Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento lavoro
Titolo: Disposizioni urgenti in materia di pensioni, ammortizzatori sociali e TFR - D.L. 65/2015 ' A.C. 3134 - Schede di lettura
Riferimenti:
DL N. 65 DEL 21-MAG-15   AC N. 3134/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 311
Data: 03/06/2015
Organi della Camera: XI-Lavoro pubblico e privato

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni urgenti in materia di pensioni, ammortizzatori sociali e TFR

D.L. 65/2015 – A.C. 3134

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 311

 

 

 

3 giugno 2015

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Lavoro

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( 066760-9496 – * st_finanze@camera.it

 

 

 

 

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File: D15065.docx


INDICE

Sintesi del contenuto. 1

Schede di lettura. 3

§  Articolo 1 (Misure in materia di rivalutazione automatica delle pensioni) 5

§  Articolo 2 (Rifinanziamento del Fondo sociale per occupazione e formazione) 14

§  Articolo 3 (Rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga per il settore della pesca) 17

§  Articolo 4 (Contratti di solidarietà) 18

§  Articolo 5 (Determinazione del coefficiente di capitalizzazione) 22

§  Articolo 6 (Razionalizzazione delle procedure di pagamento dell’INPS) 26

§  Articolo 7 (T.F.R. in busta paga) 28

 

 


SIWEB

Sintesi del contenuto

 

Il decreto-legge 21 maggio 2015, n.65, si compone di 8 articoli.

L’articolo 1 determina la misura della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici di importo pari o inferiore a sei volte il trattamento minimo INPS, relativamente agli anni 2012 e 2013 e con effetti anche sugli anni successivi, al fine di dare attuazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 24, comma 25, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, nella parte in cui prevede la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS.

L’articolo 2 incrementa di 1.020 milioni il Fondo sociale per occupazione e formazione al fine di finanziare gli ammortizzatori sociali in deroga per il 2015.

L’articolo 3 incrementa le risorse destinate, nell’ambito del Fondo sociale per occupazione e formazione, al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga per il settore della pesca.

L’articolo 4 autorizza la spesa di 70 milioni di euro per il 2015 al fine di finanziare i contratti di solidarietà stipulati dalle imprese con l’obiettivo di evitare o ridurre le eccedenze di personale.

L’articolo 5 modifica i criteri di determinazione del coefficiente di capitalizzazione del montante contributivo.

L’articolo 6 unifica i termini di pagamento di tutte le prestazioni erogate dall’INPS, attualmente previsti in tre differenti date (1° del mese per tutte le prestazioni previdenziali erogate dall’INPS già prima del 2012; 10 del mese per quelle erogate dall’ex ENPALS e 16 del mese per quelle erogate dall’ex INPDAP).

L’articolo 7 interviene in materia di anticipazione del trattamento di fine rapporto (TFR) con specifico riguardo alle garanzie di cui è assistito ed all’esclusione di qualsiasi onere fiscale.

L’articolo 8 dispone l’entrata in vigore il giorno stesso della pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

 

 


Schede di lettura


 

Articolo 1
(
Misure in materia di rivalutazione automatica delle pensioni)

 

L’articolo 1 determina la misura della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici di importo pari o inferiore a sei volte il trattamento minimo INPS, relativamente agli anni 2012 e 2013 e con effetti anche sugli anni successivi, al fine di dare attuazione, nel rispetto del principio dell’equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica, nonché assicurando la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche in funzione della salvaguardia della solidarietà intergenerazionale, ai principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 70 del 2015.

Con la recente sentenza n.70/2015 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 24, comma 25, del decreto-legge n.201/2011, con cui era stato disposto il blocco della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS per gli anni 2012-2013. Con tale pronuncia la Corte ha ritenuto che “sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento” pensionistico siano stati “valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività”. La Corte fa presente che “non è stato ascoltato il monito indirizzato al legislatore con la sentenza n.316 del 2010”, con cui aveva segnalato che “la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità, poiché risulterebbe incrinata la principale finalità di tutela, insita nel meccanismo della perequazione, quella che prevede una difesa modulare del potere d’acquisto delle pensioni”. Richiamata l’esigenza che il legislatore operi un corretto bilanciamento dei valori costituzionali ogniqualvolta si profili l’esigenza di un risparmio di spesa, la Corte osserva, poi, che la disposizione censurata “si limita a richiamare genericamente la «contingente situazione finanziaria», senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi così fortemente incisivi” (aggiungendo “che in sede di conversione non è dato riscontrare alcuna documentazione tecnica circa le attese maggiori entrate”). “L’interesse dei pensionati”, prosegue la Corte, “in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l’adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.).

Il comma 1 sostituisce il comma 25 e introduce il comma 25-bis all’articolo 24 del decreto-legge n. 201/2011, con cui era stato previsto il blocco della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici (di seguito: “rivalutazione”) di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS per gli anni 2012-2013, prevedendo, ferma restando la rivalutazione del 100 per cento per i trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, il riconoscimento della rivalutazione nelle seguenti misure:

ü  40 per cento per i trattamenti pensionistici di importo complessivo da tre a quattro volte il trattamento minimo INPS (lettera b));

ü  20 per cento per i trattamenti pensionistici di importo complessivo da quattro a cinque volte il trattamento minimo INPS (lettera c));

ü  10 per cento per i trattamenti pensionistici di importo complessivo da cinque a sei volte il trattamento minimo INPS (lettera d)).

 

Una clausola di salvaguardia assicura che, per ogni classe di importo e per ogni anno, il trattamento pensionistico complessivo non può essere minore, effettuata la relativa rivalutazione, al limite superiore, effettuata la relativa rivalutazione, di quello riconosciuto alla classe di importo inferiore.

Si evidenzia l’opportunità di specificare a decorrere da quale data (e, quindi, su quale importo previdenziale rivalutato ai sensi del comma 1), operi il meccanismo di rivalutazione automatica previsto, per gli anni 2014-2016, dall’articolo 1, comma 483, della legge n.147 del 2013.

Il comma 2 prevede che le disposizioni di cui al presente articolo si riferiscono a ogni singolo beneficiario in funzione dell'importo complessivo di tutti i trattamenti pensionistici in godimento, inclusi gli assegni vitalizi derivanti da uffici elettivi.

Si osserva che il richiamo ai vitalizi è operato esclusivamente ai fini della determinazione dell’importo pensionistico complessivo sul quale calcolare la rivalutazione di cui al comma 1[1].

Il comma 3 dispone che le somme arretrate dovute ai sensi del presente articolo sono corrisposte con effetto dal 1° agosto 2015.

Il comma 4 precisa che rimane ferma l'abrogazione del comma 3 dell'articolo 18 del decreto-legge n.98 del 2011[2].

Il comma 5 prevede che restano fermi i livelli del saldo netto da finanziare e del ricorso al mercato (fissati dall'articolo 1, comma 1, della legge 23 dicembre 2014, n. 190) e che il provvedimento di assestamento per l'anno 2015 e le previsioni di bilancio per gli anni successivi terranno conto degli effetti della richiamata sentenza della Corte Costituzionale e del presente articolo.

 

La rivalutazione dei trattamenti pensionistici: quadro normativo

Il meccanismo di rivalutazione dei trattamenti pensionistici è attualmente definito dall’articolo 34, comma 1, della legge n.448 del 1998, il quale ha disposto che (a decorrere dal 1° gennaio 1999) esso si applichi, per ogni singolo beneficiario, in funzione dell'importo complessivo dei trattamenti corrisposti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle relative gestioni per i lavoratori autonomi, nonché dei fondi sostitutivi, esclusivi ed esonerativi della medesima e dei fondi integrativi ed aggiuntivi (i cui all'articolo 59, comma 3, della L. 449/1997[3]). L'aumento della rivalutazione automatica dovuto viene attribuito, su ciascun trattamento, in misura proporzionale all'ammontare del trattamento da rivalutare rispetto all'ammontare complessivo[4].

Per quanto concerne la misura della rivalutazione dei trattamenti pensionistici, l’articolo 69, comma 1, della legge n.388 del 2000 ha disposto, in via generale (ossia a regime), che la perequazione automatica operi nella misura del 100% per la fascia di importo dei trattamenti pensionistici fino a 3 volte il trattamento minimo INPS (pari, per il 2015, a 502,39 euro); nella misura del 90% per la fascia di importo dei trattamenti pensionistici compresa tra 3 e 5 volte il trattamento minimo INPS; nella misura del 75% per la fascia di importo dei trattamenti superiore a 5 volte il trattamento minimo INPS.

Tale disciplina a regime è stata però oggetto di numerose deroghe, soprattutto in relazione ad esigenze di contenimento della spesa pensionistica.

L’articolo 5, comma 6, del decreto-legge n.81 del 2007 ha introdotto, per gli anni 2008-2010, un miglioramento del meccanismo di perequazione per i trattamenti pensionistici di importo compreso tra 3 e 5 volte il trattamento minimo, prevedendo per essi una rivalutazione automatica pari al 100 per cento dell’indice ISTAT.

L’articolo 1, comma 19, della legge n.247 del 2007 ha stabilito, per il solo anno 2008, che ai trattamenti pensionistici superiori a 8 volte il trattamento minimo INPS non venisse applicata la rivalutazione automatica.

L'articolo 18, comma 3, del decreto-legge n.98/2011 ha previsto, per gli anni 2012-2013, limitazioni alla rivalutazione automatica sui trattamenti pensionistici di importo superiore a 5 volte il trattamento minimo INPS. Per tali trattamenti pensionistici la rivalutazione non era concessa, con esclusione della fascia di importo inferiore a 3 volte il trattamento minimo, con riferimento alla quale la rivalutazione era applicata nella misura del 70%.

