Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento finanze | ||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento attività produttive , Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||
Titolo: | Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti. D.L. 3/2015 ' A.C. 2844 | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 267 | ||
Data: | 02/02/2015 | ||
Organi della Camera: |
VI-Finanze
X-Attività produttive, commercio e turismo |
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Camera dei deputati |
XVII LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Misure urgenti per il sistema D.L. 3/2015 – A.C. 2844 |
Schede di lettura |
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n. 267 |
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2 febbraio 2015 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Finanze ( 066760-9496 – * st_finanze@camera.it Servizio Studi – Dipartimento Attività produttive ( 066760-9574 – * st_attprod@camera.it |
Ha partecipato alla redazione del dossier: |
Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea ( 066760-2145 – * cdrue@camera.it |
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La documentazione
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File:
D15003.docx |
INDICE
§ Articolo 1 (Banche
popolari)
§ Articolo 2 (Portabilità
conti correnti)
§ Articolo 4 (Piccole
e medie imprese innovative)
§ Articolo 5 (Modifiche
alla tassazione dei redditi derivanti dai beni immateriali – patent box)
§ Articolo 6 (Prestito
indiretto per investitori istituzionali esteri)
§ Articolo 7 (Società
di servizio per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese)
L’articolo 1 reca un intervento di riforma delle banche popolari, prevedendo, tra l'altro:
§ l’introduzione di limiti dimensionali per l'adozione della forma di banca popolare, con l’obbligo di trasformazione in società per azioni delle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro;
§ la disciplina delle vicende straordinarie societarie (trasformazioni e fusioni) che si applica alle banche popolari, con lo scopo di introdurre una disciplina uniforme per tutte le banche popolari, sottraendo agli statuti la determinazione delle maggioranze previste per tali vicende societarie;
§ l’introduzione della possibilità, per tali istituti, di emettere strumenti finanziari con specifici diritti patrimoniali e di voto;
§ l’allentamento dei vincoli sulla nomina degli organi di governo societario, con l’attribuzione di maggiori poteri agli organi assembleari;
§ l’introduzione di limiti al voto capitario, consentendo agli atti costitutivi di attribuire ai soci persone giuridiche più di un voto.
A tal fine è modificato in più punti il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (TUB), che contiene la disciplina delle banche popolari (articoli da 28 a 32).
Il vigente regime delle banche popolari:
caratteristiche principali, struttura e governance
Le banche
popolari sono istituti di credito, di norma costituiti come società
cooperative, che operano sostanzialmente nel mercato nazionale, lasciando agli
Istituti di credito “classici” le opportunità di investimenti in mercati
esteri. Si distinguono dagli enti
aventi natura giuridica di S.p.A.
per alcune peculiarità, tra cui:
§ il principio
del voto capitario, posto dall’articolo 30 del TUB, in base al quale
ciascun socio, a prescindere dal numero e dal valore delle azioni detenute,
dispone di un solo voto;
§ il limite al
possesso di azioni della banca: in base al comma 2 dell’articolo 30 nessun
socio può detenere azioni in misura superiore all’1 per cento del capitale
sociale, salva la facoltà di prevedere nello statuto limiti più contenuti, comunque
non inferiori allo 0,5 per cento (come da ultimo disposto dall’articolo 23-quater del D.L. n. 179 del 2012); in
proposito si rammenta che l’articolo 2, comma 17-quaterdecies, del decreto-legge n. 225 del 2010 ha prorogato al 31
dicembre 2014 il termine per l’adempimento del dovere di alienazione per i
soggetti i quali, alla data del 31 dicembre 2009, detenevano una partecipazione
al capitale sociale superiore ai limiti di legge, qualora il superamento del
limite derivasse da operazioni di concentrazione tra banche oppure tra
investitori, fermo restando che tale partecipazione non potrà essere
incrementata. In deroga ai limiti così previsti, gli statuti possono fissare al
3 per cento la partecipazione delle fondazioni di origine bancaria, a condizione
che il superamento del limite sia dovuto ad operazioni di aggregazione;
§ la previsione di un numero minimo di soci: in base al comma 4 dell’articolo 30 il
numero minimo dei soci non può essere inferiore a duecento;
§ l’istituto
del gradimento, previsto dal comma 5 dell’articolo 30, per cui il
consiglio di amministrazione può rigettare la domanda di ammissione a socio,
motivando il rigetto con riferimento all’interesse della società, alle
prescrizioni statutarie e allo spirito della forma cooperativa. Contro il
rigetto può essere fatto ricorso al collegio dei probiviri.
L’articolo 31
del TUB attribuisce infine alla Banca
d’Italia la facoltà di autorizzare
le trasformazioni di banche popolari
in società per azioni per esigenze di rafforzamento patrimoniale ovvero a
fini di razionalizzazione del sistema.
L’articolo 29
stabilisce che le banche popolari sono costituite in forma di società cooperativa per azioni a
responsabilità limitata. Il comma 4 precisa inoltre che alle banche
popolari non si applicano le disposizioni
del decreto legislativo 14 dicembre 1947, n. 1577 (noto come legge Basevi), in materia
di cooperazione. In tal senso, il TUB ha recepito l’orientamento
giurisprudenziale – già emerso in precedenza – che escludeva la possibilità di
ricondurre le banche popolari nell’ambito della disciplina generale sulla
cooperazione (si veda ad esempio la sentenza della Corte di cassazione 26
novembre 1985, n. 5887).
In ciò le banche popolari si distinguono dalle banche di credito cooperativo che, anch’esse
costituite, ai sensi dell’articolo 33 del TUB, in forma di società cooperativa
per azioni a responsabilità limitata, hanno più intensamente conservato il carattere di mutualità derivante dalla
loro origine storica (le banche di credito cooperativo sono succedute alle
casse rurali e artigiane) e, pertanto, sono tenute ad adottare nello statuto le
clausole che incidono sulla possibilità di distribuire utili e riserve ai soci
e di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci
stessi, nonché ad osservare i criteri di operatività prevalente con i soci,
definiti dalla Banca d’Italia ai sensi dell’articolo 35 del TUB.
Il D.Lgs. n. 37 del 2004 ha
precisato che, agli effetti fiscali, la
qualificazione di cooperativa a mutualità prevalente ricorre quando i
relativi statuti contengano le clausole mutualistiche stabilite dall’articolo
2514 codice civile (limiti alla distribuzione di utili e alla remunerazione
degli strumenti finanziari, divieto di distribuire le riserve) e siano
rispettati i citati criteri di operatività prevalente.
Il D.Lgs. n. 310 del 2004 ha
poi reso applicabile alle banche
popolari e alle banche di credito
cooperativo la nuova disciplina societaria introdotta decreti legislativi nn. 5 e 6 del 2003, purché non incompatibile con aspetti
sostanziali della relativa disciplina speciale. In particolare, è stata
dichiarata inapplicabile alle banche popolari e alle banche di credito
cooperativo una serie di disposizioni del codice civile che risultavano
confliggenti con la disciplina speciale per tali enti recata dal testo unico
bancario (ad esempio in materia di definizione dei caratteri di mutualità).
Si è inoltre previsto che alle sole banche popolari non si applichino le disposizioni del
codice civile che disciplinano le caratteristiche della mutualità prevalente
(articoli 2512 e 2514 del codice civile) nonché in materia di trasferimento
delle quote o azioni (articolo 2530, primo comma).
Banche popolari - statistiche al 30 giugno 2014*
Istituti di Credito (1) |
70 |
Totale
Attivo (miliardi di EURO) |
450 |
Sportelli |
9.248 |
Provvista
(miliardi di EURO) |
425 |
Soci (2) |
1.340.000 |
Impieghi
(miliardi EURO) |
385 |
Clienti |
12.300.000 |
Quote di
mercato % |
|
Dipendenti |
81.700 |
Provvista |
25,3 |
Impieghi |
24,6 |
||
Sportelli |
29,3 |
(1) Comprese le S.p.A. controllate
(2) Soci di Banche Popolari Cooperative
Fonte: http://www.assopopolari.it/it/pagina.php?ramo=banchePopolari.htm&div=statistiche
La riforma della governance
Si rammenta che l’articolo 23-quater,del decreto legge n. 179 del 2012 ha
modificato numerose disposizioni concernenti la governance
e la struttura delle banche popolari e delle società cooperative quotate, al
fine di affidare all’autonomia statutaria la determinazione delle quote di
capitale rilevanti, per l’esercizio di specifici diritti azionari (relativi
all’ordine del giorno in assemblea e all’elezione con voto di lista del CdA).
Accanto alle già citate modifiche al limite di
possesso azionario (elevato all’1 per cento), il provvedimento ha anche
consentito allo statuto delle Banche Popolari di subordinare l’ammissione a
socio, oltre che a requisiti soggettivi, al possesso di un numero minimo di azioni, il cui venir meno comporta
la decadenza dalle qualità assunte, ciò al fine di favorire la
patrimonializzazione della società. E’ stata affidata agli statuti delle banche
popolari la determinazione del numero
massimo di deleghe che possono essere conferite ad un socio, fermo restando
il limite di 10 deleghe previsto dal codice civile.
In materia di integrazione dell'ordine del giorno dell'assemblea e di presentazione di nuove
proposte di delibera delle società quotate, i soci che rappresentino almeno un
quarantesimo del capitale sociale possono chiedere, entro dieci giorni dalla
pubblicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea (ovvero entro cinque
giorni nei casi specificamente previsti dalla legge), l'integrazione dell'elenco delle materie da trattare. Per le società cooperative quotate, la misura
rilevante del capitale è determinata dagli statuti, anche in deroga alle
disposizioni (articolo 135 del TUF) che impongono che le percentuali di
capitale siano rapportate al numero complessivo dei soci.
In tema di elezione
e composizione del Cda, lo statuto dovrà prevedere sia che i componenti del
consiglio di amministrazione vengano eletti sulla base di liste di candidati,
sia la quota minima di partecipazione richiesta per la loro presentazione.
Queste non devono superare un quarantesimo del capitale sociale o la diversa
misura stabilita dalla Consob. Ove la società abbia
forma di cooperativa, la misura è stabilita dagli statuti anche in deroga alle
richiamate disposizioni del TUF.
Le norme in esame: i limiti all’attivo delle
banche popolari
Il comma 1, lettera b), numero 1), modifica l'articolo 29 del TUB, nel senso di porre degli specifici limiti quantitativi, riferiti dalle norme all’attivo, per consentire l’applicazione agli istituti della speciale normativa delle banche popolari.
A tal fine, l’attivo di una banca popolare non può superare gli 8 miliardi di euro. Se la banca è capogruppo di un gruppo bancario, il limite è determinato a livello consolidato (nuovo comma 2-bis).
In caso di superamento di tale limite, l'organo di amministrazione convoca l'assemblea. Se entro un anno l'attivo non viene ridotto al di sotto della soglia e non viene deliberata la trasformazione in società per azioni o la liquidazione, la Banca d'Italia può:
§ adottare il divieto di intraprendere nuove operazioni ai sensi dell'articolo 78 TUB (che prevede tale divieto in caso di violazione di disposizioni legislative, amministrative o statutarie che ne regolano l'attività, per irregolarità di gestione ovvero, nel caso di succursali di banche extracomunitarie, per insufficienza di fondi);
§ adottare i provvedimenti in materia di amministrazione straordinaria previsti nel titolo IV, capo I, sezione I del TUB: in particolare, il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta della Banca d'Italia, può disporre con decreto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo delle banche quando risultino gravi irregolarità nell'amministrazione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l'attività della banca; siano previste gravi perdite del patrimonio; lo scioglimento sia richiesto con istanza motivata dagli organi amministrativi ovvero dall'assemblea straordinaria;
§ proporre alla Banca centrale europea la revoca dell'autorizzazione all'attività bancaria e al Ministro dell'economia e delle finanze la liquidazione coatta amministrativa.
Sono confermati i precedenti poteri di intervento e sanzionatori attribuiti alla Banca d'Italia (nuovo comma 2-ter), la quale, ai sensi del nuovo comma 2-quater, detta le disposizioni di attuazione delle nuove norme.
Si ricorda che nella segnalazione al
Parlamento del 4 luglio 2014, l'Autorità garante della concorrenza e del
mercato, ha suggerito alcune modifiche
alla disciplina delle banche popolari attraverso:
§ l’eliminazione
del voto capitario, dei limiti alla partecipazione azionaria,
del numero minimo di soci e della clausola di gradimento;
§ l’eliminazione
dell’eccezione, rispetto alle disposizioni generali, applicata alle
banche popolari in materia di deleghe di
voto.
Ciò al fine
di favorire la piena contendibilità degli assetti proprietari e il ricambio
della compagine sociale (e quindi
della governance),
per il quale occorre rimuovere i vincoli alla circolazione delle azioni e
superare gli ostacoli alla partecipazione alla vita societaria.
In tal senso si era espressa anche la Banca d’Italia nel corso di alcune audizioni presso le
Camere in occasione dell’esame di proposte di legge di riforma delle banche
popolari nelle passate legislature, suggerendo – fra l’altro:
§ l’ampliamento dei limiti partecipativi individuali al
capitale;
§ un ruolo più incisivo degli investitori istituzionali,
prevedendo per essi limiti di partecipazione più ampi di quelli ordinari e
diritti speciali di nomina di propri rappresentanti negli organi di
amministrazione e controllo;
§ l’estensione delle possibilità di delega del voto da
parte dei soci;
§ la revisione della disciplina delle trasformazioni;
§ l’attenuazione dei vincoli alla cessione delle azioni
e all’ammissione a socio. In taluni casi sono previste differenziazioni nella
disciplina tra popolari quotate e non quotate e il riconoscimento di margini di
autonomia statutaria.
In un recente
intervento del Vice
Direttore Generale della Banca d’Italia, si osserva che per una banca popolare
quotata, a proprietà diffusa e scala operativa non più solo locale, la rigida
applicazione di alcuni tratti del modello cooperativo può affievolire gli
incentivi al controllo della base sociale, rendere il management autoreferenziale, causare ingerenze nelle scelte
aziendali da parte di minoranze organizzate, ostacolare l’ingresso di nuovo
capitale. I limiti stringenti al possesso azionario, il voto capitario e i
vincoli alla rappresentanza in assemblea sono considerati fattori che limitano
l’operare dei meccanismi di governance tipici delle società quotate: dalla concorrenza
sul mercato dei capitali all’efficace supervisione del board sul management, al ruolo
dell’assemblea attraverso la presenza – anche per delega – di investitori
qualificati.
