Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento finanze | ||||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||||
Titolo: | Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione - Con gli emendamenti approvati in sede referente - D.L. 59/2016 - A.S. 2362 | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 442 Progressivo: 1 | ||||
Data: | 09/06/2016 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
II-Giustizia
VI-Finanze | ||||
Altri riferimenti: |
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Disposizioni in
materia di procedure esecutive e per investitori in banche in liquidazione
Con gli emendamenti
approvati in sede referente
Schede di lettura
giugno 2016
Servizio
Studi
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Dossier n. 326/1
Servizio del
Bilancio
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Servizio
Studi
Dipartimento Giustizia
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Dipartimento Finanze
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Progetti di legge n. 442/1
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D16059a.docx
Articolo 1 (Pegno mobiliare non possessorio)
Articolo 2 (Finanziamento alle imprese)
Articolo 4 (Disposizioni
in materia di espropriazione forzata)
Articolo 6 (Modifiche alla legge fallimentare)
Articolo 7 (Società per la Gestione di Attività S.G.A. S.p.a.)
Articolo 9 (Accesso al Fondo di solidarietà con erogazione diretta)
Articolo 10 (Disposizioni transitorie ed abrogazione di norme)
Articolo 11 (Attività per imposte anticipate)
Articolo 12-bis (Modifiche alla
disciplina della cessione dei crediti di impresa)
Articolo 13 (Copertura finanziaria)
Articolo
1
(Pegno mobiliare non possessorio)
L’articolo 1, che apre il capo dedicato alle misure a sostegno delle imprese e di accelerazione del recupero crediti, disciplina una nuova garanzia reale mobiliare, di natura non possessoria, denominata “pegno mobiliare non possessorio”. Si tratta di una garanzia del credito in cui il debitore - diversamente che nel pegno (possessorio) – non si spossessa del bene mobile che ne è oggetto; la mancata disponibilità del bene da parte del creditore garantito è compensata da adeguate forme di pubblicità che, nello specifico, consistono nell’iscrizione della garanzia in un apposito registro informatizzato.
Si ricorda che il pegno è un diritto reale mobiliare - costituito a garanzia dell’obbligazione dal debitore o da un terzo per il debitore (art. 2784 c.c.) - che si costituisce con la consegna del bene al creditore, cui viene conferita l’esclusiva disponibilità della cosa (art. 2786 c.c.). Proprio lo spossessamento del bene in favore del creditore costituisce nel pegno l’elemento di garanzia inerente l’adempimento dell’obbligazione.
Sono oggetto di pegno i beni mobili, le universalità di mobili, i crediti ed altri diritti aventi per oggetto beni mobili; può essere oggetto della garanzia anche un documento da cui si ricava la sua costituzione (art. 2801 c.c.). In tal caso il documento deve essere consegnato dal debitore al creditore; sia il bene che il documento possono anche essere consegnati a un terzo designato dalle parti o essere dati in custodia ad entrambi (il debitore tuttavia non deve poterne disporre senza la cooperazione del creditore).
Caratteristiche del pegno sono: l’accessorietà, la specialità (elementi comuni anche all’ipoteca) nonché il carattere spiccatamente possessorio. L’accessorietà deriva dal fatto che la garanzia si estingue in conseguenza dell’estinzione dell’obbligazione così come per l’inesistenza del credito o per la nullità o inefficacia del contratto costitutivo della garanzia. La specialità del pegno concerne il suo oggetto, potendo riguardare sempre un singolo, specifico bene; non vi sono pegni collettivi ma tanti singoli diritti di pegno (al contrario del privilegio, che può essere generale).
Il carattere reale del pegno deriva dalla forma di costituzione della garanzia ovvero la materiale consegna della cosa nelle mani del creditore, cui è trasferita l’esclusiva disponibilità della cosa (art. 2786 c.c.). Tale disponibilità da parte del creditore caratterizza a sua volta il profilo possessorio della garanzia pignoratizia, collegato allo spossessamento del bene da parte del debitore in favore del creditore.
Non a caso, alla perdita della diretta disponibilità del bene oggetto del pegno consegue l’impossibilità di far valere il diritto di prelazione (art. 2787 c.c.); in caso di perdita del possesso del bene in garanzia, il creditore, oltre all’azione di reintegra, può esercitare l’azione di rivendicazione (art. 2789 c.c.).
Il decreto-legge introduce nell’ordinamento la garanzia del pegno, senza spossessamento del bene.
In particolare, il comma 1 prevede che gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese possano garantire i crediti che gli vengono concessi per l’esercizio dell’impresa costituendo un pegno non possessorio. La Commissione ha precisato che attraverso il pegno non possessorio possono essere garantiti anche i crediti concessi a terzi.
I crediti garantiti potranno essere presenti o futuri, determinati o determinabili, salva la necessaria indicazione dell’ammontare massimo garantito.
Il comma 2 individua l’oggetto del pegno non possessorio nei beni mobili destinati all’esercizio dell’impresa. La Commissione in sede referente ha aggiunto che si può trattare anche di beni immateriali o di crediti derivanti o inerenti all’esercizio dell’impresa. Sono espressamente esclusi i beni mobili registrati. Il pegno non possessorio potrà avere ad oggetto beni mobili:
§ esistenti o futuri;
§ determinati o determinabili, anche facendo riferimento a una categoria merceologica o a un valore complessivo.
Il debitore che costituisce il pegno non possessorio – salvo diversi accordi con il creditore - potrà continuare ad avere la disponibilità del bene mobile dato in pegno, utilizzandolo anche nell’esercizio della sua attività economica, senza tuttavia mutarne la destinazione economica.
Il debitore (o il terzo concedente il pegno) potrà anche trasformare o alienare il bene mobile; in tal caso la garanzia si trasferisce al prodotto che risulta dalla trasformazione o al corrispettivo della vendita o al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo, senza che questo comporti la costituzione di una nuova garanzia.
Il modello su cui si basa questa previsione sembra essere quello del pegno rotativo, largamente diffuso nella prassi bancaria e il cui modello contrattuale è il pegno su titoli. Si tratta di un contratto costitutivo di garanzia reale con il quale un soggetto, per ottenere un'anticipazione dalla banca o per costituirsi una garanzia per i propri debiti (anche futuri), offre in pegno strumenti finanziari; una volta scaduto il titolo, la banca con il ricavato può acquistare altri e nuovi titoli o strumenti finanziari da sottoporre all'originario vincolo di garanzia reale. La caratteristica del pegno rotativo consiste nella clausola di rotatività, con la quale le parti convengono sulla possibilità di sostituire il bene originariamente costituito in garanzia, senza che questa sostituzione comporti novazione del rapporto di garanzia, e sempre che il bene offerto in sostituzione abbia identico valore.
Nel corso dell’esame in sede referente, la commissione ha aggiunto una disposizione in base a cui, se il prodotto risultante dalla trasformazione ingloba (anche per unione o commistione) più beni appartenenti a diverse categorie merceologiche e oggetto di diversi pegni non possessori, la riscossione del credito spetta a ciascun creditore pignoratizio che dovrà poi restituire al datore della garanzia il valore del bene riferibile alle altre categorie merceologiche che si sono unite o mescolate.
La determinazione del valore dovrà essere effettuata sulla base delle stime effettuate con le modalità previste dal successivo art. 7 (cui si rinvia) e la restituzione dovrà seguire criteri di proporzionalità.
Infine, la Commissione ha fatto comunque salva la possibilità per il creditore di promuovere azioni conservative o inibitorie se il debitore o il terzo costituente pegno abusino nell'utilizzo dei beni che restano in loro possesso.
Il comma 3 disciplina la forma del contratto che costituisce il pegno mobiliare non possessorio, richiedendo – analogamente al pegno possessorio - la forma scritta a pena di nullità. Quanto al contenuto del contratto, questo dovrà indicare il debitore (o il terzo concedente il pegno), la descrizione del bene dato in garanzia, il credito garantito e l’importo massimo garantito.
Il contratto così redatto potrà essere opponibile ai terzi solo se iscritto in un registro informatizzato (“registro dei pegni non possessori”) tenuto dall’Agenzia delle entrate: l’iscrizione determina il grado della garanzia e consente l’opposizione del pegno ai terzi e nelle procedure concorsuali (comma 4).
Nel corso dell’esame in sede referente, la Commissione ha precisato che il pegno non possessorio non si costituisce con l’iscrizione nel registro; il contratto è efficace anche senza tale iscrizione. L’iscrizione consente però di rendere la garanzia pubblica e opponibile ai terzi; a seguito di tale adempimento, inoltre, il contratto sarà opponibilità anche nelle procedure esecutive, oltre che in quelle concorsuali.
Le modalità e gli effetti dell’iscrizione sono disciplinati dal comma 6, che prevede:
§ che debbano essere indicati anche sul registro il creditore, il debitore (e eventualmente il terzo datore del pegno), la descrizione del bene e del credito garantito;
§ in caso di pegno mobiliare non possessorio a garanzia del finanziamento per l'acquisto di un bene determinato, la specifica individuazione del bene. Il comma 5 disciplina poi l’ipotesi specifica della opponibilità del pegno possessorio a fronte del finanziamento dell’acquisto di un bene determinato, destinato all’esercizio dell’impresa e garantito da riserva della proprietà sul bene medesimo o da pegno anche non possessorio (successivo, come chiarito dalla Commissione in sede referente); ebbene, il pegno non possessorio, anche se anteriormente costituito e iscritto, non è opponibile a chi abbia effettuato tale finanziamento; la non opponibilità opera a una duplice condizione: che il pegno non possessorio sia iscritto nel registro e che al momento dell’iscrizione il creditore informi i titolari di pegno non possessorio iscritto anteriormente;
§ che l’iscrizione ha una durata di dieci anni, rinnovabile per mezzo di un'iscrizione nel registro effettuata prima della scadenza del decimo anno;
§ che la cancellazione dell’iscrizione può essere domandata giudizialmente o chiesta, di comune accordo, da creditore e debitore;
§ che spetterà ad un decreto del Ministro dell’economia, di concerto con il Ministro della giustizia disciplinare, entro 30 giorni dalla conversione del decreto-legge, le modalità rigorosamente informatiche di iscrizione, consultazione e cancellazione di contratti presso il registro, nonché gli obblighi di chi effettua tali operazioni e gli oneri per la copertura dei costi di tenuta del registro;
§ un’autorizzazione di spesa di 200 mila euro per il 2016 e di 100 mila euro per il 2017 per consentire l'avvio del registro informatico.
Il comma 7 disciplina la riscossione del credito oggetto della garanzia, al verificarsi dell’evento che consente al creditore di escutere il pegno.
Il creditore, previa intimazione notificata al debitore e all’eventuale terzo concedente il pegno (come precisato dalla Commissione in sede referente, visto che il testo vigente del decreto-legge richiede un semplice avviso), potrà:
a) procedere alla vendita del bene oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo fino a concorrenza della somma garantita. La riforma prevede anche per questa vendita procedure competitive, stime di esperti indipendenti, pubblicità sul portale delle vendite pubbliche (art. 490 c.p.c.) a garanzia degli interessati;
b) procedere all’escussione dei crediti fino a concorrenza con la somma garantita, quando oggetto del pegno mobiliare non possessorio siano crediti. La Commissione ha aggiunto la possibilità anche di procedere alla cessione dei suddetti crediti, dandone comunicazione al datore della garanzia;
c) procedere alla locazione del bene oggetto di pegno, imputando i canoni a soddisfacimento del proprio credito, ma solo se questa modalità è prevista dal contratto e iscritta nel registro delle imprese;
d) procedere all’appropriazione dei beni oggetto del pegno, ma solo se questa modalità è prevista dal contratto e iscritta nel registro dei pegni non possessori (il testo del decreto-legge fa erroneamente riferimento al registro delle imprese ed è stato per questo corretto) e a condizione che il contratto di pegno abbia previsto in anticipo i criteri e le modalità per la determinazione del valore del bene ai fini dell’appropriazione.
In sede referente, la Commissione la integrato l’articolo 1 disciplinando il procedimento per l’opposizione alla riscossione (comma 7-bis), quello per procedere materialmente all’escussione del pegno (comma 7-ter) e l’eventuale concorso della procedura di escussione del credito con altra procedura esecutiva (comma 7-quater).
In particolare, il debitore (o il terzo concedente pegno) possono proporre opposizione entro 5 giorni dall’intimazione del creditore; a questa opposizione si applica il rito sommario di cognizione. In presenza di gravi motivi, e su istanza dell’opponente, il giudice può con provvedimento d’urgenza inibire al creditore l’escussione del pegno (comma 7-bis).
La procedura di escussione del pegno è disciplinata dal successivo comma 7-ter, in base al quale, entro 15 giorni dall’intimazione, il debitore (o il terzo) devono consegnare il bene oggetto del pegno non possessorio. Se ciò non avviene, il creditore può chiedere (anche verbalmente) all’ufficiale giudiziario di procedere all’apprensione del bene (si applica la disciplina del pegno) depositando:
§ la nota di iscrizione del pegno nel registro dei pegni non possessori;
§ l’intimazione notificata ai sensi del comma 7.
Se il bene mobile oggetto del pegno non è di immediata identificazione (anche tenendo conto delle eventuali operazioni di trasformazione o di alienazione poste in essere a norma del comma 2), l’ufficiale giudiziario può avvalersi di esperti (spese anticipate dal creditore e liquidate dall'ufficiale giudiziario). Se il pegno si è trasferito sul corrispettivo della vendita del bene, l’ufficiale giudiziario dovrà ricercare, con l’esame delle scritture contabili o con modalità telematiche, i crediti del datore della garanzia, che saranno poi riscossi in forza del contratto di pegno e del verbale delle operazioni di ricerca redatto dall’ufficiale giudiziario. Il comma precisa che l’autorizzazione del presidente del tribunale a effettuare la ricerca con modalità telematiche – prevista dall’art. 492-bis c.p.c. - deve essere concessa, su istanza del creditore, verificata l’iscrizione del pegno nel registro e la notificazione dell’intimazione.
Se il bene oggetto del pegno mobiliare non possessorio è oggetto anche di una procedura esecutiva il giudice dell’esecuzione, su istanza del creditore, autorizza l’escussione del pegno, delineandone le modalità. Eventuali eccedenze dovranno essere riversate nella procedura esecutiva (comma 7-quater).
In caso di escussione della garanzia il debitore può, entro 3 mesi dalla comunicazione del creditore, agire in sede di risarcimento del danno se sono state violate le modalità previste dal decreto-legge sotto il profilo del valore attribuito al bene in sede di appropriazione, vendita e canone di locazione (comma 9).
La Commissione ha previsto che la domanda di risarcimento del danno possa essere presentata non solo se l’escussione avviene con vendita, locazione o appropriazione dei beni (lettere a), c) e d)), come previsto dal testo del decreto-legge, ma anche se assume le forme della escussione o cessione dei crediti (lett. b)). Conseguentemente, la Commissione ha sostituito nel comma 9 tutti i riferimenti alla vendita con il richiamo più generale all’escussione del pegno.
In caso di fallimento del debitore, in base al comma 8 il creditore potrà procedere solo dopo che il suo credito è stato ammesso al passivo con prelazione. Agli effetti della revocatoria fallimentare, peraltro, il pegno mobiliare non possessorio è equiparato al pegno (comma 10).
La Commissione in sede referente ha inserito una norma di chiusura (comma 10-bis) in base alla quale la disciplina del pegno mobiliare non possessorio può essere ricondotta, per quanto non espressamente previsto dal decreto-legge, alla disciplina codicistica del pegno (artt. 2784-2807 c.c.).
Si ricorda, infine, che principi e criteri direttivi per la revisione del sistema delle garanzie reali mobiliari, volti tra l’altro ad introdurre il pegno mobiliare non possessorio, sono previsti dall’art. 11 del disegno di legge delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza (A.C. 3671), attualmente in corso d’esame in sede referente alla Camera dei deputati.
Articolo
2
(Finanziamento alle imprese)
L’articolo 2, modificato durante l’esame in sede referente disciplina il finanziamento alle imprese garantito dal trasferimento di proprietà immobiliari o altri diritti reali immobiliari, sospensivamente condizionato.
In caso di inadempimento del debito, il creditore può attivare la procedura per rivalersi sul diritto immobiliare posto a garanzia, notificando la volontà al debitore o al titolare del diritto reale immobiliare di avvalersi degli effetti del patto di trasferimento - a specifiche condizioni precisate durante l’esame in Commissione - chiedendo al presidente del tribunale del luogo dove si trova l’immobile la nomina di un perito per la stima del diritto immobiliare reale oggetto del patto. Il trasferimento può avvenire anche quando il diritto reale immobiliare è sottoposto ad esecuzione forzata per espropriazione.
Nel corso dell’esame in Commissione è stato inoltre precisato che ai fini del concorso tra i creditori, il patto a scopo di garanzia è equiparato all'ipoteca.
A tal fine al Testo unico bancario (TUB, decreto legislativo n. 385 del 1993) è introdotto il nuovo articolo 48-bis.
Ai sensi del comma 1 del nuovo articolo 48-bis, il contratto di finanziamento concluso tra un imprenditore e una banca - o altro soggetto autorizzato a concedere finanziamenti nei confronti del pubblico che, come precisato in sede referente, deve essere iscritto all’albo degli intermediari autorizzati dalla Banca d’Italia, di cui all’articolo 106 del TUB - può essere garantito dal trasferimento della proprietà di un immobile, o di un altro diritto immobiliare, dell'imprenditore o di un terzo, in favore del creditore o di una società controllata o collegata che sia autorizzata ad acquistare, detenere, gestire e trasferire diritti reali immobiliari. Tale trasferimento si verifica in caso di inadempimento del debitore.
Durante l’esame in sede referente è stato precisato che la nota di trascrizione del trasferimento sospensivamente condizionato di cui al presente comma deve indicare gli elementi di cui all'articolo 2839, secondo comma, numeri 4), 5) e 6), del codice civile, ovvero:
§ l'importo della somma per la quale l'iscrizione è presa;
§ gli interessi e le annualità che il credito produce;
§ il tempo della esigibilità.
In tale caso, al proprietario deve essere corrisposta l'eventuale differenza tra il valore di stima del diritto e l'ammontare del debito inadempiuto e delle spese di trasferimento (comma 2).
Da tale contratto sono esclusi gli immobili adibiti ad abitazione principale del proprietario, del coniuge o di suoi parenti e affini entro il terzo grado (comma 3).
Il comma 4 consente che il patto possa essere stipulato non solo al momento della conclusione del contratto di finanziamento, ma anche successivamente. La modifica deve avvenire per atto notarile.
Qualora il finanziamento sia già garantito da ipoteca, il trasferimento in esame, una volta trascritto, prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite successivamente all'iscrizione ipotecaria.
Per effetto delle modifiche in Commissione, fatti salvi gli effetti dell'aggiudicazione (anche provvisoria) e dell'assegnazione, la prevalenza del trasferimento su trascrizioni e iscrizioni successive si applica anche quando l'immobile è stato sottoposto ad espropriazione forzata, in forza di pignoramento trascritto prima della trascrizione del patto di trasferimento, ma successivamente all'iscrizione dell'ipoteca.
In tal caso si applica il comma 10 dell’articolo in esame, che consente il trasferimento anche quando il diritto reale immobiliare è successivamente sottoposto ad esecuzione forzata per espropriazione e ne disciplina le relative procedure (cfr. oltre al comma 10).
Ai sensi del comma 5, per il configurarsi dell’inadempimento deve sussistere una delle seguenti condizioni:
§ il mancato pagamento si deve protrarre per oltre nove mesi (termine così modificato in sede referente, in luogo dei sei mesi originariamente previsti dal decreto-legge) dalla scadenza di almeno tre rate, anche non consecutive, nel caso di obbligo di rimborso a rate mensili;
§ il mancato pagamento si protrae per oltre nove mesi (termine così modificato in sede referente) dalla scadenza di una sola rata, in caso di termini di scadenza delle rate superiori al periodo mensile;
§ il mancato pagamento si protrae per oltre nove mesi (termine così modificato in sede referente) dalla scadenza del rimborso previsto nel contratto di finanziamento, nel caso in cui non sia previsto il pagamento rateale.