L'articolo 24, comma 25, del decreto-legge n.201 del 2011 (c.d. riforma Fornero), ha abrogato l'articolo 18, comma 3, del D.L. 98/2011, disponendo che la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici , per gli anni 2012 e 2013, venisse riconosciuta, nella misura del 100%, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a 3 volte il trattamento minimo INPS.

Da ultimo, l'articolo 1, comma 483, della legge n.147 del 2013, ha disposto che per gli anni 2014-2016 la rivalutazione dei trattamenti pensionistici operi nei seguenti termini percentuali:

·        100% per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia pari o inferiore a 3 volte il trattamento minimo INPS;

·        95% per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia superiore a 3 volte e pari o inferiore a 4 volte il predetto trattamento;

·        75% per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia superiore a 4 volte e pari o inferiore a 5 volte il trattamento minimo;

·        50% per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia superiore a 5 volte e pari o inferiore a 6 volte il trattamento minimo;

·        40% nel 2014 e 45% per ciascuno degli anni 2015 e 2016, per i trattamenti pensionistici superiori a 6 volte il trattamento minimo INPS.

 

La giurisprudenza costituzionale in materia previdenziale

La giurisprudenza costituzionale in materia previdenziale, con riferimento ai principali profili della materia (natura dei contributi previdenziali, adeguatezza delle prestazioni ai sensi dell'articolo 38 Cost., limitazione di benefici precedentemente riconosciuti e conseguente discrezionalità del legislatore, tutela dell'affidamento dei singoli e sicurezza giuridica) riflette, sostanzialmente, l'evoluzione della legislazione pensionistica, segnata dall'inversione di tendenza operata a partire dagli anni '90 a fronte dell'esplosione della spesa e della necessità di garantire la sostenibilità di lungo periodo del sistema.

Negli anni '60 e '70 la Corte è impegnata soprattutto nel tentativo di dare razionalità a un quadro normativo assai complesso e articolato (ereditato in parte dalla legislazione fascista), che si caratterizza per le numerose sentenze "additive" (le c.d. sentenze che costano) con le quali, assumendo a parametro l'articolo 3 della Costituzione (principio di uguaglianza formale e sostanziale), si procede ad adeguare le normative meno favorevoli a quelle più favorevoli, livellando verso l'alto prestazioni e benefici (tra le tante: sentenze n. 78 del 1967; n. 124 del 1968; n. 5 del 1969; n. 144 del 1971, n. 57 del 1973 e n. 240/1994).

Per quanto concerne, specificamente, la possibilità per il legislatore di modificare in senso peggiorativo i trattamenti pensionistici, la giurisprudenza di questo periodo (sentenze n. 26/80 e 349/85), facendo leva sull' articolo 36 Cost.[5] e l'articolo 38 Cost.[6], porta sostanzialmente a ritenere che il lavoratore abbia diritto a "una particolare protezione, nel senso che il suo trattamento di quiescenza, al pari della retribuzione percepita in costanza del rapporto di lavoro, del quale lo stato di pensionamento costituisce un prolungamento ai fini previdenziali, deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e deve, in ogni caso, assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle esigenze di vita per una esistenza libera e dignitosa". A tale riguardo la Corte precisa, in particolare, che "proporzionalità e adeguatezza alle esigenze di vita non sono solo quelli che soddisfano i bisogni elementari e vitali, ma anche quelli che siano idonei a realizzare le esigenze relative al tenore di vita conseguito dallo stesso lavoratore in rapporto al reddito ed alla posizione sociale raggiunta in seno alla categoria di appartenenza per effetto dell'attività lavorativa svolta" (sentenza n. 176/1986).

A partire dalla seconda metà degli anni ‘80, la Corte fornisce il proprio contributo per invertire le spinte espansionistiche insite nel sistema, valorizzando il principio del bilanciamento complessivo degli interessi costituzionali nel quadro delle compatibilità economiche e finanziarie. Già nelle sentenze n. 180/1982 e n. 220/1988 la Corte afferma il principio della discrezionalità del legislatore nella determinazione dell'ammontare delle prestazioni sociali tenendo conto della disponibilità delle risorse finanziarie. Le scelte del legislatore, volte a contenere la spesa (anche con misure peggiorative a carattere retroattivo), vengono tuttavia censurate dalla Corte laddove la normativa si presenti manifestamente irrazionale (sentenze n. 73/1992, n. 485/1992 e n. 347/1997).

Quanto alla natura dei contributi previdenziali, la Corte, pur con una giurisprudenza non sempre lineare (frutto del compromesso tra la logica mutualistica e quella solidaristica che, allo stesso tempo, informano il nostro sistema previdenziale), ha affermato che "i contributi non vanno a vantaggio del singolo che li versa, ma di tutti i lavoratori e, peraltro, in proporzione del reddito che si consegue, sicché i lavoratori a redditi più alti concorrono anche alla copertura delle prestazioni a favore delle categorie con redditi più bassi"; allo stesso tempo, però, per quanto i contributi trascendano gli interessi dei singoli che li versano, "essi danno sempre vita al diritto del lavoratore di conseguire corrispondenti prestazioni previdenziali", ciò da cui discende che il legislatore non può prescindere dal principio di proporzionalità tra contributi versati e prestazioni previdenziali (sentenza n. 173/1986; si vedano anche, a tale proposito, le sentenze n. 501/1988 e n. 96/1991).

Per quanto concerne i trattamenti peggiorativi con effetto retroattivo, la Corte ha escluso, in linea di principio, che sia configurabile un diritto costituzionalmente garantito alla cristallizzazione normativa, riconoscendo quindi al legislatore la possibilità di intervenire con scelte discrezionali, purché ciò non avvenga in modo irrazionale e, in particolare, frustrando in modo eccessivo l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulla normativa precedente (sentenze n. 349/1985, n. 173/1986, n. 822/1988, n. 211/1997, n. 416/1999).

La Corte ha affermato più volte la natura di retribuzione differita del trattamento pensionistico, come tale proporzionato alla qualità e alla quantità del lavoro prestato (sentenze 116/2013 e 208/2014), riconoscendo, tuttavia, la discrezionalità del legislatore nell’apportare correttivi giustificati da esigenze meritevoli di considerazione (sentenza n. 441 del 1993), anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili (ordinanze n. 202 del 2006 e n. 531 del 2002). La necessità di garantire la proporzionalità e l’adeguatezza della pensione, inoltre, non implica un costante adeguamento al potere di acquisto della moneta (non è necessaria una perfetta corrispondenza tra contribuzione e prestazione previdenziale), (sentenze 173/1986, 20/1991, 119/1992, 42/1993), né un costante aggancio dei trattamenti pensionistici alle retribuzioni (sentenze 62/1999 e 531/2002), ma lascia una sfera di discrezionalità al legislatore nell’attuazione della suddetta garanzia e nella determinazione delle misure e dei criteri di adeguamento dei trattamenti pensionistici alla variazione del costo della vita, purché tale discrezionalità si eserciti nell’osservanza del criterio di ragionevolezza, al fine di evitare che il bilanciamento proposto possa arrivare “a valori critici, tali che potrebbero rendere inevitabile l’intervento correttivo della Corte” (sentenza 226/1993); in altre pronunce la Corte ha precisato che dall’art. 36 Cost. “consegue l’esigenza di una costante adeguazione del trattamento di quiescenza alle retribuzioni del servizio attivo” (sentenze 501/1988 e 30/2004).

Per quanto concerne, specificamente, la decisioni aventi ad oggetto interventi legislativi volti a ridurre temporaneamente la rivalutazione dei trattamenti pensionistici, la Corte (ordinanza 256/2001) ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale di una disposizione[7] che bloccava la perequazione automatica, per il 1998, delle pensioni superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS; in tale occasione la Corte ha affermato che spetta al legislatore “stabilire la misura dei trattamenti di quiescenza e le variazioni dell'ammontare delle prestazioni” attraverso un bilanciamento dei valori contrapposti, ossia le esigenze di vita dei beneficiari, da un lato, e le concrete disponibilità finanziarie e le esigenze di bilancio, dall’altro, ritenendo che nel caso di specie la norma doveva ritenersi legittima in quanto limitava il proprio campo di applicazione ai soli trattamenti di importo medio – alto.

Con una decisione analoga, la Corte (sentenza n.316/2010) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale di una disposizione[8] che bloccava la perequazione automatica, per il 2008, delle pensioni superiori a otto volte il trattamento minimo INPS; in tale occasione la Corte ha affermato che perché non venivano violati i principi di proporzionalità e di eguaglianza, in quanto il blocco operava esclusivamente sulle pensioni superiori ad un limite d’importo di “sicura rilevanza, realizzando quindi un trattamento differenziato di situazioni obiettivamente diverse rispetto a quelle dei titolari di pensioni più modeste”, né il principio di ragionevolezza, poiché si è ritenuto che non vi fosse riduzione quantitativa dei trattamenti in godimento, ma solo rallentamento della dinamica perequativa delle pensioni di valore più cospicuo, in considerazione anche delle esigenze di bilancio, affiancate al dovere di solidarietà, che hanno fornito una giustificazione ragionevole alla soppressione della rivalutazione automatica annuale[9]. Ciononostante, la citata sentenza contiene un monito al legislatore teso a rimuovere il rischio della frequente reiterazione di misure volte a paralizzare il meccanismo perequativo che potrebbero esporre il sistema “ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità, perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta”.

Da ultimo, con la recente sentenza n.70/2015 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 24, comma 25, del decreto-legge n.201/2011, con cui era stato disposto il blocco della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS per gli anni 2012-2013 (v. retro).

