituire, in forma di impresa individuale o società, quest’ultima anche in forma cooperativa; ciò dovrà avvenire al più tardi entro sessanta giorni dalla data di comunicazione dell’esito positivo dell’istruttoria. Il Senato ha aggiunto la possibilità che il termine di trasferimento, in caso di residenza all'estero, decorra entro centoventi giorni dalla comunicazione dell’esito positivo dell’istruttoria.

Ulteriore condizione è che le imprese e le società sono tenute a mantenere, per tutta la durata del finanziamento, la propria sede legale ed operativa nelle regioni individuate al comma 1; i soggetti beneficiari della misura, parimenti, devono mantenere la residenza nelle regioni di cui al comma 1 per l’intera durata del finanziamento. Le società possono essere costituite anche da soci che non abbiano un’età compresa fra i 18 ed i 35 anni, a condizione che la loro presenza non sia maggiore di un terzo dei componenti e non presentino rapporti di parentela fino al quarto grado con nessuno degli altri soci: questi sono, in ogni caso, esclusi dall’accesso ai finanziamenti (comma 12).

Qualora l’istanza, presentata dai richiedenti, abbia ricevuto un giudizio positivo, il comma 7 prevede l’erogazione di un finanziamento nella misura massima di 50 mila euro (soglia elevata dal Senato) per singolo richiedente già costituito o da costituire in forma di impresa individuale o di società; la misura può arrivare fino ad un massimo di 200 mila euro, ai sensi e nei limiti della disciplina unionale degli aiuti de minimis - Regolamento (UE) n. 1407/2013 e, su precisazione del Senato, Regolamento (UE) n. 717/2014 - per le domande presentate da più richiedenti che si costituiscono o sono già costituiti in società, ivi comprese le società cooperative.

I finanziamenti sono erogati per il 35 per cento a fondo perduto e per il 65 per cento sotto forma di prestito a tasso zero da rimborsare, complessivamente, in otto anni di cui i primi due di preammortamento (comma 8). In virtù delle modifiche apportate al testo dal Senato, si aggiunge la possibilità per i beneficiari di costituirsi in società cooperative: in tal caso, alle citate provvidenze (e fermo restando il rispetto della citata normativa europea, si aggiunge la possibilità di attingere anche alle agevolazioni che l'articolo 17 della legge n. 49 del 1985 conferisce sotto forma di contributi a fondo perduto (erogate alle società finanziarie dalla la Sezione speciale per il credito alla cooperazione, per la durata di quattro anni (comma 8-bis). Il medesimo emendamento introduce anche un comma 8-ter, che svincola - da alcuni dei requisiti vigenti per l'imprenditore agricolo - la definizione recata dall'articolo 1 comma 2 del D.Lgs. 18/05/2001, n. 228: ai fini dell'orientamento e modernizzazione del settore agricolo, sono così considerate anche le cooperative di imprenditori agricoli ed i loro consorzi, ma solo a condizione che utilizzino prevalentemente prodotti dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico. L'ulteriore elemento teleologico - che esse operassero per lo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile - ora è soddisfatto dalle sole attività connesse (tali essendo, per il terzo comma del citato articolo 2135: "le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge").

 

Il comma 9 specifica che la quota del prestito a tasso zero beneficia sia di un contributo in conto interessi per tutta la durata del prestito, corrisposto dal soggetto gestore della misura agli istituti di credito, che di una garanzia per la restituzione dei prestiti erogati dagli istituti di credito (precisazione, quest'ultima, apportata dal Senato). A tal fine, con decreto MEF, di concerto con il MiSE, è istituita una sezione specializzata presso il Fondo Centrale di Garanzia per le PMI[5], a cui è trasferita una quota parte delle risorse stanziate. Con il medesimo decreto, inoltre, sono definite le modalità di accesso alla predetta sezione specializzata del Fondo di Garanzia.

Ad essere così finanziate sono, per il comma 10 come risultante dal testo approvato in Senato, le attività imprenditoriali relative a produzione di beni nei settori dell'artigianato e dell'industria, della pesca e dell'acquacoltura, ovvero relative alla fornitura di servizi, ivi compresi i servizi turistici. Sono escluse dal finanziamento le attività libero-professionali e del commercio ad eccezione della vendita dei beni prodotti nell'attività di impresa. I finanziamenti per il comma 11 non possono essere utilizzati per spese relative alla progettazione, alle consulenze e all'erogazione degli emolumenti ai dipendenti delle imprese individuali e delle società, nonché agli organi di gestione e di controllo delle società stesse. Le imprese e le società possono aderire al programma Garanzia Giovani per il reclutamento del personale dipendente.

Il comma 13 stabilisce che l’erogazione dei finanziamenti è condizionata alla costituzione in una delle figure giuridiche predetta ed al conferimento in garanzia dei beni aziendali oggetto dell’investimento in favore del soggetto che eroga il finanziamento. I soggetti beneficiari sono tenuti ad impiegare il contributo a fondo perduto esclusivamente ai fini dell’attività di impresa. In caso di società, le quote versate e le azioni sottoscritte dai beneficiari della misura non possono essere riscattate se non dopo la completa restituzione del finanziamento e, in ogni caso, non prima di cinque anni da quando versate e sottoscritte.

Invitalia è autorizzata a stipulare una convenzione con l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) per definire le condizioni dei mutui (comma 14): lo prevederanno le modalità definite da un decreto, che, ai sensi del comma 15, sarà adottato dal Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro dello sviluppo economico, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione. In esso sono definite anche le modalità di corresponsione della quota parte a fondo perduto e degli interessi, nonché i casi e le modalità per l’escussione della garanzia, i criteri di dettaglio per l’ammissibilità alla misura, le modalità di attuazione della stessa, nonché le modalità di accreditamento dei soggetti di cui al comma 4 e le modalità di controllo e monitoraggio della misura incentivante, prevedendo altresì le modalità di revoca del beneficio e di recupero delle somme. Il Senato ha aggiunto la disposizione secondo cui ciascuna Regione di cui al comma 1, nell'ambito delle proprie risorse disponibili, sulla base di una graduatoria regionale, può finanziare gli eventuali progetti imprenditoriali di cui al presente articolo, approvati ma rimasti esclusi dal finanziamento in ragione dell'esaurimento delle risorse disponibili.

 

Al finanziamento della misura di cui all’articolo in esame si provvede, ai sensi del comma 16, mediante utilizzo delle risorse del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione - programmazione 2014-2020 per un importo complessivo fino a 1.250 milioni, da ripartire in importi annuali massimi, fino a:

§  36 milioni di euro per l’anno 2017;

§  280 milioni di euro per l’anno 2018;

§  462 milioni di euro per l’anno 2019;

§  308,5 milioni di euro per l’anno 2020;

§  92 milioni di euro per l’anno 2021;

§  22,5 milioni di euro per l’anno 2022;

§  18 milioni di euro per l’anno 2023;

§  14 milioni di euro per l’anno 2024;

§  17 milioni di euro per l’anno 2025.

 

A tal fine, il comma precisa che le risorse del Fondo da destinare al finanziamento della misura agevolativa sono imputate alla quota del Fondo già destinata alle regioni indicate al comma 1 (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia), previa rimodulazione delle assegnazioni già disposte dal CIPE con apposita delibera, nonché eventuale riprogrammazione delle annualità del Fondo medesimo in sede di disegno di legge di bilancio, ai sensi dell’articolo 23, comma 3, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196.

Si ricorda, che le citate disposizioni della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/2009) – che disciplinano la formazione delle previsioni di spesa del bilancio dello Stato, come riformulate a seguito della riforma della legge di bilancio attuata con la legge n. 163/2016 - consentono che in sede di disegno di legge di bilancio, con la seconda sezione, si possa procedere direttamente a riprogrammare, nonché rifinanziare e definanziare, gli stanziamenti di spesa di parte corrente e in conto capitale previsti a legislazione vigente, relativi ai fattori legislativi, per un periodo temporale anche pluriennale.

Poiché la norma imputa le risorse da destinare alla misura agevolativa “alla quota delle risorse destinata a sostenere interventi nelle regioni di cui al comma 1”, sembrerebbe da ritenere che si tratti delle risorse destinate ai c.d. Patti per il Sud, sottoscritti con le singole regioni del Mezzogiorno, di cui alla delibera 10 agosto 2016, n. 26. Con tale delibera, si ricorda, il CIPE ha assegnato, a valere sulle risorse FSC 2014-2020, oltre 13,4 miliardi alle regioni e alle città metropolitane del Mezzogiorno per l'attuazione di interventi da realizzarsi mediante appositi Accordi interistituzionali denominati «Patti per il sud», di cui 11,6 miliardi relativi ai Patti con le regioni.

 

Si rileva, inoltre, che il comma 16, nello stabilire l’importo da destinare alla misura di cui all’articolo in esame, mantiene fermo quanto previsto dall'articolo 1, comma 141, della legge 11 dicembre 2016, n. 232.

La norma richiamata prevede l’utilizzo delle risorse disponibili del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione 2014-2020 (senza indicarne l’importo) per il completo finanziamento dei progetti selezionati nell’ambito del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia (già previsto e finanziato dall’art. 1, commi 974-978, della legge n. 208/2015), ad integrazione delle risorse già assegnate a tale Programma dalla suddetta norma istitutiva (500 milioni) e dal Fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese, di cui al comma 140 dell’articolo 1 della legge n. 232/2016 (800 milioni[6]).

In attuazione del comma 141, il CIPE con delibera 3 marzo 2017, n. 2 ha assegnato al suddetto Programma 798,17 milioni di risorse dal Fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020, destinate a garantire il completo finanziamento di tutti i progetti inseriti nella graduatoria del Programma straordinario approvata con il D.P.C.M. 6 dicembre 2016[7].

 

Al fine di meglio chiarire il contenuto del primo periodo di cui al comma 16, andrebbe chiarito se il richiamo ivi fatto al comma 141 della legge n. 232/2016 sia volto - come sembrerebbe presumibile - ad escludere che le assegnazioni disposte dal CIPE con la delibera n. 2/2017 in favore del Programma per le periferie possano essere incise dalla rimodulazione prevista ai fini della destinazione dei 1.250 milioni di euro al finanziamento della misura “Resto al Sud” prevista dall’articolo 1 in esame.

Tale chiarimento apparirebbe opportuno anche alla luce di quanto indicato nella Relazione tecnica, nella quale si prevede che l’assegnazione di risorse prevista dal comma 16 in commento “assicurerà, preliminarmente, la copertura dei fabbisogni annuali necessari a soddisfare i progetti inseriti nel Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie, individuati con il D.P.C.M. 6 dicembre 2016 e non risultati finanziati”, il cui onere è già stato definito con la delibera CIPE 3 marzo 2017, n. 2, a valere sul FSC 2014-2020 ai sensi del comma 141 della legge n. 232/2016.

 

Il comma 17 stabilisce che all’assegnazione delle risorse del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione 2014-2020 si provvede con apposita delibera del CIPE, nei limiti degli importi indicati dal comma 16, individuando altresì la ripartizione in annualità e gli importi da assegnare distintamente al contributo a fondo perduto, al contributo in conto interessi, e al finanziamento della sezione specializzata del Fondo centrale di garanzia.

Le risorse destinate alla concessione dei contributi a fondo perduto e in conto interessi sono accreditate su un conto corrente infruttifero intestato a Invitalia, aperto presso la Tesoreria Centrale dello Stato, dedicato all’attuazione delle disposizioni di cui ai commi precedenti, la cui gestione ha natura di gestione fuori bilancio, assoggettata al controllo della Corte dei conti ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 1041/1971[8].

La Commissione in sede referente ha aggiunto la disposizione del comma aggiuntivo 17-bis, secondo cui sul sito internet di Invitalia sono pubblicati gli elenchi dei beneficiari, suddivisi per provincia, con l'indicazione degli importi concessi, sia a fondo perduto sia come prestito, e degli istituti di credito concedenti. Gli elenchi sono aggiornati periodicamente, con cadenza minima annuale.

 


 

Articolo 2
(Misure e interventi finanziari a favore dell’imprenditoria giovanile in agricoltura e di promozione delle filiere del Mezzogiorno)

 

 

L’articolo 2 - come risultante dalle modifiche del Senato - mira a favorire il ricambio generazionale e lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile in agricoltura nelle regioni del Mezzogiorno. Ciò avviene estendendo la misura “Resto al Sud” alle imprese agricole, mediante una specifica destinazione di 50 milioni di euro del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) e creando così le condizioni per erogare un novero più ampio di servizi a favore dei consorziati, anche di natura creditizia.

 

Al comma 1, al fine di estendere la misura “Resto al Sud” alle imprese agricole, si dispone la modifica dell’art. 10, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, che già oggi prevede che- ai soggetti ammessi alle agevolazioni in favore dello sviluppo dell'imprenditorialità in agricoltura e del ricambio generazionale - possano essere concessi mutui agevolati per gli investimenti, a un tasso pari a zero, della durata massima di dieci anni comprensiva del periodo di preammortamento, e di importo non superiore al 75 per cento della spesa ammissibile. La novella aggiunge ora la possibilità di concedere, solo alle imprese localizzate nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, in alternativa ai mutui agevolati previsti dallo stesso articolo, un contributo a fondo perduto fino al 35 per cento della spesa ammissibile, nonché mutui agevolati a tasso zero di importo non superiore al sessanta per cento della spesa ammissibile.

 

Resta previsto che, per le iniziative nel settore della produzione agricola, il mutuo agevolato abbia una durata, comprensiva del periodo di preammortamento, non superiore a quindici anni. A tutte queste agevolazioni si applicano i massimali previsti dalla normativa europea e le agevolazioni medesime sono concesse nel rispetto di quanto previsto in materia di aiuti di Stato per il settore agricolo e per quello della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli.

 

Il comma 2 individua le risorse per l’intervento previsto mediante una specifica destinazione di 50 milioni di euro del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) e la sua ripartizione annuale in quote di 5 milioni di euro nel 2017 e di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2018 al 2020. Il comma precisa, inoltre, il capitolo di assegnazione delle risorse nel bilancio del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali.

Si ricorda che la legge di stabilità per il 2015 (art. 1, commi 703-706, legge n. 190/2014) ha introdotto disposizioni che hanno profondamente innovato i principali elementi di governance e di procedura per la programmazione delle risorse per il ciclo 2014-2020, prevedendone l'impiego per obiettivi strategici relativi ad aree tematiche nazionali, in linea con le attività di programmazione dei Fondi strutturali e di Investimento europei, da ripartire tra gli interventi con delibere CIPE sulla base di specifici Piani operativi (nelle more dell'individuazione dei piani operativi, il CIPE ha provveduto alle assegnazioni mediante l'approvazione di piani stralcio, su proposta dall'Autorità politica per la coesione, per la realizzazione di interventi di immediato avvio dei lavori). È nell'occasione stata inoltre modificata la procedura contabile di trasferimento delle risorse del FSC: le risorse - allocate nello stato di previsione del MEF (cap. 8000) - assegnate al piano stralcio e ai piani operativi approvati sono trasferite in apposita contabilità speciale presso il Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche nazionali, che si aggiunge alle altre contabilità speciali attraverso le quali il Fondo gestisce le risorse nazionali e dell'Unione europea dei fondi strutturali.

 

Il comma 3, infine, prescrive l’aggiunta del comma 2-bis all’articolo 2 della legge 28 ottobre 1999, n. 410, disponendo che le attività di competenza dei consorzi agrari[9] possono essere svolte anche mediante la partecipazione a società di capitali in cui i consorzi dispongano della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria. Il Senato ha introdotto la previsione secondo cui le attività esercitate dalle predette società, a favore dei soci dei consorzi agrari che ne detengono la partecipazione, sono svolte nel rispetto degli scopi e delle finalità mutualistiche dei consorzi: il  "rispetto della causa consortile e del sistema di controlli che il legislatore ha predisposto per i consorzi", del resto, era un'esigenza evocata dalla relazione illustrativa del governo al disegno di legge di conversione, anche in riferimento al testo del periodo contenuto nella versione originaria del decreto-legge.


 

Articolo 2-bis
(Interventi urgenti a favore della ricerca per contrastare la diffusione del coleottero Xylosandrus compactus)

 

 

L'articolo aggiuntivo 2-bis è stato inserito durante l’esame del provvedimento presso il Senato, allo scopo di fronteggiare i danni causati a talune colture dal coleottero Xylosandrus compactus, dal batterio della Xylella Fastidiosa e quelli derivanti dalla diffusione della Botrytis Cinerea. A tal fine, vengono stanziati 200 mila euro per il 2017.

Il comma 1 enuncia la finalità dell'intervento, che tende ad assegnare risorse finanziarie per la difesa dei carrubi nella regione Siciliana dal coleottero Xylosandrus compactus, nonché per la tutela del settore olivicolo-oleario dalla Xylella Fastidiosa e del settore vitivinicolo dalla Botrytis Cinerea. Presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali viene quindi istituito un fondo per la ricerca, con assegnazione di 200 mila euro per l’anno 2017, al fine di promuovere interventi volti al contrasto alla diffusione del coleottero, allo studio della bioetologia del medesimo e alla configurazione di strategie ecocompatibili di profilassi e terapia per il contenimento delle infestazioni.

Il comma 2 prevede che il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, stabilisca le modalità e i criteri per l'assegnazione delle risorse di cui sopra, ai cui oneri per l'anno 2017 - secondo il comma 3 - si provvede mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo per interventi strutturali di politica economica.


 

Articolo 3
(Banca delle terre abbandonate o incolte e misure)

 

 

L’articolo 3, al fine di promuovere la costituzione di nuove imprese, detta disposizioni per consentire ai comuni delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia di dare in concessione o in affitto ai soggetti in età compresa tra i 18 e i 40 anni terreni e aree in stato di abbandono.

A tal fine, viene definita in via sperimentale una procedura finalizzata all’assegnazione dei terreni in esame, così articolata.

Entro sei mesi (questo termine è stato raddoppiato dal Senato rispetto a quello originariamente previsto) dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, i comuni provvedono ad una ricognizione dei terreni e delle aree di cui sono titolari (comma 3) che rientrano nelle seguenti categorie:

§  terreni agricoli sui quali non è esercitata l’attività agricola da almeno 10 anni;

§  terreni oggetto di rimboschimento artificiale o in cui si sono sviluppate formazioni arbustive ed arboree, ad esclusione dei boschi, nei quali non siano stati attuati interventi di sfollo o diradamento negli ultimi quindici anni;

§  le aree edificate ad uso industriale, artigianale, commerciale, turistico-ricettivo (e il Senato vi ha aggiunto le relative unità immobiliari), che risultino in stato di abbandono da almeno quindici anni (e il Senato ha aggiunto il requisito alternativo secondo cui può trattarsi anche delle suddette tipologie di aree e relative unità immobiliari sulle quali non risultino più operative aziende o società da almeno 15 anni) (comma 2).

I comuni pubblicano, quindi, sul proprio sito istituzionale l’elenco dei beni oggetto di ricognizione (comma 4, come risultante dalla modifica introdotta dal Senato, secondo cui tale adempimento ha luogo entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la ricognizione) e danno gli stessi in concessione, previa presentazione di un bando, per un periodo non superiore a nove anni, a soggetti con un’età compresa tra i 18 e i 40 anni che presentino un progetto per la valorizzazione del bene. Priorità viene assegnata ai progetti di riuso di immobili dismessi che escludano ulteriore consumo di suolo non edificato e ai progetti con elevati standard di qualità architettonica e paesaggistica (comma 5, come risultante da una modifica introdotta dal Senato, che ha specificato che ci si riferisce ai terreni di cui alle prime due tipologie, per i quali sono ammessi a valutazione anche i progetti che prevedano i cambi di destinazione d'uso o consumo di suolo non edificato, purché siano conformi alle procedure di legge sugli strumenti urbanistici).

Entro 60 giorni dall’approvazione della graduatoria viene assegnato il bene, consentendo al beneficiario l’immissione nel possesso con l’obbligo di eseguire le attività indicate nel progetto presentato (comma 6). Il testo specifica che deve trattarsi di attività agricola, artigianale, commerciale e turistico-recettiva.

Nel caso di terreni e aree appartenenti a privati rientranti nelle categorie prima indicate, i richiedenti devono presentare una manifestazione di interesse, indicando i dati di identificazione del fondo e del proprietario, eventuali diritti di terzi o trascrizioni sui beni in oggetto (comma 7); il Senato ha aggiunto per i richiedenti l’onere di dichiarare la conformità alle norme in materia urbanistica per le aree edificate indicate nella terza fattispecie del comma 2.

Il Comune pubblica in una apposita sezione il progetto ricevuto ed informa il proprietario dell’interesse manifestato (comma 8), proponendogli una proposta irrevocabile di contratto di affitto (comma 9). In caso di assenso, il Comune dà il via libera all’esecuzione del progetto che non deve oltrepassare la durata del contratto di affitto. Il Senato ha aggiunto che la mancata presentazione del consenso dell'avente diritto, nei modi e nelle forme previste, determina la nullità del progetto e del contratto di affitto.

Il beneficiario ha il divieto assoluto (comma 10) di cedere a terzi in tutto o in parte il terreno o l’azienda costituita per l’esecuzione del progetto presentato. A tal fine, è consentita la costituzione di società agricole e di società artigiane nelle quali l’assegnatario ha la maggioranza del capitale e il potere di amministrare la società, nonché di società familiari (comma 11). Il contratto di affitto è trascritto nei registri immobiliari; la trascrizione interrompe l’usucapione (comma 12).

Il comma 13 prevede che, nel caso in cui l’assegnazione o il progetto riguardi l’esecuzione – sui beni di cui sopra - di attività terziarie di carattere non profit o artigianali (il Senato ha incluso anche le attività turistico-ricettive), il comune è tenuto ad adottare le connesse modificazioni in variante degli strumenti urbanistici vigenti entro un termine (180 giorni dall’assegnazione del bene) nelle more del quale possono essere iniziate le attività di trasformazione, effettuata la consegna del bene.

Il beneficiario deve corrispondere al comune un canone d’uso indicizzato, determinato sulla base di un’apposita perizia tecnica di stima, in caso di proprietà dei privati, il canone è versato al proprietario (comma 14). Qualora il proprietario, nei cinque anni successivi alla scadenza del periodo contrattuale, voglia trasferire il bene a titolo oneroso, è tenuto a notificare la proposta all’assegnatario, il quale vanta un diritto di prelazione sul bene. In caso di mancata notifica o di trasferimento del bene ad un prezzo inferiore a quello indicato nella notifica, l’assegnatario ha diritto a riscattare il bene dall’acquirente e dai successivi aventi causa. Ai rapporti tra privati si applicano le norme relative al contratto di affitto. Comunque, la difformità tra quanto realizzato e quanto progettato costituisce causa di risoluzione del contratto di affitto relativo ai beni privati, fermo restando il potere di revoca degli eventuali atti adottati (comma 15).

Il comma 16 obbliga i Comuni a trasmettere alle regioni l’elenco dei beni censiti ed assegnati (il Senato ha precisato che la trasmissione avviene entro novanta giorni dal termine di cui al comma 3, stabilito, come visto, in sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione) anche ai fini dell’inserimento nella Banca delle terre agricole.

Il comma 17, poi, prevede che coloro che intendono realizzare attività artigianali, commerciali e turistico-ricettive possono usufruire dell’incentivo denominato “Resto al Sud” di cui all’articolo 1 del decreto in esame, e coloro che intendono realizzare attività agricole possono utilizzare le misure di incentivo previste dall’articolo 2 del medesimo.

Si ricorda, in merito, che la legge 4 agosto 1978, n. 440 ha introdotto norme per l'utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate, demandando alle regioni la competenza ad emanare, secondo principi e i criteri stabiliti nella stessa legge, norme per il recupero produttivo delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate, anche al fine della salvaguardia degli equilibri idrogeologici e della protezione dell'ambiente.

La legge di cui sopra ha definito incolte o abbandonate le terre, suscettibili di coltivazione, che non siano state destinate ad utilizzazione agraria da almeno due annate agrarie e provvede altresì a definire le terre insufficientemente coltivate.

A tal fine, la legge ha demandato alle regioni:

§  il compito di determinare le singole zone del territorio di loro competenza che risultino caratterizzate da estesi fenomeni di abbandono di terre suscettibili di utilizzazione;

§  di provvedere, per ognuna delle zone così determinate, in coerenza con i programmi regionali e comprensoriali o zonali di sviluppo agricolo, ove esistenti, a definire i criteri per l'utilizzazione agraria o forestale, nonché i criteri per la formazione dei relativi piani aziendali o interaziendali;

§  di assegnare, per la coltivazione, le terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate, anche appartenenti ad enti pubblici e morali, compresi i terreni demaniali, ai richiedenti che si obbligano a coltivarli in forma singola o associata.

La medesima legge esclude dal suo ambito applicativo:

a)    le terre la cui messa a coltura agraria pregiudichi la stabilità del suolo o la regimazione delle acque o comprometta la conservazione dell'ambiente;

b)   le dipendenze e pertinenze di case effettivamente adibite ad abitazione rurale o civile, ivi compresi i giardini e i parchi boscati;

c)    i boschi, nonché i terreni destinati a rimboschimento da piani, programmi e progetti di intervento già approvati dagli enti ed organi pubblici competenti;

d)   le cave;

e)    i terreni necessari per attività industriali, commerciali, turistiche e ricreative, i terreni adibiti a specifiche e comprovate destinazioni economicamente rilevanti e le aree considerate fabbricabili o destinate a servizi di pubblica utilità da piani urbanistici vigenti o adottati.

 

La legge ha, poi, previsto che le leggi regionali possano disporre deroghe agli obblighi dalla stessa previsti, a favore dei piccoli proprietari con un reddito annuo minimo.

Talvolta operando un richiamo alla legge in questione, varie regioni, nel corso degli ultimi anni, hanno previsto l’istituzione delle cd. “Banche della terra”, cioè banche dati dei terreni abbandonati o incolti, al fine di destinarli alla coltivazione da parte di soggetti che fanno richiesta.

Per quanto attiene al più complessivo processo di privatizzazioni e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, si ricorda che il programma di razionalizzazione, valorizzazione e alienazione dei beni pubblici include - ai sensi dell'articolo 66 del D.L. n. 1/2012 – anche la dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola.

Un decreto del MIPAAF – D.M. 20 maggio 2014 – adottato di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze - consente la messa in vendita o in locazione di terreni agricoli pubblici (secondo notizie MIPAAF si tratta di circa 5.550 ettari), con diritto di prelazione per la giovane imprenditoria agricola, che secondo la disciplina europea sono i giovani under 40.

In particolare, il predetto D.M. individua i terreni coinvolti che appartengono nello specifico al Demanio (per 2480 ettari), al Corpo forestale dello Stato (2148), all’ex CRA (ora, a seguito della fusione con INEA, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria).

Ai terreni alienati o locati non potrà essere attribuita una destinazione urbanistica diversa da quella agricola prima di 20 anni dalla trascrizione dei contratti nei pubblici registri immobiliari.

Il decreto in commento si inserisce peraltro nel quadro delle misure di sostegno ai giovani in agricoltura, contenute nel D.L. n. 91/2014 come la detrazione del 19% per affitto di terreni da parte degli under 35 e la riforma delle agevolazioni a favore dei giovani agricoltori di cui al Capo III, titolo I, del D.Lgs. n. 185/2000

Infine, il c.d. collegato agricolo (legge 28 luglio 2016, n. 154) ha previsto, all’articolo 16, l’Istituzione della Banca delle terre agricole presso l'ISMEA, con l’obiettivo di costituire un inventario completo della domanda e dell'offerta dei terreni e delle aziende agricoli, che si rendono disponibili anche a seguito di abbandono delle attività produttive e di prepensionamenti, raccogliendo, organizzando e dando pubblicità alle informazioni  necessarie sulle caratteristiche naturali, strutturali  ed infrastrutturali dei medesimi, sulle modalità e condizioni di cessione e di acquisto degli stessi nonché sulle procedure di accesso alle agevolazioni. L'ISMEA può anche presentare uno o più programmi o progetti di ricomposizione fondiaria, con l'obiettivo di individuare comprensori territoriali nei quali promuovere aziende dimostrative o aziende pilota.

Il Senato ha, infine, introdotto due commi aggiuntivi dopo il comma 17.

Il primo comma aggiuntivo (17-bis) reca alcune modifiche ai commi 4 e 5 dell’articolo 15 del decreto-legge 9 febbraio 2017, n. 8 (legge n. 45 del 2017). Il predetto comma 4, oggetto di modifica, prevede che le imprese agricole ubicate nelle Regioni Abruzzo, Marche, Lazio e Umbria colpite dagli eventi sismici a far data dal 24 agosto 2016, nonché nelle Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, che hanno subito danni a causa delle avversità atmosferiche di eccezionale intensità avvenute nel periodo dal 5 al 25 gennaio 2017, nonché le imprese agricole che hanno subìto danni dalle gelate, dalle brinate e dalle nevicate eccezionali verificatesi nel mese di aprile 2017 e che non hanno sottoscritto polizze assicurative agevolate a copertura dei rischi, possono accedere agli interventi previsti per favorire la ripresa dell'attività economica e produttiva di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n. 102 del 2004.

Gli interventi di cui al suddetto art. 5 del decreto legislativo n. 102 del 2004 sono aiuti compensativi che intendono favorire la ripresa dell’attività produttiva delle imprese agricole che hanno subito danni superiori al 30 per cento della produzione lorda vendibile. In particolare, i predetti aiuti consistono in:

a) contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno accertato sulla base della produzione lorda vendibile media ordinaria, da calcolare secondo le modalità e le procedure previste dagli orientamenti e dai regolamenti comunitari in materia di aiuti di Stato. Nelle zone svantaggiate di cui all'articolo 17 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio il contributo può essere elevato fino al 90 per cento;

b) prestiti ad ammortamento quinquennale per le esigenze di esercizio dell'anno in cui si è verificato l'evento dannoso e per l'anno successivo, da erogare al seguente tasso agevolato:

1) 20 per cento del tasso di riferimento per le operazioni di credito agrario oltre i 18 mesi per le aziende ricadenti nelle suddette zone svantaggiate;

2) 35 per cento del tasso di riferimento per le operazioni di credito agrario oltre i 18 mesi per le aziende ricadenti in altre zone; nell'ammontare del prestito sono comprese le rate delle operazioni di credito in scadenza nei 12 mesi successivi all'evento inerenti all'impresa agricola;

c) proroga delle operazioni di credito agrario, di cui all'articolo 7 del medesimo decreto legislativo n. 102 del 2004;

d) agevolazioni previdenziali, di cui all'articolo 8 dello stesso decreto.

In caso di danni causati alle strutture aziendali ed alle scorte possono essere concessi a titolo di indennizzo contributi in conto capitale fino all'80 per cento dei costi effettivi elevabile al 90 per cento nelle citate zone svantaggiate. Sono esclusi dalle suddette agevolazioni - recita il comma 4 dell’art. 5 del medesimo decreto legislativo n. 102 del 2004 - i danni alle produzioni ed alle strutture ammissibili all'assicurazione agevolata.

Le modifiche introdotte al Senato al suddetto comma 4 dell’art. 15 del decreto-legge n. 8 del 2017 hanno aggiunto quali destinatari della predetta disposizione anche le imprese agricole che hanno subito danni a causa della eccezionale siccità prolungata delle stagioni primaverile ed estiva del 2017; si è inoltre precisato che, nel caso in cui le agevolazioni richieste eccedano le risorse stanziate dal comma 6 del medesimo art. 15 del decreto-legge n. 8 del 2017 (pari a 15 milioni di euro, destinati all’incremento del fondo di solidarietà nazionale per il 2017), si provvede mediante riparto proporzionale delle risorse disponibili; inoltre, novellando il comma 5 del suddetto art. 15, sono rimesse in termine le regioni interessate dalle modifiche sopra descritte, consentendo loro di esercitare il potere di proposta della declaratoria della eccezionalità dell’evento, ivi prevista, entro il 31 dicembre 2017, per le suddette imprese agricole che hanno subito danni dalla eccezionale siccità prolungata delle stagioni primaverile ed estiva del 2017.

Il secondo comma aggiuntivo introdotto dal Senato (17-ter), attiene agli atti di disposizione intervenuti in data anteriore al 6 settembre 1985, aventi ad oggetto terreni gravati da uso civico, adottati in assenza del rispetto delle disposizioni in materia di alienazione di cui alla legge 16 giugno 1927, n. 1766, riguardante il “riordinamento degli usi civici nel Regno”. Secondo la novella in esame, tali atti sono da considerarsi validi ed efficaci ove siano stati destinati al perseguimento dell'interesse generale di sviluppo economico della Sardegna, con inclusione nei piani territoriali di sviluppo industriale, approvati in attuazione del testo unico delle leggi sul Mezzogiorno, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1967, n. 1523, e del testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218.

L’art. 172 del predetto D.P.R. 218/1978 prevede che le disposizioni del citato testo unico 30 giugno 1967, n. 1523 “sono soppresse ad eccezione di quelle contenute nella Parte Seconda - concernente disposizioni per singole Regioni, articoli dal 159 al 315 - che restano in vigore con le modificazioni, sostituzioni e integrazioni apportate dalle leggi successivamente emanate a favore delle Regioni medesime”.

Gli stessi terreni – prosegue la novella introdotta dal Senato - sono sottratti dal regime dei terreni ad uso civico, con decorrenza dalla data di approvazione dei piani o loro atti di variante, adottati ai sensi delle citate disposizioni o in attuazione della legge 6 ottobre 1971, n. 853 (recante “Finanziamento della Cassa per il Mezzogiorno per il quinquennio 1971-1975 e modifiche e integrazioni al testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno”). Restano ferme le disposizioni vigenti che prevedono il pagamento di canoni o altre prestazioni pecuniarie.


 

Articolo 3-bis
(
Cluster tecnologici nazionali per l'accelerazione e la qualificazione della programmazione nel campo della ricerca e innovazione a favore delle aree del Mezzogiorno)

 

 

L'articolo 3-bis, inserito dal Senato, contiene disposizioni riguardanti il riconoscimento dei Cluster Tecnologici Nazionali, la redazione da parte loro, la valutazione e l'approvazione del Piano di azione triennale nonché l'assegnazione di risorse agli stessi.

 

Il comma 1 dispone che i Cluster Tecnologici Nazionali (CTN), quali strutture di supporto e di efficientamento per il coordinamento delle politiche di ricerca industriale a livello nazionale e locale, nonché di raccordo tra le misure promosse a livello centrale e regionale e, con riferimento alle Regioni del Mezzogiorno, anche quali strumenti facilitatori per l'attuazione e l'impiego degli interventi sul territorio, costituiti in seguito agli avvisi emanati dal MIUR, riconducibili ai poli di innovazione di cui al regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014, presentano, entro il termine di 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, istanza per il riconoscimento nella forma di associazione riconosciuta o fondazione, secondo le norme del codice civile, ove già non costituiti in altra persona giuridica senza scopo di lucro.

 

Ai sensi dell'articolo 2, n. 92), del citato Regolamento (UE) n. 651/2014, i «poli di innovazione» sono strutture o raggruppamenti organizzati di parti indipendenti (quali start-up innovative, piccole, medie e grandi imprese, organismi di ricerca e di diffusione della conoscenza, organizzazioni senza scopo di lucro e altri pertinenti operatori economici) volti a incentivare le attività innovative mediante la promozione, la condivisione di strutture e lo scambio di conoscenze e competenze e contribuendo efficacemente al trasferimento di conoscenze, alla creazione di reti, alla diffusione di informazioni e alla collaborazione tra imprese e altri organismi che costituiscono il polo.

 

In base al comma 2, ciascun CTN elabora un Piano di azione triennale, aggiornato annualmente, nel quale descrive le attività che programma di svolgere, anche in chiave strategica, per il raggiungimento delle finalità, gli obiettivi, i risultati attesi, le tempistiche, gli aspetti organizzativi, le risorse necessarie, nonché il contesto territoriale degli interventi. All'interno del Piano è inserita un'apposita sezione riferita al Mezzogiorno che, tenendo conto delle vocazioni produttive delle aree del Mezzogiorno, esplicita le azioni per la ricerca industriale, l'innovazione e il trasferimento tecnologico in favore delle suddette aree, oltre che le collaborazioni con i soggetti pubblici e privati, anche di altre Regioni, finalizzate al pieno coinvolgimento degli stessi per la concreta attuazione del Piano. Il Piano è redatto secondo indirizzi definiti con linee guida adottate con decreto del Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca, sentito, per la sezione riferita al Mezzogiorno, il Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto ed aggiornate periodicamente.

 

Occorrerebbe valutare l'opportunità di specificare la tempistica per l'aggiornamento delle predette linee guida.

 

Secondo il comma 3, entro 60 giorni dal riconoscimento come associazioni riconosciute o fondazioni, i CTN presentano al MIUR il Piano di azione, ai fini della valutazione, da effettuare anche avvalendosi di esperti, e della successiva approvazione. La sezione riferita al Mezzogiorno costituisce oggetto di specifica valutazione e approvazione. Entro il mese di febbraio di ciascun anno i CTN presentano al MIUR l'aggiornamento annuale del Piano di azione unitamente alla relazione annuale sull'attività svolta e alla rendicontazione amministrativo-contabile, ai fini della valutazione, da effettuare anche avvalendosi di esperti, e della successiva approvazione.

Allo scopo di assicurare una adeguata attività di valutazione dei piani di azione, della relazione annuale sull'attività svolta e della rendicontazione amministrati-contabile, nonché di rendere più efficace l'attività di valutazione dei programmi e dei progetti di ricerca, il comma 3 in esame innalza dall'1 al 5 per cento l'importo massimo dei fondi riguardanti il finanziamento di progetti o programmi di ricerca entro il quale è compresa la spesa relativa alla corresponsione di compensi nelle procedure di selezione e di valutazione di tali programmi e progetti successive alla data di entrata in vigore del D.L. 212/2002 (L. 268/2002), ossia dopo il 26 settembre 2002. A tal fine novella l'articolo 5, comma 2, secondo periodo, del citato D.L. 212/2002.

Il comma 4 prevede che, all'esito dell'approvazione della sezione del Piano riferita al Mezzogiorno, a favore di ciascun CTN può essere disposta una assegnazione annuale di risorse, nella misura massima di un dodicesimo per ciascun CTN, con il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca adottato per il riparto del FIRST (istituito, nello stato di previsione del MIUR, dall'art. 1, comma 870, della L. 296/2006). A tal fine è destinata una quota annuale non superiore al 5 per cento, inclusi gli oneri per le attività di valutazione, delle disponibilità complessive del Fondo. Non possono accedere all'assegnazione annuale di risorse i CTN che non abbiano ottenuto l'approvazione della sezione del Piano riferita al Mezzogiorno. Eventuali somme residue, facenti parte della quota annuale, potranno essere assegnate ad uno o più CTN, in relazione agli esiti della approvazione della relazione annuale sulla attività svolta, superando la quota di finanziamento individuale pari a un dodicesimo.

Il comma 5 assegna a ciascun CTN riconosciuto un contributo forfettario di € 242.500 per consentire l'avvio delle attività previste in capo agli stessi, nonché per la presentazione del Piano di azione.

Al relativo onere si provvede, nel limite di € 3 mln per il 2017, a valere sul FIRST.

In base al comma 6, con riferimento ai 4 Cluster di cui all'avviso n. 1610 del 3 agosto 2016, i termini di cui ai precedenti commi decorrono dalla data di registrazione del decreto di approvazione della graduatoria.

 

I 4 Cluster individuati sono:

§  Tecnologie per il patrimonio culturale,

§  Design, creatività e Made in Italy,

§  Economia del Mare,

§  Energia.

 

Il comma 7 contiene la clausola di invarianza finanziaria e prevede che le assegnazioni annuali di risorse previste dal comma 4 e la concessione del contributo forfettario di cui al comma 5 sono disposti nel rispetto del già citato regolamento (UE) n. 651/2014.

 


 

Articolo 3-ter
(Interventi in materia di integrazione salariale straordinaria per imprese operanti in aree di crisi industriale complessa)

 

 

L'articolo 3-ter - inserito dal Senato - prevede una modifica dei limiti di durata degli interventi di integrazione salariale straordinaria relativi alle imprese operanti in aree di crisi industriale complessa.

 

Le norme vigenti, oggetto della presente novella, consentono che, entro un limite di spesa pari a 216 milioni di euro per il 2016 e a 117 milioni per il 2017, sia concesso, previo accordo stipulato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la presenza del Ministero dello sviluppo economico e della regione interessata, un ulteriore intervento di integrazione salariale straordinaria, fino al limite di 12 mesi, alle imprese operanti in un'area di crisi industriale complessa riconosciuta, in deroga ai limiti di durata generali stabiliti per la suddetta tipologia di intervento[10].

La novella in oggetto prevede che il limite di 12 mesi si applichi distintamente per ciascun anno di riferimento.

Si ricorda che le condizioni per la deroga - oltre all'accordo ed al limite di spesa summenzionato - sono le seguenti:

§  l'area di crisi industriale complessa deve essere riconosciuta dal Ministero dello sviluppo economico, ai sensi dell'art. 27 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, e successive modificazioni (la crisi può riguardare anche una sola impresa, se di grande o media dimensione e con effetti sull'indotto);

§  l'impresa deve presentare (oltre alla dichiarazione di non poter ricorrere al trattamento di integrazione salariale straordinaria in base alla normativa vigente) un piano di recupero occupazionale, che preveda appositi percorsi di politiche attive del lavoro, concordati con la regione ed intesi alla rioccupazione dei lavoratori.

Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, le risorse annue in oggetto sono proporzionalmente ripartite tra le regioni in base alle richieste e l'INPS provvede al monitoraggio del rispetto del limite di spesa (trasmettendo altresì relazioni semestrali al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze).

Articolo 4
(Istituzioni di zone economiche speciali)

 

 

L’articolo 4, modificato nel corso dell’esame al Senato, disciplina le procedure e le condizioni per l’istituzione in alcune aree del Paese, comprendenti almeno un’area portuale, di zone economiche speciali caratterizzate dall’attribuzione di benefici, indicati all’articolo 5, alle imprese ivi insediate o che vi si insedieranno.

 

Lo scopo delle Zone economiche speciali (ZES) è infatti quello di creare condizioni favorevoli in termini economici, finanziari e amministrativi, che consentano lo sviluppo delle imprese già operanti e l'insediamento di nuove imprese. Tali imprese sono tenute al rispetto della normativa nazionale ed europea, nonché alle prescrizioni adottate per il funzionamento della stessa ZES e beneficiano di speciali condizioni, in relazione alla natura incrementale degli investimenti e delle attività di sviluppo di impresa.

 

Andrebbe maggiormente chiarita l’effettiva portata normativa del riferimento all’obbligo per le imprese operanti nelle ZES di rispettare le norme nazionali ed europee posto che non sembrano essere previste deroghe generali rispetto a tali disposizioni.

 

La zona economica speciale è definita come un’area geograficamente delimitata e chiaramente identificata, situata entro i confini dello Stato, costituita anche da aree non territorialmente adiacenti purché presentino un nesso economico funzionale, e comprendente almeno un'area portuale con le caratteristiche stabilite dal regolamento (UE) n. 1315 dell'11 dicembre 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo (come precisato nel corso dell’esame al Senato) della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T).

 

Il Regolamento (UE) 1315 del 2013 prevede che le aree portuali per rientrare nella rete globale europea devono soddisfare almeno uno dei seguenti criteri:

a)    il volume totale annuo del traffico passeggeri supera lo 0,1% del volume totale annuo del traffico passeggeri di tutti i porti marittimi dell'Unione;

b)    il volume totale annuo delle merci, per le operazioni di carico di merci sia sfuse che non sfuse, supera lo 0,1% del corrispondente volume totale annuo del carico di merci movimentate in tutti i porti marittimi dell'Unione;

c)     il porto marittimo è situato su un'isola e costituisce il solo punto di accesso ad una regione NUTS 3 (ossia il terzo livello dimensionale nella nomenclatura europea delle unità territoriali statistiche, con abitanti compresi tra un limite minimo di 150 mila abitanti e un limite massimo di ottocentomila abitanti, in Italia corrispondente alla dimensione provinciale) nella rete globale;

d)    il porto marittimo è situato in una regione ultraperiferica o periferica, fuori da un raggio di 200 km dal porto più vicino nella rete globale.

 

Inoltre gli Stati membri sono tenuti a garantire che i porti marittimi siano connessi con linee ferroviarie o strade e, ove possibile, le vie navigabili interne della rete globale, salvo il caso nel quale limitazioni fisiche impediscano tali connessioni; se sono porti destinati al traffico merci devono offrire almeno un terminale che sia aperto agli utenti in modo non discriminatorio e applicare tariffe trasparenti. E’ altresì stabilito che i canali marittimi, i tratti navigabili dei porti e gli estuari colleghino due mari o permettano di accedere a porti marittimi dal mare e corrispondano almeno alle vie navigabili interne di classe VI.

I porti devono disporre delle attrezzature necessarie a contribuire alle prestazioni ambientali delle navi nei porti ed assicurare l’operatività degli strumenti di controllo del traffico marittimo operativi a livello europeo (sistema SafeSeaNet e VTIMS - Vessel Traffic Management and Information System).

 

Le modalità per l'istituzione di una ZES, la sua durata, i criteri generali per l'identificazione e la delimitazione dell'area (inciso introdotto nel corso dell’esame al Senato), i criteri che ne disciplinano l'accesso e le condizioni speciali di beneficio per i soggetti economici ivi operanti o che vi si insedieranno definite all'articolo 5, nonché il coordinamento degli obiettivi di sviluppo (anche tale inciso è stato introdotto nel corso dell’esame al Senato) sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dello sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge (comma 3).

 

Nel corso dell’esame al Senato è stata poi prevista l'introduzione di un nuovo comma 4-bis, il quale stabilisce che ognuna delle regioni meno sviluppate e in transizione (vedi infra) può presentare una proposta di istituzione di ZES nel proprio territorio, o al massimo due proposte ove siano presenti più aree portuali che abbiano le caratteristiche stabilite dal regolamento europeo. Le regioni che non posseggono aree portuali aventi tali caratteristiche, possono presentare istanza di istituzione di ZES solo in forma associativa, qualora contigue, o in associazione con un'area portuale avente le caratteristiche stabilite dal regolamento.

 

Quanto alla richiesta di istituzione delle singole Zone economiche speciali si prevede che siano le regioni meno sviluppate e in transizione, così come individuate dalla normativa europea, ammissibili alle deroghe previste dall'articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, a presentare domanda per l’istituzione. La proposta deve essere accompagnata da un piano di sviluppo strategico, nel rispetto delle modalità e dei criteri individuati dal decreto di cui al comma 3. La regione o le regioni nel caso di ZES interregionali (si tratta di una modifica introdotta dal Senato conseguente alla inserimento del nuovo comma 4-bis) formulano la proposta specificando le caratteristiche dell'area identificata.

 

In Italia sono regioni meno sviluppate (con PIL pro capite inferiore al 75% della media europea) le regioni Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania. Sono regioni in transizione (con PIL pro capite tra il 75% e il 90% della media europea) le regioni Sardegna, Abruzzo e Molise.

 

La Zona economica speciale è istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, se nominato, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

Quanto alla gestione dell'area ZES si prevede che essa sia affidata ad un Comitato di indirizzo composto dal Presidente dell'Autorità di sistema portuale (definizione rettificata nel corso dell’esame al Senato), che lo presiede, da un rappresentante della regione o delle regioni, nel caso di ZES interregionale (inciso inserito nel corso dell’esame al Senato conseguentemente alla introduzione del nuovo comma 4-bis), da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri e da un rappresentante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

 

Ai sensi della riforma della legge n. 84 del 1994, effettuata con il D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169 le autorità portuali sono state sostituite dalle Autorità di sistema portuale. Gli organi delle soppresse Autorità portuali restano in carica sino all'insediamento dei nuovi organi delle Autorità di sistema portuale. Il decreto legislativo prevede una disciplina transitoria che consente, su richiesta motivata del Presidente della Regione il mantenimento, per un periodo non superiore a trentasei mesi, dell'autonomia finanziaria e amministrativa di Autorità Portuali già costituite ai sensi della citata legge n. 84 del 1994. Con il medesimo decreto è disciplinata la nomina e la composizione degli organi di governo per la fase transitoria.

 

Sotto il profilo dell’amministrazione della Zona si prevede che ai membri del Comitato non spetti alcun compenso, indennità di carica, corresponsione di gettoni di presenza o rimborsi per spese di missione e che il Comitato di indirizzo si avvalga del Segretario generale dell'Autorità di sistema portuale (rettifica introdotta dal Senato) per l'esercizio delle funzioni amministrative e gestionali. Lo stesso segretario generale può anche stipulare, previa autorizzazione del Comitato di indirizzo, accordi o convenzioni quadro con banche ed intermediari finanziari. Si prevede infine che agli oneri di funzionamento del Comitato si provveda con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Il Comitato ha il compito di assicurare gli strumenti che garantiscano la piena operatività delle aziende presenti nella ZES; l'utilizzo di servizi sia economici che tecnologici nell'ambito ZES e l'accesso alle prestazioni di servizi da parte di terzi.

 

Secondo una modifica introdotta nel corso dell’esame al Senato è attribuita al Comitato anche il compito di promozione sistematica dell’area verso i potenziali investitori internazionali.


 

Articolo 5
(ZES: benefici fiscali e semplificazioni)

 

 

L’articolo 5 disciplina i benefici fiscali e le altre agevolazioni che sono riconosciute alle imprese già esistenti e alle nuove che si insediano e che avviano un programma di attività economiche imprenditoriali o di investimenti nella Zona Economica Speciale - ZES.

In particolare, le imprese che effettuano investimenti all’interno delle ZES possono utilizzare il credito d’imposta per l'acquisto di beni strumentali nuovi nel Mezzogiorno nel limite massimo, per ciascun progetto di investimento, di 50 milioni di euro. Inoltre l’agevolazione per tali zone è estesa fino al 31 dicembre 2020.

Le agevolazioni sono revocate se le imprese non mantengono la loro attività nella ZES per almeno sette anni (termine elevato dalla Commissione in sede referente rispetto ai cinque anni originari) dopo il completamento dell’investimento.

 

Il comma 1 prevede che le imprese che avviano un programma di attività economiche imprenditoriali o di investimenti di natura incrementale nella ZES, possono usufruire di procedure semplificate e regimi procedimentali speciali, che riducono i termini procedimentali e semplificano gli adempimenti rispetto alla normativa vigente.

Le procedure semplificate possono essere individuate anche a mezzo di protocolli e convenzioni tra le amministrazioni locali e statali interessate, mentre i regimi procedimentali speciali sono individuati sulla base di criteri derogatori e di modalità definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno (se nominato), previa delibera del Consiglio dei ministri.

Si prevede inoltre che le imprese possano avere accesso alle infrastrutture esistenti e previste nel Piano di sviluppo strategico della ZES, alle condizioni definite dal soggetto per l'amministrazione (ossia dal Comitato di indirizzo, di cui all’articolo 4), ai sensi delle norme in materia portuale contenute nella legge 28 gennaio 1994, n. 84 e successive modificazioni, nel rispetto della normativa europea e delle norme vigenti in materia di sicurezza, nonché delle disposizioni vigenti in materia di semplificazione previste dagli articoli 18 e 20 del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169.

 

La legge n. 84 del 1994 concerne il riordino della legislazione portuale ed è stata oggetto di una recente riforma a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 169 del 2016. Tale ultima norma è intervenuta, novellando diverse disposizioni, rinnovando complessivamente la governance del sistema portuale attraverso l’istituzione delle Autorità di sistema portuale (che hanno sostituito le vecchie autorità portuali) nonché ridefinendo composizione, struttura e funzioni degli organi operanti nell’ambito portuale. Accanto a tali norme, la legge contiene importanti disposizioni che regolano la programmazione delle opere portuali (art. 5), la disciplina dei dragaggi (art. 5-bis), lo sportello unico amministrativo (introdotto dall’articolo 18 del decreto legislativo sopra ricordato), le operazioni portuali (art. 16), la concessione di aree e banchine (art. 18), e diverse disposizioni concernenti i lavoratori portuali. L’articolo 20 del decreto legislativo n. 169 del 2016 ha attribuito allo Sportello unico doganale la competenza nonché i controlli relativi a tutti gli adempimenti connessi all'entrata e uscita delle merci nel o dal territorio nazionale, ridenominando lo stesso “Sportello unico doganale e dei controlli”. La norma ha anche previsto tempi certi per il completamento delle procedure di controllo doganale sia documentale che fisico.

 

Il comma 2 amplia, in relazione agli investimenti effettuati nella ZES, la portata del credito d’imposta per l'acquisto di beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive nelle zone assistite ubicate nelle regioni del Mezzogiorno, previsto dalla legge di stabilità 2016.

In primo luogo, per gli investimenti nella ZES è prorogata di un anno, fino al 31 dicembre 2020, la possibilità di usufruire di tale agevolazione.

In secondo luogo, è elevato a 50 milioni di euro l’ammontare massimo di ciascun progetto di investimento al quale è commisurato il credito d’imposta.

 

Si ricorda che la legge di stabilità 2016 (articolo 1, commi da 98 a 108 della legge n. 208 del 2015) ha introdotto un credito d'imposta per l'acquisto di beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive nelle zone assistite ubicate nelle regioni del Mezzogiorno (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna e Abruzzo) dal 1° gennaio 2016 fino al 31 dicembre 2019.

