Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento ambiente | ||||||||
Titolo: | Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive - Schede di lettura | ||||||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 220 Progressivo: 1 | ||||||||
Data: | 23/09/2014 | ||||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici | ||||||||
Altri riferimenti: |
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Camera dei deputati |
XVII LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Misure urgenti per
l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione
del paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto
idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive D.L. 133/2014 – A.C. 2629 |
Schede di
lettura |
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n. 220/1 |
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23 Settembre 2014 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Ambiente ( 066760-4548 / 066760-9253 – * st_ambiente@camera.it |
Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici: |
Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea ( 066760-2145 – * cdrue@camera.it |
§
Le
schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi. §
Le parti
relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle
procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione
europea. |
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La
documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle
esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e
dei parlamentari. |
File:
D14133 |
INDICE
Disposizioni
in materia di infrastrutture
§ Articolo 2 (Semplificazioni procedurali per le infrastrutture strategiche affidate
in concessione)
§ Articolo 3, commi 1-7 (Fondo “sblocca cantieri”)
§ Articolo 3, commi 8, 9 e 11 (Ulteriori disposizioni riguardanti le opere
strategiche)
§ Articolo 3, comma 12 (Infrastrutture carcerarie)
§ Articolo 5 (Norme in materia di concessioni autostradali)
§ Documenti all’esame delle
istituzioni dell’UE
§ Articolo 6, commi 2-4 (Norme di semplificazione per le procedure
di scavo e di posa aerea dei cavi)
§ Articolo 13 (Misure a favore dei project bond)
§ Documenti all’esame delle
istituzioni dell’UE
§ Articolo 14 (Norma overdesign)
§ Articolo 28, co. 1-2 (Indennità
di volo)
§ Articolo 28, commi 3-8 (Misure
urgenti per migliorare la funzionalità aeroportuale)
§ Articolo 29 (Pianificazione
strategica della portualità e della logistica)
Disposizioni
in materia ambientale
§ Documenti all’esame delle
istituzioni dell’UE
§ Documenti all’esame delle
istituzioni dell’UE
Disposizioni in
materia di edilizia e patrimonio immobiliare pubblico
§ Articolo 17 (Semplificazioni ed
altre misure in materia edilizia)
§ Articolo 18 (Liberalizzazione
del mercato delle grandi locazioni ad uso non abitativo)
§ Articolo 19 (Esenzione da ogni
imposta degli accordi di riduzione dei canoni di locazione)
§ Articolo 20, commi 1-3 (Misure per il rilancio del settore
immobiliare)
§ Articolo 20, comma 4 (Agevolazioni per le dismissioni
immobiliari)
§ Articolo 21 (Misure per
l’incentivazione degli investimenti in abitazioni in locazione)
§ Articolo 26 (Misure urgenti per
la valorizzazione degli immobili demaniali inutilizzati)
§ Articolo 27 (Misure urgenti in
materia di patrimonio dell’INAIL)
Disposizioni
in materia di energia
§ Articolo 37 (Misure urgenti per
l’approvvigionamento e il trasporto del gas naturale)
§ Documenti all’esame delle
istituzioni dell’UE
§ Articolo 38 (Misure per la
valorizzazione delle risorse energetiche nazionali)
§ Articolo 39 (Revisione degli
incentivi per i veicoli a basse emissioni complessive)
§ Documenti all’esame delle
istituzioni dell’UE
Misure per
gli enti territoriali
§ Articolo 16 (Misure di
agevolazioni per gli investimenti privati nelle strutture ospedaliere)
§ Articolo 42 (Disposizioni in
materia di finanza delle Regioni)
§ Articolo 43, commi 1-3 (Fondo di
rotazione per la stabilità finanziaria degli enti territoriali)
§ Articolo 43, commi 4 e 5 (Anticipazione pagamento Fondo di solidarietà
comunale 2014)
§ Articolo 15 (Fondo di servizio
per la patrimonializzazione delle imprese)
§ Articolo 31 (Misure per la
riqualificazione degli esercizi alberghieri)
§ Articolo 32, commi 1-2 (Marina
Resort)
§ Articolo 32, comma 3 (Sistema
telematico centrale della nautica da diporto)
Disposizioni
in materia di ammortizzatori sociali
§ Articolo 40 (Rifinanziamento
degli ammortizzatori sociali in deroga)
§ Articolo 6, comma 5 (Esposizione
a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici)
§ Articolo 12 (Potere sostitutivo nell’utilizzo dei fondi europei)
§ Articolo 25, comma 1 (Misure in
materia di conferenza di servizi)
§ Articolo 44 (Disposizioni
finali)
Articolo 1, commi 1-9
(Disposizioni urgenti per sbloccare
gli interventi sugli assi ferroviari Napoli – Bari e
Palermo-Catania-Messina)
L’articolo 1 prevede la nomina dell’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato S.p.A. a Commissario per la realizzazione delle opere relative alla tratta ferroviaria Napoli-Bari (comma 1) e ne disciplina i compiti e i poteri (comma 2). Ulteriori disposizioni riguardano la pubblica utilità, indifferibilità e urgenza degli interventi (comma 3), nonché il loro finanziamento (comma 7), e le procedure di acquisizione degli atti di assenso sia in conferenza di servizi che successivamente. Le predette disposizioni per la realizzazione delle opere relative alla tratta ferroviaria Napoli-Bari si applicano anche alla realizzazione dell'asse ferroviario AV/AC Palermo – Catania – Messina (comma 9).
Il comma 1 prevede la nomina dell’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato S.p.A. a Commissario per la realizzazione delle opere relative alla tratta ferroviaria Napoli-Bari, inclusa nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) di cui alla legge n. 443 del 2001 (cd. “legge obiettivo”).
L’intervento “Nuovo asse ferroviario Napoli-Bari - Linea AV/AC Napoli-Bari: completamento e raddoppio Napoli-Cancello-Frasso Telesino-Apice-Orsara”, comprende una serie di opere per un importo complessivo di 5.505 milioni di euro, secondo quanto riportato nell’11° Allegato infrastrutture sul quale il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) ha espresso un parere favorevole nella seduta del 1° agosto 2014. Più della metà dei costi risultano ancora da finanziare[1]. A parte la “Variante Cancello-Napoli”[2], il cui progetto preliminare è stato approvato con la delibera CIPE n. 2 del 18 febbraio 2013 (e che ha un costo pari a 813 milioni di euro), tutte le altre opere che costituiscono l’intervento in questione sono allo stadio della progettazione preliminare. Un altro intervento deliberato dal CIPE è il “Raddoppio Cancello-Frasso Telesino”, ma relativamente alla delibera la Corte dei conti ha ricusato il visto e la registrazione[3].
Il 2 agosto 2012 il Ministro per la Coesione territoriale, il Ministro delle Infrastrutture e Trasporti, le Regioni Campania, Basilicata e Puglia, Ferrovie dello Stato e Rete ferroviaria italiana hanno sottoscritto il Contratto Istituzionale di Sviluppo, che riguarda l'esecuzione di lavori sull’intera tratta ferroviaria Napoli-Bari-Lecce-Taranto, il cui costo è pari a 7.116 milioni di euro per 22 interventi. Le disponibilità ammontano a 3.532 milioni.
L’incarico di Commissario ha una durata di due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legge ed è rinnovabile con decreto del Ministro delle infrastrutture, di concerto con il Ministro dell’economia, sulla base anche dei risultati conseguiti e verificati in esito alla rendicontazione di cui al comma 8 (v. infra).
La norma precisa che l’incarico si svolgerà senza compensi aggiuntivi per l’attività del Commissario e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
In relazione alla nomina a Commissario per la realizzazione delle opere relative all’asse ferroviario Napoli-Bari, si ricorda che la normativa vigente prevede diverse figure di commissari straordinari nel settore delle opere pubbliche tra le quali il cd. commissario straordinario “sblocca cantieri”, il cd. commissario straordinario per le opere strategiche e i commissari straordinari per gli investimenti programmati nell’ambito del Quadro strategico nazionale.
La figura del commissario straordinario è stata introdotta per la prima volta dall’art. 13 del decreto legge n. 67 del 1997, convertito dalla legge n. 135 del 1997, provvedimento divenuto noto con il nome di «sbloccacantieri». Successivamente la normativa su tali Commissari straordinari ha subito ulteriori modifiche anche al fine di ampliarne i poteri (si veda l’art. 6 del decreto legge n. 7 del 2005) e consentire ai commissari di operare in deroga alla normativa vigente e di assumere, a determinate condizioni, le funzioni di stazione appaltante.
L’art. 163,
commi 5-10, del Codice dei contratti pubblici prevede, al fine di agevolare la realizzazione delle opere strategiche, la
nomina di commissari straordinari
con poteri più limitati di quelli previsti dall’art. 13, del decreto legge n.
67 del 1997. Essi hanno infatti funzioni di indirizzo e coordinamento: sono
tenuti, a seguire l'andamento delle opere e a provvedere alle opportune azioni
di indirizzo e supporto, promuovendo le occorrenti intese tra i soggetti
pubblici e privati interessati. Il Presidente del Consiglio Il ricorso ai
poteri di cui all’articolo 13 del decreto legge n. 67 del 1997 è eventuale
secondo quanto stabilito dal comma 7 del citato articolo.
Da ultimo, l’art.
20 del D.L. 185/2008, espressamente finalizzato alla velocizzazione delle procedure esecutive di progetti facenti parte del
Quadro strategico nazionale, ha previsto, tra l’altro, l’individuazione,
con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, commissari straordinari delegati chiamati a vigilare sul quadro finanziario degli investimenti e sui tempi di
tutte le fasi di realizzazione degli investimenti medesimi con funzioni sia di
indirizzo e di coordinamento, tra le quali si segnala la proposta di revoca
dell’assegnazione delle risorse e l’esercizio di ogni potere di impulso attraverso il più ampio coinvolgimento
degli enti e dei soggetti coinvolti, sia funzioni operative. Ai sensi del primo
periodo del comma 4 del citato articolo 20, per l’espletamento dei compiti assegnati,
il commissario ha, sin dal momento della nomina, con riferimento ad ogni fase
dell’investimento e ad ogni atto necessario per la sua esecuzione, i poteri,
anche sostitutivi, degli organi ordinari o straordinari.
Il comma 2 attribuisce al Commissario una serie di poteri tra i quali, in primo luogo, l’approvazione dei progetti allo scopo di avviare i lavori relativi a parte dell’intero tracciato entro e non oltre il 31 ottobre 2015. La norma fa genericamente riferimento ai progetti dal che sembrerebbe desumersi che il Commissario è titolato all’approvazione di tutte le categorie di progetti (preliminari, definitivi ed esecutivi). Ciò configura un’attribuzione in deroga alle procedure definite dal Codice dei contratti pubblici, che assegnano al CIPE la competenza relativa all’approvazione dei progetti preliminari e definitivi a seguito delle istruttorie che vedono il coinvolgimento tra l’altro dei Ministeri e delle regioni e delle province autonome interessati sulla base del disposto degli articoli 165 (progetto preliminare), 166 (progetto definitivo) e 167, che contiene le norme generali sull’approvazione dei progetti. E’ lo stesso comma 2 a prevedere che il Commissario trasmetta al CIPE i progetti approvati, il cronoprogramma dei lavori e il relativo stato di avanzamento, segnalando eventuali anomalie e significativi scostamenti rispetto ai termini fissati nel cronoprogramma di realizzazione delle opere, anche ai fini della valutazione di definanziamento degli interventi.
Per finalità di riduzione dei costi e dei tempi di realizzazione dell’opera, con particolare riguardo alla tratta appenninica Apice-Orsara, al Commissario, è assegnato il compito di rielaborare i progetti anche già approvati ma non ancora appaltati.
La norma consente,
inoltre, al Commissario di bandire la gara
anche sulla base dei progetti
preliminari.
La lettera c)
del comma 2 dell’articolo 53 del Codice dei contratti, consente, previa
acquisizione del progetto definitivo in sede di offerta, lo svolgimento della
gara sulla base del progetto preliminare se il contratto ha ad oggetto la
progettazione esecutiva e l'esecuzione di
lavori.
Relativamente
alle infrastrutture strategiche, ai sensi del comma 5-bis dell’articolo 165 del Codice, il soggetto aggiudicatore
provvede alla pubblicazione del bando di gara non oltre novanta giorni dalla
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana della delibera
CIPE di approvazione del progetto preliminare, ove questo sia posto a base di
gara. In caso di mancato adempimento il CIPE, su proposta del Ministero, può
disporre la revoca del finanziamento a carico dello Stato.
Scadenze tassative sono poi stabilite dalla norma per la consegna dei lavori entro centoventi giorni dall’approvazione dei progetti decorrenti dalla conclusione della conferenza dei servizi. In tal caso dovrebbe farsi riferimento ai progetti definitivi considerato che – come dispone il comma 4 – la conferenza di servizi è convocata entro quindi giorni dall’approvazione dei progetti definitivi (v. infra). La norma prevede che il Commissario, per la consegna dei lavori, può adottare procedura d’urgenza.
Andrebbe valutata
l’opportunità di una migliore esplicitazione delle funzioni del Commissario,
anche al fine di chiarire, da un lato, il rapporto tra i poteri attribuiti al
Commissario e le procedure delineate dal Codice dei contratti pubblici,
relativamente all’approvazione dei progetti preliminari e definitivi
riguardanti le infrastrutture strategiche, incluso lo svolgimento della
conferenza di servizi, alla pubblicazione dei bandi di gara e alla consegna dei
lavori, e, dall’altro, il rapporto tra il Commissario e i soggetti (Ministeri,
CIPE, regioni) a cui, nell’ambito di tali procedure, sono assegnate le
competenze. Sarebbe, altresì, opportuno, esplicitare le norme cui il
Commissario deroga nell’espletamento delle proprie attività.
Le decisioni assunte dal
Commissario possono derogare a quanto contenuto nel contratto istituzionale di
sviluppo del 2 agosto 2014.
Al fine di espletare ogni
attività amministrativa, tecnica ed operativa, comunque finalizzata alla
realizzazione della citata tratta ferroviaria, il Commissario si avvale delle
strutture tecniche di Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. senza nuovi o maggiori
oneri per la finanza pubblica.
Ai sensi del comma 6 il Commissario può avvalersi a titolo gratuito, nell’ambito di una apposita convenzione firmata dal Ministro delle infrastrutture, dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A. al fine di gestire i rapporti con i territori interessati per una migliore realizzazione delle opere.
Il comma 8, infine, impone al Commissario di provvedere alla rendicontazione annuale delle spese di realizzazione degli interventi, sulla scorta dei singoli stati di avanzamento dei lavori (SAL), segnalando eventuali anomalie e significativi scostamenti rispetto ai termini fissati nel cronoprogramma di realizzazione delle opere, anche ai fini dell’eventuale valutazione di definanziamento degli interventi.
Anche se la norma non lo specifica in questo punto è presumibile che il Commissario debba segnalare eventuali anomalie e scostamenti al CIPE, anche ai fini della valutazione di definanziamento degli interventi, analogamente a quanto previsto nel comma 2.
In base al comma 3, gli interventi da realizzare sull’area di sedime della tratta ferroviaria Napoli-Bari, nonché quelli strettamente connessi alla realizzazione dell’opera, sono dichiarati indifferibili, urgenti e di pubblica utilità.
In merito alla dichiarazione di pubblica utilità, si ricorda che essa accerta l’esistenza di ragioni di pubblico interesse alla realizzazione di un’opera e attribuisce all’opera medesima una determinata qualità giuridica, che costituisce presupposto per le procedure espropriative.
Diversi sono gli atti che possono comportare la dichiarazione di pubblica utilità: ai sensi dell’art. 12 del D.P.R. 327/2001, infatti, la dichiarazione di pubblica utilità si intende disposta:
a) quando l'autorità espropriante approva a tale fine il progetto definitivo dell'opera pubblica o di pubblica utilità, ovvero quando sono approvati il piano particolareggiato, il piano di lottizzazione, il piano di recupero, il piano di ricostruzione, il piano delle aree da destinare a insediamenti produttivi, ovvero quando è approvato il piano di zona;
b) in ogni caso, quando in base alla normativa vigente equivale a dichiarazione di pubblica utilità l'approvazione di uno strumento urbanistico, anche di settore o attuativo, la definizione di una conferenza di servizi o il perfezionamento di un accordo di programma, ovvero il rilascio di una concessione, di una autorizzazione o di un atto avente effetti equivalenti.
La disciplina concernente l’occupazione d’'urgenza è contenuta nell’art. 22-bis del D.P.R. 327/2001
Relativamente alle infrastrutture strategiche, l’articolo 166 del
Codice dei contratti reca la disciplina del progetto definitivo e del
procedimento di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.
Il comma 4 prevede, per gli interventi in questione, la convocazione di una conferenza di servizi entro 15 giorni dall'approvazione dei progetti definitivi.
Lo stesso comma disciplina i casi di assenza o di dissenso, prevedendo che:
§ qualora il rappresentante di un'amministrazione invitata sia assente o, comunque, non dotato di adeguato potere di rappresentanza, la conferenza delibera prescindendo dalla sua presenza e dall’adeguatezza del citato potere;
§ il dissenso manifestato in sede di conferenza dei servizi deve essere motivato e recare, a pena di non ammissibilità, le specifiche indicazioni progettuali necessarie ai fini dell'assenso;
§ in caso di motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, territoriale, del patrimonio culturale o della salute, la questione è rimessa alla decisione del Commissario, che si pronuncia entro quindici giorni, previa intesa con la Regione o le Regioni interessate, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali, ovvero previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali. Nel caso di mancato raggiungimento dell’intesa entro sette giorni, la decisione del Commissario può essere comunque adottata.
Una speciale
disciplina è prevista dall’articolo 165 Codice dei contratti per lo svolgimento
della conferenza dei servizi che si svolge sul progetto preliminare con
riguardo alla realizzazione delle infrastrutture strategiche. Il comma 6 di
tale articolo disciplina il procedimento in caso di motivato dissenso delle regioni
o province autonome.
Al riguardo, si fa notare che la
disposizione demanda la decisione al Commissario in deroga al comma 3
dell’articolo 14-quater della legge n. 241 del 1990 che prevede, in tali casi e
sulla base della procedura ivi disciplinata, la deliberazione del Consiglio dei
Ministri ma che, per espressa previsione della norma, non si applica ad
infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse
nazionale. Con la disposizione in esame, pertanto, si consente l’intervento in
via sostitutiva del Commissario, laddove la norma generale esclude tale
possibilità in favore del Consiglio dei Ministri.
L’art. 14-quater della L. 241/1990 dispone, al comma 1, che il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni ivi comprese quelle preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, regolarmente convocate alla conferenza di servizi, a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso. Lo stesso comma precisa che resta fermo quanto previsto dall'articolo 26 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 in materia di valutazione di impatto ambientale. Il comma 3 dell’art. 14-quater, al primo periodo prevede che “al di fuori…delle infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, di cui alla parte seconda, titolo terzo, capo quarto del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni” ove venga espresso motivato dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la questione è rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, che si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la Regione o le Regioni e le Province autonome interessate, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali, ovvero previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali.
Il comma 5 stabilisce che i pareri, i visti e i nulla-osta relativi agli interventi in questione, necessari anche successivamente alla conferenza di servizi, devono essere resi dalle amministrazioni competenti entro 30 giorni dalla richiesta e, decorso inutilmente tale termine, si intendono acquisiti con esito positivo (silenzio-assenso).
Il comma 7 prevede che la realizzazione delle opere relative alla tratta ferroviaria Napoli – Bari è eseguita a valere sulle risorse previste nell’ambito del Contratto di programma stipulato tra RFI e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Asse ferroviario AV/AC Palermo – Catania – Messina (comma 9)
Il comma 9 estende l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi da 1 a 8 alla realizzazione dell'asse ferroviario AV/AC Palermo – Catania – Messina.
L’asse
ferroviario AV/AC Palermo – Catania – Messina è anch’esso incluso nel Programma
delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443/2001.
Il 28 febbraio 2013 il Ministro per la Coesione territoriale, il Ministro delle Infrastrutture e Trasporti, la Regione Siciliana, Ferrovie dello Stato e Rete ferroviaria italiana hanno sottoscritto il Contratto Istituzionale di Sviluppo, che riguarda l'esecuzione di lavori sulla direttrice ferroviaria Messina-Catania-Palermo, il cui costo è pari a 5.106 milioni di euro per 14 interventi. Le disponibilità ammontano a 2.426 milioni.
Articolo 1, commi 10 e 11
(Approvazione del Contratto di Programma
con RFI e dei contratti di programma sottoscritti dall'ENAC con i gestori degli scali aeroportuali di interesse
nazionale)
Il comma 10 dell’art. 1 dispone:
a) l’approvazione del Contratto di Programma 2012-2016 parte Investimenti tra RFI e MIT, stipulato l’8 agosto 2014, con la finalità di consentire la prosecuzione degli interventi sulla rete ferroviaria nazionale;
b) l’assegnazione di una quota pari a 220 milioni di euro di risorse già stanziate, quale contributo in conto impianti a favore di RFI per gli interventi di manutenzione straordinaria previsti nel Contratto di Programma parte Servizi 2012-2014.
a) Per quanto riguarda l’approvazione del Contratto di programma, parte investimenti, 2012-2016, recentemente, il D.L. n. 16/2014 (art. 17,comma 4-bis), aveva autorizzato il proseguimento della regolazione dei rapporti tra lo Stato e il Gestore dell'infrastruttura ferroviaria (Rete ferroviaria italiana S.p.A.) sulla base del Contratto di programma 2007-2011, fino alla conclusione della procedura di approvazione del Contratto di programma -parte investimenti 2012-2016, al fine di consentire la prosecuzione degli interventi sulla rete ferroviaria nazionale e l'attuazione dei relativi programmi di investimento. La norma aveva fissato il termine massimo del 30 giugno 2014 per la conclusione della procedura di approvazione del Contratto di programma, parte investimenti 2012-2016.
Per quanto riguarda la procedura di approvazione dei Contratti di Programma. l’art. 1 della legge n. 238 del 1993 prevede la trasmissione al Parlamento dei contratti di programma e dei contratti di servizio delle Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A., stabilendo in particolare che il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti trasmetta al Parlamento, per l'espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia, i contratti di programma, i contratti di servizio ed i relativi aggiornamenti, corredati del parere, ove previsto, del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica
Si
segnala quindi che la procedura di approvazione del Contratto di programma qui
delineata, tramite disposizione normativa contenuta nel decreto-legge, non
rispetta il dettato della legge n. 238/1993 che prevede il parere delle
Commissioni parlamentari competenti sugli schemi di Contratto.
Si ricorda che l'art. 14 del D.Lgs 188/2003 dispone che i rapporti tra il gestore dell'infrastruttura ferroviaria e lo Stato sono disciplinati da un atto di concessione e da un contratto di programma. Il contratto di programma mira alla realizzazione dell'equilibrio finanziario e degli obiettivi tecnici e commerciali e indica i mezzi per farvi fronte. Il contratto di programma disciplina, nei limiti delle risorse annualmente iscritte nel bilancio dello Stato, la concessione di finanziamenti per far fronte a nuovi investimenti, per la manutenzione ed il rinnovo dell'infrastruttura ferroviaria, per il miglioramento della qualità dei servizi, per lo sviluppo dell'infrastruttura stessa e per assicurare il rispetto dei livelli di sicurezza compatibili con l'evoluzione tecnologica.
Con l'atto di concessione quarantennale di cui al decreto ministeriale 31 ottobre 2000 n. 138-T, la gestione dell'infrastruttura ferroviaria è stata affidata in un primo tempo a Ferrovie dello Stato Spa, alla quale è subentrata, a decorrere dal 2001, la controllata RFI Spa. La società, controllata al 100% dal gruppo Ferrovie dello Stato Spa, a sua volta controllato al 100% dal Ministero dell'economia e delle finanze, è stata costituita il 1° luglio 2001, in adempimento delle direttive comunitarie che hanno decretato la separazione fra il gestore della rete e il fornitore dei servizi di trasporto.
b) Per quanto riguarda l’assegnazione di una quota pari a 220 milioni di euro di risorse già stanziate, quale contributo in conto impianti a favore di RFI per gli interventi di manutenzione straordinaria previsti nel Contratto di Programma parte Servizi 2012-2014, si ricorda che tale parte Servizi del Contratto di programma è stata approvata con Delibera CIPE n. 22 del 18 marzo 2013 e sullo schema di Contratto le Competenti Commissioni parlamentari hanno espresso parere: la IX Commissione Trasporti della Camera ha espresso il 19 novembre 2013 parere favorevole con condizioni e osservazione.
Si ricorda che il contratto di programma consta di una parte investimenti, che disciplina la realizzazione degli investimenti per l'infrastruttura ferroviaria e le relative modalità di finanziamento, e di una parte servizi, che disciplina la manutenzione ordinaria e straordinaria della rete ferroviaria, e le attività di safety, security e navigazione ferroviaria, secondo adeguati livelli di efficienza, sicurezza e affidabilità, nonché le modalità di finanziamento delle suddette attività. La suddivisione del contratto di programma in questi due atti distinti è stata richiesta dalla delibera CIPE n. 4/2012 del 20 gennaio 2012, con la quale è stato approvato l'aggiornamento 2010/2011 del contratto di programma 2007-2011.
Il contratto di programma – parte servizi 2012-2014 prevede stanziamenti complessivi, per il triennio 2012-2014 pari a 4.575 milioni di euro, dei quali 720 milioni di euro sono indicati come risorse ancora “da reperire”, imputate all’annualità 2014 (il totale dello stanziamento per il 2014 è 975 milioni di euro). In proposito, il parere approvato dalla IX Commissione, segnala che, come già evidenziato nel parere espresso dal CIPE del 22 marzo 2013, “l’importo di 720 milioni di euro per l’anno 2014 si riferisce a fabbisogni non correlati a una specifica copertura finanziaria, per cui gli obblighi assunti dal Gestore in riferimento al programma di manutenzione straordinaria per il 2014 devono intendersi subordinati all’individuazione di tale copertura”; al riguardo, la legge di stabilità 2014 (legge n. 147/2013, art. 1, co. 73) ha previsto un’integrazione delle risorse disponibili di 500 milioni di euro mentre con la disposizione in commento si provvede al reperimento di 220 milioni di euro residui.
Il Contratto di programma, parte Servizi 2012-2014, contiene anche, all'allegato 6, indicazioni sulle linee di intervento previste da RFI in materia di manutenzione straordinaria e l'articolo 5 prevede l'obbligo, per il gestore, di avviare una revisione dei processi manutentivi, con l'obiettivo di garantire le performance di rete contrattualizzate e conseguire un risparmio di spesa di circa 250 milioni di euro all'anno rispetto al dato storico dei costi di manutenzione.
Per approfondimenti sul contenuto del Contratto di programma 2012-2014, parte Servizi, si rinvia al relativo dossier del Servizio Studi.
Il comma 11 dell’art. 1 dispone l’approvazione con decreto ministeriale dei contratti di programma sottoscritti dall'ENAC con i gestori degli scali aeroportuali di interesse nazionale, per consentire l'avvio degli investimenti previsti nei contratti di programma.
La procedura delineata prevede l’approvazione con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti da adottarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, che dovrà esprimersi improrogabilmente entro trenta giorni.
Si ricorda che il gestore aeroportuale è il soggetto al quale è affidato, insieme ad altre attività, il compito di amministrare e di gestire le infrastrutture aeroportuali e di coordinare e controllare le attività dei vari operatori presenti nello scalo, riconoscendogli il ruolo di soggetto responsabile dell'efficienza ed operatività dell'aeroporto in regolarità e sicurezza. Esistono tre diverse tipologie di gestione aeroportuale:
· aeroporti affidati in gestione totale
· aeroporti affidati in gestione parziale anche in regime precario
· aeroporti in gestione diretta dello Stato
I contratti di programma sono stipulati tra l'Enac e le società di gestione aeroportuale. Essi disciplinano il profilo tariffario, la realizzazione del piano degli investimenti e il rispetto degli obiettivi di qualità e di tutela ambientale.
L’ENAC ha anche il compito di predisporre le convenzioni che disciplinano l'affidamento in concessione delle gestioni aeroportuali totali e di definire i metodi e gli strumenti per il controllo degli obblighi convenzionali da parte dei gestori. L'affidamento della gestione totale avviene a società di capitali. L'idoneità del gestore aeroportuale ad espletare le attività è attestata dalla certificazione rilasciata dall'Enac.
Per quanto riguarda gli aeroporti di interesse nazionale, l’art. 698 del Codice della navigazione impone l’individuazione degli aeroporti e sistemi aeroportuali di interesse nazionale, da individuare (con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni-Province autonome) in base ai seguenti criteri: ruolo strategico; ubicazione territoriale; dimensioni e tipologia di traffico; - previsioni dei progetti europei TEN.
La normativa generale (art. 10, comma 10 della legge n. 537/1993) prevede che i singoli contratti di programma siano approvati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’economia.
In tal senso la disposizione
in commento innova la normativa della legge n. 537/1993 consentendo
l’approvazione di tutti i contratti di programma con un unico atto del Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti e individuando termini perentori per la
stipula dei contratti.
Si segnala inoltre che gli articoli da 71 a 82 del decreto-legge n. 1/2012 hanno recepito la direttiva 2009/12/CE in materia di diritti aeroportuali. In particolare, l’articolo 76 prevede che il gestore aeroportuale provveda, previa consultazione degli utenti aeroportuali (le compagnie aeree operanti nello scalo), alla scelta di uno dei modelli tariffari per la determinazione dei diritti individuati dall’autorità di regolazione di settore, cioè l’Autorità di regolazione dei trasporti istituita dall’articolo 37 del decreto-legge n. 1/2012.
In base alla norma transitoria dell’articolo 22, comma 3, del decreto-legge n. 5/2012 la nuova normativa avrebbe dovuto essere applicata ai contratti di programma stipulati successivamente al 31 dicembre 2012; tuttavia essa non ha fin qui trovato applicazione in assenza dell’individuazione da parte dell’Autorità dei trasporti dei modelli tariffari.
L’Autorità, operativa dal gennaio 2014, ha infatti avviato con la delibera n. 16/2014 una consultazione sui modelli tariffari, conclusa nel giugno 2014. Il provvedimento di adozione dei modelli tariffari è stato adottato dall’Autorità il 22 settembre 2014, successivamente all’entrata in vigore del decreto-legge.
L’effetto della disposizione
potrebbe pertanto essere quello di consentire la chiusura di tutti i contratti
di programma in itinere prima
dell’adozione dei modelli tariffari da parte dell’Autorità dei trasporti,
rinviando così alla scadenza dei contratti di programma ora stipulati la prima
applicazione della disciplina recata dal decreto-legge n. 1/2012, in
recepimento della direttiva 2009/12/CE, che prevede anche la consultazione
degli utenti aeroportuali. Sul punto appare opportuno acquisire un chiarimento
da parte del Governo.
Risultano, dal sito Enac, già stipulate le convenzioni con i seguenti aeroporti:
· Gestioni totali per legge speciale: Roma Fiumicino e Ciampino, Milano Linate e Malpensa, Venezia Tessera, Torino Caselle, Genova, Bergamo;
· Gestioni totali ex DM 521/97): Bari, Brindisi, Foggia, Taranto, Napoli, Firenze, Olbia, Bologna, Pisa, Cagliari, Catania, Palermo, FVG Ronchi dei Legionari, Alghero, Pescara, Verona Villafranca, Lamezia Terme, Brescia Montichiari, Ancona, Trapani, Treviso, Parma, Cuneo, Perugia.
· Gestione diretta dello Stato: Pantelleria, Lampedusa e Roma Urbe.
Dal confronto tra tali elenchi risultano ancora non approvate le convenzioni relative ai seguenti aeroporti: Rimini (avviata la procedura di gara per l'affidamento della concessione di gestione totale ai sensi dell'art. 704 del Codice della Navigazione), Salerno (sottoscritta la convenzione di gestione totale con Aeroporto di Salerno s.p.a.. per la durata di 20 anni), Reggio Calabria (istruttoria in corso), Crotone (in gestione parziale con istruttoria sospesa per società di gestione in concordato preventivo). L’aeroporto di Comiso è uno scalo affidato dalla Regione Siciliana al Comune di Comiso.
Dal sito ENAC risultano già stipulati tra Enac e società di gestione e già efficaci a seguito di approvazione con Decreto Interministeriale (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Ministero dell'Economia e delle Finanze) i seguenti contratti di programma:
Enac - SAC (Aeroporto di Catania)
Enac - SAVE (Aeroporto di Venezia)
Enac - GESAP (Aeroporto di Palermo)
Enac - SAT (Aeroporto di Pisa)
Enac - GESAC (Aeroporto di Napoli)
Enac - AdP (Aeroporto di Bari)
Enac - AdP (Aeroporto di Brindisi)
Enac - SAB (Aeroporto di Bologna)
Enac - SEA (Aeroporti di Milano)
Enac - ADR (Aeroporti di Roma)
Enac - SOGAER (Aeroporto di Cagliari).
Il futuro “Piano Nazionale degli Aeroporti”, preannunciato dal Ministro delle infrastrutture a trasporti lo scorso gennaio e che dovrà essere emanato con decreto del Presidente della Repubblica, individua 11 aeroporti strategici e 26 aeroporti di interesse nazionale. Gli aeroporti strategici sono: Milano Malpensa; Venezia; Bologna; Pisa/Firenze (a condizione che realizzino una gestione unitaria); Roma Fiumicino; Napoli; Bari; Lamezia; Catania; Palermo; Cagliari. I restanti aeroporti di interesse nazionale sono Milano Linate, Torino, Bergamo, Genova, Brescia, Cuneo, Verona, Treviso, Trieste, Rimini, Parma, Ancona, Roma Ciampino, Perugia, Pescara, Salerno, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Crotone, Comiso, Trapani, Pantelleria, Lampedusa, Olbia, Alghero.
Il comma 11 prevede poi, per gli stessi aeroporti di interesse nazionale, che il parere favorevole espresso dalle Regioni e dagli enti locali interessati sui piani regolatori aeroportuali in base alle disposizioni del regolamento recante disciplina dei procedimenti di localizzazione delle opere di interesse statale di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 383, comprenda ed assorba, a tutti gli effetti, la verifica di conformità urbanistica (quale quella prevista rispetto agli strumenti di programmazione urbanistica e territoriale dei diversi enti territoriali) delle singole opere inserite negli stessi piani regolatori.
In base all’articolo 702 del codice della navigazione, “l’approvazione dei progetti di costruzione, di ampliamento, di ristrutturazione, di manutenzione straordinaria e di adeguamento delle infrastrutture aeroportuali […] è di spettanza dell’ENAC, anche per la verifica di conformità alle norme di sicurezza, nel rispetto delle funzioni di pianificazione, programmazione e di indirizzo del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti”.
Il D.P.R. 383/1994 disciplina i procedimenti di localizzazione delle opere pubbliche da eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio statale e delle opere pubbliche di interesse statale, da realizzarsi dagli enti istituzionalmente competenti. La realizzazione delle infrastrutture aeroportuali rientra quindi nell’ambito di applicazione del DPR.
L’art. 2 di tale decreto disciplina l’accertamento di conformità delle citate opere alle prescrizioni delle norme e dei piani urbanistici ed edilizi. Tale accertamento è svolto, ai sensi del medesimo articolo, dallo Stato di intesa con la regione interessata, entro sessanta giorni dalla richiesta da parte dell'amministrazione statale competente.
Qualora l'accertamento di conformità dia esito negativo oppure l'intesa non si perfezioni entro il termine stabilito, la decisione viene demandata ad una conferenza di servizi a cui partecipano la regione e, previa deliberazione degli organi rappresentativi, il comune o i comuni interessati, nonché le altre amministrazioni dello Stato e gli enti comunque tenuti ad adottare atti di intesa, o a rilasciare pareri, autorizzazioni, approvazioni, nulla osta, previsti dalle leggi statali e regionali.
Articolo 2
(Semplificazioni procedurali per le
infrastrutture strategiche affidate in concessione)
L’articolo 2 introduce la possibilità di caducazione delle concessioni relative a infrastrutture strategiche nel caso di mancata attestazione della sostenibilità economico-finanziaria dei vari stralci delle infrastrutture stesse e disciplina l’applicazione di alcune norme in materia di concessioni alle infrastrutture in finanza di progetto le cui proposte sono dichiarate di pubblico interesse.
In particolare, il comma 1 introduce una disposizione che – con riferimento alla realizzazione di infrastrutture strategiche in concessione, nell’ipotesi di sviluppo del progetto per stralci funzionali o, nei casi più complessi, di successive articolazioni per fasi – consente al bando di gara di prevedere l’integrale caducazione della concessione stessa, con la conseguente possibilità in capo al concedente di rimettere a gara la concessione per la realizzazione dell’intera opera. Tale norma viene inserita attraverso il comma 4-ter, che è aggiunto alla fine dell’articolo 174 del Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui al d.lgs. 163/2006, che disciplina le concessioni relative alle infrastrutture strategiche private di preminente interesse nazionale individuate con il programma di cui al comma 1 dell'articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (cd. “legge obiettivo”).
Tale facoltà potrà essere esercitata qualora, entro un termine (da indicare nel bando stesso) non superiore a 3 anni dalla data di approvazione da parte del CIPE del progetto definitivo dello stralcio/i funzionale/i immediatamente finanziabile/i, la sostenibilità economico finanziaria degli stralci successivi non sia attestata da primari istituti finanziari.
La disposizione è pressoché identica a quella contemplata dal primo periodo del secondo capoverso del nuovo punto 5.2 della delibera CIPE n. 1/2013 (così modificato dalla delibera CIPE n. 72/2013, pubblicata nella G.U. n. 135 del 13 giugno scorso), intitolata “Direttiva in materia di attuazione delle misure di compensazione fiscale previste dall'articolo 18, della legge n. 183/2011”.
La delibera 1/2013, lo si ricorda, ha attuato il sistema di misure agevolate (defiscalizzazione) per le infrastrutture strategiche da realizzare con contratti di partenariato pubblico-privato (PPP) finalizzate ad assicurare la sostenibilità economica dell'operazione di PPP.
La motivazione alla base della modifica del punto 5.2. della delibera 1/2013 è rinvenibile nelle premesse della delibera 72/2013, che fanno riferimento alle considerazioni contenute nel parere n. 7 del 6 novembre 2013 del Nucleo di consulenza per l’attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilita (NARS), in merito allo schema di convenzione concernente il «Corridoio di viabilità autostra- dale Dorsale centrale Civitavecchia - Orte - Mestre: tratta E45-E55 (collegamento autostradale Orte - Mestre)», che ha condiviso tale modifica, avanzata dal Ministero di settore e finalizzata a rafforzare le prerogative del concedente e assicurare il preminente interesse pubblico dell’opera, e ha rilevato l’opportunità di inserirla nella delibera 1/2013 al fine di disciplinare esplicitamente la fattispecie ed evitare divergenze interpretative. La modifica ora assurge a norma di rango primario in conseguenza del suo inserimento nell’articolo 174 del Codice dei contratti pubblici, che disciplina le infrastrutture strategiche affidate in concessione.
Il comma 2 detta una disposizione transitoria al fine di precisare che la disposizione non si applica alle concessioni ed alle procedure in finanza di progetto con bando già pubblicato alla data di entrata in vigore del presente decreto legge. Nel contempo, il comma 3 provvede ad estendere a regime l’applicazione di tutta la disciplina relativa alle infrastrutture strategiche affidate in concessione di cui all’articolo 174 del Codice, incluso ovviamente il nuovo comma 4-ter inserito dal comma 1 dell’articolo in commento, alle procedure in finanza di progetto; tale estensione è operata attraverso l’integrazione del comma 5-bis dell’articolo 175 del Codice dei contratti, che disciplina le infrastrutture strategiche in finanza di progetto.
L’articolo 41,
comma 5-bis, del D.L. n. 201/2011 ha
integralmente sostituito l’articolo 175 del Codice introducendo una nuova
procedura per la finanza di progetto relativamente alle infrastrutture
strategiche.
Il comma 5-bis dell’articolo 175, su cui interviene
la disposizione in commento, già prevede che, al fine di assicurare adeguati
livelli di bancabilità e il coinvolgimento del sistema bancario nelle predette
operazioni, si applichino in quanto compatibili, le disposizioni contenute
all'articolo 144, commi 3-bis, 3-ter e 3-quater del Codice, introdotte dal comma 1 dell’articolo 19 del D.L.
69/2013, che disciplinano i contenuti dei bandi relativi alle concessioni di
lavori pubblici relativamente alla previsione della consultazione preliminare,
di una dichiarazione sottoscritta da uno o più istituti finanziatori di manifestazione
di interesse a finanziare l'operazione (che deve accompagnare l’offerta),
nonché della risoluzione del rapporto in caso di mancata sottoscrizione del
contratto di finanziamento o in mancanza della sottoscrizione o del
collocamento delle obbligazioni di progetto di cui all'articolo 157, entro un
congruo termine fissato dai bandi medesimi.
Il comma 4, infine, interviene sull’applicazione delle norme in materia di concessioni introdotte dal comma 1 dell’articolo 19 del D.L. 69/2013, estendendola agli interventi da realizzare in finanza di progetto le cui proposte sono state già dichiarate di pubblico interesse alla data di entrata in vigore del citato decreto legge n. 69 del 2013.
Il comma 2
dell’articolo 19 del D.L. 69/2013 detta, infatti, una disciplina transitoria
per l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1, lettere b), c), d) ed
e) dello stesso articolo 19.
Si tratta, in
sintesi, dei commi 3-bis, 3-ter e 3-quater dell’articolo 144 del Codice, introdotti dalla lettera b)
del comma 1 dell’articolo 19 e precedentemente descritti, nonché
dell’applicabilità di tali disposizioni, in quanto compatibili, alla disciplina
delle concessioni in finanza di progetto relative ai lavori “ordinari” e
all’affidamento di opere strategiche, al fine di assicurare adeguati livelli di
bancabilità e il coinvolgimento del sistema bancario nell'operazione.
Tali
disposizioni, in conseguenza della novella in commento, non si applicano alle
procedure in finanza di progetto, di cui agli articoli 153 e 175 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, con bando già pubblicato alla data di entrata in
vigore del decreto n. 69/2013. E’ stato, infatti, soppresso il riferimento agli
interventi da realizzare mediante finanza di progetto le cui proposte sono
state già dichiarate di pubblico interesse alla data di entrata in vigore del
decreto n. 69/2013. Si ricorda che la valutazione del pubblico interesse delle
proposte è disciplinata dai commi 16 e 19 dell’articolo 153 del d.lgs.
163/2006, che disciplina le procedure di finanza di progetto relative ai lavori
ordinari.
La norma in
commento sembra venire incontro alle richieste della Corte dei conti contenute nella deliberazione
n. SCCLEG/16/2014/PREV,
con cui è stato ricusato il visto e
la registrazione della delibera n.
73 dell’8 novembre 2013 avente ad oggetto l’approvazione del progetto preliminare del collegamento
autostradale E45-E55 Orte – Mestre. La Corte dei conti ha, infatti,
eccepito l’assenza di una norma che escludesse l’opera dall’ambito di
applicazione dell’articolo 19, comma 2, del D.L. 69/2013, ossia consentisse di
estendere a tale opera le disposizioni introdotte dal comma 1 del citato
articolo 19, considerato che l’opera in questione è stata dichiarata di
pubblico interesse il 9 dicembre 2003 e quindi ben prima dell’entrata in vigore
del decreto legge n. 69 del 2013. La mancanza della norma è stata “considerata
presupposto imprescindibile ai fini della pubblicazione del bando di gara”.
Relativamente al collegamento Orte Mestre, le misure di defiscalizzazione –
secondo quanto si evince dalla deliberazione della Corte dei conti –
ammonterebbero a circa 9.237 milioni da intendere come limite massimo
riconoscibile che non potrà essere superato durante l’intera durata della
concessione.
Articolo 3, commi 1-7
(Fondo “sblocca cantieri”)
Il comma 1 prevede un rifinanziamento
di 3.890 milioni di euro del Fondo istituito
nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
dal comma 1 dell’articolo 18 del D.L. 69/2013 (cd. “sblocca cantieri”, d’ora in avanti Fondo) con la seguente articolazione temporale:
§
39
milioni di euro per il 2013;
§
26
milioni di euro per il 2014;
§
231
milioni di euro per il 2015;
§
159
milioni di euro per il 2016;
§
1.073
milioni di euro per il 2017;
§
2.066
milioni di euro nel 2018;
§
148
milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020.
La norma precisa che il
rifinanziamento del Fondo è volto a consentire nell'anno 2014 la continuità dei
cantieri in corso o il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati
all'avvio dei lavori.
Si precisa che le somme
finalizzate al rifinanziamento del Fondo per l’anno 2013 - esercizio finanziario ormai concluso - verranno iscritte in conto residui nell’esercizio 2014, in
quanto derivanti dalle disponibilità, iscritte in conto residui, derivanti
dalle revoche disposte dall'articolo 13, comma 1, del decreto-legge n. 145 del
2013, come precisato nella relazione tecnica e al successivo comma 4, lettere
a).
Il comma 1 dell’articolo 18 del decreto-legge n. 69 del 21 giugno 2013 ha istituito, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un Fondo con una dotazione complessiva pari a 2.069 milioni di euro ripartita per cinque anni, dal 2013 al 2017. L’individuazione degli interventi a cui assegnare le risorse è stata demandata rispettivamente a decreti interministeriali (comma 2) o a delibere del CIPE (comma 3).Il comma 11 ha previsto la revoca dei finanziamenti assegnati a valere sul Fondo, nel caso in cui, entro il 31 dicembre 2013, non siano conseguite le finalità indicate al comma 1, la continuità dei cantieri in corso o il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all’avvio dei lavori[4]. Il comma 11-bis dell’articolo 25 del citato decreto legge n. 69 del 2013 ha attribuito prioritariamente le risorse del Fondo di cui al comma 1 dell’articolo 18, revocate in base a quanto disposto dal comma 11 del medesimo articolo, ad alcuni interventi ed infrastrutture ivi elencati.
Interventi finanziabili (commi
2 e 3)
Il comma 2 prevede l’emanazione di uno o più decreti del Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia
e delle finanze, con cui si provvede all'assegnazione delle risorse occorrenti,
a valere sulle risorse del fondo stanziate dal comma 1. Rispetto alle modalità
di assegnazione del Fondo definite nell’articolo 18 del D.L. 69/2013, che fanno
rinvio a decreti interministeriali e a delibere del CIPE, si prevede, pertanto,
solo l’emanazione di decreti interministeriali.
E’ lo stesso comma 2 ad
elencare gli specifici interventi da
finanziare suddividendoli in tre categorie e a disporre che, per gli
interventi compresi nelle opere di cui alle lettere a) e b), i decreti vengano
adottati entro trenta giorni
dall’entrata in vigore del decreto-legge, mentre, per gli interventi inclusi
nella lettera c), vengano adottati entro trenta giorni dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del decreto. La norma non precisa l'entità
delle risorse che verranno destinate ai singoli interventi in quanto
l'assegnazione delle risorse è demandata ai decreti interministeriali; una
stima indicativa dei fabbisogni è indicata nella relazione tecnica. L'unico
vincolo nella destinazione delle risorse fissato nella norma è quello stabilito
nel comma 3, che riserva 100 milioni di
euro agli interventi di completamento di beni immobiliari demaniali di
competenza dei Provveditorati interregionali alle opere pubbliche.
Di seguito sono dettagliati
gli interventi finanziabili, raggruppati nelle tre diverse categorie di cui
alle lettere a), b) e c) del comma 2.
Interventi ex articoli 18 e 25 del D.L. 69/2013
cantierabili entro il 31 dicembre 2014 (lettera a)
-
Completamento
della copertura del Passante
ferroviario di Torino;
L’intervento è riportato nella lettera a)
del comma 11-bis dell’articolo 25 del
D.L. 69/2013, tra quelli a cui sono attribuite prioritariamente le risorse del
Fondo di cui al comma 1 dell’articolo 18, revocate in base a quanto disposto
dal comma 11 del medesimo articolo.
-
Asse autostradale
Trieste-Venezia;
La lettera d) del comma 11-bis dell’articolo 25 del D.L. 69/2013, include la realizzazione della terza corsia della tratta autostradale A4 Quarto d'Altino-Villesse-Gorizia, tra quelli a cui sono attribuite prioritariamente le risorse del Fondo di cui al comma 1 dell’articolo 18, revocate in base a quanto disposto dal comma 11 del medesimo articolo, al fine di consentire l'attuazione dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3702/2008. Secondo quanto indicato nella tabella 0 del 12° allegato infrastrutture, presentato al Parlamento nell’aprile 2014, l’opera ha un costo di 1.684,720 milioni di euro interamente disponibili[5].
-
Completamento del
sistema idrico Basento - Bradano, Settore G;
L’intervento
non risulta compreso tra quelli di cui agli articoli 18 e 25 del decreto legge
n. 69 del 2013, articoli che sono richiamati nella lettera a) del comma 2
dell’articolo in commento.
L'opera “Completamento schema idrico Basento
Bradano-Attrezzamento settore G”, che è compresa nel Programma delle infrastrutture
strategiche di cui alla legge n. 443/2001 (cd. “legge obiettivo”), contribuisce
alla razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse idriche della Regione
Basilicata e riguarda le opere necessarie per l’adduzione e la distribuzione
irrigua del distretto G (che si estende per circa 13.050 ha) nel piano di
utilizzazione dello Schema idrico Basento-Bradano[6]. Secondo quanto indicato nella tabella
0 del 12° allegato infrastrutture, presentato al Parlamento nell’aprile 2014,
l’opera ha un costo di 85,7 milioni di euro interamente disponibili. Il comma 1
dell’articolo 13 del D.L. 145/2013 ha previsto, tra l’altro, che le
assegnazioni disposte dalla delibera
CIPE n. 146 del 17 novembre 2006 per il completamento dello schema idrico
Basento-Bradano, con riferimento alle annualità disponibili iscritte in
bilancio, sono revocate e assegnate al cosiddetto Fondo revoche - istituito
dall’articolo 32, comma 6, del decreto- legge 98/2011 - presso il capitolo 7685
dello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
-
Interventi di
soppressione e automazione di passaggi a livello sulla rete ferroviaria, individuati, con priorità
per la tratta terminale pugliese del
corridoio ferroviario adriatico da Bologna a Lecce;
Gli interventi sono riportati nella lettera
e) del comma 11-bis dell’articolo 25
del D.L. 69/2013, tra quelli a cui sono attribuite prioritariamente le risorse
del Fondo di cui al comma 1 dell’articolo 18, revocate in base a quanto
disposto dal comma 11 del medesimo articolo. Rispetto alla formulazione del
comma 11-bis, oltre che all’adozione
di un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto
con il Ministro dell'economia e delle finanze ai fini dell’individuazione degli
interventi, si fa riferimento alla costruzione di idonei manufatti sostitutivi
o deviazioni stradali o di miglioramento delle condizioni di esercizio di
passaggi a livello non eliminabili. La tabella
0 del 12° allegato infrastrutture, presentato al Parlamento nell’aprile 2014,
prevede interventi sull’Asse ferroviario Bologna-Bari-Lecce-Taranto, per un
costo di 1.434,04 milioni di euro di cui disponibili 759,26, e interventi di
automazione dei passaggi a livello area sub-barese, per un costo di 20,980
interamente disponibili[7].
-
Tratta Colosseo
-Piazza Venezia della Linea C di Roma.
Il tracciato della Linea C della metropolitana
di Roma comprende 42 stazioni per una lunghezza complessiva di 42 km, in
parte ad automazione integrale (treni con guida senza macchinista). Nel
dettaglio il tracciato fondamentale si articola in 6 tratte: - T2:
Clodio/Mazzini–Fori Imperiali/Colosseo - T3: Fori Imperiali/Colosseo-San
Giovanni - T4: San Giovanni-Malatesta - T5: Malatesta-Teano-Alessandrino - T6A:
Alessandrino-Bivio Torrenova - T7: Bivio Torrenova-Pantano e deposito graniti.
L’opera è finanziata nell’ambito del Programma delle infrastrutture strategiche
di cui alla legge n. 443/2001 (cd. “legge obiettivo”) [8]. Il
comma 6 dell’articolo 18 del D.L. 69/2013 prevedeva che, entro il 30 ottobre
2013, venisse sottoposto al CIPE il progetto definitivo della tratta Colosseo -
Piazza Venezia della linea C della metropolitana di Roma da finanziarsi a
valere sul Fondo di cui al comma 1 dell’articolo 18, a condizione che la tratta
completata della stessa linea C da Pantano a Centocelle fosse messa in
pre-esercizio entro il 15 dicembre 2013. Secondo quanto indicato nella tabella 0 del 12° allegato
infrastrutture, presentato al Parlamento nell’aprile 2014, il costo complessivo della
“Metropolitana C” è di 3.486,870 milioni di euro, interamente disponibili, di
cui: 769,44 milioni per la tratta T2;
792 milioni per la tratta T3; 995,4 milioni per le tratte T4 e T5; 930,03 milioni per le tratte T6A, T7 e
Deposito Graniti. La disposizione in commento fa riferimento alla tratta
Colosseo – Piazza Venezia nell’ambito della linea T2. Il CIPE, nella seduta del
1° agosto 2014, ha recepito un’informativa del MIT e del MEF concernente la
rimodulazione del quadro economico, a parità di costo complessivo, della Linea
C della Metropolitana di Roma.
Interventi appaltabili entro il 31 dicembre 2014 e
cantierabili entro il 30 giugno 2015 (lettera b)
-
Ulteriore lotto
costruttivo dell’Asse AV/AC Verona Padova;
Secondo quanto indicato nella tabella 0 del 12° allegato
infrastrutture, presentato al Parlamento nell’aprile 2014, il costo complessivo della
“Tratta AV / AC Verona Padova” è di 5.130,00 milioni di euro di cui 160,03
disponibili[9].
-
Completamento asse
viario Lecco - Bergamo;
Secondo quanto indicato nella tabella
0 del 12° allegato infrastrutture, presentato al Parlamento nell’aprile 2014,
il costo complessivo del collegamento “Bergamo Lecco:variante alla SS 639 nel
territorio della provincia di Lecco” è di 130,500 milioni di euro di cui 93,670
disponibili. L’opera è articolata in due lotti: L.S. Gerolamo del costo di
93,670 milioni di euro interamente disponibili; L. Lavello del costo di 36,830
milioni di euro interamente da finanziare[10]. Per quanto riguarda invece il collegamento
Lecco-Bergamo:
Variante di Cisano Bergamasco, secondo quanto indicato nella tabella 0 del 12° allegato
infrastrutture, il
costo complessivo della “Bergamo Lecco: variante ex SS 639 Cisano Bergamasco” è
di 54,390 milioni di euro di cui 30,820 disponibili.
-
Messa in sicurezza
dell'asse ferroviario Cuneo - Ventimiglia;
-
Completamento e ottimizzazione della Torino - Milano con la viabilità locale
mediante l'interconnessione tra la SS 32
e la SP 299-Tangenziale di Novara-lotto 0 e lotto 1;
-
Terzo Valico dei
Giovi - AV Milano Genova;
Secondo quanto
indicato nella tabella 0 del 12° allegato infrastrutture, presentato al
Parlamento nell’aprile 2014, il costo complessivo della “Tratta AV/AC III
Valico Giovi” è di 6.278,600 milioni di euro di cui 1.578,600 disponibili.
L’opera è articolata in sei lotti costruttivi[11].
-
Continuità degli
interventi del Nuovo Tunnel del
Brennero;
Secondo quanto
indicato nella tabella 0 del 12° allegato infrastrutture, presentato al
Parlamento nell’aprile 2014, il costo complessivo del “Nuovo Valico del
Brennero” è di 4.865,000 milioni di euro interamente disponibili. L’opera è
articolata in sei lotti di cui 5 costruttivi.[12].
-
Quadrilatero
Umbria - Marche;
Secondo quanto indicato nella tabella 0 del 12° allegato infrastrutture, presentato al Parlamento
nell’aprile 2014, il costo complessivo degli
interventi relativi al “Quadrilatero Umbria Marche” è di 2.507,690 milioni di
euro di cui 1.721,04 disponibili. L’opera è articolata in 21 lotti di cui 13 stradali e 8 relativi a aree leader[13].
-
Completamento della
Linea 1 della metropolitana di Napoli;
Secondo quanto indicato
nella tabella 0 del 12° allegato infrastrutture, presentato al Parlamento
nell’aprile 2014, il costo complessivo dell’opera “Metro Napoli Linea 1 tratta
Centro Direzionale Capodichino Di Vittorio I stralcio” è di 635,58 milioni di
euro interamente disponibili. La delibera CIPE 88/2013, pubblicata nella GURI
n. 112 del 16/05/2014, approva il progetto definitivo, aggiorna il costo a
652,410 milioni, di cui 593,100 milioni per la realizzazione delle opere e
59,310 milioni per IVA, e dispone l’assegnazione definitiva al Comune di Napoli
di 113,100 milioni a valere sul fondo di cui all’art. 18, comma 1, del decreto
legge n. 69/2013, già assegnato programmaticamente con delibera CIPE 61/2013. Inoltre nella sezione dedicata
all’aspetto attuativo si riporta che il cronoprogramma prevede il completamento
dell’opera entro gennaio 2018.
-
rifinanziamento
dell'articolo 1, comma 70, della legge 27 dicembre 2013, n.147, relativo al
superamento delle criticità sulle infrastrutture viarie concernenti ponti e gallerie;
I commi 2 e 10 dell’articolo 18 del D.L. n.
69/2013 hanno previsto rispettivamente stanziamenti, a valere sulle risorse del
Fondo di cui al comma 1, per il superamento di criticità sulle infrastrutture
viarie concernenti ponti e gallerie e per un programma di interventi di
manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di
interesse nazionale in gestione ad ANAS SpA. (da emanare con decreto del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti). Il comma 70 della legge n. 147
del 2013, infatti, che è richiamato dalla norma, ha di fatto ampliato il novero
degli interventi finanziabili nell’ambito del programma di manutenzione
straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse
nazionale gestita da ANAS S.p.A., al fine di ricomprendervi anche l'attuazione
di ulteriori interventi mirati ad incrementare la sicurezza e a migliorare le
condizioni dell'infrastruttura viaria, con priorità nell’assegnazione delle
risorse, alle opere stradali volte alla messa in sicurezza del territorio dal
rischio idrogeologico. Le risorse per il triennio a legislazione vigente sono
state rifinanziate dalla legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) e,
pertanto, lo stanziamento complessivo è pari a 306 milioni per il 2014, 231
milioni per il 2015 e 100 milioni per il 2016 (cap. 7538 del MIT).
Secondo
quanto indicato nella tabella 0 del 12° allegato infrastrutture, presentato al
Parlamento nell’aprile 2014, il costo complessivo del “Programma piccoli
interventi ANAS” è di 300 milioni di euro interamente disponibili[14].
-
Messa in sicurezza
dei principali svincoli della Strada Statale 131 in Sardegna;
Secondo quanto indicato
nella tabella 0 del 12° allegato infrastrutture, presentato al Parlamento
nell’aprile 2014, il costo dell’intervento “Svincoli e messa in sicurezza
Km146+800 Km209+600” è di 120 milioni interamente da finanziare
Interventi appaltabili entro il 30 aprile 2015 e
cantierabili entro il 31 agosto 2015
(lettera c)
-
Metropolitana di
Torino;
Secondo quanto indicato
nella tabella 0 del 12° allegato infrastrutture, presentato al Parlamento
nell’aprile 2014, il costo dell’intervento “Linea 1 - Prolungamento ovest -
Tratta funzionale 3: Collegno (Deposito)-Cascine Vica” è di 304 milioni
interamente da finanziare.
-
Tramvia di
Firenze;
Secondo quanto indicato
nella tabella 0 del 12° allegato infrastrutture, presentato al Parlamento
nell’aprile 2014, il costo dell’intervento “Firenze – Sistema Tramviario” è di
1.025,100 milioni di cui 654,900 disponibili.
-
Lavori di
ammodernamento ed adeguamento dell'autostrada Salerno - Reggio Calabria, dallo
svincolo di Rogliano allo svincolo di Altilia;
Nella tabella 0 del 12°
allegato infrastrutture, presentato al Parlamento nell’aprile 2014, sono
riportati due lotti: Sa-Rc km 270+700-280+350 Maxilotto 4/2 -1 stralcio
(Rogliano –Viadotto Stupino) con un costo di 437,780 milioni di euro
interamente da finanziare; Sa-Rc km 280+350-286+050 Maxilotto 4/2 -2stralcio
((Viadotto Stupino-Altilia) con un costo di 343 milioni di euro interamente da
finanziare[15].
-
Autostrada Salerno - Reggio Calabria svincolo Lauretana Borrello;
Nella tabella 0 del 12°
allegato infrastrutture, presentato al Parlamento nell’aprile 2014, è riportato
il seguente intervento: Sa-Rc Svincolo Laureana km 377+750 con un costo di
38,090 milioni di euro interamente da finanziare[16]
-
Adeguamento della
strada statale n.372 "Telesina" tra lo svincolo di
Caianello della Strada statale n.372 e lo svincolo di Benevento sulla strada
statale n.88;
Secondo quanto indicato nella tabella 0 del
12° allegato infrastrutture, presentato al Parlamento nell’aprile 2014, il
costo complessivo della “Adeguamento Telesina dal Km 0+000 al km 60+900” è di
588,640 milioni interamente disponibili.[17]
-
Completamento
della S.S. 291 in Sardegna;
Secondo quanto indicato nella tabella 0 del
12° allegato infrastrutture, presentato al Parlamento nell’aprile 2014 sono
riportati i seguenti quattro lotti di cui il lotto 1 e il lotto 4 non
presentano costi, mentre il lotto 2 ha un costo di 29,830 milioni, con una
disponibilità di 49,180 milioni, e il lotto 3 ha un costo 35,610 milioni con
una disponibilità di 54,670 milioni.
-
Variante della
"Tremezzina" sulla strada statale internazionale 340
"Regina";
-
Collegamento
stradale Masserano -Ghemme;
Secondo quanto indicato nella tabella 0 del
12° allegato infrastrutture, presentato al Parlamento nell’aprile 2014, il
costo complessivo della “Collegamento autostradale Pedemontana piemontese” è di
654,500 milioni interamente disponibili.
-
Ponte stradale di
collegamento tra l'autostrada per Fiumicino
e l'EUR;
-
Asse viario
Gamberale - Civitaluparella in Abruzzo;
L’intervento non è incluso
nella tabella 0 del 12° Allegato infrastrutture, ma è contenuto nell’allegato
alla nuova intesa generale quadro sottoscritta con la regione Abruzzo il 10
aprile 2013. In particolare nel documento è presente la seguente opera: SS. 652
– “Fondovalle Sangro” – Lavori di costruzione del tratto compreso tra le
stazioni di Gamberale e Civitaluparella (2° lotto – 2° stralcio – 2° tratto)
con una previsione di spesa di 160 milioni di euro.
-
Primo lotto Asse
viario S.S. 212 Fortorina;
-
Quadruplicamento
della linea ferroviaria
Lucca Pistoia;
-
aeroporti di Firenze e Salerno;
L’aeroporto di Firenze è
attualmente affidato in gestione totale, in base al DM 521/97, alla società
Aeroporti di Firenze (AdF S.p.a), con la
Convenzione n. 28 del 14/12/2001 per la durata di 40 anni decorrenti
dall’11/2//2003. Per l’aeroporto di Salerno risulta invece una convenzione
sottoscritta dall’ENAC, ma non ancora approvata dal Ministero, per la gestione
totale con la società Aeroporto di Salerno s.p.a.. per la durata di 20 anni.
Il futuro “Piano Nazionale
degli Aeroporti”, annunciato dal Ministro delle infrastrutture e trasporti e
che dovrà essere emanato con decreto del Presidente della Repubblica, individua
11 aeroporti strategici e 26 aeroporti
di interesse nazionale. L’aeroporto di Pisa/Firenze viene individuato
come aeroporto strategico, ma alla condizione che tra questi due scali si realizzi
la piena integrazione societaria e industriale, quindi la gestione unitaria.
Salerno rientra invece tra i 26 aeroporti di interesse nazionale.
-
Completamento del
sistema idrico integrato della Regione Abruzzo;
Nell’allegato alla nuova intesa generale
quadro sottoscritta con la regione Abruzzo il 10 aprile 2013 sono comprese tra,
l’altro, opere di mitigazione del rischio idraulico dei bacini idrografici (2
lotti del costo complessivo di 210 milioni) e relative alla gestione integrata
delle acque destinate ad usi umani e plurimi (5 lotti del costo complessivo di
938 milioni di euro).
-
opere segnalate dai Comuni alla Presidenza
del Consiglio dei Ministri dal 2 al 15 giugno 2014 o richieste inviate
nell’ambito del programma “Seimila Campanili” ai sensi dell'articolo 18, comma 9, del
decreto-legge n.69 del 2013.
Quest’ultimo punto sembra far riferimento,
in primo luogo, alla procedura informale avviata dal Governo con la “lettera
ai sindaci”
inviata il 2 giugno scorso dal Presidente del Consiglio, ove si invitavano i
Comuni a segnalare, entro il 15 giugno 2014, opere e cantieri fermi, al fine di
un loro eventuale inserimento all'interno del pacchetto di misure “Sblocca
Italia”. In alternativa si fa riferimento alle richieste inviate dai comuni
nell’ambito del programma “Seimila
Campanili”. A quest’ultimo proposito, si ricorda che il comma 9
dell’articolo 18 del D.L. 69/2013 ha destinato 100 milioni di euro a contributi
statali a favore dei piccoli comuni (con popolazione inferiore ai 5.000
abitanti), e a favore delle unioni composte da comuni con popolazione inferiore
a 5.000 abitanti e dei comuni risultanti da fusione tra comuni, ciascuno dei
quali con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti: per interventi
infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di
edifici pubblici, compresi gli interventi per l'adozione di misure
antisismiche; per la realizzazione e manutenzione di reti viarie e delle
infrastrutture accessorie e funzionali alle stesse o delle reti telematiche di
nuova generazione (NGN) e Wi-fi; per la salvaguardia e la messa in sicurezza
del territorio. Con il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti 27 dicembre 2013 è stato approvato l'elenco degli interventi ammessi
al finanziamento del Primo Programma «6000 Campanili», nei limiti dell'importo
disponibile di 100 milioni di euro, mentre con il decreto ministeriale 13
febbraio 2014, n. 46, è stato approvato l'elenco degli interventi ammessi al Primo
programma «6000 Campanili» e finanziati dalla legge di stabilità del 27
dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), che ha destinato 50 milioni di
euro allo stesso programma.
Andrebbe valutata l’opportunità di un
chiarimento in ordine alle modalità di riparto del Fondo relativamente a tale
categoria di opere in quanto si fa riferimento alle opere segnalate dagli enti
locali “o” alle richieste inviate nell’ambito del Programma 6000 Campanili.
Copertura
finanziaria (comma 4)
Il comma 4 provvede alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dal rifinanziamento del Fondo di cui al comma 1, pari a 3.890 milioni di euro per gli anni dal 2013 al 2020. Ad essi si provvede:
§ quanto a 39 milioni per il 2013 in conto residui e a 11 milioni per il 2014 in conto competenza, mediante l’utilizzo delle disponibilità iscritte, rispettivamente, in conto residui e in conto competenza, derivanti dalle revoche disposte dall'articolo 13, comma 1, del decreto-legge n. 145 del 2013 e confluite nel c.d. “Fondo revoche” istituito presso il MIT dall'articolo 32, comma 6, del D.L. n. 98 del 2011 (cap. 7685/MIT).
§ Si tratta delle assegnazioni disposte dalla delibera CIPE n. 146 del 17 novembre 2006 per il completamento dello schema idrico Basento-Bradano e dalla delibera CIPE n. 33 del 13 maggio 2010 per il potenziamento della linea ferroviaria Rho-Arona
§ quanto a 15 milioni per il 2014, 5,2 milioni per il 2015, 3,2 milioni per il 2016 e 148 milioni per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 5, comma 1, della legge n. 7 del 2009 di ratifica ed esecuzione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, fatto a Bengasi il 30 agosto 2008 (cap. 7800/MIT);
L’articolo 5 della legge n. 7/2009 reca gli stanziamenti per l’attuazione delle norme del citato Trattato. Originariamente si trattava di 180 milioni per ciascuno degli anni dal 2009 al 2028, destinati alla realizzazione di progetti infrastrutturali da realizzarsi da parte dell'Italia, sulla base delle proposte avanzate dalla Grande Giamahiria araba libica.
Nel corso degli anni l’autorizzazione legislativa di spesa in oggetto è stata ridotta da numerosi provvedimenti legislativi:
- 5 milioni per il 2011 dall’articolo 17, comma 9, del D.L. n. 98 del 2011, quale copertura del finanziamento in favore dell’INMP (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà);
- 100 milioni relativi alla quota 2013 sono stati utilizzati dall’articolo 4, comma 1, lettera c), n. 2 del D.L. n. 54/2013, a parziale copertura degli interventi in esso previsti in materia di cassa integrazione guadagni;
- il D.L. n. 63/2013, all’articolo 21, comma 3, lettera b), ha ulteriormente ridotto le disponibilità a parziale copertura della proroga delle detrazione fiscale sugli interventi di ristrutturazione edilizia ed efficienza energetica, nella misura pari a 44,8 milioni per il 2014, a 54,7 milioni per il 2015, a 34,7 milioni per il 2016 e a 31,8 milioni per ciascuno degli anni dal 2017 al 2023, contestualmente disponendone un incremento di 413,1 milioni di euro per l'anno 2024;
- 50 milioni per il 2013, 120 milioni per ciascuno degli anni 2014 e 2015 e 142 milioni per il 2016 dall’articolo 18, comma 13, del D.L. n. 69 del 2013 per il finanziamento del Fondo per il finanziamento di infrastrutture cantierate o cantierabili previsto dal medesimo articolo al comma 1;
- il D.L. n. 102/2013, all’articolo 15, comma 3, lettera b) e all’allegato 3, ha disposto una riduzione di 30 milioni per il 2013 dell’articolo 5, comma 1, lettera c).
Infatti la legge di stabilità 2014, alla tabella E, indica per l’articolo 5, della legge n. 7 del 2009 una dotazione di 15,2 milioni per il 2014, 5,3 milioni per il 2015, di 3,3 milioni per il 2016 e di 2.350 milioni per le annualità successive fino all’anno 2028.
Per effetto delle riduzioni disposte dalla norma in esame l’autorizzazione di spesa risulterebbe annullata per le annualità dal 2014 al 2020, mentre risulterebbero stanziamenti residuali pari a 148,2 milioni per ciascuna annualità 2021-2023, a 593,1 milioni per il 2014 e a 180 milioni per ciascuna delle restanti annualità 2025-2028.
§ quanto a 94,8 milioni per il 2015, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa in favore dell'Autorità portuale di Venezia per il finanziamento delle attività finalizzate alla realizzazione di una piattaforma d'altura davanti al porto di Venezia (cap. 7270/MIT).
L'articolo 1, comma 186, della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013) aveva autorizzato tale spesa nella misura di 5 milioni per il 2013 e di 95 milioni per il 2015.
§ quanto a 79,8 milioni per il 2015, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa per la realizzazione dell'asse autostradale «Pedemontana Piemontese» (cap. 7504/MIT);
L'articolo 1, comma 212, della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013) aveva assegnato a tale scopo alla regione Piemonte un contributo di 80 milioni per il 2015.
§ quanto a 51,2 milioni per il 2015, a 155,8 milioni per il 2016, a 925 milioni per il 2017 e a 1.918 milioni per il 2018, mediante corrispondente riduzione della quota nazionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione - programmazione 2014-2020 (cap. 8425/MEF).
La legge di
stabilità 2014, all’articolo 1, comma 6, ha disposto una dotazione aggiuntiva
del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) relativamente al nuovo ciclo di programmazione 2014-2020, nella misura complessiva di 54.810 milioni. La norma ne dispone
l’iscrizione in bilancio limitatamente alla misura dell’80 per cento (43.848
milioni). Per il triennio 2014-2016, gli importi iscritti in bilancio sono
pari a 50 milioni nel 2014, 500 milioni nel 2015 e a
1 miliardo nel 2016. Per gli anni successivi, la quota annuale sarà determinata
dalla tabella E delle singole leggi di stabilità a valere sul rimanente importo
di 42.298 milioni. Per quanto concerne la restante quota del 20 per cento (10.962 milioni), la
relativa iscrizione in bilancio avverrà all’esito di una apposita verifica di
metà periodo (da effettuare precedentemente alla predisposizione della legge di
stabilità per il 2019, quindi nella primavera-estate 2018) sull’effettivo
impiego delle prime risorse assegnate. Il successivo comma 8 ha disposto che entro
il 1° marzo 2014 il CIPE avrebbe dovuto effettuare la ripartizione programmatica tra le amministrazioni interessate della
quota relativa all’80 per cento delle risorse. Alla data odierna tale adempimento non risulta attuato.
Nella successiva tabella sono riepilogate le coperture indicate dal comma 4 in esame degli oneri relativi all’incremento disposto dal comma 1, per complessivi 3.890 milioni, del c.d. Fondo “slocca cantieri”, istituito dal comma 1 dell’articolo 18 del D.L. n. 69/2013.
Milioni di euro |
2013 |
2014 |
2015 |
2016 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
Fondo MIT revoche |
39,0 |
|
|
|
|
|
|
|
Fondo MIT revoche |
|
11,0 |
|
|
|
|
|
|
Realizzazione in Libia di progetti infrastrutturali |
|
15,0 |
5,2 |
3,2 |
148,0 |
148,0 |
148,0 |
148,0 |
Piattaforma
d'altura al porto di Venezia |
|
|
94,8 |
|
|
|
|
|
Pedemontana
Piemontese |
|
|
79,8 |
|
|
|
|
|
Fondo sviluppo e coesione |
|
|
51,2 |
155,8 |
925,0 |
1.918,0 |
|
|
TOTALE
ONERI |
39,0 |
26,0 |
231,0 |
159,0 |
1.073,0 |
2.066,0 |
148,0 |
148,0 |
Revoca delle risorse e
attribuzione prioritaria delle risorse revocate (commi 5, 6 e 7)
Il comma 5 prevede la revoca
dei finanziamenti assegnati a valere sulle risorse del Fondo – in
conseguenza del rifinanziamento disposto ai sensi del comma 1 dell’articolo in
commento - per il mancato rispetto dei
termini fissati dalle lettere a), b)
e c) per l’appaltabilità e la cantierabilità degli interventi ivi elencati
ossia:
-
qualora
gli interventi di cui alla lettera a) del comma 2 non siano cantierati entro il
31 dicembre 2014;
-
qualora
gli interventi di cui alla lettera b) del comma 2 non siano appaltati entro il
31 dicembre 2014 e cantierati entro il 30 giugno 2015;
-
qualora
gli interventi di cui alla lettera c) non siano appaltati entro il 30 aprile
2015 e cantierati entro il 31 agosto 2015.
In base al comma 7, con i medesimi decreti
interministeriali di assegnazione delle risorse sono stabilite, in ordine a
ciascun intervento, le modalità di:
§
utilizzo delle risorse assegnate;
§
monitoraggio dell’avanzamento dei lavori;
§
applicazione
di misure di revoca.
Ai sensi del comma 6, le risorse revocate confluiscono nel “Fondo infrastrutture ferroviarie,
stradali e relativo a opere di interesse strategico nonché per gli
interventi di cui all'articolo 6 della legge 29 novembre 1984, n. 798”
istituito dall’art. 32, comma 1, del D.L. 98/2011.
Le risorse di tale Fondo sono allocate nel capitolo 7514 dello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. La dotazione di competenza di tale capitolo per il 2014 è pari a 146,1 milioni di euro per il 2014, 13,4 milioni per il 2015 e 77,1 milioni per il 2016.
La dotazione di tale capitolo risulta notevolmente inferiore allo stanziamento di 1 miliardo di euro autorizzato, per ciascuno degli anni dal 2013 al 2016, dal citato comma 1 dell’art. 32 del D.L. 98, in virtù delle riduzioni derivanti sia da tagli che dai riparti già effettuati.
E’ lo stesso comma 6 a stabilire l’attribuzione prioritaria delle risorse revocate ai seguenti
interventi:
§ al primo lotto funzionale dell’asse autostradale Termoli – San Vittore;
Secondo quanto indicato nella tabella 0 del 12°
allegato infrastrutture, presentato al Parlamento nell’aprile 2014, il costo
complessivo della “Coll. Merid. A1-A14: Termoli-S.Vittore Tratta 1” è di
1.137,350 milioni di cui 236,600 disponibili.