Analoghe valutazioni sono contenute nell’Analisi
d’impatto sulle Disposizioni di vigilanza in materia di
organizzazione e governo societario delle banche della Banca d’Italia (aprile
2014) e nelle Considerazioni
finali del Governatore della Banca d’Italia del 2013.
Nomina degli organi di amministrazione e
controllo
Il comma 1, lettera b), numero 2), abroga il comma 3 dell’articolo 29 del TUB; in tal modo la scelta dei membri degli organi di amministrazione e controllo viene sottratta al monopolio dei competenti organi sociali.
Si consente quindi alle banche popolari la possibilità di riservare specifici diritti patrimoniali e amministrativi ai soci in possesso di strumenti finanziari, con particolare riferimento all'esercizio di un numero di voti in assemblea maggiore rispetto a quello previsto per gli altri soci, fino ad un massimo di un terzo dei voti esercitabili in assemblea, e al diritto di nominare fino ad un terzo dei componenti dell'organo di amministrazione e dell'organo di controllo.
Trasformazioni e fusioni
Il comma 1, lettera c), riscrive l’articolo
31 del TUB in materia di trasformazioni in
società per azioni e fusioni.
In tale ambito si elimina la previsione del previgente comma 1, secondo cui le predette trasformazioni o fusioni sono autorizzate dalla Banca d’Italia in tre soli casi: nell’interesse dei creditori, per esigenze di rafforzamento patrimoniale ovvero a fini di razionalizzazione.
In base alla normativa vigente la vigilanza su tali vicende societarie è affidata alla Banca d’Italia, che autorizza le trasformazioni di banche popolari in società per azioni, ovvero le fusioni alle quali prendono parte banche popolari e da cui risultino società per azioni. Il rilascio di tale autorizzazione è effettuato valutando l’interesse dei creditori, ovvero per esigenze di rafforzamento patrimoniale o di razionalizzazione del sistema.
Si rimette allo statuto la determinazione delle maggioranze assembleari da assumere, secondo le maggioranze previste per le modificazioni statutarie; quando, in relazione all'oggetto delle modificazioni, gli statuti prevedano maggioranze differenziate, si applica quella meno elevata.
Si fa salvo il diritto di recesso dei soci: in tal caso, non si può dare corso al procedimento per l'iscrizione nel registro delle imprese, se la Banca d'Italia non ha accertato che le modificazioni degli statuti delle banche non contrastino con una sana e prudente gestione (art. 56, comma 2, TUB), né si può dare corso all'iscrizione nel medesimo registro del progetto di fusione o di scissione e della deliberazione assembleare che abbia apportato modifiche al relativo progetto se non vi sia l'autorizzazione della Banca centrale. I privilegi e le garanzie esistenti conservano la loro validità e il loro grado, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione (art. 57, TUB).
Le norme in esame mirano ad introdurre una disciplina uniforme per tutte le banche popolari, sottraendo agli statuti la determinazione delle maggioranze previste per vicende societarie straordinarie.
Di conseguenza, il nuovo comma 1 dell’articolo 31 prevede quorum costitutivi e deliberativi specifici che consentono, in seconda convocazione di assemblea, di deliberare le trasformazioni di banche popolari in società per azioni, o le fusioni a cui prendano parte banche popolari e da cui risultino società per azioni, con la maggioranza di due terzi dei voti espressi, qualunque sia il numero dei soci intervenuti all'assemblea (mentre in prima convocazione è necessario che sia rappresentato almeno un decimo dei soci).
Ai sensi del nuovo comma 2 dell’articolo 31, è confermato il diritto di recesso, ma si applica la disciplina introdotta dal nuovo comma 2-ter dell'articolo 28, che – come si vedrà in seguito - attribuisce alla Banca d’Italia il potere di limitare il diritto al rimborso delle azioni delle banche popolari nel caso di recesso, qualora questo sia necessario ad assicurare la un’adeguata patrimonializzazione della banca.
Ai sensi del nuovo comma 3, resta confermata l’applicazione degli articoli 56 e 57 del TUB, sopra illustrati, relativi all’iscrizione nel registro delle imprese e alla conservazione delle garanzie.
Diritto di recesso a seguito di
trasformazione societaria
In relazione alle modifiche alla struttura societaria ed alla governance previste dal decreto in esame, il comma 1, lettera a), modifica l'articolo 28 del TUB, aggiungendovi un nuovo comma 2-ter.
Tale disposizione attribuisce alla Banca d’Italia il potere di limitare il diritto al rimborso delle azioni delle banche popolari nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione, morte o esclusione del socio, ed anche in deroga a norme di legge, qualora questo sia necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria (cd. Core Tier 1) della banca.
Agli stessi fini, la Banca d'Italia può limitare il diritto al rimborso degli altri strumenti di capitale emessi.
Tale norma riproduce il contenuto di una
disposizione inserita nello schema di decreto legislativo di recepimento della
direttiva 2013/36/UE, cosiddetta CRD IV, consultabile nel sito internet del
Ministero dell'economia e delle finanze.
Si ricorda che la legge
7 ottobre 2014, n. 154 (Legge di delegazione europea 2013 –secondo
semestre) include all’articolo 3 i principi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva CRD IV. La
direttiva 2013/36/UE e il connesso regolamento 2013/575/UE (c.d. “CRR”),
direttamente applicabile, definiscono un assetto organico di regolamentazione e
controllo sulle banche e sulle imprese di investimento accogliendo i contenuti
del terzo accordo di Basilea sul capitale. Essi mirano, nel complesso, al
rafforzamento della disciplina prudenziale e all’accrescimento del livello di
armonizzazione delle regole applicabili agli intermediari che operano nel
mercato unico europeo. La delega legislativa sostanzialmente aderisce alla
direttiva 2013/36/UE salvaguardando la ripartizione di competenze fra le
Autorità di vigilanza interessate, l’ampiezza del ricorso alle fonti secondarie
che caratterizza l’impianto normativo in materia di intermediari finanziari e
il coordinamento con il complesso delle norme di diritto societario vigenti.
La previsione si inserisce nel quadro delle misure che hanno introdotto il principio del cosiddetto bail in, in base al quale, in caso di crisi della banca, la stabilità della stessa debba essere in primo luogo salvaguardata ricorrendo alle risorse patrimoniali della banca stessa, nonché a carico dei suoi soci.
Applicazione della disciplina civilistica
alle banche popolari
Le norme in esame intervengono sull’attuale assetto normativo delle banche popolari e delle banche cooperative, con una modifica che intende sostanzialmente differenziare la disciplina applicabile all’uno ed all’altro tipo di istituto.
Il previgente articolo 150-bis del TUB, al comma 1, enumera le disposizioni del codice civile che non si applicano né alle banche popolari, né alle banche cooperative.
Per effetto delle disposizioni in commento (comma 1, lettera d)) si modifica anzitutto il primo comma del richiamato articolo 150-bis, al fine di espungere il riferimento presente alle banche popolari.
In
tal modo, il legislatore delinea due
diversi regimi indipendenti, l’uno (di cui al comma 1 dell’articolo 150-bis) che trova applicazione per le
banche cooperative e l’altro (comma 2 del medesimo articolo 150-bis) destinato ad applicarsi alle banche
popolari.
Si ricorda che a seguito della riforma della disciplina delle società di capitali e società
cooperative operata con il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, il
successivo decreto legislativo 28
dicembre 2004, n. 310 ha specificato, con l’introduzione di un apposito articolo 150-bis nel testo unico bancario, le disposizioni del codice civile che
non trovano applicazione per le diverse categorie di banche cooperative.
Il regime vigente
Attualmente, ai sensi dell’ articolo 150-bis non
si applicano né alle banche popolari
né alle banche di credito cooperativo
i seguenti articoli del codice civile (in neretto
sono segnalati gli articoli e i commi che diventano applicabili alle banche
popolari ai sensi delle modifiche introdotte dall’articolo in commento):
1) disposizioni riguardanti la definizione dei caratteri
di mutualità:
-
2513 (criteri per
la definizione della prevalente mutualità);
-
2514, secondo
comma (adozione delle clausole di mutualità con le maggioranze previste per
l’assemblea straordinaria);
-
2545-octies (perdita del carattere di
mutualità prevalente);
2) disposizioni riguardanti i nuovi strumenti finanziari
con diritti particolari, introdotti dalla riforma del diritto societario:
-
2346, sesto comma (emissione
di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti
amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti a
seguito dell'apporto anche di opera o servizi da parte dei soci o di terzi);
-
2349, secondo
comma (assegnazione di strumenti finanziari, diversi dalle azioni ai prestatori
di lavoro dipendenti della società o di società controllate);
-
2526 (emissione di
strumenti finanziari con diritti particolari);
-
2527, secondo e
terzo comma (divieto di concorrenza e categorie speciali di soci);
-
2540, secondo
comma (obbligo di assemblee separate per cooperative di grandi dimensioni);
-
2541 (assemblee
speciali dei possessori degli strumenti finanziari);
-
2542, primo e quarto comma (nomina degli
amministratori da parte dell’assemblea e loro scelta fra le categorie dei soci);
-
2544 secondo comma, primo periodo, e terzo comma (poteri dei
possessori di strumenti finanziari con diritti particolari);
3) disposizioni comprese nella disciplina speciale del
testo unico bancario o con essa incompatibili:
-
2519, secondo
comma (applicazione delle norme previste per le società a responsabilità
limitata in cooperative di piccole dimensioni);
-
2522 (numero dei
soci);
-
2525 primo,
secondo, terzo e quarto comma (valore delle azioni o quote e limiti di possesso
da parte dei singoli soci);
-
2528, terzo e
quarto comma (procedura per il gradimento e ricorso all’assemblea);
-
2530 secondo,
terzo, quarto e quinto comma (procedura per l’autorizzazione al trasferimento
di partecipazioni e ricorso al tribunale);
-
2538, secondo
comma, secondo periodo, terzo e
quarto comma (deroghe al voto capitario);
-
2543, primo,
secondo e terzo comma (disposizioni
sulla nomina dell’organo di controllo);
-
2545-bis (accesso dei soci agli atti
dell’organo di amministrazione);
-
2545-quater (destinazione degli utili a
riserva e ai fondi mutualistici);
-
2545-quinquies (limiti alla ripartizione
degli utili e delle riserve);
-
2545-decies (trasformazione in società
lucrativa);
-
2545-undecies, terzo comma (improcedibilità
della trasformazione in mancanza di revisione dell’autorità di vigilanza);
-
2545-terdecies (liquidazione per insolvenza)
-
2545-quinquiesdecies (denunzia al tribunale);
-
2545-sexiesdecies (gestione commissariale);
-
2545-septiesdecies (scioglimento per atto
dell’autorità);
-
2545-octiesdecies (sostituzione dei
liquidatori).
L'atto costitutivo delle banche popolari e delle
banche di credito cooperativo può prevedere, determinandone i criteri, la
ripartizione di ristorni ai soci
secondo quanto previsto dall'articolo 2545-sexies
del codice civile.
Ai sensi del vigente comma 2 dell’articolo 150-bis, alle banche popolari non si applicano inoltre i seguenti articoli del
codice civile:
-
2512
(caratteristiche della mutualità prevalente e loro iscrizione in apposito
albo);
-
2514 (requisiti
statutari riferiti alla mutualità prevalente);
-
2530, primo comma
(autorizzazione degli amministratori per il trasferimento delle quote o
azioni).
Gli effetti del decreto in commento
Le norme in esame modificano il comma 2 dell’articolo 150-bis al fine di introdurre una disciplina specifica per le banche popolari.
Si segnala preliminarmente che le modifiche non investono le banche di credito cooperativo, per cui resta ferma la disciplina vigente.
In primo luogo diventano applicabili alle banche popolari le seguenti norme del codice civile (viene dunque meno la non applicabilità a tale categoria di istituti):
- 2346, sesto comma, vale a dire, la possibilità di emettere strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti;
- 2526, in materia di soci finanziatori e altri sottoscrittori di titoli di debito, che demanda all’atto costitutivo la possibilità di emettere strumenti finanziari, secondo la disciplina prevista per le società per azioni e di stabilirne i diritti patrimoniali o amministrativi e le eventuali condizioni cui è sottoposto il loro trasferimento. I privilegi previsti nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale non si estendono alle riserve indivisibili.
I predetti
strumenti finanziari si distinguono in strumenti
partecipativi, dotati di diritti amministrativi e/o patrimoniali, e, in
ogni caso, rappresentativi di una partecipazione sociale, e strumenti meramente finanziari o di debito,
che non attribuiscono la qualità di socio e, anche quando sono correlati da
diritti amministrativi, non consentono
il diritto di voto in assemblea.
Ai possessori di strumenti finanziari non può, in ogni caso, essere attribuito più di un terzo dei voti spettanti all'insieme dei soci presenti ovvero rappresentati in ciascuna assemblea generale. Il recesso dei possessori di strumenti finanziari forniti del diritto di voto è regolato dalla disciplina ordinaria delle società per azioni (articoli 2437 e seguenti).
La cooperativa cui si applicano le norme sulla società a responsabilità limitata può offrire in sottoscrizione strumenti privi di diritti di amministrazione solo a investitori qualificati. Ai sensi dell'art. 11, comma 3-bis, del D.L. n. 145 del 2013, tale norma si interpreta nel senso che il limite all'emissione di strumenti finanziari si riferisce esclusivamente ai titoli di debito;
- 2538, terzo comma, in materia di deroghe al voto capitario, che consente all'atto costitutivo di attribuire ai soci cooperatori persone giuridiche più voti, ma non oltre cinque, in relazione all'ammontare della quota oppure al numero dei loro membri;
- 2541, che disciplina le assemblee speciali dei possessori degli strumenti finanziari privi del diritto di voto nell'assemblea generale;
- 2542, primo comma, che attribuisce la nomina degli amministratori all'assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori che sono nominati nell'atto costitutivo;
- 2543, terzo comma, che consente ai possessori degli strumenti finanziari dotati di diritti di amministrazione di eleggere, se lo statuto lo prevede, fino ad un terzo dei componenti dell'organo di controllo;
- 2544, secondo comma, primo periodo e terzo comma, che in caso di sistema dualistico, limita ad un terzo del consiglio di sorveglianza e del consiglio di gestione il numero dei componenti che possono essere eletti dai possessori di strumenti finanziari e, in caso di sistema monistico, stabilisce che agli amministratori eletti dai possessori di strumenti finanziari, in misura comunque non superiore ad un terzo, non possono essere attribuite deleghe operative né gli stessi possono fare parte del comitato esecutivo.