Il decreto-legge n. 243 del 2016 (articolo 7-quater) ha modificato la disciplina del credito d’imposta, prevedendo: l’estensione dell’agevolazione all’intero territorio della regione Sardegna; l’innalzamento delle aliquote del credito d’imposta che sono stabilite nella misura massima consentita dalla Carta degli aiuti a finalità regionale 2014-2020 (approvata dalla Commissione europea); l’aumento dell’ammontare massimo agevolabile per ciascun progetto di investimento; la cumulabilità del credito d’imposta con altri aiuti di Stato e con gli aiuti de minimis, nei limiti dell’intensità o dell’importo di aiuti più elevati consentiti dalla normativa europea.

A seguito delle modifiche, in particolare, la misura del credito d'imposta è pari al 45 per cento per le piccole imprese, al 35 per cento per le medie imprese e al 25 per cento per le grandi imprese nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna; mentre in determinate zone delle regioni Abruzzo e Molise la misura è pari al 30 per cento per le piccole imprese, al 20 per cento per le medie imprese e al 10 per cento per le grandi imprese.

L’ammontare massimo di ciascun progetto di investimento, al quale è commisurato il credito d’imposta, è stato elevato da 1,5 a 3 milioni di euro per le piccole imprese e da 5 a 10 milioni per le medie imprese, mentre è rimasto a 15 milioni per le grandi imprese.

Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle Entrate del 14 aprile 2017 è stato approvato il modello, con le relative istruzioni, della comunicazione per la fruizione del credito d'imposta. La comunicazione deve essere presentata all'Agenzia esclusivamente in via telematica, fino al 31 dicembre 2019. Con la circolare n. 34/E del 3 agosto 2016 l'Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti in merito a soggetti beneficiari, ambito territoriale, investimenti agevolabili, determinazione dell'agevolazione, valorizzazione degli investimenti ed efficacia temporale dell'agevolazione, procedura, utilizzo e rilevanza del credito di imposta, cumulo, rideterminazione del credito e controlli.

Il decreto-legge n. 50 del 2017 (articolo 12) ha disposto la rimodulazione dell'autorizzazione di spesa per gli anni 2017-2019 relativa al credito d'imposta. In particolare le risorse stanziate per il 2017 sono state ridotte di 110 milioni (da 617 milioni di euro, previsti dall'articolo 1, comma 108, della legge n. 208 del 2015, a 507 milioni), mentre per gli anni 2018 e 2019 dette risorse sono state aumentate di 55 milioni annui (da 617 a 672 milioni).

 

Il comma 3 individua le condizioni per il riconoscimento delle agevolazioni di cui ai commi 1 e 2.

In particolare le imprese devono mantenere le attività nella ZES per almeno sette anni (termine così elevato al Senato, rispetto ai cinque anni originari) successivi al completamento dell’investimento oggetto delle agevolazioni, pena la revoca dei benefici concessi e goduti; inoltre le imprese stesse non devono essere in stato di liquidazione o di scioglimento.

 

Il comma 4 prevede che l’agevolazione concernente il credito d’imposta per l'acquisto di beni strumentali nuovi è concessa nel rispetto di tutte le condizioni previste dalla disciplina UE sugli aiuti di stato compatibili con il mercato interno, contenuta nel Regolamento (UE) della Commissione n. 651/2014 del 17 giugno 2014 e, in particolare, di quanto disposto dall’articolo 14 del medesimo regolamento con riferimento agli aiuti agli investimenti a finalità regionale. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro delegato per la coesione territoriale e il Mezzogiorno devono trasmettere alla Commissione le informazioni sintetiche sulla misura di aiuto introdotta entro venti giorni lavorativi dalla sua entrata in vigore, oltre ad una relazione annuale (ai sensi dell’articolo 11 del Regolamento).

Il Regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014, dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. In particolare l’articolo 14 individua le condizioni che rendono le misure di aiuto agli investimenti a finalità regionale compatibili con il mercato interno.

 

Il comma 5 provvede alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dai commi 2, 3 e 4, valutati in 25 milioni di euro nel 2018, 31,25 milioni di euro nel 2019 e 150,2 milioni di euro nel 2020, mediante corrispondente riduzione del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione – programmazione 2014/2020, per gli importi annuali massimi di: 25 milioni di euro nel 2018; 31,25 milioni di euro nel 2019; 150,2 milioni di euro nel 2020.

Tali importi sono imputati alla quota delle risorse destinata a sostenere interventi nelle regioni meno sviluppate e in transizione così come individuate dalla normativa europea. In Italia, si ricorda, sono regioni meno sviluppate (con PIL pro capite inferiore al 75% della media europea) le regioni Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania. Sono regioni in transizione (con PIL pro capite tra il 75% e il 90% della media europea) le regioni Sardegna, Abruzzo e Molise.

 

Il comma 6, infine, affida all’Agenzia per la coesione territoriale il monitoraggio degli interventi e degli incentivi concessi, da assicurare con cadenza almeno semestrale. L’Agenzia riferisce al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro delegato per la coesione territoriale e il Mezzogiorno sull’andamento delle attività e sull’efficacia delle misure di incentivazione concesse, avvalendosi di un apposito piano, che deve essere concordato con il Comitato di indirizzo sulla base di indicatori di avanzamento fisico, finanziario e procedurale definiti con il decreto istitutivo delle ZES.

 


 

Articolo 6
(Disposizioni di semplificazione per la valorizzazione
dei Patti per lo sviluppo)

 

 

L’articolo 6 è finalizzato a semplificare ed accelerare le procedure adottate per la realizzazione degli interventi previsti nell’ambito dei Patti per lo sviluppo: ne discende un più agevole rimborso delle spese effettivamente sostenute, a valere sulle risorse FSC 2014-2020 assegnate dalle Amministrazioni titolari degli interventi, nonché l'applicazione della conferenza di servizi simultanea.

 

Il comma 1 si propone di semplificare la procedura per il rimborso delle spese effettivamente sostenute, a valere sulle risorse FSC 2014-2020 assegnate ai Patti per lo sviluppo, dalle Amministrazioni titolari degli interventi.

 

La realizzazione delle iniziative di investimento - che il Governo, di concerto con le Amministrazioni regionali e locali, sta definendo per garantire la certezza della realizzazione di interventi nel Mezzogiorno e nel resto del Paese - passa per i Patti per lo sviluppo: con questi strumenti il Governo, le Regioni e le Città metropolitane si impegnano su alcuni obiettivi prioritari fissando tempi certi di realizzazione. La firma dei Patti per lo sviluppo, nella definizione degli strumenti di governance e quindi l’istituzione dei relativi Comitati di indirizzo, aggiunge all’attuale impianto normativo una gestione paritetica, da esercitarsi congiuntamente con le Regioni e gli enti locali firmatari per l’attuazione dei progetti ed il relativo monitoraggio e controllo. In questo ambito, è stata affidata all’Agenzia per la coesione territoriale la presidenza dei Comitati dei Patti per lo sviluppo, organi di indirizzo e controllo di cui si avvalgono l’Autorità Politica per la Coesione e le Regioni e le Città metropolitane interessate per la gestione dei Patti.

 

Il rimborso delle spese è disposto - su richiesta presentata dall’Amministrazione titolare degli interventi - alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche di coesione, che la inoltra al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. La procedura prevede il pagamento del 50 per cento del costo realizzato all’atto del ricevimento della richiesta stessa, corredata dell’autocertificazione del rappresentante legale dell’Amministrazione richiedente, attestante il costo effettivo dell’intervento e la regolarità delle spese.

Il pagamento del restante 50 per cento del costo realizzato avviene entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta, previa attestazione da parte dell’Agenzia per la coesione territoriale della coerenza dell’importo con i dati relativi all’avanzamento della spesa inseriti e validati nella Banca Dati Unitaria (BDU) degli interventi della politica regionale.

 

Il comma 2 persegue l’obiettivo di assicurare, nell’attuazione dei Patti per lo sviluppo, lo snellimento dei procedimenti di decisione sugli interventi contenuti nei Patti stessi, prevedendo, da una parte, il ricorso alla Conferenza di servizi simultanea, a cui partecipa, in base a quanto previsto dalla legge sul procedimento amministrativo, un unico rappresentante per ciascun livello di governo e, dall’altra, l’individuazione, per ciascun intervento finanziato, dell’Amministrazione che deve gestire la Conferenza di servizi e assumere la decisione finale in ordine alla realizzazione dell’intervento stesso.

 

In base alla disciplina generale contenuta nella legge sul procedimento amministrativo, l’indizione della conferenza di servizi è obbligatoria quando l'amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga, entro trenta giorni dalla ricezione, da parte dell'amministrazione competente, della relativa richiesta (art. 14, comma 2, L. 241/1990). Fuori dell'assenso incondizionato o del dissenso insuperabile raccolti in conferenza semplificata, che fungono da presupposto per la conclusione dei lavori in conferenza nonché del procedimento, l'amministrazione procedente deve procedere alla convocazione di una conferenza simultanea (oggetto della disciplina del novello articolo 14-ter della citata legge n. 241, su cui ha inciso uno dei principi e criteri direttivi della legge delega n. 124 del 2015): secondo il principio di "proporzionalità", si danno riunioni in presenza solo per i procedimenti complessi (la 'presenza' peraltro può svolgersi anche in via telematica, già a partire da una legge del 2005, che ha previsto la convocazione e svolgimento avvalendosi degli strumenti informatici disponibili, previo accordo tra le amministrazioni coinvolte; una legge del 2009 ha ulteriormente novellato la legge n. 241, prevedendo che lo svolgimento possa avvenire per via telematica, cioé cd. teleconferenza). I lavori della conferenza "simultanea" debbono concludersi entro quarantacinque giorni dalla data di riunione; la partecipazione di ciascuna amministrazione alla conferenza avviene mediante un unico rappresentante e, qualora la partecipazione coinvolga amministrazioni sia statali sia non statali, le prime sono rappresentate da un unico soggetto, abilitato ad esprimere l'univoca definitiva posizione del complesso delle amministrazioni statali, che ne rimangono vincolate. Le amministrazioni preposte alla tutela degli interessi 'sensibili' (beni culturali, ambiente, sanità, pubblica incolumità) rendono a tale rappresentante unico l'eventuale proprio dissenso.

 

 

 

 

I Patti per il Sud

Le risorse finanziarie destinate ai Patti per il Sud a valere sul Fondo Sviluppo e Coesione della programmazione 2014-2020 sono state assegnate dal CIPE con la delibera n. 26 del 10 agosto 2016, per un totale di 13,412 miliardi di euro.

Il singolo patto considera il complesso delle risorse disponibili, provenienti dai PON e POR dei Fondi strutturali (FESR e FSE) 2007-2013, dal Fondo Sviluppo e Coesione per la programmazione 2007-2013, nonché dai PON e POR dei Fondi strutturali (FESR e FSE) 2014-2020, dai fondi di cofinanziamento regionale e dal Fondo Sviluppo e Coesione 2014-2020, oltre a eventuali finanziamenti specifici. In ogni patto devono essere indicati: le linee strategiche; gli strumenti e le risorse a disposizione; gli interventi prioritari da realizzare; il costo e le risorse ad esso destinate; la governance del processo.

I 15 Patti per il Sud - uno per ognuna delle 8 Regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna) e uno per ognuna delle 7 Città Metropolitane (Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Catania, Cagliari e Messina) – sono stati sottoscritti nel periodo aprile-novembre 2016:

Patto

Sottoscrizione

Risorse FSC 2014-2020

Regioni

 

 

24 aprile 2016

2.780.000.000

30 aprile 2016

1.198.700.000

2 maggio 2016

565.200.000

17 maggio 2016

753.100.000

26 luglio 2016

378.000.000

29 luglio 2016

1.509.600.000

10 settembre 2016

2.071.500.000

10 settembre 2016

2.320.000.000

Città metropolitane

 

 

30 aprile 2016

133.000.000

30 aprile 2016

332.000.000

30 aprile 2016

332.000.000

17 maggio 2016

230.000.000

26 ottobre 2016

308.000.000

22 ottobre 2016

332.000.000

17 novembre 2016

168.000.000

Per le Regioni Abruzzo, Molise e Puglia l'assegnazione finanziaria sopra indicata comprende rispettivamente, per 0,674 milioni di euro (Regione Abruzzo), 9,55 milioni di euro (Regione Molise) e 57,728 milioni di euro (Regione Puglia) la copertura del fabbisogno finanziario degli interventi ancora da completare alla data del 31 dicembre 2015, relativi alla programmazione 2007-2013, interventi che sono conseguentemente inseriti nell'ambito del patto per il sud relativo a ciascuna regione.

 

Ai fini della ricognizione e dell'aggiornamento sull'andamento dei patti per il sud stipulati dal governo con le regioni del mezzogiorno e con le città metropolitane, si veda il Primo Rapporto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, aggiornato al 13 dicembre 2016.

 

Per un quadro complessivo dell’applicazione dell’istituto si veda, inoltre, il seguente link:

http://www.agenziacoesione.gov.it/it/Notizie_e_documenti/news/2017/maggio/PattiSud_confstampaDeVincenti


 

Articolo 6-bis
(Disposizioni per agevolare le intese regionali
a favore degli investimenti)

 

 

L’articolo 6-bis è volto ad incentivare le intese regionali, già previste nell'ordinamento, con cui sono messi a disposizione degli enti locali spazi finanziari per investimenti, autorizzando lo svincolo di destinazione delle somme spettanti alle regioni dallo Stato, nel limite del doppio degli spazi finanziari resi disponibili dalle regioni stesse.

 

Il primo periodo dell'articolo aggiuntivo stabilisce per le regioni che rendono disponibili spazi finanziari per gli enti locali del proprio territorio nell'ambito delle intese territoriali (di cui all'articolo 10 della legge n. 243 del 2012) è autorizzato lo svincolo di destinazione delle somme alle stesse spettanti dallo Stato nel limite del doppio degli spazi finanziari resi disponibili. Ciò, purché non esistano obbligazioni sottostanti già contratte ovvero non si tratti di somme relative ai livelli essenziali delle prestazioni, per le quali la regione è tenuta a farvi fronte. Tale facoltà è prevista per gli anni 2017-2019.

La finalità della disposizione, esplicitata nell'articolo aggiuntivo, è quella di favorire gli investimenti da parte degli enti locali, introducendo un incentivo che, in quanto parametrato all’ammontare degli spazi finanziari che possono essere resi disponibili dalle regioni sulla base dell’articolo 10 suddetto, potrebbe consentire un incremento della cessione degli spazi medesimi, che allo stato sembra risultare ancora limitata[11]

 

L'articolo 10 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, disciplina il ricorso all'indebitamento da parte delle regioni e degli enti locali. Esso è consentito esclusivamente per finanziare spese di investimento con le modalità e nei limiti stabiliti dal medesimo articolo e dalla legge dello Stato.

Le intese a cui si riferisce l'articolo aggiuntivo sono quelle disciplinate all'art.10, comma 3, della legge n.243 del 2012. Queste sono concluse in ambito regionale in modo da garantire il rispetto del saldo di bilancio (inteso come saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali) del complesso degli enti territoriali della regione interessata in ciascun anno di riferimento. Nell'ambito di tali intese è consentito agli enti territoriali che le sottoscrivono di poter finanziare operazioni di investimento attraverso indebitamento o utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti.

Il D.P.C.M. 21 febbraio 2017, n. 21, ha dato attuazione al citato articolo 10 e stabilito, al comma 2, la procedura per la definizione delle richiamate intese regionali. Il relativo iter si avvia con alcuni adempimenti da parte delle Regioni e delle Province autonome, fra cui la definizione delle modalità di presentazione delle domande di cessione e acquisizione degli spazi finanziari da parte degli enti territoriali. Successivamente, entro il 31 marzo (termine da intendersi come perentorio), le medesime Regioni e le Province autonome comunicano agli enti locali interessati i saldi obiettivo rideterminati e alla Ragioneria generale dello Stato (attraverso il sistema web dedicato al pareggio di bilancio) gli elementi informativi occorrenti per la verifica del mantenimento del rispetto del saldo di bilancio. Tali elementi informativi devono far riferimento a ciascun ente locale e alla stessa regione o provincia autonoma nel suo complesso.

 

La disposizione in commento trova applicazione anche per il 2017, sebbene i termini per la stipula delle richiamate intese sia già scaduto. Infatti l’articolo 15-ter dispone l'attivazione, per il solo 2017, di una seconda procedura, dopo quella già conclusa, per giungere alle richiamate intese (cfr. scheda relativa all'art 15-ter).

 

Il secondo periodo dell'articolo aggiuntivo stabilisce che le risorse svincolate sono destinate dalle regioni “prevalentemente” alla riduzione del debito e agli investimenti nel rispetto del saldo di bilancio (inteso come saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali).

 

I commi da 463 a 482 dell'art. 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017) hanno introdotto le nuove regole del pareggio di bilancio per gli enti territoriali ai fini del loro concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. L’intervento consegue alle modifiche operate sulla disciplina dell’equilibrio di bilancio di regioni ed enti locali contenuta nella legge n. 243 del 2012 di attuazione del principio del pareggio di bilancio. In sostanza, mediante i richiamati commi sono state messe a regime, con alcune significative modifiche, le regole sul pareggio già introdotte, alcune per il solo 2016, con la legge di stabilità 2016. Sono stati inoltre disciplinati gli obblighi in capo ai predetti enti al fine del monitoraggio degli adempimenti e un articolato sistema sanzionatorio/premiale da applicare, rispettivamente, in caso di mancato conseguimento del saldo non negativo tra entrate finali e spese finali e in caso di rispetto del saldo a determinate condizioni.

In particolare, il comma 466 (dell'art. 1 della legge di bilancio 2017) stabilisce che a decorrere dall'anno 2017 gli enti territoriali devono conseguire il saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali Le entrate finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e le spese finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio. Per gli anni 2017-2019, nelle entrate e nelle spese finali in termini di competenza è considerato il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota riveniente dal ricorso all'indebitamento. A decorrere dall'esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali è incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali. Non rileva la quota del fondo pluriennale vincolato di entrata che finanzia gli impegni cancellati definitivamente dopo l'approvazione del rendiconto dell'anno precedente.

 


 

Articolo 6-ter
(Misure per il completamento delle infrastrutture)

 

 

L'articolo 6-ter novella il punto 5.4 dell'allegato 4.2 al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, riguardante le modalità di utilizzo dei ribassi d'asta per il finanziamento delle infrastrutture.

 

L'articolo aggiuntivo interviene sul punto 5.4 dell'allegato 4.2:

§  confermando la disposizione vigente che consente, successivamente all'aggiudicazione definitiva della gara, di finanziare le spese contenute nel quadro economico dell'opera prenotate, ma non ancora impegnate, attraverso il fondo pluriennale vincolato;

§  stabilendo che gli eventuali ribassi di asta rappresentano economie di bilancio, e confluiscono nella quota vincolata del risultato di amministrazione, se entro il secondo esercizio successivo all'aggiudicazione non sia intervenuta la rideterminazione del quadro economico progettuale con cui si opera un incremento delle spese del quadro economico dell'opera stessa (da finanziare con i medesimi ribassi) e sempre che l'ente interessato rispetti i vincoli di bilancio.

La formulazione vigente, che l'articolo in esame intende superare, stabilisce invece che gli eventuali ribassi di asta confluiscono direttamente nella quota vincolata del risultato di amministrazione "a meno che, nel frattempo, sia intervenuta formale rideterminazione del quadro economico progettuale".

L'articolo consente di poter disporre di una maggiore tempistica (coincidente con il secondo esercizio successivo all'aggiudicazione) per poter rideterminare il quadro economico dell'opera al fine di poter utilizzare, nell'ambito della stessa, eventuali ribassi d'asta, prima che dette risorse diventino economie di bilancio, e quindi non siano più utilizzabili per finanziare l'opera.


 

Articolo 7
(Valorizzazione dei contratti istituzionali di sviluppo –
CIS per la città di Matera)

 

 

L’articolo 7, integrato durante l'esame parlamentare, è volto a promuovere, favorendo l’utilizzo dei Contratti istituzionali di sviluppo, la realizzazione di interventi di particolare complessità finanziati a valere sulle risorse nazionali ed europee; a tal fine la norma affida al Presidente del Consiglio ovvero al Ministro per la coesione territoriale l’individuazione degli interventi per i quali deve procedersi alla sottoscrizione dei Contratti medesimi, su richiesta delle amministrazioni interessate. Il comma 1-bis, introdotto durante l’esame parlamentare, prevede la sottoscrizione di un apposito Contratto istituzionale di sviluppo per la realizzazione di interventi urgenti previsti per la città di Matera designata ''Capitale europea della cultura 2019''.

 

Il Contratto istituzionale di sviluppo (CIS) è un istituto previsto nell’ordinamento dall’articolo 6 del D.Lgs. n. 88 del 2011[12], sul quale sono poi successivamente intervenute ulteriori disposizioni, sia allo scopo di integrarne la disciplina che per rafforzarne l’utilizzo.

Introdotto in sostituzione del previgente istituto dell’intesa istituzionale di programma, il CIS costituisce uno strumento che le amministrazioni competenti possono stipulare sia per accelerare l’utilizzo dei fondi strutturali europei, sia per accelerare la realizzazione di nuovi progetti strategici di rilievo nazionale, interregionale e regionale, tra loro funzionalmente connessi in relazione a obiettivi e risultati, finanziati con risorse nazionali, dell'Unione europea e del Fondo per lo sviluppo e la coesione.

In particolare, i CIS sono finalizzati all’accelerazione della realizzazione degli interventi speciali che prevedono la realizzazione di opere infrastrutturali, funzionali alla coesione territoriale e a uno sviluppo equilibrato del Paese. Con i CIS, in sostanza, le risorse sono concentrate per la realizzazione di un'unica grande infrastruttura a valenza nazionale o interregionale (salve eccezioni dettate da specificità territoriali), superando i tradizionali limiti regionali verso una logica per macroaree. Nel contratto vengono definiti i tempi di attuazione (cronoprogramma), le responsabilità dei contraenti, i criteri di valutazione e monitoraggio e le sanzioni per eventuali inadempimenti. Il contratto istituzionale di sviluppo viene stipulato dal Ministro per la coesione, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati, dai Presidenti delle Regioni interessate e dalle amministrazioni competenti.

Successivamente l’articolo 9-bis del decreto-legge n. 69/2013 ha previsto (anche ai fini della più rapida utilizzazione dei fondi strutturali europei oggetto dell’articolo 9 dello stesso D.L.), specifiche disposizioni per accelerare la realizzazione degli interventi strategici ed ha integrato la disciplina del Contratto Istituzionale di Sviluppo, prevedendo, tra l’altro, che le Amministrazioni responsabili degli interventi possano avvalersi dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A. per tutte le attività economiche, finanziarie e tecniche - comprese quelle di progettazione di cui all’art. 90 del codice di cui al Decreto Legislativo n. 163/2006[13] – nonché in qualità di Centrale di committenza, ad esclusione di quanto demandato all’attuazione da parte dei concessionari di servizi pubblici.

Con una ulteriore norma, prevista dal D.L. n. 101/2013 (articolo 10, comma 2, lettera f-ter), è stato poi stabilito che la Presidenza del Consiglio del Ministri promuove il ricorso alle modalità di attuazione rafforzata previste dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 818 2011 e dagli articoli 9 e 9-bis del decreto legge n. 69 del 2013 sopra citati.

In materia è da ultimo intervenuto l’art. 1, comma 703, della legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015), che reca le nuove procedure per la programmazione delle risorse del Fondo per lo Sviluppo e la coesione per il ciclo 2014-2020, nel quale si prevede, alla lettera g), che successivamente all’approvazione del piano stralcio e dei piani operativi di ripartizione da parte del CIPE, l’Autorità politica per la coesione[14] coordini l’attuazione dei suddetti piani a livello nazionale e regionale,  individuando i casi nei quali, per gli interventi infrastrutturali di notevole complessità, si debba procedere alla stipulazione del contratto istituzionale di sviluppo ai sensi dei medesimi articoli 6 del D.Lgs.88/2011  e 9-bis del D.L. 69/2013 di cui sopra.

L’articolo 7 in esame non modifica il descritto quadro normativo, che viene confermato mediante il richiamo, contenuto nell’articolo, al decreto legge n.101 del 2013 ed al comma 703 della legge di stabilità 2015, dettando disposizioni che appaiono volte principalmente a determinarne una migliore implementazione ed  una più efficace operatività.

A tal fine viene previsto che per accelerare l'attuazione di interventi complessi, definiti dalla norma come “aventi natura di grandi progetti” ovvero di “investimenti articolati in singoli interventi tra loro funzionalmente connessi, che richiedano un approccio integrato e l'impiego di fondi strutturali di investimento europei e di fondi nazionali inseriti in piani e programmi operativi finanziati a valere sulle risorse nazionali e europee”, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro delegato per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, individua gli interventi per i quali si procede alla sottoscrizione di appositi Contratti istituzionali di sviluppo, su richiesta delle amministrazioni interessate.

L’articolo precisa inoltre che quanto dallo stesso previsto risulta disposto anche in coerenza con quanto previsto dall'articolo 36 del regolamento(UE) n. 1303/2013[15].

Tale articolo dispone che qualora una strategia di sviluppo urbano o un'altra strategia o patto territoriale richieda un approccio integrato che comporti investimenti del Fondo sociale europeo, del Fondo europeo sviluppo regionale o del Fondo di coesione nell'ambito di più assi prioritari di uno o più programmi operativi, le azioni possono essere eseguite sotto forma di investimento territoriale integrato ("ITI") e possono a tal fine essere integrate da un sostegno finanziario dal FEASR(Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale) o dal FEAMP (Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca).

 

Secondo quanto risulta dal sito relativo ai Contratti istituzionali di sviluppo. I CIS attualmente attivati – cui dovrebbe aggiungersi quello recentemente intervenuto per l’area di Taranto - sono i seguenti:

§  CIS: Napoli-Bari-Lecce/Taranto;

§  CIS: Messina-Catania-Palermo;

§  CIS: Salerno-Reggio Calabria;

§  CIS: Adeguamento itinerario SS Sassari-Olbia.

 

Il comma 1-bis, introdotto durante l’esame parlamentare, stabilisce che per la realizzazione di interventi urgenti previsti per la città di Matera designata ''Capitale europea della cultura 2019'', su richiesta del comune di Matera, si proceda, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, alla sottoscrizione di un apposito Contratto istituzionale di sviluppo, che prevede come soggetto attuatore l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A..

Le risorse finanziarie destinate alla realizzazione degli interventi ricompresi nel Contratto sono trasferite annualmente, sulla base dello stato di avanzamento dei lavori e previo nulla osta del soggetto coordinatore degli interventi individuato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 giugno 2017, ad una contabilità speciale intestata al soggetto attuatore. Il soggetto attuatore presenta il rendiconto della contabilità speciale di cui è titolare al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato - Ufficio centrale del bilancio, presso il Ministero dei beni e delle attività culturali, secondo le modalità di cui agli articoli 11 e seguenti del decreto legislativo 30 giugno 2011, n. 123. Dall'attuazione delle disposizioni contenute nel presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica».

Il D.Lgs. 30/06/2011, n. 123 citato concerne la disciplina dei controlli di regolarità amministrativa e contabile e potenziamento dell'attività di analisi e valutazione della spesa, a norma dell'articolo 49 della legge 31 dicembre 2009, n. 196. In particolare, il capo II disciplina gli atti sottoposti al controllo successivo di regolarità amministrativa e contabile ed i relativi soggetti obbligati.


 

Articolo 8, commi 1 e 1-bis
(Disposizioni di semplificazione in materia
di amministrazione straordinaria)

 

 

L’articolo 8, al comma 1, prevede l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria di cui al D.L. n. 347/2003, anche in assenza dei requisiti dimensionali previsti dall’articolo 1, co. 1 dello stesso decreto, per le società cessionarie di complessi aziendali acquisiti da società sottoposte ad amministrazione straordinaria ai sensi del predetto D.L. n. 347/2003, ferma restando la sussistenza del presupposto dello stato di insolvenza. La deroga è prevista nel caso in cui le predette società siano destinatarie di domanda giudiziale di risoluzione per inadempimento del contratto di cessione o di dichiarazione, da parte della società cedente, di avvalersi di clausola risolutiva espressa del contratto di cessione dei complessi aziendali acquisiti.

Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca una norma di interpretazione autentica dell'articolo 3, comma 1-ter del D.L. n. n. 347/2003, disponendo che esso si interpreta nel senso che nella categoria dei crediti prededucibili ai sensi dell'articolo 111 della legge fallimentare, rientrano quelli delle imprese di autotrasporto che consentono le attività ivi previste e la funzionalità degli impianti produttivi dell'ILVA.

 

Con riguardo ai requisiti per l’ammissione alla procedura speciale (rispetto alla procedura ordinaria di ammissione all’amministrazione straordinaria delineata nel D.Lgs. n. 270/1999) di amministrazione straordinaria “delle grandi imprese in stato di insolvenza”, l’art. 1 del D.L. n. 347/2003, fa riferimento al possesso, da parte delle imprese, considerate sia singolarmente sia come gruppo di imprese, di entrambi i seguenti requisiti:

§  un numero minimo, da almeno un anno, di 500 lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni;

§  debiti per un ammontare complessivo non inferiore a 300 milioni di euro.

Come è noto la procedura ordinaria di ammissione all’amministrazione straordinaria è contenuta nel D.Lgs. n. 270/1999, che definisce l'amministrazione straordinaria delle imprese in stato d'insolvenza come la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente, diretta alla conservazione del patrimonio produttivo, tramite la prosecuzione, la riattivazione ovvero la riconversione dell'attività imprenditoriale (art. 1).  L'ambito dei soggetti ammessi alla procedura viene circoscritto alle imprese, anche individuali, soggette alla legge fallimentare e in possesso dei seguenti requisiti:

§  un numero di lavoratori subordinati non inferiore alle 200 unità (inclusi quelli che eventualmente fruiscono del trattamento di integrazione guadagni);

§  debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi, tanto del totale dell'attivo dello stato patrimoniale, che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio (art. 2);

§  presenza di concrete prospettive di recupero (art. 27) da realizzarsi, alternativamente, mediante "la cessione dei complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno" ("programma di cessione dei complessi aziendali”) ovvero "tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa, sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a due anni" ("programma di ristrutturazione").

Su tale disciplina generale si è innestato il decreto-legge n. 347/2003, che prevede  misure volte a semplificare l'ammissione alla procedura concorsuale e a rafforzare i poteri riconosciuti all'autorità amministrativa, per imprese con almeno 500 lavoratori subordinati e debiti per un ammontare complessivo non inferiore a 300 milioni di euro[16]. Presupposto per l’ammissione all’amministrazione straordinaria è dunque l’esistenza di concrete prospettive di recupero, che può avvenire  attraverso:

§  un programma di cessione dei complessi aziendali (con il passaggio dunque dell’esercizio dell’attività ad un soggetto giuridico diverso);

§  un programma di ristrutturazione (che presuppone la prosecuzione dell’attività senza trasferimento a terzi).

 

Si ricorda al riguardo che l'Assemblea della Camera ha approvato, in data 10 maggio 2017, il disegno di legge A.C. 3671-ter-A, derivante dallo stralcio dell'originario disegno di legge A.C. 3671, concernente la "Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza"[17]. L'oggetto del disegno di legge è la riforma organica della disciplina della amministrazione straordinaria di cui al D.Lgs. n. 270/1999 e al D.L. n. 347/2003, al fine di ricondurre tale istituto a un quadro di regole generali comuni, come derivazione particolare della procedura generale concorsuale. Obiettivo della riforma è dunque quello di assicurare coerenza sistematica, nonché di contemperare le esigenze dei creditori e l'interesse pubblico alla conservazione del patrimonio e alla tutela dell'occupazione di imprese in stato di insolvenza che, per dimensione, appaiono di particolare rilievo economico sociale[18]. I numerosi principi e criteri direttivi della delega riguardano dunque, innanzitutto, una procedura unica di amministrazione straordinaria, con finalità conservative, finalizzata alla regolazione dell'insolvenza di singole imprese, ovvero di gruppi di imprese. Si segnala che, tra gli altri profili, il disegno di legge modifica i presupposti di accesso alla procedura. Con riferimento ai profili dimensionali dell'impresa o dei gruppi di imprese, nelle imprese singole il numero minimo di dipendenti è stabilito in 250 e in complessivi 800 in caso di contestuale richiesta di ammissione alla procedura di più imprese del gruppo. Inoltre, il requisito dimensionale, dunque il concetto di "grande impresa", non è più ancorato ai soli occupati, ma anche alla media del volume di affari degli ultimi tre esercizi. Infine, accanto alle concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali, si prevede la salvaguardia della continuità produttiva e dell'occupazione diretta e indiretta.

 

Le misure di cui alla norma in commento si applicano, anche su istanza del commissario straordinario[19] della società cedente, nei confronti delle società alle quali siano stati ceduti complessi aziendali, facenti capo a società sottoposte ad amministrazione straordinaria, nei casi in cui le stesse si rendano gravemente inadempienti rispetto alle obbligazioni contrattualmente assunte all’atto della cessione. Ciò nei casi in cui tali società siano destinatarie di:

§  domanda giudiziale di risoluzione per inadempimento del contratto di cessione;

§  dichiarazione, da parte della società cedente, di avvalersi di clausola risolutiva espressa del contratto di cessione dei complessi aziendali acquisiti.

Si ricorda, in proposito, che l’art. 63 del D.lgs. n. 270/99, che disciplina la vendita di aziende in esercizio, pone in capo all’acquirente, per almeno due anni dalla stipula, l’obbligo di proseguire le attività imprenditoriali, nonché di mantenere i livelli occupazionali stabiliti all'atto della vendita, sulla base di quanto previsto nel piano industriale. A tal fine, la scelta dell'acquirente è effettuata tenendo conto, oltre che dell'ammontare del prezzo offerto, dell'affidabilità dell'offerente e del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali da questi presentato, anche con riguardo alla garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali.

La relazione illustrativa rileva che, per finalità di salvaguardia dell’occupazione, nell’ambito della procedura di consultazione tesa a raggiungere l’accordo di cui all’art. 47, co. 2, della L. n. 428/90, le società cedente e acquirente definiscano con le organizzazioni sindacali le condizioni per il trasferimento anche parziale dei lavoratori, sempre in coerenza con le previsioni del piano industriale presentato dall’acquirente. Come altresì evidenziato dalla relazione illustrativa, l’assunzione, da parte dell’acquirente, dell’obbligo di prosecuzione dell’attività imprenditoriale, nonché di mantenimento dei livelli occupazionali stabiliti all’atto della vendita, costituisce un presupposto indefettibile ai fini dell’aggiudicazione dei complessi aziendali relativi alle procedure di amministrazione straordinaria[20].

 

Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca una norma di interpretazione autentica dell'articolo 3, comma 1-ter del D.L. n. n. 347/2003[21], il quale sancisce la prededucibilità ai sensi della legge fallimentare (articolo 111 R.D. n. 267/1942) dei crediti vantati da piccole e medie imprese nei confronti delle imprese che gestiscono almeno uno stabilimento di interesse strategico nazionale ai sensi del D.L. n. 207/2012 (cd. D.L. ILVA) in amministrazione straordinaria, anteriori all'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria stessa, relativi a prestazioni necessarie per il risanamento ambientale, la sicurezza e la continuità dell'attività produttiva.

Il comma 1-bis dispone che il citato articolo 3, comma 1-ter si interpreta nel senso che nella categoria dei crediti prededucibili di cui all'articolo 111 della legge fallimentare, rientrano quelli delle imprese di autotrasporto che consentono le attività ivi previste e la funzionalità degli impianti produttivi dell'ILVA.

L’articolo 111 della legge fallimentare (R.D. n. 267/1942) dispone che le somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo sono erogate nel seguente ordine:

1)   per il pagamento dei crediti prededucibili;

2)   per il pagamento dei crediti ammessi con prelazione sulle cose vendute secondo l'ordine assegnato dalla legge;

3)   per il pagamento dei creditori chirografari, in proporzione dell'ammontare del credito per cui ciascuno di essi fu ammesso, compresi i creditori indicati al n. 2, qualora non sia stata ancora realizzata la garanzia, ovvero per la parte per cui rimasero non soddisfatti da questa.

Sono considerati crediti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge; tali crediti sono soddisfatti con preferenza ai sensi del primo comma n. 1). Tale disposizione si applica dunque nella ripartizione dell’attivo nella procedura di amministrazione straordinaria.

 


 

Articolo 8, comma 1-ter
(Sistema di remunerazione della disponibilità di
capacità produttiva di energia elettrica)

 

 

Il comma 1-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, interviene sulle garanzie a copertura delle obbligazioni assunte dai soggetti partecipanti al sistema di remunerazione della capacità di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 379/2003, in qualunque forma prestate: esse non potranno essere distratte dalla destinazione prevista, né essere soggette ad azioni ordinarie, cautelari o conservative da parte dei creditori dei singoli soggetti partecipanti ovvero del Gestore della rete di trasmissione nazionale ovvero del soggetto cui potrà essere affidata la gestione delle garanzie stesse, anche in caso di apertura di procedure concorsuali.

Durante il periodo di partecipazione al mercato della capacità e per l'intera durata degli impegni contrattuali - inoltre - non opera, nei confronti dell'ammontare garantito, la compensazione legale e giudiziale e non può essere pattuita la compensazione volontaria.

 

Il Decreto legislativo n. 379/2003 dispone, all’articolo 1, comma 1, che la remunerazione della disponibilità di capacità produttiva è finalizzata al raggiungimento e al mantenimento dell’adeguatezza dell’offerta di energia elettrica ai fini della copertura della relativa domanda, per far fronte, con i necessari margini di riserva, alla sua aleatorietà, nell’ambito delle prestazioni di risorse rese alla società Gestore della rete di trasmissione nazionale, Terna[22].

L’articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 379/2003 – citato nel testo della disposizione qui in esame - dispone che il sistema di remunerazione è basato su meccanismi concorrenziali, trasparenti, non discriminatori e non distorsivi per il mercato, orientati a minimizzare gli oneri per i consumatori ed è regolato dai seguenti princìpi:

a)    la remunerazione è applicata alle unità di produzione di nuova realizzazione, nonché al mantenimento, in esercizio efficiente, della capacità esistente;

b)    la remunerazione è commisurata agli obiettivi di capacità produttiva del sistema elettrico indicati dal Gestore della rete di trasmissione nazionale;

c)     la remunerazione può essere applicata anche ai consumatori di energia elettrica dotati di caratteristiche tecniche idonee a fornire il servizio di riserva, che non beneficiano di altre agevolazioni;

d)    la remunerazione è subordinata al rilascio di apposita garanzia prestata dai soggetti beneficiari.

L’articolo 2 del D.Lgs. ha dunque disposto che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas definisse i criteri e le condizioni sulla base dei quali il Gestore della rete di trasmissione nazionale (Terna) elaborasse una proposta per disciplinare il sistema di remunerazione, specificando le modalità tecniche di calcolo della remunerazione, nonché i requisiti delle garanzie di cui alla sopra indicata lettera d).

In attuazione di questa previsione, l’AEEGSI, con la Delibera 21 luglio 2011, ARG/elt 98/11, ha fissato i criteri e le condizioni per la definizione del sistema di remunerazione della disponibilità di capacità di generazione elettrica

In sostanza, con la delibera ARG/elt 98/11 e ss.mod. l'Autorità per l'energia ha definito le condizioni ed i criteri per un nuovo meccanismo di remunerazione della disponibilità di capacità produttiva, il 'capacity payment', che consente di proteggere i clienti finali dai picchi di prezzo e di ridurre il rischio di investimento.

Il meccanismo è disegnato – afferma l’AEEGSI - come una polizza assicurativa fra consumatori e produttori e impegna questi ultimi a garantire una disponibilità di capacità produttiva per quantitativi che il gestore della rete (Terna) ritenga necessari per evitare deficit di generazione o situazioni critiche.

I criteri definiti dall'Autorità prevedono che tale 'polizza' venga applicata dal 2017 e solo per le quantità veramente necessarie, tenuto conto dell'attuale situazione di eccesso di capacità produttiva; quindi, fino a quella scadenza ai produttori non sarà riconosciuto alcun corrispettivo.

Oggetto della delibera sono altresì le metodologie di calcolo delle garanzie che i soggetti beneficiari sono tenuti a rilasciare a Terna per partecipare alle procedure concorsuali di approvvigionamento delle capacità produttive indette da Terna stessa. In particolare, ai sensi dell’articolo 13 della Delibera, Terna organizza e gestisce un sistema di garanzie cui i partecipanti alle procedure concorsuali (di cui all’articolo 10 della delibera stessa) sono tenuti ad aderire, pena l’estromissione dalle medesime procedure o l’impossibilità per il partecipante di procedere alla stipula del contratto standard di approvvigionamento della capacità produttiva. Il sistema di garanzie è basato sui seguenti criteri:

a)    rispondenza a prefissati requisiti di patrimonializzazione;

b)    rateizzazione del pagamento del premio;

c)     previsione di una struttura a cascata dei contratti standard di approvvigionamento di capacità.

d)    versamento di un contributo per la costituzione di un fondo di garanzia;

e)     versamento di margini di garanzia;

f)     applicazione delle sanzioni previste dalla normativa vigente in caso di inadempimento.

Con le deliberazioni 482/2012/R/eel e 375/2013/R/eel, ha verificato positivamente lo schema di disciplina elaborato da Terna secondo i criteri fissati dall’AEEGSI con la Delibera 21 luglio 2011, n. ARG/elt 98/11 e la disciplina è stata poi approvata con il D.M. 30 giugno 2014, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 379/03.

 

La relazione tecnica al maxiemendamento del Governo presentato e approvato dall’Aula del Senato al provvedimento in esame, evidenzia, in proposito, che il mercato della capacità italiano, approvato dal citato D.M. 30 giugno 2014, è un mercato finalizzato ad assicurare l’adeguatezza del sistema, vale a dire la copertura della domanda nazionale e i margini di riserva (da utilizzare in caso di picchi della domanda).

La capacità dei soggetti disposti a renderla disponibile al sistema in un orizzonte temporale pluriennale viene contrattualizzata con procedure concorrenziali organizzate dal Gestore della rete di trasmissione elettrica, e al soggetto selezionato è garantito un ricavo certo per la disponibilità dell’impianto.

La nuova disciplina del mercato della capacità è in via di adozione da parte del Ministero dello Sviluppo economico, previo buon esito della procedura di notifica alla Commissione europea ai sensi delle Linee Guida europee sugli aiuti di stato in materia di ambiente ed energia 2014-2020 (adottate con Comunicazione della Commissione 2014/C 200/01) [23].

La disciplina prevede che le procedure concorsuali siano finalizzate alla negoziazione di contratti standard di approvvigionamento di capacità; l’oggetto di ciascun contratto standard è l’impegno a rendere disponibile la capacità sui mercati dell’energia e sul Mercato per il Servizio di Dispacciamento.

In esito a ciascuna procedura concorsuale, viene definita la capacità impegnata di ciascun soggetto selezionato ed il premio. In sintesi, la sottoscrizione del contratto di capacità prevede i seguenti diritti ed obblighi per il soggetto selezionato: diritto a ricevere il premio definito in esito a ciascuna procedura concorsuale; obbligo di rendere disponibile la capacità impegnata sui Mercati dell’Energia e sul Mercato dei Servizi di Dispacciamento; obbligo di restituire al gestore della rete e quindi al sistema l’eventuale differenza positiva tra il prezzo definito in esito ai Mercati ed un prezzo strike identificato nel contratto.

La relazione ricorda la sopra commentata Delibera ARG/elt 98/11 e s.m.i., che, all’articolo 13, stabilisce che il gestore della rete elettrica organizzi e gestisca un sistema di garanzie a copertura degli impegni assunti dai partecipanti al Mercato della Capacità a cui ciascun partecipante è tenuto ad aderire, pena l’esclusione dal medesimo mercato.

Tale sistema di garanzie prevede, tra l’altro, la costituzione di un fondo di garanzia su apposito conto corrente bancario intestato a Terna, alimentato dai contributi dei soggetti che intendono partecipare al Mercato, nella forma di deposito cauzionale.

Ai sensi della Disciplina del mercato della capacità elaborata da Terna sulla base dei criteri già definiti dall’AEEGSI e che – afferma la relazione - il Ministero approverà in esito alla notifica alla Commissione Europea, il soggetto che intende partecipare ad una fase del Mercato Della Capacità è tenuto a contribuire con un deposito cauzionale fruttifero.

Il tasso di interesse da applicare al fondo è pari al tasso riconosciuto dall’Istituto bancario di riferimento per la gestione del fondo stesso. Il versamento di tale contributo deve essere effettuato prima dello svolgimento di ciascuna procedura concorsuale, ossia con una frequenza almeno annuale, e con un anticipo rispetto al periodo a cui si riferisce. In aggiunta, si specifica sempre nella relazione, è previsto un meccanismo di marginazione in base al quale i soggetti selezionati in esito alle procedure concorsuali devono prestare una garanzia nella forma di fideiussione bancaria o deposito; tale garanzia è finalizzata ad assicurare la copertura dell’esposizione finanziaria di ciascun assegnatario durante il periodo di consegna.

L’Assegnatario, oltre a quanto detto, è tenuto a prestare una garanzia, nella forma di deposito cauzionale infruttifero, o di fideiussione a prima richiesta redatta in conformità al modello allegato alla Disciplina.

L’utilizzo di depositi in contante nell’ambito del sistema di garanzia è necessario – afferma la relazione - per rendere il sistema adeguato ai tempi di svolgimento del mercato. In caso di inadempimento, infatti, l’utilizzo del deposito del soggetto inadempiente non necessita di tempi lunghi quali quelli necessari per escutere una fideiussione.

La norma proposta, salvaguardando i contributi versati al sistema di garanzia da parte dei partecipanti, assicurerebbe al sistema, secondo il Governo, un’adeguata e tempestiva copertura in caso di inadempimento tutelando anche i consumatori finali.


 

Articolo 8, comma 1-quater
(Esclusione dei Corpi volontari dei vigili del fuoco dal bilancio consolidato di regioni ed enti locali)

 

 

L’articolo 8, comma 1-quater, esclude i Corpi volontari dei vigili del fuoco e le loro unioni dall’applicazione delle disposizioni relative agli enti strumentali delle regioni e degli enti locali di cui all’art. 11-bis del D.Lgs. 118/2011, recante l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio. La disposizione ha l’effetto di esonerare le regioni e gli enti locali dall’obbligo di includere nel proprio bilancio consolidato i bilanci di tali Corpi.

 

Il citato D.Lgs. 118/2011 prevede che le regioni e gli enti locali redigano il bilancio consolidato assieme ai propri “enti ed organismi strumentali, aziende, società controllate e partecipate”; ai fini dell'inclusione nel bilancio consolidato. Ai sensi della medesima disposizione, si considera qualsiasi ente strumentale, azienda, società controllata e partecipata, indipendentemente dalla sua forma giuridica pubblica o privata, anche se le attività che svolge sono dissimili da quelle degli altri componenti del gruppo (art. 11-bis).

Il D.Lgs. 118/2011 distingue tra ente strumentale controllato ed ente strumentale partecipato.

È definito ente strumentale controllato l'azienda o l'ente, pubblico o privato, nei cui confronti la regione o l'ente locale ha una delle seguenti condizioni:

§  il possesso, diretto o indiretto, della maggioranza dei voti esercitabili nell'ente o nell'azienda;

§  il potere di nominare o rimuovere la maggioranza dei componenti degli organi decisionali nonché a decidere in ordine all'indirizzo;

§  la maggioranza, diretta o indiretta, dei diritti di voto nelle sedute degli organi decisionali;

§  l'obbligo di ripianare i disavanzi per percentuali superiori alla propria quota di partecipazione;

§  un'influenza dominante in virtù di contratti o clausole statutarie.

 

Si definisce invece ente strumentale partecipato quello nel quale la regione o l'ente locale ha una partecipazione, in assenza delle condizioni di cui sopra.

 

Gli enti strumentali, sia controllati, sia partecipati, sono distinti nelle seguenti tipologie, corrispondenti alle missioni del bilancio:

§  servizi istituzionali, generali e di gestione;

§  istruzione e diritto allo studio;

§  ordine pubblico e sicurezza;

§  tutela e valorizzazione dei beni ed attività culturali;

§  politiche giovanili, sport e tempo libero;

§  turismo;

§  assetto del territorio ed edilizia abitativa;

§  sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell'ambiente;

§  trasporti e diritto alla mobilità;

§  soccorso civile;

§  diritti sociali, politiche sociali e famiglia;

§  tutela della salute;

§  sviluppo economico e competitività;

§  politiche per il lavoro e la formazione professionale;

§  agricoltura, politiche agroalimentari e pesca;

§  energia e diversificazione delle fonti energetiche;

§  relazione con le altre autonomie territoriali e locali;

§  relazioni internazionali.

 

Il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è articolato in personale di ruolo e personale volontario, entrambi disciplinati dal D.Lgs. 139/2006.

Tra le regioni a statuto speciale, il Trentino – Alto Adige e la Val d’Aosta, hanno una competenza esclusiva in materia di servizio antincendi che viene esercitata secondo le norme dei rispettivi statuti (Statuto Trentino – Alto Adige, art. 4, n. 6; Statuto Valle d’Aosta, art. 2, lett. z); D.Lgs. 139/2006, art. 5).

La regione Trentino – Alto Adige, in attuazione dello statuto ha adottato la L.R. 24/1954, sostanzialmente ancora vigente, che disciplina il servizio antincendi.

Nel 1978, la regione ha trasferito le competenze amministrative in materia alle due province autonome di Trento e di Bolzano (L.R. 17/1978).

Attualmente il sistema antincendi, posto alle dirette dipendenze della giunta provinciale, è articolato in un Corpo permanente in ciascuno dei due capoluoghi di Provincia, in diversi Corpi volontari a livello comunale e in squadre antincendi aziendali.

Per quanto riguarda i corpi volontari, si prevede che in ogni comune ne venga costituito almeno uno, dipendente dal sindaco e dall'assessorato delegato al servizio antincendi. Il comandante ed il vice comandante dei corpi volontari sono nominati dal sindaco su designazione del corpo; la designazione avviene mediante elezione da parte dei membri del corpo. Per l'organizzazione e l'attività dei corpi volontari i consigli comunali emaneranno regolamenti attenendosi al regolamento tipo approvato dalla Giunta regionale.

I corpi volontari comunali possono costituirsi in unioni di zona, distrettuali, provinciali e regionali.

 

La regione Valle d’Aosta si avvale, per lo svolgimento dei compiti di servizi antincendio, del Corpo valdostano dei vigili del fuoco che sostituisce, nel territorio regionale, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e svolge le funzioni e i compiti allo stesso attributi.

Il Corpo regionale si articola in personale professionista del Corpo valdostano dei vigili del fuoco e in personale volontario del Corpo valdostano dei vigili del fuoco (L.R. 37/2009).

 


 

Articolo 9
(Misure urgenti ambientali in materia
di classificazione dei rifiuti)

 

 

L’articolo 9 interviene sulla disciplina concernente la classificazione dei rifiuti contenuta nella premessa dell’allegato D alla parte quarta del cd. Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006), al fine di sopprimere la gran parte delle disposizioni in essa contenute (ed introdotte dal D.L. 91/2014). Il nuovo testo della premessa, risultante dalla modifica, si limita infatti a chiarire che, ai fini della classificazione dei rifiuti da parte del produttore (mediante l’assegnazione del codice CER appropriato), devono essere applicate le nuove regole previste dalla decisione 2014/955/UE e dal regolamento (UE) n. 1357/2014.

Nel corso dell’esame al Senato è stato precisato che devono altresì essere applicate le regole previste dal Regolamento (UE) n. 2017/997, che modifica l'allegato III della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la caratteristica di pericolo HP 14 “Ecotossico”.

 

Sono, pertanto, soppressi i numeri da 1 a 7 della parte premessa all'introduzione del citato allegato D, che sono stati inseriti dal D.L. 91/2014 e che elencavano i principi di classificazione dei rifiuti e le modalità per stabilire la pericolosità del rifiuto.  Tali numeri sono sostituiti dal richiamo alle predette regole europee.

 

In sintesi, i numeri da 1 a 7, che sono soppressi dalla norma in esame, prevedevano:

1)      la classificazione dei rifiuti da parte del produttore attraverso l’assegnazione  ad essi del competente codice CER, applicando le disposizioni contenute nella decisione 2000/532/CE;

2)      la qualificazione di un rifiuto come pericoloso senza alcuna ulteriore specificazione, qualora fosse classificato con codice CER pericoloso 'assoluto';

3)      la qualificazione di un rifiuto come non pericoloso senza ulteriore specificazione, qualora un rifiuto fosse classificato con codice CER non pericoloso 'assoluto';

4)      lo svolgimento di una serie di indagini al fine di determinare le proprietà di pericolo, qualora un rifiuto fosse classificato con codici CER speculari, uno pericoloso ed uno non pericoloso;

5)      l’individuazione delle caratteristiche di pericolo del rifiuto prendendo come riferimento i composti peggiori, qualora i componenti di un rifiuto fossero rilevati dalle analisi chimiche solo in modo aspecifico;

6)      la classificazione di un rifiuto come pericoloso qualora le sostanze presenti in un rifiuto non fossero note o non fossero determinate con le predette modalità, ovvero le caratteristiche di pericolo non potessero essere determinate;

7)      la classificazione in ogni caso prima che il rifiuto si fosse allontanato dal luogo di produzione.

