Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile - D.L. 132/2014 - A.C. 2681 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 2681/XVII   DL N. 132 DEL 12-SET-14
Serie: Progetti di legge    Numero: 235
Data: 27/10/2014
Descrittori:
DECRETO LEGGE 2014 0132   PROCESSO CIVILE
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile

D.L. 132/14 – A.C. 2681

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 235

 

 

 

27 ottobre 2014

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9559 – * st_giustizia@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: D14132.docx

 


INDICE

Schede di lettura

Introduzione                                                                                                        3

Capo I Eliminazione dell'arretrato e trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti civili pendenti                                                                              3

§  Articolo 1 (Trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria)                                                                                      3

Capo II Procedura di negoziazione assistita da un avvocato                        9

§  Articolo 2 (Convenzione di negoziazione assistita da avvocati)                      9

§  Articolo 3 (Improcedibilità)                                                                             11

§  Articolo 4 (Non accettazione dell'invito e mancato accordo)                          13

§  Articolo 5 (Esecutività dell'accordo raggiunto a seguito della convenzione e trascrizione)                                                                                                   14

§  Articolo 6 (Convenzione di negoziazione assistita da un avvocato per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio)                                                                                                      15

§  Articolo 7 (Conciliazione avente per oggetto diritti del prestatore di lavoro)  18

§  Articolo 8 (Interruzione della prescrizione e della decadenza)                      19

§  Articolo 9 (Obblighi dei difensori e tutela della riservatezza)                         20

§  Articolo 10 (Antiriciclaggio)                                                                            21

§  Articolo 11 (Raccolta dei dati)                                                                        22

Capo III Ulteriori disposizioni per la semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio                                                               23

§  Articolo 12 (Separazione consensuale, richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi all'ufficiale dello stato civile)                      23

Capo IV Altre misure per la funzionalità del processo civile di cognizione 27

§  Articolo 13 (Modifiche al regime della compensazione delle spese)             27

§  Articolo 14 (Passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione)      29

§  Articolo 15 (Dichiarazioni rese al difensore)                                                  32

§  Articolo 16 (Modifiche alla legge 7 ottobre 1969, n. 742 e riduzione delle ferie dei magistrati e degli avvocati e procuratori dello Stato)                               33

-      Focus di diritto comparato: Francia, Germania e Spagna (a cura del Servizio Biblioteca)                                                                                    35

Capo V Altre disposizioni per la tutela del credito nonché per la semplificazione e l'accelerazione del processo di esecuzione forzata e delle procedure concorsuali                                                                                     37

§  Articolo 17 (Misure per il contrasto del ritardo nei pagamenti)                       37

§  Articolo 18 (Iscrizione a ruolo del processo esecutivo per espropriazione)   39

§  Articolo 19 (Misure per l'efficienza e la semplificazione del processo esecutivo) 46

§  Articolo 19-bis (Crediti delle rappresentanze diplomatiche e consolari straniere) 62

§  Articolo 20 (Monitoraggio delle procedure esecutive individuali e concorsuali e deposito della nota di iscrizione a ruolo con modalità telematiche)               63

Capo VI Misure per il miglioramento dell'organizzazione giudiziaria          65

§  Articolo 21 (Disposizioni in tema di tramutamenti successivi dei magistrati) 65

§  Articolo 21-bis (Istituzione del giudice di pace di Ostia e ripristino dell’ufficio del giudice di pace di Barra)                                                                                67

Capo VII Disposizioni finali                                                                              69

§  Articolo 22 (Disposizioni finanziarie)                                                              69

§  Articolo 23 (Entrata in vigore)                                                                        70

 

 


Schede di lettura

 


Introduzione

Il disegno di legge n. 2681, "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile", approvato con modificazioni dal Senato, ha ad oggetto un decreto-legge diretto a migliorare l’efficienza complessiva del processo civile. Il decreto-legge riguarda i seguenti ambiti:

·         il trasferimento in sede arbitrale di procedimenti civili pendenti (art. 1);

·         la convenzione di negoziazione assistita, quale accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati (artt. 2–13); sono disciplinate inoltre alcune ipotesi speciali di negoziazione assistita, tra cui quelle relative a separazione e divorzio;

·         ulteriori semplificazioni del procedimento di separazione e divorzio, con la possibilità per i coniugi di concludere un accordo davanti al sindaco (art. 12);

·         misure per la funzionalità del processo civile di cognizione, concernenti la compensazione delle spese, il passaggio dal rito ordinario al rito sommario, la riduzione del periodo di sospensione feriale dei termini processuali e delle ferie dei magistrati (artt. 13 – 16);

·         la tutela del credito e l’accelerazione del processo di esecuzione forzata e delle procedure concorsuali, attraverso misure di contrasto nel ritardo dei pagamenti, l’iscrizione a ruolo nel processo esecutivo per espropriazione, la semplificazione del processo esecutivo, il monitoraggio delle procedure esecutive individuali e concorsuali e il deposito della nota di iscrizione a ruolo con modalità telematiche (artt. 17 – 20);

·         il procedimento di tramutamento dei magistrati (art. 21).

 

Nel corso dell’esame, il Senato ha introdotto due nuovi articoli concernenti:

·         l’impignorabilità dei depositi a disposizione delle rappresentanze diplomatiche (art. 19-bis);

·         il ripristino degli uffici del giudice di pace a Ostia (Roma) e Barra (Napoli) (art. 21-bis).

Il Senato ha inoltre accolto la soppressione degli artt. 7 (Conciliazione avente per oggetto diritti del prestatore di lavoro) e 15 (Dichiarazioni rese al difensore nel processo civile).

Il CSM ha espresso, il 9 ottobre 2014, un articolato parere sul decreto-legge, i cui contenuti principali sono richiamati nel presente dossier nei commenti dei singoli articoli.


Capo I
Eliminazione dell'arretrato e trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti civili pendenti

Articolo 1
(Trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria)

 

Il Capo I del provvedimento - composto dal solo articolo 1 - prevede il possibile trasferimento - su base volontaria - dalla sede giudiziaria a quella arbitrale di alcune tipologie di cause civili in corso.

Il comma 1 stabilisce, infatti, che nelle cause civili dinanzi al tribunale o in grado d'appello, pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, le parti, con istanza congiunta, possono richiedere di promuovere un procedimento arbitrale a norma delle disposizioni contenute nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile (riferite all’arbitrato).

Il trasferimento è, tuttavia, soggetto ad un limite temporale e a uno di materia essendo escluso:

·        per le cause già assunte in decisione;

·        per le cause che hanno ad oggetto diritti indisponibili;

·        per le cause in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale.

Il riferimento ai diritti indisponibili dovrebbe indicare quei diritti che soddisfano interessi personali e non negoziabili. Si tratterebbe, ad esempio, dei diritti attinenti alla libertà personale, alla manifestazione del pensiero, allo status familiae (padre, figlio, coniuge); dei diritti della personalità, come il diritto al nome; dei diritti patrimoniali che scaturiscono da rapporti familiari, come il diritto agli alimenti; del diritto alle ferie nel corso del rapporto di lavoro.

 

Il contenuto della disposizione risulta analogo a quello sull’arbitrato dell’art. 806, comma 1, c.p.c., secondo cui “ le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge”. Il Senato (v. ultra) ha ulteriormente assimilato la nuova disposizione del decreto-legge a quella del codice prevedendo, in alcuni casi, l’arbitrabilità anche delle controversie di lavoro.

Un richiamo a diritti indisponibili è presente anche nell’articolo 2968 del codice civile, in base a cui le parti non possono modificare la disciplina legale della decadenza né possono rinunziare alla decadenza medesima, se questa è stabilita dalla legge in materia sottratta alla disponibilità delle parti.

 

Come accennato, il Senato ha previsto che la possibilità di trasferire la causa agli arbitri sia estesa alle cause di lavoro che abbiano nel contratto collettivo di lavoro la propria fonte esclusiva, ove il contratto stesso abbia previsto e disciplinato la soluzione arbitrale.

La stessa modifica ha stabilito che, per le controversie di valore non superiore a 50.000 euro in materia di responsabilità extracontrattuale o aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, la richiesta di arbitrato della parte privata si presume accettata quando controparte sia una pubblica amministrazione; la PA può, tuttavia, dissentire per iscritto entro 30 giorni dalla richiesta.

Potrebbe essere chiarito quale debba essere la forma dell’istanza congiunta che richiede l’arbitrato (scritta, orale in udienza, proponibile solo dalle parti o anche dai loro avvocati).

Potrebbe essere, inoltre, utile indicare i termini di un eventuale accordo per il trasferimento in sede arbitrale in una serie di casi quali, ad esempio, le controversie plurisoggettive, i litisconsorzi, le unioni di cause.

 

Per quanto riguarda le modalità procedurali, il comma 2 prevede che il giudice, rilevata la sussistenza delle condizioni di cui al comma 1, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, dispone la trasmissione del fascicolo al presidente del Consiglio dell'ordine forense del circondario in cui ha sede il tribunale (ovvero la corte di appello) per la nomina:

§  del collegio arbitrale per le controversie di valore superiore a 100.000 euro;

§  di un arbitro unico, se vi è accordo delle parti, per le liti di valore inferiore.

Il testo iniziale della norma prevedeva, indipendente dal valore, la devoluzione della lite ad un collegio arbitrale. La possibilità, in base al valore della lite, di attribuire la causa ad un arbitro unico è stata introdotta dal Senato.

 

Occorre valutare se il trasferimento alla fase arbitrale delle preclusioni e delle decadenze già intervenute nel giudizio sia conforme al sistema dell’arbitrato, ordinariamente regolato dalla disciplina concordata nella convenzione di arbitrato o da quanto stabilito dagli stessi arbitri.

 

Gli arbitri sono individuati concordemente dalle parti o (in caso di disaccordo) dal presidente del Consiglio dell'ordine, tra gli avvocati iscritti da almeno 5 anni all’albo circondariale ai quali, per lo stesso periodo, non siano state inflitte condanne definitive comportanti la sospensione dall’albo. La previsione quinquennale è frutto di una modifica introdotta dal Senato (il testo vigente del decreto-legge prevede iscrizione triennale all’albo ed assenza di condanne disciplinari definitive).

 

Occorre valutare gli effetti derogatori della formulazione del comma 1 dell'articolo 1 rispetto al codice di procedura civile. Infatti – limitatamente ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge – il comma 1 consente alle parti, con istanza congiunta, di promuovere un procedimento arbitrale “a norma delle disposizioni contenute nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile".

L’attribuzione per legge al Presidente del consiglio dell’ordine del potere di nomina degli arbitri, in mancanza di accordo tra le parti, non pare coordinata con alcune disposizioni contenute nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile, quali, ad esempio, gli articoli 811, sulla sostituzione degli arbitri; 813-bis, sulla decadenza degli arbitri; 814, secondo comma, sulla determinazione delle spese e degli onorari degli arbitri; 815, sulla decisione sulla ricusazione degli arbitri. In tali disposizioni, la previsione della competenza del presidente del tribunale presuppone infatti l'attribuzione allo stesso del potere di nomina degli arbitri.

Analogamente, la previsione secondo cui gli arbitri sono individuati tra gli avvocati iscritti da almeno cinque anni all'albo deroga alla disciplina generale codicistica che non prevede che gli arbitri debbano essere scelti all'interno di categorie legislativamente predeterminate. Occorre valutare, quindi, se la previsione di cui al comma 2 dell'articolo 1 possa essere derogata dall'accordo delle parti.

 

Il Senato ha aggiunto un comma 2-bis con il quale si rende incompatibile la funzione di consigliere dell’ordine degli avvocati con l’incarico arbitrale; l’incompatibilità è, peraltro, estesa anche ai consiglieri uscenti per tutto il periodo della consiliatura successiva.

Il comma 3 stabilisce quindi la continuità del procedimento giudiziale con quello arbitrale, rimanendo fermi gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda giudiziale nonché quelli del lodo, che equivalgono a quelli della sentenza.

 

Andrebbe chiarito se permanga, per la parte che ha interesse a dare esecuzione al lodo, l’obbligo di depositare quest’ultimo presso il tribunale. In linea generale bisogna infatti distinguere tra vincolatività del lodo e sua esecutività. Occorre poi considerare anche la modifica al comma 4 approvata dal Senato (v. ultra) per l’arbitrato in appello, che prevede esplicitamente il deposito del lodo.

Si segnala, poi, che - diversamente dal procedimento arbitrale in appello (v. comma 4) - per quello di primo grado non sono stabiliti termini per la conclusione del procedimento né per l’eventuale riapertura del giudizio in caso di mancata pronuncia del lodo.

 

Il comma 4 detta disposizioni per il trasferimento in sede arbitrale disposto in appello.

In tali casi, se il procedimento non si conclude con la pronuncia del lodo entro 120 giorni dall'accettazione della nomina del collegio arbitrale, il processo deve essere riassunto entro il termine perentorio di 60 giorni. Il Senato ha integrato tale previsione stabilendo che, previo accordo delle parti, gli arbitri possano chiedere di prorogare il deposito del lodo di altri 30 gg.; ciò, anche in relazione alla prevista impossibilità di pronunciare il lodo una volta riassunto il processo d’appello.

 

Potrebbe essere utile chiarire se i citati 30 giorni di proroga riguardino la pronuncia anziché il deposito del lodo, stante la circostanza che quest’ultimo è atto di parte (ai fini della sua esecutività e trascrivibilità) e non degli arbitri. La disciplina del c.p.c. (cui rinvia il comma 1) prevede infatti che, dopo la pronuncia da parte degli arbitri, il lodo deve essere comunicato alle parti in originale o copia attestata conforme entro 10 gg dalla sua sottoscrizione (art. 824 c.p.c.). Il lodo viene poi depositato dalla parte che lo intende fare eseguire presso la cancelleria del tribunale del circondario di svolgimento dell’arbitrato (art. 825 c.p.c.).

 

Dalla mancata riassunzione nel termine deriva l’estinzione del procedimento nonché l’applicazione dell'articolo 338 c.p.c. (ovvero il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti con provvedimenti pronunciati nel procedimento estinto).

Ove con sentenza (ex art. 830 c.p.c.) sia stato dichiarata la nullità del lodo pronunciato entro il termine di 120 giorni o, in ogni caso, entro la scadenza di quello per la riassunzione (60 giorni), il processo deve essere riassunto entro 60 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di nullità.

Occorrerebbe coordinare la formulazione del comma 4 sulla pronuncia di nullità del lodo, con il richiamo anche alla possibile proroga di 30 gg. introdotta dal Senato per il deposito del lodo medesimo (v. ante). In base alla modifica del Senato, infatti, il lodo può essere depositato, a seguito della proroga, anche entro 150 giorni.

 

Il comma 5 dell’art. 1 stabilisce che, nei casi sopraindicati di trasferimento alla sede arbitrale, sia in primo grado sia in appello, con decreto regolamentare del Ministro della giustizia possano essere stabilite riduzioni dei parametri relativi ai compensi degli arbitri. La previsione sembra avere finalità di incentivo al ricorso all’arbitrato, anche in considerazione delle spese già sostenute dalle parti nel procedimento giudiziale.

Per l’adozione del decreto, il Senato ha introdotto il termine di 90 giorni decorrente dalla data di entrata in vigore della legge di conversione.

Nei medesimi casi di trasferimento alla sede arbitrale, le parti non sono tenute al pagamento in solido degli arbitri, salvo rivalsa.

Il Senato ha, infine, aggiunto un comma 5-bis secondo cui il DM deve stabilire anche i criteri per l'assegnazione degli arbitrati; tra di essi, con carattere non esaustivo la disposizione esplicitamente prevede:

-        le competenze professionali dell'arbitro, anche in relazione alle ragioni del contendere e alla materia oggetto della controversia;

-         il principio della rotazione nell'assegnazione degli incarichi, prevedendo altresì sistemi di designazione automatica.

 

Il parere del CSM sull’art. 1 del decreto-legge ha evidenziato diversi profili di criticità del testo. Il Consiglio, in particolare, ha rilevato specifici aspetti di incertezza riferiti al profilo più strettamente processuale (tra questi, la mancata previsione della specifica forma della domanda di trasferimento del giudizio e di termini certi per la definizione dell’arbitrato in primo grado; la possibilità di trasferire in sede arbitrale le preclusioni e le decadenze già intervenute; la possibilità che il lodo in appello intervenga in secondo grado su una pronuncia di primo grado emessa da un giudice).

 

 

 

 


Capo II
Procedura di negoziazione assistita da un avvocato

Articolo 2
(Convenzione di negoziazione assistita da avvocati)

 

Le disposizioni del Capo II - articoli da 2 a 11 - hanno ad oggetto la disciplina della procedura di negoziazione assistita da avvocati, introdotta nell'ordinamento dallo stesso decreto-legge.

Si tratta, nella sostanza, di un ulteriore strumento di risoluzione stragiudiziale delle controversie civili, che si affianca agli istituti analoghi già esistenti e che intende dare rapida tutela dei diritti dei cittadini, confinando all’area giudiziale le sole liti che appaiono irrisolvibili anche all’esito della negoziazione assistita. Quest’ultima potrà essere attivata per qualsiasi controversia, ad esclusione di quelle relative a diritti indisponibili o, a seguito di una modifica del Senato, quelle relative a cause di lavoro.

L’originario decreto-legge prevede l’assistenza di un solo avvocato; una modifica del Senato ha stabilito che la convenzione di negoziazione sia assistita da uno o più avvocati.

In riferimento alle disposizioni del Capo in esame si rileva, in generale, come sotto numerosi profili esse mutuino soluzioni già sperimentate dal legislatore con il decreto legislativo 28/2010 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali.

In particolare, l'articolo 2 prevede che costituisce dovere deontologico degli avvocati informare il cliente all'atto del conferimento dell'incarico della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita (comma 7); la mancata informativa al cliente costituisce quindi infrazione disciplinare dell’avvocato.

Tale convenzione è definita dal comma 1 come l'accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati, compresi quelli cd. ”stabiliti”, iscritti all'albo.

Gli avvocati stabiliti sono gli avvocati abilitati in uno dei Paesi della UE che hanno ottenuto lo stabilimento in Italia ai sensi del D.Lgs 96 del 2001 e che hanno diritto di esercitare nel nostro Paese.

 

Il Senato ha previsto che le amministrazioni pubbliche (art. 1, comma 2, D.Lgs 165/2001) siano obbligate ad affidare la convenzione di negoziazione a propri avvocati (ove sia presente un’avvocatura).

In relazione al contenuto, la convenzione deve indicare:

  1. il termine concordato dalle parti per la conclusione della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese; il Senato ha integrato tale previsione, aggiungendo anche un limite massimo di durata pari a tre mesi, fatto salvo un “rinnovo su accordo delle parti nel termine di 30 giorni”;
  2. l'oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili nè, a seguito di una modifica apportata dal Senato, le cause di lavoro.

In relazione al rinnovo di cui alla lettera a) andrebbe chiarito se, come sembra, il citato termine di 30 giorni decorre dalla scadenza del termine trimestrale.

Per quanto, invece, riguarda l’esclusione dei diritti indisponibili dall’ambito della negoziazione assistita, potrebbe essere opportuno che il comma 2, lett. b), faccia riferimento alla deroga a tale principio costituita dal contenuto degli artt. 2 e 6.

I commi successivi al 2 prevedono rispettivamente che la convenzione è conclusa per un periodo di tempo determinato dalle parti, fermo restando il citato limite minimo (comma 3) e che essa è redatta, a pena di nullità, in forma scritta (comma 4).

La previsione di cui al comma 3 non appare coordinata con l’introduzione, da parte del Senato, anche di un limite massimo di durata della procedura.

Dopo che il comma 5 ha stabilito che la convenzione è conclusa con l'assistenza di uno o più avvocati (la disposizione risulta peraltro ripetitiva del contenuto del comma 1), il comma 6 stabilisce che gli avvocati certificano l'autografia delle sottoscrizioni apposte alla convenzione sotto la propria responsabilità professionale.

 

Pur dichiarandosi favorevole ai sistemi di risoluzione alternativa delle controversie, il CSM, nel suo parere sul D.L., ha sollevato specifici rilievi incentrati, in particolare, sulla possibile sovrapposizione della procedura di negoziazione assistita con analoghi strumenti stragiudiziali già presenti nell’ordinamento.

Viene rilevata, in particolare, la necessità di coordinare il nuovo strumento in relazione alla procedura preventiva alla lite per risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti prevista nel Codice delle assicurazioni (art. 145, D.Lgs. 209/2005) come condizione di proponibilità (e non procedibilità) della domanda (v. ultra, art. 3).


 

Articolo 3
(Improcedibilità)

 

L’articolo 3 qualifica l'esperimento del procedimento di negoziazione assistita come condizione di procedibilità in specifiche materie. Chi agisce in giudizio deve, quindi, preventivamente invitare il convenuto alla stipula della convenzione di negoziazione. Ciò vale, infatti, con specifico riguardo (comma 1):

§  alle domande giudiziali relative a controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti;

§  alle domande di pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non superiori a 50.000 euro.

 

Si ricorda che il D.L. n. 69 del 2013, nel ridisciplinare la mediazione obbligatoria dopo l'intervento della Corte costituzionale (sentenza 272/2012) che aveva dichiarato illegittimo il comma 1 dell'articolo 5 del D.L. n. 28 del 2010 per eccesso di delega, ha espunto dall'ambito applicativo della nuova mediazione obbligatoria la materia del risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti. A supporto della scelta, nella relazione illustrativa al d.d.l. di conversione del D.L. 69, sono stati forniti alcuni dati statistici che mostrano che dal 21 marzo 2011 al 30 giugno 2012 le predette controversie - a fronte di una percentuale generale del 46,4 per cento di raggiungimento dell'accordo nei casi di aderente (alla domanda di mediazione) comparso - registravano una percentuale del 96,2 per cento di aderente non comparso; la funzionalità della mediazione nel settore era risultata quindi particolarmente bassa per le dinamiche innescate dalla decisiva presenza dell'ente assicurativo.

 

L’improcedibilità non trova invece applicazione:

§  per le controversie in materia di obbligazioni contrattuali derivanti da contratti tra professionisti e consumatori (comma 1)

§  per quelle di cui all’art. 5, comma 1-bis del D.Lgs. 28/2010 (sulla mediazione) cioè le liti in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari (comma 1);

§  nei procedimenti per ingiunzione (compresa l’eventuale opposizione); di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata; nei procedimenti camerali e nell'azione civile nel processo penale (comma 3);

§  quando la parte può stare in giudizio personalmente (comma 7).

Lo stesso comma 1 fissa alla prima udienza il limite procedurale entro il quale il convenuto (o il giudice, d’ufficio) può eccepire l’improcedibilità del giudizio per mancato esperimento del procedimento di negoziazione assistita.

 

Il comma 2 indica le situazioni in cui la condizione di procedibilità si considera avverata (mancata adesione nei termini, spirare del termine mensile per la conclusione del procedimento, rifiuto dell’invito di negoziazione).

Con il comma 4 si dispone che l'esperimento della nuova forma conciliativa non possa precludere la concessione di provvedimenti cautelari o d'urgenza né la trascrizione della domanda giudiziale.

 

Sono fatte salve dal comma 5 le disposizioni che contemplano speciali procedimenti obbligatori di mediazione e di conciliazione, comunque denominati. Il Senato ha integrato la formulazione di tale comma stabilendo che il termine di cui ai commi 1 e 2, per materie soggette ad altri termini di procedibilità, decorre unitamente ai medesimi.

 

Il relatore Cucca ha precisato, nel corso della relazione in Assemblea al Senato (16 ottobre 2014 ), che tale norma risolve il rapporto tra le nuove procedure di cui agli articoli 1 e 2 e gli altri procedimenti speciali obbligatori e mediazione di conciliazione.

 

Si osserva che la disposizione non chiarisce il significato del decorso unitario dei termini.

 

Il comma 6 disciplina la procedura quando una delle parti della negoziazione assistita possa essere ammessa al gratuito patrocinio.

 

Sulla base della formulazione letterale della disposizione, non sarebbe applicabile alla nuova fattispecie l’art. 82 del testo unico sulle spese di giustizia sulla liquidazione da parte del giudice dell’onorario e delle spese spettanti al difensore nel gratuito patrocinio.

 

Il comma 8, infine, stabilisce che le disposizioni dell’articolo 3 siano efficaci una volta decorsi 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.

Occorre valutare se il differimento dell’efficacia debba interessare analogamente anche gli articoli successivi in tema di negoziazione assistita.

 

 


 

Articolo 4
(Non accettazione dell'invito e mancato accordo)

 

L'articolo 4 regola gli effetti della mancata accettazione e del fallimento dell’accordo di negoziazione assistita.

È previsto al comma 1 che l'invito che l'avvocato di una parte rivolge all'altra debba contenere, oltre all'indicazione dell'oggetto della controversia, lo specifico avvertimento che la mancata risposta all'invito entro 30 giorni dalla ricezione o il suo rifiuto possono essere valutati dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 (possibile condanna della parte soccombente anche al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata in caso di mala fede o colpa grave) e 642, primo comma, c.p.c. (possibile esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo per credito fondato su cambiale, assegno bancario, assegno circolare, certificato di liquidazione di borsa o su atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato).

Si tratta di previsioni finalizzate, quindi, a favorire la serietà del tentativo di conclusione dell'accordo.

L'avvocato che formula l'invito alla negoziazione assistita provvede a certificare la firma apposta (comma 2) mentre sarà di competenza degli avvocati designati certificare la dichiarazione di mancato accordo (comma 3).

 


 

Articolo 5
(Esecutività dell'accordo raggiunto a seguito della convenzione
e trascrizione)

 

L’articolo 5 disciplina gli effetti del raggiungimento dell’accordo di negoziazione assistita.

 

Il comma 1 attribuisce all'accordo che definisce la lite valore di titolo esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.

L'accordo è sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che certificano l'autografia delle firme e la conformità dell'accordo alle norme imperative ed all'ordine pubblico (comma 2).

Occorre valutare quali siano gli effetti di tale certificazione. Infatti, qualora l'accordo risulti contrario a norme imperative o di ordine pubblico, esso sarà affetto da nullità secondo i principi generali (art. 1418 c.c.) e tale nullità potrà essere fatta valere nei modi ordinari.

 

Un comma 2-bis, introdotto dal Senato, prevede che l’accordo di negoziazione assistita – in quanto titolo esecutivo - debba essere necessariamente oggetto di trascrizione integrale nel precetto ex art. 480, secondo comma, del codice processuale civile.

 

Sarà invece necessario che il processo verbale dell’accordo sia autenticato da un pubblico ufficiale quando l'accordo riguardi la conclusione di contratti o atti soggetti a trascrizione (comma 3).

E’ stato soppresso dal Senato il riferimento all’art. 2643 c.c. in relazione agli atti da trascrivere; l’emendamento non pare tuttavia, avere effetti sostanziali essendo gli atti soggetti a trascrizione indicati proprio dall’art. 2643.

 

Viene, infine, sancita l’illiceità sotto il profilo deontologico della condotta dell’avvocato che impugni un accordo di cui ha contribuito alla redazione (comma 4).


 

Articolo 6
(Convenzione di negoziazione assistita da un avvocato per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio)

 

L’articolo 6 regola una particolare forma di convenzione di negoziazione assistita (comma 1) finalizzata specificamente alla soluzione consensuale stragiudiziale delle controversie in materia di separazione personale, di cessazione degli effetti civili e scioglimento del matrimonio ovvero di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

Una modifica apportata dal Senato precisa che la convenzione deve essere assistita da almeno un avvocato per parte (il comma 1 prevedeva la “negoziazione assistita da un avvocato”).

 

Il comma 2, integralmente sostituito nel corso dell’esame al Senato, prevede in particolare un obbligatorio passaggio giudiziale dell’accordo di negoziazione assistita.

Nel testo vigente del decreto-legge, la disposizione vieta il ricorso alla convenzione di negoziazione assistita in presenza di figli minori o di figli maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti.

Il nuovo comma 2, invece, prevede due ipotesi: il procedimento in mancanza di figli minori, maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti e quello in presenza degli stessi.

Nel procedimento in presenza dei figli, l’accordo a seguito di convenzione di negoziazione assistita è trasmesso entro 10 giorni al pubblico ministero presso il tribunale competente. Il p.m. lo autorizza quando ritiene che l’accordo risponda all’interesse dei figli. In caso contrario, l’accordo è trasmesso entro 5 gg. dal PM al presidente del tribunale che fissa, entro i successivi 30 gg., la comparizione delle parti e provvede “senza ritardo”.

Altra novità rispetto al testo iniziale consiste nel fatto che anche l’accordo concluso in assenza di figli minori o di figli maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti debba essere  trasmesso al PM che, se non ravvisa irregolarità, concede agli avvocati il nullaosta per la trasmissione dell’accordo stesso agli uffici di stato civile competenti (v. comma 3).

Sarebbe opportuno indicare, in entrambe le ipotesi descritte (presenza o assenza di figli minori, ecc.), la forma che assume l’autorizzazione o il nullaosta da parte del PM.

 

La conclusione dell'accordo a seguito della convenzione è pienamente sostitutiva e produce quindi gli effetti dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. A seguito di una ulteriore modifica introdotta dal Senato, viene precisato che l’accordo deve dare atto che gli avvocati:

§  anche in assenza di figli, hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di ricorso alla mediazione familiare (il tentativo di conciliazione è obbligatorio nell’ordinario procedimento giudiziale);

§  hanno informato le parti dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ognuno dei genitori.

Si rileva che, nella prima ipotesi, il riferimento espresso alla mediazione familiare non è previsto né nell’art. 708 c.p.c., sul procedimento di separazione, né nell’art. 4 della legge 898/1970, relativo al procedimento di divorzio. L’art. 337-octies del codice civile prevede che il giudice possa differire l’adozione dei provvedimenti sull’affidamento dei minori in caso di separazione, quando le parti acconsentano a rivolgersi ad esperti per tentare una mediazione.

 

E' fatto quindi obbligo all'avvocato di trasmettere entro dieci giorni copia autentica dell'accordo all'ufficiale di stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto (se religioso) (comma 3).

Il comma 4 prevede a carico degli avvocati inadempienti agli obblighi di trasmissione la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 10.000 euro, per la cui irrogazione è competente il comune ove devono essere eseguite le annotazioni negli atti di matrimonio previste dall'ordinamento dello stato civile.

L’entità della sanzione amministrativa secondo il decreto-legge in vigore è compresa tra i 5.000 e i 50.000 euro. La riduzione dei limiti pecuniari è frutto di una modifica del Senato.

 

Con il comma 5 si interviene infine su alcuni articoli - 49, 63 e 69 -  del regolamento di stato civile (DPR 396 del 2000) per coordinare la disciplina vigente con quanto previsto dalle disposizioni in commento.

Si osserva la disposizione modifica parzialmente una fonte secondaria.

La disposizione aggiunge gli accordi tra coniugi raggiunti con la convenzione di negoziazione assistita oppure autorizzati dal PM (ai sensi del nuovo comma 2) tra gli atti di cui deve esser data notizia nella documentazione tenuta dagli uffici di stato civile.

In particolare, il comma 5 – modificato dal Senato per coordinarne il contenuto con l’emendamento approvato al comma 2 - prevede che gli accordi raggiunti tra le parti o autorizzati dal PM:

-        siano annotati negli atti di nascita (art. 49);

-        siano iscritti o trascritti nell’archivio informatico dello stato civile (art. 63);

-        siano annotati negli atti di matrimonio (art. 69).

 

Si rammenta che la mancanza di un'udienza di comparizione dei coniugi nell'ipotesi di separazione consensuale tramite negoziazione assistita da un avvocato impone - e a ciò provvede il successivo comma 4 dell’articolo 12 del decreto-legge in conversione - la modifica dell'articolo 3 della legge sul divorzio: il termine ivi previsto per la proposizione della domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio decorre dalla data certificata nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita.

 

Il parere del CSM rileva come un maggior contenimento dell’ambito operativo della norma sarebbe forse opportuno, in particolare escludendone sempre l’applicazione in presenza di figli. Critiche sono rivolte alla previsione circa il ruolo del PM nella procedura, anche in relazione all’assenza di ogni verifica, da parte di un soggetto terzo e imparziale, della condizione di autosufficienza economica degli eventuali figli maggiorenni (che costituisce condizione di accesso alla procedura non giudiziale ed è suscettibile di strumentalizzazione da parte dei genitori in eventuale conflitto di interessi). Sono inoltre evidenziate asimmetrie e necessità di coordinamento della nuova disciplina sia con quella codicistica che con quella della legge 898/1970 sul divorzio.

 


 

Articolo 7
(Conciliazione avente per oggetto diritti del prestatore di lavoro)

 

L'articolo 7 - soppresso dal Senato - contiene una specifica disciplina della conciliazione che ha per oggetto diritti del prestatore del lavoro.

Viene, infatti, integrato dall’art. 7 il quarto comma dell’art. 2113 del codice civile che prevede la possibilità di derogare all’invalidità delle rinunzie e transazioni relative a diritti del prestatore di lavoro anche quando l'accordo è concluso a seguito della procedura di negoziazione assistita.

 

L’art. 2113 c.c. stabilisce che le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’art. 409 c.p.c. non sono valide.

L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima.

Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà.

Le disposizioni indicate non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile o conclusa a seguito di una procedura di negoziazione assistita da un avvocato.

 

Per effetto dell’art. 7, quindi, questo tipo di conciliazione è equiparato alla conciliazione giudiziale (articolo 185 c.p.c.), a quella conclusa innanzi alla commissione di conciliazione (articolo 410 del codice di procedura civile), a quella disciplinata dai contratti collettivi (articolo 412-ter del codice di procedura civile) e, infine, a quella che ha luogo innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale disciplinato dall'articolo 412-quater del codice di procedura civile.

L'equiparazione si giustifica - secondo la relazione di accompagnamento del d.d.l. di conversione presentato al Senato - perché gli avvocati, a norma dell'articolo 5, comma 2, hanno l'obbligo di verificare "la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico".

 

Il parere del CSM era fortemente critico con il contenuto dell’articolo 7 sia in riferimento “alle scelte sostanziali di politica del diritto” che alla “individuazione del corretto ambito di applicazione del modulo conciliativo della negoziazione assistita nel contenzioso giuslavoristico”.

 


 

Articolo 8
(Interruzione della prescrizione e della decadenza)

 

Dall'articolo 8 del decreto-legge sono regolati gli effetti sulla prescrizione e la decadenza dall’azione giudiziale determinati dall'invito a stipulare la convenzione di negoziazione assistita, equiparando il predetto invito alla domanda giudiziale.