Accanto alle norme inapplicabili secondo il precedente regime, si dispone la non applicazione alle banche popolari dell’articolo 2542, secondo comma, del codice civile.
Di conseguenza, la maggioranza degli amministratori non dovrà più essere scelta tra i soci cooperatori ovvero tra le persone indicate dai soci cooperatori persone giuridiche.
Numero massimo di deleghe
E’ innalzato da 10 a 20 il numero massimo di deleghe che possono essere conferite ad un socio; in ogni caso, tale numero – la cui determinazione resta d agli statuti delle banche popolari - non può essere inferiore a 10 (nuovo comma 2-bis dell’articolo 150-bis TUB).
Si rammenta che la disciplina delle deleghe di voto costituisce una delle modifiche
più rilevanti recentemente operate al D.Lgs. n. 58
del 1998 (Testo Unico Finanziario – TUF), per effetto del D.Lgs.
n. 27 del 2010 e poi del D.L. n. 91 del 2014. Nelle valutazioni della dottrina
essa viene generalmente inserita fra gli strumenti
a tutela delle minoranze, in quanto finalizzata ad un più intenso
coinvolgimento dei piccoli azionisti nelle attività della società. Va peraltro
ricordato che, in base al comma 4 dell’articolo 137 del TUF, le disposizioni in
materia di deleghe di voto non si
applicano alle società cooperative. Nelle previsioni dell’articolo 136 del
TUF, la delega presuppone una “sollecitazione”, vale a dire la richiesta di
conferimento di deleghe rivolta alla generalità degli azionisti. La
sollecitazione è effettuata dall’intermediario, su incarico del committente,
mediante la diffusione di un prospetto e di un modulo di delega. La
sollecitazione è infatti riservata alle imprese di investimento, alle banche, alle
società di gestione del risparmio, alle SICAV e alle società di capitali aventi
per oggetto esclusivo l’attività di sollecitazione. Particolari disposizioni
sono contenute, all’articolo 141, per quanto concerne la raccolta di deleghe
effettuata da associazioni di azionisti.
La disposizione in commento costituisce una deroga espressa all'articolo 2539, primo comma, del codice civile, che per le cooperative disciplinate dalle norme sulla società per azioni fissa tale limite massimo a 10 deleghe.
Disciplina transitoria
Ai sensi del comma 2 dell’articolo 1, alle banche popolari è concesso un termine di diciotto mesi per adeguarsi alla nuova disciplina sui limiti all’attivo introdotta dall’articolo in commento, che decorre dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di attuazione emanate dalla Banca d'Italia.
Le altre disposizioni introdotte dall’articolo in commento, in assenza di specifiche prescrizioni sull’entrata in vigore, son immediatamente applicabili.
Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 16 ottobre 2014 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura di infrazione n. 2014/0142) con il quale contesta il mancato recepimento della direttiva 2013/36/UE sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento.
Si segnala, peraltro, che la direttiva in questione, il cui termine di recepimento è scaduto il 31 dicembre 2013, figura nell’allegato B della legge n. 154/2014 (Legge di delegazione europea 2013 - secondo semestre), mentre i principi e criteri direttivi per il recepimento sono contenuti all’articolo 3 della medesima legge.
Articolo 2
(Portabilità conti correnti)
L’articolo
2 reca disposizioni in materia di portabilità
dei conti di pagamento.
In particolare, gli istituti bancari e i
prestatori di servizi di pagamento, nel caso di trasferimento di un conto di
pagamento, devono dare corso al
trasferimento senza oneri o spese di portabilità a carico del
cliente, entro i termini predefiniti
dalla Direttiva n. 2014/92/UE.
Il provvedimento in esame conseguentemente
recepisce nell’ordinamento la disciplina procedurale del trasferimento dei
conti di pagamento contenuta dalla citata Direttiva 2014/92/UE.
In caso di mancato rispetto dei termini, si prevede che il cliente sia risarcito per il ritardo, in misura proporzionale al ritardo stesso
e alla disponibilità esistente sul conto di pagamento al momento della
richiesta di trasferimento.
Sono infine introdotti ulteriori adempimenti
di trasparenza informativa da
fornire alla clientela.
La norma in esame recepisce quanto richiesto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) – nelle proposte di riforma concorrenziale al Parlamento e al Governo, ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza per l’anno 2014, pubblicata nel luglio 2014.
L’Antitrust, per quanto riguarda l’adozione di strumenti che favoriscano la spinta competitiva innescata dai consumatori di servizi bancari, ha sottolineato che essi devono mirare ad aumentare il tasso di mobilità della clientela, che risulta ancora oggi di modesto rilievo. A parere dell’Autorità sussistono, infatti, problemi di trasparenza e completezza informativa, permangono vincoli non necessari tra servizi bancari e si registrano tempistiche ancora troppo lunghe in caso di trasferimento di alcuni servizi.
Relativamente al grado di trasparenza delle informazioni a favore dei clienti bancari, si osserva che, nonostante l’introduzione di indicatori sintetici di costo, la scarsa mobilità registrata e la grande dispersione dei prezzi segnalano il permanere di ostacoli informativi per i consumatori e difficoltà alla mobilità; si reputa necessario fornire ai consumatori adeguati strumenti di comparazione tra il costo del proprio conto e quelli offerti dalle altre banche mediante lo sviluppo di motori di ricerca indipendenti dalle banche (e in concorrenza tra loro). A tal fine appare all’Antitrust necessario integrare le attuali norme contenute nel TUB – titolo VI, capo 1 (decreto legislativo 1° settembre 1993, n.385) in materia di trasparenza dei rapporti contrattuali delle condizioni con i clienti, rendendo obbligatorio il termine entro cui il processo di trasferimento di un conto corrente deve essere terminato. Tale termine non dovrebbe superare i 15 giorni lavorativi, come previsto dalla proposta di direttiva comunitaria sulla comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del conto di pagamento e sull’accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base (COM(2013)266) (adesso direttiva 2014/92/UE). A ciò andrebbe associata una disposizione che obblighi la banca, laddove il trasferimento non venisse concluso entro tale termine per responsabilità della stessa banca, a risarcire il cliente in una misura proporzionata al ritardo e alla disponibilità sul conto corrente. Il trasferimento del conto corrente deve garantire altresì il trasferimento dei servizi e strumenti di incasso/pagamento ad esso associati, senza oneri a carico del correntista. Vanno infine introdotti strumenti che favoriscano lo sviluppo di motori di ricerca indipendenti dalle banche (e in concorrenza tra loro) che consentano un più agevole confronto tra i servizi bancari da parte dei consumatori.
Occorre ricordare
preliminarmente che l’articolo 1, comma
1, lettera l) del D.Lgs. n. 11 del 2010
definisce “conto di pagamento” un conto
intrattenuto presso un prestatore di servizi di pagamento da uno o più utilizzatori di servizi di pagamento
per l’esecuzione di operazioni di
pagamento.
La lettera b) del medesimo comma 1 reca l’elenco servizi di pagamento, che consistono nelle seguenti attività:
§ servizi che permettono di depositare il contante su un conto di pagamento nonché tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento;
§ servizi che permettono prelievi in contante da un conto di pagamento nonché tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento;
§ esecuzione di ordini di pagamento, incluso il trasferimento di fondi, su un conto di pagamento presso il prestatore di servizi di pagamento dell’utilizzatore o presso un altro prestatore di servizi di pagamento:
§ esecuzione di addebiti diretti, inclusi addebiti diretti una tantum;
§ esecuzione di operazioni di pagamento mediante carte di pagamento o dispositivi analoghi;
§ esecuzione di bonifici, inclusi ordini permanenti;
§ esecuzione di operazioni di pagamento quando i fondi rientrano in una linea di credito accordata ad un utilizzatore di servizi di pagamento:
§ esecuzione di addebiti diretti, inclusi addebiti diretti una tantum;
§ esecuzione di operazioni di pagamento mediante carte di pagamento o dispositivi analoghi;
§ esecuzione di bonifici, inclusi ordini permanenti;
§ emissione e/o acquisizione di strumenti di pagamento;
§ rimessa di denaro;
§ esecuzione di operazioni di pagamento ove il consenso del pagatore ad eseguire l’operazione di pagamento sia dato mediante un dispositivo di telecomunicazione, digitale o informatico e il pagamento sia effettuato all’operatore del sistema o della rete di telecomunicazioni o digitale o informatica che agisce esclusivamente come intermediario tra l’utilizzatore di servizi di pagamento e il fornitore di beni e servizi.
Si tratta in sostanza di attività riferibili al tradizionale servizio di conto corrente bancario. Il riferimento ai conti di pagamento consente di applicare tali norme anche ai prestatori di servizi di pagamento diversi dagli enti creditizi.
Con il citato decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11 è stata recepita nell’ordinamento interno la direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno. Si tratta della cd direttiva PSD (Payment Services Directive), la cui delega al recepimento è recata dalla legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008). In ambito UE è stata infatti istituita la SEPA, ovvero la Single Euro Payments Area (Area Unica dei Pagamenti in Euro), l'area in cui i cittadini, le imprese, le pubbliche amministrazioni e gli altri operatori economici possono effettuare e ricevere pagamenti in euro con strumenti diversi dal contante, sia all'interno dei confini nazionali che fra i paesi che ne fanno parte, secondo condizioni di base, diritti ed obblighi uniformi.
Il menzionato D.Lgs. n. 11/2010 (successivamente modificato nel tempo), apportando sostanziali modifiche al Testo Unico Bancario – TUB, ha introdotto nell’ordinamento italiano la figura degli Istituti di pagamento, intermediari che insieme a banche e Istituti di moneta elettronica effettuano servizi di pagamento e la cui disciplina è contenuta nei Titoli V-bis e Titolo V-ter del TUB.
Più in dettaglio, il comma 1 dell’articolo 2 dispone che gli istituti bancari e i prestatori di servizi di pagamento, in caso di trasferimento di un conto di pagamento, adottano e concludono la procedura di cui all'articolo 10, paragrafi da 2 a 6, della direttiva n. 2014/92/UE, entro i termini ivi previsti, senza oneri e spese di portabilità a carico del cliente.
In estrema sintesi, le disposizioni europee fissano una tempistica chiaramente scandita per il completamento della procedura di trasferimento, la cui efficacia sostanzialmente dipende dalle date indicate dal consumatore nell’autorizzazione fornita ai prestatori di servizi di pagamento.
In particolare, detta autorizzazione precisa la data a partire dalla quale gli ordini permanenti di bonifico e gli addebiti diretti devono essere eseguiti dal conto di pagamento aperto o detenuto presso il prestatore di servizi di pagamento ricevente; tale data deve essere indicata ad almeno sei giorni lavorativi dal momento in cui il prestatore di servizi di pagamento “ricevente” ottiene i documenti necessari all’operazione di portabilità da parte del prestatore “trasferente” (paragrafo 2).
Entro due giorni lavorativi dalla ricezione dell’autorizzazione del consumatore, il ricevente è tenuto ad attivarsi per chiedere al trasferente delle specifiche informazioni e per chiedere il compimento di specifiche operazioni, tra cui la chiusura del conto di provenienza (paragrafo 3).
Entro cinque giorni lavorativi dalla richiesta del prestatore di servizi “ricevente”, il prestatore “trasferente” deve fornire le opportune informazioni; adempie alle richieste del soggetto “trasferente” con decorrenza dalla data indicata dal consumatore nell’autorizzazione (paragrafo 4).
Entro cinque giorni lavorativi dalla ricezione delle informazioni da parte del trasferente, il ricevente esegue le operazioni necessarie ad assicurare l’operatività del nuovo conto, sempre a decorrere dalla data indicata dal consumatore.
Si rammenta che la Direttiva 2014/92/UE disciplina la comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, il trasferimento del conto di pagamento e l’accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base.
Essa in particolare fornisce la disciplina relativa alla trasparenza e alla comparabilità delle spese addebitate ai consumatori per i conti di pagamento detenuti nell’Unione, nonché la disciplina del trasferimento del conto di pagamento all’interno di uno Stato membro e le norme per agevolare l’apertura di un conto di pagamento transfrontaliero da parte dei consumatori. Inoltre viene fissato il quadro di riferimento di norme e condizioni in base al quale gli Stati membri devono garantire nell’Unione il diritto dei consumatori di aprire e utilizzare un conto di pagamento con caratteristiche di base.
Si segnala al riguardo che l’articolo in esame provvede ad un
recepimento parziale della direttiva in commento, il cui termine per il recepimento a livello nazionale è fissato per il 18 settembre 2016.
In merito alla disciplina dei trasferimenti di conti di pagamento, scopo della direttiva è evitare ai consumatori che intendono trasferire i propri conti di pagamento di incorrere in eccessivi oneri amministrativi e finanziari; si intende imporre ai prestatori di servizi di pagamento l’obbligo di offrire ai consumatori una procedura chiara, rapida e sicura per trasferire i conti di pagamento, compresi i conti di pagamento con caratteristiche di base.
La direttiva lascia agli Stati membri la facoltà, in caso di trasferimento tra prestatori di servizi di pagamento situati entrambi sul loro territorio, di introdurre o conservare meccanismi diversi da quelli previsti nella norma europea, se tale circostanza è chiaramente nell’interesse del consumatore, se non vi sono oneri supplementari e la conclusione del trasferimento è effettuata secondo la tempistica dettata dalla direttiva (articolo 10, par. 1).
Il prestatore di servizi di pagamento ricevente è considerato responsabile dell’avvio e della gestione della procedura per conto del consumatore (articolo 10, par. 1).
Viene consentito agli Stati membri di utilizzare strumenti supplementari, quali apposite soluzioni tecniche, che eccedono gli obblighi fissati dalla direttiva (ad esempio, il servizio di trasferimento può essere fornito entro termini abbreviati ovvero il prestatore di servizi di pagamento può essere tenuto ad assicurare, su richiesta del consumatore, il reindirizzamento automatico o manuale dei bonifici ricevuti sul precedente conto di pagamento verso il nuovo conto di pagamento per un determinato periodo a decorrere dal ricevimento dell’autorizzazione al trasferimento). I prestatori di servizi di pagamento possono utilizzare tali strumenti supplementari su base volontaria, anche quando ciò non sia imposto da uno Stato membro.
La direttiva pone specifici obblighi di cooperazione tra prestatori di servizi di pagamento trasferente e ricevente durante le procedure di trasferimento; si tratta ad esempio di obblighi informativi, utili a riattivare i pagamenti sul nuovo conto di pagamento. Dette informazioni non possono andare oltre quanto necessario per effettuare il trasferimento.