 

Il computo dei vitalizi a fini previdenziali e fiscali

L’assegno vitalizio spetta, in generale, ai Parlamentari cessati dal mandato che abbiano compito 65 anni di età ed abbiano corrisposto contributi per almeno 5 anni di mandato esercitato nel Parlamento. Per ogni anno di mandato o contribuzione ulteriore al quinto anno l’età richiesta per usufruire dell’assegno è ridotta di un anno (comunque con un limite minimo di 60 anni). Il vitalizio è considerato come reddito assimilato al lavoro dipendente ai sensi dell’articolo 50 del TUIR (quindi sottoposto ad I.R.P.E.F. e tassato per il 91,75% dell’importo), e sotto il profilo contributivo, non riveste natura previdenziale[10] (in quanto da considerarsi non come un trattamento pensionistico ma come un’indennità correlata alla cessazione della carica). L’istituto dell’assegno vitalizio è stato abolito per i Parlamentari nazionali a partire dal 2012 ed è stato previsto un sistema pensionistico[11].

Recentemente, alcuni interventi del legislatore hanno ricompreso i vitalizi nelle voci dei trattamenti economici e previdenziali complessivi da sottoporre a specifiche limitazioni. Tra questi, si segnalano:

·        l’articolo 2, comma 2, del D.L. 138/2011, che ha istituito, per il triennio 2011-2013 (periodo prorogato al triennio 2014-2016 dall’articolo 1, comma 590, della L. 147/2013) un contributo di solidarietà sul reddito complessivo determinato a fini I.R.P.E.F. (nel quale rientrano anche i vitalizi, in virtù del loro assoggettamento all’imposta) i sensi dell’articolo 8 del TUIR, di importo superiore a 300.000 euro lordi annui, pari al 3% della parte eccedente il predetto importo;

·        l’articolo 1, comma 236, della L. 228/2012, che ha disposto, nel caso in cui le risorse destinate ad ampliare la platea dei soggetti salvaguardati dall’applicazione della nuova normativa in materia di requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici non fossero state sufficienti a coprire gli oneri programmati, il blocco nel 2014 della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici (inclusi i vitalizi percepiti da coloro che hanno ricoperto o ricoprono cariche elettive nazionali e regionali) superiori a 6 volte il minimo I.N.P.S.;

·        l’articolo 1, commi 486-487, della L. 147/2013[12], che ha stabilito, per il triennio 2014-2016, un contributo di solidarietà sui trattamenti pensionistici obbligatori e sui vitalizi previsti per coloro che abbiano ricoperto funzioni pubbliche elettive (erogati dagli organi costituzionali, dalle Regioni e dalle province autonome) eccedenti determinati limiti in relazione al trattamento minimo I.N.P.S.[13]

·        l’articolo 1, comma 489, della L. 147/2013, ai sensi del quale le amministrazioni pubbliche (inserite nell’elenco I.S.T.A.T.) non possano erogare, ai soggetti già titolari di trattamento pensionistico, ivi inclusi i vitalizi, anche conseguenti a funzioni pubbliche elettive, trattamenti economici che, sommati ai trattamenti pensionistici, eccedano il limite fissato dall’articolo 23-ter, comma 1, del D.L. 201/2011 (vale a dire, il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione), limite successivamente diminuito a 240.000 euro (ai sensi dell’articolo 13 del D.L. 66/2014).

 


 

 

Articolo 2
(Rifinanziamento del Fondo sociale per occupazione e formazione)

 

L’articolo 2 detta norme in materia di rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga.

Il comma 1 prevede, per il 2015, l’incremento di 1.020 milioni di euro del Fondo sociale per l’occupazione e formazione[14] ai fini del rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga (di cui all'articolo 2, commi 64, 65 e 66, della L. 92/2012[15]).

Il comma 2 dispone che alla copertura degli oneri derivanti dal suddetto incremento si provveda mediante corrispondente riduzione del Fondo istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per la copertura degli oneri derivanti dall’attuazione della legge delega 183/2014 (cd Jobs act) di riforma del mercato del lavoro, di cui all’articolo 1, comma 107 della L. 190/2014 (Stabilità 2015)[16].

 

Il finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga

Gli ammortizzatori sociali in deroga sono stati oggetto di una serie di interventi normativi volti al loro rifinanziamento. Limitando la disamina ai provvedimenti più recenti significativi, si segnalano i seguenti interventi.

 

L'articolo 2, comma 64-66 della L. 92/2012 ha disposto, al fine di garantire la graduale transizione verso il regime delineato dalla riforma degli ammortizzatori sociali, assicurando la gestione delle situazioni derivanti dal perdurare dello stato di debolezza dei livelli produttivi del Paese, che per gli anni 2013-2016 il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, possa disporre, sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a 12 mesi, in deroga alla normativa vigente, la concessione, anche senza soluzione di continuità, di trattamenti di integrazione salariale e di mobilità. Tali trattamenti sono concessi, anche con riferimento a settori produttivi e ad aree regionali, nei limiti delle risorse finanziarie a tal fine destinate nell’ambito del Fondo sociale per occupazione e formazione, a tal fine incrementato di 1 miliardo di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014, di 700 milioni di euro per il 2015 e di 400 milioni di euro per il 2016).

L'articolo 1, commi 253-254, della L. 228/2012 prevede il finanziamento di ammortizzatori sociali in deroga nelle Regioni, in relazione a misure di politica attiva e ad azioni innovative e sperimentali di tutela dell'occupazione. In particolare, il comma 254 ha incrementato il Fondo sociale per l’occupazione e formazione di 200 milioni di euro per il 2013.

L’articolo 4 del D.L. 54/2013 ha dettato norme per il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga (mantenendo ferme le risorse già destinate dall’articolo 2, comma 65, della L. 92/2012 e dall’articolo 1, commi 253-254, della L. 228/2012) e per la ridefinizione (con decreto interministeriale da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge) dei criteri per la loro concessione. In particolare, la disposizione ha incrementato di 250 milioni di euro per l’anno 2013 il Fondo sociale per l’occupazione e formazione, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa relativa al Fondo per lo sgravio contributivo dei contratti di produttività. Inoltre, ha introdotto misure volte ad accelerare il procedimento amministrativo di rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga già previsto dall’articolo 1, comma 255, della legge n. 228/2012, prevedendo che le risorse derivanti dall’aumento contributivo di cui all’articolo 25 della legge 845/1978 (che finanziano i Fondi Paritetici Interprofessionali nazionali per la formazione continua), siano versate all’INPS per un importo di 246 milioni di euro, ai fini della successiva riassegnazione al Fondo sociale per l’occupazione e formazione. In particolare, il comma 2 ha demandato ad uno specifico decreto interministeriale la possibilità di disporre, per il quadriennio 2013-2016, la determinazione, nel rispetto degli equilibri di bilancio programmati, dei criteri per la concessione degli ammortizzatori sociali in deroga, con particolare riferimento alle causali di concessione, alle tipologie di datori di lavoro e lavoratori beneficiari. Tali criteri, che dovrebbero consentire una graduale transizione verso il nuovo sistema di ammortizzatori sociali delineato dalla L. 92/2012, operano nel rispetto di determinate risorse finanziarie (1 mld di euro per il biennio 2013-2014, 700 mln di euro per il 2015 e 400 milioni di euro per il 2016, ai sensi dell’articolo 2, comma 65, della stessa L. 92/2012). In relazione a ciò, le modalità di concessione degli ammortizzatori sociali in deroga sono state definite con il D.M. 1° agosto 2014[17].

L’articolo 21, comma 1, del D.L. 63/2013, ha incrementato il Fondo in misura di 47,8 milioni di euro per il 2013 e di 121,5 milioni di euro per il 2014.

L’articolo 10, comma 1, del D.L. 102/2013 ha previsto un incremento, di 500 milioni di euro per l’anno 2013 del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione destinato al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, disponendo che tali risorse aggiuntive debbano ripartirsi tra le regioni tenendo conto delle risorse che devono essere destinate, per le medesime finalità, alle regioni che possono procedere al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga attraverso la riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007/2013 oggetto del Piano di Azione e Coesione (sulla base di quanto disposto dal citato articolo 1, comma 253, della L. 228/2012).

L’articolo 1, comma 183, della L. 147/2013 (Legge di stabilità 2014) ha rifinanziato ulteriormente gli ammortizzatori sociali in deroga, destinando 600 milioni di euro per il 2014 al Fondo sociale per l’occupazione e la formazione.

Da ultimo, l’articolo 40 del D.L. 133/2014 ha disposto un ulteriore incremento del Fondo sociale per l'occupazione e formazione per un importo pari, per il 2014, a 728 milioni di euro.

 

 


 

 

Articolo 3
(Rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga per il settore della pesca)

 

L’articolo 3 incrementa di 5 milioni di euro, per il 2015, le risorse già destinate, per il medesimo anno, al riconoscimento della cassa integrazione in deroga per il settore della pesca dall’articolo 1, comma 109, della L. 190/2014 (Stabilità 2015).

Il suddetto incremento attinge alle risorse di cui al Fondo sociale per occupazione e formazione, come rifinanziato dal presento decreto legge.

 

Si ricorda che la cassa integrazione in deroga per il settore della pesca è stata oggetto di una pluralità di rifinanziamenti. Da ultimo, l’articolo 1, comma 109, della L. 190/2014 (Stabilità 2015) ha destinato, per l'anno 2015, fino a 30 milioni di euro al riconoscimento della cassa integrazione in deroga per il settore della pesca, nell’ambito delle risorse del Fondo sociale per occupazione e formazione destinate agli ammortizzatori sociali in deroga.

