Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento bilancio | ||
Titolo: | Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno - D.L. 91/2017 - A.S. 2860 | ||
Serie: | Progetti di legge Numero: 597 | ||
Data: | 26/06/2017 | ||
Organi della Camera: | V-Bilancio, Tesoro e programmazione | ||
Altri riferimenti: |
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Conversione in legge del decreto-legge 20 giugno 2017,
n. 91,
recante disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno
Schede
di lettura
A.S.
n. 2860
giugno 2017
Servizio
Studi
Tel. 06
6706-2451 - studi1@senato.it -
Dossier n. 513
Servizio
Studi
Dipartimento Bilancio
Tel. 06
6760-2233 - st_bilancio@camera.it -
Progetti di legge n. 597
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Articolo 1 (Misura
a favore dei giovani imprenditori nel Mezzogiorno, denominata «Resto al Sud»)
Articolo 4 (Istituzioni di zone economiche speciali)
Articolo 5 (ZES: benefici fiscali e semplificazioni)
Articolo 6 (Disposizioni
di semplificazione per la valorizzazione dei
Patti per lo sviluppo)
Articolo 7 (Valorizzazione dei contratti istituzionali di sviluppo – CIS)
Articolo 8 (Disposizioni di semplificazione in materia di amministrazione
straordinaria)
Articolo 9 (Misure
urgenti ambientali in materia di classificazione dei rifiuti).
Articolo 10 (Ulteriori
misure in favore dell'occupazione nel Mezzogiorno)
Articolo 12 (Disciplina del costo standard per studente universitario)
Articolo 15 (Assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali nelle regioni del
Mezzogiorno)
Articolo 16 (Immigrazione: marginalità sociale e integrazione)
Articolo 17 (Entrata in vigore)
L’articolo contempla forme di incentivazione
per i giovani del Mezzogiorno, per promuovere la costituzione di nuove imprese nelle
regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e
Sicilia. La misura, denominata “Resto al Sud”, è rivolta ai giovani di età
compresa tra i 18 e i 35 anni, residenti, al momento della presentazione della
domanda, nelle regioni citate, ovvero che ivi trasferiscano la residenza entro
sessanta giorni dalla comunicazione dell’esito positivo dell’istruttoria, e che
mantengano nelle stesse regioni la residenza per tutta la durata del
finanziamento, che consiste per il 35 per cento in erogazioni a fondo perduto e
per il 65 per cento è un prestito a tasso zero da rimborsare, complessivamente,
in otto anni di cui i primi due di preammortamento.
Al
finanziamento della misura di cui all’articolo in esame si provvede, ai sensi
del comma 16, mediante utilizzo delle risorse del Fondo per lo Sviluppo e la
Coesione - programmazione 2014-2020 per un importo complessivo fino a 1.250
milioni.
Il comma
1 attiva una nuova misura di incentivazione per i giovani del Mezzogiorno,
per promuovere la costituzione di nuove imprese nelle regioni Abruzzo,
Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. La misura,
denominata “Resto al Sud”, è uno strumento per realizzare strategie
imprenditoriali mediante apposita delibera del Comitato interministeriale per
la programmazione economica (CIPE): esse, secondo la relazione di
accompagnamento del disegno di legge di conversione, saranno "in grado di
fronteggiare il problema dell’abbandono dei territori di origine e di
rilanciare l’economia, ponendo così le basi per il radicamento di condizioni
favorevoli allo sviluppo di una nuova cultura d’impresa".
Il comma
2 specifica che la misura è rivolta ai giovani di età compresa tra i 18 e i
35 anni, residenti, al momento della presentazione della domanda, nelle regioni
citate, ovvero che ivi trasferiscano la residenza entro sessanta giorni dalla
comunicazione dell’esito positivo dell’istruttoria, e che mantengano nelle
stesse regioni la residenza per tutta la durata del finanziamento. È requisito
indispensabile non aver fruito di incentivi pubblici nazionali, rivolti
all’autoimprenditorialità, nel triennio antecedente la domanda di
finanziamento.
La relazione alle Camere[1]
di cui all'articolo 26 del decreto legislativo n. 185/2000 riferita al 2015
(come quelle relative agli anni dal 2007 al 2014) reca una parte prima
(Autoimprenditorialità), in cui si dà conto delle attività svolte e degli esiti
conseguiti nel periodo considerato per quanto attiene all'applicazione delle
misure di cui al Titolo I del decreto n. 185. Vi si rende noto che al 31
dicembre 2015 le "imprese out"
(erogazioni complete, vincoli di legge in corso e mutui in fase di rimborso)
"sono pari a n. 352 e presentano i seguenti risultati: investimenti
realizzati per euro 389.841.000; agevolazioni ricevute per euro 424.081.000;
addetti pari a 4.282 unità". Tali risultati sono illustrati sulla base
delle sei macro-fasi del processo operativo “Autoimprenditorialità” di seguito
elencate: informazione e comunicazione; valutazione istruttoria; esecuzione del
contratto di concessione delle agevolazioni; gestione amministrativa e
finanziaria del contratto di concessione delle agevolazioni; controllo del
rispetto dei vincoli legislativi; valutazione degli effetti delle misure. La
relazione 2015 dà conto degli avanzamenti nelle erogazioni, rispetto alla
situazione al 31 dicembre 2014 e fornisce dati numerici sul rispetto dei
vincoli legislativi. In merito alla valutazione delle performance, nel
2015 è stato selezionato un campione di 207 imprese, per le quali sono stati
rilevati fatturato e risultato lordo dell'esercizio 2014 ed i dati attuali di
patrimonio netto, soci ed addetti.
Il comma
3 individua, quale amministrazione titolare, la Presidenza del Consiglio
dei Ministri e, come soggetto gestore, l’Agenzia Nazionale per l’Attrazione
degli Investimenti - Invitalia, che - all'uopo
firmataria di una convenzione ai cui oneri si provvede nel limite massimo
dell'uno per cento delle risorse destinate alla misura - esaminerà[2] le istanze pervenute, attraverso una piattaforma dedicata, entro 60
giorni dalla presentazione dell’istanza, salvo i tempi necessari per un’unica
richiesta di integrazione documentale durante la fase di istruttoria (comma 5).
Invitalia
(Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa
S.p.A.) è una società per azioni interamente partecipata dal Ministero
dell'economia e delle finanze che esercita i diritti di azionista, d'intesa con
il Ministero dello sviluppo economico, che svolge le funzioni di indirizzo e
controllo sulla società medesima. Quest'ultima è stata istituita come società
per azioni Sviluppo Italia ai sensi del comma 1 dell’articolo 1 del decreto
legislativo 9 gennaio 1999, n. 1, con lo scopo, attraverso l'erogazione di
servizi e l'acquisizione di partecipazioni, di promuovere attività produttive,
attrarre investimenti, promuovere iniziative occupazionali e nuova
imprenditorialità, con particolare riferimento al Mezzogiorno e alle altre aree
depresse, come definite ai sensi della normativa comunitaria. La società ha
assunto la denominazione di Invitalia dal mese di
luglio 2008, ai sensi dell’articolo 1, comma 460, della legge 27 dicembre 2006
n. 296, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)”[3].
Il comma
4 prevede che gli enti pubblici e le università, previa comunicazione ad Invitalia, possano fornire, a titolo gratuito, servizi di consulenza
e assistenza nelle varie fasi di sviluppo del progetto imprenditoriale. Le
associazioni e gli enti del terzo settore di cui all’articolo 1, comma 1, della
legge 6 giugno 2016, n. 106, possono svolgere i medesimi servizi, anche previo
accreditamento presso il soggetto gestore. Le pubbliche amministrazioni, però,
prestano i servizi nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali
previste a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica.
In effetti, l'articolo 55 dello Schema di decreto
legislativo recante codice del Terzo settore (Atto del Governo n. 417) richiede
alle Amministrazioni pubbliche nell'ambito dello svolgimento dei propri compiti
istituzionali di programmazione e progettazione di interventi e servizi, di coinvolgere
attivamente gli enti del terzo settore, individuati secondo principi di
trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento.
Le istanze di agevolazioni (comma 6) possono essere presentate,
fino ad esaurimento delle risorse[4], dai giovani destinatari della misura già costituiti o da costituire,
in forma di impresa individuale o società, quest’ultima anche in forma
cooperativa; ciò dovrà avvenire al più tardi entro sessanta giorni dalla data
di comunicazione dell’esito positivo dell’istruttoria. Ulteriore condizione è
che le imprese e le società sono tenute a mantenere, per tutta la durata del
finanziamento, la propria sede legale ed operativa nelle regioni individuate al
comma 1; i soggetti beneficiari della misura, parimenti, devono mantenere la
residenza nelle regioni di cui al comma 1 per l’intera durata del
finanziamento. Le società possono essere costituite anche da soci che non
abbiano un’età compresa fra i 18 ed i 35 anni, a condizione che la loro
presenza non sia maggiore di un terzo dei componenti e non presentino rapporti
di parentela fino al quarto grado con nessuno degli altri soci: questi sono, in
ogni caso, esclusi dall’accesso ai finanziamenti (comma 12).
Qualora l’istanza, presentata dai
richiedenti, abbia ricevuto un giudizio positivo, il comma 7 prevede l’erogazione di un finanziamento nella misura
massima di 40 mila euro per singolo richiedente già costituito o da costituire
in forma di impresa individuale o di società; la misura può arrivare fino ad un
massimo di 200 mila euro, ai sensi e nei limiti del Regolamento (UE) n.
1407/2013 sulla disciplina degli aiuti de
minimis, per le domande presentate da più
richiedenti che si costituiscono o sono già costituiti in società, ivi comprese
le società cooperative.
I finanziamenti sono erogati per il 35 per
cento a fondo perduto e per il 65 per cento sotto forma di prestito a tasso
zero da rimborsare, complessivamente, in otto anni di cui i primi due di
preammortamento (comma 8). Il comma 9 specifica che la quota del
prestito a tasso zero beneficia sia di un contributo in conto interessi per
tutta la durata del prestito, corrisposto dal soggetto gestore della misura
agli istituti di credito, che di una garanzia per la restituzione dei
finanziamenti concessi dagli istituti di credito da parte del soggetto gestore.
A tal fine, con decreto MEF, di concerto con il MiSE,
è istituita una sezione specializzata presso il Fondo Centrale di Garanzia per
le PMI[5], a cui è trasferita una quota parte delle risorse stanziate. Con il medesimo decreto, inoltre, sono
definite le modalità di accesso alla predetta sezione specializzata del Fondo
di Garanzia.
Ad essere così finanziate sono, per il comma 10, le attività imprenditoriali
relative a produzione di beni nei settori dell'artigianato e dell'industria,
ovvero relativi alla fornitura di servizi. Sono escluse dal finanziamento le
attività libero-professionali e del commercio ad eccezione della vendita dei
beni prodotti nell'attività di impresa. I finanziamenti per il comma 11 non possono essere utilizzati
per spese relative alla progettazione, alle consulenze e all'erogazione degli
emolumenti ai dipendenti delle imprese individuali e delle società, nonché agli
organi di gestione e di controllo delle società stesse. Le imprese e le società
possono aderire al programma Garanzia Giovani per il reclutamento del personale
dipendente.
Il comma
13 stabilisce che l’erogazione dei finanziamenti è condizionata alla
costituzione in una delle figure giuridiche predetta ed al conferimento in garanzia
dei beni aziendali oggetto dell’investimento in favore del soggetto che eroga
il finanziamento. I soggetti beneficiari sono tenuti ad impiegare il contributo
a fondo perduto esclusivamente ai fini dell’attività di impresa. In caso di
società, le quote versate e le azioni sottoscritte dai beneficiari della misura
non possono essere riscattate se non dopo la completa restituzione del
finanziamento e, in ogni caso, non prima di cinque anni da quando versate e
sottoscritte.
Invitalia è autorizzata a stipulare una convenzione con l’Associazione Bancaria
Italiana (ABI) per definire le condizioni dei mutui (comma 14): lo prevederanno le modalità
definite da un decreto, che, ai sensi del comma
15, sarà adottato dal Ministro per la coesione territoriale e il
Mezzogiorno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e il
Ministro dello sviluppo economico, entro trenta giorni dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione. In esso sono definite anche le modalità di
corresponsione della quota parte a fondo perduto e degli interessi, nonché i
casi e le modalità per l’escussione della garanzia, i criteri di dettaglio per
l’ammissibilità alla misura, le modalità di attuazione della stessa, nonché le
modalità di accreditamento dei soggetti di cui al comma 4 e le modalità di
controllo e monitoraggio della misura incentivante, prevedendo altresì le
modalità di revoca del beneficio e di recupero delle somme.
Al finanziamento della misura di cui all’articolo in esame si provvede, ai sensi del comma 16, mediante utilizzo delle risorse del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione - programmazione 2014-2020 per un importo complessivo fino a 1.250 milioni, da ripartire in importi annuali massimi, fino a:
· 36 milioni di euro per l’anno 2017;
· 280 milioni di euro per l’anno 2018;
· 462 milioni di euro per l’anno 2019;
· 308,5 milioni di euro per l’anno 2020;
· 92 milioni di euro per l’anno 2021;
· 22,5 milioni di euro per l’anno 2022;
· 18 milioni di euro per l’anno 2023;
· 14 milioni di euro per l’anno 2024;
· 17 milioni di euro per l’anno 2025.
A tal fine, il comma precisa che le risorse del Fondo da destinare al finanziamento della misura agevolativa sono imputate alla quota del Fondo già destinata alle regioni indicate al comma 1 (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia), previa rimodulazione delle assegnazioni già disposte dal CIPE con apposita delibera, nonché eventuale riprogrammazione delle annualità del Fondo medesimo in sede di disegno di legge di bilancio, ai sensi dell’articolo 23, comma 3, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196.
Si ricorda, che le citate disposizioni della legge
di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/2009) – che disciplinano la
formazione delle previsioni di spesa del bilancio dello Stato, come riformulate
a seguito della riforma della legge di bilancio attuata con la legge n.
163/2016 - consentono che in sede di disegno di legge di bilancio, con la
seconda sezione, si possa procedere direttamente a riprogrammare, nonché rifinanziare e definanziare,
gli stanziamenti di spesa di parte corrente e in conto capitale previsti a
legislazione vigente, relativi ai fattori legislativi, per un periodo temporale
anche pluriennale.
Poiché la norma imputa le risorse da destinare alla
misura agevolativa “alla quota delle risorse destinata a sostenere interventi
nelle regioni di cui al comma 1”, sembrerebbe da ritenere che si tratti delle
risorse destinate ai c.d. Patti per il
Sud, sottoscritti con le singole regioni del Mezzogiorno, di cui alla delibera 10 agosto 2016, n. 26. Con
tale delibera, si ricorda, il CIPE ha assegnato, a valere sulle risorse FSC
2014-2020, oltre 13,4 miliardi alle regioni e alle città metropolitane del
Mezzogiorno per l'attuazione di interventi da realizzarsi mediante appositi
Accordi interistituzionali denominati «Patti per il
sud», di cui 11,6 miliardi relativi ai Patti con le regioni.
Si rileva, inoltre, che il comma 16, nello stabilire l’importo da destinare alla misura di cui all’articolo in esame, mantiene fermo quanto previsto dall'articolo 1, comma 141, della legge 11 dicembre 2016, n. 232.
La norma richiamata prevede l’utilizzo delle risorse disponibili del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione 2014-2020 (senza indicarne l’importo) per il completo finanziamento dei progetti selezionati nell’ambito del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia (già previsto e finanziato dall’art. 1, commi 974-978, della legge n. 208/2015), ad integrazione delle risorse già assegnate a tale Programma dalla suddetta norma istitutiva (500 milioni) e dal Fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese, di cui al comma 140 dell’articolo 1 della legge n. 232/2016 (800 milioni[6]).
In attuazione del comma 141, il CIPE con delibera 3 marzo 2017, n. 2 ha assegnato al suddetto Programma 798,17 milioni di risorse dal Fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020, destinate a garantire il completo finanziamento di tutti i progetti inseriti nella graduatoria del Programma straordinario approvata con il D.P.C.M. 6 dicembre 2016[7].
Al fine di meglio chiarire il contenuto del
primo periodo di cui al comma 16, andrebbe chiarito se il richiamo ivi fatto al
comma 141 della legge n. 232/2016 sia volto - come sembrerebbe presumibile - ad
escludere che le assegnazioni disposte dal CIPE con la delibera n. 2/2017 in
favore del Programma per le periferie possano essere incise dalla rimodulazione
prevista ai fini della destinazione dei 1.250 milioni di euro al finanziamento
della misura “Resto al Sud” prevista dall’articolo 1 in esame.
Tale chiarimento apparirebbe
opportuno anche alla luce di quanto indicato nella Relazione tecnica, nella
quale si prevede che l’assegnazione di risorse prevista dal comma 16 in
commento “assicurerà, preliminarmente,
la copertura dei fabbisogni annuali necessari a soddisfare i progetti inseriti
nel Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la
sicurezza delle periferie, individuati con il D.P.C.M. 6 dicembre 2016 e non
risultati finanziati”, il cui onere è già stato definito con la delibera CIPE 3
marzo 2017, n. 2, a valere sul FSC 2014-2020 ai sensi del comma 141 della legge
n. 232/2016.
Il comma 17 stabilisce che all’assegnazione delle risorse del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione 2014-2020 si provvede con apposita delibera del CIPE, nei limiti degli importi indicati dal comma 16, individuando altresì la ripartizione in annualità e gli importi da assegnare distintamente al contributo a fondo perduto, al contributo in conto interessi, e al finanziamento della sezione specializzata del Fondo centrale di garanzia.
Le risorse destinate alla concessione dei contributi a fondo perduto e in conto interessi sono accreditate su un conto corrente infruttifero intestato a Invitalia, aperto presso la Tesoreria Centrale dello Stato, dedicato all’attuazione delle disposizioni di cui ai commi precedenti, la cui gestione ha natura di gestione fuori bilancio, assoggettata al controllo della Corte dei conti ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 1041/1971[8].
Articolo 2
(Misure e interventi finanziari a favore dell’imprenditoria giovanile in
agricoltura e di promozione delle filiere del Mezzogiorno)
L’articolo mira a favorire il ricambio generazionale e lo sviluppo
dell’imprenditoria giovanile in agricoltura nelle regioni del Mezzogiorno. Ciò avviene estendendo la misura
“Resto al Sud” alle imprese agricole, mediante una specifica destinazione di 50
milioni di euro del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) e creando così le
condizioni per erogare un novero più ampio di servizi a favore dei consorziati,
anche di natura creditizia.
Al comma 1, al fine di estendere la misura “Resto al Sud” alle imprese
agricole, si dispone la modifica dell’art. 10, comma 1, del decreto legislativo
21 aprile 2000, n. 185, che già oggi prevede che- ai soggetti ammessi alle
agevolazioni in favore dello sviluppo
dell'imprenditorialità in agricoltura e del ricambio generazionale - possano
essere concessi mutui agevolati per gli investimenti, a un tasso pari a zero,
della durata massima di dieci anni comprensiva del periodo di preammortamento,
e di importo non superiore al 75 per cento della spesa ammissibile. La novella
aggiunge ora la possibilità di concedere, solo alle imprese localizzate nelle
regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e
Sicilia, in alternativa ai mutui agevolati previsti dallo stesso articolo, un
contributo a fondo perduto fino al 35 per cento della spesa ammissibile, nonché
mutui agevolati a tasso zero di importo non superiore al sessanta per cento
della spesa ammissibile.
Resta previsto che, per le iniziative nel settore
della produzione agricola, il mutuo agevolato abbia una durata, comprensiva del
periodo di preammortamento, non superiore a quindici anni. A tutte queste
agevolazioni si applicano i massimali previsti dalla normativa europea e le
agevolazioni medesime sono concesse nel rispetto di quanto previsto in materia
di aiuti di Stato per il settore agricolo e per quello della trasformazione e
commercializzazione dei prodotti agricoli.
Il comma
2 individua le risorse per l’intervento previsto mediante una specifica
destinazione di 50 milioni di euro del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione
(FSC) e la sua ripartizione annuale in quote di 5 milioni di euro nel 2017 e di
15 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2018 al 2020. Il comma precisa,
inoltre, il capitolo di assegnazione delle risorse nel bilancio del Ministero
delle Politiche agricole, alimentari e forestali.
Si ricorda che la legge di stabilità per il 2015 (art.
1, commi 703-706, legge n. 190/2014) ha introdotto disposizioni che hanno profondamente
innovato i principali elementi di governance e di procedura per la programmazione delle
risorse per il ciclo 2014-2020, prevedendone l'impiego per obiettivi strategici
relativi ad aree tematiche nazionali, in linea con le attività di
programmazione dei Fondi strutturali e di Investimento europei, da ripartire
tra gli interventi con delibere CIPE sulla base di specifici Piani operativi
(nelle more dell'individuazione dei piani operativi, il CIPE ha provveduto alle
assegnazioni mediante l'approvazione di piani stralcio, su proposta dall'Autorità
politica per la coesione, per la realizzazione di interventi di immediato avvio
dei lavori). È nell'occasione stata inoltre modificata la procedura contabile
di trasferimento delle risorse del FSC: le risorse - allocate nello stato di
previsione del MEF (cap. 8000) - assegnate al piano stralcio e ai piani
operativi approvati sono trasferite in apposita contabilità speciale presso il
Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche nazionali, che si aggiunge
alle altre contabilità speciali attraverso le quali il Fondo gestisce le
risorse nazionali e dell'Unione europea dei fondi strutturali.