 

Ai fini di una valutazione della ratio dell’intervento normativo, è necessaria una ricostruzione della recente evoluzione delle normative nazionale ed europea, nonché della portata delle disposizioni contenute nella premessa dell’Allegato D.

 

L’evoluzione della normativa

Per quanto riguarda la disciplina europea, il 18 dicembre 2014 la Commissione europea ha adottato:

§  il regolamento (UE) n. 1357/2014 che ha sostituito l’allegato III della direttiva 2008/98/CE (recepito nell’ordinamento nazionale dall’allegato I alla parte IV del D.Lgs. 152/2006). Tale allegato, limitatamente alla caratteristica di pericolo HP 14 “Ecotossico”, è stato modificato dal recente regolamento (UE) n. 2017/997;

§  e la decisione 2014/955/UE, la quale ha modificato la decisione 2000/532/CE relativa all’elenco europeo dei rifiuti (recepito nell’ordinamento nazionale dall’allegato D alla parte IV del D.Lgs. 152/2006) provvedendo, in particolare, alla riscrittura di tale elenco.

In estrema sintesi, il regolamento (UE) n. 1357/2014 contiene le nuove indicazioni europee necessarie all’attribuzione delle caratteristiche di pericolo ai rifiuti e sostituisce le precedenti caratteristiche di pericolo da H1 a H15 con le nuove caratteristiche da HP1 a HP15. Con il regolamento (UE) n. 2017/997 sono state modificate le disposizioni relative alla caratteristica di pericolo HP 14 “Ecotossico”.

La decisione 2014/955/UE, invece, modifica l’elenco europeo dei rifiuti, introducendo alcuni nuovi codici, sopprimendo gli articoli 2 e 3 della decisione 2000/532/CE e intervenendo sull’introduzione dell’allegato.

Tali disposizioni europee, essendo contenute in atti che hanno diretta applicazione nell’ordinamento nazionale, sono entrate in vigore alla data prevista negli atti citati, vale a dire il 1° giugno 2015. Le modifiche operate dal regolamento (UE) n. 2017/997 invece, per quanto disposto dall’art. 2 del medesimo provvedimento, saranno applicate a decorrere dal 5 luglio 2018.

Prima dell’entrata in vigore delle predette disposizioni europee, con il D.L. 91/2014 (lettera b-bis) del comma 5 dell’art. 13) è stata inserita, all’inizio dell’allegato D alla parte quarta del cd. Codice dell’ambiente, una premessa (articolata in sette paragrafi, numerati da 1) a 7)) che ha introdotto ulteriori disposizioni sulla classificazione dei rifiuti, entrate in vigore (per espressa previsione del comma 5-bis dell’art. 13 del medesimo decreto-legge) decorsi centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, ossia a far data dal 18 febbraio 2015.

L’introduzione di tali disposizioni ha però suscitato una serie di problemi interpretativi (v. infra). “In ragione delle perplessità sulla novella introdotta alla normativa nazionale manifestate” - come ricorda la relazione illustrativa – “da parte degli operatori del settore, degli enti di controllo, degli istituti tecnici, delle associazioni di categoria e delle autorità competenti al rilascio delle autorizzazioni”, il Ministero dell’ambiente – come sottolineato dal Ministro in risposta all’interrogazione 4-13894 – ha emanato “due circolari[24] indirizzate alle regioni e alle province autonome, con le quali è stato specificato che il regolamento e la decisione sopra menzionati trovano piena ed integrale applicazione nell’ordinamento giuridico a decorrere dal 1° giugno 2015, ed inoltre che gli allegati D ed I del decreto legislativo n. 152 del 2006, contenenti le indicazioni per la classificazione dei rifiuti, non sono applicabili laddove risultino in contrasto con le nuove disposizioni dell'Unione europea” ed ha predisposto uno schema di decreto[25] al fine di adeguare gli allegati D e I alla parte quarta del d.lgs. 152/2006 (di recepimento, rispettivamente, dell’elenco dei rifiuti allegato alla decisione 2000/532/CE e delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti elencate nell’allegato III della direttiva 2008/98/CE).

Una delle principali finalità dello schema (mai adottato, v. infra) era proprio la soppressione della premessa dell’allegato D alla parte quarta del cd. Codice dell’ambiente che, come sottolineato dallo stesso Ministero dell’ambiente nella relazione illustrativa trasmessa al Consiglio di Stato, sarebbe “in alcune sue parti in contrasto con la intervenuta norma comunitaria”.

Nel proprio parere (n. 1480 del 15 maggio 2015) il Consiglio di Stato ha osservato che “l’immediata applicabilità nel nostro ordinamento del regolamento n. 1357/2014 della Commissione del 18 dicembre 2014 e della Decisione n. 2014/955/UE, avente pari data, determina automaticamente, per il principio della lex posterior derogat priori, l’abrogazione delle norme dei suddetti allegati D e I in contrasto con i predetti atti dell’U.E., anche se introdotte con il D.L. n. 91 del 2014, che risale appunto ad epoca precedente, e cioè al 24 giugno 2014”. Con riferimento alle norme dello schema finalizzate a sopprimere la premessa all’allegato D, lo stesso Consiglio ha giudicato la disposizione opportuna in quanto tale premessa non trova riscontro nella normativa europea e “anche perché si tratterebbe di norme introdotte con il più volte citato D.L. n. 91 del 2014, che sono da ritenersi interamente abrogate dai recenti provvedimenti adottati in sede europea”.

Essendo però intervenuta una norma di rango primario sull’allegato D del decreto legislativo n. 152/2006 (vale a dire quella recata dal D.L. 91/2014), il Consiglio di Stato, nel proprio parere, ha rilevato che “occorre, però, tener conto del fatto che, con la lett. b-bis) del co. 5 dell’art. 13 del d.l. 24 giugno 2014, n. 91, è stato di nuovo riportato alla fonte di rango primario l’intero preambolo, intitolato “Classificazione dei rifiuti”, dall’all. D alla parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006, sicché risulta assai dubbio che tale evento consenta, poi, di ricondurre alla materia delegificata quanto è stato introdotto con la suddetta lett. b-bis) dell’art. 13, co. 5, d.lgs. n. 91 del 2014, che si configura, cioè, come una disposizione introdotta con legge (o atto equiparato) successiva ad una precedente delegificazione”. Lo schema di decreto predisposto dal Ministero dell'ambiente, pertanto, non è stato definitivamente adottato.

Le disposizioni contenute nella premessa dell’allegato D

Con riferimento alla non conformità della premessa dell’allegato D in questione con la normativa dell’UE, nonché alla non necessità di alcune disposizioni contenute nella medesima premessa, nella relazione illustrativa viene ricordato, a titolo esemplificativo, che “il fatto che la classificazione dei rifiuti sia effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente Codice CER, prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione, ed applicando le disposizioni contenute nella decisione comunitaria 2000/532/CE (punti 1 e 7 della Premessa sulla classificazione introdotta dal decreto competitività), è un concetto che emerge già dalla lettura della norma nazionale e dagli ulteriori atti comunitari che non richiedono tra l’altro diretto recepimento”.

Viene altresì affermato che “le ulteriori disposizioni in tema di classificazione dei rifiuti (punti da 2 a 6 della citata premessa) introducono modalità applicative di fatto difficilmente attuabili a fronte di interpretazioni fortemente restrittive della norma”. Ciò vale, ad esempio, per la disposizione dettata dal numero 6) della premessa, secondo la quale quando le sostanze presenti in un rifiuto non sono note o non sono determinate con le modalità stabilite nei commi precedenti, ovvero le caratteristiche di pericolo non possono essere determinate, il rifiuto si classifica come pericoloso”. Al contrario, la relazione illustrativa ricorda che “la decisione 955/2014/UE della Commissione Europea, nel paragrafo «Valutazione e classificazione», Punto 2 «Classificazione di un rifiuto come pericoloso», specifica che la classificazione di un rifiuto come pericoloso deve essere effettuata ricercando, non tutte le sostanze che possono conferire le caratteristiche di pericolosità al rifiuto, ma solo quelle pericolose «pertinenti»”.

 

La relazione illustrativa sottolinea inoltre che “dalla lettura della premessa dell’Allegato D sembrerebbe altresì che per individuare i composti presenti nel rifiuto si debba necessariamente procedere attraverso tutte e tre le fasi indicate (la scheda informativa del produttore; la conoscenza del processo chimico; il campionamento e l’analisi del rifiuto)”.

E ancora che la premessa in questione “fa riferimento alle «frasi di rischio» specifiche dei componenti presenti nei rifiuti al fine di definire la modalità di classificazione dei rifiuti; di contro la decisione non fa più riferimento a tali «frasi di rischio», ma la metodologia ivi stabilita si basa esclusivamente sui «codici di classe e categorie di pericolo», nonché sui «codici di indicazione di pericolo». Oltre ad essere in contrasto con la norma europea, la premessa dell’allegato D risulta di fatto inapplicabile nella pratica. Infatti, una interpretazione restrittiva, relativamente ai composti da ricercare nei rifiuti, intesa come conoscenza integrale di ciò che è contenuto nel rifiuto e non di cosa è ragionevole ricercare nello stesso, comporta l’impossibilità di dimostrare e quindi di classificare il rifiuto come non pericoloso anche quando lo stesso non possiede alcuna delle caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III della direttiva 2008/98/CE. La classificazione di tutti i rifiuti, per i quali non è nota la composizione integrale, come pericolosi (rifiuti prodotti dagli impianti di trattamento dei rifiuti urbani), determinerebbe la paralisi dell’intero sistema di gestione dei rifiuti nazionale”.

 


 

Articolo 9-bis
(Attuazione della direttiva (UE) 2015/720 sulla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero
Procedura d'infrazione n. 2017/0127)

 

 

L’articolo 9-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca una disciplina volta alla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, allo scopo di attuare la direttiva (UE) 2015/720. Le disposizioni riproducono quelle contenute nello schema di decreto legislativo (Atto del Governo n. 357), che non è stato definitivamente adottato.

 

Si ricorda che la delega per l’emanazione del citato schema di decreto è stata conferita dall’art. 4 della legge 12 agosto 2016, n. 170 (legge di delegazione europea 2015), che ha disciplinato le modalità e i termini per l'attuazione della direttiva (UE) 2015/720, inclusa nell’allegato B della medesima legge, e dettato princìpi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega per il suo recepimento, che si aggiungono ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all'art. 1, comma 1, della legge medesima, in quanto compatibili.

Lo schema di decreto legislativo, sul quale le competenti Commissioni parlamentari hanno espresso il parere, è stato notificato alla Commissione europea (v. infra). Essendo nel frattempo scaduti i termini per l’esercizio della delega e in considerazione del mancato recepimento della direttiva, è stata aperta la procedura di infrazione 2017/0127.

Si segnala altresì che una nuova delega per il recepimento della direttiva (UE) 2015/720 è contenuta nel disegno di legge di delegazione europea 2016 (articolo 12 dell’Atto Senato n. 2834, articolo 13 dell’Atto Senato 2834-A). Si segnala altresì che disposizioni identiche a quelle dell'articolo in esame erano contenute nell’art. 11-bis del disegno di legge europea 2017 (A.C. 4505-A), ma sono state soppresse nel corso dell’esame in Assemblea.

 

L’articolo 9-bis integra le finalità della disciplina degli imballaggi, al fine di favorire livelli sostenuti di riduzione dell’utilizzo di borse di plastica, introduce nuove definizioni relative agli imballaggi in plastica, necessarie per l’applicazione della nuova disciplina, in cui rientrano quelle riguardanti le borse di plastica in materiale leggero e ultraleggero, nonché le borse di plastica biodegradabili e compostabili. Ulteriori disposizioni riguardano: le informazioni che devono essere rese ai consumatori; l’apposizione di diciture identificative delle borse commercializzabili da parte dei produttori; gli obblighi di relazione alla Commissione europea circa l’utilizzo di borse di plastica; l’organizzazione di campagne di educazione ambientale e di sensibilizzazione dei consumatori sull’impatto delle borse di plastica sull’ambiente; l’introduzione di una serie di misure restrittive per la commercializzazione delle borse di plastica e di sanzioni per chi viola tali disposizioni. Sono infine abrogate le norme vigenti per finalità di coordinamento con l’introduzione della nuova disciplina.

Di seguito si dà conto delle disposizioni previste dall’articolo in esame, che si configurano, in gran parte, come modifiche e integrazioni alla disciplina sugli imballaggi e sui rifiuti da imballaggio contenuta all’interno del titolo II (Gestione degli imballaggi), costituito dagli articoli 217-226, della parte IV del D.Lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente).

Per una ricostruzione articolata della normativa vigente si rinvia invece alle premessa “Le norme nazionali sulla commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabile” contenuta nel dossier relativo all’Atto del Governo n. 357.

Comma 1, lettera a) (Nuove finalità della disciplina relativa agli imballaggi)

La lettera a) aggiunge, alle finalità sottese alla disciplina degli imballaggi (contenuta nel titolo II della parte IV del D.Lgs. 152/2006, c.d. Codice dell’ambiente) quella di favorire livelli sostenuti di riduzione dell'utilizzo di borse di plastica, che integra più specificamente l’obiettivo collegato alla prevenzione e alla riduzione dell’impatto sull'ambiente degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio.

Tale precisazione viene introdotta mediante una modifica integrativa all’art. 217, che contempla ulteriori finalità cui deve tendere la disciplina della gestione degli imballaggi, vale a dire: assicurare un elevato livello di tutela dell'ambiente, sia per garantire il funzionamento del mercato, nonché per evitare discriminazioni nei confronti dei prodotti importati, prevenire l'insorgere di ostacoli agli scambi e distorsioni della concorrenza e garantire il massimo rendimento possibile di imballaggi e rifiuti di imballaggio.

La modifica recata dalla lettera in esame corrisponde all’obiettivo, previsto dalla direttiva 2015/720/UE, in base al quale gli Stati membri adottano le misure necessarie per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero (paragrafo 1-bis dell’art. 4 della direttiva 94/62/CE, introdotto dall’art. 1, punto 2), della direttiva 2015/720/UE).

A differenza della direttiva, la norma in esame fa riferimento alla finalità della riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in generale, e non solo a quelle in materiale leggero.

 

Un’ulteriore modifica recata dalla lettera in esame (sempre riferita all’art. 217 del D.lgs. 152/2006), di carattere formale, integra il riferimento alla direttiva 2015/720/UE tra le modificazioni apportate alla direttiva 94/62/CE.

Comma 1, lettera b) (Nuove definizioni relative agli imballaggi in plastica)

La lettera b) aggiunge nuove definizioni, relative agli imballaggi in plastica, a quelle contemplate dall’art. 218 del D.lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente), che si rendono necessarie ai fini dell’applicazione della nuova disciplina sulla gestione degli imballaggi (nuove lettere da dd-bis) a dd-octies) del comma 1 dell’art. 218 del D.Lgs. 152/2006).

Tali definizioni corrispondono per lo più a quelle recate dai punti 1-bis), 1-ter), 1-quater), 1-quinquies) e 1-sexies) dell’art. 3 della direttiva 94/62/CE (introdotti dall’art. 1, punto 1), della direttiva 2015/720/UE).

Definizione di “plastica”

La nuova lettera dd-bis) dell’art. 218 del D.Lgs. 152/2006, inserita dalla lettera in esame, introduce la definizione di plastica, intesa come un polimero a cui possono essere stati aggiunti additivi o altre sostanze e che può funzionare come componente strutturale principale delle borse.

Tale definizione è identica a quella prevista dal punto 1-bis) dell’art. 3 della direttiva 94/62/CE (introdotto dall’art. 1, punto 1), della direttiva 2015/720/UE).

Per la definizione di polimero la norma rinvia a quella contenuta nell’art. 3, punto 5), del regolamento (CE) n. 1907/2006 (concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche, c.d. regolamento REACH), di carattere prettamente chimico: in base a tale definizione, infatti, un polimero è una sostanza le cui molecole sono caratterizzate dalla sequenza di uno o più tipi di unità monomeriche. Tali molecole devono essere distribuite su una gamma di pesi molecolari in cui le differenze di peso molecolare siano principalmente attribuibili a differenze nel numero di unità monomeriche.

Borse di plastica e borse di plastica in materiale leggero e ultraleggero e commercializzazione delle stesse

Le successive lettere dd-ter), dd-quater e dd-quinquies) dell’art. 218 del D.Lgs. 152/2006, introdotte dalla lettera in esame, definiscono le borse di plastica, nonché le sottocategorie delle borse di plastica in materiale leggero (con spessore inferiore a 50 micron, pari a 0,05 millimetri) e ultraleggero (con spessore inferiore a 15 micron, pari a 0,015 millimetri) riproducendo le analoghe definizioni recate dai punti 1-ter), 1-quater e 1-quinquies) dell’art. 3 della direttiva 94/62/CE (introdotte dall’art. 1, punto 1), della direttiva 2015/720/UE).

Per quanto riguarda la definizione di “borse di plastica”, si fa notare che la norma in esame fa riferimento a borse “fornite ai consumatori per il trasporto di merci o prodotti”, mentre la definizione della direttiva riguarda le borse “fornite ai consumatori nei punti vendita di merci e di prodotti”. Si segnala, in proposito, che tale riferimento ai punti vendita è presente nella lettera dd-octies). Tale lettera infatti, nel definire la commercializzazione delle borse di plastica (attività su cui poi incideranno le misure introdotte dai nuovi articoli 226-bis e 226-ter del d.lgs. 152/2006), riguarda la fornitura di borse di plastica (contro pagamento o a titolo gratuito) da parte di produttori e distributori, nonché da parte dei commercianti nei punti vendita di merci e prodotti.

 

In merito alla definizione di borse di plastica in materiale ultraleggero si fa notare che essa, in linea con la direttiva, restringe il proprio ambito a quelle “richieste a fini di igiene o fornite come imballaggio primario per alimenti sfusi” (la direttiva precisa inoltre “se ciò contribuisce a prevenire la produzione di rifiuti alimentari”; tale parte della norma europea non è riprodotta nella definizione in esame).

La norma sembra far riferimento, in particolare, ai sacchetti di plastica che nei supermercati vengono utilizzati per la frutta e la verdura e ai guanti di plastica usati per riporre tali prodotti nei sacchetti.

Si ricorda che, in base alla disciplina degli imballaggi dettata dal D.Lgs 152/2006, con il termine di “imballaggio” si intende il prodotto, composto di materiali di qualsiasi natura, adibito a contenere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a proteggerle, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all'utilizzatore, ad assicurare la loro presentazione, nonché gli articoli a perdere usati allo stesso scopo.

L’espressione “imballaggio primario” (o imballaggio per la vendita) fa invece riferimento ad un imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, un'unità di vendita per l'utente finale o per il consumatore.

Il punto 2) dell'allegato E alla parte quarta del D.Lgs. 152/2006 riporta i criteri interpretativi per la definizione di imballaggio ai sensi della direttiva 2004/12/CE ed una serie di esempi illustrativi di quali materiali debbano intendersi imballaggi in base a tali criteri.

Borse di plastica oxo-degradabili

La successiva lettera dd-sexies) riguarda invece le borse di plastica oxo-degradabili, definite come quelle borse di plastica composte da materie plastiche contenenti additivi che catalizzano la scomposizione della materia plastica in microframmenti.

Nel 18° considerando della direttiva 2015/720/UE viene sottolineato che “alcune borse di plastica sono indicate dai produttori come «oxo-biodegradabili» o «oxo-degradabili». In tali borse, nella plastica convenzionale sono incorporati degli additivi. Per effetto della presenza di detti additivi, col tempo la plastica si scompone in particelle minute che permangono nell'ambiente. È quindi fuorviante definire «biodegradabili» borse di questo tipo dal momento che potrebbero non essere una soluzione alla dispersione dei rifiuti ma potrebbero al contrario aumentare l'inquinamento”.

Si tratta di una posizione che sembra confermare quanto già in precedenza affermato dalla Commissione europea in risposta all’interrogazione parlamentare E-004217/2011.

Borse di plastica biodegradabili e compostabili

La nuova lettera dd-septies) dell’art. 218, inserita dalla lettera in esame, introduce la definizione di borse di plastica biodegradabili e compostabili, la cui commercializzazione è sempre consentita. Tale definizione fa riferimento alle borse di plastica certificate da organismi accreditati e rispondenti ai requisiti di biodegradabilità e di compostabilità, così come stabiliti dal Comitato europeo di normazione ed in particolare dalla norma tecnica UNI EN 13432:2002. Si tratta di una definizione che non trova corrispondenza nella direttiva 2015/720/UE e che è riferita alle borse di plastica di qualsiasi spessore.

Nella relazione illustrativa allo schema di decreto n. 357 si sottolinea che tale definizione, benché “non esplicitamente enunciata all'articolo l, paragrafo l, della direttiva”, è “indispensabile per una corretta attuazione della nuova disciplina europea”. In proposito, la relazione richiama, in primo luogo, il 16° considerando della direttiva stessa, secondo cui  “la norma europea EN 13432 relativa ai «Requisiti per imballaggi recuperabili attraverso compostaggio e biodegradazione - Schema di prova e criteri di valutazione per l'accettazione finale degli imballaggi» stabilisce le caratteristiche che un materiale deve possedere per essere considerato «compostabile»: poter essere riciclato attraverso un processo di recupero organico comprendente il compostaggio e la digestione anaerobica” e “la Commissione dovrebbe chiedere al Comitato europeo di normazione di definire una norma distinta per gli imballaggi da compostaggio domestico”. E’, altresì, richiamato il 17° considerando in base al quale “è importante che a livello di Unione vi sia un riconoscimento delle etichette o dei marchi per le borse di plastica biodegradabili e compostabili”.

La direttiva 2015/720/UE fa riferimento ai concetti di biodegradabilità e compostabilità in due punti, peraltro richiamati nella relazione illustrativa dello schema al fine di giustificare l’inserimento della definizione di “borse di plastica biodegradabili e compostabili”.  L’articolo 4, paragrafo 1-bis, della direttiva 94/62/CE, introdotto dall’articolo 1, numero 2), a proposito delle misure che gli Stati membri adottano per conseguire una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, ossia delle borse di plastica con uno spessore inferiore a 50 micron, specifica, tra l’altro, che tali misure possono variare in funzione delle loro proprietà di compostabilità. L’articolo 8-bis della direttiva 94/62/CE, introdotto dall’articolo 1, numero 3), prevede che, entro il 27 maggio 2017, la Commissione adotta un atto di esecuzione che stabilisce il disciplinare delle etichette o dei marchi per garantire il riconoscimento a livello di Unione delle borse di plastica biodegradabili e compostabili e per fornire ai consumatori le informazioni corrette sulle proprietà di compostaggio di tali borse. Al più tardi 18 mesi dopo l'adozione di tale atto di esecuzione, gli Stati membri assicurano che le borse di plastica biodegradabili e compostabili siano etichettate conformemente al disciplinare di cui a tale atto di esecuzione.

Si ricorda che l’art. 2 del D.L. 2/2012 ha escluso dal divieto di commercializzazione i “sacchi monouso per l'asporto merci realizzati con polimeri conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002”. La norma tecnica UNI EN 13432:2002 (intitolata “Imballaggi - Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione - Schema di prova e criteri di valutazione per l'accettazione finale degli imballaggi”) è la versione ufficiale in lingua italiana della norma tecnica europea EN 13432 (del settembre 2000) che specifica i requisiti e i procedimenti per determinare le possibilità di compostaggio e di trattamento anaerobico degli imballaggi e dei materiali di imballaggio.

L’Allegato II della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, recante i requisiti essenziali concernenti la composizione, la riutilizzabilità e la recuperabilità (in particolare la riciclabilità degli imballaggi), alle lettere c) e d) del punto 3 reca rispettivamente i seguenti requisiti per la recuperabilità degli imballaggi:

§  imballaggi recuperabili sotto forma di composti: si tratta dei rifiuti di imballaggio trattati per produrre compost, che devono essere sufficientemente biodegradabili in modo da non ostacolare la raccolta separata e il processo o l'attività di compostaggio in cui sono introdotti;

§  imballaggi "biodegradabili": si tratta dei rifiuti di imballaggio biodegradabili di natura tale da poter subire una decomposizione fisica, chimica, termica o biologica grazie alla quale la maggior parte del compost risultante finisca per decomporsi in biossido di carbonio, biomassa e acqua.

In base a quanto previsto dal paragrafo 2 dell’articolo 9 della citata direttiva, dalla data indicata nell'articolo 22, paragrafo 1, gli Stati membri presumono che siano soddisfatti tutti i requisiti essenziali in essa definiti, compreso l'Allegato II, quando gli imballaggi sono conformi:

a)  alle pertinenti norme armonizzate, i cui numeri di riferimento sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, prevedendo inoltre che gli Stati membri pubblicano i numeri di riferimento delle norme nazionali che recepiscono le norme armonizzate;

b)  alle pertinenti norme nazionali di cui al paragrafo 3, se, per i settori cui si riferiscono tali norme, non esistono norme armonizzate.

Il paragrafo 3 del medesimo articolo 9 prevede che gli Stati membri comunicano alla Commissione i testi delle norme nazionali che considerano conformi ai requisiti di cui all’articolo 9.

Si segnala che, con decisione della Commissione europea del 28 giugno 2001, è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 12 luglio 2001, n. L 190, il riferimento alla norma armonizzata EN 13432:2000 dal titolo “Imballaggi – requisiti per imballaggi recuperabili attraverso compostaggio e biodegradazione – schema di prova e criteri di valutazione per l’accettazione finale degli imballaggi”. Si tratta di una norma tecnica che nasce da un mandato specifico della Commissione europea al CEN (Comitato europeo di normalizzazione)  , che rientra tra gli organismi europei di normalizzazione di cui all’allegato I della direttiva 22 giugno 1998, n. 98/34/CE, relativa alla procedura di informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione.

Sui contenuti della norma tecnica citata, in risposta all’interrogazione 4/07537, pubblicata nell’allegato della seduta del 24 settembre 2015, il Ministro dell’ambiente ha richiamato un parere in merito alla nozione di «biodegradabilità» dei sacchi per asporto merci e alla valenza della norma UNI EN 13432:2002 emesso dall’ISPRA. Detto parere ha evidenziato che la norma armonizzata UNI EN 13432:2002, cui si riferisce il decreto ministeriale 18 marzo 2013 (attuativo dell’art. 2 del D.L. 2/2012) per individuare le sole tipologie di sacchetti monouso commercializzabili, «fornisce indicazioni sulla verifica della biodegradabilità dell'imballaggio, nonché della sua capacità di andare incontro a disintegrazione, solo in termini di biodegradazione controllata, di tipo aerobico o anaerobico, presso impianti di trattamento».

Altresì «la capacità di subire una degradazione per effetto di un processo di compostaggio rappresenta un elemento di valutazione della sua biodegradabilità in determinate condizioni, ma non può essere inteso come un criterio di valutazione assoluta. Una plastica può essere infatti biodegradabile ma non compostabile, ovvero potrebbe richiedere tempi di disintegrazione e degradazione più lunghi rispetto a quelli previsti dal processo di compostaggio (...). La norma UNI EN 13432:2002 individua quindi la biodegradabilità del materiale in riferimento ad una specifica modalità di trattamento dello stesso e non nei termini più generali di degradazione in qualsiasi condizione ambientale, quale ad esempio lo smaltimento incontrollato».

Lo stesso Ministro ha ricordato che ISPRA conclude il proprio parere affermando che «quanto riportato nella norma UNI EN 13432.2002, pur rappresentando un criterio di valutazione della biodegradabilità in determinate condizioni e non un criterio assoluto di valutazione della stessa, può comunque costituire un valido approccio di verifica, tenuto conto che l'imballaggio monouso biodegradabile e compostabile è tipicamente destinato, al termine del suo ciclo di vita, agli impianti di trattamento biologico o meccanico-biologico dei rifiuti» e precisando che «gli unici criteri di verifica della biodegradabilità dei sacchi monouso per l'asporto di merci risultano essere quelli stabiliti alla norma UNIEN 13432:2002».

Comma 1, lettera c) (Informazione ai consumatori)

La lettera c) modifica il comma 3 dell'articolo 219 del D.Lgs. 152/2006, introducendovi nuove disposizioni.

La norma novellata mira a responsabilizzare gli operatori economici - in omaggio ai principi generali "chi inquina paga" e di responsabilità condivisa - facendo sì che essi forniscano agli utenti degli imballaggi, ed in particolare ai consumatori, informazioni: sui sistemi di restituzione, raccolta e recupero disponibili; sul ruolo degli utenti medesimi nel processo di riutilizzazione, recupero e riciclaggio; sul significato dei marchi apposti sugli imballaggi; sugli elementi significativi dei programmi di gestione per imballaggi e rifiuti.

La proposta in esame intende integrare le informazioni che devono essere rese, introducendo i seguenti ulteriori elementi:

1)  l'impatto delle borse di plastica sull'ambiente e le misure necessarie al raggiungimento dell'obiettivo di riduzione del loro utilizzo (nuova lettera d-bis);

2)  la sostenibilità dell'utilizzo di borse di plastica biodegradabili e compostabili (nuova lettera d-ter);

3)  l'impatto delle borse "oxo-degradabili", come definito dalla Commissione europea (nuova lettera d-quater).

L'articolo 3, par. 1-sexies, della direttiva 94/62/CE definisce le borse di plastica oxo-degradabili come quelle "composte da materie plastiche contenenti additivi che catalizzano la scomposizione della materia plastica in microframmenti". La medesima definizione è inserita nel D.Lgs. 152/2006, ad opera del comma 1, lett. b), dell'articolo in esame (nuova lettera dd-sexies) dell'art. 218, comma 1).

L'art. 20-bis, par. 2, della direttiva 94/62/CE rinvia a una relazione della Commissione UE, da elaborare entro il 27 maggio 2017, l’esame dell'impatto dell'uso delle borse di plastica oxo-degradabili sull'ambiente. Il medesimo articolo autorizza anche la Commissione, ove opportuno, a presentare una proposta legislativa in materia. Nel par. 18 delle premesse alla direttiva 2015/720, si specifica che la relazione della Commissione potrebbe comprendere una serie di misure volte a limitare l'utilizzo, o a ridurre l'impatto nocivo, delle borse medesime.

Si ricorda in proposito che il Parlamento europeo, nella propria risoluzione del 14 gennaio 2014 su una strategia europea per i rifiuti di plastica nell'ambiente (2013/2113(INI), par. 7) ha chiesto la proibizione o il graduale ritiro dal mercato, entro il 2020, delle plastiche oxo-biodegradabili in virtù del pericolo che esse costituiscono sia per la salute umana che per l'ambiente.

Comma 1, lettera d) (Identificazione dei produttori)

La lettera d) aggiunge un ulteriore comma 3-bis all'articolo 219 del D.Lgs. 152/2006, ai sensi del quale i produttori delle borse di plastica ammesse alla commercializzazione devono apporre su di esse i propri elementi identificativi.

I produttori di  borse di plastica - di cui ai nuovi articoli 226-bis e 226-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, inseriti dall’articolo in esame – dovranno altresì apporvi "diciture idonee ad attestare che le borse prodotte rientrino in una delle tipologie commercializzabili", fatte salve le certificazioni previste nei predetti articoli.

In particolare, si prevede l'applicazione del disciplinare delle etichette o dei marchi - previsto dall'articolo 8-bis della direttiva 94/62/CE - alle borse biodegradabili e compostabili.

Di tale disciplinare è prevista l'adozione da parte della Commissione europea entro il 27 maggio 2017 tramite un atto di esecuzione.

Il documento in questione avrà la finalità di garantire il riconoscimento a livello di Unione delle borse di plastica biodegradabili e compostabili e di fornire ai consumatori le informazioni corrette sulle loro proprietà di compostaggio.

L'articolo 8-bis, par. 2, della medesima direttiva 94/62/UE  incarica gli Stati membri di assicurare che al più tardi 18 mesi dopo l'adozione del disciplinare le borse di plastica biodegradabili e compostabili siano etichettate conformemente ad esso.

Comma 1, lettera e) (Obbligo di relazione sull'utilizzo delle borse di plastica)

La lettera e) aggiunge un nuovo articolo 220-bis al D.Lgs. 152/2006, al fine di far fronte all'obbligo, che grava sugli Stati membri ai sensi dell'articolo 4, par. 1-bis, comma 5 della direttiva 94/62/CE, di riferire alla Commissione europea sull'utilizzo annuale di borse di plastica di materiale leggero.

La metodologia per il calcolo dell'utilizzo annuale avrebbe dovuto essere adottata tramite un atto di esecuzione della Commissione europea entro il 27 maggio 2016, che non sembrerebbe essere stato adottato come risulta dal sito della Commissione europea.

 

Il comma 1 della nuova norma incarica il Consorzio nazionale degli imballaggi (CONAI) di acquisire dai produttori e dai distributori di borse di plastica i dati necessari ad elaborare una relazione annuale.

Si evidenzia che il testo dell'articolo 220-bis fa riferimento ad una "relazione annuale", mentre l’articolo 4, paragrafo 1-bis della direttiva 94/62/CE prevede che si riferisca "sull'utilizzo annuale di borse di plastica di materiale leggero".

In realtà, l'articolo 4, paragrafo 1-bis, comma 5, della direttiva 94/62/CE specifica che i dati sull'utilizzo annuale di buste di plastica vanno forniti alla Commissione europea contestualmente a quelli sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio ex articolo 12 della medesima direttiva. Quest'ultimo specifica -  al paragrafo 5 - che i dati "sono forniti con le relazioni nazionali" relative all'attuazione della direttiva 94/62/CE[26].

 

Il Consorzio nazionale degli imballaggi è stato istituito dall'art. 224 del D.Lgs. 152/2006, con la finalità di raggiungere gli obiettivi globali di recupero e di riciclaggio e di garantire il necessario coordinamento dell'attività di raccolta differenziata. Al consorzio - che ha personalità giuridica di diritto privato senza fine di lucro - partecipano in forma paritaria i produttori assieme agli utilizzatori.

 

Il Consorzio dovrà quindi comunicare i dati in questione alla Sezione nazionale del Catasto rifiuti per via telematica, utilizzando il modello unico di dichiarazione ambientale (MUD) istituito dalla L. 70/1994. Del modello medesimo, peraltro, la norma in esame prevede un'ulteriore modifica, al fine di inserirvi i dati relativi alle borse di plastica.

Si ricorda che la procedura espressamente prevista dall'articolo 6, comma 2-bis, della citata legge n. 70 del 1994, prevede che modifiche ed integrazioni al modello unico di dichiarazione ambientale siano disposte con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Al riguardo, si rileva che, sul piano della formulazione, può essere opportuno prevedere esplicitamente l'adozione di un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri finalizzato alla modifica in parola ai sensi della previsione normativa in materia.

 

Il Catasto dei rifiuti è disciplinato dall'art. 189 del D.Lgs. 152/2006. E' articolato in una Sezione nazionale, che ha sede a Roma presso l'ISPRA, e in Sezioni regionali o delle province autonome di Trento o Bolzano presso le corrispondenti Agenzie per la protezione dell'ambiente. E' incaricato di assicurare un quadro conoscitivo completo e costantemente aggiornato dei dati acquisiti tramite il Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI, v. art. 188-bis del medesimo decreto) in maniera tale che la tracciabilità dei rifiuti sia garantita dalla loro produzione sino alla destinazione finale.

 

In relazione all'ambito applicativo della norma, si prevede che le informazioni raccolte riguardano le buste di plastica la cui definizione è contenuta nel comma 1, lettera b) dell'articolo in esame (a cui si rinvia): borse di plastica (articolo 218, comma 1, lettera dd-ter);  borse di plastica in materiale leggero (articolo 218, comma 1, lettera dd-quater); borse di plastica in materiale ultraleggero (articolo 218, comma1, lettera dd-quinquies); borse di plastica oxo-degradabili (articolo 218, comma 1, lettera dd-sexies); borse di plastica biodegradabili e compostabili (articolo 218, comma 1, lettera dd-septies).

 

Il comma 2 specifica che i dati così forniti saranno elaborati dall'ISPRA in attuazione della metodologia di calcolo dell'utilizzo annuale pro capite di borse di plastica e dei modelli di segnalazione adeguati dalla Commissione europea ai sensi del citato articolo 4, paragrafo 1-bis, della direttiva 94/62/CE.

Dal 27 maggio 2018 i dati relativi all'utilizzo annuale di borse di plastica in materiale leggero saranno comunicati alla Commissione europea con la relazione sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio in conformità all'articolo 12 della medesima direttiva.

Si ricorda che l'articolo 12 incarica gli Stati membri di costituire, laddove non esistano ancora, basi di dati armonizzate sugli imballaggi ed i rifiuti di imballaggio (par. 1), da allegare alle relazioni nazionali (par. 5).

Comma 1, lettera f) (Campagne informative del CONAI sull'utilizzo delle borse di plastica)

La lettera f) integra le funzioni del Consorzio nazionale imballaggi (CONAI), al fine di aggiungere alla tipologia delle campagne di informazione che tale organismo è chiamato a organizzare in accordo con le pubbliche amministrazioni (articolo 224, comma 3, lett. g), specifiche campagne di educazione ambientale e di sensibilizzazione dei consumatori sull'impatto delle borse di plastica sull'ambiente.

In particolare, si prevede la diffusione di informazioni riguardanti: l'impatto delle borse di plastica sull'ambiente e le misure necessarie al raggiungimento dell'obiettivo di riduzione del loro utilizzo; la sostenibilità dell'utilizzo di borse di plastica biodegradabili e compostabili; l'impatto delle borse "oxo-degradabili".

Al riguardo, si fa infatti riferimento al novellato articolo 219 del codice dell'ambiente, per effetto del comma 1, lettera c), dell'articolo in esame.

Comma 1, lettera g) (Misure restrittive per la commercializzazione delle borse di plastica)

La lettera g) introduce una serie di misure restrittive per la commercializzazione delle borse di plastica (nuovi articoli 226-bis) e 226-ter) del D.Lgs. 152/2006, c.d. Codice dell’ambiente).

Divieti di commercializzazione delle borse di plastica (nuovo art. 226-bis del D.Lgs. 152/2006)

Il comma 1 dell’art. 226-bis riprende i divieti di commercializzazione già previsti (ma di fatto mai applicati), per alcuni tipi di borse di plastica, dalla legislazione nazionale vigente (art. 2, comma 2, del D.L. 2/2012).

Si ricorda che il criterio di delega contemplato dalla lettera a) del comma 2 dell’art. 4 della L. 170/2016 prevedeva che venisse garantito il medesimo livello di tutela ambientale assicurato dalla legislazione già adottata in materia, prevedendo il divieto di commercializzazione, le tipologie delle borse di plastica commercializzabili e gli spessori già stabiliti.

L’art. 1, punto 2), della direttiva 2015/720/UE, che introduce il paragrafo 1-bis dell’art. 4 nella direttiva 94/62/CE, nel prevedere l’adozione da parte degli Stati membri delle misure necessarie per una riduzione sostenuta dell'uso di borse di plastica in materiale leggero (cioè con uno spessore inferiore a 50 micron), dispone che tali misure possono comprendere il mantenimento o l'introduzione di strumenti economici, nonché restrizioni alla commercializzazione in deroga all'art. 18 (il quale vieta agli Stati membri di ostacolare l'immissione sul mercato, nel loro territorio, di imballaggi conformi alle norme dell’UE), purché dette restrizioni siano proporzionate e non discriminatorie.

Secondo la relazione illustrativa allo schema n. 357, tale possibilità di introdurre restrizioni alla commercializzazione deve ritenersi consentita per qualsiasi tipo di borse di plastica, indipendentemente dal loro spessore, in base a quanto stabilito dall'articolo 4, paragrafo 1-ter, della direttiva 94/62/CE” (introdotto dal punto 2) dell’art. 1 della direttiva 2015/720/UE). Tale paragrafo prevede che gli Stati membri possono adottare misure tra cui (such as nella versione inglese della direttiva, telles ques nella versione francese della direttiva) strumenti economici e obiettivi di riduzione nazionali in ordine a qualsiasi tipo di borse di plastica, indipendentemente dal loro spessore, fatto salvo quanto prevede l’articolo 15 della direttiva 94/62/CE che consente l’adozione di misure per la promozione degli obiettivi della direttiva da parte del Consiglio o degli Stati membri. La medesima relazione illustrativa precisa che “l'esclusione prevista nel testo originario della direttiva, per cui, sempre rispetto ai sacchi sopra i 50 micron, potevano adottarsi misure di riduzione, ma "with the exception of marketing restrictions", è stata successivamente eliminata e non compare nella versione finale della direttiva europea. A seguito delle modifiche concordate è stata consolidata la versione finale dell'articolo l-ter della direttiva, successivamente validata in sede di trilogo, con la eliminazione della eccezione che escludeva la possibilità per gli Stati Membri di mantenere o introdurre divieti di commercializzazione (ovvero marketing restrictions nella versione inglese) per le borse di plastica con spessore superiore ai 50 micron”. Si fa presente, peraltro, che nel testo della proposta di direttiva approvato dalla Commissione (COM(2013)0761) la disposizione di cui al comma 1-ter non era presente.

 

Dai divieti introdotti restano escluse le borse di plastica biodegradabili e compostabili, cioè – in base alla definizione recata dalla lettera b) dell’articolo in esame – le borse di plastica certificate da organismi accreditati e conformi ai requisiti di biodegradabilità e di compostabilità stabiliti dal Comitato europeo di normazione, ed in particolare  dalla norma tecnica UNI EN 13432:2002, in linea con quanto già previsto dalla normativa vigente.

Si ricorda che l’art. 2, comma 1, del D.L. 2/2012 esclude dal divieto di commercializzazione i sacchi monouso per l'asporto merci realizzati con polimeri conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002, secondo certificazioni rilasciate da organismi accreditati.

 

La seguente tabella schematizza i differenti regimi di commercializzazione delineati dalla norma in esame, che riprendono nella sostanza quelli previsti (seppur mai applicati) dalla legislazione vigente:

 


Borse di plastica

Spessore (della singola parete)
e caratteristiche

Commercializzazione consentita?

? Borse biodegradabili e compostabili

qualunque spessore, certificate da organismi accreditati e rispondenti ai requisiti di biodegradabilità e di compostabilità, così come stabiliti dal Comitato europeo di normazione ed in particolare dalla norma EN 13432 recepita con la norma nazionale UNI EN 13432:2002

? Borse in materiale leggero

spessore < 50 micron e fornite per il trasporto (lett. b) dell'articolo in esame, capoverso art. 218, comma 1, lett. dd-quater)

? Borse riutilizzabili con maniglia esterna alla dimensione utile del sacco

? spessore > 200 micron e con almeno 30% di plastica riciclata, fornite, come imballaggio per il trasporto, in esercizi che commercializzano generi alimentari;

? spessore > 100 micron e con almeno 10% di plastica riciclata, fornite, come imballaggio per il trasporto, in esercizi che commercializzano esclusivamente merci e prodotti diversi dai generi alimentari.

? Borse riutilizzabili con maniglia interna alla dimensione utile del sacco

? spessore > 100 micron e con almeno 30% di plastica riciclata, fornite, come imballaggio per il trasporto, in esercizi che commercializzano generi alimentari;

? spessore > 60 micron e con almeno 10% di plastica riciclata, fornite, come imballaggio per il trasporto, in esercizi che commercializzano esclusivamente merci e prodotti diversi dai generi alimentari.

? Altre borse di plastica non rispondenti alle caratteristiche
           indicate ai punti 3) e 4) della presente tabella

 

A differenza della normativa vigente la norma in esame non fa riferimento all’uso (alimentare o meno) delle borse di plastica, ma al tipo di esercizio che le fornisce come imballaggio per il trasporto, distinguendo tra esercizi che commercializzano (anche) generi alimentari (come ad esempio i supermercati) ed esercizi che commercializzano esclusivamente merci e prodotti diversi dai generi alimentari.

 

Il successivo comma 2 del nuovo art. 226-bis dispone che le borse di plastica commercializzabili, sulla base dei criteri dettati dal comma 1, non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o dalla fattura d'acquisto delle merci o dei prodotti trasportati per il loro tramite.

Si consideri che il paragrafo 1-bis dell’art. 4 della direttiva 94/62/CE (introdotto dall’art. 1, punto 2) della direttiva 2015/720/UE), prevede, tra l’altro, che le misure adottate dagli Stati membri (per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'uso di borse di plastica in materiale leggero) includono, tra le opzioni, l’adozione di strumenti atti ad assicurare che, entro il 31 dicembre 2018, le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti vendita di merci o prodotti, salvo che siano attuati altri strumenti di pari efficacia.

Riduzione della commercializzazione delle borse di plastica in materiale ultraleggero (nuovo art. 226-ter del D.Lgs. 152/2006)

I commi 1 e 2 dell’art. 226-ter perseguono la riduzione della commercializzazione delle borse di plastica in materiale ultraleggero, prevedendo che siano commercializzabili solo le borse di plastica “biodegradabili e compostabili” e con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile.

Tale obiettivo viene perseguito in maniera progressiva fissando un contenuto di minimo di materia prima rinnovabile (MPR) sempre più elevato al passare del tempo, secondo quanto previsto dal comma 2:

§  dal 1° gennaio 2018, possono essere commercializzate esclusivamente le borse biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di MPR non inferiore al 40%;

§  dal 1° gennaio 2020, possono essere commercializzate esclusivamente le borse biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di MPR non inferiore al 50%;

§  dal 1° gennaio 2021, possono essere commercializzate esclusivamente le borse biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di MPR non inferiore al 60%.

 

Si ricorda, anche in relazione a tale disposizione, il disposto dell’art. 4, paragrafo 1-bis, della direttiva 94/62/CE (introdotto dall’art. 1, punto 2) della direttiva 2015/720/UE) in base al quale gli Stati membri adottano le misure necessarie per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, che possono comprendere, tra l’altro, restrizioni alla commercializzazione (purché dette restrizioni siano proporzionate e non discriminatorie). Il successivo paragrafo 1-ter consente agli Stati membri di adottare misure, tra cui strumenti economici e obiettivi di riduzione nazionali, in ordine a qualsiasi tipo di borse di plastica, indipendentemente dal loro spessore.

 

Il comma 3 contempera i vincoli alla commercializzazione introdotti dai commi precedenti con gli obblighi derivanti dalla normativa a tutela della salute dei consumatori relativa all'utilizzo dei materiali destinati al contatto con gli alimenti.

A tal fine vengono fatti comunque salvi:

§  l’obbligo di conformità alla normativa sull’utilizzo dei materiali destinati al contatto con gli alimenti (c.d. MOCA), adottata in attuazione dei regolamenti (UE) 10/2011 (con specifico riferimento alle materie plastiche), (CE) 1935/04 (relativo alla disciplina generale) e (CE) 2023/06 (relativo alle buone pratiche di fabbricazione);

§  nonché il divieto di utilizzare la plastica riciclata per le borse destinate al contatto alimentare (previsto dall’art. 13 del D.M. 21 marzo 1973).

Il D.M. Sanità 21 marzo 1973 (recante “Disciplina igienica degli imballaggi, recipienti, utensili, destinati a venire in contatto con le sostanze alimentari o con sostanze d'uso personale” e pubblicato nella G.U. 20 aprile 1973, n. 104, S.O.) vieta l’impiego, per la preparazione di oggetti in materia plastica destinati a venire in contatto con alimenti, di materie plastiche di scarto e di oggetti di materiale plastico già utilizzati.

 

Il comma 4 disciplina le modalità per la determinazione, da parte degli organismi accreditati, del contenuto minimo di materia prima rinnovabile che le borse di plastica in materiale ultraleggero devono possedere per poter essere commerciabili.

La norma prevede che tale contenuto sia calcolato come rapporto tra la percentuale del carbonio di origine biologica presente nella borsa ed il carbonio totale presente nella stessa, utilizzando lo standard internazionale vigente in materia di determinazione del contenuto di carbonio a base biologica nella plastica ovvero lo standard UNI CEN/TS 16640.

 

Il comma 5, in analogia con quanto previsto dal comma 2 dell’art. 226-bis per le borse di plastica, introduce il divieto di fornitura a titolo gratuito delle borse di plastica ultraleggere.

Il paragrafo 1-bis dell’art. 4 della direttiva 94/62/CE consente agli Stati membri di escludere le borse di plastica in materiale ultraleggero dalle misure volte ad assicurare i target annuali di utilizzo delle borse di plastica e dagli strumenti atti ad assicurare che, entro il 31 dicembre 2018, le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti vendita di merci o prodotti.

 

Comma 1, lettera h) (Sanzioni)

La lettera h), novellando l'articolo 261 del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell'ambiente), stabilisce le sanzioni comminate a chi violi le disposizioni contenute negli articoli 226-bis e 226-ter di nuova introduzione. In particolare, si prevede l'aggiunta di tre commi all'art. 216 del Codice[27]:

1)  il nuovo comma 4-bis, che prevede l'introduzione di una sanzione amministrativa pecuniaria in caso di violazione delle disposizioni in materia di commercializzazione delle borse di plastica (articolo 226-bis) o di riduzione della commercializzazione delle borse in materiale ultraleggero (articolo 226-ter). In particolare, si prevede il pagamento di una somma da 2.500 a 25.000 euro, sulla scorta di quanto prevede il comma 4 dell’art. 2 del D.L. 2/2012, che viene abrogato dal comma 3 dell’articolo in esame;

2)  il nuovo comma 4-ter, ai sensi del quale la sanzione amministrativa (di cui al comma precedente) è aumentata fino al quadruplo del massimo se la violazione del divieto riguarda:

§  ingenti quantitativi di buste di plastica;

§  oppure un valore di queste ultime superiore al dieci per cento del fatturato del trasgressore;

§  nonché qualora i produttori usino diciture o altri mezzi finalizzati ad eludere gli obblighi posti dagli articoli 226-bis e 226-ter.

Anche la disciplina vigente (recata dall’art. 2 del D.L. 2/2012) dispone che le predette sanzioni si applichino nel caso in cui la violazione dei divieti riguardi quantità ingenti di sacchetti per l’asporto, mentre – a differenza della norma in esame – la fattispecie relativa al superamento del valore della merce rispetto al fatturato del trasgressore è riferita a una percentuale del 20%.

Al riguardo si evidenzia come la prima delle fattispecie aggravanti citate, faccia riferimento ad un paramento – come il riferimento a 'ingenti quantitativi' di buste di plastica – che assume carattere generico.

La relazione illustrativa dell'Atto del Governo n. 357 specifica che si è fatto ricorso all'espressione "ingenti quantitativi" in analogia al vigente art. 260 del D.Lgs. 152/2006, ai sensi del quale: "Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni".

La relazione rileva che una formula analogamente "aperta" è, inoltre, altresì utilizzata in alcuni articoli del codice penale: la "rilevante gravità" del danno patrimoniale (articolo 61, comma 7) o la "speciale tenuità" del danno o del lucro (articolo 62, comma 4).

3)  il comma 4-quater specifica che le sanzioni introdotte nei due commi precedenti sono applicate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689 e che gli organi di polizia amministrativa, d'ufficio o previa denunzia, provvedono all'accertamento delle violazioni. Viene esplicitamente fatto salvo il disposto dell'articolo 13 della citata legge n. 689 del 1981.

Il capo I (articoli 1-43) della L. 698/1981 ("Modifiche al sistema penale") è dedicato alle Sanzioni amministrative e vi viene dettato il quadro di riferimento entro cui inquadrare le sanzioni medesime. In particolare l'art. 13 autorizza gli organi addetti al controllo sull'osservanza delle norme per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro a:

§  assumere informazioni e procedere a ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora, a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica (comma 1);

§  procedere al sequestro cautelare delle cose che possono formare oggetto di confisca amministrativa, nei modi e con i limiti in cui il codice di procedura penale consente il sequestro della polizia giudiziaria (comma 2).

Ai sensi del comma 4 gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria - oltre a poter anch'essi accertare violazioni punite con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro - possono altresì procedere a perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora, previa autorizzazione motivata del pretore del luogo in cui le perquisizioni dovranno essere effettuate. Tale possibilità è prevista "quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova. Sono fatti comunque salvi gli specifici poteri di accertamento previsti dalle leggi vigenti (comma 5).

Comma 2 (Disposizioni finanziarie)

La norma reca la clausola di invarianza finanziaria delle disposizioni dettate dall'articolo in esame.

Comma 3 (Disposizioni finali)

La norma dispone l'abrogazione, a decorrere dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge in esame, della disciplina vigente relativa al divieto di commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l'asporto delle merci, contenuta nelle seguenti disposizioni:

§  commi 1129, 1130 e 1131 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006.

§  art. 2 del decreto-legge n. 2 del 2012.

Per un esame dei contenuti delle disposizioni abrogate, si rinvia alla disamina contenuta nella premessa “Le norme nazionali sulla commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabile” al dossier relativo allo schema n. 357.

 


 

Articolo 9-ter
(
Disposizioni per l'utilizzo delle disponibilità residue alla chiusura delle contabilità speciali in materia di protezione civile
e trasferite alle Regioni
)

 

 

L’articolo 9-ter contiene disposizioni per l'utilizzo delle disponibilità residue alla chiusura delle contabilità speciali in materia di protezione civile e trasferite alle Regioni.