Le norme della direttiva proteggono inoltre i consumatori da perdite finanziarie, compresi le spese e gli interessi, causate da eventuali errori commessi dai prestatori di servizi di pagamento interessati dal processo di trasferimento; i consumatori devono essere sollevati dalle perdite finanziarie derivanti dal pagamento di spese supplementari, interessi o altri oneri nonché sanzioni pecuniarie, penali o qualsiasi altro tipo di danno finanziario a causa del ritardo nell’esecuzione del pagamento. Ai sensi dell’articolo 13, le norme di recepimento nazionali devono garantire che, nel caso di perdite subite dal consumatore causate direttamente dal mancato rispetto, da parte di un prestatore di servizi di pagamento partecipante alla procedura di trasferimento, degli obblighi a lui imposti, dette perdite siano rimborsate senza indugio dal responsabile della violazione delle procedure.
Più in dettaglio, le norme della direttiva (paragrafo 2 dell’articolo 10) dispongono che il prestatore di servizi di pagamento “ricevente” (presso cui è trasferito il conto) deve eseguire il servizio di trasferimento solo dopo aver ricevuto l’autorizzazione del consumatore. Si prevede, nel caso in cui il conto abbia due o più titolari, che l’autorizzazione sia fornita da ciascuno di essi.
Con l’autorizzazione, il consumatore deve fornire uno specifico consenso a ciascuno dei prestatori di servizi di pagamento coinvolti nella procedura (“trasferente” e “ricevente”) ad eseguire ciascuna delle specifiche operazioni elencate ai paragrafi 3 e 5 dell’articolo 10.
Inoltre l’autorizzazione consente al consumatore:
§ di identificare specificamente i bonifici in entrata, gli ordini permanenti di bonifico e gli ordini relativi ad addebiti diretti che devono essere trasferiti;
§ di precisare la data a partire dalla quale gli ordini permanenti di bonifico e gli addebiti diretti devono essere eseguiti dal conto di pagamento aperto o detenuto presso il prestatore di servizi di pagamento ricevente. Tale data è fissata ad almeno sei giorni lavorativi a decorrere dalla data in cui il prestatore di servizi di pagamento ricevente riceve i documenti trasferiti dal prestatore di servizi di pagamento trasferente.
In merito, la direttiva consente agli Stati
membri di esigere che l’autorizzazione del consumatore avvenga per iscritto e
che quest’ultimo ne riceva una copia; occorrerebbe, quindi, chiarire la forma
prevista di tale autorizzazione.
Entro due giorni lavorativi dal ricevimento dell’autorizzazione (ai sensi del paragrafo 3 dell’articolo 10) il prestatore di servizi di pagamento ricevente chiede al prestatore di servizi di pagamento trasferente di eseguire una serie di operazioni, se previsto nell’autorizzazione del consumatore:
a) trasmettere al prestatore di servizi di pagamento ricevente e, se chiesto specificamente dal consumatore, al consumatore stesso, l’elenco degli ordini permanenti in essere relativi a bonifici e le informazioni disponibili sugli ordini di addebito diretto che vengono trasferiti;
b) trasmettere al prestatore di servizi di pagamento ricevente e, se chiesto specificamente dal consumatore, al consumatore stesso le informazioni disponibili sui bonifici ricorrenti in entrata e sugli addebiti diretti ordinati dal creditore eseguiti sul conto di pagamento del consumatore nei precedenti 13 mesi;
c) quando il prestatore di servizi di pagamento trasferente non fornisce un sistema di reindirizzamento automatico dei bonifici in entrata e degli addebiti diretti verso il conto di pagamento detenuto dal consumatore presso il prestatore di servizi di pagamento ricevente, cessare di accettare gli addebiti diretti e i bonifici in entrata con effetto a decorrere dalla data specificata nell’autorizzazione;
d) annullare gli ordini permanenti con effetto a decorrere dalla data specificata nell’autorizzazione;
e) trasferire l’eventuale saldo positivo sul conto di pagamento aperto o detenuto presso il prestatore di servizi di pagamento ricevente alla data indicata dal consumatore;
f) chiudere il conto di pagamento detenuto presso il prestatore di servizi di pagamento trasferente alla data indicata dal consumatore.
Ai sensi del paragrafo 4, dopo aver ricevuto la richiesta dal prestatore di servizi di pagamento ricevente, il prestatore di servizi di pagamento trasferente esegue le seguenti operazioni, se previsto nell’autorizzazione del consumatore:
a) trasmettere al prestatore di servizi di pagamento ricevente le informazioni di cui alle lettere a) e b) (informazioni su bonifici, ivi compresi quelli ricorrenti, e sugli addebiti diretti effettuati sul conto gestito dal “trasferente”) richiamate supra, entro cinque giorni lavorativi;
b) quando il prestatore di servizi di pagamento trasferente non fornisce un sistema di reindirizzamento automatico dei bonifici e degli addebiti diretti, cessare di accettare i bonifici in entrata e gli addebiti diretti sul conto di pagamento con effetto a decorrere dalla data specificata nell’autorizzazione.
Si rammenta che la direttiva consente agli Stati membri di richiedere al prestatore di servizi di pagamento trasferente di informare il pagatore o il beneficiario delle ragioni per cui un’operazione di pagamento non viene accettata. Appare quindi opportuno chiarire se tale informativa viene o meno recepita nell’ordinamento interno;
c) annullare gli ordini permanenti con effetto a decorrere dalla data specificata nell’autorizzazione;
d) trasferire l’eventuale saldo positivo dal conto di pagamento al conto di pagamento aperto o detenuto presso il prestatore di servizi di pagamento ricevente alla data indicata nell’autorizzazione;
e) fatto salvo quanto previsto dalla direttiva PSD in materia di estinzione anticipata dei contratti (articolo 45, paragrafi 1 e 6 della direttiva 2007/64/CE relativi, rispettivamente, alla possibilità dell’utente di servizi di pagamento di sciogliere i contratti in essere ed alla possibilità degli Stati di fissare regole più favorevoli), chiudere il conto di pagamento alla data indicata nell’autorizzazione se il consumatore non ha obblighi pendenti su tale conto di pagamento e purché siano state completate le operazioni di cui alle lettere a), b) e d). Il prestatore di servizi di pagamento informa immediatamente il consumatore se tali obblighi pendenti impediscono la chiusura del conto di pagamento del consumatore.
Ai sensi del paragrafo 5, entro cinque giorni lavorativi dalla ricezione delle informazioni richieste dal prestatore di servizi di pagamento trasferente, il prestatore di servizi di pagamento ricevente, se e come convenuto nell’autorizzazione e nella misura in cui le informazioni fornite dal prestatore di servizi di pagamento trasferente o dal consumatore consentono al prestatore di servizi di pagamento ricevente di provvedervi, esegue le seguenti operazioni:
a) immette gli ordini permanenti di bonifico disposti dal consumatore ed eseguirli con effetto a decorrere dalla data specificata nell’autorizzazione;
b) compie i preparativi necessari per accettare gli addebiti diretti ed accettarli con effetto a decorrere dalla data specificata nell’autorizzazione;
c) se del caso, informa i consumatori dei loro diritti ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 3, lettera d), del regolamento (UE) n. 260/2012;
d) comunica ai pagatori indicati nell’autorizzazione e che effettuano bonifici ricorrenti in entrata sul conto di pagamento del consumatore le coordinate del conto di pagamento del consumatore presso il prestatore ricevente e trasmette ai pagatori una copia dell’autorizzazione del consumatore. Il prestatore di servizi di pagamento ricevente che non dispone di tutte le informazioni di cui ha bisogno per informare il pagatore chiede al consumatore o al prestatore di servizi di pagamento trasferente di fornire le informazioni mancanti;
e) comunica ai beneficiari indicati nell’autorizzazione e che usano l’addebito diretto per prelevare fondi dal conto di pagamento del consumatore le coordinate del conto di pagamento del consumatore presso il prestatore di servizi di pagamento ricevente e la data dalla quale gli addebiti diretti saranno eseguiti da tale conto di pagamento; trasmette ai beneficiari una copia dell’autorizzazione del consumatore. Il prestatore di servizi di pagamento ricevente che non dispone di tutte le informazioni di cui ha bisogno per informare il beneficiario chiede al consumatore o al prestatore di servizi di pagamento trasferente di fornire le informazioni mancanti.
Ove il consumatore scelga di comunicare personalmente le informazioni di cui alle lettere d) ed e) ai pagatori o ai beneficiari, invece che fornire al prestatore di servizi di pagamento ricevente il consenso specifico a provvedervi, il ricevente fornisce al consumatore le lettere standard per la comunicazione delle coordinate del conto di pagamento e della data di inizio specificata nell’autorizzazione entro i termini di cui al primo comma del presente paragrafo.
Infine, fatti salvi i limiti di utilizzo dei servizi di pagamento eventualmente pattuiti tra prestatore di servizi di pagamento e utente (ai sensi del l’articolo 55, paragrafo 2, della direttiva 2007/64/CE), il prestatore di servizi di pagamento trasferente non blocca gli strumenti di pagamento prima della data indicata nell’autorizzazione del consumatore, onde evitare di interrompere la fornitura al consumatore dei servizi di pagamento nel corso della fornitura del servizio di trasferimento (paragrafo 6).
Il comma 2 dell’articolo 2 in esame prevede esplicitamente che, in caso di mancato rispetto delle modalità e dei termini di cui al già commentato comma 1, l'istituto bancario o il prestatore di servizi di pagamento è tenuto a risarcire il cliente in misura proporzionale al ritardo e alla disponibilità esistente sul conto di pagamento al momento della richiesta di trasferimento.
La disposizione in esame non precisa il soggetto specificamente tenuto al risarcimento (soggetto “trasferente” o “ricevente”). Si evidenzia in proposito che la procedura disposta dalla direttiva 2014/92/UE stabilisce con chiarezza i termini entro i quali ciascun prestatore deve compiere le operazioni richieste o fornire le adeguate informazioni, in modo da potersi individuare il soggetto eventualmente responsabile di ritardo o inadempimento. Dall’altro lato, il paragrafo 1 dell’articolo 10 (tuttavia non richiamato dalle norme in esame) individua nel prestatore di servizi di pagamento ricevente il soggetto responsabile dell’avvio e della gestione della procedura per conto del consumatore (articolo 10, par. 1).
Il comma 3 dell’articolo in esame, per il caso di richiesta di trasferimento del conto di pagamento unitamente alla richiesta di trasferimento di strumenti finanziari, di ordini di pagamento e di ulteriori servizi e strumenti ad esso associati, esonera il consumatore da ulteriori oneri e spese per la portabilità.
In sostanza, in tale ipotesi al consumatore verranno addebitati i soli costi relativi al trasferimento del conto di pagamento.
In merito alle spese, si ricorda che l’articolo 13 la direttiva 2014/92/UE obbliga gli Stati membri ad assicurare che eventuali spese addebitate al consumatore dal prestatore di servizi di pagamento “trasferente” per la chiusura del conto di pagamento detenuto presso di esso siano fissate conformemente a quanto previsto in merito dall’articolo 45, paragrafi 2, 4 e 6 della citata direttiva PSD (2007/64/CE): anzitutto, il recesso da un contratto quadro concluso per una durata superiore ai 12 mesi o per una durata indefinita non deve comportare spese per l’utente dei servizi di pagamento, dopo la scadenza di 12 mesi. In tutti gli altri casi le spese per lo scioglimento del contratto devono essere adeguate e in linea con i costi sostenuti. Inoltre le spese per i servizi di pagamento fatturate periodicamente sono dovute, dall’utente dei servizi di pagamento, solo in misura proporzionale per il periodo precedente lo scioglimento del contratto. Se sono pagate anticipatamente, tali spese sono rimborsate in misura proporzionale. Viene fatta salva la possibilità per gli Stati membri di prevedere disposizioni più favorevoli per gli utenti.
Inoltre, gli Stati membri devono assicurare che le eventuali spese addebitate al consumatore dal prestatore di servizi di pagamento trasferente o dal ricevente per i servizi di trasferimento (forniti a norma dell’articolo 10, e comunque diversi da quelli relativi alla fornitura di informazioni e per la chiusura del conto, di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 del medesimo articolo 13) siano ragionevoli e in linea con i costi effettivamente sostenuti dal prestatore di servizi di pagamento.
Infine, il comma 4 dell’articolo in esame aggiunge un comma 1-bis all’articolo 116 del TUB in materia di trasparenza, ai sensi del quale le banche e gli intermediari finanziari devono rendere noti gli indicatori che assicurano la trasparenza informativa alla clientela, quali l'indicatore sintetico di costo e il profilo dell'utente, anche attraverso gli sportelli automatici e gli strumenti di accesso remoto ai servizi bancari.
Portabilità: cenni alla disciplina dei mutui
e alle disposizioni
vigenti in materia di servizi di pagamento
Le norme in commento si collocano nell’alveo di quelle disposizioni che, nel corso del tempo, il legislatore ha inteso porre a tutela della concorrenza e dei diritti del consumatore nell’ambito dei contratti bancari.
Il termine "portabilità"
è stato in un primo momento utilizzato
in riferimento alla disciplina della surrogazione dei mutui bancari,
contenuta nell'articolo 8 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, che ha
consentito al debitore di sostituire più facilmente l'istituto erogante con uno
nuovo, eventualmente a condizioni più favorevoli, con lo scopo di accrescere il
grado di concorrenza nel mercato dei mutui bancari. La c.d. portabilità dei
mutui è realizzata mediante l'istituto giuridico della surrogazione del creditore, che consente al mutuatario di sostituire
la banca che ha erogato inizialmente il finanziamento con un nuovo istituto (in
presenza, ad esempio, di condizioni migliori), mantenendo viva l'ipoteca
originariamente costituita. La disciplina della “portabilità” ha ridotto le formalità
e i costi notarili a carico dei consumatori. In particolare, per effetto della
surrogazione la banca che subentra provvederà a pagare il debito che residua e
si sostituirà a quella precedente, mentre il debitore rimborserà il mutuo alle
nuove condizioni concordate.
Il
pagamento con surrogazione è disciplinato dagli articoli da 1201 a 1205 del
codice civile. In generale, con la surrogazione si consente al debitore di
sostituire il creditore iniziale senza necessità di consenso di quest'ultimo,
previo pagamento del debito (art. 1202 c.c.). Secondo l'articolo 1204 c.c., la
surrogazione ha effetto anche contro i terzi che hanno prestato garanzia per il
debitore. Se il pagamento è parziale, ai sensi dell'articolo 1205 c.c., il terzo
surrogato e il creditore concorrono nei confronti del debitore in proporzione
di quanto è loro dovuto, salvo patto contrario.