In analogia alle previsioni dell’art. 2943 c.c. (che prevede l’interruzione della prescrizione dal momento della notificazione dell’atto con cui si inizia un giudizio) interrompe il corso della prescrizione l’invito alla stipula della convenzione di negoziazione assistita. Analoghi effetti conseguono dal momento della sottoscrizione della convenzione tra le parti.

Dalla stessa data di comunicazione dell'invito a stipulare la convenzione, per una sola volta, è impedita la decadenza dall'azione. Se l'invito non è accettato nel termine stabilito dall'articolo 4, comma 1 (30 gg dalla ricezione dell’invito) o è rifiutato, la domanda in giudizio, affinché non operi la decadenza prevista dalla legge, deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza; detto termine decorre dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla certificazione di mancato accordo certificata dagli avvocati.

 

 

 


 

Articolo 9
(Obblighi dei difensori e tutela della riservatezza)

 

L'articolo 9 individua gli obblighi dei difensori cui è affidata la procedura di negoziazione assistita.

In particolare, è vietato agli avvocati essere nominati arbitri ex art. 810 c.p.c. nelle controversie aventi il medesimo oggetto della convenzione di negoziazione (o connesse); gli stessi avvocati e le parti sono vincolati ad obblighi di lealtà e riservatezza sul contenuto delle informazioni ricevute (commi 1 e 2).

E’ precisata in particolare l’impossibilità di utilizzo in un eventuale, successivo giudizio delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel corso della negoziazione (in caso di fallimento di quest’ultima). Corollario di quest’ultima previsione è l’applicazione - sia agli avvocati che a tutti coloro che partecipano al procedimento - delle disposizioni sul diritto di non testimoniare in merito alle citate dichiarazioni ed informazioni (comma 3) nonché, ai sensi del comma 4, quelle sul segreto d'ufficio (art. 200 c.p.p.) e sulle garanzie di libertà del difensore di cui all’art. 103 del medesimo codice (limiti alle ispezioni, perquisizioni e sequestri negli uffici del difensore).

Il Senato ha aggiunto all’art. 9 un comma 4-bis che rende illecito disciplinare dell’avvocato l’incompatibilità con l’assunzione della qualità di arbitro (nelle controversie aventi il medesimo oggetto della negoziazione assistita) nonché la violazione dei citati obblighi di lealtà e riservatezza.

 


 

Articolo 10
(Antiriciclaggio)

 

Con l'articolo 10 è integrato l'articolo 12, comma 2, del D.Lgs. 231 del 2007 (cd decreto antiriciclaggio) nel senso di escludere in capo all'avvocato l'obbligo di segnalazione di operazioni sospette imposto ai professionisti dalla predetta legge, anche nell'ipotesi di consulenza sull'eventualità di intentare o evitare un procedimento, nella quale si sia innestata la procedura di negoziazione assistita come illustrata ai precedenti articoli.

 

Gli avvocati sono, infatti. tra i soggetti in capo ai quali l’art. 41 del D.Lgs 231 prevede specifici obblighi di segnalazione di operazioni finanziarie sospette.

Gli avvocati, come gli altri obbligati, inviano alla Unita di informazione finanziaria per l’Italia presso la Banca d’Italia (UIF) una segnalazione di operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.

L’art. 12, comma 2 del D.Lgs 231 del 2007, nella versione previgente il decreto in esame, stabiliva in particolare che quando, in nome o per conto dei propri clienti, compiono qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i propri clienti nella predisposizione o nella realizzazione di determinate operazioni finanziarie, specifiche categorie di professionisti (avvocati, notai, dottori commercialisti ed esperti contabili, consulenti del lavoro, ecc.) sono esclusi dall'obbligo di segnalazione di operazioni sospette per le informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso, nel corso dell'esame della posizione giuridica del loro cliente o dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualità di intentare o evitare un procedimento ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso.

 


 

Articolo 11
(Raccolta dei dati)

 

L'articolo 11 reca norme in materia di raccolta dei dati concernenti le procedure di negoziazione assistita. È previsto in particolare:

§  che i difensori siano tenuti a trasmettere copia degli accordi raggiunti mediante la procedura di negoziazione assistita al Consiglio dell'ordine circondariale del luogo ove l'accordo stesso è stato raggiunto ovvero al consiglio a cui è iscritto uno degli avvocati che hanno prestato assistenza nella convenzione, al fine di coprire il caso in cui l'accordo venga concluso fuori dal territorio nazionale;

§  che il Consiglio nazionale forense provveda, annualmente, al monitoraggio delle procedure di negoziazione assistita e trasmetta i dati significativi delle medesime procedure al Ministero della giustizia, per una compiuta valutazione dell'efficacia dell'istituto,

§  che il ministro della giustizia trasmetta alle Camere, ogni anno, una relazione dettagliata sullo stato di attuazione della nuova disciplina comprensiva di dettagliati dati statistici sulla tipologia di controversie interessate alla negoziazione assistita ed il numero per anno delle iscrizioni a ruolo (anch’esse distinte per tipologia). Tali obblighi di relazione sono frutto di un emendamento approvato dal Senato.

 

Il riferimento al numero di iscrizioni a ruolo pare doversi riferire ai casi di insuccesso delle negoziazioni

 

 

 

 


Capo III
Ulteriori disposizioni per la semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio

Articolo 12
(Separazione consensuale, richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi all'ufficiale dello stato civile)

 

Il Capo III è costituito dal solo articolo 12 che introduce una ulteriore disciplina volta alla semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio, che dovrebbe avere effetti complementari rispetto a quanto già previsto dall’articolo 6 sulla negoziazione assistita.

Oltre che davanti ad avvocati, viene infatti garantita dall’art. 12 la possibilità di concludere dinanzi al sindaco, quale ufficiale dello stato civile (il Senato ha così sostituito il riferimento alla comparizione davanti all’ufficiale dello stato civile) del comune di residenza di uno dei coniugi (ovvero di iscrizione o trascrizione dell'atto di matrimonio) un accordo di separazione o di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili o, infine, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

Il Senato ha previsto l’espresso riferimento all’assistenza facoltativa di un avvocato nell’accordo di separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.

L’indicata disciplina incontra le stesse condizioni ostative previste dall’articolo 6 per la negoziazione assistita (ora, per quest’ultima, superabili se l’accordo sia rispondente all’interesse del figlio, v. ante art. 6) cioè la presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti (comma 2). Il Senato ha precisato che, per la gravità dell’handicap ci si debba riferire alle situazioni indicate dall’art. 3, comma 3, della legge 104 del 1992 (si è, quindi, in presenza di handicap “grave” quando si renda “necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione”).

Occorre pertanto valutare quali siano le conseguenze applicative relative alla definizione di “handicap grave”, presente nell’articolo 12 e assente nell’art. 6, comma 2.

 

Riguardo alla procedura (comma 3), il sindaco dovrà sostanzialmente ricevere la dichiarazione personale delle due parti sulla loro volontà di concludere l’accordo sulla base delle condizioni concordate. Appena ricevute le dichiarazioni, l’atto contenente l’accordo è compilato e sottoscritto immediatamente dalle parti; anche qui, una modifica del Senato ha previsto la possibilità per queste ultime di farsi assistere da un avvocato.

L'accordo concluso davanti al sindaco - che non può contenere patti di trasferimento patrimoniale (possibili invece nella negoziazione assistita in relazione alla specifica competenza professionale dell’avvocato) - tiene luogo dei corrispondenti provvedimenti giudiziali (comma 3); soprattutto, gli effetti dell'accordo avranno luogo (anche ai fini dei 3 anni necessario per il divorzio) dalla data dell'atto contenente l'accordo sottoscritto dai coniugi e non più dalla comparizione innanzi al tribunale.

Si valuti se la generica locuzione “patti di trasferimento patrimoniale” rischi di limitare eccessivamente l’ambito applicativo della norma. Si pensi a casi meno complessi, frequenti nella pratica e non bisognosi di specifica assistenza legale, in cui l’accordo concluso potrebbe avere ad oggetto somme di denaro o di beni mobili (es. auto, scooter o animali da compagnia). Ciò senza considerare che nulla vieta che le parti, se oggetto del trasferimento patrimoniale dovessero essere beni immobili, possano, come previsto, farsi assistere da un avvocato per la conclusione dell’accordo.

 

Una modifica del Senato prevede un ulteriore adempimento procedurale per la conferma dell’accordo che riguardi condizioni concordate di separazione personale o di cessazione degli effetti civili del matrimonio o di scioglimento del matrimonio.

Il sindaco, infatti - nei casi di accordo– dovrà invitare i coniugi a comparire davanti a sé entro 30 gg. dalla ricezione delle dichiarazioni per la conferma dell’accordo, anche ai fini degli adempimenti relativi all’aggiornamento dei registri di stato civile (di cui al successivo comma 5). La mancata comparizione è motivo di mancata conferma dell’accordo.

La pausa di riflessione di 30 gg è, invece, esclusa per l’accordo riguardante la modifica delle condizioni di separazione e divorzio.

 

I commi 4 e 5 dell’articolo 12 contengono disposizioni di coordinamento con le novità introdotte mentre l’ultimo comma prevede il regime fiscale degli accordi sottoscritti.

Il comma 4 adegua il contenuto dell’art. 3, comma 1, della legge 898/1970 sul divorzio (casi in cui uno dei coniugi può chiedere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio) integrandolo con le nuove possibilità offerte dagli articoli 6 e 12 del decreto-legge.

 

Con il comma 5 si apportano modifiche al regime delle annotazioni negli atti di nascita e di matrimonio (artt. 49, 63 e 69 del DPR 396/2000, TU stato civile) analoghe a quelle previste dall’art. 6 sulla negoziazione assistita.

Come già rilevato all’articolo 6, la disposizione in esame opera modifiche parziali di norme secondarie.

 

Inoltre il comma 6 integra la tabella D allegata alla legge n. 604 del 1962 (Modificazioni allo stato giuridico e all'ordinamento della carriera dei segretari comunali e provinciali) con un nuovo punto 11-bis che stabilisce che il diritto fisso spettante ai Comuni all'atto del perfezionamento dei nuovi accordi (di separazione, di divorzio, di modifica delle condizioni di separazione o divorzio) non può superare l'imposta fissa di bollo prevista per le pubblicazioni di matrimonio.

Il comma 7 prevede che la nuova disciplina descritta trovi applicazione decorsi 30 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.

 

Il parere del CSM ripropone rilievi analoghi a quelli sollevati con riferimento alla negoziazione assistita in materia di rapporti coniugali (cfr. art. 6) ed in ordine al ruolo ed alla funzione del pubblico ministero.

 

 

 

 


Capo IV
Altre misure per la funzionalità del processo civile di cognizione

Articolo 13
(Modifiche al regime della compensazione delle spese)

 

Il capo IV contiene misure per la funzionalità del processo civile di cognizione.

L’articolo 13 delimita i casi in cui il giudice può compensare le spese tra le parti.

La relazione illustrativa dell’originario disegno di legge di conversione, presentato al Senato, rilevava che, nonostante le modifiche restrittive introdotte negli ultimi anni, nella pratica applicativa si continua a fare larghissimo uso del potere discrezionale di compensazione delle spese processuali, con conseguente incentivo alla lite, posto che la soccombenza perde un suo naturale e rilevante costo.

Al fine di disincentivare l'abuso del processo, con l'articolo 13, comma 1, viene modificato l’art. 92 c.p.c., con la previsione che la compensazione, parziale o per intero, possa essere disposta dal giudice solo nei casi di soccombenza reciproca ovvero di novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza.

L’art. 92 c.p.c., nel testo previgente, stabiliva invece che la compensazione parziale o integrale possa essere decisa dal giudice se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione.

Il Senato ha modificato l’articolo 13, precisando ulteriormente i presupposti in presenza dei quali il giudice può compensare le spese tra le parti. In primo luogo, la novità della questione trattata deve essere “assoluta”; in secondo luogo, il mutamento della giurisprudenza è riferito alle “questioni dirimenti”.

Inoltre, il Senato ha posposto al termine del periodo il richiamo al carattere parziale o integrale della compensazione delle spese tra le parti. Il testo originario del decreto-legge prevede invece che il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti.

Si valuti se il venir meno – a seguito della modificazione dell’art. 92 c.p.c. da parte del decreto-legge - del carattere eccezionale della compensazione delle spese e degli oneri di motivazione in capo al giudice che decide la compensazione medesima sia coerente con le finalità disincentivanti perseguite dalla nuova disposizione, sopra indicate.

 

Il comma 2 disciplina la transizione al nuovo regime della compensazione delle spese e prevede che la disciplina si applichi ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione.

La relazione illustrativa dell’originario disegno di legge richiamava infatti il particolare affidamento che la parte che introduce il giudizio fa nel regime delle spese.

 

 


 

Articolo 14
(Passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione)

 

L'articolo 14 consente il passaggio d’ufficio dal rito ordinario a quello sommario nel processo civile.

In particolare, il comma 1 introduce un nuovo articolo 183-bis nel codice di procedura civile, relativo al passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione previsto dall’articolo 702-ter. Esso è volto a consentire, per le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione monocratica e che risultino di minore complessità, il passaggio d'ufficio, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta. E’ così assicurato il passaggio tra i due modelli di trattazione; secondo la vigente disciplina processuale, invece, tale passaggio è consentito, per le cause ad elevato tasso di complessità, esclusivamente nel senso inverso a quello qui considerato.

Pertanto la nuova disposizione prevede che il giudice, nell’udienza di trattazione, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria, possa disporre con ordinanza non impugnabile che si proceda con il rito sommario e inviti le parti a indicare, a pena di decadenza nella stessa udienza i mezzi di prova – ivi compresi i documenti – di cui intendono avvalersi e la relativa prova contraria.

Se richiesto, il giudice può fissare una nuova udienza e termine perentorio non superiore a quindici giorni per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali e termine perentorio di ulteriori dieci giorni per le sole indicazioni di prova contraria.

Il CSM, nel proprio parere, rileva che il generico richiamo all’intero art. 702-ter cod. proc. civ., “appare inadeguato, poiché in caso di passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione il rinvio ai primi quattro commi dell’art. 702-ter cod. proc. civ. non ha ragion d’essere. E’ evidente, infatti, che il provvedimento di conversione del rito necessariamente presuppone che il giudice si sia già ritenuto competente (altrimenti non avrebbe provveduto a norma dell’art. 183-bis cod. proc. civ. ma a norma dell’art. 38 cod. proc. civ.), abbia già valutato che la domanda rientra tra quelle per le quali il Tribunale giudica in composizione monocratica ed abbia, infine, già ritenuto che tanto la domanda principale, quanto la domanda riconvenzionale (da proporsi a pena di decadenza nella comparsa di risposta ex art. 167, comma 2, cod. proc. civ.) richiedano un’istruzione sommaria. Un adeguamento della formulazione normativa, quindi, sarebbe utile in sede di conversione”.

 

Previsto dalla legge 69/2009 (articolo 51), il procedimento sommario di cognizione è stato introdotto nel codice con un nuovo Capo III-bis (composto dagli artt. 702-bis, 702-ter e 702-quater), tra i procedimenti sommari del Titolo I del Libro quarto.

L’introduzione del nuovo rito, con evidenti finalità di concentrazione e snellezza, è collegata alla delega al Governo per la semplificazione e riduzione dei procedimenti civili (articolo 54 della legge), attuata dal Decreto legislativo 150/2011 - Semplificazione dei riti civili. In tale ambito, il procedimento sommario di cognizione è il modello di rito per i procedimenti, anche camerali, in cui prevalgano “caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa”.

Il procedimento sommario di cognizione è destinato a trovare applicazione per le cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, permettendo di arrivare ad un rapido soddisfacimento della domanda grazie all’emanazione di un provvedimento immediatamente esecutivo su cui, in mancanza di appello, si forma il giudicato.

Il rito sommario di cognizione può essere utilizzato per tutte le cause di competenza del tribunale in composizione monocratica (ossia nella maggioranza dei casi), senza alcuna limitazione di valore o di materia.

Si ricorda che, ai sensi dell'art. 50-bis c.p.c., il tribunale giudica sempre in composizione monocratica, salvo specifiche controversie ove giudica in composizione collegiale (tre membri).

Il principale snodo del rito sommario – che è introdotto dal ricorso di parte - si ha in fase di prima comparizione (art. 702-ter c.p.c.). Nell’udienza di comparizione delle parti, il giudice valuta preliminarmente la propria competenza. Il giudice deve poi decidere se la causa consente una istruzione non sommaria, deliberando eventualmente con ordinanza non impugnabile il passaggio al rito ordinario e la fissazione dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c.

Se il giudice ritiene che la controversia possa essere trattata con il rito sommario, dopo aver sentito le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, alla prima udienza, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande. Tale istruttoria (art. 702-ter, quinto comma) è sostanzialmente identica a quella prevista dall'art. 669-sexies, primo comma, c.p.c. per i procedimenti cautelari, con l'unica attenuazione costituita dal fatto che, mentre in fase cautelare il giudice procede esclusivamente agli atti di istruzione indispensabili, in fase sommaria di cognizione può procedere agli atti di istruzione rilevanti. L’ordinanza è provvisoriamente esecutiva e costituisce immediatamente titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione; con essa, il giudice si pronuncia, altresì, sulle spese di lite.

Per il procedimento sommario è prevista poi una specifica disciplina sull’appello.

 

Nella relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2013, il Primo Presidente della Corte di Cassazione ha sottolineato che “varie relazioni hanno evidenziato lo scarso utilizzo da parte del Foro dello strumento processuale del procedimento sommario di cognizione previsto dall’art. 702-bis e seguenti del codice di procedura civile; al riguardo il Presidente della Corte d’appello di Catania ritiene opportuna una modifica legislativa che consenta al giudice di passare di ufficio dal rito ordinario a quello sommario. In controtendenza, tuttavia, si presenta l’esperienza della Corte d’appello di Lecce. La Corte d’appello di Milano ha messo in evidenza che la cosiddetta semplificazione dei riti del 2011 ha provocato non pochi problemi interpretativi in ordine al rito applicabile”.

 

Il comma 2 stabilisce che le nuove disposizioni si applichino ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.

 


 

Articolo 15
(Dichiarazioni rese al difensore)

 

L'articolo 15 reca disposizioni in materia di dichiarazioni al difensore. Il Senato ha disposto la soppressione di tale articolo.

L’articolo 15 del decreto-legge è diretto ad accelerare e razionalizzare le procedure di assunzione delle prove. Esso, secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa dell’originario disegno di legge di conversione, introduce, nel capo II del titolo I del libro sul processo di cognizione del codice di procedura civile, una specifica disposizione mediante la quale si realizza la tipizzazione delle dichiarazioni scritte rese al difensore, quali fonti di prova che la parte può produrre in giudizio sui fatti rilevanti che ha l'onere di provare. Queste dichiarazioni, che possono essere rilasciate al difensore anche prima del giudizio, sono destinate all'utilizzazione nel processo, fermo il potere del giudice di esercitare sempre il suo prudente apprezzamento e di disporre l'escussione del dichiarante come teste. Il nuovo articolo 257-ter del codice di procedura civile - introdotto dall'articolo 15 in commento - rimette al difensore che raccoglie la dichiarazione il compito di identificare il teste, ai sensi dell'articolo 252 del codice di procedura civile, e di attestare l'autenticità della dichiarazione resa.

Il nuovo articolo 257-ter, secondo comma, del codice di procedura civile prevede poi che il difensore avverta il dichiarante che le sue dichiarazioni possono essere utilizzate in giudizio, delle conseguenze di false dichiarazioni e che il giudice può disporre anche d'ufficio che egli sia chiamato a deporre come testimone.

 


 

Articolo 16
(Modifiche alla legge 7 ottobre 1969, n. 742 e riduzione delle ferie dei magistrati e degli avvocati e procuratori dello Stato)

 

L'articolo 16 riduce il periodo di sospensione feriale dei termini processuali e la durata delle ferie dei magistrati e degli avvocati dello Stato.

In particolare, al comma 1, il termine di sospensione di diritto dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie e a quelle amministrative, sono portati dagli originari 45 giorni (dal 1° agosto al 15 settembre) a 25 giorni (e cioè dal 6 agosto al 31 agosto).

Il Senato ha modificato la disposizione, stabilendo che il termine iniziale di sospensione feriale dei termini processuali decorra dal 1° agosto (e non più dal 6 agosto).

Il medesimo articolo, al comma 2, modifica la legge 2 aprile 1979, n. 97 (Disposizioni riguardanti il personale di magistratura e gli avvocati dello Stato), introducendovi l’articolo 8-bis. Quest’ultimo fissa in trenta giorni il periodo annuale di ferie per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché per gli avvocati e procuratori dello Stato. Rimangono ferme le disposizioni che prevedono, per tutti i dipendenti civili e militari delle pubbliche amministrazioni, il recupero delle festività soppresse.

 

Nell’analisi tecnico-normativa dell’originario disegno di legge di conversione si afferma che “questo intervento consentirà un notevole incremento dell’efficienza degli uffici giudiziari, che potranno tener udienze, per gli affari non urgenti, per 20 giorni in più all’anno”.

 

In realtà, le ferie dei magistrati sono regolate dall’art. 90 dell’ordinamento giudiziario (OG), a sua volta novellato dall’art. 8 della legge 97/1979.

In base all’articolo 90, i magistrati che esercitano funzioni giudiziarie hanno un periodo annuale di ferie di quarantacinque giorni (primo comma). Per i magistrati della Corte suprema di cassazione, delle Corti di appello e dei Tribunali ordinari, nonché per i magistrati addetti ai Commissariati degli usi civici, ai Tribunali delle acque pubbliche, il periodo è fissato al principio di ogni anno con decreto ministeriale (secondo comma).

 

In virtù del richiamo specifico, contenuto nell’art. 90 OG, ai magistrati “che esercitano funzioni giudiziarie”, i magistrati fuori ruolo o che svolgono il tirocinio iniziale fruiscono del più ridotto periodo di 30 giorni di ferie annuali, secondo la normativa sul pubblico impiego.

Le ferie dei magistrati sono ulteriormente trattate dalla circolare del CSM P-10588 del 22 aprile 2011. In particolare, la circolare stabilisce come regola generale che il congedo ordinario debba essere normalmente goduto dal magistrato continuativamente, in coincidenza con il periodo feriale fissato al principio di ogni anno ai sensi dell’art. 90 OG. Qualora per ragioni di servizio non sia possibile osservare la regola generale, è necessario disporre una diversa distribuzione del periodo di congedo durante l’anno, con possibilità di recupero delle ferie non godute nel primo semestre dell’anno successivo.

 

Gli avvocati e procuratori dello Stato – essi pure destinatari della modifica in commento - hanno un periodo di ferie di 45 giorni all’anno in base al regolamento per la esecuzione del T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato (R.D. 1612/1933).

Si osserva che la disposizione contenuta nell’art. 90 dell’ordinamento giudiziario non è espressamente modificata dal decreto-legge e continua a prevedere 45 giorni di ferie per anno, con specifico riguardo ai magistrati che esercitano funzioni giudiziarie.

 

Ai contenuti dell’articolo in commento sulle ferie dei magistrati e ai diversi profili implicati sono riferite le analitiche annotazioni (spesso critiche, soprattutto con riguardo agli effetti sulla funzionalità del servizio) del paragrafo 5 del parere del CSM.

 

Il CSM, oltre a rilevare la peculiarità sul piano tecnico della omessa modifica dell’art. 90 OG e le conseguenti problematiche sul piano interpretativo, si sofferma: sui tempi di lavoro, la produttività dei magistrati e l’impegno loro complessivamente richiesto; sulla specificità delle ferie dei magistrati, di cui un segmento sarebbe destinato all’adempimento degli impegni lavorativi pendenti; sui possibili effetti controproducenti per la funzionalità del servizio e sulla non coincidenza tra periodo feriale e lavoro del singolo magistrato; sulla necessità di misure di razionalizzazione del sistema. Sotto quest’ultimo aspetto è prospettata tra l’altro la possibilità di estendere la sospensione dei termini di deposito anche al tempo di fruizione del congedo ordinario e delle festività soppresse da parte del singolo magistrato, quale che sia il periodo dell’anno in cui ciò avvenga; in alternativa è prospettata l’eventualità del ripristino del periodo, aggiuntivo rispetto a quello feriale, da dedicare alle sole pendenze in corso.

 

Il comma 3 dell'articolo reca una disposizione transitoria in forza della quale la riduzione del termine di sospensione feriale dei termini processuali e delle ferie dei magistrati e degli avvocati e procuratori dello Stato produrrà effetto a decorrere dall'anno 2015. Ne consegue, quanto alle ferie dei magistrati e degli avvocati dello Stato, che il montante ferie maturato nell'annualità 2014 va computato secondo la disciplina previgente.

È stato infine previsto (comma 4) che gli organi di governo delle magistrature e dell'avvocatura dello Stato adottino le misure organizzative conseguenti all'applicazione delle nuove disposizioni, in particolare – secondo quanto indicato nella relazione illustrativa dell’originario disegno di legge di conversione - quelle volte ad assicurare l'effettività del godimento del periodo di ferie come ridisegnato in questa sede.

 

La disposizione è riconducibile all’obbligo in capo al datore di lavoro di consentire il godimento delle ferie da parte di ciascun dipendente in maniera piena ed effettiva, in modo che durante tale periodo, diversamente da quanto finora si verificherebbe, non penda in capo al magistrato alcun tipo di obbligo lavorativo.

 

 

Focus di diritto comparato: Francia, Germania e Spagna (a cura del Servizio Biblioteca)

Francia

I magistrati francesi beneficiano ogni anno di 45 giorni di riposo (repos), di cui 25 giorni di ferie annuali regolamentari e 20 giorni di riduzione dei tempi di lavoro.

Ad essi si aggiungono 2 giorni di frazionamento delle ferie annuali .

(Art. 2 dell’Arrêté du 27 juin 2006 portant application du décret n. 2000-815 du 25 août 2000 relatif à l’aménagement et à la réduction du temps de travail dans la fonction publique de l’Etat et dans la magistrature à certains magistrats de l’ordre judiciaire)

Si veda anche il documento “Temps de travail et congés” dell’Union syndicale des magistrats.

 

Germania

Sull’ordinamento giudiziario tedesco si riflette la forma di Stato federale: i magistrati dipendono normalmente dai Länder e solo i giudici delle Corti superiori appartengono alla Federazione (Bundesstaat). In base all’art. 92 della Legge fondamentale (Grundgesetz) il potere giurisdizionale è affidato ai giudici ed è esercitato mediante la Corte costituzionale federale, i tribunali federali previsti in Costituzione e i tribunali dei Länder.

Lo stato giuridico dei giudici federali (Bundesrichter) è disciplinato da una legge federale speciale (Deutsches Richtergesetz), cui rinvia l’art. 98, comma 1 L.f., mentre lo stato giuridico dei giudici nei Länder è regolamentato da apposite leggi regionali (Landesrichtergesetze), salvo quanto disposto dall’art. 74, comma 1, n. 27, che attribuisce alla competenza legislativa concorrente la materia relativa ai “diritti e doveri degli impiegati dei Länder, dei comuni e degli enti di diritto pubblico, nonché dei giudici dei Länder ad eccezione delle carriere, delle retribuzioni e della previdenza”.

Analogamente ai funzionari e ai dipendenti pubblici (Beamte), anche i magistrati hanno diritto ad una adeguata retribuzione, alla pensione, all’indennità di malattia e alle ferie. Così come prescritto dal § 89 della Legge federale sul pubblico impiego (Bundesbeamtengesetz), la concessione e la durata delle ferie annuali sono oggetto di un apposito regolamento. Pertanto, come regola generale, ai sensi del § 5 del Regolamento sulle ferie dei dipendenti pubblici e dei magistrati (Verordnung über den Erholungsurlaub der Beamtinnen, Beamten und Richterinnen und Richter des Bundes), considerando una settimana lavorativa di cinque giorni, anche ai giudici spettano ogni anno 29 giorni di ferie fino al compimento di 55 anni di età e da allora in poi, fino alla pensione, 30 giorni all’anno. Analoghe disposizioni, nella maggior parte dei casi anche identiche per contenuto, sono previste dai regolamenti dei Länder.

 

Spagna

Nell’ordinamento spagnolo le ferie dei magistrati sono disciplinate dalla Legge sul potere giudiziario del 1985 (Ley Orgánica 6/1985, de 1 de julio, del Poder judicial).

L’art. 371 della legge, come modificato dalla Ley Orgánica 8/2012, del 27 dicembre 2012, che introduce misure di efficienza di bilancio nell’amministrazione della giustizia, prevede che i giudici e i magistrati abbiano diritto ogni anno a 22 giorni di ferie effettivi (al netto dei sabati) o al numero di giorni in proporzione al periodo di lavoro prestato, se quest’ultimo è stato inferiore ad un anno. I Presidenti di sezione e i magistrati del Tribunal Supremo (corrispondente alla nostra Corte di Cassazione) consumeranno i giorni di ferie durante il mese di agosto. Prima della modifica intervenuta nel 2012, i giudici e i magistrati avevano diritto a un mese di ferie l’anno.

L’art. 372 stabilisce che la richiesta di ferie relativa a determinati periodi dell’anno potrà essere respinta qualora, in ragione del numero di cause pendenti presso un tribunale o di concomitanti richieste di ferie, il regolare funzionamento dell’amministrazione della giustizia possa risultarne pregiudicato.

 

 


Capo V
Altre disposizioni per la tutela del credito nonché per la semplificazione e l'accelerazione del processo di esecuzione forzata e delle procedure concorsuali

Il capo V contiene misure per la tutela del credito, nonché la semplificazione e l'accelerazione del processo di esecuzione forzata e delle procedure concorsuali.

Articolo 17
(Misure per il contrasto del ritardo nei pagamenti)

L'articolo 17 prevede un aumento (dall’1% all’8,15%) del tasso di interesse moratorio in pendenza di un contenzioso civile o di un procedimento arbitrale.

 

La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione all’AS 1612 motiva questo intervento con l’esigenza di «evitare che i tempi del processo civile diventino una forma di finanziamento al ribasso (in ragione dell'applicazione del tasso legale d'interesse) e dunque che il processo stesso venga a tal fine strumentalizzato». In sostanza, si sostiene che per il debitore anche la lunghezza del processo possa risultare vantaggiosa se il tasso di interesse è quello legale.

 

A tal fine, il comma 1 modifica l'articolo 1284 del codice civile, che fissa attualmente il tasso di interesse legale all’1%[1]. Con l’inserimento di due nuovi commi si prevede che:

·      da quando ha inizio il procedimento civile, e se le parti non hanno pattuito diversamente, il tasso da applicare non sia più quello legale, ma il più alto tasso previsto per i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. In base al decreto-legislativo n. 231 del 2002[2], infatti, nelle transazioni commerciali gli interessi moratori sono determinati nella misura degli interessi legali di mora (art. 5), che vengono definiti come «interessi semplici di mora su base giornaliera ad un tasso che è pari al tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali» (art. 2). Il tasso di riferimento – pari al tasso di interesse applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento – è comunicato annualmente dal Ministero dell’economia e pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Per il secondo semestre 2014 il tasso di riferimento è pari allo 0,15% e dunque il tasso di interesse moratorio per le transazioni commerciali è pari all’8,15%;

·      tale tasso di interesse si applica anche in caso di procedimento arbitrale.

 

Il Senato ha modificato il nuovo quarto comma dell’art. 1284 c.c., sostituendo il momento di inizio del procedimento di cognizione, quale termine per il decorso del più oneroso tasso di interesse moratorio, con il momento di proposizione della domanda giudiziale.

 

Il comma 2 dell’articolo 17 del decreto-legge – non modificato dal Senato - detta una disciplina transitoria: il nuovo tasso di interesse moratorio sarà applicato nelle controversie civili instaurate a partire dal 30° giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione.

 

Si ricorda che in base al decreto legislativo n. 192 del 2012[3], che ha modificato la disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, tali disposizioni si applicano anche quando debitore sia una pubblica amministrazione.

In merito ai costi di questa disposizione per le pubbliche amministrazioni, lo stesso CSM nel suo parere evidenzia che «Si riservano forti dubbi sulla reale utilità della norma a mutare la condotta delle Pubbliche Amministrazioni, troppo spesso convenute in ragione delle loro difficoltà finanziarie, le quali, verosimilmente, si accresceranno per effetto del maggiorato tasso di interesse».

Peraltro non è prevista una espressa copertura finanziaria riferita all’art. 17.

 


 

Articolo 18
(Iscrizione a ruolo del processo esecutivo per espropriazione)

 

L'articolo 18 – con disposizioni che diverranno efficaci trascorsi 30 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione - modifica il codice di procedura civile per introdurre, a carico del creditore, l'obbligo di depositare, nei processi esecutivi per espropriazione forzata, la nota di iscrizione a ruolo. Solo a seguito di tale adempimento la cancelleria del tribunale procederà alla formazione del fascicolo dell’esecuzione. A partire dal prossimo 31 marzo 2015, il deposito della nota di iscrizione a ruolo dovrà avvenire esclusivamente con modalità telematiche.

 

Obbligo per il creditore di depositare la nota di iscrizione a ruolo, presupposto per la formazione del fascicolo dell’esecuzione (comma 1)

Il comma 1, modifica gli articoli 518, 543 e 557 del codice di procedura civile che, nell’ambito rispettivamente della disciplina dell’espropriazione mobiliare presso il debitore, dell’espropriazione presso terzi e dell’espropriazione immobiliare, disciplinano gli adempimenti che preludono alla formazione del fascicolo dell’esecuzione.

Tutte le disposizioni richiamate, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, prevedevano: 1) che, compiuto il pignoramento, l’ufficiale giudiziario dovesse depositarne gli atti in cancelleria; 2) che, a seguito di tale deposito, la cancelleria procedesse alla formazione del fascicolo.

Il decreto-legge, in tutte e tre le procedure, prevede invece: 1) che l’ufficiale giudiziario debba consegnare gli atti di pignoramento al creditore; 2) che il creditore debba depositare tutti gli atti in cancelleria entro un termine perentorio, pena la perdita d’efficacia del pignoramento; 3) che solo a seguito dell’iniziativa del creditore, la cancelleria debba procedere alla formazione del fascicolo.