Secondo le modifiche introdotte in sede referente, qualora alla data di scadenza della prima delle rate, anche non mensili, non pagate il debitore abbia già rimborsato almeno l'85 per cento della quota capitale del finanziamento concesso, il periodo di inadempimento è elevato da nove a dodici mesi.
Al verificarsi dell'inadempimento, il creditore deve notificare al debitore e, se diverso, al titolare del diritto reale immobiliare, una dichiarazione di volersi avvalere degli effetti del patto.
La
medesima dichiarazione deve essere notificata a coloro che hanno diritti
derivanti da titolo iscritto o trascritto sull'immobile. In sede referente è stata espunta la norma
ai sensi della quale tale notifica doveva avvenire successivamente alla
trascrizione del patto di trasferimento a scopo di garanzia. Sempre in sede referente è stato specificato
che occorre anche precisare l'ammontare
del credito per cui procede.
Sessanta giorni dopo tale notifica (comma 6), il creditore chiede al presidente del tribunale del luogo nel quale si trova l'immobile la nomina di un perito per la stima, con relazione giurata, del diritto reale immobiliare oggetto del patto.
Nel corso dell’esame in Commissione si è specificato che il perito procede in conformità ai criteri di cui all'articolo 568 del codice di procedura civile.
Per effetto del predetto rinvio, si dispone che il valore dell'immobile sia determinato avuto riguardo al valore di mercato, sulla base degli elementi forniti dalle parti. Nella determinazione del valore di mercato l'esperto procede al calcolo della superficie dell'immobile, specificando quella commerciale, del valore per metro quadro e del valore complessivo, esponendo analiticamente gli adeguamenti e le correzioni della stima, ivi compresa la riduzione del valore di mercato praticata per l'assenza della garanzia per vizi del bene venduto, e precisando tali adeguamenti in maniera distinta per gli oneri di regolarizzazione urbanistica, lo stato d'uso e di manutenzione, lo stato di possesso, i vincoli e gli oneri giuridici non eliminabili nel corso del procedimento esecutivo, nonché per le eventuali spese condominiali insolute.
Sempre in sede referente è stato chiarito che non può procedersi alla nomina del perito quando ricorre uno dei casi di obbligo di astensione di cui all'articolo 51 del codice di procedura civile.
L’articolo 51 c.p.c. disciplina le ipotesi in cui vi è l’obbligo di astensione del giudice che, giusto rinvio dell’articolo 63 c.p.c. si applica anche ai consulenti tecnici nel processo civile. In particolare, sussiste l'obbligo di astenersi:
1) se vi è interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
2) se il consulente o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
3) se il consulente o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un'associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.
Per l’effettuazione della stima si applicano i criteri - previsti dall'articolo 1349, primo comma, del codice civile - con cui il terzo può procedere alla determinazione dell'oggetto del contratto: se non risulta che le parti si sono rimesse al suo mero arbitrio, il terzo deve procedere con equo apprezzamento. Se manca la determinazione del terzo o se questa è manifestamente iniqua o erronea, la determinazione è fatta dal giudice.
L’ultimo
periodo del comma 6 è stato riformulato
in sede referente, al fine di instaurare
una forma di contraddittorio tra perito e soggetti interessati all’immobile
oggetto del patto.
Resta fermo l’obbligo del perito di comunicare la relazione giurata di stima al debitore e, se diverso, al titolare del diritto reale immobiliare, al creditore nonché a coloro che hanno diritti derivanti da titolo iscritto o trascritto sull'immobile. Si precisa che la comunicazione va fatta entro sessanta giorni dalla nomina e, ove possibile, a mezzo di posta elettronica certificata. Inoltre i destinatari della comunicazione possono, entro dieci giorni dalla medesima comunicazione, inviare note al perito; in tal caso il perito, entro i successivi dieci giorni, effettua una nuova comunicazione della relazione rendendo gli eventuali chiarimenti.
In caso di contestazione della stima da parte del debitore, ai sensi del comma 7 il creditore ha comunque diritto di avvalersi degli effetti del patto; pertanto, l'eventuale fondatezza della contestazione incide esclusivamente sulla differenza da versare al titolare del diritto reale immobiliare.
Il comma 8 chiarisce che la condizione sospensiva di inadempimento si considera avverata:
§ al momento della comunicazione al creditore del valore di stima, ovvero
§ al momento dell'avvenuto versamento all'imprenditore della differenza, nel caso in cui il valore sia superiore all'ammontare del debito inadempiuto, compresi le spese ed i costi del trasferimento.
Si stabilisce inoltre che il contratto di finanziamento, ovvero - come precisato in sede referente - la sua modificazione (ai sensi del comma 4), deve contenere l'espressa previsione di un conto corrente bancario, intestato al titolare del diritto reale immobiliare, sul quale il creditore deve accreditare la predetta differenza.
Nel corso dell’esame in Commissione è stato precisato che detto conto deve essere senza spese.
Il comma 9 pone in capo al creditore, a fini pubblicitari connessi all’annotazione di cancellazione della condizione sospensiva, l’obbligo di provvedere con atto notarile a dichiarare l'inadempimento del debitore mediante dichiarazione sostitutiva (art. 47 del D.P.R. n. 445 del 2000), nonché l’obbligo di produrre l’estratto autentico delle scritture contabili previste dall’articolo 2214 c.c.
L’articolo 2214 c.c. prescrive per l'imprenditore che esercita un'attività commerciale l’obbligo di tenere il libro giornale e il libro degli inventari. Deve altresì tenere le altre scritture che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite. Tali disposizioni non si applicano ai piccoli imprenditori.
Per
effetto delle modifiche in sede
referente, è stato precisato che l’annotazione
di cancellazione della condizione sospensiva è effettuata ai sensi dell’articolo 2668, terzo comma,
del codice civile.
La richiamata norma prescrive che si deve cancellare l'indicazione della condizione o del termine negli atti trascritti quando l'avveramento o la mancanza della condizione ovvero la scadenza del termine risulta da sentenza o da dichiarazione, anche unilaterale, della parte, in danno della quale la condizione sospensiva si è verificata o la condizione risolutiva è mancata ovvero il termine iniziale è scaduto.
Il trasferimento può avvenire anche quando il diritto reale immobiliare già oggetto del patto in commento è successivamente sottoposto ad esecuzione forzata per espropriazione (comma 10).
In questo caso l'accertamento dell'inadempimento è compiuto, su istanza del creditore, dal giudice dell'esecuzione e il valore di stima è determinato dall'esperto nominato dallo stesso giudice.
Il giudice fissa il termine entro il quale il creditore deve versare una somma non inferiore alle spese di esecuzione e, ove vi siano, ai crediti aventi diritto di prelazione anteriore a quello dell'istante ovvero pari all'eventuale differenza tra il valore di stima del bene e l'ammontare del debito inadempiuto.
A seguito del versamento, il giudice dà atto dell'avveramento della condizione, con decreto annotato ai fini della cancellazione della condizione. La distribuzione del ricavato avviene secondo le procedure dell’espropriazione immobiliare (libro terzo, titolo II, capo IV del codice di procedura civile).
La medesima procedura si applica, in quanto compatibile, anche quando il diritto reale immobiliare è sottoposto ad esecuzione a seguito di riscossione di somme non pagate, secondo le modalità previste dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (comma 11), ovvero, su istanza del creditore ammesso al passivo, in caso di fallimento del debitore dopo la trascrizione del patto (comma 12).
Il comma 13 stabilisce che il creditore - mediante atto notarile - provvede, entro trenta giorni dall'estinzione dell'obbligazione garantita, a dare pubblicità nei registri immobiliari del mancato definitivo avveramento della condizione sospensiva.
Nel corso dell’esame in sede referente sono stati aggiunti i commi 13-bis e 13-ter.
Il comma 13-bis specifica che il patto a scopo di garanzia, ai fini del concorso tra i creditori, è equiparato all'ipoteca.
Il comma 13-ter chiarisce quali sono gli effetti della trascrizione del patto: essa in particolare produce, con riguardo al patto, gli stessi effetti di estensione disciplinati, con riguardo all’iscrizione di ipoteca, all'articolo 2855 del codice civile. Con riferimento all’ipotesi del patto, si ha riguardo, in luogo del pignoramento, alla notificazione della dichiarazione del creditore di volersene avvalere.
Di conseguenza, in virtù di detto rinvio, la trascrizione del patto fa collocare nello stesso grado le spese dell'atto, quelle dell'iscrizione e rinnovazione, quelle ordinarie occorrenti per l'intervento nel processo di esecuzione. Per il credito di maggiori spese giudiziali, le parti possono estendere il patto espressamente, purché sia presa la corrispondente iscrizione.
L’articolo 2855 stabilisce inoltre che l'iscrizione di un capitale produttivo di interessi fa collocare nello stesso grado gli interessi dovuti, purché ne sia enunciata la misura nell'iscrizione. La collocazione degli interessi è limitata alle due annate anteriori e a quella in corso al giorno della dichiarazione del debitore, ancorché sia stata pattuita l'estensione a un maggior numero di annualità; le iscrizioni particolari prese per altri arretrati hanno effetto dalla loro data.
L'iscrizione del capitale fa collocare nello stesso grado gli interessi maturati dopo il compimento dell'annata in corso alla data della dichiarazione del debitore di avvalersi del patto, nella sola misura legale e fino alla data della vendita.
Si ricorda, infine, con riferimento ai contratti di credito garantiti da beni immobili, che il decreto legislativo n. 72 del 2016 (A.G.256) ha dato attuazione alla direttiva 2014/17/UE (cd. Mortgage Credit Directive), in tema di contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali.
Ai sensi dell’articolo 120-quinquiesdecies del TUB, introdotto dal decreto, le parti del contratto di credito possono convenire espressamente, al momento della conclusione del contratto, che in caso di inadempimento del consumatore, la restituzione o il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia reale o dei proventi della vendita del medesimo bene comportano l'estinzione del debito, fermo restando il diritto del consumatore all'eccedenza. Il valore della garanzia è stimato con una perizia successivamente all'inadempimento, da parte di un perito scelto dalle parti di comune accordo.
L’originario schema di decreto è stato modificato per recepire le condizioni poste dalle Commissioni Finanze di Camera e Senato; in sede di espressione del parere parlamentare sullo schema di decreto è infatti emersa la necessità di specificare meglio la portata della norma in questione, al fine di assicurarne la piena applicabilità, garantendo un adeguato bilanciamento tra gli interessi delle parti.
Di conseguenza, in accoglimento dei rilievi parlamentari, è stato chiarito che la disposizione così introdotta non deroga al divieto di patto commissorio di cui all’articolo 2744 del codice civile, il cui disposto è fatto salvo. Sono state meglio specificate sia la nozione, sia l'entità quantitativa e temporale dell'inadempimento al ricorrere del quale si prevede la restituzione o il trasferimento del bene, ovvero dei proventi della vendita del medesimo. Inoltre le norme esplicitano che la restituzione o il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia o dei proventi della vendita del bene determina comunque l'estinzione del debito, anche nel caso in cui il valore del bene o l'ammontare dei proventi siano inferiori all'ammontare del debito residuo. È stata esclusa espressamente la retroattività della norma, anche nell'ipotesi di surroga; è stabilito che il finanziatore non può condizionare l'erogazione del mutuo all'inserimento nel contratto di credito della clausola in commento. In specifiche ipotesi, il consumatore deve essere assistito da un consulente. Non è stato tuttavia specificato, come richiesto dalle Commissioni, che il trasferimento dell'immobile oggetto della garanzia avviene mediante separato atto di disposizione del bene stesso da parte del debitore.
Si ricorda inoltre che la vigente disciplina in materia di prestito vitalizio ipotecario prevede strumenti molto incisivi a favore del creditore in caso di inadempimento del debitore, consentendo in tal caso al creditore stesso di porre in vendita direttamente l’immobile gravato da ipoteca a garanzia del finanziamento. Infatti il comma 12-quater dell'articolo 11-quaterdecies del decreto-legge n. 203 del 2005, stabilisce che “qualora il finanziamento non sia integralmente rimborsato entro dodici mesi dal verificarsi degli eventi di cui al citato comma 12, il finanziatore vende l'immobile ad un valore pari a quello di mercato, determinato da un perito indipendente incaricato dal finanziatore, utilizzando le somme ricavate dalla vendita per estinguere il credito vantato in dipendenza del finanziamento stesso.”
Articolo 3
(Registro delle procedure di espropriazione forzata immobiliari, delle
procedure di insolvenza e degli strumenti di gestione della crisi)
L’articolo 3,
comma 1, istituisce presso il
Ministero della giustizia un registro elettronico delle procedure di
espropriazione forzata immobiliari, delle procedure d'insolvenza e degli
strumenti di gestione della crisi. Il registro è accessibile dalla Banca
d'Italia, che utilizza i dati e le informazioni in esso contenuti nello
svolgimento delle funzioni di vigilanza, a tutela della sana e prudente
gestione degli intermediari vigilati e della stabilità complessiva.
Il comma 2 dispone in merito alle informazioni e
ai documenti pubblicati nel registro. Essi riguardano:
a) le procedure di espropriazione forzata immobiliare;
b) le procedure di fallimento, di concordato preventivo,
di liquidazione coatta amministrativa di cui al regio
decreto 16 marzo 1942, n. 267 ("Disciplina del fallimento, del concordato
preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta
amministrativa");
c) i procedimenti di omologazione di accordi di
ristrutturazione dei debiti di cui all'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché i piani di
risanamento di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto
16 marzo 1942, n. 267, quando vengano fatti oggetto di pubblicazione nel
registro delle imprese;
L'articolo 182-bis della legge fallimentare reca la disciplina relativa all'omologazione degli accordi di ristrutturazione del debito. Si ricorda a tale proposito che, a partire dal decreto-legge n. 35/2005 (convertito con modificazioni dalla legge n. 80 del 2005), è stata introdotta la possibilità del debitore, nell’ambito del concordato preventivo, di concludere con i creditori un accordo stragiudiziale di ristrutturazione dei debiti che gli permetta di fare fronte alla crisi dell’impresa tramite un piano concordato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti. L’accordo è poi omologato dal tribunale. L'articolo 182-bis citato stabilisce i termini temporali per la presentazione della domanda di omologazione, la documentazione da produrre a tal fine (richiamando l'articolo 161 della medesima legge fallimentare), unitamente ad una relazione redatta da un professionista designato dal debitore, i termini per l'opposizione (entro 30 giorni dalla pubblicazione) da parte dei creditori e di ogni altro interessato. Sono inoltre disciplinate le modalità per la fissazione della data dell'udienza da parte del tribunale.
L'articolo 67 della legge fallimentare, terzo comma, elenca gli atti non soggetti a revocatoria fallimentare. La lettera d) di tale comma richiama gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che abbia determinati requisiti.
d) le procedure di amministrazione straordinaria di cui
al decreto
legislativo 8 luglio 1999 n. 270 (recante "Nuova
disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di
insolvenza") e al decreto-legge
23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18
febbraio 2004, n. 39 ("Misure urgenti per la ristrutturazione industriale
di grandi imprese in stato di insolvenza");
Il decreto legge n. 347 del 2003, come modificato ed integrato da successivi interventi normativi, ha introdotto nell'ordinamento italiano una nuova disciplina relativa alla procedura concorsuale di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in stato di insolvenza, finalizzata alla ristrutturazione industriale delle stesse sotto la supervisione del Ministro competente. Precedentemente, il citato decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 ("Nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza"), aveva ribadito la finalità della procedura di amministrazione straordinaria (introdotta per la prima volta nell'ordinamento con il decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 29) di conservazione del patrimonio produttivo della grande impresa commerciale insolvente mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione dell'attività imprenditoriale, come recita testualmente l'articolo 1. Il decreto legislativo n. 270 prevede l'ammissione all'amministrazione straordinaria delle imprese, anche individuali, soggette alle disposizioni sul fallimento, in presenza determinati requisiti.
e) le procedure di accordo di ristrutturazione dei
debiti, di piano del consumatore e di liquidazione dei beni di cui alla legge
27 gennaio 2012, n. 3 ("Disposizioni in materia di usura e di
estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento").
Il Capo II della citata legge n. 3 del 2012 ha introdotto nel nostro ordinamento una nuova tipologia di concordato volto a comporre le cc.dd. crisi da sovraindebitamento, ovvero le crisi di liquidità del singolo debitore, vale a dire di famiglie o imprese, non assoggettabili alle ordinarie procedure concorsuali. Il “sovraindebitamento” viene definito come “la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente” (articolo 6 della legge).
Il comma 3
prevede che il registro si compone di una sezione ad accesso pubblico e
gratuito e di una sezione ad accesso limitato, con il seguente contenuto:
a) relativamente alle procedure di cui al comma 2, nella
sezione del registro ad accesso pubblico sono rese disponibili in forma
elettronica, in relazione alla tipologia di procedura o di strumento di cui al
comma 2, le informazioni e i documenti di cui all'articolo 24, paragrafo 2, del
Regolamento
(UE) 2015/848 e le altre informazioni rilevanti in merito ai tempi
e all'andamento di ciascuna procedura o strumento; all'interno di questa
sezione possono essere altresì collocate le informazioni e i provvedimenti di
cui all'articolo 28, quinto[1]
comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267;
Il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle procedure di insolvenza (rifusione) n. 848 richiamato stabilisce che gli Stati membri creino e tengano, nel loro territorio uno o più "registri fallimentari" ove sono pubblicate informazioni relative alle procedure d'insolvenza. Ai sensi del paragrafo 2 dell’articolo 24 devono comunque essere rese pubbliche le seguenti informazioni ("informazioni obbligatorie"):
a) la data di apertura della procedura d'insolvenza;
b) il giudice che ha aperto la procedura d'insolvenza e numero di causa, se del caso;
c) il tipo di procedura d'insolvenza aperta e, se del caso, eventuali pertinenti sottotipi di tale procedura aperti a norma del diritto nazionale;
d) la specificazione del fondamento normativo della competenza per l'apertura della procedura (secondo quanto previsto dall'articolo 3 del regolamento);
e) se il debitore è una società o una persona giuridica, il nome del debitore, il relativo numero di iscrizione, la sede legale o, se diverso, il recapito postale;
f) se il debitore è una persona fisica che esercita o non esercita un'attività imprenditoriale o professionale indipendente, il nome del debitore, il relativo numero di iscrizione, se del caso, e il recapito postale o, laddove il recapito sia riservato, il luogo e la data di nascita;
g) il nome, il recapito postale o l'indirizzo di posta elettronica dell'amministratore, se del caso, nominato nella procedura;
h) il termine per l'insinuazione dei crediti, se del caso, o il riferimento ai criteri per il calcolo di tale termine;
i) la data di chiusura della procedura principale di insolvenza, se del caso;
j) il giudice dinanzi al quale e, se del caso, il termine entro il quale presentare richiesta di impugnazione della decisione di apertura della procedura d'insolvenza (disciplinata dall'articolo 5 del regolamento), o un riferimento ai criteri per il calcolo di tale termine.
L'articolo 28 del regio decreto n. 267 del 1942 reca disposizioni sui requisiti per la nomina a curatore. Vi si prevede, al quarto comma, l'istituzione, presso il Ministero della giustizia, di un registro nazionale nel quale confluiscono i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali. Nel registro vengono altresì annotati i provvedimenti di chiusura del fallimento e di omologazione del concordato, nonché l'ammontare dell'attivo e del passivo delle procedure chiuse. Il registro è tenuto con modalità informatiche ed è accessibile al pubblico.
b) relativamente alle procedure di espropriazione forzata
immobiliare, nella sezione del registro ad accesso pubblico sono rese
disponibili in forma elettronica le informazioni e i documenti individuati con
decreto dirigenziale del Ministero della giustizia di concerto con il Ministero
dell'economia e delle finanze, da adottarsi - come propone l’emendamento 3.2 approvato dalla Commissione
in sede referente - entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore
della legge di conversione del decreto-legge in esame (anziché entro il
medesimo termine dalla data di entrata in vigore del decreto stesso). Nella
individuazione delle informazioni il decreto tiene conto, a fini di tutela
della stabilità finanziaria, anche della loro rilevanza per una migliore
gestione dei crediti deteriorati da parte degli intermediari creditizi e
finanziari;
c) nella sezione del registro ad accesso limitato sono
resi disponibili in forma elettronica le informazioni e i documenti relativi a
ciascuna procedura o strumento di cui al comma 2, individuate con il decreto
dirigenziale di cui alla lettera b).