Le
disposizioni in materia di portabilità dei mutui sono state trasfuse nell'articolo
120-quater del Testo Unico Bancario (di cui al D.Lgs.
1° settembre 1993, n. 385) per effetto del D.Lgs.
141/2010, recependo sostanzialmente le disposizioni in materia di portabilità
introdotte dal 2007 in poi.
Il D.Lgs. n. 141 del 2010 non ha abrogato, lasciandone intatta
la vigenza, l'articolo 8, comma 4-bis del D. L. n. 7 del 2007, che
dispone agevolazioni fiscali applicabili al caso in cui il mutuante surrogato
subentri nelle garanzie accessorie, personali e reali, accessorie al credito
surrogato. In particolare, non si applicano l'imposta di registro, di bollo, le
imposte ipotecarie e catastali e le tasse sulle concessioni governative; né
trova applicazione l'imposta sostitutiva delle predette forme di prelievo che
ordinariamente grava - tra l'altro - sulle operazioni di finanziamento a medio
e lungo termine concluse dagli intermediari.
Il
vigente articolo 120-quater dispone, in primo luogo, il debitore può
esercitare la facoltà di surrogazione anche se il credito non è esigibile o se
è stato pattuito un termine a favore del creditore.
Per
effetto della surrogazione il mutuante surrogato subentra nelle
garanzie, personali e reali, accessorie al credito cui la surrogazione si
riferisce (ad es. ipoteca). La surrogazione comporta il trasferimento del
contratto, alle condizioni stipulate tra il cliente e l'intermediario
subentrante, con esclusione di penali o altri oneri di qualsiasi natura.
L'annotazione della surrogazione presso i registri immobiliari può essere
richiesta senza formalità, allegando copia autentica dell'atto di surrogazione
stipulato per atto pubblico o scrittura privata. L'articolo 8, comma 8 del D.L.
70/2011 ha introdotto la possibilità di presentare l'atto di surrogazione per
via telematica.
Al
cliente non possono essere imposte al cliente spese o commissioni per la
concessione del nuovo finanziamento, per l'istruttoria e per gli accertamenti
catastali, che si svolgono secondo procedure di collaborazione tra intermediari
improntate a criteri di massima riduzione dei tempi, degli adempimenti e dei
costi connessi. In ogni caso, gli intermediari non applicano alla clientela
costi di alcun genere, neanche in forma indiretta, per l'esecuzione delle
formalità connesse alle operazioni di surrogazione. Resta salva la possibilità
del finanziatore originario e del debitore di rinegoziare il finanziamento in
essere, senza spese, mediante scrittura privata anche non autenticata.
Inoltre,
è espressamente prevista la sanzione della nullità di ogni patto, anche
posteriore alla stipulazione del contratto, con il quale si impedisca o si
renda oneroso per il debitore l'esercizio della facoltà di surrogazione. Si
tratta di una nullità relativa, che non si estende – per espressa previsione di
legge – al contratto.
Il D.L. 78/2009 (articolo 2, comma 3, il cui
contenuto è stato trasfuso nel comma 7 dell'articolo 120-quater del TUB)
ha introdotto la possibilità di risarcimento del danno da ritardo per il
caso di intempestivo perfezionamento della surrogazione. Su tale disciplina
sono poi intervenuti il D.L. 70/2011 e il D.L. n. 1 del 2012. Le norme
vigenti prevedono che, ove la surrogazione non si perfezioni entro il
termine di trenta giorni lavorativi dalla data della richiesta – formulata
dalla banca surrogata al finanziatore originario - di avvio delle procedure di
collaborazione, il finanziatore originario è tenuto a risarcire il cliente in
misura pari all'uno per cento del debito residuo del finanziamento per ciascun
mese o frazione di mese di ritardo. Resta ferma la possibilità per il
finanziatore originario di rivalersi sul mutuante surrogato, nel caso in cui il
ritardo sia dovuto a cause allo stesso imputabili. Infine, la surrogazione per
volontà del debitore e l'eventuale rinegoziazione non comportano il venir meno
dei benefici fiscali.
La
surrogazione si applica (comma 8 dell'articolo 120-quater):
§ nei casi e alle condizioni ivi previsti,
anche ai finanziamenti concessi da enti di previdenza obbligatoria ai loro
iscritti;
§ ai soli contratti di finanziamento conclusi
da intermediari bancari e finanziari con persone fisiche o micro-imprese.
Essa non si applica ai
contratti di locazione finanziaria.
In attuazione delle norme
sulla portabilità, l'Associazione bancaria italiana (ABI) ha definito una procedura di collaborazione interbancaria volta a contribuire alla migliore realizzazione
delle operazioni di portabilità del mutuo, improntata a criteri di massima
riduzione dei tempi, degli adempimenti e dei costi connessi.
Si ricorda che l'articolo
8-bis del decreto-legge n. 7 del 2007 ha vietato, nell'ambito dei
rapporti assicurativi e bancari, di addebitare al cliente le spese di
predisposizione, produzione, spedizione, o altre spese comunque denominate,
relative alle comunicazioni derivanti dall'applicazione, tra l'altro, delle
norme sulla surrogazione.
Le disposizioni in esame si
collocano inoltre nel solco di quanto previsto dalla legge di stabilità 2014
(articolo 1, commi 584 e 585 della
legge n. 147 del 2013), che hanno introdotto la possibilità di trasferire, senza spese aggiuntive per il cliente, i servizi di pagamento connessi ad un conto di pagamento da un prestatore di servizi ad un altro.
In particolare il comma 584 dispone che, fermo restando il rapporto di conto istituito presso l’originario prestatore di servizi di pagamento, il cliente potrà trasferire il servizio di pagamento presso un diverso prestatore. Il trasferimento avverrà, senza spese aggiuntive, utilizzando i comuni protocolli tecnici interbancari italiani.
Si precisa che al trasferimento dei servizi consegue il subentro, da parte del prestatore di servizi di pagamento di destinazione, nei mandati di pagamento e riscossione conferiti al prestatore di servizi di pagamento di origine, alle condizioni stipulate fra il prestatore di servizi di pagamento di destinazione e il cliente.
Si prescrive che detto trasferimento si perfezioni entro il termine di 14 giorni lavorativi da quando il cliente chiede al prestatore di servizi di pagamento di destinazione di acquisire da quello di origine i dati relativi ai mandati di pagamento e di riscossione in essere.
Il comma 585 ha demandato a uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia la disciplina dei servizi oggetto di trasferibilità, delle modalità e dei termini di attuazione delle norme così introdotte.
Tali decreti non sono stati emanati.
Le norme hanno espressamente prescritto che l’attuazione avvenga in stretta coerenza con le previsioni della direttiva n. 2014/92/UE citata dall’articolo 2 in commento, relativa alla trasparenza delle spese dei conti di pagamento, il trasferimento del conto di pagamento e l'accesso ai conti di pagamento.
L’articolo 3 attribuisce alla SACE S.p.A. la competenza a svolgere l’attività creditizia, previa autorizzazione della Banca d’Italia e nel rispetto delle normative internazionali, europee e nazionali.
Si tratta in sostanza delle norme previste dal testo unico bancario (d.lgs. n. 385 del 1993 – TUB) nonché della normativa europea sulla vigilanza bancaria.
Ai sensi dell’articolo 5 del TUB, la Banca d’Italia esercita i poteri di vigilanza avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all'efficienza e alla competitività del sistema finanziario nonché all'osservanza delle disposizioni in materia creditizia.
Tale attività si svolge nell’ambito dell’Unione bancaria europea istituita tra i paesi dell’eurozona e fondata su tre pilastri. Il primo pilastro (meccanismo di vigilanza unico) configura l’esercizio congiunto, dal novembre 2014, di compiti e poteri di vigilanza sulle banche da parte della Banca centrale europea (con il neo-costituito Consiglio di sorveglianza) e delle autorità di vigilanza dei paesi dell’area dell’euro (nonché di quelli extra area che vorranno aderirvi). La BCE vigila direttamente le banche cosiddette significative. Le altre banche sono soggette alla vigilanza delle autorità nazionali, nell’ambito degli indirizzi formulati dalla BCE e di un’azione di supervisione comunque svolta da quest’ultima prevalentemente sulla base di informazioni trasmesse dalle autorità di vigilanza nazionali; la BCE potrà anche assumere la vigilanza diretta su queste banche se lo riterrà necessario.
Ai sensi del comma 1, la SACE è quindi autorizzata a svolgere l’esercizio del credito con i seguenti obiettivi: da una parte, rafforzare l’attività a supporto dell’export e dell’internazionalizzazione delle imprese italiane e, dall’altra, aumentare la propria competitività rispetto alle altre entità che operano con le stesse finalità sui mercati internazionali.
Alla SACE è rimessa la scelta delle modalità operative per l’esercizio del credito, in via diretta o mediante la costituzione di una società controllata (export import bank).
Si segnala che il modello dell’export import bank, con società a capitale pubblico che offrono servizi assicurativi e creditizi alle imprese interessate ad operare con l’estero, è presente negli Stati Uniti (Exim) in Canada (Edc), in Cina (China Exim Bank), India (Exim India), Giappone (Jbic) e Corea del sud (Kexim).
La Sace S.p.a. – già Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero – è la società che, ai sensi dell’articolo 6 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, svolge le funzioni di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143: in particolare, essa è autorizzata a rilasciare garanzie e ad assumere rischi di carattere politico, economico, commerciale e di cambio ai quali sono esposti gli operatori nazionali nelle loro attività con l’estero e di internazionalizzazione dell’economia italiana.
Nel 2012, ai sensi dell’articolo 23-bis del D.L. 7 luglio 2012, n. 95, nell’ambito di un più ampio piano di valorizzazione e dismissione di partecipazioni societarie pubbliche, Sace S.p.a. è stata interamente ceduta dallo Stato a Cassa depositi e prestiti S.p.A. In data 9 novembre 2012, Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. ha acquistato l’intero capitale sociale di SACE dal Ministero dell'economia e delle finanze, avendo esercitato l’opzione di acquisto di cui all’art. 23-bis del D.L. n. 95/2012.
Come detto, SACE è autorizzata a rilasciare garanzie e coperture assicurative in relazione ai rischi di carattere politico, catastrofico, economico, commerciale e di cambio cui sono esposti gli operatori nazionali nella loro attività con l'estero e a rilasciare garanzie e coperture assicurative in relazione a operazioni che siano di rilievo strategico per l'economia italiana sotto i profili dell'internazionalizzazione, della sicurezza economica e dell'attivazione di processi produttivi e occupazionali in Italia, nonché in relazione ai rischi di mancata riscossione dei crediti vantati nei confronti delle amministrazioni pubbliche.
Le garanzie e le assicurazioni possono essere rilasciate anche a banche nazionali, nonché a banche estere od operatori finanziari italiani od esteri quando rispettino adeguati princìpi di organizzazione, vigilanza, patrimonializzazione ed operatività, per crediti concessi sotto ogni forma e destinati al finanziamento delle suddette attività, nonché quelle connesse o strumentali. SACE può altresì stipulare contratti di copertura del rischio assicurativo a condizioni di mercato con primari operatori di settore.
Si ricorda che a seguito dell’approvazione della legge finanziaria 2007 (n. 296 del 2006), SACE può intervenire a garanzia di finanziamenti concessi a imprese italiane nell’ambito di operazioni volte alla loro internazionalizzazione, ovvero finanziamenti concessi a imprese italiane o estere per operazioni di rilievo strategico per il sistema economico italiano. In questo contesto si inserisce l’intervento di SACE nei settori delle infrastrutture strategiche (ad es. energetiche, di trasporto, telecomunicazioni e idriche) e delle energie rinnovabili (eolico, fotovoltaico, biomassa etc).
L'art. 52 della legge n. 99/2009 aveva previsto l'adozione, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, di decreti legislativi destinati ad incidere sull'organizzazione dell'attività svolta dalla SACE Spa a favore dell'internazionalizzazione dell'economia italiana. I decreti, allo scopo di ottimizzare l'efficienza della società e la sua competitività rispetto ad altri organismi operanti sui mercati internazionali con le stesse finalità, avrebbero dovuto disporre la separazione dell'attività che la SACE svolge a condizioni di mercato da quella che beneficia della garanzia dello Stato avendo come oggetto rischi non di mercato e quindi consentire l'esercizio delle due attività di cui sopra da parte di organismi diversi. A tale delega legislativa non è stata data attuazione dal Governo.
Per ciò che specificamente riguarda l’interazione di CDP con SACE, si ricorda che l’articolo 8 del D.L. n. 78/2009, ha istituito il sistema integrato SACE - Cassa depositi e prestiti S.p.a, di sostegno finanziario all’internazionalizzazione, cd. “Export-banca”.
Le operazioni di internazionalizzazione assistite da garanzia o assicurazione SACE possono essere finanziate da CDP con le risorse provenienti dalla raccolta del risparmio postale, dall’emissione di titoli, dall’assunzione di finanziamenti o da altre operazioni finanziarie. Il finanziamento da parte di CDP è indiretto: CDP fornisce una provvista vincolata alle banche e indica il livello massimo che le banche possono sommare al costo della provvista (cioè, di fatto, il costo per le imprese del denaro avuto in prestito). L’intervento diretto di CDP è consentito in taluni casi: indisponibilità del sistema bancario, indisponibilità delle banche ad accettare il livello massimo del margine indicato, nel caso di operazioni su settori di interesse strategico.
Il D.L. n. 91 del 2014 ha previsto all’articolo 32 disposizioni volte a rafforzare le esportazioni e l'internazionalizzazione delle imprese, consentendo che la garanzia dello Stato per rischi non di mercato possa operare in favore della società Sace S.p.A. relativamente ad operazioni da essa effettuate nei settori strategici ovvero in società di rilevante interesse nazionale, laddove esse possano costituire, in termini di livelli occupazionali o di fatturato, un rilancio per il sistema economico produttivo del Paese, ma che siano in grado di determinare, in capo a Sace medesima, elevati rischi di concentrazione verso controparti o paesi di destinazione.
La garanzia non opera sull'intera operazione ma soltanto a copertura di eventuali perdite eccedenti le soglie e fino a un ammontare massimo di capacità, compatibile con i limiti globali degli impegni assumibili in garanzia. La garanzia è rilasciata con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Ivass), nei limiti delle risorse messe a disposizione nell'ambito dell'apposito fondo istituito a copertura delle garanzie medesime concesse dallo Stato in favore di Sace S.p.a., ai sensi della disposizione in esame, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia finanze con una dotazione iniziale di 100 milioni per l'anno 2014. Per disciplinare il funzionamento della garanzia, è prevista la stipula di una convenzione tra il Ministero dell'economia e Sace S.p.A.