Il comma
3, infine, prescrive l’aggiunta del comma 2-bis all’articolo 2 della legge 28 ottobre 1999, n. 410, disponendo
che le attività di competenza dei consorzi agrari[9] possono essere svolte anche mediante la partecipazione a società di
capitali in cui i consorzi dispongano della maggioranza dei voti esercitabili
nell’assemblea ordinaria. Le attività esercitate dalle predette società
partecipate a favore dei soci dei consorzi agrari che ne detengono la
partecipazione hanno natura mutualistica ad ogni effetto di legge: per la
relazione illustrativa del governo al disegno di legge di conversione, si
creano "così le condizioni per erogare un novero più ampio di servizi a
favore dei consorziati, anche di natura creditizia, garantendo, nel contempo,
il rispetto della causa consortile e del sistema di controlli che il legislatore
ha predisposto per i consorzi. In altri termini, l'ampliamento degli strumenti
a disposizione esalterà positivamente la funzione dei consorzi senza snaturarne
la finalità e la struttura mutualistica".
Articolo 3
(Banca delle terre abbandonate o incolte e misure
per la valorizzazione dei beni non utilizzati)
L’articolo 3, al fine di promuovere la costituzione di nuove imprese, detta disposizioni per consentire ai comuni delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia di dare in concessione o in affitto ai soggetti in età compresa tra i 18 e i 40 anni terreni e aree in stato di abbandono.
A tal fine viene definita in via sperimentale una procedura finalizzata all’assegnazione dei terreni in esame così articolata.
Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge i comuni provvedono ad una ricognizione dei terreni e delle aree di cui sono titolari (comma 3) che rientrano nelle seguenti categorie:
§ terreni agricoli sui quali non è esercitata l’attività agricola da almeno 10 anni;
§ terreni oggetto di rimboschimento artificiale o in cui si sono sviluppate formazioni arbustive ed arboree, ad esclusione dei boschi, nei quali non siano stati attuati interventi di sfollo o diradamento negli ultimi quindici anni;
§ le aree edificate ad uso industriale, artigianale, commerciale, turistico-ricettivo, che risultino in stato di abbandono da almeno quindici anni (comma 2).
I comuni pubblicano, quindi, sul proprio sito istituzionale l’elenco dei beni oggetti di ricognizione (comma 4) e danno gli stessi in concessione, previa presentazione di un bando, per un periodo non superiore a nove anni, a soggetti con un’età compresa tra i 18 e i 40 anni che presentino un progetto per la valorizzazione del bene. Priorità viene assegnata ai progetti di riuso di immobili dismessi che escludano ulteriore consumo di suolo non edificato e ai progetti con elevati standard di qualità architettonica e paesaggistica (comma 5). Entro 60 giorni dall’approvazione della graduatoria viene assegnato il bene, consentendo al beneficiario l’immissione nel possesso con l’obbligo di eseguire le attività indicate nel progetto presentato (comma 6). Il testo specifica che deve trattarsi di attività agricola, artigianale, commerciale e turistico-recettiva.
Nel caso di terreni e aree appartenenti a privati rientranti nelle categorie prima indicate, i richiedenti devono presentare una manifestazione di interesse, indicando i dati di identificazione del fondo e del proprietario, eventuali diritti di terzi o trascrizioni sui beni in oggetto (comma 7). Il Comune pubblica in una apposita sezione il progetto ricevuto ed informa il proprietario dell’interesse manifestato (comma 8), proponendo lui una proposta irrevocabile di contratto di affitto (comma 9). In caso di assenso, il Comune dà il via libera all’esecuzione del progetto che non deve oltrepassare la durata del contratto di affitto. Il beneficiario ha il divieto assoluto (comma 10) di cedere a terzi in tutto o in parte il terreno o l’azienda costituita per l’esecuzione del progetto presentato. A tal fine è consentita la costituzione di società agricole e di società artigiane nelle quali l’assegnatario ha la maggioranza del capitale e il potere di amministrare la società, nonché di società familiari (comma 11). Il contratto di affitto è trascritto nei registri immobiliari; la trascrizione interrompe l’usucapione (comma 12).
Il comma 13 prevede che nel caso il progetto riguardi la realizzazione di attività terziarie di carattere non profit o artigianali, il comune è tenuto ad adottare le connesse modificazioni in variante degli strumenti urbanistici vigenti entro un termine (180 giorni dall’assegnazione) nelle more del quale possono essere iniziate le attività di trasformazione (il testo fa riferimento anche agli atti di assegnazione che, però, sono il presupposto della decorrenza del termine ed in quanto tali devono necessariamente già essere posti in essere).
Il beneficiario deve corrispondere al comune un canone d’uso indicizzato, determinato sulla base di un’apposita perizia tecnica di stima, in caso di proprietà dei privati, il canone è versato al proprietario (comma 14). Qualora il proprietario, nei cinque anni successivi alla scadenza del periodo contrattuale, voglia trasferire il bene a titolo oneroso, è tenuto a notificare la proposta all’assegnatario il quale vanta un diritto di prelazione sul bene. In caso di mancata notifica o di trasferimento del bene ad un prezzo inferiore a quello indicato nella notifica, l’assegnatario ha diritto a riscattare il bene dall’acquirente e dai successivi aventi causa. Ai rapporti tra privati si applicano le norme relative al contratto di affitto (non è specificato e sembra, quindi, intendersi per implicito che si applichi la normativa sull’affitto anche nel caso di addizioni e migliorie apportate al bene, che, in tal caso, dovrebbero coincidere con la realizzazione del progetto presentato). Comunque, la difformità tra quanto realizzato e quanto progettato costituisce causa di risoluzione del contratto di affitto relativo ai beni privati, fermo restando il potere di revoca degli eventuali atti adottati (comma 15).
Il comma 16 prevede che i Comuni trasmettano alle regioni l’elenco dei beni censiti ed assegnati (non è chiaro se si intenda quelli solo censiti e quelli censiti ed assegnati o solo quelli che siano stati censiti e siano stati assegnati) anche ai fini dell’inserimento nella Banca delle terre agricole.
Il
comma 17, infine, prevede coloro che intendono realizzare attività artigianali,
commerciali e turistico-ricettive possono usufruire dell’incentivo denominato
“resto al Sud” di cui all’articolo 1; coloro che intendono realizzare attività
agricole possono utilizzare le misure di incentivo previste dall’articolo 2.
Si ricorda in merito che la legge
4 agosto 1978, n. 440 ha introdotto norme per l'utilizzazione delle terre
incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate, demandando alle regioni la
competenza ad emanare, secondo principi e i criteri stabiliti nella stessa
legge, norme per il recupero produttivo delle terre incolte, abbandonate o
insufficientemente coltivate, anche al fine della salvaguardia degli equilibri
idrogeologici e della protezione dell'ambiente.
La legge in oggetto ha definito incolte o abbandonate
le terre, suscettibili di coltivazione, che non siano state destinate ad
utilizzazione agraria da almeno due
annate agrarie e provvede altresì a definire le terre insufficientemente
coltivate.
A tal fine, la legge ha demandato alle regioni:
§ il compito di determinare
le singole zone del territorio di loro competenza che risultino
caratterizzate da estesi fenomeni di abbandono di terre suscettibili di
utilizzazione;
§ di provvedere, per ognuna delle zone così determinate,
in coerenza con i programmi regionali e comprensoriali o zonali di sviluppo
agricolo, ove esistenti, a definire i
criteri per l'utilizzazione agraria o forestale, nonché i criteri per la
formazione dei relativi piani aziendali o interaziendali;
§ di assegnare per la coltivazione le terre incolte,
abbandonate o insufficientemente coltivate, anche appartenenti ad enti pubblici
e morali, compresi i terreni demaniali, ai richiedenti che si obbligano a
coltivarli in forma singola o associata.
La medesima legge esclude dal suo ambito applicativo:
a) le terre la cui messa a coltura agraria pregiudichi la
stabilità del suolo o la regimazione delle acque o comprometta la conservazione
dell'ambiente;
b) le dipendenze e pertinenze di case effettivamente
adibite ad abitazione rurale o civile, ivi compresi i giardini e i parchi
boscati;
c) i boschi, nonché i terreni destinati a rimboschimento
da piani, programmi e progetti di intervento già approvati dagli enti ed organi
pubblici competenti;
d) le cave;
e) i terreni necessari per attività industriali,
commerciali, turistiche e ricreative, i terreni adibiti a specifiche comprovate
destinazioni economicamente rilevanti e le aree considerate fabbricabili o
destinate a servizi di pubblica utilità da piani urbanistici vigenti o adottati.
La legge ha poi previsto che le leggi regionali
possano disporre deroghe agli obblighi dalla stessa previsti a favore dei
piccoli proprietari con un reddito annuo minimo.
Talvolta operando
un richiamo alla legge in questione,
varie regioni, nel corso degli
ultimi anni, hanno previsto l’istituzione delle cd. “Banche della terra”, cioè banche dati dei terreni abbandonati o
incolti al fine di destinarli alla coltivazione da parte di soggetti che fanno
richiesta.
Per quanto attiene al più complessivo processo di privatizzazioni e valorizzazione
del patrimonio immobiliare pubblico, si ricorda che il programma di
razionalizzazione, valorizzazione e alienazione dei beni pubblici include - ai
sensi dell'articolo 66 del D.L. n. 1/2012 – anche la dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola.
Un decreto del Mipaaf – D.M. 20 maggio 2014 – adottato concerto con il
Ministero dell'Economia e delle Finanze - consente la messa in vendita o in
locazione di terreni agricoli pubblici (secondo notizie MIPAAF si tratta di
circa 5.550 ettari), con diritto di prelazione per la giovane imprenditoria
agricola, che secondo la disciplina europea sono i giovani under 40.
In particolare, il D.M. individua i terreni coinvolti
che appartengono nello specifico al Demanio (per 2480 ettari), al Corpo
forestale dello Stato (2148), all’ex CRA (ora, a seguito della fusione con
INEA, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia
agraria).
Ai terreni alienati o locati non potrà essere
attribuita una destinazione urbanistica diversa da quella agricola prima di 20
anni dalla trascrizione dei contratti nei pubblici registri immobiliari.
Il decreto in commento si inserisce peraltro nel
quadro delle misure di sostegno ai giovani in agricoltura, contenute nel D.L. n. 91/2014 come la detrazione del
19% per affitto di terreni da parte degli under
35 e la riforma delle agevolazioni a
favore dei giovani agricoltori di cui al Capo III, titolo I, D.Lgs. n. 185/2000.
Infine, il c.d. collegato
agricolo (legge 28 luglio 2016, n. 154) ha previsto all’articolo 16 l’Istituzione della Banca delle terre
agricole presso l'ISMEA, con
l’obiettivo di costituire un inventario completo della domanda e dell'offerta
dei terreni e delle aziende agricoli, che si rendono disponibili anche a
seguito di abbandono delle attività produttive e di prepensionamenti,
raccogliendo, organizzando e dando pubblicità alle informazioni necessarie sulle caratteristiche naturali,
strutturali ed infrastrutturali dei medesimi, sulle modalità e condizioni di cessione e di acquisto degli stessi nonché sulle procedure
di accesso alle agevolazioni . L'ISMEA può anche presentare uno o più programmi
o progetti di ricomposizione fondiaria, con l'obiettivo di individuare
comprensori territoriali nei quali promuovere
aziende dimostrative o aziende pilota.
Articolo 4
(Istituzioni di zone economiche speciali)
L’articolo 4 disciplina le procedure e le condizioni per l’istituzione in alcune aree del Paese, comprendenti almeno un’area portuale, di zone economiche speciali caratterizzate dall’attribuzione di benefici, indicati all’articolo 5, alle imprese ivi insediate o che vi si insedieranno.
Lo scopo delle Zone economiche speciali (ZES) è infatti quello di creare condizioni favorevoli in termini economici, finanziari e amministrativi, che consentano lo sviluppo delle imprese già operanti e l'insediamento di nuove imprese. Tali imprese sono tenute al rispetto della normativa nazionale ed europea, nonché alle prescrizioni adottate per il funzionamento della stessa ZES e beneficiano di speciali condizioni, in relazione alla natura incrementale degli investimenti e delle attività di sviluppo di impresa.
Andrebbe maggiormente definita l’effettiva
portata normativa del riferimento all’obbligo per le imprese operanti nelle ZES
di rispettare le norme nazionali ed europee posto che non sembrano essere
previste deroghe generali rispetto a tali disposizioni.
Andrebbe valutata l’opportunità di indicare
le conseguenze derivanti dal mancato rispetto delle disposizioni normative o
delle prescrizioni adottate per il funzionamento della ZES, con riferimento al
godimento dei benefici connessi all’operare nell’ambito di una ZES.
La zona economica speciale è definita come un’area geograficamente delimitata e chiaramente identificata, situata entro i confini dello Stato, costituita anche da aree non territorialmente adiacenti purché presentino un nesso economico funzionale, e comprendente almeno un'area portuale con le caratteristiche stabilite dal regolamento (UE) n. 1315 dell'11 dicembre 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, collegata alla rete transeuropea dei trasporti (TEN-T).
Il Regolamento (UE) 1315 del 2013 prevede che le aree portuali per rientrare nella rete globale europea devono soddisfare almeno uno dei seguenti criteri:
a) il volume totale annuo del traffico passeggeri supera lo 0,1% del volume totale annuo del traffico passeggeri di tutti i porti marittimi dell'Unione;
b) il volume totale annuo delle merci, per le operazioni di carico di merci sia sfuse che non sfuse, supera lo 0,1% del corrispondente volume totale annuo del carico di merci movimentate in tutti i porti marittimi dell'Unione;
c) il porto marittimo è situato su un'isola e costituisce il solo punto di accesso ad una regione NUTS 3 (ossia il terzo livello dimensionale nella nomenclatura europea delle unità territoriali statistiche, con abitanti compresi tra un limite minimo di 150 mila abitanti e un limite massimo di ottocentomila abitanti, in Italia corrispondente alla dimensione provinciale) nella rete globale;
d) il porto marittimo è situato in una regione ultraperiferica o periferica, fuori da un raggio di 200 km dal porto più vicino nella rete globale.
Inoltre gli Stati membri sono tenuti a garantire che i porti marittimi siano connessi con linee ferroviarie o strade e, ove possibile, le vie navigabili interne della rete globale, salvo il caso nel quale limitazioni fisiche impediscano tali connessioni; se sono porti destinati al traffico merci devono offrire almeno un terminale che sia aperto agli utenti in modo non discriminatorio e applicare tariffe trasparenti. E’ altresì stabilito che i canali marittimi, i tratti navigabili dei porti e gli estuari colleghino due mari o permettano di accedere a porti marittimi dal mare e corrispondano almeno alle vie navigabili interne di classe VI.
I porti devono disporre delle attrezzature necessarie a contribuire alle prestazioni ambientali delle navi nei porti ed assicurare l’operatività degli strumenti di controllo del traffico marittimo operativi a livello europeo (sistema SafeSeaNet e VTIMS - Vessel Traffic Management and Information System).
Le modalità generali per l'istituzione di una ZES, la sua durata, i relativi criteri che ne disciplinano l'accesso e le condizioni speciali di beneficio per i soggetti economici ivi operanti o che vi si insedieranno definite all'articolo 5 sono definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dello sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge saranno definite (comma 3).
Quanto alla richiesta di istituzione delle singole Zone economiche speciali si prevede che siano le regioni meno sviluppate e in transizione, così come individuate dalla normativa europea, ammissibili alle deroghe previste dall'articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, a presentare domanda per l’istituzione. La proposta deve essere accompagnata da un piano di sviluppo strategico, nel rispetto delle modalità e dei criteri individuati dal decreto di cui al comma 3. La regione formula la proposta specificando le caratteristiche dell'area identificata.
In Italia sono regioni meno sviluppate (con PIL pro capite inferiore al 75% della media europea) le regioni Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania. Sono regioni in transizione (con PIL pro capite tra il 75% e il 90% della media europea) le regioni Sardegna, Abruzzo e Molise.
La Zona economica speciale è istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, se nominato, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
Quanto alla gestione dell'area ZES si prevede che essa sia affidata ad un Comitato di indirizzo composto dal Presidente dell'Autorità portuale, che lo presiede, da un rappresentante della regione, da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri e da un rappresentante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Ai sensi della riforma della legge n. 84 del 1994, effettuata con il D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169 le autorità portuali sono state sostituite dalle Autorità di sistema portuale. Gli organi delle soppresse Autorità portuali restano in carica sino all'insediamento dei nuovi organi delle Autorità di sistema portuale. Il decreto legislativo prevede una disciplina transitoria che consente, su richiesta motivata del Presidente della Regione il mantenimento, per un periodo non superiore a trentasei mesi, dell'autonomia finanziaria e amministrativa di Autorità Portuali già costituite ai sensi della citata legge n. 84 del 1994. Con il medesimo decreto è disciplinata la nomina e la composizione degli organi di governo per la fase transitoria.
Andrebbe valutata l’opportunità di sostituire
la dizione Autorità portuale con “Autorità di sistema portuale”.
Sotto il profilo dell’amministrazione della Zona si prevede che ai membri del Comitato non spetti alcun compenso, indennità di carica, corresponsione di gettoni di presenza o rimborsi per spese di missione e che il Comitato di indirizzo si avvalga del Segretario generale dell'Autorità portuale per l'esercizio delle funzioni amministrative e gestionali. Lo stesso segretario generale può anche stipulare, previa autorizzazione del Comitato di indirizzo, accordi o convenzioni quadro con banche ed intermediari finanziari. Si prevede infine che agli oneri di funzionamento del Comitato si provveda con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Il Comitato ha il compito di assicurare gli strumenti che garantiscano la piena operatività delle aziende presenti nella ZES; l'utilizzo di servizi sia economici che tecnologici nell'ambito ZES e l'accesso alle prestazioni di servizi da parte di terzi.
Articolo 5
(ZES: benefici fiscali e semplificazioni)
L’articolo 5 prevede i benefici fiscali e le altre agevolazioni che sono riconosciute alle imprese già esistenti e alle nuove che si insediano e che avviano un programma di attività economiche imprenditoriali o di investimenti nella Zona Economica Speciale - ZES.
In particolare le imprese che effettuano investimenti all’interno delle ZES possono utilizzare il credito d’imposta per l'acquisto di beni strumentali nuovi nel Mezzogiorno nel limite massimo, per ciascun progetto di investimento, di 50 milioni di euro. Inoltre l’agevolazione per tali zone è estesa fino al 31 dicembre 2020.
Il comma 1 prevede che le imprese che avviano un programma di attività economiche imprenditoriali o di investimenti di natura incrementale nella ZES, possono usufruire di procedure semplificate e regimi procedimentali speciali, che riducono i termini procedimentali e semplificano gli adempimenti rispetto alla normativa vigente.
Le procedure semplificate possono essere individuate anche a mezzo di protocolli e convenzioni tra le amministrazioni locali e statali interessate mentre i regimi procedimentali speciali sono individuati sulla base di criteri derogatori e di modalità definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno (se nominato), previa delibera del Consiglio dei ministri;
Si prevede inoltre che le imprese possano avere accesso alle infrastrutture esistenti e previste nel Piano disviluppo strategico della ZES alle condizioni definite dal soggetto per l'amministrazione (ossia dal Comitato, di cui all’articolo 4), ai sensi della legge 28 gennaio 1994, n. 84 e successive modificazioni, nel rispetto della normativa europea e delle norme vigenti in materia di sicurezza, nonché delle disposizioni vigenti in materia di semplificazione previste dagli articoli 18 e 20 del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169.
La legge n. 84 del 1994 concerne il riordino della legislazione portuale ed è stata oggetto di una recente riforma a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 169 del 2016. Tale ultima norma è intervenuta, novellando diverse disposizioni, rinnovando complessivamente la governance del sistema portuale attraverso l’istituzione delle Autorità di sistema portuale (che hanno sostituito le vecchie autorità portuali) nonché ridefinendo composizione, struttura e funzioni degli organi operanti nell’ambito portuale. Accanto a tali norme, la legge contiene importanti disposizioni che regolano la programmazione delle opere portuali (art. 5), la disciplina dei dragaggi (art. 5-bis), lo sportello unico amministrativo (introdotto dall’articolo 18 del decreto legislativo sopra ricordato), le operazioni portuali (art. 16), la concessione di aree e banchine (art. 18), e diverse disposizioni concernenti i lavoratori portuali. L’articolo 20 del decreto legislativo n. 169 del 2016 ha attribuito allo Sportello unico doganale la competenza nonché i controlli relativi a tutti gli adempimenti connessi all'entrata e uscita delle merci nel o dal territorio nazionale, ridenominando lo stesso “Sportello unico doganale e dei controlli”. La norma ha anche previsto tempi certi per il completamento delle procedure di controllo doganale sia documentale che fisico.