L’emendamento 3.4 (testo 2) - approvato in sede referente
dalla Commissione - propone di sostituire interamente il comma 4 dell’articolo in esame.
In pratica, nella formulazione proposta, l’unica
differenza - rispetto al testo del decreto-legge - consiste nel consentire alle
categorie di soggetti legittimati l’accesso alla sezione del registro ad
accesso limitato non solo personalmente ma anche
mediante un avvocato munito di procura. A tal fine viene modificata la
lettera c) del predetto comma 4.
Più nel dettaglio, secondo il comma 4, con il decreto di cui al comma 3, lettera b), sentita la
Banca d'Italia per gli aspetti rilevanti a fini di tutela della stabilità
finanziaria, sono altresì previste disposizioni per l'attuazione del registro,
prevedendo:
a) le modalità di pubblicazione, rettifica, aggiornamento
e consultazione dei dati e dei documenti da inserire nel registro, nonché i
tempi massimi della loro conservazione;
b) i soggetti tenuti ad effettuare, in relazione a
ciascuna tipologia di procedura o strumento, la pubblicazione delle
informazioni e dei documenti;
c) le categorie di soggetti che sono legittimati, in
presenza di un legittimo interesse, ad accedere, anche mediante un avvocato munito di procura, alla sezione del
registro ad accesso limitato; il contributo dovuto per l'accesso da determinare
in misura tale da assicurare almeno la copertura dei costi del servizio e i
casi di esenzione; è sempre consentito l'accesso gratuito all'autorità
giudiziaria;
d) le eventuali limitate eccezioni alla pubblicazione di
documenti con riferimento alle esigenze di riservatezza delle informazioni ivi
contenute o all'assenza di valore informativo di tali documenti per i terzi.
L’emendamento 3.5 (testo 2) - accolto in sede referente
dalla Commissione - propone di sostituire interamente il comma 5 dell’articolo in esame.
In sostanza, con le modifiche proposte si prevede -
rispetto al testo del decreto-legge - che il registro consenta la ricerca dei
dati secondo ciascuna tipologia di informazione e di documento in esso
contenuti nonché di Tribunale e numero
di ruolo dei procedimenti. Inoltre le disposizioni contenute nel decreto dirigenziale da adottarsi dal
Ministero della giustizia di concerto con il Ministero dell'economia e delle
finanze - previsto dal comma 3, lettera b), dell’articolo in esame - assicurano che il registro sia
conforme alle disposizioni del Regolamento (UE) 2015/848, relativo alle
procedure di insolvenza.
Il comma 6
ammette che su richiesta del debitore, del curatore, del commissario
giudiziale, di un creditore, di chiunque vi abbia interesse o d'ufficio, il
giudice delegato o il tribunale competenti possono limitare la pubblicazione di
un documento o di una o più sue parti, quando sia dimostrata l'esistenza di uno
specifico e meritevole interesse alla riservatezza dell'informazione in esso
contenuta. La richiesta sospende gli obblighi di pubblicazione dei documenti, o
della parte di essi, oggetto della richiesta di esenzione e, qualora la
pubblicazione sia già avvenuta, sospende temporaneamente l'accesso ad essi da
parte degli interessati. Nelle more della decisione, il giudice può imporre una
cauzione al creditore o terzo richiedente.
Il comma 7 dispone che, in attuazione degli
obiettivi di cui all’articolo in esame, il Ministero della giustizia, per la
progressiva implementazione e digitalizzazione degli archivi e della
piattaforma tecnologica ed informativa dell'Amministrazione della Giustizia, in
coerenza con le linee del Piano triennale per l'informatica nella pubblica
amministrazione di cui all'articolo 1, commi 513 e 515, della legge 28 dicembre
2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), può avvalersi della Società di cui
all'articolo 83, comma 15, del decreto-legge 24 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Ai fini della
realizzazione dei predetti servizi di interesse generale, la Società
provvederà, tramite Consip S.p.A., all'acquisizione
dei beni e servizi occorrenti.
Si ricorda che i commi da 512 a 520 dell’articolo 1 della L. n. 208/2015 puntano a
rafforzare l’acquisizione centralizzata di beni e servizi in materia informatica e di connettività,
prevedendo, con la finalità di conseguire specifici obiettivi di risparmio
indicati nei commi medesimi, che le amministrazioni pubbliche e le società
inserite nel conto consolidato della PA debbano approvvigionarsi tramite Consip o soggetti aggregatori. Le Regioni sono state autorizzate ad assumere personale per
assicurare la funzionalità di tali soggetti aggregatori, in deroga ai vincoli
previsti dalla normativa vigente.
In particolare, il comma 513 richiamato prevede che l'Agenzia per
l'Italia digitale (Agid) predisponga il Piano
triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione, che è approvato dal
Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro delegato. Il Piano recherà,
per ciascuna amministrazione o categoria di amministrazioni, l'elenco dei beni
e servizi informatici e di connettività e dei relativi costi e individuerà beni
e servizi la cui acquisizione riveste particolare rilevanza strategica.
Il comma 515 - anch’esso
specificamente richiamato - definisce l’obiettivo
di risparmio di spesa annuale posto in relazione ai precedenti commi.
Tale obiettivo, pari al 50%, rispetto
alla spesa annuale media per la gestione corrente del solo settore
informatico, relativa al triennio
2013-2015 - al netto dei canoni per servizi di connettività e della
spesa effettuata tramite Consip o i soggetti
aggregatori documentata nel Piano triennale predisposto dall'Agid - è posto per la fine del triennio 2016-2018.
Sono operate alcune esclusioni dal raggiungimento di detto obiettivo:
§
l’INPS e
l’INAIL;
§
le
società di gestione del sistema informativo dell'amministrazione finanziaria, e
la società che elabora gli studi di settore, nonché ogni altra attività di
studio e ricerca in materia tributaria, per le prestazioni e i servizi erogati
alle amministrazioni committenti;
§
Consip S.p.A.;
§
l'amministrazione
della giustizia in relazione al completamento dell'informatizzazione del
processo civile e penale negli uffici giudiziari.
Si prevede che i risparmi derivanti
dall'attuazione del comma in esame siano utilizzati dalle amministrazioni
prioritariamente per investimenti in materia di innovazione tecnologica.
La Società di cui all'articolo 83, comma 15,
del D.L. n. 112/2008 è la società di
gestione del sistema informativo dell’amministrazione finanziaria.
In base al comma
8, per l'istituzione del registro è
autorizzata la spesa di 3,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016-2018.
Il Ministero della giustizia, il Ministero dell'economia e delle finanze e la
Banca d'Italia disciplinano con apposita convenzione, da stipularsi - come
propone l’emendamento 3.2, approvato
dalla Commissione in sede referente - entro
60 giorni (e non entro 30, come previsto nel testo originario) dall'entrata
in vigore della legge di conversione del decreto in esame, i rispettivi compiti
rispetto alla realizzazione, al funzionamento e al monitoraggio del registro,
nonché l'eventuale entità della contribuzione finanziaria da parte della Banca
d'Italia.
Articolo
4
(Disposizioni in materia di espropriazione forzata)
L'articolo 4 del decreto-legge reca misure acceleratorie della procedura di espropriazione forzata, anche attraverso modifiche al codice di procedura civile.
In particolare la lettera a) del comma 1 dell'articolo modifica il terzo comma dell'articolo 492 c.p.c. relativo alla forma del pignoramento.
La disposizione in esame (integralmente riscritta
dalla legge n. 52 del 2006), nel recare la normativa generale sulla forma del
pignoramento, oggetto di disciplina più specifica ad opera degli articoli 518
(espropriazione mobiliare), 543 (espropriazione presso terzi) e 555
(espropriazione immobiliare) relativi ai diversi tipi di espropriazione,
evidenzia il ruolo centrale dell'ingiunzione dell'ufficiale giudiziario al
debitore con il quale si determina il vincolo di indisponibilità e di
finalizzazione dell'espropriazione. In base all'articolo in esame il
pignoramento deve contenere l'invito al debitore ad eleggere domicilio o a dichiarare
la propria residenza in uno dei comuni del circondario in cui ha sede il
giudice dell'esecuzione, onde evitare che le successive comunicazioni e
notificazioni vengano effettuate presso la cancelleria. Ai sensi del terzo
comma dell'articolo 492 c.p.c. contestualmente al
pignoramento il debitore deve essere avvertito della possibilità di convertire
lo stesso (ex articolo 495) trasferendo il vincolo su una somma di denaro. Tale
disposizione traspone di fatto il contenuto dei primi due commi dell'articolo 495
(conversione del pignoramento), consentendo così al debitore di evitare la
vendita attraverso il meccanismo della conversione del pignoramento.
L'avvertimento è formalmente atto dell'ufficiale giudiziario, la cui mancanza
costituisce- come per ogni carenza relativa all'ingiunzione e all'invito di cui
al comma 2- vizio del pignoramento.
Il decreto-legge integra l'articolo 492 del codice di rito, stabilendo che il pignoramento debba contenere l'avvertimento che l'opposizione all'esecuzione, a norma dell'articolo 615, secondo comma, terzo periodo (vedi lettera l) è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l'assegnazione del bene pignorato a norma degli articoli 530 (provvedimento per l'assegnazione o per l'autorizzazione della vendita), 552 (assegnazione e vendita di cose dovute dal terzo) e 569 (provvedimento per l'autorizzazione della vendita). L'opposizione può essere invece proposta oltre il termine nel caso in cui sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero se l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile. La disposizione si applica ai procedimenti di esecuzione forzata per espropriazione iniziati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in commento (comma 3).
La lettera
b) del comma 1 dell’articolo in esame integra il secondo comma
dell’articolo 503 c.p.c, inserendo con riguardo alla
vendita all'incanto nel caso di espropriazione mobiliare il richiamo agli
articoli 518 sulla forma del pignoramento e 540-bis sull’integrazione del pignoramento c.p.c. Più nel dettaglio il secondo comma
dall’articolo 503, introdotto dal decreto legge n. 132 del 2014 (convertito
nella legge n. 162 del 2014), nella
formulazione vigente prima del decreto legge in esame, si limitava a
prevedere la possibilità di utilizzare le modalità della vendita con incanto,
stabilendo che l’incanto potesse essere disposto solo quando il giudice
ritenesse probabile che la vendita con tale modalità avesse luogo ad un prezzo
superiore alla metà rispetto al valore del bene, determinato a norma
dell’articolo 568. A ben vedere la disposizione oggetto di modifica pur attenendo alla disciplina generale
dell’espropriazione faceva rinvio solo all’articolo 568 il quale riguarda
esclusivamente l’espropriazione immobiliare.
È opportuno ricordare, in generale, che l'articolo 503
disciplina i modi della vendita forzata, la quale costituisce il penultimo atto
dell'espropriazione forzata. Tale vendita può essere effettuata all'incanto,
cioè in una pubblica gara con offerte in aumento, finalizzata alla scelta
dell'aggiudicatario; o senza incanto nel qual caso le offerte vengono semplicemente
depositate dai singoli offerenti e sarà il giudice a valutarle.
La lettera c) interviene
sull’articolo 532 c.p.c. (già recentemente modificato
dal decreto-legge n. 83 del 2015), che nell’ambito dell’esecuzione mobiliare
presso il debitore disciplina la vendita a mezzo di commissionario. In
base alla disposizione codicistica tale modalità di
vendita costituisce la regola, dovendo il giudice procedere in tal senso quando
la vendita può essere effettuata senza incanto.
La riforma conferma la competenza del giudice in ordine:
§ alla fissazione del prezzo minimo della
vendita e dell'importo globale fino al raggiungimento del quale la vendita deve
essere eseguita, potendo, fra l'altro, imporre al commissionario una cauzione;
§ alla definizione delle modalità di deposito
della somma ricavata dalla vendita e del termine finale alla cui scadenza il
soggetto incaricato della vendita deve restituire gli atti in cancelleria. Il decreto-legge interviene su tale termine
finale prevedendo che il soggetto incaricato della vendita non possa protrarre
le attività di vendita oltre i sei mesi. Nella formulazione previgente il
soggetto non poteva restituire gli atti in cancelleria prima di 6 mesi, ma non
poteva protrarre le suddette attività oltre l’anno;
§ alla fissazione del numero complessivo degli esperimenti di vendita. Il decreto-legge
limita tali esperimenti ad un massimo di
tre (nella formulazione previgente non "inferiori a tre").
In caso di rinuncia, il giudice, a meno che non intervengano istanze di
integrazione del pignoramento, dispone la chiusura anticipata del processo
esecutivo, anche se non ricorrono i presupposti per dichiarare
l’infruttuosità dell’espropriazione forzata a norma dell’art. 164-bis delle
disposizioni di attuazione.
La lettera
d) interviene sull'articolo 560 c.p.c. il quale,
come riscritto dalla legge n. 80 del 2005, prima, e dalla legge n. 263 del
2005, poi, reca, sostanzialmente, la disciplina dei comportamenti dei diversi
soggetti coinvolti con riguardo alla custodia, all’amministrazione e alla gestione
dell’immobile pignorato.
Nel corso dell’esame in sede referente è
stata introdotta una ulteriore modifica all’articolo codicistico,
e in particolare al comma terzo (emendamento 4.26). Secondo la formulazione vigente del comma terzo, il
giudice dell'esecuzione, al fine di facilitare la visita dell'immobile in vista
dell'imminente vendita, nonché per rendere maggiormente fruttuosa la stessa
(proponendo un immobile già libero) può disporre la liberazione dell'immobile
con provvedimento non impugnabile. Il comma, come riscritto, prevede
l’impugnabilità ex articolo 617 c.p.c. (opposizione agli atti esecutivi) del provvedimento
con il quale il giudice dell'esecuzione dispone la
liberazione dell'immobile pignorato; ciò senza oneri ulteriori per l'aggiudicatario
o l'assegnatario o l'acquirente. La disposizione riconosce poi espressamente al
terzo titolare di un diritto di godimento del bene opponibile alla procedura la
facoltà di formulare opposizione, in tale caso il termine per l’opposizione
decorre dal giorno in cui si è perfezionata nei propri confronti la
notificazione del provvedimento.
È opportuno segnalare come, a normativa
vigente, la Suprema Corte abbia escluso la ricorribilità
per cassazione ai sensi dell’articolo 111, 7° comma, Cost.
del provvedimento ex articolo 560, terzo comma, in quanto privo dei requisiti
della decisorietà e della definitività e pur
riconoscendo possibile per il terzo locatario formulare opposizione
all’esecuzione avverso il provvedimento stesso costituente titolo esecutivo per
il rilascio da eseguirsi a cura del custode. (si veda Cass.
30.06.2010, n. 15623). Nell’ipotesi poi di detenzione da parte del terzo in
forza di titolo non opponibile alla procedura esecutiva la giurisprudenza ha
ritenuto configurabile un danno risarcibile a favore del custode giudiziario
autorizzato ad agire in giudizio (si veda Cass. 16.01.2013,
n. 924)
Al fine di semplificare l'iter di liberazione dell'immobile
pignorato la riforma- modificando il quarto comma dell'articolo 560 c.p.c.- nel confermare la competenza del custode, anche
dopo la pronuncia del decreto di trasferimento (articolo 586 c.p.c.), in ordine all'attuazione del provvedimento di
liberazione, precisa che il custode deve agire secondo le disposizioni del
giudice dell’esecuzione immobiliare, ma senza essere tenuto all'osservanza
delle formalità di cui agli articoli 605 e seguenti (dell'esecuzione per
consegna o rilascio). Il decreto-legge precisa, inoltre, che per l’attuazione
dell’ordine il giudice può avvalersi della forza pubblica e nominare ausiliari
ai sensi dell’articolo 68. In seguito ad
una ulteriore modifica introdotta nel corso dell’esame in sede referente
(emendamento 4.26), si prevede che quando
nell'immobile si trovano beni mobili che non debbono essere consegnati ovvero
documenti inerenti lo svolgimento di attività imprenditoriale o professionale,
il custode intima alla parte tenuta al rilascio ovvero al soggetto al quale gli
stessi risultano appartenere di asportarli, assegnandogli il relativo termine,
non inferiore a trenta giorni, salvi i casi di urgenza. Dell'intimazione si dà
atto a verbale ovvero, se il soggetto intimato non è presente, mediante atto
notificato dal custode. Qualora l'asporto non sia eseguito entro il termine
assegnato, i beni o i documenti sono considerati abbandonati e il custode,
salvo diversa disposizione del giudice dell'esecuzione, ne dispone lo
smaltimento o la distruzione.
Ai sensi del comma 4 dell’articolo 4 la
disposizione si applica agli ordini di liberazione disposti, nei procedimenti
di esecuzione forzata per espropriazione iniziati successivamente al decorso
del termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del decreto-legge in commento.
Ancora, il decreto-legge, modificando il
quinto comma dell'articolo 560 c.p.c. riconosce agli
interessati a presentare l'offerta d'acquisto il diritto di esaminare i beni in
vendita entro 7 giorni dalla richiesta, effettuata tramite il portale delle
vendite pubbliche. Tale termine è stato
elevato a quindici giorni dall’emendamento 4.61 approvato in sede referente.
La disamina dei beni inoltre, deve essere svolta con modalità idonee a
garantire la riservatezza dell’identità degli interessati e ad impedire che
essi abbiano contatti tra loro.
La lettera
e), al fine di migliorare il tasso di efficienza e di trasparenza del
mercato delle vendite forzate, modifica l'articolo 569, prevedendo che le vendite dei beni immobili pignorati abbiano
luogo obbligatoriamente con modalità telematiche, nel rispetto della
normativa regolamentare (DM 32 del 2015) adottato in attuazione dell'articolo
161-ter delle disposizioni per
l'attuazione del c.p.c. Attraverso tale modifica si
estende anche al settore delle vendite immobiliari la regola introdotta
nell'articolo 530 c.p.c. dal decreto-legge n. 90 del
2014 per la quale la vendita dei beni mobili pignorati deve avere luogo con
modalità telematiche. Come si rileva nella relazione a norma del predetto
decreto ministeriale, il giudice dell'esecuzione può disporre che la vendita
abbia luogo con modalità mista e cioè contestualmente con modalità sia
telematiche che tradizionali. La disposizione si applica alle vendite forzate
di beni immobili disposte dopo il sessantesimo giorno dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del decreto-legge in commento (comma 5).
Nel corso dell’esame in sede referente è stata
introdotta nel testo un’ulteriore lettera, la e-bis), la quale, conseguentemente alle modifiche apportate
alla lettera d), interviene sull’articolo 587 c.p.c.
relativo all’inadempienza dell’aggiudicatario. Tale articolo, come da ultimo modificato dal decreto-legge n.
83 del 2015, prevede che se il prezzo non è depositato nel termine stabilito,
il giudice dell’esecuzione dichiara la decadenza dell’aggiudicatario, pronuncia
la perdita della cauzione a titolo di multa e dispone un nuovo incanto.
Costituisce inadempimento anche il mancato versamento di una sola rata entro 10
giorni dalla scadenza del termine. Con il medesimo decreto- il quale
costituisce titolo esecutivo per il rilascio- il giudice ordina altresì
all'aggiudicatario che sia stato immesso nel possesso di rilasciare l'immobile
al custode. La citata lettera e-bis) prevede che tale decreto sia attuato dal custode a norma
dell’articolo 560, quarto comma. E’ soppresso quindi il riferimento al valore
di titolo esecutivo attribuito al decreto.