§
al
completamento della rete della Circumetnea;
L’intervento, suddiviso
nelle Tratte Stesicoro-Aeroporto e Borgo-Nesima-Misterbianco, secondo quanto
riportato nell’allegato al DEF 2014, ha un costo di 527,750 milioni e una disponibilità
di 192,750 milioni.
§ alla metropolitana di Palermo relativamente alla tratta Oreto - Notarbartolo;
§ alla metropolitana di Cagliari con riguardo all’adeguamento della rete attuale e al collegamento on l'hinterland.
Nella tabella 0 del 12° Allegato infrastrutture è incluso il
completamento del Sistema Metropolitano Area Metropolitana di Cagliari. L’opera
è articolata in 5 lotti dell’importo complessivo di 137,090 milioni di cui 28,090 disponibili.
Articolo
3, commi 8, 9 e 11
(Ulteriori disposizioni riguardanti le
opere strategiche)
Il comma 8 prevede la conferma del finanziamento pubblico assegnato al collegamento Milano-Venezia - secondo lotto Rho-Monza, disposto dalla delibera CIPE 60/2013.
L’art. 18, comma 3, del D.L. 69/2013, ha consentito l’assegnazione, con apposita delibera CIPE, di una parte delle risorse del fondo “sblocca cantieri” (istituito dal comma 1 del medesimo articolo) ad una serie di opere, tra cui il secondo lotto Rho-Monza del collegamento Milano-Venezia.
In attuazione di tale norma la delibera CIPE 8 agosto 2013 (pubblicata sulla G.U. n. 60 del 13 marzo 2014) ha assegnato, all’intervento denominato “Riqualificazione con caratteristiche autostradali della S.P. 46 Rho-Monza - Lotto 2: Variante di attraversamento ferroviario in sotterraneo della linea Milano-Saronno” un finanziamento di 55 milioni di euro (nella delibera viene precisato che la residua copertura finanziaria dell’intera opera, primo e secondo lotto, dovrà essere posta interamente a carico della concessionaria Milano Serravalle-Milano Tangenziali S.p.A).
La delibera n. 60 ha però anche stabilito una serie di termini e condizioni da rispettare, pena la revoca del finanziamento. Il mancato rispetto dei citati termini (peraltro scaduti in data antecedente alla pubblicazione della medesima delibera) ha indotto la Corte dei conti (con la delibera n. SCCLEG/4/2014/PREV, depositata il 19 marzo 2014) a ribadire l’obbligo di provvedere alla revoca del finanziamento di 55 milioni.
Secondo quanto indicato nella tabella 0 del 12° allegato infrastrutture, presentato al Parlamento nell’aprile 2014, il costo complessivo della “Rho - Monza II lotto variante: attraversamento in sotterranea linea ferroviaria Milano-Saronno” è di 55 milioni interamente disponibili. L’intervento fa parte del progetto ”Riqualificazione della SP46 Rho-Monza”, articolato in 3 lotti del costo complessivo di circa 370 milioni di euro dei quali 260 milioni relativi ai lotti 1 e 2, di competenza Milano Serravalle, e 110 milioni relativi al lotto 3, di competenza di Autostrade per l’Italia.
Il comma 8, inoltre, provvede ad assegnare definitivamente alla società ANAS S.p.A. le risorse finanziarie per il completamento dell'intervento "Itinerario Agrigento - Caltanissetta - A19 - Adeguamento a quattro corsie della SS 640 tra i km 9+800 e 44+400". La disposizione fa riferimento alle somme di cui alla tabella "Integrazioni e completamenti di lavori in corso" del Contratto di programma tra Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e ANAS S.p.A. relativo all'anno 2013, pari a 3 milioni di euro a valere sulle risorse destinate al Contratto di programma 2013 e di 42,5 milioni di euro a valere sulle risorse destinate al Contratto di programma 2012.
Quanto all’opera in
questione, rilevano due interventi: il primo intervento riguarda l’adeguamento
a quattro corsie della S.S. 640 di Porto Empedocle - tratto dal km 9+800 al km
44+400 il cui costo nel 12° Allegato infrastrutture è pari a 499,550 milioni
interamente disponibili. Tale costo, secondo quanto risulta dai dati forniti
dall’ANAS[18] è pari a 545 milioni di euro. Relativamente
all’adeguamento a quattro corsie della S.S. 640 di Porto Empedocle - tratto dal
km 44 al km 74+300, il costo risultante dal 12° allegato infrastrutture è pari
a 990,000 milioni, interamente disponibili.
Il comma 9 disciplina il finanziamento delle opere strategiche incluse nell’11° allegato infrastrutture che:
§ alla data del presente decreto-legge non sono state ancora avviate;
§ e per le quali era prevista una copertura parziale o totale a carico delle annualità 2007-2013 del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC).
L’11°
Allegato è stato approvato dal CIPE il
1° agosto 2014; la relativa delibera non risulta pubblicata.
La norma prevede che tali opere confluiscono automaticamente nel nuovo periodo di programmazione 2014-2020.
Entro il 31 ottobre 2014, gli enti che a diverso titolo partecipano al finanziamento e/o alla realizzazione di tali opere, provvedono alla conferma/rimodulazione delle assegnazioni finanziarie inizialmente previste.
Il comma 11 abroga le disposizioni riguardanti gli interventi di adeguamento della SS "Telesina" e il collegamento Termoli-San Vittore contenute nel comma 11-ter dell’articolo 25 del decreto legge n. 69 del 2013. Tale norma stabiliva che le proposte dei soggetti promotori per l’approvazione dei progetti preliminari, anche suddivisi per lotti funzionali in coerenza con le risorse finanziarie disponibili, degli interventi di adeguamento della SS “Telesina” e del collegamento Termoli-San Vittore dovessero essere sottoposte all’approvazione dal CIPE entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge n. 69. Si prevedeva, inoltre, che la mancata approvazione delle proposte avrebbe determinato l’annullamento della procedura avviata e la revoca dei soggetti promotori. Per quanto riguarda la SS 372 “Telesina”, la norma, inoltre, precisava che le risorse già assegnate con delibera Cipe n. 100 del 2006 e quelle a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione assegnate con delibera CIPE n. 62 del 2011 relativa al Piano sud fossero destinate esclusivamente alla realizzazione degli interventi di adeguamento della predetta opera.
Articolo 3, comma 10
(Ruolo del Ministero delle infrastrutture
e dei trasporti nei programmi ESPON e URBACT)
In base al comma 10 il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti è confermato autorità nazionale capofila e capo delegazione dei Comitati di sorveglianza con riferimento al nuovo periodo di programmazione 2014-2020 dei programmi di cooperazione interregionale ESPON (acronimo di European Spatial Planning Observatory Network) e URBACT.
La stessa norma precisa che tale conferma viene sancita in considerazione di quanto già previsto dalla delibera CIPE n. 158/2007 ed in relazione alla missione istituzionale di programmazione e sviluppo del territorio propria del Ministero.
La citata delibera CIPE 158/2007, di attuazione del Quadro Strategico Nazionale (QSN) 2007-2013 - Progetto di cooperazione territoriale europea, ha stabilito che, nell'ambito della propria responsabilità istituzionale di coordinamento della politica di coesione e come amministrazione capofila per il FESR, il Ministero dello sviluppo economico (MISE)-DPS è l'Autorità nazionale di riferimento per la Commissione europea e per gli altri Stati membri, in relazione all'obiettivo di cooperazione territoriale europea.
Con riferimento alle delegazioni italiane in seno ai Comitati di sorveglianza che verranno istituiti per l'attuazione dei programmi, la medesima delibera, nel caso dei programmi di cooperazione interregionale URBACT e ESPON, ha disposto che la delegazione che rappresenta l'Italia è costituita da un rappresentante del Ministero delle infrastrutture, che esercita le funzioni di capo delegazione e di persona di contatto nazionale, da un rappresentante regionale designato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome a rappresentare tutte le Regioni e Province autonome italiane e da un rappresentante del MISE-DPS, eventualmente con il ruolo di osservatore qualora le disposizioni attuative del programma prevedessero un limite di due persone per delegazione.
Articolo 3, comma 12
(Infrastrutture carcerarie)
Il comma 12 integra il contenuto dell’art. 6-bis del DL 92/2014 (L. 117/2014)[19] prevedendo il trasferimento alle amministrazioni interessate delle risorse disponibili sulla contabilità speciale intestata al commissario straordinario per le infrastrutture carcerarie, cessato dalle sue funzioni il 31 luglio 2014
L’articolo 6-bis del DL 92/2014 ha anticipato di cinque mesi la proroga delle funzioni del Commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie già fissate dall’art. 4, comma 1, del DL 78/2013 al 31 dicembre 2014.
Per consentire il completamento delle opere del programma di edilizia penitenziaria, il nuovo comma 2-bis dell’art. 6-bis prevede che le risorse indicate siano versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere oggetto di riassegnazione, con DM Economia, ai Ministeri delle Infrastrutture e trasporti e della Giustizia in base alle ordinarie competenze.
Queste ultime sono definite dal decreto di natura non regolamentare previsto dal comma 2 dell’art. 6-bis che, adottato dal Ministro della giustizia di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, dovrà dettare le misure necessarie per assicurare la continuità e il raccordo delle attività già svolte dalla precedente gestione commissariale.
Articolo 5
(Norme in materia di concessioni
autostradali)
L’articolo 5 consente ai concessionari di tratte autostradali nazionali di avviare una procedura di modifica del rapporto concessorio e di predisporre un nuovo piano economico-finanziario per la stipula di un atto aggiuntivo o di un’apposita convenzione unitaria (commi 1-2), precisando che gli interventi ulteriori rispetto a quelli previsti nelle vigenti convenzioni devono essere affidati secondo le procedure di evidenza pubblica (comma 3). Lo stesso articolo approva gli schemi di convenzione e i relativi piani economico-finanziari relativi alle concessioni autostradali A21 “Piacenza Cremona-Brescia e diramazione per Fiorenzuola d’Arda (PC)” e A3 “Napoli-Pompei-Salerno”.
Il comma 1 consente ai concessionari di tratte autostradali nazionali di avviare una procedura di modifica del rapporto concessorio articolata in due fasi e secondo una tempistica predeterminata.
Viene infatti previsto che:
§ entro il 31 dicembre 2014, il concessionario possa avanzare una proposta di modifica del rapporto concessorio anche mediante l’unificazione di tratte interconnesse, contigue, ovvero tra loro complementari, ai fini della loro gestione unitaria;
§ entro il 31 agosto 2015, lo stesso concessionario provveda alla predisposizione di un nuovo piano economico-finanziario (PEF) per la stipula di un atto aggiuntivo o di un’apposita convenzione unitaria.
In sostanza, la norma consente una rivisitazione complessiva dei rapporti concessori attraverso la rielaborazione dei piani economico-finanziari, che potrebbe comportare una rimodulazione degli investimenti programmati in conseguenza dell’unificazione di tratte connesse e complementari. La norma non fa esplicitamente riferimento alla possibilità di prolungare concessioni in essere oltre il termine di scadenza, ma si limita a precisare che le modifiche del rapporto concessorio avverranno nel rispetto dei principi dell’UE al fine di assicurare:
§ gli investimenti necessari per gli interventi di potenziamento, adeguamento strutturale, tecnologico ed ambientale delle infrastrutture autostradali nazionali, nel rispetto dei parametri di sicurezza più avanzati prescritti da disposizioni comunitarie;
§ nonché un servizio reso sulla base di tariffe e condizioni di accesso più favorevoli per gli utenti.
Tali finalità sono ribadite dal comma 2, secondo cui il nuovo PEF deve assicurare l’equilibrio economico finanziario, senza ulteriori oneri a carico del bilancio dello Stato, nonché la disponibilità delle risorse necessarie:
§ per la realizzazione degli interventi infrastrutturali previsti nelle originarie concessioni e di quelli ulteriori per l’attuazione delle finalità di cui al comma 1;
§ per il mantenimento di un regime tariffario più favorevole per l’utenza.
La rete autostradale italiana è gestita attraverso il sistema delle concessioni il cui quadro normativo di riferimento è mutato nel corso degli anni a partire dalla legge n. 463 del 1955. Una sintesi dell’evoluzione normativa è riportata nel primo rapporto dell’Autorità nazionale per i trasporti, presentato al Parlamento nel mese di luglio di quest’anno, in cui, relativamente alle modalità di affidamento, si ricordano le proroghe delle concessioni esistenti sino agli anni 90 “senza ricorso ad alcuna gara pubblica, giustificati solo dall’esigenza di realizzare nuovi investimenti” e il rinnovo di quasi tutte le concessioni tra il 1999 e il 2000. Nella segnalazione al Parlamento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici AS 336 del 28 marzo 2006, e segnatamente nelle considerazioni, si segnala che nel settore autostradale “tutte le concessioni sono state affidate con il sistema della trattativa privata, pur ricordando che detti affidamenti sono stati effettuati prima dell’entrata in vigore della legge n. 109/1994”.
Un nuovo assetto delle concessioni autostradali è stato definito con il sistema della “convenzione unica”, disciplinato dai commi 82, 83, 85, 86 e 89 del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, sostitutiva ad ogni effetto della convenzione originaria, nonché di tutti i relativi atti aggiuntivi, e con l’articolo 8-duodecies del D.L. 59/2008 che, oltre a novellare il citato comma 82, ha disposto l’approvazione ex lege di tutti gli schemi di convenzione con la società ANAS S.p.A. già sottoscritti dalle società concessionarie autostradali alla data di entrata in vigore del decreto n. 59 del 2008. Relativamente alle modifiche legislative intervenute in materia di concessioni si rinvia ai relativi temi web della XVI legislatura e della presente legislatura.
Elementi di informazione circa l’elenco delle società concessionarie e la durata delle concessioni sono contenute nel primo rapporto dell’Autorità nazionale per i trasporti, presentato al Parlamento nel mese di luglio di quest’anno, e nella documentazione consegnata nel corso dell’audizione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti svoltasi il 22 gennaio 2014 presso la 8a Commissione del Senato. Da tali documenti si ricava che gran parte delle concessioni ha una durata molto lunga e scadenze lontane fatta eccezione per talune concessioni scadute o in scadenza a breve termine.
Per quanto riguarda il rispetto dei principi dell’Unione europea, rilevano due profili concernenti la compatibilità con:
- la normativa in materia di concessioni integrata dai principi dettati dalla giurisprudenza europea;
- la disciplina relativa alla applicazione delle regole di concorrenza – e in particolare di quelle sugli aiuti di Stato - alle imprese pubbliche o che godano di diritti speciali (articoli 106 e 107 del Trattato sul Funzionamento dell'UE - TFUE, ex artt. 86-87 del TCE).
Con riferimento al primo profilo, la direttiva 2004/18/CE, recepita dal Codice dei contratti, dedica il titolo III alla disciplina delle concessioni di lavori pubblici. Con riferimento ai principi dettati dalla giurisprudenza europea, vale la pena ricordare la sentenza della Corte di Giustizia 13 aprile 2010, C-91/08, ove viene sottolineato che “qualora le modifiche apportate alle disposizioni di un contratto di concessione di servizi presentino caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle che abbiano giustificato l’aggiudicazione del contratto di concessione iniziale e siano, di conseguenza, idonee a dimostrare la volontà delle parti di rinegoziare i termini essenziali di tale contratto, devono essere concessi, conformemente all’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato, tutti i provvedimenti necessari per reintrodurre la trasparenza nel procedimento, ivi compresa anche la possibilità di un nuovo procedimento di aggiudicazione (v., per analogia con il settore degli appalti pubblici, sentenze 5 ottobre 2000, causa C-337/98, Commissione/Francia, Racc. pag. I-8377, punti 44 e 46, nonché 19 giugno 2008, causa C-454/06, Pressetext Nachrichtenagentur, Racc. pag. I-4401, punto 34)”.
La nuova direttiva 2014/23/UE del 26 febbraio 2014 reca norme sull’aggiudicazione dei contratti di concessione anche sulla base della giurisprudenza elaborata in materia dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. La direttiva ribadisce il principio (già contenuto nel primo paragrafo dell’articolo 58 della direttiva 2004/18/CE), in base al quale le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori che intendono aggiudicare una concessione rendono nota tale intenzione per mezzo di un bando di concessione. A differenza della direttiva 2004/18, l’articolo 43 della nuova direttiva elenca i casi in cui è possibile modificare le concessioni senza una nuova procedura di aggiudicazione della concessione
Con riferimento al secondo aspetto si ricorda che l’art. 106, par. 2, del TFUE, stabilisce, tra l’altro, che “le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata”.
Secondo il successivo art. 107, par. 1, “salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”. I successivi paragrafi 2 e 3 elencano alcune ipotesi di possibile compatibilità, tra cui rientrano, ad esempio, gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro, nonché gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse.
In base al comma 3 l’affidamento di lavori, forniture e servizi per importi superiori alla
soglia comunitaria, ulteriori rispetto a quelli previsti nelle vigenti
convenzioni, avverrà nel rispetto del quadro
normativo vigente. Il comma 3 prescrive infatti l’applicazione:
§
delle
procedure di evidenza pubblica disciplinate dal Codice dei contratti pubblici
(D.Lgs. 163/2006);
§
e
dell’art. 11, comma 5, lettera f), della legge n. 498/1992, che disciplina la
nomina delle commissioni di gara e i poteri di vigilanza dell’Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici ora sostituita dall’Autorità nazionale
anticorruzione (ANAC).
Relativamente ai
lavori affidati dalle concessionarie autostradali, profilo che si distingue da
quello delle modalità di selezione delle concessionarie medesime di cui si è
precedentemente parlato, si ricorda che il comma 25 dell’articolo 253 del
Codice dei contratti prevede che i titolari di concessioni già assentite alla
data del 30 giugno 2002, ivi comprese quelle rinnovate o prorogate ai sensi
della legislazione successiva, sono
tenuti ad affidare a terzi una percentuale minima del
60 per cento dei lavori, agendo, esclusivamente per detta quota, a tutti gli
effetti come amministrazioni aggiudicatrici.
Il comma 4 detta disposizioni riguardanti le concessioni A21
«Piacenza-Cremona-Brescia e diramazione per Fiorenzuola d’Arda (PC)» e A3 «Napoli-Pompei-Salerno», e
segnatamente l’approvazione ex lege:
-
degli schemi di convenzione, come modificati
secondo le prescrizioni del Nucleo di consulenza per l'attuazione
delle linee guida sulla regolazione dei servizi
di pubblica utilità (NARS) rese con i pareri nn. 6 e 7 del
7 agosto 2014, da considerarsi parte integrante della convenzione;
-
e dei relativi piani economici-finanziari già
trasmessi al CIPE.
La norma precisa che la
suddetta approvazione è finalizzata ad accelerare il riaffidamento delle
predette concessioni che, come si evince dalla tabella sulla durata delle
concessioni (consultabile ai link precedentemente indicati) sono scadute
rispettivamente il 30 settembre 2011 e il 31 dicembre 2012. Sono stati,
inoltre, pubblicati dall’ANAS i relativi bandi di gara per l’affidamento delle
concessioni medesime.
In particolare,
nella Gazzetta ufficiale del 13 giugno 2012 Anas ha pubblicato il bando di gara
per l’affidamento in concessione delle attività di costruzione, gestione e
manutenzione dell'Autostrada A21 Piacenza-Cremona-Brescia e diramazione per
Fiorenzuola d'Arda (PC) di km 88,6, compreso il completamento della
realizzazione di tutti gli interventi previsti nella convenzione
sottoscritta in data 7 novembre 2007 tra
l'ANAS S.p.A. e la Società Autostrade
Centro Padane S.p.A.". L'importo
complessivo degli
investimenti ammonta a
Euro 683.000.000,00 di
cui Euro 260.000.000,00 per
valore massimo di indennizzo da
riconoscere al concessionario
uscente, Euro 363.000.000,00 per la prosecuzione degli investimenti in
corso alla data
del 30 settembre
2013 ed Euro 60.000.000,00 per nuovi interventi di
manutenzione straordinaria. Il termine per il ricevimento delle domande di
partecipazione è scaduto il 6 agosto 2014. Nell’interrogazione 5-01345, svoltasi in Commissione ambiente il rappresentante
del Governo ha segnalato che “il nuovo Schema di convenzione e il relativo
Piano economico finanziario sono all'esame del CIPE, il quale, ad oggi, non si
è ancora espresso e che a seguito dell'approvazione del citato Schema di convenzione e del
relativo Piano economico finanziario sarà possibile procedere agli adempimenti per la conclusione della
gara ed il conseguente affidamento al nuovo concessionario”.”
Il bando di gara
per l’affidamento in concessione delle attività di gestione e manutenzione
dell'Autostrada A3
Napoli-Pompei-Salerno di km
51,6, nonché il completamento della realizzazione di tutti
gli interventi previsti nella
convenzione sottoscritta in data 28 luglio 2009 tra l'ANAS S.p.A. e la Società
Autostrade Meridionali S.p.A." è stato pubblicato il 10 agosto 2012
L'importo complessivo degli investimenti ammonta a Euro 799.200.000,00 di
cui Euro 410.000.000,00 per valore
massimo di indennizzo da riconoscere al
concessionario uscente, Euro
101.000.000,00 per la prosecuzione degli investimenti in corso alla data del 31 dicembre 2012 ed Euro
288.200.000,00 per nuovi interventi di manutenzione straordinaria per un totale
di Euro 389.200.000,00 (di cui, per oneri di progettazione, stimati in Euro
11.670.000,00). Il termine per il ricevimento delle domande di partecipazione è
scaduto il 9 ottobre 2012. Nell’interrogazione 5-02579, svoltasi in Commissione ambiente, il rappresentante
del Governo ha fornito elementi di informazione circa l'esame della
documentazione relativa all'affidamento della concessione di gestione e
manutenzione dell'Autostrada A3 Napoli-Pompei-Salerno, nonché del completamento
di tutti gli interventi previsti nella convenzione sottoscritta in data 28
luglio 2009 tra l'Anas S.p.A. e la Società Autostrade Meridionali S.p.A..
La norma in
commento approvando direttamente gli schemi di convenzione e il piano economico
finanziario deroga alle procedure riguardanti gli aggiornamenti o le revisioni
delle convenzioni autostradali vigenti alla data di entrata in vigore del
medesimo decreto disciplinate dall’articolo 43 del D.L. 201/2011. Una
differente procedura è invece disciplinata dal comma 84 dell’articolo 2 del
decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, per l’approvazione degli schemi di
convenzione unica.
Articolo 6, comma 1
(Agevolazioni per la realizzazione di
reti di comunicazione elettronica a banda ultralarga)
Il comma 1 dell’articolo 6 prevede la concessione, fino al 31 dicembre 2015, di un credito d’imposta IRES e IRAP, entro il limite massimo del 50 per cento dell’investimento, per la realizzazione di interventi infrastrutturali di realizzazione di reti di comunicazione elettronica a banda ultralarga, attraverso l’introduzione nell’articolo 33 del decreto-legge n. 179/2012, dei nuovi commi da 7-ter a 7-septies.
In particolare, il comma 7-quinquies prevede la concessione di un credito d’imposta IRES e IRAP del 50 per cento. Si specifica altresì che il credito d’imposta non costituisce ricavo ai fini IRAP e delle imposte dirette.
Le caratteristiche degli interventi finanziabili sono definiti ai commi 7-ter e 7-quater, mentre i commi 7-sexies e 7-septies indicano la procedura per l’accesso al credito e per il monitoraggio degli interventi.
In base al comma 7-ter possono accedere al credito d’imposta gli interventi infrastrutturali, per i quali non siano previsti contributi pubblici a fondo perduto, destinati alla realizzazione di servizi a banda ultralarga all’utente realizzati sia su rete fissa e mobile sia su impianti wireless e via satellite, compresi gli interventi di backhaul.
Si ricorda che per backhaul, si intende la “dorsale”, cioè la parte centrale delle reti di comunicazione, in contrapposizione all’”ultimo miglio”, cioè le diramazioni terminali delle reti destinati al raggiungimento degli utenti finali.
Gli interventi, in base al comma 7-ter, devono possedere inoltre le seguenti caratteristiche:
· siano interventi nuovi e aggiuntivi e non rientranti in atti o piano approvati entro il 31 luglio 2014
· soddisfino un obiettivo di pubblico interesse previsto dalla comunicazione della Commissione europea relativa all’Agenda digitale COM (2010) 245
In particolare, in attuazione della comunicazione, la comunicazione (2010)472 della Commissione europea prevede i seguenti obiettivi
Banda larga veloce entro il 2020: copertura con banda larga pari o superiore a 30 Mbps per il 100% dei cittadini UE. (Valore di riferimento: nel gennaio 2010 il 23% degli abbonamenti a servizi di banda larga prevedeva una velocità di almeno 10 Mbps).
Banda larga ultraveloce entro il 2020: il 50% degli utenti domestici europei dovrebbe avere abbonamenti per servizi con velocità superiore a 100 Mbps. (Nessun valore di riferimento).
· prevedano interventi di importo non inferiore alle seguenti soglie: a) 200000 euro, con realizzazione degli interventi entro nove mesi dalla data di prenotazione, nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti; b) 500000 euro, con realizzazione degli interventi entro dodici mesi dalla data di prenotazione, nei comuni con popolazione compresa tra 5.000 e 10.000 abitanti; c) un milione di euro, con realizzazione degli interventi entro dodici mesi dalla data di prenotazione, nei comuni con popolazione compresa superiori ai 10000 abitanti
· le condizioni di mercato siano insufficienti a garantire l’investimento privato sia realizzato entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge
Si ricorda che in base a quanto previsto dal progetto nazionale banda ultra-larga, elaborato dal Ministero dello sviluppo economico, ed approvato dalla Commissione europea con la decisione (9833)2012, solo il 19 per cento della popolazione nazionale risulta residente in territori nei quali almeno un operatore ha manifestato interesse per l’installazione di un servizio di banda ultra-larga; il resto del territorio nazionale è quindi considerato “area bianca”, cioè non raggiunto dalla banda “ultra-larga” ed oggetto quindi di possibili interventi.
In base al comma 7-quater, inoltre il credito d’imposta non può essere riconosciuto per interventi ricadenti in aree nelle quali già sussistono idonee infrastrutture ed operi un fornitore di servizi di rete a banda ultralarga, ad eccezione dei comuni con popolazione superiore a 50000 abitanti dove possono essere finanziati gli interventi per la realizzazione di reti infrastrutturali con velocità di connessione pari o superiore a 100 Mbs a tutti gli utenti potenzialmente interessati 24 ore su 24, anche in presenza di un altro operatore di banda ultra-larga che non sia in grado di assicurare tale connessione e non garantisca di poterlo fare nel triennio successivo.
I finanziamenti non possono inoltre essere concessi a più di un soggetto nella stessa area.
Per accedere al beneficio è necessario, in base al comma 7-sexies, operare una manifestazione d’interesse per una specifica area attraverso una “prenotazione” sull’apposito sito web del Ministero. La prenotazione deve dare anche indicazione della data prevista di conclusione dei lavori.
Il comma 7-septies rinvia la definizione delle modalità di attuazione della disposizione in commento a uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministro dell’economia, sentita l’Agenzia delle entrate, da emanare entro trenta giorni dall’approvazione della legge di conversione. In particolare, questi decreti dovranno regolamentare:
· condizioni, criteri e modalità di attuazione;
· procedimento per l’individuazione da parte del CIPE del limite degli interventi agevolabili.
Tale procedimento dovrà risultare analogo e congruente a quello previsto dal comma 2 dell’articolo 33 del decreto-legge n. 179/2012 per il credito di imposta per le opere infrastrutturali introdotto dal medesimo articolo 33.
· verifica dell’effettiva sussistenza del carattere nuovo e aggiuntivo dell’intervento infrastrutturale proposto
· modulazione del credito d’imposta anche in funzione delle specifiche condizioni di mercato dell’area interessata
· forme di controllo e monitoraggio da adottare anche ai sensi della comunicazione della Commissione europea (2012)9833
Con la citata decisione, del dicembre 2012, è stato approvato il progetto nazionale banda ultra-larga, al riguardo cfr. supra. In ordine al monitoraggio la decisione prevede che gli offerenti selezionati saranno sottoposti ad obblighi di separazione contabile in relazione ai progetti sovvenzionati, per facilitare il monitoraggio da parte delle amministrazioni aggiudicatrici della realizzazione dei progetti e degli eventuali extraprofitti generati (gli eventuali extraprofitti dovranno infatti essere recuperati o reinvestiti per lo sviluppo della rete); sarà inoltre attuato un meccanismo di parametrazione (benchmarking) per evitare che gli offerenti dichiarino costi di investimento gonfiati e quindi si verifichino eccessi di compensazione di tali imprese.
La decisione prevede inoltre che l’individuazione delle aree dove finanziare i progetti avvenga in base a una dettagliata ricerca di mercato e a una trasparente consultazione degli operatori economici; l’aggiudicazione del finanziamento dovrà avvenire tramite gara d’appalto a procedura aperta, utilizzando il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Per quanto riguarda la diffusione della banda larga, l’Agenda digitale europea (COM (2010) 245), una delle sette iniziative faro della Strategia Europa 2020, ha fissato i seguenti obiettivi:
· banda larga di base per tutti entro il 2013 (obiettivo raggiunto);
· accesso a reti di nuova generazione (velocità pari o superiori a 30Mbps) per tutti i cittadini europei entro il 2020;
· entro la stessa data almeno il 50% delle famiglie dovrebbe essere abbonata a internet con connessioni al di sopra di 100 Mbps.
Come risulta dall’ultima valutazione della Commissione di giugno 2014 sul raggiungimento degli obiettivi posti dall’Agenda digitale, l’Italia è: all’ultimo posto per quanto riguarda la diffusione della banda larga ad alta velocità (velocità pari o superiori a 30Mbps), considerando il numero di sottoscrizioni tra privati e imprese; al penultimo posto (seguita solo dalla Grecia) per quanto riguarda la diffusione della banda larga ultra veloce (velocità pari o superiori a 100Mbps) e ad uno degli ultimi posti (dopo l’Italia, Romania, Bulgaria e Grecia) per quanto riguarda la percentuale di individui che utilizzano regolarmente internet (intorno al 56% a fronte dell’obiettivo europeo del 75% entro il 2015).
Nell’ambito del quadro finanziario pluriennale dell’UE 2014-2020 sono previsti due canali di finanziamento per interventi volti a migliorare la diffusione della banda larga:
1) il principale è rappresentato dai Fondi strutturali. In particolare, il regolamento generale (regolamento (UE) n. 1303/2013) prevede che Stati membri e regioni disegnino Strategie per la specializzazione intelligente che includano piani per la crescita digitale e la diffusione di reti di accesso di nuova generazione. Si segnala che – nel progetto di accordo di partenariato per la programmazione dei fondi europei 2014-2020 deliberato dal CIPE lo scorso 9 settembre - il Governo italiano prevede di destinare 1,925 miliardi di euro di stanziamenti UE (cui dovrebbe aggiungersi una quota di cofinanziamento nazionale) all’obiettivo tematico n. 2 “migliorare l'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nonché l'impiego e la qualità delle medesime”.
2) il secondo è costituito dal Meccanismo per collegare l'Europa (Connecting Europe Facility – CEF)[20], nel cui ambito è previsto uno stanziamento pari a 1 miliardo di euro (nel periodo 2014-2020) per investimenti in reti a banda larga veloci e ultraveloci.
Articolo 6, commi 2-4
(Norme di semplificazione per le
procedure di scavo e di posa aerea dei cavi)
Il comma 2 dell’articolo 6 modifica le norme di semplificazione in materia di procedure di scavo e posa dei cavi finalizzate alla diffusione della banda larga e ultralarga introdotte dall’articolo 6, comma 4-ter, del decreto-legge n. 145/2013 (c.d. “DL destinazione Italia”).
In particolare, con le modifiche apportate dalle lett. a) e b), si prevede che il relativo provvedimento attuativo, cioè il decreto del Ministro per lo sviluppo economico, da adottare di concerto con il Ministro delle infrastrutture e trasporti, con il quale saranno definite le misure di posa in opera delle infrastrutture in questione, dovrà modificare le specifiche tecniche contenute nel decreto del MISE del 1° ottobre 2013 (lettera b).
Il decreto dovrà inoltre fare riferimento alle tecniche innovative che prevedono la posa di cavi o tubi aerei su infrastrutture esistenti e non solo a quelle che non richiedono il ripristino del manto stradale (lettera a).
Si ricorda che il D.L. n. 145/2013 (art. 6, commi da 1 a 7 ) ha introdotto varie norme per favorire la digitalizzazione e la connettività, tra cui la semplificazione delle procedure per lo scavo e l’installazione delle infrastrutture digitali (comma 4-bis) che prevede l’applicazione anche allo scavo per l’installazione dei ricoveri delle infrastrutture digitali necessarie per il collegamento degli edifici alle reti di telecomunicazioni, delle disposizioni del decreto del Ministro dello sviluppo economico 1° ottobre 2013 che reca, in attuazione dell’art. 14, co. 3, del decreto-legge n. 179/2012 (cd. “decreto sviluppo 2”), le specifiche tecniche delle operazioni di scavo e ripristino per la posa di infrastrutture digitali nelle infrastrutture stradali. Nel caso di installazione delle infrastrutture contemporanea all’effettuazione dello scavo, l’Ente operatore presenta un’istanza unica per lo scavo e l’installazione all’Ente locale competente o alla figura soggettiva pubblica proprietaria delle aree, ai sensi dell’art. 88 del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003).
Il comma 3 dell’articolo 6, prevede che possano essere effettuate con un’autocertificazione descrittiva della variazione dimensionale, da inviare contestualmente alla realizzazione dell’intervento, le modifiche degli impianti già abilitati che comportino aumenti delle altezze non superiori a un metro e aumenti della superficie di sagoma non superiori a 1,5 metri quadrati, al fine di accelerare la realizzazione degli impianti di banda larga mobile.
La modifica avviene attraverso un’integrazione del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003), introducendo un nuovo articolo 87-ter.
Si ricorda che nel Codice delle Comunicazioni elettroniche, l’art. 87-bis introdotto nel 2010 e successivamente modificato nel 2012 dal D.L. n. 70, aveva previsto procedure semplificate per favorire l’investimento in determinate tipologie di impianti per il completamento della rete di banda larga mobile, consentendo la segnalazione certificata di inizio attività, sempre nel rispetto dei principi generali dell’art. 87 per le infrastrutture di comunicazione elettronica di tipo radioelettrico.
Il comma 4 dell’articolo 6 prevede che non sia soggetta ad autorizzazione paesaggistica la installazione o la modifica di impianti di radiotelefonia mobile, da eseguire su edifici o tralicci preesistenti che comportino la realizzazione di pali di supporto per antenne di altezze non superiore a 1,5 metri e di superficie delle antenne non superiori a 0,5 metri quadrati, fatte salve le misure di protezione e di conservazione relative ai beni culturali disciplinate dall’articolo 20 e seguenti del codice dei beni culturali (decreto legislativo n. 42/2004).
Si osserva che la modifica in
commento andrebbe coordinata con l’articolo 149 del d.lgs. 42/2004, che
disciplina gli interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica, e con
il punto 24 dell’Allegato 1 del D.P.R. 139/2010, che assoggetta alla procedura
semplificata dell’autorizzazione paesaggistica per interventi di lieve entità
l’installazione di impianti di radiocomunicazioni elettroniche mobili (di cui
all'articolo 87 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259) che comportano
la realizzazione di supporti di antenne non superiori a 6 metri se collocati su
edifici esistenti, e/o la realizzazione di sopralzi di infrastrutture esistenti
come pali o tralicci, non superiori a 6 metri, e/o la realizzazione di apparati
di telecomunicazioni a servizio delle antenne, costituenti volumi tecnici, tali
comunque da non superare l'altezza di metri 3 se collocati su edifici esistenti
e di metri 4 se posati direttamente a terra.
L’autorizzazione paesaggistica, prevista dall’art. 146 del Codice dei beni culturali
e del paesaggio (Dlgs 42/2004) prevede un regime ordinario e un regime
semplificato per interventi di lieve entità, e costituisce atto autonomo e
presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti
l'intervento urbanistico-edilizio (art. 146, comma 4).
Per gli
interventi di lieve entità, da realizzarsi su aree o immobili sottoposti alle
norme di tutela della parte III (Beni paesaggistici) del Codice, indicati
nell'elenco di cui all'allegato del D.P.R. 9 luglio 2010, n. 139, emanato ai
sensi dell'articolo 146, comma 9, del D.Lgs. n. 42 del 2004, è prevista una procedura semplificata per il rilascio
dell’autorizzazione.
Articolo 10
(Disposizioni per il potenziamento
dell’operatività di Cassa depositi e prestiti a supporto dell’economia)
Le disposizioni contenute nell’articolo sono volte ad aumentare l’operatività della Cassa depositi e prestiti Spa e a favorire nuovi investimenti in Italia da parte degli istituti simili presenti negli altri Stati dell’Unione europea.
Il comma 1 riguarda, in particolare, i finanziamenti concessi nell’ambito della “gestione separata” (che utilizza la raccolta del risparmio postale garantita dallo Stato) e della “gestione ordinaria” (che si finanzia sul mercato e non è assistita dalla garanzia statale). A tal fine vengono modificati in più punti i commi 7 e 11 dell’articolo 5 del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269/2203[21], che ha trasformato la Cassa depositi e prestiti in società per azioni.
In particolare la lettera a) estende il perimetro delle operazioni della Cassa finanziate tramite gestione separata, includendo, oltre quelle concernenti soggetti pubblici e quelle da loro promosse, già previste nella disciplina vigente, anche le operazioni in favore dei soggetti privati in settori di interesse generale, da individuare (lettera c) con uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, come previsto dal medesimo articolo 5, alla lettera e) del comma 11.
La lettera b) allarga invece il perimetro delle operazioni della Cassa finanziate con la gestione ordinaria includendo le opere, gli impianti, le reti e le dotazioni destinate non più solo alla fornitura di servizi pubblici ed alle bonifiche ma, in modo più ampio, anche ad iniziative di pubblica utilità nonché gli investimenti finalizzati a ricerca, sviluppo, innovazione, ambiente, cultura, turismo ed efficientamento energetico, in via preferenziale in cofinanziamento con enti creditizi.
La lettera d), infine, amplia le possibilità di concedere la garanzia dello Stato in relazione ad esposizioni assunte dalla Cassa diverse da quelle operate nell’ambito della gestione ordinaria A tal fine consente che la garanzia sulle esposizioni assunte (o previste) dalla Cassa non debba necessariamente articolarsi con riferimento a ciascun esercizio finanziario, prevede che il rilascio della garanzia medesima non richieda la rinuncia all’azione di regresso sulla Cassa ed, infine, nel ribadire la compatibilità con la normativa comunitaria in materia di garanzie onerose concesse dallo Stato, elimina il requisito che debba trattarsi delle garanzie onerose concesse “ condizioni di mercato”. La disciplina dei criteri e delle modalità operative, la durata e la remunerazione della garanzia dello Stato è rimessa ad una o più convenzioni tra il Ministero dell’economia e delle finanze e la Cassa depositi e prestiti Spa.
Il comma 2 dell’articolo interviene sulla disciplina impositiva di cui al D.P.R. n. 600 del 1973 per estendere il regime di esenzione della ritenuta sugli interessi e sugli altri proventi corrisposti a fronte di finanziamenti a medio e lungo termine concessi alle imprese da parte di enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell’Unione europei anche agli Istituti di promozione dello sviluppo presenti negli Stati membri.
Si rammenta che l’articolo 26, comma 5-bis del D.P.R. 600 del 1973, introdotto dall'articolo 22 del DL n. 91 del 2014, ha esentato dalla ritenuta alla fonte del 26 per cento (altrimenti disposta dal comma 5 dell’articolo 26, del medesimo DPR) gli interessi e altri proventi derivanti da finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese, erogati da enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell'Unione europea, imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri dell'Unione europea o organismi di investimento collettivo del risparmio che non fanno ricorso alla leva finanziaria, ancorché privi di soggettività tributaria, costituiti negli Stati membri dell'Unione europea e negli Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo che consentono un adeguato scambio di informazioni.
La disposizione ha inteso eliminare il rischio di doppia imposizione giuridica, che economicamente risulta di norma traslato sul debitore, al fine di favorire l'accesso delle imprese italiane a costi competitivi a fonti di finanziamento estere (tra cui i c.d. fondi di credito, che disporrebbero di ampie riserve di liquidità). In sostanza, si è inteso rendere più conveniente per le imprese italiane ottenere finanziamenti dalle banche e dai fondi comuni esteri. Tale ritenuta va applicata:
- a titolo di imposta nel caso in cui la stabile organizzazione operi in qualità di tramite tra sostituti di imposta italiani (beneficiari del finanziamento) e soggetti non residenti;
- a titolo di acconto nel caso in cui i proventi siano imputabili a soggetti residenti (Circolare Assonime n. 40 del 10 maggio 1999).
Tali Istituti di promozione dello sviluppo – che, si rammenta, seppure non aventi natura di enti creditizi, esercitano comunque attività di credito con finalità pubblicistiche di sostegno e promozione dell’economia - vengono individuati dal comma 2 inserendo nel comma 5-bis dell’articolo 26 del DPR n. 600/73 un rinvio all’elenco contenuto nell’articolo 2, paragrafo 5, numeri da 4) a 23) della Direttiva n. 2013/36/UE (Direttiva del parlamento europeo e del consiglio sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE)[22].
Articolo 11
(Disposizioni in materia di defiscalizzazione degli investimenti infrastrutturali
in finanza di progetto)
L'articolo 11 modifica la disciplina degli incentivi fiscali per la realizzazione di nuove infrastrutture, da realizzare con il ricorso a contratti di partenariato pubblico-privato (PPP), ampliandone l'ambito alle opere previste in piani o programmi approvati da amministrazioni pubbliche e riducendo da 200 a 50 milioni di euro il valore dell'opera al di sopra del quale viene concesso l'incentivo. Viene chiarito che il valore delle opere non di rilevanza strategica nazionale previste in piani o programmi approvati da amministrazioni pubbliche non può superare l'importo di 2 miliardi di euro.
A seguito degli
interventi apportati con il decreto-legge
n. 179 del 2012 e modificati con il decreto-legge n. 69 del 2013, il
legislatore ha delineato tre modalità di sostegno alla realizzazione di nuove
opere, le cui procedure sembrano essere sostanzialmente analoghe:
§
in via
sperimentale, viene introdotto un credito
d’imposta per nuove opere di importo superiore a 200 milioni di euro (articolo 33, comma 1); esso spetta per
la realizzazione di nuove opere infrastrutturali di importo superiore a 200
milioni di euro con contratti di
partenariato pubblico privato (PPP) a valere sull’IRES e sull’IRAP generate
in relazione alla costruzione e gestione dell’opera stessa; l’opera non deve
usufruire di contributi pubblici a fondo perduto e deve essere accertata la
non sostenibilità del piano economico
finanziario (PEF). Il credito di
imposta deve essere stabilito per
ciascun progetto nella misura necessaria al raggiungimento dell’equilibrio del PEF e comunque entro il
limite massimo del 50% del costo
dell’investimento;
§
è prevista l’esenzione dal pagamento del canone di
concessione, sempre per nuove opere di importo superiore a 200 milioni di
euro con i requisiti sopra descritti (comma
2-ter dell’articolo 33), cumulabile con la misura precedente;
§
in alternativa alle misure sopra
descritte, si conferma la possibilità di “defiscalizzazione”
delle nuove opere incluse in piani o programmi di amministrazioni pubbliche
previsti a legislazione vigente (ai sensi dell’articolo 18 della legge n. 183 del 2011 e della Delibera Cipe 18 febbraio 2013, n. 1),
consistente nella possibilità di compensare
le imposte con quanto dovuto dalla
PA a titolo di contributo pubblico a
fondo perduto.
Un’ulteriore
misura riguarda la tassazione agevolata
dei cd. project bond (ai sensi
dell’articolo 1 del D.L. n. 83/2012),
con l’applicazione di un’imposta
sostitutiva con aliquota al 12,5% sulle emissioni obbligazionarie
effettuate nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 da parte delle società di
progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di
pubblica utilità.
Si segnala che
tale norma è modificata dall’articolo 13 del presente decreto-legge.
In primo luogo, con riferimento al credito d’imposta per la realizzazione di opere infrastrutturali mediante contratti di partenariato pubblico-privato, il comma 1, lettera a) elimina il riferimento al requisito della “rilevanza strategica nazionale” dell’opera, che viene sostituito con la presenza nell’opera in “piani o programmi approvati da amministrazioni pubbliche”. Inoltre, il valore dell’opera al di sopra del quale viene concesso il credito d’imposta viene ridotto da 200 a 50 milioni di euro (attraverso una modifica al comma 1 dell’articolo 33 del decreto-legge n. 179 del 2012).
I medesimi requisiti sono modificati per quanto riguarda l’esenzione dal pagamento del canone di concessione, sempre per nuove opere di importo superiore a 50 milioni di euro (comma 1, lettera a), che modifica il comma 2-ter dell’articolo 33).
In entrambi i casi l’approvazione della progettazione definitiva dell’opera deve avvenire entro 31 dicembre 2016.
Infine, il comma 1, lettera c) – mediante l’introduzione di un nuovo comma 2-quinquies al citato articolo 33 – chiarisce che il valore complessivo delle opere non di rilevanza strategica nazionale previste in piani o programmi approvati da amministrazioni pubbliche non può superare l'importo di due miliardi di euro.
In sostanza la norma sostituisce il requisito della rilevanza strategica dell’opera per l’accesso alle agevolazioni in commento con un limite di due miliardi di euro al valore delle opere sprovviste di tale requisito.
Articolo 13
(Misure a favore dei project bond)
L’articolo 13 apporta numerose modifiche alla disciplina dei cd. project bond, contenuta nell’articolo 157 del Codice dei Contratti Pubblici (D. Lgs. n. 163 del 2006).
In particolare
- viene precisata la nozione di “investitori qualificati” cui è riservata la detenzione e circolazione dei project bond, coordinando tale definizione coi regolamenti Consob emanati in attuazione del Testo Unico Finanziario (TUF, di cui al d.lgs. n. 98 del 1998) e chiarendo che per “investitori qualificati” si intendono anche le società e gli altri soggetti giuridici controllati da investitori qualificati;
- si interviene sul regime di circolazione dei project bond, che cessano di essere nominativi e potranno dunque essere dematerializzati;
- si elimina l’obbligo di riportare anche sul titolo l’avvertimento circa l'elevato profilo di rischio associato all'operazione;
- si specifica che ai titolari di obbligazioni e titoli similari si applica la disciplina concernente il subentro nella concessione, il privilegio sui crediti e il limite di riduzione del canone di disponibilità;
- è rimodellata la disciplina delle garanzie prestate sui predetti bond, che potranno essere costituite sia in favore dei sottoscrittori, sia di un loro rappresentante (tale modifica viene più in generale estesa alle obbligazioni);
- per quanto riguarda il regime fiscale degli atti di costituzione e trasferimento di garanzia, si estende l’applicazione dell’imposta di bollo in misura agevolata (misura fissa pari a 200 euro) alle sostituzioni di garanzia relative all’emissioni di project bond e ai trasferimenti di garanzie, anche qualora derivino dalla cessione delle predette obbligazioni e titoli di debito;
- viene resa strutturale l’applicazione dell’aliquota agevolata al 12,5 per cento sugli interessi delle obbligazioni di progetto emesse per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica.
I
“project bond”
La normativa riguardante i “project bond” è stata oggetto di profonde innovazioni già a partire dalla XVI legislatura. In particolare, con una prima novella all’articolo 157 del Codice degli Appalti (contenuta nell’ articolo 41 del D.L. n. 1 del 2012, cd. “liberalizzazioni”) è stato consentito alle società di progetto (di cui all’articolo 156 del medesimo Codice) e alle società titolari di un contratto di partenariato pubblico-privato di emettere, oltre alle obbligazioni, anche altri titoli di debito aventi scopo di realizzare una singola infrastruttura o un nuovo servizio di pubblica utilità, anche in deroga ai limiti previsti dal Codice civile in tema di limiti quantitativi all'emissione di obbligazioni (limite del doppio del c.d. patrimonio netto ed altri conseguenti divieti).
Tali strumenti sono sottoscritti solo da investitori qualificati e la loro successiva circolazione deve avvenire tra i medesimi soggetti.
I project bond godono di un regime fiscale agevolato (articolo 1 del D.L. n. 83 del 2012): gli interessi delle obbligazioni di progetto emesse per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità sono soggette allo stesso regime fiscale agevolato previsto per i titoli del debito pubblico, ovvero ad una tassazione con aliquota al 12,5 per cento (in luogo dell’aliquota del 26 per cento stabilita in via generale dalla legge, ai sensi dell’articolo 3 del decreto-legge n. 66 del 2014). Nella formulazione originaria dell’articolo 1 del D.L. 83 del 2012 (modificato, come si vedrà in seguito, dalla disciplina in commento) si trattava di un regime temporaneo, che avrebbe trovato applicazione per le obbligazioni emesse nei tre anni successivi alla data di entrata in vigore del D.L. n. 83 del 2012, ovvero entro il 26 giugno 2015.
Inoltre, i limiti di legge per la deducibilità degli interessi passivi derivanti da obbligazioni non si applicano alle società che emettono project bond.
E’ previsto anche un regime fiscale agevolato anche per le garanzie rilasciate in rapporto ai project bond, nonché sulle relative operazioni. Più in dettaglio, si applicano le imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa (pari a 200 euro, misura così stabilita dall’articolo 26 del D.L. n. 104 del 2013 a decorrere dal 1° gennaio 2014) alle garanzie di qualunque tipo, da chiunque e in qualsiasi momento prestate in relazione alle emissioni di obbligazioni e titoli di debito da parte delle società di progetto (di cui al richiamato articolo 157 del Codice dei contratti pubblici). Tale regime si applica anche alle relative eventuali surroghe, postergazioni, frazionamenti e cancellazioni anche parziali, ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione a tali emissioni. Per effetto delle norme contenute nel decreto-legge n. 69 del 2013, le agevolazioni fiscali in materia di deducibilità degli interessi passivi e il regime agevolato ai fini delle imposte di registro e ipocatastali hanno carattere strutturale.
Più in dettaglio, il comma
1, lettera a), n. 1 modifica il comma 1 dell’articolo 157, precisando la nozione di “investitori
qualificati” cui è riservata la detenzione e circolazione dei project bond.
In particolare, le norme proposte specificano che si intendono tali i soggetti definiti dall’articolo 100 del D.Lgs. n. 58 del 1998 (Testo Unico Finanziario – TUF), in luogo di quelli individuati dal “regolamento di attuazione” (regolamento emittenti) del TUF.
Di conseguenza si tratta, ai sensi dell’articolo 100, comma 1, lettera a) del TUF, degli investitori qualificati definiti dalla Consob con regolamento, in base ai criteri fissati dalle disposizioni comunitarie.
L’investitore “qualificato” è considerato tale – ai fini fiscali e finanziari – perché possiede conoscenze e competenze adeguate per assumere decisioni di investimento e valutare i relativi rischi.
In particolare, il già citato regolamento emittenti della Consob (articolo 34-ter, comma 1 del regolamento adottato con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999 e successivamente modificato nel tempo) definisce come “investitori qualificati” i soggetti individuati dall’articolo 26, comma 1, lettera d) del regolamento intermediari (regolamento adottato con delibera n. 16190 del 2007, anch’esso successivamente modificato) e, in particolare i cd. “clienti professionali”, sia pubblici che privati, individuati nell’Allegato 3 del medesimo regolamento intermediari.
Il predetto Allegato 3 individua due categorie di clienti professionali: i cd. “clienti professionali di diritto”, per i quali la qualifica discende direttamente dalla norma, ed i “clienti professionali su richiesta”; essi sono tali perché gli intermediari possono riservare loro il medesimo trattamento previsto per i clienti professionali “di diritto”, purché ne facciano espressa richiesta e siano rispettati specifici criteri e procedure.
Il predetto allegato 3 enumera tra gli investitori qualificati “di diritto” gli intermediari autorizzati a operare sui mercati finanziari, dunque le banche, le imprese di investimento e di assicurazione, gli OICR, le SGR, le Sicav, i negoziatori sui mercati aderenti a servizi di liquidazione o a sistemi di compensazione e garanzia, i negoziatori per conto proprio di merci e strumenti derivati su merci; gli agenti di cambio, gli investitori istituzionali che investono in strumenti finanziari, nonché le imprese che superino certi limiti dimensionali.
La norma in esame precisa altresì che per “investitori qualificati” si devono intendere anche le società e gli altri soggetti giuridici controllati da investitori qualificati, secondo la nozione di controllo societario contenuta nel codice civile (all’articolo 2359).
Il primo comma del richiamato articolo stabilisce che sono considerate società controllate:
1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;
2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;
3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
Con un ulteriore gruppo di modifiche al comma 1 dell’articolo 157
del Codice appalti, il legislatore modifica anche il regime di circolazione dei project
bond, i quali cessano di essere
nominativi e potranno essere anche dematerializzati.
Le norme in esame modificano poi l’ambito applicativo di alcune disposizioni del codice civile a siffatti strumenti finanziari.
Come ricordato già in precedenza, all’emissione dei project bond non si applicano alcuni limiti relativi alle obbligazioni e ai titoli di debito. In particolare, si possono emettere obbligazioni al portatore o nominative anche per somme complessivamente eccedenti il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato della società.
Inoltre non trovavano applicazione per i project bond gli articoli 2413 e da 2414-bis a 2420 del Codice civile. L’articolo 2413 del Codice civile vieta alla società emittente di ridurre volontariamente il capitale sociale o distribuire riserve se, rispetto all'ammontare delle obbligazioni ancora in circolazione, non si rispetti il limite di cui al primo comma dell’articolo 2412, ovvero se sono state emesse obbligazioni al portatore o nominative per una somma eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato. Se la riduzione del capitale sociale è obbligatoria, o le riserve diminuiscono in conseguenza di perdite, non possono distribuirsi utili sinché l'ammontare del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili non eguagli la metà dell'ammontare delle obbligazioni in circolazione.
L’articolo 2414-bis disciplina la costituzione delle garanzie, mentre gli articoli da 2415 a 2420 recano la disciplina dell’assemblea degli azionisti (tra cui i casi di impugnazione delle deliberazioni da essa assunte, la nomina del rappresentante comune degli obbligazionisti ed i relativi obblighi e poteri, le azioni individuali degli obbligazionisti e le modalità per il sorteggio delle obbligazioni).
Per effetto delle norme in esame si precisa che non trovano applicazione nei confronti
dei project bond solo i primi due commi dell’articolo 2414-bis.
Troverà invece applicazione il comma 3 del predetto articolo, introdotto dalle disposizioni in esame (si veda il commento al successivo comma 2 dell’articolo 13 del provvedimento), il quale consente che le garanzie - reali e personali e di qualunque altra natura, nonché le cessioni di credito in garanzia - che assistono i titoli obbligazionari siano costituite in favore dei sottoscrittori delle obbligazioni che del loro rappresentante, legittimato a esercitare in nome e per conto dei sottoscrittori tutti i diritti, sostanziali e processuali, relativi alle garanzie medesime.
Si segnala che una disposizione di rango analogo – estesa però anche ai titoli di debito, non solo alle obbligazioni – è contenuta nel nuovo comma 4-bis dell’articolo 157, introdotto dal successivo n. 4.
Le modifiche di cui al comma 1, lettera a), n. 2 intervengono invece sul comma 2 dell’articolo 157, eliminando l’obbligo di riportare sul titolo medesimo l’avvertimento circa l'elevato profilo di rischio associato all'operazione; tale avvertimento verrà riportato unicamente sulla documentazione di offerta.
Con il successivo n. 3 si modifica il comma 3 dell’articolo 157, al fine di precisare che il sistema di garanzie di obbligazioni e titoli di debito opera non solo sino all'avvio della gestione dell'infrastruttura da parte del concessionario, ma anche fino alla scadenza delle obbligazioni e dei titoli medesimi.
Di conseguenza fino a tale data i project bond possono essere garantiti dal sistema finanziario, da fondazioni e da fondi privati.
Tale prescrizione era già contenuta nell’articolo 2 del D.M. 7 agosto 2012, col quale erano state specificate le modalità per la prestazione delle garanzie sui project bond.
Il comma 1, n. 4 della lettera a) aggiunge i commi 4-bis e 4-ter all’articolo 157.
Come già anticipato sopra, il comma 4-bis prevede che le garanzie, reali e personali e di qualunque altra natura - incluse le cessioni di credito a scopo di garanzia - che assistono i project bond (emessi come obbligazioni o altri titoli di debito) possono essere costituite sia in favore dei sottoscrittori, sia di un loro rappresentante che sarà legittimato a esercitare in nome e per conto dei sottoscrittori tutti i diritti, sostanziali e processuali, relativi alle garanzie medesime.
Il nuovo comma 4-ter lascia impregiudicato quanto previsto all'articolo 176, comma 12 del D. lgs. n. 163 del 2006: tale norma consente al contraente generale di finanziare la quota di valore dell'opera da realizzare con anticipazione di risorse proprie mediante l’emissione di obbligazioni, previa autorizzazione degli organi di vigilanza, anche in deroga ai limiti dell'articolo 2412 del codice civile. Il soggetto aggiudicatore garantisce il pagamento delle obbligazioni emesse, nei limiti del proprio debito verso il contraente generale quale risultante da stati di avanzamento emessi ovvero dal conto finale o dal certificato di collaudo dell'opera; le obbligazioni garantite dal soggetto aggiudicatore possono essere utilizzate per la costituzione delle riserve bancarie o assicurative previste dalla legislazione vigente.
Il comma 1, lettera b), n. 1,
interviene sulla disciplina del subentro nella concessione di cui all’articolo
159 del Codice dei contratti, al fine di specificare che anche i titolari di obbligazioni e titoli similari emessi dal
concessionario sono inclusi nel novero degli enti finanziatori, che possono
impedire la risoluzione di un rapporto concessorio, per motivi attribuibili al
concessionario, designando una società che subentri nella concessione al posto del concessionario e che
verrà accettata dal concedente alle condizioni indicate nella norma. Viene
inoltre specificato, al comma 2-bis
del citato articolo 159, che la disciplina del suddetto subentro si applica
alle società titolari di qualsiasi contratto di partenariato pubblico privato (comma
1, lettera b, n. 2)).
Ai sensi
dell’articolo 3, comma 15-ter, del
Codice dei contratti, i contratti di partenariato pubblico privato sono
contratti aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la
costruzione, la gestione o la manutenzione di un'opera pubblica o di pubblica
utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il
finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di
tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e
degli indirizzi comunitari vigenti.
Il comma 1, lettera c), estende anche ai titolari di obbligazioni e titoli similari la disciplina concernente i crediti dei soggetti che finanziano o rifinanziano, a qualsiasi titolo la realizzazione di lavori pubblici, di opere di interesse pubblico o la gestione di pubblici servizi, che hanno privilegio generale.
Il comma 1
dell’articolo 161 del Codice prevede che i predetti crediti hanno privilegio
generale, ai sensi degli articoli 2745 e seguenti del codice civile, sui beni
mobili, ivi inclusi i crediti, del concessionario e delle società di progetto
che siano concessionarie o affidatarie di contratto di partenariato pubblico
privato o contraenti generali. Si ricorda che i privilegi rientrano tra le cause
legittime di prelazione ai sensi dell’articolo 2741 del codice civile.
Il comma 1, lettera d), dispone che l’individuazione, nel contratto, del limite di riduzione del canone di disponibilità, superato il quale avviene la risoluzione del contratto medesimo, è a salvaguardia anche dei titolari di project bond. La norma modifica il secondo periodo del comma 6 dell'articolo 160-ter del Codice dei contratti, che disciplina il contratto di disponibilità.
Il contratto di
disponibilità è il contratto mediante il quale sono affidate, a rischio e a
spesa dell'affidatario, la costruzione e la messa a disposizione a favore
dell'amministrazione aggiudicatrice di un'opera di proprietà privata destinata
all'esercizio di un pubblico servizio, a fronte di un canone (art. 3, comma 15-bis, n.1 del Codice dei contratti).
Il comma 2 dell’articolo 13 introduce un nuovo comma (il terzo) all’articolo 2414-bis del codice civile che, come già anticipato (si veda il commento al comma 1) riguarda la costituzione di garanzie sulle obbligazioni emesse dalle società.
Per effetto delle norme in commento, le garanzie - reali e personali e di qualunque altra natura, nonché le cessioni di credito in garanzia - che assistono i titoli obbligazionari possono essere costituite sia in favore dei sottoscrittori delle obbligazioni che del loro rappresentante, che verrà legittimato a esercitare in nome e per conto dei sottoscrittori tutti i diritti, sostanziali e processuali, relativi alle garanzie medesime.
Il comma 3 dell’articolo 13 in esame (modificando il già richiamato articolo 1 del D.L. n. 83 del 2012) incide sul regime fiscale dei project bond.
Più in dettaglio, la lettera a) del comma 3 modifica il comma 3 del richiamato articolo 1 del D.L. n. 83 del 2012, disponendo l’applicazione dell’imposta di bollo in misura fissa (200 euro) anche per le sostituzioni di garanzia relative all’emissioni di project bond e per i trasferimenti di garanzie, anche nel caso in cui derivino dalla cessione delle predette obbligazioni e titoli di debito.
Infine, con la lettera b) del comma 3 si abroga il comma 4 dell’articolo 1 del D.L. n. 83 del 2012, in tal modo rendendo strutturale l’applicazione dell’aliquota agevolata al 12,5 per cento sugli interessi delle obbligazioni di progetto emesse per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica (in luogo dell’aliquota del 26 per cento stabilita in via generale dalla legge, ai sensi dell’articolo 3 del decreto-legge n. 66 del 2014).
Il comma 4 limitava nel tempo l’applicazione di tale regime agevolato, che in precedenza era operativo per le sole obbligazioni emesse nei tre anni successivi alla data di entrata in vigore del D.L. n. 83 del 2012, ovvero i titoli emessi entro il 26 giugno 2015.
Il 26 giugno 2013 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento relativo ai fondi di investimento europei
a lungo termine (COM(2013)462), che istituisce un quadro comune per i fondi
d’investimento che vogliono iniettare capitali in società e progetti a lungo
termine (European Long-Term
Investment Funds, ELTIF).
In linea con l’obiettivo di
integrazione del mercato interno, la proposta legislativa mira a creare un
quadro normativo armonizzato per gli ELTIF, al fine di garantire che siano
identificabili come tali dagli investitori in tutta l’UE, garantendo la parità
delle condizioni di concorrenza tra i diversi gestori di fondi di investimento
a lungo termine.
A tal fine, la nuova
disciplina stabilisce i requisiti minimi per gli ELTIF, ovvero:
·
le tipologie
di attività in cui sarebbero autorizzati a investire, (infrastrutture,
trasporti ed energia sostenibile);
·
le
regole sulla distribuzione dei capitali per ridurre i rischi;
·
norme
sulle informazioni che devono essere comunicate agli investitori.
Il Parlamento europeo ha
esaminato la proposta, che segue la procedura legislativa ordinaria (già
procedura di codecisione), il 16 aprile 2014, e – in assenza di un accordo in
prima lettura con il Consiglio dell’UE - ha deciso di rinviare il testo in
commissione per un approfondirne l’esame.
Articolo 14
(Norma overdesign)
L'articolo 14 stabilisce che per la progettazione delle opere pubbliche non possono più essere richieste modifiche rispondenti a standard tecnici, che prescrivono livelli di sicurezza superiori a quelli minimi definiti dalla normativa europea, e che tali modifiche devono essere eventualmente accompagnate da una analisi di sostenibilità economica e finanziaria e da una stima dei tempi di attuazione dell'opera.
Viene quindi introdotto il c.d. divieto di overdesign per tutte la progettazione delle opere pubbliche.
Con il termine overdesign
si intende la progettazione e la realizzazione di un'opera in maniera sovradimensionata,
ossia con criteri di dimensionamento, sicurezza, accessibilità, portati
all’eccesso considerati superiori rispetto
alle reali necessità e a quanto richiederebbe il suo utilizzo tipico.
Si ricorda che l’art. 53, commi 4 e 5, DL 1/2012 ha introdotto un divieto di overdesign per la progettazione e la costruzione delle nuove gallerie stradali e autostradali e gli adeguamenti di quelle esistenti, stabilendo anche in questo caso l’esclusione dall’applicazione di parametri e standard tecnici e funzionali più stringenti rispetto a quelli previsti dagli accordi e dalle norme dell’UE.
Anche nell’art. 16 del DDL c.d.
“semplificazione” (“Misure di semplificazione degli adempimenti per i cittadini
e le imprese e di riordino normativo” A.S. 958 presentato nel 2013) era
contenuta una norma che prevedeva il divieto di overdesign per le
infrastrutture ferroviarie.
Articolo 28, co. 1-2
(Indennità di volo)
L’articolo 28, commi 1 e 2, interviene sul regime contributivo delle indennità di volo previste dalla legge o dal contratto collettivo, confermando anche per il triennio 2015-2017 l’agevolazione già prevista per il 2014 dalla normativa vigente.
Più specificamente, il comma 1 dispone che le indennità di volo previste dalla legge o dal contratto collettivo non concorrono alla formazione del reddito ai fini contributivi e concorrono alla determinazione della retribuzione pensionabile nella misura del 50 per cento del loro ammontare. La disposizione è volta ad estendere al personale di volo la decontribuzione su un istituto retributivo come l’indennità di volo, in ragione della sua specificità, mantenendo al tempo stesso un peso pari al 50 per cento della suddetta indennità nella formazione della retribuzione pensionabile, attraverso la contribuzione figurativa a carico dell’Inps.
Il comma 2 stabilisce che agli oneri derivanti dall’applicazione del precedente comma, pari a 28 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017, si provvede attraverso una riduzione:
· di 6 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 dell’autorizzazione di spesa prevista per l’ENAC (Ente nazionale per l’aviazione civile);
· di 14 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 dell’autorizzazione di spesa prevista per l’incremento della competitività del sistema aeroportuale;
· di 8 milioni di euro per il 2015 e 4 milioni di euro per il 2016 dell’autorizzazione di spesa prevista per il Fondo per interventi strutturali di politica economica;
· di 4 milioni di euro per il 2016 dell’autorizzazione di spesa stanziata per il Fondo istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dalla Legge finanziaria 2008 in seguito all’introduzione del divieto di iscrizione negli stati di previsione dei Ministeri delle somme versate all’entrata del bilancio dello Stato autorizzate dai provvedimenti legislativi indicati nella stessa Legge finanziaria;
· di 8 milioni di euro per il 2017 dell’autorizzazione di spesa riconosciuta al comitato centrale per l'albo degli autotrasportatori
Si ricorda che il regime di agevolazione previsto per il triennio 2015-2017 dal comma 1 dell’articolo in esame era già contenuto, per il 2014, nell’articolo 13, comma 19, del D.L. 145/2013. Tale disposizione ha stabilito che per il 2014 le indennità di volo (previste dalla legge o dal contratto collettivo) non concorrono alla formazione del reddito ai fini contributivi e sono pensionabili nella misura del 50% del loro ammontare. Alla copertura degli oneri finanziari, quantificati in 28 milioni di euro per il 2014 e derivanti dall’esclusione totale dalla base contributiva nonché dal parziale riconoscimento ai fini del calcolo del trattamento pensionistico, si provvede (comma 20) a valere sulle risorse riscosse dall’ENAV per lo svolgimento, in favore del traffico civile, dei servizi di navigazione aerea di rotta. Tale quota di risorse è versata dall’ENAV all’entrata del bilancio dello Stato nel 2014.
Articolo 28, commi 3-8
(Misure urgenti per migliorare la funzionalità aeroportuale)
Il comma 3 dell’art. 28 estende il regime di esenzione dal diritto
di imbarco al personale di volo degli aeromobili per ragioni di servizio.
Viene in particolare modificato l’art. 5 della legge n. 324 del 1976, che prevede in generale la corresponsione di un diritto di imbarco per i passeggeri sui voli nazionali e internazionali. Il contributo è dovuto direttamente dal vettore che se ne rivale nei confronti del passeggero.
Attualmente è prevista l’esenzione per i bambini fino a due anni, e la riduzione a metà per i bambini fino a dodici anni.
Il comma 3 introduce l’esenzione dal diritto di imbarco per il personale di volo che viaggia per motivi di servizio, nei seguenti casi:
- per i membri degli equipaggi delle compagnie aeree che, di base in un determinato aeroporto, devono raggiungere un altro aeroporto per prendere servizio (crew must go);
- per i membri degli equipaggi delle compagnie aeree che hanno terminato il servizio in un determinato aeroporto e che devono tornare in un altro aeroporto, assegnato dalla compagnia di appartenenza quale propria base operativa (crew returning to base), purché in possesso di attestazione rilasciata dalla propria compagnia aerea che certifichi che il viaggio è effettuato per motivi di servizio.
In materia di diritti
di imbarco si ricorda che l’articolo 2, comma 11, della legge finanziaria
2004 (350/2003) ha istituito, inizialmente per il solo anno 2004, l’addizionale comunale sui diritti
d’imbarco di passeggeri sugli aeromobili, nella misura di 1 euro e
successivamente resa permanente dall’articolo 7-quater del decreto-legge
80/2004. L’addizionale ammontava fino al
2012, a livello nazionale, a 4,5 euro per passeggero.
Successivamente, l’art. 4, comma 75 della legge 92/2012 ha previsto,
a decorrere dal 1° luglio 2013, un ulteriore incremento di 2 euro a passeggero
della misura di base dell’addizionale sui diritti di imbarco, che è passata
così a 6,5 euro a livello nazionale.
Il D.L. n. 145 del 2013 ( commi da 16 a 18 dell’art. 13) ha modificato le addizionali comunali sui diritti aeroportuali dovuti dai passeggeri disponendo l’esenzione dall’addizionale comunale per i passeggeri in transito negli scali aeroportuali nazionali, se provenienti da scali domestici e l’esenzione dall’addizionale commissariale per Roma Capitale (pari ad 1 €) per i passeggeri in transito negli aeroporti di Roma Fiumicino e di Roma Ciampino aventi origine e destinazione nazionale, disponendo altresì che l’addizionale continui invece ad applicarsi per tutti gli altri voli originati o in transito a Roma Fiumicino e Roma Ciampino.
Con DPCM 31 gennaio 2014, pubblicato il 17 marzo 2013 .è stato approvato il secondo atto aggiuntivo tra ENAC e la Società Aeroporti di Roma S.p.a. che rimodula il diritto di imbarco per le annualità 2014-2016 per i passeggeri originanti ed in transito che utilizzano lo scalo di Fiumicino.
I commi da 4 a 7 disciplinano lo svolgimento del servizio di pronto soccorso aeroportuale con il fine di ridurre e razionalizzare gli oneri a carico dello Stato per l’espletamento dei servizi aeroportuali negli aeroporti civili ed in quelli aperti al traffico civile.
Con questo obiettivo, il comma 4 pone i costi della gestione del pronto soccorso aeroportuale a carico del gestore dell’aeroporto che ha sottoscritto la convenzione con l’ENAC per la gestione totale dello scalo.
Si ricorda che il gestore aeroportuale è il soggetto al quale è affidato, insieme ad altre attività, il compito di amministrare e di gestire le infrastrutture aeroportuali e di coordinare e controllare le attività dei vari operatori presenti nello scalo, riconoscendogli il ruolo di soggetto responsabile dell'efficienza ed operatività dell'aeroporto in regolarità e sicurezza. Esistono tre diverse tipologie di gestione aeroportuale:
· aeroporti affidati in gestione totale
· aeroporti affidati in gestione parziale anche in regime precario
· aeroporti in gestione diretta dello Stato
L’ENAC ha anche il compito di predisporre le convenzioni che disciplinano l'affidamento in concessione delle gestioni aeroportuali totali e di definire i metodi e gli strumenti per il controllo degli obblighi convenzionali da parte dei gestori. L'affidamento della gestione totale avviene a società di capitali. L'idoneità del gestore aeroportuale ad espletare le attività è attestata dalla certificazione rilasciata dall'Enac.
Per evitare possibili contenziosi sulla responsabilità e sugli oneri del servizio di pronto soccorso, il comma 5 stabilisce che, in via transitoria, fino all’approvazione da parte dei Ministeri competenti delle convenzioni tra soggetti terzi ed ENAC per la gestione totale degli aeroporti, gli oneri relativi al servizio di pronto soccorso negli aeroporti a diretta gestione dello Stato rimangono a carico del Ministero della salute.
In attesa di una convenzione per lo svolgimento del servizio di pronto soccorso aeroportuale da stipulare tra Ministero della Salute, ENAC e gestori aeroportuali, i costi del servizio rimangono a carico del Ministero della salute anche in quegli aeroporti in cui il servizio è stato assicurato dal Ministero della salute sulla base di una apposita convenzione con la Croce rossa (comma 6).
Il comma 7 dispone infine che, per definire un livello uniforme nello svolgimento del servizio, entro il 31 ottobre 2014, l’ENAC dovrà elaborare linee guida per i gestori aeroportuali per l’individuazione degli standard delle prestazioni e i requisiti minimi del servizio, nonché l’attivazione da parte dei gestori aeroportuali di procedure di scelta del contraente ispirate a criteri di concorrenza e trasparenza.
In proposito si segnala che
la disposizione non prevede il coinvolgimento del Ministero della salute nella
predisposizione delle linee guida.
Il servizio di pronto soccorso sanitario aeroportuale eroga le
prestazioni sanitarie di primo intervento, compreso il trasporto al più vicino
presidio sanitario pubblico, a tutti i cittadini italiani e stranieri a
qualunque titolo presenti in aeroporto.
Con il D.M. 12 febbraio 1988, il Ministero della salute ha affidato
all'Associazione italiana della Croce rossa
lo svolgimento del servizio di pronto soccorso sanitario negli aeroporti
civili ed in quelli aperti al traffico aereo civile, direttamente gestiti dallo
Stato. I rapporti tra il Ministero della salute e l'Associazione italiana della
Croce rossa sono stati regolati nel dettaglio mediante una convenzione, secondo
quanto previsto dallo stesso decreto ministeriale.
Il quadro normativo è stato
modificato dal riordino della Croce rossa avvenuto con il
D.Lgs. 178/2012, che ha previsto una graduale privatizzazione dell’Associazione
Croce Rossa e la costituzione di una associazione privata di interesse
pubblico, l'Ente Croce Rossa, da qualificarsi come associazione di promozione
sociale, alla quale trasferire tutti i compiti svolti prevalentemente da volontari.
L'attuale Ente Croce Rossa Italiana continua ad essere un ente pubblico – senza
modificarsi in Ente Strumentale alla Croce Rossa – fino al 31 dicembre 2014,
mentre, dal 1° gennaio 2014 si sono trasformati
in associazioni di diritto privato i Comitati locali e provinciali della
Croce rossa. Attualmente la Croce rossa ha dunque una struttura territoriale a
gestione diversificata: i livelli centrale/regionale permangono nel perimetro
dell'ente pubblico fino al 31 dicembre 2014, mentre i livelli
provinciale/locale (salvo i Comitati Provinciali di Trento e Bolzano), dal 1°
gennaio 2014 si sono trasformati in
associazioni di diritto privato, accedendo
alla gestione privatizzata pur permanendo nel quadro dell'Associazione (e non
dell'Ente).
La
convenzione discendente dal D.M. 12 febbraio 1988 fra Ministero della salute e
Associazione della Croce rossa per la gestione del servizio di pronto soccorso
aeroportuale scadrà quindi naturalmente il 31 dicembre 2014, se stipulata con i
livelli centrale/regionale. Alla stessa data scadranno le
convenzioni stipulate a livello locale con la Croce rossa, prorogate per
il 2014 da una apposita convenzione del dicembre 2013 fra gestori degli
aeroporti, Croce rossa e Ministero della salute.
Il comma 8, integra il codice della navigazione, per rendere sistematica la collaborazione tra Aeronautica militare ed ENAC ai fini della fornitura dei servizi di navigazione aerea (lett. a).Viene a tal fine modificato l’art. 691-bis del Codice della navigazione aerea al fine di assicurare che i livelli di fornitura dei servizi siano equivalenti a quelli previsti dalla normativa europea (in proposito la relazione illustrativa richiama i regolamenti (CE) n. 550/2004 e n. 216/2008 come modificato dal regolamento (CE) n. 1108/2009).