 

L'emendamento 9.0.3 (testo 2) inserisce un articolo aggiuntivo 9?bis. con il quale si stabilisce che le Regioni sono tenute a conseguire un valore positivo del saldo previsto dall'articolo 1, comma 466, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, di importo pari alla differenza tra le risorse accertate nel 2017 per le risorse riversaste alle Regioni a seguito della chiusura delle contabilità speciali in materia di Protezione civile, ai sensi dell'articolo 7, comma 4, del decreto legislativo 12 maggio 2016, n. 90, e i correlati impegni dell'esercizio 2017.

Conseguentemente, negli esercizi dal 2018 al 2020, il predetto obiettivo di saldo è ridotto di un importo pari agli impegni correlati alle risorse accertate di cui al periodo precedente, fermo restando il conseguimento di un saldo non negativo.».

La norma è volta a favorire l'utilizzo delle risorse derivanti alla chiusura delle contabilità speciali di cui all'articolo 5, commi 4?ter e 4?quater, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, secondo le procedure ordinarie di spesa.

 

I commi citati della Legge. 24/02/1992, n. 225, concernente l'istituzione del Servizio nazionale della protezione civile hanno affidato al Capo del Dipartimento della protezione civile l'emanazione di apposita ordinanza volta a favorire e regolare il subentro dell'amministrazione pubblica competente in via ordinaria a coordinare gli interventi, conseguenti all'evento, che si rendono necessari successivamente alla scadenza del termine di durata dello stato di emergenza. Con tale ordinanza poteva essere individuato, nell'ambito dell'amministrazione pubblica competente a coordinare gli interventi, il soggetto cui viene intestata la contabilità speciale appositamente aperta per l'emergenza in questione, per la prosecuzione della gestione operativa della stessa, per un periodo di tempo determinato ai fini del completamento degli interventi previsti dalle ordinanze già adottate. Per gli ulteriori interventi da realizzare secondo le ordinarie procedure di spesa con le disponibilità che residuano alla chiusura della contabilità speciale, le risorse ivi giacenti sono trasferite alla regione o all'ente locale ordinariamente competente ovvero, ove si tratti di altra amministrazione, sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione. Le risorse di cui al periodo precedente, e le relative spese, non rilevano ai fini dei vincoli finanziari a cui sono soggetti le regioni e gli enti locali.


 

Articolo 9-quater
(
Disposizioni concernenti i servizi di trasporto pubblico locale)

 

 

L’articolo 9-quater, introdotto dal Senato, reca modifiche in materia di trasferimento del personale dipendente di aziende operanti nel settore del trasporto pubblico locale, nonché di utilizzo di agenti accertatori per la prevenzione dell'evasione tariffaria.

 

L'articolo in esame (comma 1) interviene in primo luogo novellando il comma 7, lettera e) dell'articolo 48, del decreto-legge n. 50 del 2017.

 

L’articolo 48 del DL n. 50 del 2017, come modificato in sede di conversione, reca, da un lato, disposizioni (commi da 1 a 8) relative all’organizzazione del trasporto pubblico locale e regionale, specificando le procedure per la determinazione dei bacini di mobilità riferibili a tale servizio e, dall'altro, misure (commi da 9 a 13) volte a contrastare l'evasione tariffaria e a migliorare la qualità del servizio.

In particolare il comma 7, lettera e), dell’articolo 48, nella sua formulazione vigente, attribuisce all’Autorità di regolazione dei trasporti, in tema di procedure per l’affidamento di servizi di trasporto pubblico locale e regionale, il potere di intervenire, con attività di regolazione generale, richiedendo che nei bandi di gara sia previsto il trasferimento del personale dipendente non dirigenziale dal gestore uscente al subentrante e la conservazione, fino alla stipula di un nuovo contratto integrativo aziendale, del trattamento economico e normativo derivante esclusivamente dal contratto collettivo nazionale di settore. Il trattamento di fine rapporto relativo ai dipendenti del gestore uscente che transitano alle dipendenze del soggetto subentrante sono versati all’INPS dal gestore uscente.

 

La disposizione, come riscritta nel testo licenziato dal Senato, prevede che nei bandi di gara sia previsto il trasferimento senza soluzione di continuità di tutto il personale dipendente non dirigenziale dal gestore uscente al subentrante e che sia applicato in ogni caso al personale il contratto collettivo nazionale di settore e il contratto di secondo livello o territoriale applicato dal gestore uscente, nel rispetto delle garanzie minime disciplinate all'articolo 3, paragrafo 3, secondo periodo, della Direttiva 2001/23/CE.

 

Il paragrafo 3 dell'articolo 3 della direttiva 2001/23/CE (concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti) prevede che dopo il trasferimento, il cessionario sia tenuto a mantenere le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest'ultimo per il cedente fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell'entrata in vigore o dell'applicazione di un altro contratto collettivo. Al secondo periodo la disposizione precisa che gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni di lavoro, purché esso non sia inferiore ad un anno.

 

L'articolo (comma 2) modifica poi il comma 6 dell'articolo 71 del D.P.R. n. 753 del 1980 (Nuove norme in materia di polizia, sicurezza e regolarità dell'esercizio delle ferrovie e di altri servizi di trasporto), prevedendo che i gestori del trasporto pubblico possano avvalersi di agenti accertatori, solo previa verifica della possibilità di reimpiegare efficacemente con tali mansioni il personale dipendente dichiarato non idoneo.

 

Il comma 6 dell'articolo 71 del d.P.R. n. 753 del 1980 è stato introdotto dall’articolo 48, comma 12, del decreto-legge n. 50 del 2017. Nella sua formulazione vigente dispone - in funzione di contrasto al fenomeno dell'evasione tariffaria - che i gestori del trasporto pubblico possano avvalersi di soggetti non appartenenti agli organici del gestore medesimo, qualificabili come agenti accertatori. Gli agenti accertatori, nei limiti del servizio a cui sono destinati, rivestono la qualità di pubblico ufficiale. A questi sono riconosciuti, tra l'altro, i poteri di identificazione dei trasgressori e gli atti di accertamento delle violazioni.


 

Articolo 9-quinquies
(Rapporto di lavoro del trasporto pubblico locale)

 

 

L’articolo 9-quinquies, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede la riviviscenza di specifiche norme che regolamentano lo stato giuridico ed economico del personale del trasporto pubblico locale, di recente abrogate dall’articolo 27, comma 12-quinquies, del D.L. 50/2017.

Tale ultima disposizione ha abrogato, a far data dal primo rinnovo del contratto di lavoro del settore del trasporto locale (e comunque non oltre un anno dall’entrata in vigore del medesimo D.L. 50/2017, cioè il 24 aprile 2018), il R.D. 148/1931, la L. 628/1952, e la L. 1054/1960, concernenti, rispettivamente, il trattamento giuridico ed economico: a) del personale delle ferrovie, tranvie e servizi di navigazione interna in regime di concessione; b) del personale delle filovie urbane ed extra urbane e delle autolinee urbane; c) del personale degli autoservizi extra urbani.

 

Lo stato giuridico ed economico del rapporto di lavoro del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione è disciplinato dal D.L. 148/1931; successivamente tale normativa è stata estesa al personale delle filovie urbane ed extra urbane e delle autolinee urbane (L. 628/1952) e al personale degli extra urbani (L.1054/1960).

In particolare, il R.D. 148/1931, non tenendo conto delle deroghe operate dalla contrattazione collettiva, tratta in maniera articolata il rapporto di lavoro subordinato delle categorie individuate, con la peculiarità di rivolgersi ad uno specifico settore al tempo facente parte della P.A.. In particolare, il provvedimento reca anche il Regolamento sullo stato giuridico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione (Allegato A), il quale disciplina in maniera specifica determinati aspetti del rapporto di lavoro, quali le assunzione e le progressioni di carriera, le fattispecie retributive, le assenze, licenziamenti e dimissioni, disposizioni disciplinari e previdenziali, nonché specifici benefit legati alla specificità del rapporto di lavoro (quali, ad esempio, la concessione di tariffe scontate o altri benefici per istruzione, ragioni di cura o altre ragioni giustificatrici).

In seguito, l’articolo 1, comma 2, della L. 270/1988 (attuativa del C.C.N.L. del personale autoferrotranviario ed internavigatore per il triennio 1985-1987) ha disposto che le disposizioni contenute nell’Allegato A allo stesso D.L. 148/1931 (concernenti il Regolamento sullo stato giuridico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), comprese le norme di legge modificative, sostitutive ed aggiuntive a tale regolamento, potessero essere derogate dalla contrattazione nazionale di categoria.

Si ricorda, inoltre, che la permanenza in vigore delle norme citate (R.D. 148/1931, la L. 628/1952, e la L. 1054/1960) è stata ritenuta indispensabile dall’articolo 1, comma 1, del D.Lgs. 179/2009 (cd. decreto taglia-leggi, contenente le disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, ai sensi della L. 246/2005), che ne ha quindi (attraverso l’inserimento nell’Allegato 1) escluso l’abrogazione.

Da ultimo, l’articolo 27, comma 12-quinquies, del decreto-legge 50/2017, a far data dal primo rinnovo del contratto di lavoro del settore del trasporto locale (e comunque non oltre un anno dall’entrata in vigore del medesimo D.L. 50/2017), ha abrogato il R.D. 148/1931, la L. 628/1952 e la L. 1054/1960

Infine, si segnala che la questione è stata oggetto di una recente interrogazione a risposta immediata in Commissione (interrogazione 5-11909, on. Dell’Orco, discussa presso la XI Commissione Trasporti della Camera dei deputati nella seduta 20 luglio 2017), nella quale si sottolineano le criticità che deriverebbero dall’abrogazione del R.D. 148/1931. In particolare, nell’interrogazione si evidenzia come “l'abolizione del decreto significa scardinare la concezione pubblicistica dei servizi pubblici attraverso la possibilità di applicare ai rapporti di lavoro degli autoferrotranvieri la più flessibile disciplina del rapporto di lavoro subordinato come disciplinato nelle recenti riforme”.

In particolare, prosegue l’interrogazione, “l'abrogato allegato A, in tema di licenziamento, riconosceva al datore di lavoro il potere di «procedere ai necessari esoneri di agenti nelle qualifiche in cui risultino le eccedenze», nell'ipotesi di «riduzione di posti per limitazione, semplificazione o soppressione di servizi, debitamente dichiarata dall'autorità governativa», con obbligo di répéchage anche per mansioni inferiori. In tali settori troverà applicazione la nuova formulazione della disciplina sui licenziamenti illegittimi come modificato dalla recente riforma del Jobs Act, quella sul contratto di lavoro a tempo indeterminato e sulla nuova forma di previdenza ed assistenza sociale”.

L’interrogazione, infine, sottolinea che “una privatizzazione totale come quella che sembra promuovere il Governo potrebbe non dare la garanzia di continuità di quei servizi; la politica del trasporto pubblico locale del Governo sembrerebbe dunque focalizzata maggiormente sulla tutela della concorrenza e degli aspetti aziendali, perdendo così di vista la tutela della mobilità che dovrebbe essere garantita per ogni cittadino”.

Nella risposta all’interrogazione il Ministero dei trasporti ha evidenziato, che “L'efficacia abrogativa della previsione non è immediata ma subordinata al rinnovo del CCNL di settore o, in mancanza di questo, al trascorrere di un anno dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto n.50 del 2017. In altri termini, il regio decreto n.148/1931 è ancora in vigore e lo sarà fino al momento in cui sarà rinnovato il predetto contratto. Nell'ipotesi in cui entro un anno non si addivenisse alla stipula del nuovo contratto, il MIT – in virtù di specifico accordo con le organizzazioni sindacali FILT-CGIL, FIT-CISL, UIL Trasporti, FAISA CISAL e UGL FNA sottoscritto in data 12 giugno 2017 – si è impegnato a promuovere la proroga del termine di cui al citato articolo 27, comma 12-quinquies, al fine di evitare un eventuale vuoto normativo e garantire, dunque, la vigenza del regio decreto fino a quando non sarà disciplinato il nuovo CCNL di settore.”


 

Articolo 9-sexies
(Misure per il contrasto degli incendi dolosi)

 

 

L'articolo 9 sexies, introdotto nel corso dell'esame presso il Senato, reca misure volte a rafforzare gli interventi per il contrasto del fenomeno degli incendi boschivi dolosi impedendo lo sfruttamento successivo dei terreni incendiati.

 

Più nel dettaglio il comma 1, modificando il comma 1 dell'articolo 10 della legge n. 353 del 2000, prevede che i contratti costituenti diritti reali di godimento, o i contratti di affitto e di locazione di aree e immobili situati nelle zone incendiate, stipulati nei due anni successivi al rogo, siano trasmessi, a cura dell'Agenzia delle entrate entro trenta giorni dalla registrazione, al prefetto e al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente.

 

Il comma 2, inserisce, poi, un ulteriore comma nell'articolo 10 della legge n. 353, il quale esclude l' applicazione della disposizione che prevede l'impossibilità per 15 anni di dare una diversa destinazione ai terreni interessati da incendi, qualora il proprietario del fondo sia stato vittima del reato, anche tentato, di estorsione, accertato con sentenza definitiva, quando la violenza o la minaccia è consistita nella commissione di uno dei reati di cui agli articoli 423-bis (incendio boschivo) e 424 ( danneggiamento seguito da incendio) c.p. e a condizione che la richiesta estorsiva sia stata riferita all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria dalla vittima.

 

Il comma 1 dell'articolo 10 della Legge n. 353/2000 (Legge-quadro in materia di incendi boschivi):

§  fissa in 10 anni dalla data dell'incendio la durata del divieto di realizzare edifici nonché interventi finalizzati ad insediamenti civili e produttivi, con la precisazione che è sempre possibile la realizzazione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell'ambiente, o di interventi realizzati in base ad una concessione rilasciata precedentemente all'incendio e nel rispetto degli strumenti urbanistici vigenti a tale data;

§   vieta per 5 anni le attività di rimboschimento e di ingegneria ambientale sostenute con finanziamenti pubblici, tranne nel caso in cui siano autorizzate dal Ministero dell'ambiente;

§  prevede che negli atti di compravendita di aree ed immobili situati nelle zone interessate dagli incendi e stipulati entro 15 anni dall'evento, deve essere espressamente richiamato il vincolo quindicennale al divieto di modifica alla destinazione d'uso dell'area a pena di nullità dell'atto stesso.

 

Articolo 10
(Ulteriori misure in favore dell'occupazione nel Mezzogiorno e lavoratori nel settore della pesca marittima)

 

 

Il comma 1 dell'articolo 10 reca uno stanziamento al fine dello svolgimento di programmi per la riqualificazione e la ricollocazione di lavoratori coinvolti in situazioni di crisi aziendale o settoriale nelle regioni del Mezzogiorno. I commi 1-bis e 1-ter - inseriti dal Senato - estendono l'àmbito di applicazione di un'indennità in favore dei lavoratori dipendenti da imprese adibite alla pesca marittima.

 

Il comma 1 prevede che i summenzionati programmi siano attuati dall'ANPAL (Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro)[28], in raccordo con le regioni interessate (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia) e con i fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua[29].

Lo stanziamento - che viene disposto in favore della medesima ANPAL - è pari a 15 milioni di euro per il 2017 e a 25 milioni per il 2018.

Ai fini della copertura dell'onere finanziario in oggetto, si provvede mediante impiego, nelle misure corrispondenti, di quota delle disponibilità in  conto residui del Fondo sociale per occupazione e formazione nonché, ai fini  della compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e di  indebitamento netto, mediante riduzione, nelle misure corrispondenti, del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali.

 

I commi 1-bis e 1-ter concernono i periodi di sospensione dell'attività dei lavoratori dipendenti da imprese adibite alla pesca marittima (ivi compresi i soci lavoratori delle cooperative della piccola pesca). La novella in esame estende l'indennità giornaliera onnicomprensiva, pari a 30 euro - già prevista per il 2017, per i suddetti lavoratori, in relazione ai periodi di sospensione dell'attività lavorativa derivante da misure di arresto temporaneo obbligatorio - ai periodi interessati da misure di arresto temporaneo non obbligatorio; l'estensione è disposta per il medesimo anno 2017 e fino ad un periodo complessivo (per ciascun lavoratore) di 40 giorni (di sospensione per arresto temporaneo non obbligatorio), nonché nel rispetto di un limite di spesa pari a 7 milioni di euro[30].

Ai fini della copertura dell'onere finanziario derivante dall'estensione, il comma 1-bis riduce, nella suddetta misura di 7 milioni di euro per il 2017, il fondo per il finanziamento di esigenze indifferibili (fondo iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze).

Il comma 1-ter reca una novella di mero coordinamento letterale, in relazione all'estensione in oggetto.


 

Articolo 10-bis
(Progetti speciali di prevenzioni danni nella regione Sardegna)

 

 

Con l'articolo 10-bis, introdotto dal Senato, viene disposta la proroga al 31 dicembre 2019 della norma di cui all'articolo 8, comma 10-bis, del decreto-legge n. 66 del 2014 in base alla quale per i cantieri comunali e i cantieri verdi previsti dalla normativa della regione Sardegna in materia di lavoro e difesa dell’ambiente non si applica il limite di spesa posto dalla normativa vigente alle assunzioni di personale a tempo determinato.

 

Con l'articolo 10-bis viene prorogata al 31 dicembre 2019 la norma - il suddetto articolo 8, comma 10-bis del decreto-legge n. 66 del 2014, come convertito in legge - in base alla quale ai cantieri comunali per l’occupazione e ai cantieri verdi, previsti dalla normativa della regione Sardegna in materia di lavoro e difesa dell’ambiente, non si applica il limite di spesa posto dalla normativa vigente alle assunzioni di personale a tempo determinato, o con convenzioni, o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, stante il carattere temporaneo dei cantieri stessi. La norma in questione, qui oggetto di proroga, indica la finalità di prevenire gli incendi, il dissesto idrogeologico e il diffondersi di discariche abusive e fa riferimento, nel testo vigente, all'arco temporale di efficacia della stessa per il "prossimo triennio".

Nel dettaglio, si ricorda che il suddetto articolo 8, al comma 10-bis del decreto-legge n. 66 del 2014 - qui oggetto di proroga al 31 dicembre 2019 - ha disposto che, ai fini della necessaria prevenzione degli incendi, del dissesto idrogeologico e del diffondersi di discariche abusive, i cantieri comunali per l'occupazione e i cantieri verdi, di cui alla vigente normativa in materia di lavoro e difesa dell'ambiente della regione Sardegna, in quanto 'progetti speciali di prevenzione danni in attuazione di competenze e di politiche regionali', hanno carattere temporaneo; pertanto, afferma la norma prorogata, le assunzioni di progetto in essi previste non costituiscono presupposto per l'applicazione dei limiti di spesa posti dalla normativa vigente in materia di assunzioni di personale a tempo determinato di cui all'articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78.

Si ricorda che il citato articolo 9, comma 28, del D.L. 78/2010 ha disposto che, a decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni dello Stato e ulteriori enti pubblici indicati possano avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50% della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009. Per le medesime amministrazioni la spesa per personale relativa a contratti di formazione-lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonché al lavoro accessorio non può essere superiore al 50 per cento di quella sostenuta per le rispettive finalità nell'anno 2009. I limiti in questione non si applicano, anche con riferimento ai lavori socialmente utili, ai lavori di pubblica utilità e ai cantieri di lavoro, nel caso in cui il costo del personale sia coperto da finanziamenti specifici aggiuntivi o da fondi dell'Unione europea; nell'ipotesi di cofinanziamento, i limiti medesimi non si applicano con riferimento alla sola quota finanziata da altri soggetti.

Si segnala poi che la norma stabilisce che le disposizioni stesse costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale.

Per il 2014, per gli enti locali in sperimentazione il limite è fissato al 60 per cento della spesa sostenuta nel 2009. Sulla base di una novella introdotta dall’articolo 1, comma 1, della L. 44/2012, gli enti locali possono superare il predetto limite per le assunzioni strettamente necessarie a garantire l'esercizio delle funzioni di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale, nonché per le spese sostenute per lo svolgimento di attività sociali mediante forme di lavoro accessorio. Le limitazioni previste dal presente comma non si applicano agli enti locali in regola con l'obbligo di riduzione delle spese di personale di cui ai commi 557 e 562 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente. Resta fermo che comunque la spesa complessiva non può essere superiore alla spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009. Inoltre, si prevede siano in ogni caso escluse dalle limitazioni previste dal presente comma le spese sostenute per le assunzioni a tempo determinato ai sensi dell'articolo 110, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 in materia di incarichi a contratto. Il predetto limite non si applica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), nei limiti di 50 unità di personale ed esclusivamente per lo svolgimento dell'attività di vigilanza sui concessionari della rete autostradale. Come precisato dallo stesso comma, la deroga si giustifica al fine di assicurare la continuità della citata attività di vigilanza, ai sensi dell'art. 11, comma 5, secondo periodo, del D.L. 216/2011, che ha trasferito al MIT tale attività in seguito alla soppressione dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali. Si dispone che il mancato rispetto dei limiti di cui alla disposizione in parola costituisca illecito disciplinare e determini responsabilità erariale. Per le amministrazioni che nell'anno 2009 non hanno sostenuto spese per le finalità previste dalla norma stessa, il limite in parola è computato con riferimento alla media sostenuta per le stesse finalità nel triennio 2007-2009.

Si ricorda che la disposizione - di cui si dispone qui la proroga -  prevede che alla relativa attuazione si provveda nell’ambito delle risorse assegnate per la realizzazione dei citati cantieri dal bilancio regionale, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


 

Articolo 10-ter
(Disposizioni in materia di sviluppo di unità produttive del
Ministero della difesa nel Mezzogiorno)

 

 

L’articolo 10-ter - introdotto nel corso dell’esame del provvedimento al Senato - reca alcune novelle al Codice dell'ordinamento militare riguardanti l'Agenzia Industrie Difesa.

 

L'Agenzia Industrie Difesa è un ente di diritto pubblico vigilato dal Ministero della Difesa ai sensi dell'articolo 20 del Codice dell'ordinamento militare (Enti vigilati), istituito con il compito di coordinare e gestire gli stabilimenti industriali appositamente assegnati all'Agenzia.

In particolare, ai sensi dell'articolo 48 del Codice scopo dell'Agenzia è quello di gestire unitariamente le attività delle unità produttive e industriali della difesa indicate con uno o più decreti del Ministro della difesa. L'Agenzia utilizza le risorse finanziarie, materiali e umane delle unità dalla stessa amministrate nella misura stabilita da un apposito regolamento. Ai sensi dell'articolo 133 del D.P.R. 15-3-2010 n. 90, recante il testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, l'Agenzia opera secondo criteri di imprenditorialità, efficienza ed economicità. Le unità produttive e industriali in esame sono operative nel settore manifatturiero, del munizionamento e della cantieristica navale.

 

In particolare,  il comma 1, lett. a) reca novelle all'art. 48, comma 1, del Codice dell'Ordinamento militare relativamente all'organizzazione dell'Agenzia Industrie Difesa, tali per cui l'organizzazione stessa dovrà rispondere non solo al conseguimento dei suoi specifici obiettivi - come attualmente previsto - ma anche delle sue missioni, nonché dei suoi compiti permanenti.

 

Con i decreti ministeriali in data 24 aprile 2001, 24 ottobre 2001, 29 dicembre 2016 è stata trasferita all'AID la gestione dei seguenti stabilimenti:

Stabilimento militare Ripristini e Recuperi di Noceto (PR)

Stabilimento militare Munizionamento Terrestre di Baiano (PG)

Stabilimento militare Propellenti di Fontana Liri (FR)

Stabilimento militare Pirotecnico di Capua (NA)

Stabilimento militare Chimico farmaceutico di Firenze (FI)

Stabilimento militare Produzione Cordami di Castellammare di Stabia (NA)

Stabilimento grafico militare di Gaeta (LT)

Arsenale Militare di Messina (ME)

Arsenale Militare di La Maddalena (SS) - revocata.

 

La successiva lettera b) reca novelle all'art. 2190 del richiamato Codice sopprimendo - al punto 1 - la previsione che consentiva di procedere alla liquidazione coatta di quelle unità produttive che non avessero conseguito con il bilancio 2014 (termine più volte prorogato, da ultimo dalla legge di stabilità per il 2015, art.1, comma 379, che aveva prorogato il termine al bilancio 2017) la capacità di operare secondo criteri di economica gestione, sostituendola - punto 2 - con la predisposizione entro il 2017 da parte dell'Agenzia di un piano industriale triennale, subordinando all'esito della verifica triennale del sistema industriale dell'Agenzia e di approvazione del nuovo piano triennale l'individuazione delle unità i cui risultati compromettano la stabilità del sistema ed il conseguimento dell'economica gestione dell'Agenzia per le quali procedere alla liquidazione coatta amministrativa.

La verifica triennale verterebbe sulla complessiva economica gestione dell'Agenzia, a tal fine consentendo l'eventuale compensazione tra gli stabilimenti.

La ratio della nuova disciplina viene individuata nel consentire il raggiungimento dell'economica gestione delle unità di Fontana Liri, Messina, Castellammare di Stabia, Torre Annunziata e Capua.

 

Nella relazione tecnica allegata all’emendamento 10.0.2000 presentato al Senato si afferma che l'intervento proposto potrebbe evitare il verificarsi della circostanza che stabilimenti che operano anche da diverso tempo con continuità secondo criteri di economica gestione si vengano a trovare, per cause impreviste e imprevedibili, in una temporanea situazione economica non positiva che ne determinerebbe la messa in liquidazione, indipendentemente dalle concrete potenzialità industriali possedute, che garantirebbero la piena ripresa all'esito della risoluzione delle cause determinanti la momentanea flessione di produttività.


 

Articolo 11, commi 1-4
(Interventi urgenti per il contrasto della povertà educativa minorile e della dispersione scolastica nel Mezzogiorno)

 

 

L’articolo 11, commi 1-4 – modificato durante l’esame al Senato – prevede la realizzazione di interventi educativi nelle regioni del Mezzogiorno, volti al contrasto della povertà educativa minorile e della dispersione scolastica.

Si tratta di una iniziativa parallela al Fondo sperimentale per il contrasto della povertà educativa minorile previsto dalla legge di stabilità 2016 per il triennio 2016-2018 e alimentato da versamenti effettuati dalle fondazioni bancarie, alle quali è riconosciuto un credito di imposta (art. 1, co. 392-395, L. 208/2015 – Legge di stabilità 2016).

 

A tal fine, anzitutto demanda a un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con i Ministri dell'interno e della giustizia, l'individuazione delle aree di esclusione sociale, caratterizzate da povertà educativa minorile e dispersione scolastica, nonché da un elevato tasso di fenomeni di criminalità organizzata.

Il decreto interministeriale sarebbe dovuto intervenire entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge.

Non essendo intervenuto, sembrerebbe opportuno aggiornare il termine.

 

Prevede, inoltre, che, entro 30 giorni dall'adozione del predetto decreto, il MIUR indice una procedura selettiva per la presentazione di progetti recanti la realizzazione di interventi educativi di durata biennale, volti al contrasto del rischio di fallimento formativo precoce e di povertà educativa, nonché per la prevenzione delle situazioni di fragilità nei confronti della capacità attrattiva della criminalità.

Alla procedura selettiva possono partecipare le reti di istituzioni scolastiche presenti nelle aree di esclusione sociale individuate con il decreto interministeriale, che abbiano attivato, per la realizzazione degli interventi, partenariati con enti locali, soggetti del terzo settore, strutture territoriali del CONI, delle Federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate e degli enti di promozione sportiva o servizi educativi pubblici per l'infanzia, operanti nel territorio interessato.

 

La procedura selettiva è finanziata nell'ambito delle risorse del «PON Per la scuola - competenze e ambienti per l'apprendimento» 2014/2020, in coerenza con quanto previsto dalla stessa programmazione.

Il PON “Per la Scuola – Competenze e ambienti per l’apprendimento” – con riguardo al quale determinati elementi sono stati approvati con la decisione della Commissione europea C(2014) 9952 del 17 dicembre 2014 (modificata dalla decisione della Commissione europea C(2016) 5246 del 9 agosto 2016) è un Programma plurifondo finalizzato al miglioramento del servizio istruzione. In particolare, l’Obiettivo specifico 10.1. e l’Azione 10.1.1 sono volti alla riduzione del fallimento formativo precoce e della dispersione scolastica e formativa tramite interventi di sostegno agli studenti caratterizzati da particolari fragilità, tra cui anche persone con disabilità.

In base alla pubblicazione appositamente predisposta dal MIUR, allo scopo di arginare la dispersione scolastica, il PON interverrà tanto sugli aspetti connessi alla formazione (quale, ad esempio, il fornire agli studenti maggiori strumenti di consapevolezza di sé e del proprio ruolo nella società), quanto su quelli legati alle dinamiche sociali (ad es., il coinvolgimento attivo delle famiglie nella strategia dell’inclusione).

Le azioni di contrasto alla dispersione scolastica, si concentreranno sulle aree del Paese che presentano maggiori criticità e interesseranno gli studenti  caratterizzati da particolare fragilità o contraddistinti da esigenze specifiche.

La strategia principale attraverso la quale si interverrà sarà focalizzata sul concetto di scuola quale centro civico, polo di aggregazione per la popolazione, e si baserà sui seguenti fattori:

§  l’ampliamento degli orari di apertura;

§  la diversificazione delle tipologie di attività offerte dalle scuole;

§  l’attuazione di interventi di edilizia scolastica in grado di rendere la scuola più accogliente;

§  il potenziamento delle dotazioni tecnologiche e dei laboratori didattici dei diversi indirizzi (licei ad indirizzo scientifico e tecnologico, licei musicali e coreutici, istituti tecnici e professionali).

Su questa base, con nota prot.10862 del 16 settembre 2016 è stato diramato l’Avviso pubblico “Progetti di inclusione sociale e lotta al disagio nonché per garantire l’apertura delle scuole oltre l’orario scolastico soprattutto nella aree a rischio e in quelle periferiche”.

Beneficiari dell’Avviso sono state le istituzioni scolastiche ed educative statali di ogni ordine e grado delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto.

Le graduatorie definitive sono state pubblicate con Nota prot. 27530 del 12 luglio 2017.

 

Il MIUR monitora l’efficacia e la validità dei progetti e valuta ex-post la qualità dei risultati conseguiti, senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica e avvalendosi delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili.


 

Articolo 11, commi 4-bis e 4-ter
(Contributo agli istituti per sordi)

 

 

L’articolo 11, commi 4-bis e 4-ter, inseriti durante l’esame al Senato, assegnano un contributo per il 2017 e il 2018 agli istituti per sordi di cui all’art. 67, co. 1, del d.lgs. 297/1994, nelle more del relativo riordino.

In base alla disposizione richiamata, si tratterebbe degli istituti di Roma, Milano e Palermo.

 

In particolare, dispongono che, al fine di realizzare specifici “interventi educativi urgenti nelle regioni del Mezzogiorno”, volti a favorire il corretto sviluppo dei processi cognitivi e comunicativi dei bambini sordi e la loro inclusione sociale, nelle more dell’entrata in vigore delle disposizioni di riordino degli istituti atipici per sordi, e al fine di consentirne il relativo funzionamento fino all’entrata in carica dei nuovi organi direttivi, agli stessi è assegnato un contributo di € 500.000 per ciascuno degli anni 2017 e 2018.

Alla copertura dell’onere si provvede a valere sul «Fondo “La Buona Scuola” per il miglioramento e la valorizzazione dell'istruzione scolastica» (art. 1, co. 202, L. 107/2015).

 

Si segnala, che il testo non indica le modalità di ripartizione del contributo fra i diversi soggetti.

Peraltro, si evidenzia che, allo stato, l’Istituto per sordi Padre Annibale di Palermo risulterebbe aver chiuso le proprie attività.

Sembrerebbe, dunque, necessario un chiarimento, anche con riguardo allo specifico riferimento alle regioni del Mezzogiorno.

 

Al riguardo si ricorda che l’art. 4, co. 5-bis, del D.L. 244/2016 (L. 19/2017) ha disposto che, per la riforma degli istituti per sordi di Roma, Milano e Palermo come enti finalizzati al supporto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, si provvede, ai sensi dell’art. 67, co. 1, del D.Lgs. 297/1994, con regolamento governativo (già previsto, dal medesimo art. 67, co. 1, per la ridefinizione dell’ordinamento degli stessi istituti).

Si tratta di una previsione che ha determinato il ricorso ad una tipologia di fonte normativa diversa da quella precedentemente prevista per l’intervento, con l’evidente finalizzazione di rinnovare le funzioni degli istituti citati.

Nello specifico, infatti, il co. 5-bis fa riferimento all’attuazione dell’art. 21, co. 10, della L. 59/1997 che, per quanto qui interessa, ha previsto che le scuole e gli istituti a carattere atipico (di cui alla parte I, titolo II, capo III, del D.Lgs. 297/1994) – tra cui gli istituti sopra indicati – sono riformati come enti finalizzati al supporto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche.

In base al co. 2 del medesimo art. 21, a ciò si doveva provvedere con regolamento di delegificazione, da adottare ai sensi dell’art. 17, co. 2, della L. 400/1988[31].

Occorre peraltro ricordare che:

- l’Istituto Statale per Sordi di Roma ha esaurito da tempo la sua attività scolastica in senso stretto, in quanto dal 1° settembre 2000, le scuole, prima di pertinenza dell'Istituto, sono state giuridicamente distaccate dall'Istituto e aggregate all'I.S.I.S.S. Istituto Statale di Istruzione Specializzata per Sordi- Magarotto.

Oggi, l'Istituto Statale per Sordi svolge attività di documentazione, consulenza, formazione e aggiornamento sulla sordità.

Ciò è stato confermato anche dal Governo il 10 maggio 2017, nella risposta all’interrogazione a risposta immediata presentata alla Camera 3-03013, che poneva proprio il problema delle gravi difficoltà economiche dell’Istituto. In particolare, il rappresentante del Governo ha evidenziato che “non esistono, a normativa vigente, nel bilancio del MIUR, canali di finanziamento per l'Istituto”, ma che comunque “l'Istituto ha la possibilità di concorrere in rete con l'Istituto scolastico Magarotto ai bandi per l'attribuzione di fondi PON coerenti con le attività concretamente poste in essere, nonché di poter svolgere corsi di formazione per i docenti, essendo un ente accreditato in piattaforma MIUR. Tuttavia, tenuto conto dell'emergenza della situazione finanziaria e della mancata corresponsione della retribuzione ai lavoratori, appare chiara la necessità di un intervento finanziario ponte che consenta all'Istituto di avere risorse sufficienti fino al settembre 2017”;

- il Pio istituto dei Sordi di Milano ha chiuso l’attività didattica nel 1994. Inoltre, con deliberazione della Giunta Regionale n. 29421 del 13 novembre 1992, l’Istituto ha modificato il proprio assetto istituzionale ritornando alla originaria natura giuridica privata.

In base allo Statuto (approvato, da ultimo, con delibera del Consiglio di Amministrazione dell’8 maggio 2014), l’ente – che attualmente è una Fondazione di partecipazione che non persegue finalità di lucro – ha fini di solidarietà sociale e di promozione e realizzazione di servizi e interventi a favore di persone in stato di disabilità uditiva. Per il raggiungimento dello scopo, l’ente opera prevalentemente nell’ambito dei servizi alla persona, dell’istruzione, dell’assistenza sociale sanitaria e socio-sanitaria e della beneficenza;

- l’Istituto per sordi Padre Annibale di Palermo, a causa di difficoltà economiche, ha chiuso la scuola negli anni ’90 dello scorso secolo[32].

Da notizie di stampa risulterebbe, peraltro, che nel 2016 il nuovo Centro educativo diurno abbia chiuso le proprie attività.

Tra i servizi attivati dallo stesso Centro vi era quello di assistenza extrascolastica integrativa, attiva in orario pomeridiano per l’affiancamento dei bambini nello svolgimento dei compiti.

 


 

Articolo 11-bis
(Misure urgenti per garantire lo svolgimento dell’anno scolastico 2017/2018 nelle aree colpite dagli eventi sismici del 2016 e 2017)

 

 

L’articolo 11-bis, introdotto durante l’esame al Senato, reca disposizioni finalizzate a consentire il regolare svolgimento dell’a.s. 2017/2018 nelle regioni colpite dagli eventi sismici del 2016 e del 2017.

A tal fine, novella l’art. 18-bis del D.L. 189/2016 (L. 229/2016) – a sua volta oggetto di interpretazione autentica operata dall’art. 15-octies, co. 1, del decreto-legge in commento – estendendo all’a.s. 2017/2018 le disposizioni recate dal co. 1 dello stesso.

 

In particolare, si tratta della facoltà – già prevista per l’a.s. 2016/2017 – per i dirigenti degli Uffici scolastici regionali delle regioni Abruzzo, Marche, Lazio, Umbria, con riferimento alle istituzioni scolastiche ed educative i cui edifici, siti nelle aree di cui all’art. 1 del D.L. 189/2016 (L. 229/2016), sono stati dichiarati parzialmente o totalmente inagibili a seguito di eventi sismici, a quelle ospitate in strutture temporanee di emergenza e a quelle che ospitano alunni sfollati, di:

§  derogare al numero minimo e massimo di alunni per classe previsto dal D.P.R. 81/2009, nei limiti delle risorse previste dal comma 2, come novellato (v. infra);

§  istituire ulteriori posti di personale docente, da attivare sino al 30 giugno 2017 (termine dell’attività didattica dell’a.s. 2017/2018), nonché di personale ATA. Si tratta – come già accennato – di una possibilità sulla quale interviene, con una disposizione di interpretazione autentica, l’art. 15-octies, co. 1, del testo in esame;

§  assegnare alle cattedre i docenti, il personale ATA e gli educatori o, per il personale in servizio presso edifici dichiarati parzialmente o totalmente inagibili, modificare le assegnazioni effettuate, in deroga alle procedure e ai termini previsti dalla normativa vigente.

 

Per l'adozione delle misure di cui al co. 1, sopra richiamate, il co. 2 ha autorizzato la spesa di € 5 mln per il 2016 ed € 15 mln per il 2017, da ripartire tra gli USR interessati con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

 

Conseguentemente, vengono modificate anche l’autorizzazione di spesa e le modalità di copertura dell’onere (recate dal co. 5 dell’art. 18-bis del D.L. 189/2016).

In particolare, si riduce (da € 15) a € 10 mln l’autorizzazione di spesa per il 2017 e si autorizza per il 2018 la spesa di € 5 mln.

A ciò si provvede:

§  quanto ad € 5 mln nel 2018 (oltre che ad € 5 mln per il 2016), mediante corrispondente riduzione del Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche (art. 1, co. 601, L. 296/2006);

§  quanto ad € 10 mln nel 2017, si provvede mediante corrispondente riduzione del «Fondo “La Buona Scuola” per il miglioramento e la valorizzazione dell'istruzione scolastica» (art. 1, co. 202, L. 107/2015).

 

Per completezza, si ricorda che l’art. 18-bis, co. 4, del D.L. 189/2016 aveva previsto, per l’a.s. 2016/2017, la possibilità per gli stessi dirigenti scolastici di individuare i supplenti da nominare in deroga al regolamento che disciplina la materia, adottato ai sensi dell'art. 4 della L. 124/1999, fermo restando il criterio del maggior punteggio e assicurando priorità a coloro che si erano resi preventivamente disponibili ad accettare gli incarichi proposti. Al fine di acquisire tale preventiva disponibilità, aveva previsto che i dirigenti degli USR dovevano pubblicare nel proprio sito istituzionale apposito bando con specifica della tempistica di presentazione delle relative domande.

Tale disposizione non è stata estesa all’a.s. 2017/2018 dal decreto-legge in esame.


 

Articolo 11-ter
(Misure per interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici)

 

 

L’articolo 11-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca una serie di disposizioni, la cui finalità principale è quella di prevedere che le risorse - revocate oppure già disponibili a seguito di definanziamenti - relative a interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici previsti da disposizioni legislative (non avviati e per i quali non siano stati assunti obblighi giuridicamente vincolanti) sono destinate a interventi compresi nella programmazione delle medesime regioni i cui territori sono oggetto dei definanziamenti e non, come prevede la norma vigente, agli interventi della programmazione nazionale.

 

COMMA 1 – Modifiche alla disciplina per il completamento di programmi di edilizia scolastica avviati nelle legislature precedenti

Il comma 1 – per la citata finalità di agevolare la redistribuzione delle somme definanziate nell'ambito delle stesse regioni oggetto dei definanziamenti – apporta una serie di modifiche al comma 165 dell’articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107, il quale reca disposizioni finalizzate a consentire la prosecuzione ed il completamento dei piani e programmi di messa in sicurezza degli edifici scolastici avviati nel corso delle legislature precedenti, sia attraverso il riutilizzo delle risorse non impiegate, sia mediante l’accelerazione delle procedure.

Lettera a) - Modifiche relative al “Piano straordinario” di cui all’art. 80, comma 21, della L. 289/2002

La lettera a) modifica le disposizioni contenute nel quarto periodo del comma 165, relative al c.d. Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici istituito dall’art. 80, comma 21, della L. 289/2002.

Tale Piano risulta articolato in due stralci (approvati con le delibere CIPE 102/2004 e 143/2006 e oggetto di definanziamenti e riprogrammazioni con la delibera CIPE 17/2008) per complessivi 489,083 milioni di euro (delibera ricognitiva del CIPE n. 10/2009 sullo stato di attuazione del Programma delle infrastrutture strategiche) riferiti a 1.593 interventi.

Nella scheda opera n. 181 del Sistema informativo legge opere strategiche (SILOS), curato dal Servizio studi della Camera, viene ricordato che “dalla Relazione semestrale del MIT sull'avanzamento al 30 giugno 2016 del Piano straordinario per la messa in sicurezza delle strutture scolastiche, con particolare riguardo a quelle ubicate in zone a rischio sismico, I e II programma stralcio (legge 289/2002, art. 80, comma 21), risultano attivati dagli Enti locali beneficiari 1.378 interventi (pari all'86,5% del totale interventi programmati) dell'importo di 414 Meuro (l'84,7% del valore dell'intero Piano). I lavori ultimati risultano invece 951 (59,7%) per un importo complessivo di 269 Meuro (55,1% del totale)”.

Al fine di assicurare la prosecuzione ed il completamento degli interventi del Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici relativi al primo e al secondo stralcio, il testo vigente dei primi quattro periodi del comma 165 consente agli enti beneficiari l’utilizzo delle economie derivanti dai ribassi d’asta per la realizzazione di altri interventi finalizzati alla sicurezza delle scuole anche sugli stessi edifici e nel rispetto del limite complessivo del finanziamento già autorizzato.

L’utilizzo delle economie è consentito previa rendicontazione dei lavori eseguiti, secondo le modalità e le tempistiche indicate dallo stesso comma 165.

In caso di mancata rendicontazione nei termini indicati, è precluso l’utilizzo delle eventuali risorse residue ancora nella disponibilità dell’ente, che sono versate all’entrata del bilancio dello Stato.

In particolare, il quarto periodo del comma 165, oggetto delle modifiche recate dalla lettera a) in esame, dispone che le somme relative a interventi non avviati e per i quali non siano stati assunti obblighi giuridicamente vincolanti, anche giacenti presso la Cassa depositi e prestiti S.p.A., sono destinate dal CIPE, secondo modalità individuate dallo stesso, alla programmazione nazionale 2015-2017 nonché agli interventi che si rendano necessari, all'esito delle indagini diagnostiche previste dai commi 177-179 sugli edifici scolastici, per prevenire eventi di crollo di solai e controsoffitti, o agli interventi che si rendono necessari sulla base dei dati risultanti dall’Anagrafe dell’edilizia scolastica.

Vincolo di redistribuzione regionale (n. 2) della lettera a))

La principale modifica, come già evidenziato in precedenza, è quella (prevista dal numero 2) della lettera in esame) volta a prevedere che le somme possano essere utilizzate non per tutti gli interventi compresi nella programmazione nazionale triennale 2015-2017 (come prevede il testo vigente del quarto periodo del comma 165), ma solo in favore degli interventi compresi nella programmazione delle medesime regioni i cui territori sono oggetto dei definanziamenti.

Termine per la definizione delle modalità di riprogrammazione delle risorse (n. 3) della lettera a))

La norma vigente, secondo cui le modalità per il riutilizzo delle risorse sono definite dal CIPE, viene integrata dal n. 3) della lettera in esame, che introduce il termine del 31 dicembre 2017 per la definizione, da parte del Comitato, delle modalità in questione.

Utilizzo esclusivo delle risorse (n. 4) della lettera a))

Il n. 4) della lettera in esame prevede che la destinazione delle somme riutilizzabili non possa più riguardare, come invece prevede il testo vigente, gli interventi che si rendano necessari, all'esito delle indagini diagnostiche previste dai commi 177-179 sugli edifici scolastici, per prevenire eventi di crollo di solai e controsoffitti, e nemmeno quelli che si rendano necessari sulla base dei dati risultanti dall’Anagrafe dell’edilizia scolastica.

Ne risulta quindi una destinazione esclusiva, delle risorse riutilizzabili, agli interventi della programmazione regionale del “Piano straordinario” in questione.

Precisazione sul novero delle risorse riutilizzabili (n. 1) della lettera a))

Il n. 1) della lettera in esame precisa che le somme riutilizzabili sono quelle già disponibili o che si rendano disponibili a seguito dei definanziamenti.

 

Lettera b) - Modifiche relative ai programmi finanziati con le delibere CIPE 32/2010 e 6/2012

La lettera b) modifica le disposizioni contenute nel settimo periodo del comma 165, relative ai programmi finanziati con le delibere CIPE 32/2010 e 6/2012.

I periodi del comma 165 successivi al quinto sono finalizzati a garantire la sollecita attuazione dei programmi in materia di edilizia scolastica:

- finanziati (ai sensi dell'art. 18, comma 1, lett. b), del D.L. 185/2008) con la delibera CIPE n. 32/2010;

L'art. 18 del D.L. 185/2008 ha previsto, al comma 1, lettera b), che il CIPE provveda all'assegnazione, per la messa in sicurezza delle scuole, di una quota delle risorse nazionali del Fondo aree sottoutilizzate (oggi Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, FSC) al Fondo infrastrutture di cui all'art. 6-quinquies del D.L. 112/2008. La delibera CIPE n. 3/2009 ha quindi assegnato al Fondo Infrastrutture 1 miliardo di euro da destinare al finanziamento di interventi per la messa in sicurezza degli edifici scolastici. La successiva delibera 32/2010 del 13 maggio 2010 (rettificata dalla delibera 67/2010) ha assegnato la prima quota del miliardo di euro (358,42 milioni) per il “Piano straordinario stralcio”. La Relazione sullo stato della spesa, sull’efficacia nell’allocazione delle risorse e sul grado di efficienza dell’azione amministrativa svolta dal MIT, corredata dal rapporto sull'attività di analisi e revisione delle procedure di spesa e dell'allocazione delle relative risorse in bilancio, relativa all'anno 2012 e trasmessa alla Presidenza della Camera dei deputati l'11 luglio 2013, in relazione al programma in questione, riferisce che sono state sottoscritte da parte degli enti locali 1.640 convenzioni corrispondenti ad un valore di circa 350 Meuro (98% del totale pari a 358 milioni). Nelle successive relazioni (l’ultima delle quali contenuta nel Doc. CLXIV, n. 47, presentato alle Camere nel giugno scorso) viene dato conto delle istruttorie e delle erogazioni svolte annualmente.

- finanziati (ai sensi dell'art. 33, comma 3, della L. 183/2011) con la delibera CIPE n. 6 del 20 gennaio 2012.

L'art. 33, comma 3, della L. 183/2011 ha assegnato al Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) una dotazione finanziaria di 2.800 milioni per l'anno 2015 per il periodo di programmazione 2014-2020, da destinare prioritariamente alla prosecuzione di interventi indifferibili infrastrutturali, nonché per la messa in sicurezza di edifici scolastici, per l'edilizia sanitaria, per il dissesto idrogeologico e per interventi a favore delle imprese sulla base di titoli giuridici perfezionati alla data del 30 settembre 2011, già previsti nell'ambito dei programmi nazionali per il periodo 2007-2013. L’individuazione degli interventi è stata demandata ad apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro delegato per la politica di coesione economica, sociale e territoriale, su proposta del Ministro interessato al singolo intervento. Il CIPE, in attuazione di tali disposizioni, con la delibera n. 6/2012, ha ridefinito il quadro finanziario complessivo del Fondo per lo sviluppo e la coesione assegnando, tra l’altro, 259 milioni per un programma straordinario di interventi urgenti sul patrimonio scolastico.

 

Nello “School Book (volume 2) - Il punto sull'edilizia scolastica”, curato dalla Struttura di Missione per il coordinamento e l'impulso nell'attuazione degli interventi di riqualificazione dell'edilizia scolastica, si afferma, con riferimento alle delibere CIPE n. 32/2010 e n. 6/2012, che “in tutto vengono finanziati 3.515 interventi”. Secondo tale rapporto, al 1° marzo 2016, su 3.515 interventi, 293 risultano conclusi, 91 definanziati, 941 cantierati, 2055 in fase di progettazione o appalto.

 

Al fine di garantire la sollecita attuazione dei programmi succitati, il quinto periodo del comma 165 prevede il silenzio-assenso in relazione al parere richiesto ai Provveditorati per le opere pubbliche sui progetti definitivi presentati dagli enti beneficiari. Il successivo periodo impone agli enti beneficiari di provvedere alla trasmissione al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti delle aggiudicazioni provvisorie dei lavori entro i termini stabiliti (dal medesimo comma), pena la revoca dei finanziamenti. Il settimo periodo, oggetto di modifica da parte delle disposizioni in esame, stabilisce che le risorse oggetto di revoca sono destinate dal CIPE alle medesime finalità di edilizia scolastica in favore di interventi compresi nella programmazione nazionale triennale 2015-2017, secondo modalità individuate dal medesimo Comitato.

 

Le modifiche dettate dalla lettera b) sono analoghe a quelle dettate dai numeri 1) e 2) della lettera a).

Vincolo di redistribuzione regionale (n. 2) della lettera b))

Il numero 2) della lettera in esame stabilisce che le risorse oggetto di revoca possono essere utilizzate non per tutti gli interventi compresi nella programmazione nazionale triennale 2015-2017 (come prevede il testo vigente del settimo periodo del comma 165), ma solo in favore degli interventi compresi nella programmazione delle medesime regioni i cui territori sono oggetto dei definanziamenti.

Nella relazione tecnica presentata dal Governo, in occasione della presentazione dell’emendamento al disegno di legge di conversione sul quale è stata posta la questione di fiducia, viene sottolineato che “rispetto alla distribuzione territoriale delle risorse di cui alle delibere CIPE n. 6/2012 e 32/2010, si rappresenta che oltre il 60% delle stesse e l’80% dei relativi interventi ricade nelle regioni dell’area del Mezzogiorno.

Precisazione sul novero delle risorse riutilizzabili (n. 1) della lettera b))

Il n. 1) della lettera in esame precisa che le somme riutilizzabili sono quelle già disponibili o che si rendano disponibili a seguito dei definanziamenti.

Lettera c) – Modalità di erogazione delle risorse

La lettera c) aggiunge un periodo alla fine del comma 165, che stabilisce che le erogazioni sono effettuate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti secondo modalità operative da definire a stato di avanzamento dei lavori.

Andrebbe valutata l’opportunità di chiarire se le erogazioni riguardano tutte le risorse citate nel comma 165, o solo quelle relative al quinto, al sesto e al settimo periodo di tale comma, tenuto conto del fatto che si tratta di risorse riferite a programmi di intervento diversi.

 

COMMA 2 – Monitoraggio degli investimenti

Il comma 2 dell'articolo in esame prevede che gli enti locali beneficiari sono tenuti a trasmettere le informazioni relative agli investimenti effettuati al sistema di monitoraggio opere pubbliche della Banca Dati delle Amministrazioni Pubbliche (BDAP-MOP) della Ragioneria generale dello Stato, ai sensi del d.lgs. 229/2011.

Il sistema di Monitoraggio Opere Pubbliche della Banca Dati delle Amministrazioni Pubbliche (BDAP-MOP), è – secondo quanto indicato nella presentazione disponibile sul sito del Ministero dell’economia e delle finanze – finalizzato “a raccogliere tutte le informazioni necessarie per una corretta rendicontazione della spesa per opere pubbliche in Italia”.

Tale sistema di monitoraggio risulta dall’implementazione di quanto disposto dall’art. 1 del d.lgs. 229/2011, che obbliga le amministrazioni pubbliche e gli ulteriori soggetti indicati dalla norma che realizzano opere pubbliche a “detenere ed alimentare un sistema gestionale informatizzato contenente le informazioni anagrafiche, finanziarie, fisiche e procedurali relative alla pianificazione e programmazione delle opere e dei relativi interventi, nonché all'affidamento ed allo stato di attuazione di tali opere ed interventi, a partire dallo stanziamento iscritto in bilancio fino ai dati dei costi complessivi effettivamente sostenuti in relazione allo stato di avanzamento delle opere”.