La lettera
f) modifica l'articolo 588 c.p.c ., prevedendo la
possibilità che il bene pignorato venga
assegnato a favore di un terzo da
nominare. La disposizione si applica alle istanze di assegnazione
presentate, nei procedimenti di esecuzione forzata per espropriazione
immobiliare, dopo trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del decreto-legge in commento (comma
6).
Strettamente collegata alla modifica di cui
alla lettera f) è l'introduzione nel codice di rito una nuova disposizione, l'articolo 590-bis (lettera g).
Tale disposizione, rubricata assegnazione
in favore di un terzo, prevede che il creditore assegnatario di un bene
a favore di un terzo deve dichiarare in cancelleria, nei cinque giorni
dalla pronuncia in udienza del provvedimento di assegnazione ovvero dalla
comunicazione, il nome del soggetto a favore del quale deve essere trasferito
l'immobile, depositando la dichiarazione dello stesso. In mancanza, il
trasferimento si considera fatto a favore del creditore.
La successiva lettera h) interviene sull'articolo 591 c.p.c.
, che disciplina il provvedimento di amministrazione giudiziaria o il nuovo
incanto. L'articolo 591 c.p.c., già modificato dal
decreto-legge n. 83 del 2015, prevede che ove non si sia concretizzata la
vendita al miglior offerente, il giudice può autorizzare l'incanto solo in
assenza di istanze di assegnazione e se ritiene di poter ricavare con tale
modalità un prezzo superiore di almeno la metà del valore del bene determinato
a norma dell’articolo 568 c.p.c.. Nella versione
previgente il giudice poteva decidere di ribassare il prezzo di vendita solo
fino a un quarto, mentre, in seguito all'intervento del decreto-legge in esame,
il giudice, dopo il terzo tentativo di
vendita andato deserto, può decidere di ribassare il prezzo fino al limite
della metà. In seguito
all'approvazione dell'emendamento 4.71, in sede referente, il numero dei
tentativi, dopo i quali il giudice può decidere di ribassare il prezzo fino
al limite della metà è stato elevato a
quattro. Il comma 7
dell'articolo 4 precisa, con riguardo a tale modifica, che si debba tenere
conto, per il computo del numero degli esperimenti di vendita, anche di quelli
svolti prima dell'entrata in vigore del decreto stesso.
La lettera
i) interviene sull'articolo 596 c.p.c. chiarendo
che i giudici dell'esecuzione e i professionisti delegati possono effettuare distribuzioni anche parziali delle somme
ricavate dall'esecuzione immobiliare. Tale misura, si precisa nella
relazione, è volta a superare le divergenze esistenti nella prassi applicativa
e ad assicurare una riduzione dei tempi di recupero del credito.
Con
l'approvazione dell'emendamento 4.15 (testo 2), la Commissione in sede
referente ha aggiunto una nuova lettera i-bis) che novella l'articolo 596 del codice, dedicato alla formazione del
progetto di distribuzione. Tale articolo stabilisce che, nei casi di intervento
di più creditori pignoranti, il giudice dell'esecuzione o il professionista
delegato a norma dell'articolo 591-bis,
provveda a formare un progetto di distribuzione, anche parziale, contenente la
graduazione dei creditori che vi partecipano, non più tardi di trenta giorni
dal versamento del prezzo. Il progetto e depositato in cancelleria affinché
possa essere consultato dai creditori e dal debitore.
Si
ricorda che l'articolo 591-bis c.p.c.
prevede che il giudice dell'esecuzione, con l'ordinanza con la quale provvede
sull'istanza di vendita, deleghi ad un notaio, (avente preferibilmente sede nel
circondario) o a un avvocato ovvero a un commercialista, iscritti nei relativi
elenchi di cui all'articolo 179-ter oggetto
di novella da parte dal disegno di legge in esame. Con la novella in esame, si prevede che il giudice dell'esecuzione possa disporre la
distribuzione, anche parziale, delle somme ricavate a favore dei creditori:
§ aventi diritto all'accantonamento a norma
dell'articolo 510, terzo comma. Tale articolo stabilisce che, in caso di
intervento di più creditori, il giudice dell'esecuzione distribuisce la somma
ricavata tra i creditori, con riguardo alle cause legittime di prelazione e
previo accantonamento delle somme che spetterebbero ai creditori intervenuti
privi di titolo esecutivo, i cui crediti non siano stati in tutto o in parte
riconosciuti dal debitore. L'accantonamento è disposto per consentire ai
medesimi creditori di munirsi di titolo esecutivo;
§ i cui crediti costituiscano oggetto di
controversia circa la sussistenza o l'ammontare di uno o più crediti o circa la
sussistenza di diritti di prelazione, tra i creditori concorrenti o tra
creditore e debitore o terzo assoggettato all'espropriazione (secondo quanto
previsto dall'articolo 512 relativo alla risoluzione delle controversie)
qualora sia presentata una fideiussione autonoma, irrevocabile e a prima
richiesta, rilasciata da uno dei soggetti di cui all'articolo 574, primo comma,
secondo periodo, cioè banche, società assicuratrici o intermediari finanziari
che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di rilascio di garanzie e
che sono sottoposti a revisione contabile da parte di una società di revisione
per un importo pari ad almeno il trenta per cento del prezzo di vendita.
La fideiussione idonea a garantire la
restituzione alla procedura delle somme che risultino ripartite in eccesso,
anche in forza di provvedimenti provvisoriamente esecutivi sopravvenuti, oltre
agli interessi, al tasso applicato dalla Banca centrale europea alle sue più
recenti operazioni di rifinanziamento principali, a decorrere dal pagamento e
sino all'effettiva restituzione. Essa è escussa dal custode o dal
professionista delegato su autorizzazione del giudice. Infine, le novella
prevede che le disposizioni qui introdotte si applichino anche ai creditori che
avrebbero diritto alla distribuzione delle somme ricavate nel caso in cui
risulti insussistente, in tutto o in parte, il credito del soggetto avente
diritto all'accantonamento ovvero oggetto di controversia.
La lettera
l) modifica l'articolo 615 c.p.c., sulla forma dell’opposizione
all’esecuzione, con la previsione
che l'opposizione, nell'esecuzione per espropriazione, è inammissibile se è
proposta dopo che è stata disposta la vendita o l'assegnazione del bene
pignorato a norma degli articoli 530 (provvedimento per l'assegnazione o per
l'autorizzazione della vendita), 552 (assegnazione e vendita di cose dovute dal
terzo) e 569 (provvedimento per l'autorizzazione della vendita). Può essere
proposta opposizione, invece, nel caso in cui essa sia fondata su fatti
sopravvenuti ovvero l'opponente dimostri di non aver potuto proporla
tempestivamente per causa a lui non imputabile. La nuova disposizione si applica
ai procedimenti di esecuzione forzata per espropriazione iniziati
successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
decreto-legge in commento (comma 3).
Da ultimo la lettera m) modifica l'articolo 648, primo comma, c.p.c., esplicitando che, nel caso in cui il debitore
contesti un credito solo parzialmente, il
giudice sia obbligato a concedere la provvisoria esecuzione del decreto
ingiuntivo opposto sulla parte non contestata, garantendo in tal modo la
provvisoria esecutività del credito avente prova certa.
Nel
corso dell’esame in sede referente è stato poi inserito dall'emendamento dei
relatori 4.89 (testo 2), un ulteriore comma 1-bis all'articolo, il quale modifica i commi 2 e 3 dell’articolo
2929-bis del codice civile.
La disposizione oggetto di modifica, introdotta nel codice civile dal decreto legge n. 83 del 2015, nella
sua formulazione vigente, prevede la possibilità che il creditore, titolare di
un credito sorto prima dell’atto pregiudizievole, munito di titolo esecutivo
(atto di pignoramento) proceda ad esecuzione
forzata sul bene anche in assenza di una sentenza definitiva di
revocatoria che abbia dichiarato l’inefficacia di tale atto. Tale azione
esecutiva sarà possibile in presenza di due condizioni: che con l’atto
pregiudizievole il debitore abbia costituito un vincolo di indisponibilità o alieni a titolo
gratuito un bene immobile o un bene mobile registrato; in caso di
alienazione, l’azione è proposta come espropriazione verso il terzo
proprietario (art. 602 e ss., c.p.c.); l’azione non
sarà esperibile, quindi, per atti onerosi o che non riguardino detta tipologia
di beni; che il creditore abbia trascritto il pignoramento entro un anno dalla
data di trascrizione dell’atto pregiudizievole. Analoga forma di tutela è
riservata al terzo creditore anteriore che potrà intervenire nell’esecuzione
promossa da altri nel sopracitato termine di un anno (dalla trascrizione
dell’atto pregiudizievole). Sia il debitore (ex art. 615 c.p.c.)
che il terzo proprietario (ex art. 619 c.p.c.) come
ogni altro interessato al mantenimento del vincolo sul bene potranno proporre opposizione
all’azione esecutiva sia ove contestino i presupposti alla base
dell’azione di cui all’art. 2929-bis, sia quando rivendichino la buona
fede ovvero la mancata conoscenza del pregiudizio che l’atto di disposizione del
bene arrecava al creditore.
I commi secondo e terzo come riscritti
prevedono che nel caso di trasferimento ad un terzo del bene, per effetto o in
conseguenza dell’atto, il creditore promuove l’azione esecutiva nelle forme
dell’espropriazione contro il terzo proprietario ed è preferito ai creditori
personali di costui nella distribuzione del ricavato. Se con l’atto è stato
riservato o costituito alcuno dei diritti di cui al primo comma dell’articolo
2812[2], il creditore pignora la cosa come libera nei confronti del
proprietario. Tali diritti si estinguono con la vendita del bene e i terzi
titolari sono ammessi a far valere le loro ragioni sul ricavato, con preferenza
rispetto ai creditori cui i diritti sono opponibili. Il debitore, il terzo
assoggettato a espropriazione e ogni altro interessato alla conservazione del
vincolo possono proporre le opposizioni all’esecuzione quando contestano la
sussistenza dei presupposti di cui al primo comma o che l’atto abbia arrecato
pregiudizio alle ragioni del creditore o che il debitore abbia avuto conoscenza
del pregiudizio arrecato. L’azione esecutiva non può esercitarsi in
pregiudizio dei diritti acquistati a titolo oneroso dall’avente causa del
contraente immediato, fatti salvi gli effetti della trascrizione del pignoramento
Il comma 2 dell’articolo 4 modifica i commi 9-sexies
e 9-septies dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, che
disciplina il deposito telematico degli atti processuali,
Le disposizioni oggetto di modifica da parte del
decreto-legge in esame sono state introdotte nel provvedimento originario dal
decreto-legge n. 132 del 2014 (recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione
ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo
civile). Più nel dettaglio il decreto- legge n. 132, inserendo i commi 9-quater
(sulla chiusura del fallimento), 9-quinquies (sul concordato
preventivo con cessione dei beni e con continuità̀ aziendale), 9-sexies
(sulla vendita nell’espropriazione immobiliare), ha stabilito per la
procedura fallimentare, di concordato preventivo e per le procedure esecutive
individuali su beni immobili l’obbligo - a cura del curatore, del liquidatore o
del commissario giudiziale, del delegato alla vendita dell’immobile - di elaborazione e di deposito del rapporto
riepilogativo finale, da redigere in conformità a quanto già previsto
dalla legge fallimentare (R.D. n. 267/1942, art. 33). In base alla previgente
formulazione del comma 9-sexies il professionista
delegato alle operazioni di vendita era tenuto a depositare un rapporto
riepilogativo iniziale delle attività svolte, entro dieci giorni dalla
pronuncia dell'ordinanza di vendita.
Il decreto-legge, modificando il comma 9-sexies, prevede che il professionista
delegato alle operazioni di vendita sia tenuto a depositare oltre che il
rapporto riepilogativo iniziale delle attività svolte entro dieci giorni dalla
pronuncia dell'ordinanza di vendita, anche rapporti periodici con cadenza
semestrale. Per coordinamento il comma 2 dell'articolo 4 in esame modifica il
comma 9-septies, relativo l'obbligo
di deposito con modalità telematiche di tali rapporti.
L’emendamento
4.91 (testo 2), approvato in sede referente, ha elevato a trenta giorni il
termine - che decorre non più dalla pronuncia, ma dalla notifica dell’ordinanza
di vendita- entro il quale il professionista deve depositare il rapporto
riepilogativo iniziale.
Nel
corso dell’esame in sede referente è stato inserito, in seguito alla
approvazione dell’emendamento 4.95 (testo 3) dei relatori, un ulteriore comma
all’articolo 4 (comma 2-bis). La nuova disposizione interviene sull’articolo 23 del decreto-legge n.
133 del 2014 (convertito nella legge n. 164 del 2014), relativo alla disciplina
dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di
immobili, prevedendo la facoltà per il concedente, per il rilascio
dell’immobile, di avvalersi del procedimento per convalida di sfratto.
In
seguito alla approvazione dell’emendamento 4.94 (testo 2) dei relatori sono
stati inserite, poi, nell’articolo 4 del decreto-legge tre ulteriori disposizioni. La prima (comma 3-bis)
demanda ad un decreto del Ministro della Giustizia, da adottarsi entro il 30
giugno 2017, l’accertamento della piena funzionalità del portale delle vendite
pubbliche di cui all'articolo 161-quater delle disp.att.c.p.c.
Tale portale è operativo a decorrere dalla pubblicazione del decreto sulla
Gazzetta Ufficiale. A decorrere dal novantesimo giorno successivo alla
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del suddetto decreto, da un lato, la
richiesta di visita dei beni in vendita deve essere formulata esclusivamente
mediante le funzionalità del portale delle vendite pubbliche (comma 4-bis) e, dall’altro, la disposizione di
cui alla lettera e) (vedi supra) si applica alle vendite forzate di beni immobili
disposte dal giudice dell'esecuzione o dal professionista delegato (comma 5-bis).
Articolo
5
(Accesso degli organi delle procedure concorsuali alle
informazioni contenute nelle banche dati )
L'articolo in esame interviene sulla disciplina già prevista dall'articolo 155-sexies delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, in materia di ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare; in tale disposizione, vengono inseriti due ulteriori periodi, in base ai quali:
§ Ai fini del recupero o della cessione dei crediti, il curatore, il commissario e il liquidatore giudiziale possono avvalersi delle medesime disposizioni recate dalla norma in materia di ricerca dei beni con modalità telematiche, anche per accedere ai dati relativi ai soggetti nei cui confronti la procedura ha ragioni di credito, anche in mancanza di titolo esecutivo nei loro confronti.
§ Quando di tali disposizioni ci si avvale nell'ambito di procedure concorsuali e di procedimenti in materia di famiglia, l'autorizzazione spetta al giudice del procedimento.
L'articolo 155-sexies, su cui la norma in esame interviene, estendendone la portata, è stato
originariamente introdotto dal decreto-legge n. 132 del 2014[3], in particolare in sede di conversione in legge dello stesso, che ha
introdotto nell'ordinamento italiano la disciplina relativa alla ricerca con
modalità telematiche dei beni da pignorare.
In particolare, l'articolo 155-sexies in parola - nel testo vigente
prima della novella qui in esame - ha previsto che le disposizioni in materia
di ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare si applichino anche
per l'esecuzione del sequestro
conservativo e per la ricostruzione
dell'attivo e del passivo nell'ambito di procedure concorsuali di procedimenti
in materia di famiglia e di quelli relativi alla gestione di patrimoni altrui.
Ora, con la novella recata dall'articolo 5 del decreto-legge in esame, si estende, dunque, ad ulteriori fattispecie, vale a dire al curatore, al commissario e al liquidatore giudiziale la facoltà di accesso con modalità telematiche ai dati relativi a soggetti che risultano debitori di procedure concorsuali.
La disposizione provvede quindi a rafforzare i poteri di indagine patrimoniale del curatore fallimentare, del commissario e del liquidatore giudiziale, estendendo a questi al potere di accesso alle banche dati contenenti informazioni patrimoniali, con la finalità, esplicitata dalla norma, di agevolare il recupero o la cessione dei crediti.
All'estensione
operata dalla norma del decreto-legge rispetto all'ambito soggettivo di
applicazione delle modalità di ricerca telematica dei beni, si aggiunge la
specificazione che in tali ulteriori fattispecie tale modalità di ricerca possa
avvenire, da parte dei soggetti citati, anche
in mancanza del titolo esecutivo (articolo
155-sexies, nuovo secondo periodo).
Infine, la norma in esame specifica che, ove ci si avvalga delle disposizioni in materia di accesso con modalità telematiche dei beni da pignorare nell'ambito di procedure concorsuali e di procedimenti in materia di famiglia, l'autorizzazione spetta al giudice del procedimento (articolo 155-sexies, nuovo terzo periodo).
La disciplina di riferimento, in materia di
ricerca in via telematica, è recata dagli articoli da 155-bis a 155-sexies delle
disposizione di attuazione al codice di procedura civile, oggetto di successive
novelle, che in estrema sintesi si richiamano.
L'articolo 155-bis
definisce l'archivio dei rapporti finanziari, rinviando alla normativa del
decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605 in materia di
anagrafe tributaria, mentre l'articolo 155-
ter ha previsto la partecipazione del creditore alla
ricerca dei beni da pignorare.
La norma di cui all'articolo 155-quater,
nel testo originariamente introdotto, poi successivamente modificato[4],
demandava ad un emanando decreto ministeriale l'individuazione di casi, limiti
e modalità di esercizio della facoltà di accesso alle banche dati; decreto in
assenza del quale si era determinata una incertezza giurisprudenziale circa la
autorizzazione al ricorso alle modalità di ricerca telematiche astrattamente
previste dal quadro normativo. Di seguito, la disciplina è stata quindi oggetto
di intervento modificativo, prevedendo così l'attuale testo dell'articolo, in
materia di modalità di accesso alle banche dati, che le pubbliche
amministrazioni che gestiscono banche dati contenenti informazioni utili ai
fini della ricerca mettono a disposizione degli ufficiali giudiziari gli
accessi, con le modalità di cui all'articolo 58 del codice dell'amministrazione
digitale (decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82) su richiesta del Ministero
della giustizia.
In estrema sintesi, il c.d.
codice per l'amministrazione digitale, di cui decreto
legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ha previsto, al citato articolo 58, come
modificato e nel testo in vigore dal 21 agosto 2015, una disciplina in materia
di modalità della fruibilità dei dati; si specifica, al riguardo: che il
trasferimento di un dato da un sistema informativo ad un altro non modifica la
titolarità del dato; che le pubbliche amministrazioni comunicano tra loro
attraverso la messa a disposizione a titolo gratuito degli accessi alle proprie
basi di dati alle altre amministrazioni mediante la cooperazione applicativa di
cui medesimo codice; che l'Agenzia per l'Italia digitale, sentiti il Garante
per la protezione dei dati personali e le amministrazioni interessate alla
comunicazione telematica, ivi incluso il Ministero della giustizia, definisce
entro novanta giorni gli standard di
comunicazione e le regole tecniche a cui le pubbliche amministrazioni devono
conformarsi. L'Agenzia per l'Italia digitale provvede altresì al monitoraggio
dell'attuazione della norma in tema di modalità di fruizione, riferendo
annualmente con apposita relazione al Presidente del Consiglio dei ministri e
al Ministro delegato, restando ferma, su altro piano, la speciale disciplina
dettata in materia di dati territoriali. Si prevede poi che il Ministero della
giustizia pubblichi sul portale dei servizi telematici l'elenco delle banche
dati per le quali è operativo l'accesso da parte dell'ufficiale giudiziario per
le finalità di ricerca in via telematica. Inoltre, si prevede l'istituzione,
presso ogni ufficio notifiche, esecuzioni e protesti, del registro cronologico
denominato «Modello ricerca beni»,
prevedendosi infine la gratuità di tale accesso da parte dell'ufficiale
giudiziario alle banche dati.