Andrebbe valutata l’opportunità di precisare
a quali disposizioni della legge n.84 del 1994 si faccia riferimento.
Andrebbe altresì valutata la congruità del
riferimento all’articolo 18 del decreto legislativo n. 169 del 2016 che,
contenendo una novella alla legge n. 84 del 1994, potrebbe essere già
ricompreso nel riferimento alla legge n. 84 del 1994 “e successive
modificazioni”.
Andrebbe infine chiarita l’effettiva portata
normativa dell’obbligo, riferito al Comitato di indirizzo, di rispettare la
normativa europea, le norme vigenti in
materia di sicurezza, nonché le disposizioni di semplificazione del decreto
legislativo n. 169 del 2016, posto che non sembrano essere previste specifiche
deroghe rispetto a tali disposizioni.
Il comma 2 amplia, in relazione agli investimenti effettuati nella ZES, la portata del credito d’imposta per l'acquisto di beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive nelle zone assistite ubicate nelle regioni del Mezzogiorno, previsto dalla legge di stabilità 2016. In primo luogo per gli investimenti nella ZES è prorogata di un anno, fino al 31 dicembre 2020, la possibilità di usufruire di tale agevolazione. In secondo luogo, è elevato a 50 milioni di euro l’ammontare massimo di ciascun progetto di investimento al quale è commisurato il credito d’imposta.
Si ricorda che la legge di stabilità 2016 (articolo 1, commi da 98 a 108 della legge n. 208 del 2015) ha introdotto un credito d'imposta per l'acquisto di beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive nelle zone assistite ubicate nelle regioni del Mezzogiorno (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna e Abruzzo) dal 1° gennaio 2016 fino al 31 dicembre 2019.
Il decreto-legge n. 243 del 2016 (articolo 7-quater) ha modificato la disciplina del credito d’imposta, prevedendo: l’estensione dell’agevolazione all’intero territorio della regione Sardegna; l’innalzamento delle aliquote del credito d’imposta che sono stabilite nella misura massima consentita dalla Carta degli aiuti a finalità regionale 2014-2020 (approvata dalla Commissione europea); l’aumento dell’ammontare massimo agevolabile per ciascun progetto di investimento; la cumulabilità del credito d’imposta con altri aiuti di Stato e con gli aiuti de minimis, nei limiti dell’intensità o dell’importo di aiuti più elevati consentiti dalla normativa europea.
A seguito delle modifiche, in particolare, la misura del credito d'imposta è pari al 45 per cento per le piccole imprese, al 35 per cento per le medie imprese e al 25 per cento per le grandi imprese nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna; mentre in determinate zone delle regioni Abruzzo e Molise la misura è pari al 30 per cento per le piccole imprese, al 20 per cento per le medie imprese e al 10 per cento per le grandi imprese.
L’ammontare massimo di ciascun progetto di investimento, al quale è commisurato il credito d’imposta, è stato elevato da 1,5 a 3 milioni di euro per le piccole imprese e da 5 a 10 milioni per le medie imprese, mentre è rimasto a 15 milioni per le grandi imprese.
Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle Entrate del 14 aprile 2017 è stato approvato il modello, con le relative istruzioni, della comunicazione per la fruizione del credito d'imposta. La comunicazione deve essere presentata all'Agenzia esclusivamente in via telematica, fino al 31 dicembre 2019. Con la circolare n. 34/E del 3 agosto 2016 l'Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti in merito a soggetti beneficiari, ambito territoriale, investimenti agevolabili, determinazione dell'agevolazione, valorizzazione degli investimenti ed efficacia temporale dell'agevolazione, procedura, utilizzo e rilevanza del credito di imposta, cumulo, rideterminazione del credito e controlli.
Il comma 3 individua le condizioni per il riconoscimento delle agevolazioni di cui ai commi 1 e 2.
In particolare le imprese devono mantenere le attività nella ZES per almeno cinque anni successivi al completamento dell’investimento oggetto delle agevolazioni, pena la revoca dei benefici concessi e goduti; inoltre le imprese stesse non devono essere in stato di liquidazione o di scioglimento.
Il comma 4 prevede che l’agevolazione concernente il credito d’imposta per l'acquisto di beni strumentali nuovi è concessa nel rispetto di tutte le condizioni previste dal Regolamento (UE) della Commissione n. 651/2014 del 17 giugno 2014 e, in particolare, di quanto disposto dall’articolo 14. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro delegato per la coesione territoriale e il Mezzogiorno devono trasmettere alla Commissione le informazioni sintetiche sulla misura di aiuto introdotta entro venti giorni lavorativi dalla sua entrata in vigore, oltre ad una relazione annuale (ai sensi dell’articolo 11 del Regolamento).
Il Regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014, dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. In particolare l’articolo 14 individua le condizioni che rendono le misure di aiuto agli investimenti a finalità regionale compatibili con il mercato interno.
Il comma 5 provvede alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dai commi 2, 3 e 4, valutati in 25 milioni di euro nel 2018, 31,25 milioni di euro nel 2019 e 150,2 milioni di euro nel 2020, mediante corrispondente riduzione del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione – programmazione 2014/2020, per gli importi annuali massimi di: 25 milioni di euro nel 2018; 31,25 milioni di euro nel 2019; 150,2 milioni di euro nel 2020.
Tali importi sono imputati alla quota delle risorse destinata a sostenere interventi nelle regioni di cui all’articolo 4, comma 4.
In proposito, si rinvia a quanto già indicato in merito comma 16 dell’articolo 1, relativamente all’imputazione della quota delle risorse del Fondo sviluppo e coesione destinate a sostenere interventi nelle regioni del Mezzogiorno (Patti per il Sud).
L’articolo 4, comma 4, richiamato, fa riferimento, ai fini dell’istituzione delle ZES, alle regioni meno sviluppate e in transizione, così come individuate dalla normativa europea, ammissibili alle deroghe previste dall'articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea agli aiuti di Stato.
In Italia, si ricorda, sono regioni meno sviluppate (con PIL pro capite inferiore al 75% della media europea) le regioni Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania. Sono regioni in transizione (con PIL pro capite tra il 75% e il 90% della media europea) le regioni Sardegna, Abruzzo e Molise.
Il comma 6, infine, affida all’Agenzia per la coesione territoriale il monitoraggio degli interventi e degli incentivi concessi, da assicurare con cadenza almeno semestrale. L’Agenzia riferisce al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro delegato per la coesione territoriale e il Mezzogiorno sull’andamento delle attività e sull’efficacia delle misure di incentivazione concesse, avvalendosi di un apposito piano, che deve essere concordato con il soggetto per l’amministrazione, di cui all’articolo 4 comma 6, sulla base di indicatori di avanzamento fisico, finanziario e procedurale definiti con il decreto previsto dall’articolo 4, comma 3.
Articolo 6
(Disposizioni di
semplificazione per la valorizzazione dei
Patti per lo sviluppo)
La disposizione è finalizzata a semplificare ed accelerare le procedure adottate
per la realizzazione degli interventi previsti nell’ambito dei Patti per lo sviluppo: ne discende un
più agevole rimborso delle spese effettivamente sostenute, a valere sulle
risorse FSC 2014-2020 assegnate dalle Amministrazioni titolari degli
interventi, nonché l'applicazione della conferenza di servizi simultanea.
Il comma
1 si propone di semplificare la procedura per il rimborso delle spese
effettivamente sostenute, a valere sulle risorse FSC 2014-2020 assegnate ai Patti per lo sviluppo, dalle
Amministrazioni titolari degli interventi.
La realizzazione delle iniziative di investimento - che il Governo, di concerto con le Amministrazioni regionali e locali, sta definendo per garantire la certezza della realizzazione di interventi nel Mezzogiorno e nel resto del Paese - passa per i Patti per lo sviluppo: con questi strumenti il Governo, le Regioni e le Città metropolitane si impegnano su alcuni obiettivi prioritari fissando tempi certi di realizzazione. La firma dei Patti per lo sviluppo, nella definizione degli strumenti di governance e quindi l’istituzione dei relativi Comitati di indirizzo, aggiunge all’attuale impianto normativo una gestione paritetica, da esercitarsi congiuntamente con le Regioni e gli enti locali firmatari per l’attuazione dei progetti ed il relativo monitoraggio e controllo. In questo ambito, è stata affidata all’Agenzia per la coesione territoriale la presidenza dei Comitati dei Patti per lo sviluppo, organi di indirizzo e controllo di cui si avvalgono l’Autorità Politica per la Coesione e le Regioni e le Città metropolitane interessate per la gestione dei Patti.
Il rimborso delle spese è disposto - su
richiesta presentata dall’Amministrazione titolare degli interventi - alla
Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche di
coesione, che la inoltra al Ministero dell’economia e delle finanze –
Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. La procedura prevede il
pagamento del 50 per cento del costo realizzato all’atto del ricevimento della
richiesta stessa, corredata dell’autocertificazione del rappresentante legale
dell’Amministrazione richiedente, attestante il costo effettivo dell’intervento
e la regolarità delle spese.
Il pagamento del restante 50 per cento del
costo realizzato avviene entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta,
previa attestazione da parte dell’Agenzia per la coesione territoriale della
coerenza dell’importo con i dati relativi all’avanzamento della spesa inseriti
e validati nella Banca Dati Unitaria (BDU) degli interventi della politica
regionale.
Il comma
2 persegue l’obiettivo di assicurare, nell’attuazione dei Patti per lo
sviluppo, lo snellimento dei procedimenti di decisione sugli interventi
contenuti nei Patti stessi, prevedendo, da una parte, il ricorso alla
Conferenza di servizi simultanea, a cui partecipa, in base a quanto previsto
dalla legge sul procedimento amministrativo, un unico rappresentante per
ciascun livello di governo e, dall’altra, l’individuazione, per ciascun
intervento finanziato, dell’Amministrazione che deve gestire la Conferenza di
servizi e assumere la decisione finale in ordine alla realizzazione
dell’intervento stesso.
In base alla disciplina generale contenuta nella legge sul procedimento amministrativo, l’indizione della conferenza di servizi è obbligatoria quando l'amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga, entro trenta giorni dalla ricezione, da parte dell'amministrazione competente, della relativa richiesta (art. 14, comma 2, L. 241/1990). Fuori dell'assenso incondizionato o del dissenso insuperabile raccolti in conferenza semplificata, che fungono da presupposto per la conclusione dei lavori in conferenza nonché del procedimento, l'amministrazione procedente deve procedere alla convocazione di una conferenza simultanea (oggetto della disciplina del novello articolo 14-ter della citata legge n. 241, su cui ha inciso uno dei principi e criteri direttivi della legge delega n. 124 del 2015): secondo il principio di "proporzionalità", si danno riunioni in presenza solo per i procedimenti complessi (la 'presenza' peraltro può svolgersi anche in via telematica, già a partire da una legge del 2005, che ha previsto la convocazione e svolgimento avvalendosi degli strumenti informatici disponibili, previo accordo tra le amministrazioni coinvolte; una legge del 2009 ha ulteriormente novellato la legge n. 241, prevedendo che lo svolgimento possa avvenire per via telematica, cioé cd. teleconferenza). I lavori della conferenza "simultanea" debbono concludersi entro quarantacinque giorni dalla data di riunione; la partecipazione di ciascuna amministrazione alla conferenza avviene mediante un unico rappresentante e, qualora la partecipazione coinvolga amministrazioni sia statali sia non statali, le prime sono rappresentate da un unico soggetto, abilitato ad esprimere l'univoca definitiva posizione del complesso delle amministrazioni statali, che ne rimangono vincolate. Le amministrazioni preposte alla tutela degli interessi 'sensibili' (beni culturali, ambiente, sanità, pubblica incolumità) rendono a tale rappresentante unico l'eventuale proprio dissenso.
I Patti per il Sud
Le risorse
finanziarie destinate ai Patti per il
Sud a valere sul Fondo Sviluppo e
Coesione della programmazione 2014-2020 sono state assegnate dal CIPE con
la delibera n. 26 del 10 agosto 2016,
per un totale di 13,412 miliardi di
euro.
Il
singolo patto considera il complesso delle risorse disponibili, provenienti dai
PON e POR dei Fondi strutturali (FESR e FSE) 2007-2013, dal Fondo Sviluppo e
Coesione per la programmazione 2007-2013, nonché dai PON e POR dei Fondi
strutturali (FESR e FSE) 2014-2020, dai fondi di cofinanziamento regionale e
dal Fondo Sviluppo e Coesione 2014-2020, oltre a eventuali finanziamenti
specifici. In ogni patto devono essere indicati: le linee strategiche; gli
strumenti e le risorse a disposizione; gli interventi prioritari da realizzare;
il costo e le risorse ad esso destinate; la governance del processo.
I
15 Patti per il Sud - uno per ognuna delle 8 Regioni del Mezzogiorno
(Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna) e
uno per ognuna delle 7 Città Metropolitane (Napoli, Bari, Reggio Calabria,
Palermo, Catania, Cagliari e Messina) – sono stati sottoscritti nel periodo
aprile-novembre 2016:
Patto |
Sottoscrizione |
Risorse FSC 2014-2020 |
Regioni |
|
|
24 aprile 2016 |
2.780.000.000 |
|
30 aprile 2016 |
1.198.700.000 |
|
2 maggio 2016 |
565.200.000 |
|
17 maggio 2016 |
753.100.000 |
|
26 luglio 2016 |
378.000.000 |
|
29 luglio 2016 |
1.509.600.000 |
|
10 settembre 2016 |
2.071.500.000 |
|
10 settembre 2016 |
2.320.000.000 |
|
Città metropolitane |
|
|
30 aprile 2016 |
133.000.000 |
|
30 aprile 2016 |
332.000.000 |
|
30 aprile 2016 |
332.000.000 |
|
17 maggio 2016 |
230.000.000 |
|
26 ottobre 2016 |
308.000.000 |
|
22 ottobre 2016 |
332.000.000 |
|
17 novembre 2016 |
168.000.000 |
Per le Regioni Abruzzo, Molise e Puglia l'assegnazione finanziaria
sopra indicata comprende rispettivamente, per 0,674 milioni di euro (Regione
Abruzzo), 9,55 milioni di euro (Regione Molise) e 57,728 milioni di euro
(Regione Puglia) la copertura del fabbisogno finanziario degli
interventi ancora da completare alla data del 31 dicembre 2015, relativi alla programmazione
2007-2013, interventi che sono conseguentemente inseriti nell'ambito del
patto per il sud relativo a ciascuna regione.
Ai fini della ricognizione
e dell'aggiornamento sull'andamento dei patti per il sud stipulati dal governo
con le regioni del mezzogiorno e con le città metropolitane, si veda il Primo Rapporto
della Presidenza del Consiglio dei Ministri, aggiornato al 13 dicembre 2016.
Per un quadro
complessivo dell’applicazione dell’istituto si veda, inoltre, il seguente link:
Articolo 7
(Valorizzazione dei contratti istituzionali di sviluppo – CIS)
L’articolo 7 è volto a promuovere, favorendo l’utilizzo dei Contratti istituzionali di sviluppo, la realizzazione di interventi di particolare complessità finanziati a valere sulle risorse nazionali ed europee; a tal fine la norma affida al Presidente del Consiglio ovvero al Ministro per la coesione territoriale l’individuazione degli interventi per i quali deve procedersi alla sottoscrizione dei Contratti medesimi, su richiesta delle amministrazioni interessate.
Il Contratto istituzionale di sviluppo (CIS) è un istituto previsto nell’ordinamento dall’articolo 6 del D.Lgs. n. 88 del 2011[10], sul quale sono poi successivamente intervenute ulteriori disposizioni, sia allo scopo di integrarne la disciplina che per rafforzarne l’utilizzo.
Introdotto in sostituzione del previgente istituto dell’intesa istituzionale di programma, il CIS costituisce uno strumento che le amministrazioni competenti possono stipulare sia per accelerare l’utilizzo dei fondi strutturali europei, sia per accelerare la realizzazione di nuovi progetti strategici di rilievo nazionale, interregionale e regionale, tra loro funzionalmente connessi in relazione a obiettivi e risultati, finanziati con risorse nazionali, dell'Unione europea e del Fondo per lo sviluppo e la coesione.
In particolare, i CIS sono finalizzati all’accelerazione della realizzazione degli interventi speciali che prevedono la realizzazione di opere infrastrutturali, funzionali alla coesione territoriale e a uno sviluppo equilibrato del Paese. Con i CIS, in sostanza, le risorse sono concentrate per la realizzazione di un'unica grande infrastruttura a valenza nazionale o interregionale (salve eccezioni dettate da specificità territoriali), superando i tradizionali limiti regionali verso una logica per macroaree. Nel contratto vengono definiti i tempi di attuazione (cronoprogramma), le responsabilità dei contraenti, i criteri di valutazione e monitoraggio e le sanzioni per eventuali inadempimenti. Il contratto istituzionale di sviluppo viene stipulato dal Ministro per la coesione, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati, dai Presidenti delle Regioni interessate e dalle amministrazioni competenti.
Successivamente l’articolo 9-bis del decreto-legge n. 69/2013 ha previsto (anche ai fini della più rapida utilizzazione dei fondi strutturali europei oggetto dell’articolo 9 dello stesso D.L.), specifiche disposizioni per accelerare la realizzazione degli interventi strategici ed ha integrato la disciplina del Contratto Istituzionale di Sviluppo, prevedendo, tra l’altro, che le Amministrazioni responsabili degli interventi possano avvalersi dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A. per tutte le attività economiche, finanziarie e tecniche - comprese quelle di progettazione di cui all’art. 90 del codice di cui al Decreto Legislativo n. 163/2006[11] – nonché in qualità di Centrale di committenza, ad esclusione di quanto demandato all’attuazione da parte dei concessionari di servizi pubblici.
Con una ulteriore norma, prevista dal D.L. n. 101/2013 (articolo 10, comma 2, lettera f-ter), è stato poi stabilito che la Presidenza del Consiglio del Ministri promuove il ricorso alle modalità di attuazione rafforzata previste dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 818 2011 e dagli articoli 9 e 9-bis del decreto legge n. 69 del 2013 sopra citati.
In materia è da ultimo intervenuto l’art. 1, comma 703, della legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015), che reca le nuove procedure per la programmazione delle risorse del Fondo per lo Sviluppo e la coesione per il ciclo 2014-2020, nel quale si prevede, alla lettera g), che successivamente all’approvazione del piano stralcio e dei piani operativi di ripartizione da parte del CIPE, l’Autorità politica per la coesione[12] coordini l’attuazione dei suddetti piani a livello nazionale e regionale, individuando i casi nei quali, per gli interventi infrastrutturali di notevole complessità, si debba procedere alla stipulazione del contratto istituzionale di sviluppo ai sensi dei medesimi articoli 6 del D.lgs.88/2011 e 9-bis del D.L. 69/2013 di cui sopra.
L’articolo 7 in esame non modifica il descritto quadro normativo, che viene confermato mediante il richiamo, contenuto nell’articolo, al decreto legge n.101 del 2013 ed al comma 703 della legge di stabilità 2015, dettando disposizioni che appaiono volte principalmente a determinarne una migliore implementazione ed una più efficace operatività.
A tal
fine viene previsto che per accelerare
l'attuazione di interventi complessi,
definiti dalla norma come “aventi natura di grandi progetti” ovvero di
“investimenti articolati in singoli interventi tra loro funzionalmente
connessi, che richiedano un approccio integrato e l'impiego di fondi
strutturali di investimento europei e di fondi nazionali inseriti in piani e
programmi operativi finanziati a valere sulle risorse nazionali e europee”, il Presidente del Consiglio dei ministri o
il Ministro delegato per la coesione
territoriale e il Mezzogiorno, individua
gli interventi per i quali si procede alla sottoscrizione di appositi Contratti istituzionali di sviluppo, su
richiesta delle amministrazioni interessate.
L’articolo
precisa inoltre che quanto dallo stesso previsto risulta disposto anche in coerenza con quanto previsto dall'articolo 36 del regolamento(UE) n. 1303/2013[13].
Tale articolo dispone che qualora una strategia di sviluppo urbano o un'altra strategia o patto territoriale richieda un approccio integrato che comporti investimenti del Fondo sociale europeo, del Fondo europeo sviluppo regionale o del Fondo di coesione nell'ambito di più assi prioritari di uno o più programmi operativi, le azioni possono essere eseguite sotto forma di investimento territoriale integrato ("ITI") e possono a tal fine essere integrate da un sostegno finanziario dal FEASR(Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale) o dal FEAMP (Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca).