Come evidenziato nella Relazione illustrativa, anche sulla base delle indicazioni emerse a seguito di un monitoraggio effettuato dall’INPS, un ulteriore stanziamento di 5 milioni di euro si rende necessario per il pagamento delle annualità pregresse: visto che l’articolo 2, commi 64 e 65, della L. 92/2012 (al fine di garantire la graduale transizione verso il regime delineato dalla riforma degli ammortizzatori sociali) prevede che il trattamento di integrazione salariale in deroga possa essere concesso fino al 2016, sarebbe impossibile utilizzare lo stanziamento previsto per l’anno in corso per il pagamento delle annualità precedenti.

 

 


 

 

Articolo 4
(Contratti di solidarietà)

 

L’articolo 4 autorizza per il 2015, ai fini del finanziamento dei contratti di solidarietà difensivi, una spesa di 70 milioni di euro a carico del Fondo sociale per occupazione e formazione come rifinanziato dall'articolo 2, comma 65, della L. 92/2012 e dal precedente articolo 2 del provvedimento in esame.

 

Secondo la relazione illustrativa al provvedimento, la misura serve a garantire la continuità nel 2015 per i richiamati contratti, ”in attesa della messa a regime della misura, ai sensi della legge delega 10 dicembre 2014, n. 183”.

Si ricorda, al riguardo, che la L. 183/2014 all’articolo 1, comma 2, lettera a), n. 8, tra i criteri di delega per la riforma degli ammortizzatori sociali in costanza di lavoro, ha disposto anche la revisione dell'ambito di applicazione e delle regole di funzionamento dei contratti di solidarietà, con particolare riguardo a quelli cosiddetti espansivi ed alla messa a regime delle norme transitorie (in genere, oggetto di successive proroghe), le quali estendono alle imprese non rientranti nell'àmbito di applicazione della disciplina dei contratti di solidarietà difensivi la possibilità di stipulare tali contratti, con il riconoscimento di determinate agevolazioni (in favore delle stesse imprese e dei lavoratori interessati. Allo stesso tempo, ha previsto l’accesso alla cassa integrazione solo in caso di esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro, eventualmente destinando ai contratti di solidarietà una parte delle risorse attribuite alla cassa integrazione.

In attuazione della delega sulla riforma degli ammortizzatori sociali è stato pubblicato il D.Lgs. 22/2015, con riferimento agli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria (NASpI, indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto collaborazione coordinata e continuativa, assegno di disoccupazione e contratto di ricollocazione). Si ricorda, in proposito, il DEF per il 2015 ha previsto l’adozione, entro giugno 2015, dello schema di decreto in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro e dello schema di decreto in materia di politiche attive.

 

I contratti di solidarietà

Per contratti di solidarietà difensivi[18] si intendono quelli collettivi aziendali, stipulati tra imprese industriali rientranti nel campo di applicazione della CIGS (comprese le aziende appaltatrici di servizi di mense e di servizi di pulizia) e le rappresentanze sindacali, che, a norma dell'articolo 1 del D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, stabiliscano una riduzione dell'orario di lavoro, al fine di evitare, in tutto o in parte, la riduzione o la dichiarazione di esubero del personale. In relazione a tale riduzione d'orario, di cui sia stata accertata la finalizzazione da parte dell'Ufficio regionale del lavoro, il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, concede il trattamento d'integrazione salariale il cui ammontare è determinato nella misura del 60% del trattamento retributivo perso a seguito della riduzione d'orario.

A decorrere dal 1° gennaio 2014 possono ricorrere ai contratti di solidarietà, in favore dei propri dipendenti, anche i partiti politici e i movimenti politici iscritti nel registro nazionale (ai sensi dell’articolo 16 del D.L. 149/2013). Restano invece escluse le imprese che abbiano presentato istanza per essere ammesse ad una delle procedure concorsuali di cui all'articolo 3 della L. 223/1991, ovvero siano state assoggettate ad una delle suddette procedure.

Infine, il contratto di solidarietà non si applica nei casi di fine lavoro e fine fase lavorativa nei cantieri edili, e non è ammesso per rapporti di lavoro a tempo determinato, instaurati al fine di soddisfare le esigenze di attività produttive soggette a fenomeni di natura stagionale.

Può beneficiare del contratto di solidarietà tutto il personale dipendente, ad esclusione dei dirigenti, degli apprendisti e dei lavoratori a domicilio (articolo 3 del D.M. 46448/2009).

Per i dipendenti part-time è ammissibile l'applicazione dell'ulteriore riduzione di orario, qualora sia dimostrato il carattere strutturale del part-time nella preesistente organizzazione del lavoro.

Il contratto di solidarietà non può avere (ex articolo 1, comma 2, del D.L. 726/1984) una durata superiore a 24 mesi. Alla scadenza, è prevista la possibilità (articolo 7 del D.L. 536/1987) di prorogare il trattamento, fino ad un massimo di 24 mesi (36 mesi per i lavoratori occupati nel Mezzogiorno). Qualora il contratto di solidarietà raggiunga la durata massima prevista dal richiamato articolo 7, un nuovo contratto di solidarietà può essere stipulato, per le medesime unità aziendali coinvolte dal contratto precedente, decorsi dodici mesi. Il limite massimo di fruizione del trattamento straordinario di integrazione salariale stabilito dall'articolo 1, comma 9, della L. 223/1991 (36 mesi nell'arco di un quinquennio), può essere superato nelle singole unità produttive, qualora il ricorso al contratto di solidarietà abbia la finalità di strumento alternativo alla procedura per la dichiarazione di mobilità ai sensi dell’articolo 7 del D.M. 46448/2009).

L’articolo 2 del D.L. 726/1984 ha previsto (nel caso in cui i contratti collettivi aziendali, stipulati con i sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, al fine di incrementare gli organici, prevedano, programmandone le modalità di attuazione, una riduzione stabile dell'orario di lavoro, con riduzione della retribuzione, e la contestuale assunzione a tempo indeterminato di nuovo personale, con richiesta nominativa, ai datori di lavoro) la concessione, per ogni lavoratore assunto sulla base dei predetti contratti collettivi e per ogni mensilità di retribuzione ad esso corrisposta, di un contributo (a carico della gestione dell'assicurazione per la disoccupazione involontaria), pari, per i primi 12 mesi, al 15% della retribuzione lorda prevista dal contratto collettivo di categoria per il livello di inquadramento. Per ciascuno dei 2 anni successivi il predetto contributo è ridotto, rispettivamente, al 10% e al 5%.

Per i lavoratori di età compresa tra i 15 e i 29 anni assunti sulla base delle disposizioni richiamate, il comma 2 dispone che la quota di contribuzione a carico del datore di lavoro sia corrispondente a quella per gli apprendisti (per i primi tre anni e comunque non oltre il compimento del ventinovesimo anno di età del lavoratore assunto) ferma restando la contribuzione a carico del lavoratore nella misura prevista per la generalità dei lavoratori[19]. Il contributo richiamato è cumulabile con gli sgravi degli oneri sociali e può essere conguagliato dai datori di lavoro all'atto del pagamento dei contributi dovuti all'Istituto nazionale della previdenza sociale[20]. Non beneficiano delle agevolazioni indicate in precedenza i datori di lavoro che, nei 12 mesi antecedenti le assunzioni, abbiano proceduto a riduzioni di personale ovvero a sospensioni di lavoro.

Come accennato, in caso di contratti di solidarietà ai lavoratori interessati spetta un trattamento di integrazione salariale pari al 60% della retribuzione persa a seguito della riduzione dell’orario di lavoro; in via sperimentale, per il periodo 2009-2012 (e prorogato per il 2013 dall’articolo 1, comma 256, della L. 228/2012), l'ammontare del trattamento di integrazione è stato aumentato del 20% (con passaggio dell’indennità dal 60% all’80% della retribuzione) del trattamento perso a seguito della riduzione dell'orario di lavoro. Per il 2014, ai sensi dell’articolo 1, comma 186, della L. 147/2013, l'ammontare del trattamento di integrazione salariale è stato aumentato in misura pari al 10%, diventando così complessivamente pari al 70% della retribuzione persa a seguito della riduzione di orario.

Da ultimo, l’articolo 2-bis del D.L. 192/2014, ha prorogato per il 2015, nel limite di 50 milioni di euro (con onere a carico del Fondo sociale per l’occupazione e formazione) l’incremento del 10% dell'ammontare del trattamento di integrazione salariale per i contratti di solidarietà (trattamento che quindi è ancora pari al 70% del trattamento retributivo perso a seguito della riduzione d’orario). Le risorse sono destinate prioritariamente ai trattamenti dovuti nell'anno 2015 in forza di contratti di solidarietà stipulati nell'anno 2014.

 

Per quanto attiene, infine, alle agevolazioni contributive, si ricorda che l'articolo 6, comma 4, del D.L. 510/1996 ha stabilito una specifica agevolazione contributiva a favore dei datori di lavoro (valevole per un periodo non superiore a 24 mesi e consistente nella riduzione dell'ammontare dei contributi da essi dovuti per i lavoratori interessati dalla riduzione dell'orario di lavoro) per i contratti di solidarietà stipulati successivamente al 14 giugno 1995 e nei quali è pattuita una riduzione dell'orario di lavoro superiore al 20%. Tale riduzione contributiva, inizialmente pari al 25%, è stata successivamente elevata al 35% nel caso di contratto di solidarietà con diminuzione di orario di lavoro superiore al 30%. Per le imprese operanti nelle aree individuate per l'Italia dalla CE - ai sensi dell'obiettivo 1 del regolamento n. 1260/1999 - tali percentuali erano elevate rispettivamente al 30% e al 40%. In base alle modifiche apportate dall'articolo 5 del recente D.L. 34/2014, la misura della riduzione contributiva è stata generalizzata nella misura del 35%. Si ricorda, inoltre, che il comma 1-ter del richiamato articolo 5 del D.L. 34/2014, al fine di favorire la diffusione delle buone pratiche e il monitoraggio delle risorse economiche impiegate, ha introdotto l'obbligo di depositare i contratti di solidarietà presso l'archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro.