In materia di accesso ai dati contenuti nelle banche
dati, si ricorda, inoltre, che è stato adottato dal Garante per la protezione
dei dati personali il Provvedimento
2 luglio 2015, n. 393[5],
recante Misure in materia di sicurezza e modalità di scambio dei dati personali
tra amministrazioni pubbliche, ove si prevedono obblighi comunicativi in capo
alle amministrazioni detentrici di dati.
In base all'articolo 155-quinquies[6] delle
disposizioni attuative c.p.c, in materia di accesso
alle banche dati tramite i gestori, si prevede poi che, quando le strutture
tecnologiche, necessarie a consentire l'accesso diretto da parte dell'ufficiale
giudiziario alle banche dati individuate ai sensi della normativa in materia,
non sono funzionanti, il creditore, previa autorizzazione per legge, può
ottenere dai gestori delle banche dati previste le informazioni nelle stesse
contenute. La disposizione si applica, limitatamente a ciascuna delle banche
dati comprese nell'anagrafe tributaria, ivi incluso l'archivio dei rapporti
finanziari, nonché a quelle degli enti previdenziali. Si segnala che, con le
modifiche apportate a tale disposizioni, rispetto al testo originario, si è
inteso quindi rendere operativa la normativa in materia di ricerca in via
telematica, anche nelle more dell'adozione dei decreti attuativi previsti
dall'originaria disciplina citata.
Nell'ambito del codice di procedura civile, l'articolo
492-bis, in materia della ricerca con
modalità telematiche dei beni da pignorare, introdotto con il medesimo
decreto-legge n. 132 del 2014, ha previsto che, su istanza del creditore, il
presidente del tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio,
la dimora o la sede, verificato il diritto della parte istante a procedere ad
esecuzione forzata, autorizza la ricerca con modalità telematiche dei beni da
pignorare. La norma indica i requisiti dell'istanza, prevedendo che con tale
autorizzazione, il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato
dispone che l'ufficiale giudiziario acceda mediante collegamento telematico
diretto ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e,
in particolare, nell'anagrafe tributaria, compreso l'archivio dei rapporti
finanziari, e in quelle degli enti previdenziali, per l'acquisizione di tutte
le informazioni rilevanti per l'individuazione di cose e crediti da sottoporre
ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore
con istituti di credito e datori di lavoro o committenti. Si disciplina l'iter
successivo all'individuazione dei beni, a seguito di ricerca telematica,
prevedendo che, terminate le operazioni, l'ufficiale giudiziario rediga un
unico processo verbale nel quale indica tutte le banche dati interrogate e le
relative risultanze e proceda poi a pignoramento munito del titolo esecutivo e
del precetto, anche acquisendone copia dal fascicolo informatico. Si specifica,
poi, sul piano della procedura esecutiva, che l'ufficiale giudiziario, quando
non rinviene una cosa individuata mediante l'accesso nelle banche dati, intima
al debitore di indicare entro quindici giorni il luogo in cui la stessa si
trovi; se l'accesso ha consentito di individuare crediti del debitore o cose di
quest'ultimo che sono nella disponibilità di terzi, l'ufficiale giudiziario
notifica d'ufficio al debitore e al terzo il verbale, che dovrà anche contenere
l'indicazione del credito per cui si procede, del titolo esecutivo e del precetto,
nonché degli altri elementi previsti dalla legge. Si prevede la scelta del
creditore circa i beni da sottoporre a esecuzione, quando l'accesso ha
consentito di individuare più crediti del debitore o più cose di quest'ultimo
che sono nella disponibilità di terzi.
In materia di ricerca dei beni del debitore per via telematica, si ricorda come,
in relazione alla originaria disciplina introduttiva della disciplina, qui
oggetto di ulteriore estensione ai sensi della norma in esame, veniva rilevato
il c.d. 'deficit informativo' che caratterizza la ricerca dei beni su cui
soddisfare il credito, da controbilanciare, mediante l'introduzione della
disciplina in parola sulle modalità di ricerca in via telematica, consentendo l'accesso
diretto alle banche dati pubbliche contenenti informazioni rilevanti ai fini
dell'esecuzione. In tal senso, l'accesso alle banche dati su autorizzazione del
presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato, al fine di soddisfare
le esigenze di tutela della riservatezza connesse a tale operazione di ricerca
dei beni da pignorare, e con competenza radicata nel tribunale del luogo di
residenza, domicilio, dimora o sede del debitore, prescinde anche dalla
localizzazione territoriale dell'asset da
aggredire.
Inoltre, si ricorda che in
relazione alla originaria introduzione nell'ordinamento italiano del sistema
della ricerca mediante accesso alle banche dati telematiche dei beni da
pignorare si sottolineava, anche in chiave comparatistica, l'obiettivo di
migliorare l'efficienza dei procedimenti di esecuzione mobiliare presso il
debitore e presso terzi, in linea con i sistemi ordinamentali di altri Paesi
europei, quali i Paesi scandinavi, dove i compiti di ricerca dei beni da
pignorare sono demandati ad un'agenzia pubblica appositamente costituita e, con
riferimento ad altri Paesi europei, nei quali il creditore ha diritto di
interrogare le banche dati pubbliche tramite l'ufficiale giudiziario anche
prima di promuovere l'esecuzione.
Articolo
5-bis
(Elenco dei professionisti che provvedono alle operazioni
di vendita dei beni pignorati)
Con l'approvazione in sede referente dell''emendamento 5.3 (testo 4), dei Relatori, si mira a sostituire l'articolo 179-ter delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368 , prevedendo una nuova normativa in materia di elenco dei professionisti che provvedono alle operazioni di vendita dei beni pignorati.
Si
ricorda che la disciplina attuale, come recata dall'articolo 179-ter nel testo
vigente, prevede che il Consiglio notarile distrettuale, il Consiglio
dell'ordine degli avvocati e il Consiglio dell'ordine dei dottori
commercialisti e esperti contabili comunicano ogni triennio ai presidenti dei
tribunali gli elenchi, distinti per ciascun circondario, rispettivamente dei
notai, degli avvocati e dei commercialisti disponibili a provvedere alle
operazioni di vendita dei beni immobili.
Il comma
1 dell'emendamento, nel recare la nuova disciplina proposta, interamente
sostitutiva dell'attuale articolo 179-ter delle disposizioni attuative del
codice di procedura civile, prevede l'istituzione, presso ogni tribunale,
di un elenco dei professionisti che provvedono alle operazioni di
vendita.
La norma reca, per l'iscrizione a tali elenchi, il
requisito di aver assolto gli obblighi di prima formazione, come
stabiliti con decreto, di natura non regolamentare, del Ministro della
giustizia, di cui si prevede l'adozione entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.
In particolare, la norma prevede possano
ottenere l'iscrizione i professionisti di cui agli articoli 534-bis e 591-bis, primo comma, del codice, che presentino il requisito indicato.
Si ricorda che l'articolo 591-bis del
c.p.c. prevede che il giudice dell'esecuzione, salvo
quando ritenga di procedervi direttamente, con l'ordinanza con la quale
provvede sull'istanza di vendita, delega ad un notaio avente preferibilmente
sede nel circondario o a un avvocato ovvero a un commercialista la vendita,
definendo poi la disposizione i compiti del soggetto delegato. L'articolo 534-bis prevede analoga disposizione, con la
delega da parte del giudice dell'esecuzione, con l'ordinanza con la quale
provvede sull'istanza di vendita, circa la delega ad un notaio avente
preferibilmente sede nel circondario o a un avvocato ovvero a un commercialista
per il compimento delle operazioni di vendita con incanto ovvero senza incanto
di beni mobili iscritti nei pubblici registri, rinviando alle disposizioni di
cui all'articolo 591-bis, in quanto
compatibili con le previsioni della sezione di collocazione della norma.
La norma dispone che con il medesimo decreto sono
stabiliti gli obblighi di formazione periodica da assolvere, ai fini
della conferma dell'iscrizione, nonché sono fissate le modalità per la verifica
dell'effettivo assolvimento degli obblighi formativi ed individuati contenuto e
modalità di presentazione delle domande.
Al riguardo, si prevede l'istituzione, presso ciascuna
Corte di appello, di una commissione, composta in conformità a quanto
disposto dal decreto menzionato, che disciplina altresì le modalità di
funzionamento della commissione. L'incarico di componente della commissione ha
durata triennale, può essere rinnovato una sola volta e non comporta alcuna
indennità o retribuzione a carico dello Stato, né alcun tipo di rimborso spese.
In base alla norma, la commissione provvede alla
tenuta dell'elenco, all'esercizio della vigilanza sugli iscritti, alla
valutazione delle domande di iscrizione e all'adozione dei provvedimenti di
cancellazione dall'elenco.
In materia, si attribuisce alla Scuola superiore
della magistratura la funzione di elaborare le linee guida generali per la
definizione dei programmi dei corsi di formazione e di aggiornamento, sentiti
il Consiglio nazionale forense, il Consiglio nazionale dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili e il Consiglio nazionale notarile.
La commissione esercita le funzioni, anche tenendo
conto delle risultanze dei rapporti riepilogativi di cui agli articoli 16-bis, commi 9-sexies e 9-septies, del decreto-legge n. 179 del
2012, e valuta altresì i motivi per i quali sia stato
revocato l'incarico in una o più procedure esecutive.
Si ricorda che l'articolo 16-bis del decreto legge n. 179 del 18
ottobre 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n.
221, prevede, al comma 9-sexies, il deposito, da parte del professionista
delegato, entro dieci giorni dalla pronuncia dell'ordinanza di vendita, di un
rapporto riepilogativo iniziale delle attività svolte, nonché, a decorrere dal
deposito del rapporto riepilogativo iniziale, e con cadenza semestrale, un
rapporto riepilogativo periodico delle attività svolte. Inoltre, si prevede che
entro dieci giorni dall'approvazione del progetto di distribuzione, il
professionista delegato depositi un rapporto riepilogativo finale delle
attività svolte successivamente al deposito del rapporto riepilogativo
periodico. Il comma 9-septies della richiamata disposizione, prevede poi che i
rapporti riepilogativi periodici e finali previsti per le procedure concorsuali
e i rapporti riepilogativi previsti per i procedimenti di esecuzione forzata
devono essere depositati con modalità
telematiche nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la
sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici,
nonché delle apposite specifiche tecniche del responsabile per i sistemi
informativi automatizzati del Ministero della giustizia. I relativi dati sono
estratti ed elaborati, a cura del Ministero della giustizia, anche nell'ambito
di rilevazioni statistiche nazionali. I rapporti riepilogativi devono contenere
i dati identificativi dell'esperto che ha effettuato la stima, prevedendosi
l'applicazione delle disposizioni in parola anche ai prospetti riepilogativi
delle stime e delle vendite di cui all'articolo 169-quinquies delle disposizioni per l'attuazione del codice di
procedura civile e disposizioni transitorie. Il prospetto riepilogativo deve
contenere anche i dati identificativi dell'ufficiale giudiziario che ha
attribuito il valore ai beni pignorati.
La nuova disciplina prevede che, quando ricorrono
speciali ragioni, l'incarico possa essere conferito a persona non iscritta in
nessun elenco, con, nel provvedimento di conferimento dell'incarico,
l'indicazione analitica dei motivi della scelta, rinviandosi, per quanto non
disposto diversamente dall'articolo in esame, alle disposizioni di cui agli
articoli 13 e seguenti in quanto compatibili. Inoltre, si dispone che i
professionisti cancellati dall'elenco non possano essere reinseriti nel
triennio in corso e nel triennio successivo.
Il comma 2
reca l'autorizzazione di spesa per l'attuazione delle disposizioni in parola,
pari ad euro 41.600,00 per l'anno 2016 ed euro 72.800,00 per l'anno 2017,
indicando, a copertura dell'onere, la corrispondente riduzione dello
stanziamento per gli anni 2016 e 2017, del fondo speciale di parte corrente
iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016 - 2018, nell'ambito del programma
"Fondi di riserva speciali" della missione "Fondi da
ripartire" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle
finanze per l'anno 2016, a valere sull'accantonamento relativo al Ministero
della giustizia.
Il comma 3
rinvia ad un successivo decreto del Ministro della giustizia, da
adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze,
entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del
decreto-legge in esame, con il quale saranno stabiliti gli importi delle quote
di partecipazione individuale ai corsi di formazione e di aggiornamento
previsti dalla nuova normativa recata dall'articolo 179-ter delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura
civile; il medesimo decreto stabilirà, inoltre, le modalità di pagamento
delle quote, prevedendone il versamento su apposito capitolo dell'entrata
del bilancio dello Stato, ai fini della successiva riassegnazione allo stato di
previsione della spesa del Ministero della giustizia. La disposizione specifica
che gli importi sono stabiliti in misura tale da garantire l'integrale
copertura delle spese connesse all'organizzazione ed al funzionamento dei corsi.
Il comma 4
autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri
decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Articolo
6
(Modifiche alla legge fallimentare)
L’articolo 6 del decreto-legge apporta modifiche puntuali alla legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942), con la dichiarata finalità di velocizzare le procedure.
In particolare, la lettera a) interviene sull’articolo 40 della legge fallimentare, relativo alla nomina del comitato dei creditori.
Si ricorda che, in base all’art. 41 L.F., il comitato dei creditori è tenuto a vigilare sull’operato del curatore, ad autorizzarne gli atti e ad esprimere pareri nei casi previsti dalla legge, ovvero su richiesta del tribunale. Il comitato ed ogni suo componente, inoltre, possono ispezionare in qualunque tempo le scritture contabili e gli atti della procedura, avendo diritto di chiedere notizie e chiarimenti sia al curatore che al fallito.
Il comitato è composto di tre o cinque membri scelti tra i creditori “in modo da rappresentare in misura equilibrata quantità e qualità dei crediti ed avuto riguardo alla possibilità di soddisfacimento dei crediti stessi”; è nominato dal giudice delegato entro trenta giorni dalla sentenza di fallimento, sulla base delle risultanze documentali, sentiti il curatore e i creditori che, con la domanda di ammissione al passivo o precedentemente, hanno dato la disponibilità ad assumere l’incarico ovvero hanno segnalato altri nominativi. Gli stessi membri del comitato, entro dieci giorni dalla nomina, provvedono a nominare, a maggioranza e su convocazione del curatore, il proprio presidente.
La riforma precisa che il comitato dei creditori si considera costituito, anche prima della designazione del presidente, con l'accettazione, anche per via telematica, della nomina da parte dei suoi componenti. Non serve dunque alla costituzione del comitato la convocazione davanti al curatore.
Le lettere b), d) ed e) attengono tutte alla possibilità di svolgere in via telematica le udienze che richiedono la presenza di un elevato numero di creditori.
In particolare, la lettera b) modifica l’art. 95 della legge fallimentare, consentendo al giudice delegato di prevedere che, in considerazione del numero dei creditori e dell’entità del passivo, l’udienza per l’esame dello stato passivo sia svolta in via telematica. Le modalità telematiche – realizzate con strutture informatiche che possono essere messe a disposizione della procedura da soggetti terzi – dovranno comunque assicurare il rispetto del contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei creditori.
Analogamente dispone la lettera d), che interviene sull’art. 163 LF, in relazione allo svolgimento in via telematica dell’adunanza dei creditori nella disciplina dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo.
La lettera e) precisa, con particolare riferimento alla discussione della proposta di concordato di cui all’art. 175 LF, che se il tribunale ha disposto l’adunanza in via telematica, le modalità di svolgimento della discussione sulla proposta di concordato e delle proposte concorrenti sono disciplinate con decreto, non soggetto a reclamo, del giudice delegato, da emanarsi almeno dieci giorni prima dell'adunanza.
La lettera c) modifica l’art. 104-ter LF, in tema di programma di liquidazione, per inserire tra le giuste cause di revoca del curatore anche il mancato rispetto dell’obbligo di presentare un progetto di ripartizione delle somme, quando somme da distribuire ai creditori siano disponibili.
In base all’art. 110 LF il curatore, ogni quattro mesi dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo, presenta un prospetto delle somme disponibili ed un progetto di ripartizione delle medesime, riservate quelle occorrenti per la procedura. La violazione di questa disposizione in presenza di somme da ripartire è ora causa di revoca del curatore.
In sede referente, la Commissione ha integrato l’articolo 6 con l’inserimento della lettera e-bis), che modifica proprio l’art. 110 L.F. relativo al procedimento di ripartizione dell’attivo.
In particolare, il provvedimento stabilisce:
§ che, se sono in corso procedimenti di impugnazione del decreto che accerta il passivo, il curatore deve indicare, nel progetto di ripartizione, per ciascun creditore, le somme che possono essere ripartite immediatamente e quelle per le quali, invece, occorre attendere una fideiussione, idonea a garantire la restituzione alla procedura delle somme (con gli interessi) che risultino ripartite in eccesso;
§ che, se sono presentati reclami contro la ripartizione dell’attivo, il progetto di ripartizione è dichiarato esecutivo e non occorre accantonare le somme corrispondenti ai crediti oggetto di contestazione, se viene presentata una idonea fideiussione.
In entrambi i casi, la fideiussione deve essere rilasciata da banche, società assicuratrici o intermediari finanziari che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di rilascio di garanzie e che sono sottoposti a revisione contabile da parte di una società di revisione (come previsto dal richiamato art. 574 c.p.c.).
Articolo
7
(Società per la Gestione di Attività S.G.A. S.p.A.)
L’articolo 7 dispone l’acquisizione da parte del Ministero dell’economia e delle finanze della Società per la Gestione di Attività S.G.A. S.p.A., la società costituita in occasione del salvataggio del Banco di Napoli nel 1997 allo scopo di recuperare i crediti in sofferenza. A fronte del trasferimento delle azioni della Società è riconosciuto un corrispettivo non superiore a 600.000 euro, pari al loro valore nominale.
Successivamente all’acquisizione la Società potrà estendere la sua operatività, acquistando e gestendo crediti e altre attività finanziarie anche da soggetti diversi dal Banco di Napoli.
La Società per la Gestione di Attività S.G.A. S.p.A. è stata utilizzata nel 1997 nell’ambito dell’operazione di salvataggio e risanamento del Banco di Napoli: in sostanza si tratta di una sorta di bad bank alla quale sono state trasferite le sofferenze bancarie dell’istituto con lo scopo di recuperare i crediti in sofferenza. Il Banco di Napoli spa ha ceduto alla SGA crediti incagliati a titolo oneroso e pro soluto che, al netto della svalutazione per le perdite previste, ammontavano a circa 12.378 miliardi di lire (circa 6,4 miliardi di euro). Tale operazione è stata in gran parte attuata: infatti la SGA è riuscita a rientrare di circa il 90 per cento delle esposizioni cedute dal Banco di Napoli (fonte Borsa Italiana). La S.G.A. ha altresì acquistato crediti e attivi dall'ISVEIMER S.p.A. (Istituto per lo Sviluppo Economico dell'Italia Meridionale) in liquidazione.
Si ricorda che tramite il decreto-legge n. 497 del 1996 lo Stato ha provveduto alla ricapitalizzazione del Banco di Napoli per 2.000 miliardi di lire; sono state inoltre fornite anticipazioni di cassa da parte della Banca d’Italia. Tale operazione è stata sottoposta al vaglio della Commissione europea la quale, con la decisione del 29 luglio 1998 ha approvato, con alcune condizioni, l’aiuto concesso dall’Italia al Banco di Napoli.
La Società per la Gestione di Attività S.G.A. S.p.A., con sede a Napoli, risulta attualmente iscritta, in quanto intermediario finanziario di credito, nell’Albo unico degli intermediari finanziari (art. 106 del TUB). Precedentemente all’attuazione della riforma del TUB (ad opera del D.Lgs. n. 141 del 2010), la SGA era iscritta sia nell'elenco generale di cui all'articolo 106 sia nell'elenco speciale di cui all'articolo 107. Essa, pertanto, è sempre stata sottoposta a controlli di vigilanza prudenziale da parte della Banca d'Italia.
Il capitale sociale, interamente versato, ammonta a 600.000 euro.