Con la lett. b) si aggiunge un nuovo articolo 733-bis al Codice della Navigazione, relativo alla normativa da seguire da parte del personale addetto al comando, alla guida e al pilotaggio di aeromobili, e del personale addetto ai servizi del traffico aereo e del personale militare chiamato a svolgere servizi di navigazione aerea per il traffico aereo generale. Si stabilisce che per tali soggetti valgano la normativa europea e la normativa tecnica nazionale adottata dall’ENAC, nonché quella dei manuali operativi del fornitore di servizi di navigazione aerea (ENAV), dell’Aeronautica Militare e degli operatori aerei, con le relative procedure in queste definite.
Articolo 29
(Pianificazione strategica della portualità e della logistica)
L’articolo 29 prevede al comma
1 l’adozione, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di
conversione del decreto-legge, di un piano strategico nazionale della
portualità e della logistica. Il piano sarà adottato con DPCM su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti,
previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Il piano è finalizzato alla
promozione della competitività del sistema portuale e logistico, anche con
riferimento alla razionalizzazione, il
riassetto e l’accorpamento delle autorità portuali esistenti. Il riassetto
e l’accorpamento delle autorità portuali dovrà comunque avvenire ai sensi della legge n. 84/1994.
Si segnala che la legge n. 84/1994 (riassetto della legislazione in materia portuale) ha istituito le autorità portuali come organismi pubblici responsabili delle funzioni di programmazione e controllo delle infrastrutture portuali, separate dalle funzioni di gestione del traffico e dei terminali, affidate ai privati (in questo modo veniva superato il procedente modello basato su porti interamente pubblici). L’articolo 6 disciplina l’istituzione e la soppressione delle autorità portuali, ma non il loro accorpamento: per sopprimere un’autorità portuale si deve procedere con DPR su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti nel caso in cui siano venuti meno i requisiti previsti per l’istituzione di nuove Autorità (volume di traffico nell’ultimo triennio non inferiore a tre milione di tonnellate al netto del 90 per cento delle rinfuse liquide o a 200000 TEU (Twenty Feet Equivalent, unità di misure per i container).
Sembra quindi potersi
desumere che l’accorpamento delle autorità portuali potrà avvenire solo
attraverso la soppressione di quelle autorità che abbiano perso i requisiti
previsti dall’articolo 6 della legge n. 84/1994 ed utilizzando la procedura
prevista da tale norma.
Si ricorda che il DEF 2014, nel piano nazionale delle riforme, prevedeva l’adozione di un piano della portualità e della logistica entro maggio 2014 e l’individuazione di distretti portuali e logistici, nell’ambito dei corridoi europei TEN-T, che comprendano i nodi portuali della rete TEN, gli interporti e le infrastrutture di collegamento stradali e ferroviarie. Si prevedeva quindi l’individuazione di una Autorità portuale e logistica di interesse nazionale per ciascun distretto; il superamento della “logica delle 24 autorità portuali” era ritenuto imprescindibile anche nell’Allegato infrastrutture del DEF.
In proposito, si segnala anche che il nuovo Regolamento (UE) n. 1315/2013 in materia di reti TEN-T individua, per l’Italia, i seguenti nodi portuali della rete centrale (Core Network): Ancona, Augusta, Bari, Cagliari, Gela, Genova, Gioia Tauro, La Spezia, Livorno, Napoli, Palermo, Ravenna, Taranto, Trieste e Venezia.
I nodi portuali della rete globale (Comprehensive Network) sono invece: Brindisi, Carloforte, Chioggia, Civitavecchia, Fiumicino, Gaeta, Golfo Aranci, La Maddalena, Marina di Carrara, Messina, Milazzo, Monfalcone, Olbia, Palau, Piombino, Porto Levante, Porto Torres, Portoferraio, Portovesme, Reggio Calabria, Salerno, Savona Vado, Siracusa e Trapani.
La proposta di legge S.370 (riforma della legislazione portuale) attualmente all’esame del Senato, che riproduce il testo della proposta di legge della XVI Legislatura C. 5453, approvata dal Senato nel settembre 2012 (l’iter alla Camera è stato poi bloccato dalla conclusione della Legislatura) conferma invece l’elenco delle autorità portuali esistenti.
In base al comma 2, le autorità portuali dovranno presentare, entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, un resoconto degli interventi inerenti la logistica portuale in corso di realizzazione o da intraprendere, con i relativi crono-programmi e piani finanziari.
La Presidenza del Consiglio, d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, selezionerà gli interventi ritenuti più urgenti, anche al fine di valutarne l’inserimento nel piano strategico previsto dal comma 1 ovvero di valutare interventi sostitutivi.
Il comma 2 mantiene comunque fermo quanto previsto in materia di miglioramento della competitività dei porti italiani dall’articolo 13, commi 4, 5, 6 e 7 del decreto-legge n. 145/2013. Ciò anche al fine, precisa la norma, con espressione in vero non chiara nella sua portata normativa, del “recupero dei traffici anche tra l’Europa e l’Oriente”.
Si ricorda che le disposizioni richiamate del decreto-legge n. 145/2013 (c.d. “DL destinazione-Italia) hanno consentito la destinazione della quota di IVA riscossa nei porti e trattenuta dalle autorità portuali (ai sensi del decreto-legge n. 83/2012[23]) anche a interventi cantierabili per la competitività dei porti italiani, interventi finanziati anche con risorse revocate dalla realizzazione di altre infrastrutture nonché erogate per interventi nelle aree portuali per i quali non si sia proceduto, entro due anni dall'erogazione del finanziamento, all'approvazione del bando di gara. Si prevedeva anche che il CIPE provvedesse, entro il 30 giugno 2014, alla ripartizione delle risorse così recuperate. Il provvedimento del CIPE non risulta però essere stato adottato.
Articolo 7
(Norme in materia di gestione di risorse idriche. Modifiche urgenti al
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per il superamento delle procedure
di infrazione 2014/2059, 2004/2034 e 2009/2034, sentenze C-565-10 del 19 luglio
2012 e C-85-13 del 10 aprile 2014; norme di accelerazione degli interventi per
la mitigazione del rischio idrogeologico e per l’adeguamento dei sistemi di
collettamento, fognatura e depurazione degli agglomerati urbani; finanziamento
di opere urgenti di sistemazione idraulica dei corsi d’acqua nelle aree
metropolitane interessate da fenomeni di esondazione e alluvione)
Norme in materia di gestione di risorse idriche (comma
1)
Il comma 1 introduce una serie di modifiche al cd. Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006).
La lettera a) è finalizzata ad uniformare, in tutto il testo della parte III del Codice, le denominazioni degli organi di governo degli ambiti idrici, in seguito alla soppressione delle autorità d’ambito (AATO) e alla loro sostituzione con i nuovi soggetti individuati dalle leggi regionali. A tal fine l’espressione “autorità d’ambito” viene sostituita con “ente di governo dell’ambito”.
Per una rassegna delle legislazioni regionali e dei soggetti da queste individuati in luogo delle AATO si veda la tavola 4.1 a pag. 226 della Relazione annuale dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) del marzo 2014.
La lettera b) prevede, al numero 1), l’obbligatorietà della partecipazione degli enti locali agli enti d’ambito e il conseguente trasferimento, a tali enti di governo, delle competenze spettanti agli enti locali in materia di gestione delle risorse idriche, ivi comprese le funzioni di programmazione delle infrastrutture idriche (nuovo ultimo periodo del comma 1 dell’art. 147 del Codice).
Si tratta di una norma che riproduce, per i nuovi enti d’ambito, quanto già disposto per le autorità d’ambito (AATO) dall’art. 148 del Codice.
Il numero 2) prevede poteri sostitutivi in capo alla regione, nei casi di mancata adozione (entro 60 giorni dall’entrata in vigore della presente disposizione) da parte dell’ente locale della delibera di adesione all’ente d’ambito (nuovo comma 1-bis dell’art. 147 del Codice). Le relative spese sono a carico dell’ente inadempiente.
Tale norma riproduce nella sostanza quanto già previsto dal comma 4 dell’art. 172 del Codice nel testo previgente l’entrata in vigore del presente decreto-legge.
Si fa notare che l’articolo 172 viene riscritto dall'articolo in esame.
Il numero 3) ripristina il requisito dell’unicità della gestione, in luogo di quello (meno stringente) dell’unitarietà, che era stato introdotto nel testo del Codice dal D.Lgs. 4/2008 (c.d. secondo correttivo al Codice).
Si ricorda quanto rilevato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 307 del 2009, che, nell’analizzare il contesto normativo relativamente alla non separabilità tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico, sottolinea che “indipendentemente da ogni considerazione sul valore semantico dei termini «unicità» ed «unitarietà» della gestione, è, infatti evidente che parlare di «unitarietà», anziché di «unicità» delle gestioni, non vale a consentire l'opposto principio della separazione delle gestioni stesse. In altri termini, le due gestioni, quella delle reti e quella dell'erogazione, alla luce della sopravvenuta disciplina statale, potranno anche essere affidate entrambe a più soggetti coordinati e collegati fra loro, ma non potranno mai fare capo a due organizzazioni separate e distinte”.
La modifica in esame elimina altresì la parte della lettera b) del comma 2 dell’art. 147 del Codice ove si richiedeva, comunque, il superamento della frammentazione verticale delle gestioni.
Il numero 4) disciplina il caso in cui l’ambito territoriale ottimale (ATO) coincide con l'intero territorio regionale, consentendo - ove si renda necessario al fine di conseguire una maggiore efficienza gestionale ed una migliore qualità del servizio all'utenza - l'affidamento del servizio idrico integrato in ambiti territoriali comunque non inferiori al territorio delle province o delle città metropolitane (nuovo comma 2-bis dell’art. 147 del Codice)
Le lettere c) e d) riscrivono la disciplina relativa alla scelta della forma di gestione e alle procedure di affidamento del servizio idrico.
La lettera c) dispone infatti l’abrogazione dell’art. 150 del Codice, ove era contenuta la disciplina previgente l’entrata in vigore del presente decreto-legge, che viene ora collocata, con una serie di modifiche, nel nuovo articolo 149-bis, introdotto nel testo del Codice dalla lettera d) del comma in esame.
In estrema sintesi la nuova disciplina prevede che l’ente d’ambito deliberi la forma di gestione e le modalità di affidamento del servizio, nel rispetto della disciplina europea e nazionale.
La lettera e) contiene una serie di modifiche all’articolo 151 del Codice, che nel testo previgente disciplinava i rapporti tra autorità d'ambito e soggetti gestori del servizio idrico integrato.
Prescindendo dalle modifiche conseguenti al mutato assetto organizzativo (sostituzione dell’AATO con l’ente di governo dell’ambito e - in virtù dell’unicità della gestione imposta dalla lettera b), numero 3) del comma in esame – di più soggetti gestori con un unico soggetto gestore), la novità più rilevante sembra essere la soppressione della possibilità (prevista dal comma 7), per l'affidatario del servizio idrico integrato, previo consenso dell'AATO, di gestire altri servizi pubblici, oltre a quello idrico, ma con questo compatibili, anche se non estesi all'intero ambito territoriale ottimale.
Rispetto al testo previgente viene attribuita all’AEEGSI, anziché alle regioni e alle province autonome, la competenza a predisporre le convenzioni-tipo che dovranno essere usate dall’ente di governo dell’ambito per regolare i rapporti con il gestore.
Tale passaggio di competenze era già stato sancito, a favore dell’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua (che non è mai stata istituita, e nelle cui funzioni è subentrata l’AEEGSI, ai sensi dell’art. 21, comma 19, del D.L. 201/2011), dal comma 14 dell’art. 10 del D.L. 70/2011.
Un’altra novità risiede nella possibilità di subaffidamento solo previa approvazione espressa da parte dell'ente di governo dell'ambito.
Ulteriori modifiche riguardano l’individuazione, nelle convenzioni-tipo, degli strumenti per mantenere l’equilibrio economico-finanziario nonché (secondo quanto previsto dal numero 5) della lettera in esame) della disciplina delle conseguenze derivanti dalla eventuale cessazione anticipata dell'affidamento e dei criteri per la valutazione del valore residuo degli investimenti realizzati dal gestore uscente.
La lettera f) interviene sull’articolo 153 del Codice, introducendo l’obbligo per il nuovo gestore affidatario del servizio idrico di riconoscere al gestore uscente un valore di rimborso (nuovo ultimo periodo del comma 2 dell’art. 153 del Codice).
Tale disposizione sembra collegarsi a quella prevista dalla lettera e), numero 5), del comma in esame, cui si è accennato in precedenza.
La relazione illustrativa sottolinea che tale obbligo viene introdotto in analogia a quanto già accade nel settore della distribuzione del gas naturale e con l’obiettivo di facilitare l’accesso al mercato del credito, “strutturando un modello che fornisca ai finanziatori maggiori certezze circa la sorte di finanziamenti concessi al gestore in prossimità della scadenza delle concessioni in essere”.
Un’altra modifica riguarda il comma 1 dell’art. 153 ed è finalizzata ad introdurre tempi certi e perentori per l’affidamento al gestore del servizio idrico integrato, in concessione d'uso gratuita, delle infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali.
La lettera g) interviene sull’articolo 156 del Codice che disciplina il caso in cui il servizio idrico sia gestito separatamente, per effetto di particolari convenzioni e concessioni.
In tali casi l’articolo 156 stabilisce che la tariffa sia riscossa dal gestore del servizio di acquedotto, il quale provvede al successivo riparto tra i diversi gestori.
Le modifiche operate dalla lettera g) in esame sono finalizzate a sottoporre al controllo dell’AEEEGSI il riparto, tra i diversi gestori, delle tariffe riscosse e delle spese di riscossione.
La lettera h) introduce una specifica disciplina per l’approvazione dei progetti degli interventi previsti nei piani d’investimento compresi nei piani d’ambito e per l’individuazione dell’autorità espropriante (nuovo articolo 158-bis del Codice).
L’approvazione dei progetti viene attribuita alla competenza degli “enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai sensi dell'articolo 3-bis del D.L. 138/2011”, che provvedono alla convocazione di un’apposita conferenza di servizi. Gli stessi enti sono autorità esproprianti e possono delegare, in tutto o in parte, i propri poteri espropriativi al gestore del servizio idrico integrato.
L’articolo 3-bis citato ha previsto che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano organizzino lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica definendo il perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio e istituendo o designando gli enti di governo degli stessi, entro il termine del 30 giugno 2012.
Secondo il medesimo articolo la dimensione degli ambiti o bacini territoriali ottimali di norma deve essere non inferiore almeno a quella del territorio provinciale.
La lettera i) riscrive i commi da 1 a 5 dell’articolo 172 del Codice al fine di garantire che in tutti gli ambiti territoriali il servizio idrico sia affidato a gestori unici.
Si ricorda che il comma 2 dell’art. 13 del D.L. 150/2013 (v. box) ha previsto che la mancata istituzione o designazione dell'ente di governo dell'ambito territoriale ovvero la mancata deliberazione dell'affidamento entro il termine del 30 giugno 2014, comportano l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Prefetto competente per territorio, le cui spese sono a carico dell'ente inadempiente, che provvede agli adempimenti necessari al completamento della procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014. Ai sensi del successivo comma 3 il mancato rispetto dei termini citati comporta la cessazione degli affidamenti non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea alla data del 31 dicembre 2014.
Occorre anche ricordare che al fine di garantire la continuità del servizio, laddove l'ente responsabile dell'affidamento ovvero, ove previsto, l'ente di governo dell'ambito abbia invece già avviato le procedure di affidamento il servizio è espletato dal gestore o dai gestori già operanti fino al subentro del nuovo gestore e comunque non oltre il 31 dicembre 2014.
Il nuovo comma 1 dell’art. 172 disciplina il caso in cui il piano di ambito non sia stato redatto o l’ente di governo dell’ambito non abbia ancora scelto la forma di gestione e avviato le procedure di affidamento. In tali casi viene introdotto il termine perentorio del 13 settembre 2015 (vale a dire un anno dall’entrata in vigore del presente decreto-legge) per la conclusione di procedure di affidamento ad un gestore unico, con la conseguente decadenza degli affidamenti non conformi alla disciplina pro tempore vigente.
Il successivo comma 2 prevede invece, in via generale, l’immediato subentro (decorrente dall’entrata in vigore del presente decreto-legge) del gestore del servizio idrico integrato agli ulteriori soggetti operanti all'interno del medesimo ambito territoriale.
Ai sensi dell’ultimo periodo del medesimo comma 2, qualora detti soggetti gestiscano il servizio in base ad un affidamento assentito in conformità alla normativa pro tempore vigente e non dichiarato cessato ex lege, il subentro decorrerà dalla data di scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto.
Il comma 3 prevede che, “fuori dai casi contemplati dal comma 1” (ossia nei casi in cui il piano di ambito sia stato redatto e l’ente di governo dell’ambito abbia scelto la forma di gestione e avviato le procedure di affidamento), in sede di prima applicazione, l’ente di governo dell’ambito dispone l’affidamento ad un gestore unico alla scadenza di una o più gestioni esistenti, tra quelle fatte salve dall’ultimo periodo del comma 2, aventi un bacino complessivo almeno pari al 25% della popolazione dell’ambito.
Il gestore unico così individuato subentra agli ulteriori soggetti che gestiscano il servizio in base ad un affidamento assentito in conformità alla normativa pro tempore vigente e non dichiarato cessato ex lege alla data di scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto.
Nelle more del raggiungimento della citata percentuale del 25%, l’ultimo periodo del comma 3 prevede un affidamento “temporaneo” per una durata in ogni caso non superiore a quella necessaria al raggiungimento di detta soglia, ovvero per una durata non superiore alla durata residua delle menzionate (dall’ultimo periodo del comma 2) gestioni esistenti, la cui scadenza sia cronologicamente antecedente alle altre, ed il cui bacino affidato, sommato a quello delle gestioni oggetto di affidamento, sia almeno pari al 25% della popolazione ricadente nell’ambito territoriale.
Nel prevedere l’affidamento
ad un gestore unico il comma 3 rinvia ad un inesistente articolo 150-bis.
Probabilmente il riferimento è all’art.149-bis introdotto dal comma in esame,
che disciplina appunto l’affidamento del servizio idrico.
Volendo schematizzare, il contenuto dei commi 1, 2 e 3 può essere così sintetizzato:
Dall’entrata in vigore del presente decreto-legge
avviene il subentro del gestore del servizio idrico integrato agli ulteriori
soggetti operanti all'interno del medesimo ambito territoriale, esclusi i
soggetti contemplati dall’ultimo periodo del comma 2, che volendo utilizzare
un’espressione sintetica saranno indicati come “soggetti residui”. Tali
“soggetti residui” sono quei soggetti che gestiscono il servizio in base ad
un affidamento assentito in conformità alla normativa pro tempore vigente e
non dichiarato cessato ex lege. Per tali “soggetti residui” il subentro decorrerà
dalla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che
regolano il rapporto (comma 2). Per quanto riguarda le procedure di
affidamento vengono distinti due casi: |
|
CASO 1 (comma 1) |
CASO 2 (comma 3) |
▼ |
▼ |
Obbligo di concludere le procedure di affidamento ad un gestore
unico |
(in sede di prima applicazione) Procedura per disporre l’affidamento ad un gestore unico alla scadenza di una o più gestioni “residue” esistenti, aventi un bacino complessivo almeno pari al 25% della popolazione dell’ambito. Il gestore unico così individuato subentra agli ulteriori soggetti “residui” alla data di scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto. |
Qualora l’ente di governo dell’ambito non provveda nei termini stabiliti all’attuazione dei commi precedenti viene prevista l’attivazione della procedura di esercizio del potere sostitutivo regionale e, in caso di mancato esercizio dello stesso, di quello del Governo, mediante la nomina di un commissario ad acta. (nuovo comma 4 dell’art. 172).
Il comma 5 stabilisce che alla scadenza del periodo di affidamento, o alla anticipata risoluzione delle concessioni in essere, i beni e gli impianti del gestore uscente relativi al servizio idrico integrato sono trasferiti direttamente all’ente locale concedente nei limiti e secondo le modalità previsti dalla convenzione.
Tale disposizione appare analoga a quella già prevista dal corrispondente comma del testo previgente.
Servizi pubblici locali: il referendum del 12 e 13 giugno 2011, la successiva
giurisprudenza costituzionale in materia ed i più recenti interventi normativi
Sulla
materia dei servizi pubblici locali, con particolare riguardo alle modalità di
affidamento della relativa gestione, si sono succedute diverse discipline
normative, nel cui ambito si sono inserite sia un'abrogazione referendaria sia
una pronuncia di illegittimità costituzionale. Tali interventi sono susseguiti
in un ristretto contesto temporale e sono stati adottati, per lo più, con
provvedimenti d'urgenza, a partire dall'art. 23-bis del D.L. n. 112/2008.
Per
quanto attiene al riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le
regioni, la disciplina sulle modalità di affidamento della gestione dei servizi
pubblici locali (SPL) di rilevanza economica è riconducibile alla competenza
esclusiva dello Stato, in quanto attiene alla materia della tutela della
concorrenza, tenuto conto della diretta incidenza sul mercato e perché
strettamente funzionale alla gestione unitaria del servizio (Corte cost.,
sentenza 20 marzo 2013, n. 46).
La disciplina normativa abrogata dal referendum del 2011
L'art. 23-bis
del D.L. 112/2008 è intervenuto sulla disciplina del comparto dei servizi
pubblici locali (SPL), affermando l’obiettivo di favorire la diffusione dei
principi di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei
servizi. A tal fine il principio della
gara è stato posto come regola
generale degli affidamenti di servizi ed è stata stabilita una specifica
normativa in deroga per le fattispecie che "non permettono un efficace ed
utile ricorso al mercato". Al contempo è stata prevista un'ampia delegificazione del settore. Questa
riforma ha inciso sulla normativa contenuta principalmente nell’articolo 113
D.Lgs. 267/2000 (TUEL) ed è stata poi modificata in vari punti dall’articolo 15
del D.L. 135/2009, e successivamente completata in via di delegificazione dal
regolamento governativo adottato con D.P.R. 168/2010.
Il referendum
del 12 e 13 giugno 2011 e la normativa successiva
L'art. 23-bis
del D.L. 112/2008, nel testo risultante dalle modifiche successivamente
approvate, è stato dichiarato abrogato con il dPR 113/2011, a seguito
degli esiti delle consultazioni referendarie del 12 e 13 giugno 2011.
Per
colmare il conseguente vuoto normativo è quindi intervenuto sulla materia l’articolo 4 del D.L. 138/2011. Tale
articolo ha previsto una nuova disciplina generale dei servizi pubblici locali
le cui linee portanti in tema di affidamenti hanno ripreso quelle della
disciplina varata nel 2008, come successivamente modificata e integrata in sede
di delegificazione.
Tali
disposizioni sono state poi oggetto di ulteriori parziali modifiche per effetto
dell’articolo 9, co. 2, della legge 183/2011, legge di stabilità 2012 e
dell’art. 25, comma 1, del D.L. 1/2012 (c.d. D.L. Liberalizzazioni) che ha
introdotto, l'art. 3-bis nel D.L. 138/2011, per
disciplinare gli ambiti territoriali e i
criteri di organizzazione dei servizi pubblici locali allo scopo di
economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza dei
servizi stessi. Il D.L. liberalizzazioni ha anche novellato l’art. 4 del D.L.
138/2011 con l’obiettivo di limitare
ulteriormente le possibilità di ricorrere alle gestioni dirette e di incentivare le gestioni concorrenziali nei
diversi segmenti del comparto. Ulteriori novelle, di entrambi gli articoli, 3-bis e 4, sono state disposte dall’art.
53 del D.L. 83/2012 (c.d. D.L. Crescita del Paese).
Le
nuove regole hanno stabilito non solo disposizioni in tema di affidamenti, ma
anche norme in tema di incompatibilità e divieti di incarichi nelle società e
nelle commissioni di gara, di valutazione della tutela dell'occupazione
nell’ambito delle offerte nelle gare, di virtuosità degli enti affidanti, di
assoggettamento delle società in house
al patto di stabilità interno, alla normativa in tema di acquisto di beni e
servizi da parte di soggetti pubblici, ai principi che regolano criteri e
modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli
incarichi nelle amministrazioni pubbliche.
Tale
disciplina ha previsto una clausola di generale applicazione di tutte le norme
ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, con prevalenza sulle
relative discipline di settore incompatibili, escludendo dall’ambito
applicativo, oltre al servizio
idrico integrato, i seguenti servizi, disciplinati da normative di settore: servizio di distribuzione di gas naturale; servizio
di distribuzione di energia elettrica; servizio di trasporto ferroviario
regionale; gestione delle farmacie comunali.
La sentenza della Corte costituzionale
199/2012
Su
tale disciplina è intervenuta la sentenza 199/2012 della Corte costituzionale,
che ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni adottate, dopo il referendum del giugno 2011, con l’art. 4
del D.L. 138/2011 e delle successive modificazioni, in quanto dirette
sostanzialmente a reintrodurre la
disciplina abrogata dalla volontà popolare col suddetto referendum, quindi in contrasto con il
divieto desumibile dall’art. 75 Cost.
La
Corte ha infatti rilevato che, nonostante l’esclusione dall’ambito di
applicazione della nuova disciplina del servizio idrico integrato, “risulta
evidente l’analogia, talora la coincidenza, della disciplina contenuta
nell’art. 4 rispetto a quella dell’abrogato art. 23-bis e l’identità della ratio
ispiratrice”.
La
declaratoria di illegittimità ha riguardato non solo l’art. 4, ma anche le
successive modificazioni dello stesso articolo disposte dalle seguenti fonti:
art. 9, co. 2, della legge 183/2011; art. 25 del decreto-legge 1/2012; art. 53
del decreto-legge 83/2012. Non è invece incluso nel perimetro
dell’illegittimità il predetto art. 3-bis,
introdotto dal citato art. 25 del D.L. 1/12.
Nella
sentenza in questione la Corte costituzionale ha rilevato come il suddetto art.
23-bis, abrogato a seguito del referendum popolare, si caratterizzava
per il fatto di dettare una normativa generale di settore, inerente a quasi
tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica, fatta eccezione per
quelli espressamente esclusi, volta a restringere,
rispetto al livello minimo stabilito
dalle regole concorrenziali comunitarie, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, di gestione in house dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica, consentite solo in casi eccezionali ed al ricorrere di
specifiche condizioni, la cui puntuale regolamentazione veniva demandata ad un
regolamento governativo (adottato con il decreto del Presidente della
Repubblica 7 settembre 2010 n. 168). La Corte ha quindi ricordato come con la
suddetta consultazione referendaria tale normativa veniva abrogata e si
realizzava, pertanto, l’intento referendario di «escludere l’applicazione delle
norme contenute nell’art. 23-bis che
limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e,
in particolare, quelle di gestione in
house di pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica
(ivi compreso il servizio idrico)» (sentenza n. 24 del 2011) e di consentire,
conseguentemente, l’applicazione diretta della normativa comunitaria
conferente.
A
distanza di meno di un mese dalla pubblicazione del decreto dichiarativo
dell’avvenuta abrogazione dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, si è
intervenuti sulla materia con il richiamato art. 4, il quale ha dettato una
nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che - ha
ritenuto la Corte – “non solo è contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto
opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto
dalla normativa comunitaria, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate
disposizioni dell’abrogato art. 23-bis
e di molte disposizioni del regolamento attuativo del medesimo art. 23-bis contenuto nel d.P.R. n. 168 del
2010”.
La
Corte ha rilevato come venisse resa ancor più remota l’ipotesi dell’affidamento
diretto dei servizi, in quanto non solo limitava, in via generale,
«l’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una
analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a
garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità» (comma 1),
analogamente a quanto disposto dall’art. 23-bis (comma 3) del d.l. n. 112 del
2008, ma la àncorava anche al rispetto di una soglia commisurata al valore dei
servizi stessi, il superamento della quale determina automaticamente
l’esclusione della possibilità di affidamenti diretti. Tale effetto – ha
precisato la Corte - si verifica a prescindere
da qualsivoglia valutazione dell’ente locale, oltre che della Regione, ed
anche – in linea con l’abrogato art. 23-bis
– in difformità rispetto a quanto
previsto dalla normativa comunitaria, che
consente, anche se non impone (sentenza n. 325 del 2010), la gestione diretta del servizio
pubblico da parte dell’ente locale, allorquando l’applicazione delle regole di
concorrenza ostacoli, in diritto o in fatto, la «speciale missione» dell’ente
pubblico (art. 106 TFUE), alle sole condizioni del capitale totalmente pubblico
della società affidataria, del cosiddetto controllo “analogo” (il controllo
esercitato dall’aggiudicante sull’affidatario deve essere di “contenuto
analogo” a quello esercitato dall’aggiudicante sui propri uffici) ed infine
dello svolgimento della parte più importante dell’attività dell’affidatario in
favore dell’aggiudicante.
In
conclusione, ad avviso della Corte le poche novità introdotte dall’art. 4
rispetto all’abrogato art. 23-bis
accentuavano la drastica riduzione delle
ipotesi di affidamenti diretti dei servizi pubblici locali che la consultazione referendaria aveva inteso
escludere. Al contempo, la Corte ha rilevato come, tenuto conto del fatto
che l’intento abrogativo espresso con il referendum
riguardava «pressoché tutti i servizi
pubblici locali di rilevanza economica» (sentenza n. 24 del 2011) ai quali
era rivolto l’art. 23-bis, non è
possibile ritenere che l’esclusione del servizio idrico integrato dal novero
dei servizi pubblici locali ai quali una simile disciplina si applica sia
satisfattiva della volontà espressa attraverso la consultazione popolare, con
la conseguenza che il suddetto art. 4 costituisce, sostanzialmente, la
reintroduzione della disciplina abrogata con il referendum del 12 e 13 giugno 2011.
La disciplina successiva alla sentenza
della Corte
La
caducazione della normativa stabilita con l’art. 4 del D.L. 138/2011 e con le
successive modifiche ha lasciato il settore dei servizi pubblici locali
parzialmente privo di una specifica disciplina nazionale di carattere generale,
ma non per questo in una situazione di vuoto normativo.
Infatti,
in primo luogo, per effetto dell’appartenenza all’Unione europea, in materia trova applicazione quanto stabilito in sede
UE, sia nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito
TFUE) sia dalla giurisprudenza comunitaria. In questa sede la gestione diretta
del SPL da parte dell’ente pubblico è ammessa se lo Stato membro ritiene che
l’applicazione delle regole di concorrenza sia un ostacolo, in diritto od in
fatto, alla speciale missione del servizio pubblico restando riservato
all’ordinamento comunitario il sindacato sull’eventuale “errore manifesto” alla
base della decisione dello Stato. In particolare, secondo la giurisprudenza
comunitaria, le regole sulla concorrenza non ostano a una disciplina nazionale
che consente ad un ente pubblico di affidare un servizio pubblico direttamente
ad una società della quale esso detiene l'intero capitale, a condizione che:
-
l'ente pubblico eserciti su tale società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi;
-
la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente
che la detiene.
In
secondo luogo, la declaratoria di illegittimità non ha riguardato l’art. 3-bis del D.L. 138/2011 e successive
modificazioni, sopra illustrato, le cui disposizioni, pur non riguardando le
modalità di affidamento del servizio, hanno una generale applicazione.
In
terzo luogo, i settori c.d. esclusi,
sopra ricordati, restano disciplinati
dalle normative di settore.
In
base alla normativa contenuta in particolare nell'art. 34, co. 20-25, del D.L. n. 179 del 2012, convertito, con
modificazioni, da L. n. 221/2012, la scelta
delle modalità di affidamento del servizio viene rimessa all'ente affidante,
sulla base di una relazione, da
rendere pubblica sul sito internet dell’ente
stesso, che deve dare conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti
previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che
definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio
universale, indicando le compensazioni economiche (se previste).
Obiettivi
dell’obbligo di pubblicare la relazione sono: il rispetto della disciplina
europea; la parità tra gli operatori; l’economicità della gestione; l’adeguata
informazione della collettività di riferimento.
Pertanto,
la scelta della modalità di affidamento risulta rimessa alla valutazione dell’ente locale, nel
presupposto che la discrezionalità in merito sia esercitata nel rispetto dei principi europei; di
concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.
Da tale disciplina sono stati espressamente
esclusi i servizi di distribuzione di gas naturale e di distribuzione di
energia elettrica, nonché quelli di gestione delle farmacie comunali.
La
normativa richiamata ha previsto anche una disciplina
transitoria (art. 34, co. 21), disponendo che gli affidamenti in essere
alla data di entrata in vigore del decreto, che non siano conformi ai requisiti
previsti dalla normativa europea, devono essere adeguati entro il termine del
31 dicembre 2013 (pubblicando, entro la stessa data, la relazione prevista).
Per gli affidamenti in cui non è prevista una data di scadenza, gli enti
competenti provvedono contestualmente ad inserire nel contratto di servizio o
negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza
dell'affidamento, prescrivendo, comunque, che il mancato adempimento degli
obblighi previsti determina la cessazione dell'affidamento alla data del 31
dicembre 2013.
In
deroga a quanto previsto dalla disposizione originaria, è poi intervenuto
l'articolo 13, co. 1, del D.L. 150/2013 (convertito, con modificazioni, dalla
L. n. 15/2014) che ha prorogato la
durata degli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del D.L.
n. 179/2012 fino al subentro del nuovo gestore
e comunque non oltre il 31 dicembre 2014; tuttavia, tale proroga non si
applica in ogni caso, ma limitatamente alle ipotesi in cui l'ente affidante,
ovvero, ove previsto, l’ente di governo dell'ambito o bacino territoriale
ottimale e omogeneo, abbia avviato le procedure di affidamento di servizi, con
l'adozione e la pubblicazione della relazione che motiva l'affidamento
prescelto. Il mancato rispetto del termine, comporta la cessazione degli
affidamenti non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea alla
data del 31 dicembre 2014.
Disposizioni
particolari sono state stabilite per gli "affidamenti
diretti", cioè senza gara, in essere alla data di entrata in vigore
del D.L. n. 179/2012. Per questi è stato previsto che, se sono assentiti alla
data del 1° ottobre 2003 e riguardanti società a partecipazione pubblica già
quotate in borsa a tale data, e a quelle da esse controllate ai sensi dell'art.
2359 c.c., cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli
altri atti che regolano il rapporto; mentre gli affidamenti che non prevedono
una data di scadenza cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita
deliberazione dell'ente affidante, il 31 dicembre 2020 (art. 34, co. 22).
Al
contempo, con la finalità di rendere più efficiente la gestione dei servizi, il
legislatore ha definito una disciplina
in materia di organizzazione per lo svolgimento dei SPL, contenuta nell'articolo 3-bis del D.L. 138/2011 (convertito, con modificazioni, dalla L.
n. 148/2011), introdotto dall'art. 25, co. 1, del D.L. 1/2012 (convertito, con
modificazioni, da L. n. 27/2012). Tale disposizione - che si applica solo ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza
economica - attribuisce alle regioni e alle province autonome il compito
di:
- individuare ambiti o bacini
territoriali che consentano
di sfruttare economie di scala e di differenziazione. Gli ambiti devono essere:
ottimali, omogenei, di dimensione normalmente non inferiore a quella del
territorio provinciale. E' riconosciuta alle Regioni la possibilità di derogare
alla dimensione provinciale, individuando ambiti di dimensione diversa. Ciò
purché la scelta sia motivata in base a criteri di differenziazione
territoriale e socio economica e rispetto a specifiche caratteristiche del
servizio;
- istituire
o designare gli enti di governo degli
ambiti o bacini territoriali; ad essi la legge riserva in via esclusiva le seguenti funzioni: organizzazione del
servizio; scelta della forma di gestione; affidamento della gestione; controllo
della gestione; determinazione delle tariffe all'utenza (art. 3-bis, comma
1-bis, del D.L. n. 138/2011, introdotto dall'art. 34 del D.L. n. 179/2012).
È,
in ogni caso, fatta salva l'organizzazione per ambiti di singoli servizi già
prevista da normative di settore e
da disposizioni regionali e già avviata mediante costituzione di bacini di
dimensioni non inferiori alla dimensione provinciale, anche sulla base di
direttive europee.
La
clausola di salvaguardia introdotta viene giustificata con la necessità di
coordinare tali disposizioni con le normative di settore che prevedono
l’organizzazione di singoli servizi pubblici locali secondo ambiti territoriali
ottimali. In particolare, ai sensi dell’articolo 147 del Codice ambientale, i servizi idrici sono organizzati sulla
base degli ambiti territoriali ottimali
definiti dalle regioni in attuazione della legge Galli (L. 36/1994). Analoga
organizzazione territoriale è prevista dall’articolo 200 del Codice per il
servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani.
In
base al testo originario del decreto, le regioni avrebbero dovuto provvedere
alla definizione del perimetro degli ambiti e alla designazione dei relativi
enti di governo entro il 30 giugno 2012, termine la cui inutile decorrenza
autorizzava il Consiglio dei Ministri ad esercitare i poteri sostitutivi di cui
all’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 a tutela dell'unità giuridica ed
economica. Nel corso della attuale legislatura, su tale disciplina, è
intervenuto il citato articolo 13 del D.L. n. 150/2013 (comma 2) che ha previsto
due ipotesi:
- mancata
istituzione o designazione dell'ente di governo dell'ambito territoriale
ottimale ai sensi dell'art. 3-bis del D.L. n. 138/2011;
- mancata
deliberazione dell'affidamento entro il termine del 30 giugno 2014.
Dissesto
idrogeologico (commi da 2 a 5)
I commi da 2 a 5 contengono una serie di norme principalmente finalizzate all’utilizzo delle risorse per interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, nonché disposizioni volte ad agevolare la realizzazione degli interventi stessi.
Si tratta di disposizioni che si innestano su quelle recentemente dettate dal comma 111 della L. 147/2013 (legge di stabilità 2014) e dall’art. 10 del D.L. 91/2014, e che sono finalizzate a disciplinare il recupero delle risorse finanziarie inutilizzate e la loro programmazione a decorrere dal 2015.
Con il comma 111, in estrema sintesi, sono state dettate norme principalmente finalizzate a convogliare le risorse disponibili (derivanti principalmente dagli stanziamenti destinati dall’art. 2, comma 240, della L. 191/2009, a piani straordinari contro il rischio idrogeologico da attuare mediante accordi di programma) agli interventi cantierabili nel 2014. Una delle principali finalità dell’art. 10 del D.L. 91/2014 è stata invece quella di sancire il passaggio delle funzioni dai commissari straordinari ai Presidenti delle regioni.
Il comma 2 dispone che, a partire dalla programmazione 2015, le risorse destinate al finanziamento degli interventi in materia di mitigazione del rischio idrogeologico sono utilizzate tramite accordo di programma sottoscritto dalla Regione interessata e dal Ministero dell'ambiente. Gli interventi sono invece individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del medesimo Ministero, ed attuati dal Presidente della Regione in qualità di Commissario di Governo contro il dissesto idrogeologico.
Il comma 3 disciplina le modalità di revoca di risorse assegnate in passato alle Regioni e ad altri enti (a partire dai decreti attuativi del D.L. 180 del 1998 fino ai decreti attuativi dell’art. 2 del D.L. 262 del 2006) per la realizzazione di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico per i quali alla data del 30 settembre 2014 non sia stato pubblicato il bando di gara o non sia stato disposto l’affidamento dei lavori nonché per gli interventi che risultino difformi dalle finalità suddette. L’espletamento degli accertamenti e dei sopralluoghi necessari all’istruttoria è affidato all’ISPRA, che vi dovrà provvedere entro il 30 novembre 2014.
Le risorse così revocate confluiranno in un apposito fondo istituito presso il Ministero dell’ambiente.
Il comma 4 consente ai Presidenti delle Regioni di avvalersi, tramite apposite convenzioni, di società in house delle amministrazioni centrali dello Stato dotate di specifica competenza tecnica, per lo svolgimento di attività di progettazione ed esecuzione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico previsti dagli accordi di programma stipulati con le Regioni ai sensi dell’articolo 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191.
Il comma 5 prevede una semplificazione delle procedure espropriative necessarie per la realizzazione degli interventi di cui al comma precedente.
Il comma 8, al fine di fronteggiare le situazioni di criticità ambientale delle aree metropolitane interessate da fenomeni di esondazione e alluvione, prevede l’assegnazione alle regioni (previa istruttoria del Ministero dell'ambiente, di concerto con la Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri con il D.P.C.M. 27 maggio 2014) la somma complessiva di 110 milioni di euro, a valere sulle risorse del Fondo sviluppo e coesione (FSC) 2007-2013 per interventi di sistemazione idraulica dei corsi d'acqua.
Il comma 9 precisa che nelle attività di pianificazione, istruttoria e ripartizione delle risorse finanziarie finalizzate alla realizzazione degli interventi per la mitigazione del dissesto idrogeologico, il Ministero dell'ambiente opera di concerto con la Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico.
Sistemi
di collettamento, fognatura e depurazione (comma 1, lettera l), e commi 6-7)
La lettera l) del comma 1 integra il testo del comma 6 dell’art. 124 del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006), in base al quale le regioni disciplinano le fasi di autorizzazione provvisoria agli scarichi degli impianti di depurazione delle acque reflue per il tempo necessario al loro avvio, prevedendo che, qualora gli impianti siano già in esercizio, le regioni stesse possono disciplinare le fasi di autorizzazione provvisoria per il tempo necessario allo svolgimento di interventi, sugli impianti o sulle infrastrutture ad essi connesse, finalizzati all'adempimento degli obblighi derivanti dalle norme dell’UE o al potenziamento funzionale, alla ristrutturazione o alla dismissione.
I commi 6 e 7 hanno l’obiettivo di accelerare la realizzazione degli interventi di adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione necessari a conformarsi alle sentenze di condanna della Corte di Giustizia dell’UE concernenti l’applicazione della Direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane.
A tal fine il comma 6 prevede l’istituzione di un apposito fondo, presso il Ministero dell'ambiente, finanziato mediante le revoche delle risorse stanziate dalla delibera CIPE n. 60/2012 per interventi nel settore della depurazione delle acque per i quali, alla data del 30 settembre 2014:
§ non siano stati assunti atti giuridicamente vincolanti;
§ e risultino accertati (sulla base di verifiche tecniche effettuate dall’ISPRA) oggettivi impedimenti tecnico-progettuali o urbanistici.
Lo stesso comma disciplina in dettaglio la procedura per la revoca delle risorse e per il loro successivo
utilizzo.
Il comma 6 stabilisce che la procedura di revoca dovrà terminare entro il 31 dicembre 2014. Il comma 6 dispone infatti che entro il 31 ottobre i presidenti delle regioni o i commissari straordinari comunichino al Ministero dell'ambiente l’elenco degli interventi a cui revocare le risorse e che l’ISPRA effettui le verifiche di competenza entro i successivi 60 giorni.
Il comma 6 prevede che i criteri, le modalità e l'entità delle risorse destinate al finanziamento degli interventi siano definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente, di concerto, per quanto di competenza, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
L’utilizzo delle risorse del Fondo è subordinato all’avvenuto affidamento al gestore unico del servizio idrico integrato nell’ambito territoriale.
Sull’affidamento al gestore unico si ricordano le disposizioni dettate dalla lettera i) del comma 1 dell'articolo in esame.
Il gestore unico è tenuto a garantire una quota di partecipazione al finanziamento degli interventi a valere sulla tariffa del servizio idrico integrato commisurata all’entità degli investimenti da finanziare.
Il comma 7, per le medesime finalità di accelerazione degli interventi, consente la nomina, da parte del Governo, di commissari straordinari e ne disciplina i poteri.
Il 10 aprile 2014 la Corte di giustizia europea ha dichiarato l’inadempienza dell’Italia per il mancato rispetto della normativa comunitaria relativa al trattamento delle acque reflue urbane (direttiva 91/271/CEE), condannandola al pagamento delle spese (Causa C-85/13).
La sentenza è stata pronunciata in seguito al ricorso presentato dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione 2009/2034.
L’articolo 3 della direttiva obbliga gli Stati membri a provvedere affinché tutti gli agglomerati urbani siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane. In particolare, per quelli con più di 10.000 abitanti e le cui acque reflue si immettono in acque recipienti considerate, ai sensi del successivo articolo 5, aree sensibili, il termine a provvedere è fissato al 31 dicembre 1998. L’articolo 4 dispone l’obbligo per gli Stati membri di provvedere affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente. L’articolo 5 dispone che gli Stati membri individuano le aree sensibili e provvedano affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico in aree sensibili, ad un trattamento più spinto di quello secondario, entro il 31 dicembre 1998 per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 10.000 abitanti. L’articolo 10, infine, dispone che gli Stati membri provvedano affinché la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane garantiscano prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e, nella progettazione, si tenga conto delle variazioni stagionali di carico.
In relazione a tali disposizioni, la Corte di giustizia ha accertato, come richiesto dalla Commissione europea, l’incompletezza dei dati presentati dalle autorità italiane sul numero dei comuni i cui impianti di trattamento delle acque reflue non risultavano conformi a quanto disposto dalla normativa europea e l’esistenza di agglomerati in cui persistevano situazioni di non conformità alla direttiva.
Nel corso della procedura di infrazione che ha portato alla sentenza di condanna della Corte di giustizia, la Commissione ha progressivamente ridotto il numero dei comuni giudicati non conformi (dai 159 iniziali a 41) mentre il governo italiano ha ammesso l’inadempimento limitatamente a 36 agglomerati e, rispetto ai rimanenti agglomerati, ha fatto riferimento ad analisi di controllo successive alla scadenza del termine previsto dal parere motivato (due mesi a decorrere dal 20 marzo 2011).
Tale sentenza segue quella del 19 luglio 2012 (causa C-565/10) relativa alla procedura di infrazione 2004/2034, con la quale la Corte europea ha dichiarato l’inadempimento dell’Italia per non avere predisposto adeguati sistemi per il convogliamento e il trattamento delle acque reflue in numerosi centri urbani con oltre 15.000 abitanti entro il termine previsto del 31 dicembre 2010, come previsto dalla direttiva 91/271/CE.
Con riferimento ad ulteriori agglomerati urbani (tra cui Roma, Firenze, Napoli, Bari e Pisa) risultanti, sulla base dei dati in suo possesso, non conformi alla direttiva 91/271CEE, la Commissione europea, il 31 marzo 2014, ha aperto una nuova procedura di infrazione (2014/2059), inviando alle autorità italiane una lettera di costituzione in mora ex art. 258 TFUE, per la non conforme applicazione della direttiva sulle acque reflue urbane.
La procedura di infrazione segue l’espletamento della fase precontenziosa (EU-Pilot 1976/11/ENVI) in cui la Commissione ha chiesto alle autorità italiane di fornire informazione sulla situazione di 1.007 agglomerati urbani, nonché su tutti i comuni con più di 2.000 abitanti che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva e, infine, su ulteriori 107 agglomerati per i quali è stato comunicato l’impiego di sistemi individuali o altri sistemi adeguati. Ulteriori richieste di dati su altri comuni sono stati inviate successivamente alle autorità italiane. Le risposte fornite, in data 16 settembre 2011, 23 gennaio 2012, 29 maggio 2012 e 11 luglio 2013, non sono state giudicate sufficienti dalla Commissione che, pertanto, ha deciso l’apertura della procedura di infrazione.
I rilievi della Commissione riguardano la conformità del sistema di depurazione delle acque reflue nei comuni indicati rispetto alla direttiva. In particolare:
· articolo 3: la non conformità riguarda la non dimostrata esistenza di un sistema di raccolta delle acque reflue, l’inadeguatezza dei sistemi individuali o di altri sistemi adeguati (IAS), l’insufficienza delle informazioni fornite, la mancata giustificazione della riduzione dei carichi attribuiti ad alcuni agglomerati;
· articolo 4: la mancanza o l’insufficienza delle informazioni fornite dall’Italia inducono la Commissione a concludere che gli impianti esistenti non garantiscono il trattamento adeguato delle acque reflue;
· articolo 5: la Commissione contesta la mancanza o l’insufficienza di informazioni relative agli impianti serventi aree sensibili e bacini drenanti di aree sensibili.
Sulla base di tali considerazioni, la Commissione ha ritenuto che l’Italia sia venuta meno agli obblighi previsti dagli articoli 3, 4, 5 e 10 della direttiva 91/271/CEE in un numero consistente di agglomerati con più di 2.000 abitanti, alcuni dei quali scaricano in aree sensibili, violando sistematicamente la direttiva. Inoltre, la Commissione ritiene che tale situazione sia estremamente preoccupante considerando che per alcuni di tali agglomerati la violazione era già stata accertata dalle precedenti sentenze della Corte di giustizia europea relative alle procedure di infrazione n. 2004/2034 e 2009/2034.
Articolo 8
(Disciplina semplificata del deposito
preliminare alla raccolta e della cessazione della qualifica di rifiuto delle
terre e rocce da scavo che non soddisfano i requisiti per la qualifica di
sottoprodotto. Disciplina della gestione delle terre e rocce da scavo con
presenza di materiali di riporto e delle procedure di bonifica di aree con
presenza di materiali di riporto)
L’articolo 8 autorizza
il Governo all’adozione di un regolamento di delegificazione volto a dettare –
secondo quanto esplicitato dalla norma – disposizioni per il riordino e la semplificazione della disciplina riguardante la realizzazione degli
interventi che comportano la gestione
delle terre e rocce da scavo.
In particolare, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, deve essere adottato un decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, in base ad una serie di principi e criteri direttivi elencati nella norma tra i quali figura:
a) il coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni vigenti, apportando le modifiche necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo;
b) l’indicazione esplicita delle norme abrogate, fatta salva l'applicazione dell'articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile;
L’art. 15 reca disposizioni sulla legge in generale
premesse al codice civile e in particolare disciplina l’abrogazione delle
leggi. Secondo il dettato dell’art. 15, le leggi non sono abrogate che da leggi
posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità
tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola
l'intera materia già regolata dalla legge anteriore
c) la proporzionalità della disciplina all’entità degli interventi da realizzare;
d) il divieto di introdurre livelli di regolazione superiori a quelli minimi previsti dall’ordinamento europeo ed, in particolare, dalla direttiva 2008/98/UE, relativa ai rifiuti, recepita con il D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, con cui è stato modificato il D.Lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell’ambiente).
La procedura disciplinata dal presente articolo per l’adozione del regolamento di delegificazione si discosta dal modello delineato dall’articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, in quanto non indica le disposizioni da abrogare con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento e, anziché definire le “norme generali regolatrici della materia”, indica tre finalità (inclusa quella abrogativa), che sono qualificate come “principi e criteri direttivi”.
Il decreto
ministeriale n. 161/2012, emanato ai sensi dell'articolo 49 del D.L. 24 gennaio
2012, n. 1, si applica alla gestione dei materiali da scavo (suolo, sottosuolo con
eventuale presenza di materiali di riporto), con l’esclusione dei materiali
provenienti direttamente dall'esecuzione di interventi di demolizione di
edifici o altri manufatti preesistenti, la cui gestione è disciplinata dalla
normativa sui rifiuti contenuta nella parte quarta del D.Lgs 152/2006.
Il D.M. 161/2012
ha dettato in particolare le condizioni per cui le terre e le rocce da scavo
sono considerati sottoprodotti e non rifiuti, e sono pertanto conseguentemente,
disciplinati dall'articolo 184-bis del D.Lgs. 152/2006.
II campo di
applicazione del D.M. n. 161/2012, definito dall’art. 184-bis, comma 2-bis del
D.Lgs n. 152 del 2006, introdotto dall'art. 41, comma 2, del D.L 69/2013, e
dall’art. 3 del medesimo decreto ministeriale, riguarda solo le terre e le
rocce da scavo provenienti da attività o opere soggette a valutazione d’impatto
ambientale (VIA) e da autorizzazione integrata ambientale (AIA), con esclusione
dei materiali indicati dall’art. 109 del D.Lgs. 152/2006, sull’immersione in
mare di materiale derivante da attività di escavo e attività di posa in mare di
cavi e condotte (vale a dire: materiali di escavo di fondali marini o salmastri
o di terreni litoranei emersi; inerti, materiali geologici inorganici e
manufatti; materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra,
prodotto durante l'attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni
salmastri; fondali marini movimentati durante l'attività di posa in mare di
cavi e condotte).
La procedura
prevista per il riutilizzo di questi materiali da scavo prevede un unico
documento (PUT) da sottoporre alle competenti autorità per garantire il
rispetto delle condizioni prescritte ai sensi dell’articolo 5 del suddetto D.M.
in cui si disciplina in modo dettagliato i contenuti e le modalità di
approvazione.
Con l’art. 41-bis del D.L. n. 69/2013, sono state
introdotte ulteriori disposizioni in materia di terre e rocce da scavo, al fine
di introdurre una disciplina semplificata per i cantieri non soggetti a VIA o
AIA, indipendentemente dalle dimensioni in termini di metri cubi, per cui il
produttore delle terre deve dimostrare, tramite un'autodichiarazione, il
rispetto di una serie di requisiti, come la certezza della destinazione di
utilizzo e il rispetto dei valori delle concentrazioni soglia di contaminazione
previsti dal Codice dell’ambiente.
Articolo 33
(Bonifica ambientale e riqualificazione urbana delle aree di rilevante
interesse nazionale – comprensorio Bagnoli - Coroglio)
L’articolo 33 detta una disciplina speciale per la realizzazione di interventi di bonifica ambientale e di rigenerazione urbana in aree territoriali di rilevante interesse nazionale, individuate sulla base di una delibera del Consiglio, e detta specifiche disposizioni per la realizzazione di tali interventi nel comprensorio Bagnoli-Caroglio (commi 1-10), che viene dichiarato dallo stesso articolo area di rilevante interesse nazionale (commi 11-12).
La bonifica ambientale e la rigenerazione urbana per aree territoriali
di rilevante interesse nazionale
L’articolo 33, comma 3, prevede l’adozione di interventi di bonifica ambientale e di rigenerazione urbana in aree territoriali di rilevante interesse nazionale, individuate con delibera del Consiglio dei Ministri, a cui partecipano i Presidenti delle Regioni interessate, sentita la Conferenza Stato-Regioni.
Il comma 1, privo di contenuto precettivo, dichiara che le disposizioni previste nell’articolo attengono alle materie riguardanti la tutela dell'ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.) e ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m) Cost.), entrambe assegnate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, al fine di assicurare la programmazione, la realizzazione e la gestione unitaria dei predetti interventi.
In relazione a ciascuna area di interesse nazionale individuata con la delibera del Consiglio dei ministri sono predisposti uno specifico programma di risanamento ambientale e un documento di indirizzo strategico per la rigenerazione urbana finalizzati a:
a) individuare i lavori di messa in sicurezza e bonifica dell'area;
b) definire gli indirizzi per la riqualificazione urbana dell'area;
c) valorizzare gli eventuali immobili di proprietà pubblica meritevoli di salvaguardia e riqualificazione;
d) localizzare e realizzare le opere infrastrutturali per il potenziamento della rete stradale e dei trasporti pubblici, per i collegamenti aerei e marittimi, per gli impianti di depurazione e le opere di urbanizzazione primaria e secondaria funzionali agli interventi pubblici e privati, e il relativo fabbisogno finanziario.
Alla formazione, all’approvazione e all’attuazione dei due predetti documenti sono preposti un Commissario straordinario del Governo e un Soggetto attuatore, che procedono anche in deroga agli articoli 252 e 252-bis del D.Lgs, 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente), che disciplinano gli interventi di bonifica e la realizzazione degli accordi di programma per la messa in sicurezza e la riconversione industriale e sviluppo economico dei siti di interesse nazionale, ma solo per i profili procedimentali. Resta ferma pertanto la disciplina contenuta nei predetti articoli per tutto quanto attiene i criteri e le modalità per lo svolgimento delle operazioni necessarie a ridurre l’inquinamento (comma 4).
Le competenze del Commissario straordinario e del Soggetto Attuatore
Il Commissario straordinario, nominato – in base alla procedura disciplinata dall’articolo 11 della legge n. 400 del 1988 - con D.P.R., su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Presidente della Regione interessata, coordina gli interventi infrastrutturali pubblici e privati dell'area di rilevante interesse nazionale. Gli eventuali oneri derivanti dall’attività del Commissario sono a carico delle risorse del bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri (comma 5).
Ai sensi del comma 6, il Soggetto Attuatore, nominato con un D.P.C.M., elabora e attua il programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente,
La norma precisa che la
nomina avverrà “nel rispetto dei principi europei di trasparenza e di
concorrenza”, ma su questo punto sarebbe opportuna una formulazione più chiara
al fine di evitare incertezze.
Il soggetto attuatore svolge
compiti di stazione appaltante per
l’affidamento dei lavori previsti e opera in deroga alle procedure ad evidenza
pubblica disciplinate dal Codice dei contratti pubblici di cui al decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 quanto al dimezzamento dei termini ivi previsti per l’espletamento di dette
procedure con l’esclusione di quelli processuali.
Al soggetto attuatore sono trasferite le aree di interesse nazionale secondo le modalità stabilite dal decreto di nomina (comma 7).
La proposta di programma di risanamento ambientale e rigenerazione
urbana
La proposta di programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana contiene (comma 8):
- lo specifico progetto di bonifica degli interventi sulla base dei dati dello stato di contaminazione del sito;
- il cronoprogramma di svolgimento dei lavori indicati dalla procedura semplificata per le operazioni di bonifica dei siti contaminati (articolo 242-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006);
- uno studio di fattibilità territoriale e ambientale;
- la valutazione ambientale strategica (VAS) e la valutazione di impatto ambientale (VIA);
- un piano economico-finanziario relativo alla sostenibilità degli interventi previsti, con l’indicazione delle fonti finanziarie pubbliche disponibili e dell'ulteriore fabbisogno necessario alla realizzazione complessiva del programma.
Il Soggetto Attuatore, entro il termine indicato nel decreto di nomina, trasmette al Commissario straordinario di Governo la proposta di programma e il documento di indirizzo strategico, che dovranno altresì indicare:
- la previsione urbanistico-edilizia degli interventi di demolizione e ricostruzione e di nuova edificazione e mutamento di destinazione d'uso dei beni immobili, comprensivi di eventuali premialità edificatorie;
- la previsione delle opere pubbliche o d'interesse pubblico da realizzare e di quelle che abbiano ricaduta a favore della collettività locale anche fuori del sito di riferimento;
- i tempi ed i modi di attuazione degli interventi con particolare riferimento al rispetto del principio di concorrenza e dell'evidenza pubblica e del possibile ricorso da parte delle amministrazioni pubbliche interessate all'uso di modelli privatistici e consensuali per finalità di pubblico interesse.
La conferenza di servizi
Il Commissario straordinario di Governo, ricevuta la proposta di risanamento ambientale e rigenerazione urbana, convoca immediatamente una conferenza di servizi, al fine di ottenere tutti gli atti di assenso e di intesa da parte delle amministrazioni competenti.
La conferenza, a cui partecipa anche il Soggetto Attuatore, entro 30 giorni dalla sua convocazione, esamina il progetto di bonifica, il cronoprogramma di svolgimento dei lavori di bonifica del sito, la valutazione ambientale strategica e la valutazione di impatto ambientale.
In caso di mancato accordo in sede di Conferenza entro il termine predetto, il Consiglio dei Ministri, a cui partecipa anche il Presidente della Regione interessata, è autorizzato a deliberare l’adozione del suddetto programma, anche in deroga alle vigenti previsioni di legge (comma 9).
L’adozione del programma di risanamento ambientale e rigenerazione
urbana
Il programma di rigenerazione urbana, da attuarsi con le risorse disponibili a legislazione vigente, e' adottato dal Commissario straordinario , entro 10 giorni dalla conclusione della conferenza di servizi o dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri, ed è approvato con D.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri (comma 10).
L'approvazione del programma:
- sostituisce a tutti gli effetti gli atti amministrativi (autorizzazioni, concessioni, concerti, intese, nulla osta, i pareri e assensi) previsti dalla legislazione vigente, fermo restando il riconoscimento degli oneri costruttivi in favore delle amministrazioni interessate;
- costituisce variante urbanistica automatica;
- comporta dichiarazione di pubblica utilità delle opere e di urgenza e indifferibilità dei lavori.
Il Commissario straordinario vigila sull'attuazione del programma ed esercita i poteri sostitutivi previsti dal programma medesimo.
Si osserva che la procedura
per l’adozione del programma di rigenerazione urbana e gli effetti
dell’approvazione del programma medesimo andrebbero valutati alla luce del
riparto di competenze costituzionali tra lo Stato e le regioni con riguardo
alla materia del “governo del territorio”.
L’area di rilevante interesse nazionale di Bagnoli-Coroglio
Le aree comprese nel comprensorio Bagnoli-Coroglio, sito nel Comune di Napoli, perimetrate, per interventi di disinquinamento, bonifica e ripristino ambientale (art.114, comma 24 della legge n. 388 del 2000), con decreto del Ministero dell'ambiente del 31 agosto 2001, sono dichiarate con il presente provvedimento aree di rilevante interesse nazionale per gli effetti delle disposizioni di cui ai precedenti commi (comma 11).
Per il comprensorio Bagnoli-Coroglio, il Soggetto Attuatore e la società per azioni costituita ai sensi del comma 12 partecipano alle procedure di definizione e di approvazione del programma di rigenerazione urbana e di bonifica ambientale, al fine di garantire la sostenibilità economica-finanziaria dell'operazione (comma 13).
L’area di Napoli
Bagnoli-Coroglio, individuata come area di intervento di bonifica di interesse
nazionale dall’art. 114, comma 24 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge
finanziaria 2001), e perimetrata dal decreto ministeriale del 31 agosto 2001, è
sottoposta alla procedura di bonifica di cui all'articolo 242 attribuita alla
competenza del Ministero dell'Ambiente, come prevede l'art. 252, comma 4, del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
In conseguenza
dell’art. 36-bis, comma 3, del D.L. 83 del 2012, che stabilisce che, su richiesta della Regione interessata,
con decreto del Ministro dell'Ambiente, sentiti gli enti locali interessati, si
consente la ridefinizione del perimetro dei siti di interesse nazionale, fermo
restando che rimangono di competenza
regionale le necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica della
porzione di siti che, all'esito di tale ridefinizione, esuli dal
sito di interesse nazionale, l’area Napoli
Bagnoli-Coroglio è stata riperimetrata con il D.M. 8 agosto 2014.
L’art. 1 del D.M.
8 agosto 2014 ridefinisce il perimetro
del Sito di Interesse Nazionale di Napoli Bagnoli-Coroglio alle seguenti
aree a terra: aree ex industriali (ex Ilva ed ex Eternit) ed aree ad esse
immediatamente limitrofe, area ex discarica di Cavone degli Sbirri, nonché aree
ex Cementir (compresa l'area di cui alla nota della Direzione generale per la
Tutela del Territorio e delle Risorse Idriche del Ministero dell'Ambiente del
15 aprile 2014 con protocollo n. 10890/TRI, Fondazione IDIS) e area di colmata;
nonché agli arenili a nord e a sud della colmata e all'area marina già inclusa
nella perimetrazione di cui al citato D.M. 31 agosto 2001.
L’art. 2 del D.M. 8 agosto 2014 stabilisce che per tutte le aree ricomprese finora nella
perimetrazione del Sito di Interesse Nazionale di bonifica di Napoli
Bagnoli-Coroglio e non incluse nella nuova perimetrazione, la Regione Campania subentra al Ministero
dell'Ambiente nella titolarità dei relativi procedimenti ai sensi del
citato art. 242 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
Il trasferimento della proprietà del comprensorio Bagnoli-Coroglio
La proprietà delle aree e degli immobili del comprensorio Bagnoli-Coroglio appartenenti alla società Bagnoli Futura S.p.A. in stato di fallimento, è trasferita, con il medesimo D.P.C.M. di nomina, al Soggetto Attuatore, con oneri a carico del medesimo Soggetto attuatore (comma 12).
A tale scopo è prevista:
1) una società per azioni, costituita dal Soggetto Attuatore, con capitale azionario aperto ad altri soggetti per il conferimento di altre aree ed immobili limitrofi al medesimo comprensorio di Bagnoli-Coroglio, meritevoli di salvaguardia e riqualificazione, previa autorizzazione del Commissario straordinario del Governo;
2) il riconoscimento di un importo alla societa' Bagnoli Futura S.p.A, determinato sulla base del valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti rilevato dall'Agenzia del Demanio alla data del trasferimento della proprietà;
3) il versamento dell’importo mediante azioni o altri strumenti finanziari emessi dalla società, con rimborso legato all'incasso delle somme rivenienti dagli atti di disposizione delle aree e degli immobili trasferiti, secondo modalità indicate con il decreto di nomina del Soggetto Attuatore.
La trascrizione del decreto di nomina del Soggetto Attuatore produce effetti anche verso diritti sugli immobili acquistati anteriormente da terzi (articolo 2644, secondo comma, del codice civile).
Tale norma enuncia la regola generale secondo cui chi ha trascritto per primo è tutelato dalle eventuali pretese di chi, pur avendo acquistato in data anteriore lo stesso diritto, ha eseguito la trascrizione in data successiva.
Successivamente alla trascrizione del suddetto decreto e alla consegna dei titoli, tutti i diritti relativi alle aree e agli immobili trasferiti, ivi compresi quelli inerenti alla procedura fallimentare della societa' Bagnoli Futura S.p.A., sono estinti e le relative trascrizioni cancellate.
La trascrizione del decreto di nomina del Soggetto Attuatore e degli altri atti previsti dal presente comma e conseguenti sono esenti da imposte di registro, di bollo e da ogni altro onere ed imposta (comma 12).
Il comune di
Napoli, sulla base del disposto dell’articolo 114, comma 19 della citata legge
n. 388 del 2000 (Finanziaria 2001), ha acquisito, la proprietà delle aree
oggetto degli interventi di bonifica; successivamente, con la costituzione nel
2002 della Bagnolifutura S.p.A.,
Società di Trasformazione Urbana (STU), ai sensi dell’art. 120 del D.Lgs. 267/2000
(Testo unico ordinamento enti locali), il comune di Napoli, ha conferito le
medesime aree alla STU, la cui missione era, tra l’altro, quella della
progettazione e de la realizzazione di interventi di trasformazione previsti
dal PUE Bagnoli-Coroglio, oltre che la bonifica delle aree.
Recenti
informazioni sono state fornite nel corso dello svolgimento dell’ interrogazione n. 3-01190 nella seduta
del 17 settembre 2014 presso la 13° commissione Ambiente del Senato.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE
L’accordo di partenariato relativo ai fondi strutturali e di investimento dell’UE per il periodo 2014-2020, trasmesso dal Governo (e deliberato dal CIPE lo scorso 9 settembre) alla Commissione europea il 22 aprile, contempla nell’ambito dell’Obiettivo tematico 6 “Tutelare l’ambiente e promuovere l’uso efficiente delle risorse” specifici stanziamenti per interventi di bonifica di aree inquinate.
In particolare, si prevede la destinazione di complessivi 293 milioni di euro del FESR per la “restituzione all’uso produttivo di aree inquinate”. Tali stanziamenti sosterrebbero, nel rigoroso rispetto del principio "chi inquina paga", interventi di recupero dei siti inquinati al fine di arginare i rischi per la salute pubblica e incentivarne il riutilizzo per finalità produttive, riducendo il consumo di suolo, e per la realizzazione di impianti per lo smaltimento dell'amianto.
Gli stanziamenti sarebbero così ripartiti:
- 233 milioni per le regioni meno sviluppate (Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia);
- 18 milioni per le regioni in transizione;
- 42 per le regioni più sviluppate.
A tali stanziamenti dovrebbe aggiungersi una quota di cofinanziamento nazionale (statale e regionale) di ammontare non precisato nell’accordo ma, presumibilmente, corrispondente agli stanziamenti UE.
Articolo 34
(Modifiche al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, per la
semplificazione delle procedure in materia di bonifica e messa in sicurezza di
siti contaminati. Misure urgenti per la realizzazione di opere lineari
realizzate nel corso di attività di messa in sicurezza e di bonifica)
L’articolo 34 contiene una serie di disposizioni applicabili nei casi di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati, che perseguono due distinte finalità. Una prima finalità, perseguita dai commi 1-6, è quella di semplificazione e accelerazione delle procedure di affidamento dei contratti pubblici e di esecuzione degli stessi, operata mediante una serie di modifiche al D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici).
Una seconda finalità, perseguita dal comma 7, è quella di consentire l’effettuazione, nei siti inquinati in cui sono in corso o non sono ancora state avviate attività di messa in sicurezza e bonifica, di una serie di interventi (interventi richiesti dalla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro; manutenzione di impianti e infrastrutture; opere lineari necessarie per l'esercizio di impianti e forniture di servizi e altre opere lineari di pubblico interesse), alle condizioni indicate dal medesimo comma. I successivi commi 8, 9 e 10 introducono disposizioni volte a disciplinare, in dettaglio, le modalità di caratterizzazione, scavo e gestione dei terreni/materiali movimentati.
Contratti
pubblici relativi alla bonifica e messa in sicurezza di siti inquinati
Il comma 1 è finalizzato ad accelerare, nell’ambito delle procedure “ad invito” per l’aggiudicazione di contratti relativi alla bonifica e messa in sicurezza di siti inquinati, la fase di verifica dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa richiesti nel bando di gara, prevedendo la presentazione, già in sede di offerta, della documentazione indicata nel bando (modifica del comma 1-bis dell’art. 48 del D.Lgs. 163/2006).
Il comma 2 non consente il ricorso all’istituto dell’avvalimento ai fini della dimostrazione del possesso del requisito dell’iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali (nuovo comma 1-bis dell’art. 49 del D.Lgs. 163/2006).
Si ricorda che ai sensi dell’art. 212, comma 5, del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente), l'iscrizione al citato Albo è requisito per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti, di bonifica dei siti, di bonifica dei beni contenenti amianto, di commercio ed intermediazione dei rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi.
Il comma 3 aggiunge i casi urgenti di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati tra le ipotesi in cui è possibile ricorrere alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara (modifica della lettera c) del comma 2 dell’art. 57 del D.Lgs. 163/2006).
Il comma 4 consente alle stazioni appaltanti, nelle procedure ristrette e in quelle negoziate con pubblicazione del bando relative alla bonifica e messa in sicurezza di siti inquinati, la possibilità di stabilire termini di ricezione delle domande di partecipazione e delle offerte abbreviati rispetto a quelli ordinari (modifica del comma 11 dell’art. 70 del D.Lgs. 163/2006).
Il comma 5, lettera a), aggiunge i casi di bonifica e/o messa in sicurezza di siti contaminati tra le ipotesi (tassativamente indicate dall’art. 132, comma 1, del Codice dei contratti pubblici) in cui, sentito il progettista e il direttore dei lavori, possono essere ammesse le varianti in corso d'opera.
Si fa notare che rispetto ai
commi precedenti, dove si utilizzava sempre l’espressione “bonifica e messa in
sicurezza”, nella presente lettera si utilizza la doppia congiunzione e/o.
Un’ulteriore modifica all’art. 132 del Codice viene operata dal comma 5, lettera b), secondo cui, nel caso di lavori di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati, non sono considerati varianti in corso d’opera gli interventi disposti dal direttore dei lavori per risolvere aspetti di dettaglio che siano contenuti entro un importo non superiore al 20%.
Si fa notare che tale soglia è decisamente più elevata rispetto a quelle già vigenti, pari al 10% per i lavori di recupero, ristrutturazione, manutenzione e restauro e al 5% per tutti gli altri lavori delle categorie di lavoro dell'appalto.
In base al comma 6, nei casi di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati, il contratto di appalto che prevede l'affidamento sulla base di un progetto preliminare o definitivo può comprendere oltre all'attività di esecuzione, quella di progettazione successiva al livello previsto a base dell'affidamento laddove ciò venga richiesto da particolari complessità, avendo riguardo alle risultanze delle indagini svolte.
Si osserva che tale disposizione
viene inserita tramite una modifica all’art. 203, cioè all’interno del capo II
(che disciplina i contratti relativi ai beni culturali) del Titolo IV della
Parte II del codice dei contratti. Andrebbe pertanto valutata l’opportunità di
una ricollocazione della disposizione in esame al di fuori del citato capo II,
per esempio come comma aggiuntivo dell’art. 53.
Realizzazione
di opere ed interventi nei siti inquinati e relative modalità
Il comma 7 consente l’effettuazione, nei siti inquinati in cui sono in corso o non sono ancora state avviate attività di messa in sicurezza e bonifica:
§ interventi e opere richiesti dalla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro;
§ interventi e opere di manutenzione ordinaria e straordinaria di impianti e infrastrutture, compresi adeguamenti alle prescrizioni autorizzative;
§ opere lineari necessarie per l'esercizio di impianti e forniture di servizi e, più in generale, altre opere lineari di pubblico interesse.
La finalità di tale norma è analoga a quella contenuta nell’art. 18, comma 1, lettera n), numero 3) dell’A.S. 958 (ddl di semplificazione presentato nel 2013).
Lo stesso comma pone le seguenti condizioni per l’effettuazione degli interventi e delle opere, che devono essere realizzati secondo modalità e tecniche:
§ che non pregiudicano né interferiscono con il completamento e l'esecuzione della bonifica;
§ e che non determinano rischi per la salute dei lavoratori e degli altri fruitori dell'area.
I commi 8, 9 e 10 introducono disposizioni volte a disciplinare, in dettaglio, le modalità di caratterizzazione, scavo e gestione dei terreni/materiali movimentati, ai fini della realizzazione degli interventi consentiti dal comma 7.
Si osserva che le
disposizioni del comma 8 sembrano funzionali all’effettuazione degli interventi
elencati nel comma 7 e che pertanto andrebbe valutata l’opportunità di
riformulare la locuzione “ai fini dell’applicazione del comma 1” con cui si
apre il comma 8 .
Allo stesso modo il rinvio
operato dalla lettera c) del comma 8 è errato e sembra invece da riferire ai
successivi commi 9 e 10.
Benché i commi 7-10 non
incidano direttamente sulle procedure di bonifica disciplinate nella parte
quarta del cd. Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006), andrebbe valutata
l’opportunità di inserire comunque i commi in esame all’interno del citato
Codice, anche al fine di valutare possibili criticità di coordinamento tra le
disposizioni.
Il comma 8:
§ alla lettera a), disciplina le modalità di effettuazione della caratterizzazione, qualora la stessa non sia stata ancora eseguita con riferimento all’area oggetto dell’intervento di cui al comma 7;
§ alla lettera b), consente - in alternativa alla caratterizzazione disciplinata dalla lettera precedente - l’avvio della realizzazione degli interventi, qualora sia in essere l’attività di messa in sicurezza operativa;
§ alla lettera c), disciplina le modalità di esecuzione delle attività di scavo (che devono essere condotte con le precauzioni necessarie a non aumentare i livelli di inquinamento delle matrici ambientali interessate e, in particolare, delle acque sotterranee) e di gestione dei terreni/materiali provenienti dallo scavo (in proposito viene prevista la rimozione delle fonti attive di contaminazione e, in base al rinvio ai commi 9 e 10, il prioritario riutilizzo in situ), nonché disciplinate le seguenti ipotesi alle quali è possibile riutilizzare i terreni/materiali scavati:
Conformità a concentrazioni soglia di contaminazione
(CSC)/valori di fondo |
Non conformità a CSC/valori di fondo |
Il riutilizzo è possibile |
Il riutilizzo
è possibile solo se sono rispettate le concentrazioni soglia di rischio (CSR)
e con le seguenti prescrizioni: |
|
a) le CSR,
all'esito dell'analisi di rischio,
sono preventivamente approvate dall'autorità ordinariamente competente,
mediante convocazione di apposita conferenza di servizi. I terreni conformi
alle CSR sono riutilizzati nella medesima area assoggettata all'analisi di
rischio; b) qualora ai
fini del calcolo delle CSR non sia stato preso in considerazione il percorso
di lisciviazione in falda, l'utilizzo dei terreni scavati è consentito solo
se nell'area di riutilizzo sono attivi sistemi di barrieramento fisico o
idraulico di cui siano comprovate l'efficienza e l'efficacia. |
Le concentrazioni
soglia di contaminazione (CSC), secondo la definizione riportata all’art.