 

Le ragioni della modifica introdotta dal decreto-legge sono così spiegate nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione AS 1612: «La formazione dei fascicoli dei processi esecutivi, sia mobiliari che immobiliari, costituisce da sempre il primo, rilevante «collo di bottiglia» nell'attività dei tribunali. Le cancellerie a ciò deputate devono infatti far fronte ad un numero rilevantissimo di esecuzioni provvedendo autonomamente all'iscrizione a ruolo della procedura. È sufficiente considerare che a livello nazionale il numero complessivo dei procedimenti per espropriazione forzata sopravvenuti è stato pari a 491.165 (nel 2009), 510.915 (nel 2010) e 527.304 (nel 2011), e quindi notevolmente superiore a quello delle cause di contenzioso ordinario (pari, rispettivamente, a 488.647, 446.283 e 389.390). Il personale di cancelleria adibito alle esecuzioni individuali è, però, minore di quello destinato alle sezioni civili. […]

Avviene di frequente, peraltro, che, per i motivi più disparati (pagamento satisfattivo o accordo per la rateizzazione, intervenuto successivamente al pignoramento), il creditore decida di non dare corso all'esecuzione, non depositando l'istanza di vendita, con conseguente estinzione del processo esecutivo. Ciò comporta che alla iniziale iscrizione nel registro del procedimento non segue alcuna ulteriore attività e, conseguentemente, neanche alcuna annotazione.

Per accelerare l'iscrizione dei processi per espropriazione forzata e consentire il recupero di importanti risorse di personale di cancelleria è indispensabile avvalersi sia delle potenzialità dello strumento informatico, sia della collaborazione del creditore procedente».

 

Di seguito si riportano le statistiche – aggiornate al 2012 – delle esecuzioni mobiliari e immobiliari, utili a comprendere la portata applicativa delle nuove disposizioni.

 

Esecuzione forzata_serie storica

Fonte: Ministero della Giustizia – Direzione generale di statistica

 

 

Analiticamente, la lettera a) interviene sull’art. 518 c.p.c., che nell’ambito dell’espropriazione mobiliare presso il debitore, disciplina la formazione, il contenuto e il deposito del verbale di pignoramento. In particolare, il decreto-legge sostituisce il sesto comma dell’articolo, sul quale era recentemente intervenuta la legge di stabilità 2012, relativo al deposito del verbale di pignoramento in cancelleria.

A seguito della legge n. 183 del 2011, infatti, il sesto comma dell’art. 518 stabilisce che l’ufficiale giudiziario deve depositare il verbale, il titolo esecutivo e il precetto in cancelleria entro 24 ore dal compimento delle operazioni; spetta quindi al cancelliere, al momento del deposito, formare il fascicolo dell’esecuzione. Il creditore e il debitore possono richiedere all'ufficiale giudiziario copia del verbale, che viene loro trasmessa mediante posta certificata, ovvero quando non risulta possibile, mediante telefax o posta ordinaria.

Il decreto-legge, modificando l’art. 518 c.p.c., prevede ora che l’ufficiale non debba più depositare il verbale di pignoramento in cancelleria ma debba invece consegnarlo senza ritardo al creditore, unitamente al titolo esecutivo ed al precetto. Sarà il creditore stesso a dover depositare nella cancelleria del tribunale la nota di iscrizione a ruolo (v. infra, articolo 18, comma 2), con copie conformi di tutti gli atti, entro 15 giorni dalla consegna del verbale di pignoramento (il termine originario era di 10 giorni, portati a 15 dal Senato), pena la perdita d’efficacia del pignoramento stesso. Il fascicolo dell’esecuzione sarà sempre formato dal cancelliere al momento del deposito. L’ufficiale giudiziario dovrà conservare copia del verbale di pignoramento, a disposizione del debitore, fino alla scadenza del pignoramento.

 

Il Senato ha dunque modificato la disposizione:

-        fissando in 15 giorni il termine a disposizione del creditore per effettuare il deposito;

-        specificando che la conformità all’originale delle copie del titolo esecutivo e del precetto è, ai soli fini del presente articolo, ovvero del deposito della nota di iscrizione a ruolo, attestata dall'avvocato del creditore. Tale specificazione ha un senso solo nelle more dell’obbligatorio deposito telematico della nota di iscrizione a ruolo, e dunque fino al 31 marzo 2015. Come si vedrà meglio in sede di commento del comma 4, infatti, nel deposito telematico è già previsto che l’avvocato attesti la conformità delle copie agli originali.

 

La lettera b) interviene sull’art. 543 c.p.c. che, nell’ambito dell’espropriazione presso terzi, disciplina la forma del pignoramento. Si ricorda che sulla medesima disposizione interviene anche l’art. 19 del decreto-legge (v. infra).

Prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 132/2014, l’ufficiale giudiziario che aveva proceduto alla notificazione dell'atto di pignoramento era tenuto a depositare immediatamente l'originale nella cancelleria del tribunale, per la formazione del fascicolo dell’esecuzione, alla quale provvede la cancelleria inserendo nel fascicolo stesso anche il titolo esecutivo e il precetto che il creditore pignorante deve depositare in cancelleria al momento della costituzione.

Il decreto-legge sostituisce il quarto comma, relativo al deposito della notifica del pignoramento presso la cancelleria del tribunale, prevedendo che, una volta eseguita l'ultima notificazione, l'ufficiale giudiziario non debba più depositare la notificazione del pignoramento in cancelleria, bensì debba consegnare al creditore l'originale dell'atto di citazione. Spetta dunque al creditore depositare nella cancelleria del tribunale competente per l'esecuzione:

-        la nota di iscrizione a ruolo (v. infra, il commento al comma 2 dell’art. 18);

-        le copie conformi dell'atto di citazione, del titolo esecutivo e del precetto. Il Senato ha specificato, anche in questo caso, che la conformità di tali copie è attestata dall’avvocato del creditore.

Il creditore dovrà provvedere entro 30 giorni dalla consegna dell’atto di citazione da parte dell’ufficiale giudiziario, pena la perdita d’efficacia del pignoramento.

Anche in questo caso, dunque, la cancelleria eviterà di iscrivere a ruolo automaticamente processi esecutivi che le parti non coltivano, o poiché la dichiarazione resa dal terzo è negativa o poiché il creditore-debitore hanno trovato un accordo.

 

La lettera c) sostituisce l’art. 557 c.p.c., che, nell’ambito dell’espropriazione immobiliare, disciplina il deposito dell’atto di pignoramento.

Prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 132/2014, la disposizione demandava all’ufficiale giudiziario che aveva eseguito il pignoramento il compito di depositare immediatamente nella cancelleria del tribunale competente l'atto di pignoramento e, appena possibile, la nota di trascrizione restituitagli dal conservatore dei registri immobiliari. Il creditore pignorante doveva a sua volta depositare il titolo esecutivo e il precetto entro 10 giorni dal pignoramento nonché, se aveva personalmente consegnato l’atto al conservatore dei registri immobiliari, la nota di trascrizione appena restituitagli. Il cancelliere al momento del deposito dell'atto di pignoramento formava il fascicolo dell'esecuzione.

 

Il decreto-legge riscrive l’art. 557 prevedendo che:

·      l’ufficiale giudiziario deve consegnare senza ritardo al creditore l’atto di pignoramento e la nota di trascrizione del conservatore dei registri immobiliari;

·      a questo punto il creditore deve entro 15 giorni (nel testo del decreto-legge sono 10) – pena la nullità del pignoramento – depositare in cancelleria la nota di iscrizione a ruolo, copie conformi del titolo esecutivo, del precetto, dell'atto di pignoramento e della nota di trascrizione;

·      ciò consentirà al cancelliere di formare il fascicolo dell’esecuzione.

Il Senato ha modificato la disposizione fissando in 15 giorni il termine a disposizione del creditore per effettuare il deposito e specificando, anche in questo caso, che la conformità degli atti depositati agli originali è attestata dall’avvocato del creditore.

 

Nota d’iscrizione a ruolo nel processo esecutivo (commi 2 e 2-bis)

Il comma 2 dell’articolo 18 modifica le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile per definire il contenuto della nota di iscrizione a ruolo che, in base al comma 1, il creditore procedente deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per ottenere la formazione del fascicolo dell’esecuzione.

 

Si ricorda, infatti, che prima del decreto-legge 132/2014 la nota d'iscrizione della causa nel ruolo era prevista nel solo processo di cognizione, dall’art. 168 c.p.c.. Il contenuto di tale nota è indicato dall’art. 71 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile: nel processo di cognizione si tratta di un atto che deve contenere l'indicazione delle parti, nonché le generalità ed il codice fiscale ove attribuito della parte che iscrive la causa a ruolo, del procuratore che si costituisce, dell'oggetto della domanda, della data di notificazione della citazione, e dell'udienza fissata per la prima comparizione delle parti. In base all’art. 72 insieme con la nota di iscrizione a ruolo la parte deve consegnare al cancelliere il proprio fascicolo.

 

Il decreto-legge inserisce l’art. 159-bis in base al quale la nota d’iscrizione a ruolo nel processo esecutivo deve contenere:

·          indicazione delle parti;

·          generalità e codice fiscale della parte (creditore) che iscrive la causa a ruolo;

·          indicazione del difensore;

·          indicazione della cosa o del bene oggetto di pignoramento.

La disposizione di attuazione demanda poi ad un decreto del Ministro della giustizia, di natura non regolamentare, il compito di indicare ulteriori contenuti della nota di iscrizione a ruolo.

 

La relazione illustrativa all’originario disegno di legge di conversione motiva così il ricorso al decreto ministeriale: «In considerazione del numero e della eterogeneità degli elementi ai quali occorre dare rilievo anche ai fini di elaborazione statistica degli stessi, con riguardo in particolare alla complessità dei dati identificativi dei beni pignorati (soprattutto dei beni immobili, identificati sulla base delle coordinate catastali), è previsto che con proprio decreto, avente natura non regolamentare, il Ministro della giustizia possa individuare elementi della nota di iscrizione a ruolo del processo esecutivo ulteriori rispetto a quelli indicati nell'articolo 159-bis delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile».

 

Si ricorda che i decreti di natura non regolamentare, in base dall’art. 17, comma 4, della legge n. 400/1988, non sono soggetti al parere del Consiglio di Stato, né alla registrazione della Corte dei Conti, né alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. La disposizione in esame demanda peraltro ad un decreto di tale natura la determinazione del contenuto di un atto processuale. Si valuti pertanto l’esigenza di integrare direttamente il contenuto delle disposizioni di attuazione del codice di procedura ovvero di prevedere comunque che il provvedimento che definisce il contenuto della nota di iscrizione a ruolo abbia idonea pubblicità.

 

Il comma 2-bis, introdotto nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione al Senato, introduce nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile l’art. 164-ter, rubricato Inefficacia del pignoramento per mancato deposito della nota di iscrizione a ruolo.

La disposizione ribadisce che ogni obbligo del debitore e del terzo cessa se la nota di iscrizione a ruolo non è depositata nei termini indicati (ovvero 15 giorni in caso di espropriazione mobiliare e immobiliare e 30 giorni in caso di espropriazione presso terzi); il creditore dovrà comunque notificare al debitore e al terzo, entro 5 giorni dalla scadenza del termine per il deposito, la dichiarazione di non aver proceduto al deposito stesso.

Il secondo comma della disposizione stabilisce che la cancellazione della trascrizione del pignoramento è eseguita dietro ordine del giudice ovvero quando il creditore pignorante dichiara di non aver proceduto al deposito della nota di iscrizione a ruolo.

Si osserva che non è invece prevista la possibilità per il debitore di rilevare direttamente, senza dovere attendere l’attivazione del creditore, la scadenza del termine per ottenere la cancellazione del pignoramento.

 

Norma transitoria (comma 3)

Il comma 3 dell’articolo 18 posticipa al trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione l’efficacia delle nuove disposizioni sul deposito da parte del creditore procedente della nota di iscrizione a ruolo. Tali previsioni si applicheranno dunque alle procedure esecutive iniziate a partire da tale data.

Si ricorda che la procedura esecutiva prende avvio con l’atto di pignoramento; la nuova disciplina si applicherà dunque alle procedure esecutive quando il pignoramento sia eseguito a partire dal trentesimo giorno dall’entrata in vigore della legge di conversione.

 

Obbligo del deposito telematico della nota di iscrizione a ruolo (comma 4)

Il comma 4, modificando l’art. 16-bis del D.L. 179/2012[4] sull’obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali, individua nel 31 marzo 2015 il termine a decorrere dal quale il deposito della nota di iscrizione a ruolo nel procedimento di espropriazione forzata dovrà essere effettuato con modalità telematiche.

Si richiama l’attenzione sul fatto che modifiche all’art. 16-bis del D.L. 179/2012 sono introdotte anche dall’articolo 20 del decreto-legge in commento (v. infra).

Con le medesime modalità telematiche, a partire da tale data, sarà obbligatorio depositare anche le copie conformi di titolo esecutivo, precetto, atto di citazione, atto di pignoramento e nota di trascrizione del conservatore dei registri immobiliari.

Ai fini di questo deposito telematico, il difensore potrà attestare la conformità delle copie informatiche agli originali.

 

La relazione tecnica che accompagna il disegno di legge di conversione riconosce che l’introduzione della specifica procedura informatizzata per la gestione dei processi di esecuzione mobiliare ed immobiliare, connessa, in particolare, all'introduzione di specifici forms da utilizzare con le dotazioni informatiche già in uso presso gli uffici giudiziari, comporta un onere che viene quantificato prudenzialmente in 150.000 euro e alla cui copertura provvede l’articolo 22 del decreto-legge (v. infra).

 


 

Articolo 19
(Misure per l'efficienza e la semplificazione del processo esecutivo)

 

L'articolo 19, intervenendo tanto sul codice di procedura civile quanto sulle disposizioni di attuazione, modifica vari aspetti della disciplina dell’espropriazione forzata. In particolare, a seguito delle modifiche approvate dal Senato:

·     attribuisce la competenza per l’esecuzione forzata di crediti al tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, mantenendo il principio previgente, della competenza del giudice del luogo di residenza del terzo debitore, nei soli casi di esecuzione nei confronti di una pubblica amministrazione (comma 1, lett. a) e b);

·     disciplina la ricerca con modalità telematiche dei beni del debitore da pignorare (comma 1, lett. c) e d); comma 2, lett. a); comma 3);

·     prevede l’applicabilità di tali modalità di ricerca anche quando l’autorità giudiziaria deve ricostruire l’attivo e il passivo nelle procedure concorsuali, deve adottare provvedimenti in materia di famiglia o di gestione dei patrimoni altrui (comma 5);

·     introduce la chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità, quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo degli assetti patrimoniali pignorati (comma 2, lett. b);

·     disciplina l’espropriazione forzata su autoveicoli e motoveicoli;

·     modifica la disciplina dell’espropriazione presso terzi, eliminando l’obbligo per il terzo di presenziare all’udienza e consentendogli di limitarsi a rendere una dichiarazione con modalità telematiche (comma 1, lett. e), f) e g);

·     prevede, nell’espropriazione immobiliare, che il giudice possa autorizzare la vendita con incanto solo se ritiene che con tale modalità sia possibile ottenere un prezzo superiore della metà rispetto al valore stimato dell’immobile (comma 1, lett. h-bis e ss.);

·     disciplina il procedimento che, in sede di rilascio, l'ufficiale giudiziario deve seguire al fine di liberare l'immobile dai beni mobili in esso eventualmente rinvenuti, prevedendone la vendita o la distruzione (comma 1, lett. i).

 


 

 

Espropriazione forzata di crediti: giudice competente (comma 1, lett. a) e b)

La lettera a) del decreto-legge abroga il secondo comma dell’art. 26 del codice di procedura civile, che indica nel tribunale del luogo dove risiede il terzo debitore il giudice competente per l’espropriazione forzata di crediti.

 

La ratio della norma era quella di favorire l'adempimento dell'onere posto a carico del terzo debitore, onere di presentarsi avanti il giudice dell'esecuzione per rendere la dichiarazione prevista dall'art. 547 c.p.c., cioè per specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna.

Qualora il terzo debitore fosse una persona giuridica, nell'impossibilità dell'utilizzo del concetto di residenza, la competenza territoriale veniva individuata con riferimento al luogo ove detta persona ha sede legale e, alternativamente, a quello ove ha uno stabilimento con un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l'oggetto della domanda; pertanto, ove si trattasse di pignoramento di somme depositate presso una filiale di banca, in base al luogo in cui si trovi detta filiale.

 

Il Senato ha confermato la soppressione della disposizione sulla competenza nell’espropriazione forzata dei crediti, pur sostituendo - anziché abrogando - il secondo comma dell’art. 26 (v. infra).

 

La lettera b) introduce nel codice di procedura civile l’art. 26-bis, rubricato "Foro relativo all'espropriazione forzata di crediti".

La nuova disposizione prevede, in via generale, che per tutti i soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche la competenza per i procedimenti di espropriazione forzata di crediti sia radicata presso il tribunale del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del debitore.

 

La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione motiva la novella con l’esigenza di garantire la simultaneità del processo di espropriazione di crediti, a prescindere dal luogo di residenza dei terzi pignorati. «La concentrazione presso un unico foro dei procedimenti di espropriazione di crediti a carico di un unico debitore e rivolti a più terzi debitori muove dall'esigenza di garantire un adeguato livello di tutela dell'esecutato consentendogli un pieno ricorso all'istituto della riduzione del pignoramento ai sensi dell’articolo 546, secondo comma, del codice di procedura civile, che presuppone la pendenza dei procedimenti espropriativi presso un unico giudice […] Inoltre, il simultaneus processus nell'espropriazione forzata di crediti evita ulteriori inconvenienti, quali la necessità di notificare molteplici atti di precetto in presenza di più terzi pignorati in forza di un credito vantato nei confronti di unico debitore, nonché l'onere per il debitore di proporre tante opposizioni per quanti sono i processi esecutivi generati da un'unica azione di recupero del credito».

 

Nell'ipotesi in cui il debitore è una pubblica amministrazione[5] viene invece mantenuta la regola precedente, ovvero è confermata la competenza del giudice del luogo dove il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, facendo però salve le disposizioni contenute in leggi speciali che fissano diversi criteri di competenza esecutiva per l'espropriazione contro le pubbliche amministrazioni[6]. In base alla relazione illustrativa, la ratio di tale opzione normativa risiede «nell'esigenza di evitare che i tribunali di alcune grandi città, tipicamente sedi di pubbliche amministrazioni, siano gravati da un eccessivo numero di procedimenti di espropriazione presso terzi».

 

Il nuovo criterio di riparto della competenza si applicherà, in base al comma 6-bis della disposizione in commento, ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

 

Ricerca con modalità telematiche dei beni del debitore (comma 1, lett. c) e d); comma 2, lett. a); comma 3)

La lettera c) del comma 1 modifica l’art. 492 c.p.c., che definisce in generale, per tutte le procedure di espropriazione forzata, l’atto di pignoramento, abrogando la disposizione (settimo comma) che consente all’ufficiale giudiziario - quando non individua beni utilmente pignorabili oppure quando valuta che le cose e i crediti pignorati o indicati dal debitore appaiono insufficienti - su richiesta del creditore procedente, di rivolgere richiesta ai soggetti gestori dell'anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche. A tal fine l'ufficiale giudiziario può fare ricorso alla forza pubblica per vincere eventuali resistenze del gestore della banca dati medesima.

 

L’abrogazione di questa disposizione va letta in combinato con l’inserimento nel codice di procedura civile dell’art. 492-bis, rubricato “Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare”, cui provvede la lettera d).

 

La relazione illustrativa dell’originario disegno di legge di conversione sottolinea che l'intervento in materia di ricerca telematica dei beni da pignorare è volto a migliorare l'efficienza dei procedimenti di esecuzione mobiliare presso il debitore e presso terzi in linea con i sistemi ordinamentali di altri Paesi europei «tenuto conto che nei Paesi scandinavi i compiti di ricerca dei beni da pignorare sono demandati ad un'agenzia pubblica appositamente costituita e che in Spagna, Austria, Slovenia ed Estonia il creditore ha diritto di interrogare le banche dati pubbliche tramite l'ufficiale giudiziario anche prima di promuovere l'esecuzione (analogamente a quanto si propone in questa sede). In Germania è addirittura previsto il «registro dei debitori» (cosiddetta «Schwarze Liste» o «Lista nera») che crea una «lista di proscrizione» nei confronti del debitore, accessibile da chiunque. Una «lista nera» esiste anche in Belgio, ma in questo caso l'accesso è consentito soltanto a coloro che sono muniti di un titolo esecutivo».

 

La nuova disposizione introduce un procedimento autonomo attraverso il quale il creditore che intende promuovere il processo di espropriazione (senza l'instaurazione del contraddittorio) rivolge al presidente del Tribunale del luogo di residenza, domicilio, sede o dimora del debitore esecutato, la richiesta di autorizzazione affinché l'ufficiale giudiziario possa compiere le ricerche su tutte le banche dati delle pubbliche amministrazioni da cui è possibile individuare l'esistenza dei beni del debitore da assoggettare a pignoramento (primo comma). Rispetto al settimo comma dell’art. 492, abrogato dal decreto-legge, questa disposizione subordina l’attività di ricerca dell’ufficiale giudiziario all’autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato, al fine di soddisfare le esigenze di tutela della riservatezza connesse a tale operazione di ricerca dei beni da pignorare; una previsione analoga era prevista anche per la richiesta ai soggetti gestori dell'anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche prima della riforma del 2006[7].

 

In merito il parere del CSM evidenzia che «di assoluto nuovo conio è l’attribuzione al Presidente del Tribunale di un controllo sulla sussistenza del diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata attribuendogli in via preventiva una funzione di accertamento e di controllo della sussistenza del diritto analoga a quella che spetta al giudice dell’esecuzione a processo esecutivo pendente. Non è prevista alcuna disciplina della impugnazione del provvedimento, di accoglimento o di rigetto, del Presidente del Tribunale e non pare possibile l’adozione dei rimedi oppositivi previsti contro gli atti esecutivi poiché quella del Presidente del Tribunale è una attività che precede l’inizio dell’azione esecutiva. In mancanza di un intervento correttivo in sede di conversione spetterà alla giurisprudenza individuare il regime impugnatorio di tale atto, che incide in maniera molto sensibile sulle modalità concrete di esercizio del diritto del creditore ad agire esecutivamente e sulla tutela della riservatezza del debitore».

 

Per la nuova previsione del codice di rito sono oggetto di consultazione: l'anagrafe tributaria, compreso l'archivio dei rapporti finanziari, il pubblico registro automobilistico, i registri degli enti previdenziali, i registri dei rapporti trattenuti dal debitore con gli istituti di credito e datori di lavoro o committenti (secondo comma).

Terminate le operazioni di accesso alle banche dati, l'ufficiale giudiziario accede ai luoghi appartenenti al debitore nei quali si trovano i beni emersi dall'interrogazione delle banche dati per procedere al pignoramento. Se i beni si trovano in territori al di fuori della sua competenza, l’ufficiale giudiziario dovrà rilasciare copia del verbale al creditore che si rivolgerà, entro 10 giorni (portati a 15 giorni nel corso dell’esame in Senato), all’ufficiale giudiziario territorialmente competente (terzo comma). Se, a fronte dell’individuazione del bene in banca dati, la cosa non viene materialmente rinvenuta, l’ufficiale giudiziario intima al debitore di indicare il luogo ove la stessa di trova, pena la reclusione fino ad un anno o la multa fino a 516 euro per il delitto di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (quarto comma).

La disposizione disciplina poi due ulteriori ipotesi:

-        i beni individuati con modalità telematiche sono nella disponibilità di terzi. L’ufficiale giudiziario notifica il verbale di pignoramento a debitore e terzo; quest’ultimo viene intimato a non disporre delle cose o delle somme dovute (quinto comma);

-        la ricerca con modalità telematiche ha consentito di individuare più beni o crediti. La scelta tra i diversi beni da aggredire è rimessa al creditore (sesto e settimo comma).

 

Alle disposizioni introdotte nel codice di procedura civile dal comma 1 vanno aggiunte le specificazioni inserite nelle disposizioni di attuazione del codice stesso. Il comma 2 dell'articolo 19, infatti, inserisce nelle disposizioni di attuazione i seguenti articoli:

·         art. 155-bis (Archivio dei rapporti finanziari). La disposizione attua quanto previsto dall’art. 492-bis c.p.c. in tema di ricerca telematica dei beni da pignorare, precisando che l’archivio dei rapporti finanziari cui fa riferimento il codice va inteso come la sezione dell’anagrafe tributaria (di cui all’art. 7, sesto comma, del DPR 605/1973[8]) nella quale gli operatori finanziari debbono archiviare tutte le operazioni di natura finanziaria (ad esclusione di quelle effettuate con bollettini di conto corrente postale) di importo unitario superiore a 1.500 euro;

·         art. 155-ter (Partecipazione del creditore alla ricerca dei beni da pignorare con modalità telematiche). Stabilisce che il creditore può partecipare anche alla ricerca telematica dei beni da pignorare, con le modalità previste in generale dall’art. 165 delle disposizioni di attuazione per la partecipazione del creditore al pignoramento (dunque, se il creditore ha manifestato la volontà di partecipare, solo o con l’assistenza di un difensore o di un esperto, l’ufficiale giudiziario deve informarlo della data e dell’ora dell’accesso). Se la ricerca telematica ha consentito di individuare più beni, l'ufficiale giudiziario sottoporrà la ricerca al creditore che, entro 10 giorni della comunicazione, potrà indicare all’ufficiale giudiziario quali beni intenda sottoporre ad esecuzione. Trascorso invano tale termine, il pignoramento perde efficacia;

·         art. 155-quater (Modalità di accesso alle banche dati). Demanda ad un decreto del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri dell’interno e dell’economia, e sentito il Garante della privacy, l’individuazione delle modalità di accesso alle banche dati ai fini della ricerca telematica dei beni da pignorare. Con il medesimo decreto potranno essere individuate ulteriori banche dati delle pubbliche amministrazioni, o alle quali le stesse possono accedere, che l'ufficiale giudiziario può interrogare;

·         art. 155-quinquies (Accesso alle banche dati tramite i gestori). La disposizione specifica che quando le strutture tecnologiche necessarie a consentire l'accesso diretto da parte dell'ufficiale giudiziario alle banche dati per la ricerca telematica dei beni da pignorare non sono funzionanti, il creditore procedente, previa autorizzazione del presidente del tribunale, può ottenere direttamente dai gestori delle banche dati le informazioni nelle stesse contenute.

Nel corso dell’esame del disegno di legge in Senato è stato inserito un ulteriore articolo 115-sexies (Ulteriori casi di applicazione delle disposizioni per la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare), volto a prevede l’applicabilità delle modalità telematiche di ricerca dei beni anche nei:

-        procedimenti per l’esecuzione del sequestro conservativo;

-        procedure concorsuali;

-        procedimenti in materia di famiglia;

-        procedimenti di gestione dei patrimoni altrui.

 

Infine, l’articolo 19, comma 3, interviene sul TU spese di giustizia (DPR 115/2002) per fissare in 43 euro l’importo del contributo unificato dovuto dal creditore che faccia istanza per essere autorizzato alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare (modifica dell’art. 13); tale contributo dovrà essere corrisposto contestualmente al deposito dell’istanza (modifica dell’art. 14).

La relazione tecnica che accompagna il disegno di legge di conversione ricorda che l’accesso da parte dell’ufficiale giudiziario alle banche dati è gratuito ai sensi del Codice dell’amministrazione digitale. La relazione evidenzia dunque che l’accesso alla procedura di ricerca con modalità telematiche di beni da pignorare può essere autorizzata dal giudice su istanza del creditore e comporta il pagamento di un contributo unificato pari ad euro 43,00, che può sommarsi al contributo unificato dovuto per l’istanza per l’assegnazione o la vendita dei beni pignorati (articolo 14, comma 1 del D.P.R. n. 115 del 2002). Utilizza quindi dei dati in possesso dell’amministrazione della giustizia dai quali stima in circa 100.000 unità le procedure di ricerca con modalità telematica dei beni da pignorare. Applicando a tale dato il contributo unificato di euro 43,00 ottiene un gettito che potrebbe attestarsi gradualmente in circa 4,3 mln di euro annui.

 

Espropriazione forzata su autoveicoli, motoveicoli e rimorchi (comma 1, lett. a) e d-bis)

Nel corso dell’esame del disegno di legge in Senato, una modifica della lettera a) del comma 1 ha portato alla sostituzione – anziché all’abrogazione – del secondo comma dell’art. 26 c.p.c. Con tale sostituzione è stata introdotta nel codice di procedura una disciplina particolare per l’espropriazione forzata di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, con la previsione che per tale procedura esecutiva sia competente il tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede (comma 1, lett. a).

Il Senato ha introdotto quindi nel decreto-legge, al comma 1, la lettera d-bis), con la quale ha inserito nel codice di procedura civile l’art. 521-bis, volto appunto a disciplinare il pignoramento e la custodia di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi.

La disposizione, inserita nel Capo II, relativo all’espropriazione mobiliare presso il debitore, prevede:

·     che il pignoramento di tali beni si esegue mediante notificazione al debitore di un atto che indica esattamente i beni e i diritti che si sottopongono ad esecuzione;

·     che con il pignoramento il debitore è nominato custode dei beni, senza diritto a compenso;

·     che l’ufficiale giudiziario, eseguita la notificazione del pignoramento, consegna i relativi atti al creditore affinché provveda alla trascrizione nei pubblici registri;

·     che il pignoramento contiene l’intimazione al debitore a consegnare i suddetti beni (con i relativi documenti che ne attestano la proprietà) entro 10 giorni all’istituto vendite giudiziarie autorizzato ad operare nel territorio del circondario del tribunale competente;

·     che se il termine per la consegna è violato e viene accertata la circolazione dei beni che dovevano essere consegnati, la polizia deve ritirarne la carta di circolazione e consegnare i beni stessi all’istituto vendite giudiziarie;

·     che alla consegna dei beni è l’istituto vendite giudiziarie a divenire custode dei beni, dovendo darne comunicazione al creditore pignorante;

·     che entro 30 giorni da questa comunicazione, pena la perdita d’efficacia del pignoramento, il creditore deve depositare nella cancelleria del tribunale la nota di iscrizione a ruolo, con le copie conformi di tutti gli atti (copie la cui conformità con gli originali può essere attestata dall’avvocato);

·     che solo a questo punto il cancelliere forma il fascicolo dell’esecuzione.

 

Semplificazione delle procedure per l’espropriazione presso terzi (lettere e), f) e g)

La lettera e) modifica l’art. 543 del codice di procedura civile per coordinare la disciplina del pignoramento nell’espropriazione presso terzi con le nuove modalità di ricerca dei beni da pignorare con modalità telematiche. Si ricorda che sulla medesima disposizione è intervenuto anche l’art. 18 del decreto-legge (v. sopra). Di seguito si riportano in un testo a fronte tutte le novelle apportate dal decreto-legge all’art. 543 c.p.c..

 

Normativa pre DL

Normativa vigente (post DL)

Codice di procedura civile
Capo III - Dell'espropriazione presso terzi

Sezione I - Del pignoramento e dell'intervento


art. 543

Forma del pignoramento

Il pignoramento di crediti del debitore verso terzi o di cose del debitore che sono in possesso di terzi, si esegue mediante atto notificato personalmente al terzo e al debitore a norma degli articoli 137 e seguenti

Il pignoramento di crediti del debitore verso terzi o di cose del debitore che sono in possesso di terzi, si esegue mediante atto notificato al terzo e al debitore a norma degli articoli 137 e seguenti.

L'atto deve contenere, oltre all'ingiunzione al debitore di cui all'articolo 492:

Identico:

1. l'indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto;

1. identico;

2. l'indicazione, almeno generica, delle cose o delle somme dovute e l'intimazione al terzo di non disporne senza ordine di giudice;

2. identico;

3. la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale competente nonché l'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata del creditore procedente;

3. identico;

4. la citazione del terzo e del debitore a comparire davanti al giudice del luogo di residenza del terzo, affinché questi faccia la dichiarazione di cui all’articolo 547 e il debitore sia presente alla dichiarazione e agli atti ulteriori, con invito al terzo a comparire quando il pignoramento riguarda i crediti di cui all’articolo 545, commi terzo e quarto, e negli altri casi a comunicare la dichiarazione di cui all’articolo 547 al creditore procedente entro dieci giorni a mezzo raccomandata ovvero a mezzo di posta elettronica certificata.

4. la citazione del debitore a comparire davanti al giudice competente, con l'invito al terzo a comunicare la dichiarazione di cui all'articolo 547 al creditore procedente entro dieci giorni a mezzo raccomandata ovvero a mezzo di posta elettronica certificata; con l'avvertimento al terzo che in caso di mancata comunicazione della dichiarazione, la stessa dovrà essere resa dal terzo comparendo in un'apposita udienza e che quando il terzo non compare o, sebbene comparso, non rende la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore, nell'ammontare o nei termini indicati dal creditore, si considereranno non contestati ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione.

Nell'indicare l'udienza di comparizione si deve rispettare il termine previsto nell'articolo 501.

Identico.

L'ufficiale giudiziario, che ha proceduto alla notificazione dell'atto, è tenuto a depositare immediatamente l'originale nella cancelleria del tribunale per la formazione del fascicolo previsto nell'articolo 488. In tale fascicolo debbono essere inseriti il titolo esecutivo e il precetto che il creditore pignorante deve depositare in cancelleria al momento della costituzione prevista nell'articolo 314.

Eseguita l'ultima notificazione, l'ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore l'originale dell'atto di citazione. Il creditore deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per l'esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi dell'atto di citazione, del titolo esecutivo e del precetto, entro trenta giorni dalla consegna. Il cancelliere al momento del deposito forma il fascicolo dell'esecuzione. Il pignoramento perde efficacia quando la nota di iscrizione a ruolo e le copie degli atti di cui al primo periodo sono depositate oltre il termine di trenta giorni dalla consegna al creditore.

 

Quando procede a norma dell'articolo 492-bis, l'ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore il verbale, il titolo esecutivo ed il precetto, e si applicano le disposizioni di cui al quarto comma. Decorso il termine di cui all'articolo 501, il creditore pignorante e ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo possono chiedere l'assegnazione o la vendita delle cose mobili o l'assegnazione dei crediti. Sull'istanza di cui al periodo precedente il giudice fissa l'udienza per l'audizione del creditore e del debitore e provvede a norma degli articoli 552 o 553. Il decreto con cui viene fissata l'udienza di cui al periodo precedente è notificato a cura del creditore procedente e deve contenere l'invito e l'avvertimento al terzo di cui al numero 4) del secondo comma.

 

In primo luogo, il decreto-legge ha introdotto la possibilità di notificare l’atto di pignoramento al terzo e al debitore a norma degli artt. 137 e seguenti c.p.c., con eliminazione dell’avverbio “personalmente”. Ciò consente che la notifica sia eseguita in base alla legge 53/1994 (Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali).