I dettagli del sistema di monitoraggio sono stati indicati con il Decreto del Ministro dell’Economia del 26 febbraio 2013 e con la successiva Circolare RGS n. 14 dell’8 aprile 2014.

COMMA 3 – Divieto di utilizzo delle risorse di cui al comma 165 per le verifiche di vulnerabilità sismica e gli interventi conseguenti

Il comma 3 modifica l'art. 20-bis, comma 1, primo periodo, del D.L. 8/2017, al fine di evitare che le risorse contemplate dal succitato comma 165 siano destinate (come invece è consentito dal vigente art. 20-bis) all’effettuazione di verifiche di vulnerabilità sismica degli immobili pubblici adibiti ad uso scolastico nelle zone a rischio sismico classificate 1 e 2 o alla progettazione degli eventuali interventi di adeguamento antisismico che risultino necessari a seguito delle verifiche stesse.

L'articolo 20-bis ha destinato alle verifiche di vulnerabilità sismica degli edifici pubblici scolastici situati nelle zone sismiche a maggiore pericolosità (zone sismiche 1 e 2), nonché alla progettazione dei relativi, eventuali, interventi di adeguamento antisismico, le risorse di cui ai commi 161 e 165 (il riferimento a tale ultimo comma viene soppresso dalla norma in esame) dell’art. 1 della L. 107/2015, come accertate con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e assicurando la destinazione di almeno il 20% delle risorse agli enti locali situati nelle regioni colpite dalla crisi sismica iniziata il 24 agosto 2016.

Nella citata relazione tecnica presentata nel corso dell’esame da parte dell’Assemblea del Senato, viene evidenziato che l’articolo in esame (il riferimento sembra essere proprio alla disposizione di cui al comma 3 in commento) mira “a risolvere un’incongruenza determinata dall’attuale formulazione della norma in quanto le risorse di cui al comma 165 della legge 13 luglio 2015, n. 107 di cui si chiede l’abolizione, non possono oggettivamente essere accertate dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca poiché nella disponibilità ed erogate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti”.

 

Per un commento approfondito della disposizione dettata dal citato articolo 20-bis del D.L. 8/2017 si rinvia al dossier n. 447/2 del marzo 2017, predisposto in occasione dell'esame dell'Atto Senato 2756.

 


 

Articolo 11-quater
(Interventi urgenti in materia di edilizia giudiziaria
nelle Regioni del Mezzogiorno)

 

 

L’articolo 11-quater, inserito nel corso dell’esame al Senato, reca stanziamenti per la progettazione, la ristrutturazione, l’ampliamento e la messa in sicurezza di strutture giudiziarie nelle regioni Campania, Puglia, Calabria e Sicilia.

 

La Relazione tecnica presentata dal Governo nel corso dell’esame al Senato finalizza l’intervento all’esigenza di «garantire la piena funzionalità del sistema giudiziario del Mezzogiorno, fortemente impegnato a fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina, della criminalità organizzata e del terrorismo anche di matrice islamica».

 

In particolare, il comma 1 prevede i seguenti stanziamenti:

§  20 milioni per il 2017

§  30 milioni per il 2018

§  40 milioni per il 2019.

 

A tali oneri si provvede, secondo il comma 2, mediante corrispondenti riduzioni del fondo speciale di parte capitale presso lo stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze, recato, per gli anni 2017-2019, dalla Tabella B della legge di bilancio n. 232/2016.

 

Il comma 3 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


 

Articolo 12, commi 1-8
(Disciplina del costo standard per studente universitario)

 

 

L’articolo 12, commi da 1 a 8 – modificato durante l’esame al Senato - ridefinisce a livello legislativo, a decorrere dal 2018, la disciplina per il calcolo del costo standard per studente universitario – sulla cui base è annualmente ripartita una percentuale del Fondo di finanziamento ordinario (FFO) delle università statali – facendo comunque salve le assegnazioni già disposte, nell’ambito del riparto del FFO, per gli anni 2014, 2015 e 2016, e prevedendo una disciplina specifica per l’anno 2017.

L’intervento fa seguito alla sentenza 104/2017, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni del d.lgs. 49/2012 in attuazione delle quali la disciplina in questione era stata definita con decreti ministeriali.

Si tratta di un intervento che riguarda tutte le università statali.

 

Preliminarmente, si ricorda che l’art. 5, co. 4, lett. f), della L. 240/2010 ha indicato fra i criteri direttivi per l’esercizio della delega prevista dallo stesso art. 5, co. 1, lett. b) – riguardante la revisione della disciplina concernente la contabilità universitaria – l’introduzione del costo standard unitario di formazione per studente in corso[33]. In particolare, ha disposto che:

§  il costo standard deve essere calcolato secondo indici – da individuare sentita l’ANVUR – commisurati alle diverse tipologie dei corsi di studio e ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’Università;

§  al costo standard deve essere collegata l’attribuzione all’università di una percentuale della parte di Fondo per il finanziamento ordinario non assegnata ai sensi dell’art. 2 del D.L. 180/2008 (L. 133/2008), cioè non destinata a finalità premiali.

 

Su tale base, l’art. 8 del d.lgs. 49/2012, stabilendo che il costo standard unitario di formazione per studente in corso è il costo di riferimento attribuito al singolo studente iscritto entro la durata normale del corso di studio[34], determinato tenuto conto della tipologia di corso di studi, delle dimensioni dell'ateneo e dei differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'università, ha a sua volta rimesso la determinazione dello stesso a un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze[35], sentita l'ANVUR, indicando la necessità di considerare le voci di costo relative a:

a)    attività didattiche e di ricerca, in termini di dotazione di personale docente e ricercatore destinato alla formazione dello studente;

b)   servizi didattici, organizzativi e strumentali, compresa la dotazione di personale tecnico amministrativo, finalizzati ad assicurare adeguati servizi di supporto alla formazione dello studente;

c)    dotazione infrastrutturale, di funzionamento e di gestione delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio dei diversi ambiti disciplinari;

d)   ulteriori voci di costo finalizzate a qualificare gli standard di riferimento e commisurate alla tipologia degli ambiti disciplinari[36].

L’art. 10, co. 1, dello stesso d.lgs. 49/2012 ha disposto che, nell'ambito dell'attività di indirizzo e programmazione del sistema universitario, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca individua con proprio decreto, avente validità almeno triennale, le percentuali del FFO da ripartire in relazione al costo standard per studente, nonché ai risultati della didattica, della ricerca, delle politiche di reclutamento e agli interventi perequativi ai sensi della L. 240/2010.

 

In relazione alle previsioni recate dall’art. 8 del D.Lgs. 49/2012, è dunque intervenuto il D.I. 9 dicembre 2014, n. 893, che ha definito la disciplina per il calcolo del costo standard, disponendo che le disposizioni da esso recate si intendevano riferite al triennio 2014-2016 ed erano comunque confermate anche per gli anni successivi, fino all'emanazione di un decreto di modifica delle medesime.

In relazione alle previsioni di cui all’art. 10, co. 1, del D.Lgs. 49/2012, il range di valori della quota percentuale di FFO da attribuire in relazione al costo standard per studente è stato definito, per il triennio 2013-2015, con DM 827/2013[37] e, per il triennio 2016-2019, con il DM 635/2016.

Con sentenza 104/2017, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 8 e 10, co. 1 – limitatamente, per quest’ultimo, alle parole “al costo standard per studente” –, del D.Lgs. 49/2012.

In particolare, con riferimento all’art. 8, la Corte ha evidenziato che “il Governo, nell’esercitare la delega, non ha aggiunto pressoché nulla ai contenuti dei principi e criteri direttivi già stabiliti nell’art. 5, co. 4, lettera f), della legge n. 240 del 2010. Limitandosi a riportare testualmente i suggerimenti enunciati a titolo meramente esemplificativo nel parere della VII Commissione del Senato in merito alle voci di costo da tenere in considerazione, il Governo non ha fatto altro che esplicitare contenuti intrinseci alla nozione di costo standard, limitandosi a stabilire che ‘il costo standard unitario di formazione per studente in corso’, previsto dalla delega, deve ricomprendere le spese per la remunerazione dei docenti e del personale amministrativo, nonché per l’allestimento di servizi, spazi e strumenti per la didattica. Fatta salva questa enunciazione, manca una più precisa individuazione delle spese da includere nel computo del costo standard, nonché i criteri per la ponderazione di ciascuna voce”.

A conclusioni analoghe la Corte è giunta con riguardo all’art. 10, co. 1, in relazione al quale ha evidenziato che alla “reiterazione pressoché letterale della delega, il decreto legislativo non aggiunge altre precisazioni in merito alla quota del FFO da distribuire in base al costo standard, nemmeno nella forma dell’indicazione di un minimo o un massimo, o nella rappresentazione di una sua incidenza dinamica, anche solo tendenziale, sul complesso del finanziamento da distribuire fra gli atenei”.

Ciò premesso, la Corte ha evidenziato che, nel caso di specie, il decreto legislativo non si è limitato ad affidare ad atti amministrativi l’esecuzione di scelte già delineate nelle loro linee fondamentali negli atti con forza di legge. “Esso ha invece lasciato indeterminati aspetti essenziali della nuova disciplina, dislocando di fatto l’esercizio della funzione normativa dal Governo, nella sua collegialità, ai singoli Ministri competenti, e declassando la relativa disciplina a livello di fonti sub-legislative, con tutte le conseguenze, anche di natura giurisdizionale, che una tale ricollocazione comporta sul piano ordinamentale”.

La Corte ha, infine, concluso che “Tale declaratoria di illegittimità costituzionale, determinata esclusivamente da vizi dell’esercizio del poter legislativo delegato, non impedisce ulteriori interventi in merito del Parlamento e del Governo, sui quali comunque incombe la responsabilità di assicurare, con modalità conformi alla Costituzione, la continuità e l’integrale distribuzione dei finanziamenti per le università statali, indispensabili per l’effettività dei principi e dei diritti consacrati negli artt. 33 e 34 Cost”.

 

1) Assegnazioni 2014-2016 e disciplina applicabile per il 2017

 

Il comma 4 dispone, anzitutto, che, in coerenza con la disciplina dei commi 2 e 3 – ossia con la disciplina applicabile dal 2018 - sono confermate le assegnazioni già disposte per le università statali, nell’ambito del riparto del FFO, per gli anni 2014, 2015 e 2016.

Il FFO è stato ripartito:

§  per il 2014, con DM 4 novembre 2014, n. 815, che ha assegnato il 20% della parte di quota base da assegnare a ciascuna università in base al suo peso, in proporzione al costo standard di formazione per studente in corso della stessa università (a tal fine, come si evince dalla tabella presente sul sito del MIUR, è stato preso a riferimento per ogni ateneo il numero di studenti in corso dell'a.a. 2012/13);

§  per il 2015, con DM 8 giugno 2015, n. 335, che ha aumentato la stessa percentuale al 25% (a tal fine, come si evince dalla tabella presente sul sito del MIUR, è stato preso a riferimento per ogni ateneo il numero di studenti in corso dell'a.a. 2013/14);

§  per il 2016, con DM 6 luglio 2016, n. 552, che ha aumentato la stessa percentuale al 28%, prendendo a riferimento per ogni ateneo il numero di studenti in corso dell'a.a. 2014/15 e comunque entro un intervallo massimo e minimo del +/-2% rispetto a quelli considerati per il riparto del FFO 2015.

 

Si segnala che, alla luce delle parziali differenze presenti nei commi 2 e 3 (relativi alla disciplina applicabile dal 2018) con la disciplina recata dal D.I. 893/2014 (applicata, come si è detto, nel triennio 2014-2016) – come infra esplicitate – non appare chiaro, al comma 4, l’inciso “in coerenza con quanto definito ai commi 2 e 3”.

 

A sua volta, il comma 5 dispone che, per l’anno 2017, per assicurare il tempestivo riparto degli stanziamenti, sono utilizzati gli stessi importi del costo standard e i dati sugli studenti utilizzati per il riparto del FFO 2016. Per la quota del FFO da ripartire in base al criterio del costo standard per studente, stabilisce che questa è fissata, con il decreto ministeriale che ripartisce lo stesso FFO, entro l’intervallo compreso fra il 19% e il 22% del relativo stanziamento, al netto, comunque, degli interventi con vincolo di destinazione.

 

Con riferimento alle disposizioni di cui ai commi 4 e 5, nel comunicato stampa del MIUR del 20 giugno 2017 si evidenzia che le stesse assicurano agli atenei “il mantenimento delle risorse ricevute nell'ultimo triennio, visto che, peraltro, proprio sulla base della disponibilità di questi fondi, hanno già approvato i loro bilanci e preso impegni, fra cui anche quelli relativi all'assunzione di personale”. Inoltre, si afferma che lo sblocco delle risorse per il 2017 "mette in sicurezza anche l'attuazione della 'no tax area' (…) che consentirà a ragazze e ragazzi con famiglie con ISEE inferiori a 13.000 euro di non pagare le tasse per l'ingresso all'università[38]”.

 

2) Disciplina applicabile dal 2018

 

I commi 1-3 recano la definizione di costo standard e la disciplina per la determinazione del modello di calcolo del costo standard di ateneo –parzialmente differente da quella prevista dal D.I. 893/2014 – che si applicherà a decorrere dal 2018.

In particolare, il comma 1 – riprendendo sostanzialmente il contenuto dell’art. 8, co. 1, del d.lgs. 49/2012, nonché i principi recati dall’art. 5, co. 4, lett. f), della L. 240/2010 – stabilisce che per costo standard per studente delle università statali si intende il costo di riferimento attribuito al singolo studente iscritto entro la durata normale del corso di studio, determinato tenuto conto della tipologia di corso, delle dimensioni dell'ateneo e dei differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'università, e che lo stesso costituisce parametro di riferimento per la ripartizione annuale di una quota del FFO.

L’art. 1 del D.I. 893/2014 stabiliva anche che gli studenti iscritti part-time sono considerati in relazione alla maggiore durata normale del loro percorso e con peso pari a 0,5.

 

I commi 2 e 2-bis individuano i criteri e le voci di costo sulla base dei quali – ai sensi del comma 6, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, emanato, acquisiti i pareri di CRUI e ANVUR, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge – è determinato (ed eventualmente aggiornato) il modello di calcolo del costo standard per studente.

 

I criteri attengono ai costi del personale docente, dei docenti a contratto, del personale tecnico-amministrativo, nonché ai costi di funzionamento e gestione delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio.

2.1. Criterio del costo del personale docente

Per quanto concerne il criterio del costo del personale docente, si considerano:

·      la dotazione standard di docenza prevista per l’accreditamento iniziale dei corsi di studio.

 

Al riguardo si ricorda che il DM 987/2016 ha ridefinito – a decorrere dall'a.a. 2017/2018 – il sistema di autovalutazione, valutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio, confermando, ai fini dell’accreditamento iniziale, la necessità di requisiti minimi di docenza[39].

In particolare, le disposizioni da esso recate sostituiscono quelle del DM 47/2013 – modificato dal DM 1059/2013 – fatte salve, per quanto qui interessa, le deroghe sui requisiti di docenza fino all'a.a. 2017/2018 disposte dal DM 194/2015, che ha previsto un temporaneo alleggerimento dei relativi indicatori, in considerazione del fatto che le limitazioni in maniera di turn over rischiavano di pregiudicare l’offerta formativa.

Nello specifico, il DM 987/2016 ha fissato una numerosità minima complessiva (ossia, inclusiva di professori di I e II fascia e ricercatori) del personale docente – specificando (solo) il numero minimo di professori a tempo indeterminato – e di eventuali figure aggiuntive (tutor[40] o figure specialistiche aggiuntive[41]), necessaria per l'accreditamento iniziale e periodico dei corsi di studio, a seconda della tipologia di corso di studi[42].

 

Il D.I. 893/2014 prevedeva, invece, che il costo del personale docente fosse riferito alla numerosità standard indicata dalla Tab. 2 allegata al medesimo D.I., che, in particolare, specificava separatamente la numerosità minima di professori di prima fascia, di professori di seconda fascia e di ricercatori.

 

Si riscontra, dunque, una prima differenza rispetto al sistema applicato nel triennio 2014-2016;

 

·      come costo medio di riferimento, cui parametrare la dotazione standard di docenza, il costo caratteristico di ateneo del professore di prima fascia.

In base al DM 5 agosto 2016, che ha definito criteri e contingente assunzionale delle università statali per l’anno 2016, il costo medio nazionale di un professore di prima fascia, cui corrisponde il coefficiente stipendiale di 1 Punto Organico (P.O.), è pari, per lo stesso anno, a € 114.610.

 

La relazione tecnica all’A.S. 2860 evidenziava che il costo di un professore di seconda fascia e quello di un ricercatore sono pari, rispettivamente, al 70% e al 50% di quello di un professore di prima fascia.

Anche il D.I. 893/2014 prevedeva che il costo del personale docente avesse come parametro stipendiale di riferimento il costo medio caratteristico di ateneo del professore di I fascia, specificando che la parametrazione del personale docente in termini di punti organico era la seguente: I fascia = 1 P.O.; II fascia = 0,7 P.O.; RU = 0,5 P.O;

 

·      come numero standard di riferimento degli studenti – da utilizzare per la determinazione della dotazione standard di docenza – “il valore compreso nell’intervallo fra il 60% e il 100% del numero di riferimento previsto per l’accreditamento” per le classi delle aree medico-sanitaria, scientifico-tecnologica e umanistico-sociale.

Al riguardo, la relazione illustrativa all’A.S. 2860 precisava che il valore percentuale sarebbe stato determinato dal decreto ministeriale di cui al comma 6.

Evidenziava, inoltre, che la previsione di valori di riferimento più bassi di quelli utilizzati per l’accreditamento è finalizzata a tenere conto della presenza di costi fissi di docenza nelle classi di corso (principalmente degli atenei di piccole dimensioni) con numerosità bassa di iscritti[43].

Peraltro, a seguito delle modifiche apportate dal Senato, il comma 2-bis stabilisce che la dotazione standard di docenza è riferita a un numero di studenti compreso tra le numerosità minime e massime per ogni classe di corso di studio, che verranno stabilite con il medesimo decreto ministeriale di cui al comma 6.

Al riguardo, non è chiaro come si coordinino le disposizioni contenute nel co. 2, lett. a), secondo periodo, con quelle contenute nel co. 2-bis.

Una lettura, ad esempio, potrebbe far ritenere che si intenda riferire il valore percentuale indicato al co. 2, lett. a), secondo periodo, al livello di area, e il range di cui al co. 2-bis alle singole classi di corso di studio all’interno della medesima area.

In ogni caso, occorre un chiarimento.

 

La docenza minima necessaria indicata nell’allegato A del DM 987/2016 è relativa alle numerosità standard di riferimento degli studenti previste per ogni classe afferente alle 3 aree disciplinari individuate dal DI 893/2014 (Medico-sanitaria, scientifico-tecnologica e umanistica-sociale).

Rispetto a tali numerosità di riferimento, è tuttavia consentito, prima dell’incremento della docenza minima necessaria, l’iscrizione di un maggior numero di studenti entro il limite delle numerosità massime indicate dall’Allegato D al DM[44].

 

Il D.I. 893/2014 rimandava, invece, alle numerosità di riferimento degli studenti per area disciplinare indicate dalla Tab. 1 allegata al medesimo D.I..

2.2. Criterio del costo della docenza a contratto

Il criterio del costo della docenza a contratto è riferito al monte ore di didattica integrativa aggiuntiva, stabilito in misura pari al 30% del monte ore di didattica standard dei docenti (non a contratto), ossia – come evidenzia anche la relazione tecnica – al valore medio di 120 ore per i professori e di 60 ore per i ricercatori.

Si tratta della stessa previsione recata dall’art. 2 del D.I. 893/2014 che, tuttavia, specifica anche che le ore di didattica integrativa a contratto sono parametrate rispetto ad un costo orario di riferimento uniforme a livello nazionale.

Tale costo, in base allo stesso D.I., era stato fissato per il triennio 2014-2016 in € 100 lordo dipendente, pari a un costo orario standard di € 132,7 comprensivo degli oneri a carico dell’ateneo.

 

Il medesimo costo orario standard di € 132,7 era utilizzato, nell’esempio già ricordato, anche dalla relazione tecnica all’A.S. 2860.

2.3 Criterio del costo del personale tecnico-amministrativo

Con riferimento al criterio del costo del personale tecnico-amministrativo, si attribuisce, anzitutto, una dotazione standard pari ad una unità di personale per ogni docente (non a contratto). In aggiunta, si attribuisce un numero di figure di supporto tecnico parametrato a quelle eventualmente richieste in sede di accreditamento dei corsi di studio (v. ante) e un numero di collaboratori ed esperti linguistici pari a quelli in servizio presso l’ateneo.

 

Il D.I. 893/2014 considera – come previsto dall’art. 8 del d.lgs. 49/2012 – i servizi didattici, organizzativi e strumentali, compresa la dotazione di personale tecnico amministrativo, e dispone che il costo standard di tali servizi è fissato al 37,5% del costo medio caratteristico di ateneo del professore di I fascia moltiplicato per la dotazione standard complessiva di docenza (professori di I fascia, professori di II fascia e ricercatori), calcolata in base alla già citata Tab. 2 allegata al D.I.

Inoltre, tra le ulteriori voci di costo, considera le figure specialistiche (nelle classi di laurea magistrale a ciclo unico di Scienze della formazione primaria e di Conservazione e restauro dei beni culturali), i tutor (per i corsi di studio a distanza), e i collaboratori ed esperti linguistici a tempo determinato o indeterminato.

Le figure specialistiche e i tutor sono considerati in numero pari a quanto ha poi stabilito, successivamente, il DM 987/2016.

Per tutte le figure, ad ogni unità di personale in servizio è attribuito un costo medio pari al 10% del costo medio caratteristico di un professore di I fascia.

 

La relazione tecnica all’A.S. 2860, nell’esempio già ricordato, utilizzava per il costo medio del personale tecnico amministrativo di un ateneo la medesima percentuale del 37,5% del costo medio caratteristico di ateneo del professore di prima I fascia.

Evidenziava, inoltre, che l’incidenza percentuale dei costi relativi a figure specialistiche sui costi totali è generalmente inferiore al 3% per ogni ateneo.

2.4 Criterio dei costi di funzionamento

Relativamente al criterio dei costi di funzionamento e di gestione delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio dei diversi ambiti disciplinari, si specifica che il costo è stimato sulla base degli oneri medi rilevati dai bilanci degli atenei, tenendo conto anche dei costi fissi della sede universitaria, non dipendenti dalla numerosità degli iscritti.

 

Il D.I. 893/2014 prevedeva, invece, che la quantificazione del corrispondente costo standard fosse ottenuta attraverso una formula che teneva conto della dimensione dell’ateneo, della numerosità di studenti in corso e della tipologia di corsi cui erano iscritti[45].

 

Si tratta, dunque, di una ulteriore differenza rispetto alla disciplina finora applicata.

 

La relazione tecnica all’A.S. 2860, nell’esempio già ricordato, evidenziava che, in media, tale voce di costo incide per circa un terzo delle voci di costo precedenti.

2.5 Meccanismi perequativi

Il comma 3 riguarda la perequazione del costo standard di ateneo. Nello specifico, si stabilisce che, al fine di tenere conto dei differenti contesti economici e territoriali  in cui l’università si trova ad operare, al costo standard di ateneo è aggiunto un importo di natura perequativa parametrato rispetto al costo standard medio nazionale fino ad un massimo del 10%, in base alla diversa capacità contributiva degli studenti iscritti all’università, determinata tenendo conto del reddito medio familiare della ripartizione territoriale, di norma, a livello regionale, dove ha sede l’ateneo.

 

Il D.I. 893/2014 disponeva che l’importo di natura perequativa era parametrato alla diversa capacità contributiva per studente della regione dove ha sede l’ateneo, sulla base del reddito familiare medio (al netto di fitti imputati) rilevato dall’ISTAT, ed era ottenuto applicando una formula che teneva conto della differenza tra la contribuzione della regione con reddito familiare medio più elevato e la contribuzione della regione in cui aveva sede l’ateneo.

 

Anche in questo caso, dunque, si riscontrano alcune differenze con la disciplina finora applicata.

 

Il già citato comma 6 prevede un ulteriore importo di natura perequativa, che tiene conto della diversa accessibilità ad ogni università in relazione alla rete dei trasporti e dei collegamenti. Anche tale importo perequativo è parametrato rispetto al costo standard medio nazionale fino ad un massimo del 10%.

 

Si valuti l’opportunità di unificare in un unico comma le disposizioni riguardanti le quote di natura perequativa.

2.6 Percentuale FFO collegata al costo standard

Il comma 7 stabilisce che il decreto ministeriale con il quale si provvede alla rideterminazione del modello di calcolo del costo standard per studente – che ha validità triennale – determina anche la percentuale del FFO, al netto degli interventi con vincolo di destinazione, da ripartire tra gli atenei in base al criterio del costo standard per studente. A tal fine, il comma 8, come sostituito dal Senato, dispone che il costo standard per studente di ateneo è moltiplicato per gli studenti regolarmente iscritti al corso di studi da un numero di anni accademici non superiore alla sua durata normale, cui si sommano gli studenti iscritti al primo anno fuori corso.

Sempre in base al comma 7, la percentuale stabilita con il decreto non può essere inferiore “a quella del comma 5”, ed è incrementata tra il 2% e il 5% all’anno, fino ad un massimo del 70%, in modo da sostituire gradualmente il criterio dell’assegnazione storica del Fondo.

Occorre chiarire se si intenda fare riferimento al valore minimo o a quello massimo fissato dal comma 5, ovvero al valore che sarà effettivamente definito per il 2017. In quest’ultimo caso, occorrerebbe esplicitarlo nel testo.

 

Al riguardo, si evidenzia che la percentuale massima sopra indicata è coerente con la percentuale della quota del FFO attribuita per finalità premiali (ex art. 2, D.L. 180/2008-L. 1/2009), che, in base all’art. 60, co. 01, del D.L. 69/2013 (L. 98/2013), può raggiungere (a seguito di successivi incrementi annuali non inferiori al 2%) il 30%.


 

Articolo 12, comma 8-bis
(Contributi alla Fondazione Accademia
Nazionale di Santa Cecilia)

 

 

L’articolo 12, comma 8-bis, inserito durante l’esame al Senato, autorizza la concessione alla Fondazione Accademia Nazionale di Santa Cecilia di un contributo straordinario di 4 milioni di euro per il 2017 e di un contributo ordinario di 250 mila euro annui a decorrere dal 2018, finalizzato al pagamento degli emolumenti dei docenti di alcuni corsi di perfezionamento.

 

Nello specifico, il testo fa riferimento ai corsi di perfezionamento della (già) Accademia Nazionale di Santa Cecilia istituiti dall’art. 1 del R.D. 22 giugno 1939, n. 1076 e agli insegnamenti individuati dall’art. 2 del medesimo R.D.

 

Preliminarmente, si rappresenta che il R.D. 1076/1939 è stato abrogato dal d.lgs. 212/2010 e che, in ogni caso, gli insegnamenti non erano individuati dall’art. 2, bensì dall’art. 4 dello stesso.

Dal punto di vista della formulazione del testo, inoltre, è necessario riferirsi alla Fondazione Accademia Nazionale di Santa Cecilia.

 

In particolare, l’art. 1 del R.D. 22 giugno 1939, n. 1076 – provvedimento abrogato dal d.lgs. 212/2010  – aveva istituito presso la Regia Accademia di Santa Cecilia corsi di perfezionamento nelle varie discipline musicali, disponendo che al termine dei corsi fossero rilasciati i diplomi corrispondenti. L’art. 4 specificava che i corsi avevano per oggetto gli insegnamenti di composizione, pianoforte, violino, violoncello e musica d’insieme.

A sua volta, l’art. 2 stabiliva che il Ministro aveva facoltà di comandare presso l'Accademia, per insegnare nei citati corsi, i professori di ruolo titolari nel Conservatorio di musica di Santa Cecilia delle cattedre di perfezionamento in composizione, pianoforte, violino, violoncello, e musica d'insieme (ossia, delle cattedre corrispondenti agli insegnamenti previsti), nonché delle cattedre di perfezionamento in direzione di orchestra e arpa. In via eccezionale, su proposta del presidente dell'Accademia, qualcuno dei predetti insegnamenti poteva essere affidato anno per anno, a un professore emerito, con retribuzione a carico del bilancio statale.

Solo successivamente, l’art. 5 del R.D. 15 aprile 1942, n. 564 – provvedimento anch’esso abrogato dal d.lgs. 212/2010 – aveva stabilito che a fianco dei corsi di perfezionamento previsti dall’art. 4 del R.D. 1076/1939, venissero istituiti (anche agli effetti di cui all’art. 2 dello stesso R.D.), anche i corsi di perfezionamento di direzione di orchestra e di arpa.

 

A seguito della trasformazione in fondazioni di diritto privato degli enti lirici, disposta dal d.lgs. 367/1996 – che, per quanto qui interessa, ha determinato la trasformazione dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia in Fondazione Accademia Nazionale di Santa Cecilia – la materia è ora disciplinata dallo statuto della Fondazione citata, da ultimo modificato con DM n. 54 del 31 gennaio 2017.

In base al testo dello Statuto disponibile sul sito della Fondazione Accademia Nazionale di Santa Cecilia la Fondazione, che ha personalità giuridica di diritto privato ed è sottoposta all’alta vigilanza del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, persegue, senza scopo di lucro, la diffusione dell’arte musicale, la valorizzazione del proprio patrimonio storico, l’educazione musicale della collettività, la formazione professionale dei quadri artistici, e la valorizzazione dei propri complessi artistici stabili.

Per il perseguimento dei propri fini, la Fondazione, tra l’altro, rilascia i diplomi dei corsi di perfezionamento di cui ai RR.DD. 1076/1939 e 564/1942.

 

Come si evince dal sito della Fondazione, per l’a.a. 2017/2018 saranno attivati i corsi di perfezionamento in composizione, pianoforte, violino e violoncello (che erano previsti, come si è visto, dal R.D. 1076/1939), nonché di musica da camera.

 

Si segnala che né il R.D. 1076/1939 – cui fa riferimento il testo - né il R.D. 564/1942 prevedono espressamente i corsi di perfezionamento di musica da camera.

 

Per completezza, si evidenzia che la relazione tecnica riferita al maxiemendamento presentato al Senato fa presente che il contributo è finalizzato ai versamenti alle entrate dello Stato a titolo di rimborso per gli stipendi dei docenti dei corsi di perfezionamento, impiegati presso l’Accademia dal 1998 e che continueranno ad essere impiegati. Si tratta dei docenti del Conservatorio nazionale di Santa Cecilia, dunque dipendenti dallo Stato, comandati presso la Fondazione Accademia Nazionale di Santa Cecilia.

 

Alla copertura degli oneri derivanti, si provvede, quanto a € 4 mln per il 2017, mediante corrispondente riduzione del «Fondo “La Buona Scuola” per il miglioramento e la valorizzazione dell'istruzione scolastica», di cui all’art. 1, co. 202, della L. 107/2015, e, quanto a € 250.000 annui dal 2018, mediante corrispondente riduzione del Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS), di cui alla L. 163/1985.

 


 

Articolo 12-bis
(Disposizioni relative all’università degli studi Trento)

 

 

L’articolo 12-bis, introdotto durante l’esame al Senato, individua quali fondi non rientrano fra i fondi statali di incentivazione all’assegnazione dei quali può concorrere l’Università degli studi di Trento.

 

L’università degli studi di Trento è stata istituita come università statale dall’art. 40 della L. 590/1982. L’art. 44 della stessa – come modificato, da ultimo, dall'art. 17, co. 129, della L. 127/1997 – aveva disposto che per il finanziamento degli oneri di funzionamento, all'università degli studi di Trento era devoluta annualmente una somma da iscriversi in apposito capitolo del bilancio dello Stato[46].

Successivamente, il d.lgs. 142/2011, Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige recanti delega di funzioni legislative ed amministrative statali alla provincia di Trento in materia di università degli studi, ha, fra l’altro, specificato i contenuti della stessa delega e ha determinato le modalità per assicurare la piena integrazione e partecipazione della stessa università al sistema delle università italiane.

In particolare, per quanto qui più interessa, l’art. 2 ha previsto che la legge provinciale provvede a disciplinare il sistema della programmazione finanziaria e del finanziamento dell’università, attenendosi, fra l’altro, ai seguenti principi e criteri direttivi:

§  Previsione di un riferimento temporale pluriennale;

§  Previsione di una quota base, destinata al finanziamento delle spese di funzionamento;

§  Disciplina di una quota premiale, assicurando un livello minimo non inferiore a quello utilizzato a livello nazionale per analoghe finalità;

§  Disciplina di una quota programmatica, destinata all’attuazione dei progetti di sviluppo dell’università;

§  Disciplina del finanziamento per l’edilizia universitaria e del finanziamento delle spese per il diritto allo studio.

Ha, inoltre, previsto (co. 5) che il finanziamento dell’università è posto a carico della provincia di Trento per un importo non superiore alla media delle assegnazioni statali di competenza attribuite all'Università per le medesime funzioni nel triennio 2007 – 2009, come indicate nella tabella allegata. L’assunzione degli oneri a carico della provincia per l’esercizio di tale funzione è limitata all’importo di € 100 mln annui, decurtato delle spese sostenute dalla medesima provincia per il finanziamento di iniziative e di progetti relativi ai territori confinanti, pari a € 40 mln annui. Gli oneri, a richiesta della provincia o dello Stato, possono essere aggiornati con cadenza quinquennale. Nel caso in cui gli oneri inerenti la delega relativa all’università risultino inferiori all’importo da porre a carico della provincia, lo Stato recupera la differenza a valere sulle somme a qualsiasi titolo spettanti alla provincia. Nel caso in cui, invece, i predetti oneri risultino superiori all’importo da porre a carico della provincia, lo Stato rimborsa la quota eccedente entro l’anno successivo a quello di riferimento.

L’art. 5, co. 2, a sua volta, ha previsto che alle medesime condizioni di parità con gli altri atenei italiani, l’università di Trento può concorrere all’assegnazione dei fondi statali di incentivazione, compresi quelli relativi alla mobilità dei docenti.

 

Nel quadro descritto, l’art. 12-bis specifica, in relazione alla previsione recata dal citato art. 5, co. 2, del d.lgs. 142/2011, che tra i fondi statali di incentivazione all’assegnazione dei quali può concorrere l’Università degli studi di Trento non rientrano, in quanto già ricomprese nella quota relativa alla L. 590/1982:

§  la quota base, la quota premiale e l'intervento perequativo del fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO) (art. 5, co. 1, lett. a), L. 537/1993).

Il fondo è allocato sul cap. 1694 dello stato di previsione del MIUR e per il 2017, in base al Decreto 102065 del 27 dicembre 2016 - Ripartizione in capitoli delle Unità di voto parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e per il triennio 2017 – 2019 – reca uno stanziamento pari a € 6.981.890.720;

§  il fondo per la programmazione dello sviluppo del sistema universitario (art. 5, co. 1, lett. c), L. 537/1993).

L'art. 60, co. 1, del D.L. 69/2013 (L. 98/2013) ha disposto la confluenza delle relative risorse nel FFO (e nel contributo relativo alle università non statali legalmente riconosciute) a decorrere dal 2014;

§  il fondo per l'edilizia universitaria e per le grandi attrezzature scientifiche (art. 5, co. 1, lett. b), L. 537/1993).

Il fondo è allocato sul cap. 7266 dello stato di previsione del MIUR, che nel citato Decreto 102065 del 27 dicembre 2016 non reca stanziamenti;

§  il fondo per le borse di studio universitarie post lauream.

Anche in tal caso, l'art. 60, co. 1, del D.L. 69/2013 ha disposto la confluenza delle relative risorse nel FFO (e nel contributo relativo alle università non statali legalmente riconosciute) dal 2014.

 

Per completezza, si ricorda che, da ultimo, l’art. 10, co. 1, lett. b), del DM 6 luglio 2016 n. 552, recante i criteri di ripartizione del FFO per l’anno 2016, ha destinato € 47.000.000, ai sensi dell'art. 1, co. 247, della L. 208/2015 (legge di stabilità 2016) per il finanziamento del Piano straordinario 2016 per il reclutamento di ricercatori universitari “di tipo b” (art. 24, co. 3, lett. b), L. 240/2010) secondo le modalità definite dal DM 18 febbraio 2016, n. 78 e, con riferimento all'università di Trento, dal DM 29 aprile 2016, n. 289.


 

Articolo 13
(Disposizioni in materia di risanamento ambientale da parte dell’Amministrazione straordinaria di ILVA)

 

 

L’articolo 13 contiene, al comma 1, disposizioni volte ad attuare le misure previste dall’articolo 1 comma 6-undecies del D.L. n. 191/2015, il quale interviene sulla destinazione delle somme che, a seguito del trasferimento dei complessi aziendali del Gruppo ILVA, sono confiscate o che comunque pervengono allo Stato in via definitiva all'esito di procedimenti penali pendenti nei confronti di azionisti e amministratori di società del Gruppo per fatti anteriori al suo commissariamento.

Il comma 1 in esame prevede che - qualora la confisca abbia ad oggetto le obbligazioni (emesse a valere sulle somme già oggetto di sequestro nell’ambito dei suddetti procedimenti penali) - ferma la destinazione delle somme rivenienti dalla sottoscrizione delle medesime obbligazioni per le finalità di risanamento e bonifica ambientale, il finanziamento statale concesso ad ILVA (ai sensi dell’articolo 1, comma 6-bis del D.L. n. 191/2015) è estinto mediante utilizzo delle risorse finanziarie derivanti dalla sottoscrizione delle suddette obbligazioni.

Il comma 1-bis, introdotto al Senato, apporta modifiche al citato articolo 1 comma 6-undecies del D.L. n. 191/2015, al fine di specificare le modalità operative attraverso le quali, a seguito dell’integrale restituzione del finanziamento statale, le residue risorse potranno essere utilizzate per le ulteriori finalità già previste a legislazione vigente.

Il comma 1-ter, anch’esso introdotto al Senato fornisce, in proposito, un chiarimento sulle modalità di destinazione delle risorse alla attuazione e realizzazione del Piano ambientale.

 

In particolare, l’articolo 13, comma 1, dispone, ai fini dell’attuazione delle misure previste nel sopra citato articolo 1 comma 6-undecies del D.L. n. 191/2015, che - qualora la confisca abbia ad oggetto le obbligazioni (emesse a valere sulle somme già oggetto di sequestro nell’ambito dei procedimenti penali nei confronti di azionisti e amministratori di società del gruppo ILVA per fatti anteriori al suo commissariamento) - ferma la destinazione delle somme rivenienti dalla sottoscrizione delle medesime obbligazioni per le finalità di risanamento e bonifica ambientale di cui all'articolo 3, comma 1 del D.L. n. 1/2015, il finanziamento statale concesso ad ILVA (ai sensi dell'articolo 1, comma 6-bis, del D.L. n. 191/2015) è estinto mediante utilizzo delle risorse finanziarie derivanti dalla sottoscrizione delle suddette obbligazioni.

I crediti derivanti dalla sottoscrizione delle suddette obbligazioni sono dunque estinti fino a concorrenza dell'ammontare delle spese e dei costi sostenuti, a valere sul patrimonio destinato dell'emittente costituito ai sensi del citato articolo 3, comma 1, del D.L. n. 1/2015, per l'attuazione e la realizzazione di interventi di risanamento e bonifica ambientale, compresi gli interventi già autorizzati a valere sui finanziamenti statali concessi.

 

Il vigente comma 6-undecies del D.L. n. 191/2015, dispone che - salvo quanto dovuto per spese di giustizia – le somme in questione siano versate all'entrata del bilancio dello Stato, a titolo di restituzione del finanziamento statale ad ILVA autorizzato fino a 800 milioni (dal comma 6-bis del medesimo articolo 1 del D.L. n. 191/2015), fino a concorrenza dell’importo finanziato e, per la parte eccedente, sulla contabilità speciale dell'amministrazione straordinaria per essere destinate al finanziamento di interventi per il risanamento e la bonifica ambientale e, in via subordinata, alla riqualificazione e riconversione produttiva dei siti contaminati, nei comuni di Taranto e di Statte.

Il comma 6-undecies interviene dunque sulle somme pervenute in via definitiva all’esito dei procedimenti penali nei confronti della famiglia Riva e degli amministratori del gruppo.

Peraltro, con un intervento contenuto nel D.L. n. 1/2015, il legislatore aveva già disposto in ordine all’utilizzo delle somme sottoposte a sequestro penale nell'ambito dei procedimenti penali pendenti nei confronti degli azionisti e amministratori di società del gruppo ILVA (dunque, nell’ambito di procedimenti non ancora conclusi) destinando le somme stesse, sulla base di un particolare meccanismo delineato nell’articolo 3, comma 1 del D.L. n. 1/2015 alle attività di risanamento ambientale.

Ai sensi dell’articolo 3, comma 1 del D.L. n. 1/2015, l'organo commissariale di ILVA S.p.A. è stato infatti autorizzato a richiedere il trasferimento (in Italia) delle somme sottoposte a sequestro penale nell'ambito dei procedimenti pendenti nei confronti degli azionisti e amministratori di società del gruppo ILVA e a richiedere che l'autorità giudiziaria procedente disponesse l'impiego delle somme sequestrate per la sottoscrizione di obbligazioni emesse dalla società in amministrazione straordinaria (in luogo dell'aumento di capitale) e intestate al Fondo Unico di Giustizia e, per esso, al gestore ex lege Equitalia Giustizia S.p.A. Il sequestro penale sulle somme si sarebbe convertito in sequestro delle obbligazioni.

Il medesimo articolo 3, comma 1 ha poi disposto che le somme rivenienti dalla sottoscrizione delle obbligazioni dovessero essere versate in un patrimonio dell'emittente destinato in via esclusiva alla realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dell'impresa in A.S. e, nei limiti delle disponibilità residue, a interventi volti alla tutela della sicurezza e della salute, nonché di ripristino e di bonifica ambientale secondo le modalità previste dall'ordinamento vigente.

La legge di bilancio 2017 ha poi modificato la norma in questione disponendo che la destinazione delle somme alle predette finalità avvenga previa restituzione del finanziamento statale autorizzato (fino ad 800 milioni, di cui 600 milioni di euro per il 2016 e 200 milioni per il 2017) ai sensi del già citato articolo 1, comma 6-bis, del D.L. n. 191/2015 per la realizzazione del Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dell'impresa in amministrazione straordinaria ed effettivamente erogato[47].

 

Per quanto riguarda le somme in questione, i Commissari Straordinari di ILVA - ai sensi del citato articolo 3, co. 1 del D.L. n. 1/2015, con istanza di marzo 2015 - hanno dunque iterato richiesta di trasferimento in Italia delle somme sottoposte a sequestro penale dal GIP del Tribunale di Milano, o di altri procedimenti penali pendenti nei confronti di azionisti e amministratori di società del gruppo ILVA.

Nel procedimento milanese, l'11 maggio 2015 il GIP ha dunque disposto l'utilizzo dei valori patrimoniali dei trust sequestrati rogatorialmente per la sottoscrizione di obbligazioni, ordinando la conversione del sequestro dei valori in un sequestro delle obbligazioni emesse (ai sensi del sopra commentato articolo 3, comma 1, del D.L. n. 1/2015).

Equitalia Giustizia S.p.A. ha ordinato a UBS Fiduciaria di impartire a UBS Switzerland un ordine di pagamento. UBS Fiduciaria ha quindi impartito alla banca svizzera l'ordine di trasferire in Italia i valori patrimoniali. Il 19 giugno 2015, la Procura del Canton Zurigo (Staatsanwaltschaft I des Kantons Zürich) ha dato l'autorizzazione alla banca svizzera per consegnare i beni dei trust all'Italia, ma, con sentenza del 18 novembre 2015, la Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale di Bellinzona ha annullato la decisione della Procura del Canton Zurigo.

Il rientro delle somme in Italia si è concluso solo a seguito dell’accordo transattivo stipulato a maggio 2017 tra i commissari straordinari di ILVA S.p.A. e la Partecipazioni Industriali S.p.A. (già RIVA FIRE, società Capogruppo facente capo alla famiglia Riva), con contestuale accoglimento da parte del GUP di Milano della richiesta da parte dei difensori dei soggetti imputati di patteggiamento (applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.), con sentenza depositata il 26 maggio 2017.

In virtù dell’accordo transattivo[48], le somme sono state dunque materialmente trasferite al Fondo unico giustizia (FUG) [49] perché il FUG, e, per esso Equitalia Giustizia S.p.A., quale gestore ex lege del Fondo, le impieghi per la sottoscrizione di obbligazioni emesse da ILVA in amministrazione straordinaria.

 

La relazione illustrativa afferma che, con la norma contenuta nel comma 1 dell’articolo 13 in esame, viene chiarita la destinazione finale delle somme oggetto di sequestro nell’ambito dei procedimenti giudiziari in questione: la disciplina del loro utilizzo in corso di sequestro aveva correttamente previsto, stante il carattere non definitivo del provvedimento, un obbligo di rimborso: in caso di caducazione del sequestro, infatti, le obbligazioni sarebbero state retrocesse ai titolari che avrebbero avuto diritto al rimborso dei fondi impiegati per la loro sottoscrizione.

Nel caso di definitiva confisca è invece possibile destinare stabilmente, nei limiti già previsti dalla previgente norma, le somme in questione, permettendo di realizzare le finalità di tutela ambientale mediante estinzione del credito nei confronti dell’amministrazione straordinaria dell’ILVA derivante dalla sottoscrizione delle obbligazioni, che ne costituisce la modalità concreta di finanziamento.

 

Per ciò che concerne il Piano ambientale, si ricorda che la realizzazione delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria e sono state oggetto di ripetuti interventi, da ultimo con il D.L. n. 244/2016 ed esse sono state strettamente correlate con la cessione dei beni aziendali del gruppo ILVA.

Quanto a tale cessione, un comunicato del Ministero dello sviluppo economico del 5 giugno 2017 informa che il Ministro, in pari data, ha firmato il decreto che autorizza i Commissari straordinari del Gruppo Ilva a procedere alla aggiudicazione dei complessi aziendali del gruppo Ilva S.p.A. ad Am Investco Italy S.r.l, il cui capitale sociale risulta detenuto da ArcelorMittal Italy Holding S.r.l. (51%), ArcelorMittal S.A. (34%) e Marcegaglia Carbon Steel S.p.A. (15%).

L’offerta di  Am Investco Italy S.r.l. prevede, tra l’altro un prezzo di acquisto di €1.800 milioni; previo affitto dell’azienda il cui canone annuo è €180 milioni.

 

L’offerta di Am Investco Italy S.r.l. prevede, tra l’altro, per ciò che concerne il piano ambientale, l’esecuzione entro il 2023 del piano stesso, con l’effettuazione di investimenti per €1.137 milioni, tra i quali €301 milioni destinati alla copertura dei parchi minerari a tutela del territorio che insiste sulla centrale; €196 milioni alle cokerie e €179 milioni al piano acque.

Il termine del programma dei Commissari coinciderà con il termine di ultimazione del Piano ambientale di ILVA (2023).

Quanto alla produzione, il mantenimento della stessa previsto dall’accordo con gli offerenti è fissato a 6Mt, sostanzialmente in linea con l’attuale, fino al completamento del Piano ambientale, e il successivo ripristino dei volumi nel 2024 ai livelli ante sequestro nei limiti dell’AIA vigente (8Mt) mediante 3 altoforni.

Quanto agli investimenti complessivi, l’offerta prevede investimenti per circa €. 2.400 milioni di cui €1.250 milioni di investimenti tecnologici e €1.150 milioni di investimenti ambientali.

Con riferimento ai livelli occupazionali il piano Am Investco Italy S.r.l. prevede un organico pari a 9.407 occupati (FTE) nel 2018, destinati a ridursi nell’arco del Piano a 8.480 occupati costanti. Il costo del lavoro per FTE è indicato in 50mila euro nel 2018 (in linea con i livelli attuali di ILVA S.p.A.) e in 52mila euro a partire dal 2021.

Il comunicato afferma che oggi l’organico delle società ILVA oggetto del trasferimento è composto da 14.220 lavoratori ed il ricorso alla cig straordinaria  riguarda complessivamente un massimo di  4.100 addetti.

Disponibilità ad ulteriori impegni. AM ha comunicato la propria disponibilità alla assunzione di ulteriori impegni da definire nella sede negoziale successiva alla aggiudicazione:

§  riduzione dei tempi per la realizzazione degli investimenti ambientali con particolare riferimento alla copertura dei parchi;

§  valutazione dell’impiego della tecnologia DRI e le condizioni della sua sostenibilità economica;

§  impegno a non modificare il piano industriale e i connessi livelli occupazionali, anche a fronte di eventuali richieste di impegni di dismissione di asset o vincoli di produzione imposti dall’Antitrust europeo e a rinunciare alla possibilità di ritirare la propria offerta qualora l’autorizzazione antitrust sia subordinata al rispetto di prescrizioni tali da alterare le motivazioni strategiche a base dell’offerta;

§  maggiori impegni sul piano occupazionale nel quadro di una occupazione complessiva di circa 10.000 occupati nel gruppo ILVA, per tutta la durata del Piano.

 

Il comunicato del MISE informa inoltre che il decreto ministeriale adottato prevede che i Commissari straordinari, nell’ambito della negoziazione in esclusiva con l’aggiudicatario, indirizzeranno prioritariamente l’attività sui seguenti obiettivi:

§  miglioramento dell’offerta sotto il profilo della tutela occupazionale, prevedendosi che il livello occupazionale riferibile complessivamente al gruppo Ilva sia costituito da almeno 10.000 unità per l’intero periodo di riferimento del piano industriale tenendo conto che l’accordo sindacale potrà ulteriormente precisare e incrementare tale obbligo;

§  massima compressione, per quanto nella disponibilità delle parti, dei tempi delle procedure da espletare a seguito dell’aggiudicazione, con particolare riferimento alla presentazione dell’istanza di modifica del piano ambientale di cui all’art  1, comma 8.1 D.L. n. 191/2015 e all’espletamento della procedura antitrust;

§  definizione di clausole contrattuali idonee a garantire la piena esecuzione delle obbligazioni contrattuali, comprese quelle relative all’attuazione del piano industriale e del piano ambientale e ai correlati livelli occupazionali, anche nell’ipotesi di imposizione di vincoli e limitazioni da parte della competente autorità antitrust;

§  rafforzamento e specificazione delle iniziative sul territorio previste nell’offerta, con particolare riferimento alla realizzazione di un centro di ricerca nel sito di Taranto;

§  adeguata finalizzazione dell’impegno offerto da AM ad individuare e perseguire le soluzioni tecnologiche più sostenibili ed efficienti e con il minor impatto ambientale, anche valutando l’impiego della tecnologia DRI e le condizioni della sua sostenibilità economica;

§  riduzione dei tempi previsti in offerta per la realizzazione degli interventi di copertura dei parchi primari.

Per quanto riguarda i contenuti del nuovo programma della procedura, si legge nel Comunicato che i Commissari straordinari dovranno integrare il programma della procedura, come previsto dall’art 1, commi 8.4 e 8.5 del decreto legge 191/2015, prevedendo:

§  l'esecuzione di interventi di ambientalizzazione e di ulteriori interventi di decontaminazione e risanamento ambientale non previsti nel Piano, ma ad esso connessi, anche mediante formazione e impiego del personale della società rimasto alla amministrazione straordinaria;

§  la definizione ed esecuzione di attività di sostegno assistenziale e sociale per le famiglie disagiate nei comuni di Taranto, Statte, Crispiano, Massafra, e Montemesola, per la durata di 3 anni, con risorse pari a complessivi 30 milioni di euro.

Il termine del programma dei Commissari coinciderà con il termine di ultimazione del Piano ambientale di ILVA (2023).

Nel corso dell’esame al Senato, è stato introdotto il comma 1-bis il quale novella il già citato comma 6-undecies, dell’articolo 1 del D.L. n. 191/2015 per specificare le modalità operative attraverso le quali, a seguito della restituzione del finanziamento statale, le residue risorse possono essere utilizzate per le ulteriori finalità già previste dalla norma: risanamento e bonifica ambientale e, in via subordinata, riqualificazione e riconversione produttiva dei siti contaminati.

In particolare, con la novella in esame, si chiarisce che la destinazione delle somme oggetto di confisca alla realizzazione degli interventi sopra indicati avviene mediante la sottoscrizione di obbligazioni emesse dall’organo commissariale di ILVA (a valere sulle somme confiscate), ai sensi dell’articolo 3, comma 1 del D.L. n. 1/2015.

Si ricorda in proposito che il rientro in Italia delle somme confiscate si è concluso solo a seguito dell’accordo transattivo stipulato a maggio 2017 tra i commissari straordinari di ILVA S.p.A. e la Partecipazioni Industriali S.p.A. (già RIVA FIRE, società Capogruppo facente capo alla famiglia Riva), con contestuale accoglimento da parte del GUP di Milano della richiesta da parte dei difensori dei soggetti imputati di patteggiamento (applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.), con sentenza depositata il 26 maggio 2017.

In virtù dell’accordo transattivo[50], le somme sono state dunque materialmente trasferite al Fondo unico giustizia (FUG) [51] perché il FUG, e, per esso Equitalia Giustizia S.p.a., quale gestore ex lege del Fondo, le impieghi, ai sensi dell’articolo 3, comma 1 del D.L. n. 1/2015, per la sottoscrizione di obbligazioni emesse da ILVA in amministrazione straordinaria. Il versamento delle somme sulle contabilità speciali dei commissari straordinari – ai fini dell’impiego delle stesse somme per gli interventi ambientali - avviene al momento della sottoscrizione delle citate obbligazioni, in misura pari all'ammontare di queste ultime.