240, comma 1, lettera b), del d.lgs. 152/2006, corrispondono ai “livelli di
contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra
dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l'analisi di rischio
sito specifica”.
Qualora invece la contaminazione rilevata nelle matrice
ambientali risulti inferiore ai valori CSC allora – come chiarisce l’art. 240,
comma 1, lettera f), del citato decreto legislativo – il sito viene considerato
“non contaminato”.
Le CSC sono individuate nell’Allegato 5 alla parte
quarta del d.lgs. 152/2006, che elenca le CSC nel suolo e nel sottosuolo in
relazione alla specifica destinazione d'uso (a verde pubblico, privato e
residenziale oppure ad uso commerciale e industriale) dei siti da bonificare,
nonché le CSC nelle acque sotterranee.
Si ricorda brevemente la differenza tra CSR e CSC,
richiamando le pertinenti definizioni contenute nell’art. 240 del D.Lgs.
152/2006 (Codice dell’ambiente).
Le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) sono i
limiti tabellari considerati come valori soglia, uguali su tutto il territorio
nazionale, al di sotto dei quali il sito si considera “non contaminato”.
Le concentrazioni
soglia di rischio (CSR) sono invece i livelli di contaminazione delle
matrici ambientali, da determinare caso per caso con l'applicazione della
procedura di analisi di rischio sito specifica secondo i principi illustrati
nell'Allegato 1 alla parte IV del Codice e sulla base dei risultati del piano
di caratterizzazione.
Per valutare se un sito è potenzialmente contaminato si
controlla, ai sensi della lettera d) del comma 1 dell’art. 240, il rispetto dei
valori di CSC. Se le soglie CSC sono superate allora occorre effettuare le
operazioni di caratterizzazione e di analisi di rischio sanitario e ambientale
sito specifica, che ne permettano di determinare lo stato o meno di
contaminazione sulla base delle CSR. Se quindi le CSR sono superate occorrerà
procedere alla bonifica del sito al fine di riportarlo in una condizione che
garantisca il rispetto delle CSC o dei valori di CSR (solitamente superiori a
quelli di CSC) determinate a seguito dell'analisi di rischio sanitario e
ambientale sito specifica.
Nel presupposto che l’articolo in esame possa applicarsi anche in relazione all’area di Taranto, si ricorda che la Commissione ha avviato il 26 settembre 2013 una procedura di infrazione (n. 2177/2013), contestando che lo stabilimento siderurgico di Taranto sarebbe gestito in violazione della normativa europea sia in materia di emissioni industriali sia di responsabilità ambientale. In particolare, la Commissione rileva il mancato rispetto dell’articolo 14, lettera a), della direttiva 96/61/CE (Integrated Pollution Prevention and Control - IPCC), a norma del quale gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché il gestore rispetti, nel proprio impianto, le condizioni dell’autorizzazione.
Nell’ambito di tale procedura, il 16 aprile 2014 la Commissione europea ha trasmesso all’Italia una messa in mora complementare.
Articolo 35
(Misure urgenti per l’individuazione e la realizzazione di impianti di
recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture
strategiche di preminente interesse nazionale)
L'articolo 35 contiene una serie di disposizioni finalizzate alla realizzazione di una rete nazionale di impianti di recupero energetico dei rifiuti, con determinate caratteristiche prestazionali. A tal fine viene demandata ad un apposito D.P.C.M. l'individuazione degli impianti di recupero di energia e di smaltimento esistenti e da realizzare, che vengono qualificati come "infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell'ambiente" (comma 1). Vengono inoltre definiti le caratteristiche prestazionali e i parametri di funzionamento degli impianti nuovi (commi 2-3-5). Al fine di garantire il rispetto di tali caratteristiche e parametri anche da parte degli impianti di recupero esistenti, si prevede che le autorità competenti procedano alle necessarie verifiche e ai conseguenti adeguamenti delle autorizzazioni già rilasciate. Si prevede, inoltre, il dimezzamento dei termini previsti per l'espletamento delle procedure di espropriazione per pubblica utilità, di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di autorizzazione integrata ambientale (AIA) degli impianti di recupero da realizzare (comma 6), mentre il comma 7 prevede l'applicazione del potere sostitutivo in caso di mancato rispetto dei termini fissati per la verifica degli impianti e l'adeguamento delle autorizzazioni, nonché dei nuovi termini abbreviati delle procedure autorizzative.
L’articolo in
esame persegue finalità analoghe a quelle dell’art. 19 del c.d. collegato
ambientale (A.C. 2093), soppresso nel corso dell’esame in sede referente.
Il comma 1, al fine (dichiarato espressamente) di conseguire, a livello nazionale, l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti e superare così le procedure di infrazione in corso, prevede l’emanazione, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, di apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente, che dovrà individuare gli impianti di recupero di energia e di smaltimento dei rifiuti urbani e speciali, esistenti o da realizzare per attuare un sistema integrato e moderno di gestione di tali rifiuti.
Lo stesso comma dispone che tali impianti siano individuati con la finalità di:
§ perseguire un progressivo riequilibrio socio economico fra le aree del territorio nazionale;
§ concorrere allo sviluppo della raccolta differenziata e al riciclaggio;
§ nonché di deprimere il fabbisogno di discariche.
L’ultimo periodo del comma 1 fa poi riferimento a tali impianti come a impianti di termotrattamento qualificandoli come infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell’ambiente.
Si osserva che la lettera f)
del comma 1 dell’articolo 195 del decreto legislativo n. 152/2006 già
disciplina “l'individuazione, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali
delle regioni, degli impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse
nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del paese, sentita
la Conferenza unificata, a mezzo di un programma, adottato con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare e
inserito nei documenti di programmazione
economico-finanziaria”. Andrebbe, pertanto, valutata l’opportunità di
coordinare la norma in commento con il citato articolo 195 nel quale tra
l’altro è previsto il coinvolgimento della Conferenza unificata nell’adozione
del D.P.C.M..
La citata
lettera f) del comma 1 dell’articolo 195, nell'individuare le infrastrutture e
gli insediamenti strategici prevede che il Governo
procede secondo finalità di
riequilibrio socio-economico (finalità richiamate anche nell’articolo in esame)
fra le aree del territorio nazionale indicando nel disegno di legge di
stabilità (la norma fa ancora riferimento al disegno di legge finanziaria) le
risorse necessarie, anche ai fini dell'erogazione dei contributi compensativi a
favore degli enti locali, che integrano i finanziamenti pubblici, comunitari e
privati allo scopo disponibili.
L’individuazione
di impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale è
inclusa tra le competenze statali in materia di rifiuti elencate nel citato
articolo 195 del d.lgs. 152/2006, mentre le competenze regionali sono riportate
nell’articolo 196 del medesimo decreto legislativo, il quale affida alle regioni
la pianificazione regionale della gestione dei rifiuti, la regolamentazione
delle attività di gestione dei rifiuti, l'approvazione dei progetti di nuovi
impianti per la gestione di rifiuti, l'autorizzazione all'esercizio delle
operazioni di smaltimento e recupero di rifiuti (fatta salva la disciplina in
materia di AIA), nonché la definizione di criteri per l'individuazione, da
parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti
di smaltimento e di recupero dei rifiuti, nel rispetto dei criteri generali
fissati a livello statale.
Rispetto al quadro normativo di
riferimento, l’articolo 4 della direttiva quadro in materia di rifiuti n.
2008/98/CE (recepito dall’articolo 179 del d.lgs. 152/2006) elenca la seguente
gerarchia, che si applica quale ordine di priorità della normativa e
della politica in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti:
a) prevenzione;
b) preparazione per il riutilizzo;
c) riciclaggio;
d) recupero di altro tipo, per
esempio il recupero di energia; e
e) smaltimento.
In base al comma 2, tutti gli impianti, sia esistenti che da realizzare, devono essere autorizzati a saturazione del carico termico.
Ciò implica, per gli impianti esistenti, la necessità di un adeguamento delle autorizzazioni integrate ambientali (AIA) rilasciate, che dovrà essere effettuato, secondo il comma 2, dalle autorità competenti entro 60 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto-legge.
Ai sensi dell’allegato VIII alla parte seconda del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) l’AIA è necessaria per lo smaltimento o recupero dei rifiuti in impianti di incenerimento dei rifiuti o in impianti di coincenerimento dei rifiuti:
a) per i rifiuti non pericolosi con una capacità superiore a 3 Mg all'ora;
b) per i rifiuti pericolosi con una capacità superiore a 10 Mg al giorno.
Lo stesso comma precisa che la richiesta di saturazione del carico termico è in linea con il disposto dell’art. 15 del D.Lgs. 46/2014. Il riferimento sembra essere all’art. 237-sexies del D.Lgs. 152/2006 (inserito dal citato articolo 15), secondo cui l'autorizzazione alla realizzazione ed esercizio degli impianti di incenerimento e coincenerimento deve in ogni caso indicare esplicitamente, tra l’altro, la capacità nominale e il carico termico nominale autorizzato dell'impianto. Per “carico termico nominale” si intende “la somma delle capacità di incenerimento dei forni che costituiscono l'impianto, quali dichiarate dal costruttore e confermate dal gestore, espressa come prodotto tra la quantità oraria di rifiuti inceneriti ed il potere calorifico dichiarato dei rifiuti” (lettera l) del comma 1 dell’art. 237-ter del D.Lgs. 152/2006).
In base al comma 3 tutti i nuovi impianti dovranno essere realizzati conformemente alla classificazione di impianti di recupero energetico di cui al punto R1 (nota 4), allegato C alla parte quarta del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006).
Il citato punto R1 include, tra le operazioni di recupero dei rifiuti, la “utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia”. La nota (4) a tale punto chiarisce che gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani sono compresi nel punto R1 solo se la loro efficienza energetica (calcolata con una articolata formula matematica indicata nel prosieguo della stessa nota) è uguale o superiore al 65%.
Il comma 4 prevede che le autorità competenti, entro il medesimo termine di 60 giorni previsto dal comma 2, verifichino, per gli impianti esistenti, la sussistenza dei requisiti per la loro qualifica di impianti di recupero energetico R1, revisionando in tal senso e nello stesso termine, quando ne ricorrano le condizioni, le autorizzazioni integrate ambientali (AIA).
Il comma 5 detta le seguenti priorità di utilizzo degli impianti di recupero:
§
priorità al trattamento dei rifiuti urbani prodotti nel territorio nazionale; la norma
sottolinea che tale priorità è perseguibile dato che non sussistono vincoli di
bacino per gli impianti di recupero;
§ in subordine, a saturazione del carico termico, devono essere trattati rifiuti speciali non pericolosi o pericolosi a solo rischio sanitario.
A tale fine lo stesso comma prevede il coerente adeguamento delle AIA alle presenti disposizioni nei termini sopra stabiliti (cioè entro 60 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto-legge).
Il comma 6 prevede il dimezzamento dei termini previsti per l’espletamento delle procedure di espropriazione per pubblica utilità, di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di autorizzazione integrata ambientale (AIA) degli impianti di recupero R1 da realizzare.
Nel caso di procedimenti in corso, il dimezzamento opera sui termini residui.
Il comma 7 prevede l’applicazione del potere sostitutivo in caso di mancato rispetto dei termini fissati dai commi 2, 4 e 5 per la verifica degli impianti e l’adeguamento delle autorizzazioni, nonché dal comma 6 per l’accelerazione delle procedure autorizzative.
In merito al potere sostitutivo la norma richiama l’art. 8 della L. 131/2003, il quale dispone, tra l’altro, che il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento (comma 1).
Il 2 luglio 2014 la Commissione europea ha presentato, nell’ambito di un pacchetto di misure specificamente dedicato all’economia verde, una comunicazione sull’economia circolare (COM(2014)398) e una proposta di direttiva per la revisione delle direttive sui rifiuti.
La comunicazione mira a tracciare un quadro finalizzato alla transizione verso un’economia basata sull’uso efficiente delle risorse e prevede, tra gli altri interventi, la modernizzazione della politica in materia di rifiuti e dei suoi obiettivi, trasformandoli in una risorsa.
In particolare, si prevede l’aumento della percentuale di rifiuti urbani riutilizzati e riciclati ad almeno il 70% entro il 2030; l’aumento della percentuale di rifiuti di imballaggio riciclati all’80% entro il 2030, con obiettivi intermedi di 60% entro il 2020 e 70% entro il 2025, con obiettivi per determinati materiali; il divieto del collocamento in discarica dei rifiuti riciclabili di plastica, metallo, vetro, carta e cartone e dei rifiuti biodegradabili entro il 2025, l’impegno degli Stati membri di abolire quasi completamente il collocamento in discarica entro il 2030 ; la promozione dello sviluppo di mercati delle materie prime secondarie di qualità, anche valutando l’opportunità di introdurre criteri di fine vita per determinati materiali; l’individuazione di un metodo di calcolo da applicare ai materiali riciclati per garantire un riciclaggio di qualità.
La Commissione, inoltre, auspica la semplificazione e il miglioramento della legislazione sui rifiuti a livello nazionale, nonché la riduzione delle disparità esistenti.
La proposta di direttiva (COM(2014)397) modifica le direttive sui rifiuti attualmente in vigore (in particolare, la 2008/98/CE sui rifiuti; la 94/62/CE sugli imballaggi; la 1999/31/CE sulle discariche; 2000/53/CE sui veicoli fuori uso; 2006/66/CE sulle pile ed accumulatori; 2012/19/UE sui rifiuti elettrici ed elettronici) in linea con gli obiettivi della tabella di marcia per l’impiego efficiente delle risorse e con quelli del settimo programma d’azione per l’ambiente.
Tra tali obiettivi, si ricordano la piena attuazione della gerarchia dei rifiuti in tutti gli Stati membri, una produzione minore di rifiuti in termini assoluti e pro capite e l’elaborazione di una strategia globale per combattere gli sprechi alimentari, in modo da assicurare un riciclaggio di alta qualità e il ricorso ai rifiuti riciclati come fonte di materie prime per l’Unione, limitare il recupero energetico ai materiali non riciclabili e collocare in discarica unicamente i rifiuti non recuperabili.
In materia di trattamento e riciclaggio dei rifiuti, sono attualmente in corso diverse procedure di infrazione promosse dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia.
La procedura di infrazione n. 2011/4021 è stata avviata nel maggio 2012 per la non conformità alla normativa europea sulle discariche di rifiuti (direttiva 1999/31/CE in combinato disposto con la direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE)) della discarica di Malagrotta e di altre discariche laziali. In esito a tale procedura, il 13 giugno 2013, la Commissione europea ha presentato ricorso alla Corte di giustizia nei confronti dell’Italia (C-323/13).
In particolare, la Commissione ritiene
che i rifiuti stoccati presso le discariche del Lazio non subiscano il
trattamento prescritto dalla normativa europea, non essendo sufficiente la
frantumazione e lo sminuzzamento prima dell’interramento, come invece affermato
dalle autorità italiane. Infatti, in base alla direttiva 1999/31/CE e alla
direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE), per prevenire o ridurre gli effetti
negativi sull’ambiente e qualunque rischio che ne derivi per la salute umana,
il trattamento deve comprendere anche una corretta selezione dei diversi flussi
di rifiuti.
Con sentenza del 4 marzo 2010, pronunciata nella causa C 297/08 (in esito alla procedura di infrazione n. 2007/2195), la Corte di Giustizia ha statuito che l’Italia ha violato gli obblighi comunitari di corretta gestione dei rifiuti nella regione Campania, in particolare per la mancanza di una rete integrata di gestione dei rifiuti nella regione.
Rilevando che il Programma attuativo per la realizzazione degli interventi necessari ad adempiere agli obblighi stabiliti nella citata sentenza, predisposto e approvato dalla regione Campania, non è stato rispettato, il 10 dicembre 2013, la Commissione europea ha nuovamente deferito lo Stato italiano innanzi alla Corte di Giustizia per mancata esecuzione della medesima sentenza (causa C-323/13).
Il programma attuativo reca misure destinate a gestire i rifiuti nella regione fino al 2016, quando dovrebbero diventare operativi nuovi impianti di trattamento. Tuttavia, la Commissione contesta che dall'estate 2011 le autorità locali hanno dirottato grandi quantità di rifiuti verso impianti in altre regioni, soluzione questa di natura meramente temporanea. Pur riconoscendo i progressi fatti, ad esempio sotto il profilo della raccolta differenziata, la Commissione sottolinea i ritardi che hanno portato all'arresto della costruzione della maggior parte degli impianti previsti per il recupero dei rifiuti organici, degli inceneritori e delle discariche, con il rischio che molte delle installazioni previste non siano pronte per la fine del 2016. Altri fattori preoccupanti sono, ad avviso della Commissione, i circa sei milioni di tonnellate di rifiuti imballati e stoccati presso vari siti in Campania, in attesa di un inceneritore che deve ancora essere costruito, e il basso tasso di raccolta differenziata nella provincia di Napoli: pur essendo la città della Campania che produce più rifiuti, Napoli ha un tasso di raccolta differenziata solo di circa il 20%.
La Commissione chiede alla Corte di giustizia di condannare l’Italia al versamento di sanzioni pecuniarie consistenti in una somma forfettaria di 28.089,6 euro al giorno (quantificabile su base annua in circa 10.252.704 euro) per il periodo intercorso tra la prima e la seconda sentenza e in una penalità di mora di 256.819,20 euro al giorno (vale a dire 85.606,4 euro al giorno per ogni categoria di installazione) dovuta dal giorno in cui verrà pronunciata la seconda sentenza fino al completo adempimento (quantificabile su base annua in circa 93.739.008 euro).
Il 23 novembre 2012, la Commissione, nell’ambito della procedura di infrazione 2011/2215, ha emesso nei confronti dell’Italia un parere motivato ex art. 258 per la violazione degli obblighi imposti dall’art. 14 (obbligo di procedere all’esecuzione di piani di riassetto) della direttiva 1999/31/CE sulle discariche di rifiuti. In particolare, la Commissione considera irregolari 102 discariche già esistenti o autorizzate al 16 luglio 2001 per le quali, entro il 16 luglio 2009, in base alla normativa europea si sarebbe dovuto prevedere e dare esecuzione un adeguato piano di riassetto ovvero procedere alla chiusura qualora detto piano fosse risultato inadeguato.
Sulla base delle informazioni, risulta alla Commissione che, nonostante i progressi compiuti, sul territorio italiano vi sono ancora 46 discariche con riferimento alle quali non sono stati adempiuti gli obblighi previsti dalla direttiva. Le regioni interessate sono l’Abruzzo (15 discariche), la Basilicata (19 discariche), la Campania (2 discariche), il Friuli Venezia Giulia (4 discariche), la Liguria (1 discarica per rifiuti pericolosi) e la Puglia (5 discariche).
Articolo 17
(Semplificazioni ed altre misure in materia edilizia)
L’art. 17 apporta numerose modifiche al T.U. edilizia (D.P.R. 380/2001) negli ambiti di seguito indicati.
Una prima modifica (lettera a), n. 1), del comma 1) riguarda la definizione di manutenzione straordinaria e comporta che per tali interventi non sia alterata la volumetria complessiva degli edifici, anziché i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari come prevedeva il testo previgente della lettera b), del comma 1, dell’art. 3 del T.U. edilizia.
Viene altresì precisato, sempre nell’ambito della definizione in questione, che sono ricompresi tra gli interventi di manutenzione straordinaria quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere, anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso (lettera a), n. 2), del comma 1).
Il seguente testo a fronte evidenzia ancor più chiaramente le citate modifiche definitorie:
Definizione previgente |
Nuova definizione |
b) "interventi di manutenzione straordinaria", le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso; |
b) "interventi di manutenzione straordinaria", le opere
e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali
degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari
e tecnologici, sempre che non alterino la
volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Nell'ambito degli
interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli
consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con
esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle
singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia
modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria
destinazione di uso; |
Connessa alle modifiche indicate è quella disposta dalla successiva lettera c), numero 1), lett. a), che interviene sulle caratteristiche degli interventi di manutenzione straordinaria che possono essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo, quindi semplicemente previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione comunale. Nel testo previgente, per realizzare l’intervento semplicemente con la comunicazione di inizio lavori (CIL) erano richieste le seguenti condizioni cui la norma non fa più riferimento in conseguenza della modifica :
§ l’intervento non comporta aumento del numero delle unità immobiliari;
§ l’intervento non implica incremento dei parametri urbanistici.
Rimane quindi, rispetto al testo previgente dell’art. 6, comma 2, lettera a) del T.U. edilizia, la sola condizione che l’intervento non deve riguardare le parti strutturali dell’edificio.
Alle modifiche citate si accompagna quella disposta dalla lettera d) del medesimo comma 1, secondo cui non è più necessario il permesso di costruire per gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportano aumento di unità immobiliari, modifiche del volume o delle superfici. In base al nuovo disposto il permesso di costruire serve invece se vi è una modifica della volumetria complessiva degli edifici (oltre che nel caso, già contemplato dal testo previgente dell’art. 10, comma 1, lett. c), del T.U. edilizia, di modifica dei prospetti).
Si fa notare che, prima dell’entrata in vigore del presente decreto-legge, gli accorpamenti e i frazionamenti di unità immobiliari per i quali era richiesto il permesso di costruire. In seguito alla semplificazione operata dalle citate lettere a), c) e d), per tali interventi di accorpamento e frazionamento sarà sufficiente una semplice comunicazione di inizio lavori (CIL).
Relativamente alle modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa, il numero 1), lett. b), della lettera c) del comma 1 chiarisce che le stesse possono essere eseguite semplicemente previa CIL (comunicazione di inizio lavori), a condizione che gli interventi non riguardino le parti strutturali (nuovo testo dell’art. 6, comma 2, lettera e-bis) del T.U. edilizia).
Connessa alle suesposte modifiche è quella operata dal numero 2) della lettera c). Tale numero 2), al fine di garantire che gli interventi di manutenzione straordinaria e le modifiche interne sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa effettuati con semplice CIL non riguardino le parti strutturali, aggiunge, tra le finalità dell’asseverazione della CIL operata dal tecnico abilitato, proprio quella di attestare che non vi è interessamento delle parti strutturali dell’edificio (nuovo testo del comma 4 dell’art. 6 del T.U. edilizia).
Questa non è tuttavia l’unica modifica alla documentazione di corredo della CIL. Rispetto alla normativa previgente, viene infatti eliminato l’obbligo di presentare all’amministrazione “una relazione tecnica provvista di data certa e corredata degli opportuni elaborati progettuali”. Viene altresì eliminato l’obbligo, limitatamente alle opere all’interno dei fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa, di trasmettere le dichiarazioni di conformità da parte dell'Agenzia per le imprese.
Conseguentemente vengono eliminate le disposizioni contenute nelle lettere b) e c) del comma 6 dell’art. 6 del T.U. edilizia, che riguardavano la relazione tecnica, e sostituite con una disposizione che si limita a demandare alle leggi regionali la disciplina delle modalità di effettuazione dei controlli (numero 4) della lettera c)).
Sempre consequenziale all’eliminazione della relazione tecnica è la modifica operata dal numero 5) della lettera c), che modifica il T.U. edilizia al fine di far riferimento non più alla relazione tecnica ma alla CIL asseverata.
Da segnalare inoltre, con riferimento a tutti gli interventi eseguibili semplicemente previa CIL (vale a dire quelli elencati dal comma 2 dell’art. 6 del T.U. edilizia), la semplificazione introdotta dal numero 3) della lettera c), che svincola il soggetto interessato dall’obbligo di provvedere alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale: la nuova disposizione impone infatti all’amministrazione comunale di provvedere al tempestivo inoltro della CIL all'Agenzia delle entrate (nuovo testo del comma 5 dell’art. 6 del T.U. edilizia).
Con riguardo alle opere interne, infine, la lettera h), numero 1), del comma 1, stabilisce che, per gli interventi di manutenzione straordinaria effettuabili semplicemente previa CIL (definiti dall’art. 6, comma 2, lett. a) del T.U. edilizia) il contributo di costruzione sia commisurato alle sole opere di urbanizzazione (nuovo testo dell’art. 17, comma 4, del T.U. edilizia).
Andrebbe valutata
l’opportunità di un chiarimento in ordine agli effetti di tale disposizione
relativamente alle opere che rientrano nella manutenzione straordinaria sulla
base delle modifiche apportate dall'articolo in esame e a quelle opere che già
erano incluse nella manutenzione straordinaria.
La lettera b) del comma 1 introduce la definizione di “interventi di conservazione” (nuovo art. 3-bis del T.U. edilizia).
La norma stabilisce che lo strumento urbanistico individua gli edifici esistenti non più compatibili con gli indirizzi della pianificazione e che, in tal caso, l’amministrazione comunale può favorire, in alternativa all’espropriazione, la riqualificazione delle aree attraverso forme di compensazione e dispone altresì che, nelle more dell’attuazione del piano, resta salva la facoltà del proprietario di eseguire tutti gli interventi conservativi (ad eccezione della demolizione e successiva ricostruzione non giustificata da obiettive ed improrogabili ragioni di ordine statico od igienico sanitario).
La norma non chiarisce quali siano tali "interventi conservativi"
.
La lettera e) del comma 1 introduce (all’art. 14, comma 1-bis, del T.U. edilizia) una nuova ipotesi di permesso di costruire in deroga anche alle destinazioni d’uso per gli interventi di ristrutturazione edilizia e di ristrutturazione urbanistica, attuati anche in aree industriali dismesse, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l’interesse pubblico.
Relativamente a tale nuova fattispecie, andrebbe valutata
l'opportunità di chiarire nella norma che il permesso di costruire è in deroga
agli strumenti urbanistici ed eventualmente richiamare il rispetto delle
"disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e
delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell'attività edilizia". Si osserva inoltre che alla possibilità di
derogare anche alle destinazioni d'uso provvede già la modifica contenuta nel
numero 2) della lettera e).
Quanto alla formulazione
della norma, andrebbe valutata altresì l’opportunità di sostituire le parole “è
ammessa la richiesta” prevedendo, come fa il comma 1, che “il permesso di
costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali può essere altresì
rilasciato …”.
L’art. 3, comma 1, lett. d), del T.U. edilizia definisce di “ristrutturazione edilizia" gli «interventi rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare
ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali
interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi
costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia
sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con
la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni
necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al
ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti,
attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la
preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili
sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e
successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli
interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono
interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima
sagoma dell'edificio preesistente».
Sono invece di “ristrutturazione urbanistica", ai sensi della successiva lettera f), quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.
La lettera f) del comma 1 prevede, mediante alcune modifiche all’art. 15 del T.U. edilizia, la proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori, contemplati dal permesso di costruire, in caso di blocco degli stessi lavori causato da iniziative dell’amministrazione o dell’autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate.
Andrebbe valutata
l’opportunità di chiarire la portata della norma relativamente alle circostanze
che dovrebbero determinare la proroga dei termini di inizio e di ultimazione
dei lavori in quanto si fa genericamente riferimento alla infondatezza delle iniziative
della p.a. o dell’autorità giudiziaria.
La lettera g) del comma 1 contiene una serie di disposizioni che incidono sul contributo per il rilascio del permesso di costruire.
Il numero 2), in particolare, per gli interventi di trasformazione urbana complessi (definiti ai numeri 7) e 8) dell’allegato IV alla Parte II del Codice dell’ambiente), stabilisce che lo strumento attuativo possa prevedere che:
§ il contributo per il rilascio del permesso di costruire è dovuto solo relativamente al costo di costruzione;
§ le opere di urbanizzazione sono direttamente messe in carico all’operatore privato che ne resta proprietario, assicurando che, nella fase negoziale, vengano definite modalità atte a garantire la corretta urbanizzazione, infrastrutturazione ed insediabilità degli interventi, la loro sostenibilità economico-finanziaria, le finalità di interesse generale delle opere realizzate e dei relativi usi (nuovo testo del comma 2-bis dell’art. 16 del T.U. edilizia).
La stessa disposizione precisa che resta fermo l’obbligo di applicare le procedure del Codice dei contratti pubblici (art. 32, comma 1, lett. g), del D.Lgs. 163/2006) qualora l’importo delle opere di urbanizzazione superi le soglie di rilevanza comunitaria.
Con riferimento al rinvio ai numeri 7) e 8) dell’allegato IV alla parte II del Codice dell’ambiente si fa notare che tali numeri elencano una serie molto vasta di opere, spesso relative alla realizzazione di un singolo impianto produttivo, e quindi non qualificabili come “trasformazioni urbane complesse”. A tale definizione sembra invece riferibile la lettera b) del numero 7) che riguarda “progetti di sviluppo di aree urbane, nuove o in estensione, interessanti superfici superiori ai 40 ettari; progetti di riassetto o sviluppo di aree urbane all'interno di aree urbane esistenti che interessano superfici superiori a 10 ettari; costruzione di centri commerciali di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59”; parcheggi di uso pubblico con capacità superiori a 500 posti auto”.
Sembra quindi opportuna una
riformulazione della norma atta a circoscrivere e precisare meglio il suo ambito
di applicazione.
Altra modifica degna di nota è quella contenuta nel numero 3) della medesima lettera g), che aggiunge, ai criteri (parametri) che la regione deve considerare nella redazione delle tabelle parametriche che i comuni devono utilizzare per la determinazione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, un criterio di differenziazione tra gli interventi finalizzato ad incentivare, in modo particolare nelle aree a maggiore densità del costruito, quelli di ristrutturazione edilizia anziché quelli di nuova costruzione (nuova lettera d-bis del comma 4 dell’art. 16 del T.U. edilizia).
I criteri contemplati dal testo previgente del comma 4 dell’art. 16 del T.U. edilizia erano solamente l'ampiezza, l'andamento demografico e le caratteristiche geografiche dei comuni; le destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti; i limiti e i rapporti minimi inderogabili.
Il successivo numero 4) stabilisce che i criteri (parametri) citati debbano essere utilizzati dai comuni anche nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della regione (nuovo testo del comma 5 dell’art. 16 del T.U. edilizia).
Riguardo alla richiamata nozione di ristrutturazione edilizia, si ricorda che essa è stata recentemente modificata dall’art. 30, comma 1, lettera a), del D.L. 69/2013, che ha incluso nel novero degli “interventi di ristrutturazione edilizia” (elencati dalla lettera d) del comma 1 dell’art. 3 del D.P.R. 380/2001) quelli di demolizione e ricostruzione che comportano variazioni nella sagoma. Nella stessa lettera d) è stato inoltre introdotto un periodo che mira a ricomprendere nella ristrutturazione edilizia anche il ripristino/ricostruzione di edifici crollati o demoliti.
Il rispetto della medesima sagoma dell’edificio preesistente viene invece ancora considerato come elemento necessario per considerare l’intervento – sia di demolizione/ricostruzione, sia di ripristino/ricostruzione di edifici crollati/demoliti – come “di ristrutturazione edilizia” qualora l’immobile sia vincolato ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Riguardo alla modifica operata dal numero 4), si ricorda invece che il testo previgente del comma 5 dell’articolo 16 del T.U. edilizia (che viene modificato dal numero 4)), si limitava a stabilire che in caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della regione e fino alla definizione delle stesse, i comuni provvedevano, in via provvisoria, con apposita deliberazione del consiglio comunale.
Il successivo numero 5), sempre nell’ottica di incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente, consente ai comuni di deliberare, per gli interventi di ristrutturazione edilizia, che i costi di costruzione siano inferiori ai valori determinati per le nuove costruzioni (nuovo testo del comma 10 dell’art. 16 del T.U. edilizia).
Il testo previgente prevedeva invece che tali costi potessero essere “non superiori”.
La lettera h), numero 2), del comma 1, al fine di agevolare gli interventi di densificazione edilizia, per la ristrutturazione, il recupero e il riuso degli immobili dismessi o in via di dismissione, prevede una riduzione del contributo di costruzione in misura non inferiore al 20% rispetto a quello previsto per le nuove costruzioni (nuovo comma 4-bis dell’art. 17 del T.U. edilizia).
Ai comuni è demandata la definizione, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della presente disposizione, dei criteri e delle modalità per l'applicazione della relativa riduzione.
Il comma 1, lettera i), limita la possibilità di raddoppiare i termini dell’istruttoria, relativa alle istanze di permesso di costruire, ai soli casi di progetti particolarmente complessi secondo la motivata risoluzione del responsabile del procedimento (nuovo testo del comma 7 dell’art. 20 del T.U. edilizia).
Viene quindi escluso, come invece prevedeva la norma previgente, il raddoppio automatico dei termini citati per i comuni con più di 100.000 abitanti (nuova formulazione del comma 7, dell’art. 20, del T.U. edilizia).
Si tratta di una norma identica a quella contenuta nell’art. 15, comma 1, lettera a), dell’A.S. 958 (ddl di semplificazione presentato dal precedente Governo).
La lettera q) del comma 1 introduce nell’ordinamento nazionale (nuovo art. 28-bis del T.U. edilizia) la disciplina del permesso di costruire convenzionato, mutuandolo dalla normativa regionale (è il caso ad esempio della L.R. n. 12/2005 della Lombardia). Il permesso di costruire viene cioè rilasciato in seguito alla stipula di una convenzione che, in particolare, deve disciplinare:
a) la cessione di aree anche al fine dell’utilizzo di diritti edificatori;
b) la realizzazione di opere di urbanizzazione;
c) le caratteristiche morfologiche degli interventi;
d) la realizzazione di interventi di edilizia residenziale sociale.
Il termine di validità del permesso di costruire convenzionato può essere modulato in relazione agli stralci funzionali previsti dalla convenzione.
Il comma 1, lettera m), contiene disposizioni in materia di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). In particolare il numero 2), intende ampliare la casistica delle varianti attuabili in corso d'opera mediante una semplice SCIA e da comunicare nella fase di fine lavori (nuovo comma 2-bis dell’art. 22 del T.U. edilizia).
Sono realizzabili in tal modo, con attestazione del professionista, le varianti a permessi di costruire che soddisfano tutte le seguenti condizioni:
§ non configurano una variazione essenziale;
§ sono conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie;
§ sono attuate dopo l’acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore.
Si tratta di una norma analoga a quella contenuta nell’art. 15, comma 2, dell’A.S. 958.
La lettera n) del comma 1 introduce nel T.U. edilizia un nuovo articolo 23-ter che contiene una disciplina finalizzata a:
§ stabilire, salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, quali mutamenti della destinazione d’uso siano urbanisticamente rilevanti.
Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, sono “rilevanti” gli utilizzi dell'immobile o della singola unità immobiliare diversi da quello originario, ancorché non accompagnati dall'esecuzione di opere edilizie, purché tali da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:
a) residenziale e turistico-ricettiva;
b) produttiva e direzionale;
c) commerciale;
d) rurale.
§ consentire sempre, salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale.
Il nuovo art. 23-ter chiarisce altresì che la destinazione d’uso del fabbricato/unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile.
La lettera p) del comma 1 modifica il comma 5-ter dell’art. 25 del T.U. edilizia, inserito dal D.L. 69/2013, al fine di eliminare alcune incertezze interpretative. In base al nuovo testo le regioni a statuto ordinario disciplinano con legge le modalità per l'effettuazione dei controlli nell’ambito del procedimento di rilascio del certificato di agibilità e non anche, come prevedeva il testo previgente, le modalità per l'attuazione delle disposizioni di cui al comma 5-bis, concernenti l'attestazione della conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità da parte del direttore dei lavori o, qualora non nominato, di un professionista abilitato.
Le lettere l), m), numero 1), e o), del comma 1, nonché il comma 2 contengono disposizioni di coordinamento, finalizzate a rendere coerente il T.U. edilizia con le disposizioni in materia di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).
Con tali disposizioni viene ulteriormente chiarito che la DIA (ad eccezione della super-DIA, contemplata dall’art. 22, comma 3, del T.U. edilizia) viene sostituita dalla SCIA, ribadendo quanto stabilito dall’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del D.L. 78/2010, che - come precisato dalla circolare 16 settembre 2010 del Ministro per la semplificazione normativa e confermato dalla Corte costituzionale (con la sentenza n. 164/2012) - si applica anche all’edilizia.
Il comma 3 impone alla legislazione regionale di assicurare l’attivazione del potere sostitutivo allo scadere dei termini assegnati ai comuni per l’adozione, da parte degli stessi, dei piani (urbanistici) attuativi.
Il comma 4 consente l’attuazione per stralci funzionali delle convenzioni di lottizzazione previste dalla legge urbanistica (art. 28 della L. 1150/1942) o degli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale.
Allo stesso modo, anche la quantificazione degli oneri di urbanizzazione o delle opere di urbanizzazione da realizzare, nonché delle relative garanzie potrà essere riferita ai relativi stralci, purché, come richiede la norma, l’attuazione parziale sia coerente con l’intera area oggetto d’intervento.
Il comma 5 reca la clausola di invarianza finanziaria.
Articolo 18
(Liberalizzazione del mercato delle grandi locazioni
ad uso non abitativo)
L’articolo 18 integra la formulazione dell’art. 79 della legge 392 del 1978 (cd. legge sull’equo canone) relativamente alla disciplina sui patti contra legem prevedendo che, nei contratti di locazione, anche alberghiera, di maggior rilievo economico (canone superiore a 150.000 euro), le parti possano liberamente stabilire i termini e le condizioni contrattuali.
Si ricorda che L’art. 79 (Patti contrari alla legge) prevede, al comma 1, la nullità di ogni pattuizione tra le parti diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dalla legge 392 ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della stessa legge.
Articolo 19
(Esenzione da ogni imposta degli accordi di riduzione
dei canoni di locazione)
L’articolo 19 stabilisce l’esenzione dalle imposte di registro e di bollo nel caso di registrazione di atti che dispongono esclusivamente la riduzione del canone di un contratto di locazione in corso.
La normativa vigente prevede che, nel caso di accordo per la riduzione di un canone di locazione, il relativo atto non debba necessariamente essere registrato. Tuttavia, considerando che la riduzione del canone può determinare, di fatto, la diminuzione della base imponibile ai fini dell’imposta di registro come pure ai fini delle imposte dirette, può risultare conveniente per il locatore, per esigenze probatorie, registrare il relativo accordo. In tal caso la registrazione volontaria era assoggettata ad imposta di registro in misura fissa di 67 euro e ad imposta di bollo (16 euro per ciascun foglio dell’atto). Si ricorda che tale ultima misura è stata così elevata, rispetto ai precedenti 14,62 euro, dall’articolo 7-bis, comma 3, del D.L. n. 43 del 2013.
Tale ricostruzione è stata chiarita dall’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 60/E del 2010. Secondo l’Agenzia, l’accordo di riduzione del canone inizialmente pattuito non è riconducibile alle ipotesi di cessione, risoluzione e proroga anche tacite di un contratto di locazione, per le quali l'imposta di registro deve essere liquidata dalle parti contraenti e versata entro 30 giorni dall'evento (articolo 17 del D.P.R. n. 131 del 1986, T.U. imposta di registro). Pertanto, fatta salva l’ipotesi in cui l'accordo venga formalizzato nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, non sussiste in capo ai contraenti l’obbligo di comunicare all’Amministrazione finanziaria la modifica intervenuta sulla riduzione del canone di locazione. È comunque possibile richiedere la registrazione volontaria, pagando l’imposta di registro in misura fissa (67 euro), al fine di attribuire certezza e computabilità all'accordo, posto che la diminuzione del canone determina la riduzione della base imponibile, ai fini del registro, dell'Iva e delle imposte sui redditi. La registrazione della scrittura privata tra locatore e conduttore sconta in ogni caso l'imposta di bollo fin dall'origine.
La norma in commento esenta dalle imposte di registro e di bollo gli accordi di riduzione dei canoni di locazione.
Articolo 20, commi 1-3
(Misure per il rilancio del settore
immobiliare)
L’articolo 20 modifica la disciplina delle Siiq (Società di investimento immobiliare quotate) per facilitare l’accesso al regime fiscale di favore previsto con la legge finanziaria 2007: sono quindi modificati i requisiti partecipativi dei soci e si uniforma il regime fiscale a quello dei fondi immobiliari. Si introducono inoltre ulteriori misure agevolative e un nuovo regime fiscale di esenzione e distribuzione delle plusvalenze realizzate sugli immobili oggetto di locazione.
In particolare si eleva dal 51 al 60 per cento la percentuale massima dei diritti di voto nell'assemblea ordinaria e dei diritti di partecipazione agli utili posseduta da ciascun socio (vale a dire la quota di maggioranza) e si riduce dal 35 al 25 per cento la percentuale di soci che devono detenere azioni che non possiedano più del 2 per cento dei diritti di voto nell'assemblea ordinaria e più del 2 per cento dei diritti di partecipazione agli utili (il flottante).
Viene esteso a tre esercizi il periodo (attualmente fissato in due esercizi) in cui è consentita la non osservanza del requisito della prevalenza operativa in attività di locazione immobiliare ai fini del regime speciale.
E’ ridotto dall’85 al 70 per cento l’obbligo di distribuzione ai soci dell’utile netto, che si calcola anche sulle quote di partecipazione in fondi immobiliari. Tale obbligo è ulteriormente ridotto al 50 per cento nei due esercizi successivi a quello di realizzo per i proventi rivenienti dalle plusvalenze nette realizzate su immobili destinati alla locazione nonché derivanti dalla cessione di partecipazioni in Siiq e Siinq (Società di investimento immobiliare non quotate) o di quote in fondi immobiliari.
E’ incentivata la detenzione di azioni da parte di soggetti esteri che accedono alle convenzioni contro la doppia imposizione.
Sono quindi agevolate i passaggi di beni immobili tra Siiq e fondi immobiliari.
E’ infine favorito l’investimento in alloggi sociali mediante la riduzione della ritenuta sui relativi utili dal 20 al 15 per cento.
Le Siiq (Società di investimento immobiliare quotate) sono società per azioni quotate che svolgono prevalentemente attività di locazione in campo immobiliare.
Esse possono godere di un regime fiscale agevolato (articolo 1, commi da 119 a 141 della Legge 296/2006) se costituite in Spa (Società per azioni) residenti nel territorio dello Stato, che svolgono come attività prevalente la locazione immobiliare e sono in possesso di determinati requisiti:
· i titoli di partecipazione devono essere negoziati in mercati regolamentati degli Stati membri dell’Unione europea e degli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo (cd. white list);
· nessun socio deve possedere direttamente o indirettamente più del 51 per cento dei diritti di voto nell'assemblea ordinaria e più del 51 per cento dei diritti di partecipazione agli utili;
· almeno il 35 per cento delle azioni deve essere detenuto da soci che non possiedano al momento delle opzioni direttamente o indirettamente più del 2 per cento dei diritti di voto nell'assemblea ordinaria e più del 2 per cento dei diritti di partecipazione agli utili;
· l'80% dell'attivo deve essere investito in immobili da locazione; l'80% dei proventi deve derivare dalla locazione; e infine la società deve distribuire ogni anno almeno l'85% degli utili ottenuti dalla gestione.
Il regime speciale prevede l’esenzione dall’Ires e dall’Irap del reddito d’impresa derivante dall’attività di locazione e l’applicazione di una ritenuta del 20% sugli utili distribuiti ai partecipanti.
La scelta per il regime agevolato si effettua mediante opzione da esercitare entro la fine del periodo d’imposta precedente a quello dal quale la società intende avvalersene.
L’opzione è irrevocabile e comporta per la società l’assunzione della qualifica di “Società di investimento immobiliare quotata” (Siiq), che deve essere indicata nella denominazione sociale e in tutti i documenti della società.
In particolare, il comma 1 dell’articolo 20 interviene sulla disciplina del regime agevolato delle Siiq (previsto dalla legge n. 296 del 2006, articolo 1, commi 119-141).
In primo luogo si eleva dal 51 al 60 per cento la percentuale massima dei diritti di voto nell'assemblea ordinaria e dei diritti di partecipazione agli utili posseduta da ciascun socio (vale a dire la quota di maggioranza) e si riduce dal 35 al 25 per cento la percentuale di soci che devono detenere azioni che non possiedano più del 2 per cento dei diritti di voto nell'assemblea ordinaria e più del 2 per cento dei diritti di partecipazione agli utili (il flottante); si specifica inoltre che il requisito partecipativo del 25 per cento non si applica per le società il cui capitale sia già quotato. Qualora il requisito partecipativo del 60 per cento sia superato a seguito di operazioni societarie straordinarie o sul mercato dei capitali il regime speciale è sospeso sino a quando il requisito non venga ristabilito nei limiti di legge (comma 1, lettera a), che modifica il comma 119).
Con il nuovo comma 119-bis (introdotto dalla lettera b)) si consente l’applicazione del regime speciale dal primo periodo d'imposta per cui si esercita l'opzione se i requisiti partecipativi sono verificati entro tale periodo.
Qualora sia realizzato il solo requisito del 25 per cento è possibile verificare il requisito del 60 per cento nei due esercizi successivi, applicando il regime speciale a partire dal periodo in cui il requisito viene verificato.
L'imposta d'ingresso, l'imposta sostitutiva sulle plusvalenze e le imposte ipotecarie e catastali sono applicate in via provvisoria fino al realizzarsi dell'accesso al regime speciale. In caso contrario, le suddette imposte sono rideterminate e dovute in via ordinaria entro la fine del quarto periodo d'imposta successivo alla presentazione dell'opzione. Le imposte corrisposte in via provvisoria costituiscono credito d'imposta da scomputare in compensazione (ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241).
Si ricorda che il comma 126 prevede una imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito delle società e dell'imposta regionale sulle attività produttive con l'aliquota del 20 per cento in relazione all'ingresso nel regime speciale da calcolarsi sulle plusvalenze derivanti dal realizzo a valore normale degli immobili nonché dai diritti reali su immobili destinati alla locazione posseduti dalla società alla data di chiusura dell'ultimo esercizio in regime ordinario. Analoga imposta sostitutiva è prevista dal comma 137 per le plusvalenze realizzate all'atto del conferimento di immobili e di diritti reali su immobili in società che abbiano optato per il regime speciale, mentre le imposte ipotecarie e catastali per le cessioni e i conferimenti sono ridotte alla metà (comma 139).
Il nuovo comma 119-ter (anch’esso introdotto dalla lettera b)) esclude le Siiq dagli Oicr (Organismi di investimento collettivo del risparmio) previsti dal TUF (Testo unico finanza, decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58).
Al riguardo, si ricorda che gli Oicr, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera k) del TUF, sono organismi istituiti per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l'emissione e l'offerta di quote o azioni, gestito in monte nell'interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari, crediti, inclusi quelli erogati a valere sul patrimonio dell'Oicr, partecipazioni o altri beni mobili o immobili, in base a una politica di investimento predeterminata; ai sensi della successiva lettera l), gli Oicr italiani sono i fondi comuni d'investimento (istituiti in forma di patrimonio autonomo, suddiviso in quote e gestiti dalle Sgr), le Sicav (società di investimento a capitale variabile avente per oggetto esclusivo l'investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante l'offerta al pubblico di proprie azioni) e le Sicaf (società di investimento a capitale fisso).
La lettera c) (mediante l’aggiunta di un periodo al comma 121) inserisce le quote di partecipazione nei fondi immobiliari indicati nel comma 131 e i relativi proventi tra gli elementi utili per il raggiungimento dell’80 per cento dell’attivo patrimoniale (che, come già detto, deve essere costituito da immobili posseduti a titolo di proprietà o di altro diritto reale).
Conseguentemente, al terzo periodo del comma 121 viene chiarito che in caso di alienazione di immobili e diritti reali su immobili destinati alla locazione, rilevano le eventuali plusvalenze derivanti dallo svolgimento di attività di locazione immobiliare.
La modifica al comma 122 (lettera d)) estende a tre esercizi il periodo (attualmente fissato in due esercizi) in cui è consentita la non osservanza del requisito della prevalenza operativa in attività di locazione immobiliare ai fini del regime speciale.
Con la modifica al comma 123 (lettera e)) è ridotto dall’85 al 70 per cento l’obbligo di distribuzione ai soci dell’utile netto, che si calcola anche sulle quote di partecipazione in fondi immobiliari.
Sotto il profilo della
formulazione del testo, si segnala che la modifica andrebbe introdotta dopo le
parole “partecipazioni indicate al comma 121”.
Il nuovo comma 123-bis riduce ulteriormente l'obbligo di distribuzione al 50 per cento nei due esercizi successivi a quello di realizzo per i proventi rivenienti dalle plusvalenze nette realizzate su immobili destinati alla locazione nonché derivanti dalla cessione di partecipazioni in Siiq e Siinq (Società di investimento immobiliare non quotate) o di quote in fondi immobiliari (lettera f)).
In caso di alienazione degli immobili o dei diritti reali anteriormente al termine previsto per il riconoscimento del valore normale come valore fiscale degli immobili e dei diritti reali su immobili (pari al quarto periodo d’imposta successivo a quello anteriore all’ingresso nel regime speciale), la differenza fra i predetti valori è assoggettata ad imposizione ordinaria e l'imposta sostitutiva proporzionalmente imputabile agli immobili e ai diritti reali alienati costituisce credito d'imposta (secondo periodo del comma 127, come modificato dalla lettera g)).
La precedente formulazione prevedeva che si assumesse come costo fiscale quello riconosciuto prima dell'ingresso nel regime speciale.
La lettera h) estende - con una modifica al secondo periodo del comma 131 - l’esenzione Ires del reddito derivante dall'attività di locazione immobiliare alle plusvalenze o minusvalenze relative a partecipazioni in Siiq o Siinq e ai proventi e alle plusvalenze o minusvalenze relative a quote di partecipazione a fondi comuni di investimento immobiliare.
Sui predetti proventi non si applica la ritenuta prevista per i redditi da capitale (ora pari al 26 per cento, a seguito delle modifiche introdotte dall’articolo 3 del decreto-legge n. 66 del 2014).
Le modifiche introdotte al comma 134 (lettera i)) sono volte in primo luogo ad ampliare la tipologia di utili cui si applica la ritenuta ridotta pari al 15 per cento già prevista per i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo a canone concordato. In particolare, in tale fattispecie vengono inclusi i contratti di locazione relativi agli alloggi sociali realizzati o recuperati in attuazione del cd. Piano casa (articolo 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112).
Il Piano, approvato con il D.P.C.M. del 16 luglio 2009, prevede, tra l’altro, la costituzione di un sistema integrato nazionale e locale di fondi immobiliari per l'acquisizione e la realizzazione di immobili per l'edilizia residenziale; esso è gestito da CDP Investimenti Sgr ed è costituito dal Fondo Investimenti per l’Abitare (FIA), un fondo di fondi; secondo quanto emerge dal sito internet, CDPI Sgr, per conto del FIA, ha assunto delibere definitive d’investimento per 1,18 miliardi di euro, in 23 fondi locali gestiti da 12 società di gestione del risparmio, per la realizzazione di 187 progetti, 11.870 alloggi sociali e 6.400 posti letto in residenze temporanee (http://www.cdpisgr.it/social-housing/FIA/investimenti-deliberati-fondi-locali/index.html).
E’ inoltre chiarito che per le distribuzioni eseguite nei confronti
di soggetti non residenti si applicano le convenzioni per evitare la doppia imposizione sul reddito.
Si ricorda che ai sensi dell'articolo 7, comma 3-bis, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351 - che ha dettato la disciplina per la costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare mediante trasferimento di beni immobili a uso diverso da quello residenziale dello Stato, dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e degli enti pubblici non territoriali - i sostituti d’imposta acquisiscono una dichiarazione del soggetto non residente effettivo beneficiario dei proventi, dalla quale risultino i dati identificativi del soggetto medesimo, la sussistenza di tutte le condizioni alle quali è subordinata l’applicazione del regime convenzionale, e gli eventuali elementi necessari a determinare la misura dell’aliquota applicabile ai sensi della convenzione; un’attestazione dell’autorità fiscale competente dello Stato ove l’effettivo beneficiario dei proventi ha la residenza, dalla quale risulti la residenza nello Stato medesimo ai sensi della convenzione. L’attestazione produce effetti fino al 31 marzo dell’anno successivo a quello di presentazione
L’accesso al regime speciale viene infine esteso a soggetti esteri con stabili organizzazioni – Siiq in Italia che detengono partecipazioni in Siinq, uniformandone il trattamento tributario (lettera l), che modifica il comma 141-bis).
Si ricorda che il comma 141-bis estende il regime agevolato alle società residenti negli Stati membri dell'Unione europea e degli Stati cd. white list, con riferimento alle stabili organizzazioni svolgenti in via prevalente l'attività di locazione immobiliare, prevedendo un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive con aliquota del 20 per cento.
Sotto il profilo della
formulazione del testo si segnala che andrebbe espunto il riferimento alla
legge 27 dicembre 2006, n. 296, in quanto si tratta di un rinvio interno alla
medesima legge.
Il comma 2 introduce i nuovi commi da 140-bis a 140-quater, prevedendo alcune agevolazioni in caso di trasferimento di immobili di un fondo immobiliare in una Siiq.
Ai sensi del nuovo comma 140-bis, il concambio eseguito da fondi immobiliari in sede di liquidazione totale o parziale mediante assegnazione ai quotisti di azioni di società che abbiano optato per il regime agevolato, ricevute a seguito di conferimento di immobili nelle stesse società non costituisce realizzo ai fini delle imposte sui redditi in capo al quotista e alle azioni della Siiq ricevute dagli stessi quotisti è attribuito il medesimo valore fiscale delle quote del fondo.
Occorrerebbe chiarire se ciò
implica che in caso di liquidazione del fondo il risparmiatore possa essere
obbligato a ricevere - in luogo dell’ammontare investito - azioni di Siiq. In
tal caso si potrebbe valutare la possibilità di introdurre un obbligo
informativo verso la clientela.
Per la Siiq conferitaria, il valore di conferimento iscritto in bilancio costituisce valore fiscalmente riconosciuto agli effetti del comma 127 sopra descritto. Qualora il conferimento sia effettuato nei confronti di una Siiq già esistente non si applicano al fondo conferente gli obblighi di offerta pubblica, a condizione che il fondo stesso provveda all'assegnazione delle azioni ai quotisti entro il termine di 30 giorni dall'acquisto.
Si ricorda che l’articolo 106 del TUF prevede che chiunque venga a detenere una partecipazione superiore alla soglia del trenta per cento ovvero a disporre di diritti di voto in misura superiore al trenta per cento dei medesimi promuove un'offerta pubblica di acquisto rivolta a tutti i possessori di titoli sulla totalità dei titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato in loro possesso (cd. Opa totalitaria). Nelle società diverse dalle PMI l'offerta è promossa anche da chiunque, a seguito di acquisti, venga a detenere una partecipazione superiore alla soglia del venticinque per cento in assenza di altro socio che detenga una partecipazione più elevata.
Ai sensi dell’introdotto comma 140-ter, i conferimenti effettuati dai fondi immobiliari nelle SIIQ aventi ad oggetto una pluralità di immobili prevalentemente locati sono considerati operazioni non imponibili dall’IVA. A tali operazioni si applica quindi la norma che esclude dalle operazioni imponibili le cessioni e i conferimenti in società o altri enti che hanno per oggetto aziende o rami d'azienda (articolo 2, terzo comma, lettera b), del DPR 26 ottobre 1972, n. 633).
Ai predetti conferimenti si applica altresì un regime fiscale di favore sotto il profilo delle imposte di registro ed ipocatastali.
In particolare, l’imposta di registro si applicherà nella misura fissa di 200 euro (in quanto la norma li equipara fiscalmente agli atti societari di costituzione e aumento del capitale o patrimonio con conferimento di proprietà o diritto reale di godimento su aziende o su complessi aziendali relativi a singoli rami dell'impresa, enumerati nell'articolo 4, comma 1, lettera a), numero 3), della tariffa, parte I, allegata ai testo unico in materia di imposta di registro, DPR n. 131 del 1986).
Anche l’imposta catastale si applicherà in misura fissa pari a 200 euro (ai sensi dell'articolo 10, comma 2, testo unico delle imposte ipotecaria e catastale, D. lgs. n. 347 del 1990); lo stesso importo si applicherà a titolo di imposta ipotecaria (ai sensi dell'articolo 4 della tariffa allegata al medesimo decreto legislativo n. 347 del 1990).
Inoltre, viene innalzata la quota percentuale di detrazione IVA secondo il meccanismo del pro-rata, stabilendo che, ai fini del calcolo della detrazione, le cessioni di azioni o quote effettuate nella fase di liquidazione dell’impresa (disciplinata al già commentato comma 140-bis) sono considerate operazioni che non formano oggetto dell'attività propria del soggetto passivo (ai sensi dell'articolo 19-bis, comma 2, del giù richiamato DPR n. 633 del 1972).
Si rammenta che (articolo 19, comma 5 del DPR IVA) ai contribuenti che esercitano sia attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione, sia attività che danno luogo ad operazioni esenti, il diritto alla detrazione dell'imposta spetta in misura proporzionale alla prima categoria di operazioni e il relativo ammontare è determinato applicando una specifica percentuale di detrazione (di cui all'articolo 19-bis del medesimo DPR; cosiddetto meccanismo del pro-rata). In sostanza tali contribuenti possono detrarre solo una parte dell’IVA pagata sugli acquisti, che va determinata attraverso uno specifico meccanismo: si determina una quota di IVA detraibile data dal rapporto tra le operazioni effettuate nell’anno per le quali si ha diritto alla detrazione e, per lo stesso arco temporale, lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti (articolo 19-bis, comma 1).
Il comma 2 dell’articolo 19-bis richiamato dalle norme in esame stabilisce che non rientrino nel calcolo del pro-rata, tra l’altro, le altre operazioni esenti indicate ai numeri da 1) a 9) dell’articolo 10 del DPR IVA (operazioni creditizie e finanziarie; operazioni di assicurazione, riassicurazione e vitalizio; operazioni relative a valute estere; operazioni relative ad azioni e quote sociali; operazioni relative alla riscossione dei tributi; operazioni relative a giochi, concorsi e scommesse; locazioni di fabbricati; cessioni di fabbricati; prestazioni di mandato, mediazione e intermediazione relative ad alcune operazioni esenti), quando non formano oggetto dell'attività propria del soggetto passivo o siano accessorie alle operazioni imponibili.
Tali agevolazioni (ai sensi dell’introdotto comma 140-quater) trova applicazione alle assegnazioni di una pluralità di immobili prevalentemente locati eseguite per la liquidazione delle quote da fondi immobiliari a società che abbiano optato per il regime SIIQ.
Il comma 3 reca la norma di copertura finanziaria a valere sull’autorizzazione di spesa riguardante misure di sostegno all'emittenza televisiva locale previste all’articolo 27, comma 10, sesto periodo, della legge n. 488 del 1999.
Articolo 20, comma 4
(Agevolazioni per le dismissioni
immobiliari)
Il comma 4, lettere a) e b), al fine di semplificare la procedura per la dismissione degli immobili pubblici, esonera lo Stato, gli altri enti pubblici e le società di cartolarizzazione dall’obbligo di consegnare al momento della cessione le dichiarazioni di conformità catastale degli immobili.
La lettera c) prevede che, nelle operazioni di dismissione immobiliare menzionate nonché nelle operazioni di vendita anche in blocco di beni immobili ad uso non abitativo appartenenti al patrimonio pubblico, l’attestato di prestazione energetica (APE) può essere acquisito successivamente agli atti di trasferimento e non deve essere necessariamente allegato al contratto di vendita.
Si segnala che le norme in esame erano già state previste dal D.L. n. 126 del 2013 (articolo 2, commi 10 e 11). Tuttavia tale decreto non è stato convertito in legge. L'articolo 1, comma 2, della legge n. 68 del 2014 ha stabilito che restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base delle citate norme.
Le norme in esame modificano la disciplina sulla dismissione degli immobili pubblici tramite cartolarizzazioni. Si ricorda che il D.L. 23 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, allo scopo di semplificare le modalità di dismissione di beni immobili, ha introdotto una procedura di privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico tramite cartolarizzazioni. In attuazione dell’articolo 3 del D.L. n. 351 del 2001 sono state finora realizzate due operazioni di cartolarizzazione, indicate come SCIP1 e SCIP2, principalmente riferite agli immobili degli enti previdenziali.
In particolare la norma in commento modifica i commi 18 e 19 dell’articolo 3 del D.L. n. 351 del 2001 prevedendo l’esonero per lo Stato e gli altri enti pubblici (lett. a)) e per le società di cartolarizzazione (lett. b)) dalle dichiarazioni di conformità catastale previste dall’articolo 19, commi 14 e 15, del D.L. n. 78 del 2010.
Il comma 14 dell'articolo 19 citato prevede che gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari.
Ai sensi del successivo articolo 15 la richiesta di registrazione di contratti, scritti o verbali, di locazione o affitto di beni immobili esistenti sul territorio dello Stato e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite, deve contenere anche l'indicazione dei dati catastali degli immobili.
La lettera c) prevede che per le operazioni immobiliari sopra richiamate, nonché per le operazioni di vendita a trattativa privata anche in blocco di beni immobili ad uso non abitativo appartenenti al patrimonio pubblico (articolo 11-quinquies, del D.L. n. 248 del 2005), l’attestato di prestazione energetica può essere acquisito successivamente agli atti di trasferimento.
Per le stesse operazioni, inoltre, non si applica la disposizione (articolo 6, comma 3, del D.Lgs. n. 192 del 2005) che dispone l’obbligo di allegare l’attestato di prestazione energetica al contratto di vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, a pena del pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria (da euro 3.000 a euro 18.000).
Si ricorda che l’attestato di prestazione energetica è stato introdotto con il D.L. n. 63/2013, che è intervenuto sul D.Lgs. n. 192/2005 indicando le nuove regole per l'efficienza del patrimonio edilizio e rendendo obbligatorio l'attestato di prestazione energetica (APE), in sostituzione del tradizionale attestato di certificazione energetica (ACE). Il Ministero dello sviluppo economico, con una circolare relativa al periodo di transizione, ha precisato che la nuova metodologia di calcolo delle prestazioni energetiche degli edifici, prevista dal D.L. n. 63/2013, entrerà in vigore con l'emanazione dei provvedimenti attuativi. Pertanto per la redazione dell'APE restano al momento confermate le modalità di calcolo già utilizzate per l'ACE. Nelle Regioni che hanno provveduto ad emanare proprie disposizioni normative in attuazione della direttiva 2002/91/CE si continuerà ad applicare la normativa regionale in materia.
L'articolo 11-quinquies del D.L. n. 203 del 2005 (modificato dall'articolo 3 del D.L. n. 133 del 2013) consente la vendita a trattativa privata, anche in blocco, di immobili dello Stato e degli enti territoriali. In particolare, tale meccanismo di dismissione è esteso anche agli immobili degli enti territoriali; si prevede, inoltre, la sanatoria di irregolarità successivamente al trasferimento.
Si evidenzia che il Governo, in occasione del D.L. n. 120 del 2013, ha dichiarato di volere utilizzare le operazioni di vendita a trattativa privata, anche in blocco, di beni immobili ad uso non abitativo appartenenti al patrimonio pubblico (articolo 11-quinquies, del D.L. n. 248 del 2005) per riportare il deficit del bilancio 2013 entro un valore non superiore al 3% del PIL attraverso un programma di dismissioni immobiliari per complessivi 525 milioni di euro, da realizzare entro il 2013.
Nella Gazzetta Ufficiale n. 2 del 3 gennaio 2014 sono stati pubblicati due decreti del Ministero dell’economia e delle finanze che hanno autorizzato la vendita a trattativa privata di determinati beni individuati da alcuni enti locali e dall’Agenzia del demanio. In particolare il decreto 20 dicembre 2013 ha autorizzato la provincia di Torino, i comuni di Torino, Venezia, Verona e Firenze e la Regione Lombardia a vendere gli immobili individuati dalle delibere assunte dagli stessi enti. Il decreto 23 dicembre 2013 ha autorizzato l’Agenzia del demanio a vendere a trattativa privata, anche in blocco, i beni immobili di proprietà dello Stato individuati dalla stessa Agenzia. L’elenco dei beni è allegato al decreto. Si tratta prevalentemente di caserme, magazzini, campi sportivi militari e altre strutture. La Cassa Depositi e Prestiti Investimenti SGR, attraverso il Fondo Investimenti per le Valorizzazioni Plus - Comparto Extra, ha perfezionato, nel dicembre 2013, l'acquisizione di questi 40 immobili: il valore dell'operazione è di circa 490 milioni di euro.
Si ricorda, infine, che la legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014, comma 391) ha previsto la definizione da parte del Governo di un programma straordinario di cessioni di immobili pubblici, compresi quelli detenuti dal Ministero della difesa e non utilizzati per finalità istituzionali. Tale programma, da definire entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge sentite la Conferenza Unificata, le Commissioni parlamentari competenti e la Invimit SGR, dovrà consentire introiti per il periodo 2014-2016 non inferiori a 500 milioni di euro annui.
Articolo 21
(Misure per
l’incentivazione degli investimenti in abitazioni in locazione)
L’articolo 21 prevede una deduzione dal reddito del 20 per cento a favore di chi, al di fuori di un’attività commerciale, acquista dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2017 un alloggio da un’impresa di costruzione o di ristrutturazione per destinarlo alla locazione a canone concordato per una durata minima di otto anni. La deduzione spetta anche nel caso in cui sia lo stesso contribuente a sostenere le spese per la costruzione dell’immobile su una propria area edificabile, ovvero nel caso di acquisto o realizzazione di ulteriori abitazioni da destinare alla locazione.
Per il riconoscimento della deduzione sono previste alcune condizioni, tra cui: l’unità immobiliare deve essere a destinazione residenziale; non deve essere accatastata tra le abitazioni di “lusso”; non deve trovarsi in una zona agricola; deve avere prestazioni energetiche certificate in classe A o B; il locatore e il locatario non devono essere parenti in primo grado.
La deduzione, che spetta nella misura del 20 per cento del prezzo di acquisto dell’immobile nel limite massimo di 300.000 euro (deduzione massima: 60.000 euro), è ripartita per un periodo di otto anni con quote annuali di pari importo.
Le ulteriori modalità attuative saranno definite con decreto interministeriale.
In particolare è possibile ottenere la deduzione in tre casi:
1. acquisto di immobili a destinazione residenziale di nuova costruzione ovvero oggetto di ristrutturazione edilizia cedute da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie ovvero da quelle che hanno effettuato i predetti interventi (comma 1);
2. costruzione di un’unità immobiliare a destinazione residenziale su aree edificabili già possedute dal contribuente prima dell’inizio dei lavori o sulle quali sono già riconosciuti diritti edificatori; in tal caso le spese di costruzione su cui calcolare la deduzione sono attestate dall’impresa che esegue i lavori (comma 2);
3. acquisto o realizzazione di “ulteriori” unità immobiliari da destinare alla locazione (comma 3).
Dalla formulazione della disposizione si evince che è possibile, per un singolo contribuente, beneficiare della deduzione anche sommando i tre casi, fermo restando il limite massimo complessivo di spesa di 300.000 euro.
Si osserva che le
caratteristiche del terzo caso non sembrano definite compiutamente.
Il comma 4 specifica le condizioni richieste per poter usufruire della deduzione:
La disciplina della cosiddetta “cedolare secca sugli affitti”, istituita dal D.Lgs. n. 23 del 2011 (federalismo fiscale municipale), prevede una specifica modalità di tassazione dei redditi derivanti dalla locazione di immobili adibiti ad uso abitativo: a partire dal 2011 si consente ai proprietari dei predetti immobili, in luogo dell’ordinaria tassazione Irpef sui redditi derivanti dalla locazione, di optare per un regime sostitutivo (che assorbe anche le imposte di registro e bollo sui contratti) le cui aliquote sono pari al 21% per i contratti a canone libero ed al 15% per quelli a canone concordato. In caso di contratto a canone concordato il locatore che opta per la cedolare secca non potrà richiedere aggiornamenti del canone per tutta la durata del contratto.
Il D.L. n. 47 del 2014 ha ridotto ulteriormente l’aliquota per i contratti a canone concordato al 10% per il quadriennio 2014-2017 (dal 2018 l’aliquota tornerà al 15%). L’applicazione di tale aliquota ridotta viene inoltre consentita anche per le abitazioni locate a cooperative o enti senza scopo di lucro, purché sublocate a studenti universitari e date a disposizione dei comuni con rinuncia all’aggiornamento del canone di locazione o assegnazione.
L’articolo 9, comma 2-ter, prevede l’aggiornamento della delibera CIPE sui comuni ad alta tensione abitativa entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione (28 maggio 2014). Tale delibera non è stata adottata.
Si segnala, inoltre, che il D.L. n. 47 del 2014 (“emergenza abitativa”) ha previsto altre agevolazioni a favore degli inquilini. In particolare sono stati aumentati gli stanziamenti di bilancio per il Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione e per il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli; i redditi derivanti dalla locazione di alloggi sociali, di nuova costruzione o per i quali sono stati realizzati interventi di manutenzione straordinaria o di recupero su un fabbricato preesistente di un alloggio sociale, non concorrono alla formazione del reddito d’impresa ai fini delle imposte sui redditi né alla formazione del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive, nella misura del 40 per cento; sono previste agevolazioni fiscali per il triennio 2014-2016 in favore dei conduttori di alloggi sociali adibiti ad abitazione principale, pari, complessivamente, a 900 euro, se il reddito complessivo non supera 15.493,71 euro e a 450 euro, se il reddito complessivo è compreso tra i 15.493,72 e 30.987,41 euro; è prevista la facoltà di inserire la clausola di riscatto dell'unità immobiliare, con le relative condizioni economiche, nelle convenzioni che disciplinano le modalità di locazione degli alloggi sociali.
Si ricorda, inoltre, che la legge di stabilità per il 2014 ha inasprito il trattamento fiscale delle abitazioni diverse dalla "prima casa" non locate. In particolare, il reddito degli immobili ad uso abitativo non locati situati nello stesso comune nel quale si trova l’immobile adibito ad abitazione principale è sottoposto a IRPEF nella misura del cinquanta per cento (articolo 1, comma 717 della legge n. 147 del 2013).
Si ricorda che l’art. 2, comma 3, della legge n. 431 del 1998, oltre i contratti a canone libero prevede anche contratti a canone concordato o convenzionato o calmierato. In tal caso sono le associazioni più rappresentative a livello locale dei proprietari e degli inquilini a stabilire le modalità di valutazione degli immobili residenziali e, per ogni tipologia individuata, a definire un canone minimo e massimo. Tali contratti, rispetto a quelli a canone libero (art. 2 comma 1), recano due differenze fondamentali: la prima riguarda la durata (tre anni più due di rinnovo automatico alla prima scadenza), la seconda il profilo economico, in quanto il canone concordato è inferiore alla misura dei canoni correnti di mercato dato che esso e le altre condizioni contrattuali devono conformarsi agli accordi sindacali stabiliti a livello territoriale. Inoltre, l’art. 8 prevede alcune agevolazioni fiscali per i proprietari di alloggi dati in locazione a canone concordato ubicati nei comuni ad alta densità abitativa (di cui all'art. 1 del decreto-legge 30 dicembre 1988, n. 551).
Il comma 5 stabilisce che la deduzione è ripartita in otto quote annuali di pari importo, a partire dal periodo d’imposta nel quale avviene la stipula del contratto di locazione. Considerando che il tetto alla deduzione è di 60.000 euro, la quota massima deducibile all’anno è di 7.500 euro.
La deduzione non è cumulabile con altre agevolazioni fiscali previste per le medesime spese.
Sarebbe opportuno che la
norma indicasse con esattezza quali agevolazioni fiscali sono precluse
dall’utilizzo della deduzione in esame.
Per gli acquisti di fabbricati a uso abitativo ristrutturati l’ordinamento vigente prevede dei vantaggi fiscali. In particolare, a determinate condizioni, gli acquirenti degli immobili (o, nel caso di cooperative edilizie, gli assegnatari degli stessi) hanno diritto a una detrazione da ripartire in 10 anni.
Il beneficio spetta nel caso di interventi di ristrutturazione riguardanti interi fabbricati, eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie che provvedono, entro 6 mesi dalla data del termine dei lavori, alla successiva alienazione o assegnazione dell’immobile (articolo 16-bis, comma 3, del D.P.R. n. 917 del 1986 – TUIR).
La detrazione è, ordinariamente, del 36% del valore degli interventi eseguiti, che si assume pari al 25% del prezzo dell’unità immobiliare (come risultante nell'atto pubblico di compravendita o di assegnazione) e, comunque, entro un importo massimo di 48.000 euro.
Successivamente la percentuale di detrazione del 36% è stata elevata:
· al 50% per le spese d’acquisto sostenute nel periodo compreso tra il 26 giugno 2012 e il 31 dicembre 2014
· al 40% le spese d’acquisto sostenute nel 2015.
Per entrambi i periodi l’importo massimo su cui calcolare la detrazione è stato elevato da 48.000 a 96.000 euro (si veda, da ultimo, la legge n. 147 del 2013, articolo 1, comma 139).
Il comma 6 demanda ad un decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell’economia e delle finanze le ulteriori modalità attuative dell’articolo in esame.
Il comma 7 contiene la copertura finanziaria. In particolare all’onere complessivo di 325,4 milioni (fino al 2025) si provvede per cinquanta milioni mediante riduzione della dotazione destinata al comitato centrale per l'albo degli autotrasportatori per la protezione ambientale e per la sicurezza della circolazione, per il restante importo mediante riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica.
La disciplina recata dall’articolo in esame riprende il contenuto della legge “Scellier” francese, la quale dall’inizio del 2009 consente una deduzione del 25% dal reddito imponibile sul valore di acquisto di immobili dati in locazione (tetto massimo di 300.000 euro, quote di nove anni). La detrazione è scesa al 13% nel 2012, ma è risalita al 18% nel 2013, e tale aliquota varrà fino al 2016.
Tuttavia nella disciplina francese non è previsto che il venditore debba essere necessariamente un impresa di costruzione, di ristrutturazione o una cooperativa edilizia.
Articolo
23
(Disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva
alienazione di immobili)
L’articolo 23 disciplina le caratteristiche principali di una nuova tipologia contrattuale, il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili. Si tratta di un contratto attraverso il quale il godimento di un bene immobile è trasferito dal proprietario ad un conduttore dietro pagamento di un canone (locazione) e con l’accordo che entro un dato termine – liberamente fissato dalle parti - anche la proprietà dello stesso immobile sarà trasferita (compravendita), scomputando dal prezzo di acquisto parte dei canoni già corrisposti.
La nuova tipologia di contratto presenta dunque elementi tipici tanto del contratto di locazione di immobili quanto del contratto di compravendita di immobili: il canone che costituisce il corrispettivo del godimento dell’immobile funge infatti in parte anche da anticipazione del prezzo della compravendita, che dovrà perfezionarsi entro una data determinata. Il mancato pagamento di un determinato numero di canoni costituisce causa di risoluzione del contratto.
A tale tipologia contrattuale – seppur sommariamente definita, con l’intenzione espressa di «consentire all'autonomia privata di meglio modulare il contenuto del contratto in funzione delle specifiche esigenze e nell'ottica del miglior soddisfacimento degli interessi di entrambe le parti» - il legislatore estende l’applicazione di istituti già disciplinati dal codice civile (trascrizione, cancellazione della trascrizione ed effetti del contratto preliminare; obblighi di inventario e di garanzia e ripartizione spese previste per il rapporto di usufrutto) .
In particolare, il comma 1 prevede che tali contratti siano soggetti a trascrizione, analogamente a quanto accade per il contratto preliminare di compravendita, e che la trascrizione renda opponibile il contratto di godimento anche all’eventuale terzo acquirente in caso di espropriazione immobiliare.
Dalla disciplina codicistica richiamata dal comma 1 (art. 2645-bis c.c.) si ricava la trascrizione del contratto purché risultante da atto pubblico o da scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente. L’effetto di questa trascrizione è che la successiva trascrizione del contratto definitivo di trasferimento della proprietà dell’immobile prevarrà sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del preliminare. Quanto all’estensione degli effetti prodotti dalla trascrizione del contratto di locazione ultranovennale (art. 2643, primo comma, n. 8), il legislatore mira a rendere il contratto di godimento dell’immobile in funzione della successiva vendita, opponibile ad un terzo acquirente, anche in caso di vendita derivante da espropriazione immobiliare (art. 2623 c.c.).
Il comma 2 stabilisce che il mancato pagamento di canoni di godimento può determinare la risoluzione del contratto, lasciando all’autonomia contrattuale il compito di determinare il numero dei canoni insoluti (nonché la loro eventuale consecutività) che giustifica la risoluzione. Il legislatore pone un unico vincolo: potrà aversi risoluzione del contratto solo se i canoni non pagati rappresenteranno almeno 1/20 dei canoni pattuiti.