Le altre modifiche si sostanziano nell'eliminazione dei casi in cui il terzo tenuto al pagamento di somme di denaro deve comparire in udienza per rendere la dichiarazione (crediti retributivi, art. 545, commi terzo e quarto). Ne consegue che la dichiarazione sarà resa dal terzo in ogni caso a mezzo lettera raccomandata o posta elettronica certificata. Tale misura - secondo la relazione di accompagnamento del provvedimento in conversione – dovrebbe incrementare la competitività del sistema economico, dal momento che evita ad imprese di grandi dimensioni o a pubbliche amministrazioni le inefficienze connesse alla necessità di comparire in udienza.

Il terzo viene avvertito che in caso di mancata comunicazione della dichiarazione, la stessa dovrà essere resa comparendo in udienza e che se a tale udienza il terzo non compare o non rende la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore, nell'ammontare o nei termini indicati dal creditore, si considereranno non contestati.

Il decreto legge prevede quindi l'inserimento di un ultimo comma, il quinto, in virtù del quale quando l'ufficiale giudiziario procede a norma dell'art. 492-bis, ovvero effettua la ricerca dei beni da pignorare con modalità telematiche, deve consegnare senza ritardo al creditore il verbale, il titolo esecutivo ed il precetto, e si applicano le disposizioni sul deposito in cancelleria da parte del creditore della nota di iscrizione a ruolo (v. sopra, art. 18).

Decorsi dieci giorni dal pignoramento (termine di cui all'art. 501 c.p.c.), il creditore pignorante e ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo possono chiedere l'assegnazione o la vendita delle cose mobili o l'assegnazione dei crediti.

 

La lettera f) modifica, con finalità di coordinamento, l'articolo 547 del codice di procedura civile che, sempre nell’ambito dell’espropriazione forzata presso terzi, disciplina la dichiarazione con la quale il terzo specifica di quali cose o di quali somme è debitore rispetto all’esecutato. In particolare, il decreto-legge elimina ogni riferimento alla comparizione in udienza, essendo previsto che la dichiarazione sia resa attraverso posta elettronica certificata.

 

La lettera g) interviene invece sull'articolo 548 del codice di procedura civile che disciplina l'ipotesi della mancata dichiarazione del terzo. Il decreto-legge, con finalità di coordinamento, abroga il primo comma e riformula il secondo comma, prevedendo che, quando all'udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, il giudice, con ordinanza, fissa un'udienza successiva; l’ordinanza deve essere notificata al terzo con almeno 10 giorni di preavviso. Se questi non compare alla nuova udienza o, comparendo, rifiuta di fare la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato.

 

Anche queste modifiche alla procedura di espropriazione presso terzi, troveranno applicazione in base al comma 6-bis dell’art. 19 nei procedimenti di espropriazione forzata introdotti a decorrere dal 30° giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

 

 

Modifiche in tema di espropriazione immobiliare (comma 1, lett. h), h-bis), h-ter), h-quater) e h-quinquies)

Il testo originario del decreto-legge 132/2014 tratta l’espropriazione immobiliare alla lettera h) dell’art. 19, comma 1, con la quale sostituisce l'art. 560, terzo comma, del codice di procedura civile, per introdurre l'obbligo per il giudice dell'esecuzione immobiliare di ordinare la liberazione dell'immobile pignorato, non più quando provvede all'aggiudicazione o all'assegnazione, bensì, quando autorizza la vendita[9]. Tale disposizione è stata soppressa nel corso dell’esame in Senato.

Sul punto si è espresso favorevolmente il parere del Consiglio Superiore della Magistratura, nel quale si evidenziava come la modifica accogliesse l’impostazione di una parte della giurisprudenza di merito e rispondesse ad «esigenze di efficacia e di rapidità delle procedure esecutive (un immobile libero è, infatti, vendibile nella procedura esecutiva più agevolmente di un immobile occupato ed, inoltre, si evitano i tempi lunghi legati alle difficoltà di ottenere dopo la vendita il rilascio dell’immobile da parte dell’occupante)». Lo stesso parere sottolineava peraltro come questa scelta del legislatore comportasse «un innegabile pregiudizio per il debitore che deve lasciare l’immobile quando lo stesso, pur non essendo più nella sua giuridica disponibilità (poiché con il pignoramento la stessa è trasferita al custode e per continuare l’utilizzazione dell’immobile è necessaria l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione) è ancora di sua proprietà e non è certo che sia alienato».

 

Peraltro, il Senato ha novellato altre disposizioni del codice di procedura civile relative a questo tema per affermare il principio per cui il giudice deve ricorrere alla vendita con incanto del bene immobile solo se ritiene che attraverso tali modalità sarà probabile raggiungere un prezzo di acquisto superiore della metà rispetto al valore dell’immobile[10]. Tale principio viene affermato novellando:

·      l’art. 569, sul provvedimento per l'autorizzazione della vendita da parte del giudice (lettera h-bis);

·      l’art. 572, in tema di deliberazione sull’offerta nella vendita senza incanto, per sottolineare che se l’offerta è inferiore al valore dell’immobile, il giudice non può procedere alla vendita se ritiene probabile ottenere con l’incanto un prezzo di acquisto superiore della metà rispetto a tale valore (lettera h-ter);

·       l’art. 588, sul termine per l’istanza di assegnazione, per eliminarvi ogni riferimento all’incanto essendo sufficiente riferirsi alla vendita (lettera h-quater);

·      l’art. 590, in tema di provvedimento di assegnazione, per eliminarvi ogni riferimento all’incanto (lettera h-quinquies).

 

Sempre in tema di utilizzo della vendita all’incanto, la lettera d-ter) del comma 1, introdotta dal Senato, modifica l’art. 503 c.p.c. e, in una disposizione che nell’ambito della disciplina generale dell’espropriazione forzata attiene ai modi della vendita forzata, specifica che l’incanto può essere disposto solo quando il giudice ritiene probabile che attraverso tali modalità sarà possibile ottenere un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene, determinato in base all’art. 568.

Si rileva che l’art. 503, oggetto della novella, attiene alla disciplina generale l’espropriazione, mentre l’art. 568 – cui l’art. 503 rinvia – riguarda esclusivamente l’espropriazione immobiliare.

 

Beni mobili contenuti nell’immobile da rilasciare (comma 1, lett. i)

La lettera i) riformula l'articolo 609 del codice di procedura civile, delineando uno specifico procedimento che, in sede di rilascio, l'ufficiale giudiziario deve seguire al fine di liberare l'immobile dai beni mobili in esso eventualmente rinvenuti e che non debbono essere consegnati. In particolare, il decreto-legge prevede che:

·        l’ufficiale giudiziario deve intimare alla parte tenuta al rilascio o a colui al quale risulta che i beni appartengono l'asporto entro un termine perentorio;

·        se l’asporto non è realizzato nel termine, l’ufficiale giudiziario determina il valore dei beni stessi e quantifica le spese di custodia e asporto;

·        se il valore dei beni supera le spese, l’ufficiale giudiziario nomina un custode e fa spostare i beni; in mancanza di istanza ovvero se la vendita dei beni è ritenuta inutile, i beni vengono considerati abbandonati e l’ufficiale giudiziario ne dispone la distruzione;

·        se vengono rinvenuti documenti inerenti lo svolgimento dell'attività imprenditoriale o professionale si prevede una specifica modalità di custodia degli stessi, per due anni, in presenza di una istanza e dell’anticipazione delle spese di custodia; in mancanza anche per questi documenti si procede a distruzione;

·        il custode dei beni provvede alla vendita degli stessi senza incanto. La somma ricavata dalla vendita del bene è impiegata per il pagamento delle spese e dei compensi di custodia e di asporto. L'eventuale eccedenza è impiegata per il pagamento dell'esecuzione per rilascio, quando i beni appartengono alla parte esecutata. Se i beni appartengono ad un terzo che non li ha rivendicati prima della vendita secondo le modalità previste quanto eccede il pagamento delle spese di custodia e trasporto è immediatamente versata al terzo;

·        se i beni mobili rinvenuti sono a loro volta pignorati o sequestrati, l’ufficiale giudiziario dà notizia del rilascio al creditore.

 


 

 

Chiusura anticipata del processo esecutivo (comma 2, lett. b)

Il comma 2 dell’art. 19 modifica le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.

In particolare, la lettera a) inserisce nelle disposizioni gli articoli da 155-bis a 155-quinquies, che danno attuazione all’art. 492-bis c.p.c. sulla ricerca telematica dei beni da pignorare (v. sopra).

La lettera b) del comma 2 inserisce invece nelle disposizioni di attuazione il nuovo articolo 164-bis con il quale si stabilisce che, quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo.

 

Sul punto il parere del Consiglio superiore della magistratura evidenzia che «In questo modo il legislatore ha normativizzato una prassi che da tempo parte della giurisprudenza di merito aveva adottato e che, tuttavia, era stata sempre considerata non corretta dalla giurisprudenza di legittimità (v., ex multis, Cass. 19 dicembre 2006, n. 27148) che non aveva riconosciuto alle ipotesi di infruttuosità dell’esecuzione la idoneità a determinare la conclusione anticipata del processo. Si tratta di una soluzione apprezzabile poiché evita l’inutile e dispendioso protrarsi di procedure esecutive che non consentono di soddisfare l’interesse del creditore».

 

 

Incentivi agli ufficiali giudiziari (comma 4)

Il comma 4 dell'articolo 19 interviene sul DPR n. 1229 del 1959, che reca l’ordinamento degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari. In particolare, modificando gli articoli 107 e 122, il decreto-legge stabilisce che quando si procede alla ricerca telematica dei beni del debitore da pignorare o ad operazioni di pignoramento mobiliare, agli ufficiali giudiziari spetta un ulteriore compenso, che rientra tra le spese di esecuzione e che è stabilito dal giudice dell’esecuzione in base ai seguenti parametri:

 

Valore di assegnazione/
ricavato della vendita dei beni e dei crediti pignorati

% ufficiale giudiziario
in caso di ricerca telematica dei beni

% ufficiale giudiziario
in caso di pignoramento mobiliare

Fino a 10.000 euro

6%

5%

Da 10.001 a 25.000 euro

4%

2%

Da 25.001 euro

3%

1%

 

 

 

 

Il Senato ha specificato che il compenso dell’ufficiale giudiziario è dimezzato se le operazioni non vengono effettuate entro 15 giorni dalla richiesta.

Se, prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione, il debitore chiede di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro pari all'importo dovuto al creditore pignorante (conversione del pignoramento ai sensi dell’art. 495 c.p.c.), il compenso dell’ufficiale giudiziario è determinato secondo le percentuali dell’ultima colonna, ridotte della metà. Le stesse percentuali si applicano se il processo esecutivo si estingue o si chiude anticipatamente, ma in questo caso il compenso dell’ufficiale giudiziario è posto a carico del creditore procedente.

Il compenso dell’ufficiale giudiziario non potrà comunque essere superiore al 5% del valore del credito per il quale si procede. Tale compenso sarà così distribuito:

-        60% all’ufficiale giudiziario o al funzionario che ha materialmente svolto le operazioni di pignoramento. Se colui che ha eseguito il pignoramento non è anche colui che ha interrogato le banche dati, il compenso deve essere equamente diviso tra i due;

-        40% ripartito dal dirigente dell’ufficio tra tutti gli altri ufficiali e funzionari preposti al servizio esecuzioni

 

Estensione delle modalità di ricerca telematica dei beni ad altre procedure giudiziarie (comma 2, lett. a) e commi 5 e 6)

Come già visto, in sede di commento delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile relative alla ricerca telematica dei beni da pignorare (v. sopra, comma 2, lett. a)), l’art. 155-sexies specifica che tali modalità di ricerca si applicano anche per:

-        esecuzione del sequestro conservativo;

-        procedure concorsuali;

-        procedimenti in materia di famiglia;

-        procedimenti di gestione dei patrimoni altrui.

 

Il comma 5 dell'articolo 19 interviene, con le medesime finalità, sul DPR 605/1973[11] per prevedere, all’art. 7 relativo alle comunicazioni all’anagrafe tributaria, che attraverso l’ufficiale giudiziario e con le modalità previste per la ricerca telematica dei beni da pignorare (ex art. 492-bis c.p.c.), l’autorità giudiziaria possa accedere all’anagrafe tributaria per ricostruire la situazione patrimoniale di soggetti interessati dai medesimi procedimenti (concorsuali, in materia di famiglia, di gestione dei patrimoni altrui).

Si osserva che il catalogo dei procedimenti contenuto nell’art. 155-sexies disp.att. è diverso da quello inserito nell’art. 7 del DPR 605 del 1973: solo la prima disposizione fa infatti riferimento al procedimento per l’esecuzione del sequestro conservativo.

 

Il comma 6, a seguito delle modifiche approvate in Senato, specifica che anche a queste ricerche con modalità telematiche si applica l’art. 155-quinquies delle disposizioni di attuazione del codice di rito (v. sopra), ovvero la disposizione che in caso di mal funzionamento dei dispositivi telematici impone ai gestori delle banche dati di comunicare con modalità diverse le informazioni richieste.

 

Norma transitoria (comma 6-bis)

Il comma 6 attualmente in vigore, ovvero nel testo originario del decreto-legge, stabilisce che tutte le disposizioni dell’articolo 19 si applicano ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Tale previsione è stata modificata nel corso dell’esame in Senato e inserita nel comma 6-bis. In particolare, il nuovo comma 6-bis esclude che il differimento d’efficacia delle previsioni del decreto-legge si applichi alle seguenti procedure:

-        disposizioni che consentono la ricerca con modalità telematiche anche per l’esecuzione del sequestro conservativo, per la ricostruzione dell’attivo e del passivo nell’ambito delle procedure concorsuali, nei procedimenti di famiglia e in quelli relativi alla gestione di patrimoni altrui (ai sensi dell’art. 155-sexies disp. att. e dell’art. 7, nono comma, del DPR 605/1973);

-        procedura che consente la chiusura anticipata del processo esecutivo in caso di presumibile infruttuosità dell’espropriazione forzata (ai sensi dell’art. 164-bis disp. att.).

In questi due casi, quindi, le disposizioni del decreto-legge, come modificato dal Parlamento, diverranno efficaci con l’entrata in vigore della legge di conversione e dunque il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e – è da ritenere - si applicheranno anche ai procedimenti già in corso.

 

Le modifiche approvate in Senato rispondono in parte alle osservazioni formulate dal parere del CSM.

 


 

Articolo 19-bis
(Crediti delle rappresentanze diplomatiche e consolari straniere)

 

L’articolo 19-bis, introdotto nel corso dell’esame del disegno di legge al Senato, prevede l’impignorabilità dei depositi bancari o postali a disposizione delle rappresentanze diplomatiche e consolari straniere quando, preventivamente, il capo della rappresentanza diplomatica abbia comunicato al nostro Ministero degli affari esteri e all’ente di credito, che quelle depositate sono somme destinate esclusivamente all’espletamento delle funzioni diplomatiche. La nullità degli atti di espropriazione forzata è rilevabile d’ufficio.

 

In particolare, il comma 1, definisce le autorità diplomatiche e consolari come i «soggetti di cui all'articolo 21, comma 1, lettera a) della Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, fatta a New York il 2 dicembre 2004», ratificata con legge 5/2013.

Si tratta dunque:

-        della missione diplomatica dello Stato;

-        dei suoi posti consolari;

-        delle sue missioni speciali;

-        delle sue missioni presso le organizzazioni internazionali;

-        delle sue delegazioni negli organi delle organizzazioni internazionali o alle conferenze internazionali.

 

Affinché le somme depositate siano immuni dall’espropriazione forzata, occorre che il vertice della rappresentanza diplomatica in Italia abbia preventivamente comunicato che il conto contiene somme destinate all’espletamento delle funzioni diplomatiche a:

-        Ministero degli affari esteri;

-        Impresa autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria.

 

Una volta effettuata tale comunicazione, le somme depositate su tali conti non potranno essere utilizzate per eseguire pagamenti per titoli diversi da quelli per i quali le somme sono state vincolate (comma 2).

 

In base al comma 3, anche se viene effettuato un pignoramento di tali somme:

-        la banca non ha l’obbligo di accantonare le somme;

-        le rappresentanze diplomatiche o consolari mantengono la piena disponibilità delle somme.


 

Articolo 20
(Monitoraggio delle procedure esecutive individuali e concorsuali e deposito della nota di iscrizione a ruolo con modalità telematiche)

 

L'articolo 20 introduce l’obbligo di deposito telematico di una serie di rapporti periodici e finali nell’ambito di procedure esecutive, concorsuali e di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Ciò per consentire oltre che un controllo da parte del giudice preposto, anche al Ministero della giustizia e al Ministero delle attività produttive di verificare l’esito e l’efficienza di tali procedure a fini statistici.

 

Si osserva preliminarmente che la rubrica dell’articolo 20 fa riferimento alla nota di iscrizione a ruolo con modalità telematiche. In realtà tale previsione è introdotta dall’articolo 18 del decreto-legge.

 

Deposito telematico dei rapporti periodici e finali nelle procedure esecutive e concorsuali (commi 1 e 5)

In particolare, il comma 1 aggiunge alcune disposizione nell’art. 16-bis del decreto-legge n. 179/2012, che disciplina l’obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali.

 

Il Senato è intervenuto a correggere la numerazione dei nuovi commi introdotti dal decreto-legge: l’art. 20, infatti, inserisce nell’art. 16-bis i commi 9-ter e seguenti, senza tenere conto del fatto che un comma 9-ter era già stato inserito dal recente D.L. 90/2014 e che dunque le nuove disposizioni partiranno dal comma 9-quater.

 

Inserendo dunque i commi 9-quater (sulla chiusura del fallimento), 9-quinquies (sul concordato preventivo con cessione dei beni e con continuità aziendale), 9-sexies (sulla vendita nell’espropriazione immobiliare), il decreto-legge stabilisce che per la procedura fallimentare, di concordato preventivo e per le procedure esecutive individuali su beni immobili è previsto - a cura del curatore, del liquidatore o del commissario giudiziale, del delegato alla vendita dell’immobile - l'obbligo di elaborazione e di deposito del rapporto riepilogativo finale, da redigere in conformità a quanto già previsto dalla legge fallimentare (R.D. 267/1942, art. 33). In caso di concordato con continuità aziendale, è introdotto anche l'obbligo del commissario giudiziale di redigere il rapporto riepilogativo periodico.

Il nuovo comma 9-septies prevede che tutti questi rapporti siano depositati con modalità telematiche nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, nonché delle apposite specifiche tecniche del responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia.

 

Il comma 5 precisa che queste disposizioni saranno efficaci anche rispetto alle procedure in corso, ma solo a partire dal 90° giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei decreti ministeriali con le specifiche tecniche.

 

Deposito telematico dei rapporti periodici e finali nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (commi 2, 3 e 6)

Il comma 2, modificando il D.Lgs. n. 270 del 1999[12], sulle procedure straordinarie per l’amministrazione delle grandi imprese in crisi, prevede che il commissario straordinario debba redigere semestralmente e inviare con modalità telematiche al Ministero dello sviluppo economico, una relazione sulla situazione patrimoniale dell’impresa e l’andamento della sua gestione, in base a modelli standard definiti dallo stesso Ministero (modifica dell’art. 40); analogamente dovrà provvedere per il bilancio finale della procedura e il conto della gestione (modifica all’art. 75).

Tali dati dovranno poi essere estratti e elaborati dal Ministero (comma 3).

Il comma 6 precisa che queste disposizioni saranno efficaci anche rispetto alle procedure di amministrazione straordinaria in corso, ma solo a partire dal 90° giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei decreti del Ministero della sviluppo economico con le specifiche tecniche.

 

Infine, il comma 4 precisa che tanto il Ministero della giustizia quanto il Ministero dello sviluppo economico dovranno provvedere all’attuazione dell’art. 20 con le risorse disponibili a legislazione vigente.

 

 

 

 


Capo VI
Misure per il miglioramento dell'organizzazione giudiziaria

Articolo 21
(Disposizioni in tema di tramutamenti successivi dei magistrati)

 

Il capo VI – composto dal solo articolo 21 - contiene misure per una più efficiente organizzazione degli uffici giudiziari.

La disposizione è infatti diretta a realizzare l'obiettivo di ridurre al massimo i tempi di scopertura dei posti vacanti, all'esito delle procedure di tramutamento orizzontale (cioè quei trasferimenti successivi all’assegnazione di sede dopo il tirocinio iniziale e che non prevedono nè il conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi né il conferimento delle funzioni ai magistrati di prima nomina).

 

Attualmente, i termini per l’assunzione delle funzioni dei magistrati a seguito di decreto di nomina o destinazione sono disciplinati dell’art. 10 dell’ordinamento giudiziario (R.D. 12/1941). I magistrati debbono assumere le loro funzioni nel termine di trenta gg. dalla data del bollettino ufficiale che pubblica la registrazione alla corte dei conti del decreto di nomina o destinazione (primo comma). Tale termine non può essere prorogato per nessuna ragione, ma può essere abbreviato dal Ministro di grazia e giustizia per necessità di servizio (secondo comma). Il Ministro può anche ordinare, per ragioni di servizio, che il magistrato tramutato o promosso continui ad esercitare il precedente suo ufficio per un periodo di tempo non superiore a giorni trenta. In questo caso, il termine stabilito nel primo comma del presente articolo decorre dal giorno in cui cessa tale esercizio, e può essere abbreviato per disposizione del Ministro (terzo comma). Nei casi di necessità di servizio, il Ministro può pure disporre che i magistrati promossi o tramutati assumano servizio presso il nuovo ufficio anche prima della registrazione del relativo decreto alla corte dei conti. Nel caso di revoca del decreto per mancata registrazione, il magistrato è considerato come in missione, ed ha diritto alla corrispondente indennità per il tempo in cui ha prestato servizio in esecuzione del decreto stesso (quarto comma).

In base all’art. 10, a seguito di un bando relativo a più posti ed uffici giudiziari (due volte l’anno ex circolare CSM 8 giugno 2009), le delibere di trasferimento approvate dal CSM sono dunque attuate con singoli DM giustizia (uno per ogni magistrato e che non vengono adottati contestualmente). Dalla pubblicazione del DM sul Bollettino ufficiale del Ministero decorre il termine di 30 gg. entro il quale il magistrato deve prendere possesso del nuovo ufficio.

Nella pratica vi è la possibilità che, previo accordo tra gli uffici interessati al trasferimento, l’immissione nell’ufficio sia anticipata o differita dal Ministero della giustizia fino ad un massimo di sei mesi (sempre decorrenti dalla citata pubblicazione).

 

Poiché tale sistema ha mostrato limiti di efficienza in relazione agli sfasamenti temporali dei trasferimenti disposti in attuazione dello stesso bando, l’articolo 21 prevede nuove regole per le procedure di tramutamento orizzontale che siano avviate con delibera CSM successiva all’entrata in vigore della legge di conversione del DL in esame.

E’, infatti, aggiunto un articolo 10-bis all’ordinamento giudiziario che prevede:

§  che il Ministro della giustizia adotti un unico decreto per tutti i magistrati tramutati nell'ambito della medesima procedura indetta con unica delibera del CSM;

-        che il Consiglio superiore della magistratura debba espletare due volte all’anno le procedure di tramutamento dei magistrati esaurendole nel termine di 4 mesi (la novità risulta essere il termine quadrimestrale).

 

Per evitare che gli uffici giudiziari a forte scopertura (non inferiore al 35%) aumentino la predetta carenza di personale di magistratura per effetto delle delibere di tramutamento è poi previsto che la stessa delibera non produca effetto sino a quando il CSM non abbia deliberato la copertura del posto lasciato vacante. È, tuttavia, stabilito un termine massimo di inefficacia del provvedimento di trasferimento: la sospensione degli effetti cessa decorsi sei mesi dall'adozione della delibera. Nella stressa logica, è stabilito che la disposizione non si applichi quando l'ufficio di destinazione ha una scopertura uguale o superiore alla percentuale di scopertura dell'ufficio di provenienza.

E’ poi previsto che si applichi l’art. 10 dell’ordinamento giudiziario, concernente il termine per l’assunzione delle funzioni da parte dei magistrati.

 

E’ sostanzialmente critico il parere del CSM sul contenuto dell’art. 21. L’intervento è ritenuto estemporaneo e non risolutorio delle problematiche sottese cui potrebbe, secondo il Consiglio, essere data soluzione solo con l’indizione di concorsi di un congruo numero di magistrati onorari di tribunale. Secondo il parere, i problemi di copertura di organico nelle sedi meno ambite (gli uffici di primo grado) derivano, infatti, dall’ormai endemico divario tra l’organico di magistratura ed i magistrati effettivamente in servizio.

Critiche sono poi rivolte alla previsione di un termine di 4 mesi imposto al CSM per espletare le procedure di tramutamento dei magistrati, ritenuto, in ogni caso, come meramente ordinatorio stante l’autonomia del Consiglio superiore e la sua discrezionalità nell’esercizio delle funzioni.

 

La nuova disciplina si applicherà ai tramutamenti di sede avviati con delibera del CSM successiva all’entrata in vigore della legge di conversione.

 

 


 

Articolo 21-bis
(Istituzione del giudice di pace di Ostia e ripristino dell’ufficio
del giudice di pace di Barra)

 

L’articolo 21-bis, introdotto dal Senato, apporta modifiche alla recente riforma della geografia giudiziaria che ha interessato l’organizzazione ed il dislocamento sul territorio degli uffici del giudici di pace.

 

Con i due decreti legislativi nn. 155 e 156 del 2012 - in attuazione della delega conferitagli dalla legge n. 148 del 2011 - il Governo ha operato una profonda riforma della geografia giudiziaria a fini sia di riduzione della spesa che di miglioramento dell'efficienza del sistema giustizia. Il primo decreto procede alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie e detta la nuova organizzazione degli uffici giudiziari di primo grado e delle relative procure della Repubblica. A tal fine sopprime 31 tribunali.

In particolare, il decreto legislativo 156/2012 riorganizza sul territorio gli uffici dei giudici di pace sopprimendo un significativo numero di uffici, in particolare quelli situati in sede diversa da quella del circondario di tribunale; di tali uffici, è stato operato un limitatissimo recupero in relazione agli specifici parametri previsti dalla legge delega. All’esito dell’entrata in vigore del decreto sono stati soppressi ben 667 uffici del giudice di pace, partendo da un totale di 846 uffici esistenti. Restano in attività 179 uffici (133 presso sedi circondariali; 46 presso altre sedi). Il decreto n. 156 ha stabilito, come previsto dalla delega, la possibilità per i comuni di recuperare l’ufficio giudiziario onorario oggetto di soppressione, accollandosi i relativi oneri finanziari.

 

In particolare, l’art. 21-bis ripristina due uffici del giudice di pace già soppressi all’esito della riforma:

·         il primo ad Ostia nel comune di Roma (circondario del tribunale di Roma);

·         il secondo a Barra nel comune di Napoli (circondario del tribunale di Napoli).

 

Si segnala che la rubrica dell’art. 21-bis fa riferimento alla “Istituzione del giudice di pace di Ostia”. In realtà, come per il giudice di pace di Barra, anche per quello di Ostia si tratta di un ripristino dell’ufficio.

 

La disposizione provvede, conseguentemente, alle necessarie sostituzioni tabellari. Vengono, quindi sostituite:

-        le tabelle A e B allegate al d.lgs 156 del 2012 contenenti, rispettivamente: 1) l’elenco degli uffici del giudice di pace soppressi, 2) i nuovi uffici cui sono attribuite le competenze degli uffici soppressi;

-        la tabella A del d.lgs 374/1991 (Istituzione del giudice di pace) che stabilisce la competenza territoriale di ogni ufficio del giudice di pace.

In particolare, sulla base delle nuove tabelle allegate al decreto-legge la competenza del giudice di pace di Ostia copre il territorio del X Municipio del comune di Roma; di conseguenza è sottratta alla competenza del giudice di pace di Roma la competenza sul X municipio.

La competenza del giudice di pace di Barra copre, invece, i territori di S. Giorgio a Cremano e della municipalità V del comune di Napoli, entrambi attualmente di competenza del giudice di pace di Napoli.

 

L’articolo 21 detta poi una serie di disposizioni organizzative conseguenti al ripristino dei due uffici.

La prima riguarda la copertura del personale di magistratura onoraria degli uffici di Ostia e Barra le cui piante organiche sono determinate con decreto del ministro della giustizia, da adottare, sentito il CSM, entro 90 gg. dall’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. in esame. Saranno insieme rideterminate le conseguenti variazioni delle piante organiche degli altri uffici del giudice di pace.

Spetta al CSM la definizione, entro 6 mesi, delle procedure di trasferimento dei giudici di pace presso gli uffici di Ostia e Barra.

Con altro decreto del Ministro della giustizia, da emanarsi entro 90 gg. dall’entrata in vigore della legge di conversione, saranno determinate le piante organiche del personale amministrativo degli uffici del giudice di pace di Ostia e Barra e le conseguenti variazioni delle piante organiche degli altri uffici.

Per il trasferimento del personale amministrativo necessario alla copertura dei due uffici si provvede con le ordinarie procedure di trasferimento di competenza del Ministero della giustizia. Alle domande di trasferimento del personale amministrativo che prestava già servizio presso i due uffici soppressi alla data di entrata in vigore del D.Lgs 152 del 2012 (13 settembre 2012) è attribuita preferenza assoluta.

Analoga preferenza non è invece prevista per i giudici di pace che alla stessa data prestavano servizio presso gli uffici di Ostia e Barra.

Sono, infine, dettate disposizioni inerenti l’entrata in funzione dei due nuovi uffici del giudice di pace (disposta con decreto del ministro della giustizia).

A partire dalla stessa data possono essere introdotti presso i giudici di pace di Ostia e Barra i procedimenti civili e penali di loro competenza; la data di introduzione dei procedimenti penali si considera quella in cui la notizia di reato è acquisita o pervenuta agli uffici del pubblico ministero.

L’autorizzazione della spesa di funzionamento dei due uffici, pari a 317.000 euro, decorre dal 2015.

 


Capo VII
Disposizioni finali

Articolo 22
(Disposizioni finanziarie)

 

Il Capo VII contiene previsioni finanziarie e inerenti alla entrata in vigore.

L'articolo 22 reca in particolare le disposizioni finanziarie ed è stato integralmente sostituito dal Senato.

In base al comma 1, alle minori entrate derivanti dagli articoli 3, 6 e 12, pari a 4.364.500 euro annui e agli oneri derivanti dagli articoli 18, 20 e 20-bis, pari a euro 550.000 per il 2014 ed euro 417.000 dal 2015, si provvede:

a)     per euro 550.000 per il 2014, euro 481.500 per il 2015 ed euro 100.000 dal 2016, mediante corrispondente riduzione del Fondo per intreventi strutturali di politica economica;

b)     per euro 381.500 dal 2016 mediante corrispondente riduzione dell’accantonamento del Ministero dell’ambiente, all’interno della missione “Fondi da ripartire”  nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali”;

c)     per euro 4,3 milioni annui attraverso le maggiori entrate di cui all’articolo 19.

Il comma 2 prevede che il Ministro della giustizia effettui un monitoraggio semestrale delle minori entrate e riferisca al Ministro dell’economia e delle finanze. Nel caso di scostamenti, con decreto del Ministro della giustizia saranno aumentati gli importi del contributo unificato, nella misura necessaria alla copertura finanziaria delle minori entrate.

Il comma 3 stabilisce che il ministro dell’economia e delle finanze riferisca alle camere, con apposita relazione, sulle cause degli scostamenti e l’adozione delle misure adottate.

Il comma 4 autorizza il ministro dell’economia ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.

 


 

Articolo 23
(Entrata in vigore)

 

Infine, l'articolo 23 disciplina l'entrata in vigore.

Peraltro si ricorda che diversi termini di efficacia sono previsti dagli articoli 3, 12, 17, 18, 19, 20 e 21, al cui commento si rinvia.

 

 

 


 



[1]     Il saggio degli interessi legali - già fissato in origine nella misura del 5% in ragione di anno – ha subito le seguenti oscillazioni:

-         10% a decorrere dal 16 dicembre 1990;

-         5% a decorrere dal 1° gennaio 1997;

-         2,5% a decorrere dal 1° gennaio 1999;

-         3,5% a decorrere dal 1° gennaio 2001;

-         3%, a decorrere dal 1° gennaio 2002;

-         2,5%, a decorrere dal 1° gennaio 2004;

-         3% a decorrere dal 1° gennaio 2008;

-         1% a decorrere dal 1° gennaio 2010;

-         1,5% a decorrere dal 1° gennaio 2011;

-         2,5% a decorrere dal 1° gennaio 2012;

-         1% a decorrere dal 1° gennaio 2014 (in base al D.M. 12 dicembre 2013).

[2]     D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

[3]     D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192, Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell'articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180.

[4]     D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, convertito con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 17 dicembre 2012, n. 221.

[5]     Per individuare le "Amministrazioni Pubbliche" occorre fare riferimento all'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, secondo cui tali «si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo n. 300 del 1999».

[6]     Si ricorda, a titolo di esempio, che l'articolo 14, comma 1-bis, del decreto-legge n. 669 del 1996 stabilisce che «il pignoramento di crediti di cui all'articolo 543 del codice di procedura civile promosso nei confronti di Enti ed Istituti esercenti forme di previdenza ed assistenza obbligatorie organizzati su base territoriale deve essere instaurato, a pena di improcedibilità rilevabile d'ufficio, esclusivamente innanzi al giudice dell'esecuzione della sede principale del Tribunale nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento in forza del quale la procedura esecutiva è promossa».

[7]     Nella sua formulazione originaria, la richiesta dell'ufficiale giudiziario doveva essere autorizzata dal giudice dell'esecuzione; il testo del 7° co. è stato invece riformulato, prima dell’abrogazione ad opera del provvedimento in commento, dalla legge n. 52 del 2006 (Riforma delle esecuzioni mobiliari), che ha svincolato l'attività dell'ufficiale giudiziario da alcun potere autorizzativo del giudice.

[8]     D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605, Disposizioni relative all'anagrafe tributaria e al codice fiscale dei contribuenti.

[9]     La relazione illustrativa motivava questo intervento con l’esigenza di « conseguire la massima efficacia delle vendite forzate, ponendo l'immobile pignorato nella situazione di fatto e di diritto il più possibile analoga a quella di un immobile posto in vendita sul libero mercato. L'acquirente non sarà più esposto, quindi, alle incertezze legate ai tempi ed ai costi del procedimento di esecuzione per rilascio (articolo 605 del codice di procedura civile) perché l'immobile sarà liberato da colui che lo occupa senza titolo prima dell'esperimento del tentativo di vendita».

[10]   Si ricorda che il valore dell’immobile è determinato in base all’art. 568 c.p.c. facendo riferimento alla rendita catastale ovvero – se il giudice ritiene quel valore manifestamente inadeguato – alla stima di un esperto.

[11]   D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605, Disposizioni relative all'anagrafe tributaria e al codice fiscale dei contribuenti.