 

Sempre in virtù della novella, i crediti derivanti dalla sottoscrizione delle obbligazioni sono estinti con le modalità indicate al comma 1, dunque, fino a concorrenza dell'ammontare delle spese e dei costi sostenuti per le sopra indicate attività.

Il comma 1-bis, chiarisce altresì che gli interventi di risanamento e bonifica ambientale riguardano i siti produttivi facenti capo ad ILVA.

 

Quanto alla destinazione delle risorse agli interventi di risanamento e bonifica ambientale, e, per la parte residua, ad interventi di tutela della sicurezza e della salute, il comma 1-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, specifica, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 3 comma 1 del D.L. n. 1/2015, che le somme rivenienti dalla sottoscrizione delle obbligazioni sono destinate al piano delle misure ed attività di tutela aziendale e sanitaria dell'impresa in amministrazione straordinaria nei limiti di quanto eccedente gli investimenti ambientali previsti nell'ambito dell'offerta vincolante definitiva dell'aggiudicatario della procedura di trasferimento dei complessi aziendali.

Per la restante parte, la destinazione sarà indirizzata alle ulteriori finalità previste dal medesimo articolo 3, comma 1 per le società del gruppo ILVA in amministrazione straordinaria.


 

Articolo 13-bis
(Disposizioni in materia di bonifica ambientale e rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale -
comprensorio Bagnoli Coroglio)

 

 

L'articolo 13-bis è stato inserito dal Senato per conferire certezza ai termini dì versamento alla curatela fallimentare della società Bagnoli futura S.p.A., in liquidazione.

Il comma 1 attiene al versamento dell'importo del valore determinato dall'Agenzia del demanio della proprietà degli immobili e delle aree del sito di rilevante interesse nazionale di Bagnoli-Coroglio, la cui proprietà è trasferita ex lege al Soggetto Attuatore, disciplinando anche le forme, modalità e i termini di eventuali contestazioni in sede giurisdizionale della stima effettuata dalla predetta Agenzia. Contestualmente, si è previsto che il Soggetto attuatore possa acquisire la necessaria provvista finanziaria per il versamento dell'importo determinato dall'Agenzia del Demanio mediante l'emissione, su mercati regolamentati, di strumenti finanziari di durata non superiore a quindici anni non condizionando il versamento dell'importo del valore della proprietà dei predetti immobili e aree alla curatela fallimentare alla predetta emissione.

La modifica mira a superare le eccezioni di incostituzionalità, sollevate nel corso di un giudizio innanzi il Consiglio di Stato, in merito, in particolare, al comma 12 dell'articolo 33 del decreto legge n. 133 del 2014, ove si prevede che il Soggetto Attuatore corrisponda alla procedura fallimentare di Bagnoli Futura S.p.A. il corrispettivo per il trasferimento delle aree e degli immobili, operata ope legis, mediante il versamento di strumenti finanziari emessi dal Soggetto Attuatore stesso.

Tale modalità, di pagamento è sotto vaglio di costituzionalità in quanto le modalità di indennizzo prospettate non darebbero certezza del ristoro, in violazione, in primis, dell'articolo 42 della Costituzione. La modifica proposta al comma 12 del predetto articolo 33 del D.L. n. 133 del 2014 differenzia il ristoro diretto alla Curatela fallimentare dallo strumento con cui questo viene effettuato, cioè gli strumenti finanziari; ciò secondo il Governo implica il superamento dei profili di incostituzionalità sollevati nel corso del giudizio innanzi il Consiglio di Stato.

 


 

Articolo 13-ter
(Lavoratori affetti da patologia asbesto-correlata)

 

 

L'articolo 13-ter - inserito dal Senato - prevede benefici pensionistici o sussidi di accompagnamento alla quiescenza per lavoratori affetti da patologia asbesto-correlata e provvede alla copertura finanziaria dei relativi oneri.

Il comma 1 amplia i termini temporali per l'applicazione di un requisito pensionistico più favorevole per alcuni lavoratori, affetti da patologia asbesto-correlata. Nella disciplina finora vigente, il beneficio si applica ai fini del conseguimento del trattamento pensionistico con decorrenza nel corso degli anni 2015-2018. La novella prevede l'estensione agli anni 2019 e 2020.

Si ricorda che il beneficio consiste[52] nel diritto al pensionamento sulla base del requisito di 35 anni di anzianità contributiva, requisito che si intende raggiunto (purché in possesso di almeno 30 anni di anzianità assicurativa e contributiva) anche con una maggiorazione, non superiore a 5 anni, della medesima anzianità[53], e dei requisiti inerenti sia alla somma di età anagrafica e anzianità contributiva sia all'età anagrafica minima, previgenti rispetto all'art. 24 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni.

Nell'àmbito di applicazione del beneficio rientrano i lavoratori affetti dalla suddetta patologia (accertata e riconosciuta) a causa dell'esposizione all'amianto, occupati nelle imprese che abbiano svolto attività di scoibentazione e bonifica, qualora essi abbiano cessato il rapporto di lavoro per effetto della chiusura, dismissione o fallimento dell'impresa e a condizione che il sito dell'impresa sia interessato da piano di bonifica da parte dell'ente territoriale.

Resta fermo il divieto di corresponsione di arretrati.

Il comma 2 amplia i termini temporali di applicazione del sussidio di accompagnamento alla quiescenza, previsto, in via transitoria, per i lavoratori interessati dalle norme summenzionate (oggetto della novella di cui al precedente comma 1) e ai quali le stesse non siano applicabili per l'impossibilità di maturazione del requisito contributivo ivi stabilito.

Nella normativa finora vigente[54], il sussidio può essere riconosciuto fino al 31 dicembre 2018. La novella di cui al presente comma 2 pone uno stanziamento pari a 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020 (di importo annuo, quindi, identico a quello previsto per ciascuno degli anni 2016-2018).

Il comma 3, ai fini della copertura finanziaria degli oneri di cui al presente articolo (quantificati nel medesimo comma 3), riduce:

§  nella misura di 2,5 milioni di euro per il 2019, il "fondo per il finanziamento di esigenze indifferibili" (fondo iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze);

§  nella misura di 3,6 milioni per il 2020, di 2,1 milioni per il 2021, di 1,8 milioni per il 2022, di 1,1 milioni per il 2023, di 0,4 milioni per il 2024 e di 0,2 milioni annui a decorrere dal 2025, il "fondo per far fronte ad esigenze indifferibili che si manifestano nel corso della gestione" (anche tale fondo è iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze).

Il comma 4 richiama l'applicazione delle clausole finanziarie di monitoraggio e salvaguardia.

 

 


 

Articolo 14
(Proroga dei termini per l'effettuazione degli investimenti di cui all'articolo 1, comma 9, della legge 11 dicembre 2016, n. 232)

 

 

L'articolo 14, come modificato, proroga dal 30 giugno 2018 al 30 settembre 2018 il termine temporale per l'effettuazione degli investimenti ammessi al beneficio fiscale cosiddetto del super ammortamento.

 

L’articolo 1, comma 9, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, ha introdotto un beneficio per gli investimenti in beni materiali strumentali nuovi ad alto contenuto tecnologico per agevolare la trasformazione tecnologica e digitale delle imprese in chiave Industria 4.0, riconoscendo per tali investimenti una maggiorazione del costo di acquisizione del 150%.

Il comma 1 proroga dal 30 giugno 2018 al 30 settembre 2018, con riferimento agli investimenti in beni materiali strumentali nuovi compresi nell'elenco di cui all'allegato A della L. 11 dicembre 2016, n. 232, e successive modificazioni, il termine temporale per l'effettuazione dei medesimi investimenti, ai fini del beneficio fiscale cosiddetto del super-ammortamento.

Resta immutato il termine del 31 dicembre 2017 per il rispetto delle condizioni costituite dall'accettazione del relativo ordine da parte del venditore e dell'esecuzione del pagamento di acconti, in misura almeno pari al 20 per cento del costo di acquisizione.

Come si è detto, la vigente normativa dei cd. "super-ammortamenti" dei beni strumentali nuovi ha infatti una valenza temporale limitata agli investimenti in nuovi macchinari ed attrezzature effettuati nel periodo dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2017, ovvero entro il 30 giugno 2018 a condizione che, entro la data del 31 dicembre 2017, il relativo ordine risulti accettato dal fornitore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20% del costo di acquisizione.

Con il presente articolo si dispone, quindi, al fine di consentire la concreta possibilità di fruizione della misura agevolativa di cui trattasi ed in considerazione della particolare complessità riguardante la realizzazione dei beni in questione con conseguente allungamento dei tempi necessari per la consegna degli stessi, la proroga del termine entro il quale tali investimenti devono essere effettuati.

Il suddetto termine, pertanto, viene prorogato dal 30 giugno 2018, inizialmente previsto con il rinvio al comma 8 dello stesso articolo 1, al 31 luglio 2018, lasciando ferma la condizione che gli investimenti in oggetto si riferiscano a ordini accettati dal venditore entro la data del 31 dicembre 2017 e che, entro la medesima data, sia anche avvenuto il pagamento di acconti in misura non inferiore al 20%.

La relazione tecnica riferisce che la proroga di un mese, in luogo di quella vigente, si ritiene determini un ulteriore incremento di circa il 3% della quota di investimenti rispetto alla percentuale di incremento che era stata indicata nella relazione originaria.

 

Il comma 2 dell'articolo 14 incrementa 4 milioni di euro per l'anno 2024 e 18 milioni di euro per l'anno 2025 la dotazione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282.

 

Il comma 3 stabilisce la copertura finanziaria degli oneri dei comuni 1 e 2, valutati in 45 milioni di euro per l'anno 2019, in 72 milioni di euro per l'anno 2020, in 51 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2023, e in 2 milioni di euro per l'anno 2024 e pari a 4 milioni di euro per l'anno 2024 e a 6 milioni di euro per l'anno 2025.

A tal fine si provvede:

a)   quanto a 6 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2019 al 2024, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2017-2019, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2017, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'economia e delle finanze per 4,820 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2019 al 2024, e l'accantonamento relativo al Ministero dello sviluppo economico per 1,180 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2019 al 2024;

b)  quanto a 38 milioni di euro per l'anno 2019, a 66 milioni di euro per l'anno 2020 e a 45 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2023 e 4 milioni per l-anno 20124, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282;

c)   quanto a 1 milione di euro per l'anno 2019, mediante corrispondente utilizzo del fondo di parte corrente iscritto nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico ai sensi dell'articolo 49, comma 2, lettere a) e b), del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89;

 

Il D.L. 24 aprile 2014, n. 66 ha disciplinato, all'articolo 49, il riaccertamento straordinario residui prevedendo che nelle more del completamento della riforma della legge di contabilità e finanza pubblica il Ministro dell'economia e delle finanze adottasse un programma straordinario di riaccertamento dei residui passivi nonché riaccertamento della sussistenza delle partite debitorie iscritte nel conto del patrimonio dello Stato. Il comma 2 dell'articolo in parola ha provveduto all'istituzione, separatamente per la parte corrente e per il conto capitale, di appositi fondi da iscrivere negli stati di previsione delle Amministrazioni interessate, da ripartire con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, per il finanziamento di nuovi programmi di spesa, di quelli già esistenti e per il ripiano dei debiti fuori bilancio. La dotazione dei predetti fondi è fissata su base pluriennale, in misura non superiore al 50 per cento dell'ammontare dei residui eliminati di rispettiva pertinenza.

 

d)  quanto a 18 milioni di euro per l'anno 2025, mediante corrispondente utilizzo delle maggiori entrate derivanti dal comma 1 del presente articolo.


 

Articolo 15
(Assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali
nelle regioni del Mezzogiorno)

 

 

L'articolo 15 conferisce agli enti locali delle regioni del Sud, in via sperimentale e per la durata di tre anni, la facoltà di ottenere supporto tecnico e amministrativo da parte delle prefetture.

 

Il comma 1 attribuisce agli enti locali appartenenti alle regioni meridionali (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) la facoltà di attivare forme di assistenza tecnica e amministrativa da parte delle Prefetture-Uffici territoriali del Governo operanti nel medesimo territorio.

Tale supporto è diretto a favorire la qualità, il buon andamento, l’imparzialità e l’efficienza dell’azione amministrativa degli stessi enti locali che lo richiedono, nonché a diffondere le buone prassi volte a rafforzare la coesione sociale e migliorare i servizi affidati alle amministrazioni territoriali.

 

Ai sensi della normativa vigente (art.11 del D.Lgs. n.300/1999 e D.P.R. n.180/2006) le Prefetture-Uffici territoriali di Governo coordinano l'attività amministrativa degli uffici periferici dello Stato e garantiscono la leale collaborazione di detti uffici con gli enti locali. Risulta a tal fine centrale l'attività della conferenza provinciale permanente, presieduta dal prefetto e composta dai responsabili delle strutture amministrative periferiche dello Stato che svolgono la loro attività nel territorio provinciale e da rappresentanti degli enti locali.

L'art. 9 del DPR n.180/2006 demanda al Prefetto il compito di promuovere "tutte le possibili forme di collaborazione interistituzionale tra lo Stato e le autonomie territoriali".

La richiamata normativa in materia fa salve le competenze spettanti alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome (art.11, comma 2, del D.lgs. n.300 del 1999 e art. 10 del DPR n.180/2006).

 

Il comma 2 specifica che:

 

1) il richiamato supporto tecnico e amministrativo è aggiuntivo rispetto all'attività di assistenza che le legge n.56 del 2014 affida alle province e alle città metropolitane.

 

Il comma in esame richiama il comma 85, lett.d), e il comma 88 dell'articolo 1 della legge n.56 del 2014 (cosiddetta legge Delrio), con cui è stato operato il riordino delle province e sono state istituite le città metropolitane. Le province hanno, nell'ambito delle funzioni fondamentali ad esse attribuite dalla legge stessa, i seguenti compiti:

§  raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali (commi 85, lett d));

§  esercizio, d'intesa con i comuni eventualmente interessati, delle funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive (comma 88).

 

La richiamata funzione di assistenza in capo alle province deve intendersi estesa anche alle città metropolitane, in virtù dell'art.1, comma 44, della legge n.56 del 2014, secondo cui a quest'ultima sono attribuite le funzioni fondamentali delle province.

 

Il medesimo comma 44, lett. c), non richiamato dal comma 2 in esame, attribuisce esplicitamente alle città metropolitane tali funzioni di assistenza ("funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive").

Al fine di assicurare un miglior coordinamento con la normativa vigente e di rendere inequivoco che sono fatte salve anche le funzioni di assistenza esercitate dalle città metropolitane, potrebbe essere richiamato, al comma 2, anche l'art. 1, comma 44, lettera c), della legge n.56 del 2014. Ciò anche tenuto conto che nella relazione illustrativa si fanno salve solo le funzioni di assistenza svolte dalle province, senza alcun riferimento alle analoghe funzioni assegnate alle città metropolitane.

 

2) che il supporto tecnico e amministrativo è esercitato:

§  nel rispetto delle competenze e responsabilità dei soggetti coinvolti (enti locali e prefetture);

§  con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Il comma 3 stabilisce che le disposizioni relative alla collaborazione fra prefetture ed enti locali hanno carattere sperimentale e si applicano per una durata di tre anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto-legge.

Il secondo periodo del comma 3 contiene una clausola valutativa, secondo cui, terminato il periodo di sperimentazione, il Ministero dell’interno effettua un monitoraggio sugli esiti dell'attività di supporto svolta e riferisce in merito in sede di Conferenza Stato – Città ed autonomie locali.


 

Articolo 15-bis
(Commissione parlamentare per le questioni regionali)

 

 

L'articolo 15-bis riconosce alla Commissione parlamentare per le questioni regionali un potere generale di svolgere attività conoscitiva e di procedere alla consultazione, secondo modalità definite da un regolamento interno, di rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e delle associazioni di enti locali, nonché di rappresentanti dei singoli enti territoriali.

A tal fine viene modificata la disposizione istitutiva della Commissione (art. 52 della legge n.62 del 1953)

 

La disposizione intende rafforzare la partecipazione delle autonomie territoriali al procedimento parlamentare, attraverso la previsione di una più stretta interlocuzione con la Commissione per le questioni regionali.

 

Essa recepisce, almeno in parte, le indicazioni contenute nella relazione all’Assemblea sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali e sull'attuazione degli Statuti speciali (Doc. XVI-bis, n. 11), approvata nella seduta della Commissione del 10 maggio scorso.

Tale relazione è stata discussa, nel corso della seduta del 31 maggio scorso (n. 834), dall'Aula del Senato, che ha approvato la risoluzione n.1 diretta a fare propri i contenuti della relazione e impegnare il Governo, per quanto di propria competenza, a dare corso alle indicazioni in essa contenute.

La medesima relazione è attualmente all’ordine del giorno dell’Assemblea della Camera dei deputati.

 

La relazione della Commissione parlamentare è il risultato di un'intensa attività istruttoria, che ha fatto tesoro di due indagini conoscitive (oltre alla breve indagine svolta per la definizione della relazione stessa), autorizzate dai Presidenti delle due Camere, nelle quali sono intervenuti rappresentati del Governo, rappresentanti degli enti territoriali, delle loro forme associative, rappresentanti di altre istituzioni (fra cui Consiglio di Stato e Corte dei conti), professori universitari ed esperti del settore. Si tratta dell'indagine sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al «sistema delle conferenze», e dell'indagine sulle problematiche concernenti l'attuazione degli Statuti delle regioni ad autonomia speciale.

Nella relazione, fra l'altro, si auspica un rafforzamento dell'attività di raccordo fra lo Stato e le autonomie territoriali nei procedimenti parlamentari. Nel documento si conviene sull'esigenza di riconoscere una sede parlamentare di dibattito e confronto sulle questioni relative agli enti territoriali, in cui questi ultimi possano rappresentare le proprie esigenze e avanzare specifiche proposte, che consentano un più rapido ed efficace raggiungimento di posizioni condivise tra Stato centrale ed autonomie, una semplificazione del quadro dei relativi rapporti ed il superamento del contenzioso istituzionale.

La relazione auspica l'attuazione all'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, che prevede l’integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con i rappresentanti delle autonomie territoriali ed il riconoscimento di un potere consultivo rinforzato alla Commissione così integrata. Tale soluzione richiede una riforma dei regolamenti sia della Camera che del Senato (l’articolo 11 rimette infatti l’attuazione ai regolamenti parlamentari), con tempi di esame che potrebbero essere lunghi.

L'emendamento in esame, senza incidere sugli ambiti che la citata disposizione costituzionale riserva ai regolamenti parlamentari, e nelle more di tale (eventuale) integrazione, intende consentire l’attivazione fin da subito di sinergie tra la Commissione parlamentare per le questioni regionali e i rappresentanti di Regioni ed enti locali.

 

L'articolo aggiuntivo, nel modificare la disposizione istitutiva della Commissione, sopprime la previsione, di cui non risulta alcuna applicazione nelle ultime legislature, in base alla quale i membri della Commissione non possono partecipare alle sedute in cui siano discusse questioni della Regione nei cui collegi siano stati eletti.

 


 

Articoli 15-ter
(Sanzioni ISTAT per i comuni di minori dimensioni demografiche)

 

 

L’articolo 15-ter sospende, fino al 30 novembre 2017, a beneficio dei comuni con popolazione non superiore a 3.000 abitanti, le sanzioni ISTAT relative alle inadempienze nella trasmissione delle rilevazioni statistiche previste dall'articolo 11 del D.Lgs. 322/1989.

 

L'articolo 11 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322 (recante norme sul Sistema statistico nazionale e sulla riorganizzazione dell'Istituto nazionale di statistica, ai sensi dell'art. 24 della legge 23 agosto 1988, n. 400) stabilisce le sanzioni comminabili alle Amministrazioni che non forniscono tutti i dati richiesti per le rilevazioni previste dal programma statistico nazionale.

L'ammontare delle sanzioni (comma 1) è differenziato per le persone fisiche (l'equivalente in euro di una somma compresa tra 400.000 e quattro milioni di lire) e per gli enti o società (tra un milione ed i dieci milioni di lire). L'accertamento delle violazioni è effettuato dagli uffici di statistica, facenti parte del Sistema statistico nazionale, i quali redigono motivato rapporto in ordine alla violazione e, previa contestazione degli addebiti agli interessati, lo trasmettono al Prefetto della provincia.

 

La sospensione, motivata in relazione alla "gravosità degli adempimenti richiesti, in particolare, ai comuni di minori dimensioni demografiche", è relativa ad eventuali inadempienze nella trasmissione delle rilevazioni statistiche di cui al Programma statistico nazionale per il triennio 2014-2016 e relativi aggiornamenti.

In caso di avvenuta irrogazione di una sanzione, ne sono sospesi gli effetti fino al 30 novembre 2017, data entro la quale è previsto che i comuni completino ed inviino le rilevazioni.

È espressamente specificato che le somme eventualmente versate a titolo di sanzione non siano restituite.

 

Si ricorda che il Programma statistico nazionale (PSN) è l’atto normativo che, in base all’articolo 13 del D.Lgs. 322/1989, stabilisce le rilevazioni statistiche di interesse pubblico affidate al Sistema statistico nazionale e i relativi obiettivi informativi.

Il programma è predisposto dall’ISTAT, sottoposto al parere della Commissione per la garanzia dell'informazione statistica ed approvato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del CIPE. Esso ha durata triennale e viene aggiornato annualmente.

Il Programma statistico nazionale 2014-2016 è stato adottato con il DPR 24 settembre 2015 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 258 del 5 novembre 2015). Con D.P.R. emanato in pari data è stato adottato l’aggiornamento 2015-2016. È attualmente in vigore l’aggiornamento 2016, adottato con D.P.R. 30 agosto 2016 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 ottobre 2016, n. 242).

L’art. 1, comma 16-bis, del decreto-legge n. 244/2016 ha disposto la proroga del Programma statistico nazionale 2014-2016 e dei relativi allegati fino all'entrata in vigore del Programma statistico nazionale 2017-2019, e comunque non oltre il 30 novembre 2017.


 

Articolo 15-quater
(Deroga alle sanzioni patto di stabilità
per i comuni colpiti dal sisma)

 

 

L'articolo 15-quater disapplica talune sanzioni previste per il mancato rispetto del patto di stabilità interno nei confronti dei comuni colpiti da recenti eventi sismici.

 

L'articolo è volto ad integrare l'art. 1, comma 462-ter, della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio 2017), con l'inserimento, tra i soggetti beneficiari della medesima disposizione, dei comuni colpiti dal sisma di cui agli allegati 1, 2 e 2-bis del decreto-legge n. 189 del 2016.

 

Negli allegati al DL 189 del 2016 rientrano 140 comuni appartenenti alle Regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria.

Sono elencati:

§  nell'all'allegato 1 i 62 comuni colpiti dagli eventi sismici del 24 agosto 2016;

§  nell'allegato 2 i 69 comuni colpiti dagli eventi sismici dal 26 e del 30 ottobre 2016;

§  nell''allegato 2-bis (introdotto dal DL n.8 del 2017) i 9 comuni (tutti appartenenti alla regione Abruzzo) colpiti dagli eventi sismici del 18 gennaio 2017.

 

Il comma 462-ter stabilisce che la sanzione, consistente nella riduzione delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza degli amministratori delle Province delle Regioni a statuto ordinario (e a seguito dell'articolo in commento anche degli amministratori dei comuni colpiti dagli eventi sismici), conseguente al mancato rispetto del patto di stabilità non si applichi, o qualora applicata ne vengono meno gli effetti, in presenza delle seguenti condizioni:

§  il mancato rispetto del Patto di stabilità sia avvenuto nell'esercizio finanziario riferito al 2012 o ad anni precedenti;

§  le violazioni siano accertate successivamente al 31 dicembre 2014.

 

Il comma 462-ter è stato introdotto nell'ordinamento tramite una disposizione inserita nel decreto-legge n. 50 del 2017, nel corso dell'esame parlamentare dello stesso.

 

La normativa vigente (legge n.183 del 2011, art. 31, comma 26, richiamata dal comma 462-ter) prevede una serie di sanzioni qualora l'ente locale sia incorso nel mancato rispetto del Patto di stabilità.

Fra queste, il comma 26, lettera e), specificamente richiamato, prevede la riduzione del 30 per cento delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza spettanti ai sensi dell'art 82 del TUEL.

 

L'indennità di funzione e i gettoni di presenza negli enti locali sono regolati dal combinato disposto dell'art.82 del TUEL e della legge n.56 del 2014 (in particolare cfr. art.1, commi 24, 84 e 108). A partire dall'entrata in vigore della legge n.56, gli incarichi presso gli enti di area vasta (Province e Città metropolitane) e le unioni di comuni sono svolti a titolo gratuito. Pertanto l'indennità spetta ora al sindaco, ai presidenti dei consigli comunali, ai presidenti dei consigli circoscrizionali dei soli comuni capoluogo di provincia, nonché ai componenti degli organi esecutivi dei comuni.

I gettoni di presenza sono riconosciuti invece per la partecipazione a consigli e commissioni comunali (con il vincolo che l’ammontare percepito nell’ambito di un mese da un consigliere non superi l’importo pari ad un quarto dell’indennità massima prevista per il sindaco), nonché ai consiglieri circoscrizionali dei comuni metropolitani (con il vincolo che l’ammontare non superi l’importo pari ad un quarto dell’indennità prevista per il rispettivo presidente).

La misura delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza è determinata con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali nel rispetto di determinati criteri (fra cui il rapporto con la dimensione demografica degli enti).

 

Sul tema in esame, è di recente intervenuto l'articolo 9-bis del DL n.8 del 2017. Tale disposizione attribuisce al sindaco e agli assessori dei comuni colpiti dagli eventi sismici con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, in cui sia stata individuata da una ordinanza sindacale una zona rossa, la facoltà di applicare un'indennità di funzione più elevata di quella spettante sulla base della classe demografica di appartenenza dell'ente territoriale. Nello specifico, le indennità possono essere accresciute sino a renderle pari a quelle spettanti alla classe di comuni con popolazione compresa tra i 10.001 e 30.000 abitanti. Gli oneri relativi sono posti a carico del bilancio comunale Tale deroga alla normativa vigente ha durata di un anno dall'entrata in vigore della legge di conversione del dl n.8 (11 aprile 2017).


 

Articolo 15-quinquies
(Contributo province e città metropolitane)

 

 

L’articolo 15–quinquies, introdotto al Senato, autorizza contributi in favore delle province e delle città metropolitane delle regioni a statuto ordinario, finalizzati all’esercizio delle funzioni fondamentali.

 

In particolare, il comma 1 dispone l’assegnazione alla città metropolitana di Milano del contributo di 12 milioni di euro relativo all’anno 2017, già autorizzato dall’articolo 20, comma 1-bis, del D.L. n. 50/2017 in favore delle città metropolitane per l’esercizio delle funzioni fondamentali. L’assegnazione in favore della città di Milano è disposta in base a quanto stabilito nell’Intesa del 12 luglio 2017 raggiunta in sede di Conferenza Stato-citta e autonomie locali.

 

Si ricorda che il comma 2-bis del D.L. n. 50/2017 attribuisce un contributo in favore delle città metropolitane delle regioni a statuto ordinario di 12 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018 per l’esercizio delle funzioni fondamentali, di cui alla legge n. 56/2014. Il comma medesimo prevede che il contributo venga ripartito con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da raggiungere entro il 30 giugno 2017, tenendo anche conto dell'esigenza di garantire il mantenimento della situazione finanziaria corrente.

In base alla norma, dunque, raggiunta l'intesa, il Ministro dell'interno potrebbe procedere al riparto del contributo, secondo quanto deciso in sede di Conferenza Stato-città. Con l'emendamento in esame si è invece ritenuto di recepire in un testo legislativo i contenuti dell'intesa.

Nell'Intesa sancita in sede di Conferenza Stato-città lo scorso 12 luglio, si prevede che il contributo sia destinato unicamente alla Città metropolitana di Milano, secondo la proposta formulata dall’ANCI, condivisa dall’Associazione dei Sindaci delle Città metropolitane[55].

 

Il comma 2 autorizza un contributo in favore delle province e delle città metropolitane delle regioni a statuto ordinario per il finanziamento delle funzioni fondamentali, di cui alla legge n. 56/2014, nell’importo complessivo di 100 milioni di euro per il 2017, di cui 72 milioni a favore delle province e 28 milioni a favore delle città metropolitane.

I criteri di riparto e il riparto stesso saranno determinati sulla base di un decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro il prossimo 10 settembre. Il decreto è adottato previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali e sulla base di una proposta di Anci e Upi.

L'intesa deve essere raggiunta entro dieci giorni dalla data prevista per l'avvio del relativo esame da parte della Conferenza Stato-città e a tal fine si considera la data della prima iscrizione all'ordine del giorno della proposta di riparto. Trascorso tale termine, il Ministro dell'interno può adottare il decreto senza attendere l'intesa. In questo caso, occorre che il riparto sia definito avendo riguardo anche alla stima dell'equilibrio corrente riferito al 2016, al netto dell’utilizzo dell'avanzo di bilancio. La stima deve essere elaborata tenendo conto degli ultimi dati disponibili relativi all'anno 2016.

 

In vista della proposta dell'UPI (come prevede il terzo periodo del comma 2):

§  ciascun Presidente di Provincia attesta all’Upi la necessità di risorse per il perseguimento dell'equilibrio di parte corrente con riguardo alle funzioni fondamentali. Lo squilibrio di parte corrente deve risultare dal prospetto allegato al bilancio di previsione - prospetto previsto specificamente agli enti locali, denominato "Bilancio di previsione - equilibri di bilancio" (di cui all'allegato 9 del decreto legislativo n. 118 del 2011[56]).

Da tale prospetto, formulato in coerenza con lo schema di bilancio di previsione presentato dal Presidente della Provincia stessa (ai sensi dell’art. 174, comma 1, del D.Lgs. n. 267 del 2000[57]) ed asseverato dall'organo di revisione, deve emergere – anche considerando l'integrale utilizzo dell'avanzo libero di bilancio e di quello destinato applicato all’esercizio 2017, come previsto dall’articolo 18 del D.L. n. 50/2017 (cfr infra) - uno squilibrio di parte corrente per funzioni fondamentali.

L'art. 18, comma 1, lett. b), del D.L. n. 50 del 2017 prevede che le Province e le Città metropolitane, possano - ai fini del mantenimento degli equilibri finanziari - applicare al bilancio di previsione l’avanzo libero e quello destinato per l'esercizio finanziario 2017.

L’avanzo libero e quello destinato costituiscono due quote dell’avanzo di amministrazione annuale (le altre due sono l’avanzo vincolato e quello accantonato, che non rilevano ai fini della disposizione in esame).

§  l'attestazione dello squilibrio di parte corrente è sottoposta a verifica della Sezione Regionale di controllo della Corte dei Conti.

Al riguardo, non si prevede alcun termine per la trasmissione dell'attestazione alla Corte dei Conti, né alcuna conseguenza in ordine agli esiti della menzionata verifica.

 

Il comma 3 individua la modalità di copertura degli oneri derivanti dal contributo di cui al comma 2, pari a 100 milioni per il 2017, cui si provvede:

§  quanto a 90 milioni di euro per l'anno 2017, mediante versamento all’entrata del bilancio dello Stato delle somme impegnate e non più dovute, per l’anno 2016, per la c.d. Carta diciottenni, ai sensi dell’articolo 1, comma 979, della legge n. 208/2015.

La richiamata Carta elettronica, con un valore di 500 euro, è concessa ai residenti nel territorio nazionale al compimento del diciottesimo anno di età nel 2016 al fine di promuovere lo sviluppo della cultura e la conoscenza del patrimonio culturale. La Carta è utilizzabile "per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'acquisto di libri nonché per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo" e il relativo importo non costituisce reddito imponibile del beneficiario e non rileva ai fini del computo del valore dell'indicatore della situazione economica equivalente (art.1, comma 979, della legge n.208 del 2015). Il D.P.C.M. n. 187 del 2016 ha dettato i criteri e le modalità di attribuzione e di utilizzo della Carta.

In merito alle risorse da utilizzare a copertura, nella Relazione tecnica si precisa che al giugno 2017 i beneficiari che hanno compiuto 18 anni di età nel 2016 e che si sono accreditati per poterne usufruire ammontano a 351.523, per un controvalore - dato il valore nominale della Carta (500 euro) - pari a 175,7 milioni di euro. Rispetto all’autorizzazione di spesa, pari a 290 milioni di euro, risultano già pagati nel 2016 solo 50 milioni; pertanto gli ulteriori 240 milioni di euro risultano in conto residui. Tenuto conto che restano ancora da pagare circa 125,7 milioni, i residui restanti risultano non più dovuti;

§  quanto ai restanti 10 milioni di euro per l'anno 2017, mediante corrispondente riduzione del Fondo per il finanziamento di esigenze indifferibili previsto dall'art. 1, comma 199, della legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015).

Tale fondo è stato istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze (cap. 3073), con una dotazione di 110 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e di 100 milioni di euro a decorrere dal 2018. Il fondo è diretto a finanziare determinate finalità (elencate in un allegato alla legge) e la quantificazione dell'importo destinato a ciascuna finalità, è determinato con D.P.C.M., adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Quanto alle risorse per il 2016, il D.P.C.M. 11 aprile 2016 ha destinato 90 milioni per l'erogazione di contributi straordinari alla Città metropolitana e al Comune di Napoli e al Comune di Palermo, per l'attuazione di politiche attive finalizzate alla stabilizzazione occupazionale dei lavoratori impiegati in attività socialmente utili.

 

Con riguardo alle funzioni fondamentali delle province, si rammenta che, secondo quanto dispone il comma 85 dell’articolo 1 della legge n. 56/2014, le funzioni in questione sono le seguenti:

§  pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza;

§  pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente;

§  programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale;

§  raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali;

§  gestione dell'edilizia scolastica;

§  controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale.

Ai sensi del comma 86, le province con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri esercitano altresì le seguenti ulteriori funzioni fondamentali:

§  cura dello sviluppo strategico del territorio e gestione di servizi in forma associata in base alle specificità del territorio medesimo;

§  cura delle relazioni istituzionali con province, province autonome, regioni, regioni a statuto speciale ed enti territoriali di altri Stati, con esse confinanti e il cui territorio abbia caratteristiche montane, anche stipulando accordi e convenzioni con gli enti predetti.

 

Con riguardo alle funzioni fondamentali delle città metropolitane, si rammenta che, secondo quanto dispongono i commi 44-46 dell’articolo 1 della legge n. 56/2014, alle città metropolitane sono attribuite:

§  le funzioni fondamentali delle province;

§  le funzioni attribuite alla città metropolitana nell'ambito del processo di riordino delle funzioni delle province;

§  le funzioni fondamentali proprie della città metropolitana che sono:  a) piano strategico del territorio metropolitano di carattere triennale, che costituisce atto di indirizzo per i comuni e le unioni di comuni del territorio, anche in relazione a funzioni delegate o attribuite dalle regioni; b) pianificazione territoriale generale, comprese le strutture di comunicazione, le reti di servizi e delle infrastrutture, anche fissando vincoli e obiettivi all'attività e all'esercizio delle funzioni dei comuni; c) strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano; a tale riguardo, la città metropolitana può, d'intesa con i comuni interessati, predisporre documenti di gara, svolgere la funzione di stazione appaltante, monitorare i contratti di servizio ed organizzare concorsi e procedure selettive; d) mobilità e viabilità; e) promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale; f) promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito metropolitano;

§  ulteriori funzioni attribuite dallo Stato o dalle regioni, in base ai princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.


 

Articolo 15-sexies
(Intese regionali per la cessione di spazi finanziari agli enti locali)

 

 

L’articolo 15-sexies, introdotto al Senato, consente alle Regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, in via straordinaria e per il solo anno 2017 - anno di prima applicazione della disciplina delle intese regionali - di poter rendere disponibili ulteriori spazi finanziari per gli enti locali appartenenti al proprio territorio nell’ambito delle intese regionali disciplinate ai sensi dell’articolo 10 della legge n. 243/2012, per favorire il pieno utilizzo degli spazi finanziari disponibili nel comparto regionale e per rilanciare gli investimenti degli enti territoriali nei settori strategici del proprio territorio.

 

Le intese a cui si riferisce la norma sono quelle disciplinate all'art. 10, comma 3, della legge n. 243 del 2012. Queste sono concluse in ambito regionale in modo da garantire il rispetto del saldo di bilancio (inteso come saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali) del complesso degli enti territoriali della regione interessata in ciascun anno di riferimento. Nell'ambito di tali intese è consentito agli enti territoriali che le sottoscrivono di poter finanziare operazioni di investimento attraverso indebitamento o utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti.

Il D.P.C.M. 21 febbraio 2017, n. 21 ha dato attuazione al citato articolo 10 e stabilito, al comma 2, la procedura per la definizione delle richiamate intese regionali. Il relativo iter si avvia, entro il entro il 15 gennaio di ogni anno (15 febbraio nel 2017 e nel 2018), attraverso la pubblicazione di apposito avviso sui propri siti istituzionali, con alcuni adempimenti da parte delle Regioni e delle Province autonome, fra cui la definizione delle modalità di presentazione delle domande di cessione e acquisizione degli spazi finanziari da parte degli enti territoriali. Tramite le Intese, le regioni e gli enti locali possono cedere/richiedere per uno o più esercizi successivi, spazi finanziari finalizzati ad investimenti da realizzare attraverso l'utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti ed il ricorso all'indebitamento. Nel caso di richiesta, l’ente territoriale interessato deve fornire alcune specifiche informazioni relative: all’avanzo di amministrazione (al netto della quota accantonata al fondo crediti di dubbia esigibilità), al fondo di cassa ed alla quota dei fondi stanziati in bilancio destinati a confluire nel risultato di amministrazione. Le domande di cessione/richiesta in questione vanno comunicate dalle regioni e dagli enti locali al sito web di cui al precedente comma 1 entro il termine perentorio del 28 febbraio di ciascun anno (30 aprile nel 2017 e 31 marzo nel 2018).

Successivamente, entro il 31 marzo (termine da intendersi come perentorio, fissato al 31 maggio nel 2017 e al 30 aprile nel 2018), le medesime Regioni e le Province autonome comunicano agli enti locali interessati i saldi obiettivo rideterminati e alla Ragioneria generale dello Stato (attraverso il sistema web dedicato al pareggio di bilancio) gli elementi informativi occorrenti per la verifica del mantenimento del rispetto del saldo di bilancio, di cui all’articolo 9, comma 1, della legge n. 243/2012, per il complesso degli enti territoriali interessati all’intesa. Tali elementi informativi devono far riferimento a ciascun ente locale e alla stessa regione o provincia autonoma nel suo complesso.

La cessione/acquisizione di spazi finanziari comporta per gli enti interessati, rispettivamente, un miglioramento/peggioramento del saldo negli esercizi successivi, in modo da garantire il rispetto del saldo del complesso degli enti territoriali della regione interessata in ciascun anno di riferimento.

 

In sostanza, la norma propone alle regioni, in sede di prima applicazione della suddetta disciplina, in via straordinaria, la facoltà di avviare un secondo iter per la conclusione di nuove Intese Regionali con scadenza 30 settembre, ai sensi del comma 8 dell'articolo 2 del D.P.C.M. n. 21/2017.

Tale comma, si ricorda, prevede la cessione di spazi finanziari da parte delle Regioni agli enti locali del proprio territorio senza obbligo di restituzione negli esercizi successivi, al fine di favorire gli investimenti nei settori strategici del proprio territorio.

A tal fine, si dispone che la comunicazione da parte di ciascuna Regione e provincia autonoma agli enti locali dei saldi obiettivo rideterminati nonché al Ministero dell’economia degli elementi informativi, con riferimento a ciascun ente locale e alla stessa regione o provincia autonoma, necessari alla verifica del mantenimento del saldo obiettivo per il complesso degli enti territoriali interessati all’intesa, di cui all’articolo 9, comma 1, della legge n. 243/2012, debba avvenire entro il 30 settembre.


 

Articolo 15-septies
(Gestione dei contenziosi relativi al programma di risanamento
e sviluppo di Reggio Calabria)

 

 

L'articolo 15-septies, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede che la gestione dei contenziosi relativi agli interventi inclusi nel programma di risanamento e di sviluppo dell'area urbana di Reggio Calabria, previsti dal decreto-legge n. 166 del 1989, ed ogni ulteriore onere da essi derivante siano posti a carico dei soggetti competenti per la realizzazione dei medesimi interventi.

 

Si prevede, inoltre, che alla copertura di tali oneri si provveda a valere sulle risorse del Fondo istituito dall'articolo 1, comma 2, del D.L. 166/89, per le finalità di risanamento e sviluppo dell'area urbana di Reggio Calabria, nel limite di una percentuale compatibile con la tipologia degli interventi.

Nella norma in esame sono richiamati gli interventi inclusi nel programma di risanamento e di sviluppo dell'area urbana di Reggio Calabria, che è stato disciplinato dal decreto legge 8 maggio 1989, n. 166, recante interventi urgenti per il risanamento e lo sviluppo della città di Reggio Calabria (cd. Decreto Reggio).

 

Ai sensi dell’articolo 1, comma 1, del citato decreto-legge, il risanamento e lo sviluppo dell'area urbana di Reggio Calabria sono di preminente interesse nazionale ed i relativi interventi sono di pubblica utilità, urgenti ed indifferibili.  Per le predette finalità il decreto ha previsto l’istituzione di un fondo, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per i problemi delle aree urbane, con una dotazione complessiva di circa 310 milioni di euro (600 miliardi di lire) per il triennio 1989-1991 (art. 1, co. 2). Il fondo è transitato, ai sensi dell’art. 10 del Decreto Legislativo n. 303/99, presso il soppresso Ministero dei Lavori Pubblici, ora Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Le risorse del Fondo sono destinate all’immediata realizzazione degli interventi diretti al risanamento del patrimonio edilizio comunale, al completamento ed alla riqualificazione delle reti idriche e fognarie, alla valorizzazione del patrimonio storico, archeologico e monumentale, all'ammodernamento ed alla realizzazione di impianti sportivi, nonché di aree attrezzate a verde pubblico e per il tempo libero, di competenza del sindaco di Reggio Calabria (art. 2), nonché ad ulteriori interventi individuati dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, per sua delega, dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ad integrazione dei predetti interventi (art. 3). Alla ripartizione del suddetto fondo e alla determinazione dello stanziamento relativo a ciascun intervento provvede un Comitato presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, per sua delega, dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di cui fanno parte, tra l’altro, il Presidente della regione Calabria, il Presidente della provincia di Reggio Calabria ed il sindaco di Reggio Calabria (art. 1). Ai fini della vigilanza sull’attuazione del programma di interventi, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, tra l’altro, si avvale di una Commissione (art. 7).

Le succitate risorse finanziarie sono state incrementate dalla legge 3 agosto 1998 n. 295 (Disposizioni per il finanziamento di interventi e opere di interesse pubblico), che ha previsto un contributo straordinario quindicennale di 3,62 milioni di euro annui a decorrere dal 1999 per la contrazione di mutui o altre operazioni finanziarie, dalla legge n. 388/2000 (legge finanziaria del 2001), che ha previsto un analogo contributo straordinario al Comune di Reggio Calabria di 5,16 milioni di euro a decorrere dal 2002 e sino al 2016 ed ulteriori 5,16 milioni di euro dal 2003 al 2017, e dalla legge n. 350/2003 (legge finanziaria 2004) che ha previsto un ulteriore contributo straordinario di 7,5 milioni di euro a decorrere dal 2005 fino al 2019. Successivamente, il contributo straordinario disposto dalla legge 388/2000 è stato ridotto di 3 milioni di euro a decorrere dal 2015 ad opera dell’articolo 1, comma 361, della legge n. 190/14 (legge di stabilità 2015).

Attualmente, il citato Fondo per il risanamento e lo sviluppo dell'area urbana di Reggio Calabria risulta presente nel cap. 7374 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con una dotazione prevista dalla legge di bilancio 2017 (L. 232/16) pari a complessivamente a circa 31 milioni di euro per il triennio 2017-2019.


 

Articolo 15-octies, comma 1
(Personale della scuola nei territori colpiti dagli eventi sismici)

 

 

L’articolo 15-octies, comma 1, inserito durante l’esame al Senato, reca un’interpretazione autentica in materia di istituzione di ulteriori posti di personale scolastico nei territori colpiti dagli eventi sismici del 2016.

 

In particolare, interpretando autenticamente l’art. 18-bis, co. 1, lett. a), del D.L. 189/2016 (L. 229/2016) – a sua volta oggetto di modifica da parte dall’art. 11-bis del decreto-legge in commento, che ne ha esteso la validità (oltre che per l’a.s. 2016/2017) anche per l’a.a. 2017/2018 – , dispone che tra le necessità aggiuntive che consentono ai dirigenti degli uffici scolastici regionali delle 4 regioni colpite dagli eventi sismici del 2016 (Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria) di istituire con loro decreti ulteriori posti di personale docente fino al 30 giugno (termine dell’attività didattica) di ciascuno degli a.s. 2016/2017 e 2017/2018, e ulteriori posti di personale ATA, sono ricomprese sia quelle derivanti dall’esigenza di garantire la regolare prosecuzione delle attività didattiche per gli alunni, sia quelle derivanti dall’esigenza di garantire una nuova sede di servizio al personale docente e ATA coinvolto negli eventi sismici, secondo quanto disposto nei contratti collettivi regionali integrativi sottoscritti ai sensi del medesimo art. 18-bis.

La relazione tecnica relativa al maxiemendamento presentato al Senato fa presente che nell’a.s. 2016/2017 sono stati istituiti posti aggiuntivi relativi a 65,69 docenti, 3 educatori e 88 unità di personale ATA, ed evidenzia che è verosimile ritenere che tali incrementi dei posti siano confermabili per l’a.s. 2017/2018.

 

Su quanto disposto dall’art. 18-bis del D.L. 189/2016, si veda la scheda riferita all’art. 11-bis del decreto-legge in esame.

 


 

Articolo 15-octies, comma 2
(Servizi nelle scuole)

 

 

L’articolo 15-octies, comma 2, inserito durante l’esame al Senato, proroga, nelle regioni ove sia stata risolta la convenzione-quadro Consip, il termine ultimo per la prosecuzione dell’acquisto, da parte delle istituzioni scolastiche ed educative, dei servizi di pulizia e degli altri servizi ausiliari, nonché degli interventi di mantenimento del decoro e della funzionalità degli immobili, dai soggetti già destinatari degli atti contrattuali e degli ordinativi di fornitura.

 

In particolare, la proroga – (dal 31 agosto 2017) alla data di effettiva attivazione del contratto-quadro stipulato dal MIUR (nelle more dell’espletamento delle procedure di gara, da completarsi entro l’inizio dell’a.s. 2018/2019) ai fini dell’acquisizione, da parte delle istituzioni scolastiche ed educative statali, dei servizi sopra indicati, e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2017 – è finalizzata a consentire il regolare avvio delle attività didattiche nell’a.s. 2017/2018.

A tal fine, si novella l’art. 64, co. 1, del D.L. 50/2017 (L. 96/2017).

 

Al riguardo si ricorda, preliminarmente, che l’art. 1, co. 449, della L. 296/2006, ha disposto che tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, sono tenute ad approvvigionarsi di beni e servizi utilizzando le convenzioni-quadro CONSIP.

Sulla base di tali previsioni, l’11 luglio 2012 Consip S.p.A. ha indetto una gara comunitaria[58] avente da oggetto l’affidamento di servizi di pulizia e altri servizi ausiliari tesi al mantenimento del decoro e della funzionalità degli immobili per gli istituti scolastici di ogni ordine e grado (nonché per i centri di formazione della pubblica amministrazione), suddivisa in 13 lotti geografici. La durata dell’appalto, per ciascun lotto, è stata prevista in 24 mesi, decorrenti dalla data di sottoscrizione della relativa Convenzione, con possibilità di proroga fino ad un massimo di ulteriori 12 mesi, su comunicazione scritta di Consip, qualora alla scadenza del termine non fosse esaurito l’importo massimo, anche eventualmente incrementato, e, comunque, sempre nel limite dell’importo medesimo.

I singoli contratti di fornitura stipulati mediante emissione degli ordinativi principali di fornitura da parte delle Amministrazioni hanno durata di 4 anni.

Qui la scheda riassuntiva e il dettaglio relativo ai singoli lotti, disponibili sul sito Consip.

Nel luglio 2014 Consip ha trasmesso all’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, su richiesta di quest’ultima, una documentazione descrittiva dell’esito della gara, dalla cui analisi sono emerse alcune anomalie.

Con provvedimento 25802 del 22 dicembre 2015 l’AGCM ha dichiarato l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza tra taluni fornitori di servizi di pulizia e attività ausiliarie che avevano assunto la qualità di aggiudicatari nell’ambito delle procedure riferite a taluni lotti geografici. In particolare, l’AGCM ha accertato che CNS Consorzio Nazionale Servizi società cooperativa, Manutencoop Facility Management S.p.A., Kuadra S.p.A. e Roma Multiservizi S.p.A. avevano posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza avente la finalità di condizionare gli esiti della gara Consip con ripartizione dei lotti geografici. Conseguentemente, ha disposto l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie.

I provvedimenti adottati dell’AGCM sono stati confermati in sede giurisdizionale prima dal TAR Lazio con sentenze nn. 10303/2016, 10307/2016 e 10309/2016, e poi dal Consiglio di Stato con sentenze nn. 740/2017, 927/2017 e 928/2017.

In conseguenza dei provvedimenti adottati e delle sentenze del TAR Lazio, la Consip il 2 dicembre 2016 ha proceduto alla risoluzione delle Convenzioni relative ai lotti[59]:

§  n. 1 - regioni Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria;

§  n. 2 - regione Emilia Romagna;

§  n. 4 - regioni Sardegna e Lazio (province di Rieti, Viterbo e Roma);

§  n. 8 - regioni Lombardia, Trentino Alto Adige;

§  n. 9 - regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto;

§  n. 10 - regioni Umbria, Marche, Abruzzo, Molise.

Nella stessa sede, ha ricordato, inoltre, che l’art. 15, co. 4, delle Condizioni Generali prevede che: “La risoluzione della Convenzione legittima la risoluzione dei singoli ordinativi di fornitura a partire dalla data in cui si verifica la risoluzione della Convenzione. In tal caso il Fornitore si impegna a porre in essere ogni attività necessaria per assicurare la continuità del servizio e/o della fornitura in favore delle Amministrazioni Contraenti”.

Al riguardo, il MIUR ha chiesto all’Autorità nazionale anticorruzione se, a seguito dell’avvenuta risoluzione delle convenzioni da parte di Consip, i dirigenti scolastici, firmatari dei contratti di acquisto dei servizi di pulizia, fossero a loro volta tenuti alla risoluzione degli atti negoziali attuativi delle convenzioni Consip: ciò, anche in considerazione dell’obbligo di assicurare la permanenza di idonee condizioni igienico-sanitarie nelle scuole.

Con delibera n. 87 dell’8 febbraio 2017, l’ANAC ha evidenziato che la risoluzione delle convenzioni disposta da Consip nei confronti degli operatori economici aggiudicatari dei lotti rispetto ai quali l’indagine dell’AGCM ha accertato l’intesa restrittiva della concorrenza travolge anche gli atti attuativi, ordinativi di fornitura o contratti aggiuntivi. Ha, infatti, sottolineato che “Rispetto agli atti negoziali attuativi la convenzione Consip costituisce un atto negoziale presupposto del successivo accordo contrattuale attuativo”. “Ne consegue che ove la risoluzione della convenzione da parte di Consip S.p.A. determini la caducazione degli ordinativi di fornitura, nelle more dell’attivazione delle nuove convenzioni Consip le istituzioni scolastiche dovranno provvedere ai nuovi affidamenti ai sensi di legge e con procedure autonome ai sensi del d.lgs. 50/2016”.

 

E’, poi, intervenuto l’art. 64, co. 1, del D.L. 50/2017 (L. 96/2017), che ha disposto che, al fine di consentire la regolare conclusione delle attività didattiche nell’a.s. 2016/2017, nelle regioni ove la convenzione-quadro Consip era stata risolta, l’acquisizione dei servizi di pulizia e degli altri servizi ausiliari, nonché degli interventi di mantenimento del decoro e della funzionalità degli edifici scolastici ed educativi statali proseguiva, con piena salvaguardia dei livelli occupazionali e salariali esistenti, con i soggetti già destinatari degli atti contrattuali attuativi e degli ordinativi di fornitura, fino al 31 agosto 2017.

 

Lo stesso comma 2 novella, altresì, il co. 3 dell’art. 64 del D.L. 50/2017 – che, nelle more dell’espletamento delle procedure di gara per l’affidamento dei servizi di pulizia e degli altri servizi ausiliari di cui al co. 1, ha affidato alla Consip S.p.a. lo svolgimento, per conto del MIUR, della procedura di aggiudicazione dell’appalto avente ad oggetto i medesimi servizi –, limitandosi, nell’enunciarne le finalità, a sostituire il riferimento all’avvio dell’a.s. 2017/2018 con quello allo svolgimento dello stesso a.s.