Il comma 3 estende ai contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili le seguenti previsioni relative al contratto preliminare:
- art. 2668, comma quarto, c.c., sulla cancellazione della trascrizione, quando la stessa sia debitamente consentita dalle parti interessate ovvero ordinata giudizialmente
- art. 2775-bis c.c., in base al quale in caso di mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto, i crediti del promissario acquirente hanno privilegio speciale sul bene immobile oggetto del contratto preliminare;
- art. 2825-bis c.c., ai sensi del quale l’ipoteca iscritta su edificio o complesso condominiale, anche da costruire o in corso di costruzione, a garanzia di finanziamento dell'intervento edilizio, prevale sulla trascrizione anteriore dei contratti preliminari limitatamente alla quota di debito derivante dal suddetto finanziamento che il promissario acquirente si sia accollata con il contratto preliminare o con altro atto successivo;
- l’art. 2932 c.c., che in caso di inadempimento del contratto consente al promissario acquirente di ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.
Peraltro, diversamente dal contratto preliminare, il decreto-legge dispone che gli effetti della trascrizione cessano se la trascrizione del contratto di alienazione definitivo non è effettuata entro il termine previsto dallo stesso contratto di godimento (escludendo l’applicazione del termine triennale previsto per il preliminare). Tale contratto di godimento non potrà peraltro prevedere un termine superiore a 10 anni.
Sono inoltre applicate alla nuova tipologia contrattuale anche alcune previsioni del codice relative agli obblighi derivanti dall’usufrutto.
In particolare, si applicano le disposizioni che:
- obbligano l’usufruttuario a fare a sue spese l’inventario dei beni ed a prestare idonea cauzione per prendere possesso della cosa (artt. 1002 e 1003 c.c.);
- disciplinano la ripartizione delle spese tra usufruttuario e proprietario, imputando al primo la custodia, l’amministrazione e la manutenzione ordinaria del bene (art. 1004 c.c.) ed al secondo le riparazioni straordinarie (artt. 1005-1007 c.c.);
- attribuiscono all’usufruttuario l’obbligo di denunciare al proprietario le usurpazioni commesse da terzi e di sopportare, insieme al proprietario ed in proporzione al proprio interesse, le spese delle liti che riguardano sia la proprietà che l’usufrutto (artt. 1012-1013 c.c.).
Il comma 4 stabilisce che se il contratto di godimento in funzione dell’alienazione dell’immobile ha ad oggetto un’abitazione, il notaio non può procedere alla stipula – e dunque non si può concedere il godimento dell’immobile - se anteriormente o contestualmente non si è proceduto alla suddivisione del finanziamento in quote o al perfezionamento di un titolo per la cancellazione o frazionamento dell'ipoteca a garanzia o del pignoramento gravante sull'immobile. A tal fine la disposizione richiama il divieto di cui all’art. 8 del decreto legislativo n. 122 del 2005, che tutela i diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire.
Si osserva che la disposizione richiamata pone un divieto di stipula a
carico dei notai; la tipologia contrattuale introdotta dal decreto-legge non
richiede necessariamente la stipula notarile ben potendo, nel silenzio del
legislatore, essere contenuta in una scrittura privata autenticata, poi oggetto
si trascrizione.
Il comma 5 disciplina gli effetti sulle parti della risoluzione del contratto per inadempimento. Oltre alla possibilità, in caso di inadempimento del contratto da parte del proprietario, di ricorrere al giudice per ottenere in presenza di alcuni presupposti l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il definitivo (art. 2932 c.c., richiamato dal comma 3), il decreto-legge dispone:
- in caso di risoluzione per inadempimento del concedente/proprietario, che egli debba restituire la parte dei canoni imputata a prezzo dell’immobile, con interessi;
- in caso di risoluzione per inadempimento del conduttore/promissario acquirente, che il proprietario abbia diritto oltre che alla restituzione dell’immobile, all’acquisizione integrale dei canoni. La parte dei canoni imputata a prezzo è in tal caso acquisita a titolo di indennità, se le parti non pattuiscono diversamente.
Il comma 6 disciplina l’ipotesi di fallimento di una delle parti del contratto prevedendo che:
· se a fallire è il concedente/proprietario dell’immobile, il contratto prosegue. L’eventuale azione revocatoria, in base al richiamo dell’art. 67 della legge fallimentare[24], non sarà esperibile in presenza di contratto trascritto, con effetti non cessati, purché il prezzo pattuito sia giusto e l’immobile destinato ad abitazione principale (dell'acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado), ovvero a costituire la sede principale dell'attività d'impresa dell'acquirente (purché alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio);
- se a fallire è il conduttore/acquirente, in base all’art. 72 della legge fallimentare l'esecuzione del contratto rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal contratto stesso. In questo secondo caso, essendo l’inadempimento imputabile all’acquirente, il proprietario avrà diritto, oltre che alla restituzione dell’immobile, all’acquisizione integrale dei canoni corrisposti (in base al comma 5).
Il comma 7, la cui efficacia è subordinata al consenso della Commissione europea (v. infra comma 8), interviene sul recente decreto-legge n. 47 del 2014[25] (c.d. emergenza abitativa) per estendere la disciplina fiscale applicabile al riscatto a termine dell’alloggio sociale anche ai contratti di locazione con clausola di trasferimento della proprietà e ai contratti di vendita con riserva di proprietà, stipulati dopo il 13 settembre 2014 (data di entrata in vigore del decreto-legge in commento).
La disciplina richiamata è contenuta nell’art. 8 del DL 47/2014, che prevede la facoltà di inserire la clausola di riscatto dell'unità immobiliare e le relative condizioni economiche nelle convenzioni che disciplinano le modalità di locazione degli alloggi sociali (comma 1) e specifica la disciplina fiscale applicabile nelle ipotesi di riscatto dell’alloggio sociale (commi 2 e 3). In particolare, il comma 2 concede al conduttore di imputare i corrispettivi pagati al locatore in parte in conto del prezzo di acquisto futuro dell’alloggio e in parte in conto affitto. In tali ipotesi, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, i corrispettivi si considerano fiscalmente quali canoni di locazione; ricorrendone le condizioni, tali corrispettivi sono parzialmente esenti da imposte sui redditi e da IRAP. Il comma 3 stabilisce che, ai fini fiscali (imposte dirette), in caso di riscatto dell'unità immobiliare, l’esercizio di competenza in cui si considerano conseguiti i corrispettivi derivanti dalla cessione è quello in cui avviene l’effetto traslativo della proprietà del bene; inoltre, le eventuali imposte correlate agli “acconti-prezzo” costituiscono un credito di imposta.
L’attuazione della disposizione è demandata a un decreto ministeriale (comma 4) tuttora non emanato mentre la sua applicazione è limitata ai contratti di locazione stipulati successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge, a partire quindi dal 29 marzo 2014 (comma 5).
Il decreto-legge in commento, inserendo il comma 5-bis nell’art. 8 del DL 47/2014, pare estendere la disciplina fiscale di favore introdotta da quella disposizione anche agli altri contratti di locazione con clausola di trasferimento di proprietà, seppur variamente denominati, analoghi al contratto di godimento in funzione della successiva alienazione dell’immobile.
Si osserva che il comma 7 fa riferimento alle seguenti tipologie
contrattuali: a) contratti di locazione con clausola di trasferimento della proprietà
vincolante per entrambe le parti; b) vendita con riserva di proprietà. Non
viene dunque nominativamente richiamato il contratto di godimento in funzione
della successiva alienazione dell’immobile.
Occorre inoltre valutare se il riferimento ai “contratti stipulati
successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione”,
inserito nella novella al decreto-legge 47/2014 e non come distinta
disposizione del decreto-legge in commento risulti inequivoco circa la data a
decorrere dalla quale i benefici fiscali si applicano a ulteriori tipologie
contrattuali.
L’estensione della disciplina fiscale di favore pare giustificare la previsione del comma 8, che subordina all’autorizzazione della Commissione europea l’efficacia del comma 7. La norma richiama l’art. 107 del trattato dell’Unione, relativo agli aiuti di Stato.
In merito si osserva che il riferimento normativo più corretto è
all’art. 108, par. 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Se,
infatti, l’art. 107 distingue gli aiuti di Stato compatibili con il trattato da
quelli incompatibili, è l’articolo successivo che demanda alla Commissione il
compito di procedere all’esame permanente dei regimi di aiuti esistenti; in
particolare, il paragrafo 3 dell’art. 108 stabilisce che «Alla Commissione sono
comunicati, in tempo utile perché presenti le sue osservazioni, i progetti
diretti a istituire o modificare aiuti. Se ritiene che un progetto non sia
compatibile con il mercato interno a norma dell'articolo 107, la Commissione inizia
senza indugio la procedura prevista dal paragrafo precedente. Lo Stato membro
interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale
procedura abbia condotto a una decisione finale».
L’efficacia della disposizione di cui al comma 7 è dunque subordinata al positivo perfezionamento di una procedura che si svolge in sede europea, ma del cui esito dovrà essere data comunicazione nella gazzetta ufficiale.
Potrebbe essere opportuno chiarire se l’efficacia della disposizione è
condizionata al solo esito della procedura europea ovvero alla successiva
pubblicazione di tale esito nella Gazzetta Ufficiale. Inoltre, dalla
formulazione del comma 8 si evince che oggetto di comunicazione è il solo
positivo perfezionamento della procedura presso la Commissione; esigenze di
certezza del diritto potrebbero suggerire di prevedere comunque la
comunicazione in Gazzetta anche di decisioni di diverso tenore.
Articolo
26
(Misure urgenti per la valorizzazione
degli immobili demaniali inutilizzati)
L’articolo 26
reca una serie di disposizioni finalizzate a semplificare e accelerare le
procedure di valorizzazione degli immobili pubblici non utilizzati che si
fondano sulla necessaria preventiva assegnazione o modifica della destinazione
urbanistica.
In particolare, il comma
1 riconosce all'accordo di programma avente ad oggetto il recupero di immobili
pubblici non utilizzati, sottoscritto tra le amministrazioni interessate, il valore di variante urbanistica.
L’accordo di programma, disciplinato dall’articolo 34 del Testo unico degli enti locali (D.Lgs. n. 267 del 2000), consente la definizione e l'attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l'azione integrata e coordinata di diversi livelli di governo, locale e centrale. Tale accordo è volto ad assicurare il coordinamento delle azioni e la determinazione dei tempi, delle modalità, del finanziamento ed di ogni altro connesso adempimento.
La norma attribuisce al comune il compito di presentare un
progetto di recupero dell’immobile pubblico non utilizzato, anche attraverso il
cambio di destinazione d’uso. Il Ministero
titolare del bene è tenuto a valutare il progetto del comune e può proporre una
diversa destinazione nel caso in cui sia già stata finanziata o sia in corso di
finanziamento.
All’esito dell’accordo di programma, la variante
urbanistica così realizzata costituisce titolo per l'Agenzia del demanio, la
quale potrà procedere all'alienazione, alla concessione o alla costituzione del
diritto di superficie.
In materia di dismissioni di immobili pubblici, si ricorda che nel corso degli ultimi anni è stata implementata una complessa normativa per la valorizzazione e la dismissione degli stessi, finalizzata principalmente alla riduzione del debito pubblico.
In particolare è stata prevista l'istituzione di fondi immobiliari chiusi gestiti da una SGR interamente pubblica (Invimit). Con l'articolo 33 del D.L. n. 98 del 2011 (successivamente modificato) è stata disciplinata la creazione di un sistema integrato di fondi immobiliari, con l’obiettivo di accrescere l’efficienza dei processi di sviluppo e di valorizzazione dei patrimoni immobiliari di proprietà degli enti territoriali, di altri enti pubblici e delle società interamente partecipate dai predetti enti. Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 19 marzo 2013 è stata istituita la Invimit SGR (Investimenti Immobiliari Italiani Società di Gestione del Risparmio società per azioni) con il compito di istituire fondi che partecipano a quelli immobiliari costituiti da enti territoriali, anche tramite società interamente partecipate, a cui conferire immobili oggetto di progetti di valorizzazione ("fondi di fondi"). Al fine di conseguire la riduzione del debito pubblico la Invimit SGR può istituire anche fondi a gestione diretta di asset pubblici, di enti territoriali e previdenziali ("fondi diretti"). Sono previsti, infine, fondi comuni di investimento immobiliare a cui conferire gli immobili di proprietà dello Stato non più utilizzati dal Ministero della difesa per finalità istituzionali e suscettibili di valorizzazione (cd. “fondi difesa” ).
L’articolo 33-bis del D.L. n. 98 del 2011 prevede ulteriori strumenti per la gestione degli immobili pubblici, quali società, consorzi o fondi immobiliari, promossi e partecipati dall’Agenzia del demanio. Tali iniziative sono volte alla valorizzazione, trasformazione, gestione e alienazione del patrimonio immobiliare pubblico, non solo di proprietà dello Stato e degli enti vigilati, ma soprattutto degli enti territoriali. Alle società promosse dall'Agenzia del demanio per la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico si applica il trattamento fiscale previsto per le Società di investimento immobiliare quotate. Il nuovo articolo 33-ter del D.L. n. 98 del 2011 (inserito dall'articolo 3 del D.L. n. 133 del 2013) prevede che i fondi immobiliari gestiti dalla Invimit SGR, finalizzati alla valorizzazione e alla dismissione degli immobili pubblici, operano sul mercato in regime di libera concorrenza.
Nell'ambito del processo di valorizzazione del territorio si ricorda la disciplina per la formazione di programmi unitari di valorizzazione territoriale per il riutilizzo funzionale e la rigenerazione degli immobili di proprietà di Regioni, Provincie e comuni e di ogni soggetto pubblico, anche statale, proprietario, detentore o gestore di immobili pubblici, nonché degli immobili oggetto di procedure di valorizzazione ai sensi del decreto legislativo sul federalismo demaniale (articolo 3-ter del D.L. 351/2001, introdotto dal D.L. n. 201 del 2011).
I successivi commi dell’articolo 26 (2-8) dettano, poi,
specifiche disposizioni riguardanti la semplificazione dei procedimenti di
valorizzazione degli immobili attualmente
in uso della Difesa, con specifico
riguardo alla definizione di tempi certi
di conclusione del procedimento di dismissione e valorizzazione.
In relazione alle disposizioni in esame
andrebbe valutata l’opportunità, da un punto di vista sistematico, di inserire
le disposizioni in esame all’interno del
Codice dell’ordinamento militare di cui al D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 .
Al
riguardo, si ricorda che il patrimonio immobiliare del Ministero della Difesa
comprende una vastissima tipologia di siti ed infrastrutture, sparsi su tutto
il territorio nazionale, quali depositi, caserme, forti e arsenali, molti dei
quali risalgono al periodo del secondo conflitto mondiale e, spesso, anche ad
epoche precedenti. A partire dal 1997,
è iniziata una politica di dismissioni dei beni immobili del Paese, compresi i
beni militari, finalizzata ad un migliore uso e ad una gestione più produttiva
del patrimonio demaniale, alla valorizzazione e rifunzionalizzazione degli
insediamenti e al conseguente recupero di risorse finanziarie non adeguatamente
sfruttate. Le norme che disciplinano la materia sono attualmente contenute
negli articoli 307 e seguenti del Codice dell’ordinamento militare di cui al
D.Lgs. 15 marzo
2010, n. 66 . Ai sensi
di tale dell’articolo 356, il Ministero della difesa, sentita l’Agenzia del
demanio, adotta un programma di razionalizzazione, accorpamento, riduzione e
ammodernamento del patrimonio infrastrutturale in uso, in coerenza con il
processo di pianificazione territoriale e urbanistica previsto dalla
legislazione nazionale e regionale, allo scopo di favorirne la riallocazione in
aree maggiormente funzionali per migliorare l’efficienza dei servizi assolti, e
individua, con le stesse modalità indicate nel primo periodo, immobili non
più utilizzati per finalità istituzionali, da consegnare all’Agenzia del
demanio ad avvenuto completamento delle procedure di riallocazione. Gli
immobili consegnati entrano a far parte del patrimonio disponibile dello Stato
per essere assoggettati alle procedure di valorizzazione e di dismissione
ovvero alla vendita a trattativa privata anche in blocco.
Nello specifico, comma 2 prevede che il Ministero della
difesa individui, d'intesa con l'Agenzia del demanio, entro quarantacinque giorni dall'entrata in vigore della legge di
conversione del decreto-legge, gli immobili da avviare alle procedure di
valorizzazione, precisando che devono essere esclusi quelli per i quali sono in
corso le procedure di attribuzione agli enti territoriali e alle regioni, ai
sensi dell'articolo 56-bis del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013.
L’articolo 56-bis del D.L. 69 del 2013 è intervenuto in merito al c.d. “federalismo demaniale”, di cui al decreto legislativo n. 185 del 2010, relativamente al trasferimento, a titolo non oneroso, agli enti territoriali di taluni beni dello Stato, mobili e immobili, che non fossero espressamente esclusi dal trasferimento dal decreto legislativo stesso, individuando una diversa procedura.
Successivamente:
1.
entro trenta giorni dalla individuazione degli immobili non più utili ai fini
istituzionali, il Ministero della difesa, d'intesa con l'Agenzia del demanio, propongano ai comuni un progetto di
recupero degli immobili attraverso l'individuazione di un'adeguata
destinazione urbanistica, anche sulla base di un progetto presentato da privati
a seguito di ricerca di mercato;
2.
sulla base delle
proposte avanzate dalla Difesa e dall'Agenzia del demanio sono avviate le procedure dirette alla sottoscrizione
di un accordo di programma da concludersi entro
novanta giorni. L’accordo costituisce variante urbanistica da ratificare,
da parte del comune, entro i successivi trenta
giorni;
3.
il Ministero della difesa o
l'Agenzia del demanio, una volta terminate
le procedure relative alla variante urbanistica proposta, avviano le
attività dirette alla alienazione, concessione e costituzione di diritti di
superficie, secondo quanto previsto dalla normativa vigente;
4.
qualora entro novanta giorni dalla conclusione dell'accordo di
programma non si pervenga all'assegnazione delle destinazioni d'uso e delle
modalità di recupero o trasformazione degli immobili, è facoltà del Ministro
competente, rispettivamente dell'economia e delle finanze e della difesa, di
proporre al Presidente del Consiglio dei ministri di nominare, previa diffida, un commissario ad acta.
Il comma 5 reca una disposizione di carattere
programmatico, nel prevedere che le regioni adottino le misure necessarie a
garantire le opportune semplificazioni documentali e procedimentali, secondo
princìpi di proporzionalità, adeguatezza, efficacia ed efficienza dell'azione
della pubblica amministrazione, necessarie a rendere l'intero procedimento
maggiormente rispondente alle esigenze di celerità e certezza dei tempi.
Il comma 8, infine, demanda ad un
decreto del Ministro della difesa, da adottarsi di concerto con il Ministro
dell'economia e finanze, la definizione di termini e modalità per il
riconoscimento di una quota parte dei proventi derivanti dalle valorizzazioni o
alienazioni degli immobili le cui destinazioni d'uso siano state modificate ai
sensi delle disposizioni dei commi da 2 a 7 del presente articolo.
Articolo
27
(Misure urgenti in materia di patrimonio dell’INAIL)
L’articolo 27 contiene misure urgenti in materia di patrimonio dell’INAIL (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), disponendo l’individuazione delle opere di pubblica utilità da finanziare urgentemente nell’ambito degli investimenti immobiliari dello stesso Istituto. La disposizione è volta a favorire la realizzazione di opere ritenute prioritarie e di pubblico interesse, così da rispondere celermente alle esigenze di finanziamento e di liquidità di amministrazioni ed enti.
Più nel dettaglio, il comma 1 dispone che, con DPCM da adottarsi, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge in esame, vengano individuate le opere di pubblica utilità da finanziare, in via d’urgenza e dando priorità a quelle che presentano uno stato di realizzazione avanzato, nell’ambito degli investimenti immobiliari dell’INAIL rientranti nel piano di impiego dei fondi disponibili di cui all’articolo 65 della L. 153/1969.
Per finanziare i suddetti interventi, il comma 2 prevede che l’INAIL (fatti salvi gli investimenti immobiliari già programmati) utilizzi le risorse autorizzate sulla base del piano triennale[26] degli investimenti immobiliari per il triennio 2014-2016, adottato ai sensi del decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 10 novembre 2010 che disciplina le operazioni immobiliari attuate da parte degli enti pubblici e privati che gestiscono forme di previdenza e di assistenza sociale.
Sulla base di quanto disposto dall’art. 65 della L. 153/1969, gli enti pubblici e le persone giuridiche private che gestiscono forme di previdenza e di assistenza sociale sono tenuti a compilare annualmente un piano di impiego dei fondi disponibili, ossia delle somme eccedenti la normale liquidità di gestione, soggetto all’approvazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (di concerto con l’attuale Ministero dell’economia e delle finanze). La percentuale da destinare agli investimenti immobiliari non può superare il 40 per cento e non può essere inferiore al 20 per cento di tali somme[27].
Si ricorda, infine, che il citato DM del 10 novembre 2010 è stato adottato in attuazione di quanto previsto dall’art. 8, c. 15, del D.L. 78/2010[28], che demanda ad apposito decreto non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze – di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali – l’attuazione della verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica cui sono subordinate le operazioni di acquisto e vendita di immobili da parte degli enti pubblici e privati che gestiscono forme obbligatorie di assistenza e previdenza, nonché le operazioni di utilizzo, da parte degli stessi enti, delle somme rivenienti dall'alienazione degli immobili o delle quote di fondi immobiliari.
L’articolo 22 riguarda l’incentivazione degli interventi
§ di produzione di energia termica da fonti rinnovabili;
§ di incremento dell'efficienza energetica di piccole dimensioni,
realizzati in data successiva al 31 dicembre 2011. La norma prevede che l’aggiornamento del sistema di incentivi venga effettuato entro il 31 dicembre 2014, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, semplificando le procedure ed utilizzando strumenti per favorire l’accesso alle risorse stanziate (comma 1).
L’attuale sistema degli incentivi per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e per interventi di efficienza energetica di piccole dimensioni è definita dal c.d. “Conto Termico” (D.M. 28 dicembre 2012) che ha attuato l’articolo 28 del D.Lgs. 3/3/2011 n. 28 e consiste in un contributo alle spese sostenute erogato in rate annuali per una durata variabile (fra 2 e 5 anni) in funzione degli interventi realizzati.
Gli interventi incentivabili si riferiscono sia all’efficientamento
dell’involucro di edifici esistenti (coibentazione pareti e
coperture, sostituzione serramenti e installazione schermature solari) sia alla
sostituzione di impianti esistenti per la climatizzazione invernale con
impianti a più alta efficienza (caldaie a condensazione) sia alla sostituzione
o, in alcuni casi, alla nuova installazione di impianti alimentati
a fonti rinnovabili (pompe di calore, caldaie, stufe e camini a
biomassa, impianti solari termici anche abbinati a tecnologia solar cooling per
la produzione di freddo).
Il meccanismo di incentivazione è rivolto a due tipologie di soggetti:
§ amministrazioni pubbliche;
§ soggetti privati, intesi come persone fisiche, condomini e soggetti titolari di reddito di impresa o di reddito agrario.
Il decreto stanzia fondi per una spesa annua cumulata massima di 200 mln di euro per gli interventi realizzati o da realizzare dalle Amministrazioni pubbliche e una spesa annua cumulata pari a 700 mln di euro per gli interventi realizzati da parte dei soggetti privati.
Possono accedere agli incentivi previsti dal DM 28/12/12 le seguenti due categorie di interventi:
A) interventi di incremento dell’efficienza energetica;
B) interventi di piccole dimensioni relativi a impianti per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e sistemi ad alta efficienza.
Le Amministrazioni pubbliche possono richiedere l’incentivo per entrambe le categorie di interventi (categoria A e categoria B).
I soggetti privati possono accedere agli incentivi solo per gli interventi di piccole dimensioni relativi a impianti per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e sistemi ad alta efficienza (categoria B).
Si ricorda inoltre che il comma 154 dell'articolo 1 della legge n. 147/2013 (legge finanziaria per il 2014) – richiamato nel testo della norma in esame - aveva previsto l’aggiornamento del sistema di incentivi entro il 30 giugno 2014, secondo criteri di diversificazione e innovazione tecnologica e di coerenza con gli obiettivi di riqualificazione energetica degli edifici della Pubblica Amministrazione previsti dalla direttiva 2012/27/UE.
La disposizione in esame non prevede la
previa intesa in sede di Conferenza unificata.
Il D.M. 28 dicembre 2012 del quale la disposizione in esame prevede l’aggiornamento è stato adottato in attuazione dell’articolo 28 del D.Lgs. 3/3/2011, n. 28. Tale disposizione demanda a decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, per i profili di competenza, con il Ministro delle politiche agricole e forestali, previa intesa con Conferenza unificata, la fissazione delle modalità per l'avvio dei nuovi meccanismi di incentivazione per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e per interventi di efficienza energetica di piccole dimensioni.
Nel riparto di competenze legislative derivante dal titolo V attualmente vigente, la materia produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia è rimessa alla competenza concorrente tra Stato e Regioni.
Alla luce dell’attribuzione Costituzionale della materia “produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia” alla competenza concorrente
di Stato e Regioni e alla considerazione in base alla quale l’attuale sistema
degli incentivi è stato adottato previa intesa in Conferenza unificata, andrebbe
valutata l’opportunità di prevedere un coinvolgimento delle Regioni
nell’aggiornamento del sistema degli incentivi.
L’applicazione di tale nuovo sistema sarà monitorata entro il 31 dicembre 2015. Entro 60 giorni da tale data è prevista la possibilità di emanare un decreto correttivo in relazione agli esiti del monitoraggio (comma 2). Sul decreto correttivo è previsto il coinvolgimento delle competenti commissioni parlamentari.
Andrebbe valutata l’opportunità di chiarire in quale forma debba
avvenire il coinvolgimento delle commissioni parlamentari in merito al decreto
correttivo, in quanto nel testo è utilizzata la generica espressione
“relazionando alle competenti commissioni parlamentari”.
Articolo
36
(Misure a favore degli interventi di sviluppo delle regioni per la ricerca
degli idrocarburi)
L’articolo 36 esclude dai vincoli del patto di stabilità interno le spese sostenute dalle regioni per la realizzazione degli interventi di sviluppo dell'occupazione e delle attività economiche, di sviluppo industriale e di miglioramento ambientale nonché per il finanziamento di strumenti della programmazione negoziata.
L’esclusione è limitata
§ alle aree in cui si svolgono le ricerche e le coltivazioni di idrocarburi;
§ al quadriennio 2015-2018;
§ alle maggiori entrate delle aliquote di prodotto (royalties) destinate alle regioni che verranno versate dagli operatori nel quadriennio.
La disposizione punta a favorire lo sviluppo delle risorse energetiche nazionali, sbloccando gli investimenti privati già programmati. L’obiettivo, infatti, è quello di accelerare il processo decisionale di autorizzazione allo svolgimento delle attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi, che vede coinvolte le regioni, insieme allo stato, in virtù della competenza concorrente in materia.
Gli importi oggetto dell’esclusione saranno stabiliti con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro il 31 luglio di ciascuno anno, sulla base dell'ammontare delle maggiori entrate riscosse dalla Regione, derivanti dalla destinazione delle aliquote relative alla produzione di idrocarburi alle Regioni a statuto ordinario, nel limite delle aliquote di prodotto relative agli incrementi di produzione realizzati negli anni 2014, 2015, 2016 e 2017 rispetto all'anno 2013 (comma 1).
Si ricorda che, dal 1997, per ciascuna concessione di
coltivazione situata in terraferma, il valore dell'aliquota è corrisposto per
il 55% alla regione a statuto ordinario e per il 15% ai comuni interessati; i
comuni destinano tali risorse allo sviluppo dell'occupazione e delle attività
economiche, all'incremento industriale e a interventi di miglioramento
ambientale, nei territori nel cui ambito si svolgono le ricerche e le
coltivazioni. A decorrere dal 1999, alle
regioni a statuto ordinario del Mezzogiorno è corrisposta, per il finanziamento
di strumenti della programmazione negoziata nelle aree di estrazione e
adiacenti, anche l'aliquota destinata allo Stato (articolo 20, commi 1 e 1-bis,
del D.Lgs. 625/1996).
Con la legge di stabilità per il 2015 dovrà essere definito per le Regioni, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica, il limite della esclusione dal patto di stabilità interno delle spese in conto capitale finanziate con le entrate delle aliquote di prodotto aliquote destinate alle Regioni a statuto ordinario (comma 2).
La disciplina vigente del patto di stabilità interno per le regioni – dettata dall'articolo 32
della legge 183/2011 (legge di stabilità 2012) e dall'articolo 1, commi
448-472, della legge 228/2012 (legge di stabilità 2013) come modificati dalla
legge di stabilità 2014 - pone annualmente un limite al complesso delle spese finali di ogni singola regione.
Dal complesso delle spese considerate ai fini della
verifica del patto di stabilità sono escluse una serie di spese o perché
sottoposte ad una disciplina di contenimento specifica, come nel caso delle
spese per la sanità, oppure perché considerate 'dovute' in quanto finanziate
con trasferimenti o stanziamenti dal bilancio dello Stato come nel caso delle
spese finanziate dal fondo per il trasporto pubblico locale e ferroviario
oppure i contributi per la ricostruzione a seguito di terremoto. Il lungo elenco
delle spese escluse dal computo di
quelle finali rilevanti ai fini del patto di stabilità è contenuto nel comma 4
dell'articolo 32 della citata legge 183/2011, come più volte modificato.
Diverse altre esclusioni specifiche sono inserite, per lo più, nella legge di
stabilità, in genere nella norma che stabilisce lo stanziamento di bilancio
viene anche definito il limite entro il quale opera l'esclusione.
Articolo
37
(Misure urgenti per l’approvvigionamento e il trasporto del gas naturale)
L’articolo 37 introduce alcune modifiche sulle norme vigenti in materia di infrastrutture di gas naturale. In particolare, i gasdotti di importazione di gas dall'estero, i terminali di rigassificazione di GNL, gli stoccaggi di gas naturale e le infrastrutture della rete nazionale di trasporto del gas naturale, incluse le operazioni preparatorie necessarie alla redazioni dei progetti e le relative opere connesse
·
rivestono carattere di interesse strategico;
· costituiscono una priorità a carattere nazionale;
· sono di pubblica utilità;
· sono indifferibili e urgenti.
Inoltre, la norma cerca di incentivare gli investimenti per lo sviluppo di ulteriori prestazioni di punta degli stoccaggi a decorrere dal 2015.
Si ricorda che, con la legge 19 dicembre 2013, n. 153, il Parlamento ha autorizzato la ratifica dell'Accordo per il gasdotto transadriatico (TAP). L'Accordo, che attua un memorandum d'intesa siglato nel settembre 2012, riconosce l'importanza del Gasdotto transadriatico (TAP) impegnando le Parti (Albania, Grecia ed Italia) a facilitare le procedure di autorizzazione per l'implementazione dello stesso; e stabilisce la necessità di rispettare standard uniformi con riferimento alle normative tecniche, nonché in materia di sicurezza, ambiente, lavoro. L'Accordo inoltre impegna i Governi dei tre Paesi a siglare accordi con gli investitori del progetto, e definisce l'ambito giuridico, nonché il regime fiscale applicabili. La L. 153/2013 autorizza per l'attuazione dell'Accordo TAP la spesa di 1.150 euro per il 2013 e di 1.155 euro a decorrere dal 2014. Il TAP dovrebbe portare il gas naturale dall'Azerbaijan all'Italia passando per la Grecia e l'Albania, limitando la dipendenza dalla Libia e dall'Ucraina rafforzando la sicurezza energetica dell’Italia.
Le variazioni introdotte alla normativa vigente (contenuta nell’art. 52-quinquies, comma 2, del D.P.R. 327/2001) sono le seguenti (comma 2):
a) le procedure autorizzative e di espropriazione per pubblica utilità concernenti le infrastrutture lineari energetiche facenti parte della rete nazionale dei gasdotti (nonché gli oleodotti facenti parte delle reti nazionali di trasporto) vengono estese ai gasdotti di approvvigionamento dall’estero e alle opere ad essi accessorie; per tutti i gasdotti ed oleodotti citati viene chiarito che l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli stessi costituisce anche variante dei piani di gestione e tutela del territorio comunque denominati.
Tale effetto dell’autorizzazione si aggiunge; alla dichiarazione di pubblica utilità dell'opera; alla valutazione di impatto ambientale (VIA), ove prevista, o alla valutazione di incidenza (VINCA); all'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio e alla variazione degli strumenti urbanistici, già contemplati dal testo previgente.
b) viene chiarito che il potere, riconosciuto all’autorizzazione, di sostituire ogni altro provvedimento di assenso previsto dalle norme vigenti, non vale solo a fini urbanistici ed edilizi (come previsto dal testo previgente) ma anche a fini paesaggistici;
c) viene introdotta una procedura dettagliata per la risoluzione delle interferenze, la cui finalità principale sembra quella di garantire maggiore certezza e speditezza all’iter autorizzativo. Per perseguire tali finalità viene innanzitutto fornito un elenco dei “soggetti interferenti” (titolari/gestori di beni e aree demaniali marittime/lacuali/fluviali, strade pubbliche, aeroporti, ferrovie, ecc.) che, se interessati dal passaggio di gasdotti, partecipano al procedimento di autorizzazione. Dopodiché vengono previste le seguenti fasi e scadenze:
d) vengono assoggettati ad autorizzazione integrata ambientale (AIA) statale gli impianti di combustione facenti parte della rete nazionale dei gasdotti ed aventi potenza termica di almeno 50 MW (tale modifica opera sul punto 2) dell’Allegato XII alla Parte II, del D.Lgs. 152/2006).
Si fa notare che la relazione illustrativa fornisce una descrizione della norma non corrispondente all’effettiva portata della stessa.
Si ricorda altresì che l’autorità statale designata al rilascio delle “AIA statali” è il Ministero dell'ambiente (art. 7, comma 5, del D.Lgs. 152/2006).
Il comma 3 riguarda invece gli stoccaggi di gas naturale, con l’obiettivo di accrescere la risposta del sistema nazionale degli stoccaggi in termini di punta di erogazione.
L'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, a decorrere dal periodo di regolazione che inizia dal 2015, deve stabilire meccanismi tariffari incentivanti gli investimenti per lo sviluppo di ulteriori prestazioni di punta effettuati a decorrere dal 2015, privilegiando gli sviluppi contraddistinti da un alto rapporto tra prestazioni di punta e volume di stoccaggio e minimizzando i costi ricadenti sul sistema nazionale del gas.
Si segnala, al comma 3, il refuso “Autorità per l'energia elettrica, il
gas e il servizio idrico”, in luogo di “sistema idrico”.
Lo stoccaggio di gas naturale in sotterraneo è realizzato in Italia nei giacimenti di idrocarburi esauriti, che sono strutture geologiche sotterranee con caratteristiche idonee all’immagazzinamento e al prelievo del gas. Il giacimento non è una cavità ma un sistema roccioso poroso e permeabile che è in grado di garantire la permanenza del gas e di erogarlo quando richiesto dal mercato. Solitamente si utilizzano giacimenti sabbiosi già sfruttati minerariamente per la produzione di gas, situati mediamente a circa 1.300 – 2.000 metri di profondità. Il giacimento è quindi un sistema roccioso idoneo a garantire il confinamento del gas iniettato e la sua erogazione controllata per rispondere alle richieste del mercato, in termini di punta oraria[29] e giornaliera[30].
Nella strategia di sicurezza energetica (COM(2014)330), presentata il 28 maggio 2014, la Commissione europea sottolinea la necessità di rendere sicuri gli approvvigionamenti energetici europei attraverso anche una politica attiva per la realizzazione di importanti infrastrutture energetiche.
In particolare, la Commissione sottolinea la necessità di concentrarsi sulla costruzione di interconnettori chiave, in particolare quelli tranfrontalieri, dando tempestiva attuazione ai progetti di interesse comune (PCI)[31], selezionati lo scorso anno, grazie a procedure snelle di concessione delle autorizzazioni e ai 5,8 miliardi di euro del CEF (il meccanismo per collegare l'Europa - Connecting Europe Facility). Tale finanziamento costituisce circa il 3% dell'investimento di 200 miliardi di euro necessario da qui al 2020, ma può essere combinato con gli sforzi delle autorità di regolamentazione volti a finanziare parte delle infrastrutture attraverso tariffe di rete e con l'impegno degli Stati membri a utilizzare i fondi strutturali e i fondi di investimento europei ove possibile. Si ricorda che attualmente il livello medio di interconnessione è di circa l'8% e che la Commissione europea, su sollecitazione del Consiglio (marzo 2014), propone di alzare l'attuale obiettivo di interconnessione del 10%, portandolo al 15% entro il 2030.
Tra le infrastrutture in costruzione o in via di completamento, di particolare interesse per l’Italia risultano i gasdotti TAP e South Stream per il trasporto del gas in Europa.
TANAP (Trans Anatolian Pipeline) veicolerà il gas azerbaigiano estratto
dai fondali del Mar Caspio (trasportato attraverso la Georgia dal South
Caucasus Pipeline) verso l’Europa: proprio al confine tra Grecia e Turchia,
infatti, avrà inizio il tracciato del gasdotto
Trans Adriatic Pipeline (TAP),
che veicolerà il gas azero verso l’Europa.
South Stream, al quale, oltre a Gazprom, partecipano, tra gli
altri, anche l’italiana Eni, la
tedesca Wintershall e la francese EDF, collegherà
la Russia alla Bulgaria per servire il mercato europeo con due rami, uno a sud
attraverso la Grecia per raggiungere l'Italia, l'altra a nord attraverso la Serbia, l'Ungheria e la Slovenia per
raggiungere l’Austria. Nel quadro dell’esigenza di ridurre la dipendenza
dell’UE dalle risorse energetiche russe, la Commissione europea, alla fine dello scorso anno, ha chiesto alla Russia di rivedere i suoi accordi con
i paesi dell'UE che partecipano al progetto - Austria, Bulgaria, Croazia,
Ungheria, Grecia e Slovenia - così come Serbia, in quanto non sembrerebbero perfettamente conformi alla legislazione dell'UE
per la posizione dominante assunta
da Gazprom in seno al consorzio.
La Commissione
europea aveva manifestato la sua preferenza
per il progetto di gasdotto Nabucco,
che avrebbe veicolato il gas azero in
Europa in modo da ridurre la
dipendenza dalla Russia. Tale ultimo progetto non ha tuttavia avuto seguito
per la preferenza accordata dai paesi
europei interessati e dalle relative società ed enti gestori al progetto South Stream.
Articolo
38
(Misure per la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali)
L’articolo 38 qualifica le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale come attività di interesse strategico, di pubblica utilità, urgenti e indifferibili. Vengono inoltre stabiliti nuovi principi per il conferimento di titoli minerari, in modo da semplificare e ridurre i tempi necessari per il rilascio dei titoli abilitativi per la ricerca e la produzione di idrocarburi, prevedendo il rilascio di un titolo concessorio unico. Si modifica inoltre la disciplina che consente lo svolgimento di attività mineraria in forma sperimentale, ove si presentino particolari difficoltà operative o sia necessario realizzare prove o studi di fattibilità di particolare impegno. Infine si semplifica la procedura di autorizzazione per la reiniezione delle acque di strato o della frazione gassosa estratta in giacimento.
Il comma 1, al fine dichiarato di valorizzare le risorse energetiche nazionali e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese, qualifica le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale come attività:
§ di interesse strategico;
§ di pubblica utilità, urgenti e indifferibili.
I relativi decreti autorizzativi comportano pertanto:
§ la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera;
§ l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio dei beni in essa compresi;
§ e, per quanto disposto dal comma 2, se le opere da eseguire comportano variazione degli strumenti urbanistici, hanno effetto di variante urbanistica.
Andrebbe specificato se i decreti autorizzativi corrispondano ai
decreti di conferimento del nuovo titolo concessorio unico di cui ai commi 5-8.
In merito alla dichiarazione di pubblica utilità, si ricorda che essa accerta l’esistenza di ragioni di pubblico interesse alla realizzazione di un’opera e attribuisce all’opera medesima una determinata qualità giuridica, che costituisce presupposto per le procedure espropriative.
Diversi sono gli atti che possono comportare la dichiarazione di pubblica utilità: ai sensi dell’art. 12 del D.P.R. 327/2001, infatti, la dichiarazione di pubblica utilità si intende disposta:
a) quando l'autorità espropriante approva a tale fine il progetto definitivo dell'opera pubblica o di pubblica utilità, ovvero quando sono approvati il piano particolareggiato, il piano di lottizzazione, il piano di recupero, il piano di ricostruzione, il piano delle aree da destinare a insediamenti produttivi, ovvero quando è approvato il piano di zona;
b) in ogni caso, quando in base alla normativa vigente equivale a dichiarazione di pubblica utilità l'approvazione di uno strumento urbanistico, anche di settore o attuativo, la definizione di una conferenza di servizi o il perfezionamento di un accordo di programma, ovvero il rilascio di una concessione, di una autorizzazione o di un atto avente effetti equivalenti.
La disciplina
concernente l’occupazione d’'urgenza è
contenuta nell’art. 22-bis del D.P.R.
327/2001
Per quanto riguarda l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, si ricorda che esso rappresenta uno dei presupposti per l’emanazione del decreto di esproprio. Ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. 327/2001, infatti, il decreto di esproprio può essere emanato se:
a) l'opera è prevista nello strumento urbanistico generale (o atto di efficacia equivalente) e sul bene da espropriare è stato apposto il vincolo preordinato all'esproprio;
b) vi è stata la dichiarazione di pubblica utilità;
c) è stata determinata, anche se in via provvisoria, l'indennità di esproprio.
Il comma 3 trasferisce dalle Regioni al Ministero dell’ambiente la competenza al rilascio del provvedimento di VIA relativamente ai progetti relativi ad attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sulla terraferma.
Il testo previgente dell’allegato II alla parte II del D.Lgs. 152/2006 (che viene modificato dalla norma in esame) attribuiva alla competenza del Ministero dell'ambiente solo i progetti off-shore, cioè relativi ad attività di prospezione, ricerca e coltivazione in mare.
Si segnala che la lettera v) dell’allegato III alla citata parte II del
D.Lgs. 152/2006, non abrogata dalla disposizione in commento, attribuisce
invece alla competenza regionale la VIA dei progetti relativi ad “attività di coltivazione
sulla terraferma degli idrocarburi liquidi e gassosi e delle risorse
geotermiche, con esclusione degli impianti geotermici pilota…”.
Appare quindi opportuno un intervento mirato al coordinamento delle
disposizioni citate.
Il comma 4 contiene una norma transitoria destinata a disciplinare gli effetti dello spostamento di competenze operato dal comma 3 sui procedimenti di VIA in corso presso le Regioni alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.
Per tali procedimenti viene previsto che se la Regione non conclude il procedimento entro il 31 dicembre 2014, la stessa dovrà:
§ provvedere alla trasmissione di tutta la documentazione al Ministero dell’ambiente per i seguiti istruttori di competenza;
§ darne notizia al Ministero dello sviluppo economico.
I commi da 5 a 8 modificano la disciplina per il conferimento di titoli minerari, con specifico riguardo al rilascio dei titoli abilitativi per la ricerca e la produzione di idrocarburi.
Si segnala che la disciplina dettata dai commi 5-8 si riferisce alle
attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi, mentre il comma 1 include
anche le attività di prospezione tra le attività che vengono qualificate come
attività di interesse strategico.
La prima novità è l’introduzione di un “titolo concessorio unico” in luogo di due titoli distinti (permesso di ricerca e concessione di coltivazione). Il titolo è rilasciato sulla base di un programma generale di lavori articolato nelle seguenti fasi:
· fase di ricerca, della durata di sei anni, prorogabile due volte per un periodo di tre anni nel caso sia necessario completare le opere di ricerca,
Si ricorda che la disciplina previgente all’entrata in vigore del decreto legge in esame distingue permesso di ricerca e concessione di coltivazione. Il permesso di ricerca[32], di tipo esclusivo, è rilasciato a seguito di una valutazione comparata fra eventuali diversi richiedenti, e in esso il permissionario s'impegna ad effettuare lavori per l'individuazione di un eventuale giacimento coltivabile presente nell'area richiesta. Le operazioni ammesse sul campo e descritte nel programma dei lavori approvato all'atto del rilascio, sono ricerche geofisiche e perforazioni di ricerca. In caso di ritrovamenti di idrocarburi possono essere anche ammesse delle produzioni, ma solo strettamente finalizzate alle valutazioni del giacimento e dei suoi prodotti, essenziali per la richiesta della concessione di coltivazione. La durata del permesso è di sei anni. Il titolare del permesso ha diritto a due successive proroghe di tre anni ciascuna, se ha adempiuto agli obblighi derivanti dal permesso stesso. Al titolare del permesso può essere accordata un'ulteriore proroga qualora, alla scadenza definitiva del permesso, siano ancora in corso lavori di perforazione o prove di produzione per motivi non imputabili a sua inerzia, negligenza o imperizia. La proroga è accordata per il tempo necessario al completamento dei lavori e comunque per un periodo non superiore ad un anno. Con il decreto di proroga è approvato il programma tecnico e finanziario particolareggiato relativo al nuovo periodo di lavori.
· fase di coltivazione (nel caso in cui la prima fase abbia condotto al rinvenimento di un giacimento riconosciuto tecnicamente ed economicamente coltivabile da parte del Ministero dello sviluppo economico), della durata di trenta anni, da prorogare per una o più volte per un periodo di dieci anni, ove siano stati adempiuti gli obblighi derivanti dal decreto di concessione e il giacimento risulti ancora coltivabile;
La concessione di coltivazione, di tipo esclusivo, è l’atto con cui in cui al concessionario, in genere a seguito di un ritrovamento positivo che egli stesso ha ottenuto, è dato il diritto di produrre in base ad un programma di sviluppo del giacimento approvato all'atto del rilascio della concessione. L'attività principale nella concessione è la coltivazione del giacimento, cioè la produzione, con l'obiettivo di massimizzarla.
La normativa sulle concessioni per i titoli minerari è molto stratificata. La legge L. 21-7-1967 n. 613 (art. 29) ha fissato la durata della concessione in trenta anni. La stessa norma stabilisce che decorsi i due terzi del suddetto periodo, il concessionario ha diritto ad una proroga di dieci anni se ha eseguito i programmi di coltivazione e di ricerca e se ha adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dalla concessione.. Al fine di completare lo sfruttamento del giacimento, decorsi i sette anni dal rilascio della proroga decennale, al concessionario possono essere concesse una o più proroghe, di cinque anni ciascuna se ha eseguito i programmi di coltivazione e di ricerca e se ha adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dalla concessione o dalle proroghe
L’ art. 1, che D.Lgs. 1° dicembre 2009, n. 179, in combinato disposto con l’allegato 1 allo stesso decreto, ha ritenuto indispensabile la permanenza in vigore della legge 21-7-1967 n. 613, con specifico riguardo al contenuto dll’art. 29 che stabilisce la durata della concessione e la disciplina delle proroghe, nonostante il Decreto Legislativo 25 novembre 1996, n. 625 ("Attuazione della direttiva 94/22/CEE relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricer- ca e coltivazione di idrocarburi") contiene invece la disposizione in base alla quale la concessione, può essere rilasciata per venti anni e può essere prorogata fino ad ulteriori dieci anni, in modo da non lasciare idrocarburi recuperabili. Tale complessa stratificazione, non rende, dunque, facilmente individuabile, nell’ordinamento vigente,la durata della concessione.
Al riguardo sembrerebbe opportuno indicare con precisione le
disposizioni, in materia di durata della concessione, abrogate e quelle ancora
in vigore.
· fase di ripristino finale.
Con riguardo al contenuto del programma dei lavori, che deve essere predisposto prima dell'attività di ricerca, esso difficilmente potrà specificare in maniera puntuale le singole aree interessate dalla ricerca e successiva coltivazione.
Alla luce di tale considerazione andrebbe valutata l’opportunità di
comprendere già nella fase del decreto autorizzativo del titolo concessorio il
vincolo preordinato all'esproprio (di cui al comma 1 del presente articolo).
Va inoltre rilevato che, data la natura del programma dei lavori che
descrive fasi ed attività ed opere eventuali e future sulla base dei dati a
disposizione prima della vera e propria attività di ricerca, esso dovrà essere presumibilmente
aggiornato e adeguato in base ai successivi sviluppi e dati. Al riguardo
andrebbe valutata l’opportunità di specificare con quali modalità deve essere
aggiornato lo stesso programma e il conseguente disciplinare.
La conseguenza più importante del titolo unico è che non vi sono più diversi procedimenti abilitativi autonomi (per ricerca, perforazione e coltivazione), seppur strettamente collegati, bensì un “unico” procedimento “concessorio”.
Procedimento per il rilascio del
titolo concessorio
Secondo il comma 6, il titolo concessorio unico è accordato:
a) con decreto del Ministero dello sviluppo economico, sentite la Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie e le Sezioni territoriali dell'Ufficio nazionale minerario idrocarburi e georisorse d'intesa, per le attività da svolgere in terraferma, con la regione o la provincia autonoma di Trento o di Bolzano territorialmente interessata;
b) a seguito di un procedimento unico svolto nel termine di centottanta giorni tramite apposita conferenza di servizi, nel cui ambito è svolta anche la valutazione ambientale strategica del programma complessivo dei lavori;
Per quanto riguarda la valutazione
ambientale strategica del “programma complessivo dei lavori” (comma 6,
lett. b) non si specifica l'autorità
competente (Stato o Regione). Andrebbe valutata l’opportunità di chiarire
se l’autorità competente debba essere individuata alla luce delle modifiche
apportate dal comma 3 all’elenco dei progetti di competenza statale sottoposti
a VAS e a VIA.
c) a soggetti
che dispongono di capacità tecnica, economica ed organizzativa ed offrono
garanzie adeguate alla esecuzione e realizzazione dei programmi presentati e
con sede sociale in Italia o in altri Stati membri dell'Unione europea e, a
condizioni di reciprocità, a soggetti di altri Paesi
La disciplina previgente all’entrata in vigore del decreto (art.1-commi 78-82-ter) della legge 239/2004 distingue tra permesso di ricerca in terraferma e in mare:
1) il permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma è rilasciato a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni statali e regionali interessate; esso consente solo lo svolgimento delle attività di prospezione, esclusa la perforazione dei pozzi esplorativi, per la quale occorre apposita autorizzazione da parte dell’ufficio territoriale minerario per gli idrocarburi e la geotermia competente, rilasciata a seguito di un procedimento unico al quale, oltre alla Regione, partecipano anche gli enti locali interessati; 2) il permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in mare è rilasciato a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni statali interessate. Anche in questo caso è esclusa la perforazione del pozzo esplorativo, per la quale occorre apposita autorizzazione, previa valutazione di impatto ambientale.
La concessione di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi è rilasciata a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni competenti. Con decreto dei Ministri dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti e dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare sono individuate le attività preliminari che non comportano effetti significativi e permanenti sull’ambiente che, in attesa della determinazione conclusiva della conferenza di servizi.
Anche nella disciplina vigente entrambi i titoli vengono rilasciati quindi a seguito del c.d. procedimento unico, volto a sostituire i diversi iter autorizzatori incardinati presso le singole Amministrazioni competenti, che vengono quindi coinvolte nell’unica procedura introdotta dalla legge. Tale procedimento comprende e sostituisce, salvo ipotesi particolari, tutte le autorizzazioni necessarie e viene svolto, con le modalità di cui alla l. n. 241/90, ricorrendo allo strumento della conferenza di servizi che viene indetta dall’amministrazione individuata come responsabile a rilasciare il decreto autorizzativo.
L'ultima parte della disposizione precisa che le attività di “perforazione” e di “realizzazione degli impianti di sviluppo” sono a loro volta soggette a VIA e ad autorizzazione di sicurezza, svolte secondo le procedure stabilite dalla legge entro 60 giorni dalla presentazione delle domande.
Andrebbe
specificato se la procedura di VIA citata nella disposizione si riferisca alla
VIA ordinaria (prevista dal Codice dell'ambiente con tempistiche superiori ai
60 giorni,) ovvero delinei una VIA “speciale” con termini abbreviati.
Va rilevato che nel nuovo procedimento unico non è prevista la partecipazione obbligatoria degli enti locali.
Nella disciplina vigente la legge n. 99 del 2009 (che ha riscritto i commi 78-82-ter dell’art. 1 della legge 23972004) ha limitato la partecipazione obbligatoria degli Enti locali al procedimento finalizzato al rilascio dell’autorizzazione al pozzo esplorativo, alla costruzione degli impianti e delle infrastrutture connesse alle attività di perforazione.
Il comma 7 prevede che, con disciplinare tipo, adottato con decreto del Ministero dello sviluppo economico, siano stabilite, entro centottanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, le modalità di conferimento del titolo concessorio unico e le modalità di esercizio delle relative attività.
Andrebbe valuta l’opportunità di individuare con maggiore precisione il
contenuto del disciplinare, con riferimento alle modalità di conferimento dei
nuovi titoli nonché alle modalità di esercizio delle attività relative.
Il comma 8 dispone l’applicazione delle nuove norme sul titolo concessorio unico (i precedenti commi 5 e 6) anche ai titoli vigenti e ai procedimenti in corso, su istanza del titolare o del richiedente, da presentare entro 90 giorni dall'entrata in vigore del presente decreto.
Va rilevato che all’articolo 38, i commi da 5 a 8 riformano la
disciplina delle attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi senza gli
opportuni coordinamenti con la legislazione vigente, già molto complessa e
stratificata. Andrebbero pertanto individuate con precisione le disposizioni
abrogate e quelle ancora vigenti.
Svolgimento
di attività mineraria in forma sperimentale
I commi 9 e 10
riguardano la normativa che consente lo svolgimento di attività mineraria in
forma sperimentale, ove si presentino particolari difficoltà operative o sia
necessario realizzare prove o studi di fattibilità di particolare impegno.
Il comma 9
interviene sulla disciplina dei casi in cui, per difficoltà di ordine tecnico o
di ubicazione, lo sviluppo o la coltivazione di un giacimento di idrocarburi
richiedano l'impiego di tecnologie non
ancora acquisite all'esperienza industriale (articolo 10, legge 9/1991). Tale
disciplina prevede la possibilità, per l’interessato al titolo concessorio, di
presentare un programma provvisorio
in cui siano indicati gli studi e le sperimentazioni necessarie, nonché il
tempo necessario alla loro realizzazione.
L’articolo 10 della legge 9/1991 stabilisce che qualora a causa di
difficoltà di ordine tecnico o di ubicazione, lo sviluppo o la coltivazione di
un giacimento richiedano l'impiego di tecnologie non ancora acquisite
all'esperienza industriale, l'attuazione prolungata di particolari prove o
l'effettuazione di studi di fattibilità di rilevante impegno, può essere
presentato dall'interessato, in luogo del prescritto programma di sviluppo, un
programma provvisorio in cui siano indicati gli studi e le sperimentazioni
necessarie, nonché il tempo necessario alla loro realizzazione. L'esecuzione
del programma provvisorio, con la fissazione del relativo periodo di
realizzazione, è autorizzata dal Ministro dell'industria, del commercio e
dell'artigianato, sentito il Comitato tecnico per gli idrocarburi e la
geotermia. Entro quindici giorni dalla scadenza del periodo di realizzazione,
l'interessato è tenuto a presentare, a pena di decadenza, il programma
definitivo di sviluppo e di coltivazione nelle forme prescritte.
Al riguardo, il comma in esame prevede l’applicazione della descritta procedura del programma provvisorio ai titoli minerari e ai procedimenti di conferimento ricadenti in specifiche aree, nelle quali attualmente vige un divieto di prospezione, di ricerca e coltivazione di idrocarburi. Si tratta delle acque del Golfo di Napoli, del Golfo di Salerno e delle Isole Egadi, nonché nelle acque del Golfo di Venezia, nel tratto di mare compreso tra il parallelo passante per la foce del fiume Tagliamento e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po.
Per la prospezione, la ricerca e la coltivazione di idrocarburi nelle aree elencate sussiste attualmente un divieto imposto dall’articolo 4, comma 1, della legge 9/1991. Per le acque del Golfo di Venezia è prevista una disciplina particolare. In particolare, per quanto riguarda le sole acque del golfo di Venezia, il suddetto divieto si applica (ai sensi dell’articolo 8, comma 1, del DL 112/2008) fino a quando il Consiglio dei Ministri, d’intesa con la regione Veneto, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, non abbia definitivamente accertato la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste, sulla base di nuovi e aggiornati studi, che dovranno essere presentati dai titolari di permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione, utilizzando i metodi di valutazione più conservativi e prevedendo l'uso delle migliori tecnologie disponibili per la coltivazione.
Nella disposizione in commento si specifica che la finalità della norma è quella di effettuare e verificare - con l'impiego di nuove tecnologie disponibili per la tutela ambientale e la valorizzazione delle risorse - gli studi previsti dall'articolo 8, comma 1, del DL 112/2008, cioè gli studi che devono essere presentati dai titolari di permessi di ricerca e concessione di coltivazioni affinché il Consiglio dei ministri, d’intesa con la Regione Veneto accerti la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste, per quanto riguarda le acque del Golfo di Venezia, con la conseguenza di superare il divieto di ricerca e coltivazione degli idrocarburi.
Andrebbe valutata l’opportunità di chiarire la portata normativa delle
disposizioni di cui al comma 9, specificando se la peculiare disciplina degli
studi effettuati nelle acque del Golfo di Venezia si applichi in tutte le
aree in cui attualmente vige il divieto di ricerca e coltivazione degli
idrocarburi (oltre Venezia anche Golfo di Napoli, Golfo di Salerno e Isole
Egadi). In particolare andrebbe chiarito se si applica, nelle zone diverse dal
Golfo di Venezia, anche la disciplina dell’accertamento della non
sussistenza dei rischi volta al superamento del divieto di ricerca e
coltivazione e, in tal caso, chi siano i soggetti competenti all’accertamento
(per Venezia l’accertamento è effettuato dal Consiglio dei ministri d’intesa
con la Regione Veneto).
Il comma 10 integra il citato articolo 8 del DL 112/2008 per rendere possibili progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti di idrocarburi in mare in ambiti posti in prossimità delle aree di altri Paesi rivieraschi oggetto di attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi.
Andrebbe specificato con maggior precisione cosa si intenda per
“prossimità”.
Si ricorda che l’art. 6, comma 17, del Codice ambientale (D.lgs. 152/2006), fa divieto di svolgere attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi nelle aree marine e costiere “a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale” ed estende detto divieto alle zone di mare poste entro le dodici miglia dalla costa per l’intero perimetro costiero nazionale, facendo tuttavia salvi i procedimenti concessori in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128. In questo modo, il divieto di svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi non trova applicazione ai procedimenti avviati e non ancora conclusi alla data di entrata in vigore del decreto; sebbene l’autorizzazione allo svolgimento delle attività relative debba essere preceduta dalla VIA e debba essere acquisito il parere degli Enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle stesse.
In data 6 agosto 2014, poi, le Commissioni riunite VIII Ambiente e X Attività produttive della Camera hanno approvato una risoluzione (8-00074 risultante dal testo unificato delle risoluzioni 7-00034 Mariastella Bianchi e 7-00086 Cominelli) nella quale tra l'altro si impegna il Governo "a valutare le linee di base delle acque territoriali lungo l'intero perimetro costiero nazionale ai fini del divieto entro le 12 miglia delle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare".
I progetti sperimentali:
· sono autorizzati dal Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le Regioni interessate,
· sono corredati sia da un'analisi tecnico-scientifica che dimostri l'assenza di effetti di subsidenza dell'attività sulla costa, sull'equilibrio dell'ecosistema e sugli insediamenti antropici e sia dai relativi progetti e programmi dettagliati di monitoraggio e verifica, da condurre sotto il controllo del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Qualora, nel corso delle attività di verifica vengano accertati fenomeni di subsidenza sulla costa determinati dall'attività, il programma dei lavori è interrotto e l'autorizzazione alla sperimentazione decade.
Qualora invece, al termine del periodo di validità dell'autorizzazione, venga accertato che l'attività è stata condotta senza effetti di subsidenza dell'attività sulla costa, nonché sull'equilibrio dell'ecosistema e sugli insediamenti antropici, il periodo di sperimentazione può essere prorogato per ulteriori cinque anni, applicando le medesime procedure di controllo.
Nel caso di attività di cui sopra, ai territori costieri le regioni e gli enti locali territorialmente interessati hanno diritto di stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale.
Reiniezione delle acque di strato
o della frazione gassosa estratta in giacimento
Il comma 11 semplifica la procedura per le attività di reiniezione delle acque di strato(ovvero l’acqua che proviene dalla roccia serbatoio e che viene estratta insieme a petrolio e gas naturale) o della frazione gassosa estratta in giacimento, inserendo tali attività tra quelle soggette esclusivamente ad autorizzazione rilasciata dall’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e la geotermia (UNMIG, istituito presso il MiSE). Nel caso dei giacimenti a terra, pertanto, non è più necessaria l’autorizzazione delle regioni ma solo dell’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e la geotermia.
La norma integra a tal fine il comma 82-sexies dell’articolo 1 della legge 239/2004, secondo la quale le attività finalizzate a migliorare le prestazioni degli impianti di coltivazione di idrocarburi, se effettuate a partire da opere esistenti e nell’ambito dei limiti di produzione ed emissione dei programmi di lavoro già approvati, sono soggette ad autorizzazione rilasciata dall’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e la geotermia.
La normativa
vigente in tema di reiniezione delle acque di strato è contenuta nell’art.
104 del Codice ambientale (D.Lgs. 152/2006), che vieta lo scarico diretto nelle
acque sotterranee e nel sottosuolo. In deroga a tale principio generale,
· per i giacimenti
a mare, il Ministero dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare, d'intesa con il Ministero dello
sviluppo economico e,
· per i giacimenti
a terra, ferme restando le competenze del Ministero dello sviluppo
economico in materia di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e
gassosi, le regioni
possono autorizzare lo scarico di acque risultanti dall'estrazione
di idrocarburi nelle unità geologiche profonde da cui gli stessi idrocarburi
sono stati estratti ovvero in unità dotate delle stesse caratteristiche che
contengano, o abbiano contenuto, idrocarburi, indicando le modalità dello
scarico. Lo scarico non deve contenere altre acque di scarico o altre sostanze
pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle derivanti dalla
separazione degli idrocarburi. Le relative autorizzazioni sono rilasciate con
la prescrizione delle precauzioni tecniche necessarie a garantire che le acque
di scarico non possano raggiungere altri sistemi idrici o nuocere ad altri
ecosistemi.
Al riguardo, andrebbe valutata l’opportunità di coordinare la
disposizione in esame con l’art. 104 del d.lgs. 152/2006.
Si segnala in proposito che nel cd. “collegato
ambientale” (AC 2093), l’articolo 26-ter,
inserito durante l'esame in Commissione,
introduce nel D. Lgs. 152/2006, nella disciplina sulla tutela delle risorse
idriche, il divieto di tecniche di
stimolazione idraulica mediante iniezione in pressione nel sottosuolo di
fluidi liquidi o gassosi, compresi eventuali additivi, finalizzata a produrre o
favorire la fratturazione delle formazioni rocciose (c.d. fracking) nelle
attività di ricerca o coltivazione di idrocarburi rilasciate dallo Stato. E'
inoltre previsto l'obbligo, per i titolari di permessi di ricerca o di
concessioni di coltivazione di idrocarburi, di comunicazione entro il 31
dicembre 2014 al Ministero dello sviluppo economico, e al Ministero
dell'Ambiente e all'Istituto nazionale di geofisica e Vulcanologia, dei dati e
delle informazioni relative all'utilizzo pregresso di tali tecniche per ciascun
titolo, anche in via sperimentale. La sanzione
in caso di violazioni delle prescrizioni previste dall'articolo in esame
consiste nella decadenza automatica dal
relativo titolo concessorio o dal permesso.
Si ricorda inoltre che in data 18 settembre 2013, l'VIIII Commissione Ambiente della Camera, ha approvato una risoluzione (8-00012 Zaratti) che impegna il Governo ad escludere l'utilizzo della fratturazione idraulica nel territorio italiano e che, in data 6 agosto 2014, le Commissioni riunite VIII Ambiente e X Attività produttive della Camera hanno approvato la citata risoluzione (8-00074 risultante dal testo unificato delle risoluzioni 7-00034 Mariastella Bianchi e 7-00086 Cominelli) nella quale viene, tra l’altro, richiamato il suddetto impegno.
Articolo
39
(Revisione degli incentivi per i veicoli a basse emissioni complessive)
L’articolo 39 modifica alcuni dei criteri per la fruizione degli incentivi per l’acquisto di veicoli a basse emissioni complessive, attraverso una serie di modifiche puntuali alle disposizioni del DL n. 83 del 2012 che li aveva introdotti istituendo un programma triennale di incentivazione per l’acquisto di tutte le tipologie di veicoli aziendali (autovetture, veicoli commerciali, ciclomotori, motocicli e quadricicli), purché destinati all’esercizio di impresa o ad uso pubblico e a condizione che venisse rottamato un veicolo obsoleto, della stessa categoria, avente almeno 10 anni di anzianità, ovvero anche senza rottamazione ma nel caso di acquisto di veicoli aventi emissioni particolarmente basse (< 95g/km).
Come evidenziato nella relazione illustrativa al decreto in esame, la fruizione dei contributi all’acquisto dei veicoli, affidata dal MISE ad una società in house (che ha realizzato un’apposita piattaforma on line all’indirizzo www.bec.mise.gov.it per la prenotazione dei contributi ed il monitoraggio delle risorse disponibili) ha evidenziato alcune complessità normative e di attuazione, che con l’art. 39 si intende ora correggere, che ne hanno impedito un utilizzo più ampio. Viene infatti riportato che il monitoraggio effettuato sulla fruizione dei contributi ha evidenziato un utilizzo delle risorse, al dicembre 2013, per circa 5 milioni di euro, pari al 12% delle risorse disponibili.
Si ricorda che al Fondo per l’erogazione degli incentivi statali (art. 17-undecies) è stata conferita una dotazione di 50 milioni di euro per l'anno 2013 e di 45 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015.
Gli articoli del D.L. n. 83/2012 che vengono modificati sono i seguenti:
· l’art. 17-bis, comma 2, lett. c) che definisce l’elenco dei veicoli ai fini delle agevolazioni, accorpandoli in un’unica categoria L, comprensiva delle categorie L1e, L2e, L3e, L4e, L5e, L6e, L7e, in modo da consentire la rottamazione di uno qualsiasi dei veicoli di questa categoria più ampia e non esattamente di un veicolo della stessa categoria del veicolo che si va ad acquistare, come previsto fino ad oggi.
· l’art. 17-decies, commi 1 e 2, consentendo l’agevolazione anche nel caso di immatricolazione in Italia (e quindi anche di veicoli acquistati all’estero), oltre che di veicoli nuovi acquistati in Italia ed eliminando il requisito del possesso o della proprietà da almeno 12 mesi; per quanto riguarda la misura del contributo viene specificato che questo non è necessariamente pari, nei diversi casi previsti, al 15% o al 20%, ma può arrivare fino al 15% o fino al 20%, consentendo anche che il contributo possa essere inferiore e giustificando, nella relazione governativa, tale riduzione con un ampliamento del numero di rivenditori interessati all’iniziativa; si stabilisce poi che il contributo spetta per i veicoli acquistati e immatricolati a partire dalla data di operatività della piattaforma di prenotazione dei contributi, resa nota per gli anni 2014 e 2015 sul sito web www.bec.mise.gov.it, e fino al 31 dicembre 2015, mentre tra le condizioni previste per fruire del contributo viene eliminato il requisito che il veicolo rottamato sia stato immatricolato da almeno dieci anni (condizione che aveva reso molto difficile la fruizione dei contributi per molte aziende che non hanno flotte di veicoli di tale anzianità), nonché il requisito dell’intestazione da almeno 12 mesi allo stesso intestatario che acquista il veicolo nuovo.
· l’art. 17-undecies, comma 2, lett. a) e b) che riguarda il Fondo per l’erogazione degli incentivi, prevedendo che una quota delle risorse del Fondo siano assegnate non solo nel caso di veicoli utilizzati come beni strumentali nell'attività propria dell'impresa ma anche se dati in uso promiscuo ai dipendenti.
Nello scorso gennaio la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento (COM(2014)28) che riguarda la riduzione delle emissioni inquinanti dei veicoli stradali, modificando il regolamento (CE) n. 715/2007 e il regolamento (CE) n. 595/2009.
Articolo
4, commi 1 e 2
(Misure di semplificazione per le opere
incompiute segnalate dagli Enti Locali)
L’articolo 4 stabilisce alcune misure dirette a favorire la realizzazione delle opere segnalate dai Comuni alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dal 2 al 15 giugno 2014.
La
disposizione sembra far riferimento alla procedura informale avviata dal
Governo con la “lettera ai sindaci” inviata il 2 giugno scorso dal Presidente del
Consiglio, ove si invitavano i Comuni a segnalare, entro il 15 giugno 2014,
opere e cantieri fermi, al fine di un loro eventuale inserimento all'interno
del pacchetto di misure “Sblocca Italia”.
In base alla relazione di accompagnamento, le misure introdotte rispondono a diverse tipologie di difficoltà segnalate dagli enti locali: a) mancanza di accordo in caso di coinvolgimento di più amministrazioni nel procedimento funzionale alla realizzazione dell’opera; b) difficoltà burocratiche variamente intese; c) mancanza di risorse; d) problemi di pagamento in forza dei vincoli del patto di stabilità.
Pertanto,
si consideri che l’articolo in esame reca disposizioni che trovano applicazione
unicamente per fattispecie determinate – i procedimenti relativi alle opere
segnalate – che, tuttavia, la norma stessa non individua precisamente, neanche
mediante rinvio ad altra fonte normativa o atto amministrativo.
In particolare, il comma 1 prevede che, in caso di mancato accordo tra le amministrazioni partecipanti al procedimento per la realizzazione dell’opera, vi sia la possibilità di riconvocare la conferenza di servizi al fine di riesaminare i pareri ostativi. In tal caso, qualora l’ente abbia necessità di definire il procedimento in tempi celeri, tutti i termini dei lavori della conferenza, previsti dalla disciplina generale in materia (art. 14 ss., L. n. 241/1990) sono ridotti della metà.
Dalla formulazione della disposizione, parrebbe quindi che la riduzione dei termini sia rimessa alla discrezionalità dell’ente interessato, in relazione alla necessità di definizione in tempi brevi del procedimento.
La legge definisce le procedure e i termini di convocazione della conferenza, dello svolgimento e della conclusione dei lavori (art. 14-ter). In base a tale disciplina, la prima riunione della conferenza deve essere convocata entro 15 giorni, ovvero 30 (in caso di particolare complessità dell’istruttoria), dalla data di indizione.
Le amministrazioni convocate (con comunicazione pervenuta almeno 5 giorni prima) possono chiedere (entro i successivi 5 giorni) che la riunione della conferenza si svolga in una data diversa e comunque entro 10 giorni successivi alla prima.
Nella prima riunione della conferenza, le amministrazioni che vi partecipano stabiliscono il termini per l’adozione della decisione conclusiva. I lavori della conferenza non possono comunque superare i novanta giorni, ad eccezione dei casi in cui sia richiesta la VIA (valutazione di impatto ambientale). In tali ipotesi, infatti, l’art.14-ter, comma 4, impone una sospensione del termine di 90 giorni per un massimo di ulteriori 90 giorni. Decorso tale termine, in mancanza di una pronuncia sulla compatibilità ambientale, l’amministrazione procedente adotta ugualmente il provvedimento entro i successivi 30 giorni, prorogabili per altri 30 se sono necessari approfondimenti istruttori. Pertanto, nel caso in cui sia necessaria la VIA; la durata massima della conferenza di servizi non può superare i 240 giorni.
Infine, in ogni caso, la durata del procedimento può essere allungata dal dissenso espresso da un’amministrazione preposta alla tutela di interessi sensibili per un massimo di 90 giorni (art. 14-quater, co. 3).
La disposizione fa salva la possibilità per l’amministrazione di procedente, in caso di dissenso motivato da parte delle amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili (salute, pubblica incolumità, paesaggio, ambiente), di demandare la decisione al Consiglio dei Ministri, che dovrà comunque intervenire nei termini ridotti.
Si ricorda, in proposito, che l’articolo 14-quater, co. 3, della L. 241/1990 prevede che in caso di motivato dissenso da un amministrazione preposta alla tutela di un interesse qualificato, quale la tutela dell’ambiente, del paesaggio e del territorio, del patrimonio storico-artistico o la tutela della salute e della pubblica incolumità, l’amministrazione procedente rimette la decisione al Consiglio dei ministri, che si pronuncia entro 60 giorni previa intesa – se necessario – con le regioni, le province autonome e gli enti locali[33]. Se l’intesa non è raggiunta, il procedimento può comunque andare avanti con una deliberazione del Consiglio dei Ministri nei successivi 30 giorni.
Nel caso in cui il procedimento per la realizzazione dell’opera segnalata non si sia perfezionato per altre difficoltà amministrative, il comma 2 riconosce in capo ai comuni la facoltà di avvalersi di una cabina di regia, appositamente istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Gli enti potranno avvalersi di tale organismo a “scopo consulenziale – acceleratorio” senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Al
fine di evitare incertezze in sede applicativa, andrebbero ulteriormente
chiariti sia i presupposti dell’intervento della cabina di regia (“ulteriori
difficoltà amministrative”), sia i compiti e i poteri attribuiti al medesimo
organismo, di cui il testo si limita ad enunciare la finalità (“scopo
consulenziale-acceleratorio”).
Articolo 4, commi 3-9
(Esclusione di pagamenti effettuati dagli
enti territoriali dai vincoli del patto di stabilità e rifinanziamento di
interventi di ricostruzione in Abruzzo)
Al fine favorire la realizzazione delle opere segnalate alla Presidenza del Consiglio, i commi 3-4 prevedono l’esclusione dal patto di stabilità interno dei pagamenti, effettuati dai comuni, connessi agli investimenti in opere oggetto di segnalazione entro il 15 giugno 2014 alla Presidenza del Consiglio dei ministri. La deroga è concessa nel limite di 250 milioni di euro per l’anno 2014.
Ai fini dell’esclusione dei pagamenti dai vincoli del patto, la norma prevede l’accertamento, con apposita istruttoria a cura degli Uffici della Presidenza del Consiglio dei ministri da effettuare entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge in esame, della sussistenza di determinate condizioni. In particolare, deve trattarsi di pagamenti:
a) riferiti ad opere che siano state preventivamente inserite nel Piano Triennale delle opere pubbliche;
b) riguardanti opere già realizzate ovvero in corso di realizzazione o per le quali sia possibile l’immediato avvio dei lavori da parte dell’ente locale richiedente;
c) effettuati entro il 31 dicembre 2014.
I Comuni che beneficiano della esclusione dal patto di stabilità interno e l’importo dei pagamenti da escludere sono individuati, entro ulteriori 15 giorni dalla conclusione dell’istruttoria, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
I commi 5 e 6 disciplinano l’esclusione dai vincoli del patto di stabilità interno degli enti territoriali per gli anni 2014 e 2015 dei pagamenti relativi a debiti in conto capitale, sostenuti successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, per un importo complessivamente pari a 300 milioni di euro.
In particolare, il comma 5 esclude dai vincoli del patto le spese sostenute dalle province, dai comuni e dalle regioni, successivamente all’entrata in vigore del presente provvedimento, per il pagamento dei debiti in conto capitale:
§ che risultino certi liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2013,
§ per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il 31 dicembre 2013,
§ riconosciuti alla data del 31 dicembre 2013, ovvero che presentavano, a tale data, i requisiti per il loro riconoscimento di legittimità.
Rilevano ai fini della predetta esclusione solo i debiti presenti nella apposita piattaforma elettronica per la certificazione di crediti[34], connessi a determinate tipologie di spesa (in particolare, quelli ascrivibili ai codici gestionali SIOPE[35] da 2101 a 2512 per gli enti locali[36] e ai codici gestionali SIOPE da 2101 a 2138 per le regioni[37]), escluse le spese afferenti la sanità.
L’esclusione opera nel limite di 200 milioni per l’anno 2014 e di 100 milioni per l’anno 2015.