Da notizie informali si apprende che la Società per la Gestione di Attività S.G.A. S.p.A. al 31 dicembre 2014 aveva 484 milioni tra cassa e disponibilità liquide, più altri 238 milioni alla voce crediti, secondo la più recente visura camerale disponibile. Gran parte delle attività finanziarie disponibili per la vendita sono costituite da titoli di stato.
Il comma 1 dispone il trasferimento delle azioni rappresentative dell’intero capitale sociale della Società per la Gestione di Attività S.G.A. S.p.A. al Ministero dell’economia e delle finanze. A fronte del trasferimento si prevede un corrispettivo non superiore a 600.000 euro, pari al valore nominale delle azioni trasferite, determinato sulla base di una relazione giurata di stima prodotta da uno o più soggetti di adeguata esperienza e qualificazione professionale nominati dal Ministero dell'economia e delle finanze.
La stessa norma ricorda che sulle azioni della SGA è attribuito al Ministero dell’economia e delle finanze il diritto di pegno (articolo 3, comma 6-bis, del decreto-legge n. 497 del 1996, recante disposizioni urgenti per il risanamento, la ristrutturazione e la privatizzazione del Banco di Napoli). Conseguentemente all’acquisizione della SGA da parte del MEF la norma citata è abrogata dal successivo comma 2.
La relazione illustrativa al riguardo afferma che il trasferimento delle azioni al valore nominale non superiore a 600.000 euro è giustificato dalla norma del citato decreto-legge che attribuisce al Tesoro gli eventuali utili di bilancio realizzati dalle società cessionarie dei crediti del Banco di Napoli (ovvero la SGA), nell’ambito della determinazione del corrispettivo pagato dal Tesoro per la ricapitalizzazione del Banco di Napoli operata, tra l’altro, mediante l’acquisto di azioni e dei diritti di opzione sulle stessa (articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 497 del 1996).
Il citato articolo 2, comma 1, dispone infatti che, a fronte dell'immediato trasferimento delle azioni e dei diritti di opzione del Banco di Napoli, acquistati dal Tesoro a trattativa diretta o a seguito di offerta pubblica, il corrispettivo che il Tesoro paga per tali acquisti è determinato successivamente, sulla base del prezzo realizzato all'esito dell'operazione di dismissione della partecipazione detenuta del Tesoro, disposta dall'articolo 5 del decreto-legge e da attuarsi entro la fine del 1997. Tale prezzo è aumentato degli eventuali utili di bilancio complessivamente realizzati dalle società cessionarie, “che sono attribuiti al Tesoro”, ed è ridotto degli oneri per la copertura delle perdite del Banco nei cinque esercizi successivi conseguenti agli interventi a favore delle stesse società cessionarie nonché dell'ammontare del capitale conferito dal Tesoro aumentato degli interessi.
La dismissione della partecipazione del Tesoro nel Banco di Napoli si è realizzata in due tanche, nel giugno 1997 (circa 32 milioni di euro) e nel novembre 2000 (circa 493 milioni di euro). L’importo della vendita del pacchetto azionario del Banco di Napoli è stato in parte destinato alla copertura delle perdite del Banco per gli interventi a favore della società cessionaria dei crediti anomali (ovvero SGA).
Infatti tale società nei primi anni di attività ha registrato perdite imputabili agli oneri finanziari assunti per acquistare i crediti del Banco di Napoli. Tale perdite sono state ripianate per cassa dallo stesso Banco di Napoli il quale ha utilizzato le anticipazioni fornite dalla Banca d’Italia con le modalità stabilite dal D.M. del 27 settembre 1974 (c.d. “decreto Sindona”), ai sensi dell’articolo 3, comma 6, del decreto 497 del 1996 (tale ultima norma è abrogata dal comma 2 dell’articolo in esame).
Dai dati desunti dall’ultimo bilancio approvato, attualmente la SGA dispone di circa 500 milioni di euro di liquidità. Con riferimento alla sua attività di recupero dei crediti ceduti, rimangono aperte circa 4 mila posizioni (rispetto alle originarie 38 mila), corrispondenti a circa il 10 per cento.
La relazione governativa afferma infine che il principio di neutralità, proprio della disciplina degli aiuti di Stato, impedisce che eventuali surplus patrimoniali possano essere attribuiti al Banco di Napoli (ora inclusa nel gruppo Intesa Sanpaolo), una volta rimborsato il finanziamento.
Il comma 2 estende l’ambito di operatività della SGA. Si prevede, infatti, che successivamente alla sua acquisizione da parte del MEF, la SGA potrà acquistare sul mercato crediti, partecipazioni e altre attività finanziarie, nonché compiere le ulteriori attività previste dallo statuto, nel rispetto dei requisiti e degli obblighi previsti dalla normativa applicabile allo svolgimento di determinate tipologie di servizi nei confronti del pubblico.
Si prevede inoltre l’abrogazione, a decorrere dal 4 maggio 2016 (data di entrata in vigore del decreto-legge in esame), dei commi 6 e 6-bis dell’articolo 3 del decreto-legge n. 497 del 1996.
Il comma 6, come anticipato, consente alla Banca d'Italia di concedere al Banco di Napoli S.p.A. anticipazioni a fronte delle perdite derivanti da finanziamenti e di altri interventi dallo stesso Banco effettuati verso società del gruppo poste in liquidazione, nell'interesse dei creditori delle stesse società, ovvero a favore di società del gruppo a cui siano stati ceduti, previa autorizzazione della Banca d'Italia, crediti ed altre attività del Banco. Tali anticipazioni sono concesse con le modalità di cui al decreto del Ministro del tesoro 27 settembre 1974 (c.d. decreto Sindona), in base al quale, ferma la misura dell'interesse sulle anticipazioni presso la Banca d'Italia, sono consentite anticipazioni a ventiquattro mesi, sui buoni del Tesoro a lunga scadenza, all'interesse dell'1 per cento, a favore di aziende di credito che si siano surrogate ai depositanti di altre aziende in liquidazione coatta e che si trovino a dover ammortizzare, perché parzialmente o totalmente inesigibile, la conseguente perdita nella loro esposizione. In tal modo sono stati eliminati dal bilancio del Banco crediti e altre attività rischiose con la cessione alla SGA, società controllata dal Banco, le cui perdite sono state coperte con la procedura di cui al richiamato D.M. del 1974. Alle cessioni di cui al medesimo comma e a quelle poste in essere dalle società cessionarie si applicano le disposizioni di cui ai commi 2, 3 e 4 dell'articolo 58 del TUB. Si tratta in particolare delle disposizioni che impongono alla banca cessionaria di dare notizia dell'avvenuta cessione mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e che mantengono validi i privilegi e le garanzie a favore della banca cessionaria.
Il comma 6-bis, introdotto nel corso della conversione del decreto, stabilisce che l'autorizzazione della Banca d'Italia di cui al comma 6 è subordinata alla concessione in favore del Tesoro del pegno, con diritto di voto, delle azioni delle società cessionarie di proprietà del Banco di Napoli, ovvero anche alla concessione, in favore del Tesoro, di mandato irrevocabile, anche per più assemblee e senza indicazione di istruzioni, ad esercitare il diritto di voto, al fine di consentire al Tesoro di disporre della maggioranza dei diritti di voto.
La norma, infine, demanda alla SGA di adeguare lo statuto alle disposizioni previste dall’articolo in esame.
L’estensione dell’ambito di operatività della SGA determina, quindi, che essa possa acquistare e gestire crediti e altre attività non immobiliari anche da soggetti diversi dal Banco di Napoli. In tal modo, pertanto, una S.p.A. interamente posseduta dallo Stato sarà attiva nel mercato dei crediti deteriorati.
Il Ministro dell’economia e delle finanze Padoan, nel corso di un’audizione in Senato il 4 maggio 2016, ha dichiarato che l’operazione in esame non costituisce una vendita, ma una restituzione, in quanto il Ministero aveva in pegno le azioni della SGA e aveva diritto a riscuotere gli utili. Si tratterebbe quindi di un'operazione che permette di mobilitare risorse che altrimenti non sarebbero state utilizzate.
Non è da esclude, inoltre, sebbene la relazione governativa non dica nulla al riguardo, che la SGA possa partecipare all’operazione del Fondo Atlante, recentemente costituito.
Il Fondo Atlante è un fondo di investimento alternativo chiuso riservato gestito da una società privata, la Quaestio SGR. Si tratta di un’operazione che coinvolge il settore privato, ma che è stata coordinata in parallelo alle misure definite con il decreto in esame volte ad accelerare le procedure fallimentari e concorsuali. Il MEF e il Governo hanno svolto un ruolo da facilitatore in rapporto a tale fondo: esso è finanziato da capitali privati su base esclusivamente volontaria. L’attuale dimensione del Fondo è di 4,249 miliardi. Gli investitori sono 67 istituzioni italiane ed estere, che includono banche, società di assicurazioni, Fondazioni bancarie e Cassa Depositi e Prestiti. Il fondo ha due obiettivi principali: contribuire ad alcune ricapitalizzazioni bancarie, con funzioni di backstop, vale a dire di rete di protezione di ultima istanza, e avviare un meccanismo di acquisto e gestione dei crediti in sofferenza che, come fanno gli operatori di mercato, utilizzi anche l’effetto-leva ampliando il raggio d’azione rispetto ai capitali versati.
Il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha recentemente affermato, in relazione al Fondo Atlante, che anche se le risorse finora disponibili sono limitate, la costituzione del fondo può aiutare a sbloccare il mercato delle sofferenze, contribuendo così - fin dal suo inizio - alla soluzione del problema dei crediti deteriorati (npl, non performing loans). Tuttavia, essendo un'operazione che coinvolge privati e mercato, dovrà essere conforme alla normativa europea attuale e coerente con il quadro della concorrenza. Secondo Visco, inoltre, non dovrebbe essere proibita la possibilità di un temporaneo supporto pubblico nei casi di crisi di banche sistemiche.
Si ricorda, infine, che con il decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18 è stata introdotta una specifica disciplina per la concessione di garanzia dello Stato sulla cartolarizzazione delle sofferenze bancarie.
In particolare gli articoli dal 3 al 13-bis (Capo II) recano misure volte a definire un meccanismo per smaltire i crediti in sofferenza presenti nei bilanci bancari da attuare mediante la concessione di garanzie dello Stato nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione che abbiano come sottostante crediti in sofferenza (Garanzia cartolarizzazione crediti in sofferenza – GACS).
In estrema sintesi, oggetto della garanzia dello Stato sono solo le cartolarizzazioni cd. senior, ossia quelle considerate più sicure, in quanto sopportano per ultime eventuali perdite derivanti da recuperi sui crediti inferiori alle attese. Non si procede al rimborso dei titoli più rischiosi se prima non sono integralmente rimborsate le tranches di titoli coperto dalla garanzie di Stato. Le garanzie possono essere chieste dalle banche che cartolarizzano e cedono i crediti in sofferenza, a fronte del pagamento di una commissione periodica al Tesoro, calcolata come percentuale annua sull'ammontare garantito. Il prezzo della garanzia è di mercato, come anche ribadito dalla Commissione europea al fine di non dar vita ad aiuti di Stato. Si prevede che il prezzo della garanzia sia crescente nel tempo, allo scopo di tener conto dei maggiori rischi connessi a una maggiore durata dei titoli e di introdurre nel meccanismo un incentivo a recuperare velocemente i crediti. Al fine del rilascio della garanzia, i titoli devono avere preventivamente ottenuto un rating uguale o superiore all'investment grade da un'agenzia di rating indipendente e inclusa nella lista delle agenzie accettate dalla BCE secondo i criteri che le agenzie stesse sono tenute ad osservare. Con la presenza della garanzia pubblica si intende facilitare il finanziamento delle operazioni di cessione delle sofferenze senza impatti sui saldi di finanza pubblica.
1. Ai fini del presente capo si intendono per:
a) «investitore»: la persona fisica, l'imprenditore individuale, anche agricolo, e il coltivatore diretto, o il suo successore mortis causa, che ha acquistato gli strumenti finanziari subordinati indicati nell'articolo 1, comma 855, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (di seguito: «Legge di stabilità per il 2016»), nell'ambito di un rapporto negoziale diretto con la Banca in liquidazione che li ha emessi;
b) «Banca in liquidazione» o «Banca»: la Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.A. in liquidazione coatta amministrativa, la Banca delle Marche S.p.A. in liquidazione coatta amministrativa, la Banca popolare dell'Etruria e del Lazio S.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, la Cassa di risparmio di Chieti S.p.A. in liquidazione coatta amministrativa;
c) «Nuova Banca»: la Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.A., la Nuova Banca delle Marche S.p.A, la Nuova Banca dell'Etruria e del Lazio società cooperativa, la Nuova Cassa di risparmio di Chieti S.p.a., istituite dall'articolo 1 del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183;
d) «Fondo di solidarietà»: il Fondo istituito dall'articolo 1, comma 855, della Legge di stabilità per il 2016;
e) «Fondo»: il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi quale gestore del Fondo di solidarietà di cui alla lettera d);
f) «prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione o al collocamento degli strumenti finanziari subordinati»: la prestazione di ciascuno dei servizi ed attività di cui all'articolo 1, comma 5, e all'articolo 25-bis del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo del 24 febbraio 1998, n. 58, ove nella prestazione di tale servizi o attività sono stati in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità acquistati o sottoscritti dall'investitore i suddetti strumenti finanziari subordinati, nell'ambito di un rapporto negoziale con la Banca in liquidazione;
g) «MTS»: il Mercato telematico all'ingrosso dei titoli di Stato (MTS) gestito dalla Società per il Mercato dei Titoli di Stato -- MTS S.p.A..
Articolo
9
(Accesso al Fondo di solidarietà con erogazione diretta)
L'articolo 9 in materia di accesso diretto al Fondo di solidarietà al fine del riconoscimento dell'indennizzo forfetario stabilisce che gli investitori - in possesso di un patrimonio mobiliare di proprietà inferiore a 100.000 euro o con un reddito lordo ai fini dell'IRPEF nell'anno 2015 inferiore a 35.000 euro - che abbiano acquistato gli strumenti finanziari (di cui all'art. 8, c. 1, lett. a)), entro la data del 12 giugno 2014 e che li detenevano alla data della risoluzione delle Banche in liquidazione [di seguito anche: Strumenti Finanziari] possono chiedere al Fondo l'erogazione di un indennizzo forfetario pari all'80 per cento del corrispettivo pagato per l'acquisto degli strumenti finanziari, al netto degli oneri e spese connessi all'operazione di acquisto e della differenza positiva tra il rendimento degli strumenti finanziari subordinati e il rendimento di mercato individuato secondo specifici parametri (meglio dettagliati di seguito).
Viene inoltre precisato che la presentazione dell'istanza di indennizzo forfettario preclude la possibilità di esperire la procedura arbitrale (ex commi da 857 a 860, legge stabilità 2016). Parimenti l'attivazione della procedura arbitrale preclude la possibilità di esperire la procedura di cui al presente articolo 9 e laddove la predetta procedura sia stata già attivata, la relativa istanza è improcedibile. Limitatamente agli strumenti finanziari acquistati oltre il 12 giugno 2014 gli investitori possono accedere alla procedura arbitrale, anche laddove abbiamo fatto istanza per l'erogazione dell'indennizzo forfettario in relazione agli strumenti acquistati in data anteriore al 12 giugno 2014.
Il comma 1 individua le condizioni patrimoniali e reddituali che gli investitori, come definiti dal precedente art. 8, c. 1, lett. a), devono possedere per poter chiedere al Fondo l'erogazione di un indennizzo forfettario dell'ammontare determinato ai sensi del successivo comma 3. Le condizioni sono il possesso di un patrimonio mobiliare di valore inferiore a 100.000 euro (lett. a)) o di un reddito complessivo – come previsto in sede referente - ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche nell'anno 2014 (inizialmente l'anno fiscale era il 2015) inferiore a 35.000 euro (lett. b)).
Il comma 2 stabilisce i criteri di determinazione del valore del patrimonio mobiliare di cui al comma precedente, prevedendo che esso sia calcolato quale somma delle seguenti voci:
§ patrimonio mobiliare posseduto al 31 dicembre 2015, esclusi gli Strumenti Finanziari. Tale patrimonio è a sua volta determinato secondo i criteri e le istruzioni approvati con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali di concerto con il MEF, Dipartimento delle finanze 29 dicembre 2015, n. 363, recante approvazione del modello tipo di dichiarazione sostitutiva unica (DSU), nonché delle relative istruzioni per la compilazione, ai sensi dell'art. 10, c. 3, del dPCM 5 dicembre 2013, n. 159 in materia di "Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)";
§ corrispettivo pagato per l'acquisto degli Strumenti Finanziari, al netto degli oneri e spese direttamente connessi all'operazione di acquisto.
Il comma 3 definisce l'entità dell'indennizzo forfettario. Tale importo è pari all'80 per cento del corrispettivo pagato per l'acquisto degli Strumenti Finanziari al netto degli oneri e delle spese direttamente connessi all'acquisto (lett. a) del comma) e della differenza, se positiva, tra il rendimento degli strumenti finanziari subordinati e il rendimento di mercato di un BTP in corso di emissione di durata finanziaria equivalente oppure il rendimento ricavato tramite interpolazione lineare di BTP in corso di emissione aventi durata finanziaria più vicina (lett. b) del comma). In pratica, laddove non sia possibile far riferimento al rendimento di un BTP con durata equivalente si ricorre a un procedimento matematico che a partire da valori osservabili (BTP con durata più vicina) ricava il rendimento di un "teorico" BTP con durata equivalente.
Il comma 4 qualifica i termini della differenza di cui al precedente comma 3, lettera b) stabilendo che il rendimento degli strumenti finanziari subordinati è rilevato alla data di acquisto o di sottoscrizione, mentre il rendimento dei BTP è determinato sulla base della loro quotazione di chiusura, alla medesima data, nel mercato regolamentato dei titoli di Stato MTS.
Il comma 5 precisa che l'importo di cui al comma 3, lettera b), è calcolato moltiplicando tra loro la differenza tra i rendimenti di cui al comma precedente, gli anni e la frazione d'anno trascorsi dalla data di acquisto o di sottoscrizione degli strumenti finanziari subordinati e la data del provvedimento di risoluzione delle Banche in liquidazione, il corrispettivo pagato per l'acquisto degli strumenti finanziari subordinati al netto di oneri e spese direttamente connessi all'operazione di acquisto.
Il comma 6 stabilisce che l'istanza di erogazione dell'indennizzo forfetario deve essere presentata, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (termine elevato in sede referente dai quattro mesi inizialmente fissati) e che la stessa non consente il ricorso alla procedura arbitrale prevista dai commi da 857 a 860, dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016).
Il comma 7 definisce i contenuti dell'istanza di erogazione dell'indennizzo forfetario, da indirizzarsi al Fondo. L'istanza deve contenere: il nome, l'indirizzo e l'elezione di un domicilio, anche digitale; la Banca in liquidazione presso la quale l'investitore ha acquistato gli strumenti finanziari subordinati; gli strumenti finanziari subordinati acquistati, con indicazione della quantità, del controvalore, della data di acquisto, del corrispettivo pagato, degli oneri e spese direttamente connessi all'operazione di acquisto e, ove disponibile, del codice ISIN.
Il comma 8 indica la documentazione che l'investitore deve allegare all'istanza: il contratto di acquisto degli strumenti finanziari subordinati (lett. a)); i moduli di sottoscrizione o d'ordine di acquisto (lett. b) ); l'attestazione degli ordini eseguiti (lett. c) ); una dichiarazione sulla consistenza del patrimonio mobiliare (calcolato ai sensi del comma 2), ovvero sull'ammontare del reddito (ex comma 1, lett. b)), resa ai sensi degli articoli 46 (dichiarazione sostitutiva di certificazione) e 47 (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà) del dPR 445/2000, n. 445, contenente espressa dichiarazione di consapevolezza delle sanzioni penali previste in caso di dichiarazioni non veritiere e falsità negli atti a norma dell'articolo 76 (Norme penali) del citato dPR (lett. e) ).