Si ricorda, inoltre, che l’articolo 5, comma 5, del D.L. 148/1993, ha disposto (fino al 31 dicembre 1995), per le imprese non rientranti nel campo di applicazione della CIG che (al fine di evitare o ridurre le eccedenze di personale nel corso della procedura di licenziamento collettivo, o al fine di evitare licenziamenti plurimi individuali per giustificato motivo oggettivo) stipulino contratti di solidarietà, la corresponsione, per un periodo massimo di 2 anni, di un contributo pari alla metà del monte retributivo da esse non dovuto a seguito della riduzione di orario. Il predetto contributo viene erogato in rate trimestrali e ripartito in parti uguali tra l'impresa e i lavoratori interessati[21]. Il successivo comma 8 ha altresì disposto l’applicazione di tale agevolazione alle imprese artigiane non rientranti nel campo di applicazione della CIGS, anche ove occupino meno di 16 dipendenti, a condizione che i lavoratori con orario ridotto da esse dipendenti percepiscano, a carico di fondi bilaterali istituiti da contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale, una prestazione di entità non inferiore alla metà della quota del contributo pubblico destinata ai lavoratori[22].

 

 


 

 

Articolo 5
(Determinazione del coefficiente di capitalizzazione)

 

L’articolo 5 modifica la disciplina del coefficiente di rivalutazione del montante contributivo (determinato adottando il tasso annuo di capitalizzazione, che è dato dalla variazione media quinquennale del PIL nominale - che sconta la variazione del PIL reale legato alla crescita reale del paese e la variazione del PIL legata all'inflazione, appositamente calcolata dall'ISTAT - con riferimento al quinquennio precedente l'anno da rivalutare) utilizzato per il calcolo del valore della pensione con il sistema contributivo (di cui all’articolo 1, comma 9, della L. 335/1995).

 

In particolare, il comma 1 prevede che in ogni caso il richiamato coefficiente non possa essere inferiore ad un valore pari a uno, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive.

 

Tale disposizione trae origine dal fatto che nel 2014 il tasso di capitalizzazione ha avuto per la prima volta segno negativo (sia in valore assoluto sia al netto dell'inflazione), determinando una rivalutazione negativa riferita solo alla quota di lavoratori già nello schema contributivo a capitalizzazione simulata (che riguarda tutti i contributi versati dopo il 1996 ad eccezione dei lavoratori che all'epoca avevano più di 18 anni di versamenti)[23], con ciò riducendo le aspettative pensionistiche dei lavoratori attivi.

 

La disposizione introduce, inoltre, un meccanismo di recupero degli effetti negativi, da bilanciare però sulle rivalutazioni successive[24].

 

Senza dubbio il fattore più qualificante della riforma in materia di previdenza obbligatorio nella L. 335/1995 fu l’introduzione del metodo di calcolo contributivo dei trattamenti pensionistici, in luogo del metodo retributivo.

Il provvedimento, infatti, muovendo dalla constatazione che il metodo retributivo costituisse una fonte di iniquità del sistema, sia intergenerazionale, sia interna a ciascuna generazione di percettori, introdusse un nuovo metodo di calcolo dei trattamenti pensionistici, mediante il quale si ritengono perseguibili, a regime, entrambi gli obiettivi della sostenibilità finanziaria del sistema e della equità nei rendimenti corrisposti.

Differentemente da quest'ultimo, il metodo contributivo, come prefigurato nei commi da 6 a 16 dell'articolo 1 della L. 335/1995, mette in relazione vita contributiva e trattamento previdenziale di ciascun soggetto: ciò comporta che, a regime, il pensionato riceverà un trattamento commisurato a quanto ha accumulato nel suo periodo attivo. E' però importante sottolineare che il nuovo sistema contributivo si muove sempre all'interno di un ordinamento che funziona secondo il criterio della ripartizione: la pensione è sì commisurata alla storia contributiva del lavoratore, ma è comunque pagata dalle entrate contributive correnti del sistema, che resta a pieno titolo un sistema pensionistico pubblico. Può dunque parlarsi di un sistema contributivo che funziona all'interno di un quadro ripartitorio pubblico.

Il secondo elemento innovatore, strettamente dipendente dalla scelta del metodo contributivo, è costituito dal suo meccanismo di funzionamento, incentrato sulla capitalizzazione dei contributi versati[25]. In particolare, la capitalizzazione è effettuata secondo un indicatore oggettivo, costituito, secondo quanto puntualmente specifica l'articolo 1, comma 9, della L. 335/1995, dalla variazione media quinquennale del PIL nominale, calcolata con riferimento al quinquennio di ciascun anno da rivalutare. L'accumulo contributivo così capitalizzato dà luogo al "montante contributivo": quest'ultimo, rapportato ai divisori (cd. coefficienti di trasformazione[26]) previsti dalla Tabella A allegata alla legge (e che sono anch'essi costituiti secondo un criterio oggettivo, rapportato alla speranza di vita del pensionato viene moltiplicato per i coefficienti di trasformazione), dà come prodotto l'ammontare della rendita pensionistica di ciascuno.

Si ricorda, infine, che, nell’ambito del sistema contributivo di calcolo della pensione, il coefficiente di trasformazione è il valore al quale si moltiplica il montante individuale dei contributi al fine di ottenere l’importo attualizzato della pensione annua; in altri termini è la percentuale per la quale si moltiplicano i contributi accumulati in tutta la vita lavorativa al fine di determinare l'importo dell’assegno pensionistico.

 

Il successivo comma 2 dispone che alla copertura degli oneri finanziari, valutati in 1,1 milioni di euro per il 2015, 2,2 milioni di euro per il 2016, 2,0 milioni di euro per il 2017, 1,7 milioni di euro per il 2018, 1,5 milioni di euro per il 2019, 1,2 milioni di euro per il 2020, 1 milione di euro per il 2021, 0,7 milioni di euro per il 2022, 0,5 milioni di euro per il 2023 e 0,2 milioni di euro annui a decorrere dal 2024 si provvede:

·     quanto a 0,2 milioni di euro per il 2015, 0,4 milioni di euro per il 2016, 0,4 milioni di euro per il 2017, 0,3 milioni di euro per il 2018, 0,3 milioni di euro per il 2019, 0,2 milioni di euro per il 2020, 0,2 milioni di euro per il 2021, 0,1 milioni di euro per il 2022 e a 0,1 milioni di euro per il 2023 mediante le maggiori entrate derivanti dal comma 1 (lettera a));

·     quanto a 0,9 milioni di euro per il 2015, 1,8 milioni di euro per il 2016, 1,6 milioni di euro per il 2017, 1,4 milioni di euro per il 2018, 1,2 milioni di euro per il 2019, 1 milione di euro per il 2020, 0,8 milioni di euro per il 2021, 0,6 milioni di euro per il 2022, 0,4 milioni di euro per il 2023 e a 0,2 milioni di euro annui a decorrere dal 2024 mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa per il Fondo per interventi strutturali di politica economica (Fondo ISPE), di cui all'articolo 10, comma 5, del D.L. 282/2004.

Si ricorda che il Fondo ISPE è stato istituito dall'articolo 10, comma 5, del D.L. n. 282 del 2004 al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale. Il Fondo, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze (cap. 3075) viene utilizzato in modo flessibile ai fini del reperimento delle risorse occorrenti a copertura di interventi legislativi recanti oneri finanziari.

Nel bilancio di previsione per gli anni 2015-2017 (legge n. 191/2014 e relativo D.M. Economia del 29 dicembre 2014 di ripartizione del bilancio in capitoli) il Fondo presenta una dotazione pari a 271,7 milioni per il 2015, a 415 milioni per il 2016 e a 314,4 milioni per il 2017.

 

Infine, ai sensi del comma 3 il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 

 


 

 

Articolo 6
(Razionalizzazione delle procedure di pagamento dell’INPS)

 

L’articolo 6 detta norme volte a uniformare le procedure di pagamento delle prestazioni previdenziali corrisposte dall’INPS.

Il comma 1 (attraverso l’integrale sostituzione dell’articolo 1, comma 309, della L. 190/2014), dispone che, a decorrere dal 1° giugno 2015, i trattamenti pensionistici, gli assegni, le pensioni e le indennità di accompagnamento pagate agli invalidi civili, e le rendite vitalizie dell’INAIL, dovranno essere corrisposti il 1° giorno di ogni mese (o il giorno successivo se festivo o non bancabile), con un unico mandato di pagamento (ove non sussistano cause ostative[27]); il pagamento è invece differito al secondo giorno bancabile per il solo mese di gennaio 2016 e per ciascun mese a decorrere dal 2017[28].

Come riportato nella Relazione illustrativa, la modifica normativa introdotta dall’articolo 6 comporta un duplice vantaggio: da una parte, la previsione di un’unica lavorazione al mese (contro le tre previgenti) delle pratiche per i pagamenti, semplifica le procedure gestionali, amministrative e informatiche; dall’altra, garantisce ai beneficiari la disponibilità anticipata di tutti i trattamenti pensionistici dell’INPS.