[12]   D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, Nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell'articolo 1 della L. 30 luglio 1998, n. 274.

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Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile

D.L. 132/14 – A.C. 2681

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 235

 

 

 

27 ottobre 2014

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9559 – * st_giustizia@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: D14132.docx

 


INDICE

Schede di lettura

Introduzione                                                                                                        3

Capo I Eliminazione dell'arretrato e trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti civili pendenti                                                                              3

§  Articolo 1 (Trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria)                                                                                      3

Capo II Procedura di negoziazione assistita da un avvocato                        9

§  Articolo 2 (Convenzione di negoziazione assistita da avvocati)                      9

§  Articolo 3 (Improcedibilità)                                                                             11

§  Articolo 4 (Non accettazione dell'invito e mancato accordo)                          13

§  Articolo 5 (Esecutività dell'accordo raggiunto a seguito della convenzione e trascrizione)                                                                                                   14

§  Articolo 6 (Convenzione di negoziazione assistita da un avvocato per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio)                                                                                                      15

§  Articolo 7 (Conciliazione avente per oggetto diritti del prestatore di lavoro)  18

§  Articolo 8 (Interruzione della prescrizione e della decadenza)                      19

§  Articolo 9 (Obblighi dei difensori e tutela della riservatezza)                         20

§  Articolo 10 (Antiriciclaggio)                                                                            21

§  Articolo 11 (Raccolta dei dati)                                                                        22

Capo III Ulteriori disposizioni per la semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio                                                               23

§  Articolo 12 (Separazione consensuale, richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi all'ufficiale dello stato civile)                      23

Capo IV Altre misure per la funzionalità del processo civile di cognizione 27

§  Articolo 13 (Modifiche al regime della compensazione delle spese)             27

§  Articolo 14 (Passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione)      29

§  Articolo 15 (Dichiarazioni rese al difensore)                                                  32

§  Articolo 16 (Modifiche alla legge 7 ottobre 1969, n. 742 e riduzione delle ferie dei magistrati e degli avvocati e procuratori dello Stato)                               33

-      Focus di diritto comparato: Francia, Germania e Spagna (a cura del Servizio Biblioteca)                                                                                    35

Capo V Altre disposizioni per la tutela del credito nonché per la semplificazione e l'accelerazione del processo di esecuzione forzata e delle procedure concorsuali                                                                                     37

§  Articolo 17 (Misure per il contrasto del ritardo nei pagamenti)                       37

§  Articolo 18 (Iscrizione a ruolo del processo esecutivo per espropriazione)   39

§  Articolo 19 (Misure per l'efficienza e la semplificazione del processo esecutivo) 46

§  Articolo 19-bis (Crediti delle rappresentanze diplomatiche e consolari straniere) 62

§  Articolo 20 (Monitoraggio delle procedure esecutive individuali e concorsuali e deposito della nota di iscrizione a ruolo con modalità telematiche)               63

Capo VI Misure per il miglioramento dell'organizzazione giudiziaria          65

§  Articolo 21 (Disposizioni in tema di tramutamenti successivi dei magistrati) 65

§  Articolo 21-bis (Istituzione del giudice di pace di Ostia e ripristino dell’ufficio del giudice di pace di Barra)                                                                                67

Capo VII Disposizioni finali                                                                              69

§  Articolo 22 (Disposizioni finanziarie)                                                              69

§  Articolo 23 (Entrata in vigore)                                                                        70

 

 


Schede di lettura

 


Introduzione

Il disegno di legge n. 2681, "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile", approvato con modificazioni dal Senato, ha ad oggetto un decreto-legge diretto a migliorare l’efficienza complessiva del processo civile. Il decreto-legge riguarda i seguenti ambiti:

·         il trasferimento in sede arbitrale di procedimenti civili pendenti (art. 1);

·         la convenzione di negoziazione assistita, quale accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati (artt. 2–13); sono disciplinate inoltre alcune ipotesi speciali di negoziazione assistita, tra cui quelle relative a separazione e divorzio;

·         ulteriori semplificazioni del procedimento di separazione e divorzio, con la possibilità per i coniugi di concludere un accordo davanti al sindaco (art. 12);

·         misure per la funzionalità del processo civile di cognizione, concernenti la compensazione delle spese, il passaggio dal rito ordinario al rito sommario, la riduzione del periodo di sospensione feriale dei termini processuali e delle ferie dei magistrati (artt. 13 – 16);

·         la tutela del credito e l’accelerazione del processo di esecuzione forzata e delle procedure concorsuali, attraverso misure di contrasto nel ritardo dei pagamenti, l’iscrizione a ruolo nel processo esecutivo per espropriazione, la semplificazione del processo esecutivo, il monitoraggio delle procedure esecutive individuali e concorsuali e il deposito della nota di iscrizione a ruolo con modalità telematiche (artt. 17 – 20);

·         il procedimento di tramutamento dei magistrati (art. 21).

 

Nel corso dell’esame, il Senato ha introdotto due nuovi articoli concernenti:

·         l’impignorabilità dei depositi a disposizione delle rappresentanze diplomatiche (art. 19-bis);

·         il ripristino degli uffici del giudice di pace a Ostia (Roma) e Barra (Napoli) (art. 21-bis).

Il Senato ha inoltre accolto la soppressione degli artt. 7 (Conciliazione avente per oggetto diritti del prestatore di lavoro) e 15 (Dichiarazioni rese al difensore nel processo civile).

Il CSM ha espresso, il 9 ottobre 2014, un articolato parere sul decreto-legge, i cui contenuti principali sono richiamati nel presente dossier nei commenti dei singoli articoli.


Capo I
Eliminazione dell'arretrato e trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti civili pendenti

Articolo 1
(Trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria)

 

Il Capo I del provvedimento - composto dal solo articolo 1 - prevede il possibile trasferimento - su base volontaria - dalla sede giudiziaria a quella arbitrale di alcune tipologie di cause civili in corso.

Il comma 1 stabilisce, infatti, che nelle cause civili dinanzi al tribunale o in grado d'appello, pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, le parti, con istanza congiunta, possono richiedere di promuovere un procedimento arbitrale a norma delle disposizioni contenute nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile (riferite all’arbitrato).

Il trasferimento è, tuttavia, soggetto ad un limite temporale e a uno di materia essendo escluso:

·        per le cause già assunte in decisione;

·        per le cause che hanno ad oggetto diritti indisponibili;

·        per le cause in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale.

Il riferimento ai diritti indisponibili dovrebbe indicare quei diritti che soddisfano interessi personali e non negoziabili. Si tratterebbe, ad esempio, dei diritti attinenti alla libertà personale, alla manifestazione del pensiero, allo status familiae (padre, figlio, coniuge); dei diritti della personalità, come il diritto al nome; dei diritti patrimoniali che scaturiscono da rapporti familiari, come il diritto agli alimenti; del diritto alle ferie nel corso del rapporto di lavoro.

 

Il contenuto della disposizione risulta analogo a quello sull’arbitrato dell’art. 806, comma 1, c.p.c., secondo cui “ le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge”. Il Senato (v. ultra) ha ulteriormente assimilato la nuova disposizione del decreto-legge a quella del codice prevedendo, in alcuni casi, l’arbitrabilità anche delle controversie di lavoro.

Un richiamo a diritti indisponibili è presente anche nell’articolo 2968 del codice civile, in base a cui le parti non possono modificare la disciplina legale della decadenza né possono rinunziare alla decadenza medesima, se questa è stabilita dalla legge in materia sottratta alla disponibilità delle parti.

 

Come accennato, il Senato ha previsto che la possibilità di trasferire la causa agli arbitri sia estesa alle cause di lavoro che abbiano nel contratto collettivo di lavoro la propria fonte esclusiva, ove il contratto stesso abbia previsto e disciplinato la soluzione arbitrale.

La stessa modifica ha stabilito che, per le controversie di valore non superiore a 50.000 euro in materia di responsabilità extracontrattuale o aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, la richiesta di arbitrato della parte privata si presume accettata quando controparte sia una pubblica amministrazione; la PA può, tuttavia, dissentire per iscritto entro 30 giorni dalla richiesta.

Potrebbe essere chiarito quale debba essere la forma dell’istanza congiunta che richiede l’arbitrato (scritta, orale in udienza, proponibile solo dalle parti o anche dai loro avvocati).

Potrebbe essere, inoltre, utile indicare i termini di un eventuale accordo per il trasferimento in sede arbitrale in una serie di casi quali, ad esempio, le controversie plurisoggettive, i litisconsorzi, le unioni di cause.

 

Per quanto riguarda le modalità procedurali, il comma 2 prevede che il giudice, rilevata la sussistenza delle condizioni di cui al comma 1, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, dispone la trasmissione del fascicolo al presidente del Consiglio dell'ordine forense del circondario in cui ha sede il tribunale (ovvero la corte di appello) per la nomina:

§  del collegio arbitrale per le controversie di valore superiore a 100.000 euro;

§  di un arbitro unico, se vi è accordo delle parti, per le liti di valore inferiore.

Il testo iniziale della norma prevedeva, indipendente dal valore, la devoluzione della lite ad un collegio arbitrale. La possibilità, in base al valore della lite, di attribuire la causa ad un arbitro unico è stata introdotta dal Senato.

 

Occorre valutare se il trasferimento alla fase arbitrale delle preclusioni e delle decadenze già intervenute nel giudizio sia conforme al sistema dell’arbitrato, ordinariamente regolato dalla disciplina concordata nella convenzione di arbitrato o da quanto stabilito dagli stessi arbitri.

 

Gli arbitri sono individuati concordemente dalle parti o (in caso di disaccordo) dal presidente del Consiglio dell'ordine, tra gli avvocati iscritti da almeno 5 anni all’albo circondariale ai quali, per lo stesso periodo, non siano state inflitte condanne definitive comportanti la sospensione dall’albo. La previsione quinquennale è frutto di una modifica introdotta dal Senato (il testo vigente del decreto-legge prevede iscrizione triennale all’albo ed assenza di condanne disciplinari definitive).

 

Occorre valutare gli effetti derogatori della formulazione del comma 1 dell'articolo 1 rispetto al codice di procedura civile. Infatti – limitatamente ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge – il comma 1 consente alle parti, con istanza congiunta, di promuovere un procedimento arbitrale “a norma delle disposizioni contenute nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile".

L’attribuzione per legge al Presidente del consiglio dell’ordine del potere di nomina degli arbitri, in mancanza di accordo tra le parti, non pare coordinata con alcune disposizioni contenute nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile, quali, ad esempio, gli articoli 811, sulla sostituzione degli arbitri; 813-bis, sulla decadenza degli arbitri; 814, secondo comma, sulla determinazione delle spese e degli onorari degli arbitri; 815, sulla decisione sulla ricusazione degli arbitri. In tali disposizioni, la previsione della competenza del presidente del tribunale presuppone infatti l'attribuzione allo stesso del potere di nomina degli arbitri.

Analogamente, la previsione secondo cui gli arbitri sono individuati tra gli avvocati iscritti da almeno cinque anni all'albo deroga alla disciplina generale codicistica che non prevede che gli arbitri debbano essere scelti all'interno di categorie legislativamente predeterminate. Occorre valutare, quindi, se la previsione di cui al comma 2 dell'articolo 1 possa essere derogata dall'accordo delle parti.

 

Il Senato ha aggiunto un comma 2-bis con il quale si rende incompatibile la funzione di consigliere dell’ordine degli avvocati con l’incarico arbitrale; l’incompatibilità è, peraltro, estesa anche ai consiglieri uscenti per tutto il periodo della consiliatura successiva.

Il comma 3 stabilisce quindi la continuità del procedimento giudiziale con quello arbitrale, rimanendo fermi gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda giudiziale nonché quelli del lodo, che equivalgono a quelli della sentenza.

 

Andrebbe chiarito se permanga, per la parte che ha interesse a dare esecuzione al lodo, l’obbligo di depositare quest’ultimo presso il tribunale. In linea generale bisogna infatti distinguere tra vincolatività del lodo e sua esecutività. Occorre poi considerare anche la modifica al comma 4 approvata dal Senato (v. ultra) per l’arbitrato in appello, che prevede esplicitamente il deposito del lodo.

Si segnala, poi, che - diversamente dal procedimento arbitrale in appello (v. comma 4) - per quello di primo grado non sono stabiliti termini per la conclusione del procedimento né per l’eventuale riapertura del giudizio in caso di mancata pronuncia del lodo.

 

Il comma 4 detta disposizioni per il trasferimento in sede arbitrale disposto in appello.

In tali casi, se il procedimento non si conclude con la pronuncia del lodo entro 120 giorni dall'accettazione della nomina del collegio arbitrale, il processo deve essere riassunto entro il termine perentorio di 60 giorni. Il Senato ha integrato tale previsione stabilendo che, previo accordo delle parti, gli arbitri possano chiedere di prorogare il deposito del lodo di altri 30 gg.; ciò, anche in relazione alla prevista impossibilità di pronunciare il lodo una volta riassunto il processo d’appello.

 

Potrebbe essere utile chiarire se i citati 30 giorni di proroga riguardino la pronuncia anziché il deposito del lodo, stante la circostanza che quest’ultimo è atto di parte (ai fini della sua esecutività e trascrivibilità) e non degli arbitri. La disciplina del c.p.c. (cui rinvia il comma 1) prevede infatti che, dopo la pronuncia da parte degli arbitri, il lodo deve essere comunicato alle parti in originale o copia attestata conforme entro 10 gg dalla sua sottoscrizione (art. 824 c.p.c.). Il lodo viene poi depositato dalla parte che lo intende fare eseguire presso la cancelleria del tribunale del circondario di svolgimento dell’arbitrato (art. 825 c.p.c.).

 

Dalla mancata riassunzione nel termine deriva l’estinzione del procedimento nonché l’applicazione dell'articolo 338 c.p.c. (ovvero il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti con provvedimenti pronunciati nel procedimento estinto).

Ove con sentenza (ex art. 830 c.p.c.) sia stato dichiarata la nullità del lodo pronunciato entro il termine di 120 giorni o, in ogni caso, entro la scadenza di quello per la riassunzione (60 giorni), il processo deve essere riassunto entro 60 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di nullità.

Occorrerebbe coordinare la formulazione del comma 4 sulla pronuncia di nullità del lodo, con il richiamo anche alla possibile proroga di 30 gg. introdotta dal Senato per il deposito del lodo medesimo (v. ante). In base alla modifica del Senato, infatti, il lodo può essere depositato, a seguito della proroga, anche entro 150 giorni.

 

Il comma 5 dell’art. 1 stabilisce che, nei casi sopraindicati di trasferimento alla sede arbitrale, sia in primo grado sia in appello, con decreto regolamentare del Ministro della giustizia possano essere stabilite riduzioni dei parametri relativi ai compensi degli arbitri. La previsione sembra avere finalità di incentivo al ricorso all’arbitrato, anche in considerazione delle spese già sostenute dalle parti nel procedimento giudiziale.

Per l’adozione del decreto, il Senato ha introdotto il termine di 90 giorni decorrente dalla data di entrata in vigore della legge di conversione.

Nei medesimi casi di trasferimento alla sede arbitrale, le parti non sono tenute al pagamento in solido degli arbitri, salvo rivalsa.

Il Senato ha, infine, aggiunto un comma 5-bis secondo cui il DM deve stabilire anche i criteri per l'assegnazione degli arbitrati; tra di essi, con carattere non esaustivo la disposizione esplicitamente prevede:

-        le competenze professionali dell'arbitro, anche in relazione alle ragioni del contendere e alla materia oggetto della controversia;

-         il principio della rotazione nell'assegnazione degli incarichi, prevedendo altresì sistemi di designazione automatica.

 

Il parere del CSM sull’art. 1 del decreto-legge ha evidenziato diversi profili di criticità del testo. Il Consiglio, in particolare, ha rilevato specifici aspetti di incertezza riferiti al profilo più strettamente processuale (tra questi, la mancata previsione della specifica forma della domanda di trasferimento del giudizio e di termini certi per la definizione dell’arbitrato in primo grado; la possibilità di trasferire in sede arbitrale le preclusioni e le decadenze già intervenute; la possibilità che il lodo in appello intervenga in secondo grado su una pronuncia di primo grado emessa da un giudice).

 

 

 

 


Capo II
Procedura di negoziazione assistita da un avvocato

Articolo 2
(Convenzione di negoziazione assistita da avvocati)

 

Le disposizioni del Capo II - articoli da 2 a 11 - hanno ad oggetto la disciplina della procedura di negoziazione assistita da avvocati, introdotta nell'ordinamento dallo stesso decreto-legge.

Si tratta, nella sostanza, di un ulteriore strumento di risoluzione stragiudiziale delle controversie civili, che si affianca agli istituti analoghi già esistenti e che intende dare rapida tutela dei diritti dei cittadini, confinando all’area giudiziale le sole liti che appaiono irrisolvibili anche all’esito della negoziazione assistita. Quest’ultima potrà essere attivata per qualsiasi controversia, ad esclusione di quelle relative a diritti indisponibili o, a seguito di una modifica del Senato, quelle relative a cause di lavoro.

L’originario decreto-legge prevede l’assistenza di un solo avvocato; una modifica del Senato ha stabilito che la convenzione di negoziazione sia assistita da uno o più avvocati.

In riferimento alle disposizioni del Capo in esame si rileva, in generale, come sotto numerosi profili esse mutuino soluzioni già sperimentate dal legislatore con il decreto legislativo 28/2010 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali.

In particolare, l'articolo 2 prevede che costituisce dovere deontologico degli avvocati informare il cliente all'atto del conferimento dell'incarico della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita (comma 7); la mancata informativa al cliente costituisce quindi infrazione disciplinare dell’avvocato.

Tale convenzione è definita dal comma 1 come l'accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati, compresi quelli cd. ”stabiliti”, iscritti all'albo.

Gli avvocati stabiliti sono gli avvocati abilitati in uno dei Paesi della UE che hanno ottenuto lo stabilimento in Italia ai sensi del D.Lgs 96 del 2001 e che hanno diritto di esercitare nel nostro Paese.

 

Il Senato ha previsto che le amministrazioni pubbliche (art. 1, comma 2, D.Lgs 165/2001) siano obbligate ad affidare la convenzione di negoziazione a propri avvocati (ove sia presente un’avvocatura).

In relazione al contenuto, la convenzione deve indicare:

  1. il termine concordato dalle parti per la conclusione della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese; il Senato ha integrato tale previsione, aggiungendo anche un limite massimo di durata pari a tre mesi, fatto salvo un “rinnovo su accordo delle parti nel termine di 30 giorni”;
  2. l'oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili nè, a seguito di una modifica apportata dal Senato, le cause di lavoro.

In relazione al rinnovo di cui alla lettera a) andrebbe chiarito se, come sembra, il citato termine di 30 giorni decorre dalla scadenza del termine trimestrale.

Per quanto, invece, riguarda l’esclusione dei diritti indisponibili dall’ambito della negoziazione assistita, potrebbe essere opportuno che il comma 2, lett. b), faccia riferimento alla deroga a tale principio costituita dal contenuto degli artt. 2 e 6.

I commi successivi al 2 prevedono rispettivamente che la convenzione è conclusa per un periodo di tempo determinato dalle parti, fermo restando il citato limite minimo (comma 3) e che essa è redatta, a pena di nullità, in forma scritta (comma 4).

La previsione di cui al comma 3 non appare coordinata con l’introduzione, da parte del Senato, anche di un limite massimo di durata della procedura.

Dopo che il comma 5 ha stabilito che la convenzione è conclusa con l'assistenza di uno o più avvocati (la disposizione risulta peraltro ripetitiva del contenuto del comma 1), il comma 6 stabilisce che gli avvocati certificano l'autografia delle sottoscrizioni apposte alla convenzione sotto la propria responsabilità professionale.

 

Pur dichiarandosi favorevole ai sistemi di risoluzione alternativa delle controversie, il CSM, nel suo parere sul D.L., ha sollevato specifici rilievi incentrati, in particolare, sulla possibile sovrapposizione della procedura di negoziazione assistita con analoghi strumenti stragiudiziali già presenti nell’ordinamento.

Viene rilevata, in particolare, la necessità di coordinare il nuovo strumento in relazione alla procedura preventiva alla lite per risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti prevista nel Codice delle assicurazioni (art. 145, D.Lgs. 209/2005) come condizione di proponibilità (e non procedibilità) della domanda (v. ultra, art. 3).


 

Articolo 3
(Improcedibilità)

 

L’articolo 3 qualifica l'esperimento del procedimento di negoziazione assistita come condizione di procedibilità in specifiche materie. Chi agisce in giudizio deve, quindi, preventivamente invitare il convenuto alla stipula della convenzione di negoziazione. Ciò vale, infatti, con specifico riguardo (comma 1):

§  alle domande giudiziali relative a controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti;

§  alle domande di pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non superiori a 50.000 euro.

 

Si ricorda che il D.L. n. 69 del 2013, nel ridisciplinare la mediazione obbligatoria dopo l'intervento della Corte costituzionale (sentenza 272/2012) che aveva dichiarato illegittimo il comma 1 dell'articolo 5 del D.L. n. 28 del 2010 per eccesso di delega, ha espunto dall'ambito applicativo della nuova mediazione obbligatoria la materia del risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti. A supporto della scelta, nella relazione illustrativa al d.d.l. di conversione del D.L. 69, sono stati forniti alcuni dati statistici che mostrano che dal 21 marzo 2011 al 30 giugno 2012 le predette controversie - a fronte di una percentuale generale del 46,4 per cento di raggiungimento dell'accordo nei casi di aderente (alla domanda di mediazione) comparso - registravano una percentuale del 96,2 per cento di aderente non comparso; la funzionalità della mediazione nel settore era risultata quindi particolarmente bassa per le dinamiche innescate dalla decisiva presenza dell'ente assicurativo.

 

L’improcedibilità non trova invece applicazione:

§  per le controversie in materia di obbligazioni contrattuali derivanti da contratti tra professionisti e consumatori (comma 1)

§  per quelle di cui all’art. 5, comma 1-bis del D.Lgs. 28/2010 (sulla mediazione) cioè le liti in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari (comma 1);

§  nei procedimenti per ingiunzione (compresa l’eventuale opposizione); di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata; nei procedimenti camerali e nell'azione civile nel processo penale (comma 3);

§  quando la parte può stare in giudizio personalmente (comma 7).

Lo stesso comma 1 fissa alla prima udienza il limite procedurale entro il quale il convenuto (o il giudice, d’ufficio) può eccepire l’improcedibilità del giudizio per mancato esperimento del procedimento di negoziazione assistita.

 

Il comma 2 indica le situazioni in cui la condizione di procedibilità si considera avverata (mancata adesione nei termini, spirare del termine mensile per la conclusione del procedimento, rifiuto dell’invito di negoziazione).

Con il comma 4 si dispone che l'esperimento della nuova forma conciliativa non possa precludere la concessione di provvedimenti cautelari o d'urgenza né la trascrizione della domanda giudiziale.

 

Sono fatte salve dal comma 5 le disposizioni che contemplano speciali procedimenti obbligatori di mediazione e di conciliazione, comunque denominati. Il Senato ha integrato la formulazione di tale comma stabilendo che il termine di cui ai commi 1 e 2, per materie soggette ad altri termini di procedibilità, decorre unitamente ai medesimi.

 

Il relatore Cucca ha precisato, nel corso della relazione in Assemblea al Senato (16 ottobre 2014 ), che tale norma risolve il rapporto tra le nuove procedure di cui agli articoli 1 e 2 e gli altri procedimenti speciali obbligatori e mediazione di conciliazione.

 

Si osserva che la disposizione non chiarisce il significato del decorso unitario dei termini.

 

Il comma 6 disciplina la procedura quando una delle parti della negoziazione assistita possa essere ammessa al gratuito patrocinio.

 

Sulla base della formulazione letterale della disposizione, non sarebbe applicabile alla nuova fattispecie l’art. 82 del testo unico sulle spese di giustizia sulla liquidazione da parte del giudice dell’onorario e delle spese spettanti al difensore nel gratuito patrocinio.

 

Il comma 8, infine, stabilisce che le disposizioni dell’articolo 3 siano efficaci una volta decorsi 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.

Occorre valutare se il differimento dell’efficacia debba interessare analogamente anche gli articoli successivi in tema di negoziazione assistita.

 

 


 

Articolo 4
(Non accettazione dell'invito e mancato accordo)

 

L'articolo 4 regola gli effetti della mancata accettazione e del fallimento dell’accordo di negoziazione assistita.

È previsto al comma 1 che l'invito che l'avvocato di una parte rivolge all'altra debba contenere, oltre all'indicazione dell'oggetto della controversia, lo specifico avvertimento che la mancata risposta all'invito entro 30 giorni dalla ricezione o il suo rifiuto possono essere valutati dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 (possibile condanna della parte soccombente anche al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata in caso di mala fede o colpa grave) e 642, primo comma, c.p.c. (possibile esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo per credito fondato su cambiale, assegno bancario, assegno circolare, certificato di liquidazione di borsa o su atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato).

Si tratta di previsioni finalizzate, quindi, a favorire la serietà del tentativo di conclusione dell'accordo.

L'avvocato che formula l'invito alla negoziazione assistita provvede a certificare la firma apposta (comma 2) mentre sarà di competenza degli avvocati designati certificare la dichiarazione di mancato accordo (comma 3).

 


 

Articolo 5
(Esecutività dell'accordo raggiunto a seguito della convenzione
e trascrizione)

 

L’articolo 5 disciplina gli effetti del raggiungimento dell’accordo di negoziazione assistita.

 

Il comma 1 attribuisce all'accordo che definisce la lite valore di titolo esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.

L'accordo è sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che certificano l'autografia delle firme e la conformità dell'accordo alle norme imperative ed all'ordine pubblico (comma 2).

Occorre valutare quali siano gli effetti di tale certificazione. Infatti, qualora l'accordo risulti contrario a norme imperative o di ordine pubblico, esso sarà affetto da nullità secondo i principi generali (art. 1418 c.c.) e tale nullità potrà essere fatta valere nei modi ordinari.

 

Un comma 2-bis, introdotto dal Senato, prevede che l’accordo di negoziazione assistita – in quanto titolo esecutivo - debba essere necessariamente oggetto di trascrizione integrale nel precetto ex art. 480, secondo comma, del codice processuale civile.

 

Sarà invece necessario che il processo verbale dell’accordo sia autenticato da un pubblico ufficiale quando l'accordo riguardi la conclusione di contratti o atti soggetti a trascrizione (comma 3).

E’ stato soppresso dal Senato il riferimento all’art. 2643 c.c. in relazione agli atti da trascrivere; l’emendamento non pare tuttavia, avere effetti sostanziali essendo gli atti soggetti a trascrizione indicati proprio dall’art. 2643.

 

Viene, infine, sancita l’illiceità sotto il profilo deontologico della condotta dell’avvocato che impugni un accordo di cui ha contribuito alla redazione (comma 4).


 

Articolo 6
(Convenzione di negoziazione assistita da un avvocato per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio)

 

L’articolo 6 regola una particolare forma di convenzione di negoziazione assistita (comma 1) finalizzata specificamente alla soluzione consensuale stragiudiziale delle controversie in materia di separazione personale, di cessazione degli effetti civili e scioglimento del matrimonio ovvero di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

Una modifica apportata dal Senato precisa che la convenzione deve essere assistita da almeno un avvocato per parte (il comma 1 prevedeva la “negoziazione assistita da un avvocato”).

 

Il comma 2, integralmente sostituito nel corso dell’esame al Senato, prevede in particolare un obbligatorio passaggio giudiziale dell’accordo di negoziazione assistita.

Nel testo vigente del decreto-legge, la disposizione vieta il ricorso alla convenzione di negoziazione assistita in presenza di figli minori o di figli maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti.

Il nuovo comma 2, invece, prevede due ipotesi: il procedimento in mancanza di figli minori, maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti e quello in presenza degli stessi.

Nel procedimento in presenza dei figli, l’accordo a seguito di convenzione di negoziazione assistita è trasmesso entro 10 giorni al pubblico ministero presso il tribunale competente. Il p.m. lo autorizza quando ritiene che l’accordo risponda all’interesse dei figli. In caso contrario, l’accordo è trasmesso entro 5 gg. dal PM al presidente del tribunale che fissa, entro i successivi 30 gg., la comparizione delle parti e provvede “senza ritardo”.

Altra novità rispetto al testo iniziale consiste nel fatto che anche l’accordo concluso in assenza di figli minori o di figli maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti debba essere  trasmesso al PM che, se non ravvisa irregolarità, concede agli avvocati il nullaosta per la trasmissione dell’accordo stesso agli uffici di stato civile competenti (v. comma 3).

Sarebbe opportuno indicare, in entrambe le ipotesi descritte (presenza o assenza di figli minori, ecc.), la forma che assume l’autorizzazione o il nullaosta da parte del PM.

 

La conclusione dell'accordo a seguito della convenzione è pienamente sostitutiva e produce quindi gli effetti dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. A seguito di una ulteriore modifica introdotta dal Senato, viene precisato che l’accordo deve dare atto che gli avvocati:

§  anche in assenza di figli, hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di ricorso alla mediazione familiare (il tentativo di conciliazione è obbligatorio nell’ordinario procedimento giudiziale);

§  hanno informato le parti dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ognuno dei genitori.

Si rileva che, nella prima ipotesi, il riferimento espresso alla mediazione familiare non è previsto né nell’art. 708 c.p.c., sul procedimento di separazione, né nell’art. 4 della legge 898/1970, relativo al procedimento di divorzio. L’art. 337-octies del codice civile prevede che il giudice possa differire l’adozione dei provvedimenti sull’affidamento dei minori in caso di separazione, quando le parti acconsentano a rivolgersi ad esperti per tentare una mediazione.

 

E' fatto quindi obbligo all'avvocato di trasmettere entro dieci giorni copia autentica dell'accordo all'ufficiale di stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto (se religioso) (comma 3).

Il comma 4 prevede a carico degli avvocati inadempienti agli obblighi di trasmissione la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 10.000 euro, per la cui irrogazione è competente il comune ove devono essere eseguite le annotazioni negli atti di matrimonio previste dall'ordinamento dello stato civile.

L’entità della sanzione amministrativa secondo il decreto-legge in vigore è compresa tra i 5.000 e i 50.000 euro. La riduzione dei limiti pecuniari è frutto di una modifica del Senato.

 

Con il comma 5 si interviene infine su alcuni articoli - 49, 63 e 69 -  del regolamento di stato civile (DPR 396 del 2000) per coordinare la disciplina vigente con quanto previsto dalle disposizioni in commento.

Si osserva la disposizione modifica parzialmente una fonte secondaria.

La disposizione aggiunge gli accordi tra coniugi raggiunti con la convenzione di negoziazione assistita oppure autorizzati dal PM (ai sensi del nuovo comma 2) tra gli atti di cui deve esser data notizia nella documentazione tenuta dagli uffici di stato civile.

In particolare, il comma 5 – modificato dal Senato per coordinarne il contenuto con l’emendamento approvato al comma 2 - prevede che gli accordi raggiunti tra le parti o autorizzati dal PM:

-        siano annotati negli atti di nascita (art. 49);

-        siano iscritti o trascritti nell’archivio informatico dello stato civile (art. 63);

-        siano annotati negli atti di matrimonio (art. 69).

 

Si rammenta che la mancanza di un'udienza di comparizione dei coniugi nell'ipotesi di separazione consensuale tramite negoziazione assistita da un avvocato impone - e a ciò provvede il successivo comma 4 dell’articolo 12 del decreto-legge in conversione - la modifica dell'articolo 3 della legge sul divorzio: il termine ivi previsto per la proposizione della domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio decorre dalla data certificata nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita.

 

Il parere del CSM rileva come un maggior contenimento dell’ambito operativo della norma sarebbe forse opportuno, in particolare escludendone sempre l’applicazione in presenza di figli. Critiche sono rivolte alla previsione circa il ruolo del PM nella procedura, anche in relazione all’assenza di ogni verifica, da parte di un soggetto terzo e imparziale, della condizione di autosufficienza economica degli eventuali figli maggiorenni (che costituisce condizione di accesso alla procedura non giudiziale ed è suscettibile di strumentalizzazione da parte dei genitori in eventuale conflitto di interessi). Sono inoltre evidenziate asimmetrie e necessità di coordinamento della nuova disciplina sia con quella codicistica che con quella della legge 898/1970 sul divorzio.

 


 

Articolo 7
(Conciliazione avente per oggetto diritti del prestatore di lavoro)

 

L'articolo 7 - soppresso dal Senato - contiene una specifica disciplina della conciliazione che ha per oggetto diritti del prestatore del lavoro.

Viene, infatti, integrato dall’art. 7 il quarto comma dell’art. 2113 del codice civile che prevede la possibilità di derogare all’invalidità delle rinunzie e transazioni relative a diritti del prestatore di lavoro anche quando l'accordo è concluso a seguito della procedura di negoziazione assistita.

 

L’art. 2113 c.c. stabilisce che le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’art. 409 c.p.c. non sono valide.

L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima.

Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà.

Le disposizioni indicate non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile o conclusa a seguito di una procedura di negoziazione assistita da un avvocato.

 

Per effetto dell’art. 7, quindi, questo tipo di conciliazione è equiparato alla conciliazione giudiziale (articolo 185 c.p.c.), a quella conclusa innanzi alla commissione di conciliazione (articolo 410 del codice di procedura civile), a quella disciplinata dai contratti collettivi (articolo 412-ter del codice di procedura civile) e, infine, a quella che ha luogo innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale disciplinato dall'articolo 412-quater del codice di procedura civile.

L'equiparazione si giustifica - secondo la relazione di accompagnamento del d.d.l. di conversione presentato al Senato - perché gli avvocati, a norma dell'articolo 5, comma 2, hanno l'obbligo di verificare "la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico".

 

Il parere del CSM era fortemente critico con il contenuto dell’articolo 7 sia in riferimento “alle scelte sostanziali di politica del diritto” che alla “individuazione del corretto ambito di applicazione del modulo conciliativo della negoziazione assistita nel contenzioso giuslavoristico”.

 


 

Articolo 8
(Interruzione della prescrizione e della decadenza)

 

Dall'articolo 8 del decreto-legge sono regolati gli effetti sulla prescrizione e la decadenza dall’azione giudiziale determinati dall'invito a stipulare la convenzione di negoziazione assistita, equiparando il predetto invito alla domanda giudiziale.

In analogia alle previsioni dell’art. 2943 c.c. (che prevede l’interruzione della prescrizione dal momento della notificazione dell’atto con cui si inizia un giudizio) interrompe il corso della prescrizione l’invito alla stipula della convenzione di negoziazione assistita. Analoghi effetti conseguono dal momento della sottoscrizione della convenzione tra le parti.