Con la norma in esame si intende, dunque, introdurre per gli anni 2014 e 2015 una ulteriore deroga ai vincoli del patto di stabilità del tutto analoga a quella già consentita per il 2014 dalla legge di stabilità 2014 con riferimento ai debiti maturati al 31 dicembre 2012 (art. 1, commi 546-549, legge n. 147/2013), estendendola peraltro ai pagamenti di debiti maturati fino al 31 dicembre 2013.
I commi citati, si ricorda, hanno disposto un allentamento dei vincoli del patto di stabilità interno per gli enti territoriali per l’anno 2014, al fine di consentire a tali enti l’utilizzo di risorse proprie disponibili per il pagamento dei debiti di conto capitale, certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012, per un importo complessivo di 500 milioni di euro nel corso del 2014. Ai fini della distribuzione del beneficio, gli enti sono tenuti a comunicare al Ministero dell’economia gli spazi finanziari di cui necessitano per i pagamenti in questione. Si ricorda, altresì, che, il comma 549 prevede l’esercizio dell’azione da parte della Procura regionale competente della Corte dei conti, per l’accertamento di responsabilità nei casi di inadempimento da parte degli enti interessati, che, senza giustificato motivo, non hanno richiesto gli spazi finanziari nei termini e secondo le modalità di cui al comma 547, ovvero non hanno effettuato, entro l'esercizio finanziario 2014, pagamenti per almeno il 90 per cento degli spazi concessi.
Per quanto concerne l’operatività della norma di deroga, il comma 6 dispone che, per l’anno 2014, l’esclusione dai vincoli del patto – che, si ricorda, è concessa nel limite complessivo di 200 milioni di euro - sia destinata per 50 milioni di euro ai pagamenti dei debiti delle regioni che beneficiano di entrate rivenienti dalle aliquote di prodotto della coltivazione di idrocarburi, ai sensi dell’articolo 20, commi 1 e 1-bis, del D.Lgs. 25 novembre 1996, n. 625[38], superiori a 100 milioni.
Poiché la norma in esame riserva lo spazio finanziario di 50 milioni di euro ai pagamenti di debiti delle sole regioni che beneficiano di entrate da estrazione di idrocarburi in misura superiore a 100 milioni, sembrerebbe che della esclusione dai vincoli del patto possa beneficiarne soltanto la regione Basilicata.
Rilevano ai fini della predetta esclusione anche i pagamenti di debiti relativi a ulteriori tipologie di spesa rispetto a quelle indicate dal comma precedente, ed in particolare quelle ascrivibili ai codici gestionali SIOPE da 2139 a 2332, che fanno riferimento ai trasferimenti in conto capitale ad amministrazioni, ad imprese ed altri soggetti.
Ai fini della distribuzione del rimanente importo della esclusione, sia quello restante per l’anno 2014 (150 milioni) che quello previsto per il 2015 (100 milioni), i comuni, le province e le regioni sono tenuti a comunicare al Ministero dell’economia e delle finanze entro il termine perentorio del 30 settembre 2014 gli spazi finanziari di cui necessitano per sostenere i pagamenti di debiti nel 2014 ed entro il termine perentorio del 28 febbraio 2015 gli spazi finanziari di cui necessitano per sostenere i medesimi pagamenti nel 2015 (comma 6). La comunicazione è effettuata tramite il sito web «http://certificazionecrediti. mef.gov.it». Partecipano al riparto soltanto gli enti le cui comunicazioni risultano pervenute entro il predetto termine.
Sulla base delle comunicazioni pervenute, rispettivamente entro il 10 ottobre 2014 e il 15 marzo 2015, con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, sono individuati per ciascun ente locale, su base proporzionale, gli importi dei pagamenti da escludere dal patto di stabilità interno per ciascuno degli anni 2014 e 2015.
Il comma 7 interviene sulla disposizione della legge di stabilità 2012 che ha introdotto, per incentivare gli investimenti degli enti locali, l’esclusione dal calcolo del saldo rilevante ai fini del patto di stabilità interno dei pagamenti in conto capitale sostenuti dalle province e dai comuni nell’anno 2014, per un importo complessivo di 1.000 milioni di euro (di cui 850 milioni di euro ai comuni e 150 milioni di euro alle province).
Si
ricorda che il comma 9-bis nell’articolo 31 della legge n.
183/2011 –introdotto dall’articolo 1, comma 535, della legge n. 147/2013 -
ha disposto, nell’ambito della disciplina del patto di stabilità interno degli
enti locali, l’esclusione dal computo del saldo finanziario, in termini di
competenza mista, rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di
stabilità interno per gli enti locali per il 2014, i pagamenti in conto
capitale sostenuti dalle province e dai comuni. Ai fini della distribuzione
degli importi da escludere dal patto tra i singoli enti locali, il comma
prevede l’assegnazione a ciascun ente di uno spazio finanziario calcolato in
proporzione all'obiettivo di saldo finanziario fino a concorrenza dell’importo
complessivamente messo a disposizione (1.000 milioni). La norma precisa,
altresì, che gli enti locali sono
tenuti ad utilizzare tali maggiori spazi finanziari esclusivamente per
pagamenti in conto capitale da sostenere nel primo semestre del 2014 dandone
evidenza in sede di monitoraggio.
Le modifiche apportate dal comma 7 in esame sono volte a precisare che l’esclusione dal computo del saldo riguarda soltanto i pagamenti effettuati nei primi sei mesi dell’anno 2014 (e non tutti quelli effettuati nel corso dell’anno) e che gli spazi finanziari resi disponibili dalla predetta esclusione, operante nel primo semestre, devono essere utilizzati dagli enti interessati per pagamenti in conto capitale da sostenere nel corso dell’intero anno 2014, e non soltanto nel primo semestre.
Si evidenzia che, sulla base dei dati di monitoraggio del patto di stabilità interno relativi al primo semestre 2014[39], la relazione tecnica evidenzia un mancato utilizzo degli spazi finanziari attribuiti agli enti locali sulla base delle disposizioni qui citate, per un importo pari a 50 milioni di euro.
Il comma 8 dispone il rifinanziamento, nella misura di 250 milioni di euro per l’anno 2014, in termini di sola competenza (vale a dire in termini di solo saldo netto da finanziare), dell’autorizzazione di spesa finalizzata alla prosecuzione degli interventi per la ricostruzione privata nei territori della regione Abruzzo, colpiti dagli eventi sismici del 6 aprile 2009, al fine di consentire la prosecuzione della concessione dei contributi finalizzati alla ricostruzione in Abruzzo, provvedendo, altresì, alla relativa copertura finanziaria.
Il comma provvede, altresì, alla relativa copertura finanziaria, a valere:
- quanto a 29 milioni di euro per l’anno 2014, su quota parte dei proventi per interessi derivanti dalla sottoscrizione dei Nuovi Strumenti Finanziari, di cui agli articoli da 23-sexies a 23-duodecies del D.L. n. 95/2012, non necessari al pagamento degli interessi passivi da corrispondere sui titoli del debito pubblico emessi ai fini dell’acquisizione delle risorse necessarie alla predetta sottoscrizione che, a tal fine, sono versati all’entrata del bilancio dello Stato;
- quanto a 221 milioni di euro per l’anno 2014 su quota parte delle somme versate all’entrata del bilancio dello Stato derivanti dalle sanzioni amministrative irrogate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ai sensi dell’art. 148 della legge finanziaria per il 2001, che alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge non risultano ancora riassegnate alla spesa.
Per la compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e di indebitamento netto derivanti dal rifinanziamento disposto dal comma in esame si veda il successivo comma 9.
Il comma 9, infatti, reca la norma di compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e di indebitamento netto derivanti dalle disposizioni recate dai commi 3, 5 e 8 dell’articolo in esame, quantificati in complessivi 450 milioni per il 2014, 180 milioni per il 2015, 100 milioni per il 2016 e 70 milioni per il 2017.
Si tratta, in particolare, degli effetti finanziari derivanti:
- dall’esclusione dei pagamenti effettuati dagli enti territoriali dai vincoli del patto di stabilità interno, ai sensi dei commi 3 e 5, pari a 450 milioni per il 2014 (di cui 250 milioni ai sensi del comma 3 e 200 milioni ai sensi del comma 5) e a 100 milioni per il 2015 (comma 5);
- dal rifinanziamento degli interventi di ricostruzione in Abruzzo disposto dal precedente comma 8, che vengono quantificati, nella relazione tecnica, in termini di indebitamento netto e di fabbisogno, pari a 80 milioni per il 2015, 100 milioni per il 2016 e a 70 milioni per il 2017.
Si evidenzia che rispetto alla copertura finanziaria fornita dal comma 8, la compensazione in termini di indebitamento netto e di fabbisogno fa riferimento alla effettiva spendibilità delle risorse autorizzate in conto competenza nell’importo di 250 milioni nel 2014, dal comma 8 medesimo.
Alla compensazione di tali effetti complessivi si provvede:
a) quanto a 29 milioni per l’anno 2014, mediante l’utilizzo dei proventi per interessi derivanti dalla sottoscrizione dei Nuovi Strumenti Finanziari, di cui agli articoli da 23-sexies a 23-duodecies del D.L. n. 95/2012, non necessari al pagamento degli interessi passivi da corrispondere sui titoli del debito pubblico emessi ai fini dell’acquisizione delle risorse necessarie alla predetta sottoscrizione che, a tal fine, sono versati all’entrata del bilancio dello Stato;
b) quanto a 221 milioni per l’anno 2014, mediante utilizzo delle somme versate all’entrata del bilancio dello Stato derivanti dalle sanzioni amministrative irrogate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ai sensi dell’articolo 148 della legge finanziaria per il 2001 (legge n. 388/2000), che alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge non risultano ancora riassegnate alla spesa e che vengono, pertanto, acquisite, nel predetto limite di 221 milioni, definitivamente al bilancio dello Stato;
c) quanto a 150 milioni di euro per l’anno 2014, 180 milioni per l’anno 2015, 100 milioni per l’anno 2016 e 70 milioni per l’anno 2017, mediante corrispondente utilizzo del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all’attualizzazione di contributi pluriennali.
Il Fondo per la compensazione degli effetti finanziari, istituito, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del D.L. n. 154 del 2008, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia (cap. 7593), è finalizzato a compensare gli effetti negativi scaturenti, in termini di cassa, da specifici contributi di importo fisso costante con onere a carico dello Stato, concessi in virtù di autorizzazioni legislative;
d) quanto a 50 milioni per l’anno 2014, a valere sugli spazi finanziari concessi e non utilizzati al 30 giugno 2014 dagli enti locali, per l’effettuazione di spese in conto capitale in deroga ai vincoli del patto di stabilità interno, di cui al comma 9-bis dell’articolo 31 della legge 12 novembre 2011, n. 183 (sul punto, si veda quanto già detto al comma 7).
Articolo
16
(Misure di agevolazioni per gli investimenti privati
nelle strutture ospedaliere)
L’articolo 16 prevede due deroghe per la Regione Sardegna, esclusivamente per il triennio 2015-2017, allo scopo di favorire, in via sperimentale, la partecipazione di un investimento straniero da realizzarsi nell’ospedale ex San Raffaele di Olbia (v. box):
- alla Regione Sardegna è consentito, per il triennio in questione, di non tenere conto dei criteri dettati dall’art. 15, co. 13, lett. c), del DL 95/2012 (L. 135/2012), in tema di riduzione dello standard dei posti letto accreditati nel predetto ospedale ed effettivamente a carico del servizio sanitario regionale; in ogni caso la Regione deve assicurare, mediante la trasmissione della necessaria documentazione al Ministero della salute, l’approvazione di un programma di riorganizzazione delle rete ospedaliera volta a garantire, a decorrere dal 1° gennaio 2018, il rispetto dei parametri nazionali previsti includendo nel computo anche quelli relativi al nuovo ospedale di Olbia (comma 1);
L’art. 15, co. 13, lett. c) del citato DL. 95/2012 ha disposto la riduzione dello standard di posti letto ospedalieri accreditati ed a carico del servizio sanitario regionale ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti (precedentemente il livello era di 4 posti letto ogni mille abitanti), comprensivi di 0,7 posti letto per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie, come peraltro previsto dall’Intesa del Patto per la Salute 2010-2012 sancita il 3 dicembre, con un conseguente adeguamento delle dotazioni organiche dei presidi ospedalieri. La regione Sardegna ha recepito la misura indicata con legge regionale n. 21 del 2012.
- la Regione è autorizzata, inoltre, nel medesimo triennio, ad incrementare fino al 6% il tetto di incidenza della spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie fornite da soggetti privati, stabilito all’art. 15, co. 14, del citato DL 95/2012. Tale incremento è da realizzare in attesa dell’adozione del provvedimento di riorganizzazione della rete ospedaliera indicato al precedente comma 1 (comma 2).
Il citato comma 14 dell’art. 15, DL 95/2012 stabilisce
una riduzione della spesa
complessiva annua dello 0,5 per cento per il 2012, dell’1 per cento per il 2013
e del 2 per cento dal 2014, rispetto al valore di spesa consuntivato nel 2011,
per l’acquisto di prestazioni sanitarie di assistenza specialistica ambulatoriale e
di assistenza ospedaliera, fornite
da privati accreditati. Per conseguire tale obiettivo, la Regione o la
Provincia autonoma applica, a tutti i contratti ed accordi previsti dall’art.
8-quinquies del D.Lg. n. 502/1992 di
attuazione del riordino della disciplina in materia sanitaria, o agli eventuali
atti di programmazione, vigenti nel 2012, una riduzione, in percentuale fissa,
del volume delle attività prestate e del relativo importo erogato. La misura di
contenimento della spesa si aggiunge alle misure adottate dalle Regioni o dalle
Province autonome. Ai sensi dell’articolo 17, co. 1, lett. a), terzo periodo,
del DL 98/2011 (L. 111/2011), inoltre, la rideterminazione della spesa
conseguita nel 2012 costituisce il parametro per la riduzione della spesa
sanitaria regionale riguardante gli acquisti delle prestazioni sanitarie presso
gli operatori privati accreditati, a partire dall’esercizio 2013.
In merito ai profili
finanziari, i maggiori oneri derivanti dalle deroghe concesse in via per il
solo triennio 2015-2017 sono in ogni caso finanziati
da risorse aggiuntive a carico della Regione.
Si ricorda infatti che, ai sensi dell’art. 1, co. 836,
della L. 296/2006, la Regione Sardegna provvede, a decorrere dal 2007, al
finanziamento del proprio fabbisogno sanitario senza alcun apporto a carico del
bilancio dello Stato.
In proposito si ricorda che il 12
dicembre 2013, la Regione Sardegna
aveva già siglato, insieme alla Qatar Foundation e all’Ospedale Bambino Gesù, una
manifestazione di intenti per l’attivazione, nell’Ospedale ex San Raffaele di
Olbia - struttura mai completamente realizzata e, pertanto, mai attivata, anche
a causa dell’avvio di una procedura di concordato preventivo - di un presidio
ospedaliero ad alta qualificazione sanitaria per l’area di Olbia-Tempio e, con
apposita intesa, di un polo di ricerca
a vocazione pediatrica. A tale atto è seguita, il 16 maggio 2014, un’intesa per l’attivazione di un tavolo tecnico sanitario per la
specifica definizione dei contenuti dell’offerta e dell’attività del nuovo
ospedale e del polo di ricerca nell’area territoriale della Gallura.
Il 22 maggio 2014, inoltre, è stato sottoscritto un protocollo
d’intesa tra il Governo, la Regione
autonoma della Sardegna e la Qatar
Foundation Endowment – ente privato
non-profit che opera, tra l’altro,
nel campo della ricerca scientifica e della salute -per l’acquisizione della struttura ospedaliera privata di proprietà
dell’IRCCS Fondazione San Raffaele del Monte Tabor, a seguito del quale, il 25 giugno 2014, il Governo ha
assunto l’impegno, con nota
congiunta del Sottosegretario e del Ministro della salute (v. anche audizione
del Ministro della
Salute nell’audizione presso la Commissione XII, 22 luglio 2014) di intervenire
per introdurre, mediante provvedimento di urgenza, le deroghe recate dall’articolo in esame per il triennio 2015-2017.
Dopo l’intesa, la Giunta della
Regione Sardegna ha approvato la deliberazione n.
24/1 del 26 giugno 2014 preliminare all’avvio delle procedure per
l’attivazione dell’ospedale e del polo di ricerca nell’area territoriale della
Gallura, cui ha fatto seguito l’8 luglio 2014, l’approvazione definitiva con deliberazione n.
26/8.
Dai dati riportati nell’audizione
del Ministro per la salute del 22 luglio (v. ante) risulta che per tale struttura si prevede un’offerta nel
settore della degenza, dell’attività specialistica e ambulatoriale e dei
servizi sanitari, caratterizzata inoltre da attività di riabilitazione ad alta
intensità neurologica e centro di eccellenza della medicina sportiva. Le
attività, da avviare a marzo 2015, dovrebbero riguardare inizialmente 178 posti letto – di cui 108 per acuti e 70 per
post-acuti -, subordinatamente al rilascio dell’autorizzazione
dell’accreditamento istituzionale. Al termine di un anno dall’avvio
dell’attività è previsto il completamento dell’offerta assistenziale con
l’attivazione di un numero fino a 242
posti letto accreditati.
In base a quanto rilevato dalla missione di studio a Cagliari e Olbia da parte di una delegazione della Commissione Affari sociali della Camera, in merito al completamento e al rilancio dell’ex Ospedale San Raffaele (v. comunicazioni del presidente della Commissione XII, 23 luglio 2014) i costi dell’operazione da parte dell’investitore privato sono stati stimati intorno ad 1 miliardo di euro, dei quali, nell’ambito della stessa missione, sono stati chiesti chiarimenti circa i modi e i tempi di recupero.
Articolo
41, commi 1-4
(Disposizioni urgenti in materia di trasporto pubblico locale nella regione
Calabria)
I commi da 1 a 4 dell’articolo 41 intervengono in materia di risorse per il trasporto pubblico locale nella Regione Calabria per consentire la rimozione dello squilibrio finanziario derivante dagli oneri relativi all'esercizio 2013 posti a carico del bilancio della regione e concernenti i servizi di trasporto pubblico regionale e locale, nonché per assicurare per il biennio 2014-2015 un contributo straordinario per la copertura dei costi del sistema di mobilità regionale di trasporto pubblico locale.
Le disposizioni in commento risultano di identico contenuto
dell’articolo 3 della proposta di legge C. 2256, già approvata dal Senato ed
attualmente all’esame della V Commissione Bilancio della Camera; a sua volta
l’articolo 3 dell’A.C. 2256 riprende sostanzialmente il contenuto dei commi da
2-bis a 2-quinquies dell’articolo 1 del disegno di legge C. 1906 di conversione
del decreto-legge n. 126/2013, inseriti nel corso dell’iter di conversione al
Senato (l’iter si è poi interrotto alla Camera e il provvedimento non è stato
convertito).
In particolare, il comma 1 autorizza la regione Calabria a utilizzare le risorse ad essa assegnate a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo di programmazione 2007-2013, nel limite di 40 milioni di euro per il 2014 (di cui 20 milioni a copertura degli oneri relativi all'esercizio 2013), e di 20 milioni di euro per il 2015, quale contributo straordinario per la copertura dei costi del sistema di mobilità regionale di trasporto pubblico locale.
L’utilizzo di tali risorse viene però condizionato alla implementazione delle misure previste dall’art. 16-bis del D.L. n. 95 del 2012, per un più rapido raggiungimento degli obiettivi di riduzione dei costi rispetto ai ricavi effettivi, in linea con quanto stabilito con il decreto legislativo n. 422 del 1997. Il riferimento è ad uno dei criteri di efficientamento dei servizi di trasporto pubblico locale a cui viene espressamente condizionata, l’erogazione di una quota del Fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale, in base al D.P.C.M. 11 marzo 2013 che ha definito i criteri per la ripartizione del Fondo in questione.
Si condiziona inoltre tale utilizzo alla integrazione da parte della regione Calabria, entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge, del piano di riprogrammazione di cui al medesimo articolo 16-bis, da approvarsi con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
Si ricorda che l’art. 16-bis del D.L. n. 95 del 2012 ha previsto l’emanazione con D.P.C.M. dei criteri e modalità di ripartizione e trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle risorse del Fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale, anche ferroviario prevedendo che le risorse di detto Fondo e quelle derivanti dalla compartecipazione al gettito dell'accisa sul gasolio non possano essere destinate a finalità diverse dal finanziamento del trasporto pubblico locale, compreso quello ferroviario. Il D.P.C.M. è stato emanato l’11 marzo 2013 (Gazzetta Ufficiale del 26 giugno 2013) ed ha previsto che le risorse stanziate sul Fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale siano ripartite entro il 30 giugno di ciascun anno con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e finanze, da emanare, sentita la Conferenza Unificata. La ripartizione è effettuata per il 90% sulla base delle percentuali fissate nella Tabella 1 del decreto e per il residuo 10% in base alle medesime percentuali ma subordinatamente alla verifica del raggiungimento degli obiettivi di efficientamento del servizio: a) un'offerta di servizio più idonea, più efficiente ed economica per il soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico; b) il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi; c) la progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e il corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata; d) la definizione di livelli occupazionali appropriati; e) la previsione di idonei strumenti di monitoraggio e di verifica. A titolo di anticipazione il 60% delle risorse viene ripartito ed erogato alle regioni sulla base delle percentuali della Tabella 1, mentre Il residuo 40%, al netto delle eventuali riduzioni conseguenti al mancato raggiungimento degli obiettivi, viene erogato su base mensile a decorrere dal mese di agosto di ciascun anno. Le regioni provvedono poi ai corrispondenti trasferimenti agli enti locali.
Con D.P.C.M. 26 luglio 2013 è stata inoltre determinata l'aliquota di compartecipazione alle accise sulla benzina e sul gasolio per autotrazione che alimenta il Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle Regioni a statuto ordinario, fissata al 19,7 per cento per l'anno 2013.
Si segnala altresì che recentemente era intervenuto in materia anche l’art. 25, comma 11-sexies del D.L. n. 69 del 2013 che ha autorizzato la regione Calabria ad attingere, nel limite massimo di 40 milioni di euro per il biennio 2013-2014, alle risorse del Fondo sviluppo e coesione assegnate alla Calabria per il cofinanziamento nazionale delle politiche di coesione dell’Unione europea per operazioni di potenziamento del sistema di mobilità regionale su ferro, compreso l’acquisto di materiale rotabile automobilistico e ferroviario. La norma ha previsto che le risorse vengano rese disponibili previa rimodulazione degli interventi previsti nell’ambito della programmazione regionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione.
Con il successivo comma 2 si definiscono le caratteristiche del piano di riprogrammazione che dovrà prevedere:
§ il contenimento dei corrispettivi a treno/km prodotti, attuato tramite iniziative di razionalizzazione dell'offerta e riqualificazione dei servizi;
§ misure di efficientamento coerenti, per il servizio ferroviario, con i corrispettivi medi a treno/km registrati nelle regioni e, per il servizio su gomma, un corrispettivo medio a bus/km che rispecchia la media rilevata nelle principali regioni italiane;
§ la fissazione di tariffe che tengano conto della tariffa media applicata a livello nazionale per passeggero/km;
§ un rapporto tra ricavi da traffico e corrispettivo da regione non inferiore al 20 per cento.
Il piano dovrà inoltre dimostrare che, stante le misure di efficientamento adottate e tenuti fermi gli standard di qualità, la prosecuzione nell'erogazione del servizio di trasporto pubblico locale dall'anno 2016 avviene senza ulteriori contributi straordinari. Per l'erogazione del contributo straordinario relativo alle annualità 2014 e 2015 la regione Calabria dovrà dimostrare l'effettiva attuazione delle misure previste in termini di diminuzione del corrispettivo necessario a garantire l'erogazione del servizio per le rispettive annualità.
Con il comma 3 si stabilisce poi che le risorse siano rese disponibili, entro il predetto limite di 60 milioni di euro complessivi, previa rimodulazione degli interventi già programmati a valere sulle predette risorse.
Il comma 4 prevede infine che per il 2014, le risorse finalizzate alla copertura degli oneri relativi all'esercizio 2013 siano disponibili nel limite di 20 milioni previa delibera della Giunta regionale di rimodulazione delle risorse ad essa assegnate, a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione, adottata su parere favorevole dei Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti, dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico, previa presentazione del piano di riprogrammazione.
Articolo
41, comma 5
(Disposizioni urgenti in materia di trasporto pubblico locale nella regione
Campania)
Il comma 5 dell’articolo 41 differisce al 31 dicembre 2015 il blocco, scaduto il 30 giugno 2014, delle azioni esecutive nei confronti delle imprese esercenti il trasporto ferroviario regionale nella regione Campania ed interessate dal piano di rientro dalla situazione di disavanzo.
Si ricorda infatti che il D.L. n. 16 del 2014 aveva già disposto, all’articolo 17 comma 5 il blocco delle azioni esecutive, anche concorsuali, fino al 30 giugno 2014 in relazione alla particolare situazione del trasporto ferroviario regionale campano. La norma prevedeva il blocco:
a) nei confronti delle società a partecipazione regionale esercenti il trasporto ferroviario regionale (già considerate dall’articolo 16, comma 7, del decreto-legge n. 83/2012);
b) nei confronti delle somme anticipate alla regione Campania per il pagamento dei debiti dell’amministrazione regionale e destinate anche al piano di rientro nel settore del trasporto ferroviario regionale campano, ai sensi dell’articolo 11, comma 13, del decreto-legge n. 76/2013;
c) nei confronti delle risorse dell’incremento dell’addizionale regionale IRPEF e IRAP che, a decorrere dal 2013, sono incrementate per finanziare il medesimo piano di rientro, ai sensi dell’articolo 16, comma 9, del decreto-legge n. 83/2012;
d) nei confronti delle somme del fondo di rotazione per la concessione di anticipazioni alle regioni in situazione di squilibrio finanziario, istituito dall’art. 1, co. 9-bis del decreto-legge n. 174/2012 e destinato, ai sensi della medesima disposizione, anche al finanziamento del piano di rientro della regione Campania nel settore del trasporto regionale ferroviario.
Il blocco delle azioni esecutive e dei pignoramenti in relazione alla situazione del trasporto ferroviario regionale campano era stato dapprima stabilito dall’articolo 16, comma 7, del decreto-legge n. 83/2012, per un periodo di dodici mesi, fino al 27 giugno 2013. Successivamente l’articolo 1, comma 177, della legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012) aveva esteso il blocco a tutto il 2013.
Si ricorda che i commi da 5 a 10 dell’art. 16 del decreto-legge n. 83/2012 hanno delineato una procedura di accertamento dei disavanzi e una conseguente procedura di definizione dei piano di rientro, da realizzarsi nel termine di 5 anni, necessarie a riorganizzare e riqualificare il sistema di mobilità regionale su ferro della Regione Campania (comma 5). Il comma 6, per garantire la continuità dell'erogazione dei servizi di trasporto pubblico regionale, consente al Commissario ad acta, nominato ai sensi dell’articolo 14 del decreto-legge n. 78/2010 per il riordino delle società partecipate della regione Campania, nelle more dei tre mesi previsti per la predisposizione del piano di rientro, di adottare ogni atto necessario ad assicurare lo svolgimento della gestione del servizio da parte di un unico gestore a livello di ambito o bacino territoriale ottimale, coincidente con il territorio della Regione, con il vincolo di garantire comunque il principio di separazione tra la gestione del servizio e la gestione e manutenzione delle infrastrutture.
La norma del comma 5 in commento non consente pertanto, fino al 31 dicembre 2015, di intraprendere e proseguire azioni esecutive, anche concorsuali, compresi gli atti di intervento nelle procedure pendenti, nei confronti delle società ferroviarie regionali, nonché prevede l’impignorabilità delle risorse destinate alla copertura del piano di rientro della Regione Campania.
Il comma 5 prevede inoltre che i pignoramenti effettuati non vincolino gli enti debitori e i terzi pignorati, pertanto questi soggetti possono disporre delle somme per le finalità istituzionali delle società di trasporto pubblico locale.
Articolo
42
(Disposizioni in materia di finanza delle Regioni)
L'articolo 42 opera diversi interventi
concernenti la finanza regionale, disponendo:
§ in relazione al contributo alla finanza
pubblica delle regioni a statuto ordinario di cui al DL 66/2014, anticipa dal
31 ottobre al 30 settembre il termine per l'intesa in Conferenza Stato-Regioni
per l'anno 2015 e seguenti e dà attuazione all'attuazione
all'intesa sancita in Conferenza Stato-Regioni il 29 maggio 2014, in relazione
al contributo per il 2014, convenuto dalle regioni in una riduzione della spesa
(in termini di all'indebitamento netto) per 500 milioni per il 2014. (comma
1);
§ posticipa alcuni termini in relazione
al patto orizzontale tra le regioni (comma
2) e al “patto regionale verticale” tra le regioni e gli enti locali del
proprio territorio (comma 3);
§ in relazione all'ulteriore concorso
agli obiettivi di finanza pubblica per le regioni a statuto ordinario di cui
alla legge di stabilità 2014, posticipa dal 30 aprile al 31 ottobre 2014 il
termine entro cui, in caso di mancato pagamento, gli importi dovuti da ciascuna
regione sono sottratti dalle risorse dovute dallo Stato alla regione medesima (comma 4);
§ definisce gli obiettivi del patto di
stabilità della Regione siciliana per gli anni 2014-2017, in attuazione dell'accordo
del 9 giugno 2014, dando altresì attuazione alla sentenza della
Corte costituzionale n. 241 del 2013 circa la illegittimità delle riserve
all'erario sulle entrate tributarie spettanti alla Regione (commi
5-8);
§ stabilisce gli obiettivi del patto di
stabilità della Regione Sardegna per gli anni 2014-2017, in attuazione
dell'accordo del 21 luglio 2014: a tal fine determina l’importo dell’obiettivo
per il 2014, disponendo nel contempo che a decorrere dal 2015 l’obiettivo
medesimo dovrà essere il pareggio di bilancio (commi 9-13).
Il comma 1 concerne il contributo alla finanza pubblica delle regioni a statuto ordinario disposto dall'articolo 46, commi 6 e 7, del decreto legge 66/2014 e pari complessivamente a 500 milioni di euro per l'anno 2014 e a 750 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017.
Secondo quanto disposto dal citato comma 6, le regioni
possono decidere gli ambiti di spesa sui quali incidere per realizzare il
risparmio e l'ammontare del risparmio riferito a ciascuna regione mediante
intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni. Le somme così stabilite (comma 7)
andranno sottratte al limite di spesa fissato per il patto di stabilità
interno.
La norma in esame (primo periodo) anticipa il termine, dal 31 ottobre al 30 settembre 2014, entro cui le regioni possono concordare in sede di Conferenza Stato-Regioni .gli ambiti di spesa sui quali incidere per realizzare il risparmio e l'ammontare del risparmio riferito a ciascuna regione, in relazione agli anni 2015 e seguenti.
La norma inserisce, inoltre, dopo il citato articolo 46, comma 7, i commi 7-bis, 7-ter e 7-quater al fine di dare attuazione all'intesa sancita in Conferenza Stato-Regioni il 29 maggio 2014[40], in relazione al contributo alla finanza pubblica per il 2014, di 500 milioni di euro.
Le regioni hanno concordato di realizzare il concorso alla riduzione della spesa per un valore complessivo di 500 milioni per il 2014 (ai fini all'indebitamento netto), attraverso la rinuncia a determinate deroghe al patto di stabilità previste dalla legislazione vigente. Il comma 7-bis dispone quindi che le risorse stanziate dalla legge di stabilità 2014 ed attualmente escluse dal patto di stabilità, devono essere spese dalle regioni, nei limiti dell'obiettivo programmatico già fissato (e come modificato dal successivo comma 7-quater). Si tratta di contributi che le regioni ricevono al fine di finanziare particolari settori:
a) scuole paritarie, per 100 milioni
di euro; la deroga è stabilita dall'art. 1 comma 260 della
legge 147/2013 (legge di stabilità 2014). La norma esclude le spese per il
sostegno alle scuole paritarie effettuate dalle regioni con le risorse ad esse
attribuite dallo Stato (pari complessivamente a 220 milioni di euro) dal
computo ai fini del patto di stabilità interno per il 2014, nel limite di 100
milioni di euro;
b) borse di studio
universitarie, per 150 milioni di euro; il Fondo
integrativo statale per la concessione di borse di studio universitarie (art.
18, co. 1, lett. a), del d.lgs. 68/2012), è stato incrementato di 100 milioni di
euro annui, a decorrere dal 2014, dall'art. 2, comma 1 del D.L. 104/2013 (legge
128/2013) e di 50 milioni di euro dall'articolo 1, comma 259 della L. 147/2013
(legge di stabilità 2014); il citato art. 2 della del D.L. 104/2013, al comma 2
ha escluso dai limiti del patto di stabilità i pagamenti effettuati dalle
regioni con le risorse statali del Fondo integrativo;
c) contributi e benefici a
favore degli studenti, anche con disabilità, per 15 milioni di euro, stanziati dall'articolo 1
del decreto legge 104/2013 (legge 128/2013); il comma 4 del medesimo articolo 1
esclude dal patto di stabilità la corrispondente spesa regionale;
d) fondo per il diritto al
lavoro dei disabili, per un
importo pari a 20 milioni di euro, corrispondente allo stanziamento per il
2014, effettuato dall'articolo 9, comma 4-bis, del
decreto legge 76/2013 (legge 99/2013),
e) libri di testo, per 80 milioni di euro; l'art. 23, comma 5, del
D.L. 95/2012 (l. 135/2012) ha autorizzato, a decorrere dal 2013, la spesa di 103 milioni di
euro per la fornitura gratuita dei libri di testo
in favore degli alunni che adempiono l'obbligo scolastico, ovvero in comodato
agli studenti della scuola secondaria superiore;
f) materiale rotabile per 135 milioni di euro; la legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 83) ha incrementato il fondo per l’acquisto dei veicoli del trasporto pubblico locale istituito dall’articolo 1, comma 1031 della legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006) di 300 milioni di euro per il 2014 e 100 milioni di euro per il 2015 e 2016 per l’acquisto di materiale rotabile su gomma e ferroviario, nonché di vaporetti e ferry-boat, da destinare al trasporto pubblico locale; la medesima norma esclude i relativi pagamenti dal patto di stabilità interno nel limite del 45 per cento dell'assegnazione di ciascuna regione per l'anno 2014 e integralmente per gli anni 2015 e 2016.
Il comma 7-ter stabilisce che ciascuna regione certifica di aver effettuato le suddette spese, nell'ambito delle certificazioni di rito per la verifica del patto di stabilità, come disciplinate dal comma 461 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2013. In caso di mancato pagamento la regione è tenuta a versare al bilancio dello Stato la somma corrispondente.
In conseguenza della rinuncia alle deroghe al patto di stabilità sopra illustrate, il comma 7-quater stabilisce che per l'anno 2014 non si applicano le esclusioni dai vincoli del patto concernenti:
§ le scuole paritarie per 100 mln. di euro (L. 147/2013 art. 1, comma 260),
§ le borse di studio universitarie (D.L. 104/2013, art 2 e legge 147/2013 art. 1, comma 259)
§ i contributi per gli studenti, anche disabili (D.L. 104/2013, art 1)
§ il materiale rotabile (legge 147/2013, art. 1, comma 83).
Quelle elencate sono le voci di spesa che la normativa vigente effettivamente esclude dal patto di stabilità.
Nel caso delle altre due voci di spesa - fondo per il diritto al lavoro dei disabili e libri di testo - invece, non vi è, nella normativa vigente, una esclusione dal patto di stabilità della corrispondente spesa regionale.
In
proposito si rileva che poiché tali due voci di spesa rientrano già nella
disciplina del patto, non risultano chiare le ragioni in base alle quali
l’effettuazione di tali spese, consentita dalla norma in commento, sia in grado di produrre effetti finanziari
positivi ai fini del conseguimento dell’obiettivo di 500 milioni cui è
finalizzata la norma medesima.
A tale riguardo andrebbe meglio dettagliato quanto affermato sul punto dalla relazione tecnica, secondo cui tali spese, già scontate nei tendenziali, determinano effetti positivi di indebitamento netto.
Per l'anno 2014, infine, non trova applicazione il comma 7 del citato articolo 46, il quale dispone che gli importi imputati a ciascuna regione in sede di intesa al fine del concorso agli obiettivi di finanza pubblica (il risparmio richiesta a ciascuna regione dal citato art. 46, comma 6), dovranno essere sottratti dal limite di spesa fissato per il patto di stabilità.
Si ricorda al riguardo che il comma 449-bis dell'articolo 1 della legge di stabilità 2013 (come modificato dal comma 497 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014) individua, in apposita tabella, per ciascuno degli anni dal 2014 al 2017, l’obiettivo del patto di stabilità interno espresso in termini di competenza eurocompatibile di ciascuna regione a statuto ordinario.
In sostanza le regioni, con l'intesa sottoscritta il 29 maggio hanno concordato – possibilità prevista dalla legge - una diversa modalità di attuare il risparmio richiesto, anziché attraverso una riduzione dei limiti di spesa del patto di stabilità, attraverso la rinuncia a determinate deroghe.
Il comma 2 riguarda il patto orizzontale tra le regioni, vale a dire la possibilità che le regioni a statuto speciale e le regioni a statuto ordinario si scambino spazi finanziari nel rispetto dei saldi di finanza pubblica definiti complessivamente. Previsto dal comma 517, art. 1, della legge di stabilità 2014 e fino ad ora non attuato, la norma posticipa il termine per la definizione dell'accordo da definire in sede di Conferenza Stato-Regioni, dal 30 giugno al 15 ottobre 2014.
Il comma 3 concerne il “patto regionale verticale” (disciplinato dall’articolo 1, commi 138-140, della 220/2010, legge di stabilità 2011) secondo il quale le regioni possono autorizzare gli enti locali del proprio territorio a peggiorare il loro saldo obiettivo, consentendo un aumento dei pagamenti in conto capitale, e procedere contestualmente alla rideterminazione del proprio obiettivo di risparmio, in termini di competenza euro compatibile, per un ammontare pari all'entità complessiva dei pagamenti in conto capitale autorizzati, al fine di garantire – considerando insieme regione ed enti locali - il rispetto degli obiettivi finanziari.
La procedura prevede
che gli enti locali devono comunicare all’ANCI, all’UPI e alle regioni e
province autonome, entro il 1 marzo
di ciascun anno, l’entità dei pagamenti che possono effettuare nel corso
dell’anno. Le regioni, entro il termine perentorio del 31 marzo, comunicano i nuovi obiettivi agli enti locali interessati
dalla compensazione verticale. I due termini sono stati anticipati, da ultimo,
dalla legge di stabilità 2014, art. 1, comma 543; la norma in esame posticipa questi due termini, limitatamente
al 2014, rispettivamente al 30
settembre e 15 ottobre.
Il comma 4 concerne l'ulteriore concorso agli obiettivi di finanza pubblica per le regioni a statuto ordinario determinato dai commi 522-527, art. 1, legge di stabilità 2013 per un complessivo importo di 560 milioni di euro, in termini di saldo netto da finanziare. Ciascuna regione è tenuta a versare ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio statale, entro il 31 marzo 2014, la somma indicata nella tabella allegata alla legge di stabilità. Il comma 525, dispone che in caso di mancato versamento, gli importi dovuti da ciascuna regione sono sottratti dalle risorse dovute dallo Stato alla regione medesima, entro il termine del 30 aprile 2014. Non possono essere soggette a tagli le risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale, delle politiche sociali e per le non autosufficienze e del trasporto pubblico locale. La regione può indicare alla Ragioneria Generale dello Stato quali risorse tagliare entro il 15 aprile 2014.
La norma in esame posticipa il termine entro cui, in caso di mancato pagamento, gli importi dovuti da ciascuna regione sono sottratti dalle risorse dovute dallo Stato alla regione medesima, dal 30 aprile al 31 ottobre. Viene inoltre inserita una ulteriore disposizione secondo la quale, fino alla individuazione delle risorse da tagliare alla regione inadempiente, il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato ad accantonare e a rendere indisponibili le voci di spesa indicati con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze.
I commi da 5 a 8 riguardano i rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione siciliana. Le norme danno attuazione all'accordo sottoscritto con la Regione il 9 giugno 2014, nell'ambito della definizione del patto di stabilità interno per il 2013.
La disciplina del patto di stabilità per le regioni a
statuto speciale è dettata dai commi 454-459 dell'unico articolo della legge di
stabilità 2013, con le modifiche apportate dalla legge di stabilità 2014 e dal
decreto legge 66/2014.
Il comma 454 definisce gli obiettivi di risparmio, in
termini di competenza eurocompatibile, calcolati sul complesso delle spese
finali per le regioni Valle d'Aosta, Friuli-Venezia
Giulia, Sicilia e Sardegna. Le norme (ultimi due periodi) confermano la
necessità, per ciascun ente, di concordare con il Ministero dell'economia e
delle finanze per ciascuno degli anni dal 2013 al 2017, l'obiettivo specifico.
Questo dovrà essere calcolato sottraendo alle spese finali 2011, le voci di
spesa elencate al comma stesso che rappresentano i diversi contributi richiesti
alle autonomie speciali a partire dalla legge di stabilità 2012:
§ a) gli importi indicati per
il 2013 nella tabella inserita nel
comma 10 dell'articolo 32 della legge di
stabilità 2012, per complessivi 2.500 milioni di euro;
§ b) il contributo previsto
dall'articolo 28, comma 3, del D.L.
201/2011, vale a dire la 'riserva
all'erario' del maggior gettito derivante dall'aumento dell'addizionale
IRPEF, disposta dal comma 1 del medesimo articolo 28, per complessivi 920
milioni di euro. A decorrere dal 2012, le autonomie speciali devono
versare all'erario, 860 milioni di euro annui e le regioni Friuli Venezia
Giulia, Valle d'Aosta e le due Province autonome di Trento e di Bolzano anche
60 milioni di euro annui da parte dei comuni ricadenti nei propri territori. Fino
all'emanazione delle norme di attuazione; il risparmio di 920 milioni di euro
dovrà essere realizzato attraverso un accantonamento di quote di
compartecipazioni ai tributi erariali spettanti a ciascuna autonomia..
Successivamente l'articolo 35, commi 4-5, del decreto legge 1/2012 (convertito
con la legge 27/2012) ha inoltre disposto la riserva all'erario delle maggiori
entrate ottenute nei territori delle regioni a statuto speciale e delle
province autonome di Trento e di Bolzano, derivanti dall'incremento dell'accisa
sull'energia elettrica. Il comma 4 esplicita la finalizzazione della riserva
all'erario, disponendo un aumento del concorso alla finanza pubblica delle
regioni a statuto speciale e delle due province autonome (di cui all'articolo
28, comma 3, del D.L. 201/2011) di 235 milioni di euro annui a decorrere dal
2012. Si ricorda infine che il D.L 16/2012 all'articolo 4, commi 10-11,
sopprime l'imposta sul consumo dell'energia elettrica nei comuni e nelle
province dei territori delle regioni a statuto speciale ed impone alle stesse
regioni di reintegrare agli enti locali il mancato gettito. Conseguentemente
riduce il contributo agli obiettivi di finanza pubblica dovuto dalle regioni a
statuto speciale ai sensi del D.L. 201/2011, dell'importo corrispondente al
mancato gettito stimato pari a 180 milioni di euro per il 2012 e pari a 239
milioni annui dal 2013;
§ c) gli importi indicati nel
decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, relativi al 2013, 2014,
2015 e 2016, emanato in attuazione del D.L.
95/2012, art. 16, comma 3 che determina complessivamente il contributo delle autonomie speciali alla
finanza pubblica. Nel decreto sono determinate le somme da accantonare
annualmente a valere sulle quote di compartecipazioni ai tributi erariali, per
ciascuna autonomia speciale. Per il 2012 ha disposto il Decreto 27 novembre
2012; per il 2013 il Decreto 23 settembre 2013 e per il 2014, il Decreto 17
giugno 2014[41].
§ d) gli importi indicati nella
tabella inserita nel testo di legge
dalla legge di stabilità 2014 (L. 147/2013, art. 1, comma 499, come
ulteriormente modificato dall'art. 46, comma 2, del decreto legge 66/2014) per
un importo complessivo di 500 milioni di
euro per il 2014 e 703 milioni di
euro per ciascuno degli anni dal 2015
al 2017;
§ d-bis) degli ulteriori
contributi disposti a carico delle
autonomie speciali.
Con l'accordo del 9 giugno viene stabilito l'obiettivo 2013 ed insieme certificato il rispetto del patto di stabilità da parte regionale per l'anno in questione.
L'obiettivo 2013, in termini di competenza
eurocompatibile e di competenza finanziaria, è fissato in 6.200 milioni di
euro. In questa somma non sono comprese le spese correttive e compensative
delle entrate relative a regolazioni contabili inerenti gli accantonamenti
relativi alla riserva all'erario di cui all'art. 28, comma 3, del D.L. 201/2011 e al contributo alla finanza pubblica di
cui all'art. 16, comma 3, del D.L.
95/2012 (vedi sopra).
Diversamente dagli
esercizi precedenti, le parti hanno, inoltre, concordato gli obiettivi del patto di stabilità per gli 2014-2017.
Il comma 5 determina l'obiettivo del patto di stabilità della Regione, in termini di competenza eurocompatibile, per l'anno 2014 pari a 5.786 milioni di euro e per gli anni dal 2015 al 2017 pari a 5.665 milioni di euro.
Nell'accordo viene specificato che questi obiettivi
sono assunti sottraendo dal complesso delle spese finali (consuntivo 2012)
rilevanti ai fini del patto di stabilità, pari a 7.060 milioni di euro, i
contributi a carico della regione, previsti dalla normativa vigente, di 874
milioni di euro per il 2014 e 995 milioni di euro per ciascuno degli anni dal
2015 al 2017 e un ulteriore contributo, aggiuntivo rispetto la normativa
vigente, di 400 milioni di euro consuntivo 2012
La misura è tale da garantire un contributo della Regione in termini di indebitamento netto pari a 400 milioni annui, contributo, dichiarato al comma 8 dell'articolo in esame, andrà a confluire nel "Fondo Rapporti Finanziari con autonomie speciale", istituito dallo stesso comma 8.
La norma in esame sostituisce quindi l'accordo previsto dalla normativa vigente per la definizione degli obiettivi del patto in relazione a ciascuno degli anni dal 2014 al 2017; per tale motivo, non si applicano gli ultimi due periodi del comma 454, nei quali è stabilito che il Presidente della Regione trasmette la proposta di accordo al Ministero, entro il 31 marzo di ciascun anno; l'ultimo periodo dispone per il solo 2014, fissando il termine al 30 giugno 2014.
Benché l'accordo valga per il triennio, la norma in esame specifica che rimane ferma la possibilità di rideterminare gli obiettivi, qualora vengano posti a carico delle autonomie speciali ulteriori contributi alla finanza pubblica.
In relazione al 2014, inoltre, il comma 7 stabilisce che la Regione non può impegnare spese correnti, con esclusione di quelle per la sanità, in misura superiore all'importo minimo dei corrispondenti impegni del triennio 2011-2013.
Il comma 6 dà attuazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 241 del 2013 che ha riconosciuto illegittime le riserve all'erario stabilite dal D.L. 138/2011 in relazione alle entrate tributarie spettanti alla Regione. Gli accantonamenti a valere sulle quote di compartecipazione dei tributi erariali della Regione siciliana per il 2014, previsti dalla normativa vigente, devono perciò essere ridotti in misura corrispondente alle somme da restituire alla Regione.
Nell'accordo gli importi da restituire alla regione,
sono determinati in 118, 9 milioni di euro in riferimento alle riserva
all'erario dettata dal D.L. 138/2011 e in 436,5 milioni di euro in riferimento
alle riserva all'erario dettata dal D.L. 201/2011.
Si ricorda che l'articolo 2, comma 36, del D.L.
138/2011 dispone la riserva all'erario delle maggiori entrate derivanti dalle
norme recate dallo stesso decreto legge, per un periodo di cinque anni. Le
risorse dovranno essere destinate alle «esigenze prioritarie di raggiungimento
degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce
della eccezionalità della situazione economica internazionale»; con decreto
dovranno essere definite le modalità di individuazione del maggior gettito,
attraverso separata contabilizzazione[42].
Sulle disposizioni del decreto legge 138/2011 sopra
descritte è intervenuta la sentenza
della Corte costituzionale n. 241 dell'ottobre 2012, che decide sui ricorsi
delle regioni Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta. Le
questioni sono dichiarate tutte infondate, con la sola eccezione della dichiarazione di illegittimità costituzionale
dell’art. 2, commi 5-bis e 5-ter, del decreto-legge n. 138 del 2011, nella
parte in cui dispone che la riserva allo Stato del gettito delle entrate
derivanti da tali commi si applica alla
Regione siciliana con riguardo a tributi spettanti alla Regione ai sensi
dello statuto. Anche nel caso di dichiarazione di infondatezza della questione,
tuttavia, l'analisi della Corte su ciascuna disposizione, al fine di verificare
se essa sia o meno conforme alle norme statutarie, ha esiti opposti quanto alla
spettanza del maggior gettito: nei casi in cui la norma denunciata è
applicabile in quanto conforme alle norme statutarie, infatti, il maggiore
gettito è di spettanza dello Stato; nei casi in cui, proprio per effetto della
clausola di salvaguardia, sia inapplicabile perché non conforme allo statuto,
il maggior gettito è, invece, di spettanza della regione.
Si ricorda infine che, a seguito della sentenza n.
241, i commi 508, 510 e 511 dell'unico
articolo della legge di stabilità 2014,
hanno riscritto le norme sulla riserva all'erario. Come nella norma precedente,
la 'nuova' riserva all'erario dettata dal comma 508 costituisce una modalità
per le regioni a statuto speciale di concorrere agli obiettivi di finanza
pubblica ed è delimitata nel tempo per un periodo di 5 anni. Oggetto della
riserva sono le nuove e maggiori entrate derivanti dalle norme recate dei già
citati decreti leggi 138/2011 e 201/2011. Le risorse sono interamente destinate
alla copertura degli oneri del debito pubblico al fine di garantire la
riduzione dello stesso, nella misura e dei tempi stabiliti dal Trattato sulla
stabilità. In attuazione di tali disposizioni è stato emanato il Decreto del Ministero dell'economia e delle
finanze 11 settembre 2014[43] con il quale
sono stabilite le modalità di individuazione, attraverso separata
contabilizzazione, del maggior gettito da riservare all'Erario.
I commi da 9 a 13 riguardano i rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione Sardegna. Le norme danno attuazione all'accordo sottoscritto con la Regione il 21 luglio 2014, nell'ambito della definizione del patto di stabilità interno per il 2013.
Per la normativa sul patto di stabilità
si rinvia a quanto scritto in commento ai commi da 5 a 8, concernenti la
Regione siciliana.
Con l'accordo del 21 luglio viene concordato l'obiettivo 2013 e certificato il rispetto del patto di stabilità da parte regionale per l'anno in questione.
L'obiettivo 2013, in termini di competenza eurocompatibile
e di competenza finanziaria è determinato in 2.420 milioni di euro. In questa
somma non sono comprese le spese relative al Fondo unico destinato agli enti
locali (art. 10, L.R. 2/2007, finanziaria
2007 e art. 1, comma 2, L.R.12/2013, finanziaria 2013) e non è altresì
compresa la quota dell'obiettivo annuale attribuito agli enti locali
nell'ambito del patto regionale verticale (art. 1 comma 138 L. 220/2010).
Diversamente dagli esercizi precedenti, le parti hanno, inoltre, concordato gli obiettivi del patto di stabilità per gli 2014-2017.
Nel caso della regione Sardegna, l'accordo sul patto
di stabilità dà seguito a quanto stabilito dall'articolo 11, comma 5-bis del decreto-legge 35/2013 (inserito dalla
legge di conversione n. 64/2013). La disposizione pone il termine di 120 giorni
dall'entrata in vigore della legge, per la definizione dell'accordo tra Stato e
Regione sulle modifiche da apportate al patto di stabilità per la regione
Sardegna, modifiche necessarie a seguito della revisione dell'ordinamento finanziario della regione operata con la
legge finanziaria del 2007, che ha rideterminato le entrate tributarie
spettanti alla regione Sardegna e a cui non è seguito una rimodulazione degli
obiettivi del patto.
Sulla quantificazione delle entrate spettanti alla
Regione Sardegna (ed esattamente dall'esercizio 2010, decorrenza delle
modifiche statutarie) è in corso – ma si intende che dovrebbe essere conclusa
con l'accordo di luglio - quella che è stata definita 'vertenza entrate' tra lo Stato e la Regione e sulla quale si sono
espresse più volte sia la Corte costituzionale, nell'ambito del corposo
contenzioso costituzionale[44], sia la Corte
dei conti nelle relazioni annuali che accompagnano il giudizio di parificazione
del rendiconto della Sardegna[45], sottolineando
come la non conclusione della vertenza entrate sia un punto problematico del
rapporto tra Stato e Regione e come ulteriore motivo di difficoltà per
l'impostazione delle manovre di bilancio e delle politiche di intervento della
Regione.
Secondo quanto stabilito dal comma 5-bis, l'obiettivo
dell'accordo deve essere dare piena attuazione alle disposizioni di cui
all'articolo 1, comma 834 della legge finanziaria 2007 (L. 296/2006), vale a
dire la nuova determinazione delle quote di compartecipazione ai tributi
erariali attribuite alla regione (a decorrere dal 2010, i 9/10 dell’IVA e i
7/10 di tutte le altre imposte). L'attuazione del nuovo ordinamento
finanziario, inoltre, dovrà avvenire secondo i principi enunciati nella
sentenza della Corte costituzionale n. 118 del 2012[46], sentenza che
evidenzia come la determinazione dei livelli di spesa non può prescindere
dall'attuazione della revisione delle entrate regionali.
Il comma 9 determina l'obiettivo del patto della Regione, in termini di competenza eurocompatibile, per l'anno 2014 pari a 2.696 milioni di euro; dal patto sono escluse le spese previste dalla normativa vigente e le spese per i servizi ferroviari di interesse regionale e locale erogati da Trenitalia s.p.a.
Nell'accordo viene specificato che l'obiettivo
programmatico per il 2014 è assunto sottraendo dal complesso delle spese finali
(consuntivo 2011) rilevanti ai fini del patto di stabilità, pari a 3.340
milioni di euro, il contributo a carico della regione, previsto dalla normativa
vigente e pari a 964 milioni di euro ed incrementando le spese finali di 320
milioni, a seguito dell'accordo.
Alla regione viene riconosciuta in sostanza un incremento del limite di spesa di 320 milioni di euro.
Il comma 10 determina l'obiettivo programmatico del patto di stabilità della Regione, a decorrere dal 2015, nel pareggio di bilancio (saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese finali). Non si applicheranno perciò, a decorrere dal 2015, i limiti alle spese previste per le autonomie speciali dalla normativa vigente (i limiti vigenti sono illustrati sopra in commento ai commi da 5 a 8, concernenti la Regione siciliana).
Restano ferme, invece, le disposizioni della normativa vigente in tema di monitoraggio, certificazione e sanzioni in caso di inadempienza del patto (art. 1, commi 460, 461 e 462, legge 228/2012, stabilità 2013, come modificati dalla legge di stabilità 2014).
Anche per la regione Sardegna, come per la Regione siciliana, la norma sostituisce l'accordo previsto dalla normativa vigente per la definizione degli obiettivi del patto in relazione a ciascuno degli anni dal 2014 al 2017 (comma 11).
In relazione al 2014, inoltre, il comma 12 stabilisce che la Regione non può impegnare spese correnti, con esclusione di quelle per la sanità, in misura superiore all'importo minimo dei corrispondenti impegni del triennio 2011-2013.
Il comma 13 quantifica, infine, gli oneri derivanti dall'accordo sopra descritto, pari a 320 milioni annui come peggioramento in termini di indebitamento netto, oneri che trovano compensazione nel "Fondo Rapporti Finanziari con autonomie speciale", istituito dal precedente comma 8.
Articolo
43, commi 1-3
(Fondo di rotazione per la stabilità finanziaria degli enti territoriali)
L’articolo
43 prevede, ai commi da 1 a 3, disposizioni finalizzate
a consentire agli enti locali in situazione
di c.d. “predissesto”, che hanno deliberato la procedura di riequilibrio finanziario
pluriennale, di utilizzare le risorse del «Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli
enti locali» per il ripiano
del disavanzo di
amministrazione accertato e per il finanziamento dei debiti fuori bilancio, al fine di potenziare
la possibilità di pagamento ai creditori dei predetti debiti e ridurre, quindi,
lo stock di debiti delle pubbliche amministrazioni.
La possibilità per tali enti di utilizzare in
tal modo le risorse ad essi attribuite a valere sul Fondo di rotazione è
riconosciuta nei limiti di 100 milioni
di euro per l’anno 2014 e di 180 milioni di euro annui dal 2015 al 2020.
In particolare, le disposizioni recate dal comma 1 intervengono sulle procedure di
riequilibrio finanziario previste dall’articolo 243-bis del TUEL (D.Lgs.267/2000) per gli enti locali che presentino
situazioni di criticità nei bilanci suscettibili di determinarne, se non
risolte in tempo utile, il dissesto; ai fini dell’illustrazione dell’intervento
recato dal comma in esame è opportuno previamente richiamare tali procedure
(come da ultimo modificate dal decreto-legge n.16/2014[47]) nelle
quali si dispone che:
§ gli enti locali per i quali sussistano squilibri
strutturali del bilancio in grado di provocarne il dissesto finanziario possono
ricorrere, con deliberazione consiliare, alla procedura di riequilibrio
finanziario. Entro 90 giorni dalla data di esecutività della delibera il
consiglio dell’ente locale delibera un piano di riequilibrio finanziario
pluriennale della durata massima di dieci anni (articolo 243-bis, co.1-5);
§ il piano deve contenere tutti gli interventi necessari
a superare gli squilibri finanziari e, nell’ambito di tali interventi, deve
comunque contenere tutte le misure necessarie per ripristinare l'equilibrio
strutturale del bilancio, per l'integrale ripiano del disavanzo di
amministrazione accertato e per il finanziamento dei debiti fuori bilancio
entro il periodo massimo di dieci anni, a partire da quello in corso alla data
di accettazione del piano (articolo 243-bis, comma 6, lettera c);
§ per gli enti che hanno deliberato in tal senso viene
prevista un'anticipazione a valere sul Fondo
di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali, a
tal fine istituito dall’articolo 243-ter ;
§ intervenuta la deliberazione, il piano di riequilibrio
finanziario pluriennale è trasmesso alla competente sezione regionale di
controllo della Corte dei conti, che
delibera l’accoglimento o la reiezione dello stesso, delibera che può essere
impugnata innanzi alle Sezioni riunite
della Corte, che si pronunciano entro 30 giorni dal deposito del ricorso. La
mancata presentazione del piano ovvero il diniego dell'approvazione dello
stesso comportano, ricorrendo anche altri presupposti, l'assegnazione al
Consiglio dell'ente, da parte del Prefetto, di un termine non superiore a venti
giorni per la deliberazione del dissesto
(articolo 243-quater).
Per gli enti locali che hanno deliberato la procedura di riequilibrio in questione, il comma 1 in esame stabilisce che gli stessi, tra le misure di cui al sopra illustrato comma 6, lettera c) dell’articolo 243-bis, - con riguardo in particolare a quelle necessarie per il ripiano del disavanzo di amministrazione e per il pagamento dei debiti fuori bilancio – possono prevedere l’utilizzo delle risorse ad essi attribuibili sul Fondo di rotazione di cui all’articolo 243-ter del TUEL.
Il comma 1 dispone inoltre che qualora, a seguito dell’approvazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale l’ammontare delle risorse attribuite a valere sul predetto Fondo di rotazione risulti inferiore a quello di cui al periodo precedente, l’ente locale interessato è tenuto ad indicare, entro 60 giorni, misure alternative di finanziamento per un importo pari all’anticipazione non attribuita
La relazione illustrativa precisa che l’intervento disposto dal comma in esame è finalizzato ad attribuire maggior efficacia alla procedura di riequilibrio finanziario, per il riconoscimento dei debiti fuori bilancio da considerare nell’ambito di tale piano; in tal senso l’intervento potrà potenziare la possibilità di pagamento ai creditori di tali debiti, riducendo lo stock complessino dei debiti delle amministrazioni pubbliche.
Il comma 2 detta le disposizioni contabili per l’utilizzo delle risorse ai sensi del comma 1, con riguardo sia all’iscrizione in entrata delle stesse presso i bilanci degli enti locali interessati che alla successiva restituzione delle medesime[48].
Al riguardo, considerato che i due commi in esame dettano disposizioni volte a disciplinare una delle possibili modalità di utilizzo del Fondo di rotazione, già consentite dal vigente testo dell’articolo 243-ter, sembrerebbe opportuno che gli stessi siano formulati in termini di modifica espressa del la disciplina del Fondo medesimo.
Il comma 3 dispone che la facoltà di utilizzo da parte degli enti locali delle risorse in questione, come attribuibili a valere sul suddetto Fondo, è riconosciuta – vale a dire “rilevano ai fini del patto di stabilità interno”, come recita il comma – nel limite di 100 milioni di euro per il 2014 e di 180 milioni per gli anni dal 2015 al 2020.Tali limiti sono aumentati, per ciascuno anno, degli importi delle somme restituite annualmente dagli enti che hanno ricevuto l’anticipazione.
Il riparto per ciascun ente delle risorse stanziate verrà operato dal Ministro dell’interno, entro i limiti suddetti e proporzionalmente alle risorse erogate, in sede di riparto del Fondo di rotazione ai sensi della disciplina in proposito dettata dal decreto del Ministro medesimo 11 gennaio 2013[49].
Si tratta del D.M. emanato in attuazione dell’articolo 243-ter, nel quale si affida a tale decreto il compito, tra l’altro, di stabilire i criteri per la determinazione dell'importo massimo dell'anticipazione da parte del Fondo di rotazione attribuibile a ciascun ente locale. All'esito della procedura di esame delle istanze di accesso al Fondo di rotazione, e nei limiti della disponibilità del medesimo, il Ministero dell'interno, due volte l'anno, entro il 15 giugno e il 15 novembre, adotta un piano di riparto del fondo stesso.
Articolo
43, commi 4 e 5
(Anticipazione pagamento Fondo di
solidarietà comunale 2014)
L’articolo 43 prevede al comma 4 l’attribuzione ai comuni delle regioni a statuto ordinario e delle regioni Sicilia e Sardegna[50], da parte del Ministero dell’interno, di un importo a titolo di anticipo su quanto spettante per l'anno 2014 sul Fondo di solidarietà comunale, da erogare entro il 20 settembre 2014.
L’anticipo è pari, per ciascun comune, al 66 per cento di quanto spettante per l'anno 2014 a titolo di Fondo di solidarietà comunale, a tal fine considerando validi i dati relativi agli importi spettanti pubblicati sul sito internet del Ministero dell’interno medesimo[51], detratti gli importi già erogati dal Ministero con il precedente acconto disposto ai sensi dell’articolo 8 del D.L. n. 16/2014.
Si ricorda, infatti, che
un primo acconto è già stato erogato
ai comuni con provvedimento del Ministero dell’interno in data 10 marzo 2014, ai sensi del citato
articolo 8 del D.L. n. 16/2014, pari, per ciascun comune, al 20 per cento di quanto spettante per
l'anno 2013 a titolo di Fondo di solidarietà comunale.
Come illustrato nella Relazione, la disposizione si rende necessaria al fine di consentire ai comuni di far fronte alle necessità di cassa attraverso la fruizione dei fondi disponibili in bilancio, posto che - nonostante l’avvenuta determinazione degli importi spettanti a ciascun comune a titolo di Fondo di solidarietà comunale da parte del Ministero - non risulta ancora emanato il relativo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di riparto, previsto dall’articolo 1, comma 380-ter della legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012).
Si ricorda, inoltre, in relazione alla norma in oggetto, che la procedura dell’anticipazione ai comuni di acconti sulle somme complessivamente spettanti per l’anno 2014 a titolo di Fondo di solidarietà comunale ricalca quanto già seguito lo scorso anno, nelle more dell’adozione del D.P.C.M. recante i criteri di alimentazione di riparto del Fondo medesimo, emanato soltanto alla fine dell’anno[52].
Si ricorda che il Fondo di solidarietà comunale è stato istituito dall’articolo 1, comma 380, della legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012) nello stato di previsione del Ministero dell'interno (cap. 1365), in ragione della nuova disciplina dell’imposta municipale propria (IMU), introdotta con la legge di stabilità medesima, che ha attribuito ai comuni l’intero gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che rimane destinato allo Stato. Tale fondo - che ha sostituito il Fondo sperimentale di riequilibrio comunale previsto dal D.Lgs. n. 23/2013 di attuazione del federalismo municipale - è alimentato con una quota dell'imposta municipale propria (IMU), di spettanza dei comuni.
Per l’anno 2014, l’ammontare del Fondo è quantificato in 6.647,1 milioni[53], ai sensi dell’articolo 1, comma 380-ter, della legge di stabilità 2013, come introdotto dall’articolo 1, comma 730, della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014). Ai fini dell’alimentazione del Fondo, il comma prevede che la suddetta dotazione sia assicurata, per un importo pari a 4.717,9 milioni di euro, attraverso una quota dell'imposta municipale propria, di spettanza dei comuni, ai sensi dell’articolo 13 del D.L. n. 201/2011, che viene a tal fine versata all’entrata del bilancio dello Stato nei singoli esercizi[54].
Quanto alle modalità di ripartizione del Fondo a decorrere dal 2014, la lettera b) del comma 380-ter, come integrato dall’articolo 14 del D.L. n. 16/2014, rinvia la definizione dei criteri di formazione e di riparto del Fondo di solidarietà comunale ad appositi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanarsi su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno, previo accordo da sancire presso la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, da emanare entro il 30 aprile 2014 per l’anno 2014 ed entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento per gli anni 2015 e successivi. Il D.P.C.M. di riparto dovrà tener conto di specifici fattori indicati dalla norma. A tal fine, il comma 380-ter indica i seguenti, tra quelli elencati al comma 380:
1) gli effetti finanziari derivanti dall’abolizione della riserva di gettito IMU stabilita dall’articolo 13, comma 1 del D.L. n. 201/2011 e dalla contestuale attribuzione allo Stato del gettito derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, calcolato ad aliquota standard dello 0,76 per cento;
2) della dimensione del gettito dell'imposta municipale propria ad aliquota base di spettanza comunale;
3) la diversa incidenza delle risorse soppresse (di cui al Fondo sperimentale di riequilibrio comunale e ai trasferimenti erariali a favore dei comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna) sulle risorse complessive per l’anno 2012;
4) le riduzioni disposte ai sensi della c.d. spending review, di cui al comma 6 dell'articolo 16 del D.L. 26 luglio 2012, n. 95;
5) la soppressione dell’IMU sulle abitazioni principali e l’istituzione della TASI;
6) l'esigenza di limitare le variazioni, in aumento ed in diminuzione, delle risorse disponibili ad aliquota base, attraverso l'introduzione di un'appropriata clausola di salvaguardia. La predetta clausola di salvaguardia opera al netto della quota ripartita sulla base dei fabbisogni standard.
Il comma 380-quater
prevede, inoltre, che il 10 per
cento dell’importo attribuito ai comuni delle regioni a statuto ordinario a
titolo di Fondo di solidarietà sia accantonato per essere redistribuito, con il
medesimo D.P.C.M. di riparto, tra i comuni medesimi sulla base delle capacità fiscali e dei fabbisogni standard.
Il comma 5 destina ad incremento del Fondo di solidarietà comunale per l’anno 2014 la somma di 49,9 milioni di euro, quali somme in conto residui sul Fondo per il
federalismo amministrativo di parte corrente, iscritto sul capitolo 1319 dello
stato di previsione del Ministero dell’interno. A tal fine, la norma
prevede il versamento delle relative somme all’entrata del bilancio dello Stato
per la successiva riassegnazione al Fondo di solidarietà comunale.
Si segnala che secondo la norma si
tratterebbe di “residui passivi propri”, vale a dire di somme impegnate in base
ad atti formali da parte dell’amministrazione e non ancora pagate.
Ai fini dell’utilizzo di tali
somme per finalità diversa da quella per la quale sono state impegnate, sarebbe
opportuno un chiarimento in merito alla sussistenza o meno, alla data attuale, di
obbligazioni giuridicamente perfezionate alla base dei relativi atti di impegno.
Articolo
15
(Fondo di servizio per la patrimonializzazione delle imprese)
L’articolo 15 dispone che il Governo promuova (comma 1) l’istituzione di un Fondo di servizio, avente durata di dieci anni prorogabili, avente lo scopo di rilanciare le imprese industriali italiane caratterizzate da “equilibrio economico positivo” e che necessitino di adeguata patrimonializzazione.
Scopo del Fondo (comma 2) è il sostegno finanziario e patrimoniale attraverso nuove risorse che favoriscano, tra l'altro, processi di consolidamento industriale rivolgendosi alle imprese con un numero di addetti non inferiore a 150 e con prospettive di mercato.
L'intervento del Fondo sarà costituito da operazioni di patrimonializzazione al servizio dello sviluppo operativo e dei piani di medio-termine.
Potranno sottoscrivere quote del Fondo (comma 3) i soli investitori istituzionali e professionali: la sua operatività è subordinata alla dotazione minima di 1 miliardo di euro, sottoscritta da almeno tre investitori partecipanti, ciascuno in misura non inferiore al 5 per cento e non superiore al 40 per cento. Tali investimenti dovranno rappresentare complessivamente una quota pari ad almeno il 50 per cento del valore totale dei “prestiti bancari alle imprese italiane non finanziarie”, risultanti dalle rilevazioni periodiche del credito bancario effettuate dalla Banca d'Italia.
Ai sensi del comma 4, Il Fondo ha durata decennale prorogabile e gli investimenti hanno una durata di medio e lungo periodo. Il Fondo potrà altresì investire in imprese oggetto di procedure di ristrutturazione societarie e del debito.
Le norme (comma 5) affidano la gestione del Fondo ad una società di gestione del risparmio selezionata attraverso procedura ad evidenza pubblica gestita dai sottoscrittori, che assicuri la massima partecipazione, trasparenza e non discriminazione degli operatori finanziari iscritti all’apposito albo delle società di gestione del risparmio tenuto, ai sensi dell’articolo 35 del TUF (d. Lgs. n. 58 del 1998), dalla Banca d’Italia.
Sono specificate (comma 6) le caratteristiche obbligatorie della procedura di evidenza pubblica per la selezione del gestore del fondo, con l’obbligo di escludere le offerte che prevedano remunerazioni di carattere speculativo, prevedano un gestore del Fondo soggetto a partecipazione di controllo o di maggioranza da parte di uno o più sottoscrittori del Fondo, e quelle che non prevedano la presenza di un comitato di controllo. Inoltre l'offerta tecnica deve contenere la struttura organizzativa e remunerativa della società di gestione del risparmio.
Ai sensi del comma 7, il soggetto gestore del Fondo deve operare in situazione di neutralità e imparzialità rispetto ai sottoscrittori. Deve rendere note ai sottoscrittori ed al Ministero dell’economia e delle finanze le operazioni in cui si trovi in conflitto di interesse e (comma 8) trasmettere annualmente al Ministero dello sviluppo economico una relazione sull’operatività del fondo, insieme ad una banca dati completa per ciascuna operazione.
Infine (comma 9) si affida a un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, l’individuazione delle caratteristiche delle imprese beneficiarie dell’intervento del Fondo, le caratteristiche della tipologia di investimento nel Fondo, al fine di evitare remunerazioni di carattere speculativo, e le modalità organizzative del Fondo stesso.
La problematica della sottocapitalizzazione e sottopatrimonializzazione delle imprese italiane è da lungo tempo all’attenzione del legislatore, il quale – soprattutto in relazione alla crisi economico-finanziaria – ha inteso approntare specifici strumenti, sia di natura fiscale che finanziaria, per rafforzare il tessuto imprenditoriale del Paese, in prevalenza – com’è noto - costituito da piccole e medie imprese.
Nel corso degli anni è stato attribuito a Cassa Depositi e prestiti (CDP) un ruolo chiave nello sviluppo del sistema delle imprese italiane. Nel solco dell'innesto di liquidità al sistema si collocano infatti le norme che hanno ampliato le competenze della Cassa (per effetto del combinato disposto dell'articolo 22 del decreto-legge n. 185 del 2008 e dell'articolo 3, comma 4-bis del decreto-legge n. 5 del 2009), le quali hanno di fatto consentito di utilizzare la provvista rinveniente dal risparmio postale anche allo scopo di concedere finanziamenti, rilasciare garanzie, assumere capitale di rischio o di debito anche a favore delle piccole e medie imprese per finalità di sostegno dell'economia. In particolare, le operazioni a favore delle piccole e medie imprese possono essere effettuate esclusivamente attraverso l'intermediazione di soggetti autorizzati all'esercizio del credito, nonché attraverso la sottoscrizione di fondi comuni di investimento gestiti da una società di gestione collettiva del risparmio il cui oggetto sociale realizza uno o più fini istituzionali della Cassa Depositi e prestiti Spa.
La Cassa Depositi e prestiti – insieme a Montepaschi, Intesa Sanpaolo, Unicredit e ad altri investitori – partecipa al Fondo equity per le Piccole e medie imprese denominato “Fondo Italiano d'Investimento” – FII, sponsorizzato dal Ministero dell'economia e delle finanze, dall'Associazione Bancaria Italiana (ABI) e da Confindustria. Il Fondo, riservato ad investitori qualificati, ha come obiettivo quello di generare nel medio termine un nucleo consistente di imprese qualificabili come “medi campioni nazionali” che siano sufficientemente patrimonializzate ed in grado di affrontare le sfide della competitività internazionale. Esso opera attraverso investimenti sia diretti, in imprese con fatturato indicativamente compreso tra i 10 e i 250 milioni di euro, al fine di sostenerne i relativi programmi di sviluppo, sia indiretti, in altri fondi o società di investimento.
L'articolo 7 del decreto legge n. 34 del 2011 ha autorizzato la CDP ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese, che risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività. La norma ha autorizzato l'acquisizione di tali partecipazioni anche attraverso veicoli societari o fondi di investimento partecipati da CDP S.p.A. ed eventualmente da società private o controllate dallo Stato o enti pubblici. A tal fine è stato creato il Fondo Strategico Italiano, holding di partecipazioni il cui azionista strategico è la Cassa Depositi e prestiti, attiva nel sostegno dell'economia e nello sviluppo infrastrutturale. I fondi disponibili sono pari a 4 miliardi di euro ed il capitale obiettivo è pari a 7 miliardi di euro. L'operatività del Fondo passa attraverso l'acquisizione di quote prevalentemente di minoranza, seguendo una politica di investimento che prevede un orizzonte temporale di lungo periodo, un attivo coinvolgimento nella governance delle aziende partecipate, volto ad assicurare il perseguimento delle finalità dell'intervento. L'obiettivo delle acquisizioni è il raggiungimento di rendimenti di mercato, tramite la combinazione di dividendi e aumento di valore dell'investimento, anche mediante l'apertura a coinvestitori nelle singole operazioni di investimento.
Nell’anno 2013 è stato previsto che CdP intervenga a sostegno delle micro, piccole e medie imprese prestando specifica provvista al sistema bancario per l’ottenimento da parte delle citate imprese di finanziamenti a tasso agevolato per investimenti, anche tramite leasing, in beni strumentali: macchinari, impianti, attrezzature ad uso produttivo, nonché acquisto hardware, software e tecnologie digitali (articolo 2, D.L. n. 69/2013). A gennaio 2014 è stato messo a disposizione il Plafond “Beni Strumentali”, da 2,5 miliardi di euro dedicato esclusivamente al finanziamento, attraverso il sistema bancario, dell’acquisto di beni strumentali da parte delle Piccole e medie imprese.
Sempre dal 2013 CdP può acquistare titoli cartolarizzati aventi ad oggetto crediti verso piccole e medie imprese, al fine di accrescere il volume del credito delle stesse. Gli acquisti di tali titoli, se effettuati a valere sulla raccolta postale o su altri fondi assistiti dalla garanzia dello Stato, possono a loro volta essere garantiti dallo Stato stesso, secondo criteri da stabilirsi con decreto del Ministero dell’economia e finanze, che non è stato ancora adottato (articolo 8-quater, introdotto dall’art. 1, comma 47 della legge n. 147/2013).