 

Il co. 3 dello stesso art. 64 ha disposto che, nelle more dell’espletamento delle procedure di gara per l’affidamento dei servizi di pulizia e degli altri servizi ausiliari di cui al co. 1 dello stesso articolo – e, dunque, nelle regioni ove sia stata risolta la convenzione-quadro Consip – da completarsi entro l’inizio dell’a.s. 2018/2019, e al fine di consentire il regolare avvio dell’a.s. 2017/2018 in ambienti con idonee condizioni igienico sanitarie, nonché di assicurare la tutela sociale dei livelli occupazionali dei lavoratori, Consip, nel contesto del Programma di razionalizzazione degli acquisti nella pubblica amministrazione, svolge, per conto del MIUR, la procedura di aggiudicazione dell’appalto avente ad oggetto i servizi di cui all’art. 58, co. 5, del D.L. 69/2013 (L. 98/2013), ossia i servizi più volte citati, prevedendo una suddivisione in lotti per aree geografiche. A tal fine, il MIUR comunica a Consip i fabbisogni e stipula il relativo contratto–quadro attraverso cui le istituzioni scolastiche ed educative statali procedono all’acquisizione dei servizi mediante la stipula di appositi contratti attuativi. Gli aggiudicatari di tale procedura si impegnano ad assumere il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria.

 

Un’ultima modifica – che, tuttavia, non sembrerebbe necessaria, poiché nulla sembrerebbe aggiungere a quanto giù risultante a legislazione vigente – riguarda il co. 4 dello stesso art. 64 del D.L. 50/2017.

A legislazione vigente, quest’ultimo dispone che l’acquisizione dei servizi di cui al co. 3 – che, come già detto, a sua volta rinvia al co. 1, dunque alla prosecuzione dell’acquisto dei servizi dai soggetti già destinatari degli atti contrattuali e degli ordinativi di fornitura nelle (sole) regioni in cui la convenzione Consip è stata risolta – nonché la prosecuzione dei medesimi servizi nei lotti in cui la convenzione Consip è ancora vigente, avviene nei limiti di spesa previsti dal già citato art. 58, co. 5, del D.L. 69/2013, incrementati di € 64 mln per il 2017[60].

Rispetto a tale quadro, si ribadisce che il riferimento ai servizi di cui al comma 3 riguarda le sole regioni ove vi sia stata la prosecuzione dei servizi di pulizia e degli altri servizi ausiliari a seguito della risoluzione della convenzione Consip.

 

Per completezza, si ricorda che l'art. 2, co. 1, del D.L. 58/2014 (L. 87/2014) – come modificato, da ultimo, dall’art. 1, co. 380, della L. 232/2016 (legge di bilancio 2017) – ha stabilito che, al fine di consentire la regolare conclusione delle attività didattiche nell'a.s. 2016/2017 in ambienti in cui siano garantite le idonee condizioni igienico-sanitarie, nelle regioni ove non era ancora attiva, ovvero era stata sospesa o era scaduta, la convenzione-quadro Consip per l'affidamento dei servizi di pulizia e altri servizi ausiliari, dal 1° aprile 2014 alla data di effettiva attivazione della citata convenzione e comunque fino a non oltre il 31 agosto 2017, le istituzioni scolastiche ed educative provvedono all'acquisto degli stessi servizi dai medesimi raggruppamenti e imprese che li assicuravano alla data del 31 marzo 2014.

In base al co. 2 dello stesso art. 58/2014 - come modificato dall’art. 1, co. 2, lett. a-bis), del D.L. 42/2016 (L. 89/2016), gli acquisti avvengono nel limite di spesa di cui al medesimo art. 58, co. 5, del D.L. 69/2013, alle condizioni tecniche previste dalla convenzione Consip e alle condizioni economiche pari all'importo del prezzo medio di aggiudicazione per ciascuna area omogenea nelle regioni in cui è attiva la convenzione Consip. Nei territori ove la convenzione Consip è scaduta, trovano applicazione in via provvisoria le condizioni tecniche ed economiche già previste nella medesima convenzione scaduta.


 

Articolo 16
(Misure urgenti per affrontare situazioni di marginalità sociale)

 

 

L'articolo 16 reca una serie di interventi volti al superamento di situazioni di marginalità sociale dei migranti.

In particolare, si prevede:

§  l’introduzione della possibilità di istituire uno più commissari straordinari in tre comuni del Mezzogiorno (Manfredonia, San Ferdinando e Castel Volturno) per l’adozione di un piano di risanamento, anche al fine di favorire l’integrazione degli immigrati (commi 1-3);

§  l’autorizzazione della spesa di 150 milioni di euro nel 2018 quale concorso dello Stato agli oneri che sostengono i comuni che accolgono richiedenti protezione internazionale (rifinanziamento fondo per l’accoglienza dei migranti) (comma 4);

§  l’innalzamento del 10%, per gli anni 2018 e 2019, del limite di spesa per i comuni per la definizione di rapporti di lavoro flessibile finalizzati a garantire i servizi e le attività strettamente funzionali all'accoglienza e all'integrazione dei migranti (comma 5).

Commissari straordinari e piano di risanamento delle aree degradate

I commi 1, 2 e 3 prevedono la possibilità di istituire in tre comuni del Mezzogiorno, Manfredonia (Foggia); San Ferdinando (Reggio Calabria) e Castel Volturno (Caserta) uno o più commissari straordinari del Governo, Posto che in tali aree si hanno una elevata concentrazione di cittadini stranieri e situazioni di particolare degrado. I commissari straordinari sono nominati, con decreto del Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro dell'interno, tra i prefetti - anche in quiescenza - e non ricevono compensi, ad eccezione di eventuali rimborsi spese, a carico dei bilanci delle amministrazioni competenti (comma 1).

 

I commissari straordinari adottano (d'intesa con il Ministro dell'interno e con il prefetto competente) un piano di risanamento delle aree e coordinano la realizzazione del medesimo piano, curando il coordinamento con gli uffici periferici delle amministrazioni statali in collaborazione con gli enti territoriali.

Tra le finalità del piano di risanamento è compresa la graduale integrazione dei migranti regolari, con particolare riguardo all'accesso ai servizi sociali e sanitari, alle misure di integrazione previste nel territorio, alla scuola.

La dotazione di mezzi e di personale dei commissari straordinari è demandata al decreto del Presidente del Consiglio di nomina dei commissari, sopra ricordato, nell’ambito delle risorse disponibili nei bilanci delle amministrazioni interessate.

I commissari si raccordano con le iniziative promosse dalla cabina di regia della rete del lavoro agricolo di qualità.

Il comma 3 pone per le attività commissariali una clausola di invarianza rispetto alle risorse disponibili a legislazione vigente. E prevede che gli enti territoriali possano predisporre progetti da finanziare con fondi europei, anche in collaborazione con le organizzazioni del terzo settore.

 

La Rete del lavoro di qualità è stata istituita dal decreto-legge n. 91 del 2014 (articolo 6) presso l'INPS. Vi possono partecipare le imprese agricole in possesso dei seguenti requisiti: a) non avere riportato condanne penali per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale e in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto; b) non essere stati destinatarie, negli ultimi tre anni, di sanzioni amministrative per le violazioni sopra dette; c) essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi.

La cabina di regia della Rete è composta da un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero delle politiche agricole e forestali, del Ministero dell’economia e delle finanze, dell’INPS e della Conferenza regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, nonché da tre rappresentanti dei lavoratori subordinati e tre rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori autonomi dell'agricoltura nominati con decreto ministeriale, su designazione delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale.

I compiti della cabina di regia sono, in particolare: a) deliberare sulle istanze di partecipazione alla Rete; b) escludere dalla Rete le imprese agricole che perdono i requisiti; c) redigere e aggiornare l’elenco delle imprese agricole che partecipano alla Rete e curarne la pubblicazione sul sito internet dell’INPS; d) formulare proposte al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero delle politiche agricole e forestali in materia di lavoro e di legislazione sociale nel settore agricolo.

Rifinanziamento del fondo per l’accoglienza dei migranti

Il comma 4 incrementa di 150 milioni annui per il 2018 il fondo istituito (con 100 milioni per il solo 2016, sullo stato di previsione del Ministero dell'interno) dal decreto-legge n. 193 del 2016 (all'articolo 12, che al contempo incrementava di 600 milioni per il 2016 le risorse per l'attivazione, locazione, gestione dei centri di trattenimento e di accoglienza per stranieri).

Il fondo è stato istituito nel 2016 affinché lo Stato concorresse agli oneri sostenuti dai comuni che accolgono richiedenti protezione internazionale, finalità confermata dalla disposizione in commento.

 

Il decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 (art. 12) ha incrementato, per il 2016, di 600 milioni le risorse per i centri di trattenimento e di accoglienza per stranieri e ha destinato 100 milioni per i comuni che accolgono i richiedenti protezione internazionale, istituendo nello stato di previsione del Ministero dell'interno, un apposito Fondo iscritto nella missione «Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti». Inoltre, il comma 2-bis, è finalizzato ad accordare priorità ai comuni che accolgono richiedenti protezione internazionale in sede di distribuzione degli spazi finanziari ceduti dalle regioni di appartenenza (attraverso una modifica in tal senso dell'art.1, comma 729, della legge n. 208 del 2015).

Con il decreto ministeriale 30 dicembre 2016 si è provveduto a definire le modalità di riparto dei 100 milioni destinati ai comuni che accolgono i migranti nell'ambito delle politiche di accoglienza.

Una nota del Ministero dell'interno del 10 febbraio 2017 ha precisato che le somme "non sono vincolate a specifica destinazione, in quanto la disposizione normativa è da intendersi quale misura solidaristica dello Stato nei confronti degli enti comunali che nel corso degli anni hanno accolto richiedenti protezione internazionale, offrendo loro i servizi indivisibili erogati sul territorio alla comunità. Le somme - prosegue la nota - potranno essere liberamente impegnate per progetti di miglioramento dei servizi o delle infrastrutture utili e attesi da tutta la comunità locale".

 

Le modalità di ripartizione tra i comuni interessati sono demandate a decreto del Ministro dell'interno, di concerto con quello dell'economia.

La comunicazione ai comuni delle risorse loro spettanti si prevede venga effettuata dal Ministero dell'interno, sulla base di uno "specifico monitoraggio trimestrale, entro il 30 novembre 2017”.

La norma dispone una soglia massima di erogazione, pari a 700 euro per ogni richiedente accolto nei centri del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati o a 500 euro per ogni migrante presente in altre strutture.

Le disponibilità del Fondo sono comunque la complessiva soglia non valicabile, ai fini della ripartizione.

La copertura finanziaria dell'incremento del fondo disposto dal comma in esame è a valere del fondo per le esigenze indifferibili nello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze.

 

L'accoglienza dei migranti richiedenti protezione internazionale, dopo le fasi del primo soccorso e accoglienza, si instaura ad opera del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR).

Il sistema è costituito da una rete di enti locali, su base volontaria. Essi accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo e realizzano, in raccordo con i soggetti del terzo settore, interventi di accoglienza integrata, non limitati alla distribuzione di vitto e alloggio ma estesi a misure di formazione, assistenza e orientamento.

Composizione di base della Rete SPRAR (al 1° aprile 2017)

 

 

Assunzioni nei comuni per attività di accoglienza e integrazione dei migranti

Il comma 5 prevede che, per gli anni 2018 e 2019, i comuni possano innalzare del 10 per cento il limite di spesa che vale quale loro soglia massima assunzionale ai sensi del decreto-legge n. 78 del 2010 (articolo 9, comma 28).

 

In materia di limitazioni assunzionali, l’articolo 9, comma 28, del D.L. 78/2010 prevede, in via generale, a decorrere dall'anno 2011, che le amministrazioni dello Stato (e gli altri enti indicati) possano avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50% della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009[61].

I predetti limiti non si applicano, anche con riferimento ai lavori socialmente utili, ai lavori di pubblica utilità e ai cantieri di lavoro, nel caso in cui il costo del personale sia coperto da finanziamenti specifici aggiuntivi o da fondi dell'Unione europea; nell'ipotesi di cofinanziamento, i limiti medesimi non si applicano con riferimento alla sola quota finanziata da altri soggetti. Tali disposizioni, inoltre, costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale.

A decorrere dal 2013 gli enti locali possono superare il predetto limite per le assunzioni strettamente necessarie a garantire l'esercizio delle funzioni di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale nonché per le spese sostenute per lo svolgimento di attività sociali mediante forme di lavoro accessorio. Inoltre, le suddette limitazioni non si applicano agli enti locali in regola con l'obbligo di riduzione delle spese di personale (di cui all’art. 1, commi 557 e 562, della L. 296/2006[62]). Resta comunque salvo quanto previsto dalla normativa vigente per le università e gli enti di ricerca (che possono assumere a tempo determinato e stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa per l'attuazione di progetti di ricerca e di innovazione tecnologica e che, limitatamente agli enti di ricerca, a decorrere dal 2006, possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 40% della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2003). Infine, il predetto limite non si applica (nei limiti di cinquanta unità di personale) al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti esclusivamente per lo svolgimento dell'attività di vigilanza sui concessionari della rete autostradale.

 

Tale elevamento del limite assunzionale è consentito per i rapporti di lavoro flessibile esclusivamente finalizzati a garantire i servizi e le attività strettamente funzionali all'accoglienza e all'integrazione dei migranti.

 

La disposizione consente siffatto elevamento del limite assunzionale solo ai Comuni di cui al comma 4.

 

Infine il comma 5 esclude che le risorse previste per l'attivazione dei contratti flessibili sopra ricordati, possano essere utilizzate per le procedure volte alla stabilizzazione del precariato nelle pubbliche amministrazioni.

 

La richiamata stabilizzazione del precariato nelle pubbliche amministrazioni è oggetto dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017, che ha previsto che le pubbliche amministrazioni (al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato) possa nel triennio 2018-2020 (con l'indicazione della relativa copertura finanziaria) assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti: a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l'amministrazione che procede all'assunzione; b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all'assunzione; c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell'amministrazione che procede all'assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni. Nello stesso triennio 2018-2020, le amministrazioni possono bandire (ferma restando la garanzia dell'adeguato accesso dall'esterno e previa indicazione della copertura finanziaria) procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti: a) risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l'amministrazione che bandisce il concorso; b) abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l'amministrazione che bandisce il concorso.


 

Articolo 16-bis
(Ripristino e messa in sicurezza Strada dei parchi)

 

 

L’articolo 16-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca disposizioni intese a finanziare, con un contributo di 250 milioni di euro (50 milioni per ciascuno degli anni dal 2021 al 2025) a favore della società concessionaria Strada dei Parchi S.p.A., gli interventi di ripristino e messa in sicurezza della tratta autostradale A24 e A25 in conseguenza dei danni provocati dagli eventi sismici del 2009, del 2016 e del 2017.

Si ricorda che l’autostrada A24 ha inizio dalla Tangenziale Est di Roma e si estende per 281,5 km verso Teramo e Pescara. In corrispondenza dello svincolo direzionale di Torano, la rete si biforca in due rami: uno prosegue verso L’Aquila-Teramo (A24) e l’altro verso Chieti-Pescara (A25).

 

In particolare, il comma 1 prevede che - per lo sviluppo dei territori delle regioni Abruzzo e Lazio ed al fine di consentire l'immediata esecuzione degli interventi citati, resisi necessari in conseguenza degli eventi sismici del 2009 e del 2016-2017 - sia autorizzato il contributo di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2025 a favore della società concessionaria Strada dei Parchi S.p.A.

Il successivo comma 2 disciplina invece la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalla concessione del contributo, disponendo che ad essi si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC), a valere sulle risorse della programmazione 2014-2020, di cui all'art. 1, comma 6, della legge 27 dicembre 2013, n. 147.

Il comma 3, infine, stabilisce che il valore degli interventi di ripristino e messa in sicurezza autorizzati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) nonché il contributo disciplinato dalla norma in esame siano riportati nell'aggiornamento del piano economico-finanziario (PEF) della società concessionaria Strada dei Parchi S.p.A.

 

Nella relazione tecnica presentata dal Governo nel corso dell’esame al Senato, si sottolinea che la norma in esame”, prevedendo l’erogazione di un contributo in conto capitale che esclude il recupero delle somme mediante tariffa, non produce effetti sull’utenza”.

 

Si ricorda che, relativamente agli interventi sulle autostrade A24 e A25, è recentemente intervenuto l'art. 52-quinquies del decreto-legge n. 50 del 2017 (c.d. manovrina). In base a tale disposizione (inserita dalla legge di conversione del decreto medesimo ed in vigore dal 24 giugno 2017), al fine dell’immediato avvio dei lavori di messa in sicurezza antisismica delle autostrade A24 e A25, è stata prevista la sospensione del versamento delle rate relative agli anni 2015 e 2016 del corrispettivo della concessione - previsto dalla vigente Convenzione - da parte della società concessionaria Strada dei Parchi.

In particolare, in base all'art. 52-quinquies citato, nel rispetto delle previsioni di cui all'articolo 1, comma 183, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (che in conseguenza degli eventi sismici del 2009 in Abruzzo ha disposto specifiche misure, per consentire la messa in sicurezza dei viadotti, l’adeguamento degli impianti di sicurezza in galleria e le ulteriori opere di adeguamento delle autostrade A24 e A25, in quanto opere strategiche per le finalità di protezione civile) e tenuto conto della necessità e urgenza di mettere in sicurezza antisismica le autostrade A24 e A25, nonché nelle more della definizione degli strumenti di pianificazione tecnica ed economica dell'intero impianto infrastrutturale, è stato sospeso l'obbligo del concessionario di versare le rate del corrispettivo della concessione (di cui all'art. 3, lettera c), della vigente convenzione stipulata il 18 novembre 2009), relative agli anni 2015 e 2016 e ciascuna dell'importo di euro 55.860.000, comprendente gli interessi di dilazione.

Tale sospensione opera previa presentazione di un piano di convalida per interventi urgenti, presentato dal concessionario entro venti giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione (24 giugno 2017), da approvare entro il 31 agosto 2017, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Nel medesimo decreto la norma prevede che siano altresì definite le modalità di attuazione della disposizione, nonché la regolazione del periodo transitorio. Si stabilisce che l'importo sia destinato all'immediato avvio dei lavori di messa in sicurezza antisismica delle autostrade A24 e A25 e che il concessionario effettui il versamento all'ANAS S.p.A. delle rate sospese del corrispettivo della concessione, tutte di spettanza dell'ANAS S.p.A., per complessivi euro 111.720.000, in tre rate che scadono il 31 marzo di ciascuno degli anni 2028, 2029 e 2030, ognuna delle quali dell'importo di euro 37.240.000 con maggiorazione degli interessi maturati calcolati al tasso legale. La norma in questione prevede poi che restino ferme le scadenze di tutte le restanti rate del corrispettivo spettante all'ANAS S.p.A.[63]

Relativamente al dettaglio degli interventi da eseguire per garantire la sicurezza della circolazione e il ripristino delle opere danneggiate dalle scosse sismiche, nella citata relazione tecnica si sottolinea che “gli interventi previsti rientrano nelle seguenti tipologie:

a)    intervento antiscalinamento impalcati;

b)    messa in sicurezza definitiva viadotti;

c)     movimenti franosi;

d)    adeguamento sismico edifici strategici;

e)     attraversamenti fluviali;

f)     adeguamento pile ammalorate” e che “gli interventi al punto A) ammontano complessivamente a 165 milioni di euro mentre i restanti interventi prevedono una spesa complessiva di 85 milioni di euro”.

Relativamente ai tempi d’esecuzione degli interventi, la medesima relazione afferma che gli interventi di cui al punto A) e quelli di messa in sicurezza definitiva del viadotto “Svincolo Bussi” sono “immediatamente cantierabili essendo già stata sviluppata la progettazione esecutiva. Per i restanti interventi si prevedono tempi ristretti per lo sviluppo della progettazione esecutiva che potrà essere ultimata nei prossimi mesi, compatibilmente con il carattere d’urgenza degli interventi”.

 


 

Articolo 16-ter
(Sistema automatico per la detenzione dei flussi di merce in entrata nei centri storici delle Città metropolitane)

 

 

L’articolo 16-ter, introdotto dal Senato reca un’autorizzazione di spesa per realizzare un sistema automatico di detenzione dei flussi di merce in entrata nei centri storici delle Città metropolitane.

È a tal fine prevista la realizzazione di un modulo ulteriore della Piattaforma logistica nazionale digitale.

Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti stipula una specifica convenzione con il soggetto attuatore unico per disciplinare l’utilizzo dei citati fondi.

 

Il soggetto attuatore unico è la società UIRNet Spa, ai sensi dell'articolo 61-bis del decreto-legge n. 1 del 2012. UIRNet è una società per azioni costituita in data 9 settembre 2005, per la progettazione, la realizzazione e l'esercizio di un sistema, definito nel decreto ministeriale infrastrutture 18T del 20 giugno 2005, volto alla interconnessione dei nodi di interscambio modale - interporti - e per le attività nell'ambito della Sicurezza, da svolgere all'interno delle strutture logistiche intermodali di I livello La Piattaforma è stata estesa ai centri merci, ai porti ed alle piastre logistiche.

 

La finalità della disposizione è quella di diminuire la compressione sui flussi turistici, dovuta alla necessità di garantire la sicurezza, "con particolare riferimento" a Palermo capitale della cultura italiana 2018 e a Matera capitale della cultura europea 2019 (comma 1).

 

L’individuazione di Matera quale capitale europea della cultura, è maturata nel quadro dell’Azione comunitaria “Capitale europea della cultura” per gli anni dal 2007 al 2019,istituita attraverso la Decisione N. 1622/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 2006.

Con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo 23 dicembre 2014 è stata adottata e approvata la Raccomandazione inoltrata dalla Commissione esaminatrice (Selection Panel) in cui la città di Matera è stata designata quale Capitale europea della cultura per il 2019.

Con riferimento alla designazione della città di Palermo quale “Capitale italiana della cultura”, si fa riferimento all'articolo 7, comma 3-quater, del D.L. 83/2014 (L. 106/2014) che ha previsto che annualmente il Consiglio dei Ministri conferisce ad una città italiana il titolo di “Capitale italiana della cultura”, sulla base di una procedura di selezione definita con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, d’intesa con la Conferenza unificata.

La disciplina della procedura di selezione per il conferimento del titolo - definita inizialmente con D.M. 12 dicembre 2014 - è stata modificata, da ultimo, con D.M. 16 febbraio 2016, che, in particolare, prevede che il titolo è conferito dal Consiglio dei Ministri. Il Consiglio dei Ministri del 21 luglio 2017 ha deliberato, su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il conferimento del titolo di “Capitale italiana della cultura” per l’anno 2018 alla città di Palermo.

 

Per la finalità indicata dal comma 1, il comma 2 incrementa - per 0,5 milioni nel 2017, 2 milioni nel 2018 e 1,5 milioni nel 2019 - il contributo  istituito dalla legge n. 244 del 2007 (articolo 2, comma 244) per il completamento e l'implementazione della rete immateriale degli interporti per potenziare il livello di servizio sulla rete logistica nazionale, in seguito ripristinato (dal citato articolo 61-bis del decreto-legge n. 1 del 2012) con specifica destinazione al miglioramento delle condizioni operative dell'autotrasporto e all'inserimento dei porti nella sperimentazione della piattaforma per la gestione della rete logistica nazionale, nell'ambito del progetto UIRNet del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

A fronte dell'incremento così disposto, si prevede non vi sia obbligo di cofinanziamento da parte del soggetto attuatore unico.

Il comma 3 disciplina infine la copertura finanziaria dell’intervento prevedendo la riduzione – per un importo corrispondente alle spese indicate al comma 2 - del fondo speciale di conto capitale iscritto nel programma “Fondi di riserva”, missione “Fondi da ripartire”, dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2017, utilizzando parzialmente l’accantonamento relativo al medesimo ministero.


 

Articolo 16-quater
(Risorse per interventi infrastrutturali sulla rete stradale di interconnessione con l'autostrada Salerno-Reggio Calabria)

 

 

L'articolo 16-quater, introdotto nel corso dell'esame presso l'altro ramo del Parlamento, prevede la rifinalizzazione di parte delle risorse non utilizzate in eseguito all'attività di project review svolta sulla Salerno Reggio Calabria.

 

L'attività di project review ha consentito di individuare soluzioni progettuali alternative agli interventi di ammodernamento e adeguamento già previsti, con una sensibile riduzione di tempi e costi di realizzazione. Il precedente programma di ammodernamento dell'autostrada prevedeva l'integrale demolizione dell'esistente e ricostruzione in altra sede, conservando solo limitati tratti della vecchia infrastruttura; al fine di contenere i costi di realizzazione, senza tuttavia compromettere la funzionalità dell'opera si è ritenuto preferibile procedere all'ammodernamento dell'esistente senza escludere rifacimenti comunque limitati.

 

Più nel dettaglio l'articolo destina all'ANAS s.p.a. le risorse di cui all'articolo 1, comma 69 della legge n. 147 del 2013 e quelle assegnate all'ANAS s.p.a. per l'adeguamento di alcuni tratti dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria ai sensi dell'articolo 3 del decreto legge n. 133 del 2014, che, a seguito dell'attività di project review non risultino più necessarie al completamento dei progetti.

L'ANAS s.p.a. dovrà destinare tali risorse a interventi di miglioramento infrastrutturale della rete stradale calabrese inserite nel contratto di programma tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la società ANAS s.p.a. e connessa con l'itinerario Salerno – Reggio Calabria.

 

Il comma 69 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013 ha autorizzato per la realizzazione del secondo stralcio del macrolotto 4 dell'asse autostradale Salerno-Reggio Calabria, tratto fra il viadotto Stupino escluso e lo svincolo di Altilia incluso, la spesa di:

§  50 milioni di euro per l'anno 2014

§  170 milioni di euro per l'anno 2015

§  120 milioni di euro per l'anno 2016.

 

L'articolo 3 del decreto legge n. 133 del 2014 (come convertito dalla legge n. 164 del 2014) ha previsto in primo luogo un rifinanziamento di 3.851 milioni di euro del Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dal (cd. “sblocca cantieri”) per consentire nell'anno 2014 la continuità dei cantieri in corso o il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all'avvio dei lavori. In sede di conversione è stato introdotto (comma 1-bis) un ulteriore finanziamento del Fondo pari a 39 milioni di euro. Gli specifici interventi da finanziare sono puntualmente individuati dalla disposizione. In particolare il comma 2, lettera c) elenca i seguenti interventi appaltabili entro il 30 aprile 2015 e cantierabili entro il 31 agosto 2015: metropolitana di Torino; tramvia di Firenze; Lavori di ammodernamento ed adeguamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, dallo svincolo di Rogliano allo svincolo di Atilia; Autostrada Salerno-Reggio Calabria svincolo Laureana di Borrello; Adeguamento della strada statale n. 372 "Telesina" tra lo svincolo di Caianello della Strada statale n. 372 e lo svincolo di Benevento sulla strada statale n. 88; Completamento della S.S. 291 in Sardegna; Variante della "Tremezzina" sulla strada statale internazionale 340 "Regina"; Collegamento stradale Masserano-Ghemme; Ponte stradale di collegamento tra l'autostrada per Fiumicino e l'EUR; Asse viario Gamberale-Civitaluparella in Abruzzo; Primo lotto Asse viario S.S. 212 Fortorina; Continuità interventi nuovo tunnel del Brennero; Quadruplicamento della linea ferroviaria Lucca Pistoia; aeroporti di Firenze e Salerno; Completamento sistema idrico integrato della Regione Abruzzo; opere segnalate dai Comuni alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dal 2 al 15 giugno 2014 o richieste inviate nell’ambito del programma “Seimila Campanili”.


 

Articolo 16-quinquies
(Tavolo per il riordino della disciplina dei servizi automobilistici
interregionali di competenza statale)

 

 

L'articolo 16-quinquies, introdotto dal Senato, interviene sulla materia dei servizi automobilistici interregionali abrogando le disposizioni concernenti la definizione di riunione d’impresa applicabile ai soggetti autorizzati allo svolgimento di servizi automobilistici interregionali di linea con autobus, introdotta da ultimo dai commi 12 e 12-bis dell'articolo 27, del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96 e istituisce un tavolo di lavoro finalizzato a individuare i principi e i criteri per il riordino della disciplina dei servizi automobilistici interregionali di competenza statale.

 

Le modifiche al decreto-legge n. 50 del 2017, previste dal presente articolo sono le seguenti:

§  si conferma il termine del 31 gennaio 2018, per l'emanazione del decreto del Ministro dello Sviluppo economico - di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti - per la disciplina degli interventi finalizzati ad aumentare la competitività delle imprese produttrici di beni e di servizi nella filiera dei mezzi di trasporto pubblico su gomma e dei sistemi intelligenti per il trasporto;

§  si prevede che per i servizi di linea di competenza statale, gli accertamenti sulla sussistenza delle condizioni di sicurezza e regolarità dei servizi, relativamente all'ubicazione delle aree di fermata, sono validi fin quando non sia accertato il venir meno delle condizioni di sicurezza;

§  si sopprimono le disposizioni che definiscono le riunioni di imprese nell'ambito dei servizi di linea interregionali di competenza statale (già soppresse una prima volta dal decreto-legge n. 50 del 2017 e ripristinate in sede di conversione del medesimo decreto-legge) e, conseguentemente, le disposizioni relative all’adeguamento a tale disposizione e le relative procedure di accertamento e sanzione;

§  si istituisce un tavolo di lavoro per provvedere al riordino della disciplina dei servizi automobilistici interregionali di competenza statale.

 

Il comma 12-bis, come riformulato, prevede, in particolare che entro il 30 ottobre 2017, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti istituisca, con decreto da emanarsi di concerto con il Ministero dello Sviluppo economico un tavolo di lavoro finalizzato a individuare i principi e i criteri per il riordino della disciplina dei servizi automobilistici interregionali di competenza statale, anche avendo specifico riguardo alla tutela dei viaggiatori e garantendo agli stessi adeguati livelli di sicurezza del trasporto.

 

Al tavolo di lavoro partecipano:

§  i rappresentanti, nel numero massimo di due ciascuno:

§  del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti,

§   del Ministero dello Sviluppo economico,

§  delle associazioni di categoria del settore maggiormente rappresentative

§   del Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti (CNCU),

§  un rappresentante di ciascun operatore privato che opera in almeno quattro regioni e che non aderisca alle suddette associazioni.

Ai componenti del tavolo di lavoro non sono corrisposti compensi di alcun tipo, gettoni né rimborsi spese.

 

La disciplina concernente i servizi automobilistici interregionali è stata soggetta a diversi interventi normativi assai ravvicinati.

La prima modifica è stata introdotta dal comma 2-bis dell'articolo 9 del D.L. n. 244 del 2016 ("Proroga termini").

Tale comma 2-bis, operava principalmente due modifiche: la prima, novellando l'articolo 1, comma 615, della legge di bilancio per il 2017 (L. 232/2016), consisteva in una proroga - al 31 gennaio 2018 - del termine per l’emanazione del decreto ministeriale relativo alle misure per la competitività delle imprese della filiera del trasporto pubblico su gomma.

La seconda modifica, intervenendo sull’articolo 3, comma 3 del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 285 chiariva la nozione di “riunione di imprese”, applicabile ai soggetti autorizzati allo svolgimento di servizi automobilistici interregionali di linea con autobus. Si prevedeva in particolare che per raggruppamento di tipo verticale si intende un raggruppamento di operatori economici il cui mandatario esegue le attività principali di trasporto di passeggeri su strada, i mandanti quelle indicate come secondarie. Per raggruppamento orizzontale quello in cui gli operatori economici eseguono il medesimo tipo di prestazione.

Era previsto inoltre che i soggetti autorizzati allo svolgimento di servizi automobilistici regionali di competenza statale si adeguassero alle previsioni del citato comma entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge citato, dandone comunicazione al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e che il Ministero effettuasse le verifiche entro novanta giorni dalla comunicazione anzidetta e, in caso di mancato adeguamento, dichiara la decadenza delle autorizzazioni.

A seguito dell’entrata in vigore della suddetta norma è stata trasmessa alla Camera dei deputati una segnalazione da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato del 4 aprile 2017, nel quale erano evidenziati gli effetti potenzialmente anticoncorrenziali della norma introdotta, della quale si suggeriva pertanto l’abrogazione.

L’auspicio dell’Autorità veniva accolto con l’emanazione  del decreto-legge n. 50 del 2017 che, al comma 12 dell’articolo 27, riscriveva il comma 2-bis dell'articolo 9 del D.L. n. 244 del 2016, espungendo il riferimento alla disciplina delle riunioni di imprese.

In sede di esame parlamentare, ai fini della conversione del decreto-legge, il comma 12 veniva tuttavia novellato e veniva contestualmente inserito un ulteriore comma 12-bis. Il comma 12-bis reintroduceva la definizione di riunione d’impresa, come già prevista dall’articolo 9, comma 2-bis, del D.L. n. 244 del 2016, mentre il comma 12, imponeva ai soggetti autorizzati allo svolgimento di servizi automobilistici regionali di competenza statale l’adeguamento alle previsioni entro il 30 ottobre 2017, secondo le modalità previste precedentemente.

A seguito del combinato disposto di queste due disposizioni era quindi, di fatto, ripristinata la disciplina vigente prima dell’emanazione del decreto-legge 50 del 2017.

 


 

Articolo 16-sexies
(Disposizioni urgenti per il proseguimento delle attività emergenziali nelle aree del centro-Italia colpite dal sisma e per l'efficacia delle attività di protezione civile)

 

 

L’articolo 16-sexies, introdotto nel corso dell’esame al Senato, contiene una serie di disposizioni per il proseguimento delle attività emergenziali nelle aree del centro-Italia colpite dagli eventi sismici iniziati il 24 agosto 2016, a partire dalla proroga (fino al 28 febbraio 2018) della durata dello stato di emergenza (comma 2, primo e secondo periodo). Ulteriori norme riguardano: la proroga del termine ultimo per la presentazione della documentazione per gli interventi di immediata esecuzione (comma 1); l’incremento del volume di anticipazioni che possono essere disposte dal Ministero dell’economia e delle finanze (comma 2, terzo periodo), che sono destinate anche al finanziamento delle operazioni di gestione delle macerie (comma 3); la proroga dell’autorizzazione all’assunzione di personale di protezione civile (comma 4); la modifica delle modalità di utilizzo del “Fondo per l'accelerazione della ricostruzione” per l’acquisto o la manutenzione di mezzi per il soccorso alla popolazione (comma 5); l’esenzione dall'imposta di successione, dalle imposte e tasse ipotecarie e catastali, dall’imposta di registro o di bollo, per gli immobili demoliti o dichiarati inagibili ricevuti per successione da persone fisiche (commi 6 e 7).

Proroga del termine ultimo per la presentazione della documentazione per gli interventi di immediata esecuzione (comma 1)

Il comma 1 proroga di cinque mesi (dal 31 luglio al 31 dicembre 2017) il termine ultimo (previsto dall’art. 8, comma 4, del D.L. 189/2016) entro il quale deve avvenire la presentazione della documentazione richiesta, da parte dei soggetti interessati ad effettuare interventi di immediata esecuzione (cioè l'immediato ripristino dell’agibilità degli edifici con danni lievi o che necessitano soltanto di interventi di immediata riparazione), ai fini dell’ottenimento del contributo di ricostruzione erogato dal Commissario straordinario.

 

L'articolo 8 del D.L. 189/2016 disciplina una procedura specifica, anche in deroga alla normativa vigente, per l’avvio di interventi di immediata riparazione a favore degli edifici che hanno riportato danni lievi o che necessitano soltanto di interventi di immediata riparazione. Si prevede, in estrema sintesi, una procedura articolata nelle seguenti fasi:

§  presentazione di un progetto e asseverazione da parte di un professionista abilitato, che documenti il nesso di causalità tra gli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016 e lo stato della struttura, oltre alla valutazione economica del danno (comma 1);

§  comunicazione dell’avvio dei lavori di riparazione o ripristino agli uffici speciali per la ricostruzione (comma 3) che devono essere obbligatoriamente affidati a imprese individuate in base a determinati requisiti (dettati dal comma 5);

§  presentazione della documentazione agli uffici speciali per la ricostruzione (comma 4). Tale disposizione, oggetto di proroga da parte del comma in esame, prevede che la presentazione avvenga, entro sessanta giorni dalla data di comunicazione dell'avvio dei lavori e comunque non oltre la data del 31 luglio 2017 (31 dicembre 2017 in virtù della proroga in esame), secondo le modalità stabilite negli appositi provvedimenti commissariali di disciplina dei contributi per la ricostruzione privata. Il mancato rispetto del termine e delle modalità citate determina (ai sensi del medesimo comma 4) l'inammissibilità della domanda di contributo.

Proroga della durata dello stato di emergenza (comma 2, primo e secondo periodo)

Il comma 2, in considerazione della complessità della situazione determinatasi a seguito del susseguirsi di eventi sismici di forte intensità nei territori dell’Italia centrale, proroga la durata dello stato di emergenza fino al 28 febbraio 2018.

Lo stesso comma precisa che la proroga è disposta in deroga alla disciplina vigente relativa alla dichiarazione dello stato di emergenza e che la proroga in esame può essere rinnovata, con deliberazione del Consiglio dei ministri, per un ulteriore periodo di 180 giorni al massimo.

Si ricorda, infatti, che l’articolo 5, comma 1-bis, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, dispone che la durata della dichiarazione dello stato di emergenza non può superare i 180 giorni prorogabile per non più di ulteriori 180 giorni.

Con la delibera del Consiglio dei Ministri del 25 agosto 2016 è stato dichiarato lo stato d'emergenza per i territori colpiti dal sisma del 24 agosto 2016, fino al centottantesimo giorno dalla medesima data del 25 agosto.

In seguito agli eventi sismici del 26 ottobre 2016, il Consiglio dei Ministri, con la delibera 27 ottobre 2016, ha esteso gli effetti della dichiarazione di stato d'emergenza agli ulteriori territori colpiti.

Successivamente ai nuovi eventi sismici verificatisi il 30 ottobre, con la delibera 31 ottobre 2016 il Consiglio dei ministri ha provveduto ad estendere ulteriormente gli effetti della citata dichiarazione.

Un’ulteriore estensione, in conseguenza degli ulteriori eventi sismici che il giorno 18 gennaio 2017 hanno colpito nuovamente il territorio delle Regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, nonché degli eccezionali fenomeni meteorologici che hanno interessato i territori delle medesime Regioni a partire dalla seconda decade dello stesso mese, è stata disposta dalla delibera del Consiglio dei Ministri del 20 gennaio 2017.

Successivamente, con la delibera del Consiglio dei Ministri  del 10 febbraio 2017 (pubblicata nella G.U. n. 45 del 23 febbraio 2017) lo stato di emergenza è stato prorogato di ulteriori 180 giorni.

Incremento del volume di anticipazioni disposte dal Ministero dell’economia e delle finanze (comma 2, terzo periodo)

Il comma 2 provvede altresì ad elevare, di 200 milioni (cioè da 500 a 700 milioni di euro), l’importo delle anticipazioni di risorse che possono essere disposte (ai sensi dell’art. 20-ter del D.L. 8/2017) dal Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della ragioneria generale dello Stato - Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l'Unione europea, nelle more dell'accredito dei contributi dell'UE a carico del Fondo di solidarietà.

Lo stesso comma precisa che la finalità della disposizione, che è consequenziale alla proroga dello stato di emergenza, è quella di fronteggiare gli oneri derivanti dal proseguimento delle attività di assistenza nel prolungamento della fase di prima emergenza, assicurando le necessarie attività senza soluzione di continuità, nonché di far fronte all’anticipazione (di 100 milioni di euro) disposta dal nuovo testo del comma 13 dell’articolo 28 del D.L. 189/2016 (risultante dalla riscrittura operata dal comma 3 dell’ articolo in esame, v. infra) per il finanziamento delle operazioni di trattamento e trasporto del materiale derivante dal crollo parziale o totale degli edifici.

L'articolo 20-ter del D.L. 8/2017 dispone che il Ministero dell'economia e delle finanze effettui anticipazioni di risorse, per la tempestiva attivazione degli interventi nelle aree del centro Italia colpite dal sisma, in attesa che l'Unione europea provveda ad accreditare i contributi a carico del Fondo di solidarietà.

In particolare, il comma 1 prevede, nelle more dell'accredito dei contributi dell'Unione europea a carico del Fondo di solidarietà, che il Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento della ragioneria generale dello Stato – Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l’UE anticipi le risorse, nel limite di 500 milioni di euro[64] (elevati a 700 milioni dal comma in esame), necessarie a garantire l'immediata operatività delle iniziative a favore delle aree colpite dal sisma del centro Italia, a valere sulle disponibilità finanziarie del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie (cd. Fondo IGRUE), istituito dall'articolo 5 della legge n. 183/1987.

In base al comma 2, tali anticipazioni saranno successivamente reintegrate tramite le risorse che verranno erogate dall'UE a titolo di contributo del Fondo di solidarietà di cui al Regolamento CE n. 2012/2002 per il sisma del centro Italia.

Si ricorda che nel comunicato stampa del 30 novembre 2016 la Commissione europea ha annunciato l'erogazione di una prima tranche di aiuti dell'ammontare di 30 milioni di euro a titolo del Fondo di solidarietà dell'UE e proposto di finanziare totalmente le operazioni di ricostruzione nell'ambito di programmi dei fondi strutturali. A quest'ultimo riguardo, è stata presentata una proposta di modifica del Regolamento (UE) n. 1303/2013 relativo alla politica di coesione per il periodo 2014-2020 (COM(2016) 778 final) che prevede un tasso di cofinanziamento dell'Ue fino al 100% per le operazioni di ricostruzione in seguito a catastrofi naturali.

Nel comunicato  diramato il 21 giugno 2017, si legge che la Commissione europea ha proposto di mobilitare 1,2 miliardi di euro a titolo del Fondo di solidarietà dell'UE a seguito dei terremoti che hanno colpito l'Italia centrale nel 2016 e nel 2017.

Finanziamento delle operazioni di trattamento e trasporto del materiale derivante dal crollo parziale o totale degli edifici (comma 3)

Il comma 3 novella l’articolo 28 del D.L. 189/2016, sostituendone integralmente il comma 13 in materia di trattamento e trasporto del materiale derivante dal crollo parziale o totale degli edifici e intervenendo in materia di gestione dei rifiuti.

Rispetto al testo vigente, la nuova disposizione conferma la clausola di invarianza (in base alla quale le amministrazioni coinvolte operano con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica) e prevede le seguenti modifiche:

§  vengono esclusi dall'ambito applicativo della norma gli interventi che sono ricompresi e finanziati nell’ambito del procedimento di concessione dei contributi per la ricostruzione; l'attuale testo vigente non prevede invece tale esclusione, facendo riferimento tout court agli oneri derivanti dall'attuazione della disposizione stessa ed a quelli relativi alla raccolta, al trasporto, al recupero e allo smaltimento dei rifiuti;

§  viene confermata la previsione secondo cui agli oneri in questione si provveda nel limite delle risorse disponibili sul Fondo per la ricostruzione delle aree terremotate, mentre viene espunta la previsione che a provvedervi sia il Commissario straordinario con proprio provvedimento (nel limite del Fondo per la ricostruzione);

§  viene aggiunto un nuovo periodo al comma novellato, ove si prevede che, allo scopo di assicurare il proseguimento, senza soluzione di continuità,  delle attività di gestione dei materiali derivanti dai crolli degli edifici, è assegnata - in anticipazione rispetto a quanto previsto dall’art. 4, comma 3, del D.L. 189/2016 con ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione Civile, adottata d’intesa con il Commissario del Governo per la ricostruzione nei territori interessati dal sisma del 24 agosto 2016 - la somma di 100 milioni di euro a valere sulle risorse rivenienti dal Fondo di solidarietà dell'UE di cui al regolamento (CE) n. 2012/2002 del Consiglio dell'11 novembre 2002.

Si ricorda che il comma 4 dell'art. 28 del D.L. 189/2016 prevede che, in deroga alla disciplina ordinaria di gestione dei rifiuti, i materiali derivanti dal crollo parziale o totale degli edifici pubblici e privati causati dagli eventi sismici nonché quelli derivanti dalle attività di demolizione e abbattimento degli edifici pericolanti disposte dai Comuni interessati dagli eventi sismici nonché da altri soggetti competenti o comunque svolti su incarico dei medesimi, sono classificati rifiuti urbani non pericolosi con codice CER 20.03.99 (“rifiuti urbani non specificati altrimenti”), limitatamente alle fasi di raccolta e trasporto da effettuarsi verso i centri di raccolta comunali e i siti di deposito temporaneo, fatte salve le situazioni in cui è possibile segnalare i materiali pericolosi ed effettuare, in condizioni di sicurezza, le raccolte selettive. Sempre in deroga alla disciplina vigente sui rifiuti, la stessa norma dispone altresì che, ai fini dei conseguenti adempimenti amministrativi, il Comune di origine dei materiali è considerato produttore di tali rifiuti.

Si ricorda poi che, in base all'art. 4, comma 3, del D.L. 189/2016, al Commissario straordinario è intestata apposita contabilità speciale su cui sono assegnate le risorse provenienti dal fondo per la ricostruzione, destinate al finanziamento degli interventi di riparazione, ripristino o ricostruzione di opere pubbliche e beni culturali, realizzazione di strutture temporanee nonché alle spese di funzionamento e alle spese per l'assistenza alla popolazione. Sulla contabilità speciale confluiscono anche le risorse derivanti dalle erogazioni liberali ai fini della realizzazione di interventi per la ricostruzione e ripresa dei territori colpiti dagli eventi sismici. Sulla medesima contabilità speciale possono confluire inoltre le risorse finanziarie a qualsiasi titolo destinate o da destinare alla ricostruzione dei territori colpiti dagli eventi sismici in questione, ivi incluse quelle rivenienti dal Fondo di solidarietà dell'UE, ad esclusione di quelle finalizzate al rimborso delle spese sostenute nella fase di prima emergenza.

 

Andrebbe valutata l’opportunità di fare riferimento, nell’ ultimo periodo introdotto dalla novella in esame, ai territori interessati dagli eventi sismici avvenuti a far data dal 24 agosto 2016, anziché ai “territori interessati dal sisma del 24 agosto 2016, in coerenza con l’ambito di applicazione del D.L. 189/2016.

Proroga dell’autorizzazione all’assunzione di personale di protezione civile (comma 4)

Il comma 4 proroga fino al 28 febbraio 2019 l'autorizzazione (prevista dall'art. 50-bis, comma 4, del D.L. 189/2016) per l'assunzione di personale, fino ad un massimo di 20 unità, da parte del Dipartimento della protezione civile, con contratti di lavoro a tempo determinato della durata di un anno, con professionalità di tipo tecnico o amministrativo, per lo svolgimento delle attività connesse alla situazione di emergenza, al fine di far fronte all'eccezionalità dell'impegno conseguente al reiterarsi delle situazioni di emergenza derivanti dagli eventi sismici.

La proroga è finalizzata a garantire l’omogeneità operativa delle attività funzionali al monitoraggio e al coordinamento delle attività di rendicontazione delle risorse finanziarie provenienti dall’Unione Europea, nonché ad assicurare il completamento dei procedimenti amministrativo contabili di cui all'art. 42, comma 2, del medesimo D.L. n. 189/2016.

In base a tale comma 2, il Dipartimento della protezione civile assicura, ove necessario, il completamento dei procedimenti amministrativo-contabili relativi alle attività ed agli interventi attivati nel quadro di quanto previsto dagli artt. 1 e 2 dell’ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 388 del 2016.

Si ricorda, in sintesi, che, in base all'art. 1 della citata ordinanza, il Capo del Dipartimento della Protezione civile assicura il coordinamento degli interventi necessari a fronteggiare la situazione emergenziale, anche avvalendosi del Dipartimento della Protezione Civile medesimo e con i soggetti ivi indicati, provvedendone ad indicarne le attività secondo il modello operativo indicato al successivo art. 2. Ai sensi dell'articolo 2, il Capo del Dipartimento della Protezione Civile assicura poi il coordinamento degli interventi di cui all'art. 1 mediante l'istituzione, con proprio provvedimento, di una direzione di comando e controllo (Dicomac). Nella Dicomac, articolata in Funzioni di supporto, sono rappresentate, con adeguato livello decisionale, le componenti e le strutture operative nonché le Regioni interessate. Essa promuove l'attuazione degli indirizzi e delle indicazioni operative del Capo del Dipartimento della Protezione Civile ed opera in raccordo con i centri operativi e di coordinamento attivati sul territorio.

Nella relazione tecnica presentata dal Governo, in occasione della presentazione dell’emendamento sul quale è stata posta la questione di fiducia, viene sottolineato che la norma in esame “muove dalla considerazione che il Dipartimento della Protezione Civile, in attuazione delle succitate disposizioni recate dal comma 4 dell’articolo 50-bis, ha provveduto dal mese di febbraio 2017, all’assunzione delle previste 20 unità, con contratto a tempo determinato della durata di un anno nella categoria A fascia retributiva F1 del CCNL della Presidenza del Consiglio dei Ministri, previa preventiva individuazione dei profili tecnici ed amministrativi necessari (n. 3 geologi, n. 6 ingegneri, n. 3 architetti, n. 1 ingegnere informatico, n. 1 funzionario specialista di comunicazione, n. 6 funzionari amministrativo-contabili). In particolare, la norma proposta è volta ad assicurare la funzionalità e la continuità operativa del Dipartimento autorizzando lo stesso a potersi avvalere delle citate individuate professionalità fino al 28 febbraio 2019 al fine di portare a compimento i peculiari procedimenti tecnici ed amministrativi a supporto dei quali risultano ad oggi impiegate le unità di che trattasi”.

 

Il comma 4 in esame reca, quindi, la copertura per gli oneri, quantificati in 1,1 milioni di euro per il 2018 e 190.000 euro per il 2019. Si provvede mediante riduzione dell'autorizzazione di spesa relativa al Fondo per la ricostruzione delle aree terremotate, previsto dall'art. 4, comma 1, D.L. 189/2016, come rideterminata dall'art. 42, comma 1, del D.L. n. 50 del 2017

L’articolo 42, comma 1, del D.L. 50/2017 ha incrementato il Fondo per la ricostruzione di 63 milioni di euro per l'anno 2017 e 132 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019. Tali risorse si sono aggiunte quindi alla dotazione iniziale di 200 milioni di euro (per il 2016) prevista dall’art. 4, comma 2, del D.L. 189/2016.

Modalità di utilizzo del “Fondo per l'accelerazione della ricostruzione” per acquisto/manutenzione di mezzi per il soccorso (comma 5)

Il comma 5 interviene sulle modalità con cui le risorse del “Fondo da ripartire per l'accelerazione delle attività di ricostruzione a seguito di eventi sismici” (istituito e finanziato dall’art. 41 del D.L. 50/2017) possono essere utilizzate per l'acquisto e la manutenzione dei mezzi occorrenti per le operazioni di concorso al soccorso alla popolazione civile.

L’intervento è operato mediante una modifica al comma 4 del citato art. 41, che consente di destinare una quota delle risorse del Fondo in questione (pari fino a 50 milioni di euro per l'anno 2017 e 70 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019) all'acquisto e alla manutenzione dei mezzi occorrenti per le operazioni di concorso al soccorso alla popolazione civile.

Rispetto al testo vigente, in base al quale la destinazione avviene con le medesime modalità previste per l’utilizzo delle risorse del Fondo (cioè con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze su proposta del Commissario per la ricostruzione o del Dipartimento per il coordinamento del progetto “Casa Italia”) e su richiesta delle amministrazioni interessate, il nuovo testo previsto dal comma in esame stabilisce che le modalità di impiego e ripartizione delle risorse sono individuate con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato previa intesa della Conferenza Stato-Regioni.

Nella citata relazione tecnica presentata nel corso dell’esame da parte dell’Assemblea del Senato, viene sottolineato che il citato D.P.C.M. verrà emanato “sulla base delle ricognizioni che saranno effettuate dal Dipartimento della protezione civile”.

Esenzione dall'imposta di successione, dalle imposte e tasse ipotecarie e catastali, dall’imposta di registro o di bollo, per gli immobili demoliti o dichiarati inagibili ricevuti per successione da persone fisiche (commi 6 e 7)

Il comma 6 novella in più punti l’articolo 48 del decreto legge 17 ottobre 2016, n. 189, il quale in aggiunta alla sospensione disposta dal D.M. 1° settembre 2016, ha previsto la sospensione fino al 31 dicembre 2016 dei termini per una serie di adempimenti tributari e contributivi a favore dei soggetti, persone fisiche e imprese, localizzate nei comuni colpiti dal sisma del 24 agosto 2016 (indicati nell’allegato 1) e da quello del 26 ottobre 2016 (allegato 2).

In particolare, la lett. a) del comma in esame modifica la norma che prevede l'esenzione dell'imposta di bollo e dell'imposta di registro per le istanze, i contratti ed i documenti presentati alla P.A. fino al 31 dicembre 2018 (termine così prorogato dal decreto-legge n. 50 del 2017) da parte delle persone fisiche residenti o domiciliate e delle persone giuridiche aventi sede legale nei comuni colpiti dal sisma, in esecuzione di ordinanze del Commissario straordinario (articolo 48, comma 7, del decreto-legge n. 189 del 2016, modificato dall’articolo 11 del decreto-legge n. 8 del 2017). Con la modifica in esame è eliminata la locuzione che circoscrive l’esenzione delle imposte di bollo e di registro “esclusivamente per quelli” (istanze, contratti e documenti) presentati alla P.A. in esecuzione delle ordinanze del Commissario straordinario.