Il comma 2 detta disposizioni in merito alla copertura degli oneri derivanti dall’uniformazione dei termini di pagamento, valutati in 0,971 milioni di euro per il 2015, 6,117 milioni di euro per il 2016, 11,246 milioni di euro per il 2017, a 18,546 milioni di euro per il 2018 e in 26,734 milioni di euro a decorrere dal 2019, a cui si provvede:

·     per l’importo previsto per gli anni 2015, 2016 e 2017, nonché per 13,7 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2018, attraverso la riduzione delle commissioni corrisposte agli istituti di credito e Poste Italiane Spa per i servizi di pagamento delle prestazioni pensionistiche;

·     per i restanti 4,846 milioni di euro per il 2018 e per 13,034 milioni di euro a decorrere dal 2019, mediante l’incremento dell’importo (pari a 50 milioni di euro) delle entrate per interessi attivi derivanti dalla concessione di prestazioni creditizie agli iscritti alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali dell’INPDAP, reso indisponibile dall’articolo 1, comma 306, della L. 190/2014.

Infine, il comma 3 dispone che l’INPS riversi strutturalmente all’entrata del bilancio dello Stato, a decorrere da giugno 2015, l’importo di spesa corrispondente alle riduzioni di spesa ottenute..

Si ricorda che, in base alla normativa previgente, le suddette prestazioni venivano erogate in giorni differenti a seconda delle differenti gestioni:

·       trattamenti INPS o INAIL, pagamento il 1° giorno del mese;

·       trattamenti ex-Inpdap, pagamento il 16 del mese;

·       trattamenti ex-Enpals, pagamento il 10 del mese.

 

Si ricorda inoltre che il richiamato articolo 1, comma 302, della L. 190/2014, aveva previsto che, a decorrere dal 1° gennaio 2015, le prestazioni previdenziali erogate dall’INPS, i trattamenti pensionistici, gli assegni, le pensioni, le indennità di accompagnamento erogate agli invalidi civili e le rendite vitalizie dell’INAIL, nei confronti di beneficiari di più trattamenti, in assenza di cause ostative fossero posti in pagamento il 10 di ciascun mese (o il giorno successivo se festivo o non bancabile)[29].

 

 


 

 

Articolo 7
(T.F.R. in busta paga)

 

L'articolo 7 del provvedimento in esame modifica la disciplina (introdotta dalla legge di stabilità 2015) relativa alle corresponsione nella busta paga dei lavoratori delle quote del trattamento di fine rapporto maturando, in via sperimentale e per un periodo limitato.

In particolare, la suddetta disciplina viene modificata nella parte in cui istituisce un finanziamento bancario, assistito da speciali garanzie (tra cui quella di ultima istanza dello Stato), cui possono accedere i datori di lavoro che non intendono corrispondere immediatamente con risorse proprie la quota maturanda del TFR.

In particolare:

-        modificando l’articolo 1, comma 30, della richiamata legge di stabilità 2015, si sostituisce la previsione che tale finanziamento è assistito da privilegio speciale sui mobili (di cui all'articolo 46 del Testo unico bancario) con la previsione del privilegio generale sui mobili disciplinato dall'articolo 2751-bis, numero 1, del codice civile, previsto proprio per garantire la corresponsione del Tfr;

-        si esclude espressamente qualsiasi forma di onere fiscale connesso all'operazione di finanziamento alle imprese all'atto della stipula del finanziamento, nel corso del rapporto e nell'eventuale escussione della garanzia.

 

La relazione illustrativa al riguardo chiarisce che lo scopo della disposizione è alleggerire gli oneri dei soggetti coinvolti in tali operazioni; il datore di lavoro è esonerato dal fornire un elenco dei beni mobili oggetto di privilegio, così come gli istituti finanziatori sono esonerati dall'iscrivere tale elenco e dai relativi oneri di pubblicità.

 

In estrema sintesi, si rammenta che la legge di stabilità 2015 (articolo 1, commi da 26 a 34 della L. 190/2014) prevede l’erogazione delle quote di TFR maturando in busta paga in via sperimentale (per il periodo 1° marzo 2015-30 giugno 2018) per i lavoratori dipendenti del settore privato, con sottoposizione al regime di tassazione ordinaria. Si dispone parallelamente un finanziamento a favore dei datori di lavoro che non intendano erogare immediatamente le quote di TFR maturando con proprie risorse, con una specifica e differenziata disciplina per l’accesso al credito per i datori di lavoro che optino o meno per il richiamato finanziamento e con l’obbligo, per i datori di lavoro, di seguire una specifica procedura per accedere al predetto finanziamento.

La legge ha istituito presso l’I.N.P.S. un Fondo di garanzia per l’accesso ai finanziamenti per i datori di lavoro con meno di 50 dipendenti che non intendano erogare immediatamente le quote di TFR maturando con risorse proprie. Le modalità di attuazione delle norme richiamate, nonché i criteri, le condizioni e le modalità di funzionamento del Fondo di garanzia per l’accesso ai finanziamenti e della garanzia dello Stato come prestatore di ultima istanza, sono stati disciplinati dal D.P.C.M. 20 febbraio 2015, n. 29, che ha introdotto le norme attuative delle disposizioni in materia di liquidazione del TFR in busta paga.

 

In particolare, i già richiamati commi da 28 a 30 contengono disposizioni volte a finanziare i datori di lavoro che non intendano erogare immediatamente le quote di TFR maturando con proprie risorse.

Il datore di lavoro (comma 30) può accedere ad uno specifico finanziamento, assistito da una duplice garanzia, prestata dal Fondo di garanzia per l’accesso ai finanziamenti e dallo Stato in ultima istanza.

L’articolo 7, al comma 1, sostituisce dunque la previsione secondo cui tale finanziamento è assistito dal privilegio speciale di cui all’articolo 46 del Testo Unico Bancario – T.U.B. (D.Lgs. n. 385/1993) con l’assistenza del privilegio generale, di cui all'articolo 2751-bis, numero 1, del codice civile, previsto tra l’altro anche per garantire la corresponsione del TFR.

 

La richiamata disposizione del codice civile prevede che siano assistititi da privilegio generale sui beni mobili, tra gli altri, anche i crediti riguardanti le retribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato e tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, nonché il credito del lavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori ed il credito per il risarcimento del danno subito per effetto di un licenziamento inefficace, nullo o annullabile.

 

Per effetto di alcune sentenze della Corte Costituzionale, (sentenza 17-28 novembre 1983, n. 326, sentenza 22-29 maggio 2002, n. 220 e sentenza 25 marzo-6 aprile 2004, n. 113) è munito di privilegio generale (ai sensi dell'art. 2, L. n. 426 del 1975) il credito del lavoratore subordinato per danni conseguenti ad infortunio sul lavoro, del quale sia responsabile il datore di lavoro, se e nei limiti in cui il creditore non sia soddisfatto dalla percezione delle indennità previdenziali ed assistenziali obbligatorie dovute al lavoratore subordinato in dipendenza dello stesso infortunio; è altresì munito di privilegio generale sui mobili il credito del lavoratore subordinato per danni conseguenti a malattia professionale, della quale sia responsabile il datore di lavoro; analoga sorte è prevista per il credito del lavoratore subordinato per danni da demansionamento, subiti a causa dell'illegittimo comportamento del datore di lavoro.

 

Le norme in commento precisano inoltre che sia il finanziamento, sia le formalità ad esso connesse nell'intero svolgimento del rapporto sono esenti dall'imposta di registro, dall'imposta di bollo e da ogni altra imposta indiretta, nonché da ogni altro tributo o diritto.

 

Di conseguenza, con le disposizioni di cui al comma 2 dell’articolo in esame si apportano le opportune modifiche di coordinamento al successivo comma 32 della richiamata L. 190/2014, che ha istituito presso l’I.N.P.S. un Fondo di garanzia per l’accesso ai finanziamenti per i datori di lavoro con meno di 50 dipendenti che non intendano erogare immediatamente le quote di TFR maturando con risorse proprie, con dotazione iniziale pari a 100 milioni per il 2015 e a carico del bilancio dello Stato.

La garanzia del Fondo è a prima richiesta esplicita, incondizionata, irrevocabile ed onerosa; gli interventi del Fondo sono assistiti da garanzia dello Stato, come prestatore di ultima istanza.

Nella sua formulazione originaria, il comma 32 chiariva che detto Fondo di garanzia era surrogato di diritto alla banca per l’importo pagato nel privilegio di cui all’articolo 46 del D.Lgs. 385/1993; con le disposizioni in esame si prevede che il Fondo di garanzia sia surrogato nel privilegio generale di cui all’articolo 2751-bis, comma 1, lettera b) del codice civile.

 

 



[1]     Si ricorda che il vigente meccanismo di rivalutazione dei trattamenti previdenziali (recata dall’articolo articolo 34, comma 1, della legge n.448 del 1998 (su cui v. oltre § “La rivalutazione dei trattamenti pensionistici: quadro normativo” ), che il comma 2 dell’articolo 1 in esame non modifica, non prevede che i vitalizi concorrano alla determinazione dell’importo complessivo dei trattamenti previdenziali corrisposti a ciascun beneficiario (ossia dell’importo da prendere a riferimento ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di rivalutazione automatica).

      Con riguardo, più in generale, agli assegni vitalizi, si ricorda che essi spettano (oltre che ai parlamentari europei e ai consiglieri regionali) ai Parlamentari nazionali cessati dal mandato che abbiano compito 65 anni di età ed abbiano corrisposto contributi per almeno 5 anni di mandato esercitato nel Parlamento. Per ogni anno di mandato o contribuzione ulteriore al quinto anno l’età richiesta per usufruire dell’assegno è ridotta di un anno (comunque con un limite minimo di 60 anni). Il vitalizio è considerato come reddito assimilato al lavoro dipendente ai sensi dell’articolo 50 del TUIR (quindi sottoposto ad I.R.P.E.F. e tassato per il 91,75% dell’importo), e sotto il profilo contributivo, non riveste natura previdenziale (in quanto da considerarsi non come un trattamento pensionistico ma come un’indennità correlata alla cessazione della carica). L’istituto dell’assegno vitalizio è stato abolito per i Parlamentari nazionali a partire dal 2012 ed è stato previsto un sistema pensionistico.