Secondo quanto risulta dal sito relativo ai Contratti istituzionali di sviluppo I CIS attualmente attivati – cui dovrebbe aggiungersi quello recentemente intervenuto per l’area di Taranto - sono i seguenti:
§ CIS: Napoli-Bari-Lecce/Taranto;
§ CIS: Messina-Catania-Palermo;
§ CIS: Salerno-Reggio Calabria;
§ CIS: Adeguamento itinerario SS Sassari-Olbia.
Articolo 8
(Disposizioni di semplificazione in materia di amministrazione straordinaria)
L’articolo 8 prevede l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria di cui al D.L. n. 347/2003, per le società cessionarie di complessi aziendali acquisiti da società sottoposte ad amministrazione straordinaria, anche in assenza dei requisiti dimensionali previsti dall’articolo 1, co. 1 dello stesso decreto legge 347/2003, ferma restando la sussistenza del presupposto dello stato di insolvenza. La deroga è prevista nel caso in cui le predette società siano destinatarie di domanda giudiziale di risoluzione per inadempimento del contratto di cessione o di dichiarazione, da parte della società cedente, di avvalersi di clausola risolutiva espressa del contratto di cessione dei complessi aziendali acquisiti.
Con riguardo ai requisiti per l’ammissione alla procedura speciale (rispetto alla procedura ordinaria di ammissione all’amministrazione straordinaria delineata nel D.Lgs. n. 270/1999) di amministrazione straordinaria “delle grandi imprese in stato di insolvenza” , l’art. 1 del D.L. n. 347/2003, fa riferimento al possesso, da parte delle imprese, considerate sia singolarmente sia come gruppo di imprese, di entrambi i seguenti requisiti:
§ un numero minimo, da almeno un anno, di 500 lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni;
§ debiti per un ammontare complessivo non inferiore a 300 milioni di euro.
Come è noto la procedura ordinaria di ammissione all’amministrazione straordinaria è contenuta nel D.Lgs. n. 270/1999, che definisce l'amministrazione straordinaria delle imprese in stato d'insolvenza come la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente, diretta alla conservazione del patrimonio produttivo, tramite la prosecuzione, la riattivazione ovvero la riconversione dell'attività imprenditoriale (art. 1). L'ambito dei soggetti ammessi alla procedura viene circoscritto alle imprese, anche individuali, soggette alla legge fallimentare e in possesso dei seguenti requisiti:
§ un numero di lavoratori subordinati non inferiore alle 200 unità (inclusi quelli che eventualmente fruiscono del trattamento di integrazione guadagni);
§ debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi, tanto del totale dell'attivo dello stato patrimoniale, che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio (art. 2);
§
presenza di concrete
prospettive di recupero (art. 27) da realizzarsi, alternativamente,
mediante "la cessione dei complessi aziendali, sulla base di un programma
di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un
anno" ("programma di cessione
dei complessi aziendali”) ovvero "tramite la ristrutturazione
economica e finanziaria dell'impresa, sulla base di un programma di risanamento
di durata non superiore a due anni" ("programma di ristrutturazione").
Su tale disciplina generale si è innestato il decreto-legge n. 347/2003, che prevede misure volte a semplificare l'ammissione alla procedura concorsuale e a rafforzare i poteri riconosciuti all'autorità amministrativa, per imprese con almeno 500 lavoratori subordinati e debiti per un ammontare complessivo non inferiore a 300 milioni di euro[14]. Presupposto per l’ammissione all’amministrazione straordinaria è dunque l’esistenza di concrete prospettive di recupero, che può avvenire attraverso:
§ un programma di cessione dei complessi aziendali (con il passaggio dunque dell’esercizio dell’attività ad un soggetto giuridico diverso);
§ un programma di ristrutturazione (che presuppone la prosecuzione dell’attività senza trasferimento a terzi).
Si ricorda al riguardo che l'Assemblea della Camera ha approvato, in data 10 maggio 2017, il disegno di legge A.C. 3671-ter-A, derivante dallo stralcio dell'originario disegno di legge A.C. 3671, concernente la "Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza"[15]. L'oggetto del disegno di legge è la riforma organica della disciplina della amministrazione straordinaria di cui al D. Lgs. n. 270/1999 e al D.L. n. 347/2003, al fine di ricondurre tale istituto a un quadro di regole generali comuni, come derivazione particolare della procedura generale concorsuale. Obiettivo della riforma è dunque quello di assicurare coerenza sistematica, nonché di contemperare le esigenze dei creditori e l'interesse pubblico alla conservazione del patrimonio e alla tutela dell'occupazione di imprese in stato di insolvenza che, per dimensione, appaiono di particolare rilievo economico sociale[16]. I numerosi principi e criteri direttivi della delega riguardano dunque, innanzitutto, una procedura unica di amministrazione straordinaria, con finalità conservative, finalizzata alla regolazione dell'insolvenza di singole imprese, ovvero di gruppi di imprese. Si segnala che, tra gli altri profili, il disegno di legge modifica i presupposti di accesso alla procedura. Con riferimento ai profili dimensionali dell'impresa o dei gruppi di imprese, nelle imprese singole il numero minimo di dipendenti è stabilito in 250 e in complessivi 800 in caso di contestuale richiesta di ammissione alla procedura di più imprese del gruppo. Inoltre, il requisito dimensionale, dunque il concetto di "grande impresa", non è più ancorato ai soli occupati, ma anche alla media del volume di affari degli ultimi tre esercizi. Infine, accanto alle concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali, si prevede la salvaguardia della continuità produttiva e dell'occupazione diretta e indiretta.
Le misure di cui alla norma in commento si applicano, anche su istanza del commissario straordinario[17] della società cedente, nei confronti delle società alle quali siano stati ceduti complessi aziendali, facenti capo a società sottoposte ad amministrazione straordinaria, nei casi in cui le stesse si rendano gravemente inadempienti rispetto alle obbligazioni contrattualmente assunte all’atto della cessione. Ciò nei casi in cui tali società siano destinatarie di:
§ domanda giudiziale di risoluzione per inadempimento del contratto di cessione;
§ dichiarazione, da parte della società cedente, di avvalersi di clausola risolutiva espressa del contratto di cessione dei complessi aziendali acquisiti.
Si ricorda, in proposito, che l’art. 63 del D.lgs. n. 270/99, che disciplina la vendita di aziende in esercizio, pone in capo all’acquirente, per almeno due anni dalla stipula, l’obbligo di proseguire le attività imprenditoriali, nonché di mantenere i livelli occupazionali stabiliti all'atto della vendita, sulla base di quanto previsto nel piano industriale. A tal fine, la scelta dell'acquirente è effettuata tenendo conto, oltre che dell'ammontare del prezzo offerto, dell'affidabilità dell'offerente e del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali da questi presentato, anche con riguardo alla garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali.
La relazione illustrativa rileva che, per finalità di salvaguardia dell’occupazione, nell’ambito della procedura di consultazione tesa a raggiungere l’accordo di cui all’art. 47, co. 2, della L. n. 428/90, le società cedente e acquirente definiscano con le organizzazioni sindacali le condizioni per il trasferimento anche parziale dei lavoratori, sempre in coerenza con le previsioni del piano industriale presentato dall’acquirente. Come altresì evidenziato dalla relazione illustrativa, l’assunzione, da parte dell’acquirente, dell’obbligo di prosecuzione dell’attività imprenditoriale, nonché di mantenimento dei livelli occupazionali stabiliti all’atto della vendita, costituisce un presupposto indefettibile ai fini dell’aggiudicazione dei complessi aziendali relativi alle procedure di amministrazione straordinaria[18].
Articolo 9
(Misure urgenti ambientali in materia di classificazione dei rifiuti)
L’articolo 9 interviene sulla disciplina concernente la classificazione dei rifiuti contenuta nella premessa dell’allegato D alla parte quarta del cd. Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006), al fine di sopprimere la gran parte delle disposizioni in essa contenute (ed introdotte dal D.L. 91/2014). Il nuovo testo della premessa, risultante dalla modifica, si limita infatti a chiarire che, ai fini della classificazione dei rifiuti da parte del produttore (mediante l’assegnazione del codice CER appropriato), devono essere applicate le nuove regole previste dalla decisione 2014/955/UE e dal regolamento (UE) n. 1357/2014.
Sono, pertanto, soppressi i numeri da 1 a 7 della parte premessa all'introduzione del citato allegato D, che sono stati inseriti dal D.L. 91/2014 e che elencavano i principi di classificazione dei rifiuti e le modalità per stabilire la pericolosità del rifiuto. Tali numeri sono sostituiti dal richiamo alle predette regole europee.
In sintesi, i numeri da 1 a 7, che sono soppressi
dalla norma in esame, prevedevano:
1. la classificazione dei rifiuti da parte del produttore
attraverso l’assegnazione ad essi del
competente codice CER, applicando le disposizioni contenute nella decisione
2000/532/CE;
2. la qualificazione di un rifiuto come pericoloso senza
alcuna ulteriore specificazione, qualora fosse classificato con codice CER
pericoloso 'assoluto';
3. la qualificazione di un rifiuto come non pericoloso
senza ulteriore specificazione, qualora un rifiuto fosse classificato con
codice CER non pericoloso 'assoluto';
4. lo svolgimento di una serie di indagini al fine di
determinare le proprietà di pericolo, qualora un rifiuto fosse classificato con
codici CER speculari, uno pericoloso ed uno non pericoloso;
5. l’individuazione delle caratteristiche di pericolo del
rifiuto prendendo come riferimento i composti peggiori, qualora i componenti di
un rifiuto fossero rilevati dalle analisi chimiche solo in modo aspecifico;
6. la classificazione di un rifiuto come pericoloso
qualora le sostanze presenti in un rifiuto non fossero note o non fossero
determinate con le predette modalità, ovvero le caratteristiche di pericolo non
potessero essere determinate;
7. la classificazione in ogni caso prima che il rifiuto
si fosse allontanato dal luogo di produzione.
Ai fini di una valutazione della ratio dell’intervento normativo, è necessaria una ricostruzione della recente evoluzione delle normative nazionale ed europea, nonché della portata delle disposizioni contenute nella premessa dell’Allegato D.
L’evoluzione
della normativa
Per quanto riguarda la disciplina europea, il 18 dicembre 2014 la Commissione europea ha adottato:
§ il regolamento (UE) n. 1357/2014 che ha sostituito l’allegato III della direttiva 2008/98/CE (recepito nell’ordinamento nazionale dall’allegato I alla parte IV del D.Lgs. 152/2006);
§ e la decisione 2014/955/UE, la quale ha modificato la decisione 2000/532/CE relativa all’elenco europeo dei rifiuti (recepito nell’ordinamento nazionale dall’allegato D alla parte IV del D.Lgs. 152/2006) provvedendo, in particolare, alla riscrittura di tale elenco.
In estrema sintesi, il regolamento (UE) n. 1357/2014 contiene le nuove indicazioni europee necessarie all’attribuzione delle caratteristiche di pericolo ai rifiuti e sostituisce le precedenti caratteristiche di pericolo da H1 a H15 con le nuove caratteristiche da HP1 a HP15.
La decisione 2014/955/UE, invece, modifica l’elenco europeo dei rifiuti, introducendo alcuni nuovi codici, sopprimendo gli articoli 2 e 3 della decisione 2000/532/CE e intervenendo sull’introduzione dell’allegato.
Tali disposizioni europee, essendo contenute in atti che hanno diretta applicazione nell’ordinamento nazionale, sono entrate in vigore alla data prevista negli atti citati, vale a dire il 1° giugno 2015.
Prima dell’entrata in vigore delle predette disposizioni europee, con il D.L. 91/2014 (lettera b-bis) del comma 5 dell’art. 13) è stata inserita, all’inizio dell’allegato D alla parte IV del cd. Codice dell’ambiente, una premessa (articolata in sette paragrafi, numerati da 1) a 7)) che ha introdotto ulteriori disposizioni sulla classificazione dei rifiuti, entrate in vigore (per espressa previsione del comma 5-bis dell’art. 13 del medesimo decreto-legge) decorsi centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, ossia a far data dal 18 febbraio 2015.
L’introduzione di tali disposizioni ha però suscitato una serie di problemi interpretativi (v. infra). “In ragione delle perplessità sulla novella introdotta alla normativa nazionale manifestate” - come ricorda la relazione illustrativa – “da parte degli operatori del settore, degli enti di controllo, degli istituti tecnici, delle associazioni di categoria e delle autorità competenti al rilascio delle autorizzazioni”, il Ministero dell’ambiente – come sottolineato dal Ministro in risposta all’interrogazione 4-13894 – ha emanato “due circolari[19] indirizzate alle regioni e alle province autonome, con le quali è stato specificato che il regolamento e la decisione sopra menzionati trovano piena ed integrale applicazione nell’ordinamento giuridico a decorrere dal 1° giugno 2015, ed inoltre che gli allegati D ed I del decreto legislativo n. 152 del 2006, contenenti le indicazioni per la classificazione dei rifiuti, non sono applicabili laddove risultino in contrasto con le nuove disposizioni dell'Unione europea” ed ha predisposto uno schema di decreto[20] al fine di adeguare gli allegati D e I alla parte quarta del d.lgs. 152/2006 (di recepimento, rispettivamente, dell’elenco dei rifiuti allegato ala decisione 2000/532/CE e delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti elencate nell’allegato III della direttiva 2008/98/CE).
Una delle principali finalità dello schema (mai adottato, v. infra) era proprio la soppressione della premessa dell’allegato D alla parte IV del cd. Codice dell’ambiente che, come sottolineato dallo stesso Ministero dell’ambiente nella relazione illustrativa trasmessa al Consiglio di Stato, sarebbe “in alcune sue parti in contrasto con la intervenuta norma comunitaria”.
Nel proprio parere (n. 1480 del 15 maggio 2015) il Consiglio di Stato ha osservato che “l’immediata applicabilità nel nostro ordinamento del regolamento n. 1357/2014 della Commissione del 18 dicembre 2014 e della Decisione n. 2014/955/UE, avente pari data, determina automaticamente, per il principio della lex posterior derogat priori, l’abrogazione delle norme dei suddetti allegati D e I in contrasto con i predetti atti dell’U.E., anche se introdotte con il D.L. n. 91 del 2014, che risale appunto ad epoca precedente, e cioè al 24 giugno 2014”. Con riferimento alle norme dello schema finalizzate a sopprimere la premessa all’allegato D, lo stesso Consiglio ha giudicato la disposizione opportuna in quanto tale premessa non trova riscontro nella normativa europea e “anche perché si tratterebbe di norme introdotte con il più volte citato D.L. n. 91 del 2014, che sono da ritenersi interamente abrogate dai recenti provvedimenti adottati in sede europea”.
Essendo però intervenuta una norma di rango primario sull’allegato D del decreto legislativo n. 152/2006 (vale a dire quella recata dal D.L. 91/2014), il Consiglio di Stato, nel proprio parere, ha rilevato che “occorre, però, tener conto del fatto che, con la lett. b-bis) del co. 5 dell’art. 13 del d.l. 24 giugno 2014, n. 91, è stato di nuovo riportato alla fonte di rango primario l’intero preambolo, intitolato “Classificazione dei rifiuti”, dall’all. D alla parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006, sicché risulta assai dubbio che tale evento consenta, poi, di ricondurre alla materia delegificata quanto è stato introdotto con la suddetta lett. b-bis) dell’art. 13, co. 5, d.lgs. n. 91 del 2014, che si configura, cioè, come una disposizione introdotta con legge (o atto equiparato) successiva ad una precedente delegificazione”. Lo schema di decreto predisposto dal Ministero dell'ambiente, pertanto, non è stato definitivamente adottato.
Le
disposizioni contenute nella premessa dell’allegato D
Con riferimento alla non conformità della premessa dell’allegato D in questione con la normativa dell’UE, nonché alla non necessità di alcune disposizioni contenute nella medesima premessa, nella relazione illustrativa viene ricordato, a titolo esemplificativo, che “il fatto che la classificazione dei rifiuti sia effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente Codice CER, prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione, ed applicando le disposizioni contenute nella decisione comunitaria 2000/532/CE (punti 1 e 7 della Premessa sulla classificazione introdotta dal decreto competitività), è un concetto che emerge già dalla lettura della norma nazionale e dagli ulteriori atti comunitari che non richiedono tra l’altro diretto recepimento”.
Viene altresì affermato che “le ulteriori disposizioni in tema di classificazione dei rifiuti (punti da 2 a 6 della citata premessa) introducono modalità applicative di fatto difficilmente attuabili a fronte di interpretazioni fortemente restrittive della norma”. Ciò vale, ad esempio, per la disposizione dettata dal numero 6) della premessa, secondo la quale quando le sostanze presenti in un rifiuto non sono note o non sono determinate con le modalità stabilite nei commi precedenti, ovvero le caratteristiche di pericolo non possono essere determinate, il rifiuto si classifica come pericoloso”. Al contrario, la relazione illustrativa ricorda che “la decisione 955/2014/UE della Commissione Europea, nel paragrafo «Valutazione e classificazione», Punto 2 «Classificazione di un rifiuto come pericoloso», specifica che la classificazione di un rifiuto come pericoloso deve essere effettuata ricercando, non tutte le sostanze che possono conferire le caratteristiche di pericolosità al rifiuto, ma solo quelle pericolose «pertinenti»”.
La relazione illustrativa sottolinea inoltre che “dalla lettura della premessa dell’Allegato D sembrerebbe altresì che per individuare i composti presenti nel rifiuto si debba necessariamente procedere attraverso tutte e tre le fasi indicate (la scheda informativa del produttore; la conoscenza del processo chimico; il campionamento e l’analisi del rifiuto)”.
E ancora che la premessa in questione “fa riferimento alle «frasi di rischio» specifiche dei componenti presenti nei rifiuti al fine di definire la modalità di classificazione dei rifiuti; di contro la decisione non fa più riferimento a tali «frasi di rischio», ma la metodologia ivi stabilita si basa esclusivamente sui «codici di classe e categorie di pericolo», nonché sui «codici di indicazione di pericolo». Oltre ad essere in contrasto con la norma europea, la premessa dell’allegato D risulta di fatto inapplicabile nella pratica. Infatti, una interpretazione restrittiva, relativamente ai composti da ricercare nei rifiuti, intesa come conoscenza integrale di ciò che è contenuto nel rifiuto e non di cosa è ragionevole ricercare nello stesso, comporta l’impossibilità di dimostrare e quindi di classificare il rifiuto come non pericoloso anche quando lo stesso non possiede alcuna delle caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III della direttiva 2008/98/CE. La classificazione di tutti i rifiuti, per i quali non è nota la composizione integrale, come pericolosi (rifiuti prodotti dagli impianti di trattamento dei rifiuti urbani), determinerebbe la paralisi dell’intero sistema di gestione dei rifiuti nazionale”.
Articolo
10
(Ulteriori misure in
favore dell'occupazione nel Mezzogiorno)
L'articolo 10 reca uno stanziamento al fine dello svolgimento di programmi per la riqualificazione e la ricollocazione di lavoratori coinvolti in situazioni di crisi aziendale o settoriale nelle regioni del Mezzogiorno.
Si prevede che tali programmi siano attuati dall'ANPAL (Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro)[21], in raccordo con le regioni interessate (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia) e con i fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua[22].
Lo stanziamento - che viene disposto in favore della medesima ANPAL - è pari a 15 milioni di euro per il 2017 e a 25 milioni per il 2018.
Ai fini della copertura dell'onere finanziario in oggetto, si provvede mediante impiego, nelle misure corrispondenti, di quota delle disponibilità in conto residui del Fondo sociale per occupazione e formazione nonché, ai fini della compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, mediante riduzione, nelle misure corrispondenti, del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali.
Articolo 11
(Interventi urgenti per il contrasto della povertà educativa minorile e della
dispersione scolastica nel Mezzogiorno)
L’articolo 11 consente di attivare interventi rivolti a reti di scuole, in convenzione con enti locali, soggetti del terzo settore, strutture territoriali del CONI, delle Federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate e degli enti di promozione sportiva o servizi educativi pubblici per l’infanzia, operanti nel territorio interessato, al fine di progettare e attuare, nelle aree di esclusione sociale, interventi educativi biennali in favore dei minori, finalizzati al contrasto del rischio di fallimento formativo precoce, della povertà educativa, nonché per la prevenzione delle situazioni di fragilità nei confronti della capacità attrattiva della criminalità.
Il comma 1 demanda a un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministri dell'interno e della giustizia - da adottare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge - l'individuazione delle aree di esclusione sociale, caratterizzate da povertà educativa minorile e dispersione scolastica, nonché da un elevato tasso di fenomeni di criminalità organizzata, al fine di realizzare specifici interventi educativi urgenti nelle regioni del Mezzogiorno volti al contrasto della povertà educativa minorile e della dispersione scolastica.
In base al comma 2, entro i successivi 30 giorni dall'adozione del predetto DM, il MIUR indice una procedura selettiva per la presentazione di progetti recanti la realizzazione di interventi educativi di durata biennale, volti al contrasto del rischio di fallimento formativo precoce e di povertà educativa, nonché per la prevenzione delle situazioni di fragilità nei confronti della capacità attrattiva della criminalità.