 

La lett. b), introducendo i commi aggiuntivi da 7-bis a 7-quinquies all'articolo 48, esenta dall'imposta di successione, dalle imposte e tasse ipotecarie e catastali, dall’imposta di registro o di bollo, gli immobili, ricevuti per successione da persone fisiche, demoliti o dichiarati inagibili a seguito degli eventi sismici nei territori colpiti delle Regioni Abruzzo, Lazio, Marche ed Umbria a far data dal 24 agosto 2016. È fatto salvo l’adempimento degli obblighi dichiarativi di legge (comma 7-bis).

Il comma 7-ter circoscrive le esenzioni previste dal comma 7-bis esclusivamente con riguardo alle successioni di persone fisiche che alla data degli eventi sismici si trovavano in una delle seguenti condizioni:

a)   risultavano proprietarie o titolari di diritti reali di godimento in relazione agli immobili ubicati nei comuni colpiti dagli eventi sismici, ricompresi negli allegati 1 (sisma del 24 agosto 2016), 2 (sisma del 26 e del 30 ottobre 2016) e 2-bis (sisma del 18 gennaio 2017) del D.L. n. 189 del 2016;

b)  risultavano proprietarie o titolari di diritti reali di godimento relativi ad immobili dichiarati inagibili e ubicati nei territori dei comuni di Teramo, Rieti, Ascoli Piceno, Macerata, Fabriano e Spoleto;

c)   risultavano proprietarie o titolari di diritti reali di godimento relativi ad immobili distrutti o dichiarati inagibili ubicati in comuni delle Regioni Abruzzo, Lazio, Marche ed Umbria, diversi da quelli indicati negli allegati 1, 2 e 2- bis del decreto legge n. 189 del 2016; in tale caso apposita perizia asseverata deve comprovare il nesso di causalità diretto tra i danni ivi verificatisi e gli eventi sismici occorsi a far data dal 24 agosto 2016.

Ai sensi del comma 7-quater, le esenzioni non si applicano se al momento dell'apertura della successione l'immobile sia stato già riparato o ricostruito in tutto o in parte.

Il comma 7-quinquies demanda ad un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, adottato entro 60 giorni dall'entrata in vigore delle presenti disposizioni, la disciplina delle modalità di rimborso delle imposte già versate relativamente alle successioni aperte precedentemente all'entrata in vigore della disposizione in esame e che rispettano i requisiti stabiliti dai commi 7-bis e 7-ter. Riguardo alle somme rimborsate non sono dovuti interessi.

 

Il comma 7 reca la copertura degli oneri derivanti dal comma 6, lettera b), capoversi da 7-bis a 7-quater (valutati in 50.000 euro a decorrere dal 2017) e dal capoverso 7-quinquies (pari a euro 100.000 per il 2017 e euro 150.000 per il 2018). A tali oneri si provvede mediante riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2017-2019, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del MEF per il 2017, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.

 


 

Articolo 16-septies
(Utilizzo avanzi di amministrazione per i Comuni colpiti dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016)

 

 

L'articolo 16-septies, introdotto al Senato, modifica l'art. 43-bis, comma 1, del decreto-legge n. 50 del 2017 al fine di inserire il miglioramento della dotazione infrastrutturale e il recupero degli immobili e delle strutture destinati ai servizi per la popolazione tra le tipologie di investimento che gli enti locali colpiti dal sisma dell’agosto-ottobre 2016 e del gennaio 2017 possono effettuare attraverso l’utilizzo degli avanzi di amministrazione, nell’ambito dei patti nazionali previsti dall’articolo 10 della legge n. 243 del 2012.

 

L’articolo 43-bis citato reca disposizioni volte a favorire l’effettuazione di investimenti connessi alla ricostruzione da parte degli enti locali colpiti dagli eventi sismici dell’agosto 2016, dell’ottobre 2016 e del gennaio 2017[65] e, a tale scopo, assegna agli enti locali interessati per gli anni 2017, 2018 e 2019 spazi finanziari nell’ambito dei patti nazionali previsti dall’articolo 10 della legge n. 243 del 2012, in misura pari alle spese sostenute per tali investimenti.

La novella in esame amplia la finalità della norma: oltre all'effettuazione degli investimenti connessi alla ricostruzione, la modifica intende favorire l’utilizzo degli avanzi di amministrazione anche per investimenti legati al miglioramento della dotazione infrastrutturale e al recupero degli immobili e delle strutture destinati ai servizi per la popolazione.

 

Si rammenta in estrema sintesi – e rinviando più diffusamente a quanto già esposto a commento dell’articolo 15-sexies - che i patti di solidarietà nazionale costituiscono uno strumento di flessibilità per l’utilizzo delle risorse di bilancio, previsto – unitamente alle intese regionali – dall’articolo 10 della legge di attuazione del principio del pareggio di bilancio n. 243 del 2012, che ha introdotto tali due istituti al fine di consentire agli enti locali di poter procedere all’effettuazione di investimenti mediante indebitamento ovvero con l’utilizzo di precedenti avanzi di amministrazione.

Nel caso delle intese regionali, gli investimenti attraverso l'utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti e il ricorso al debito sono consentiti ai singoli enti locali del territorio regionale qualora l’equilibrio complessivo del saldo sia conseguito su base regionale dal complesso degli enti della regione interessata (regione compresa). Analogamente questo meccanismo può operare, per le quote non soddisfatte dalle intese regionali, a livello nazionale, con l’istituto del patto di solidarietà nazionale, mediante richieste da un lato di acquisizione e dall’altro di cessione di spazi finanziari fra enti territoriali, secondo quanto previsto dall’articolo 10 della legge 243 in commento e dal DPCM 21 febbraio 2017, n.21, attuativo dell’articolo.

 

Si ricorda che il comma 2 dell'art. 43-bis del D.L. n. 50/2017 stabilisce che gli enti che effettuano gli investimenti ai sensi della suddetta disciplina provvedono alla certificazione degli stessi ai fini della verifica del rispetto del saldi di equilibrio di bilancio per gli anni 2017, 2018 e 2019, ai sensi del comma 470 della legge n. 232/2016 (legge di stabilità 2017).

 

Tale comma stabilisce che ciascun ente, ai fini della verifica del rispetto dell’obiettivo di saldo, debba inviare alla Ragioneria generale dello Stato, entro il 31 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento, una certificazione dei risultati conseguiti. La mancata trasmissione della certificazione entro il termine perentorio del 31 marzo costituisce inadempimento all’obbligo del pareggio di bilancio, cui si accompagnano alcune sanzioni previste nel comma medesimo.

In conseguenza dell’assegnazione degli spazi finanziari effettuata dall’articolo 43-bis del D.L. n. 50/2017 nei confronti dei comuni colpiti dagli eventi sismici indicati al comma 1, il comma 3 elimina il riferimento ai comuni medesimi contenuto nel comma 492 della richiamata legge n. 232/2016, laddove tali comuni erano ricompresi, per primi (cfr. lettera 0a), nell’ordine di priorità dell’assegnazione degli spazi finanziari previsti dai commi 485-492 della legge stessa (c.d. patti di solidarietà nazionale “verticale”), assegnati agli enti locali per il triennio 2017-2019, nel limite complessivo di 700 milioni di euro annui (di cui 300 milioni di euro destinati ad interventi di edilizia scolastica).


 

Articolo 16-octies
(Rimborso imposte per soggetti interessati da eventi sismici nel 1990 nelle province di Catania, Ragusa e Siracusa e Molise)

 

 

L’articolo 16-octies, inserito nel corso dell’esame parlamentare, apporta una serie di modifiche ad una norma della legge di stabilità per il 2015 (articolo 1, comma 665, della legge 23 dicembre 2014, n. 190) che ha attribuito ai soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990 nelle province di Catania, Ragusa e Siracusa, che avevano versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al dovuto del 10 per cento, il diritto al rimborso di quanto indebitamente versato, purché avessero presentato apposita istanza entro il 1° marzo 2010.

Con le modifiche in esame tra i soggetti che hanno diritto al rimborso sono ricompresi espressamente i titolari di redditi di lavoro dipendente, nonché i titolari di redditi equiparati e assimilati a quelli di lavoro dipendente in relazione alle ritenute subite. Il rimborso di quanto indebitamente versato è effettuato nei limiti della spesa autorizzata. Inoltre, si stabilisce che il contribuente che abbia tempestivamente presentato un'istanza di rimborso generica ovvero priva di documentazione e per gli anni d'imposta 1990, 1991 e 1992 non abbia presentato le dichiarazioni dei redditi, entro il 30 ottobre 2017 può integrare l'istanza già presentata con i dati necessari per il calcolo del rimborso.

 

A seguito del terremoto in Sicilia del 1990 è stata disposta in un primo momento la sospensione e il differimento del versamento delle imposte, dei contributi sociali e dei premi assicurativi obbligatori o la possibilità di effettuare tale pagamento a rate. In un secondo momento, con l’articolo 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002 è stata introdotta la possibilità, per coloro che non avessero ancora versato le imposte per gli anni 1990-1991-1992, di regolarizzare automaticamente la loro posizione entro il 16 marzo 2003 versando soltanto il 10 per cento dell’ammontare ancora dovuto. Il termine per il versamento è stato successivamente prorogato più volte. L’articolo 3?quater del D.L. n. 300 del 2006 ha prorogato al 31 dicembre 2007 i termini per il pagamento, chiedendo però il versamento del 30 per cento dell’ammontare ancora dovuto per le imposte. L’articolo 36-bis del D.L. n. 248 del 2007 ha prorogato al 30 giugno 2008 i termini per il pagamento, ristabilendo il versamento del 10 per cento dell’ammontare dovuto per le imposte.

Con la sentenza n. 20641, del 1° ottobre 2007, la Corte di Cassazione ha ritenuto applicabile la norma di favore (articolo 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002) anche a chi aveva comunque assolto regolarmente ai propri debiti tributari: “deve ritenersi spettante a tutti il beneficio della riduzione del carico fiscale de quo ad un decimo. Beneficio che si attua concretamente, secondo due simmetriche possibilità di definizione in favore di chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento solo del 10 per cento del dovuto da effettuarsi entro il 16 marzo 2003; in favore di chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90 per cento di quanto versato al medesimo titolo, ancorché risultato parzialmente non dovuto ex post, per effetto dell'intervento normativo, cui va riconosciuto il carattere di ius superveniens favorevole al contribuente, nel contesto di un indebito sorto ex lege”.

Con riferimento al fatto che tale norma di favore interessava anche le imprese localizzate nei territori colpiti dal sisma, nel 2012 la Commissione europea ha comunicato l'avvenuta registrazione degli aiuti connessi al terremoto 1990 quali «aiuti di Stato non notificati».

Sulla vicenda sono successivamente intervenuti ulteriori pronunciamenti della Corte di cassazione. In particolare, la sentenza n. 10241 del 2 maggio 2013 che ha confermato che il rimborso del 90 per cento spetta a tutti i contribuenti colpiti dal sisma del 1990 che hanno instaurato il contenzioso entro il 31 marzo 2012, in ottemperanza a quanto stabilito in precedenza dall'ordinanza n. 9577 del 12 giugno 2012 e in controtendenza con la sentenza n. 23589 del 20 dicembre 2012 della suprema Corte che, invece, aveva previsto che i termini per presentare l'istanza per il rimborso scadessero il 1° gennaio 2005. Anche la sentenza n. 471-1-13 della Commissione tributaria provinciale di Siracusa riconosce il beneficio a tutti i contribuenti che hanno instaurato il contenzioso con l'Agenzia delle entrate entro il 31 marzo 2012.

Con il comma 665 della legge di stabilità 2015 è stato stabilito che il termine di due anni per la presentazione dell’istanza di rimborso è calcolato a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248. Pertanto si attribuisce il diritto al rimborso ai soggetti che hanno avanzato apposita istanza entro il 1° marzo 2010. A tal fine è stata autorizzata la spesa di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015-2017. Si rimette ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze il compito di definire i criteri di assegnazione dei predetti fondi.

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 15026 del 16 giugno 2017), nel rigettare il ricorso presentato dall’Avvocatura Generale dello Stato per conto dall’Agenzia Centrale delle Entrate contro una ordinanza di una Sezione della stessa Cassazione con la quale si riconosceva il diritto ad ottenere il rimborso delle trattenute versate in eccedenza del 10 per cento anche al lavoratore dipendente, ha confermato il principio più volte dalla stessa affermato secondo il quale "in tema di agevolazioni tributarie, il rimborso d'imposta di cui alla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, a favore dei soggetti colpiti dal sisma siciliano del 13 e 16 dicembre 1990, può essere richiesto sia dal soggetto che ha effettuato il versamento (cd. sostituto d'imposta) sia dal percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd. "sostituito") nella sua qualità di lavoratore dipendente." (Cass. nn. 14406/2016, 18905/2016).

 

La norma in esame, in aderenza alla citata sentenza, ricomprende nel novero delle misure anche i titolari di redditi di lavoro dipendente, nonché i titolari di redditi equiparati e assimilati a quelli di lavoro dipendente in relazione alle ritenute subite.

Con la seconda modifica è stabilito che il rimborso di quanto indebitamente versato è effettuato nei limiti della spesa autorizzata (30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015-2017), non modificata dalla norma in esame.

Inoltre, si stabilisce che il contribuente che abbia tempestivamente presentato un'istanza di rimborso generica ovvero priva di documentazione e per gli anni d'imposta 1990, 1991 e 1992 non abbia presentato le dichiarazioni dei redditi, entro il 30 ottobre 2017 può integrare l'istanza già presentata con i dati necessari per il calcolo del rimborso. Successivamente al 30 ottobre 2017, gli uffici dell'Agenzia delle entrate richiedono i dati necessari per il calcolo del rimborso, che devono essere forniti entro sessanta giorni dalla richiesta, ai contribuenti che abbiano tempestivamente presentato un'istanza di rimborso generica ovvero priva di documentazione e per gli anni d'imposta 1990, 1991 e 1992 non abbiano presentato le dichiarazioni dei redditi e non abbiano provveduto all'integrazione. Per i contribuenti titolari di redditi di lavoro dipendente nonché titolari di redditi equiparati e assimilati a quelli di lavoro dipendente che hanno presentato la dichiarazione dei redditi modello 740 per le stesse annualità, l'importo oggetto di rimborso viene calcolato direttamente dall'Agenzia delle entrate in funzione delle ritenute subite a titolo di lavoro dipendente in essa indicate. In relazione alle istanze di rimborso presentate, qualora l'ammontare delle stesse ecceda le complessive risorse stanziate, i rimborsi sono effettuati applicando la riduzione percentuale del 50 per cento sulle somme dovute; al raggiungimento della somma stanziata non si procede all'esecuzione di ulteriori rimborsi. Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, da emanarsi entro il 30 settembre 2017, sono stabilite le modalità e procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa entro le somme autorizzate dalla norma in esame.

Infine, è soppresso il quarto periodo con il quale era stabilito, come dianzi riferito, che con apposito DM del Ministro dell'economia e delle finanze venissero stabiliti i criteri di assegnazione dei predetti fondi.


 

Articolo 16-novies
(Celebrazioni di Antonio Gramsci)

 

 

L’articolo 16-novies– inserito durante l’esame al Senato – autorizza la spesa di € 350.000 per l’anno 2017 per consentire lo svolgimento delle celebrazioni della figura di Antonio Gramsci, in occasione dell’ottantesimo anniversario dalla sua morte.

 

L’autorizzazione di spesa è finalizzata allo svolgimento delle celebrazioni “in particolare nelle regioni del Mezzogiorno”.

Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per le esigenze indifferibili che si manifestano nel corso della gestione, istituito, nello stato di previsione del MEF, dall'art. 1, co. 200, della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015).

 

Non sono indicate le modalità attuative, con particolare riferimento alle procedure per l’erogazione del contributo.

 

La materia è attualmente regolata dalla L. 420/1997, che ha inteso ricondurre ad unità, attraverso un unico provvedimento a cadenza annuale, l’intervento statale a favore di comitati nazionali per lo svolgimento di celebrazioni e manifestazioni culturali di particolare rilevanza, nonché di edizioni nazionali.

A questo fine, ha previsto l’istituzione, presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, della “Consulta dei comitati nazionali e delle edizioni nazionali”, alla quale ha affidato il compito di deliberare (per quanto qui interessa), sulla costituzione e organizzazione dei comitati nazionali per le celebrazioni o manifestazioni culturali, sull’ammissione al contributo finanziario statale e sulla misura dello stesso. Le richieste di istituzione dei comitati nazionali possono essere presentate da enti locali, enti pubblici, istituzioni culturali o comitati promotori, nonché da amministrazioni dello Stato.

La stessa L. 420/1997 ha quantificato l’onere necessario per i comitati nazionali e le edizioni nazionali in 13 miliardi di lire per il 1997, 10 miliardi di lire per il 1998 e 11 miliardi di lire per il 1999. In seguito, l’art. 6, co. 1, della L. 237/1999 ha autorizzato uno stanziamento annuale di 5 miliardi di lire per il 1999 e di 13 miliardi di lire (pari a € 6.713.940) a decorrere dal 2000.

Le risorse sono allocate sul cap. 3631/pg. 2 dello stato di previsione del Mibact, sul quale, in base al Decreto del MEF n. 102065 del 27 dicembre 2016, di ripartizione in capitoli delle unità di voto parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e per il triennio 2017-2019, sono presenti, per il 2017, € 1.463.256.

 

Per quanto attiene la procedura di erogazione dei contributi ai comitati nazionali, la L. 420/1997 ha previsto che l’emanazione dell’elenco con le decisioni della Consulta sia preceduta dal parere delle Commissioni parlamentari competenti, da rendere entro 30 giorni.

Le modalità di presentazione delle domande per i contributi sono state indicate, da ultimo, con la Circolare n. 101 del 10 febbraio 2016.

 

Per completezza, peraltro, si ricorda che già alcuni comitati nazionali per celebrazioni di eventi sono stati istituiti con legge o con altra tipologia di atto (in particolare: L. 206/2012, che ha inteso celebrare la figura di Giuseppe Verdi nella ricorrenza, nel 2013, del secondo centenario della sua nascita ed ha istituito il Comitato promotore delle celebrazioni; L. 63/2014, che ha previsto l’istituzione di un Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Alberto Burri, nel 2015; DPCM 21 dicembre 2013, che ha istituito il Comitato promotore per le celebrazioni del Centenario dell'Istituto nazionale del dramma antico -INDA; DM 23 settembre 2016, n 428, che ha costituito il Comitato tecnico-scientifico per le celebrazioni del cinquecentenario della morte dell’urbanista Biagio Rossetti; DM 17 febbraio 2017, n. 78, che ha costituito il Comitato promotore per le celebrazioni del centocinquantesimo anniversario della nascita del compositore lirico Umberto Giordano).

Infine, il 18 maggio 2017 l'Assemblea della Camera ha approvato l'A.C. 4314-A, recante disposizioni per la celebrazione dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e Raffaello Sanzio e dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri. Il testo è ora all'esame del Senato (A.S. 2810).

 

Si ricorda, inoltre, che presso il Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri opera il Comitato storico-scientifico per gli anniversari di interesse nazionale – istituito, da ultimo, con DPCM 6 giugno 2013 (che ha sostituito il Comitato di cui al precedente DPCM 3 agosto 2012) – che ha il compito di coordinare la pianificazione, la preparazione e l’organizzazione degli interventi connessi alle celebrazioni per gli anniversari di interesse nazionale.

 

Con riferimento alla figura di Antonio Gramsci si ricorda che con L. 207/2016 la Casa Museo Gramsci in Ghilarza, nella provincia di Oristano, è stata dichiarata monumento nazionale.

Con specifico riguardo all’ottantesimo anniversario della morte di Gramsci, rispondendo, il 16 marzo 2017, all’interrogazione presentata alla Camera 5-09038, il rappresentante del Governo ha fatto presente, fra l’altro, che “Con decreto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo del 28 aprile del 2015, relativo ai finanziamenti ARCUS per «Progetti per eventi e manifestazioni culturali organizzate dagli Istituti Culturali» è stato assegnato un finanziamento di euro 75.000,00 alla Fondazione Antonio Gramsci Onlus di Roma per la realizzazione del progetto denominato «Antonio Gramsci e la Grande Guerra» nell'ambito degli eventi connessi alla commemorazione della Prima Guerra Mondiale.

Il prolungarsi dei tempi di restauro degli originali dei «Quaderni del carcere» nonché alcune problematiche inerenti la logistica di svolgimento della mostra ad essi dedicata, ha portato a posticipare l'evento ai primi mesi del 2017, coincidendo così con l'anno di commemorazione degli 80 anni dalla morte di Antonio Gramsci. La mostra è stata quindi inaugurata lo scorso 15 febbraio presso le sale dell'Archivio Centrale di Stato di Roma.

Nell'ambito del progetto è stato realizzato anche il convegno internazionale «Guerra, pace e rivoluzione in Europa tra il 1914 e il 1920», svoltosi lo scorso 25 novembre 2016.

Per quanto riguarda le edizioni nazionali è tutt'ora in vita l'Edizione Nazionale Antonio Gramsci (istituita nel 1996 con scadenza al 2020) che, nel 2016 ha ottenuto un rifinanziamento di euro 25.000,00 ai sensi della Legge 420/97.

Per quanto riguarda le iniziative di competenza del Ministero dell'istruzione, università e ricerca, la Ministra Fedeli ha annunciato, in occasione della visita alla Casa Museo di Gramsci, lo scorso 6 marzo, in vista dell'ottantesimo anniversario della scomparsa di Gramsci, l'emanazione di una specifica circolare a tutte le scuole per far conoscere agli studenti tale figura fondamentale per la storia e la cultura del nostro Paese e ancora straordinariamente attuale[66].

Infine, si segnala che è allo studio dei competenti uffici del MIUR la realizzazione, in occasione del citato anniversario, di specifiche iniziative (concorsi e seminari) per promuovere la conoscenza della figura di Antonio Gramsci”.

 


 

Articolo 16-decies
(Disposizioni concernenti la ripartizione
delle quote aggiuntive di tonno rosso)

 

 

L’articolo aggiuntivo 16-decies - introdotto dal Senato - attiene alle tonnare fisse, includendole dal 2018 nelle quote aggiuntive di riparto rispetto alle altre modalità di pesca che, in Italia, riguardano il tonno rosso.

 

Il tonno rosso, infatti, viene pescato con diversi sistemi di pesca (circuizione, palangaro, tonnara fissa): la quota italiana è stata assegnata all'Italia con riferimento alle catture effettuate prevalentemente con il metodo della circuizione ed in base a criteri consolidati nel tempo.

Con riferimento alla pesca del tonno rosso e al piano europeo pluriennale di ricostituzione dello stock nel Mediterraneo, la risoluzione della XIII Commissione della Camera dei deputati 7-01186 (approvata il 17 febbraio 2017) ha sottolineato i sostanziali miglioramenti conseguiti sotto il profilo biologico, come indicato dagli esperti scientifici della Commissione internazionale per la conservazione dei Tonni atlantici (ICCAT).

A seguito dell'azione svolta dalla Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, e prendendo atto degli esiti positivi del piano pluriennale di ricostituzione degli stock di tonno nell'Atlantico e nel Mediterraneo, l'organismo di gestione internazionale della pesca dei tonnidi (Commissione internazionale per la conservazione dei Tonni atlantici – International Commission for the Conservation of Tunas) ha deciso di rideterminare, aumentandola, la quota pescabile di tonno rosso nel triennio 2015-2017 per tutti i Paesi aderenti alla Convenzione internazionale per la conservazione dei Tonnidi dell'Atlantico, tra cui l'Unione europea.

Il comma 1 attiene alle tonnare fisse elencate all'allegato C del decreto 17 aprile 2015, in cui il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali aveva ripartito le quote di tonno rosso per il triennio 2015-2017, assegnando, per l'anno in corso, il 74,451 per cento al sistema della circuizione (2.460,23 tonnellate), il 13,595 per cento ai palangari (449,25 tonnellate), l'8,465 per cento alle tonnare fisse (279,73 tonnellate), lo 0,454 per cento alla pesca sportiva/ricreativa (15,00 tonnellate) e il 3,035 per cento alla quota non divisa (100,29 tonnellate).

Il suddetto elenco di cui all’allegato C include le seguenti 6 tonnare fisse autorizzate dall’art. 5 del predetto decreto ministeriale 17 aprile 2015 ad esercitare la campagna di pesca 2015 del tonno rosso: “Isola Piana” a Carloforte (Carbonia-Iglesias); “Capo Altano” e “Porto Paglia” a Portoscuso (Carbonia-Iglesias), rientranti nella parte a) del predetto allegato e “Favignana” nella località omonima (Trapani), “Cala Vinagra” a Carloforte (Carbonia-Iglesias) e “Camogli” nella località omonima (Genova), rientranti nella parte b) dell’allegato stesso. Le medesime tonnare sono state, con successivi decreti ministeriali, autorizzate alle campagne di pesca del tonno rosso sia nel 2016 (DM 14/03/2016, n. 4958), sia nel 2017 (DM 07/04/2017, n. 8447).

A decorrere dal 2018, un nuovo decreto del MIPAAF dovrà includerle, a richiesta, nel riparto delle quote aggiuntive assegnate all'Italia dopo che, nel corso degli anni, dal momento dell'introduzione del Totale ammissibile di cattura (Tac), è emersa una sproporzione nella distribuzione delle quote tra i diversi sistemi di cattura che ha indotto pesanti squilibri tra imprese grandi e piccole e tra marinerie. Come ricordato dalla citata risoluzione della XIII Commissione della Camera 7-01186, "le ultime campagne di pesca del tonno rosso in Italia hanno evidenziato, relativamente alle catture accessorie, l'insufficienza delle quantità assegnate alla «quota non divisa» che ogni anno viene rapidamente azzerata a causa dello sforamento delle imbarcazioni autorizzate".

Si tratta dell'assegnazione derivante dal regolamento (UE) 2017/127 del Consiglio, del 20 gennaio 2017, che ha stabilito, per l'anno in corso, le possibilità di pesca per alcuni stock ittici e gruppi di stock ittici, applicabili nelle acque dell'Unione europea e, per i pescherecci dell'Unione, in determinate acque non dell'Unione, confermando per il tonno rosso quanto già indicato nella raccomandazione della Commissione internazionale per la conservazione dei Tonni atlantici (I.C.C.A.T.) relativamente al quantitativo di pesca per il triennio 2015-2017. Sulla base della citata raccomandazione, il Consiglio dei ministri dell'Unione europea «Agricoltura e pesca» del 13 dicembre 2016 ha assegnato all'Italia una quota di pescato di tonno rosso pari a 3.304,82 tonnellate, il 20 per cento in più (552,26 tonnellate) rispetto alle 2.752,56 tonnellate concesse nel 2016, mantenendo l'assetto dell'attuale flotta di pesca al tonno rosso, comprensivo di dodici pescherecci a circuizione, trenta palangari e sei tonnare fisse. Pertanto, con decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali dovrà essere ripartita la quota aggiuntiva di 552 tonnellate di pescato tra i diversi sistemi di pesca utilizzati in Italia.  

 



[1]     Doc. CCLIII, n. 1. Si tratta di relazioni, inviate dal Ministro dell'economia e delle finanze, sull'attuazione delle misure incentivanti, previste dal decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, in favore dell'imprenditorialità e dell'autoimpiego, riferite agli anni dal 2007 al 2015, delegate ex lege all'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa SpA. Vi si dà conto delle attività a favore dell'autoimprenditorialità e dell'autoimpiego, con valutazione degli effetti.

[2]     Valutando anche la sostenibilità tecnico-economica del progetto.

[3]     Dal 2008 Invitalia ha attraversato un profondo processo di ristrutturazione: il piano di riordino e dismissioni previsto dal comma 461 dell'articolo 1 della legge n. 296 si è praticamente concluso nel 2012. Nel corso degli anni 2012 e 2013 il ruolo di Invitalia quale soggetto preposto all'attuazione delle politiche di sviluppo nazionale è stato rafforzato. In particolare, all'Agenzia è stato attribuito il compito di accelerare la realizzazione degli investimenti strategici, anche agendo direttamente quale centrale di committenza per la gestione degli appalti pubblici (comma 2 e comma 2-bis dell'articolo 55-bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, aggiunto dall'articolo 29-bis, comma 1, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134) e come soggetto responsabile per l'attuazione dei contratti istituzionali di sviluppo (articolo 9-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98). Inoltre, il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, che all'articolo 10, comma 1, istituisce l'Agenzia per la coesione territoriale, al comma 2, lett. f-bis, prevede che la Presidenza del Consiglio possa avvalersi del contributo di Invitalia per rafforzare l'attuazione della politica di coesione.

[4]     Pari a 1,25 miliardi di euro del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) – Programmazione 2014-2020.

[5]     Il DEF 2016 riporta che le richieste di accesso al Fondo sono cresciute nel 2015 del 17% rispetto al 2014. Per quanto riguarda gli interventi in materia garanzie a sostegno degli investimenti delle imprese, il Governo in quel testo evidenziava – sulla scorta di quanto rilevato dalla Commissione UE nel Country Report di febbraio 2016 - che il Fondo centrale di Garanzia per le PMI ha svolto un ruolo rilevante, prevedendone un rafforzamento con interventi correttivi, migliorativi. Il PNR richiama in proposito gli interventi già adottati nel D.L. n. 3/2015 (articolo 8-comma 2-bis e 8-bis) e con la legge di Stabilità 2016 (articolo 1, comma 886) che è intervenuta per ampliare le garanzie che possono essere concesse a valere su di esso, destinando almeno il 20 per cento delle risorse disponibili del Fondo alle imprese e agli investimenti localizzati nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna.

[6]     Con la ripartizione del Fondo investimenti di cui al comma 140 dell’articolo 1 della legge n. 232/2016, operata con lo schema di D.P.C.M. (A.G. 409) - sul quale è stato espresso parere favorevole dalla Commissione Bilancio della Camera in data 9 maggio 2017, in corso di pubblicazione – stati destinati al Programma straordinario di riqualificazione delle periferie 800 milioni di euro per il triennio 2017-2019 (270 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018 e 260 milioni di euro per l'anno 2019).

[7]     In sostanza, dunque, lo stanziamento complessivamente richiesto per la realizzazione di tutti i 120 progetti inseriti nella graduatoria del Programma straordinario approvata con il D.P.C.M. 6 dicembre 2016 è pari a 2.061,3 milioni di euro, cui si provvede:

§  per 500 milioni, ai sensi della legge n. 208/2015;

§  per 800 milioni, con le risorse derivanti da riparto del Fondo investimenti, di cui al comma 140 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2017;

§  per 798,17 milioni, ai sensi della deliberazione del CIPE del 3 marzo 2017, in corso di pubblicazione, a valere sulle risorse del Fondo sviluppo e coesione della programmazione 2014-2020, in attuazione del comma 141 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2017, ripartite per 603,9 milioni di euro in favore delle città e dei comuni del Mezzogiorno e per 194,27 milioni di euro in favore delle città e dei comuni del Centro Nord.

[8]     La norma citata prevede che per le gestioni fuori bilancio il bilancio consuntivo o il rendiconto annuale è soggetto al controllo della competente ragioneria centrale e della Corte dei conti.

[9]     I consorzi agrari hanno lo scopo di contribuire all'innovazione ed al miglioramento della produzione agricola, nonché alla predisposizione e gestione di servizi utili all'agricoltura. I consorzi possono inoltre compiere operazioni di credito agrario di esercizio in natura, ai sensi dell'articolo 153 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nonché di anticipazione ai produttori in caso di conferimento di prodotti agricoli all'ammasso volontario, e possono partecipare a società i cui scopi interessino l'attività consortile o promuoverne la costituzione.

[10]    In base a tali limiti, la durata massima complessiva è pari a 24 mesi in un quinquennio mobile (o 36 mesi qualora il trattamento si basi su un contratto di solidarietà, mentre il limite è pari a 30 mesi per le imprese - industriali o artigiane - dell'edilizia e del settore lapideo). Inoltre, qualora il trattamento si basi su una causale di crisi aziendale, la durata massima è di 12 mesi ed una nuova autorizzazione non può essere concessa prima che sia decorso un periodo pari a due terzi di quello relativo alla precedente autorizzazione.

[11]    Cfr. in proposito quanto rilevato dalla Corte dei conti nell’ultimo Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica (2017) in particolare pag.228 sgg.

[12]    Decreto legislativo 31 maggio 2011, n.88, recante disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali, a norma dell’articolo 16 della legge delega sul federalismo fiscale n.42 del 2009.

[13]    Riferimento che ora va fatto al nuovo codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n.50 del 2016.

[14]    Costituita dal Presidente del Consiglio dei ministri o da un suo delegato, ai sensi di quanto dispone l’articolo 12 del decreto-legge n.133 del 2014.

[15]    Recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca.

[16]    Il decreto legge n. 134/2008 (cd. Alitalia) ha ampliato l'ambito dei destinatari della disciplina del decreto legge n. 347, consentendone l'applicazione anche alle imprese in stato di insolvenza che intendano ricorrere alle procedure di cessione di complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno.

[17]    Il provvedimento è attualmente all'esame del Senato (A.S. 2831).

[18]    A tal fine il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del disegno di legge, un decreto legislativo su proposta del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro della giustizia, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

[19]    La legittimazione attiva del commissario straordinario della società cedente, come evidenziato nella relazione illustrativa, è prevista al fine di assicurare la vigilanza sul rispetto degli impegni contrattualmente assunti, sotto il profilo sia del pagamento del prezzo, sia del mantenimento dell’occupazione e della realizzazione del piano industriale.

[20]    La medesima relazione individua la ratio di tale intervento normativo nella necessità di consentire il perseguimento del tentativo conservativo, proprio della procedura di amministrazione straordinaria, nell’ipotesi in cui la società cessionaria, resasi inadempiente, divenga insolvente, nelle more del relativo contenzioso, e non possa accedere ad una nuova procedura per mancanza dei requisiti in precedenza posseduti. Ciò sia in riferimento al requisito dimensionale, per il caso in cui i dipendenti vengano resi oggetto di procedure di licenziamento collettivo, sia in riferimento al requisito relativo all’ammontare complessivo dei debiti, considerato che le operazioni di acquisizione avvengono di norma per il tramite di una newco.

[21]    comma introdotto dall'articolo 1, comma 2-bis del decreto legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito dall'articolo 1, comma 1, della legge 4 marzo 2015, n. 20

[22]    Dunque, come anche si afferma in dottrina, con l’espressione “meccanismi di remunerazione della capacità” s’intende riferirsi in generale a quelle discipline che, allo scopo di ottenere che gli operatori mantengano in esercizio gli impianti di produzione elettrica di cui sono titolari oppure realizzino nuova capacità produttiva, al fine di far fronte all’aleatorietà della domanda di energia elettrica, riconoscono ai medesimi – in forme e con modalità che possono variare significativamente nei diversi casi - un qualche corrispettivo o contributo.

      Tale corrispettivo o contributo è oggetto di valutazione alla luce della disciplina sugli aiuti di Stato in materia di ambiente ed energia 2014-2020 da parte della Commissione europea. La Commissione ha adottato una Relazione intermedia dell'indagine di settore sui meccanismi di capacità di energia elettrica nei diversi Stati membri e procede alla valutazione, sulla base della citata disciplina sugli aiuti di Stato, dei diversi sistemi di remunerazione introdotti negli Stati membri (cfr. infra, nel testo).

[23]    Come anche si afferma in dottrina, con l’espressione “meccanismi di remunerazione della capacità” s’intende riferirsi in generale a quelle discipline che, allo scopo di ottenere che gli operatori mantengano in esercizio gli impianti di produzione elettrica di cui sono titolari oppure realizzino nuova capacità produttiva, per far fronte, con i necessari margini di riserva, alla aleatorietà della relativa domanda, riconoscono ai medesimi – in forme e con modalità che possono variare significativamente nei diversi casi - un qualche corrispettivo o contributo.

      Tale corrispettivo o contributo è oggetto di valutazione - alla luce della disciplina sugli aiuti di Stato in materia di ambiente ed energia 2014-2020 - da parte della Commissione europea, che ha adottato una Relazione intermedia dell'indagine di settore sui meccanismi di capacità di energia elettrica nei diversi Stati membri.

[24]    In particolare la relazione illustrativa ricorda la circolare 28 settembre 2015, n. 11845.

[25]    In virtù del disposto dell’art. 264, comma 2-bis, in base al quale le integrazioni e le modifiche degli allegati alle norme in materia di gestione dei rifiuti dettate dal cd. Codice dell’ambiente sono adottate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dello sviluppo economico, previo parere dell'ISPRA, sentita la Conferenza unificata.

[26]    Più in dettaglio l'obbligo di relazione sull'attuazione della direttiva 94/62/CE è stabilito dall'articolo 17 della direttiva medesima, in base al quale gli Stati membri presentano una relazione alla Commissione sulla sua attuazione, con inizio a partire dal triennio 1995-1997.

[27]    Inserito all'interno del Capo I ("Sanzioni") del Titolo VI ("Sistema sanzionatorio e disposizioni transitorie e finali"), l'articolo 261 è rubricato "Imballaggi".

[28]    Si ricorda che l'ANPAL è stata istituita dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 150. Ad essa spettano, in via di sintesi, funzioni di coordinamento, a livello nazionale, dei servizi pubblici per l'impiego (e delle relative politiche attive per il lavoro) nonché delle politiche di attivazione dei disoccupati, di accreditamento dei servizi per l'impiego privati, di gestione diretta di alcuni programmi, di assistenza e consulenza nella gestione di alcune crisi aziendali, di determinazione delle modalità operative e dell'ammontare dell'assegno individuale di ricollocazione.

[29]    Di cui all'art. 118 della L. 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni.

[30]    Si ricorda che, sempre per l'anno 2017, per i periodi interessati da misure di arresto temporaneo obbligatorio l'indennità è ammessa nel rispetto di un limite di spesa pari a 11 milioni di euro.

[31]   Lo schema di regolamento di delegificazione era stato trasmesso alle Camere il 27 giugno 2003 (AG 249). La VII Commissione della Camera aveva espresso parere favorevole con osservazioni il 22 luglio 2003, mentre la 7a Commissione del Senato non aveva espresso il parere. Il provvedimento non è, però, stato emanato. Al riguardo, rispondendo, il 16 marzo 2017, all’interrogazione a risposta in Commissione presentata alla Camera 5-10564, il rappresentante del Governo ha fatto presente che i regolamenti predisposti in passato sono stati bloccati “sia per i rilievi mossi dalla Corte dei Conti – la quale, con delibera n.?1 del 2004 ha ricusato il visto e la registrazione – sia per le obiezioni avanzate dal MEF. Tali obiezioni attengono sia ad aspetti di legittimità che di merito”.

[32]    Al riguardo, si veda, in particolare, qui.

[33]    Già l’art. 5, co. 3, della L. 537/1993, nell’istituire il Fondo per il finanziamento ordinario aveva disposto che nello stesso sono comprese una quota base, da ripartirsi tra le università in misura proporzionale alla somma dei trasferimenti statali e delle spese sostenute direttamente dallo Stato per ciascuna università nell'esercizio 1993, e una quota di riequilibrio, da ripartire sulla base di criteri determinati con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sentito il Consiglio universitario nazionale e la Conferenza permanente dei rettori, relativi a standard dei costi di produzione per studente, al minore valore percentuale della quota relativa alla spesa per il personale di ruolo sul fondo per il finanziamento ordinario e agli obiettivi di qualificazione della ricerca, tenuto conto delle dimensioni e condizioni ambientali e strutturali.

[34]    L’art. 8 del DM 270/2004 prevede che per ogni corso di studio è definita di norma una durata in anni proporzionale al numero di crediti formativi universitari, tenendo conto che ad un anno corrispondono 60 crediti. In particolare, fissa la durata normale dei corsi di laurea in tre anni (180 crediti) e la durata normale dei corsi di laurea magistrale in ulteriori due anni dopo la laurea (ulteriori 120 crediti).

      Con riferimento ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico, il DM 16 marzo 2007 ricorda che essi hanno durata normale di 5 o 6 anni.

[35]    Al riguardo, si veda quanto segnalato nel dossier del Servizio Studi della Camera n. 389 del 6 marzo 2012 (relativo allo schema di decreto legislativo Atto n. 437 della XVI legislatura)

[36]    Si tratta delle voci di costo indicate tra le condizioni presenti nel parere reso dalla 7^ Commissione del Senato sullo schema di decreto legislativo (Atto n. 437) il 21 marzo 2012.

[37]    L’art. 5 del DM 827/2013 aveva disposto che, per l’anno 2013, qualora non fosse stato definito in tempo utile il costo standard, si sarebbe utilizzata la quota base FFO 2012.

[38]    Si tratta della disciplina recata dall’art. 1, co. 252-267, della L. 232/2016.

[39]    Nell'ambito dei docenti di riferimento sono conteggiati: professori a tempo indeterminato, ricercatori e assistenti del ruolo ad esaurimento, ricercatori a tempo determinato di cui all'art.  24, co. 3, lett. a) e b) della L. 240/2010; docenti in convenzione ai sensi dell'art. 6, co. 11, della stessa L. 240/2010; professori a tempo determinato di cui all'art. 1, co. 12, della L. 230/2005.

[40]    I Tutor sono previsti per i corsi di studio da erogare prevalentemente o integralmente a distanza.

[41]    Le figure specialistiche di settore sono previste per i corsi di Scienze della formazione primaria e per la laurea magistrale a ciclo unico per il Restauro. Il riferimento è alla docenza di ruolo o a contratto affidata a figure con specifica professionalità e competenza secondo quanto definito dall’ANVUR e impiegate prevalentemente nelle attività formative caratterizzanti il corso di studi.

[42]    Il numero minimo complessivo di docenti di riferimento, di professori a tempo indeterminato, e di eventuali figure aggiuntive  è definito dall’Allegato A al DM in base a:

-  laurea;

-  laurea magistrale;

-  laurea magistrale a ciclo unico di 5 anni;

-  laurea magistrale a ciclo unico di 6 anni;

-  corsi di studio convenzionali (erogati interamente in presenza, ovvero che prevedono - per le attività diverse dalle attività pratiche e di laboratorio - una limitata attività didattica erogata con modalità telematiche, in misura non superiore a 1/10 del totale);

-  corsi di studio con modalità mista (che prevedono la erogazione con modalità telematiche di una quota significativa delle attività formative, comunque non superiore ai 2/3);

-  corsi di studio prevalentemente a distanza (erogati prevalentemente con modalità telematiche, in misura superiore ai 2/3 delle attività formative);

-  corsi di studio integralmente a distanza (in cui le attività formative sono svolte con modalità telematiche, fermo restando lo svolgimento in presenza delle prove di esame di profitto e di discussione delle prove finali);

-  corsi di laurea e laurea magistrale in Professioni sanitarie, Scienze motorie, Servizio Sociale, Mediazione linguistica e traduzione e interpretariato;

-  corsi di laurea sperimentali ad orientamento professionale;

-  corsi di laurea magistrale a ciclo unico in Scienze della formazione primaria e in Restauro.

[43]    Per completezza, si evidenzia che la relazione tecnica all’A.S. 2860, presentando un esempio per descrivere il funzionamento del costo standard, aveva assunto come numero standard di riferimento degli studenti il 100% del numero di riferimento previsto per l’accreditamento.

[44]    Nel caso in cui il numero di studenti superi le numerosità massime indicate dall’Allegato D, il numero di docenti di riferimento necessari si ottiene incrementando il numero di docenti di riferimento di cui all’Allegato A (Dr) in misura proporzionale al superamento di tali soglie secondo la seguente formula:

      Dtot (numero di docenti di riferimento necessari) = Dr x (1+ W)

      dove W = 0, se il numero degli studenti è inferiore o uguale alla numerosità massima, e          W = (numero studenti/numerosità massima) – 1, se il numero degli studenti è superiore alla numerosità massima.

[45]    Alcuni dei parametri utilizzati dalla formula sono ottenuti facendo riferimento ai dati di bilancio degli atenei.

[46]    Il relativo stanziamento era stabilito annualmente d'intesa fra il Governo, il presidente della Giunta provinciale, il presidente del consiglio di amministrazione e il rettore dell'Università in correlazione alla determinazione della quota di finanziamento spettante alla Provincia autonoma di Trento ai sensi dell'art. 78 del testo unificato delle leggi sullo statuto per il Trentino-Alto Adige, approvato con DPR 670/1972. Nel definire tale stanziamento si doveva tenere conto, in base ai parametri della popolazione e del territorio e in rapporto al numero delle facoltà e dei corsi di laurea, delle spese generali sostenute dallo Stato per il finanziamento delle restanti università statali.

[47]    Sulla base di quanto risulta dal comunicato del MISE del 5 giugno 2017 la quota già erogata a valere sul finanziamento fino a 800 milioni previsto dall’articolo 1, comma 6-bis per l’esecuzione del Piano ambientale è pari a 266 milioni di euro.

      Si consideri che l’articolo 1, comma 609 della stessa legge di bilancio 2017 ha altresì disposto che i finanziamenti statali sopra indicati concessi e non erogati nei confronti di ILVA cessino di avere efficacia a decorrere dalla data di sottoscrizione delle obbligazioni che - ai sensi dell’articolo 3, comma 1 del D.L. n. 1/2015 - l’organo commissariale di ILVA è autorizzato ad emettere a valere sulle somme sottoposte a sequestro (nell’ambito dei procedimenti penali a carico dei principali azionisti ed ex dirigenti dell’ILVA) all’atto del trasferimento delle medesime somme in Italia.

[48]    E della decisione della Royal Court del Jersey ove quota parte delle somme era fisicamente depositata. Le somme erano infatti depositate presso UBS AG Zurigo e UBS AG Jersey, nonché presso la banca popolare di Bergamo – Saronno.

[49]    Sono state inoltre messe a disposizione ulteriori somme rispetto a quelle già oggetto dei decreti di sequestro, per 230 milioni. L’importo complessivo, tra le somme oggetto di sequestro messe a disposizione dai Riva e le ulteriori sopra citate messe a disposizione, è di circa 1.300 milioni di euro (cfr. comunicato del MISE del 5 giugno 2017).

[50]    E della decisione della Royal Court del Jersey ove quota parte delle somme era fisicamente depositata. Le somme erano infatti depositate presso UBS AG Zurigo e UBS AG Jersey, nonché presso la banca popolare di Bergamo – Saronno.

[51]    Sono state inoltre messe a disposizione ulteriori somme rispetto a quelle già oggetto dei decreti di sequestro, per 230 milioni. L’importo complessivo, tra le somme oggetto di sequestro messe a disposizione dai Riva e le ulteriori sopra citate messe a disposizione, è di circa 1.300 milioni di euro (cfr. comunicato del MISE del 5 giugno 2017).

[52]    Cfr. la circolare INPS n. 80 del 21 aprile 2015.

[53]    Tale maggiorazione vale, entro alcuni limiti, anche ai fini della misura della pensione (cfr., in merito, la citata circolare INPS n. 80 del 2015).

[54]    I criteri e le modalità di attribuzione del sussidio sono stati definiti, in attuazione della presente disciplina, dal D.M. 29 aprile 2016.

[55]    Per quanto concerne i criteri di riparto adottati, si segnala che l’ANCI, nella riunione tecnica del 21 giugno 2017, ha rigettato la proposta di ripartizione del contributo presentata dal Governo, che faceva riferimento allo squilibrio corrente relativo all’anno 2016 (cfr. la Nota metodologica), ed ha proposto di attribuire tutto il contributo per l’anno 2017 alla città metropolitana di Milano, in considerazione della sua grave situazione finanziaria, proposta recepita nell’intesa.

[56]    Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42

[57]    L'art. 174, comma 1, del D.Lgs. n. 267/2000 attribuisce all'organo esecutivo degli enti locali il compito di predisporre lo schema di bilancio di previsione, finanziario e il Documento unico di programmazione e di presentarlo all'organo consiliare entro il 15 novembre di ogni anno.

      A seguito del riordino delle Province effettuato con la legge n. 56 del 2014:

§  il Presidente della Provincia è rimasto il solo organo esecutivo, essendo venute meno le Giunte provinciali;

§  l'organo consigliare è costituito dal Consiglio provinciale, composto dal Presidente della Provincia e da un numero di consiglieri compreso fra 10 e 16, eletti in via indiretta, con voto ponderato, dai sindaci e dai consiglieri comunali.

[58]    Bando di gara pubblicato sulla G.U.U.E. n. S-134 del 14/07/2012 e sulla G.U.R.I. n. 82 del 16/07/2012, così come modificato da Avviso di rettifica pubblicato sulla G.U.U.E. n. S-180 del 19/09/2012 e sulla G.U.R.I. n. 109 del 19/09/2012.

[59]    Al riguardo, si veda qui e qui.

[60]    L’art. 58, co. 5, del D.L. 69/2013 ha fissato, per le istituzioni scolastiche ed educative statali, a decorrere dall’a.s. 2013/2014, un tetto alla spesa per l’acquisto di servizi esternalizzati, che devono avvenire nel rispetto dell’obbligo di avvalersi delle convenzioni quadro CONSIP: la spesa, infatti, non può essere superiore a quella che si sosterrebbe per coprire i posti di collaboratore scolastico accantonati ai sensi dell’art. 4 del D.P.R. 119/2009 (in base al quale, nelle istituzioni scolastiche in cui i compiti del profilo di collaboratore scolastico sono assicurati, in tutto o in parte, da personale esterno all'amministrazione, è indisponibile, a qualsiasi titolo, il 25% dei posti del corrispondente profilo professionale).

[61]    Si ricorda che per gli enti locali in sperimentazione ai sensi dell’articolo 36 del D.Lgs. 118/2011 (consistente nell’adozione del bilancio di previsione finanziario con previsioni almeno triennali elaborate sulla base delle linee strategiche e delle politiche contenute nel documento di economia e finanza regionale (DEFR)), il richiamato limite, per il 2014, è stato elevato al 60%.

[62]    In tema di riduzione delle spese per il personale, il richiamato articolo 1, comma 557, della L. n. 296/2006, prevede che ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, gli enti sottoposti al patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, garantendo il contenimento della dinamica retributiva e occupazionale, con azioni da modulare nell'ambito della propria autonomia e rivolte, in termini di principio, ai seguenti ambiti prioritari di intervento:

§  riduzione dell'incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti, attraverso parziale reintegrazione dei cessati e contenimento della spesa per il lavoro flessibile;

§  razionalizzazione e snellimento delle strutture burocratico - amministrative, anche attraverso accorpamenti di uffici con l'obiettivo di ridurre l'incidenza percentuale delle posizioni dirigenziali in organico;

§  contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa, tenuto anche conto delle corrispondenti disposizioni dettate per le amministrazioni statali.

[63]    La spettanza delle rate in questione all’Anas è stata ribadita dal rappresentante del Governo, in data 12 maggio 2017, in risposta all’interrogazione 4-11957. In tale risposta si legge infatti che “la società strada dei parchi è l'unica concessionaria autostradale a non aver costruito a proprie spese l'autostrada che gestisce. Il corrispettivo di 748,9 milioni di euro è stato offerto dalla società strada dei parchi in sede di gara ed è stato rateizzato, su sua autonoma scelta, come consentito dalla documentazione di gara. L'importo annuale corrisposto dalla società ad Anas non è altro che la rata di un prezzo che, altrimenti, avrebbe dovuto essere corrisposto per intero al momento della sottoscrizione della convenzione di concessione. Pertanto, l'importo complessivo dovuto da strada dei Parchi a fronte della convenzione di concessione delle Autostrade A24 e A25 compete per intero ad Anas S.p.A. e non al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, non potendo intendersi ricompreso negli effetti traslativi determinati dall'articolo 36 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 111 del 2011, che ha previsto il subentro del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ad Anas S.p.A. nelle funzioni di concedente per tutte le convenzioni di concessione, costruzione e gestione delle autostrade”.

Il TAR del Lazio, con l’ordinanza del 7 giugno 2017, ha invece ritenuto necessario, “nelle more della definizione degli strumenti di pianificazione tecnica ed economica dell’intero impianto infrastrutturale, che gli interventi per il c.d. antiscalinamento per cui è controversia, vengano proseguiti, utilizzando le rate del corrispettivo della concessione relative agli anni 2015 e 2016, di pertinenza del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, accantonate dalla ricorrente”.

[64]    Il testo iniziale dell’art. 20-ter prevedeva l’importo di 300 milioni di euro, poi elevato a 500 milioni dall’art. 46-octies del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50.

[65]    La norma fa riferimento agli enti interessati dai sismi considerati agli allegati da 1 a 2-bis del decreto-legge n.189 del 2016. Si tratta, in particolare, dei comuni delle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, interessati dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016, ricompresi negli allegati 1 e 2 del decreto-legge n.189 del 2016, nonché nell’allegato 2-bis, aggiunto successivamente dall’art. 18-undecies, comma 1, lett. a), del D.L n. 8 del  2017.

[66]    Si tratta della circolare diramata con nota Prot. 4915 del 4 maggio 2017.