Recentemente, alcuni interventi del legislatore hanno ricompreso i vitalizi nelle voci dei trattamenti economici e previdenziali complessivi da sottoporre a specifiche limitazioni. Tra questi, si segnalano:

·        l’articolo 2, comma 2, del D.L. 138/2011, che ha istituito, per il triennio 2011-2013 (periodo prorogato al triennio 2014-2016 dall’articolo 1, comma 590, della L. 147/2013) un contributo di solidarietà sul reddito complessivo determinato a fini I.R.P.E.F. (nel quale rientrano anche i vitalizi, in virtù del loro assoggettamento all’imposta) i sensi dell’articolo 8 del TUIR, di importo superiore a 300.000 euro lordi annui, pari al 3% della parte eccedente il predetto importo;

·        l’articolo 1, comma 236, della L. 228/2012, che ha disposto, nel caso in cui le risorse destinate ad ampliare la platea dei soggetti salvaguardati dall’applicazione della nuova normativa in materia di requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici non fossero state sufficienti a coprire gli oneri programmati, il blocco nel 2014 della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici (inclusi i vitalizi percepiti da coloro che hanno ricoperto o ricoprono cariche elettive nazionali e regionali) superiori a 6 volte il minimo I.N.P.S.;

·        l’articolo 1, commi 486-487, della L. 147/2013, che ha stabilito, per il triennio 2014-2016, un contributo di solidarietà sui trattamenti pensionistici obbligatori e sui vitalizi previsti per coloro che abbiano ricoperto funzioni pubbliche elettive (erogati dagli organi costituzionali, dalle Regioni e dalle province autonome) eccedenti determinati limiti in relazione al trattamento minimo I.N.P.S.

·        l’articolo 1, comma 489, della L. 147/2013, ai sensi del quale le amministrazioni pubbliche (inserite nell’elenco I.S.T.A.T.) non possano erogare, ai soggetti già titolari di trattamento pensionistico, ivi inclusi i vitalizi, anche conseguenti a funzioni pubbliche elettive, trattamenti economici che, sommati ai trattamenti pensionistici, eccedano il limite fissato dall’articolo 23-ter, comma 1, del D.L. 201/2011 (vale a dire, il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione), limite successivamente diminuito a 240.000 euro (ai sensi dell’articolo 13 del D.L. 66/2014).

 

[2]     L'articolo 18, comma 3, del decreto-legge n.98/2011 (che aveva previsto, per gli anni 2012-2013, limitazioni alla rivalutazione automatica sui trattamenti pensionistici di importo superiore a 5 volte il trattamento minimo INPS: v. oltre § “La rivalutazione dei trattamenti pensionistici: quadro normativo”) era stato abrogato dall’articolo 24, comma 25, del decreto-legge n.201/2011; la disposizione in esame è volta, pertanto, unicamente a confermarne l’abrogazione a fronte della sostituzione della disposizione abrogativa.

[3]     Si tratta delle forme pensionistiche che garantiscono prestazioni definite in aggiunta o ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio, comprese quelle operanti nel settore del credito, i fondi pensione e gli enti pubblici creditizi.

[4]     Merita ricordare che tale disposizione ha ipotizzato anche una diversa, eventuale modalità di perequazione, legata all'effettivo andamento dell'economia, stabilendo che "ulteriori aumenti possano essere stabiliti con legge finanziaria in relazione all'andamento dell'economia", tenendo comunque conto dell'obiettivo di stabilizzare la spesa pensionistica in rapporto al PIL.

[5]     “Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (articolo 36, comma 1, Cost.).

[6]     “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.” (articolo 38, comma 2, Cost.).

[7]     Articolo 59, comma 13, della legge n.449/1997.

[8]     Articolo 1, comma 19, della legge n.247/2007.

[9]     Secondo la Corte, la ratio della norma in questione consisteva nell’esigenza di reperire risorse necessarie a compensare l’eliminazione dell’innalzamento repentino a sessanta anni (dal 1° gennaio 2008) dell’età minima già prevista per l’accesso alla pensione di anzianità (art. 1, c. 6, L.. 243/2004 - “con lo scopo dichiarato di contribuire al finanziamento solidale degli interventi sulle pensioni di anzianità, contestualmente adottati con l’art. 1, commi 1 e 2, della medesima legge”).

[10]   Si ricorda, in proposito, che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 289 del 13 luglio 1994, avente ad oggetto la natura dell’assegno vitalizio dei parlamentari nel confrontare le posizioni dei titolari di assegni vitalizi goduti in conseguenza della cessazione di determinate cariche e quelle dei titolari di pensioni ordinarie derivanti da rapporti di impiego pubblico, ha osservato che ‘tra le due situazioni, nonostante la presenza di alcuni profili di affinità, non sussiste … una identità né di natura né di regime giuridico, dal momento che l’assegno vitalizio, a differenza della pensione ordinaria, viene a collegarsi ad una indennità di carica goduta in relazione all’esercizio di un mandato pubblico”. Sulla base di tale pronuncia, la Corte di Cassazione (sentenza 23793/2010) ha ribadito che “l’eletto ad una pubblica carica non ha certamente rapporto di lavoro con l’ente che rappresenta”, con ciò condividendo con il giudice costituzionale “il convincimento…. della diversità sostanziale e giuridica dell’istituto del vitalizio in esame rispetto ad un trattamento previdenziale o pensionistico conseguente ad un rapporto di lavoro, pubblico o privato”.

[11]   Con deliberazioni del 14 dicembre 2011 e 30 gennaio 2012 l'Ufficio di Presidenza della Camera ha disposto il superamento dell'istituto dell'assegno vitalizio - vigente fin dalla prima legislatura del Parlamento repubblicano – con l'introduzione, con decorrenza dal 1° gennaio 2012, di un trattamento pensionistico basato su un sistema di calcolo di tipo contributivo. I deputati cessati dal mandato prima del 1° gennaio 2012 continuano a percepire l’assegno vitalizio. Il nuovo sistema di calcolo contributivo si applica integralmente ai deputati eletti dopo il 1° gennaio 2012, mentre per i deputati in carica, nonché per i parlamentari già cessati dal mandato e successivamente rieletti, si applica un sistema pro-rata, determinato dalla somma della quota di assegno vitalizio definitivamente maturato alla data del 31 dicembre 2011, e di una quota corrispondente all'incremento contributivo riferito agli ulteriori anni di mandato parlamentare esercitato. Un analogo sistema è in vigore al Senato sempre a partire dal 2012.

Come per la Camera e per il Senato, l’istituto dell’assegno vitalizio è stato ormai abolito dalle regioni per tutti i consigli regionali, tra il 2011 e il 2012.

[12]   Con Ordinanza 27/2015 la Corte dei conti ha dichiarato che appaiono “rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale” dei richiamati commi 486 e 487.

[13]   Contributo di solidarietà modulato nei seguenti termini: pari al 6% per la parte eccedente l'importo annuo complessivamente superiore a 14 volte il trattamento minimo I.N.P.S. fino a all'importo lordo annuo di 20 volte il trattamento minimo; pari al 12% per la parte eccedente l'importo lordo annuo di 20 volte il trattamento minimo I.N.P.S. e fino all'importo lordo annuo di 30 volte il trattamento minimo; pari al 18% per la parte eccedente l'importo lordo annuo di 30 volte il trattamento minimo l.N.P.S..

 

[14]   Il Fondo sociale per occupazione e formazione è stato previsto dall’articolo 18, comma 1,, lettera a), del D.L. 185/2008, il quale ha disposto che il CIPE, presieduto dal Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze - nonché di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per quanto attiene le risorse destinate alle infrastrutture – provveda ad assegnare, in coerenza con gli indirizzi assunti in sede europea, una quota delle risorse nazionali disponibili del Fondo aree sottoutilizzate ad una serie di fondi. (gli altri sono il Fondo infrastrutture e il Fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale).

[15]   Come specificato nella Relazione illustrativa, la misura si rende necessaria in quanto lo stanziamento già previsto per il 2015 è stato destinato a coprire i trattamenti relativi al 2014.