Cassa depositi e prestiti, in virtù di recenti interventi legislativi, interviene anche con specifici strumenti a supporto del settore residenziale, e in particolare:
§ può acquistare obbligazioni bancarie garantite (OBG) emesse a fronte di portafogli di mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali e/o titoli cartolarizzati relativi a crediti derivanti da mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali (ABS) (comma 8-bis dell’art. 5, introdotto dall’art. 6 D.L. n. 102/2013);
§ può fornire agli istituti di credito italiani, nonché delle succursali di banche estere comunitarie ed extracomunitarie operanti in Italia e autorizzate all’esercizio dell’attività, provvista di liquidità per erogare nuovi finanziamenti espressamente destinati a mutui, garantiti da ipoteca, su immobili residenziali, da destinare all'acquisto dell'abitazione principale (di classi energetiche elevate) e ad interventi di ristrutturazione ed efficientamento energetico, con priorità per giovani coppie e famiglie numerose (comma 7-bis dell’articolo 5, introdotto dall’articolo 6 del D.L. n. 102/2013).
Anche l’articolo 10 del provvedimento in esame (alla cui scheda di lettura si rinvia) intende ampliare l’ambito operativo delle attività di Cassa Depositi e Prestiti Spa (CDP), estendendo il perimetro delle operazioni della CDP finanziate tramite la gestione separata (con raccolta garantita dallo Stato), includendovi anche le operazioni in favore di soggetti privati in settori di interesse generale, da individuarsi con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. Inoltre si estende il perimetro delle operazioni della CDP finanziate tramite la gestione ordinaria (con raccolta reperita sul mercato non garantita dallo Stato), includendovi le opere, gli impianti, le reti e le dotazioni destinate non più solo alla fornitura di servizi pubblici e alle bonifiche ma, in modo più ampio, ad iniziative di pubblica utilità nonché a investimenti finalizzati a ricerca, sviluppo, innovazione, ambiente, cultura, turismo ed efficientamento energetico, in via preferenziale in cofinanziamento con enti creditizi. Viene contestualmente ampliata la possibilità di concedere la garanzia dello Stato in relazione ad esposizioni assunte o previste dalla CDP, diverse da quelle operate nell’ambito della gestione ordinaria.
Le problematiche sul finanziamento alle imprese sono state affrontate ed approfondite dalla Commissione VI Finanze della Camera, che il 10 dicembre 2013 ha approvato il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sugli strumenti fiscali e finanziari a sostegno della crescita. L'indagine ha inteso approfondire i meccanismi causali, sia contingenti sia strutturali, che hanno portato all'attuale condizione di restrizione del credito e valutare alcune proposte per il potenziamento dell'erogazione del credito alle imprese e per il rafforzamento del capitale di rischio delle medesime.
La Commissione, nel documento conclusivo dell’indagine, ha evidenziato la necessità di acquisire la consapevolezza che il sistema economico italiano deve superare il “bancocentrismo” che lo ha costantemente caratterizzato. Accanto alle misure fiscali, al riassetto del sistema bancario ed all’introduzione di modifiche alla legislazione (anche civilistica) di settore, la Commissione ha ritenuto opportuno concentrarsi sulla necessità di ampliare il ruolo, ritenuto ancora molto marginale, degli investitori istituzionali (fondi comuni di investimento, fondi pensione), nonché favorire la crescita di investitori specializzati in investimenti nel capitale di rischio.
La Commissione ha ricordato come, tra i principali elementi che ostacolano il ricorso delle imprese al mercato dei capitali di rischio, incidano principalmente - dal lato dell'offerta - la diffidenza nei confronti di un mercato dei capitali spesso non sufficientemente liquido; l'onerosità degli adempimenti per accedere alla quotazione e per rimanere quotati; la ritrosia, specie nelle imprese ad origine familiare, ad aprire gli assetti di controllo e ad assicurare maggiore trasparenza nella gestione; i fattori distorsivi indotti dal sistema tributario.
Sotto il profilo della domanda, si segnalano invece la debolezza degli investitori istituzionali e l'insufficiente presenza di soggetti specializzati nei servizi per la quotazione, specificamente per quanto riguarda le PMI. In merito ai cosiddetti credit funds, cioè ai fondi di investimento specializzati nella sottoscrizione degli strumenti di debito emessi da società, anche di piccole e medie dimensioni, in una prospettiva di lungo periodo non speculativa, ma comunque secondo una logica di portafoglio, la Commissione ha ritenuto che essi possano svolgere un ruolo positivo per ampliare la differenziazione dei canali di finanziamento a debito allentando i vincoli di patrimonializzazione delle banche, ponendosi inoltre in sinergia con lo strumento dei nuovi strumenti finanziari emessi dalle imprese (cd. “mini bond”).
In tale contesto è apparso utile alla Commissione introdurre misure volte a favorire gli investimenti nell'economia nazionale dei fondi pensione e dei fondi assicurativi, anche prevedendo a tal fine che una quota minima degli investimenti effettuati da tali soggetti sia obbligatoriamente destinata a questa finalità.
L’articolo 15 in esame dispone che il Governo promuova (comma 1) l’istituzione di un Fondo di servizio, avente durata di dieci anni prorogabili, avente lo scopo di rilanciare le imprese industriali italiane, a patto che siano caratterizzate da “equilibrio economico positivo” e che necessitino di adeguata patrimonializzazione.
Scopo del Fondo (comma 2) è il sostegno finanziario e patrimoniale attraverso nuove risorse che favoriscano, tra l'altro, processi di consolidamento industriale rivolgendosi alle imprese con un numero di addetti non inferiore a 150 e con prospettive di mercato.
L'intervento del Fondo sarà costituito da operazioni di patrimonializzazione al servizio dello sviluppo operativo e dei piani di medio-termine.
Potranno sottoscrivere
quote del Fondo (comma 3) i soli investitori istituzionali e professionali: la sua operatività è
subordinata alla dotazione minima di 1
miliardo di euro, sottoscritta da almeno tre investitori partecipanti, ciascuno in misura non inferiore al 5 per cento e non superiore al 40 per cento.
Si ricorda che il regolamento emittenti della Consob (articolo 34-ter, comma 1 del regolamento adottato con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999 e successivamente modificato nel tempo) definisce come “investitori qualificati” i soggetti individuati dall’articolo 26, comma 1, lettera d) del regolamento intermediari (regolamento adottato con delibera n. 16190 del 2007, anch’esso successivamente modificato) e, in particolare i cd. “clienti professionali”, sia pubblici che privati, individuati nell’Allegato 3 del medesimo regolamento intermediari. Il predetto Allegato 3 individua due categorie di clienti professionali: i cd. “clienti professionali di diritto”, per i quali la qualifica discende direttamente dalla norma, ed i “clienti professionali su richiesta”; essi sono tali perché gli intermediari possono riservare loro il medesimo trattamento previsto per i clienti professionali “di diritto”, purché ne facciano espressa richiesta e siano rispettati specifici criteri e procedure. Il predetto allegato 3 enumera tra gli investitori qualificati “di diritto” gli intermediari autorizzati a operare sui mercati finanziari, dunque le banche, le imprese di investimento e di assicurazione, gli OICR, le SGR, le Sicav, i negoziatori sui mercati aderenti a servizi di liquidazione o a sistemi di compensazione e garanzia, i negoziatori per conto proprio di merci e strumenti derivati su merci; gli agenti di cambio, gli investitori istituzionali che investono in strumenti finanziari, nonché le imprese che superino certi limiti dimensionali.
Tali investimenti dovranno rappresentare complessivamente una quota pari ad almeno il 50 per cento del valore totale dei “prestiti bancari alle imprese italiane non finanziarie”, quale risultante dall'ultima “Indagine sul credito bancario in Italia” effettuata da Banca d'Italia.
Si osserva che la disposizione in esame non precisa se il riferimento
all’“ultima pubblicazione” sia da considerarsi in rapporto alla costituzione
del fondo ovvero alla sua operatività (ovvero dal momento del raggiungimento
delle quote minime cui la legge subordina l’inizio dell’attività del Fondo
stesso).
Ai sensi del comma 4, Il Fondo ha durata decennale prorogabile e gli investimenti hanno una durata di medio e lungo periodo. Il Fondo potrà altresì investire in imprese oggetto di procedure di ristrutturazione societarie e del debito.
Le norme in commento (comma 5) affidano la gestione del Fondo ad una società di gestione del risparmio selezionata attraverso procedura ad evidenza pubblica gestita dai sottoscrittori, che assicuri la massima partecipazione, trasparenza e non discriminazione degli operatori finanziari iscritti all’apposito albo delle società di gestione del risparmio tenuto, ai sensi dell’articolo 35 del TUF (D.Lgs. n. 58 del 1998), dalla Banca d’Italia.
Il comma 6 reca alcune caratteristiche obbligatorie della procedura di evidenza pubblica per la selezione del gestore del fondo. Si devono in ogni caso escludere le offerte che:
a) pur tenendo conto della tipologia d'investimento, prevedano remunerazioni di carattere speculativo;
b) prevedano un gestore del Fondo soggetto a partecipazione di controllo o di maggioranza da parte di uno o più sottoscrittori del Fondo;
c) non prevedano la presenza di un comitato di controllo, con la partecipazione di almeno un rappresentante per ogni sottoscrittore che detenga una quota superiore al 5 per cento. Inoltre l'offerta tecnica deve contenere la struttura organizzativa e remunerativa della società di gestione del risparmio.
Ai sensi del comma 7, il soggetto gestore del Fondo deve operare in situazione di neutralità e imparzialità rispetto ai sottoscrittori. Deve rendere note ai sottoscrittori ed al Ministero dell’economia e delle finanze le operazioni in cui si trovi in conflitto di interesse e (comma 8) trasmettere annualmente al Ministero dello sviluppo economico una relazione sull’operatività del fondo, insieme ad una banca dati completa per ciascuna operazione.
Infine (comma 9) si affida a un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, l’individuazione delle caratteristiche delle imprese beneficiarie dell’intervento del Fondo, le caratteristiche della tipologia di investimento nel Fondo, al fine di evitare remunerazioni di carattere speculativo, e le modalità organizzative del Fondo stesso.
Articolo
30
(Promozione straordinaria
del Made in Italy e misure per l’attrazione degli investimenti)
L’articolo 30 prevede l’adozione del Piano per la promozione straordinaria del Made in Italy e l'attrazione degli investimenti in Italia.
Il Piano è adottato
dal Ministro dello sviluppo economico,
con proprio decreto, entro il 12 novembre 2014 (60 giorni dall’
entrata in vigore del D.L. in esame), d'intesa con il Ministro degli affari
esteri e cooperazione internazionale e con il Ministro delle politiche agricole
alimentari e forestali con riferimento alle specifiche azioni che riguardano il
settore agroalimentare (comma 1).
L'ICE-Agenzia
per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane provvede
all'attuazione del piano, nell’esercizio delle proprie competenze
istituzionali tenuto conto delle intese raggiunte con il Ministero delle
politiche agricole alimentari e forestali per ciò che attiene agli interventi
che riguardano il settore agroalimentare (comma 3).
Una
convenzione con il Ministero dello
sviluppo economico definirà gli obiettivi attribuiti all’Agenzia per
favorire l’attrazione degli investimenti esteri, i risultati attesi, le risorse
finanziarie ed il loro utilizzo (comma 5).
L’articolo in esame interviene in una materia già stratificata, facendo sistema con l’articolo 16 della legge n. 180/2011 (rubricato “Politiche pubbliche per la competitività” e dedicato anche alla promozione del “Made in Italy” con specifico riguardo alle micro, piccole e medie imprese) e con l’articolo 4, comma 61 della legge n. 350 del 2003, che prevede tra l’altro “una campagna promozionale straordinaria a favore del «made in Italy».
Si ricorda che la legge 350 del 2003 (articolo 4, comma 61) ha istituito presso il Mise un fondo per la realizzazione di una campagna straordinaria a favore del Made in Italy che dal 2004 affianca il programma promozionale ordinario. Il programma straordinario è gestito dal Mise e attuato dall’ICE in collaborazione con Regioni, associazioni imprenditoriali, sistema fieristico e sistema camerale. I Fondi erogati sono stati pari a 11,7 mln di euro nel 2011, 6,9 mln di euro nel 2012 e 12,7 mln di euro nel 2013.
Piano per la promozione straordinaria del Made in Italy e l'attrazione degli investimenti in Italia
In sintesi, il Piano interviene a sostegno
dell’internazionalizzazione delle imprese italiane, in particolare piccolo e
medie, attraverso linee direttrici
valevoli per tutti i settori
economico produttivi interessanti, prevedendo, con le relative dotazioni
finanziarie, le seguenti azioni: iniziative straordinarie di formazione e informazione sulle opportunità offerte
dai mercati esteri alle imprese in particolare piccole e medie (comma 2,
lett. a))
·
supporto alle più rilevanti manifestazioni fieristiche italiane di
livello internazionale (comma
2, lett. b));
·
sostegno
all’utilizzo degli strumenti di e-commerce
da parte delle piccole e medie imprese (comma 2, lett. g));
Si consideri, al riguardo, che per quanto attiene al settore agroalimentare, il D.L. n. 91/2014 ha previsto, un credito di imposta (per il 2014, 2015 e
2016, nella misura del 40% dell’investimento e non superiore a 50.000 euro) per
le imprese agricole, agroalimentari nonché per le imprese operanti nel settore
della pesca e dell’acquacoltura per investimenti in infrastrutturazione
elettronica per l'implementazione dell'e-commerce
(articolo 3, commi 1-2 e 5)[55].
Per le grandi imprese agricole il credito di imposta di cui sopra si
applicherà nell'ambito del regime de
minimis (cfr reg. 1407/2013 e 1408/2013): dunque, per le imprese di
trasformazione di prodotti agricoli entro i 200 mila euro e per quelle di produzione
primaria entro i 15 mila euro. Le soglie di credito di imposta previste dalla
norma si applicano invece alle piccole e medie imprese (fino a 250 addetti e 50
milioni di fatturato) per le quali vale il regime di esenzione di cui al reg.
702/2014.
·
realizzazione
di tipologie promozionali innovative per l’acquisizione e la fidelizzazione
della domanda dei mercati esteri (comma 2, lett. h));
·
erogazione
di contributi a fondo perduto in forma
di voucher (comma 2, lett. i)) destinati per l'acquisizione,
tra l'altro, di figure professionali specializzate nei processi di internazionalizzazione;
Con riguardo ai requisiti soggettivi, i criteri e le modalità per la concessione dei voucher il comma 4 dell’articolo in esame dispone che essi sono stabiliti con decreto del Ministero dello sviluppo economico, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. I contributi devono esser erogati nel rispetto della normativa europea agli aiuti "de minimis". Si tratta cioè di quelle misure di sostegno al sistema produttivo che non violano il divieto di aiuti di Stato previsto dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea perché ritenuti di lieve entità. Il Regolamento (UE) n. 1407/2013 del 18 dicembre 2013 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 24 dicembre 2013) mantiene comunque invariata la definizione degli aiuti de minimis come quegli aiuti che abbiano un massimale di 200.000 euro calcolato su un periodo di tre anni (100.000 euro per il settore del trasporto di merci su strada per conto terzi).
·
sostegno
ad iniziative di promozione delle opportunità di investimento in Italia, nonché
di accompagnamento e assistenza degli investitori esteri in Italia (comma 2,
lett. l));.
Per ciò che specificamente attiene al settore agroalimentare, sono quattro le
direttrici di intervento del Piano:
·
valorizzazione delle produzioni di eccellenza, in
particolare agricole e agroalimentari, e tutela all'estero dei marchi e delle
certificazioni di qualità e di origine delle imprese e dei prodotti (comma 2,
lett. c));
Si osserva in proposito che nel corso dell’esame parlamentare del D.L.
n. 91/2014 era stato introdotto un articolo aggiuntivo, poi soppresso, che disponeva
l'istituzione presso il sistema delle camere di commercio di un Servizio
telematico integrato, a domanda individuale, rivolto a imprese e loro
associazioni, consorzi, istituzioni ed enti pubblici territoriali, per il
monitoraggio dei marchi di qualità delle produzioni agroalimentari italiane e
la loro prima tutela. Il sistema operava a richiesta dei soggetti interessati e
con onere a carico degli stessi, attraverso l'assistenza tecnico-legale sui
mercati esteri.
·
sostegno alla penetrazione dei prodotti
italiani nei diversi mercati, anche attraverso appositi accordi con le reti di
distribuzione (comma 2, lett. d));
·
realizzazione
di un segno distintivo unico per le
produzioni agricole e agroalimentari per favorirne la promozione all'estero
e durante l'Esposizione Universale 2015(comma 2, lett. e));
Si ricorda che
sono segni distintivi i marchi, i
marchi di fatto, ditta e insegna, ragione e denominazione sociale, nomi a
dominio di siti usati nell’attività economica, titoli delle opere dell’ingegno.
Nel nostro ordinamento, sia il marchio registrato (concesso dall’Ufficio
italiano brevetti e marchi per una durata di dieci anni, ma rinnovabile senza
limiti per eguali periodi), sia il marchio non registrato (tutelato sulla base
della notorietà conseguita sul mercato) sono oggi inquadrati tra i diritti di proprietà industriale (artt. 1 e 2
del Codice della proprietà industriale[56]) e la loro
disciplina sostanziale deriva dalla Direttiva n. 2008/95/CE (versione codificata)
e dalle prescrizioni del TRIPs Agreement.
A fianco della
predetta disciplina vi è quella europea prevista per il marchio comunitario (Reg.
UE n. n. 207/2009 (versione consolidata)), titolo unitario con effetti
sull’intero territorio UE.
Inoltre, in
ambito agroalimentare, l’origine/provenienza
di un prodotto ha valenza giuridica, oltre che economica. In primo luogo, si può distinguere tra:
-
”indicazione di origine” di un prodotto
da un dato paese. Per quanto attiene all’indicazione d’origine a fini
doganali, il riferimento normativo è il Codice dell’Unione doganale (Reg. UE n.
952/2013). L’articolo 60 del Codice
doganale dispone che le merci interamente ottenute in un unico paese o
territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio . Inoltre, il
GATT (General Agreement on Tariffs and
Trade) all’articolo IX disciplinala marcatura d’origine.
-
”indicazione di provenienza” di un
prodotto, laddove quest’ultima locuzione è volta all’attestazione della
esistenza di un collegamento dimostrabile tra una determinata caratteristica
del prodotto, che lo rende di qualità, ed un determinato luogo di produzione. I
riferimenti normativi sono rinvenibili nei regolamenti europei che intervengono
su:
§ l’etichettatura
del prodotto e le informazioni ai consumatori quale elemento per
rafforzare la tracciabilità e la
sicurezza degli stessi prodotti di consumo. Si tratta del nuovo Reg. UE 1169/2011, il quale – salvo
talune eccezioni – trova applicazione a decorrere dal 13 dicembre 2014. Il
nuovo il Reg. Ue n. 1169/2011 richiama esplicitamente quali debbano essere le
informazioni obbligatorie che gli operatori devono adottare relativamente agli
alimenti commercializzati (articolo 9 e 10). L'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è
obbligatoria nel caso in cui l'omissione di tale indicazione possa indurre
in errore il consumatore in merito al paese d'origine o al luogo di provenienza
reali dell'alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano
l'alimento o contenute nell'etichetta
potrebbero altrimenti far pensare che l'alimento abbia un differente
paese d'origine o luogo di provenienza; per le carni fresche, refrigerate o
congelate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili (articolo
26)[57]. Inoltre, entro
il 13 dicembre 2014, la Commissione è tenuta a presentare al Parlamento europeo
e al Consiglio relazioni sull'indicazione obbligatoria del paese d'origine o
del luogo di provenienza taluni tipi
specifici di alimenti[58]. Si osservi che
il Reg. UE 1169/2011 ammette anche altre tipologie di informazioni – cd.
informazioni volontarie - ma, se presenti, esse non possono occupare lo spazio
disponibile per le informazioni obbligatorie (articolo 37). Le informazioni
volontarie non devono indurre in errore il consumatore, e non devono esse
ambigue né confuse e, se del caso, basate sui dati scientifici pertinenti
(articolo 36). Gli Stati membri possono
adottare, previa notifica alla
Commissione UE[59], disposizioni che richiedono ulteriori
indicazioni obbligatorie per tipi o categorie specifici di alimenti per
almeno uno dei seguenti motivi:
a) protezione
della salute pubblica;
b) protezione
dei consumatori;
c) prevenzione delle frodi;
d) protezione dei diritti di proprietà
industriale e commerciale, delle indicazioni di provenienza, delle
denominazioni d'origine controllata e repressione
della concorrenza sleale (articolo 39);
§ la tutela delle denominazioni di qualità dei
prodotti agricoli ed alimentari, attraverso la previsione di requisiti
specifici di etichettatura stabiliti
da apposite disposizioni dell'Unione: si tratta in particolare del nuovo Reg. (UE) n. 1151/2012, entrato in
vigore il 3 gennaio 2013, relativo alla protezione delle specialità
tradizionali garantite (STG) dei
prodotti delle indicazioni geografiche (IGP)
e delle denominazioni d'origine (DOP)
dei prodotti agricoli e alimentari[60]. Per dare
esecuzione al Regolamento n. 1151/2012 è stato adottata dal Ministero delle
Politiche Agricole Alimentari e forestali il D.M. 14 ottobre 2013[61].
Si consideri,
per quanto qui possa rilevare, che il nuovo regolamento UE 1152/2011 istituisce
un regime relativo alle indicazioni
facoltative di qualità per agevolare la comunicazione, da parte dei produttori,
nel mercato interno delle caratteristiche o proprietà dei prodotti agricoli che
conferiscono a questi ultimi valore aggiunto, a condizione che a) l'indicazione si riferisca a una
caratteristica di una o più categorie di prodotti o ad una modalità di
produzione o di trasformazione agricola applicabili in zone specifiche; b) l'uso
dell'indicazione conferisca valore al prodotto rispetto a prodotti di tipo
simile; c) l'indicazione deve avere una dimensione europea (art. 27-31).
A livello nazionale, si ricorda che
in passato, più di una occasione, attraverso provvedimenti legislativi, invero
mai attuati, ovvero attraverso proposte legislative, presentate anche nel corso
dell’attuale legislatura, si è tentato di introdurre veri e propri marchi distintivi delle produzioni agricole ed agroalimentari
nazionali.
Si ricorda, in
particolare, al riguardo, l’articolo 7 del D.Lgs. n. 173/1998 che ha demandato
ad un regolamento del Ministro per le politiche agricole, da adottarsi di
concerto con i dicasteri interessati (ex
Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato e il Ministro per il
commercio con l'estero), l’istituzione, entro il 20 dicembre 1998, d'intesa con
la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano, del marchio
identificativo della produzione agroalimentare nazionale. In particolare,
tale marchio, di proprietà del Ministero per le politiche agricole, doveva
dovuto consistere in un segno o indicazione per la distinzione nel commercio della produzione agroalimentare
nazionale. Tale norma è rimasta invero senza attuazione per le censure
mosse dalla Commissione europea per violazione delle norme in materia di
concorrenza, in quanto il marchio in questione avrebbe potuto favorire i
prodotti nazionali a scapito di quelli provenienti da altri Stati membri.
Inoltre,
l’articolo 4, comma 61 della legge n. 350/2003 ha previsto l’istituzione presso
il Ministero dello sviluppo economico di un apposito Fondo per la realizzazione
di azioni a sostegno di una campagna promozionale straordinaria a favore del «made in Italy»[62], da realizzarsi
anche attraverso la regolamentazione dell'indicazione di origine o
l'istituzione di un apposito marchio a
tutela delle merci integralmente prodotte sul territorio italiano o assimilate
ai sensi della normativa europea in materia di origine, nonché per il
potenziamento delle attività di supporto formativo e scientifico alle attività
istituzionali del Ministero dell’economia e delle finanze anche rivolte alla
diffusione del «made in Italy» nei mercati mediterranei, dell'Europa
continentale e orientale.
E’ inoltre in
corso di esame presso il Senato l’esame del disegno di legge n. 1061 Fedeli ed altri relativo alla istituzione
del marchio “Italian Quality” per il
rilancio del commercio estero e la tutela dei prodotti italiani, finalizzato
all’istituzione di un marchio collettivo, a proprietà statale e volontario.
Per ciò che
attiene agli altri Paesi europei, da
novembre 2008, tutte le operazioni, le azioni di promozione dell’offerta
agroalimentare francese espongono il logo France Bon
Appétit proposto da Sopexa,
esercente il servizio pubblico per conto del Ministero delle Politiche Agricole
Alimentari e Forestali francese. La grafica del logo, rinnovata nel 2012,
riflette – si legge nel sito istituzionale relativo - l'impulso comune dei
ministeri e delle agenzie francesi per promuovere l'offerta agroalimentare
nazionale.
Si osserva che la lettera c), comma 2
dell’articolo 30 non esplicita a chi appartenga il segno distintivo e la
relativa gestione.
Si segnala al riguardo che – in sede di
risposta ad una interrogazione a risposta immediata presso l’Assemblea della
Camera dei deputati – Interrogazione n. 3-01025 Russo ed altri circa
l’istituzione di un marchio italian
original -, il 17 settembre 2014,
il Ministro delle politiche agricole
alimentari e forestali Martina è intervenuto sulla disciplina contenuta
nell’articolo 30 qui in esame, e, in particolare sulla istituzione del segno
distintivo in questione.
Il Ministro ha evidenziato che il Governo ha lavorato sul comparto agroalimentare
come asset strategico del Piano per
il made in Italy. In particolare, per
il settore agroalimentare sono previsti nuovi strumenti di promozione e di
tutela del made in Italy agroalimentare a favore delle aziende italiane, a
partire proprio dalle numerose imprese che hanno investito risorse nei marchi
DOP e IGP. In tale quadro sarà realizzato un segno distintivo unico per le operazioni
di promozione che saranno realizzate all’estero. Tale segno distintivo sarà
utilizzato anche in occasione dell’Esposizione universale di Milano, che partirà
nel maggio 2015, come sappiamo.
Il Ministro rileva che il segno distintivo agroalimentare non avrà le
caratteristiche dell’italian original
descritto dagli interroganti e sarà
invece un segno distintivo pubblico che
non mira in alcun modo a sostituirsi ai marchi dei singoli prodotti, ma
intende esaltarli nel rispetto delle diversità di ciascuno.
La necessità di realizzare questo strumento distintivo è nata
dall’accurata analisi del sistema agroalimentare italiano e del suo
posizionamento sui mercati internazionali, perché, nonostante le grandi potenzialità
di crescita della domanda dei prodotti italiani, a causa dell’eccessiva frammentazione
che lo caratterizza, questo sistema ha visto fortemente limitate le proprie
attività di export. Questa debolezza non
ha consentito ancora, a nostro giudizio, un’adeguata penetrazione dei prodotti italiani
sui mercati esteri, nonostante i grandissimi livelli di eccellenza che li
caratterizzano.
Al contempo, questa debolezza ha permesso, invece, in questi mercati, a
fronte dell’elevata domanda di prodotti made in Italy, una penetrazione di prodotti
di falsa produzione italiana, le nostre imitazioni.
L’obiettivo del segno distintivo sarà, pertanto, quello di valorizzare la
distintività dei prodotti italiani creando nei Paesi esteri un’immagine coordinata
delle caratteristiche peculiari dei prodotti e delle imprese italiane.
·
realizzazione
di campagne di promozione strategica nei
mercati più rilevanti e di contrasto al
fenomeno dell'Italian sounding (comma 2, lett. f)).
Per quanto attiene all’attività parlamentare di
indirizzo al Governo circa le iniziative da intraprendere a tutela del made in Italy agroalimentare, si ricorda
che Il 14 gennaio 2014 è stata approvata all’unanimità dalla Camera dei
deputati la mozione Sani n. 1-00311
con la quale si impegna il Governo, tra l’altro, ad intraprendere, anche in
sede europea , iniziative finalizzate a rafforzare la tutela della
denominazione made in Italy nel campo
delle produzioni agroalimentari, attivando prioritariamente misure contro
l’utilizzo della stessa denominazione in maniera falsa e ingannevole e ad
attivarsi a livello nazionale, internazionale e comunitario per la difesa delle produzioni italiane contrastando il
fenomeno dell’italian sounding; a
rendere più efficace e intensa la politica di promozione e diffusione in Italia
e all’estero dei prodotti agroalimentari italiani attraverso un incremento
delle risorse finanziarie già stanziate.
Come afferma l’ICE[63], tecnicamente l’Italian Sounding
consiste in una pratica che induce il
consumatore, attraverso l’utilizzo di parole, colori, immagini e riferimenti
geografici, ad associare erroneamente un prodotto a quello italiano. L’imitazione
evocativa dei prodotti italiani è causa di un consistente danno economico alle
aziende italiane del settore.
Come rilevato dall’ISTAT in un recente Rapporto del 18 settembre 2014, l'Italia si conferma il primo Paese per
numero di riconoscimenti Dop, Igp e Stg conferiti dall'Unione europea (Ue).
I prodotti agroalimentari di qualità riconosciuti al
31 dicembre 2013 sono 261 (13 in più rispetto al 2012); di questi, 252
risultano attivi.
I settori con il maggior numero di riconoscimenti sono
gli ortofrutticoli e cereali (101 prodotti), i formaggi (47), gli oli
extravergine di oliva (43) e le preparazioni di carni (37). Le carni fresche e
gli altri settori comprendono, rispettivamente, 5 e 28 specialità.
Con riferimento al fenomeno dell’Italian sounding, che penalizza la qualità dei prodotti
agroalimentari italiani, Unioncamere - nel corso dell’audizione
tenutasi il 6 febbraio 2014 sull’Indagine
conoscitiva sulla valorizzazione delle produzioni agroalimentari nazionali
con riferimento all’esposizione universale di Milano 2015 - ha ricordato i numeri della contraffazione: l’agropirateria internazionale,
utilizzando impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e
ricette che si richiamano all'Italia, riesce
a collocare sui mercati esteri due prodotti alimentari di tipo italiano su tre,
con un fatturato di circa 60 miliardi di euro all’anno.
Inoltre, secondo una ricerca realizzata nel 2012 dal
Ministero dello Sviluppo economico con il Censis, senza la contraffazione, in
Italia ci sarebbero 110 mila posti di lavoro in più e 1,7 miliardi di entrate
per il fisco.
Convenzione tra Mise e ICE-Agenzia
L’ICE-Agenzia stipula una convenzione con il Ministero dello sviluppo economico in cui sono definiti:
· gli obiettivi attribuiti all'ICE-Agenzia per favorire l'attrazione degli investimenti esteri, tenuto conto di quanto previsto dall'articolo 1, comma 460, della legge n.296/2006;
Si ricorda che l’articolo 1, comma 460, L. 296/2006 prevede che la Società Sviluppo Italia Spa assume la denominazione di Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa ed è società a capitale interamente pubblico. Il Ministro dello sviluppo economico definisce, con apposite direttive, le priorità e gli obiettivi della società e approva le linee generali di organizzazione interna, il documento previsionale di gestione ed i suoi eventuali aggiornamenti e, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, lo statuto.
Il D.M 18 settembre 2007 ha individuato gli atti di gestione ordinaria e straordinaria della società e delle sue controllate dirette ed indirette che, ai fini della loro efficacia e validità, necessitano della preventiva approvazione ministeriale.
· i risultati attesi;
· le risorse finanziarie e il relativo utilizzo (comma 5).
Si specifica, per quanto attiene alle modalità operative dell’ICE-Agenzia, che essa svolga l'attività di attrazione degli investimenti all'estero attraverso la propria rete estera che opera nell'ambito delle Rappresentanze Diplomatiche e consolari Italiane (comma 6).
Istituzione del Comitato di
coordinamento per l’attrazione degli investimenti esteri e abrogazione del Desk
Italia - Sportello attrazione investimenti esteri
Il compito di coordinamento dell’attività in materia di attrazione degli investimenti esteri, nonché quello di favorire, ove necessario, la sinergia tra le diverse amministrazioni centrali e locali è affidato ad un Comitato, del quale è prevista l’istituzione presso il Ministero dello sviluppo economico.
Il Comitato è composto da rappresentanti dei diversi ministeri interessati e da un rappresentante della Conferenza Stato-Regioni e può essere integrato con i rappresentanti delle amministrazioni centrali e territoriali di volta in volta coinvolte nel progetto d'investimento. Ai componenti del Comitato non sono corrisposti gettoni, compensi, rimborsi di spese o altri emolumenti.
E’ di conseguenza soppresso il Desk Italia-Sportello attrazione degli investimenti esteri (comma 7).
Si ricorda che il Desk Italia - Sportello attrazione investimenti esteri, previsto all'articolo 35 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 (disposizione ora abrogata dal DL in esame), costituiva il punto di riferimento per l'investitore estero in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti il relativo progetto di investimento, fungendo da raccordo fra le attività svolte dall'ICE - Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane e dall'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa – Invitalia.
Estensione delle finalità del
Fondo per la promozione degli scambi e l'internazionalizzazione delle imprese
L’articolo dispone che la dotazione del Fondo per la promozione degli scambi e l'internazionalizzazione delle imprese da assegnare all’ICE per le attività di promozione e di sviluppo degli scambi commerciali con l'estero è destinata anche all'attrazione degli investimenti esteri (comma 9).
Si ricorda al
riguardo che la dotazione del Fondo, sulla base della disciplina vigente
(articolo 14, comma 19 D.L. n. 98/2011) è determinata annualmente nella Tabella
C della legge di stabilità. La Tabella C
della legge di stabilità 2014 (legge
n. 147/2013) reca uno stanziamento, per il triennio 2014-2014, di 23,8 milioni di euro per il 2014, di 22,8 milioni per il 2015
e di 22,9 milioni per il 2016. Il Fondo è iscritto nello stato di previsione del Ministero dello
sviluppo economico (cap. 2535/Mise).
Il Fondo è specificamente destinato all'erogazione all'Agenzia di un contributo
annuale per il finanziamento delle attività di promozione all'estero e di
internazionalizzazione delle imprese italiane (articolo 14, comma 26- ter D.L. n. 98/2011).
In virtù di quanto previsto dal
comma 9 dell’articolo 30, le finalità di attrazione degli investimenti esteri
del Piano di promozione straordinaria del Made in Italy ivi previsto
sembrerebbero trovare finanziamento attraverso l’ulteriore finalizzazione del
Fondo per la promozione degli scambi e
l'internazionalizzazione delle imprese (Fondo già destinato all’ICE-Agenzia per
le attività di promozione e di sviluppo degli scambi con l'estero).
Appare comunque opportuno che
il Governo chiarisca se anche le ulteriori finalità del Piano - destinato tra
l’altro a valorizzare l’immagine del made in Italy nel mondo, con azioni di contrasto all’Italian
sounding e al sostegno dell’e-commerce
- siano a carico del Fondo in questione.
A questo proposito, si rileva
che non appare esplicitato quante siano le risorse da finalizzare al Piano e
quale sia l’orizzonte temporale del Piano stesso, ed in che modo esso,
nell’ipotesi in sia permanente, sia soggetto ad aggiornamenti.
Articolo
31
(Misure per la riqualificazione degli esercizi alberghieri)
L’articolo 31 interviene in materia di esercizi alberghieri, con la finalità di incentivare gli investimenti nel settore, introducendo nell’ordinamento nazionale la definizione di una nuova tipologia di struttura ricettizia, denominata condhotel. Al riguardo, la norma specifica che la caratteristica principale di tale struttura è la composizione integrata tra camere destinate alla ricettività e unità abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina. La superficie delle unità a destinazione residenziale non può superare il 40% della superficie totale degli immobili interessati.
L’individuazione delle
condizioni di esercizio dei condhotel è demandata ad un decreto del Presidente
del Consiglio da adottare, previa intesa
tra lo Stato, le Regioni e le Autonomie Locali in sede di
Conferenza Unificata.
Va rilevato che una disciplina della definizione strutture alberghiere, con particolare riguardo ai condhotel, è contenuta nel DL 83/2014, convertito con modificazioni, dalla legge 106/2014. L’articolo 10, comma 5, del citato decreto demanda ad un decreto del MIBACT, da emanarsi entro 3 mesi, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, l’aggiornamento degli standard minimi e l’uniformità sul territorio nazionale dei servizi e delle dotazioni per la classificazione delle strutture ricettive e delle imprese turistiche, ivi compresi i condhotel, tenendo conto delle specifiche esigenze connesse alla capacità ricettiva e di fruizione dei contesti territoriali.
Va evidenziata l’opportunità, in sede di attuazione delle norme in
commento, di un coordinamento tra le disposizioni relative ai condhotel
contenute nel decreto legge in esame e quelle contenute nel decreto legge
83/2014, anche alla luce della considerazione che per l’emanazione del DPCM
volto alla definizione delle condizioni di esercizio dei condhotel non è
previsto alcun temine.
L’articolo in esame demanda inoltre al sopracitato DPCM la definizione delle condizioni necessarie per la rimozione del vincolo di destinazione alberghiera in caso di interventi edilizi sugli esercizi alberghieri esistenti, con esclusivo riferimento alle unità abitative a destinazione residenziale. E’ specificato al riguardo che il vincolo può essere rimosso, a richiesta del proprietario, previa restituzione dei contributi e delle agevolazioni pubbliche percepite, ove lo svincolo avvenga prima della scadenza del finanziamento.
Il vincolo di destinazione, che consiste in una limitazione al diritto di proprietà imposta da un interesse pubblicistico consistente nel conservare la destinazione ad alberghi di determinati immobili, a vantaggio dell’industria alberghiera, trova la sua disciplina nella legislazione regionale, adottata sulla base dell’articolo 8 della L. 217/1983 che prevedeva la possibilità di istituire un vincolo di destinazione per le strutture ricettive, nonché la possibilità di rimozione del detto vincolo, dando carico alle Regioni di procedere all’individuazione delle modalità, fermo rimanendo che la detta limitazione dovesse in ogni caso venir meno “su richiesta del proprietario solo se viene comprovata la non convenienza economico-produttiva della struttura ricettiva e previa restituzione di contributi e agevolazioni pubbliche eventualmente percepiti e opportunamente rivalutati ove lo svincolo avvenga prima della scadenza del finanziamento agevolato”. La legislazione regionale delega i Comuni ad adeguare i propri strumenti urbanistici con la previsione della disciplina urbanistica delle strutture ricettive riferita in particolare a quelle esistenti e con l’individuazione delle aree specificamente destinate agli insediamenti turistico-ricettivi, tenuto conto delle linee di indirizzo della programmazione regionale. Le stesse regioni hanno introdotto, con la propria legislazione, specifici finanziamenti agevolati o contributi legati al vincolo di destinazione.
L’articolo in commento stabilisce infine che le Regioni e le Province autonome devono adeguare i propri ordinamenti ai contenuti del decreto ministeriale che definisce i condhotel, entro un anno dalla pubblicazione del decreto stesso. Al riguardo è specificato che restano ferme, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 settembre 2002, recante il recepimento dell'accordo fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome sui principi per l'armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico.
Si ricorda che l’Accordo quadro, che ha definito i "Principi per l'armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico" è stato approvato in sede di Conferenza Stato-regioni il 14 febbraio 2002, ai sensi dell'art.4 del D.Lgs. 281/1997. L'accordo è stato approvato in sede di Conferenza successivamente all'entrata in vigore della L. Cost.18 ottobre 2001, n. 3, che ha riformato il Titolo V della Costituzione, a seguito della quale la materia del turismo, non contemplata tra le competenze statali, si ritiene ricompresa nella competenza residuale delle regioni, ai sensi dell’art. 117, comma 3 della Costituzione. Recepito con il DPCM 13 settembre 2002, l'accordo si compone di due articoli, il primo dei quali detta i principi per l'armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico mentre il secondo riporta i principi e gli obiettivi di sviluppo del sistema turistico. In particolare l'articolo 1, alla lettera a) stabilisce una denominazione unica a livello nazionale (IAT), per gli uffici di informazione e di accoglienza turistica. La lettera b) individua le tipologie di imprese turistiche operanti nel settore, in base all'attività svolta dalle stesse, e le attività di accoglienza non convenzionali. A tale fine, identifica le principali tipologie di attività turistiche e talune garanzie essenziali che nell'esercizio di tali attività debbono comunque essere offerte. Secondo lo stesso articolo 1 le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sono altresì competenti a definire concordemente gli standard minimi comuni di qualità delle camere d'albergo e delle unità abitative delle residenze turistico - alberghiere e delle strutture ricettive in generale (lettera d). Gli standard di queste ultime strutture valgono anche per quelle ricettive gestite senza scopo di lucro (lettera h) e per le attività di accoglienza non convenzionale (lettera i).
L’oggetto principale delle disposizioni di cui all’articolo in commento consiste nella definizione di una nuova tipologia di struttura ricettiva. Al riguardo, occorre ricordare che la riforma costituzionale del Titolo V (legge costituzionale n. 3/2001) ha reso il turismo una materia di competenza “esclusiva” per le Regioni ordinarie.
Con la sentenza n. 80/2012 la Corte ha dichiarato l’illegittimità di numerose disposizioni del decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79 (c.d. Codice del turismo), in quanto volte all’accentramento di funzioni rientranti nella competenza legislativa residuale delle Regioni. In particolare sono state dichiarate illegittime: la classificazione delle strutture ricettive; la classificazione e disciplina delle strutture ricettive alberghiere ed extralberghiere; la classificazione e disciplina delle strutture ricettive all'aperto; la definizione delle strutture ricettive di mero supporto nonché la disciplina degli standard qualitativi dei servizi e delle dotazioni per la classificazione delle strutture ricettive.
Nonostante ciò, è necessario sottolineare che, per numerosi e rilevanti profili della disciplina del turismo, il riferimento alla legislazione statale appare tuttora preponderante.
Infatti secondo i più recenti indirizzi della Corte costituzionale, anche la competenza regionale più ampia comunque non esclude a priori la possibilità per la legge statale di attribuire funzioni amministrative al livello centrale e di regolarne l’esercizio, in base ai principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione (art. 118 Cost.).
In base alla giurisprudenza della Corte costituzionale nonostante la materia del turismo appartenga «alla competenza legislativa residuale delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. (sent. n. 94 del 2008, n. 214 e n. 90 del 2006), non è esclusa la possibilità «per la legge di attribuire funzioni legislative al livello statale e di regolarne l’esercizio», vista l’importanza del settore turistico per l’economia nazionale. Come ha rilevato la Corte «la chiamata in sussidiarietà a livello centrale è legittima soltanto se l’intervento statale sia giustificato nel senso che, a causa della frammentazione dell’offerta turistica italiana, sia doverosa un’attività promozionale unitaria; d’altra parte, l’intervento deve essere anche proporzionato nel senso che lo Stato può attrarre su di sé non la generale attività di coordinamento complessivo delle politiche di indirizzo di tutto il settore turistico, bensì soltanto ciò che è necessario per soddisfare l’esigenza di fornire al resto del mondo un’immagine unitaria. Infine, lo Stato deve prevedere il coinvolgimento delle Regioni, non fosse altro perché la materia turismo, appartenendo oramai a tali enti territoriali, deve essere trattata dallo Stato stesso con atteggiamento lealmente collaborativo (Corte cost., sent. n. 214 del 2006, punti 8-9 diritto; sent. n. 76 del 2009, punti 2-3)».
Articolo
32, commi 1-2
(Marina Resort)
L’articolo 32 equipara, per un periodo di tempo limitato, alle strutture ricettive all’aria aperta le strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all'interno delle proprie unità da diporto, ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato (c.d. marina resort).
Si ricorda che una definizione delle strutture dedicate alla nautica da diporto è contenuta nel D.P.R. 2-12-1997 n. 509 (art. 2). In particolare il «porto turistico», è definito come il complesso di strutture amovibili ed inamovibili realizzate con opere a terra e a mare allo scopo di servire unicamente o precipuamente la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l'apprestamento di servizi complementari; l'«approdo turistico» è la porzione dei porti polifunzionali destinata a servire la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l'apprestamento di servizi complementari; i «punti d'ormeggio», sono le aree demaniali marittime e gli specchi acquei dotati di strutture che non importino impianti di difficile rimozione, destinati all'ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio di piccole imbarcazioni e natanti da diporto.
L’equiparazione ha natura temporanea, in quanto ha effetto
dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge in
commento fino al 31 dicembre 2014.
L’equiparazione inoltre deve avvenire secondo requisiti stabiliti dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sentito il Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo. Al riguardo, non è specificato in quale forma debba avvenire l’individuazione dei requisiti e non sono stabiliti termini per tale intervento. Inoltre non è previsto alcun coinvolgimento delle Regioni.
Al riguardo si ricorda che la definizione dei requisiti delle strutture ricettive turistiche, afferendo alla materia “turismo” rientra tra le competenze che la Costituzione attribuisce in via esclusiva alle Regioni. Con la sentenza n. 80/2012 la Corte ha dichiarato l’illegittimità di numerose disposizioni del decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79 (c.d. Codice del turismo), in quanto volte all’accentramento di funzioni rientranti nella competenza legislativa residuale delle Regioni. Tra le altre sono state dichiarate illegittime le disposizioni concernenti gli standard minimi di qualità dei servizi forniti dalle imprese che operano nel settore del turismo nautico, come definite dal DPR 2 dicembre 1997, n.509, quali fondamentalmente i punti d'ormeggio, gli approdi, turistici e i posti turistici. Peraltro la giurisprudenza della Corte costituzionale nonostante la materia del turismo appartenga «alla competenza legislativa residuale delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. (sent. n. 94 del 2008, n. 214 e n. 90 del 2006), non esclude la possibilità «per la legge di attribuire funzioni legislative al livello statale e di regolarne l’esercizio», vista l’importanza del settore turistico per l’economia nazionale. Come ha rilevato la Corte «la chiamata in sussidiarietà a livello centrale è legittima soltanto se l’intervento statale sia giustificato nel senso che, a causa della frammentazione dell’offerta turistica italiana, sia doverosa un’attività promozionale unitaria; d’altra parte, l’intervento deve essere anche proporzionato nel senso che lo Stato può attrarre su di sé non la generale attività di coordinamento complessivo delle politiche di indirizzo di tutto il settore turistico, bensì soltanto ciò che è necessario per soddisfare l’esigenza di fornire al resto del mondo un’immagine unitaria. Infine, lo Stato deve prevedere il coinvolgimento delle Regioni, non fosse altro perché la materia turismo, appartenendo oramai a tali enti territoriali, deve essere trattata dallo Stato stesso con atteggiamento lealmente collaborativo (Corte cost., sent. n. 214 del 2006, punti 8-9 diritto; sent. n. 76 del 2009, punti 2-3)».
Si segnala che già alcune regioni hanno disposto nel senso dell’equiparazione dei “marina resort” alle strutture ricettive all’aperto. In tal senso la legge regionale del Friuli Venezia Giulia 16 gennaio, n. 2, recante Disciplina organica del turismo, come modificata dall’articolo 9 della legge regionale n. 2/2010, ha già ricompreso i “marina resort”, tra le strutture ricettive all’aria aperta, unitamente ai campeggi, ai villaggi turistici ed ai dry marina.. Inoltre analogo intervento normativo è contenuto nella legge regionale dell’Emilia Romagna n. 7 del 2014 che stabilisce “Sono marina resort le strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all'interno delle unità da diporto, ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato, che posseggano i requisiti individuati dalla Giunta regionale con apposita deliberazione che ne definisce altresì modalità di apertura e di esercizio, nonché la relativa classificazione”.
Andrebbe al riguardo valutata l’opportunità di specificare la forma dell’atto
con il quale il Ministero deve individuare i requisiti nonché i termini per
l’adozione dell’atto stesso.
La principale conseguenza dell’equiparazione alle strutture ricettive turistiche all’aperto dei “marina resort” consiste nell’applicazione alle prestazioni rese ai clienti ivi alloggiati, dell’IVA agevolata al 10 per cento (concessa ai clienti alle strutture ricettive turistiche), invece dell’IVA al 22 per cento applicabile alla portualità turistica e ai servizi associati.
Il punto 120) della Tabella A, parte III allegata al Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, riconosce l’applicazione dell’aliquota del 10% alle prestazioni rese ai clienti alloggiati nelle strutture ricettive di cui all’articolo 6 della legge 17 maggio 1983, n. 217, ossia alberghi, motel, villaggi-albergo, residenze turistiche alberghiere, campeggi, villaggi turistici, alloggi agro turistici, affittacamere, case e appartamenti per vacanze, case per ferie, ostelli per la gioventù, rifugi alpini, bed and breakfast. Nonostante la legge 17 maggio 1983, n. 217, recante “Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell'offerta turistica”, sia stata abrogata dalla L. 29 marzo 2001, n. 135, successivamente l'art. 1, del D.P.C.M. 13 settembre 2002, recante “Recepimento dell'accordo fra lo Stato, le regioni e le province autonome sui princìpi per l'armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico”, ha disposto che tutti i riferimenti alla suddetta legge, contenuti in atti normativi vigenti alla data di entrata in vigore del citato D.P.C.M. 13 settembre 2002, ove applicabili, si intendono riferiti allo stesso decreto e alle normative regionali di settore.
Si ricorda che la Mozione 1-00397 (Prodani) approvata nella seduta del 15 aprile 2014 della Camera, ha impegnato il Governo ad assumere in via prioritaria una serie di iniziative, anche normative, per favorire la ripresa e il pieno sviluppo del comparto turistico nazionale, tra le quali, in particolare, “misure urgenti per il rilancio della nautica da diporto nazionale e della relativa filiera, in modo da garantire la promozione unitaria del settore nautico-turistico in ambito nazionale ed internazionale, introducendo una classificazione delle strutture che tenga conto della diffusione di best practice ed estendendo l'iva agevolata delle strutture ricettive ai marina resort”.
Il comma 2 prevede che agli oneri derivanti dall’attuazione dell’aliquota ridotta, valutati in 2 milioni di euro per l’anno 2014, si provvede mediante l’utilizzo delle somme versate entro il 15 luglio 2014 all’entrata del bilancio dello Stato derivanti da sanzioni amministrative irrogate dall’Autorità garante delle concorrenza e mercato (art. 148, comma 1, L 388/2000) che, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, non sono state riassegnate ai pertinenti programmi e che sono acquisite, nel limite di 2 milioni di euro, definitivamente al bilancio dello Stato.
Si ricorda che l’articolo 148, comma 1, L 388/2000 disciplina l’utilizzo delle somme derivanti da sanzioni amministrative irrogate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Più in particolare è previsto che le entrate derivanti dalle sanzioni amministrative irrogate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato sono destinate ad iniziative a vantaggio dei consumatori. Tali entrate possono essere riassegnate anche nell'esercizio successivo con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica ad un apposito fondo iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato per essere destinate alle iniziative a vantaggio dei consumatori, individuate di volta in volta con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, sentite le competenti Commissioni parlamentari.
Articolo
32, comma 3
(Sistema telematico centrale della nautica da diporto)
Il comma 3 dell’articolo 32 precisa, attraverso una modifica della legge di stabilità 2013 (L. n. 228/2012), che il sistema telematico centrale della nautica da diporto include, oltre all’archivio telematico centrale e allo sportello telematico del diportista, anche l’ufficio di conservatoria centrale delle unità da diporto.
Si ricorda infatti che i commi da 217 a 222 della legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012) hanno previsto l’istituzione del Sistema telematico centrale della nautica da diporto che, secondo tale disposizione legislativa, include un archivio telematico centrale, contenente le informazioni di carattere tecnico, giuridico, amministrativo e di conservatoria riguardanti le navi e le imbarcazioni da diporto, e lo Sportello telematico del diportista. Le modalità per l’attuazione del Sistema sono state poi rimesse a un regolamento di delegificazione, che avrebbe dovuto essere emanato entro il 2 marzo 2013. Lo schema di regolamento di attuazione del sistema telematico della nautica da diporto è stato approvato dal Consiglio dei ministri l'8 novembre 2013 e quindi trasmesso alle Camere il 18 aprile 2014, dopo avere acquisito, il 27 marzo 2014, il parere del Consiglio di Stato. Sullo schema si sono espresse le Commissioni parlamentari competenti: la IX Commissione della Camera ha espresso parere il 27 maggio 2014. La procedura prevede quindi l'emanazione del regolamento con decreto del Presidente della Repubblica, non ancora avvenuta (il regolamento è stato però approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri nella riunione dell’8 agosto 2014).
L'articolo 2 dello schema di regolamento di attuazione del sistema telematico della nautica da diporto stabilisce che il Sistema telematico centrale della nautica da diporto sia istituito presso il Dipartimento per i trasporti, la navigazione e i sistemi informativi del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e sia articolo nelle seguenti strutture:
· Archivio telematico centrale delle unità da diporto (contenente le informazioni di carattere tecnico e giuridico delle unità da diporto)
· Ufficio di conservatoria centrale delle unità da diporto;
· Sportello telematico del diportista.
Lo schema di regolamento già prevede quindi che nell’articolazione del Sistema telematico sia ricompreso l’Ufficio di conservatoria centrale delle unità da diporto. La disposizione del comma 3 in commento sembra quindi avere la finalità di adeguare la disposizione normativa contenuta nella legge di stabilità 2013, che costituisce il fondamento giuridico per l’emanazione del regolamento, con quanto poi previsto dallo schema di regolamento di attuazione stesso, in tal senso recependo un’indicazione contenuta nel parere del Consiglio di Stato del 27 marzo 2014.
Con il comma 3 vengono inoltre specificate le norme del codice della nautica da diporto oggetto di modifica da parte del regolamento di delegificazione chiamato a disciplinare il sistema telematico centrale.
Al riguardo infatti,
il parere del Consiglio di Stato sullo schema, aveva rilevato che il comma 219
dell’articolo unico della legge di stabilità 2013 autorizzava il regolamento in
maniera esplicita ad apportare modifiche unicamente all’articolo 3, comma 1,
lettere b) e c) del codice per la nautica da diporto (decreto legislativo n.
171/2005).
Articolo
40
(Rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga)
L’articolo 40 detta norme in materia di ammortizzatori sociali e incentivi
alle assunzioni.
Il comma 1 prevede l’incremento, per 728 milioni di euro nel 2014, del Fondo sociale per l’occupazione e formazione[64] ai fini delle rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga e l’incremento, di 70 milioni di euro per il 2015, della dotazione relativa all’incentivo per le nuove assunzioni di cui all’articolo 1, comma 12, lettera b), del D.L. 76/2013 (c.d. bonus Giovannini).
Finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga
Gli ammortizzatori sociali in deroga sono stati oggetto di una serie di interventi normativi volti al loro rifinanziamento. Limitando la disamina ai provvedimenti più recenti significativi, si segnalano i seguenti interventi.
L'articolo 2, comma 64-65 della L. 92/2012 ha
disposto, al fine di garantire la graduale transizione verso il regime
delineato dalla riforma degli ammortizzatori sociali, assicurando la gestione
delle situazioni derivanti dal perdurare dello stato di debolezza dei livelli
produttivi del Paese, che per gli anni 2013-2016 il Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze,
possa disporre, sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non
superiori a 12 mesi, in deroga alla normativa vigente, la concessione, anche
senza soluzione di continuità, di trattamenti di integrazione salariale e di
mobilità. Tali trattamenti sono concessi, anche con riferimento a settori
produttivi e ad aree regionali, nei limiti delle risorse finanziarie a tal fine
destinate nell’ambito del Fondo sociale per occupazione e formazione, a tal
fine incrementato di 1 miliardo di
euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014,
di 700 milioni di euro per il 2015 e di 400 milioni di euro per il
2016).
L'articolo 1, commi 253-254, della L. 228/2012
ha incrementato il Fondo sociale per l’occupazione e formazione di 200 milioni di euro per il 2013, in considerazione del perdurare
della crisi occupazionale e dell’esigenza di assicurare adeguate risorse per
gli interventi di ammortizzatori sociali in deroga a tutela del reddito dei
lavoratori.
L’articolo 4 del D.L. 54/2013 ha dettato norme per il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga (mantenendo ferme le risorse già destinate dall’articolo 2, comma 65, della L. 92/2012 e dall’articolo 1, commi 253-254, della L. 228/2012) e per la ridefinizione (con decreto interministeriale da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge) dei criteri per la loro concessione. In particolare, la disposizione ha incrementato di 250 milioni di euro per l’anno 2013 il Fondo sociale per l’occupazione e formazione, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa relativa al Fondo per lo sgravio contributivo dei contratti di produttività. Inoltre, ha introdotto misure volte ad accelerare il procedimento amministrativo di rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga già previsto dall’articolo 1, comma 255, della legge n. 228/2012, prevedendo che le risorse derivanti dall’aumento contributivo di cui all’articolo 25 della legge 845/1978 (che finanziano i Fondi Paritetici Interprofessionali nazionali per la formazione continua), siano versate all’INPS per un importo di 246 milioni di euro, ai fini della successiva riassegnazione al Fondo sociale per l’occupazione e formazione. In particolare, il comma 2 ha demandato ad uno specifico decreto interministeriale la possibilità di disporre, per il quadriennio 2013-2016, la determinazione, nel rispetto degli equilibri di bilancio programmati, dei criteri per la concessione degli ammortizzatori sociali in deroga, con particolare riferimento alle causali di concessione, alle tipologie di datori di lavoro e lavoratori beneficiari. Tali criteri, che dovrebbero consentire una graduale transizione verso il nuovo sistema di ammortizzatori sociali delineato dalla L. 92/2012, operano nel rispetto di determinate risorse finanziarie (1 mld di euro per il biennio 2013-2014, 700 mln di euro per il 2015 e 400 milioni di euro per il 2016, ai sensi dell’articolo 2, comma 65, della stessa L. 92/2012). In relazione a ciò, è stato emanato il D.M. 1° agosto 2014, il cui testo è disponibile sul sito istituzionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali[65]).
L’articolo 10, comma 1, del D.L. 102/2013 ha previsto un incremento, di 500 milioni di euro per l’anno 2013 del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione destinato al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, disponendo che tali risorse aggiuntive debbano ripartirsi tra le regioni tenendo conto delle risorse che devono essere destinate, per le medesime finalità, alle regioni che possono procedere al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga attraverso la riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007/2013 oggetto del Piano di Azione e Coesione (sulla base di quanto disposto dal citato articolo 1, comma 253, della L. 228/2012).
Da ultimo, l’articolo 1, comma 183, della L. 147/2013 (Legge di stabilità 2014) ha rifinanziato ulteriormente gli ammortizzatori sociali in deroga, destinando 600 milioni di euro per il 2014 al Fondo sociale per l’occupazione e la formazione.
Il “bonus” Giovannini
L'articolo 1 del D.L. 76/2013 ha introdotto , in via sperimentale, un incentivo per i datori di lavoro che entro il 30 giugno 2015 assumano, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, lavoratori di età compresa tra i 18 ed i 29 anni, che rientrino nella categoria dei “lavoratori svantaggiati”, ossia privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi o di un diploma di scuola media superiore o professionale.
L’incentivo è pari a un terzo della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, copre un periodo di 18 mesi e non può comunque superare l’importo di 650 euro per ogni lavoratore assunto. Le assunzioni devono comportare un incremento occupazionale netto.
Il medesimo incentivo è riconosciuto, per un periodo di 12 mesi, nel caso di trasformazione con contratto a tempo indeterminato. Alla trasformazione deve corrispondere l’assunzione, entro un mese, di un ulteriore lavoratore.
Gli effetti dell'incentivo verranno verificati ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della L. 92/2012 (Riforma del mercato del lavoro) che ha istituito, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un sistema permanente di monitoraggio e valutazione della legge di riforma[66].
Sulla base di quanto disposto dall’articolo 1, comma 219, della L. 147/2013 (Stabilità 2014), l’incentivo in oggetto può essere ulteriormente finanziato dalle regioni e dalle province autonome, oltre che a valere sulle risorse dei POR 2007-2013, anche a valere sulle eventuali riprogrammazioni delle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie (cofinanziamento nazionale) già destinate ai programmi operativi per gli interventi previsti dal Piano di Azione Coesione.
Infine, si ricorda che l’articolo 2, comma 9, del D.L. 76/2013 ha previsto l’estensione al 15 maggio 2015 del periodo di utilizzo del credito d'imposta per nuove assunzioni a tempo indeterminato nel Mezzogiorno introdotto dall'articolo 2 del D.L. 70/2011, spettante per ogni lavoratore, "svantaggiato" o "molto svantaggiato", assunto nelle regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Molise, Sardegna e Sicilia), con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato e ad incremento dell'organico.
Ai sensi del comma 2, alla copertura dei richiamati oneri si provvede mediante le seguenti forme di finanziamento:
· riduzione (150 milioni per il 2014 e 70 milioni di euro per il 2015) della dotazione di cui all'articolo 1, comma 12, lettera a), del D.L. 76/2013 e riduzione (70 milioni di euro per il 2014) della dotazione di cui all'articolo 1, comma 12, lettera b), del D.L. 76/2013[67], concernenti lo stanziamento delle risorse per il finanziamento del richiamato incentivo sperimentale (cd. Bonus Giovannini) a favore delle regioni del Mezzogiorno più Abruzzo e Molise più le restanti regioni (lettere a) e b)) (sul punto v. anche il successivo comma 3);
· riduzione (11.757.411 di euro per il 2014), del Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell'incremento in termini quantitativi e qualitativi dell'occupazione giovanile e delle donne (di cui all'articolo 24, comma 27, del D.L. 201/2011) (lettera c));
· versamento all'entrata del bilancio dello Stato, da parte dell'INPS, di 292.343.544 euro a valere sulle risorse derivanti dall'aumento contributivo di cui all'articolo 25 della L. 845/1978, per il 2014, destinato a finanziare la formazione continua (tali risorse gravano per un importo massimo di 200 milioni di euro sulla quota inoptata e per la restante parte sulle quote destinate ai fondi interprofessionali per la formazione continua) (lettera d))
· in luogo di quanto previsto all'articolo 2, comma 2, del D.M. 27 dicembre 2012, utilizzo delle risorse finanziarie stanziate, per l'anno 2012, ai fini dell'attribuzione degli sgravi contributivi sulle retribuzioni previste dalla contrattazione di secondo livello (di cui all'articolo 1, commi 67 e 68, della L. 247/2007) rimaste inutilizzate, pari a 103.899.045 euro, le quali sono appositamente riversate all'entrata del bilancio dello Stato (lettera e));
· riduzione (pari a 50 milioni di euro per l'anno 2014), del Fondo relativo agli sgravi contributivi per la contrattazione di secondo livello relative al 2012 (di cui all'ultimo periodo dell'articolo 1, comma 68, della L. 247/2007), con conseguente rideterminazione dello stesso Fondo nell'importo di 557 milioni di euro per il 2014 medesimo[68] (lettera f));
· per 50 milioni di euro mediante utilizzo delle somme versate all'entrata del bilancio dello Stato derivanti dall’utilizzo delle somme derivanti da sanzioni amministrative irrogate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato (ai sensi dell'articolo 148, comma 1, della L. 388/2000), che restano acquisite al bilancio dello Stato (lettera g)).
I commi da 3 a 6 recano
ulteriori disposizioni in materia di ammortizzatori sociali e incentivi alle
assunzioni.
Il comma 3 dispone che non venga effettuata un’ulteriore ripartizione degli stanziamenti delle risorse per il finanziamento dell’incentivo straordinario per le assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori fino a 29 anni di età in determinate condizioni di svantaggio (cd. Bonus Giovannini) a favore delle regioni (risorse di entità diversa a seconda se concernenti le regioni del Mezzogiorno più Abruzzo, Molise e Sardegna, o le restanti regioni[69]). In relazione a ciò, il comma contestualmente abroga il riferimento ai criteri di riparto dei Fondi strutturali quale modalità da adottare per le regioni non del Mezzogiorno[70].
Il comma 4 stanzia ulteriori 8 milioni di euro a favore del Fondo per l’occupazione e formazione al fine di completare l’erogazione dell’ASPI di competenza 2013 per i lavoratori sospesi a causa di crisi aziendale od occupazionale fino ad un massimo di 90 giornate nel biennio mobile (di cui all’articolo 3, comma 17, della L. 92/2012).
L’articolo 3, comma 17, della L. 92/2012 ha riconosciuto, in via sperimentale per il periodo 2013-2015 l’erogazione dell’ASPI ai lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali che siano in possesso dei requisiti specifici previsti dall’articolo 2, commi 4-5[71], a condizione che ci sia un intervento integrativo pari almeno alla misura del 20% dell’indennità stessa a carico dei fondi bilaterali di cui ai commi in esame, ovvero a carico dei fondi di solidarietà bilaterali. La durata massima del trattamento, in ogni caso, non può superare novanta giornate da computare in un biennio mobile.
Il comma 5 rende strutturale la possibilità, già prevista per il 2013 dall’articolo 1, comma 253, della L. 228/2012, di utilizzare le risorse del Piano di Azione e Coesione (PAC) ai fini del finanziamento degli ammortizzatori sociali nelle regioni coinvolte nel PAC medesimo (Basilicata, Calabria, Campania e Sicilia).
Il richiamato comma 253 ha stabilito la possibilità di finanziare gli ammortizzatori sociali in deroga nelle Regioni, in relazione a misure di politica attiva e ad azioni innovative e sperimentali di tutela dell'occupazione, attraverso la riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007/2013 oggetto del Piano di Azione e Coesione. In tal caso il Fondo Sociale per l'Occupazione e la formazione viene incrementato, per il 2013, della parte di risorse relative al finanziamento, nelle medesime Regioni da cui i fondi provengono, degli ammortizzatori sociali in deroga. La parte di risorse relative alle misure di politica attiva è gestita dalle Regioni interessate. Dalla attuazione delle disposizioni di cui al presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica[72].
Il comma 6 incrementa la dotazione del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all’attualizzazione di contributi pluriennali (di cui all’articolo 6, comma 2, del D.L. 154/2008) per una somma pari a 151,2 milioni di euro per il 2014 e di 20 milioni di euro annui per il triennio 2015-2017.
Il Fondo per la compensazione degli effetti finanziari, istituito, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del D.L. n. 154 del 2008, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia (cap. 7593), è finalizzato a compensare gli effetti negativi scaturenti, in termini di cassa, da specifici contributi di importo fisso costante con onere a carico dello Stato, concessi in virtù di autorizzazioni legislative. All'utilizzo del Fondo si provvede con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da trasmettere al Parlamento, per il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, nonché alla Corte dei conti.
Articolo
6, comma 5
(Esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici)
Il comma 5 modifica il campo di applicazione dei valori di attenzione per la protezione dalle esposizioni ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ad alte frequenze (quelli cioè generati da sorgenti fisse con frequenza compresa fra 100 kHz e 300 GHz, quali ad es. gli impianti radiotelevisivi e quelli di telecomunicazioni) contemplati dal D.P.C.M. 8 luglio 2003.
La norma in esame, che modifica l’art. 14, comma 8, lettera a), numero 2), del D.L. n. 179 del 2012, specifica che i valori di attenzione, che si assumono a titolo di misura di cautela per la protezione da possibili effetti anche a lungo termine eventualmente connessi con le predette esposizioni, tra l'altro, si applicano nelle pertinenze esterne con dimensioni abitabili (balconi, terrazzi, cortili), con permanenze non inferiori alle quattro ore continuative giornaliere.
Il testo previgente non faceva riferimento alle dimensioni delle pertinenze, ma poneva il requisito (ora eliminato) dell’utilizzazione degli edifici come ambienti abitativi, come appare chiaro dal seguente testo a fronte:
Testo previgente |
Nuovo testo |
2) solo nel caso di
utilizzazione per permanenze non inferiori a quattro ore continuative giornaliere, nelle pertinenze esterne, come definite nelle Linee Guida di cui alla
successiva lettera d), quali balconi, terrazzi e cortili (esclusi i tetti
anche in presenza di lucernai ed i lastrici solari con funzione prevalente di
copertura, indipendentemente dalla presenza o meno di balaustre o protezioni
anti-caduta e di pavimentazione rifinita, di proprietà comune dei condomini); |
2) solo nel caso di utilizzazione per permanenze non inferiori a quattro ore continuative giornaliere, nelle pertinenze esterne con dimensioni abitabili, come definite nelle Linee Guida di cui alla
successiva lettera d), quali balconi, terrazzi e cortili (esclusi i tetti
anche in presenza di lucernai ed i lastrici solari con funzione prevalente di
copertura, indipendentemente dalla presenza o meno di balaustre o protezioni
anti-caduta e di pavimentazione rifinita, di proprietà comune dei condomini) |
Si tratta di una modifica che appare in linea con quanto stabilito dall’art. 3, comma 2 del D.P.C.M. 8 luglio 2003, il quale prevede l’applicazione dei valori di attenzione indicati nella tabella 2 all'allegato B del medesimo decreto, quale misura cautelare per la protezione della popolazione nel lungo periodo, “all'interno di edifici adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore giornaliere, e loro pertinenze esterne, che siano fruibili come ambienti abitativi quali balconi, terrazzi e cortili esclusi i lastrici solari”.
Articolo
9
(Interventi di estrema urgenza in materia di vincolo idrogeologico, di
normativa antisismica e di messa in sicurezza degli edifici scolastici e dell’Alta formazione artistica, musicale e coreutica –AFAM)
L’articolo 9 è volto a qualificare come interventi di "estrema
urgenza", considerati indifferibili,
in conseguenza della certificazione
da parte dell'ente interessato, gli
interventi, anche su impianti, arredi e dotazioni, funzionali alla messa in
sicurezza degli edifici scolastici, alla mitigazione dei rischi idraulici e
geomorfologici del territorio, all'adeguamento alla normativa antisismica e
alla tutela ambientale e del patrimonio culturale (comma 1).
Per l’avvio di questi interventi sono introdotte disposizioni che modificano le procedure di scelta del contraente e le fasi delle procedure di affidamento dei contratti, previste nel D.Lgs. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici) (comma 2).
Di seguito è riportata l’analisi della disciplina recata dall’articolo 9 in esame.
Il comma 1 dell’articolo 9 prevede che, fatti salvi i casi previsti dall'articolo 57, comma 2, lettera c) e dall'articolo 221, comma 1, lettera d), del D. Lgs n. 163 del 2006, costituisce estrema urgenza, la situazione conseguente ad apposita ricognizione da parte dell'Ente interessato, al fine di certificare, come indifferibili, gli interventi, anche su impianti, arredi e dotazioni, funzionali:
- alla messa in sicurezza degli edifici scolastici di ogni ordine e grado e di quelli dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica (v. L. n. 508 del 1999), comprensivi di nuove edificazioni sostitutive di manufatti non rispondenti ai requisiti di salvaguardia della incolumità e della salute della popolazione studentesca e docente (lettera a);
- alla mitigazione dei rischi idraulici e geomorfologici del territorio (lettera b);
- all'adeguamento alla normativa antisismica (lettera c);
- alla tutela ambientale e del patrimonio culturale (lettera d).
Come già detto, la disposizione in esame fa salvi gli effetti recati dall'articolo 57, comma 2, lettera c) e dall'articolo 221, comma 1, lettera d), del D. Lgs n. 163 del 2006, che disciplinano i casi per l’applicazione della procedura negoziata, senza previa pubblicazione di un bando di gara, nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, nei settori ordinari e in quelli speciali (energia, acqua, trasporti, servizi postali, porti e aeroporti), di rilevanza comunitaria.
Gli articoli 57 e 221 disciplinano per le rispettive parti di competenza, i casi per l’applicazione della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara. Le stazioni appaltanti possono aggiudicare contratti pubblici mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara in determinati casi, dandone conto con adeguata motivazione nella delibera o determina a contrarre (comma 1, art. 57). Tale procedura è consentita tra l’altro, come specificato dal comma 2, lettera c) dell’art. 57, nella misura strettamente necessaria, quando l'estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette, o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara. Le circostanze invocate a giustificazione della estrema urgenza non devono essere imputabili alle stazioni appaltanti.
La procedura negoziata, come specificato dall’art. 57, comma 6 prevede, ove
possibile, l’individuazione da parte della stazione appaltante degli operatori
economici da consultare sulla base di informazioni riguardanti le
caratteristiche di qualificazione economico finanziaria e tecnico organizzativa
desunte dal mercato, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza,
rotazione, attraverso la selezione di almeno tre operatori economici, se
sussistono in tale numero soggetti idonei. Gli operatori economici selezionati
vengono contemporaneamente invitati a presentare le offerte oggetto della
negoziazione, con lettera contenente gli elementi essenziali della prestazione
richiesta. La stazione appaltante sceglie l'operatore economico che ha offerto
le condizioni più vantaggiose, secondo il criterio del prezzo più basso o
dell'offerta economicamente più vantaggiosa, previa verifica del possesso dei
requisiti di qualificazione previsti per l'affidamento di contratti di uguale
importo mediante procedura aperta, ristretta, o negoziata previo bando. L’art.
221, comma 1 lettera d) prevede nei settori speciali, analogamente a quanto
disposto dall’art. 57, l’adozione della procedura negoziata senza previa
pubblicazione di un bando di gara quando, nel caso specifico per l'estrema
urgenza derivante da eventi imprevedibili, per l'ente aggiudicatore i termini
stabiliti per le procedure aperte, ristrette o per le procedure negoziate con
previa indizione di gara non possono essere rispettati. Le circostanze invocate
a giustificazione dell'estrema urgenza non devono essere imputabili all'ente
aggiudicatore.
Le principali modifiche, introdotte al comma 2, determinano per i lavori di importo inferiore alla soglia comunitaria (attualmente fissata a 5,186 milioni di euro):
- la possibilità di stipulare il contratto, prima del termine di 35 giorni dall'invio dell'ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione definitiva (cd. meccanismo di stand still), ed anche nel caso in cui venga proposto ricorso avverso l'aggiudicazione definitiva con contestuale domanda cautelare. In tale ultimo caso, non vengono applicati i termini di sospensione obbligatoria della stipula del contratto alle condizioni fissate nella norma (lettera a);
La deroga opera attraverso la non applicazione dei
commi 10 e 10-ter dell'articolo 11 del D.Lgs. n. 163 del 2006, che prevedono,
rispettivamente, la stipula del contratto, solo dopo che sono trascorsi
trentacinque giorni dall'invio dell'ultima delle comunicazioni del
provvedimento di aggiudicazione definitiva da parte della stazione appaltante,
e la sospensione dell’aggiudicazione del contratto, se proposto ricorso avverso
l'aggiudicazione definitiva con contestuale domanda cautelare.
In particolare, il comma 10-ter dell’art. 11
stabilisce che, se proposto ricorso avverso l'aggiudicazione definitiva con
contestuale domanda cautelare, il contratto non può essere stipulato, dal momento
della notificazione dell'istanza cautelare alla stazione appaltante e per i
successivi venti giorni, a condizione che entro tale termine intervenga almeno
il provvedimento cautelare di primo grado o la pubblicazione del dispositivo
della sentenza di primo grado in caso di decisione del merito all'udienza
cautelare ovvero fino alla pronuncia di detti provvedimenti se successiva.
L'effetto sospensivo sulla stipula del contratto cessa
quando, in sede di esame della domanda cautelare, il giudice si dichiara
incompetente ai sensi dell’ articolo 14, comma 3, del codice del processo
amministrativo, o fissa con ordinanza la data di discussione del merito senza
concedere misure cautelari o rinvia al giudizio di merito l'esame della domanda
cautelare, con il consenso delle parti, da intendersi quale implicita rinuncia
all'immediato esame della domanda cautelare
- la possibilità di prescindere dalla richiesta della garanzia a corredo dell'offerta, di cui all'articolo 75 del D.Lgs. n. 163 del 2006, pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell'offerente (lettera a);
- la pubblicazione dei bandi relativi a contratti di importo pari o superiore a cinquecentomila euro solo sul sito informatico della stazione appaltante (lettera b);
Il comma 5 dell'articolo 122 stabilisce in particolare
che i bandi relativi a contratti di importo pari o superiore a cinquecentomila
euro sono pubblicati: 1) nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana,
serie speciale relativa ai contratti pubblici, 2) sul «profilo di committente»
della stazione appaltante e 3) sul sito informatico del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti e sul sito informatico presso l'Osservatorio,
con l'indicazione degli estremi di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana.
I bandi relativi a contratti di importo inferiore a
cinquecentomila euro sono pubblicati nell'albo pretorio del Comune ove si
eseguono i lavori e nel profilo di committente della stazione appaltante; gli
effetti giuridici connessi alla pubblicazione decorrono dalla pubblicazione
nell'albo pretorio del Comune.