Alla procedura selettiva possono partecipare - in base al comma 3 - le reti di istituzioni scolastiche presenti nelle aree di esclusione sociale individuate con il DM previsto dal comma 1, che abbiano attivato, per la realizzazione degli interventi educativi di durata biennale, partenariati con enti locali, soggetti del terzo settore, strutture territoriali del CONI, delle Federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate e degli enti di promozione sportiva o servizi educativi pubblici per l'infanzia, operanti nel territorio interessato.
In relazione al CONI, alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline sportive associate e agli Enti di promozione sportiva si veda il Dossier del Servizio Studi della Camera n. 563 del 10 aprile 2017, predisposto in occasione dell'esame dell'A.C. 3960.
Secondo il comma 4, la procedura selettiva è finanziata nell'ambito delle risorse del «PON Per la scuola - competenze e ambienti per l'apprendimento» 2014/2020, alcuni elementi del quale sono stati approvati con la decisione della Commissione europea C(2014) 9952 del 17 dicembre 2014 (modificata dalla decisione della Commissione europea C(2016) 5246 del 9 agosto 2016), in coerenza con quanto previsto dalla stessa programmazione.
Il citato Programma affronta la sfida di migliorare le condizioni per la partecipazione al mercato del lavoro, promuovere l’inclusione sociale e migliorare la qualità del capitale umano anche attraverso il miglioramento dell’efficienza e della qualità degli edifici scolastici, delle dotazioni tecnologiche e digitali (laboratori, digitalizzazione, smart school).
Il nuovo PON 2014/2020 si colloca nella cornice del Position Paper della Commissione europea e dell’Accordo di Partenariato 2014-2020 focalizzandosi in via prioritaria nell’“Investire nelle competenze, nell’istruzione e nell’apprendimento permanente” (Obiettivo tematico 10) e nel favorire la qualità, l'efficacia e l'efficienza della Pubblica amministrazione migliorando il sistema di governance del sistema scolastico inclusa la valutazione dello stesso – in coerenza con il “Rafforzamento la capacità istituzionale e promuovere un’amministrazione pubblica efficiente” (Obiettivo tematico 11).
Il Fondo per il
contrasto della povertà educativa minorile istituito dalla legge di stabilità
2016 L'art. 1, commi da 392 a 395, della legge di stabilità 2016 (L. 208/2015), ha istituito
un Fondo sperimentale per il contrasto della povertà educativa minorile alimentato da versamenti effettuati dalle fondazioni
bancarie. Alle fondazioni è
riconosciuto un credito d’imposta,
pari al 75 per cento di quanto versato, fino ad esaurimento delle risorse
disponibili, pari a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e
2018. Le relative modalità di intervento sono rinviate ad un protocollo d’intesa tra le
fondazioni, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero
dell’economia e delle finanze e il Ministero del lavoro e delle politiche
sociali. In particolare, il comma 392 ha istituito in via sperimentale, per gli anni 2016, 2017 e 2018,
il “Fondo per il contrasto della
povertà educativa minorile”, alimentato
mediante riassegnazione dei versamenti
effettuati su un apposito conto
corrente postale, dalle fondazioni
di origine bancaria, nell’ambito della propria attività istituzionale. Le modalità di gestione del conto
corrente sono state definite mediante il protocollo d’intesa previsto
dal comma 393 e stipulato il 27 aprile 2016 tra le
fondazioni bancarie, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero
dell’economia e delle finanze e il Ministero del lavoro e delle politiche
sociali. Il protocollo avrebbe dovuto
prevedere: ü
le
modalità di intervento per il contrasto alla povertà educativa minorile; ü
le
caratteristiche dei progetti da finanziare; ü
le
modalità di valutazione, selezione (anche con il ricorso a valutatori
indipendenti) e monitoraggio dei progetti, al fine di assicurare la
trasparenza, il migliore utilizzo delle risorse e l’efficacia degli
interventi; ü
le
modalità di organizzazione e governo del Fondo per il contrasto della povertà
educativa minorile. Il Protocollo d'intesa (art. 1) specifica lo scopo del Fondo "destinato al sostegno di interventi
sperimentali finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica,
sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi
da parte dei minori". L'art. 2 reca le disposizioni relative all'alimentazione e alla durata del Fondo. In particolare, Il
Fondo, istituito dall'Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio
S.p.a. (ACRI) mediante accensione di apposito conto corrente postale vincolato alle finalità previste dalla legge, è
alimentato dai versamenti effettuati
annualmente dalle fondazioni bancarie, per il triennio 2016-2018. L'ACRI
comunica senza indugio la costituzione del Fondo alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri, al MEF, al Ministero del lavoro e delle politiche
sociali, al MIUR, al Forum nazionale del terzo settore ed all'Istituto per lo
sviluppo della formazione professionale dei lavoratori - ISFOL (ora INAPP,
Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche, in seguito a
quanto disposto dal d.lgs n. 185 del 2016). Entro il 31 gennaio di ciascun
anno, le fondazioni trasmettono all'ACRI e, per conoscenza, al Comitato di indirizzo strategico del Fondo, le delibere di impegno irrevocabile al
versamento al Fondo delle somme da ciascuna stanziate per il sostegno
finanziario dei progetti di cui all'articolo 1. Entro il successivo 20
febbraio, l'ACRI trasmette all'Agenzia delle entrate e, per conoscenza, al
Comitato di indirizzo strategico del Fondo,
l'elenco delle fondazioni finanziatrici, per le quali sia stata riscontrata
la corretta delibera d'impegno, in ordine cronologico di presentazione. Il riconoscimento del credito d'imposta
viene comunicato ad ogni fondazione finanziatrice e per conoscenza all'ACRI,
dal Direttore dell'Agenzia delle entrate entro il successivo 31 marzo. Il
versamento al Fondo delle somme stanziate viene effettuato dalle fondazioni
finanziatrici entro i
successivi tre mesi dalla
comunicazione dell'Agenzia. Le fondazioni trasmettono contestualmente all'ACRI
copia della relativa documentazione bancaria. Ove una fondazione non provveda
al versamento dell'importo stanziato, l'ACRI ripartisce la somma tra le
fondazioni finanziatrici e ne dà comunicazione al Direttore dell'Agenzia
delle entrate e al Comitato per conoscenza. Le somme così ripartite sono
versate dalle fondazioni interessate, ognuna per la quota spettante, nei
successivi dieci giorni dalla richiesta da parte dell'ACRI. Dell'avvenuto
versamento l'ACRI dà comunicazione al Direttore dell'Agenzia delle entrate
che provvede ad annullare il riconoscimento del credito di imposta nei
confronti della fondazione inadempiente e lo assegna alle altre Fondazioni in
relazione ai versamenti da ciascuna di esse effettuati. Annualmente il
Comitato di indirizzo strategico del Fondo predispone
un resoconto circa le attività svolte nell'anno, da pubblicare sul sito
dell'ACRI. L'art. 3 affida ad apposito Comitato l'indirizzo strategico del Fondo.
Il Comitato è composto da 15 membri:
un rappresentante della Presidenza del Consiglio; un rappresentante per
ciascuno dei Ministeri dell'economia e delle finanze, del lavoro e delle
politiche sociali, dell'istruzione, dell'università e della ricerca; 4
rappresentanti delle fondazioni designati dall'ACRI; 4 rappresentanti del
Forum nazionale del Terzo Settore; 2 esperti in materie statistiche designati
dall'ISFOL (ora INAPP) e uno dall'EIEF (Istituto Einaudi per l'economia e la
finanza). Gli esperti di materie statistiche non hanno diritto di voto. Sono
quindi dettate le disposizioni circa la costituzione e il funzionamento del
Comitato. L'art. 4 affida all'ACRI la gestione del Fondo, in particolare la
gestione delle entrate e delle uscite, l'elaborazione e l'approvazione del budget di funzionamento e del bilancio
annuale. L'ACRI individua un Soggetto
attuatore per la gestione operativa del Fondo, dandone comunicazione al
Comitato. Il Soggetto è incaricato di svolgere tutte le attività operative,
in particolare curando la fase istruttoria delle iniziative e la loro
valutazione e monitoraggio. L'art. 5 prevede che l'utilizzo delle risorse
potrà essere effettuato solamente tramite
lo strumento del bando valido su tutto il territorio nazionale. Possono
essere previsti più bandi in relazione a diverse aree tematiche e di norma
dovranno essere previste quote minime di destinazione per Regione o per macro
area. L'art. 6 individua i soggetti
abilitati a presentare le domande. Ai bandi promossi dal Fondo
partecipano partnership costituite da almeno due soggetti pubblici e privati. Il soggetto responsabile
della presentazione del progetto e della sua realizzazione può assumere una
delle seguenti forme: associazione
(riconosciuta e non); cooperativa o consorzio sociale; ente religioso;
fondazione; impresa sociale; scuole del sistema nazionale di istruzione e
loro reti. L'art. 7 demanda al Comitato
l'individuazione delle misure per la trasparenza; infine l'art. 8 detta una
specifica disciplina per il 2016, primo anno di operatività del Fondo. L’attuazione dei programmi relativi al
Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, previsti dal
protocollo d’intesa è stata affidata all’impresa
sociale “Con i Bambini”, costituita il 15 giugno 2016, con sede in Roma.
Il bando dedicato alla prima infanzia
- pubblicato il 15 ottobre 2016 - si propone di ampliare e potenziare i
servizi educativi e di cura dei bambini di età compresa tra 0 e 6 anni, con
un focus specifico rivolto ai bambini, alle famiglie vulnerabili o che vivono
in contesti territoriali disagiati. In pari data è stato pubblicato il bando dedicato all'adolescenza, il
quale si propone di promuovere e stimolare la prevenzione e il contrasto dei
fenomeni di dispersione e abbandono scolastici di adolescenti nella fascia di
età compresa tra 11 e 17 anni. Qui la pagina dedicata. Con comunicato stampa del 3 febbraio 2017, l'ACRI ha reso noto che le fondazioni di origine bancaria hanno
deliberato - per il finanziamento dei bandi per il 2017 - l’importo di oltre
120 milioni di euro, "che si aggiungono all’analoga cifra messa a
disposizione l’anno passato". Il citato articolo 1 della legge di
stabilità 2016 ha inoltre previsto, al comma
394, a favore delle fondazioni che abbiano effettuato versamenti nel
Fondo, il riconoscimento di un credito
d’imposta, pari al 75 per cento
di quanto versato, fino ad esaurimento delle risorse disponibili, pari a 100
milioni di euro per gli anni 2016, 2017 e 2018, secondo l’ordine temporale in
cui le fondazioni comunicano l’impegno a finanziare i progetti individuati
con il protocollo d’intesa citato. Il credito è riconosciuto dall'Agenzia
delle entrate con apposita comunicazione che dà atto della trasmissione della
delibera di impegno irrevocabile al versamento al Fondo delle somme da
ciascuna stanziate, nei termini e secondo le modalità previsti nel protocollo
d'intesa. Dell'eventuale mancato versamento al Fondo delle somme indicate nella
delibera di impegno rispondono
solidalmente tutte le fondazioni aderenti allo stesso. Con risoluzione n. 102/E del 4 novembre 2016, l'Agenzia delle entrate ha provveduto a all'istituzione del codice
tributo per l’utilizzo in compensazione, tramite modello F24, del predetto
credito d’imposta. Il credito deve essere indicato nella
dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta di riconoscimento e
può essere utilizzato esclusivamente in compensazione
(ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997 n. 241), a
decorrere dal periodo di imposta nel quale lo stesso è stato riconosciuto.
Esso non è soggetto al limite di
utilizzo in compensazione dei crediti d’imposta da indicare nel quadro RU
dei modelli di dichiarazione dei redditi, vale a dire dei crediti nascenti da
agevolazioni concesse alle imprese (articolo 1, comma 53, della legge n. 244
del 2007, che pone un tetto massimo annuale di 250.000 euro, con eventuale
riporto in avanti dell’ammontare eccedente), né è soggetto ai limiti massimi
di compensazione di debiti e crediti fiscali, previsti dall’articolo 34 della
legge n. 388 del 2000, da ultimo elevati a 700.000 euro per ciascun anno
solare (per effetto dell’articolo 9, comma 2 del decreto-legge n. 35 del
2013). La norma stabilisce inoltre la cedibilità del credito d’imposta da
parte delle fondazioni di origine bancaria a intermediari bancari, finanziari
e assicurativi, nel rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 1260 e
seguenti del codice civile, e previa adeguata dimostrazione dell'effettività
del diritto al credito medesimo. Si ricorda che un’altra ipotesi di
cedibilità del credito d’imposta è stata prevista dall’articolo 51 del
decreto-legge n. 83 del 2012, per le imprese di esercizio cinematografico per
l’acquisizione di impianti e apparecchiature destinate alla proiezione
digitale (tax credit digitale), in
favore di banche, assicurazioni oppure del soggetto che ha fornito l'impianto
di digitalizzazione. In quel caso si è inteso venire incontro alle aziende
medio-piccole del comparto le quali, per la dimensione della loro economia,
per l'assenza o limitatezza di dipendenti, nonché per la compresenza di altri
crediti d'imposta, di fatto non erano nella condizione di avvantaggiarsi del
beneficio. Il comma 395 ha infine previsto l’emanazione di un decreto del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze, per l’attuazione del credito d’imposta, incluse le procedure per la
concessione del contributo nel rispetto del limite di spesa di 100 milioni
per gli anni 2016, 2017 e 2018. Con DM del 1° giugno 2016 sono
state disciplinate le modalità applicative del contributo riconosciuto sotto
forma di credito di imposta, in favore delle fondazioni bancarie. Il suddetto decreto specifica che il
credito di imposta è riconosciuto a favore delle fondazioni bancarie di cui
al decreto legislativo n. 153 del 1999. Ai fini del riconoscimento del
credito d'imposta, utilizzabile esclusivamente in compensazione, le
fondazioni trasmettono all'ACRI le delibere di impegno irrevocabile al
versamento delle somme al Fondo; l'ACRI trasmette l'elenco delle fondazioni
finanziatrici, in ordine cronologico di presentazione, all'Agenzia delle
entrate. L'Agenzia comunica l'ammontare del credito d'imposta riconosciuto ed
entro tre mesi da tale comunicazione le fondazioni provvedono ad effettuare
il versamento. Ove una fondazione non provveda al versamento, l'ACRI
ripartisce la somma tra le altre fondazioni dandone comunicazione all'Agenzia
delle entrate che provvede ad annullare il beneficio fiscale a favore della
fondazione inadempiente e ad assegnarlo alle altre fondazioni. |
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Articolo 12
(Disciplina del costo standard per studente universitario)
L’articolo
12 ridefinisce a livello legislativo, a decorrere dal 2018, la disciplina
per il calcolo del costo standard per studente universitario – sulla cui base è
annualmente ripartita una percentuale del Fondo di finanziamento ordinario
(FFO) delle università statali – facendo comunque salve le assegnazioni già
disposte, nell’ambito del riparto del FFO, per gli anni 2014, 2015 e 2016, e
prevedendo una disciplina specifica per l’anno 2017.
L’intervento fa seguito alla sentenza 104/2017, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni del d.lgs.
49/2012 in attuazione delle quali la disciplina in questione era stata definita
con decreti ministeriali.
Si tratta di un intervento che riguarda tutte le università statali.
Preliminarmente, si ricorda che l’art. 5, co. 4, lett. f), della L. 240/2010
ha indicato fra i criteri direttivi per l’esercizio della delega prevista dallo
stesso art. 5, co. 1, lett. b) – riguardante la revisione della disciplina concernente la
contabilità universitaria – l’introduzione
del costo standard unitario di
formazione per studente in corso[23].
In particolare, ha disposto che:
§ il costo standard deve essere calcolato secondo indici – da individuare sentita l’ANVUR – commisurati alle diverse tipologie dei corsi di studio e ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’Università;
§ al costo standard deve essere collegata l’attribuzione all’università di una percentuale della parte di Fondo per il finanziamento ordinario non assegnata ai sensi dell’art. 2 del D.L. 180/2008 (L. 133/2008), cioè non destinata a finalità premiali.
Su tale base, l’art.
8 del D.Lgs. 49/2012, stabilendo che il costo standard unitario di formazione per
studente in corso è il costo di riferimento attribuito al singolo studente iscritto entro la durata normale
del corso di studio[24],
determinato tenuto conto della tipologia di corso di studi, delle dimensioni dell'ateneo
e dei differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui
opera l'università, ha a sua volta rimesso la determinazione dello stesso a un decreto del
Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze[25],
sentita l'ANVUR, indicando la necessità di considerare le voci di costo relative a:
a) attività didattiche e di ricerca, in termini di dotazione di personale docente e ricercatore destinato alla formazione dello studente;
b) servizi didattici, organizzativi e strumentali, compresa la dotazione di personale tecnico amministrativo, finalizzati ad assicurare adeguati servizi di supporto alla formazione dello studente;
c) dotazione infrastrutturale, di funzionamento e di gestione delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio dei diversi ambiti disciplinari;
d) ulteriori voci di costo finalizzate a qualificare gli standard di riferimento e commisurate alla tipologia degli ambiti disciplinari[26].
L’art. 10, co.
1, dello stesso d.lgs. 49/2012 ha disposto che, nell'ambito dell'attività
di indirizzo e programmazione del sistema universitario, il Ministro dell’istruzione,
dell’università e della ricerca individua con proprio decreto, avente validità
almeno triennale, le percentuali del FFO da ripartire in relazione al costo
standard per studente, nonché ai risultati della didattica, della ricerca,
delle politiche di reclutamento e agli interventi perequativi ai sensi della L.
240/2010.
In relazione alle previsioni recate dall’art. 8 del
d.lgs. 49/2012, è dunque intervenuto il D.I. 9 dicembre 2014, n. 893,
che ha definito la disciplina per il calcolo del costo standard, disponendo che le disposizioni da esso recate si intendevano
riferite al triennio 2014-2016 ed erano comunque confermate anche per gli anni
successivi, fino all'emanazione di un decreto di modifica delle medesime.
In relazione alle previsioni di cui all’art. 10, co.
1, del d.lgs. 49/2012, il range di valori
della quota percentuale di FFO da attribuire in relazione al costo standard per
studente è stato definito, per il triennio 2013-2015, con DM
827/2013[27]
e, per il triennio 2016-2019, con il DM
635/2016.
Con sentenza 104/2017,
la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli
artt. 8 e 10, co. 1 – limitatamente, per quest’ultimo, alle parole “al costo
standard per studente” –, del d.lgs. 49/2012.
In particolare, con riferimento all’art. 8, la Corte
ha evidenziato che “il Governo, nell’esercitare la delega, non ha aggiunto
pressoché nulla ai contenuti dei principi e criteri direttivi già stabiliti
nell’art. 5, co. 4, lettera f), della
legge n. 240 del 2010. Limitandosi a riportare testualmente i suggerimenti
enunciati a titolo meramente esemplificativo nel parere della VII Commissione
del Senato in merito alle voci di costo da tenere in considerazione, il Governo
non ha fatto altro che esplicitare contenuti intrinseci alla nozione di costo
standard, limitandosi a stabilire che ‘il costo standard unitario di formazione
per studente in corso’, previsto dalla delega, deve ricomprendere le spese per
la remunerazione dei docenti e del personale amministrativo, nonché per
l’allestimento di servizi, spazi e strumenti per la didattica. Fatta salva
questa enunciazione, manca una più precisa individuazione delle spese da
includere nel computo del costo standard, nonché i criteri per la ponderazione
di ciascuna voce”.
A conclusioni analoghe la Corte è giunta con riguardo
all’art. 10, co. 1, in relazione al quale ha evidenziato che alla “reiterazione
pressoché letterale della delega, il decreto legislativo non aggiunge altre
precisazioni in merito alla quota del FFO da distribuire in base al costo
standard, nemmeno nella forma
dell’indicazione di un minimo o un massimo, o nella rappresentazione di una
sua incidenza dinamica, anche solo tendenziale, sul complesso del finanziamento
da distribuire fra gli atenei”.
Ciò premesso, la Corte ha evidenziato che, nel caso di
specie, il decreto legislativo non si è limitato ad affidare ad atti
amministrativi l’esecuzione di scelte già delineate nelle loro linee
fondamentali negli atti con forza di legge. “Esso ha invece lasciato
indeterminati aspetti essenziali della nuova disciplina, dislocando di fatto
l’esercizio della funzione normativa dal Governo, nella sua collegialità, ai
singoli Ministri competenti, e declassando
la relativa disciplina a livello di fonti sub-legislative, con tutte le
conseguenze, anche di natura giurisdizionale, che una tale ricollocazione
comporta sul piano ordinamentale”.
La Corte ha, infine, concluso che “Tale declaratoria
di illegittimità costituzionale, determinata esclusivamente da vizi
dell’esercizio del poter legislativo delegato, non impedisce ulteriori
interventi in merito del Parlamento e del Governo, sui quali comunque incombe
la responsabilità di assicurare, con
modalità conformi alla Costituzione, la continuità
e l’integrale distribuzione dei
finanziamenti per le università statali, indispensabili per l’effettività
dei principi e dei diritti consacrati negli artt. 33 e 34 Cost”.