Dalla stessa data di comunicazione dell'invito a stipulare la convenzione, per una sola volta, è impedita la decadenza dall'azione. Se l'invito non è accettato nel termine stabilito dall'articolo 4, comma 1 (30 gg dalla ricezione dell’invito) o è rifiutato, la domanda in giudizio, affinché non operi la decadenza prevista dalla legge, deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza; detto termine decorre dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla certificazione di mancato accordo certificata dagli avvocati.

 

 

 


 

Articolo 9
(Obblighi dei difensori e tutela della riservatezza)

 

L'articolo 9 individua gli obblighi dei difensori cui è affidata la procedura di negoziazione assistita.

In particolare, è vietato agli avvocati essere nominati arbitri ex art. 810 c.p.c. nelle controversie aventi il medesimo oggetto della convenzione di negoziazione (o connesse); gli stessi avvocati e le parti sono vincolati ad obblighi di lealtà e riservatezza sul contenuto delle informazioni ricevute (commi 1 e 2).

E’ precisata in particolare l’impossibilità di utilizzo in un eventuale, successivo giudizio delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel corso della negoziazione (in caso di fallimento di quest’ultima). Corollario di quest’ultima previsione è l’applicazione - sia agli avvocati che a tutti coloro che partecipano al procedimento - delle disposizioni sul diritto di non testimoniare in merito alle citate dichiarazioni ed informazioni (comma 3) nonché, ai sensi del comma 4, quelle sul segreto d'ufficio (art. 200 c.p.p.) e sulle garanzie di libertà del difensore di cui all’art. 103 del medesimo codice (limiti alle ispezioni, perquisizioni e sequestri negli uffici del difensore).

Il Senato ha aggiunto all’art. 9 un comma 4-bis che rende illecito disciplinare dell’avvocato l’incompatibilità con l’assunzione della qualità di arbitro (nelle controversie aventi il medesimo oggetto della negoziazione assistita) nonché la violazione dei citati obblighi di lealtà e riservatezza.

 


 

Articolo 10
(Antiriciclaggio)

 

Con l'articolo 10 è integrato l'articolo 12, comma 2, del D.Lgs. 231 del 2007 (cd decreto antiriciclaggio) nel senso di escludere in capo all'avvocato l'obbligo di segnalazione di operazioni sospette imposto ai professionisti dalla predetta legge, anche nell'ipotesi di consulenza sull'eventualità di intentare o evitare un procedimento, nella quale si sia innestata la procedura di negoziazione assistita come illustrata ai precedenti articoli.

 

Gli avvocati sono, infatti. tra i soggetti in capo ai quali l’art. 41 del D.Lgs 231 prevede specifici obblighi di segnalazione di operazioni finanziarie sospette.

Gli avvocati, come gli altri obbligati, inviano alla Unita di informazione finanziaria per l’Italia presso la Banca d’Italia (UIF) una segnalazione di operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.

L’art. 12, comma 2 del D.Lgs 231 del 2007, nella versione previgente il decreto in esame, stabiliva in particolare che quando, in nome o per conto dei propri clienti, compiono qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i propri clienti nella predisposizione o nella realizzazione di determinate operazioni finanziarie, specifiche categorie di professionisti (avvocati, notai, dottori commercialisti ed esperti contabili, consulenti del lavoro, ecc.) sono esclusi dall'obbligo di segnalazione di operazioni sospette per le informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso, nel corso dell'esame della posizione giuridica del loro cliente o dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualità di intentare o evitare un procedimento ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso.

 


 

Articolo 11
(Raccolta dei dati)

 

L'articolo 11 reca norme in materia di raccolta dei dati concernenti le procedure di negoziazione assistita. È previsto in particolare:

§  che i difensori siano tenuti a trasmettere copia degli accordi raggiunti mediante la procedura di negoziazione assistita al Consiglio dell'ordine circondariale del luogo ove l'accordo stesso è stato raggiunto ovvero al consiglio a cui è iscritto uno degli avvocati che hanno prestato assistenza nella convenzione, al fine di coprire il caso in cui l'accordo venga concluso fuori dal territorio nazionale;

§  che il Consiglio nazionale forense provveda, annualmente, al monitoraggio delle procedure di negoziazione assistita e trasmetta i dati significativi delle medesime procedure al Ministero della giustizia, per una compiuta valutazione dell'efficacia dell'istituto,

§  che il ministro della giustizia trasmetta alle Camere, ogni anno, una relazione dettagliata sullo stato di attuazione della nuova disciplina comprensiva di dettagliati dati statistici sulla tipologia di controversie interessate alla negoziazione assistita ed il numero per anno delle iscrizioni a ruolo (anch’esse distinte per tipologia). Tali obblighi di relazione sono frutto di un emendamento approvato dal Senato.

 

Il riferimento al numero di iscrizioni a ruolo pare doversi riferire ai casi di insuccesso delle negoziazioni

 

 

 

 


Capo III
Ulteriori disposizioni per la semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio

Articolo 12
(Separazione consensuale, richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi all'ufficiale dello stato civile)

 

Il Capo III è costituito dal solo articolo 12 che introduce una ulteriore disciplina volta alla semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio, che dovrebbe avere effetti complementari rispetto a quanto già previsto dall’articolo 6 sulla negoziazione assistita.

Oltre che davanti ad avvocati, viene infatti garantita dall’art. 12 la possibilità di concludere dinanzi al sindaco, quale ufficiale dello stato civile (il Senato ha così sostituito il riferimento alla comparizione davanti all’ufficiale dello stato civile) del comune di residenza di uno dei coniugi (ovvero di iscrizione o trascrizione dell'atto di matrimonio) un accordo di separazione o di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili o, infine, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

Il Senato ha previsto l’espresso riferimento all’assistenza facoltativa di un avvocato nell’accordo di separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.

L’indicata disciplina incontra le stesse condizioni ostative previste dall’articolo 6 per la negoziazione assistita (ora, per quest’ultima, superabili se l’accordo sia rispondente all’interesse del figlio, v. ante art. 6) cioè la presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti (comma 2). Il Senato ha precisato che, per la gravità dell’handicap ci si debba riferire alle situazioni indicate dall’art. 3, comma 3, della legge 104 del 1992 (si è, quindi, in presenza di handicap “grave” quando si renda “necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione”).

Occorre pertanto valutare quali siano le conseguenze applicative relative alla definizione di “handicap grave”, presente nell’articolo 12 e assente nell’art. 6, comma 2.

 

Riguardo alla procedura (comma 3), il sindaco dovrà sostanzialmente ricevere la dichiarazione personale delle due parti sulla loro volontà di concludere l’accordo sulla base delle condizioni concordate. Appena ricevute le dichiarazioni, l’atto contenente l’accordo è compilato e sottoscritto immediatamente dalle parti; anche qui, una modifica del Senato ha previsto la possibilità per queste ultime di farsi assistere da un avvocato.

L'accordo concluso davanti al sindaco - che non può contenere patti di trasferimento patrimoniale (possibili invece nella negoziazione assistita in relazione alla specifica competenza professionale dell’avvocato) - tiene luogo dei corrispondenti provvedimenti giudiziali (comma 3); soprattutto, gli effetti dell'accordo avranno luogo (anche ai fini dei 3 anni necessario per il divorzio) dalla data dell'atto contenente l'accordo sottoscritto dai coniugi e non più dalla comparizione innanzi al tribunale.

Si valuti se la generica locuzione “patti di trasferimento patrimoniale” rischi di limitare eccessivamente l’ambito applicativo della norma. Si pensi a casi meno complessi, frequenti nella pratica e non bisognosi di specifica assistenza legale, in cui l’accordo concluso potrebbe avere ad oggetto somme di denaro o di beni mobili (es. auto, scooter o animali da compagnia). Ciò senza considerare che nulla vieta che le parti, se oggetto del trasferimento patrimoniale dovessero essere beni immobili, possano, come previsto, farsi assistere da un avvocato per la conclusione dell’accordo.

 

Una modifica del Senato prevede un ulteriore adempimento procedurale per la conferma dell’accordo che riguardi condizioni concordate di separazione personale o di cessazione degli effetti civili del matrimonio o di scioglimento del matrimonio.

Il sindaco, infatti - nei casi di accordo– dovrà invitare i coniugi a comparire davanti a sé entro 30 gg. dalla ricezione delle dichiarazioni per la conferma dell’accordo, anche ai fini degli adempimenti relativi all’aggiornamento dei registri di stato civile (di cui al successivo comma 5). La mancata comparizione è motivo di mancata conferma dell’accordo.

La pausa di riflessione di 30 gg è, invece, esclusa per l’accordo riguardante la modifica delle condizioni di separazione e divorzio.

 

I commi 4 e 5 dell’articolo 12 contengono disposizioni di coordinamento con le novità introdotte mentre l’ultimo comma prevede il regime fiscale degli accordi sottoscritti.

Il comma 4 adegua il contenuto dell’art. 3, comma 1, della legge 898/1970 sul divorzio (casi in cui uno dei coniugi può chiedere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio) integrandolo con le nuove possibilità offerte dagli articoli 6 e 12 del decreto-legge.

 

Con il comma 5 si apportano modifiche al regime delle annotazioni negli atti di nascita e di matrimonio (artt. 49, 63 e 69 del DPR 396/2000, TU stato civile) analoghe a quelle previste dall’art. 6 sulla negoziazione assistita.

Come già rilevato all’articolo 6, la disposizione in esame opera modifiche parziali di norme secondarie.

 

Inoltre il comma 6 integra la tabella D allegata alla legge n. 604 del 1962 (Modificazioni allo stato giuridico e all'ordinamento della carriera dei segretari comunali e provinciali) con un nuovo punto 11-bis che stabilisce che il diritto fisso spettante ai Comuni all'atto del perfezionamento dei nuovi accordi (di separazione, di divorzio, di modifica delle condizioni di separazione o divorzio) non può superare l'imposta fissa di bollo prevista per le pubblicazioni di matrimonio.

Il comma 7 prevede che la nuova disciplina descritta trovi applicazione decorsi 30 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.

 

Il parere del CSM ripropone rilievi analoghi a quelli sollevati con riferimento alla negoziazione assistita in materia di rapporti coniugali (cfr. art. 6) ed in ordine al ruolo ed alla funzione del pubblico ministero.

 

 

 

 


Capo IV
Altre misure per la funzionalità del processo civile di cognizione

Articolo 13
(Modifiche al regime della compensazione delle spese)

 

Il capo IV contiene misure per la funzionalità del processo civile di cognizione.

L’articolo 13 delimita i casi in cui il giudice può compensare le spese tra le parti.

La relazione illustrativa dell’originario disegno di legge di conversione, presentato al Senato, rilevava che, nonostante le modifiche restrittive introdotte negli ultimi anni, nella pratica applicativa si continua a fare larghissimo uso del potere discrezionale di compensazione delle spese processuali, con conseguente incentivo alla lite, posto che la soccombenza perde un suo naturale e rilevante costo.

Al fine di disincentivare l'abuso del processo, con l'articolo 13, comma 1, viene modificato l’art. 92 c.p.c., con la previsione che la compensazione, parziale o per intero, possa essere disposta dal giudice solo nei casi di soccombenza reciproca ovvero di novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza.

L’art. 92 c.p.c., nel testo previgente, stabiliva invece che la compensazione parziale o integrale possa essere decisa dal giudice se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione.

Il Senato ha modificato l’articolo 13, precisando ulteriormente i presupposti in presenza dei quali il giudice può compensare le spese tra le parti. In primo luogo, la novità della questione trattata deve essere “assoluta”; in secondo luogo, il mutamento della giurisprudenza è riferito alle “questioni dirimenti”.

Inoltre, il Senato ha posposto al termine del periodo il richiamo al carattere parziale o integrale della compensazione delle spese tra le parti. Il testo originario del decreto-legge prevede invece che il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti.

Si valuti se il venir meno – a seguito della modificazione dell’art. 92 c.p.c. da parte del decreto-legge - del carattere eccezionale della compensazione delle spese e degli oneri di motivazione in capo al giudice che decide la compensazione medesima sia coerente con le finalità disincentivanti perseguite dalla nuova disposizione, sopra indicate.

 

Il comma 2 disciplina la transizione al nuovo regime della compensazione delle spese e prevede che la disciplina si applichi ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione.

La relazione illustrativa dell’originario disegno di legge richiamava infatti il particolare affidamento che la parte che introduce il giudizio fa nel regime delle spese.

 

 


 

Articolo 14
(Passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione)

 

L'articolo 14 consente il passaggio d’ufficio dal rito ordinario a quello sommario nel processo civile.

In particolare, il comma 1 introduce un nuovo articolo 183-bis nel codice di procedura civile, relativo al passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione previsto dall’articolo 702-ter. Esso è volto a consentire, per le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione monocratica e che risultino di minore complessità, il passaggio d'ufficio, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta. E’ così assicurato il passaggio tra i due modelli di trattazione; secondo la vigente disciplina processuale, invece, tale passaggio è consentito, per le cause ad elevato tasso di complessità, esclusivamente nel senso inverso a quello qui considerato.

Pertanto la nuova disposizione prevede che il giudice, nell’udienza di trattazione, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria, possa disporre con ordinanza non impugnabile che si proceda con il rito sommario e inviti le parti a indicare, a pena di decadenza nella stessa udienza i mezzi di prova – ivi compresi i documenti – di cui intendono avvalersi e la relativa prova contraria.

Se richiesto, il giudice può fissare una nuova udienza e termine perentorio non superiore a quindici giorni per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali e termine perentorio di ulteriori dieci giorni per le sole indicazioni di prova contraria.

Il CSM, nel proprio parere, rileva che il generico richiamo all’intero art. 702-ter cod. proc. civ., “appare inadeguato, poiché in caso di passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione il rinvio ai primi quattro commi dell’art. 702-ter cod. proc. civ. non ha ragion d’essere. E’ evidente, infatti, che il provvedimento di conversione del rito necessariamente presuppone che il giudice si sia già ritenuto competente (altrimenti non avrebbe provveduto a norma dell’art. 183-bis cod. proc. civ. ma a norma dell’art. 38 cod. proc. civ.), abbia già valutato che la domanda rientra tra quelle per le quali il Tribunale giudica in composizione monocratica ed abbia, infine, già ritenuto che tanto la domanda principale, quanto la domanda riconvenzionale (da proporsi a pena di decadenza nella comparsa di risposta ex art. 167, comma 2, cod. proc. civ.) richiedano un’istruzione sommaria. Un adeguamento della formulazione normativa, quindi, sarebbe utile in sede di conversione”.

 

Previsto dalla legge 69/2009 (articolo 51), il procedimento sommario di cognizione è stato introdotto nel codice con un nuovo Capo III-bis (composto dagli artt. 702-bis, 702-ter e 702-quater), tra i procedimenti sommari del Titolo I del Libro quarto.

L’introduzione del nuovo rito, con evidenti finalità di concentrazione e snellezza, è collegata alla delega al Governo per la semplificazione e riduzione dei procedimenti civili (articolo 54 della legge), attuata dal Decreto legislativo 150/2011 - Semplificazione dei riti civili. In tale ambito, il procedimento sommario di cognizione è il modello di rito per i procedimenti, anche camerali, in cui prevalgano “caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa”.

Il procedimento sommario di cognizione è destinato a trovare applicazione per le cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, permettendo di arrivare ad un rapido soddisfacimento della domanda grazie all’emanazione di un provvedimento immediatamente esecutivo su cui, in mancanza di appello, si forma il giudicato.

Il rito sommario di cognizione può essere utilizzato per tutte le cause di competenza del tribunale in composizione monocratica (ossia nella maggioranza dei casi), senza alcuna limitazione di valore o di materia.

Si ricorda che, ai sensi dell'art. 50-bis c.p.c., il tribunale giudica sempre in composizione monocratica, salvo specifiche controversie ove giudica in composizione collegiale (tre membri).

Il principale snodo del rito sommario – che è introdotto dal ricorso di parte - si ha in fase di prima comparizione (art. 702-ter c.p.c.). Nell’udienza di comparizione delle parti, il giudice valuta preliminarmente la propria competenza. Il giudice deve poi decidere se la causa consente una istruzione non sommaria, deliberando eventualmente con ordinanza non impugnabile il passaggio al rito ordinario e la fissazione dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c.

Se il giudice ritiene che la controversia possa essere trattata con il rito sommario, dopo aver sentito le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, alla prima udienza, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande. Tale istruttoria (art. 702-ter, quinto comma) è sostanzialmente identica a quella prevista dall'art. 669-sexies, primo comma, c.p.c. per i procedimenti cautelari, con l'unica attenuazione costituita dal fatto che, mentre in fase cautelare il giudice procede esclusivamente agli atti di istruzione indispensabili, in fase sommaria di cognizione può procedere agli atti di istruzione rilevanti. L’ordinanza è provvisoriamente esecutiva e costituisce immediatamente titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione; con essa, il giudice si pronuncia, altresì, sulle spese di lite.

Per il procedimento sommario è prevista poi una specifica disciplina sull’appello.

 

Nella relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2013, il Primo Presidente della Corte di Cassazione ha sottolineato che “varie relazioni hanno evidenziato lo scarso utilizzo da parte del Foro dello strumento processuale del procedimento sommario di cognizione previsto dall’art. 702-bis e seguenti del codice di procedura civile; al riguardo il Presidente della Corte d’appello di Catania ritiene opportuna una modifica legislativa che consenta al giudice di passare di ufficio dal rito ordinario a quello sommario. In controtendenza, tuttavia, si presenta l’esperienza della Corte d’appello di Lecce. La Corte d’appello di Milano ha messo in evidenza che la cosiddetta semplificazione dei riti del 2011 ha provocato non pochi problemi interpretativi in ordine al rito applicabile”.

 

Il comma 2 stabilisce che le nuove disposizioni si applichino ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.

 


 

Articolo 15
(Dichiarazioni rese al difensore)

 

L'articolo 15 reca disposizioni in materia di dichiarazioni al difensore. Il Senato ha disposto la soppressione di tale articolo.

L’articolo 15 del decreto-legge è diretto ad accelerare e razionalizzare le procedure di assunzione delle prove. Esso, secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa dell’originario disegno di legge di conversione, introduce, nel capo II del titolo I del libro sul processo di cognizione del codice di procedura civile, una specifica disposizione mediante la quale si realizza la tipizzazione delle dichiarazioni scritte rese al difensore, quali fonti di prova che la parte può produrre in giudizio sui fatti rilevanti che ha l'onere di provare. Queste dichiarazioni, che possono essere rilasciate al difensore anche prima del giudizio, sono destinate all'utilizzazione nel processo, fermo il potere del giudice di esercitare sempre il suo prudente apprezzamento e di disporre l'escussione del dichiarante come teste. Il nuovo articolo 257-ter del codice di procedura civile - introdotto dall'articolo 15 in commento - rimette al difensore che raccoglie la dichiarazione il compito di identificare il teste, ai sensi dell'articolo 252 del codice di procedura civile, e di attestare l'autenticità della dichiarazione resa.

Il nuovo articolo 257-ter, secondo comma, del codice di procedura civile prevede poi che il difensore avverta il dichiarante che le sue dichiarazioni possono essere utilizzate in giudizio, delle conseguenze di false dichiarazioni e che il giudice può disporre anche d'ufficio che egli sia chiamato a deporre come testimone.

 


 

Articolo 16
(Modifiche alla legge 7 ottobre 1969, n. 742 e riduzione delle ferie dei magistrati e degli avvocati e procuratori dello Stato)

 

L'articolo 16 riduce il periodo di sospensione feriale dei termini processuali e la durata delle ferie dei magistrati e degli avvocati dello Stato.

In particolare, al comma 1, il termine di sospensione di diritto dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie e a quelle amministrative, sono portati dagli originari 45 giorni (dal 1° agosto al 15 settembre) a 25 giorni (e cioè dal 6 agosto al 31 agosto).

Il Senato ha modificato la disposizione, stabilendo che il termine iniziale di sospensione feriale dei termini processuali decorra dal 1° agosto (e non più dal 6 agosto).

Il medesimo articolo, al comma 2, modifica la legge 2 aprile 1979, n. 97 (Disposizioni riguardanti il personale di magistratura e gli avvocati dello Stato), introducendovi l’articolo 8-bis. Quest’ultimo fissa in trenta giorni il periodo annuale di ferie per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché per gli avvocati e procuratori dello Stato. Rimangono ferme le disposizioni che prevedono, per tutti i dipendenti civili e militari delle pubbliche amministrazioni, il recupero delle festività soppresse.

 

Nell’analisi tecnico-normativa dell’originario disegno di legge di conversione si afferma che “questo intervento consentirà un notevole incremento dell’efficienza degli uffici giudiziari, che potranno tener udienze, per gli affari non urgenti, per 20 giorni in più all’anno”.

 

In realtà, le ferie dei magistrati sono regolate dall’art. 90 dell’ordinamento giudiziario (OG), a sua volta novellato dall’art. 8 della legge 97/1979.

In base all’articolo 90, i magistrati che esercitano funzioni giudiziarie hanno un periodo annuale di ferie di quarantacinque giorni (primo comma). Per i magistrati della Corte suprema di cassazione, delle Corti di appello e dei Tribunali ordinari, nonché per i magistrati addetti ai Commissariati degli usi civici, ai Tribunali delle acque pubbliche, il periodo è fissato al principio di ogni anno con decreto ministeriale (secondo comma).

 

In virtù del richiamo specifico, contenuto nell’art. 90 OG, ai magistrati “che esercitano funzioni giudiziarie”, i magistrati fuori ruolo o che svolgono il tirocinio iniziale fruiscono del più ridotto periodo di 30 giorni di ferie annuali, secondo la normativa sul pubblico impiego.

Le ferie dei magistrati sono ulteriormente trattate dalla circolare del CSM P-10588 del 22 aprile 2011. In particolare, la circolare stabilisce come regola generale che il congedo ordinario debba essere normalmente goduto dal magistrato continuativamente, in coincidenza con il periodo feriale fissato al principio di ogni anno ai sensi dell’art. 90 OG. Qualora per ragioni di servizio non sia possibile osservare la regola generale, è necessario disporre una diversa distribuzione del periodo di congedo durante l’anno, con possibilità di recupero delle ferie non godute nel primo semestre dell’anno successivo.

 

Gli avvocati e procuratori dello Stato – essi pure destinatari della modifica in commento - hanno un periodo di ferie di 45 giorni all’anno in base al regolamento per la esecuzione del T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato (R.D. 1612/1933).

Si osserva che la disposizione contenuta nell’art. 90 dell’ordinamento giudiziario non è espressamente modificata dal decreto-legge e continua a prevedere 45 giorni di ferie per anno, con specifico riguardo ai magistrati che esercitano funzioni giudiziarie.

 

Ai contenuti dell’articolo in commento sulle ferie dei magistrati e ai diversi profili implicati sono riferite le analitiche annotazioni (spesso critiche, soprattutto con riguardo agli effetti sulla funzionalità del servizio) del paragrafo 5 del parere del CSM.

 

Il CSM, oltre a rilevare la peculiarità sul piano tecnico della omessa modifica dell’art. 90 OG e le conseguenti problematiche sul piano interpretativo, si sofferma: sui tempi di lavoro, la produttività dei magistrati e l’impegno loro complessivamente richiesto; sulla specificità delle ferie dei magistrati, di cui un segmento sarebbe destinato all’adempimento degli impegni lavorativi pendenti; sui possibili effetti controproducenti per la funzionalità del servizio e sulla non coincidenza tra periodo feriale e lavoro del singolo magistrato; sulla necessità di misure di razionalizzazione del sistema. Sotto quest’ultimo aspetto è prospettata tra l’altro la possibilità di estendere la sospensione dei termini di deposito anche al tempo di fruizione del congedo ordinario e delle festività soppresse da parte del singolo magistrato, quale che sia il periodo dell’anno in cui ciò avvenga; in alternativa è prospettata l’eventualità del ripristino del periodo, aggiuntivo rispetto a quello feriale, da dedicare alle sole pendenze in corso.

 

Il comma 3 dell'articolo reca una disposizione transitoria in forza della quale la riduzione del termine di sospensione feriale dei termini processuali e delle ferie dei magistrati e degli avvocati e procuratori dello Stato produrrà effetto a decorrere dall'anno 2015. Ne consegue, quanto alle ferie dei magistrati e degli avvocati dello Stato, che il montante ferie maturato nell'annualità 2014 va computato secondo la disciplina previgente.

È stato infine previsto (comma 4) che gli organi di governo delle magistrature e dell'avvocatura dello Stato adottino le misure organizzative conseguenti all'applicazione delle nuove disposizioni, in particolare – secondo quanto indicato nella relazione illustrativa dell’originario disegno di legge di conversione - quelle volte ad assicurare l'effettività del godimento del periodo di ferie come ridisegnato in questa sede.

 

La disposizione è riconducibile all’obbligo in capo al datore di lavoro di consentire il godimento delle ferie da parte di ciascun dipendente in maniera piena ed effettiva, in modo che durante tale periodo, diversamente da quanto finora si verificherebbe, non penda in capo al magistrato alcun tipo di obbligo lavorativo.

 

 

Focus di diritto comparato: Francia, Germania e Spagna (a cura del Servizio Biblioteca)

Francia

I magistrati francesi beneficiano ogni anno di 45 giorni di riposo (repos), di cui 25 giorni di ferie annuali regolamentari e 20 giorni di riduzione dei tempi di lavoro.

Ad essi si aggiungono 2 giorni di frazionamento delle ferie annuali .

(Art. 2 dell’Arrêté du 27 juin 2006 portant application du décret n. 2000-815 du 25 août 2000 relatif à l’aménagement et à la réduction du temps de travail dans la fonction publique de l’Etat et dans la magistrature à certains magistrats de l’ordre judiciaire)

Si veda anche il documento “Temps de travail et congés” dell’Union syndicale des magistrats.

 

Germania

Sull’ordinamento giudiziario tedesco si riflette la forma di Stato federale: i magistrati dipendono normalmente dai Länder e solo i giudici delle Corti superiori appartengono alla Federazione (Bundesstaat). In base all’art. 92 della Legge fondamentale (Grundgesetz) il potere giurisdizionale è affidato ai giudici ed è esercitato mediante la Corte costituzionale federale, i tribunali federali previsti in Costituzione e i tribunali dei Länder.

Lo stato giuridico dei giudici federali (Bundesrichter) è disciplinato da una legge federale speciale (Deutsches Richtergesetz), cui rinvia l’art. 98, comma 1 L.f., mentre lo stato giuridico dei giudici nei Länder è regolamentato da apposite leggi regionali (Landesrichtergesetze), salvo quanto disposto dall’art. 74, comma 1, n. 27, che attribuisce alla competenza legislativa concorrente la materia relativa ai “diritti e doveri degli impiegati dei Länder, dei comuni e degli enti di diritto pubblico, nonché dei giudici dei Länder ad eccezione delle carriere, delle retribuzioni e della previdenza”.

Analogamente ai funzionari e ai dipendenti pubblici (Beamte), anche i magistrati hanno diritto ad una adeguata retribuzione, alla pensione, all’indennità di malattia e alle ferie. Così come prescritto dal § 89 della Legge federale sul pubblico impiego (Bundesbeamtengesetz), la concessione e la durata delle ferie annuali sono oggetto di un apposito regolamento. Pertanto, come regola generale, ai sensi del § 5 del Regolamento sulle ferie dei dipendenti pubblici e dei magistrati (Verordnung über den Erholungsurlaub der Beamtinnen, Beamten und Richterinnen und Richter des Bundes), considerando una settimana lavorativa di cinque giorni, anche ai giudici spettano ogni anno 29 giorni di ferie fino al compimento di 55 anni di età e da allora in poi, fino alla pensione, 30 giorni all’anno. Analoghe disposizioni, nella maggior parte dei casi anche identiche per contenuto, sono previste dai regolamenti dei Länder.

 

Spagna

Nell’ordinamento spagnolo le ferie dei magistrati sono disciplinate dalla Legge sul potere giudiziario del 1985 (Ley Orgánica 6/1985, de 1 de julio, del Poder judicial).

L’art. 371 della legge, come modificato dalla Ley Orgánica 8/2012, del 27 dicembre 2012, che introduce misure di efficienza di bilancio nell’amministrazione della giustizia, prevede che i giudici e i magistrati abbiano diritto ogni anno a 22 giorni di ferie effettivi (al netto dei sabati) o al numero di giorni in proporzione al periodo di lavoro prestato, se quest’ultimo è stato inferiore ad un anno. I Presidenti di sezione e i magistrati del Tribunal Supremo (corrispondente alla nostra Corte di Cassazione) consumeranno i giorni di ferie durante il mese di agosto. Prima della modifica intervenuta nel 2012, i giudici e i magistrati avevano diritto a un mese di ferie l’anno.

L’art. 372 stabilisce che la richiesta di ferie relativa a determinati periodi dell’anno potrà essere respinta qualora, in ragione del numero di cause pendenti presso un tribunale o di concomitanti richieste di ferie, il regolare funzionamento dell’amministrazione della giustizia possa risultarne pregiudicato.

 

 


Capo V
Altre disposizioni per la tutela del credito nonché per la semplificazione e l'accelerazione del processo di esecuzione forzata e delle procedure concorsuali

Il capo V contiene misure per la tutela del credito, nonché la semplificazione e l'accelerazione del processo di esecuzione forzata e delle procedure concorsuali.

Articolo 17
(Misure per il contrasto del ritardo nei pagamenti)

L'articolo 17 prevede un aumento (dall’1% all’8,15%) del tasso di interesse moratorio in pendenza di un contenzioso civile o di un procedimento arbitrale.

 

La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione all’AS 1612 motiva questo intervento con l’esigenza di «evitare che i tempi del processo civile diventino una forma di finanziamento al ribasso (in ragione dell'applicazione del tasso legale d'interesse) e dunque che il processo stesso venga a tal fine strumentalizzato». In sostanza, si sostiene che per il debitore anche la lunghezza del processo possa risultare vantaggiosa se il tasso di interesse è quello legale.

 

A tal fine, il comma 1 modifica l'articolo 1284 del codice civile, che fissa attualmente il tasso di interesse legale all’1%[1]. Con l’inserimento di due nuovi commi si prevede che:

·      da quando ha inizio il procedimento civile, e se le parti non hanno pattuito diversamente, il tasso da applicare non sia più quello legale, ma il più alto tasso previsto per i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. In base al decreto-legislativo n. 231 del 2002[2], infatti, nelle transazioni commerciali gli interessi moratori sono determinati nella misura degli interessi legali di mora (art. 5), che vengono definiti come «interessi semplici di mora su base giornaliera ad un tasso che è pari al tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali» (art. 2). Il tasso di riferimento – pari al tasso di interesse applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento – è comunicato annualmente dal Ministero dell’economia e pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Per il secondo semestre 2014 il tasso di riferimento è pari allo 0,15% e dunque il tasso di interesse moratorio per le transazioni commerciali è pari all’8,15%;

·      tale tasso di interesse si applica anche in caso di procedimento arbitrale.

 

Il Senato ha modificato il nuovo quarto comma dell’art. 1284 c.c., sostituendo il momento di inizio del procedimento di cognizione, quale termine per il decorso del più oneroso tasso di interesse moratorio, con il momento di proposizione della domanda giudiziale.

 

Il comma 2 dell’articolo 17 del decreto-legge – non modificato dal Senato - detta una disciplina transitoria: il nuovo tasso di interesse moratorio sarà applicato nelle controversie civili instaurate a partire dal 30° giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione.

 

Si ricorda che in base al decreto legislativo n. 192 del 2012[3], che ha modificato la disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, tali disposizioni si applicano anche quando debitore sia una pubblica amministrazione.

In merito ai costi di questa disposizione per le pubbliche amministrazioni, lo stesso CSM nel suo parere evidenzia che «Si riservano forti dubbi sulla reale utilità della norma a mutare la condotta delle Pubbliche Amministrazioni, troppo spesso convenute in ragione delle loro difficoltà finanziarie, le quali, verosimilmente, si accresceranno per effetto del maggiorato tasso di interesse».

Peraltro non è prevista una espressa copertura finanziaria riferita all’art. 17.

 


 

Articolo 18
(Iscrizione a ruolo del processo esecutivo per espropriazione)

 

L'articolo 18 – con disposizioni che diverranno efficaci trascorsi 30 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione - modifica il codice di procedura civile per introdurre, a carico del creditore, l'obbligo di depositare, nei processi esecutivi per espropriazione forzata, la nota di iscrizione a ruolo. Solo a seguito di tale adempimento la cancelleria del tribunale procederà alla formazione del fascicolo dell’esecuzione. A partire dal prossimo 31 marzo 2015, il deposito della nota di iscrizione a ruolo dovrà avvenire esclusivamente con modalità telematiche.

 

Obbligo per il creditore di depositare la nota di iscrizione a ruolo, presupposto per la formazione del fascicolo dell’esecuzione (comma 1)

Il comma 1, modifica gli articoli 518, 543 e 557 del codice di procedura civile che, nell’ambito rispettivamente della disciplina dell’espropriazione mobiliare presso il debitore, dell’espropriazione presso terzi e dell’espropriazione immobiliare, disciplinano gli adempimenti che preludono alla formazione del fascicolo dell’esecuzione.

Tutte le disposizioni richiamate, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, prevedevano: 1) che, compiuto il pignoramento, l’ufficiale giudiziario dovesse depositarne gli atti in cancelleria; 2) che, a seguito di tale deposito, la cancelleria procedesse alla formazione del fascicolo.

Il decreto-legge, in tutte e tre le procedure, prevede invece: 1) che l’ufficiale giudiziario debba consegnare gli atti di pignoramento al creditore; 2) che il creditore debba depositare tutti gli atti in cancelleria entro un termine perentorio, pena la perdita d’efficacia del pignoramento; 3) che solo a seguito dell’iniziativa del creditore, la cancelleria debba procedere alla formazione del fascicolo.