- il dimezzamento dei tempi di ricezione delle offerte nelle procedure aperte, ristrette e negoziate (lettera c);
Relativamente ai contratti pubblici sotto soglia, il
comma 6 dell’art. 122 prevede in generale:
a) nelle procedure aperte, il termine per la ricezione
delle offerte per i contratti di importo inferiore a cinquecentomila euro non
può essere inferiore a ventisei giorni;
b) nelle procedure ristrette, nelle procedure
negoziate previa pubblicazione di un bando di gara, e nel dialogo competitivo,
il termine per la ricezione delle domande di partecipazione, non può essere
inferiore a quindici giorni;
c) nelle procedure ristrette, il termine per la
ricezione delle offerte, non può essere inferiore a venti giorni;
d) nelle procedure negoziate, con o senza bando, e nel
dialogo competitivo, il termine per la ricezione delle offerte viene stabilito
dalle stazioni appaltanti nel rispetto del comma 1 dell'articolo 70 e, ove non
vi siano specifiche ragioni di urgenza, non può essere inferiore a dieci
giorni;
e) in tutte le procedure, quando il contratto ha per
oggetto anche la progettazione esecutiva, il termine per la ricezione delle
offerte non può essere inferiore a quaranta giorni; quando il contratto ha per
oggetto anche la progettazione definitiva, il termine per la ricezione delle
offerte non può essere inferiore a sessanta giorni;
- la possibilità di affidare i lavori,
per importi complessivi inferiori alla
soglia comunitaria, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza e
rotazione e ricorrendo alla procedura
negoziata senza bando invitando un minimo di tre soggetti. Per tali lavori,
è consentito l'aumento al 30 per cento dell'importo della categoria
prevalente per l'affidamento dei lavori a terzi mediante sub appalto o sub
contratto (lettera d);
L’art. 122 del D.Lgs 163
del 2006, recante la disciplina specifica per i contratti di
lavori pubblici sotto soglia, stabilisce al comma 7 che i lavori di importo complessivo inferiore a un milione di euro possono essere
affidati dalle stazioni appaltanti, a cura del responsabile del procedimento,
nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità
e trasparenza, e secondo la procedura
negoziata, prevista dall’articolo 57, comma 6 (vedi supra).
L’invito è rivolto, per lavori di importo pari o
superiore a 500.000 euro, ad almeno dieci soggetti e, per lavori di importo
inferiore a 500.000 euro, ad almeno cinque soggetti se sussistono aspiranti
idonei in tali numeri. I lavori affidati ai sensi del presente comma, relativi
alla categoria prevalente, sono
affidabili a terzi mediante subappalto o subcontratto nel limite del 20 per cento dell’importo della medesima categoria; per
le categorie specialistiche di cui all’ articolo 37, comma 11, restano ferme le
disposizioni ivi previste.
- l'affidamento diretto, da parte del responsabile del procedimento, dei lavori di messa in sicurezza degli edifici scolastici di ogni ordine e grado e di quelli dell'alta formazione artistica, museale e coreutica (AFAM) per importi fino a 200.000 euro, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza e rotazione e con invito rivolto ad almeno cinque operatori economici (lettera e).
L’art. 125 del D.Lgs. 163 del 2006 nell’ambito delle
procedure per l’affidamento in economia di lavori, servizi e forniture stabilisce
tra l’altro che è consentito l'affidamento
diretto da parte del responsabile del procedimento, per lavori di importo inferiore a quarantamila euro. Per
lavori di importo pari o superiore a 40.000 euro e fino a 200.000 euro,
l'affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel rispetto dei principi di
trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di
almeno cinque operatori economici
Articolo
12
(Potere sostitutivo nell’utilizzo dei
fondi europei)
L’articolo 12 reca norme sull’utilizzazione dei fondi strutturali europei, affidando nuove funzioni al Presidente del Consiglio dei ministri al fine di accelerare l’impiego delle relative risorse ed evitare il rischio di incorrere nell’attivazione delle sanzioni comunitarie, consistenti nel definanziamento delle risorse medesime[73].
In particolare, il comma 1 attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza unificata (che si dovrà esprimere nel termine di 30 giorni dalla richiesta, trascorsi i quali il parere si intende reso), la facoltà di proporre al CIPE il definanziamento e la riprogrammazione delle risorse non impegnate qualora le amministrazioni pubbliche responsabili si siano rese responsabili di inerzia, ritardo o inadempimento dell’attuazione di piani, programmi ed interventi cofinanziati dall’Unione europea, ovvero dell’utilizzo dei fondo nazionali per le politiche di coesione.
La norma prevede, inoltre, la possibilità che tali risorse possano anche essere attribuite ad altro livello di governo.
Rispetto alla normativa vigente, la disposizione in esame sembrerebbe avere una portata di carattere più generale rispetto a quelle analoghe disposizioni già introdotte nell’ordinamento, in quanto non fa riferimento alle risorse di uno specifico ciclo di programmazione dei fondi strutturali o del Fondo per lo sviluppo e coesione. Essa, inoltre, si riferisce direttamente alla figura del Presidente del Consiglio dei ministri e non più al Ministro delegato, come indicato in disposizioni recentemente intervenute che contemplavano tale figura[74].
Va in proposito rammentato come l’obiettivo di riprogrammazione degli interventi nell’ambito dei fondi strutturali, con il fine ultimo di evitare il disimpegno automatico delle risorse programmate in sede comunitaria, è stato posto più volte nel corso degli ultimi anni, in cui sono state emanate diverse disposizioni legislative e amministrative. Tra i più recenti interventi, si ricorda la delibera del CIPE n. 1 del 2011, che ha definito le linee operative del “Piano per il Sud”, individuando un percorso per l’accelerazione e la riprogrammazione delle risorse destinate alle aree sottoutilizzate, vale a dire sia quelle di carattere aggiuntivo previste dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (ex Fondo per le aree sottoutilizzate) sia quelle definite dai fondi strutturali dell’Unione europea, mediante la fissazione di target di impegno e di spesa certificata alla Commissione europea, che tuttavia non ottenne risultati significativi.
Nel novembre 2011, preso atto degli insoddisfacenti esiti di tale Piano, è stato poi adottato il “Piano di azione coesione”, con lo scopo di superare i ritardi che, a cinque anni dall’avvio dell’operatività dei fondi strutturali 2007-2013, ancora caratterizzavano l’utilizzo dei fondi strutturali medesimi, e rispondere alle richieste di intervento in tal senso dell’Unione europea. Il Piano definiva un’azione strategica di concentrazione degli investimenti in quattro ambiti prioritari di interesse strategico nazionale (Istruzione, Agenda digitale, Occupazione e Infrastrutture ferroviarie), attingendo ai fondi che si rendono disponibili, attraverso una riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale degli interventi dei fondi strutturali, nell’ambito dei programmi operativi delle Regioni Convergenza e, in parte, dei programmi delle altre regioni del Mezzogiorno (Sardegna, Molise e Abruzzo), che, dato il forte ritardo di attuazione, rischiano il disimpegno automatico delle risorse comunitarie[75].
Da ultimo, l’articolo 4, comma 1, del D.L. n. 76 del 2013[76], al fine di rendere disponibili le risorse derivanti dalla riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013, disponeva per le Amministrazioni titolari dei programmi operativi interessati (PON e POIN) di avviare entro il 28 luglio 2013 le necessarie procedure atte a modificare i pertinenti programmi, sulla base della vigente normativa europea. Inoltre il comma 2 prevede che il Gruppo di Azione Coesione - istituito con il decreto del Ministro per la coesione territoriale del 1° agosto 2012 - provvede a determinare le rimodulazioni delle risorse destinate alle misure del Piano di azione coesione, anche sulla base degli esiti del monitoraggio sull’attuazione delle misure medesime.
Il comma 2 attribuisce al Presidente del Consiglio l’esercizio dei poteri ispettivi e di monitoraggio volti ad accertare il rispetto della tempistica e degli obiettivi dei piani, programmi e interventi finanziati dai fondi strutturali o dal Fondo per lo sviluppo e la coesione sullo stato di attuazione degli interventi a valere su tali risorse – anche con l’ausilio di amministrazioni statali e non statali dotate di specifica competenza tecnica.
Anche l’attribuzione di poteri volti all’accelerazione dei procedimenti per l’utilizzo dei fondi strutturali europei è già stato più volte oggetto di recenti interventi normativi, a partire dal decreto legislativo n. 88 del 2011, emanato in attuazione della legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, il quale ha previsto, all’articolo 3, comma 3, che il Ministro delegato per la politica di coesione economica, sociale e territoriale - al fine di garantire la tempestiva attuazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali e l'integrale utilizzo delle relative risorse dell'Unione europea assegnate allo Stato membro - adotta, ove necessario e nel rispetto delle disposizioni dei regolamenti dell'Unione europea, le opportune misure di accelerazione degli interventi anche relativamente alle amministrazioni che risultano non in linea con la programmazione temporale degli interventi medesimi.
Nel 2013, il D.L. n. 101[77], all’articolo 10, ha istituito l’Agenzia per la coesione territoriale[78], sottoposta alla vigilanza del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro delegato per la politica di coesione, al fine di rafforzare l'azione di programmazione, coordinamento, sorveglianza e sostegno della politica di coesione, ripartendo, fermo restando le attribuzioni del Ministro delegato, le funzioni relative alla politica di coesione tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri[79] e l'Agenzia.
In particolare, tra i compiti assegnati all’Agenzia per la coesione territoriale figura il monitoraggio sistematico e continuo dei programmi operativi e degli interventi della politica di coesione, anche attraverso specifiche attività di valutazione e verifica, ferme restando le funzioni di controllo e monitoraggio attribuite alla Ragioneria generale dello Stato[80]. Va inoltre rammentato che l’attività di monitoraggio risulta altresì attribuita al Gruppo di Azione Coesione, a norma dell’articolo 4 del D.L. n. 76 del 2013 già richiamato in commento al precedente comma 1 dell’articolo 12 in esame.
La disposizione, inoltre, nell’accentrare nella figura del Presidente del Consiglio l’esercizio dei poteri ispettivi e di monitoraggio sul rispetto della tempistica e degli obiettivi degli interventi, stabilisce altresì che lo stesso quale può avvalersi, a tale fine, anche delle amministrazioni statali e non statali dotati di specifica competenza tecnica.
Pur in considerazione della finalità di carattere generale che persegue la disposizione in esame, si segnala che mentre il riferimento alle amministrazioni statali consente di individuare, in sede di applicazione stessa, le amministrazioni, enti ed altri organismi interessati, la dizione “amministrazioni non statali” andrebbe invece meglio circostanziata, precisando se debba concernere solo soggetti appartenenti al perimetro delle amministrazioni pubbliche[81] ovvero anche soggetti di diversa natura: quest’ultimo è il caso, ad esempio, dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa, soggetto già ricompreso nell’attività di accelerazione delle politiche di coesione dall’articolo 10 del D.L. n. 101 del 2013 in precedenza citato.
Infine il comma 3 attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri i poteri sostitutivi già previsti dall’articolo 9, comma 2, del D.L. n. 69 del 2013, in caso di accertato inadempimento, inerzia o ritardo nell’attuazione di tali interventi.
La citata disposizione, si ricorda, dà al fine di accelerare l’utilizzo dei fondi strutturali - per i casi di mancata attuazione dei programmi e dei progetti cofinanziati con fondi strutturali europei e di sottoutilizzazione dei relativi finanziamenti - relativi alla programmazione 2007-2013, dà facoltà al Governo, (facoltà ora affidata al Presidente del Consiglio) di sostituirsi all’amministrazione inerte o inadempiente, in caso di inerzia o inadempimento delle amministrazioni pubbliche responsabili degli interventi[82].
Va segnalato peraltro che precedentemente a quanto disposto dal decreto-legge n.69 del 2013, una analoga disposizione – peraltro di portata più generale, in quanto non riferita ad alcun ciclo temporale di programmazione - era già contenuta all’articolo 6, comma 6, del D.Lgs. n. 88 del 2011, con cui si dispone che in caso di inerzia o inadempimento delle amministrazioni pubbliche responsabili degli interventi anche con riferimento al mancato rispetto delle scadenze del cronoprogramma e, comunque, ove si renda necessario al fine di evitare il disimpegno automatico dei fondi erogati dall'Unione europea, il Governo, al fine di assicurare la competitività, la coesione e l'unità economica del Paese, esercita il potere sostitutivo ai sensi dell'articolo 120, comma secondo, della Costituzione secondo le modalità procedurali individuate dall'articolo 8 della n. 131 del 2003, e dagli articoli 5 e 11 della legge n. 400 del 1988 e dalle vigenti disposizioni in materia di interventi sostitutivi.
Lo stato di attuazione dei
fondi comunitari 2007-2013
al 30 giugno 2014
In considerazione delle finalità perseguite dall’articolo in esame,
si fornisce nel riquadro che segue un sintetico
riepilogo dello stato di attuazione dei fondi comunitari.
Le risorse programmate nel QSN 2007-2013 ammontavano originariamente a oltre 60 miliardi di euro, di cui circa 28,8 miliardi di fondi strutturali provenienti dalla UE e circa 31,6 miliardi di risorse di cofinanziamento nazionale (iscritti sul Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie previsto dalla legge n. 183/1987, c.d. principio di addizionalità), destinati a finanziare tre Obiettivi prioritari di sviluppo.
La gran parte di tali risorse, 43,6 miliardi, all’incirca il 75% del totale, risultavano destinate all’Obiettivo “Convergenza”, che interessa le Regioni Calabria Campania, Puglia, Sicilia, cui si aggiunge la Basilicata (considerata in regime di phasing-out dall’obiettivo Convergenza). All’Obiettivo “Competitività”, che interessa tutto il Centro-Nord, l’Abruzzo e il Molise, nonché la Sardegna (in regime di phasing-in) sono assegnati 15,8 miliardi di euro (circa il 22% delle risorse complessivamente destinate all’Italia). La quota residua, 0,8 milioni di euro, interessa i programmi dell’Obiettivo “Cooperazione territoriale”.
A seguito del Piano di Azione Coesione, l’ammontare complessivo delle risorse destinate ai programmi operativi (quota comunitaria + cofinanziamento nazionale) si è ridotto da 60,1 miliardi (28,5 miliardi di fondi comunitari e 31,6 miliardi di cofinanziamento) a circa 48,5 miliardi.
Sulla base delle informazioni disponibili (fornite dalla Ragioneria generale dello Stato-IGRUE), alla data del 30 giugno 2014 le risorse ancora da spendere entro il 31 dicembre 2015 (termine ultimo per effettuare pagamenti) ammontano a circa 20 miliardi di euro, la maggior parte dei quali (15 miliardi) nell'area della Convergenza.
La tavola che segue mette in evidenza come, alla data del 30 giugno 2014, lo stato di attuazione dei Fondi strutturali si attesta, per ciò che attiene agli impegni complessivamente assunti, ad un valore pari a oltre il 103% del contributo totale, mentre per quanto concerne i pagamenti la percentuale risulta, pari al 59,6%.
Il risultato migliore sotto il profilo dell’attuazione finanziaria
è registrato dall’Obiettivo
Competitività regionale ed Occupazione, relativo alle Regioni del Centro
Nord, con pagamenti pari a circa il 71,8%
delle risorse per esso stanziate, mentre la percentuale dei pagamenti nell'area
della Convergenza delle Regioni del
Sud è pari al 53,8%.
Programmazione
2007/2013 - Obiettivi - Attuazione al 30 giugno 2014
(Fonte RGS-IGRUE)
Milioni di euro
Programmi |
Programmato
2007/2013 |
Impegnato |
Pagato |
% imp. / |
% pag. / |
Convergenza |
32.551,06 |
34.473,22 |
17.530,21 |
105,91 |
53,85 |
Competitività |
15.271,66 |
14.944,49 |
10.960,34 |
97,86 |
71,77 |
Cooperazione |
705,40 |
743,58 |
449,82 |
105,41 |
63,77 |
Totali obiettivi |
48.528,12 |
50.161,29
|
28.940,37 |
103,37 |
59,64 |
Articolo
24
(Misure di agevolazione della partecipazione delle comunità locali in
materia di tutela e valorizzazione del territorio)
L’articolo 24 prevede che i comuni possano definire, in relazione ad un determinato ambito del proprio territorio, criteri e condizioni per la realizzazione da parte di cittadini, singoli o associati, di interventi di valorizzazione del territorio urbano od extraurbano, quali la pulizia, la manutenzione, l’abbellimento di aree verdi, piazze o strade. A tal fine, l'ente locale può deliberare la concessione di una riduzione ovvero di un'esenzione di tributi locali inerenti alle attività poste in essere dai predetti soggetti. L'esenzione in ogni caso è concessa per un periodo di tempo limitato, per specifici tributi e per attività individuate dai comuni.
La norma, in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale (articolo 118, ultimo comma, della Costituzione), consente ai comuni di disciplinare la partecipazione dei cittadini alla cura e alla valorizzazione di determinate zone del proprio territorio, individuate dall’ente locale, attraverso progetti di riqualificazione presentati dai cittadini.
In relazione alla tipologia degli interventi, i comuni possono deliberare riduzioni o esenzioni di tributi inerenti al tipo di attività posta in essere. L'esenzione è concessa per un periodo limitato, per specifici tributi e per attività individuate dai comuni, in ragione dell'esercizio sussidiario dell'attività posta in essere.
La norma non individua i tributi locali che possono essere oggetto di esenzione o di riduzione. Al riguardo si ricorda che il sistema della fiscalità comunale poggia su quattro principali imposte, costituite dall’IMU, dalla TASI, dalla TARI e dall’addizionale comunale all’Irpef. A queste si aggiungono, oltre ad alcuni trasferimenti statali, le tradizionali entrate locali, vale a dire l’imposta di soggiorno, l’addizionale comunale sui diritti di imbarco, l’imposta di scopo, la tassa per l’occupazione di spazi e di aree pubbliche, l’imposta comunale sulla pubblicità e i diritti sulle pubbliche affissioni, il canone installazione mezzi pubblicitari, il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche. Peraltro tali forme di prelievo, ad eccezione delle prime due, dovrebbero confluire nell’imposta municipale secondaria prevista dal decreto sul federalismo fiscale municipale (articolo 11 del D.L. n. 23 del 2011) la cui introduzione è stata posticipata al 2015.
Al riguardo si osserva che dovrebbe essere chiarito che le minori
entrate derivanti dall’attuazione della norma sono a carico dei singoli comuni.
Articolo
25, comma 1
(Misure in materia di conferenza di servizi)
Il comma 1 modifica due aspetti della disciplina della conferenza di servizi, dettata dagli articoli da 14 a 14-quinquies della L. n. 241/1990 (legge sul procedimento amministrativo).
Innanzitutto, fissa la decorrenza dei termini di validità degli atti di assenso, comunque denominati, acquisiti all’interno della conferenza, a far data dall’adozione del provvedimento finale, mentre, attualmente, l’efficacia di tali atti endoprocedimentali decorre dalla loro espressione, un momento precedente la conclusione della conferenza.
In secondo luogo, la norma esplicita la natura di atto di alta amministrazione della deliberazione del Consiglio dei Ministri, a cui l’amministrazione procedente rimette la decisione finale nei casi di dissenso all’interno delle conferenza.
Si ricorda che la conferenza di servizi è uno strumento di semplificazione attivabile dalle pubbliche amministrazioni quando siano coinvolti vari interessi pubblici in un procedimento amministrativo o in più procedimenti connessi riguardanti i medesimi risultati e attività amministrativa, suscettibile di produrre un'accelerazione dei tempi procedurali.
La disciplina dell’istituto è fissata dalla legge 241/1990[83] che prevede una disciplina generale (art. 14 e ss.) e una disciplina speciale per alcuni procedimenti di particolare complessità (art. 14-bis)[84].
In basa alla disciplina vigente, quando risulti opportuno esaminare contestualmente più interessi pubblici ovvero sia necessario acquisire una pluralità di atti di intesa (concerti, nulla osta, pareri, etc.) l’amministrazione procedente può indire una conferenza di servizi, le cui decisioni sostituiscono, a tutti gli effetti, ogni atto di tutte le amministrazioni partecipanti[85].
La legge prevede due tipi di conferenza dei servizi:
-
conferenza istruttoria;
-
conferenza decisoria.
La conferenza istruttoria - altrimenti detta "interna" o "referente" - costituisce la fattispecie più generale: essa, infatti, può essere indetta di regola ogni qual volta sia opportuno un confronto tra più amministrazioni portatrici di interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo (art. 14, co. 1). In questi casi, l’indizione della conferenza non è necessaria ai fini dell’adozione del provvedimento finale, ma può essere utile per consentire un confronto tra le amministrazioni portatrici di più interessi pubblici coinvolti nel procedimento. La conferenza è convocata dall’amministrazione responsabile del procedimento.
La conferenza su istanze o progetti preliminari (art. 14-bis), istituita dalla L. 340/2000, è un particolare tipo di conferenza “preliminare” convocata – su richiesta dell’interessato – per progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi, prima della presentazione di un’istanza o di un progetto definitivo[86].
La seconda e principale fattispecie è la conferenza decisoria, che interviene nei procedimenti che prevedono, per il loro perfezionamento, l’assenso, sotto forma di intesa, concerto, nulla osta, o comunque altrimenti denominato, di più amministrazioni. In questi casi l’amministrazione responsabile del procedimento è tenuta prima ad esperire la procedura normale richiedendo formalmente, al momento dell’avvio del procedimento, l’assenso alle altre amministrazioni interessate. Se questo non è ottenuto entro 30 giorni dalla richiesta (o si è verificato il dissenso di una amministrazione coinvolta) si procede con la convocazione della conferenza. L’indizione della conferenza non è però obbligatoria quando nel termine dei 30 giorni è intervenuto il dissenso di una o più amministrazione, nonché in tutti i casi in cui esistano espresse previsioni normative che consentano alla amministrazione procedente di prescinderne (art. 14, co. 2).
La legge definisce le procedure di convocazione della conferenza, dello svolgimento e della conclusione dei lavori (art. 14-ter).
Si ricorda, inoltre, che, in materia di conferenza di servizi, l’articolo 2 del disegno di legge di riforma della p.a., presentato dal Governo e attualmente all’esame del Senato (A.S. 1577) contiene una delega al Governo per razionalizzare e semplificare la relativa disciplina.
In particolare, la prima modifica introdotta dal comma in esame riguarda i termini di validità dei pareri autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati, acquisiti nell’ambito della conferenza di servizi, che finora decorrevano dal momento della loro espressione.
Il comma in esame sposta la decorrenza all’adozione del provvedimento conclusivo della conferenza, in modo da armonizzare i tempi di validità degli atti endoprocedimentali acquisiti all’interno di una conferenza con quelli del provvedimento finale.
La relazione illustrativa al provvedimento individua alcuni casi (ad es. la conferenza di servizi per l’ottenimento dell’autorizzazione unica alla realizzazione di un’opera) in cui tra il rilascio dei singoli atti di assenso e l’autorizzazione finale intercorrono anche anni, mettendo in evidenza come ciò comporti che quando il proponente è messo nella condizioni di poter iniziare i lavori i termini di validità dei singoli atti endoprocedimentali si siano già notevolmente ridotti.
In secondo luogo, la norma esplicita la natura di atto di alta amministrazione della deliberazione del Consiglio dei Ministri, a cui l’amministrazione procedente rimette la decisione conclusiva nei casi di dissenso tra amministrazioni statali all’interno delle conferenza.
I lavori della conferenza, ai sensi della stessa l. n. 241 del 1990, devono procedere attraverso decisioni deliberate a maggioranza dei presenti (art. 14-ter, co. 1) e le amministrazioni dissenzienti devono dare un’adeguata motivazione al loro voto negativo. Più in particolare, il dissenso deve essere manifestato nella conferenza, non può riferirsi a questioni connesse, che non costituiscono oggetto della conferenza medesima, e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso (art. 14-quater, co. 1).
All’esito della conferenza, l'autorità procedente cui spetta l'iniziativa di indire la conferenza di servizi, assume la determinazione motivata conclusiva tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in sede di conferenza (art. 14-ter,comma 6-bis)). Tale decisione finale sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla conferenza.
Tale procedura subisce una deroga nell’ipotesi in cui il motivato dissenso sia espresso da un amministrazione preposta alla tutela di un interesse qualificato, quale la tutela dell’ambiente, del paesaggio e del territorio, del patrimonio storico-artistico o la tutela della salute e della pubblica incolumità. In tal caso l'eventuale superamento del dissenso deve avvenire seguendo le specifiche vie procedimentali appositamente stabilite dall'art. 14-quater. In questi casi l’amministrazione procedente rimette la decisione al Consiglio dei ministri, che si pronuncia entro 60 giorni previa intesa – se necessario – con le regioni, le province autonome e gli enti locali[87]. Se l’intesa non è raggiunta, il procedimento può comunque andare avanti con una deliberazione del Consiglio dei Ministri nei successivi 30 giorni.
Tale scelta pare conforme all’orientamento della giurisprudenza amministrativa per la quale il meccanismo delineato all’articolo 14-quater della legge n. 241 del 1990 è funzionale al superamento dell'arresto procedimentale conseguente al dissenso qualificato manifestato in conferenza di servizi, mediante il coinvolgimento di un altro e superiore livello di governo e con altre modalità procedimentali (Cons. Stato, VI, n. 3039 del 2012). La rimessione e la deliberazione sulla "questione" da parte del Consiglio dei Ministri sintetizza cioè non un procedimento di riesame del dissenso qualificato, che resta comunque legittimamente espresso, ma un’eventuale e dominante riconsiderazione dei suoi effetti, che possono essere così impediti. In questo si realizza una manifestazione di potere governativo riferibile a quello sostitutivo ordinario e all’art. 120 Cost. (Cons. St., VI, sentenza n. 220 del 2013[88]).
Il Consiglio dei Ministri, infatti, si sostituisce completamente alle amministrazioni interessate, previa acquisizione delle loro posizioni, nel rispetto del principio di leale collaborazione: al Consiglio dei Ministri, pertanto, è conferito un ampio potere discrezionale “quale organo di ultima istanza in chiave semplificatoria svolgendo un apprezzamento che è di alta amministrazione, pur nel rispetto e nella valutazione di quanto espresso dalle amministrazioni interessate, con speciale riguardo alla tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico (Cons. St, VI, 12 giugno 2014, n. 2999[89]). Valutazione di fronte alla quale si arresta il sindacato del giudice amministrativo, il quale non può entrare nel merito delle scelte dall’amministrazione se non per profili di palese illegittimità, contraddittorietà e irragionevolezza. (cfr. Cons. Stato, IV, 4 febbraio 2014, n. 505).
Articolo
25, commi 2-4
(Misure in materia di autorizzazione paesaggistica e verifica preventiva
dell’interesse archeologico)
Il comma 2 prevede l’introduzione nel regolamento di delegificazione, non ancora emanato, che dovrebbe modificare la disciplina sull’autorizzazione paesaggistica per interventi di lieve entità, delle seguenti tipologie di interventi:
- quelli per cui è esclusa la richiesta di autorizzazione paesaggistica sia nell'ambito degli interventi di lieve entità sia mediante definizione di ulteriori interventi minori privi di rilevanza paesaggistica;
- quelli di lieve entità regolati anche tramite accordi di collaborazione tra il Ministero, le Regioni e gli enti locali.
Quanto sopra disposto viene introdotto dal comma 2 in esame all'articolo 12, comma 2, del D.L. n. 83 del 2014, che prevede l’emanazione, entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto, del suddetto regolamento di delegificazione, finalizzato a:
· ampliare e precisare le ipotesi di interventi di lieve entità contemplate dal D.P.R. 139/2010, con cui è stato disciplinato il procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per tale tipologia di interventi;
· operare ulteriori semplificazioni procedimentali (ferme, comunque, le esclusioni di cui agli artt. 19, co. 1, e 20, co. 4, della L. 241/1990).
Il D.P.R. 9 luglio 2010, n. 139 è stato emanato in attuazione dell’ultimo periodo del co. 9 dell’art. 146 del D.lgs. 42/2004, che ha previsto la definizione di “procedure semplificate per il rilascio dell'autorizzazione in relazione ad interventi di lieve entità in base a criteri di snellimento e concentrazione dei procedimenti, ferme, comunque, le esclusioni di cui agli articoli 19, comma 1, e 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni”.
Tali esclusioni riguardano l’inapplicabilità della SCIA - segnalazione certificata di inizio attività - nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali (art. 19, co. 1) e l’inapplicabilità del silenzio-assenso nei procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico e l’ambiente (art. 20, co. 4).
L’emanazione del suddetto regolamento di delegificazione era prevista anche nella norma non attuata presente nell’art. 44, co. 1, del D.L. 5/2012.
Si segnala infine che nel maggio 2013 il Governo, dopo aver acquisito l’intesa in sede di Conferenza unificata ed il parere favorevole del Consiglio di Stato, aveva presentato alle Camere uno schema di regolamento modificativo del D.P.R. 139/2010 (Atto del Governo n. 10), ma tale atto non ha completato il proprio iter.
Il comma 3 interviene sul procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, sopprimendo le disposizioni (dettate dal primo e dal secondo periodo del co. 9 dell’art. 146 del D.lgs. 42/2004) che consentivano all’amministrazione competente, in caso di mancata espressione del parere vincolante da parte del soprintendente entro 45 giorni dalla ricezione degli atti, di poter indire una conferenza di servizi, alla quale il soprintendente partecipava o faceva pervenire il parere scritto, che doveva pronunciarsi entro 15 giorni.
Il nuovo testo ora prevede che, decorsi inutilmente 60 giorni dalla ricezione degli atti da parte del soprintendente senza che questi abbia reso il prescritto parere, I’amministrazione competente provvede comunque sulla domanda di autorizzazione.
Si ricorda che una norma identica era già stata introdotta all’art. 12, comma 1 lett. b) del D.L. 83/2014 e prima ancora all’art. 39, comma 1 lett. b) n. 3 del D.L. 69/2013, senza tuttavia essere convertita in legge.
In proposito, si evidenzia che già il testo previgente
del terzo periodo del co 9 dell’art. 146, prevedeva una disposizione analoga a
quella ora introdotta, per cui “in ogni caso, decorsi sessanta giorni dalla
ricezione degli atti da parte del soprintendente, l'amministrazione competente
provvede sulla domanda di autorizzazione”. E conseguentemente la convocazione
della conferenza di servizi si configurava come un eventuale sub-procedimento
nell’ambito del rilascio dell’autorizzazione, sulla cui domanda l’amministrazione
competente doveva provvedere in ogni caso decorsi sessanta giorni dalla
ricezione degli atti da parte del soprintendente.
Si segnala che una recente pronuncia del TAR Puglia (sentenza 6 febbraio 2014, n. 321) ha affermato che il parere del soprintendente è da intendersi come “vincolante” solo se espresso entro il termine di 45 giorni dal ricevimento degli atti. Si tratta di una posizione che contrasta con quella sostenuta in precedenti occasioni dal Consiglio di Stato (in particolare con la sentenza n. 4914/2013) e ribadita dal TAR Lazio (sentenza n. 5278/2014, depositata il 20 maggio 2014). Secondo il Consiglio di Stato “nel caso di mancato rispetto del termine fissato dall’art. 146, comma 5 … il potere della Soprintendenza continua a sussistere (tanto che un suo parere tardivo resta comunque disciplinato dal richiamato comma 5 e mantiene la sua natura vincolante), ma l’interessato può proporre ricorso al giudice amministrativo, per contestare l’illegittimo silenzio-inadempimento dell’organo statale: la perentorietà del termine riguarda non la sussistenza del potere o la legittimità del parere, ma l’obbligo di concludere la fase del procedimento (obbligo che, se rimasto inadempiuto, può essere dichiarato sussistente dal giudice, con le relative conseguenze sulle spese del giudizio derivato dall’inerzia del funzionario)”.
Il comma 4 stabilisce che entro il 31 dicembre 2014 sia emanato il decreto del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, recante le linee guida finalizzate ad assicurare speditezza, efficienza ed efficacia alla procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico, previsto dall’articolo 96, comma 6 del D.Lgs 163 del 2006.
La disciplina di verifica preventiva
dell'interesse archeologico
Le tipologie di lavori
Le Procedure di
verifica preventiva dell’interesse archeologico, disciplinate ai sensi
degli artt. 95 e 96 del D.Lgs. 163/2006
(Codice dei contratti pubblici), si applicano alle seguenti tipologie di lavori:
-
Contratti
relativi ai Settori ordinari sopra e sotto soglia comunitaria (Parte II, Titolo
I e II);
-
Concessioni di
lavori pubblici (Parte II, Titolo III, Capo II);
-
Infrastrutture
strategiche e insediamenti produttivi (Parte II, Titolo III, Capo IV);
-
Contratti nel
settore della difesa (Parte II, Titolo IV, Capo I);
-
Contratti
relativi ai Beni Culturali (Parte II, Titolo IV, Capo II);
-
Contratti
relativi ai Settori speciali, sopra soglia comunitaria (Parte III, Titolo I).
Le fasi delle procedure previste negli articoli 95 e
96
La prima fase
(cosiddetta fase preliminare)
coincide con la progettazione
preliminare delle opere (art. 95)
e verifica l’applicabilità o meno della procedura vera e propria di verifica
preventiva disciplinata dall’art. 96.
La seconda fase
è articolata in due momenti (art. 96, comma 1, lettere a)
e b)), che costituiscono: il livello
di approfondimento della progettazione preliminare e il livello di
approfondimento per i successivi stadi di progettazione definitiva ed
esecutiva.
La procedura
prevista dall’art. 96, comma 2, si conclude con la relazione finale o cosiddetta relazione archeologica definitiva, approvata
dal soprintendente di settore territorialmente competente che contiene una
descrizione analitica delle indagini eseguite e detta le eventuali prescrizioni
a seconda della rilevanza archeologica del sito.
Articolo
44
(Disposizioni finali)
L’articolo autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare con propri decreti le variazioni di bilancio, in termini di competenza e di residui, occorrenti per l’attuazione delle disposizioni recate dal decreto-legge in esame.
INDICE
degli articoli
§
Articolo 1, commi 1-9 (Disposizioni urgenti per sbloccare gli
interventi sugli assi ferroviari
Napoli – Bari e Palermo-Catania-Messina) 3
§
Articolo 1, commi 10 e 11 (Approvazione del Contratto di Programma con RFI e dei contratti di
programma sottoscritti dall'ENAC con i gestori
degli scali aeroportuali di interesse nazionale) 10
§
Articolo 2 (Semplificazioni
procedurali per le infrastrutture strategiche affidate in concessione) 16
§
Articolo 3, commi 1-7 (Fondo “sblocca cantieri”) 19
§
Articolo 3, commi 8, 9 e 11 (Ulteriori disposizioni riguardanti le opere strategiche) 31
§
Articolo 3, comma 10 (Ruolo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nei programmi
ESPON e URBACT) 33
§
Articolo 3, comma 12 (Infrastrutture carcerarie) 34
§
Articolo 4, commi 1 e 2 (Misure di semplificazione per le opere incompiute segnalate dagli Enti
Locali) 159
§
Articolo 4, commi 3-9 (Esclusione di pagamenti effettuati dagli enti territoriali dai vincoli
del patto di stabilità e rifinanziamento di interventi di ricostruzione in
Abruzzo) 162
§
Articolo 5 (Norme
in materia di concessioni autostradali) 35
§
Articolo 6, comma 1 (Agevolazioni per la realizzazione di reti di comunicazione elettronica
a banda ultralarga) 40
§
Articolo 6, commi 2-4 (Norme di semplificazione per le procedure di scavo e di posa aerea dei
cavi) 44
§
Articolo 6, comma 5 (Esposizione a campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici) 223
§
Articolo 7 (Norme in materia di gestione di
risorse idriche. Modifiche urgenti al decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152, per il superamento delle procedure di infrazione 2014/2059, 2004/2034 e
2009/2034, sentenze C-565-10 del 19 luglio 2012 e C-85-13 del 10 aprile 2014; norme
di accelerazione degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico
e per l’adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione degli
agglomerati urbani; finanziamento di opere urgenti di sistemazione idraulica
dei corsi d’acqua nelle aree metropolitane interessate da fenomeni di
esondazione e alluvione) 67
§
Articolo 8 (Disciplina
semplificata del deposito preliminare alla raccolta e della cessazione della
qualifica di rifiuto delle terre e rocce da scavo che non soddisfano i
requisiti per la qualifica di sottoprodotto. Disciplina della gestione delle
terre e rocce da scavo con presenza di materiali di riporto e delle procedure
di bonifica di aree con presenza di materiali di riporto) 82
§
Articolo 9 (Interventi di estrema urgenza in materia di vincolo idrogeologico, di
normativa antisismica e di messa in sicurezza degli edifici scolastici e dell’Alta formazione artistica,
musicale e coreutica –AFAM) 224
§
Articolo 10 (Disposizioni
per il potenziamento dell’operatività di Cassa depositi e prestiti a supporto
dell’economia) 46
§
Articolo 11 (Disposizioni in materia di
defiscalizzazione degli investimenti infrastrutturali in finanza di progetto) 48
§
Articolo 12 (Potere
sostitutivo nell’utilizzo dei fondi europei) 228
§
Articolo 13 (Misure
a favore dei project bond) 51
§
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE 57
§
Articolo 14 (Norma
overdesign) 58
§
Articolo 15 (Fondo di servizio per la
patrimonializzazione delle imprese) 192
§
Articolo 16 (Misure di agevolazioni per gli
investimenti privati nelle strutture ospedaliere) 168
§
Articolo 17 (Semplificazioni ed altre misure
in materia edilizia) 102
§
Articolo 18 (Liberalizzazione del mercato
delle grandi locazioni ad uso non abitativo) 111
§
Articolo 19 (Esenzione da ogni imposta degli
accordi di riduzione dei canoni di locazione) 112
§
Articolo 20, commi 1-3 (Misure per il rilancio del settore immobiliare) 113
§
Articolo 20, comma 4 (Agevolazioni per le dismissioni immobiliari) 120
§
Articolo 21 (Misure per l’incentivazione degli investimenti in abitazioni in
locazione) 123
§
Articolo 22 (Conto
termico) 139
§
Articolo 23 (Disciplina dei contratti di
godimento in funzione della successiva alienazione di immobili) 127
§
Articolo 24 (Misure di agevolazione della
partecipazione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione del
territorio) 234
§
Articolo 25, comma 1 (Misure in materia di
conferenza di servizi) 235
§
Articolo 25, commi 2-4 (Misure in materia di
autorizzazione paesaggistica e verifica preventiva dell’interesse archeologico) 239
§
Articolo 26 (Misure urgenti per la
valorizzazione degli immobili demaniali inutilizzati) 133
§
Articolo 27 (Misure urgenti in materia di
patrimonio dell’INAIL) 137
§
Articolo 28, co. 1-2 (Indennità di volo) 59
§
Articolo 28, commi 3-8 (Misure urgenti per
migliorare la funzionalità aeroportuale) 61
§
Articolo 29 (Pianificazione strategica della
portualità e della logistica) 65
§
Articolo 30 (Promozione straordinaria del Made in Italy e misure
per l’attrazione degli investimenti) 199
§
Articolo 31 (Misure per la riqualificazione
degli esercizi alberghieri) 209
§
Articolo 32, commi 1-2 (Marina Resort) 212
§
Articolo 32, comma 3 (Sistema telematico
centrale della nautica da diporto) 215
§
Articolo 33 (Bonifica ambientale e riqualificazione urbana delle
aree di rilevante interesse nazionale – comprensorio Bagnoli - Coroglio) 84
§
Articolo 34 (Modifiche al decreto legislativo
12 aprile 2006, n. 163, per la semplificazione delle procedure in materia di
bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati. Misure urgenti per la
realizzazione di opere lineari realizzate nel corso di attività di messa in
sicurezza e di bonifica) 90
§
Articolo 35 (Misure urgenti per
l’individuazione e la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai
rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture strategiche di preminente
interesse nazionale) 95
§
Articolo 36 (Misure a favore degli interventi
di sviluppo delle regioni per la ricerca degli idrocarburi) 141
§
Articolo 37 (Misure urgenti per
l’approvvigionamento e il trasporto del gas naturale) 143
§
Articolo 38 (Misure per la valorizzazione
delle risorse energetiche nazionali) 147
§
Articolo 39 (Revisione degli incentivi per i
veicoli a basse emissioni complessive) 157
§
Articolo 40 (Rifinanziamento degli
ammortizzatori sociali in deroga) 217
§
Articolo 41, commi 1-4 (Disposizioni urgenti
in materia di trasporto pubblico locale nella regione Calabria) 170
§
Articolo 41, comma 5 (Disposizioni urgenti in
materia di trasporto pubblico locale nella regione Campania) 173
§
Articolo 42 (Disposizioni in materia di
finanza delle Regioni) 175
§
Articolo 43, commi 1-3 (Fondo di rotazione
per la stabilità finanziaria degli enti territoriali) 186
§
Articolo 43, commi 4 e 5 (Anticipazione pagamento Fondo di solidarietà
comunale 2014) 189
§
Articolo 44 (Disposizioni finali) 242
[1] Nella tabella 0 del 12° allegato infrastrutture, presentato al Parlamento nell’aprile 2014, viene confermato il costo di 5.505 milioni indicato nel precedente allegato con un fabbisogno stimato in 3.480,8 milioni.
[2] La scheda relativa, tratta dall’8° rapporto sull’attuazione della legge obiettivo, è disponibile al link http://silos.infrastrutturestrategiche.it/admin/scheda.aspx?id=1788.
[3] La scheda relativa, tratta dall’8° rapporto sull’attuazione della legge obiettivo, è disponibile al link http://silos.infrastrutturestrategiche.it/admin/scheda.aspx?id=1789
[4] Per una disamina delle modalità di revoca delle risorse del Fondo e di utilizzazione delle risorse al 31 ottobre 2013 si rinvia all’approfondimento contenuto nell’8° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo”, e precisamente nel volume Nota di sintesi e focus tematici.
[6] Si veda la scheda n. 154 dell’8° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo”, che reca dati sullo stato di attuazione dell’opera al 31 ottobre 2013
[7] Per quest’ultimo intervento si veda anche la scheda 117
[8] Per una descrizione delle principali caratteristiche dell’opera si rinvia alla scheda 105 dell’8° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo”, che reca dati sullo stato di attuazione al 31 ottobre 2013
[19] Disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell'articolo 3 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonché di modifiche al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, all'ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria e all'ordinamento penitenziario, anche minorile.
[20] Con uno stanziamento di 33 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, il CEF è disegnato specificamente per promuovere crescita, occupazione e competitività attraverso investimenti infrastrutturali a livello europeo.
[21] Convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003 n. 326
[22] Gli enti a cui
si applica l’agevolazione sono:
in Belgio all'"Institut
de Réescompte et de Garantie/Herdiscontering- en Waarborgsinstituut"; in Danimarca all'"Eksport Kredit
Fonden", all' "Eksport Kredit Fonden A/S", al "Danmarks
Skibskredit A/S" e al "KommuneKredit"; in Germania alla "Kreditanstalt für Wiederaufbau", alle
imprese riconosciute in virtù della "Wohnungsgemeinnützigkeitsgesetz"
quali organi della politica nazionale in materia di alloggi e le cui operazioni
bancarie non costituiscono l'attività principale, nonché alle imprese
riconosciute in virtù della legge succitata quali organismi di interesse
pubblico in materia di alloggi; in
Estonia alle "hoiu-laenuühistud", in quanto imprese cooperative
riconosciute nel quadro della "'hoiu-laenuühistu seadus"; in Irlanda
alle "credit unions" e alle "friendly societies"; in Grecia al "Ôáìåßï Ðáñáêáôáèçêþí
êáé Äáíåßùí" (Tamio Parakatathikon kai Danion); in Spagna all'"Instituto de Crédito Oficial"; in Francia alla "Caisse des dépôts et
consignations"; in Italia alla
"Cassa depositi e prestiti"; in Lettonia alle "krâjaizdevu sabiedrîbas", imprese
riconosciute ai sensi della "krâjaizdevu sabiedrîbu likums" quali
imprese cooperative che rendono servizi finanziari unicamente ai propri soci;
in Lituania alle "kredito
unijos" diverse dalle "Centrinë kredito unija"; in Ungheria alla "MFB Magyar
Fejlesztési Bank Zártkörûen Mûködõ Részvénytársaság" e alla "Magyar
Export-Import Bank Zártkörûen Mûködõ Részvénytársaság"; nei Paesi Bassi alla "Nederlandse
Investeringsbank voor Ontwikkelingslanden NV", alla "NV Noordelijke
Ontwikkelingsmaatschappij", alla "NV Industriebank Limburgs Instituut
voor Ontwikkeling en Financiering" e alla "Overijsselse Ontwikkelingsmaatschappij
NV"; in Austria alle imprese
riconosciute come associazioni edilizie di interesse pubblico e alla
"Österreichische Kontrollbank AG"; in Polonia alla "Spó³dzielcze Kasy Oszczêdnoœciowo -
Kredytowe" e alla "Bank Gospodarstwa Krajowego"; in Portogallo alle "Caixas
Ecónomicas" esistenti al 1° gennaio 1986, ad eccezione sia di quelle che
sono costituite in società per azioni che della "Caixa Económica Montepio
Geral"; in Slovenia alla
"SID-Slovenska izvozna in razvojna banka, d.d.Ljubljana"; in Finlandia alla "Teollisen
yhteistyön rahasto Oy/Fonden för industriellt samarbete AB" e alla
"Finnvera Oyi/Finnvera Abp"; in Svezia
alla "Svenska Skeppshypotekskassan"; nel Regno Unito alla "National Savings Bank", alla
"Commonwealth Development Finance Company Ltd", alla
"Agricultural Mortgage Corporation Ltd", alla "Scottish
Agricultural Securities Corporation Ltd", ai "Crown Agents for
overseas governments and administrations", alle "credit unions"
e alle "municipal banks".
[23] Che ha introdotto l’art. 18-bis nella legge n. 84/1994, successivamente modificato dall’art. 22, comma 3, del decreto-legge n. 69/2013.
[24] Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa.
[25] D.L. 28 marzo 2014, n. 47, Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015, convertito in legge, con modificazioni, dall’ art. 1, comma 1, L. 23 maggio 2014, n. 80.
[26] Il citato piano triennale è stato adottato dall’INAIL con determinazione n. 292 del 19 novembre 2013 del Presidente dell’Istituto, successivamente deliberato dal Consiglio di indirizzo e vigilanza con delibera n. 21 del 18 dicembre 2013 e, in seguito all’esito positivo della verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica, approvato dal Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
[27] Le suddette percentuali possono essere variate con decreto del Ministro per il lavoro e della previdenza sociale.
[28] Al DM 10 novembre 2010 ha fatto seguito la Direttiva 10 febbraio 2011 enuncia i criteri e le modalità per il coordinamento delle azioni previste dalle disposizioni contenute nel richiamato art. 8 del D.L. 78/2010.
[29] Per disponibilità di punta oraria si intende la quantità di gas naturale, espressa in Smc/g, erogabile da un sistema di stoccaggio nell'ambito di un'ora, moltiplicata per le 24 ore.
[30] Per disponibilità di punta giornaliera si intende la quantità di gas naturale, espressa in Smc/g, erogabile da un sistema di stoccaggio nell'ambito di un giorno.
[31] Si tratta di 27 progetti (tra cui rientra anche il TAP) relativi al gas e 6 all'energia elettrica, di cui la metà si prevede sia completata entro il 2017, mentre per i progetti rimanenti la data di messa in servizio prevista arriva fino al 2020. L'ampia maggioranza di questi progetti cruciali è ubicata nell'Europa orientale e sud-occidentale, a un costo stimato intorno ai 17 miliardi di euro.
[32] La normativa di riferimento per il rilascio del permesso di ricerca è l’art. 8, comma 1, del D.P.R. 18 aprile 1994, n. 484; l’art. 6, comma 4, della legge 9 gennaio 1991, n. 9, nonché, per la terraferma, l’art. 1, comma 7, lettera n) della legge 20 agosto 2004, n. 239. Il permesso di ricerca è rilasciato a seguito di un procedimento unico, disciplinato dall’art. 1 commi 77 e 79 della legge 23 agosto 2004, n. 239 per ultimo modificato dal comma 34 dell'art. 27 della legge 23 luglio 2009, n. 99.
[33] In caso di dissenso tra un’amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali, si richiede la previa intesa con la regione e le regioni e le province autonome interessate. Invece, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali, si richiede l’intesa con la regione o gli enti locali interessati.
[34] http://certificazionecrediti.mef.gov.it/CertificazioneCredito/home.xhtml. Si ricorda che, ai fini del pagamento dei debiti commerciali da parte delle pubbliche amministrazioni, la disciplina vigente richiede alle pubbliche amministrazioni di registrarsi sulla apposita piattaforma elettronica predisposta dal Ministero dell'economia e delle finanze – RGS. La piattaforma consente ai creditori della P.A. di chiedere la certificazione dei crediti relativi a somme dovute per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali e di tracciare le eventuali successive operazioni di anticipazione, compensazione, cessione e pagamento, a valere sui crediti certificati. La piattaforma consente, altresì, un monitoraggio permanente dei debiti delle pubbliche amministrazioni e dei relativi tempi di pagamento, al fine di accelerare il pagamento dei debiti arretrati e prevenire la formazione di un nuovo stock di debito.
[35] Si ricorda che il SIOPE (Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici) è un sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri di tutte le amministrazioni pubbliche (frutto della collaborazione tra la Ragioneria generale dello Stato, la Banca d'Italia e l'ISTAT). Il SIOPE è disciplinato dall’articolo 14, commi 6-11, della legge n. 196 del 2009. Esso è uno strumento volto alla rilevazione in tempo reale del fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (superando la tradizionale rilevazione dei flussi trimestrali di cassa) e ad una più puntuale predisposizione delle statistiche trimestrali di contabilità nazionale, ai fini della verifica delle regole previste dall'ordinamento comunitario (procedura su disavanzi eccessivi e Patto di stabilità e crescita).
[36] Sulla base del D.M. Economia 28 luglio 2014, n. 59960, che reca la “Codifica Siope degli incassi e dei pagamenti degli enti locali”, i codici da 2101 a 2512 riguardano i pagamenti in conto capitale per acquisizione di beni immobili (terreni, infrastrutture, fabbricati, strade, impianti, ecc.) e di beni mobili, macchine e attrezzature tecnico-scientifiche.
[37] Sulla base del D.M. Economia 31 agosto 2012, che reca l’”Aggiornamento della Codifica Siope delle regioni e delle province autonome”, i codici da 2101 a 2138 riguardano i pagamenti in conto capitale per acquisizione di beni immobili (terreni, infrastrutture, fabbricati, strade, impianti, ecc.) e di beni mobili e prodotti informatici.
[38] L’articolo 20 del D.Lgs. n. 625 del 1996 interviene circa la destinazione delle aliquote di prodotto della coltivazione di idrocarburi alle regioni a statuto ordinario. In particolare, il comma 1 dispone che per ciascuna concessione di coltivazione situata in terraferma il valore dell'aliquota è corrisposto per il 55% alla regione a statuto ordinario e per il 15% ai comuni interessati: conseguentemente il restante 30% è destinato alla Stato. Il comma 1-bis prevede che a decorrere dal 1° gennaio 1999 alle regioni a statuto ordinario del Mezzogiorno spetta, per il finanziamento di strumenti della programmazione negoziata nelle aree di estrazione e adiacenti, anche l'aliquota destinata allo Stato, oltre all’aliquota in via generale spettante, ai sensi del precedente comma 1, a tutte le regioni a statuto ordinario.
[39] Si ricorda, in merito, che ai sensi del comma 19 dell’articolo 31 della legge n. 138/2011, gli enti locali sono tenuti a trasmettere semestralmente al Ministero dell’economia e finanze, entro 30 giorni dalla fine del periodo di riferimento, le informazioni riguardanti le risultanze in termini di competenza mista.
[40] "Intesa tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano concernente il contributo alla finanza pubblica, per l’anno 2014, di cui all’articolo 46, commi 6 e 7, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale" (Repertorio atti n. 65/CSR del 29 maggio 2014) pubblicata nel sito della Conferenza Stato-Regioni http://www.statoregioni.it/ .
[41] D.M. 17 giugno 2014, Riparto del contributo alla finanza pubblica previsto dall'articolo 16, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, tra le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano. Determinazione dell'accantonamento (Pubblicato nella Gazz. Uff. 5 luglio 2014, n. 154).
[42] In attuazione della riserva all'erario disposta dai due decreti legge 138/2011 e 201/2011, è stato emanato il Decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 20 luglio 2012. Nella tabella allegata al Decreto sono quantificate le previsioni degli incrementi di gettito derivanti dalle norme recate dai due decreti legge 138/2011 e 201/2011, distinte per ciascun capitolo del bilancio dello Stato, in relazione all'anno 2012.
[43] Decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 11 settembre 2014, Modalità di individuazione, attraverso separata contabilizzazione, del maggior gettito da riservare all'Erario, ai sensi dell'articolo 1, comma 508, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 215 del 16-9-2014).
[44] Si veda ad esempio la sentenza n. 95 del 2013, nella quale la Corte ricostruisce il contesto normativo e la 'storia' della vertenza entrate e sostiene che «l'inerzia statale troppo a lungo ha fatto permanere uno stato di incertezza che determina conseguenze negative sulle finanze regionali, alle quali occorre tempestivamente porre rimedio, trasferendo, senza ulteriore indugio, le risorse determinate a norma dello statuto».
[45] Nella Relazione che accompagna il giudizio di parificazione del Rendiconto 2013 della regione Sardegna (http://www.corteconti.it/controllo/finanza_pubblica/), la Corte dei conti sintetizza: "L’ammontare dei residui attivi, derivanti dalla c.d. vertenza entrate, che si erano accumulati nel triennio 2010-2012 si è considerevolmente ridotto nel corso dell’esercizio 2013, passando da 1.312 milioni di euro a 406 milioni di euro in seguito ai versamenti effettuati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. La formazione di nuovi residui tributari, nell’esercizio 2013, per euro 913 milioni, importa che al 31.12.2013 i residui complessivi derivanti dalla c.d. “vertenza entrate” ammontano complessivamente a 1.319 milioni di euro".
[46] La sentenza n. 118 del 2012 decide il conflitto di attribuzione sollevato dalla regione Sardegna a seguito della nota del Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del 7 giugno 2011, n. 50971, avente ad oggetto: «Patto di stabilità interno per l'anno 2011. Proposta di accordo per la Regione Sardegna», con la quale la RGS invitava la regione a riformulare la proposta di patto al fine di addivenire al perfezionamento dell'accordo per il patto di stabilità. La Corte, dopo aver ribadito come l'accordo sia "lo strumento ormai consolidato per conciliare e regolare in modo negoziato il doveroso concorso delle Regioni a statuto speciale alla manovra di finanza pubblica e la tutela della loro autonomia finanziaria, costituzionalmente rafforzata", respinge il ricorso in quanto la nota della RGS e la richiesta sottostante non è in contrasto con la ratio dell'accordo. La Corte, inoltre, nell'esposizione della ricostruzione normativa e nell'analisi del contenuto dell'accordo, enuncia alcuni principi che dovrebbero essere alla base dell'accordo stesso.
[47] Recante disposizioni in materia di finanza locale, convertito dalla legge n.68/2014. Va segnalato che tale provvedimento interviene anche su una specifica procedura di riequilibrio finanziario prevista per il solo 2014 per alcuni enti locali la cui delibera di riequilibrio finanziario abbia ricevuto il diniego di approvazione da parte dell’organo consiliare dell’ente ovvero da parte della Corte dei conti. Si tratta di una procedura, che in questa sede non si illustra perché non rilevante ai fini del comma 1 in commento, introdotta dall’articolo 1, commi 573 e seguenti della legge di stabilità 2014 (L.n.147/2013).
[48] L’anticipazione delle risorse dal Fondo va infatti restituita entro un periodo massimo di dieci anni, come dispone li comma 2 dell’articolo 243-ter.
[49] Recante “Accesso al Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali.”
[50] Si evidenzia che si fa riferimento ai comuni delle sole regioni Sicilia e Sardegna in quanto in queste regioni – contrariamente a quanto avviene nelle altre regioni a statuto speciale - la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato.
[51]
Per le assegnazioni a ciascun comune si veda il
sito:
http://www.finanzalocale.interno.it/apps/floc.php/in/cod/22.
[52] Il D.P.C.M. è stato adottato il 13 novembre 2013 anziché entro la data del 30 aprile 2013, secondo quanto previsto dal comma 380 dell’articolo 1 della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013). Nelle more della sua definizione si è provveduto all’erogazione delle risorse del Fondo di solidarietà comunale nella forma di anticipi. Un primo acconto è stato erogato alla fine del mese di febbraio 2013, per un importo complessivo pari a 1.566 milioni. Un secondo acconto è stato erogato a settembre 2013, per un importo di 2.500 milioni. Il D.P.C.M. 13 novembre 2013 ha, poi, disposto il pagamento a saldo sul fondo di solidarietà comunale anno 2013.
[53] Sul relativo capitolo di bilancio (cap.
1365/interno) per il 2014 il Fondo presenta una dotazione inferiore, pari a 6.617,1
milioni di euro, in quanto 30 milioni di euro sono stati autorizzati a parziale
copertura degli oneri derivanti dal finanziamento per l’anno 2014 del Fondo
nazionale per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, istituito
dall’art. 23, comma 11, del D.L. n. 95/2012, ai sensi dell’art. 1, comma 203,
della legge di stabilità 2014 (legge n. 147/2013).
Inoltre, si ricorda, che quota parte del Fondo, pari a 60 milioni di euro, è specificamente destinata al finanziamento delle unioni e fusioni di comuni, ai sensi del medesimo comma 380-ter, come introdotto dall’articolo 1, comma 730, della legge n. 147/2013).
[54] La norma rimanda alla legge di assestamento ovvero ad appositi decreti di variazione del Ministro dell’economia e delle finanze l’adozione delle variazioni compensative, in aumento o in riduzione, della dotazione del Fondo di solidarietà comunale, al fine di tenere conto dell’effettivo gettito IMU derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, che, si ricorda, viene, a partire dal 2013, interamente riservata allo Stato (ai sensi del comma 380, lett. f) della legge n. 228/2012.
[55] Il limite di spesa per tale credito è di 500.000 euro per l’anno 2014, di 2 milioni di euro per l’anno 2015 e di 1 milione per l’anno 2016.
[56] Il D. Lgs. n. 30/2005 Codice della proprietà industriale, all’articolo 1, relativo ai diritti di proprietà industriale, dispone che - ai fini del medesimo Codice - l'espressione proprietà industriale comprende marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali.
Il marchio è il più importante dei segni distintivi. Sul piano economico, esso è oggi utilizzato (e tutelato) non solo come strumento per informare il pubblico della provenienza dei prodotti o servizi per cui è usato da una determinata impresa (la tradizionale funzione di «indicazione di provenienza»), ma anche come simbolo di tutte le altre componenti del «messaggio» che il pubblico ricollega ai prodotti o ai servizi per i quali esso viene usato.
Il Codice vieta, all’articolo 22, di adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito usato nell'attività economica o altro segno distintivo un segno uguale o simile al marchio altrui se, a causa dell'identità o dell'affinità tra l'attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni.
[57] L’articolo 26 prevede inoltre che quando il paese d'origine o il luogo di provenienza di un alimento è indicato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario:
a) è indicato anche il paese d'origine o il luogo di provenienza di tale ingrediente primario; oppure
b) il paese d'origine o il luogo di provenienza dell'ingrediente primario è indicato come diverso da quello dell'alimento
[58] Si tratta di: a) i tipi di carni diverse dalle carni bovine e diverse dalle carni fresche, refrigerate o congelate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili; b) il latte; c) il latte usato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari; d) gli alimenti non trasformati; e) i prodotti a base di un unico ingrediente; f) gli ingredienti che rappresentano più del 50% di un alimento.
[59] L’articolo articolo 45 del nuovo Regolamento sull’etichettatura 1169 disciplina la procedure di notifica preventiva alla Commissione UE da parte degli Stati membri delle nuove norme che ritengono necessario adottare in materia di informazioni sugli alimenti notificano. La notifica, che viene effettuata anche agli altri Stati membri precisa i motivi che giustificano l’adozione della nuova normativa.
La Commissione UE consulta poi il comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali istituito dall'articolo 58, paragrafo 1, del Reg. (CE) n. 178/2002, se ritiene tale consultazione utile o su richiesta di uno Stato membro.
Lo Stato membro che ritenga necessario adottare nuova normativa in materia di informazioni sugli alimenti può adottare le disposizioni previste solo tre mesi dopo la notifica, purché non abbia ricevuto un parere negativo dalla Commissione.
Se il parere della Commissione è negativo, la stessa avvia la procedura d'esame per stabilire se le disposizioni previste possano essere applicate, eventualmente mediante le modifiche appropriate.
[60] La disciplina sulla tutela della qualità dei prodotti prevista dal Regolamento n. 1151/2012 non si applica, per esplicita previsione dello stesso provvedimento (articolo 2):
· ai vini e ai prodotti vitivinicoli, per i quali trovano specifica applicazione le norme Regolamento (UE) n. 1308/2013 (OCM unica) concernenti la tutela della qualità dei predetti prodotti, fatta eccezione che per gli aceti di vino;
· alle bevande spiritose, per le quali trova applicazione la disciplina sulla protezione delle indicazioni geografiche contenuta nel Regolamento (CE) n. 110/2008.
Per i prodotti dell'agricoltura biologica e per la relativa etichettatura vige anche lo specifico Regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio, del 28 giugno 2007.
[61] Disposizioni nazionali per l'attuazione del regolamento (UE) n.1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari in materia di DOP, IGP e STG.
[62] Il Fondo è stato inizialmente dotato di 20 milioni di euro per il 2004, 30 milioni di euro per il 2005 e 20 milioni di euro a decorrere dal 2006,
[63]http://www.uibm.gov.it/attachments/article/2006088/analisi_giuridica_italian_sounding_usa_2011.pdf
[64] Il Fondo sociale per occupazione e formazione è stato previsto dall’articolo 18, comma 1,, lettera a), del D.L. 185/2008, il quale ha disposto che il CIPE, presieduto dal Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze - nonché di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per quanto attiene le risorse destinate alle infrastrutture – provveda ad assegnare, in coerenza con gli indirizzi assunti in sede europea, una quota delle risorse nazionali disponibili del Fondo aree sottoutilizzate ad una serie di fondi. (gli altri sono il Fondo infrastrutture e il Fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale).
[65] http://www.lavoro.gov.it/AreaLavoro/AmmortizzatoriSociali/documentazione/Documents/83473.pdf. E’ inoltre presente anche la circolare esplicativa n. 19 dell’11 settembre 2014 (http://www.lavoro.gov.it/Strumenti/normativa/Documents/2014/20140911_circ_19.pdf ).
[66] Secondo quanto riportato nella relazione tecnica allegata al provvedimento, il monitoraggio INPS ha evidenziato che al 14 luglio 2014 sono state autorizzate 20.023 assunzioni agevolate e 2.629 trasformazioni agevolate.
[67] Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa allegata, le rideterminazioni in diminuzione di cui alle lettere a) e b) si effettuano in considerazione dell’utilizzo ridotto del richiamato incentivo sperimentale, e in attesa del ricorso alle risorse individuate nella programmazione comunitaria 2014-2020.
[68] Lo sgravio contributivo dei contratti di produttività è stato previsto dall’articolo 1, commi 67 e 68 della L. 247/2007, originariamente in via sperimentale, con effetto dal 1° gennaio 2008, e poi tradotto in forma strutturale dall’articolo 4, commi 28-29, della L. 92/2012. In particolare, il comma 67 ha previsto la concessione di uno sgravio contributivo relativo alla quota di retribuzione imponibile di cui all'articolo 12, terzo comma, della L. 153/1969, costituita dalle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello, caratterizzate da incertezza della corresponsione o dell'ammontare e correlazione, stabilita dal contratto medesimo, tra la struttura della quota di retribuzione e la misurazione di incrementi di produttività, qualità, nonché altri elementi di competitività, assunti come indicatori dell'andamento economico dell'impresa e dei suoi risultati. Tale sgravio, fruibile su domanda delle imprese, è concesso sulla base dei seguenti criteri: importo annuo complessivo delle erogazioni in oggetto ammesse allo sgravio entro il limite massimo del 5% della retribuzione contrattuale percepita; determinazione dello sgravio, con riferimento alla quota di erogazioni di cui al precedente richiamo, nella misura di 25 punti percentuali; determinazione dello sgravio, sempre con riferimento alla quota di erogazioni relative all’importo annuo complessivo in misura pari ai contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro sulla stessa quota di erogazioni prima ricordate. Il comma 68 ha rinviato ad un decreto interministeriale la disciplina delle modalità di attuazione dello sgravio sopra descritto anche con riferimento all’individuazione dei criteri di priorità sulla base dei quali debba essere concessa, nel rigoroso rispetto dei limiti finanziari previsti, l’ammissione al beneficio contributivo, e con particolare riguardo al monitoraggio dell’attuazione, al controllo del flusso di erogazioni e al rispetto dei tetti di spesa. Lo stesso comma 68, inoltre, ha istituito un Osservatorio, presso il Ministero del lavoro, con la partecipazione delle parti sociali, ai fini del monitoraggio e della verifica di coerenza dell’attuazione del comma 67 con gli obiettivi definiti nel “Protocollo sul welfare” del 23 luglio 2007, nonché delle caratteristiche della contrattazione di secondo livello aziendale e territoriale, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica.
In relazione alle risorse del richiamato Fondo, si ricorda che la L. 228/2012 ha disposto uno stanziamento del Fondo in questione, sul cap. 4330 del Ministero del lavoro, pari a 500 mln per il 2013. L’articolo 4, comma 1, lett. a), del D.L. 54/2013 ha ridotto la dotazione del Fondo di 250 milioni nel 2013, al fine di rifinanziare gli ammortizzatori sociali in deroga, di cui all’articolo 2, commi 64, 65 e 66 della L. 92/2012. Successivamente, la lettera c) del comma 3 dell’articolo 15 del D.L. 102/2013 (ai fini della copertura degli oneri derivanti dal provvedimento medesimo) ha disposto la riduzione del Fondo per una somma pari a 186 mln di euro per il 2013, e, quanto a 64 mln di euro per l'anno 2013, mediante utilizzo delle disponibilità già trasferite all'INPS, nel medesimo anno, in via di anticipazione, a valere sul predetto Fondo. Da quanto risulta nel bilancio preventivo per il 2014 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la dotazione per il 2014 del Fondo sarebbe pari a 607 mln di euro in conto competenza.
[69] Tali risorse, previste dall’articolo 1, comma 12, lettere a) e b), del D.L. 76/2013, consistono in 100 milioni di euro per l'anno 2013, 150 milioni di euro per l'anno 2014, 150 milioni di euro per l'anno 2015 e 100 milioni di euro per l'anno 2016, per le regioni Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia, a valere sulla corrispondente riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazione ex L. 183/1987 e già destinate ai Programmi operativi 2007/2013; e nella misura di 48 milioni di euro per l'anno 2013, 98 milioni di euro per l'anno 2014, 98 milioni di euro per l'anno 2015 e 50 milioni di euro per l'anno 2016, per le restanti regioni, ripartiti tra le Regioni sulla base dei criteri di riparto dei Fondi strutturali.
[70] Secondo la relazione tecnica, il comma disciplina aspetti procedurali, dai quali non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, disciplinando comunque l’utilizzo di risorse programmate.
[71] Tali lavoratori devono essere in stato di disoccupazione ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera c), del D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 181 (cioè soggetti privi di lavoro, che siano immediatamente disponibili allo svolgimento ed alla ricerca di una attività lavorativa secondo modalità definite con i servizi competenti) e devono poter far valere almeno due anni di assicurazione e almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione.
[72] Secondo la relazione tecnica, il comma disciplina aspetti procedurali, dai quali non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, disciplinando comunque l’utilizzo di risorse programmate
[73] Con riferimento alle sanzioni previste dall’ordinamento dell’Unione europea, si ricorda che il mancato conseguimento degli obiettivi UE comporta, secondo i Regolamenti comunitari una riduzione delle risorse per il Fondo e per il Programma operativo interessato. Per il ciclo di programmazione 2007-2013, in base alla c.d. "regola dell'n+2", per ogni annualità contabile delle risorse impegnate – per ciascun fondo (FSE, FESR) e programma operativo (PO) sul bilancio comunitario - la parte che non risulta effettivamente spesa e certificata alla Commissione entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell’impegno di bilancio viene disimpegnata automaticamente. Il disimpegno delle risorse comunitarie comporta anche la parallela riduzione di disponibilità delle relative risorse di cofinanziamento nazionale. Per il nuovo ciclo di programmazione 2014-2020, il disimpegno si attiva dopo il terzo anno (regola n+3).
[74] Si ricorda che con il Governo Renzi non è stato costituito un Ministero apposito per la politica di coesione ma con D.P.C.M. 24 aprile 2014 (G.U. n. 122 del 28 maggio 2014) il Presidente del Consiglio dei ministri ha delegato il sottosegretario Delrio all'esercizio delle funzioni di coordinamento, di indirizzo, di promozione di iniziative, anche normative, di vigilanza e verifica, nonché ogni altra funzione attribuita dalle vigenti disposizioni al Presidente del Consiglio dei Ministri, relativamente alla materia delle politiche per la coesione territoriale. Nel precedente Governo Letta, invece, la delega era stata conferita con D.P.C.M. 27 maggio 2013 al Ministro senza portafoglio per la coesione territoriale Trigiglia (G.U. n. 157 del 6 luglio 2013).
[75] Il Piano di Azione Coesione, nell’impegnare le amministrazioni centrali e locali a rilanciare i programmi in grave ritardo, ha mirato ad una concentrazione degli investimenti in quattro ambiti prioritari di interesse strategico nazionale (Istruzione, Agenda digitale, Occupazione e Infrastrutture ferroviarie), reperendo i necessari stanziamenti attraverso una riduzione della quota complessiva del cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali nell’ambito dei programmi operativi regionali del Mezzogiorno, che è stato portato dal 50 al 25%, con conseguente riutilizzo delle risorse per il finanziamento, nelle medesime Regioni, delle azioni e degli interventi previsti nel Piano stesso. Il Piano, articolato in cinque fasi di riprogrammazione, ha determinato, nel suo complesso, una rimodulazione di risorse comunitarie per circa 13,5 miliardi di euro complessivi, di cui 11,5 miliardi quale riduzione delle risorse di cofinanziamento nazionale e 2,0 miliardi quale revisione interna dei programmi.
[76] Recante interventi per la promozione dell’occupazione, Iva ed altre misure finanziarie urgenti, convertito dalla legge n.99 del 2013.
[77] D.L . 31 agosto 2013, n.101, recante interventi urgenti per la razionalizzazione delle pubbliche amministrazioni, convertito dalla legge n.125 del 2013.
[78] Con D.P.C.M. 9 luglio 2014 (GU n. 191 del 19/8/2014) è stato approvato lo Statuto dell’Agenzia.
[79] Alla Presidenza del Consiglio vengono, tra l’altro, assegnate: la promozione e il coordinamento dei programmi e degli interventi finanziati dai fondi strutturali, dei programmi finanziati dal Fondo per lo sviluppo e la coesione, nonché delle attività di valutazione delle politiche di coesione; la raccolta ed elaborazione, in collaborazione con le amministrazioni statali e regionali competenti, di informazioni e dati sull'attuazione dei programmi operativi dei fondi a finalità strutturale dell'Unione europea, nonché sull'attuazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione, anche ai fini dell'adozione delle misure di accelerazione degli interventi necessari; il supporto al Presidente o al Ministro delegato nei rapporti con le istituzioni dell'Unione europea relativi alla fase di definizione delle politiche di sviluppo regionale e di verifica della loro realizzazione, predisponendo, ove necessario, proposte di riprogrammazione. Peraltro la Presidenza del Consiglio, al fine di rafforzare l'attuazione della politica di coesione ed assicurare il perseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 88 del 2011, può avvalersi dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa (ex Sviluppo Italia).
[80] Si ricorda infatti che ai sensi di quanto disposto dalla legge n. 183 del 1987 la Ragioneria generale dello Stato attraverso l’Ispettorato Generale per i rapporti finanziari con l’Unione Europea (IGRUE) svolge, tra l’altro, specifiche attività connesse all’analisi e studio dei dati di attuazione degli interventi cofinanziati dai fondi strutturali europei ed è responsabile del monitoraggio dei flussi finanziari tra l’Italia e l’Unione europea.
[81] Con riferimento ad esempio a quelle comprese nel conto economico consolidato, come individuate nell’elenco pubblicato annualmente dall’Istat ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge di contabilità n.196/2009.
[82] Il potere sostitutivo è esercitato dal Governo - al fine di assicurare la competitività, la coesione e l’unità economica del Paese - ai sensi dell'articolo 120, comma secondo, della Costituzione, secondo le modalità procedurali ivi indicate. L’esercizio del potere sostitutivo del Governo avviene anche attraverso la nomina di un commissario straordinario, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, il quale cura tutte le attività di competenza delle amministrazioni pubbliche occorrenti all'autorizzazione e all'effettiva realizzazione degli interventi programmati, nel limite delle risorse allo scopo finalizzate.
[83] L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi
[84] La disciplina è stata in seguito modificata più volte e parzialmente riformata dalla legge 127/1997 . Una completa riforma è stata operata dalla legge di semplificazione per il 1999, la legge 340/2000 (artt. 9-15) che ha novellato la legge 241/1990. Successivamente, modifiche di rilievo sono state apportate dalla legge 15/2005 (artt. 8-13), dalla legge 69/2009 (art. 9) e, da ultimo, dal D.L: 78/2010 (art. 49).
[85] Al di fuori di questa ipotesi, le amministrazioni pubbliche possono comunque concludere tra loro accordi volti a disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.
[86] L’obiettivo della conferenza preliminare è di verificare le condizioni alle quali potrebbe essere dato l’assenso sull’istanza o sul progetto definitivo stesso, in modo di eliminare, od almeno limitare, l’emersione di ostacoli amministrativi nelle fasi ulteriori della procedura. La conferenza, in tale sede, è tenuta a pronunciarsi entro un temine determinato (30 giorni). Tempi più lunghi sono previsti nel caso in cui sia richiesta la valutazione di impatto ambientale (VIA). In ogni caso l’autorità competente alla VIA è tenuta ad esprimersi in tempi definiti, ed il suo intervento costituisce parte integrante della procedura di VIA che prosegue anche dopo la presentazione del progetto definitivo. Le indicazioni fornite dalle amministrazioni coinvolte nella conferenza preliminare, comprese quelle eventuali dell’autorità competente alla VIA, non possono essere modificate in assenza di significativi elementi emersi nelle fasi successive del procedimento.
[87] In caso di dissenso tra un’amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali, si richiede la previa intesa con la regione e le regioni e le province autonome interessate. Invece, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali, si richiede l’intesa con la regione o gli enti locali interessati.
[88] In tale pronuncia, il giudice amministrativo ha chiarito che ove la deliberazione del Consiglio dei Ministri contrasti, anche in parte, l'atto di dissenso qualificato, essa deve fondarsi su una motivazione evidentemente divergente rispetto a quella, che dia adeguato e congruo conto delle ragioni specifiche per cui gli elementi del giudizio di compatibilità assunti dall'amministrazione dissenziente vanno, in quel concreto caso, diversamente valutati. Tale valutazione non può disapplicare i parametri del giudizio tecnico, ma nemmeno si esaurisce in un giudizio tecnico com'è per l'atto di base, perché comporta - in ragione dell'organo costituzionale chiamato alla decisione e della sua funzione di massima sintesi amministrativa - l'adozione, in deroga a quel dissenso, di un apprezzamento che, è di alta amministrazione. Ove invece la deliberazione del Consiglio dei Ministri non contrasti l'atto di dissenso qualificato, non v'è ragione di una particolare esternazione di ragioni ulteriori di una decisione che, a sufficienza, intenda essere conforme a quel dissenso legittimamente espresso e che voglia lasciare permanere intatto negli effetti.
[89] Nel caso di specie, il Consiglio dei ministri ha ritenuto di preminente interesse la realizzazione di un impianto eolico per l’economia del territorio interessato, nonostante il dissenso legittimamente espresso dalla Soprintendenza, fornendo idonea motivazione sul punto.