1)
Assegnazioni 2014-2016 e disciplina applicabile per il 2017
Il comma
4 dispone, anzitutto, che sono confermate
le assegnazioni già disposte per le
università statali, nell’ambito del riparto del FFO, per gli anni 2014, 2015 e 2016.
Il FFO è stato ripartito:
§ per il 2014, con DM 4 novembre 2014, n. 815, che ha assegnato il 20% della parte di quota base da assegnare a ciascuna università in base al suo peso, in proporzione al costo standard di formazione per studente in corso della stessa università (a tal fine, come si evince dalla tabella presente sul sito del MIUR, è stato preso a riferimento per ogni ateneo il numero di studenti in corso dell'a.a. 2012/13);
§ per il 2015, con DM 8 giugno 2015, n. 335, che ha aumentato la percentuale al 25% (a tal fine, come si evince dalla tabella presente sul sito del MIUR, è stato preso a riferimento per ogni ateneo il numero di studenti in corso dell'a.a. 2013/14);
§ per
il 2016, con DM 6 luglio 2016, n. 552, che ha aumentato la
percentuale al 28%, prendendo a
riferimento per ogni ateneo il numero di studenti in corso dell'a.a. 2014/15 e comunque entro un intervallo massimo e
minimo del +/-2% rispetto a quelli considerati per il riparto del FFO 2015.
Si
segnala che, alla luce delle parziali differenze presenti nei commi 2 e 3 con
la disciplina recata dal D.I. 893/2014 – come infra esplicitate – non appare
chiaro, al comma 4, l’inciso “in coerenza con quanto definito ai commi 2 e 3”.
A sua volta, il comma 5 dispone che, per l’anno
2017, per assicurare il tempestivo riparto degli stanziamenti, sono
utilizzati gli stessi importi del costo standard e i dati sugli studenti utilizzati per il
riparto del FFO 2016. Per la quota del FFO da ripartire in base al criterio del costo
standard per studente, stabilisce che questa è fissata, con il decreto
ministeriale che ripartisce lo stesso FFO, entro l’intervallo compreso fra il 19% e il 22% del relativo
stanziamento, al netto, comunque, degli interventi con vincolo di destinazione.
Con riferimento alle disposizioni di cui ai commi 4 e
5, nel comunicato
stampa del MIUR del 20 giugno 2017 si
evidenzia che le stesse assicurano agli atenei “il mantenimento delle risorse
ricevute nell'ultimo triennio, visto che, peraltro, proprio sulla base della
disponibilità di questi fondi, hanno già approvato i loro bilanci e preso
impegni, fra cui anche quelli relativi all'assunzione di personale”. Inoltre,
si afferma che lo sblocco delle risorse per il 2017 "mette in sicurezza
anche l'attuazione della 'no tax area' (…) che
consentirà a ragazze e ragazzi con famiglie con ISEE inferiori a 13.000 euro di
non pagare le tasse per l'ingresso all'università[28]”.
2) Disciplina applicabile dal 2018
I commi
1-3 recano la definizione di costo standard e la disciplina per la
determinazione del modello di calcolo del costo standard di ateneo
–parzialmente differente da quella prevista dal D.I. 893/2014 – che si
applicherà a decorrere dal 2018.
In particolare, il comma 1 – riprendendo sostanzialmente il contenuto dell’art. 8, co.
1, del d.lgs. 49/2012, nonché i principi recati dall’art. 5, co. 4, lett. f), della
L. 240/2010 – stabilisce che per costo
standard per studente delle università statali si intende il costo di
riferimento attribuito al singolo studente iscritto entro la durata normale del
corso di studio, determinato tenuto conto della tipologia di corso, delle
dimensioni dell'ateneo e dei differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali
in cui opera l'università, e che lo stesso costituisce parametro di riferimento per la ripartizione annuale di una quota
del FFO.
L’art. 1 del D.I. 893/2014 stabiliva anche che gli
studenti iscritti part-time sono considerati in relazione alla maggiore durata
normale del loro percorso e con peso pari a 0,5.
Il comma
2 individua i criteri e le voci di costo sulla base dei quali – ai
sensi del comma 6, con decreto del
Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, emanato, acquisiti i
pareri di CRUI e ANVUR, entro 60 giorni
dalla data di entrata in vigore del decreto-legge – è determinato (ed
eventualmente aggiornato) il modello di
calcolo del costo standard per studente.
Con
riferimento al comma 6, si segnala che il termine per l’emanazione del decreto
ministeriale dovrebbe decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione, al fine di poter considerare le eventuali modifiche intervenute
durante l’esame parlamentare.
I criteri
attengono ai costi del personale docente, dei docenti a contratto, del
personale tecnico-amministrativo, nonché ai costi di funzionamento e gestione
delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio.
2.1.
Criterio del costo del personale docente
Per quanto concerne il criterio del costo del personale docente, si considera, anzitutto
la dotazione standard di docenza
prevista per l’accreditamento iniziale dei corsi di studio.
Al riguardo si ricorda che il DM 987/2016 ha ridefinito – a decorrere dall'a.a.
2017/2018 – il sistema di autovalutazione, valutazione, accreditamento iniziale
e periodico delle sedi e dei corsi di studio, confermando, ai fini
dell’accreditamento iniziale, la necessità di requisiti minimi di docenza[29].
In particolare, le disposizioni da esso recate sostituiscono quelle del DM 47/2013 – modificato dal
DM 1059/2013 – fatte salve, per quanto qui interessa, le deroghe sui requisiti
di docenza fino all'a.a. 2017/2018 disposte dal DM
194/2015, che ha previsto un temporaneo alleggerimento dei
relativi indicatori, in considerazione del fatto che le limitazioni in maniera
di turn over rischiavano di pregiudicare
l’offerta formativa.
Nello specifico, il DM 987/2016 ha fissato una numerosità minima complessiva (ossia,
inclusiva di professori di I e II fascia e ricercatori) del personale docente – specificando (solo) il numero minimo di professori a tempo indeterminato
– e di eventuali figure aggiuntive (tutor[30]
o figure specialistiche aggiuntive[31]),
necessaria per l'accreditamento iniziale e periodico dei corsi di studio, a
seconda della tipologia di corso di studi[32].
Il D.I. 893/2014 prevedeva, invece, che il costo del
personale docente fosse riferito alla numerosità standard indicata dalla Tab. 2 allegata al medesimo D.I., che, in
particolare, specificava separatamente la numerosità minima di professori di
prima fascia, di professori di seconda fascia e di ricercatori.
Si riscontra, dunque, una prima differenza
rispetto al sistema applicato nel triennio 2014-2016.
Inoltre, si considerano:
§ come costo medio di riferimento, cui parametrare la dotazione standard di docenza, il costo caratteristico di ateneo del professore di prima fascia.
In base al DM
5 agosto 2016, che ha definito
criteri e contingente assunzionale delle università
statali per l’anno 2016, il costo medio
nazionale di un professore di prima
fascia, cui corrisponde il coefficiente stipendiale di 1 Punto Organico
(P.O.), è pari, per lo stesso anno, a €
114.610.
La relazione
tecnica evidenzia che il costo di un professore di seconda fascia e quello
di un ricercatore sono pari, rispettivamente, al 70% e al 50% di quello di un
professore di prima fascia.
Anche il D.I. 893/2014 prevedeva che il costo del
personale docente avesse come parametro stipendiale di riferimento il costo
medio caratteristico di ateneo del professore di I fascia, specificando che la
parametrazione del personale docente in termini di punti organico era la
seguente: I fascia = 1 P.O.; II fascia = 0,7 P.O.; RU = 0,5 P.O;
§ come numero standard di riferimento degli studenti “il valore compreso nell’intervallo fra il 60% e il 100% del numero di riferimento previsto per l’accreditamento” per le tre classi delle aree medico-sanitaria, scientifico-tecnologica e umanistico-sociale.
Al riguardo, la relazione illustrativa precisa che il valore percentuale sarà determinato dal decreto ministeriale
di cui al comma 6.
Sempre in base alla relazione illustrativa, la
previsione di valori di riferimento più bassi di quelli utilizzati per
l’accreditamento è finalizzata a tenere conto della presenza di costi fissi di
docenza nelle classi di corso (principalmente degli atenei di piccole
dimensioni) con numerosità bassa di iscritti.
Per completezza, si evidenzia che la relazione tecnica, presentando un
esempio per descrivere il funzionamento del costo standard, ha assunto come
numero standard di riferimento degli studenti il 100% del numero di riferimento previsto per l’accreditamento.
Al riguardo, si evidenzia che la docenza minima
necessaria indicata nell’allegato A del DM 987/2016 è relativa alle numerosità standard di riferimento degli studenti previste per ogni classe
afferente alle 3 aree disciplinari individuate dal DI 893/2014 (Medico-sanitaria,
scientifico-tecnologica e umanistica-sociale).
Rispetto a tali numerosità di riferimento, è tuttavia
consentito, prima dell’incremento della docenza minima necessaria, l’iscrizione di un maggior numero di
studenti entro il limite delle numerosità massime indicate dall’Allegato
D al DM[33].
Il D.I. 893/2014 rimandava,
invece, alle numerosità di riferimento degli studenti per area disciplinare
indicate dalla Tab. 1 allegata al medesimo D.I..
2.2. Criterio del costo della docenza a contratto
Il criterio
del costo della docenza a contratto è riferito al monte ore di didattica
integrativa aggiuntiva, stabilito in misura pari al 30% del monte ore di
didattica standard dei docenti (non a contratto), ossia – come evidenzia anche
la relazione tecnica – al valore medio di 120 ore per i professori e di 60 ore
per i ricercatori.
Si tratta della stessa previsione recata dall’art. 2
del D.I. 893/2014 che, tuttavia, specifica anche che le ore di didattica
integrativa a contratto sono parametrate rispetto ad un costo orario di
riferimento uniforme a livello nazionale.
Tale costo, in base allo stesso D.I., era stato fissato per il triennio 2014-2016 in € 100 lordo dipendente, pari a un costo orario standard di € 132,7 comprensivo degli oneri a carico dell’ateneo.
Il medesimo costo orario standard di € 132,7 è
utilizzato, nell’esempio già ricordato, ora anche dalla relazione tecnica.
2.3 Criterio del costo del personale
tecnico-amministrativo
Con riferimento al criterio del costo del personale tecnico-amministrativo,
si attribuisce, anzitutto, una dotazione standard pari ad una unità di personale per ogni docente (non a contratto). In
aggiunta, si attribuisce un numero di figure
di supporto tecnico parametrato a quelle eventualmente richieste in sede di
accreditamento dei corsi di studio (v. ante)
e un numero di collaboratori ed esperti
linguistici pari a quelli in servizio presso l’ateneo.
Il D.I. 893/2014 considera – come previsto dall’art. 8
del d.lgs. 49/2012 – i servizi didattici, organizzativi e strumentali, compresa
la dotazione di personale tecnico
amministrativo, e dispone che il costo standard di tali servizi è fissato
al 37,5% del costo medio
caratteristico di ateneo del professore di I fascia moltiplicato per la
dotazione standard complessiva di docenza (professori di I fascia, professori
di II fascia e ricercatori), calcolata in base alla già citata Tab. 2 allegata al D.I.
Inoltre, tra le ulteriori
voci di costo, considera le figure
specialistiche (nelle classi di laurea magistrale a ciclo unico di Scienze
della formazione primaria e di Conservazione e restauro dei beni culturali), i tutor (per i corsi di studio a
distanza), e i collaboratori ed esperti
linguistici a tempo determinato o indeterminato.
Le figure specialistiche e i tutor sono considerati in
numero pari a quanto ha poi stabilito, successivamente, il DM 987/2016.
Per tutte le figure, ad ogni unità di personale in
servizio è attribuito un costo medio pari al 10% del costo medio caratteristico di un professore di I fascia.
La relazione
tecnica, nell’esempio già ricordato, utilizza per il costo medio del
personale tecnico amministrativo di un ateneo la medesima percentuale del 37,5%
del costo medio caratteristico di ateneo del professore di prima I fascia.
Evidenzia, inoltre, che l’incidenza percentuale dei
costi relativi a figure specialistiche sui costi totali è generalmente
inferiore al 3% per ogni ateneo.
2.4 Criterio dei costi di funzionamento
Relativamente al criterio dei costi di
funzionamento e di gestione delle strutture didattiche, di ricerca e di
servizio dei diversi ambiti disciplinari, si specifica che il costo è
stimato sulla base degli oneri medi
rilevati dai bilanci degli atenei, tenendo conto anche dei costi fissi
della sede universitaria, non dipendenti dalla numerosità degli iscritti.
Il D.I. 893/2014 prevedeva, invece, che la
quantificazione del corrispondente costo standard fosse ottenuta attraverso una
formula che teneva conto della dimensione dell’ateneo, della numerosità di
studenti in corso e della tipologia di corsi cui erano iscritti[34].
Si tratta, dunque, di una ulteriore
differenza rispetto alla disciplina finora applicata.
La relazione
tecnica, nell’esempio già ricordato, evidenzia che, in media, tale voce di
costo incide per circa un terzo delle voci di costo precedenti.
2.5 Meccanismi perequativi
Il comma
3 riguarda la perequazione del costo
standard di ateneo. Nello specifico, si stabilisce che, al fine di tenere
conto dei differenti contesti in cui l’università si trova ad operare, al costo
standard di ateneo può essere
aggiunto un importo di natura perequativa parametrato rispetto al costo
standard medio nazionale fino ad un
massimo del 10%, in base alla diversa capacità contributiva degli studenti
iscritti all’università, determinata tenendo conto del reddito medio familiare della ripartizione territoriale dove ha
sede l’ateneo.
Il D.I. 893/2014 disponeva che l’importo di natura
perequativa era parametrato alla diversa capacità contributiva per studente
della regione dove ha sede l’ateneo,
sulla base del reddito familiare medio
(al netto di fitti imputati) rilevato
dall’ISTAT, ed era ottenuto applicando una formula che teneva conto della
differenza tra la contribuzione della regione con reddito familiare medio più
elevato e la contribuzione della regione in cui aveva sede l’ateneo.
Anche in questo caso, dunque, si riscontrano
alcune differenze con la disciplina finora applicata.
Si
valuti l’opportunità di specificare già in questa sede il livello di
ripartizione territoriale (macroareee, regioni,
ecc.).
Il già citato comma 6 prevede un ulteriore
importo di natura perequativa, che tiene conto della diversa accessibilità ad ogni università in
relazione alla rete dei trasporti e
dei collegamenti. Anche tale importo perequativo è parametrato rispetto al
costo standard medio nazionale fino ad
un massimo del 10%.
Si
valuti l’opportunità di unificare in un unico comma le disposizioni riguardanti
le quote di natura perequativa.
2.6 Percentuale FFO collegata al costo
standard
Il comma
7 stabilisce che il decreto ministeriale con il quale si provvede alla
rideterminazione del modello di calcolo del costo standard per studente – che
ha validità triennale – determina
anche la percentuale del FFO, al
netto degli interventi con vincolo di destinazione, da ripartire tra gli atenei in base al criterio del costo standard per
studente. A tal fine, il comma 8
dispone che il costo standard per studente di ateneo è moltiplicato per il
numero degli studenti regolarmente iscritti entro la durata normale del corso
di studi.
Sempre in base al comma 7, la percentuale
stabilita con il decreto non può essere inferiore
“a quella del comma 5”, ed è incrementata
tra il 2% e il 5% all’anno, fino ad un massimo
del 70%, in modo da sostituire gradualmente il criterio dell’assegnazione
storica del Fondo.
Occorre
chiarire se si intenda fare riferimento al valore minimo o a quello massimo
fissato dal comma 5, ovvero al valore che sarà effettivamente definito per il
2017. In quest’ultimo caso, occorrerebbe esplicitarlo nel testo.
Al riguardo, si evidenzia che la percentuale massima sopra indicata è coerente con la percentuale della quota del FFO attribuita per finalità premiali (ex art. 2, D.L. 180/2008-L. 1/2009), che, in base all’art. 60, co. 01, del D.L. 69/2013 (L. 98/2013), può raggiungere (a seguito di successivi incrementi annuali non inferiori al 2%) il 30%.
Articolo 13
(Disposizioni in materia di risanamento ambientale da parte
dell’Amministrazione straordinaria di ILVA)
L’articolo 13 contiene disposizioni volte ad attuare le misure previste dall’articolo 1 comma 6-undecies del D.L. n. 191/2015, il quale interviene sulla destinazione delle somme che, a seguito del trasferimento dei complessi aziendali del Gruppo ILVA, sono confiscate o che comunque pervengono allo Stato in via definitiva all'esito di procedimenti penali pendenti nei confronti di azionisti e amministratori di società del gruppo ILVA per fatti anteriori al suo commissariamento.
La disposizione in esame prevede che - qualora la confisca abbia ad oggetto le obbligazioni (emesse a valere sulle somme già oggetto di sequestro nell’ambito dei procedimenti penali nei confronti dei predetti soggetti) - ferma la destinazione delle somme rivenienti dalla sottoscrizione delle medesime obbligazioni per le finalità di risanamento e bonifica ambientale, il finanziamento statale concesso ad ILVA è estinto mediante utilizzo delle risorse finanziarie derivanti dalla sottoscrizione delle suddette obbligazioni.
Nello specifico, il vigente comma 6-undecies del D.L. n. 191/2015, dispone che - salvo quanto dovuto per spese di giustizia – le somme in questione siano versate all'entrata del bilancio dello Stato, a titolo di restituzione del finanziamento statale ad ILVA autorizzato fino a 800 milioni (dal comma 6-bis del medesimo articolo 1 del D.L. n. 191/2015), fino a concorrenza dell’importo finanziato e, per la parte eccedente, sulla contabilità speciale dell'amministrazione straordinaria per essere destinate al finanziamento di interventi per il risanamento e la bonifica ambientale e, in via subordinata, alla riqualificazione e riconversione produttiva dei siti contaminati, nei comuni di Taranto e di Statte.
Il comma 6-undecies interviene dunque sulle somme pervenute in via definitiva all’esito dei procedimenti penali nei confronti della famiglia Riva e degli amministratori del gruppo.
Peraltro, con un intervento contenuto nel D.L. n. 1/2015, il legislatore aveva già disposto in ordine all’utilizzo delle somme sottoposte a sequestro penale nell'ambito dei procedimenti penali pendenti nei confronti degli azionisti e amministratori di società del gruppo ILVA (dunque, nell’ambito di procedimenti non ancora conclusi) destinando le somme stesse, sulla base di un particolare meccanismo delineato nell’articolo 3, comma 1 del D.L. n. 1/2015 alle attività di risanamento ambientale.
Ai sensi dell’articolo 3, comma 1 del D.L. n. 1/2015, l'organo commissariale di ILVA S.p.A. è stato infatti autorizzato a richiedere il trasferimento (in Italia) delle somme sottoposte a sequestro penale nell'ambito dei procedimenti pendenti nei confronti degli azionisti e amministratori di società del gruppo ILVA e a richiedere che l'autorità giudiziaria procedente disponesse l'impiego delle somme sequestrate per la sottoscrizione di obbligazioni emesse dalla società in amministrazione straordinaria (in luogo dell'aumento di capitale) e intestate al Fondo Unico di Giustizia e, per esso, al gestore ex lege Equitalia Giustizia S.p.A. Il sequestro penale sulle somme si sarebbe convertito in sequestro delle obbligazioni.
Il medesimo articolo 3, comma 1 ha poi disposto che le somme rivenienti dalla sottoscrizione delle obbligazioni dovessero essere versate in un patrimonio dell'emittente destinato in via esclusiva alla realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dell'impresa in A.S. e, nei limiti delle disponibilità residue, a interventi volti alla tutela della sicurezza e della salute, nonché di ripristino e di bonifica ambientale secondo le modalità previste dall'ordinamento vigente.
La legge di bilancio 2017 ha poi modificato la norma in questione disponendo che la destinazione delle somme alle predette finalità avvenga previa restituzione del finanziamento statale autorizzato (fino ad 800 milioni, di cui 600 milioni di euro per il 2016 e 200 milioni per il 2017) ai sensi del già citato articolo 1, comma 6-bis, del D.L. n. 191/2015 per la realizzazione del Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dell'impresa in amministrazione straordinaria ed effettivamente erogato[35].
Per quanto riguarda le somme in questione, i Commissari Straordinari di Ilva - ai sensi del citato articolo 3, co. 1 del D.L. n. 1/2015, con istanza di marzo 2015 - hanno dunque iterato richiesta di trasferimento in Italia delle somme sottoposte a sequestro penale dal GIP del Tribunale di Milano, o di altri procedimenti penali pendenti nei confronti di azionisti e amministratori di società del gruppo ILVA.
Nel procedimento milanese, l'11 maggio 2015 il GIP ha dunque disposto l'utilizzo dei valori patrimoniali dei trust sequestrati rogatorialmente per la sottoscrizione di obbligazioni, ordinando la conversione del sequestro dei valori in un sequestro delle obbligazioni emesse (ai sensi del sopra commentato articolo 3, comma 1, del D.L. n. 1/2015).