Articolo 4
(Piccole e medie imprese innovative)
L’articolo 4 introduce la definizione di “piccole e medie imprese innovative”, che potranno accedere ad alcune delle semplificazioni, agevolazioni ed incentivi attualmente riservati alle startup innovative dalla legislazione vigente.
L’articolo interviene inoltre sull'ambito di applicazione della normativa sulle startup innovative, con lo scopo di estendere la relativa disciplina agevolata a ulteriori soggetti.
In particolare, il comma 1 introduce la definizione
di PMI innovative inserendola nel testo unico delle disposizioni in materia
di intermediazioni finanziarie (comma 5-undecies,
articolo 1, decreto legislativo 58/1998, TUF).
Per la definizione di PMI il comma 1 del testo in esame rinvia a quella contenuta nella raccomandazione 2003/361/CE, ossia le imprese che: occupano meno di 250 persone; il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro; oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro.
Il medesimo comma 1 individua i requisiti necessari per la qualifica di
PMI innovativa.
Per quanto riquadra le caratteristiche generali, possono essere qualificate innovative le PMI: residenti in Italia o in uno degli Stati Membri dell’Unione Europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, purché abbia una sede produttiva o una filiale in Italia; che abbiano l’ultimo bilancio certificato e l'eventuale bilancio consolidato redatto da un revisore contabile o da una società di revisione iscritti nel registro dei revisori contabili; non siano in possesso di azioni quotate; non siano iscritte al registro speciale previsto per le startup innovative e l’incubatore certificato.
Si ricorda che l’articolo 25, comma 8, del decreto-legge 179/ 2012, ha previsto l’istituzione da parte delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di una apposita sezione speciale del registro delle imprese di cui all'articolo 2188 del codice civile, a cui la start-up innovativa e l'incubatore certificato devono essere iscritti al fine di poter accedere agli appositi benefici.
Con riguardo all’individuazione del contenuto innovativo dell’impresa, è inoltre necessaria la presenza di almeno due dei seguenti requisiti: volume di spesa in ricerca e sviluppo; personale qualificato; titolarità di privative industriali.
Nello specifico i requisiti richiesti sono:
1) volume di spesa in ricerca e sviluppo in misura uguale o superiore al 3 per cento della maggiore entità fra costo e valore totale della produzione della PMI innovativa, escluse le spese per l'acquisto e la locazione di beni immobili. Sono da annoverarsi tra le spese in ricerca e sviluppo: le spese relative alla sperimentazione, prototipazione e sviluppo del piano industriale, ai servizi di incubazione forniti da incubatori certificati, i costi lordi di personale interno e consulenti esterni impiegati nelle attività di ricerca e sviluppo, inclusi soci ed amministratori, le spese legali per la registrazione e protezione di proprietà intellettuale, termini e licenze d’uso;
Si ricorda che anche le anche la disciplina delle startup innovative prevede, accanto ad alcuni requisiti attinenti alle caratteristiche generali delle imprese, anche il possesso di almeno due dei tre requisiti attinenti all’innovatività relativi alla spesa in ricerca e sviluppo, personale qualificato e titolarità di brevetti.
In particolare per le startup innovative il volume di spesa in ricerca e sviluppo deve esser uguale o superiore al 15 per cento (articolo 25, comma 2, lett. h), n.1) del D.L. 178/2012). Il computo della percentuale e la specificazione delle spese che possono annoverarsi in quelle in ricerca e sviluppo sono analoghi a quelli previsti dalla disposizione in commento per le PMI innovative.
Con specifico riferimento ai servizi di incubazione forniti da incubatori certificati si ricorda che essi sono definiti dall'articolo 25, comma 5, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221. L’«incubatore certificato» è una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia, che offre servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative.
2) impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al quinto della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all'estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a un terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale ;
Per le startup innovative l’impiego come
dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo di personale altamente qualificato (dottorato di ricerca) deve esser in
percentuale uguale o superiore al terzo della
forza lavoro complessiva, o due
terzi in caso di possesso della laurea magistrale (articolo 25, comma 2, lett. h), n.2) del DL 178/2012).
3) titolarità, anche quali depositarie o licenziatarie di almeno una privativa industriale, relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale[1] ovvero titolarità dei diritti relativi a programmi per elaboratore (software), purché' tale privativa sia direttamente afferente all'oggetto sociale e all’attività di impresa.
Tale requisito relativo al possesso di brevetti, marchi, modelli, oltre che in relazione a invenzioni industriali, biotecnologiche, nuove varietà vegetali, anche a programmi per elaboratore (software).è identico a quello richiesto alle startup innovative (articolo 25, comma 2, lett. h), n.3) del DL 178/2012).
Il comma 2 prevede l’istituzione di una apposita sezione speciale all’interno del registro delle imprese a cui le PMI innovative devono esser iscritte per poter accedere alle agevolazioni (di cui al comma 9 dell’articolo in esame). La sezione speciale del registro delle imprese consente la condivisione delle informazioni relative all'anagrafica, all’attività svolta, ai soci fondatori e agli altri collaboratori, al fatturato, al patrimonio netto, al sito internet, ai rapporti con gli altri attori della filiera.
Come già rilevato, anche per le startup innovative l’articolo 25, comma 8, del DL 179/2012 ha previsto la creazione di una sezione speciale del registro delle imprese, cui le startup devono iscriversi per poter accedere alle agevolazioni previste.
I commi 3 a 4 disciplinano la procedura dell’iscrizione nel registro delle imprese con particolare riguardo alle informazioni che devono essere contenute nella domanda nonché alla frequenza per l’aggiornamento delle informazioni (30 giugno e 31 dicembre di ogni anno). Il comma 5 specifica gli obblighi per le PMI, di trasparenza e accessibilità alle suddette informazioni.
I commi 6 e 7 riguardano il mantenimento o la perdita dei requisiti delle PMI innovative:
§ entro 30 giorni dall'approvazione del bilancio e comunque entro sei mesi dalla chiusura di ciascun esercizio, il rappresentante legale delle PMI innovative deve attestare il mantenimento del possesso dei requisiti e depositare tale dichiarazione presso l'ufficio del registro delle imprese (comma 6);
§ entro 60 giorni dalla perdita dei requisiti, le PMI innovative sono cancellate d'ufficio dalla sezione speciale del registro delle imprese, mentre permane l'iscrizione alla sezione ordinaria del registro delle imprese. Il mancato deposito della dichiarazione di mantenimento dei requisiti è equiparato alla perdita dei requisiti stessi. (comma 7). E’ inoltre esplicitamente richiamata l’applicazione dell'articolo 3 del DPR 23 luglio 2004, n. 247 relativo alla procedura di cancellazione dal registro delle imprese della società semplice, della società in nome collettivo e della società in accomandita semplice.
Il comma 8 contiene la clausola di salvaguardia finanziaria con riguardo alle attività aggiuntive che le disposizioni concernenti le PMI innovative comportano per le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le quali vi provvedono nell'ambito delle dotazioni finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Il comma 9 estende alle PMI innovative diverse disposizioni di favore attualmente previste dal D.L. 179/2012 per le start-up innovative.
In seguito all’applicazione delle disposizioni sulle startup richiamate nel testo del comma in esame, le PMI innovative possono usufruire delle seguenti agevolazioni:
§ deroghe al diritto societario, consistenti nella semplificazione di alcune procedure in materia di reintegro delle perdite, diritti attribuiti ai soci, disapplicazione della disciplina delle società di comodo e in perdita sistemica, offerta al pubblico, divieto di operazioni sulle proprie partecipazioni, emissione di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o di diritti amministrativi, nonché l’esonero dal versamento di alcuni diritti di bollo e di segreteria (art. 26 del D.L. 179/2012);
§ agevolazioni fiscali in favore di alcuni soggetti che intrattengono rapporti, a diverso titolo, con le PMI innovative. In primo luogo, è previsto un regime vantaggioso per gli amministratori, i dipendenti e i collaboratori di tali imprese. Per tali soggetti, non concorre a formare l’imponibile a fini fiscali e contributivi quella parte di reddito di lavoro che deriva dall'attribuzione di azioni, quote, strumenti finanziari partecipativi o diritti (anche di opzione). Con riguardo al regime fiscale applicabile alle azioni, alle quote e agli strumenti finanziari partecipativi emessi a titolo di corrispettivo per l’apporto di opere e servizi in favore delle PMI innovative, fermo restando che i predetti strumenti finanziari – secondo le regole generali - non sono sottoposti a tassazione in capo al soggetto apportante, nel caso delle suddette PMI detti strumenti non concorrono a formare l’imponibile fiscale anche se emessi a fronte di crediti maturati per la prestazione di opere e servizi, ivi inclusi quelli professionali (articolo 27 del D.L. 179/2012);
§ accesso semplificato, gratuito e diretto al Fondo Centrale di Garanzia secondo le modalità del D.M. 26 aprile 2013 e sostegno specifico nel processo di internazionalizzazione da parte dell'Agenzia ICE. Il sostegno include l'assistenza in materia normativa, societaria, fiscale, immobiliare, contrattualistica e creditizia, l'ospitalità a titolo gratuito alle principali fiere e manifestazioni internazionali, e l'attività volta a favorire l'incontro delle imprese innovative con investitori potenziali (articolo 30, commi 6, 7 e 8 del D.L. 179/2012);
§ campagne di sensibilizzazione, pubblicità e monitoraggio delle misure tramite il “sistema permanente di monitoraggio e valutazione”, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico (articolo 32 del D.L. 179/2012);
§ incentivi fiscali (attualmente previsti per le startup innovative per il quadriennio 2013-2016) in favore di persone fisiche e persone giuridiche che intendono investire nel capitale sociale delle PMI innovative. Le persone fisiche potranno detrarre dall’IRPEF una percentuale delle somme investite nel capitale sociale delle predette imprese, sia per gli investimenti effettuati direttamente che per tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio o di altre società che investono prevalentemente in start-up innovative. Per i soggetti IRES è invece prevista la possibilità di dedurre dall’imponibile parte delle predette somme investite nel capitale sociale di imprese start-up innovative. Tali somme saranno dunque esenti da imposizione (art. 29 del D.L. 179/2012. In attuazione di tale disposizione è stato emanato il DM 30 gennaio 2014). Tali disposizioni si applicano solo alle PMI innovative costituite da non oltre 7 anni, nel rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dall'articolo 21 del regolamento (UE) n. 651/2014.
Tale regolamento dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato. In particolare, l’articolo 21 riguarda le condizioni di compatibilità dei regimi di aiuti al finanziamento del rischio a favore delle PMI.
Il comma 12 riguarda la copertura degli oneri derivanti dal comma 9, valutati in 7 milioni di euro per l'anno 2015, in 39,6 milioni di euro per l'anno 2016 e in 26,9 milioni di euro annui a decorrere dal 2017, ai quali si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (articolo 10, comma 5, del decreto-legge n. 282/2004)
Il comma 10 estende alle PMI innovative anche le norme in materia di raccolta di capitale di rischio introdotte per le start-up innovative dall’articolo 30 del D.L. 179/2012, consentendo che essa avvenga mediante portali online (c.d. crowdfunding).
A tal fine (lettere a) e b) del comma 10 in esame) si integra il Testo Unico Finanziario – TUF (D.Lgs. n. 58/1998), al fine di estendere alle PMI innovative la disciplina della gestione di portali per la raccolta di capitali per start-up innovative e dell’offerta al pubblico, rispettivamente disciplinate dal capo III-quater del titolo III, Parte II del TUF (in particolare, dall’articolo 50-quinquies) e dall’articolo 100-ter del TUF.
Più in dettaglio, anche per tale tipologia societaria la raccolta di capitale potrà avvenire mediante portali online (c.d. crowdfunding, ai sensi dell’articolo 50-quinquies del TUF); valgono anche per le PMI innovative le regole concernenti i soggetti autorizzati all’esercizio di tali attività, i relativi requisiti, il funzionamento e le modalità operative. La Consob è organo deputato alla vigilanza ed all’emanazione delle norme attuative.
Con le modifiche apportate all’articolo 100-ter del TUF, si consente di formulare offerte al pubblico, esclusivamente attraverso portali, per la raccolta di capitali per la sottoscrizione di strumenti finanziari emessi dalle startup e delle PMI innovative, dagli organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società di capitali che investono prevalentemente in start-up innovative e in PMI innovative. In precedenza, tale modalità di raccolta con offerta al pubblico era riservata alla sola sottoscrizione di strumenti finanziari emessi dalle startup innovative; con la modifica in esame l’offerta può riguardare sia gli strumenti finanziari emessi dalle imprese innovative, sia quelli emessi da soggetti (OICR e altre società di capitali) che investono in PMI innovative e startup innovative.
Si ricorda in proposito che, con la deliberazione del 26 giugno 2013, n. 18592 la Consob ha adottato il regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line.
Il comma 11 interviene sull'ambito di applicazione della normativa sulle startup innovative (di cui al richiamato articolo 25, comma 2, del decreto-legge n. 179/2012), con lo scopo di estendere la relativa disciplina agevolata a ulteriori soggetti.
In particolare, si espunge (lettera a) del comma 11 in esame) dal comma 2 del citato articolo 25 il riferimento alla forma giuridica di società di diritto italiano o di Societas Europea, residente in Italia ai fini delle imposte sui redditi (articolo 73 del Testo Unico delle imposte sui redditi, TUIR, che individua gli enti assoggettati a IRES – imposta sui redditi delle società).
I provvedimenti approvati dal Consiglio UE sulla Società europea (designata con il nome latino “Societas Europaea” o “SE”) sono di due tipi: uno, sotto forma di Regolamento (Regolamento CE n. 2157/2001), disciplina in dettaglio le regole di costituzione e di funzionamento delle Società europee e l’altro, sotto forma di Direttiva (Direttiva 2001/86/CE), stabilisce le regole di partecipazione dei lavoratori alla creazione e allo sviluppo della società stessa.
Si precisa invece (lettera b) del comma 11, che integra l’articolo 25, comma 2, lettera c) del D. L. n. 179 del 2012) che, per usufruire del regime delle startup innovative, una società deve essere, in alternativa:
§ residente in Italia ai sensi dell'articolo 73 TUIR;
§ residente in uno degli Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo, in tal caso purché abbia una sede produttiva o una filiale in Italia.
Di conseguenza potranno usufruire del regime agevolato anche le società residenti in uno Stato membro dell'Unione europea o dello Spazio economico europeo, a condizione di avere una sede produttiva o una filiale in Italia.