In sede referente è stata soppressa la lettera d) che prevedeva che l'investitore dovesse allegare anche copia della richiesta, alla Banca in liquidazione, del pagamento del credito relativo agli strumenti finanziari subordinati.
Inoltre,
nel corso dell'esame in Commissione è stata aggiunta una lettera e-bis che
prevede che le banche in liquidazione e le nuove banche di cui,
rispettivamente, alle lettere b) e c) del comma 1dell'art. 8,
siano tenute a consegnare all'investitore, entro 15 giorni dalla sua richiesta,
copia dei documenti di cui alle lettere a), b), c) e d) del
presente comma.
Si
segnala che, per effetto della soppressione della lettera d), si rende necessario espungere
tale riferimento dal comma in esame.
Il comma 9 stabilisce che il Fondo: verifica la completezza della documentazione al fine di verificare la sussistenza delle condizioni di cui al precedente comma 1; calcola l'importo dell'indennizzo (comma 3) e procede alla liquidazione entro il termine di sessanta giorni dalla richiesta.
Il comma 10 chiarisce che gli investitori che intendono accedere alle risorse del Fondo di solidarietà e che non hanno presentato l'istanza di erogazione dell'indennizzo forfetario di cui ai commi precedenti, possono esperire, in via alternativa a tale istanza, la procedura arbitrale (ex art. 1, commi da 857 a 860 della legge di stabilità 2016). L'attivazione di quest'ultima procedura preclude la possibilità di esperire l'istanza di indennizzo forfettario e, laddove, questa sia stata già attivata la relativa istanza è improcedibile. Il comma precisa inoltre che l'istanza di erogazione dell'indennizzo forfetario in relazione a strumenti finanziari acquistati entro la data del 12 giugno 2014 non preclude l'accesso, da parte dei medesimi investitori, alla procedura arbitrale in relazione a strumenti finanziari acquistati oltre la suddetta data.
Articolo
10
(Disposizioni transitorie ed abrogazione di norme)
L'articolo 10 interviene sostituendo il comma 856 (dotazione e limiti del Fondo di solidarietà) e modificando il comma 857 (modalità e termini di operatività del Fondo di solidarietà) dell'articolo 1 della Legge di Stabilità per il 2016.
Si ricorda che il comma 856 prevedeva che il Fondo di solidarietà (di cui al comma 855) fosse alimentato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi – FIDT, disciplinato dall’articolo 96 del Testo Unico Bancario, con una dotazione sino a un massimo di 100 milioni di euro, in conformità con le norme europee sugli aiuti di Stato e da questo gestito con risorse proprie. Come previsto dal comma 4 del TUB, infatti, i sistemi di garanzia dei depositanti istituiti e riconosciuti in Italia cui aderiscono le banche hanno natura di diritto privato e le risorse finanziarie per il perseguimento delle loro finalità sono fornite dalle banche aderenti in conformità di quanto previsto dalla Sezione IV del TUB, rubricata "sistemi di garanzia dei depositanti".
In particolare per effetto della sostituzione operata dalla lettera a) del comma 1 dell'articolo in esame viene eliminato il limite di 100 milioni alla dotazione del Fondo di solidarietà. La modifica di cui alla successiva lettera b) porta al 30 giugno p.v. il termine per l'emanazione dei decreti del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro della giustizia, previsti dal comma 857 della Legge di stabilità citata.
Si rammenta che, ai sensi del citato comma 857, tali decreti andranno a definire: le modalità di gestione del Fondo di solidarietà e le relative modalità e condizioni di accesso, ivi inclusi le modalità e i termini per la presentazione delle istanze di erogazione delle prestazioni; i criteri di quantificazione delle prestazioni, determinate in importi corrispondenti alla perdita subita, fino a un ammontare massimo; le procedure da esperire, che possono essere in tutto o in parte anche di natura arbitrale; le ulteriori disposizioni di attuazione delle norme in esame.
Articolo
11
(Attività per imposte anticipate)
L’articolo 11 del provvedimento, modificato in sede referente, interviene sulla vigente disciplina delle DTA – Deferred Tax Assets (imposte differite attive o attività per imposte anticipate) per superare i rilievi formulati dalla Commissione UE in merito alla compatibilità di tale istituto con la disciplina degli aiuti di Stato.
In sintesi, le imprese interessate dalle norme che consentono di trasformare le DTA in crediti d’imposta (contenute nel decreto-legge n. 225 del 2010, modificato nel tempo) possono scegliere, con riferimento alle attività per imposte anticipate non effettivamente versate, di mantenere l'applicazione della relativa disciplina mediante la corresponsione di un canone, al ricorrere delle condizioni di legge. Con le modifiche in sede referente, si dispone che l’esercizio dell’opzione si considera effettuato al momento del primo versamento del canone; il termine per l’esercizio della stessa viene dunque spostato dal 4 giugno al 31 luglio 2016 (per il quantum dovuto con riferimento all’esercizio 2015), semplificandone le modalità. Resta ferma una specifica disciplina per le imprese coinvolte in operazioni straordinarie.
Tale opzione è irrevocabile e comporta l'obbligo del pagamento di un canone annuo fino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2029.
Le norme in commento individuano le regole per il calcolo del canone e la sua corresponsione (commi da 2 a 5), nonché la specifica disciplina applicabile alle società coinvolte in operazioni straordinarie ovvero quelle che optano per il regime del consolidato fiscale (commi da 6 a 9).
Il comma 10 stabilisce le conseguenze del mancato esercizio dell’opzione; il comma 11 dispone in ordine all'accertamento, alle sanzioni e alla riscossione del predetto canone. Il comma 12 demanda a un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate il compito di stabilire le disposizioni attuative delle norme in commento.
Il comma
13 quantifica le maggiori entrate
derivanti dalle norme in esame, destinandole al Fondo per il finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace, al Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili che si
dovessero manifestare nel corso
della gestione, ed al Fondo
per interventi strutturali di politica economica.
Infine il comma 14 autorizza il MEF ad apportare le necessarie variazioni di
bilancio.
La disciplina in tema di attività per
imposte anticipate
La disciplina delle Deferred Tax Assets – DTA (imposte differite attive) consente di qualificare come crediti d'imposta le attività per imposte anticipate iscritte in bilancio.
La disciplina delle DTA è stata introdotta nell’ottica di migliorare il trattamento fiscale degli enti creditizi e finanziari, in sostanza per colmare il divario di incidenza delle imposte anticipate nei bilanci degli operatori italiani (in particolare gli enti creditizi e finanziari) rispetto a quelli europei.
L’impossibilità di liquidare le poste dell’attivo relative alle DTA aveva infatti indotto il Comitato di Basilea a introdurre stringenti filtri patrimoniali; essi, superata una certa soglia, hanno un impatto diretto di riduzione del capitale di migliore qualità (common equity) di un ammontare pari alle DTA che eccedono tale soglia, aumentando il fabbisogno di capitale. Pertanto, l’entrata in vigore dell’accordo di Basilea 3 ha implicato che il trattamento fiscale poco favorevole delle rettifiche su crediti si traducesse anche in una penalizzazione sul piano della dotazione patrimoniale regolamentare delle banche italiane.
Per evitare il sorgere di questo svantaggio competitivo, la norma ha previsto un meccanismo di conversione automatica in crediti di imposta, da utilizzare in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 241/1997; in tal modo, le DTA sono “smobilizzabili” e, pertanto, concorrerebbero all’assorbimento delle perdite al pari del capitale e delle altre riserve, divenendo per tale via pienamente riconoscibili ai fini di vigilanza. Il medesimo meccanismo è previsto anche per le DTA che derivino da disallineamenti temporali nella rilevazione di bilancio e fiscale e che siano destinati a riassorbirsi nel tempo, come nel caso dell’affrancamento del valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali effettuato ai sensi dell’art. 15 del D.L. n. 185 del 2008.
La disciplina è stata introdotta dall'articolo 2, commi da 55 a 57, del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, al fine di consentire la trasformazione in credito di imposta delle attività per imposte anticipate (DTA) iscritte in bilancio, relative alle svalutazioni di crediti - non ancora dedotte ai sensi dell' articolo 106, comma 3, del TUIR - e al valore dell'avviamento e delle altre attività immateriali i cui componenti negativi sono deducibili ai fini delle imposte sui redditi in più periodi d'imposta.
Sul punto è intervenuto successivamente l’articolo 9 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, che ha previsto la conversione delle DTA in presenza di perdite fiscali rilevanti ai sensi dell’articolo 84 del TUIR, e l’articolo 1, commi da 167 a 171, della L. 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), che ha esteso l’originario ambito applicativo della disciplina sulle DTA a quelle relative all’IRAP. Ulteriori modifiche sono state apportate dal D.L. n. 83 del 2015; specifiche norme per gli enti in risoluzione sono contenute nella legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), come si vedrà in seguito.
Le richiamate disposizioni del decreto-legge n. 225 del 2010 differenziano la disciplina delle diverse fattispecie di trasformazione delle imposte anticipate in crediti d'imposta.
La prima fattispecie è prevista dal comma 55 dell’articolo 2 del decreto legge n. 225 del 2010, ai sensi del quale le imposte differite attive che possono essere trasformate in credito verso l’Erario sono quelle che originano dal differimento della deduzione dei componenti negativi relativi:
§ alla svalutazione dei crediti degli enti finanziari e creditizi, nonché alle perdite su crediti, non ancora dedotte ai fini delle imposte sui redditi;
§ alle rettifiche di valore nette per deterioramento dei crediti, non ancora dedotte dalla base imponibile IRAP;
§ al valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali i cui componenti negativi sono deducibili in più periodi d’imposta ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP.
La trasformazione è possibile solo qualora nel bilancio individuale della società sia rilevata una perdita d’esercizio.
Il successivo comma 56 ha fissato la decorrenza della predetta trasformazione dalla data di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea dei soci o dell’organo competente per legge (anche nel caso di patologia dell’andamento aziendale), operando per un importo pari al prodotto - da effettuarsi sulla base dei dati del medesimo bilancio approvato - tra:
§ la perdita d’esercizio;
§ il rapporto fra le attività per imposte anticipate e la somma del capitale sociale e delle riserve.
I commi 55 e 56 disciplinano dunque la trasformazione delle DTA qualificate in credito di imposta in presenza di perdita civilistica.
La seconda fattispecie di trasformazione di imposte anticipate in crediti d’imposta è prevista dal comma 56-bis (inserito dal decreto-legge n. 201 del 2011), che consente la trasformazione in crediti d’imposta delle DTA da perdite fiscali, per la quota dovuta alla deduzione dei componenti negativi di reddito di cui al comma 55. La trasformazione riguarda le DTA da perdite fiscali “generate” dai componenti negativi di reddito di cui al comma 55 per l’intero ammontare delle stesse che trova capienza nella perdita fiscale dell’esercizio. La trasformazione decorre dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi in cui viene rilevata la perdita fiscale.
Rientra nelle ipotesi di trasformazione in crediti d’imposta di DTA da perdita fiscale anche la fattispecie (introdotta dalla legge di stabilità 2014) individuata dal comma 56-bis1, che riguarda le DTA generate dalle componenti negative IRAP: si può trasformare in crediti d’imposta - in caso di base imponibile IRAP, ovvero valore della produzione netta, negativa - la quota delle attività per imposte anticipate di cui al comma 55, riferita ai componenti negativi di cui al medesimo comma (perdite e svalutazioni; rettifiche di valore per deterioramento) che hanno concorso alla formazione del valore della produzione netta negativo. La trasformazione decorre dalla data di presentazione della dichiarazione ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive in cui viene rilevato il valore della produzione netta negativo di cui al presente comma.
La disciplina di cui al comma 56-bis1 è applicabile ai bilanci di liquidazione volontaria ovvero relativi a società sottoposte a procedure concorsuali o di gestione delle crisi, ivi inclusi quelli riferiti all’amministrazione straordinaria e alla liquidazione coatta amministrativa di banche e altri intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia.
La terza fattispecie di trasformazione di imposte anticipate in crediti d’imposta è prevista dal comma 56-ter, con riferimento ai bilanci di liquidazione volontaria ovvero relativi a società sottoposte a procedure concorsuali o di gestione delle crisi, ivi inclusi quelli riferiti all’amministrazione straordinaria e alla liquidazione coatta amministrativa di banche e altri intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia.
Si tratta dunque di trasformazione delle DTA in credito d’imposta nel caso di liquidazione volontaria, assoggettamento a procedure concorsuali o gestione delle crisi.
Il comma 57 chiarisce che il credito d’imposta non è rimborsabile né produttivo di interessi, potendo essere ceduto ovvero utilizzato in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997, senza limiti di importo. Tale credito, da indicare nella dichiarazione dei redditi, non concorre alla formazione del reddito d’impresa né della base imponibile dell'IRAP. Il credito d’imposta può essere ceduto al valore nominale nell’ambito dello stesso gruppo, secondo le modalità previste dall’articolo 43-ter del D.P.R. n. 602/1973 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito). L’eventuale credito che residua dopo aver effettuato le compensazioni è rimborsabile. Dal periodo d’imposta in corso alla data di approvazione del bilancio non sono deducibili i componenti negativi corrispondenti alle attività per imposte anticipate trasformate in credito d’imposta.
L'articolo 17 del decreto-legge n. 83 del 2015 ha parzialmente bloccato l'applicazione delle disposizioni sulle DTA, prevedendo che esse non trovino applicazione per le attività per imposte anticipate, relative al valore dell'avviamento e delle altre attività immateriali, iscritte per la prima volta a partire dai bilanci relativi all'esercizio in corso al 27 giugno 2015 (data di entrata in vigore del provvedimento). Le altre ipotesi di trasformazione in crediti di imposta delle DTA continuano invece a trovare applicazione secondo le regole ordinarie.
Da ultimo, si ricorda che il comma 850 della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015) ha disciplinato il trattamento tributario delle DTA – Deferred Tax Assets per gli istituti nei confronti dei quali sono adottate azioni di risoluzione.
Si ricorda che la risoluzione n. 94/E del 2011 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la disciplina sulla trasformazione DTA può essere applicata anche dalle società che svolgono attività diverse da quella bancaria, limitatamente alla sola fattispecie relativa al valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali.
Come riferito dalla relazione illustrativa, la Commissione UE ha chiesto all’Italia che la trasformabilità in credito di imposta delle DTA qualificate, ove ad esse non corrisponda un effettivo pagamento anticipato di imposte (cd. DTA “di tipo 2”), sia subordinata al pagamento di un canone, al fine di rendere tale disciplina compatibile con la normativa UE in tema di aiuti di Stato.
Resta ferma la ordinaria trasformabilità delle DTA qualificate in credito di imposta, ove a ciò corrisponda un effettivo pagamento anticipato di imposte (DTA “di tipo 1”).
Ai sensi del comma 1 dell’articolo 11, le imprese interessate dalle norme sulla trasformazione di DTA in crediti d’imposta (contenuta, come si è visto, nel già illustrato articolo 1, commi da 55 a 57, del D.L. n. 225 del 2010) possono scegliere, con riferimento alle attività per imposte anticipate non effettivamente versate (quantificate ai sensi del successivo comma 2), di mantenere l'applicazione della predetta normativa mediante la corresponsione di un canone, al ricorrere delle condizioni di legge.
Per effetto delle modifiche in sede referente, si stabilisce che l’opzione si considera esercitata con il versamento del canone. Viene dunque eliminato il riferimento al 4 giugno 2016 (un mese dalla data di entrata in vigore del decreto-legge) come termine ultimo per l’esercizio dell’opzione stessa, posticipandolo al 31 luglio 2016, termine per il versamento del quantum dovuto nel 2015.
A decorrere dall’esercizio 2016, il canone è versato entro il termine per il versamento a saldo delle imposte sui redditi (ai sensi del comma 7, anch’esso modificato).
L’opzione è irrevocabile e comporta l'obbligo del pagamento di un canone annuo fino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2029. Detto canone è deducibile ai fini delle imposte sui redditi e dell'IRAP. Le modifiche in Commissione hanno precisato che il canone è deducibile nell’esercizio in cui avviene il pagamento.
Ai sensi del comma 2, il canone è determinato annualmente applicando l'aliquota dell'1,5 per cento alla differenza tra l'ammontare delle attività per imposte anticipate e le imposte versate.
I commi 3 e 4 chiariscono le modalità di determinazione, rispettivamente, di ciascuno degli elementi della sottrazione di cui al comma 2.
In particolare, l'ammontare delle attività per imposte anticipate, che costituisce il minuendo dell’operazione di cui al comma 2, è determinato (comma 3) annualmente, effettuando la somma algebrica tra:
§ la differenza, positiva o negativa, tra le attività per imposte anticipate (cui si applica la citata normativa del 2010) iscritte in bilancio alla fine dell'esercizio e quelle iscritte alla fine dell'esercizio in corso al 31 dicembre 2007;
§ le attività per imposte anticipate trasformate in credito d'imposta, ai sensi delle disposizioni del 2010 già richiamate.
La relazione illustrativa chiarisce che, se i crediti d’imposta derivanti da DTA sono stati ceduti, le DTA trasformate continuano a rilevare in capo al cedente e non in capo al cessionario.
Al fini del calcolo del secondo termine della sottrazione di cui al comma 2, e cioè le imposte effettivamente versate, si tiene conto:
§ dell'IRES e delle relative addizionali versate con riferimento al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2008 e ai successivi;
§ dell'IRAP versata con riferimento ai periodi d'imposta in corso al 31 dicembre 2013 e ai successivi;
§ dell'imposta sostitutiva per il riallineamento e la rivalutazione volontari di valori contabili (di cui all'articolo 15, commi 10, 10-bis e 10-ter del decreto-legge n. 185 del 2010) e dell'imposta sostitutiva sui maggiori valori attribuiti in bilancio agli elementi dell’attivo costituenti immobilizzazioni materiali e immateriali nel caso di conferimento d’azienda (di cui all'articolo 176, comma 2-ter, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi - TUIR, D.P.R. n. 917 del 1986), versate con riferimento al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2008 e successivi, fino al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2014.
Il comma 5 chiarisce che, se le imposte versate superano le attività per imposte anticipate (si è dunque in presenza di DTA di tipo 1), il canone non è dovuto.
Il comma 6 chiarisce il regime applicabile all’ipotesi di partecipazione delle imprese al consolidato nazionale ovvero a operazioni straordinarie (fusioni, scissioni etc.).
Il criterio adottato dal legislatore prevede che per i soggetti aderenti al consolidato la base imponibile su cui calcolare il canone sia effettuata “per massa”, ovvero tenendo conto della somma delle DTA qualificate delle singole imprese e della somma delle imposte versate dalla consolidante (IRES) e dalle singole imprese (per quanto riguarda le altre imposte).
Il pagamento del canone è effettuato dalla consolidante; in caso di mancato esercizio dell’opzione, le DTA di tipo 2 sono attribuite alle società partecipanti secondo un criterio di proporzionalità rispetto alle DTA qualificate detenute da ciascuna di esse.
Con la riforma del TUIR operata dal D.Lgs. 344/2003 sono stati introdotti nel nostro ordinamento il regime opzionale del consolidato fiscale nazionale (articoli da 117 a 129 del Testo Unico) e del consolidato fiscale mondiale. In estrema sintesi, l’adesione a tali regimi consente di determinare l’IRES in modo unitario, con riferimento al gruppo societario cui appartengono i soggetti interessati, effettuando la somma algebrica dei redditi complessivi netti, opportunamente rettificati, di ciascuno dei soggetti aderenti. I vantaggi offerti da tale meccanismo consistono, in generale, nella possibilità di compensare infragruppo, tra l’altro, gli utili e le perdite. In sostanza, con il consolidato l’ordinamento consente di far sorgere un'unica obbligazione tributaria, a fronte di una moltitudine di soggetti passivi (società o enti commerciali che siano) legati tra di loro da un rapporto di controllo. Ai fini del consolidato fiscale il controllo è individuato come detenzione in un'altra società di capitali di azioni che permettono l'ottenimento della maggioranza dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria (art. 2359, comma 1, paragrafo 1, del codice civile) o la cui partecipazione agli utili è superiore al 50%. Per il calcolo di tali soglie si computa anche il controllo indiretto per la quota demoltiplicata. L'adesione al consolidamento si effettua per mezzo di un'opzione, le cui modalità di esercizio sono state modificate dall’articolo 16 del D.Lgs. n. 175 del 2014, emanato in attuazione della legge delega n. 23 del 2014 per la parte relativa alle semplificazioni fiscali. Ove, nel periodo di validità dell’opzione, venga meno il rapporto di controllo, il regime fiscale si scioglie con effetti anche per il periodo pregresso. Con l'adesione al consolidato fiscale l'obbligazione tributaria in capo al gruppo è determinata con l'applicazione dell'aliquota di tassazione ad una base imponibile data come somma algebrica del reddito netto dell'ente controllante e di quello degli enti controllati.