Equitalia Giustizia S.p.A. ha ordinato a UBS Fiduciaria di impartire a UBS Switzerland un ordine di pagamento. UBS Fiduciaria ha quindi impartito alla banca svizzera l'ordine di trasferire in Italia i valori patrimoniali. Il 19 giugno 2015, la Procura del Canton Zurigo (Staatsanwaltschaft I des Kantons Zürich) ha dato l'autorizzazione alla banca svizzera per consegnare i beni dei trust all'Italia, ma, con sentenza del 18 novembre 2015, la Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale di Bellinzona ha annullato la decisione della Procura del Canton Zurigo.
Il rientro delle somme in Italia si è concluso solo a seguito dell’accordo transattivo stipulato a maggio 2017 tra i commissari straordinari di ILVA S.p.A. e la Partecipazioni Industriali S.p.A. (già RIVA FIRE, società Capogruppo facente capo alla famiglia Riva), con contestuale accoglimento da parte del GUP di Milano della richiesta da parte dei difensori dei soggetti imputati di patteggiamento (applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.), con sentenza depositata il 26 maggio 2017.
In virtù dell’accordo transattivo[36], le somme sono state dunque materialmente trasferite al Fondo unico giustizia (FUG) [37] perché il FUG , e, per esso Equitalia Giustizia S.p.a., quale gestore ex lege del Fondo, le impieghi per la sottoscrizione di obbligazioni emesse da ILVA in amministrazione straordinaria.
Tali somme e le relative obbligazioni sono state dunque, in virtù dell’accordo transattivo, oggetto di rinuncia da parte di Partecipazioni Industriali S.P.A e, successivamente - in virtù della sentenza del GUP di Milano - oggetto di confisca sempre mantenendo la destinazione (bonifica e risanamento ambientale, previa restituzione del prestito erogato ad ILVA) indicata dal D.L. n. 1/2015.
L’articolo 13 qui in esame dispone che - qualora la confisca abbia ad oggetto le obbligazioni (emesse a valere sulle somme già oggetto di sequestro nell’ambito dei procedimenti penali nei confronti di azionisti e amministratori di società del gruppo ILVA per fatti anteriori al suo commissariamento) - ferma la destinazione delle somme rivenienti dalla sottoscrizione delle medesime obbligazioni per le finalità di risanamento e bonifica ambientale di cui all'articolo 3, comma 1 del D.L. n. 1/2015, il finanziamento statale concesso ad ILVA (ai sensi dell'articolo 1, comma 6-bis, del D.L. n. 191/2015) è estinto mediante utilizzo delle risorse finanziarie derivanti dalla sottoscrizione delle suddette obbligazioni.
I
crediti derivanti dalla sottoscrizione
delle suddette obbligazioni sono dunque estinti fino a concorrenza dell'ammontare delle spese e dei costi
sostenuti, a valere sul patrimonio destinato dell'emittente costituito ai
sensi del citato articolo 3, comma 1, del D.L. n. 1/2015, per l'attuazione e la realizzazione di interventi di risanamento e
bonifica ambientale, compresi gli interventi già autorizzati a valere sui
finanziamenti statali concessi.
La relazione illustrativa afferma che, in tal modo, viene chiarita la destinazione finale delle somme oggetto di sequestro nell’ambito dei procedimenti giudiziari in questione.
Nella relazione è evidenziato che la disciplina del loro utilizzo in corso di sequestro aveva correttamente previsto, stante il carattere non definitivo del provvedimento, un obbligo di rimborso: in caso di caducazione del sequestro, infatti, le obbligazioni sarebbero state retrocesse ai titolari che avrebbero avuto diritto al rimborso dei fondi impiegati per la loro sottoscrizione.
Nel caso di definitiva confisca è invece possibile destinare stabilmente, nei limiti già previsti dalla previgente norma, le somme in questione, permettendo di realizzare le finalità di tutela ambientale mediante estinzione del credito nei confronti dell’amministrazione straordinaria dell’ILVA derivante dalla sottoscrizione delle obbligazioni, che ne costituisce la modalità concreta di finanziamento.
Per ciò che concerne il Piano ambientale, si ricorda che la
realizzazione delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria e
sono state oggetto di ripetuti interventi, da ultimo con il D.L. n. 244/2016 ed
esse sono state strettamente correlate con la cessione dei beni aziendali del
gruppo ILVA.
Quanto a tale cessione, un comunicato del
Ministero dello sviluppo economico del 5 giugno 2017 informa che il Ministro, in pari data, ha firmato
il decreto che autorizza i Commissari straordinari del Gruppo Ilva a procedere
alla aggiudicazione dei complessi aziendali del gruppo Ilva S.p.A. ad Am Investco Italy S.r.l, il cui capitale sociale risulta detenuto
da ArcelorMittal Italy Holding
S.r.l. (51%), ArcelorMittal
S.A. (34%) e Marcegaglia Carbon Steel S.p.A. (15%).
L’offerta di Am Investco Italy S.r.l. prevede,
tra l’altro un prezzo di acquisto di €1.800 milioni; previo affitto
dell’azienda il cui canone annuo è €180 milioni.
L’offerta di Am Investco Italy S.r.l. prevede, tra l’altro, per ciò che concerne
il piano ambientale, l’esecuzione entro il 2023 del piano
stesso, con l’effettuazione di investimenti per €1.137 milioni, tra i quali
€301 milioni destinati alla copertura dei parchi minerari a tutela del
territorio che insiste sulla centrale; €196 milioni alle cokerie e €179 milioni
al piano acque.
Il termine del programma dei
Commissari coinciderà con il termine di ultimazione del Piano ambientale di
ILVA (2023).
Quanto alla produzione, il mantenimento della
stessa previsto dall’accordo con gli offerenti è fissato a 6Mt, sostanzialmente
in linea con l’attuale, fino al completamento del Piano ambientale, e il
successivo ripristino dei volumi nel 2024 ai livelli ante sequestro nei limiti dell’AIA vigente (8Mt) mediante 3
altoforni.
Quanto agli investimenti complessivi, l’offerta
prevede investimenti per circa €2.400 milioni di cui €1.250 milioni di
investimenti tecnologici e €1.150 milioni di investimenti ambientali.
Con riferimento ai livelli occupazionali il piano Am Investco Italy S.r.l. prevede un organico pari a 9.407 occupati
(FTE) nel 2018, destinati a ridursi nell’arco del Piano a 8.480 occupati
costanti. Il costo del lavoro per FTE è indicato in 50mila euro nel 2018 (in
linea con i livelli attuali di ILVA S.p.A.) e in 52mila euro a partire dal
2021.
Il comunicato afferma che
oggi l’organico delle società ILVA oggetto del trasferimento è composto da
14.220 lavoratori ed il ricorso alla cig
straordinaria riguarda complessivamente
un massimo di 4.100 addetti.
Disponibilità ad ulteriori impegni. AM ha comunicato la propria disponibilità alla
assunzione di ulteriori impegni da definire nella sede negoziale successiva alla aggiudicazione:
§ riduzione dei tempi per la realizzazione degli investimenti ambientali con
particolare riferimento alla copertura dei parchi;
§ valutazione dell’impiego della tecnologia DRI e le condizioni della sua sostenibilità economica;
§ impegno a non modificare il piano industriale e i connessi
livelli occupazionali, anche a fronte di eventuali richieste di impegni di
dismissione di asset
o vincoli di produzione imposti dall’Antitrust europeo e a rinunciare alla possibilità di ritirare la propria offerta
qualora l’autorizzazione antitrust sia subordinata al rispetto di prescrizioni
tali da alterare le motivazioni strategiche a base dell’offerta;
§ maggiori impegni sul piano occupazionale nel quadro di una occupazione complessiva di circa 10.000 occupati nel gruppo ILVA, per tutta la durata del Piano.
Il comunicato del MISE
informa inoltre che il decreto ministeriale adottato prevede che i Commissari
straordinari, nell’ambito della
negoziazione in esclusiva con l’aggiudicatario, indirizzeranno prioritariamente l’attività sui seguenti obiettivi:
§ miglioramento dell’offerta sotto il profilo della tutela occupazionale, prevedendosi che il livello occupazionale
riferibile complessivamente al gruppo Ilva sia costituito da almeno 10.000 unità per l’intero periodo di riferimento del piano industriale
tenendo conto che l’accordo sindacale potrà ulteriormente precisare e
incrementare tale obbligo;
§ massima compressione, per quanto nella
disponibilità delle parti, dei tempi
delle procedure da espletare a seguito dell’aggiudicazione, con particolare riferimento alla presentazione dell’istanza di
modifica del piano ambientale di cui all’art 1, comma 8.1D.L. n. 191/2015 e all’espletamento della procedura antitrust;
§ definizione di clausole contrattuali idonee a garantire la
piena esecuzione delle obbligazioni contrattuali, comprese quelle relative all’attuazione del piano industriale e del piano ambientale e ai correlati livelli occupazionali,
anche nell’ipotesi di imposizione di vincoli e limitazioni da parte della
competente autorità antitrust;
§ rafforzamento e
specificazione delle iniziative sul territorio previste nell’offerta, con
particolare riferimento alla realizzazione di un centro di ricerca nel sito di
Taranto;
§ adeguata finalizzazione
dell’impegno offerto da AM ad individuare e perseguire le soluzioni tecnologiche più sostenibili ed efficienti e con il minor
impatto ambientale, anche valutando l’impiego della tecnologia DRI e le
condizioni della sua sostenibilità economica;
§ riduzione dei tempi previsti
in offerta per la realizzazione degli interventi di copertura dei parchi
primari.
Per quanto riguarda i
contenuti del nuovo programma della procedura, si legge nel Comunicato che i Commissari
straordinari dovranno integrare il programma della procedura, come previsto
dall’art 1, commi 8.4 e 8.5 del decreto legge 191/2015, prevedendo:
§ l'esecuzione di interventi
di ambientalizzazione e di ulteriori interventi di decontaminazione e
risanamento ambientale non previsti nel Piano, ma ad esso connessi, anche
mediante formazione e impiego del personale della società rimasto alla
amministrazione straordinaria ;
§ la definizione ed esecuzione
di attività di sostegno assistenziale e sociale per le famiglie disagiate nei
comuni di Taranto, Statte, Crispiano, Massafra, e Montemesola, per la durata di
3 anni, con risorse pari a complessivi 30 milioni di euro.
Il termine del programma dei
Commissari coinciderà con il termine di ultimazione del Piano ambientale di
ILVA (2023).
Articolo 14
(Proroga dei
termini per l'effettuazione degli investimenti di cui all'articolo 1, comma 9,
della legge 11 dicembre 2016, n. 232)
L'articolo proroga dal 30 giugno 2018 al 31
luglio 2018 il termine temporale per l'effettuazione degli investimenti ammessi
al beneficio fiscale cosiddetto del super ammortamento.
L’articolo 1, comma 9, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, ha introdotto un beneficio per gli investimenti in beni materiali strumentali nuovi ad alto contenuto tecnologico per agevolare la trasformazione tecnologica e digitale delle imprese in chiave Industria 4.0, riconoscendo per tali investimenti una maggiorazione del costo di acquisizione del 150%.
Il comma 1 proroga dal 30 giugno 2018 al 31 luglio 2018, con riferimento agli investimenti in beni materiali strumentali nuovi compresi nell'elenco di cui all'allegato A della L. 11 dicembre 2016, n. 232, e successive modificazioni, il termine temporale per l'effettuazione dei medesimi investimenti, ai fini del beneficio fiscale cosiddetto del super-ammortamento.
Resta immutato il termine del 31 dicembre 2017 per il rispetto delle condizioni costituite dall'accettazione del relativo ordine da parte del venditore e dell'esecuzione del pagamento di acconti, in misura almeno pari al 20 per cento del costo di acquisizione.
Come si è detto, la vigente normativa dei cd. "super-ammortamenti" dei beni strumentali nuovi ha infatti una valenza temporale limitata agli investimenti in nuovi macchinari ed attrezzature effettuati nel periodo dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2017, ovvero entro il 30 giugno 2018 a condizione che, entro la data del 31 dicembre 2017, il relativo ordine risulti accettato dal fornitore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20% del costo di acquisizione.
Con il presente articolo si dispone, quindi, al fine di consentire la concreta possibilità di fruizione della misura agevolativa di cui trattasi ed in considerazione della particolare complessità riguardante la realizzazione dei beni in questione con conseguente allungamento dei tempi necessari per la consegna degli stessi, la proroga del termine entro il quale tali investimenti devono essere effettuati.
Il suddetto termine, pertanto, viene prorogato dal 30 giugno 2018, inizialmente previsto con il rinvio al comma 8 dello stesso articolo 1, al 31 luglio 2018, lasciando ferma la condizione che gli investimenti in oggetto si riferiscano a ordini accettati dal venditore entro la data del 31 dicembre 2017 e che, entro la medesima data, sia anche avvenuto il pagamento di acconti in misura non inferiore al 20%.
La relazione tecnica riferisce che la proroga di un mese, in luogo di quella vigente, si ritiene determini un ulteriore incremento di circa il 3% della quota di investimenti rispetto alla percentuale di incremento che era stata indicata nella relazione originaria.
Il comma 2 dell'articolo 14 incrementa
4 milioni di euro per l'anno 2024 e 6 milioni di euro per l'anno 2025 la
dotazione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui
all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282.
Il comma 3 stabilisce la copertura finanziaria degli oneri dei comuni 1 e 2, valutati in 15 milioni di euro per l'anno 2019, in 24 milioni di euro per l'anno 2020, in 17 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2023, e in 2 milioni di euro per l'anno 2024 e pari a 4 milioni di euro per l'anno 2024 e a 6 milioni di euro per l'anno 2025.
A tal fine si provvede:
a) quanto a 6 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2019 al 2024, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2017-2019, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2017, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'economia e delle finanze per 4,820 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2019 al 2024, e l'accantonamento relativo al Ministero dello sviluppo economico per 1,180 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2019 al 2024;
b) quanto a 8 milioni di euro per l'anno 2019, a 18 milioni di euro per l'anno 2020 e a 11 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2023, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282;
c) quanto a 1 milione di euro per l'anno 2019, mediante corrispondente utilizzo del fondo di parte corrente iscritto nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico ai sensi dell'articolo 49, comma 2, lettere a) e b), del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89;
Il D.L. 24 aprile 2014, n.
66 ha disciplinato, all'articolo 49, il riaccertamento
straordinario residui prevedendo che nelle more del
completamento della riforma della legge di contabilità e finanza pubblica il
Ministro dell'economia e delle finanze adottasse un programma straordinario di riaccertamento dei residui passivi nonché riaccertamento della sussistenza delle partite debitorie
iscritte nel conto del patrimonio dello Stato. Il comma 2 dell'articolo in
parola ha provveduto all'istituzione, separatamente per la parte corrente e per
il conto capitale, di appositi fondi da iscrivere negli stati di previsione
delle Amministrazioni interessate, da ripartire con decreto del Ministro
dell'economia e delle finanze, per il finanziamento di nuovi programmi di
spesa, di quelli già esistenti e per il ripiano dei debiti fuori bilancio. La
dotazione dei predetti fondi è fissata su base pluriennale, in misura non
superiore al 50 per cento dell'ammontare dei residui eliminati di rispettiva
pertinenza.
d) quanto a 6 milioni di euro per l'anno 2025, mediante corrispondente utilizzo delle maggiori entrate derivanti dal comma 1 del presente articolo.
Articolo 15
(Assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali nelle regioni del
Mezzogiorno)
L'articolo conferisce agli enti locali delle regioni del Sud, in via sperimentale e per la durata di tre anni, la facoltà di ottenere supporto tecnico e amministrativo da parte delle prefetture.
Il comma 1 attribuisce agli enti locali appartenenti alle regioni meridionali (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) la facoltà di attivare forme di assistenza tecnica e amministrativa da parte delle Prefetture-Uffici territoriali del Governo operanti nel medesimo territorio.
Tale supporto è diretto a favorire la qualità, il buon andamento, l’imparzialità e l’efficienza dell’azione amministrativa degli stessi enti locali che lo richiedono, nonché a diffondere le buone prassi volte a rafforzare la coesione sociale e migliorare i servizi affidati alle amministrazioni territoriali.
Ai
sensi della normativa vigente (art.11 del D.lgs. n.300/1999 e D.P.R.
n.180/2006) le Prefetture-Uffici territoriali di Governo coordinano l'attività
amministrativa degli uffici periferici dello Stato e garantiscono la leale
collaborazione di detti uffici con gli enti locali. Risulta
a tal fine centrale l'attività della conferenza provinciale permanente,
presieduta dal prefetto e composta dai responsabili delle strutture amministrative
periferiche dello Stato che svolgono la loro attività nel territorio provinciale
e da rappresentanti degli enti locali.
L'art. 9 del DPR n.180/2006 demanda al Prefetto il
compito di promuovere "tutte le possibili forme di collaborazione interistituzionale tra lo Stato e le autonomie territoriali".
La richiamata normativa in materia fa salve le
competenze spettanti alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome
(art.11, comma 2, del D.lgs. n.300 del 1999 e art. 10 del DPR n.180/2006).
Il comma 2 specifica che:
1) il richiamato supporto tecnico e amministrativo è aggiuntivo rispetto all'attività di assistenza che le legge n.56 del 2014 affida alle province e alle città metropolitane.
Il comma in esame richiama il comma 85, lett.d), e il comma 88 dell'articolo 1 della
legge n.56 del 2014 (cosiddetta legge Delrio), con
cui è stato operato il riordino delle province e sono state istituite le città
metropolitane. Le province hanno, nell'ambito delle funzioni fondamentali ad
esse attribuite dalla legge stessa, i seguenti compiti:
§ raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali (commi 85, lett d))
§ esercizio, d'intesa con i comuni eventualmente interessati, delle funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive (comma 88).
La richiamata funzione di assistenza in capo
alle province deve intendersi estesa anche alle città metropolitane, in virtù
dell'art.1, comma 44, della legge n.56 del 2014, secondo cui a quest'ultima
sono attribuite le funzioni fondamentali delle province.
Il medesimo comma 44, lett. c), non richiamato dal comma 2 in esame,
attribuisce esplicitamente alle città metropolitane tali funzioni di assistenza
("funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione
appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di
concorsi e procedure selettive").
Al fine di assicurare
un miglior coordinamento con la normativa vigente e di rendere inequivoco che sono
fatte salve anche le funzioni di assistenza esercitate dalle città
metropolitane, potrebbe essere richiamato, al comma 2, anche l'art. 1, comma
44, lettera c), della legge
n.56 del 2014. Ciò anche tenuto conto che nella relazione illustrativa si fanno
salve solo le funzioni di assistenza svolte dalle province, senza alcun
riferimento alle analoghe funzioni assegnate alle città metropolitane.
2) che il supporto tecnico e amministrativo è esercitato:
§ nel rispetto delle competenze e responsabilità dei soggetti coinvolti (enti locali e prefetture);
§ con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Il comma 3 stabilisce che le disposizioni relative alla collaborazione fra prefetture ed enti locali hanno carattere sperimentale e si applicano per una durata di 3 anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto-legge. Il secondo periodo del comma 3 contiene una clausola valutativa, secondo cui, terminato il periodo di sperimentazione, il Ministero dell’interno effettua un monitoraggio sugli esiti dell'attività di supporto svolta e riferisce in merito in sede di Conferenza Stato – Città ed autonomie locali.
Articolo 16
(Immigrazione: marginalità sociale e integrazione)
L'articolo 16 reca un duplice ordine di previsioni, relative a:
ü misure (adottate da appositi Commissari straordinari) volte ad arginare degrado e marginalità sociali in alcune aree del Mezzogiorno, connotate da una elevata concentrazione di migranti (commi 1-3);
ü misure 'premiali' per i Comuni impegnati nell'accoglienza e nell'integrazione (commi 4 e 5).
I commi 1, 2 e 3 fanno specifico riferimento a tre aree del Mezzogiorno:
Manfredonia (Foggia);
San Ferdinando (Reggio Calabria);
Castel Volturno (Caserta).
Posto che - rileva il comma 1 - in tali aree si hanno una "massiva concentrazione" di cittadini stranieri e situazioni di "particolare degrado", la disposizione dà facoltà al Presidente del Consiglio di nominare con proprio decreto (su proposta del Ministro dell'interno) Commissari straordinari.
Essi sono nominati tra i prefetti - anche in quiescenza - e non ricevono compensi di sorta (solo i rimborsi spese, a carico dei bilanci delle amministrazioni "competenti").
I compiti dei Commissari straordinari sono delineati dal comma 2.
Essi adottano (d'intesa con il Ministro dell'interno e con il prefetto competente) un piano di risanamento delle aree; coordinano la realizzazione del piano.
Tra le finalità del piano di risanamento figura la graduale integrazione dei migranti regolari, con particolare riguardo all'accesso ai servizi sociali e sanitari, alle misure di integrazione previste nel territorio, alla scuola.