 

Le ragioni della modifica introdotta dal decreto-legge sono così spiegate nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione AS 1612: «La formazione dei fascicoli dei processi esecutivi, sia mobiliari che immobiliari, costituisce da sempre il primo, rilevante «collo di bottiglia» nell'attività dei tribunali. Le cancellerie a ciò deputate devono infatti far fronte ad un numero rilevantissimo di esecuzioni provvedendo autonomamente all'iscrizione a ruolo della procedura. È sufficiente considerare che a livello nazionale il numero complessivo dei procedimenti per espropriazione forzata sopravvenuti è stato pari a 491.165 (nel 2009), 510.915 (nel 2010) e 527.304 (nel 2011), e quindi notevolmente superiore a quello delle cause di contenzioso ordinario (pari, rispettivamente, a 488.647, 446.283 e 389.390). Il personale di cancelleria adibito alle esecuzioni individuali è, però, minore di quello destinato alle sezioni civili. […]

Avviene di frequente, peraltro, che, per i motivi più disparati (pagamento satisfattivo o accordo per la rateizzazione, intervenuto successivamente al pignoramento), il creditore decida di non dare corso all'esecuzione, non depositando l'istanza di vendita, con conseguente estinzione del processo esecutivo. Ciò comporta che alla iniziale iscrizione nel registro del procedimento non segue alcuna ulteriore attività e, conseguentemente, neanche alcuna annotazione.

Per accelerare l'iscrizione dei processi per espropriazione forzata e consentire il recupero di importanti risorse di personale di cancelleria è indispensabile avvalersi sia delle potenzialità dello strumento informatico, sia della collaborazione del creditore procedente».

 

Di seguito si riportano le statistiche – aggiornate al 2012 – delle esecuzioni mobiliari e immobiliari, utili a comprendere la portata applicativa delle nuove disposizioni.

 

Esecuzione forzata_serie storica

Fonte: Ministero della Giustizia – Direzione generale di statistica

 

 

Analiticamente, la lettera a) interviene sull’art. 518 c.p.c., che nell’ambito dell’espropriazione mobiliare presso il debitore, disciplina la formazione, il contenuto e il deposito del verbale di pignoramento. In particolare, il decreto-legge sostituisce il sesto comma dell’articolo, sul quale era recentemente intervenuta la legge di stabilità 2012, relativo al deposito del verbale di pignoramento in cancelleria.

A seguito della legge n. 183 del 2011, infatti, il sesto comma dell’art. 518 stabilisce che l’ufficiale giudiziario deve depositare il verbale, il titolo esecutivo e il precetto in cancelleria entro 24 ore dal compimento delle operazioni; spetta quindi al cancelliere, al momento del deposito, formare il fascicolo dell’esecuzione. Il creditore e il debitore possono richiedere all'ufficiale giudiziario copia del verbale, che viene loro trasmessa mediante posta certificata, ovvero quando non risulta possibile, mediante telefax o posta ordinaria.

Il decreto-legge, modificando l’art. 518 c.p.c., prevede ora che l’ufficiale non debba più depositare il verbale di pignoramento in cancelleria ma debba invece consegnarlo senza ritardo al creditore, unitamente al titolo esecutivo ed al precetto. Sarà il creditore stesso a dover depositare nella cancelleria del tribunale la nota di iscrizione a ruolo (v. infra, articolo 18, comma 2), con copie conformi di tutti gli atti, entro 15 giorni dalla consegna del verbale di pignoramento (il termine originario era di 10 giorni, portati a 15 dal Senato), pena la perdita d’efficacia del pignoramento stesso. Il fascicolo dell’esecuzione sarà sempre formato dal cancelliere al momento del deposito. L’ufficiale giudiziario dovrà conservare copia del verbale di pignoramento, a disposizione del debitore, fino alla scadenza del pignoramento.

 

Il Senato ha dunque modificato la disposizione:

-        fissando in 15 giorni il termine a disposizione del creditore per effettuare il deposito;

-        specificando che la conformità all’originale delle copie del titolo esecutivo e del precetto è, ai soli fini del presente articolo, ovvero del deposito della nota di iscrizione a ruolo, attestata dall'avvocato del creditore. Tale specificazione ha un senso solo nelle more dell’obbligatorio deposito telematico della nota di iscrizione a ruolo, e dunque fino al 31 marzo 2015. Come si vedrà meglio in sede di commento del comma 4, infatti, nel deposito telematico è già previsto che l’avvocato attesti la conformità delle copie agli originali.

 

La lettera b) interviene sull’art. 543 c.p.c. che, nell’ambito dell’espropriazione presso terzi, disciplina la forma del pignoramento. Si ricorda che sulla medesima disposizione interviene anche l’art. 19 del decreto-legge (v. infra).

Prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 132/2014, l’ufficiale giudiziario che aveva proceduto alla notificazione dell'atto di pignoramento era tenuto a depositare immediatamente l'originale nella cancelleria del tribunale, per la formazione del fascicolo dell’esecuzione, alla quale provvede la cancelleria inserendo nel fascicolo stesso anche il titolo esecutivo e il precetto che il creditore pignorante deve depositare in cancelleria al momento della costituzione.

Il decreto-legge sostituisce il quarto comma, relativo al deposito della notifica del pignoramento presso la cancelleria del tribunale, prevedendo che, una volta eseguita l'ultima notificazione, l'ufficiale giudiziario non debba più depositare la notificazione del pignoramento in cancelleria, bensì debba consegnare al creditore l'originale dell'atto di citazione. Spetta dunque al creditore depositare nella cancelleria del tribunale competente per l'esecuzione:

-        la nota di iscrizione a ruolo (v. infra, il commento al comma 2 dell’art. 18);

-        le copie conformi dell'atto di citazione, del titolo esecutivo e del precetto. Il Senato ha specificato, anche in questo caso, che la conformità di tali copie è attestata dall’avvocato del creditore.

Il creditore dovrà provvedere entro 30 giorni dalla consegna dell’atto di citazione da parte dell’ufficiale giudiziario, pena la perdita d’efficacia del pignoramento.

Anche in questo caso, dunque, la cancelleria eviterà di iscrivere a ruolo automaticamente processi esecutivi che le parti non coltivano, o poiché la dichiarazione resa dal terzo è negativa o poiché il creditore-debitore hanno trovato un accordo.

 

La lettera c) sostituisce l’art. 557 c.p.c., che, nell’ambito dell’espropriazione immobiliare, disciplina il deposito dell’atto di pignoramento.

Prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 132/2014, la disposizione demandava all’ufficiale giudiziario che aveva eseguito il pignoramento il compito di depositare immediatamente nella cancelleria del tribunale competente l'atto di pignoramento e, appena possibile, la nota di trascrizione restituitagli dal conservatore dei registri immobiliari. Il creditore pignorante doveva a sua volta depositare il titolo esecutivo e il precetto entro 10 giorni dal pignoramento nonché, se aveva personalmente consegnato l’atto al conservatore dei registri immobiliari, la nota di trascrizione appena restituitagli. Il cancelliere al momento del deposito dell'atto di pignoramento formava il fascicolo dell'esecuzione.

 

Il decreto-legge riscrive l’art. 557 prevedendo che:

·      l’ufficiale giudiziario deve consegnare senza ritardo al creditore l’atto di pignoramento e la nota di trascrizione del conservatore dei registri immobiliari;

·      a questo punto il creditore deve entro 15 giorni (nel testo del decreto-legge sono 10) – pena la nullità del pignoramento – depositare in cancelleria la nota di iscrizione a ruolo, copie conformi del titolo esecutivo, del precetto, dell'atto di pignoramento e della nota di trascrizione;

·      ciò consentirà al cancelliere di formare il fascicolo dell’esecuzione.

Il Senato ha modificato la disposizione fissando in 15 giorni il termine a disposizione del creditore per effettuare il deposito e specificando, anche in questo caso, che la conformità degli atti depositati agli originali è attestata dall’avvocato del creditore.

 

Nota d’iscrizione a ruolo nel processo esecutivo (commi 2 e 2-bis)

Il comma 2 dell’articolo 18 modifica le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile per definire il contenuto della nota di iscrizione a ruolo che, in base al comma 1, il creditore procedente deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per ottenere la formazione del fascicolo dell’esecuzione.

 

Si ricorda, infatti, che prima del decreto-legge 132/2014 la nota d'iscrizione della causa nel ruolo era prevista nel solo processo di cognizione, dall’art. 168 c.p.c.. Il contenuto di tale nota è indicato dall’art. 71 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile: nel processo di cognizione si tratta di un atto che deve contenere l'indicazione delle parti, nonché le generalità ed il codice fiscale ove attribuito della parte che iscrive la causa a ruolo, del procuratore che si costituisce, dell'oggetto della domanda, della data di notificazione della citazione, e dell'udienza fissata per la prima comparizione delle parti. In base all’art. 72 insieme con la nota di iscrizione a ruolo la parte deve consegnare al cancelliere il proprio fascicolo.

 

Il decreto-legge inserisce l’art. 159-bis in base al quale la nota d’iscrizione a ruolo nel processo esecutivo deve contenere:

·          indicazione delle parti;

·          generalità e codice fiscale della parte (creditore) che iscrive la causa a ruolo;

·          indicazione del difensore;

·          indicazione della cosa o del bene oggetto di pignoramento.

La disposizione di attuazione demanda poi ad un decreto del Ministro della giustizia, di natura non regolamentare, il compito di indicare ulteriori contenuti della nota di iscrizione a ruolo.

 

La relazione illustrativa all’originario disegno di legge di conversione motiva così il ricorso al decreto ministeriale: «In considerazione del numero e della eterogeneità degli elementi ai quali occorre dare rilievo anche ai fini di elaborazione statistica degli stessi, con riguardo in particolare alla complessità dei dati identificativi dei beni pignorati (soprattutto dei beni immobili, identificati sulla base delle coordinate catastali), è previsto che con proprio decreto, avente natura non regolamentare, il Ministro della giustizia possa individuare elementi della nota di iscrizione a ruolo del processo esecutivo ulteriori rispetto a quelli indicati nell'articolo 159-bis delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile».

 

Si ricorda che i decreti di natura non regolamentare, in base dall’art. 17, comma 4, della legge n. 400/1988, non sono soggetti al parere del Consiglio di Stato, né alla registrazione della Corte dei Conti, né alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. La disposizione in esame demanda peraltro ad un decreto di tale natura la determinazione del contenuto di un atto processuale. Si valuti pertanto l’esigenza di integrare direttamente il contenuto delle disposizioni di attuazione del codice di procedura ovvero di prevedere comunque che il provvedimento che definisce il contenuto della nota di iscrizione a ruolo abbia idonea pubblicità.

 

Il comma 2-bis, introdotto nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione al Senato, introduce nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile l’art. 164-ter, rubricato Inefficacia del pignoramento per mancato deposito della nota di iscrizione a ruolo.

La disposizione ribadisce che ogni obbligo del debitore e del terzo cessa se la nota di iscrizione a ruolo non è depositata nei termini indicati (ovvero 15 giorni in caso di espropriazione mobiliare e immobiliare e 30 giorni in caso di espropriazione presso terzi); il creditore dovrà comunque notificare al debitore e al terzo, entro 5 giorni dalla scadenza del termine per il deposito, la dichiarazione di non aver proceduto al deposito stesso.

Il secondo comma della disposizione stabilisce che la cancellazione della trascrizione del pignoramento è eseguita dietro ordine del giudice ovvero quando il creditore pignorante dichiara di non aver proceduto al deposito della nota di iscrizione a ruolo.

Si osserva che non è invece prevista la possibilità per il debitore di rilevare direttamente, senza dovere attendere l’attivazione del creditore, la scadenza del termine per ottenere la cancellazione del pignoramento.

 

Norma transitoria (comma 3)

Il comma 3 dell’articolo 18 posticipa al trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione l’efficacia delle nuove disposizioni sul deposito da parte del creditore procedente della nota di iscrizione a ruolo. Tali previsioni si applicheranno dunque alle procedure esecutive iniziate a partire da tale data.

Si ricorda che la procedura esecutiva prende avvio con l’atto di pignoramento; la nuova disciplina si applicherà dunque alle procedure esecutive quando il pignoramento sia eseguito a partire dal trentesimo giorno dall’entrata in vigore della legge di conversione.

 

Obbligo del deposito telematico della nota di iscrizione a ruolo (comma 4)

Il comma 4, modificando l’art. 16-bis del D.L. 179/2012[4] sull’obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali, individua nel 31 marzo 2015 il termine a decorrere dal quale il deposito della nota di iscrizione a ruolo nel procedimento di espropriazione forzata dovrà essere effettuato con modalità telematiche.

Si richiama l’attenzione sul fatto che modifiche all’art. 16-bis del D.L. 179/2012 sono introdotte anche dall’articolo 20 del decreto-legge in commento (v. infra).

Con le medesime modalità telematiche, a partire da tale data, sarà obbligatorio depositare anche le copie conformi di titolo esecutivo, precetto, atto di citazione, atto di pignoramento e nota di trascrizione del conservatore dei registri immobiliari.

Ai fini di questo deposito telematico, il difensore potrà attestare la conformità delle copie informatiche agli originali.

 

La relazione tecnica che accompagna il disegno di legge di conversione riconosce che l’introduzione della specifica procedura informatizzata per la gestione dei processi di esecuzione mobiliare ed immobiliare, connessa, in particolare, all'introduzione di specifici forms da utilizzare con le dotazioni informatiche già in uso presso gli uffici giudiziari, comporta un onere che viene quantificato prudenzialmente in 150.000 euro e alla cui copertura provvede l’articolo 22 del decreto-legge (v. infra).

 


 

Articolo 19
(Misure per l'efficienza e la semplificazione del processo esecutivo)

 

L'articolo 19, intervenendo tanto sul codice di procedura civile quanto sulle disposizioni di attuazione, modifica vari aspetti della disciplina dell’espropriazione forzata. In particolare, a seguito delle modifiche approvate dal Senato:

·     attribuisce la competenza per l’esecuzione forzata di crediti al tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, mantenendo il principio previgente, della competenza del giudice del luogo di residenza del terzo debitore, nei soli casi di esecuzione nei confronti di una pubblica amministrazione (comma 1, lett. a) e b);

·     disciplina la ricerca con modalità telematiche dei beni del debitore da pignorare (comma 1, lett. c) e d); comma 2, lett. a); comma 3);

·     prevede l’applicabilità di tali modalità di ricerca anche quando l’autorità giudiziaria deve ricostruire l’attivo e il passivo nelle procedure concorsuali, deve adottare provvedimenti in materia di famiglia o di gestione dei patrimoni altrui (comma 5);

·     introduce la chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità, quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo degli assetti patrimoniali pignorati (comma 2, lett. b);

·     disciplina l’espropriazione forzata su autoveicoli e motoveicoli;

·     modifica la disciplina dell’espropriazione presso terzi, eliminando l’obbligo per il terzo di presenziare all’udienza e consentendogli di limitarsi a rendere una dichiarazione con modalità telematiche (comma 1, lett. e), f) e g);

·     prevede, nell’espropriazione immobiliare, che il giudice possa autorizzare la vendita con incanto solo se ritiene che con tale modalità sia possibile ottenere un prezzo superiore della metà rispetto al valore stimato dell’immobile (comma 1, lett. h-bis e ss.);

·     disciplina il procedimento che, in sede di rilascio, l'ufficiale giudiziario deve seguire al fine di liberare l'immobile dai beni mobili in esso eventualmente rinvenuti, prevedendone la vendita o la distruzione (comma 1, lett. i).

 


 

 

Espropriazione forzata di crediti: giudice competente (comma 1, lett. a) e b)

La lettera a) del decreto-legge abroga il secondo comma dell’art. 26 del codice di procedura civile, che indica nel tribunale del luogo dove risiede il terzo debitore il giudice competente per l’espropriazione forzata di crediti.

 

La ratio della norma era quella di favorire l'adempimento dell'onere posto a carico del terzo debitore, onere di presentarsi avanti il giudice dell'esecuzione per rendere la dichiarazione prevista dall'art. 547 c.p.c., cioè per specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna.

Qualora il terzo debitore fosse una persona giuridica, nell'impossibilità dell'utilizzo del concetto di residenza, la competenza territoriale veniva individuata con riferimento al luogo ove detta persona ha sede legale e, alternativamente, a quello ove ha uno stabilimento con un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l'oggetto della domanda; pertanto, ove si trattasse di pignoramento di somme depositate presso una filiale di banca, in base al luogo in cui si trovi detta filiale.

 

Il Senato ha confermato la soppressione della disposizione sulla competenza nell’espropriazione forzata dei crediti, pur sostituendo - anziché abrogando - il secondo comma dell’art. 26 (v. infra).

 

La lettera b) introduce nel codice di procedura civile l’art. 26-bis, rubricato "Foro relativo all'espropriazione forzata di crediti".

La nuova disposizione prevede, in via generale, che per tutti i soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche la competenza per i procedimenti di espropriazione forzata di crediti sia radicata presso il tribunale del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del debitore.

 

La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione motiva la novella con l’esigenza di garantire la simultaneità del processo di espropriazione di crediti, a prescindere dal luogo di residenza dei terzi pignorati. «La concentrazione presso un unico foro dei procedimenti di espropriazione di crediti a carico di un unico debitore e rivolti a più terzi debitori muove dall'esigenza di garantire un adeguato livello di tutela dell'esecutato consentendogli un pieno ricorso all'istituto della riduzione del pignoramento ai sensi dell’articolo 546, secondo comma, del codice di procedura civile, che presuppone la pendenza dei procedimenti espropriativi presso un unico giudice […] Inoltre, il simultaneus processus nell'espropriazione forzata di crediti evita ulteriori inconvenienti, quali la necessità di notificare molteplici atti di precetto in presenza di più terzi pignorati in forza di un credito vantato nei confronti di unico debitore, nonché l'onere per il debitore di proporre tante opposizioni per quanti sono i processi esecutivi generati da un'unica azione di recupero del credito».

 

Nell'ipotesi in cui il debitore è una pubblica amministrazione[5] viene invece mantenuta la regola precedente, ovvero è confermata la competenza del giudice del luogo dove il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, facendo però salve le disposizioni contenute in leggi speciali che fissano diversi criteri di competenza esecutiva per l'espropriazione contro le pubbliche amministrazioni[6]. In base alla relazione illustrativa, la ratio di tale opzione normativa risiede «nell'esigenza di evitare che i tribunali di alcune grandi città, tipicamente sedi di pubbliche amministrazioni, siano gravati da un eccessivo numero di procedimenti di espropriazione presso terzi».

 

Il nuovo criterio di riparto della competenza si applicherà, in base al comma 6-bis della disposizione in commento, ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

 

Ricerca con modalità telematiche dei beni del debitore (comma 1, lett. c) e d); comma 2, lett. a); comma 3)

La lettera c) del comma 1 modifica l’art. 492 c.p.c., che definisce in generale, per tutte le procedure di espropriazione forzata, l’atto di pignoramento, abrogando la disposizione (settimo comma) che consente all’ufficiale giudiziario - quando non individua beni utilmente pignorabili oppure quando valuta che le cose e i crediti pignorati o indicati dal debitore appaiono insufficienti - su richiesta del creditore procedente, di rivolgere richiesta ai soggetti gestori dell'anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche. A tal fine l'ufficiale giudiziario può fare ricorso alla forza pubblica per vincere eventuali resistenze del gestore della banca dati medesima.

 

L’abrogazione di questa disposizione va letta in combinato con l’inserimento nel codice di procedura civile dell’art. 492-bis, rubricato “Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare”, cui provvede la lettera d).

 

La relazione illustrativa dell’originario disegno di legge di conversione sottolinea che l'intervento in materia di ricerca telematica dei beni da pignorare è volto a migliorare l'efficienza dei procedimenti di esecuzione mobiliare presso il debitore e presso terzi in linea con i sistemi ordinamentali di altri Paesi europei «tenuto conto che nei Paesi scandinavi i compiti di ricerca dei beni da pignorare sono demandati ad un'agenzia pubblica appositamente costituita e che in Spagna, Austria, Slovenia ed Estonia il creditore ha diritto di interrogare le banche dati pubbliche tramite l'ufficiale giudiziario anche prima di promuovere l'esecuzione (analogamente a quanto si propone in questa sede). In Germania è addirittura previsto il «registro dei debitori» (cosiddetta «Schwarze Liste» o «Lista nera») che crea una «lista di proscrizione» nei confronti del debitore, accessibile da chiunque. Una «lista nera» esiste anche in Belgio, ma in questo caso l'accesso è consentito soltanto a coloro che sono muniti di un titolo esecutivo».

 

La nuova disposizione introduce un procedimento autonomo attraverso il quale il creditore che intende promuovere il processo di espropriazione (senza l'instaurazione del contraddittorio) rivolge al presidente del Tribunale del luogo di residenza, domicilio, sede o dimora del debitore esecutato, la richiesta di autorizzazione affinché l'ufficiale giudiziario possa compiere le ricerche su tutte le banche dati delle pubbliche amministrazioni da cui è possibile individuare l'esistenza dei beni del debitore da assoggettare a pignoramento (primo comma). Rispetto al settimo comma dell’art. 492, abrogato dal decreto-legge, questa disposizione subordina l’attività di ricerca dell’ufficiale giudiziario all’autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato, al fine di soddisfare le esigenze di tutela della riservatezza connesse a tale operazione di ricerca dei beni da pignorare; una previsione analoga era prevista anche per la richiesta ai soggetti gestori dell'anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche prima della riforma del 2006[7].

 

In merito il parere del CSM evidenzia che «di assoluto nuovo conio è l’attribuzione al Presidente del Tribunale di un controllo sulla sussistenza del diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata attribuendogli in via preventiva una funzione di accertamento e di controllo della sussistenza del diritto analoga a quella che spetta al giudice dell’esecuzione a processo esecutivo pendente. Non è prevista alcuna disciplina della impugnazione del provvedimento, di accoglimento o di rigetto, del Presidente del Tribunale e non pare possibile l’adozione dei rimedi oppositivi previsti contro gli atti esecutivi poiché quella del Presidente del Tribunale è una attività che precede l’inizio dell’azione esecutiva. In mancanza di un intervento correttivo in sede di conversione spetterà alla giurisprudenza individuare il regime impugnatorio di tale atto, che incide in maniera molto sensibile sulle modalità concrete di esercizio del diritto del creditore ad agire esecutivamente e sulla tutela della riservatezza del debitore».

 

Per la nuova previsione del codice di rito sono oggetto di consultazione: l'anagrafe tributaria, compreso l'archivio dei rapporti finanziari, il pubblico registro automobilistico, i registri degli enti previdenziali, i registri dei rapporti trattenuti dal debitore con gli istituti di credito e datori di lavoro o committenti (secondo comma).

Terminate le operazioni di accesso alle banche dati, l'ufficiale giudiziario accede ai luoghi appartenenti al debitore nei quali si trovano i beni emersi dall'interrogazione delle banche dati per procedere al pignoramento. Se i beni si trovano in territori al di fuori della sua competenza, l’ufficiale giudiziario dovrà rilasciare copia del verbale al creditore che si rivolgerà, entro 10 giorni (portati a 15 giorni nel corso dell’esame in Senato), all’ufficiale giudiziario territorialmente competente (terzo comma). Se, a fronte dell’individuazione del bene in banca dati, la cosa non viene materialmente rinvenuta, l’ufficiale giudiziario intima al debitore di indicare il luogo ove la stessa di trova, pena la reclusione fino ad un anno o la multa fino a 516 euro per il delitto di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (quarto comma).

La disposizione disciplina poi due ulteriori ipotesi:

-        i beni individuati con modalità telematiche sono nella disponibilità di terzi. L’ufficiale giudiziario notifica il verbale di pignoramento a debitore e terzo; quest’ultimo viene intimato a non disporre delle cose o delle somme dovute (quinto comma);

-        la ricerca con modalità telematiche ha consentito di individuare più beni o crediti. La scelta tra i diversi beni da aggredire è rimessa al creditore (sesto e settimo comma).

 

Alle disposizioni introdotte nel codice di procedura civile dal comma 1 vanno aggiunte le specificazioni inserite nelle disposizioni di attuazione del codice stesso. Il comma 2 dell'articolo 19, infatti, inserisce nelle disposizioni di attuazione i seguenti articoli:

·         art. 155-bis (Archivio dei rapporti finanziari). La disposizione attua quanto previsto dall’art. 492-bis c.p.c. in tema di ricerca telematica dei beni da pignorare, precisando che l’archivio dei rapporti finanziari cui fa riferimento il codice va inteso come la sezione dell’anagrafe tributaria (di cui all’art. 7, sesto comma, del DPR 605/1973[8]) nella quale gli operatori finanziari debbono archiviare tutte le operazioni di natura finanziaria (ad esclusione di quelle effettuate con bollettini di conto corrente postale) di importo unitario superiore a 1.500 euro;

·         art. 155-ter (Partecipazione del creditore alla ricerca dei beni da pignorare con modalità telematiche). Stabilisce che il creditore può partecipare anche alla ricerca telematica dei beni da pignorare, con le modalità previste in generale dall’art. 165 delle disposizioni di attuazione per la partecipazione del creditore al pignoramento (dunque, se il creditore ha manifestato la volontà di partecipare, solo o con l’assistenza di un difensore o di un esperto, l’ufficiale giudiziario deve informarlo della data e dell’ora dell’accesso). Se la ricerca telematica ha consentito di individuare più beni, l'ufficiale giudiziario sottoporrà la ricerca al creditore che, entro 10 giorni della comunicazione, potrà indicare all’ufficiale giudiziario quali beni intenda sottoporre ad esecuzione. Trascorso invano tale termine, il pignoramento perde efficacia;

·         art. 155-quater (Modalità di accesso alle banche dati). Demanda ad un decreto del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri dell’interno e dell’economia, e sentito il Garante della privacy, l’individuazione delle modalità di accesso alle banche dati ai fini della ricerca telematica dei beni da pignorare. Con il medesimo decreto potranno essere individuate ulteriori banche dati delle pubbliche amministrazioni, o alle quali le stesse possono accedere, che l'ufficiale giudiziario può interrogare;

·         art. 155-quinquies (Accesso alle banche dati tramite i gestori). La disposizione specifica che quando le strutture tecnologiche necessarie a consentire l'accesso diretto da parte dell'ufficiale giudiziario alle banche dati per la ricerca telematica dei beni da pignorare non sono funzionanti, il creditore procedente, previa autorizzazione del presidente del tribunale, può ottenere direttamente dai gestori delle banche dati le informazioni nelle stesse contenute.

Nel corso dell’esame del disegno di legge in Senato è stato inserito un ulteriore articolo 115-sexies (Ulteriori casi di applicazione delle disposizioni per la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare), volto a prevede l’applicabilità delle modalità telematiche di ricerca dei beni anche nei:

-        procedimenti per l’esecuzione del sequestro conservativo;

-        procedure concorsuali;

-        procedimenti in materia di famiglia;

-        procedimenti di gestione dei patrimoni altrui.

 

Infine, l’articolo 19, comma 3, interviene sul TU spese di giustizia (DPR 115/2002) per fissare in 43 euro l’importo del contributo unificato dovuto dal creditore che faccia istanza per essere autorizzato alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare (modifica dell’art. 13); tale contributo dovrà essere corrisposto contestualmente al deposito dell’istanza (modifica dell’art. 14).

La relazione tecnica che accompagna il disegno di legge di conversione ricorda che l’accesso da parte dell’ufficiale giudiziario alle banche dati è gratuito ai sensi del Codice dell’amministrazione digitale. La relazione evidenzia dunque che l’accesso alla procedura di ricerca con modalità telematiche di beni da pignorare può essere autorizzata dal giudice su istanza del creditore e comporta il pagamento di un contributo unificato pari ad euro 43,00, che può sommarsi al contributo unificato dovuto per l’istanza per l’assegnazione o la vendita dei beni pignorati (articolo 14, comma 1 del D.P.R. n. 115 del 2002). Utilizza quindi dei dati in possesso dell’amministrazione della giustizia dai quali stima in circa 100.000 unità le procedure di ricerca con modalità telematica dei beni da pignorare. Applicando a tale dato il contributo unificato di euro 43,00 ottiene un gettito che potrebbe attestarsi gradualmente in circa 4,3 mln di euro annui.

 

Espropriazione forzata su autoveicoli, motoveicoli e rimorchi (comma 1, lett. a) e d-bis)

Nel corso dell’esame del disegno di legge in Senato, una modifica della lettera a) del comma 1 ha portato alla sostituzione – anziché all’abrogazione – del secondo comma dell’art. 26 c.p.c. Con tale sostituzione è stata introdotta nel codice di procedura una disciplina particolare per l’espropriazione forzata di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, con la previsione che per tale procedura esecutiva sia competente il tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede (comma 1, lett. a).

Il Senato ha introdotto quindi nel decreto-legge, al comma 1, la lettera d-bis), con la quale ha inserito nel codice di procedura civile l’art. 521-bis, volto appunto a disciplinare il pignoramento e la custodia di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi.

La disposizione, inserita nel Capo II, relativo all’espropriazione mobiliare presso il debitore, prevede:

·     che il pignoramento di tali beni si esegue mediante notificazione al debitore di un atto che indica esattamente i beni e i diritti che si sottopongono ad esecuzione;

·     che con il pignoramento il debitore è nominato custode dei beni, senza diritto a compenso;

·     che l’ufficiale giudiziario, eseguita la notificazione del pignoramento, consegna i relativi atti al creditore affinché provveda alla trascrizione nei pubblici registri;

·     che il pignoramento contiene l’intimazione al debitore a consegnare i suddetti beni (con i relativi documenti che ne attestano la proprietà) entro 10 giorni all’istituto vendite giudiziarie autorizzato ad operare nel territorio del circondario del tribunale competente;

·     che se il termine per la consegna è violato e viene accertata la circolazione dei beni che dovevano essere consegnati, la polizia deve ritirarne la carta di circolazione e consegnare i beni stessi all’istituto vendite giudiziarie;

·     che alla consegna dei beni è l’istituto vendite giudiziarie a divenire custode dei beni, dovendo darne comunicazione al creditore pignorante;

·     che entro 30 giorni da questa comunicazione, pena la perdita d’efficacia del pignoramento, il creditore deve depositare nella cancelleria del tribunale la nota di iscrizione a ruolo, con le copie conformi di tutti gli atti (copie la cui conformità con gli originali può essere attestata dall’avvocato);

·     che solo a questo punto il cancelliere forma il fascicolo dell’esecuzione.

 

Semplificazione delle procedure per l’espropriazione presso terzi (lettere e), f) e g)

La lettera e) modifica l’art. 543 del codice di procedura civile per coordinare la disciplina del pignoramento nell’espropriazione presso terzi con le nuove modalità di ricerca dei beni da pignorare con modalità telematiche. Si ricorda che sulla medesima disposizione è intervenuto anche l’art. 18 del decreto-legge (v. sopra). Di seguito si riportano in un testo a fronte tutte le novelle apportate dal decreto-legge all’art. 543 c.p.c..

 

Normativa pre DL

Normativa vigente (post DL)

Codice di procedura civile
Capo III - Dell'espropriazione presso terzi

Sezione I - Del pignoramento e dell'intervento


art. 543

Forma del pignoramento

Il pignoramento di crediti del debitore verso terzi o di cose del debitore che sono in possesso di terzi, si esegue mediante atto notificato personalmente al terzo e al debitore a norma degli articoli 137 e seguenti

Il pignoramento di crediti del debitore verso terzi o di cose del debitore che sono in possesso di terzi, si esegue mediante atto notificato al terzo e al debitore a norma degli articoli 137 e seguenti.

L'atto deve contenere, oltre all'ingiunzione al debitore di cui all'articolo 492:

Identico:

1. l'indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto;

1. identico;

2. l'indicazione, almeno generica, delle cose o delle somme dovute e l'intimazione al terzo di non disporne senza ordine di giudice;

2. identico;

3. la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale competente nonché l'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata del creditore procedente;

3. identico;

4. la citazione del terzo e del debitore a comparire davanti al giudice del luogo di residenza del terzo, affinché questi faccia la dichiarazione di cui all’articolo 547 e il debitore sia presente alla dichiarazione e agli atti ulteriori, con invito al terzo a comparire quando il pignoramento riguarda i crediti di cui all’articolo 545, commi terzo e quarto, e negli altri casi a comunicare la dichiarazione di cui all’articolo 547 al creditore procedente entro dieci giorni a mezzo raccomandata ovvero a mezzo di posta elettronica certificata.

4. la citazione del debitore a comparire davanti al giudice competente, con l'invito al terzo a comunicare la dichiarazione di cui all'articolo 547 al creditore procedente entro dieci giorni a mezzo raccomandata ovvero a mezzo di posta elettronica certificata; con l'avvertimento al terzo che in caso di mancata comunicazione della dichiarazione, la stessa dovrà essere resa dal terzo comparendo in un'apposita udienza e che quando il terzo non compare o, sebbene comparso, non rende la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore, nell'ammontare o nei termini indicati dal creditore, si considereranno non contestati ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione.

Nell'indicare l'udienza di comparizione si deve rispettare il termine previsto nell'articolo 501.

Identico.

L'ufficiale giudiziario, che ha proceduto alla notificazione dell'atto, è tenuto a depositare immediatamente l'originale nella cancelleria del tribunale per la formazione del fascicolo previsto nell'articolo 488. In tale fascicolo debbono essere inseriti il titolo esecutivo e il precetto che il creditore pignorante deve depositare in cancelleria al momento della costituzione prevista nell'articolo 314.

Eseguita l'ultima notificazione, l'ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore l'originale dell'atto di citazione. Il creditore deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per l'esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi dell'atto di citazione, del titolo esecutivo e del precetto, entro trenta giorni dalla consegna. Il cancelliere al momento del deposito forma il fascicolo dell'esecuzione. Il pignoramento perde efficacia quando la nota di iscrizione a ruolo e le copie degli atti di cui al primo periodo sono depositate oltre il termine di trenta giorni dalla consegna al creditore.

 

Quando procede a norma dell'articolo 492-bis, l'ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore il verbale, il titolo esecutivo ed il precetto, e si applicano le disposizioni di cui al quarto comma. Decorso il termine di cui all'articolo 501, il creditore pignorante e ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo possono chiedere l'assegnazione o la vendita delle cose mobili o l'assegnazione dei crediti. Sull'istanza di cui al periodo precedente il giudice fissa l'udienza per l'audizione del creditore e del debitore e provvede a norma degli articoli 552 o 553. Il decreto con cui viene fissata l'udienza di cui al periodo precedente è notificato a cura del creditore procedente e deve contenere l'invito e l'avvertimento al terzo di cui al numero 4) del secondo comma.

 

In primo luogo, il decreto-legge ha introdotto la possibilità di notificare l’atto di pignoramento al terzo e al debitore a norma degli artt. 137 e seguenti c.p.c., con eliminazione dell’avverbio “personalmente”. Ciò consente che la notifica sia eseguita in base alla legge 53/1994 (Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali).

Le altre modifiche si sostanziano nell'eliminazione dei casi in cui il terzo tenuto al pagamento di somme di denaro deve comparire in udienza per rendere la dichiarazione (crediti retributivi, art. 545, commi terzo e quarto). Ne consegue che la dichiarazione sarà resa dal terzo in ogni caso a mezzo lettera raccomandata o posta elettronica certificata. Tale misura - secondo la relazione di accompagnamento del provvedimento in conversione – dovrebbe incrementare la competitività del sistema economico, dal momento che evita ad imprese di grandi dimensioni o a pubbliche amministrazioni le inefficienze connesse alla necessità di comparire in udienza.