L’articolo 6 del D.Lgs. n.147 del 2015, emanato in attuazione della delega fiscale con riferimento alla disciplina dell’internazionalizzazione delle imprese, ha eliminato i vincoli normativi che non consentivano alle società "sorelle", residenti in Italia o stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di società residenti in Stati UE (ovvero aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo) con cui l'Italia avesse stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, di consolidare le proprie basi imponibili, previa indicazione, da parte del soggetto non residente, della controllata designata ad esercitare l'opzione, che assume la qualità di consolidante.
In tal caso, ai fini della determinazione della differenza tra attività per imposte anticipate ed imposte effettivamente versate:
§ per imposte versate (di cui al comma 2) si
intendono l'IRES versata in
proprio o in qualità di consolidanti
(come specificato in sede referente), nonché le addizionali all'IRES, l'IRAP e le imposte sostitutive (di cui al citato comma 4) versate dai soggetti partecipanti al consolidato
che rientrano tra le imprese cui si applica la disciplina della trasformazione
di DTA;
§ l’ammontare delle attività per imposte anticipate (di cui al comma 3) è dato dalla somma dell'ammontare delle attività per imposte anticipate delle singole imprese partecipanti al consolidato.
Come anticipato, il comma 7 disciplina le modalità di versamento del canone, da effettuarsi per ciascun esercizio (in luogo di anno, come precisato in sede referente, per tenere conto delle imprese il cui esercizio non coincide con l’anno solare) entro il termine per il versamento a saldo delle imposte sui redditi.
Con le modifiche apportate in sede referente sono stati precisati i termini per il versamento del canone, differenziandoli secondo il periodo d’imposta cui si riferisce il canone e stabilendo che il quantum dovuto per il 2015 venga versato, senza maggiorazioni, entro il 31 luglio 2016.
Più precisamente, il versamento del canone è effettuato entro il termine per il versamento a saldo delle imposte sui redditi, a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2016; per quanto riguarda il periodo d’imposta precedente, ovvero quello in corso al 31 dicembre 2015, il versamento è effettuato in ogni caso entro il 31 luglio 2016, ma senza la maggiorazione a titolo di interesse disposta dall'articolo 17, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 2001, n. 435.
Per l’ipotesi di consolidato nazionale, il versamento è effettuato dalla consolidante.
Il comma 8 disciplina il caso in cui siano state effettuate operazioni straordinarie a partire dall'esercizio in corso al 31 dicembre 2008 e, dunque, l’ipotesi in cui le imprese coinvolte nella disciplina della trasformabilità di DTA abbiano incrementato le attività per imposte anticipate, in qualità di società incorporante o risultante da una o più fusioni o in qualità di beneficiaria di una o più scissioni.
In tali ipotesi, per determinare l'ammontare delle attività per imposte anticipate (di cui al comma 3) si tiene conto anche delle attività per imposte anticipate iscritte alla fine dell'esercizio in corso al 31 dicembre 2007 nei bilanci delle società incorporate, fuse o scisse, e delle attività per imposte anticipate trasformate in credito d'imposta dalle società incorporate, fuse o scisse.
Per determinare le imposte versate (di cui al comma 4 dell’articolo in esame) si tiene conto anche delle imposte versate dalle società incorporate, fuse o scisse.
La relazione illustrativa al riguardo rileva che la disposizione di cui al comma 8 non si applica all’ente-ponte sottoposto a risoluzione, ai sensi dell’articolo 43 del D.Lgs. n. 180 del 2015 relativo alla crisi degli enti creditizi. Come anticipato, per tali enti la già richiamata legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 850 e 851 della legge n. 208 del 2015) chiarisce che la trasformazione in credito d'imposta delle DTA iscritte nella situazione contabile di riferimento dell'ente sottoposto a risoluzione decorre dalla data di avvio della risoluzione. Essa opera sulla base dei dati della medesima situazione contabile.
A decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data di avvio della risoluzione, cessano di essere deducibili i componenti negativi corrispondenti alle attività per imposte anticipate trasformate in credito d'imposta. Tale disposizione (comma 851) si applica a decorrere dal 23 novembre 2015, data di entrata in vigore del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180.
Gli articoli da 42 a 44 del D.Lgs. n. 180 del 2015 disciplinano la cessione dei beni di una banca in risoluzione ad un cd. ente-ponte (bridge bank). Per tale si intende (articolo 42) l'ente costituito per gestire beni e rapporti giuridici acquistati ai sensi delle procedure di risoluzione, per mantenere la continuità delle funzioni essenziali precedentemente svolte dall'ente sottoposto a risoluzione e, quando le condizioni di mercato sono adeguate, cedere a terzi le partecipazioni al capitale o i diritti, le attività o le passività acquistate. Il capitale dell'ente-ponte è interamente o parzialmente detenuto dal fondo di risoluzione o da autorità pubbliche; la Banca d'Italia ne approva l'atto costitutivo e lo statuto, nonché la strategia e il profilo di rischio; approva la nomina dei componenti degli organi di amministrazione e controllo dell'ente-ponte, l'attribuzione di deleghe e le remunerazioni; stabilisce restrizioni all'attività dell'ente-ponte, ove necessario per assicurare il rispetto delia disciplina degli aiuti di Stato. Una peculiarità di tale ente è che può essere autorizzato allo svolgimento delle attività bancaria e di investimento in via provvisoria, ancorché non soddisfi inizialmente i requisiti di legge. L'articolo 43 disciplina oggetto, modalità, effetti della cessione all'ente-ponte di azioni, partecipazioni, attività e passività dell'ente sottoposto a risoluzione. All'ente ponte sono cedute tutte le azioni o le altre partecipazioni emesse da uno o più enti sottoposti a risoluzione, o parte di esse; tutti i diritti, le attività o le passività, anche individuabili in blocco, di uno o più enti sottoposti a risoluzione, o parte di essi. Il valore complessivo delle passività cedute all'ente-ponte non supera il valore totale dei diritti e delle attività ceduti o provenienti da altre fonti. La Banca d'Italia, su istanza dell'ente-ponte, può disporre la cessione a un terzo delle azioni o delle altre partecipazioni o dei diritti, delle attività o delle passività da esso acquisiti, secondo una procedura aperta, trasparente, non discriminatoria nei confronti dei potenziali acquirenti, assicurando che la cessione avvenga a condizioni di mercato. L'ente-ponte succede all'ente sottoposto a risoluzione nei diritti, nelle attività o nelle passività ceduti, salvo che la Banca d'Italia disponga diversamente ove necessario per conseguire gli obiettivi della risoluzione. L'ente ponte (articolo 44) cessa ove non sussistano più le condizioni per la sua esistenza, ossia nel caso si fonda con un altro soggetto, oppure ove le autorità pubbliche o il fondo di risoluzione ne ritrasferiscano a terzi le attività; ove i diritti, le attività e le passività dell'ente siano ceduti a un terzo; sono completati la liquidazione delle attività e il pagamento delle passività. Esso comunque cessa quando è accertato che nessuna delle situazioni precedentemente elencate ha ragionevoli probabilità di verificarsi e, comunque, ove siano trascorsi due anni dall'ultima cessione dell'ente ponte. Il termine di due anni può essere prorogato in presenza di specifiche condizioni di legge.
Il comma 9 riapre i termini per l’esercizio dell’opzione per i soggetti interessati da operazioni straordinarie dopo il 31 dicembre 2015.
Si chiarisce che, a partire dall'esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, le imprese interessate dalle disposizioni in tema di trasformazione di DTA in credito d’imposta, ove non abbiano esercitato l'opzione per il mantenimento del regime e che incorporino o risultino da una o più fusioni di altre imprese, oppure siano beneficiarie di una o più scissioni, godono della possibilità di esercitare l'opzione predetta entro un mese dalla chiusura dell'esercizio in corso alla data in cui ha effetto la fusione o la scissione.
Per effetto delle modifiche in sede referente, nel comma 9 è stato modificato il riferimento alle norme che disciplinano l’esercizio dell’opzione (non più il comma 1, ma il comma 7).
Il comma 10 disciplina le conseguenze del mancato esercizio dell’opzione.
In tale ipotesi, le disposizioni del decreto-legge n. 225 del 2010 si applicano limitatamente all'ammontare delle attività per imposte anticipate iscritte in bilancio, diminuite della differenza, se positiva, tra l'ammontare delle attività per imposte anticipate e le imposte versate (di cui al comma 2).
Nel caso di partecipazione al consolidato fiscale, la predetta differenza viene attribuita alle società partecipanti in proporzione alle attività per imposte anticipate di cui al citato decreto-legge n. 225 del 2010 detenute da ciascuna di esse.
Il comma 11 rinvia alle disposizioni in materia di imposte sui redditi per l'accertamento, le sanzioni e la riscossione del canone di cui al comma 1, nonché per il relativo contenzioso.
Il comma 12 demanda a un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate il compito di stabilire le disposizioni attuative delle norme in commento.
Il comma
13 quantifica le maggiori entrate
derivanti dal presente articolo valutate in 224,3 milioni di euro per l'anno 2016, in 101,7 milioni per l'anno 2017, 128
milioni di euro per l'anno 2018,
in 104,8 milioni per l'anno 2019, in 80,7 milioni per il 2020, in 58,6
milioni per l'anno 2021, in 39,1 milioni per l'anno 2022, in 32,2 milioni per l'anno 2023,
in 22 milioni per l'anno 2024, in 17,6 milioni per l'anno 2025,
in 15,8 milioni per l'anno 2026, in 14,8 milioni per l'anno 2027
e in 3,8 milioni per l'anno 2028.
Esse sono così destinate:
a) quanto a 124,3
milioni di euro per l'anno 2016, al Fondo per il finanziamento della partecipazione italiana alle missioni
internazionali di pace istituito nello stato di previsione della spesa del
Ministero dell'economia e delle finanze, (articolo 1, comma 1240, della legge
27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni);
b) quanto a 100
milioni di euro per l'anno 2016, al Fondo istituito per far
fronte ad esigenze indifferibili che
si dovessero manifestare nel corso
della gestione, istituto dall’articolo 1, comma 200, della legge di stabilità
per il 2015 (legge n. 190/2014), e rifinanziato ai sensi dell'articolo 1,
comma 639, della legge 28 dicembre 2015, n. 208. Nella legge di bilancio
per il 2016-2018 (legge n. 209/2015), la dotazione del Fondo è pari a 781,5 milioni per il 2016, 985,5 milioni per il 2017
e a 519,2 milioni per il 2018;
c) quanto a 101,7
milioni di euro per l'anno 2017,
128 milioni di euro per l'anno 2018, 104,8 milioni di euro per l'anno 2019, 80,7 milioni di
euro per l'anno 2020, 58,6 milioni di euro per l'anno 2021, 39,1 milioni di euro per l'anno 2022, 32,2 milioni di
euro per l'anno 2023, 22 milioni di euro per l'anno 2024, 17,6 milioni di euro per l'anno
2025, 15,8 milioni di euro per
l'anno 2026, in 14,8 milioni di euro per l'anno
2027 e 3,8 milioni di euro per
l'anno 2028, al Fondo per interventi strutturali di politica economica di cui
all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282.
Il comma
14 autorizza infine il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare,
con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Articolo
12
(Fondo di solidarietà per la riconversione e riqualificazione professionale
del personale del credito)
L'articolo 12 introduce una deroga, per gli anni 2016 e 2017, con riferimento al personale del credito, alla disciplina dei fondi di solidarietà bilaterali. La deroga concerne i requisiti di anzianità anagrafica e/o contributiva per l'accesso all'assegno straordinario per il sostegno al reddito, riconosciuto nel quadro dei processi di agevolazione all'esodo.
La norma generale, relativa ai fondi di solidarietà bilaterali, limita la possibilità di applicazione di tale istituto - eventualmente contemplato in un fondo - ai dipendenti che raggiungano i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi cinque anni. La deroga temporanea in oggetto amplia il limite massimo da cinque a sette anni.
Viene esplicitamente fatto salvo il principio posto dalla disciplina generale, in base al quale per l'assegno straordinario in oggetto (di un fondo bilaterale) è dovuto, da parte del datore di lavoro, un contributo straordinario di importo corrispondente al fabbisogno di copertura dell'assegno erogabile e della contribuzione previdenziale correlata.
L'applicazione della deroga temporanea è subordinata all'emanazione del regolamento di relativo adeguamento del Fondo (Fondo di solidarietà per la riconversione e riqualificazione professionale, per il sostegno dell’occupazione e del reddito del personale dipendente dalle imprese del credito); si prevede che tale regolamento sia emanato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
Dall'applicazione dell'articolo 12 in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
In base alla disciplina legislativa di cui al titolo
II del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, i fondi bilaterali
sono istituiti presso l'INPS con decreti ministeriali, emanati sulla base di
accordi o contratti collettivi, anche intersettoriali, tra le organizzazioni
sindacali e imprenditoriali comparativamente più rappresentative a livello
nazionale, per i settori che non rientrano nell'àmbito di applicazione dei
trattamenti ordinari e straordinari di integrazione salariale (di cui al titolo
I dello stesso D.Lgs. n. 148). Tali fondi hanno, in
via obbligatoria, la finalità di assicurare ai lavoratori una tutela in
costanza di rapporto di lavoro (nei casi di riduzione o sospensione
dell'attività lavorativa per le cause previste per gli istituti generali dei trattamenti
ordinari e straordinari di integrazione salariale) e, in via facoltativa, altre
finalità, tra cui quella sottesa all'assegno straordinario summenzionato[7].
Articolo
12-bis
(Modifiche alla disciplina della cessione dei crediti di impresa)
L'articolo aggiuntivo scaturisce dall'approvazione dell'emendamento 12.0.9.
La norma sostituisce parte dell'articolo 1, comma 1, lettera c), della legge 21 febbraio 1991, n. 52.
La norma interviene sulla disciplina della cessione dei crediti di impresa contenuta nella Legge 21 febbraio 1991, n. 52. In particolare, essa interviene sull'ambito di applicazione della legge, riguardante appunto la cessione di crediti pecuniari verso corrispettivo, modificando una delle tre condizioni che devono concorrere per la sua applicazione, ovvero le caratteristiche del cessionario.
La lettera c) vigente stabilisce che il cessionario debba essere una banca o un intermediario finanziario disciplinato dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia emanato ai sensi dell'art. 25 comma 2, della legge 19 febbraio 1992, n. 142, il cui oggetto sociale preveda l'esercizio dell'attività di acquisto di crediti d'impresa o un soggetto, costituito in forma societaria, che svolge l'attività di acquisto di crediti da soggetti del proprio gruppo che non siano intermediari finanziari.
Per effetto della modifica dell'ultima parte della lettera c) in luogo di un soggetto costituito "in forma societaria" l'attività in parola potrà essere svolta da un soggetto, costituito in forma di società di capitali, che svolge l’attività di acquisto di crediti, vantati nei confronti di terzi, da soggetti del gruppo di appartenenza che non siano intermediari finanziari oppure di crediti vantati da terzi nei confronti di soggetti del gruppo di appartenenza, ferme restando le riserve di attività previste ai sensi del Testo Unico Bancario.
L'articolo
aggiuntivo scaturisce dall'approvazione dell'emendamento 12.0.10
Esso
aggiunge alcune parole al comma 2-ter dell’articolo 14 del decreto-legge
4 giugno 2013, n. 63 che disciplina le
detrazioni fiscali per interventi di efficienza energetica.
La modifica al comma 2-ter attiene alle spese per interventi di efficienza energetica
sostenute dal 1º gennaio 2016 al 31 dicembre 2016 per interventi di
riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali. La
modifica normativa interviene sul regime della cessione del credito, attualmente
consentita in luogo della detrazione fiscale a favore dei fornitori che hanno
effettuato i predetti interventi, stabilendo che tale cessione possa avvenire
non solo in favore dei predetti fornitori ma altresì a favore delle banche e
degli intermediari finanziari di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993,
n. 385 che reca il testo unico delle
leggi in materia bancaria e creditizia.
Articolo
13
(Copertura finanziaria)
Il comma
1 prevede che gli oneri (11,4 milioni di euro nel triennio 2016-18) derivanti
dalle disposizioni contenute nel provvedimento siano coperti mediante il
ricorso al fondo specificamente destinato alla copertura degli oneri di parte corrente
derivanti dalle norme legislative che si prevede possano essere approvate nel
triennio finanziario di riferimento.
In particolare, gli oneri connessi agli
articoli 1, comma 6; 3, comma 8 e 7 ammontano a 4,3 milioni di euro per l'anno
2016, a 3,6 milioni di euro per l'anno 2017 e a 3,5 milioni di euro per l'anno
2018, alla loro copertura si provvede mediante corrispondente riduzione dello
stanziamento del fondo speciale di parte corrente[8] allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a 3,7 milioni di euro per
l'anno 2016, l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia e, quanto a
0,6 milioni di euro per l'anno 2016, a 3,6 milioni di euro per l'anno 2017 e a
3,5 milioni di euro per l'anno 2018, l'accantonamento relativo al Ministero
dell'economia e delle finanze.
Il
comma 2 autorizza infine il Ministro dell'economia e delle finanze ad
apportare, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio.
[1] Come propone una modifica di coordinamento accolta in sede referente dalla Commissione, il riferimento corretto andrebbe operato all'articolo 28, quarto comma, secondo periodo, del R.D. n. 267/1942 (sul quale si veda infra nella scheda) in luogo del “quinto comma” menzionato nel testo del decreto-legge.
[2] Art. 2812 - Diritti costituiti sulla cosa ipotecata- Le servitù di cui sia
stata trascritta la costituzione dopo l'iscrizione dell'ipoteca non sono
opponibili al creditore ipotecario, il quale può far subastare la cosa come
libera. La stessa disposizione si applica per i diritti di usufrutto, di uso e
di abitazione. Omissis..
[3] Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato inmateria di processo civile, in particolare dall'articolo 19, comma 2, lett. a), D.L. 12 settembre2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla L. 10 novembre 2014, n. 162.
[4] Si tratta dell'originario articolo 155-quater, comma 1, poi modificato, con disposizione sostitutiva, dall'art. 14, comma 1, lett. 0a), del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni dalla L. 6 agosto 2015, n. 132, a decorrere dal 21 agosto 2015.
[5] Pubblicato nella Gazz. Uff. 4 agosto 2015, n. 179
[6] Come modificato, a decorrere dal 27 giugno 2015, dall'art. 14, comma 1, lett. a), n. 1), D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni dalla L. 6 agosto 2015, n. 132.
[7] Oltre alla suddetta, le finalità facoltative sono: "assicurare ai lavoratori prestazioni integrative, in termini di importi o durate, rispetto alle prestazioni previste dalla legge in caso di cessazione del rapporto di lavoro, ovvero prestazioni integrative, in termini di importo, rispetto a trattamenti di integrazione salariale previsti dalla normativa vigente; (...) contribuire al finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, anche in concorso con gli appositi fondi nazionali o dell'Unione europea".
[8] Nel bilancio triennale 2016-2018, il fondo è iscritto nell'ambito dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, missione «Fondi da ripartire», programma «Fondi di riserva e speciali».