La dotazione di mezzi e di personale dei Commissari straordinari è demandata al decreto del Presidente del Consiglio sopra ricordato. Si attinge alle risorse disponibili nei bilanci delle amministrazioni "interessate".
Parte del compito del Commissario straordinario consiste nel raccordo con gli uffici periferici delle amministrazioni statali e nella collaborazione con gli enti territoriali.
Così come consiste nel raccordo con le iniziative promosse dalla cabina di regia della rete del lavoro agricolo di qualità (v. infra).
Il comma 3 pone per le attività commissariali una clausola di invarianza rispetto alle risorse disponibili a legislazione vigente.
E prevede che gli enti territoriali possano predisporre progetti da finanziare con fondi europei, anche in collaborazione con le organizzazioni del Terzo settore.
La Rete del lavoro di qualità è stata istituita dal decreto-legge n. 91 del 2014 (articolo 6) presso l'INPS. Vi possono partecipare le imprese agricole in possesso dei seguenti requisiti: a) non avere riportato condanne penali per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale e in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto; b) non essere stati destinatarie, negli ultimi tre anni, di sanzioni amministrative per le violazioni sopra dette; c) essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi.
La cabina di regia della Rete è composta da un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero delle politiche agricole e forestali, del Ministero dell’economia e delle finanze, dell’INPS e della Conferenza regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, nonché da tre rappresentanti dei lavoratori subordinati e tre rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori autonomi dell'agricoltura nominati con decreto ministeriale, su designazione delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale.
I compiti della cabina di regia sono, in particolare: a) deliberare sulle istanze di partecipazione alla Rete; b) escludere dalla Rete le imprese agricole che perdono i requisiti; c) redigere e aggiornare l’elenco delle imprese agricole che partecipano alla Rete e curarne la pubblicazione sul sito internet dell’INPS; d) formulare proposte al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero delle politiche agricole e forestali in materia di lavoro e di legislazione sociale nel settore agricolo.
Hanno diverso oggetto i restanti due commi
dell'articolo in esame (i quali non paiono circoscrivere il proprio ambito di
applicazione ai Comuni delle tre aree di disagio sopra ricordate).
Il comma 4
incrementa di 150 milioni annui per il 2018 il Fondo istituito (con 100 milioni per il solo 2016, sullo stato di
previsione del Ministero dell'interno) dal decreto-legge n. 193 del 2016 (all'articolo 12, che al contempo incrementava di 600 milioni
per il 2016 le risorse per l'attivazione, locazione, gestione dei centri di
trattenimento e di accoglienza per stranieri).
Quel Fondo è stato istituito nel 2016 affinché lo Stato concorresse agli oneri sostenuti dai Comuni che
accolgono richiedenti protezione internazionale.
L'incremento del Fondo è ora dato (ai sensi del comma
in esame) affinché lo Stato concorra agli oneri sostenuti dai Comuni per i
servizi e le attività "strettamente funzionali" all'accoglienza ed
integrazione dei migranti.
Le modalità di ripartizione tra i Comuni interessati
sono demandate a decreto del Ministro dell'interno (di concerto con quello
dell'economia).
La comunicazione ai Comuni delle risorse loro
spettanti si prevede venga effettuata (dal Ministero dell'interno, sulla base
di uno "specifico monitoraggio trimestrale") entro il 30 novembre
2017.
La norma dispone una soglia massima di erogazione, pari a 700 euro per ogni richiedente
accolto nei centri del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati
o a 500 euro per ogni migrante presente in altre strutture.
Le disponibilità del Fondo sono comunque la
complessiva soglia non valicabile, ai fini della ripartizione.
La copertura finanziaria dell'incremento del Fondo qui
disposta è a valere del Fondo per le esigenze indifferibili palesatesi in corso
di gestione, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze.
L'accoglienza
dei migranti richiedenti protezione internazionale, dopo le fasi del primo
soccorso e accoglienza, si instaura ad opera del Sistema di protezione per
richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR).
Il
sistema è costituito da una rete di enti locali, su base volontaria. Essi
accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le
politiche e i servizi dell'asilo e realizzano, in raccordo con i soggetti del
terzo settore, interventi di accoglienza 'integrata', non limitati alla
distribuzione di vitto e alloggio ma estesi a misure di formazione, assistenza
e orientamento.
Composizione
di base della Rete SPRAR
(al 1°
aprile 2017)
Il comma
5 prevede che, per gli anni 2018 e 2019, i Comuni possano innalzare del 10 per cento il limite di spesa che
vale quale loro soglia massima assunzionale ai sensi
del decreto-legge n. 78 del 2010 (articolo 9, comma 28).
Tale elevamento del limite assunzionale è consentito per i rapporti di lavoro
flessibile esclusivamente finalizzati a garantire i servizi e le attività
strettamente funzionali all'accoglienza e all'integrazione dei migranti.
La disposizione consente siffatto elevamento
del limite assunzionale solo ai Comuni "di cui al comma 4". Parrebbe
suscettibile di approfondimento se tale formulazione-rinvio delimiti in modo
inequivoco la platea degli enti locali destinatari. E qualora debba intendersi
che destinatari siano i Comuni percettori del contributo a valere sul comma 4,
potrebbe rilevarsi come l'atto di loro individuazione sia una
"comunicazione" del Ministero dell'interno, non maggiormente definita
quanto a qualificazione formale dell'atto.
Infine il comma 5 esclude che le risorse previste
per l'attivazione dei contratti flessibili sopra ricordati, possano essere
utilizzate per le procedure volte alla stabilizzazione del precariato nelle
pubbliche amministrazioni.
La richiamata stabilizzazione del precariato nelle
pubbliche amministrazioni è oggetto dell'articolo 20 del decreto legislativo n.
75 del 2017, che ha previsto che le pubbliche amministrazioni (al fine di
superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare
la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo
determinato) possa nel triennio 2018-2020 (con l'indicazione della relativa
copertura finanziaria) assumere a tempo indeterminato personale non
dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti: a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in
vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso
l'amministrazione che procede all'assunzione; b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle
medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso
amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all'assunzione; c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017,
alle dipendenze dell'amministrazione che procede all'assunzione almeno tre anni
di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni. Nello stesso
triennio 2018-2020, le amministrazioni possono bandire (ferma restando la
garanzia dell'adeguato accesso dall'esterno e previa indicazione della
copertura finanziaria) procedure concorsuali riservate, in misura non superiore
al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che
possegga tutti i seguenti requisiti: a)
risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso
l'amministrazione che bandisce il concorso; b)
abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto,
anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l'amministrazione che
bandisce il concorso.
Articolo 17
(Entrata in vigore)
L’articolo 17 dispone l’entrata in vigore del decreto legge il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale (Gazzetta Ufficiale n. 141 del 20 giugno 2017).
[1] Doc. CCLIII,
n. 1. Si tratta di relazioni, inviate dal Ministro dell'economia e delle
finanze, sull'attuazione delle misure incentivanti, previste dal decreto
legislativo 21 aprile 2000, n. 185, in favore dell'imprenditorialità e
dell'autoimpiego, riferite agli anni dal 2007 al 2015, delegate ex lege all'Agenzia nazionale per l'attrazione degli
investimenti e lo sviluppo d'impresa SpA. Vi si dà
conto delle attività a favore dell'autoimprenditorialità e dell'autoimpiego,
con valutazione degli effetti.
[2] Valutando anche la sostenibilità tecnico-economica del progetto.
[3] Dal 2008 Invitalia ha attraversato un profondo processo di ristrutturazione: il piano di riordino e dismissioni previsto dal comma 461 dell'articolo 1 della legge n. 296 si è praticamente concluso nel 2012. Nel corso degli anni 2012 e 2013 il ruolo di Invitalia quale soggetto preposto all'attuazione delle politiche di sviluppo nazionale è stato rafforzato. In particolare, all'Agenzia è stato attribuito il compito di accelerare la realizzazione degli investimenti strategici, anche agendo direttamente quale centrale di committenza per la gestione degli appalti pubblici (comma 2 e comma 2-bis dell'articolo 55-bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, aggiunto dall'articolo 29-bis, comma 1, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134) e come soggetto responsabile per l'attuazione dei contratti istituzionali di sviluppo (articolo 9-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98). Inoltre, il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, che all'articolo 10, comma 1, istituisce l'Agenzia per la coesione territoriale, al comma 2, lett. f-bis, prevede che la Presidenza del Consiglio possa avvalersi del contributo di Invitalia per rafforzare l'attuazione della politica di coesione.
[4] Pari a 1,25 miliardi di euro del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) – Programmazione 2014-2020.
[5] Il DEF 2016
riporta che le richieste di accesso al Fondo sono cresciute nel 2015 del 17%
rispetto al 2014. Per quanto riguarda gli interventi in materia garanzie a
sostegno degli investimenti delle imprese, il Governo in quel testo evidenziava
– sulla scorta di quanto rilevato dalla Commissione UE nel Country Report di febbraio 2016 - che il Fondo centrale di Garanzia
per le PMI ha svolto un ruolo rilevante, prevedendone un rafforzamento con
interventi correttivi, migliorativi. Il PNR richiama in proposito gli
interventi già adottati nel D.L. n. 3/2015 (articolo 8-comma 2-bis e 8-bis) e con la legge di Stabilità 2016 (articolo 1, comma 886) che è
intervenuta per ampliare le garanzie che possono essere concesse a valere su di
esso, destinando almeno il 20 per cento delle risorse disponibili del Fondo
alle imprese e agli investimenti localizzati nelle regioni Abruzzo, Basilicata,
Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna.
[6] Con la ripartizione del Fondo investimenti di cui al comma 140 dell’articolo 1 della legge n. 232/2016, operata con lo schema di D.P.C.M. (A.G. 409) - sul quale è stato espresso parere favorevole dalla Commissione Bilancio della Camera in data 9 maggio 2017, in corso di pubblicazione – stati destinati al Programma straordinario di riqualificazione delle periferie 800 milioni di euro per il triennio 2017-2019 (270 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018 e 260 milioni di euro per l'anno 2019).
[7] In sostanza, dunque, lo stanziamento complessivamente richiesto per la realizzazione di tutti i 120 progetti inseriti nella graduatoria del Programma straordinario approvata con il D.P.C.M. 6 dicembre 2016 è pari a 2.061,3 milioni di euro, cui si provvede:
§ per 500 milioni, ai sensi della legge n. 208/2015;
§ per 800 milioni, con le risorse derivanti da riparto del Fondo investimenti, di cui al comma 140 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2017;
§ per 798,17 milioni, ai sensi della deliberazione del CIPE del 3 marzo 2017, in corso di pubblicazione, a valere sulle risorse del Fondo sviluppo e coesione della programmazione 2014-2020, in attuazione del comma 141 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2017, ripartite per 603,9 milioni di euro in favore delle città e dei comuni del Mezzogiorno e per 194,27 milioni di euro in favore delle città e dei comuni del Centro Nord.
[8] La norma citata prevede che per le gestioni fuori bilancio il bilancio consuntivo o il rendiconto annuale è soggetto al controllo della competente ragioneria centrale e della Corte dei conti.
[9] I consorzi
agrari hanno lo scopo di contribuire all'innovazione ed al miglioramento della
produzione agricola, nonché alla predisposizione e gestione di servizi utili
all'agricoltura. I consorzi possono inoltre compiere operazioni di credito
agrario di esercizio in natura, ai sensi dell'articolo 153 del decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nonché di anticipazione ai produttori in
caso di conferimento di prodotti agricoli all'ammasso volontario, e possono
partecipare a società i cui scopi interessino l'attività consortile o
promuoverne la costituzione.
[10] Decreto legislativo 31 maggio 2011, n.88, recante disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali, a norma dell’articolo 16 della legge delega sul federalismo fiscale n.42 del 2009.
[11] Riferimento che ora va fatto al nuovo codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n.50 del 2016.
[12] Costituita dal Presidente del Consiglio dei ministri o da un suo delegato, ai sensi di quanto dispone l’articolo 12 del decreto-legge n.133 del 2014.
[13] Recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca,.
[14] Il decreto legge n. 134/2008 (cd. Alitalia) ha ampliato l'ambito dei destinatari della disciplina del decreto legge n. 347, consentendone l'applicazione anche alle imprese in stato di insolvenza che intendano ricorrere alle procedure di cessione di complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno.
[15] Il provvedimento è attualmente all'esame del Senato (A.S. 2831).
[16] A tal fine il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del disegno di legge, un decreto legislativo su proposta del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro della giustizia, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
[17] La legittimazione attiva del commissario
straordinario della società cedente, come evidenziato nella relazione
illustrativa, è prevista al fine di assicurare la vigilanza sul rispetto degli
impegni contrattualmente assunti, sotto il profilo sia del pagamento del
prezzo, sia del mantenimento dell’occupazione e della realizzazione del piano
industriale.
[18] La medesima relazione individua la ratio di tale intervento normativo nella necessità di consentire il perseguimento del tentativo conservativo, proprio della procedura di amministrazione straordinaria, nell’ipotesi in cui la società cessionaria, resasi inadempiente, divenga insolvente, nelle more del relativo contenzioso, e non possa accedere ad una nuova procedura per mancanza dei requisiti in precedenza posseduti. Ciò sia in riferimento al requisito dimensionale, per il caso in cui i dipendenti vengano resi oggetto di procedure di licenziamento collettivo, sia in riferimento al requisito relativo all’ammontare complessivo dei debiti, considerato che le operazioni di acquisizione avvengono di norma per il tramite di una newco.
[19] In particolare la relazione illustrativa ricorda la circolare 28 settembre 2015, n. 11845.
[20] In virtù del disposto dell’art. 264, comma 2-bis, in base al quale le integrazioni e le modifiche degli allegati alle norme in materia di gestione dei rifiuti dettate dal cd. Codice dell’ambiente sono adottate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dello sviluppo economico, previo parere dell'ISPRA, sentita la Conferenza unificata.
[21] Si ricorda
che l'ANPAL è stata istituita dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 150. Ad essa
spettano, in via di sintesi, funzioni di coordinamento, a livello nazionale,
dei servizi pubblici per l'impiego (e delle relative politiche attive per il
lavoro) nonché delle politiche di attivazione dei disoccupati, di
accreditamento dei servizi per l'impiego privati, di gestione diretta di alcuni
programmi, di assistenza e consulenza nella gestione di alcune crisi aziendali,
di determinazione delle modalità operative e dell'ammontare dell'assegno
individuale di ricollocazione.
[22] Di cui all'art. 118 della L. 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni.
[23] Già l’art. 5, co. 3, della L. 537/1993, nell’istituire il Fondo per il finanziamento ordinario aveva disposto che nello stesso sono comprese una quota base, da ripartirsi tra le università in misura proporzionale alla somma dei trasferimenti statali e delle spese sostenute direttamente dallo Stato per ciascuna università nell'esercizio 1993, e una quota di riequilibrio, da ripartire sulla base di criteri determinati con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sentito il Consiglio universitario nazionale e la Conferenza permanente dei rettori, relativi a standard dei costi di produzione per studente, al minore valore percentuale della quota relativa alla spesa per il personale di ruolo sul fondo per il finanziamento ordinario e agli obiettivi di qualificazione della ricerca, tenuto conto delle dimensioni e condizioni ambientali e strutturali.
[24] L’art. 8 del DM 270/2004 prevede che per ogni corso di studio è definita di norma una durata in anni proporzionale al numero di crediti formativi universitari, tenendo conto che ad un anno corrispondono 60 crediti. In particolare, fissa la durata normale dei corsi di laurea in tre anni (180 crediti) e la durata normale dei corsi di laurea magistrale in ulteriori due anni dopo la laurea (ulteriori 120 crediti).
Con riferimento ai corsi di laurea
magistrale a ciclo unico, il DM 16 marzo 2007 ricorda che essi hanno durata
normale di 5 o 6 anni.
[25] Al riguardo, si veda quanto segnalato nel dossier del Servizio Studi della Camera n. 389 del 6 marzo 2012 (relativo allo schema di decreto legislativo Atto n. 437 della XVI legislatura)
[26] Si tratta delle voci di costo indicate tra le condizioni presenti nel parere reso dalla 7^ Commissione del Senato sullo schema di decreto legislativo (Atto n. 437) il 21 marzo 2012.
[27] L’art. 5 del DM 827/2013 aveva disposto che, per l’anno 2013, qualora non fosse stato definito in tempo utile il costo standard, si sarebbe utilizzata la quota base FFO 2012.
[28] Si tratta della disciplina recata dall’art. 1, co. 252-267, della L. 232/2016.
[29] Nell'ambito dei docenti di riferimento sono conteggiati: professori a tempo indeterminato, ricercatori e assistenti del ruolo ad esaurimento, ricercatori a tempo determinato di cui all'art. 24, co. 3, lett. a) e b) della L. 240/2010; docenti in convenzione ai sensi dell'art. 6, co. 11, della stessa L. 240/2010; professori a tempo determinato di cui all'art. 1, co. 12, della L. 230/2005.
[30] I Tutor sono previsti per i corsi di studio da erogare prevalentemente o integralmente a distanza.
[31] Le figure specialistiche di settore sono previste per i corsi di Scienze della formazione primaria e per la laurea magistrale a ciclo unico per il Restauro. Il riferimento è alla docenza di ruolo o a contratto affidata a figure con specifica professionalità e competenza secondo quanto definito dall’ANVUR e impiegate prevalentemente nelle attività formative caratterizzanti il corso di studi.
[32] Il numero minimo complessivo di docenti di riferimento, di professori a tempo indeterminato, e di eventuali figure aggiuntive è definito dall’Allegato A al DM in base a:
- laurea;
- laurea magistrale;
- laurea magistrale a ciclo unico di 5 anni;
- laurea magistrale a ciclo unico di 6 anni;
- corsi di studio convenzionali (erogati interamente in presenza, ovvero che prevedono - per le attività diverse dalle attività pratiche e di laboratorio - una limitata attività didattica erogata con modalità telematiche, in misura non superiore a 1/10 del totale);
- corsi di studio con modalità mista (che prevedono la erogazione con modalità telematiche di una quota significativa delle attività formative, comunque non superiore ai 2/3);
- corsi di studio prevalentemente a distanza (erogati prevalentemente con modalità telematiche, in misura superiore ai 2/3 delle attività formative);
- corsi di studio integralmente a distanza (in cui le attività formative sono svolte con modalità telematiche, fermo restando lo svolgimento in presenza delle prove di esame di profitto e di discussione delle prove finali);
- corsi di laurea e laurea magistrale in Professioni sanitarie, Scienze motorie, Servizio Sociale, Mediazione linguistica e traduzione e interpretariato;
- corsi di laurea sperimentali ad orientamento professionale;
- corsi di laurea magistrale a ciclo unico in Scienze della formazione primaria e in Restauro.
[33] Nel caso in cui il numero di studenti superi le numerosità massime indicate dall’Allegato D, il numero di docenti di riferimento necessari si ottiene incrementando il numero di docenti di riferimento di cui all’Allegato A (Dr) in misura proporzionale al superamento di tali soglie secondo la seguente formula:
Dtot (numero di docenti di riferimento necessari) = Dr x (1+ W)
dove W = 0, se il numero degli studenti è inferiore o uguale alla numerosità massima, e W = (numero studenti/numerosità massima) – 1, se il numero degli studenti è superiore alla numerosità massima.
[34] Alcuni dei parametri utilizzati dalla formula sono ottenuti facendo riferimento ai dati di bilancio degli atenei.
[35] Sulla base di quanto risulta dal comunicato del MISE del 5 giugno 2017 la quota già erogata a valere sul finanziamento fino a 800 milioni previsto dall’articolo 1, comma 6-bis per l’esecuzione del Piano ambientale è pari a 266 milioni di euro.
Si consideri che l’articolo 1, comma 609 della stessa legge di bilancio 2017 ha altresì disposto che i finanziamenti statali sopra indicati concessi e non erogati nei confronti di ILVA cessino di avere efficacia a decorrere dalla data di sottoscrizione delle obbligazioni che - ai sensi dell’articolo 3, comma 1 del D.L. n. 1/2015 - l’organo commissariale di ILVA è autorizzato ad emettere a valere sulle somme sottoposte a sequestro (nell’ambito dei procedimenti penali a carico dei principali azionisti ed ex dirigenti dell’ILVA) all’atto del trasferimento delle medesime somme in Italia.
[36] E della decisione della Royal Court del Jersey ove quota parte delle somme era fisicamente depositata. Le somme erano infatti depositate presso UBS AG Zurigo e UBS AG Jersey, nonché presso la banca popolare di Bergamo – Saronno.
[37] Sono state inoltre messe a disposizione ulteriori somme rispetto a quelle già oggetto dei decreti di sequestro, per 230 milioni. L’importo complessivo, tra le somme oggetto di sequestro messe a disposizione dai Riva e le ulteriori sopra citate messe a disposizione, è di circa 1.300 milioni di euro (cfr. comunicato del MISE del 5 giugno 2017).