Il terzo viene avvertito che in caso di mancata comunicazione della dichiarazione, la stessa dovrà essere resa comparendo in udienza e che se a tale udienza il terzo non compare o non rende la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore, nell'ammontare o nei termini indicati dal creditore, si considereranno non contestati.

Il decreto legge prevede quindi l'inserimento di un ultimo comma, il quinto, in virtù del quale quando l'ufficiale giudiziario procede a norma dell'art. 492-bis, ovvero effettua la ricerca dei beni da pignorare con modalità telematiche, deve consegnare senza ritardo al creditore il verbale, il titolo esecutivo ed il precetto, e si applicano le disposizioni sul deposito in cancelleria da parte del creditore della nota di iscrizione a ruolo (v. sopra, art. 18).

Decorsi dieci giorni dal pignoramento (termine di cui all'art. 501 c.p.c.), il creditore pignorante e ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo possono chiedere l'assegnazione o la vendita delle cose mobili o l'assegnazione dei crediti.

 

La lettera f) modifica, con finalità di coordinamento, l'articolo 547 del codice di procedura civile che, sempre nell’ambito dell’espropriazione forzata presso terzi, disciplina la dichiarazione con la quale il terzo specifica di quali cose o di quali somme è debitore rispetto all’esecutato. In particolare, il decreto-legge elimina ogni riferimento alla comparizione in udienza, essendo previsto che la dichiarazione sia resa attraverso posta elettronica certificata.

 

La lettera g) interviene invece sull'articolo 548 del codice di procedura civile che disciplina l'ipotesi della mancata dichiarazione del terzo. Il decreto-legge, con finalità di coordinamento, abroga il primo comma e riformula il secondo comma, prevedendo che, quando all'udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, il giudice, con ordinanza, fissa un'udienza successiva; l’ordinanza deve essere notificata al terzo con almeno 10 giorni di preavviso. Se questi non compare alla nuova udienza o, comparendo, rifiuta di fare la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato.

 

Anche queste modifiche alla procedura di espropriazione presso terzi, troveranno applicazione in base al comma 6-bis dell’art. 19 nei procedimenti di espropriazione forzata introdotti a decorrere dal 30° giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

 

 

Modifiche in tema di espropriazione immobiliare (comma 1, lett. h), h-bis), h-ter), h-quater) e h-quinquies)

Il testo originario del decreto-legge 132/2014 tratta l’espropriazione immobiliare alla lettera h) dell’art. 19, comma 1, con la quale sostituisce l'art. 560, terzo comma, del codice di procedura civile, per introdurre l'obbligo per il giudice dell'esecuzione immobiliare di ordinare la liberazione dell'immobile pignorato, non più quando provvede all'aggiudicazione o all'assegnazione, bensì, quando autorizza la vendita[9]. Tale disposizione è stata soppressa nel corso dell’esame in Senato.

Sul punto si è espresso favorevolmente il parere del Consiglio Superiore della Magistratura, nel quale si evidenziava come la modifica accogliesse l’impostazione di una parte della giurisprudenza di merito e rispondesse ad «esigenze di efficacia e di rapidità delle procedure esecutive (un immobile libero è, infatti, vendibile nella procedura esecutiva più agevolmente di un immobile occupato ed, inoltre, si evitano i tempi lunghi legati alle difficoltà di ottenere dopo la vendita il rilascio dell’immobile da parte dell’occupante)». Lo stesso parere sottolineava peraltro come questa scelta del legislatore comportasse «un innegabile pregiudizio per il debitore che deve lasciare l’immobile quando lo stesso, pur non essendo più nella sua giuridica disponibilità (poiché con il pignoramento la stessa è trasferita al custode e per continuare l’utilizzazione dell’immobile è necessaria l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione) è ancora di sua proprietà e non è certo che sia alienato».

 

Peraltro, il Senato ha novellato altre disposizioni del codice di procedura civile relative a questo tema per affermare il principio per cui il giudice deve ricorrere alla vendita con incanto del bene immobile solo se ritiene che attraverso tali modalità sarà probabile raggiungere un prezzo di acquisto superiore della metà rispetto al valore dell’immobile[10]. Tale principio viene affermato novellando:

·      l’art. 569, sul provvedimento per l'autorizzazione della vendita da parte del giudice (lettera h-bis);

·      l’art. 572, in tema di deliberazione sull’offerta nella vendita senza incanto, per sottolineare che se l’offerta è inferiore al valore dell’immobile, il giudice non può procedere alla vendita se ritiene probabile ottenere con l’incanto un prezzo di acquisto superiore della metà rispetto a tale valore (lettera h-ter);

·       l’art. 588, sul termine per l’istanza di assegnazione, per eliminarvi ogni riferimento all’incanto essendo sufficiente riferirsi alla vendita (lettera h-quater);

·      l’art. 590, in tema di provvedimento di assegnazione, per eliminarvi ogni riferimento all’incanto (lettera h-quinquies).

 

Sempre in tema di utilizzo della vendita all’incanto, la lettera d-ter) del comma 1, introdotta dal Senato, modifica l’art. 503 c.p.c. e, in una disposizione che nell’ambito della disciplina generale dell’espropriazione forzata attiene ai modi della vendita forzata, specifica che l’incanto può essere disposto solo quando il giudice ritiene probabile che attraverso tali modalità sarà possibile ottenere un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene, determinato in base all’art. 568.

Si rileva che l’art. 503, oggetto della novella, attiene alla disciplina generale l’espropriazione, mentre l’art. 568 – cui l’art. 503 rinvia – riguarda esclusivamente l’espropriazione immobiliare.

 

Beni mobili contenuti nell’immobile da rilasciare (comma 1, lett. i)

La lettera i) riformula l'articolo 609 del codice di procedura civile, delineando uno specifico procedimento che, in sede di rilascio, l'ufficiale giudiziario deve seguire al fine di liberare l'immobile dai beni mobili in esso eventualmente rinvenuti e che non debbono essere consegnati. In particolare, il decreto-legge prevede che:

·        l’ufficiale giudiziario deve intimare alla parte tenuta al rilascio o a colui al quale risulta che i beni appartengono l'asporto entro un termine perentorio;

·        se l’asporto non è realizzato nel termine, l’ufficiale giudiziario determina il valore dei beni stessi e quantifica le spese di custodia e asporto;

·        se il valore dei beni supera le spese, l’ufficiale giudiziario nomina un custode e fa spostare i beni; in mancanza di istanza ovvero se la vendita dei beni è ritenuta inutile, i beni vengono considerati abbandonati e l’ufficiale giudiziario ne dispone la distruzione;

·        se vengono rinvenuti documenti inerenti lo svolgimento dell'attività imprenditoriale o professionale si prevede una specifica modalità di custodia degli stessi, per due anni, in presenza di una istanza e dell’anticipazione delle spese di custodia; in mancanza anche per questi documenti si procede a distruzione;

·        il custode dei beni provvede alla vendita degli stessi senza incanto. La somma ricavata dalla vendita del bene è impiegata per il pagamento delle spese e dei compensi di custodia e di asporto. L'eventuale eccedenza è impiegata per il pagamento dell'esecuzione per rilascio, quando i beni appartengono alla parte esecutata. Se i beni appartengono ad un terzo che non li ha rivendicati prima della vendita secondo le modalità previste quanto eccede il pagamento delle spese di custodia e trasporto è immediatamente versata al terzo;

·        se i beni mobili rinvenuti sono a loro volta pignorati o sequestrati, l’ufficiale giudiziario dà notizia del rilascio al creditore.

 


 

 

Chiusura anticipata del processo esecutivo (comma 2, lett. b)

Il comma 2 dell’art. 19 modifica le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.

In particolare, la lettera a) inserisce nelle disposizioni gli articoli da 155-bis a 155-quinquies, che danno attuazione all’art. 492-bis c.p.c. sulla ricerca telematica dei beni da pignorare (v. sopra).

La lettera b) del comma 2 inserisce invece nelle disposizioni di attuazione il nuovo articolo 164-bis con il quale si stabilisce che, quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo.

 

Sul punto il parere del Consiglio superiore della magistratura evidenzia che «In questo modo il legislatore ha normativizzato una prassi che da tempo parte della giurisprudenza di merito aveva adottato e che, tuttavia, era stata sempre considerata non corretta dalla giurisprudenza di legittimità (v., ex multis, Cass. 19 dicembre 2006, n. 27148) che non aveva riconosciuto alle ipotesi di infruttuosità dell’esecuzione la idoneità a determinare la conclusione anticipata del processo. Si tratta di una soluzione apprezzabile poiché evita l’inutile e dispendioso protrarsi di procedure esecutive che non consentono di soddisfare l’interesse del creditore».

 

 

Incentivi agli ufficiali giudiziari (comma 4)

Il comma 4 dell'articolo 19 interviene sul DPR n. 1229 del 1959, che reca l’ordinamento degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari. In particolare, modificando gli articoli 107 e 122, il decreto-legge stabilisce che quando si procede alla ricerca telematica dei beni del debitore da pignorare o ad operazioni di pignoramento mobiliare, agli ufficiali giudiziari spetta un ulteriore compenso, che rientra tra le spese di esecuzione e che è stabilito dal giudice dell’esecuzione in base ai seguenti parametri:

 

Valore di assegnazione/
ricavato della vendita dei beni e dei crediti pignorati

% ufficiale giudiziario
in caso di ricerca telematica dei beni

% ufficiale giudiziario
in caso di pignoramento mobiliare

Fino a 10.000 euro

6%

5%

Da 10.001 a 25.000 euro

4%

2%

Da 25.001 euro

3%

1%

 

 

 

 

Il Senato ha specificato che il compenso dell’ufficiale giudiziario è dimezzato se le operazioni non vengono effettuate entro 15 giorni dalla richiesta.

Se, prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione, il debitore chiede di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro pari all'importo dovuto al creditore pignorante (conversione del pignoramento ai sensi dell’art. 495 c.p.c.), il compenso dell’ufficiale giudiziario è determinato secondo le percentuali dell’ultima colonna, ridotte della metà. Le stesse percentuali si applicano se il processo esecutivo si estingue o si chiude anticipatamente, ma in questo caso il compenso dell’ufficiale giudiziario è posto a carico del creditore procedente.

Il compenso dell’ufficiale giudiziario non potrà comunque essere superiore al 5% del valore del credito per il quale si procede. Tale compenso sarà così distribuito:

-        60% all’ufficiale giudiziario o al funzionario che ha materialmente svolto le operazioni di pignoramento. Se colui che ha eseguito il pignoramento non è anche colui che ha interrogato le banche dati, il compenso deve essere equamente diviso tra i due;

-        40% ripartito dal dirigente dell’ufficio tra tutti gli altri ufficiali e funzionari preposti al servizio esecuzioni

 

Estensione delle modalità di ricerca telematica dei beni ad altre procedure giudiziarie (comma 2, lett. a) e commi 5 e 6)

Come già visto, in sede di commento delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile relative alla ricerca telematica dei beni da pignorare (v. sopra, comma 2, lett. a)), l’art. 155-sexies specifica che tali modalità di ricerca si applicano anche per:

-        esecuzione del sequestro conservativo;

-        procedure concorsuali;

-        procedimenti in materia di famiglia;

-        procedimenti di gestione dei patrimoni altrui.

 

Il comma 5 dell'articolo 19 interviene, con le medesime finalità, sul DPR 605/1973[11] per prevedere, all’art. 7 relativo alle comunicazioni all’anagrafe tributaria, che attraverso l’ufficiale giudiziario e con le modalità previste per la ricerca telematica dei beni da pignorare (ex art. 492-bis c.p.c.), l’autorità giudiziaria possa accedere all’anagrafe tributaria per ricostruire la situazione patrimoniale di soggetti interessati dai medesimi procedimenti (concorsuali, in materia di famiglia, di gestione dei patrimoni altrui).

Si osserva che il catalogo dei procedimenti contenuto nell’art. 155-sexies disp.att. è diverso da quello inserito nell’art. 7 del DPR 605 del 1973: solo la prima disposizione fa infatti riferimento al procedimento per l’esecuzione del sequestro conservativo.

 

Il comma 6, a seguito delle modifiche approvate in Senato, specifica che anche a queste ricerche con modalità telematiche si applica l’art. 155-quinquies delle disposizioni di attuazione del codice di rito (v. sopra), ovvero la disposizione che in caso di mal funzionamento dei dispositivi telematici impone ai gestori delle banche dati di comunicare con modalità diverse le informazioni richieste.

 

Norma transitoria (comma 6-bis)

Il comma 6 attualmente in vigore, ovvero nel testo originario del decreto-legge, stabilisce che tutte le disposizioni dell’articolo 19 si applicano ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Tale previsione è stata modificata nel corso dell’esame in Senato e inserita nel comma 6-bis. In particolare, il nuovo comma 6-bis esclude che il differimento d’efficacia delle previsioni del decreto-legge si applichi alle seguenti procedure:

-        disposizioni che consentono la ricerca con modalità telematiche anche per l’esecuzione del sequestro conservativo, per la ricostruzione dell’attivo e del passivo nell’ambito delle procedure concorsuali, nei procedimenti di famiglia e in quelli relativi alla gestione di patrimoni altrui (ai sensi dell’art. 155-sexies disp. att. e dell’art. 7, nono comma, del DPR 605/1973);

-        procedura che consente la chiusura anticipata del processo esecutivo in caso di presumibile infruttuosità dell’espropriazione forzata (ai sensi dell’art. 164-bis disp. att.).

In questi due casi, quindi, le disposizioni del decreto-legge, come modificato dal Parlamento, diverranno efficaci con l’entrata in vigore della legge di conversione e dunque il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e – è da ritenere - si applicheranno anche ai procedimenti già in corso.

 

Le modifiche approvate in Senato rispondono in parte alle osservazioni formulate dal parere del CSM.

 


 

Articolo 19-bis
(Crediti delle rappresentanze diplomatiche e consolari straniere)

 

L’articolo 19-bis, introdotto nel corso dell’esame del disegno di legge al Senato, prevede l’impignorabilità dei depositi bancari o postali a disposizione delle rappresentanze diplomatiche e consolari straniere quando, preventivamente, il capo della rappresentanza diplomatica abbia comunicato al nostro Ministero degli affari esteri e all’ente di credito, che quelle depositate sono somme destinate esclusivamente all’espletamento delle funzioni diplomatiche. La nullità degli atti di espropriazione forzata è rilevabile d’ufficio.

 

In particolare, il comma 1, definisce le autorità diplomatiche e consolari come i «soggetti di cui all'articolo 21, comma 1, lettera a) della Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, fatta a New York il 2 dicembre 2004», ratificata con legge 5/2013.

Si tratta dunque:

-        della missione diplomatica dello Stato;

-        dei suoi posti consolari;

-        delle sue missioni speciali;

-        delle sue missioni presso le organizzazioni internazionali;

-        delle sue delegazioni negli organi delle organizzazioni internazionali o alle conferenze internazionali.

 

Affinché le somme depositate siano immuni dall’espropriazione forzata, occorre che il vertice della rappresentanza diplomatica in Italia abbia preventivamente comunicato che il conto contiene somme destinate all’espletamento delle funzioni diplomatiche a:

-        Ministero degli affari esteri;

-        Impresa autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria.

 

Una volta effettuata tale comunicazione, le somme depositate su tali conti non potranno essere utilizzate per eseguire pagamenti per titoli diversi da quelli per i quali le somme sono state vincolate (comma 2).

 

In base al comma 3, anche se viene effettuato un pignoramento di tali somme:

-        la banca non ha l’obbligo di accantonare le somme;

-        le rappresentanze diplomatiche o consolari mantengono la piena disponibilità delle somme.


 

Articolo 20
(Monitoraggio delle procedure esecutive individuali e concorsuali e deposito della nota di iscrizione a ruolo con modalità telematiche)

 

L'articolo 20 introduce l’obbligo di deposito telematico di una serie di rapporti periodici e finali nell’ambito di procedure esecutive, concorsuali e di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Ciò per consentire oltre che un controllo da parte del giudice preposto, anche al Ministero della giustizia e al Ministero delle attività produttive di verificare l’esito e l’efficienza di tali procedure a fini statistici.

 

Si osserva preliminarmente che la rubrica dell’articolo 20 fa riferimento alla nota di iscrizione a ruolo con modalità telematiche. In realtà tale previsione è introdotta dall’articolo 18 del decreto-legge.

 

Deposito telematico dei rapporti periodici e finali nelle procedure esecutive e concorsuali (commi 1 e 5)

In particolare, il comma 1 aggiunge alcune disposizione nell’art. 16-bis del decreto-legge n. 179/2012, che disciplina l’obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali.

 

Il Senato è intervenuto a correggere la numerazione dei nuovi commi introdotti dal decreto-legge: l’art. 20, infatti, inserisce nell’art. 16-bis i commi 9-ter e seguenti, senza tenere conto del fatto che un comma 9-ter era già stato inserito dal recente D.L. 90/2014 e che dunque le nuove disposizioni partiranno dal comma 9-quater.

 

Inserendo dunque i commi 9-quater (sulla chiusura del fallimento), 9-quinquies (sul concordato preventivo con cessione dei beni e con continuità aziendale), 9-sexies (sulla vendita nell’espropriazione immobiliare), il decreto-legge stabilisce che per la procedura fallimentare, di concordato preventivo e per le procedure esecutive individuali su beni immobili è previsto - a cura del curatore, del liquidatore o del commissario giudiziale, del delegato alla vendita dell’immobile - l'obbligo di elaborazione e di deposito del rapporto riepilogativo finale, da redigere in conformità a quanto già previsto dalla legge fallimentare (R.D. 267/1942, art. 33). In caso di concordato con continuità aziendale, è introdotto anche l'obbligo del commissario giudiziale di redigere il rapporto riepilogativo periodico.

Il nuovo comma 9-septies prevede che tutti questi rapporti siano depositati con modalità telematiche nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, nonché delle apposite specifiche tecniche del responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia.

 

Il comma 5 precisa che queste disposizioni saranno efficaci anche rispetto alle procedure in corso, ma solo a partire dal 90° giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei decreti ministeriali con le specifiche tecniche.

 

Deposito telematico dei rapporti periodici e finali nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (commi 2, 3 e 6)

Il comma 2, modificando il D.Lgs. n. 270 del 1999[12], sulle procedure straordinarie per l’amministrazione delle grandi imprese in crisi, prevede che il commissario straordinario debba redigere semestralmente e inviare con modalità telematiche al Ministero dello sviluppo economico, una relazione sulla situazione patrimoniale dell’impresa e l’andamento della sua gestione, in base a modelli standard definiti dallo stesso Ministero (modifica dell’art. 40); analogamente dovrà provvedere per il bilancio finale della procedura e il conto della gestione (modifica all’art. 75).

Tali dati dovranno poi essere estratti e elaborati dal Ministero (comma 3).

Il comma 6 precisa che queste disposizioni saranno efficaci anche rispetto alle procedure di amministrazione straordinaria in corso, ma solo a partire dal 90° giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei decreti del Ministero della sviluppo economico con le specifiche tecniche.

 

Infine, il comma 4 precisa che tanto il Ministero della giustizia quanto il Ministero dello sviluppo economico dovranno provvedere all’attuazione dell’art. 20 con le risorse disponibili a legislazione vigente.

 

 

 

 


Capo VI
Misure per il miglioramento dell'organizzazione giudiziaria

Articolo 21
(Disposizioni in tema di tramutamenti successivi dei magistrati)

 

Il capo VI – composto dal solo articolo 21 - contiene misure per una più efficiente organizzazione degli uffici giudiziari.

La disposizione è infatti diretta a realizzare l'obiettivo di ridurre al massimo i tempi di scopertura dei posti vacanti, all'esito delle procedure di tramutamento orizzontale (cioè quei trasferimenti successivi all’assegnazione di sede dopo il tirocinio iniziale e che non prevedono nè il conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi né il conferimento delle funzioni ai magistrati di prima nomina).

 

Attualmente, i termini per l’assunzione delle funzioni dei magistrati a seguito di decreto di nomina o destinazione sono disciplinati dell’art. 10 dell’ordinamento giudiziario (R.D. 12/1941). I magistrati debbono assumere le loro funzioni nel termine di trenta gg. dalla data del bollettino ufficiale che pubblica la registrazione alla corte dei conti del decreto di nomina o destinazione (primo comma). Tale termine non può essere prorogato per nessuna ragione, ma può essere abbreviato dal Ministro di grazia e giustizia per necessità di servizio (secondo comma). Il Ministro può anche ordinare, per ragioni di servizio, che il magistrato tramutato o promosso continui ad esercitare il precedente suo ufficio per un periodo di tempo non superiore a giorni trenta. In questo caso, il termine stabilito nel primo comma del presente articolo decorre dal giorno in cui cessa tale esercizio, e può essere abbreviato per disposizione del Ministro (terzo comma). Nei casi di necessità di servizio, il Ministro può pure disporre che i magistrati promossi o tramutati assumano servizio presso il nuovo ufficio anche prima della registrazione del relativo decreto alla corte dei conti. Nel caso di revoca del decreto per mancata registrazione, il magistrato è considerato come in missione, ed ha diritto alla corrispondente indennità per il tempo in cui ha prestato servizio in esecuzione del decreto stesso (quarto comma).

In base all’art. 10, a seguito di un bando relativo a più posti ed uffici giudiziari (due volte l’anno ex circolare CSM 8 giugno 2009), le delibere di trasferimento approvate dal CSM sono dunque attuate con singoli DM giustizia (uno per ogni magistrato e che non vengono adottati contestualmente). Dalla pubblicazione del DM sul Bollettino ufficiale del Ministero decorre il termine di 30 gg. entro il quale il magistrato deve prendere possesso del nuovo ufficio.

Nella pratica vi è la possibilità che, previo accordo tra gli uffici interessati al trasferimento, l’immissione nell’ufficio sia anticipata o differita dal Ministero della giustizia fino ad un massimo di sei mesi (sempre decorrenti dalla citata pubblicazione).

 

Poiché tale sistema ha mostrato limiti di efficienza in relazione agli sfasamenti temporali dei trasferimenti disposti in attuazione dello stesso bando, l’articolo 21 prevede nuove regole per le procedure di tramutamento orizzontale che siano avviate con delibera CSM successiva all’entrata in vigore della legge di conversione del DL in esame.

E’, infatti, aggiunto un articolo 10-bis all’ordinamento giudiziario che prevede:

§  che il Ministro della giustizia adotti un unico decreto per tutti i magistrati tramutati nell'ambito della medesima procedura indetta con unica delibera del CSM;

-        che il Consiglio superiore della magistratura debba espletare due volte all’anno le procedure di tramutamento dei magistrati esaurendole nel termine di 4 mesi (la novità risulta essere il termine quadrimestrale).

 

Per evitare che gli uffici giudiziari a forte scopertura (non inferiore al 35%) aumentino la predetta carenza di personale di magistratura per effetto delle delibere di tramutamento è poi previsto che la stessa delibera non produca effetto sino a quando il CSM non abbia deliberato la copertura del posto lasciato vacante. È, tuttavia, stabilito un termine massimo di inefficacia del provvedimento di trasferimento: la sospensione degli effetti cessa decorsi sei mesi dall'adozione della delibera. Nella stressa logica, è stabilito che la disposizione non si applichi quando l'ufficio di destinazione ha una scopertura uguale o superiore alla percentuale di scopertura dell'ufficio di provenienza.

E’ poi previsto che si applichi l’art. 10 dell’ordinamento giudiziario, concernente il termine per l’assunzione delle funzioni da parte dei magistrati.

 

E’ sostanzialmente critico il parere del CSM sul contenuto dell’art. 21. L’intervento è ritenuto estemporaneo e non risolutorio delle problematiche sottese cui potrebbe, secondo il Consiglio, essere data soluzione solo con l’indizione di concorsi di un congruo numero di magistrati onorari di tribunale. Secondo il parere, i problemi di copertura di organico nelle sedi meno ambite (gli uffici di primo grado) derivano, infatti, dall’ormai endemico divario tra l’organico di magistratura ed i magistrati effettivamente in servizio.

Critiche sono poi rivolte alla previsione di un termine di 4 mesi imposto al CSM per espletare le procedure di tramutamento dei magistrati, ritenuto, in ogni caso, come meramente ordinatorio stante l’autonomia del Consiglio superiore e la sua discrezionalità nell’esercizio delle funzioni.

 

La nuova disciplina si applicherà ai tramutamenti di sede avviati con delibera del CSM successiva all’entrata in vigore della legge di conversione.

 

 


 

Articolo 21-bis
(Istituzione del giudice di pace di Ostia e ripristino dell’ufficio
del giudice di pace di Barra)

 

L’articolo 21-bis, introdotto dal Senato, apporta modifiche alla recente riforma della geografia giudiziaria che ha interessato l’organizzazione ed il dislocamento sul territorio degli uffici del giudici di pace.

 

Con i due decreti legislativi nn. 155 e 156 del 2012 - in attuazione della delega conferitagli dalla legge n. 148 del 2011 - il Governo ha operato una profonda riforma della geografia giudiziaria a fini sia di riduzione della spesa che di miglioramento dell'efficienza del sistema giustizia. Il primo decreto procede alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie e detta la nuova organizzazione degli uffici giudiziari di primo grado e delle relative procure della Repubblica. A tal fine sopprime 31 tribunali.

In particolare, il decreto legislativo 156/2012 riorganizza sul territorio gli uffici dei giudici di pace sopprimendo un significativo numero di uffici, in particolare quelli situati in sede diversa da quella del circondario di tribunale; di tali uffici, è stato operato un limitatissimo recupero in relazione agli specifici parametri previsti dalla legge delega. All’esito dell’entrata in vigore del decreto sono stati soppressi ben 667 uffici del giudice di pace, partendo da un totale di 846 uffici esistenti. Restano in attività 179 uffici (133 presso sedi circondariali; 46 presso altre sedi). Il decreto n. 156 ha stabilito, come previsto dalla delega, la possibilità per i comuni di recuperare l’ufficio giudiziario onorario oggetto di soppressione, accollandosi i relativi oneri finanziari.

 

In particolare, l’art. 21-bis ripristina due uffici del giudice di pace già soppressi all’esito della riforma:

·         il primo ad Ostia nel comune di Roma (circondario del tribunale di Roma);

·         il secondo a Barra nel comune di Napoli (circondario del tribunale di Napoli).

 

Si segnala che la rubrica dell’art. 21-bis fa riferimento alla “Istituzione del giudice di pace di Ostia”. In realtà, come per il giudice di pace di Barra, anche per quello di Ostia si tratta di un ripristino dell’ufficio.

 

La disposizione provvede, conseguentemente, alle necessarie sostituzioni tabellari. Vengono, quindi sostituite:

-        le tabelle A e B allegate al d.lgs 156 del 2012 contenenti, rispettivamente: 1) l’elenco degli uffici del giudice di pace soppressi, 2) i nuovi uffici cui sono attribuite le competenze degli uffici soppressi;

-        la tabella A del d.lgs 374/1991 (Istituzione del giudice di pace) che stabilisce la competenza territoriale di ogni ufficio del giudice di pace.

In particolare, sulla base delle nuove tabelle allegate al decreto-legge la competenza del giudice di pace di Ostia copre il territorio del X Municipio del comune di Roma; di conseguenza è sottratta alla competenza del giudice di pace di Roma la competenza sul X municipio.

La competenza del giudice di pace di Barra copre, invece, i territori di S. Giorgio a Cremano e della municipalità V del comune di Napoli, entrambi attualmente di competenza del giudice di pace di Napoli.

 

L’articolo 21 detta poi una serie di disposizioni organizzative conseguenti al ripristino dei due uffici.

La prima riguarda la copertura del personale di magistratura onoraria degli uffici di Ostia e Barra le cui piante organiche sono determinate con decreto del ministro della giustizia, da adottare, sentito il CSM, entro 90 gg. dall’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. in esame. Saranno insieme rideterminate le conseguenti variazioni delle piante organiche degli altri uffici del giudice di pace.

Spetta al CSM la definizione, entro 6 mesi, delle procedure di trasferimento dei giudici di pace presso gli uffici di Ostia e Barra.

Con altro decreto del Ministro della giustizia, da emanarsi entro 90 gg. dall’entrata in vigore della legge di conversione, saranno determinate le piante organiche del personale amministrativo degli uffici del giudice di pace di Ostia e Barra e le conseguenti variazioni delle piante organiche degli altri uffici.

Per il trasferimento del personale amministrativo necessario alla copertura dei due uffici si provvede con le ordinarie procedure di trasferimento di competenza del Ministero della giustizia. Alle domande di trasferimento del personale amministrativo che prestava già servizio presso i due uffici soppressi alla data di entrata in vigore del D.Lgs 152 del 2012 (13 settembre 2012) è attribuita preferenza assoluta.

Analoga preferenza non è invece prevista per i giudici di pace che alla stessa data prestavano servizio presso gli uffici di Ostia e Barra.

Sono, infine, dettate disposizioni inerenti l’entrata in funzione dei due nuovi uffici del giudice di pace (disposta con decreto del ministro della giustizia).

A partire dalla stessa data possono essere introdotti presso i giudici di pace di Ostia e Barra i procedimenti civili e penali di loro competenza; la data di introduzione dei procedimenti penali si considera quella in cui la notizia di reato è acquisita o pervenuta agli uffici del pubblico ministero.

L’autorizzazione della spesa di funzionamento dei due uffici, pari a 317.000 euro, decorre dal 2015.

 


Capo VII
Disposizioni finali

Articolo 22
(Disposizioni finanziarie)

 

Il Capo VII contiene previsioni finanziarie e inerenti alla entrata in vigore.

L'articolo 22 reca in particolare le disposizioni finanziarie ed è stato integralmente sostituito dal Senato.

In base al comma 1, alle minori entrate derivanti dagli articoli 3, 6 e 12, pari a 4.364.500 euro annui e agli oneri derivanti dagli articoli 18, 20 e 20-bis, pari a euro 550.000 per il 2014 ed euro 417.000 dal 2015, si provvede:

a)     per euro 550.000 per il 2014, euro 481.500 per il 2015 ed euro 100.000 dal 2016, mediante corrispondente riduzione del Fondo per intreventi strutturali di politica economica;

b)     per euro 381.500 dal 2016 mediante corrispondente riduzione dell’accantonamento del Ministero dell’ambiente, all’interno della missione “Fondi da ripartire”  nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali”;

c)     per euro 4,3 milioni annui attraverso le maggiori entrate di cui all’articolo 19.

Il comma 2 prevede che il Ministro della giustizia effettui un monitoraggio semestrale delle minori entrate e riferisca al Ministro dell’economia e delle finanze. Nel caso di scostamenti, con decreto del Ministro della giustizia saranno aumentati gli importi del contributo unificato, nella misura necessaria alla copertura finanziaria delle minori entrate.

Il comma 3 stabilisce che il ministro dell’economia e delle finanze riferisca alle camere, con apposita relazione, sulle cause degli scostamenti e l’adozione delle misure adottate.

Il comma 4 autorizza il ministro dell’economia ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.

 


 

Articolo 23
(Entrata in vigore)

 

Infine, l'articolo 23 disciplina l'entrata in vigore.

Peraltro si ricorda che diversi termini di efficacia sono previsti dagli articoli 3, 12, 17, 18, 19, 20 e 21, al cui commento si rinvia.

 

 

 


 



[1]     Il saggio degli interessi legali - già fissato in origine nella misura del 5% in ragione di anno – ha subito le seguenti oscillazioni:

-         10% a decorrere dal 16 dicembre 1990;

-         5% a decorrere dal 1° gennaio 1997;

-         2,5% a decorrere dal 1° gennaio 1999;

-         3,5% a decorrere dal 1° gennaio 2001;

-         3%, a decorrere dal 1° gennaio 2002;

-         2,5%, a decorrere dal 1° gennaio 2004;

-         3% a decorrere dal 1° gennaio 2008;

-         1% a decorrere dal 1° gennaio 2010;

-         1,5% a decorrere dal 1° gennaio 2011;

-         2,5% a decorrere dal 1° gennaio 2012;

-         1% a decorrere dal 1° gennaio 2014 (in base al D.M. 12 dicembre 2013).

[2]     D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

[3]     D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192, Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell'articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180.

[4]     D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, convertito con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 17 dicembre 2012, n. 221.

[5]     Per individuare le "Amministrazioni Pubbliche" occorre fare riferimento all'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, secondo cui tali «si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo n. 300 del 1999».

[6]     Si ricorda, a titolo di esempio, che l'articolo 14, comma 1-bis, del decreto-legge n. 669 del 1996 stabilisce che «il pignoramento di crediti di cui all'articolo 543 del codice di procedura civile promosso nei confronti di Enti ed Istituti esercenti forme di previdenza ed assistenza obbligatorie organizzati su base territoriale deve essere instaurato, a pena di improcedibilità rilevabile d'ufficio, esclusivamente innanzi al giudice dell'esecuzione della sede principale del Tribunale nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento in forza del quale la procedura esecutiva è promossa».

[7]     Nella sua formulazione originaria, la richiesta dell'ufficiale giudiziario doveva essere autorizzata dal giudice dell'esecuzione; il testo del 7° co. è stato invece riformulato, prima dell’abrogazione ad opera del provvedimento in commento, dalla legge n. 52 del 2006 (Riforma delle esecuzioni mobiliari), che ha svincolato l'attività dell'ufficiale giudiziario da alcun potere autorizzativo del giudice.

[8]     D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605, Disposizioni relative all'anagrafe tributaria e al codice fiscale dei contribuenti.

[9]     La relazione illustrativa motivava questo intervento con l’esigenza di « conseguire la massima efficacia delle vendite forzate, ponendo l'immobile pignorato nella situazione di fatto e di diritto il più possibile analoga a quella di un immobile posto in vendita sul libero mercato. L'acquirente non sarà più esposto, quindi, alle incertezze legate ai tempi ed ai costi del procedimento di esecuzione per rilascio (articolo 605 del codice di procedura civile) perché l'immobile sarà liberato da colui che lo occupa senza titolo prima dell'esperimento del tentativo di vendita».

[10]   Si ricorda che il valore dell’immobile è determinato in base all’art. 568 c.p.c. facendo riferimento alla rendita catastale ovvero – se il giudice ritiene quel valore manifestamente inadeguato – alla stima di un esperto.

[11]   D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605, Disposizioni relative all'anagrafe tributaria e al codice fiscale dei contribuenti.

[12]   D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, Nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell'articolo 1 della L. 30 luglio 1998, n. 274.