Articolo 5
(Modifiche alla tassazione dei redditi
derivanti
dai beni immateriali – patent box)
L’articolo 5 modifica la disciplina del regime opzionale di tassazione agevolata
nella misura del 50 per cento dei
redditi derivanti dall’utilizzo e/o dalla cessione di opere dell’ingegno, da brevetti
industriali, da marchi d’impresa funzionalmente equivalenti ai brevetti, nonché
da processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo
industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili (c.d. patent box), introdotta dalla legge di
stabilità 2015.
In primo luogo i marchi commerciali sono inclusi tra le attività immateriali per le quali viene riconosciuto il beneficio fiscale. Viene inoltre ampliato il campo di applicazione oggettiva del patent box, includendo, entro limiti prestabiliti, le attività di valorizzazione della proprietà intellettuale gestite e sviluppate in outsourcing e con le società del gruppo.
I commi 2 e 3 affidano alla Fondazione Istituto italiano di tecnologia – IIT compiti di servizio in favore del sistema nazionale della ricerca, tra cui la raccolta dei risultati della ricerca svolta negli enti pubblici e la commercializzazione dei brevetti registrati da soggetti pubblici.
Si segnala, preliminarmente, che la rubrica dell’articolo 5 fa riferimento
ad un credito d'imposta per acquisto beni strumentali nuovi che non costituisce
oggetto dell’articolo.
Il regime agevolato in commento (cd. patent box) – introdotto dai commi da 37 a 45 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) - consiste nell’esclusione dal reddito del 50 per cento dei redditi derivanti dall’utilizzazione di alcune tipologie di beni immateriali (marchi e brevetti) nonché delle plusvalenze derivanti dalla loro cessione, se il 90 per cento del corrispettivo è reinvestito. L’opzione dura cinque esercizi sociali, è irrevocabile e si può esercitare a condizione di essere residenti in Paesi con i quali vige un accordo per evitare la doppia imposizione e vi è un effettivo scambio di informazioni. In caso di utilizzo diretto, il contributo economico di tali beni alla produzione del reddito è determinato sulla base di un apposito accordo con l’amministrazione finanziaria. Il nuovo regime si applica a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014. In via transitoria per gli anni d’imposta 2015 e 2016 la percentuale di esclusione dal concorso alla formazione del reddito è fissata, rispettivamente, in misura pari al 30 e al 40 per cento.
La prima modifica introdotta dalla norma in commento (comma 1, lettera a), che modifica il comma 39 della legge di stabilità) estende a tutti i marchi d’impresa (e non più, quindi, solo a quelli funzionalmente equivalenti ai brevetti), nonché ai disegni e modelli, l’ambito di applicazione del richiamato regime agevolativo del patent box; inoltre, le operazioni con società dello stesso gruppo vengono ammesse all’agevolazione, anche in assenza della procedura di ruling con l’amministrazione finanziaria prevista dal medesimo comma 39.
L’originaria formulazione del comma 39 prevede infatti che l’agevolazione è ammessa solo a condizione che il contributo economico di tali beni alla produzione del reddito complessivo è determinato sulla base di un apposito accordo con l’amministrazione finanziaria. In tali ipotesi la procedura di ruling ha ad oggetto la determinazione in via preventiva ed in contraddittorio con l’Agenzia delle entrate dell’ammontare dei componenti positivi di reddito impliciti e dei criteri per l’individuazione dei componenti negativi riferibili ai predetti componenti positivi. Analogo accordo è previsto nel caso in cui i redditi siano realizzati nell’ambito di operazioni intercorse con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa.
Si rammenta che l’articolo 8 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, ha previsto, per le imprese con attività internazionale, la possibilità di utilizzare una procedura di ruling internazionale, al fine di determinare preventivamente, tramite accordo con l’amministrazione finanziaria, alcuni elementi rilevanti per la determinazione delle imposte, in particolare con riferimento al regime dei prezzi di trasferimento, degli interessi, dei dividendi e delle royalties, nonché della valutazione preventiva della sussistenza dei requisiti che configurano una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato. La procedura si conclude con la sottoscrizione di un accordo tra l’amministrazione finanziaria e l’impresa, che vincola entrambe le parti sulle questioni oggetto di accordo per il periodo d’imposta nel corso del quale l’accordo stesso è stato stipulato e per i quatto periodi d’imposta successivi.
Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 23 luglio 2004 ha definito i requisiti soggettivi ed oggettivi per l’accesso al ruling e stabilito le modalità operative per l’avvio della procedura. È ammessa al ruling qualunque impresa con attività internazionale residente nel territorio dello Stato, qualificabile come tale ai sensi delle disposizioni vigenti in materia di imposte sui redditi, che, in alternativa o congiuntamente:
§ si trovi, rispetto a società non residenti, in una o più delle condizioni indicate nel comma 7 dell’articolo 110 del Tuir, ovvero in rapporto di controllo diretto o indiretto;
§ il cui patrimonio, fondo o capitale sia partecipato da soggetti non residenti ovvero partecipi al patrimonio, fondo o capitale di soggetti non residenti;
§ abbia corrisposto a o percepito da soggetti non residenti, dividendi, interessi o royalties.
Sono altresì ammesse le imprese non residenti che esercitano la propria attività nel territorio dello Stato attraverso una stabile organizzazione, qualificabile come tale ai sensi delle disposizioni vigenti in materia di imposte sui redditi.
La lettera b) – con una modifica al comma 41 – estende l’ambito applicativo del regime agevolato alle attività svolte con società che non sono parte dello stesso gruppo. Resta ferma la condizione che si tratti di attività di ricerca e sviluppo.
Attualmente il comma 41 prevede che l’opzione per il regime di tassazione agevolata è consentita a condizione che i soggetti svolgano le attività di ricerca e sviluppo, anche mediante contratti di ricerca stipulati con Università o enti di ricerca ed organismi equiparati, finalizzati alla produzione di beni immateriali oggetto del beneficio fiscale in argomento.
La lettera c) – con una modifica al comma 42 – chiarisce che nel calcolo della quota di reddito agevolabile si deve tenere conto dei soli costi rilevanti ai fini fiscali.
Ai sensi del comma 42, infatti, la quota di reddito agevolabile è determinata sulla base del rapporto tra i costi di attività di ricerca e sviluppo sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale e i costi complessivi sostenuti per produrre il bene.
La lettera d) inserisce il nuovo comma 42-bis, al fine di ridefinire il rapporto fra i costi per l’attività di ricerca e sviluppo e i costi complessivi. In particolare, i costi di attività di ricerca e sviluppo sono aumentati di un importo corrispondente ai costi sostenuti per l'acquisizione del bene immateriale o per contratti di ricerca, relativi allo stesso bene, fino al trenta per cento di tale ammontare.
E’ conseguentemente modificato il comma 44, che demanda ad un decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, l’adozione delle disposizioni attuative del regime agevolativo, al fine di espungere il riferimento alla individuazione delle tipologie di marchi escluse dall'ambito di applicazione delle norme in commento.
I commi 2 e 3 affidano alla Fondazione Istituto italiano di tecnologia – IIT compiti di servizio in favore del sistema nazionale della ricerca, tra cui la raccolta dei risultati della ricerca svolta negli enti pubblici e la commercializzazione dei brevetti registrati da soggetti pubblici.
In particolare, il comma 2, amplia i compiti della Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia attribuendo alle stessa le funzioni relative:
a) alla sistematizzazione a scopi informativi e di vendita dei risultati della ricerca scientifica e tecnologica svolta negli enti pubblici di ricerca, delle competenze scientifico-tecnologiche e delle infrastrutture di ricerca presenti negli enti stessi;
b) all’istituzione di un sistema per la commercializzazione dei brevetti registrati da università, da enti di ricerca e da ricercatori del sistema pubblico e disponibili per l'utilizzazione da parte delle imprese;
c) alla creazione di un tramite tra le imprese per lo scambio di informazioni e per la costituzione di reti tecnologiche o di ricerca tra esse.
La Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia - IIT, istituita con l’art. 4 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326, è una fondazione privata disciplinata dagli articoli 14 e seguenti del codice civile.
La Fondazione ha sede in Genova e può istituire sedi secondarie, rappresentanze, delegazioni e uffici in Italia e all’estero.
La Fondazione è istituita con le finalità di promuovere lo sviluppo tecnologico e la formazione avanzata del paese. A tale scopo facilita ed accelera lo sviluppo, nel sistema di ricerca nazionale, delle capacità scientifiche e tecnologiche adeguate a favorire la transizione del sistema di produzione nazionale verso assetti tecnologicamente all'avanguardia; sviluppa metodi e competenze innovativi, per agevolare l'introduzione di pratiche di eccellenza nell'ambito della ricerca nazionale; promuove e sviluppa l'eccellenza scientifica e tecnologica sia direttamente, mediante i suoi laboratori di ricerca multidisciplinari, sia indirettamente, mediante collaborazioni con laboratori e gruppi di ricerca nazionali e internazionali; porta avanti programmi di formazione avanzata; crea conoscenza tecnologica, relativa a componentistica, metodica, processi e tecniche da utilizzare per la realizzazione di prodotti e servizi e loro collegamenti; promuove collegamenti con centri d'eccellenza specializzati; promuove l'interazione tra aree di ricerca fondamentale e applicata, incoraggiandone lo sviluppo sperimentale.
Si ricorda che il comma 176, articolo 1, della legge di
stabilità per il 2015 (L. 190/2014), aumenta di 3 milioni di euro dal 2015
l’autorizzazione di spesa destinata alle iniziative di sviluppo tecnologico del
paese e per l’alta formazione tecnologica pari attualmente a 100 milioni di
euro (art. 1, comma 578 del L. 23-12-2005 n. 266).
Ai sensi del comma 3, gli enti pubblici di ricerca sono tenuti a fornire alla Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia le informazioni riguardanti i risultati delle ricerche svolte.
Per parte sua, la
Fondazione è tenuta a distribuire i proventi derivanti dalla vendita o dalla
cessione del diritto d'uso di un brevetto o di un altro titolo di proprietà
intellettuale, al netto dei costi, agli
enti pubblici che le abbiano conferito mandato per la vendita o la cessione.
Con riguardo alla nuova funzione relativa alla gestione della proprietà
intellettuale degli enti pubblici di ricerca e delle università, occorrerebbe
chiarire, anche con riguardo all’autonomia costituzionalmente garantita agli
enti di ricerca, se si tratti di una funzione attribuita in esclusiva all’IIT
ovvero se sia rimessa alle singoli enti la scelta se gestire direttamente la
commercializzazione dei propri brevetti oppure di conferire mandato all’IIT.
Le università possono stipulare accordi, contratti e convenzioni con la Fondazione per la valorizzazione dei risultati della ricerca scientifica e tecnologica, secondo le modalità previste per gli enti pubblici di ricerca.
Inoltre, al fine di diffondere l'innovazione nel sistema delle piccole e medie imprese, la Fondazione può stipulare accordi, convenzioni e contratti con il sistema camerale, con le associazioni delle imprese, con i distretti industriali e con le reti d'impresa.
Il comma 4 reca la copertura finanziaria per le attività di raccolta e commercializzazione dei brevetti previste dal comma 1, valutata in 36,9 milioni di euro per l'anno 2016, 33,3 milioni di euro per l'anno 2017, 40,3 milioni di euro per l'anno 2018 e 35 milioni di euro annui a decorrere dal 2019, cui si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (Fispe).
Articolo 6
(Prestito indiretto per investitori
istituzionali esteri)
L’articolo 6 estende il regime di esenzione della ritenuta alla fonte del 26 per cento degli interessi e degli altri proventi corrisposti a fronte di finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese da parte di enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell’Unione europei, anche ai finanziamenti effettuati dagli investitori istituzionali esteri costituiti in Paesi inseriti nella white list (articolo 6, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 239 del 1996) e soggetti a forme di vigilanza negli Stati in cui sono istituiti.
Mediante la soppressione del riferimento agli organismi di investimento collettivo del risparmio “che non fanno ricorso alla leva finanziaria”, possono accedere all’agevolazione anche enti che fanno ricorso alla leva finanziaria (ad es. fondi speculativi) ancorché privi di soggettività tributaria e purché costituiti nelle zone geografiche di cui supra (Paesi white list). Rispetto alla normativa previgente, la disposizione sembra allargare l’ambito soggettivo di operatività dell’agevolazione anche a enti non residenti in paesi UE o aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo.
Si rammenta che l’articolo 26, comma 5-bis del D.P.R. 600 del 1973, introdotto dall'articolo 22 del DL n. 91 del 2014, ha esentato dalla ritenuta alla fonte del 26 per cento (altrimenti disposta dal comma 5 dell’articolo 26, del medesimo DPR) gli interessi e altri proventi derivanti da finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese, erogati da enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell'Unione europea, imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri dell'Unione europea o organismi di investimento collettivo del risparmio che non fanno ricorso alla leva finanziaria, ancorché privi di soggettività tributaria, costituiti negli Stati membri dell'Unione europea e negli Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo che consentono un adeguato scambio di informazioni.
Tale ritenuta va applicata:
- a titolo di imposta nel caso in cui la stabile organizzazione operi in qualità di tramite tra sostituti di imposta italiani (beneficiari del finanziamento) e soggetti non residenti;
- a titolo di acconto nel caso in cui i proventi siano imputabili a soggetti residenti (Circolare Assonime n. 40 del 10 maggio 1999).
Successivamente il D.L. n. 133 del 2014 (articolo 10, comma 2), ha esteso il predetto regime di esenzione anche agli Istituti di promozione dello sviluppo presenti negli Stati membri (i corrispondenti europei dell’italiana Cassa Depositi e Prestiti).
Articolo 7
(Società di servizio per la
patrimonializzazione
e la ristrutturazione delle imprese)
L’articolo 7 dispone che il Governo promuova l’istituzione di una Società per azioni per la
patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese con sede in Italia
il cui capitale sarà interamente sottoscritto da investitori istituzionali e
professionali. Lo scopo è la ristrutturazione, il sostegno e riequilibrio della
struttura finanziaria e patrimoniale di imprese caratterizzate da adeguate prospettive industriali e di
mercato.
Non è ulteriormente specificato l’ambito di applicazione della disposizione in commento, ed in particolare non è posto alcun limite dimensionale, minimo o massimo (con riferimento, ad esempio, al numero degli addetti), per le imprese che possono beneficiare del sostegno dell’istituenda società.