[16]   L’articolo 1, comma 107, della L. 190/2014 ha previsto una dotazione del richiamato Fondo di 2,2 miliardi di euro annui per il biennio 2015-2016 e di 2 miliardi di euro a decorrere dal 2017. Al riguardo si ricorda che parte di tali risorse sono state già impegnate per la copertura finanziaria del D.Lgs. 22/2015 (primo decreto legislativo attuativo della legge delega 183/2014, relativo agli ammortizzatori sociali) e del D.Lgs. 23/2015 (secondo decreto legislativo attuativo della legge delega 183/2014, relativo al contratto a tutele crescenti):

-      l’art. 18, c. 1, del D.Lgs. 22/2015, prevede che agli oneri derivanti dagli articoli da 1 a 15, valutati in 751 milioni di euro per l'anno 2015, 1.574 milioni di euro per l'anno 2016, 1.902 milioni di euro per l'anno 2017, 1.794 milioni di euro per l'anno 2018, 1.707 milioni di euro per l'anno 2019, 1.706 milioni di euro per l'anno 2020, 1.709 milioni di euro per l'anno 2021, 1.712 milioni di euro per l'anno 2022, 1.715 milioni di euro per l'anno 2023 e 1.718 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2024, nonché agli oneri derivanti dagli articoli 16 e 17, pari a 232 milioni di euro per l'anno 2015 e a 200 milioni di euro per l'anno 2016, si provvede, quanto a 114 milioni di euro per l'anno 2015, a valere sulle risorse di cui all'articolo 15, comma 14 (ossia sulle risorse già previste per il finanziamento della tutela del sostegno al reddito dei collaboratori coordinati e continuativi di cui all'articolo 19, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185) e, per la restante parte, mediante corrispondente riduzione del fondo di cui al richiamato art. 1, c. 107, della L. 190/2014;

-      art. 6, c. 2, del D.Lgs. 23/2015, prevede che agli oneri derivanti dal comma 1, valutati in 2 milioni di euro per l’anno 2015, 7,9 milioni di euro per il 2016 e 13,8 milioni di euro per il 2017, 17,5 milioni per il 2018, 21,2 milioni per il 2019, 24,4 milioni per il 2020, 27,6 milioni per il 2021, 30,8 milioni per il 2022, 34 milioni per il 2023 e 37,2 milioni a decorrere dal 2024, si provvede mediante corrispondente riduzione  del fondo di cui al richiamato art. 1, c. 107, della L. 190/2014.

[17]   Con Nota n. 5425 del 24 novembre 2014, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha definito ulteriormente gli aspetti applicativi del citato Decreto ministeriale.

[18]   Accanto ai contratti di solidarietà difensivi, sussistono anche quelli cd. espansivi (L. 863/1994, articolo 2), che si concretizzano in un accordo tra datore di lavoro e sindacati maggiormente rappresentativi che prevede una riduzione stabile dell’orario di lavoro e della retribuzione dei dipendenti e, contestualmente, l’effettuazione di nuove assunzioni al fine di incrementare l’organico. Le nuove assunzioni devono essere a tempo indeterminato e non devono determinare una riduzione della percentuale di manodopera femminile rispetto a quella maschile, oppure di quest’ultima quando risulti inferiore.

[19]   Nel caso in cui i richiamati lavoratori vengano assunti da aziende ed aventi titolo agli sgravi degli oneri sociali di cui al testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, viene corrisposto, per il medesimo periodo ed a carico della gestione indicata, un contributo pari al 30% della retribuzione di cui allo stesso comma.

[20]   L'ammontare complessivo degli sgravi degli oneri sociali e dei contributi di cui al comma 1 non può comunque superare la somma totale di quanto le aziende sarebbero tenute a corrispondere, secondo le norme vigenti, in materia di contribuzioni previdenziali ed assistenziali.

[21]   Per questi ultimi il contributo non ha natura di retribuzione ai fini degli istituti contrattuali e di legge, ivi compresi gli obblighi contributivi previdenziali ed assistenziali. Ai soli fini pensionistici si terrà conto, per il periodo della riduzione, dell'intera retribuzione di riferimento.

[22]   Sul punto è intervenuta la Circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 28 del 14 novembre 2014 recante precisazioni e indicazioni operative sulla procedura di concessione e erogazione del contributo di solidarietà ex art. 5, commi 5 e 8, del D.L. 148/1993.

[23]   L’articolo 1, commi 12 e 13, della L. 335/1995 hanno stabilito una tripartizione del sistema di computo delle pensioni. In particolare:

-     per i lavoratori privi di anzianità contributiva alla data del 1° gennaio 1996 (c.d. neo-assunti) la pensione sarebbe stata calcolata interamente con il metodo contributivo;

-     per i lavoratori con una anzianità contributiva inferiore a 18 anni, la pensione sarebbe stata calcolata con il metodo del "pro-rata", cioè dalla somma di una quota, corrispondente alle anzianità anteriori al 31 dicembre 1995, determinata, (con riferimento alla data di decorrenza della pensione), con il metodo retributivo previgente alla predetta data e di una quota, corrispondente alle ulteriori anzianità contributive, calcolata con il sistema contributivo;

-     per i lavoratori con almeno 18 anni di anzianità, la pensione sarebbe stata liquidata interamente secondo il sistema retributivo.

Negli ultimi due casi, fu prevista l'eventualità di liquidare il trattamento esclusivamente con le regole contributive, in conseguenza dell'esercizio della facoltà di opzione prevista dal comma 23 dell'articolo 1 della L. 335, ai sensi del quale i lavoratori interessati potevano optare per l'integrale liquidazione della pensione con il metodo contributivo, se in possesso di una anzianità contributiva pari almeno a 15 anni, di cui almeno 5 nel nuovo sistema contributivo (cioè a partire dal 1° gennaio 2001, iniziando il nuovo sistema dal 1° gennaio 1996).

[24]   Secondo quanto riportato nella relazione tecnica allegata, la norma consegue l’obiettivo di recuperare nella procedura di sterilizzazione un tasso annuo di capitalizzazione (diminuendo per una pari entità il valore dello stesso coefficiente annuo di capitalizzazione nell’anno successivo) negativo, non alterando comunque l’impianto della L. 335/1995 né modificando uno dei meccanismi strutturali endogeni rilevanti ai fini della sostenibilità del sistema pensionistico.

[25]   E' importante sottolineare, coerentemente con quanto prima accennato in ordine al quadro ripartitorio pubblico in cui si muoveva il nuovo sistema, che la capitalizzazione di ciascuna contribuzione è di carattere figurativo (è stata infatti definita come capitalizzazione simulata), poiché con i versamenti via via acquisiti si continuano a pagare le pensioni a carico del sistema.

Più specificamente, il metodo contributivo presuppone che per ciascun destinatario venga istituita una sorta di conto di tipo patrimoniale, nel quale vengono accreditati anno per anno i contributi versati, che sono capitalizzati ad un tasso di rendimento pari al tasso di crescita del sistema economico; il processo è continuo, nel senso che il conto patrimoniale individuale si accresce anno per anno sia per effetto del versamento di nuovi contributi, sia per la rivalutazione di quelli già versati. Alla fine della vita lavorativa, l'interessato si vede accreditato una patrimonio finanziario (ovviamente di carattere nozionale e teorico, poiché nel frattempo i suoi contributi hanno pagato i trattamenti pensionistici correnti), che verrà distribuito sugli anni di godimento atteso della pensione. In questo punto si introduce il parametro del divisore, ovvero il numero utilizzato per trasformare il montante contributivo in rendita, che varia (principalmente, ma non soltanto) in relazione all'età di pensionamento: chi va in pensione in età più giovane ha infatti una speranza di vita maggiore, e di conseguenza, a parità di montante contributivo, gli si applicherà un divisore più elevato (cioè un minor coefficiente di trasformazione) e dall'operazione deriverà una rendita di minor ammontare rispetto a coloro che, con il medesimo montante, vanno in pensione in età più tarda.

[26]   Come accennato, il sistema di calcolo contributivo del trattamento pensionistico, introdotto dalla L. 335/1995, differisce notevolmente dal sistema retributivo: la prestazione pensionistica, infatti, non è legata alla retribuzione ma è vincolata alla contribuzione accreditata a favore del dipendente nell'arco dell'intera sua vita lavorativa. L'importo della pensione si ottiene quindi moltiplicando il montante contributivo individuale per il coefficiente di trasformazione relativo all'età del dipendente alla data di decorrenza della pensione (o alla data del decesso, nel caso di pensione indiretta). I coefficienti di trasformazione sono i coefficienti utilizzati nel metodo di calcolo contributivo per la trasformazione del montante contributivo (cioè, il capitale che il lavoratore ha accumulato nel corso degli anni di lavoro attivo) in rendita. Tali indici variano in base all’età anagrafica al momento del pensionamento e sono costruiti tenendo conto della speranza di vita media alla pensione e incorporando il tasso di crescita del PIL di lungo periodo stimato nell’1,5%. Introdotti dall’articolo 1, comma 6, della L. 335/1995, ai sensi dell’articolo 1, comma 14, della L. 247/2007, tali coefficienti sono stati rideterminati con effetto 1° gennaio 2013. Il successivo comma 15, semplificando la procedura per la rideterminazione dei coefficienti e riducendone la periodicità, ha disposto la rideterminazione triennale degli stessi con apposito decreto interministeriale. L'accesso ai trattamenti per i destinatari del sistema contributivo è condizionato alla maturazione dell'età minima di 57 anni, fatte salve alcune eccezioni. Il valore del coefficiente di trasformazione è legato all’età posseduta, aumentando al crescere della stessa. Più specificamente, si considera il limite inferiore di 57 anni (età inferiore) per arrivare ad un valore massimo del coefficiente in corrispondenza dei 70 anni (età superiore). In sostanza, quindi, un’età pensionabile più avanzata permette di conseguire una pensione più consistente.

[27]   Si segnala che la Relazione illustrativa specifica che nel novero dei suddetti trattamenti rientrano anche “tutte le quote di pensione pignorate o cedute per legge, contratto o ogni altro atto o fatto previsto dall’ordinamento”.

[28]   Come segnalato nella Relazione tecnica, a partire dal 2017, infatti, in relazione all’evoluzione dei sistemi di pagamento in euro, il differimento del pagamento al secondo giorno bancabile del mese comporterà una riduzione dell’onere per interessi.

[29]   A tale proposito la relazione illustrativa evidenzia che la suddetta norma non ha prodotto semplificazioni amministrative, in quanto mantiene l'obbligo dell'INPS di effettuare tre distinte lavorazioni ogni mese e, inoltre, penalizza molti soggetti il cui importo cumulato delle prestazioni è basso e vedono differito al 10 il pagamento della prestazione di valore più elevato.