La Società per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese sostituisce il Fondo di sevizio per la patrimonializzazione delle imprese, istituito dall’articolo 15 del D.L. 133/2014 (c.d. Sblocca Italia) con lo scopo di rilanciare le imprese industriali italiane, a patto che fossero in “equilibrio economico positivo” e che necessitassero di adeguata patrimonializzazione.
Si tratta pertanto di uno strumento caratterizzato da natura e finalità diverse rispetto al Fondo, che era tenuto ad investire in aziende non solo prospetticamente, ma anche correntemente in utile.
L’articolo 15 del D.L. 133 del 2014 (c.d. Sblocca Italia), integralmente sostituito dall’articolo in commento, aveva istituito un Fondo di servizio, avente durata di dieci anni prorogabili, con lo scopo di rilanciare le imprese industriali italiane caratterizzate da “equilibrio economico positivo” ed esigenze di adeguata patrimonializzazione.
Scopo del Fondo era il sostegno finanziario e patrimoniale attraverso nuove risorse volte a favorire, tra l'altro, processi di consolidamento industriale rivolgendosi alle imprese con un numero di addetti non inferiore a 150 e con prospettive di mercato.
Potevano sottoscrivere quote del Fondo i soli investitori istituzionali e professionali: la sua operatività era subordinata alla dotazione minima di 1 miliardo di euro, sottoscritta da almeno tre investitori partecipanti, ciascuno in misura non inferiore al 5 per cento e non superiore al 40 per cento. Tali investimenti dovevano rappresentare complessivamente una quota pari ad almeno il 50 per cento del valore totale dei “prestiti bancari alle imprese italiane non finanziarie”, risultanti dalle rilevazioni periodiche del credito bancario effettuate dalla Banca d'Italia.
Nel corso di un’audizione svolta alla Commissione Ambiente della Camera in occasione dell’esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 133 citato, i rappresentanti della Banca d’Italia avevano messo in evidenza alcune criticità in merito alla formulazione della norma, da una parte, in relazione agli incentivi che avrebbero avuto gli intermediari privati a partecipare al fondo (non essendovi contributi pubblici o altre forme d’incentivo tali da indurre i sottoscrittori a partecipare a un fondo la cui attività sarà regolamentata da decreti ministeriali, anche con riferimento alla remunerazione del capitale versato e alle caratteristiche delle imprese beneficiarie) e, dall’altra, con riguardo alla restrizione dell’attività a imprese che occupano più di 150 addetti, ritenuta in contrasto con l’evidenza empirica secondo cui sono principalmente le imprese di minore dimensione a presentare livelli di patrimonializzazione contenuti.
Il comma 2 specifica le modalità di intervento della Società, che può:
§ investire capitale raccolto in proprio;
§ compiere operazioni di finanziamento;
§ acquisire o succedere in rapporti esistenti anche ridefinendone le condizioni e i termini, al servizio dello sviluppo operativo e dei piani di medio-termine all'uopo predisposti, compreso l'affitto o la gestione di aziende, rami di aziende o siti produttivi.
Ai sensi del comma 3, possono sottoscrivere il capitale della Società i soli investitori istituzionali e professionali e opera secondo i principi propri degli operatori di mercato anche mediante l’utilizzo di strumenti finanziari e veicoli societari.
Si ricorda che il regolamento emittenti della Consob (articolo 34-ter, comma 1 del regolamento adottato con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999 e successivamente modificato nel tempo) definisce come investitori qualificati i soggetti individuati dall’articolo 26, comma 1, lettera d) del regolamento intermediari (regolamento adottato con delibera n. 16190 del 2007, anch’esso successivamente modificato) e, in particolare i cd. clienti professionali, sia pubblici che privati, individuati nell’Allegato 3 del medesimo regolamento intermediari. Il predetto Allegato 3 individua due categorie di clienti professionali: i cd. clienti professionali di diritto, per i quali la qualifica discende direttamente dalla norma, ed i clienti professionali su richiesta. Il predetto allegato 3 enumera tra gli investitori qualificati “di diritto” gli intermediari autorizzati a operare sui mercati finanziari, dunque le banche, le imprese di investimento e di assicurazione, gli OICR, le SGR, le Sicav, i negoziatori sui mercati aderenti a servizi di liquidazione o a sistemi di compensazione e garanzia, i negoziatori per conto proprio di merci e strumenti derivati su merci; gli agenti di cambio, gli investitori istituzionali che investono in strumenti finanziari, nonché le imprese che superino certi limiti dimensionali.
Il comma 3 stabilisce inoltre che la sottoscrizione del capitale azionario della Società o l’apporto al suo patrimonio netto avviene nel quadro di un progetto ad esecuzione progressiva. È prevista anche l’eventuale emissione di azioni di categorie diverse e l’utilizzo di strumenti finanziari, tale varietà di azioni e strumenti è finalizzata a favorire la raccolta presso più tipologie di investitori. Si prevede inoltre che sempre al fine di facilitare la raccolta delle risorse finanziarie necessarie alcuni investitori possano avvalersi anche della garanzia dello Stato sino all’esaurimento delle risorse disponibili, ossia nel limite di 300 milioni di euro. Per gli azionisti che invece decidano di non avvalersi della garanzia dello Stato vengono riconosciuti particolari diritti da definire attraverso la successiva redazione dello statuto della Società.
Il comma 4 si occupa invece degli azionisti che si avvalgono della garanzia dello Stato per apportare capitale nella Società. Si prevede che tale categoria riconosca allo Stato un corrispettivo per la garanzia prestata, in conformità con la normativa dell’Unione Europea, che può incidere anche sulla quota degli utili distribuiti dalla Società. Al riguardo si prevede (comma 6) che la Società deve distribuire almeno i due terzi degli utili prodotti, in modo da garantire un rendimento a coloro che decidono di apportare il capitale di rischio necessario alla costituzione della Società di servizio, il cui obiettivo è ricompreso nella cessione delle partecipate o nel trasferimento dei beni e dei rapporti oggetto di investimento entro un termine che dovrà essere stabilito dal suo statuto.
Ai sensi del comma 5, i soggetti che concorrono alla gestione della Società devono operare in situazione di neutralità e imparzialità indipendenza e terzietà rispetto agli investitori.
Il comma 6 specifica che l’obiettivo della
Società è la cessione delle partecipate ovvero
il trasferimento dei beni e rapporti oggetto del singolo investimento.
L’individuazione del termine massimo entro cui effettuare la cessione o il
trasferimento delle partecipate è rimessa allo statuto. E’ invece specificato
l’obbligo per la società di distribuire
almeno i due terzi degli utili prodotti.
Il comma 7 demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico - subordinato all’autorizzazione dell’Unione europea ai fini della disciplina sugli aiuti di stato - l’individuazione delle caratteristiche e la quota massima di coperture della garanzia, i criteri e le modalità di concessione ed escussione della garanzia stessa e gli obblighi verso lo Stato dei soggetti che si avvalgono della garanzia.
Sotto il profilo della formulazione del testo, occorrerebbe valutare
l’opportunità di precisare la clausola di salvaguardia in materia di aiuti di
stato contenuta nell’ultimo periodo del presente comma, esplicitando che
l'efficacia della disposizione è subordinata all'autorizzazione della
Commissione europea ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea.
Il comma 8 dispone che la concessione della garanzia debba comunque avvenire nel limite di 300 milioni di euro. La copertura delle garanzie prestate dallo Stato avviene attraverso il prelievo di risorse equivalenti dalle disponibilità in conto residui iscritte in bilancio per l’anno 2015, relative all’autorizzazione di spesa prevista dall’articolo 37, comma 6, del decreto-legge n. 66 del 24 aprile 2014, ed il contestuale loro versamento ad apposita contabilità speciale di nuova istituzione da effettuare entro l’anno 2015.
Al riguardo si segnala che il comma 396 della legge di stabilità per l’anno 2015 (legge n. 190/2014) interviene sull’articolo 37, comma 6, del decreto-legge n.66/2014, con il quale è stato istituito presso il Ministero dell’economia un Fondo volto ad integrare le risorse del bilancio statale destinate alle garanzie rilasciate dallo Stato, con una dotazione finanziaria pari ad 1 miliardo di euro per il 2014. Il comma integra tale disposizione con un ulteriore periodo, nel quale si stabilisce, per le finalità di tale Fondo, l’istituzione di una apposita contabilità speciale.
La previsione di tale contabilità sembra riconducibile alla necessità di consentire l’utilizzabilità del suddetto stanziamento – disposto dal comma 6 per il solo anno 2014 - anche negli anni successivi, atteso che il Fondo in questione risulta istituito nell’ambito di una norma, costituita dall’articolo 37 del decreto-legge n.66, volta a favorire la cessione dei crediti, in capo a soggetti esterni alla PA, attinenti ai debiti pregressi delle amministrazioni pubbliche nei confronti di tali soggetti per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali.
L’articolo 37 ha provveduto ad integrare in via generale – mediante il comma 6 - le risorse destinate alle garanzie rilasciate dallo Stato. Risorse che il comma 396 della legge di stabilità per il 2015 fa confluire in una contabilità speciale, attesa la necessità, come prima accennato, di intervento della garanzia anche negli anni successivi al 2014.
A tale finalità sembra rispondere altresì la previsione, recata dal comma 397, mediante cui si dispone che il comma 396 entri in vigore dalla data di pubblicazione della presente legge in Gazzetta Ufficiale (pubblicazione intervenuta il 29 dicembre 2014), in modo da consentire la vigenza della contabilità speciale entro l’esercizio finanziario 2014, decorso il quale – come avverrebbe secondo la decorrenza ordinaria dal 1°gennaio 2015 della legge di stabilità in questione – le risorse stanziate verrebbero a costituire economia di bilancio.
Articolo 8
(Ricorso facoltativo alla provvista CDP
per banche e intermediari finanziari che erogano finanziamenti alle PMI)
L’articolo 8 modifica il meccanismo dei finanziamenti agevolati alle piccole e medie imprese, per gli investimenti in macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature nuovi di fabbrica ad uso produttivo ( c.d. “nuova legge Sabatini”).
La modifica consiste nel ricorso facoltativo e non più obbligatorio all’apposito plafond costituito presso Cassa depositi e prestiti, da parte delle banche e degli intermediari finanziari che erogano i finanziamenti alle piccole e medie imprese per le suddette finalità di investimento. Le banche e le società di leasing potranno dunque concedere i finanziamenti alle PMI, su cui verranno riconosciuti i contributi in conto interessi dello Stato, utilizzando anche provvista autonoma.
Il comma 1, estende infatti la possibilità di usufruire dei contributi statali - che coprono parte degli interessi a carico delle imprese sui finanziamenti bancari, in relazione agli investimenti realizzati - anche alle piccole e medie imprese che abbiano ottenuto finanziamenti erogati dalle banche e intermediari finanziari che ricorrano a provvista autonoma e non alla provvista presso Cassa depositi e prestiti.
Si ricorda che il meccanismo della c.d. “nuova legge Sabatini” prevede (articolo 2, comma 4, del D.L. n. 69/2013) l’erogazione di un contributo statale alle imprese che accedono ai finanziamenti bancari per rinnovare i propri macchinari, a copertura di parte degli interessi. Il contributo è calcolato in rapporto agli interessi sui finanziamenti bancari. Tale contributo è pari all’ammontare degli interessi, calcolati su un piano di ammortamento convenzionale con rate semestrali, al tasso del 2,75% annuo per cinque anni.
Per quanto riguarda i contributi statali per i finanziamenti, si ricorda che il DL 69/2013, articolo 2, ha autorizzato la spesa di 7,5 milioni di euro per l'anno 2014, di 21 milioni di euro per l'anno 2015, di 35 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, di 17 milioni di euro per l'anno 2020 e di 6 milioni di euro per l'anno 2021. Con la legge di stabilità 2015 (comma 243 dell’art. 1 della legge 190/2014), vengono stanziati ulteriori 12 milioni per il 2015, 31,6 milioni per il 2016, 46,6 milioni per il 2017 e per il 2018; 39,1 milioni per il 2019; 31,3 milioni per 2020 e 9,9 per il 2021.
La “nuova Sabatini” prevede inoltre (art. 2, comma 2 del DL 69/2013) l'intervento di Cassa depositi e prestiti, presso la gestione separata della quale viene costituito un plafond, incrementato da 2, 5 a 5 miliardi dalla legge di stabilità 2015 (art. 1, co. 243 della legge 190/2014). Il plafond è utilizzato dalla medesima Cassa per fornire, fino al 31 dicembre 2016, provvista alle banche aderenti alle convenzioni MiSE-ABI-Cdp o le società di leasing, se in possesso di garanzia rilasciata da una banca aderente alle convenzioni, per la concessione di finanziamenti, di importo compreso tra 20.000 e 2 milioni di Euro, alle imprese che intendono effettuare investimenti per rinnovare i propri macchinari.
Per l’intervento della Cassa depositi e prestiti sono richiamate le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 4-bis, del D.L. n. 5/2009, che consentono l'utilizzo delle risorse rivenienti dal risparmio postale e attribuite a Cassa depositi e prestiti S.p.A. per iniziative a favore delle piccole e medie imprese attraverso l'intermediazione di soggetti autorizzati all'esercizio del credito. Il comma 4-bis dell’articolo 3 del D.L. n. 5/2009 dispone in merito all’applicazione dell’articolo 5, comma 7, lettera a) del decreto-legge n. 269 del 2003 in relazione alle forme che possono assumere le operazioni di finanziamento che rientrano nella gestione separata della Cassa depositi e prestiti S.p.A.
Il comma 2 demanda ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, l’individuazione dei requisiti, delle condizioni di accesso e delle modalità di erogazione dei contributi statali, con riguardo all’estensione di essi anche alle imprese che abbiano ottenuto finanziamenti dalle banche, svincolati dal plafond presso Cassa depositi e prestiti.
Il decreto ministeriale previsto dal comma 2 andrà a sostituire o modificare il D.M. 27-11-2013 del Ministero dello sviluppo economico, emanato in attuazione dell'articolo 2 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, in materia di finanziamenti per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte di piccole e medie imprese. Il citato D.M. contiene infatti disposizioni concernenti: i soggetti beneficiari; le caratteristiche del finanziamento; gli investimenti ammissibili; le agevolazioni concedibili; le modalità di presentazione della domanda e procedure per la concessione del contributo; la concessione del contributo; l’erogazione delle agevolazioni; il monitoraggio, i controlli e le ispezioni; le revoche dei benefici.
[1] Si ricorda che il D.Lgs. 10-2-2005 n. 30, Codice della proprietà industriale, a norma dell'articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, ha riordinato la disciplina sui marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali.