Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari - D.L. 90/2014 - A.C. 2486 - Schede di lettura
Riferimenti:
DL N. 90 DEL 24-GIU-14   AC N. 2486/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 196    Progressivo: 1
Data: 25/06/2014
Descrittori:
DECRETO LEGGE 2014 0090   PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
UFFICI GIUDIZIARI     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari

D.L. 90/2014 – A.C. 2486

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 196/1

 

 

 

30 giugno 2014

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760-3855 / 066760-9475 – * st_istituzioni@camera.it

 

 

 

 

 

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File: D14090a.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§  Articolo 1 (Ricambio generazionale nella pubblica amministrazione)              3

§  Articolo 2 (Incarichi direttivi ai magistrati)                                                      11

§  Articolo 3 (Turn over nella P.A.)                                                                     18

§  Articolo 4 (Mobilità obbligatoria e volontaria)                                                 30

§  Articolo 5 (Personale in disponibilità e assegnazione di nuove mansioni)     35

§  Articolo 6 (Divieto di incarichi per soggetti in quiescenza)                             40

§  Articolo 7 (Riduzione di distacchi, aspettative e permessi sindacali nella P.A.) 41

§  Articolo 8 (Collocamento in fuori ruolo dei magistrati)                                   42

§  Articolo 9 (Onorari degli avvocati dello Stato e degli enti pubblici)                45

§  Articolo 10 (Abrogazione del diritto di rogito del segretario comunale e provinciale e abrogazione del provento annuale dei diritti di segreteria)       49

§  Articolo 11 (Disposizioni sul personale dirigenziale delle regioni e degli enti locali)                                                                                                              51

§  Articolo 12 (Attività di volontariato di soggetti che beneficiano di misure di sostegno al reddito)                                                                                       57

§  Articolo 13 (Incentivi per la progettazione)                                                     59

§  Articolo 14 (Abilitazione scientifica nazionale; chiamata di professori associati) 60

§  Articolo 15 (Scuole di specializzazione medica)                                            63

§  Articolo 16 (Nomina dei dipendenti nei CDA delle società partecipate)         67

§  Articolo 17, commi 1-2 (Ricognizione degli enti pubblici e modalità di gestione dei servizi strumentali)                                                                                   70

§  Articolo 17, commi 3-5 (Acquisizione di informazioni relative alle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni)                                                 74

§  Articolo 18, commi 1 e 2 (Soppressione delle sezioni staccate di TAR)        78

§  Articolo 18, comma 3 (Soppressione del magistrato delle acque per le province venete e di Mantova)                                                                                     80

§  Articolo 18, comma 4 (Cabina di regia dell’Agenda digitale italiana)             82

§  Articolo 19 (Soppressione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e ridefinizione delle funzioni dell’Autorità nazionale anticorruzione)                                                                                               84

§  Articolo 20 (FORMEZ PA)                                                                              96

§  Articolo 21 (Unificazione delle Scuole di formazione delle p.a.)                    98

§  Articolo 22, commi 1-3 (Incompatibilità dei componenti e dei dirigenti delle autorità indipendenti)                                                                                   106

§  Articolo 22, commi 4 e 5 (Concorsi delle autorità indipendenti)                   111

§  Articolo 22, comma 6 (Riduzione della spesa per incarichi di consulenza  e per organi collegiali delle autorità indipendenti)                                                 112

§  Articolo 22, commi 7 e 8 (Gestione unitaria dei servizi e assoggettamento delle autorità indipendenti alla normativa in materia di acquisti centralizzati)      114

§  Articolo 22, commi 9-10 (Accorpamento delle sedi delle Autorità indipendenti) 116

§  Articolo 22, comma 11 (Sede dell’Autorità dei trasporti)                              118

§  Articolo 22, comma 12 (Attribuzione al Tar Lazio della competenza sulle controversie relative all’Autorità per l’energia elettrica e il gas)                   120

§  Articolo 22, commi da 13 a 16 (Disposizioni riguardanti la Consob)            121

§  Articolo 23 (Interventi urgenti in materia di riforma delle province e delle città metropolitane)                                                                                              123

§  Articolo 24 (Agenda per la semplificazione amministrativa)                        129

§  Articolo 25 (Semplificazioni per i soggetti con invalidità)                             132

§  Articolo 26 (Semplificazione per la prescrizione dei medicinali per il trattamento di patologie croniche)                                                                                   138

§  Articolo 27 (Semplificazione e razionalizzazione in materia sanitaria)        140

§  Articolo 28 (Riduzione del diritto annuale dovuto alle camere di commercio a carico delle imprese)                                                                                    144

§  Articolo 29 (Nuove norme in materia di iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa)                                                                                                       146

§  Articolo 30 (Unità operativa speciale per Expo 2015)                                  149

§  Articolo 31 (Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti)                 152

§  Articolo 32 (Gestione delle imprese per la prevenzione della corruzione)   153

§  Articolo 33 (Parere su transazione di controversie Expo 2015)                   157

§  Articolo 34 (Contabilità speciale per Expo Milano 2015)                             158

§  Articolo 35 (Divieto di transazioni della pubblica amministrazione con società o enti esteri aventi sede in Stati che non permettono l'identificazione dei soggetti che ne detengono la proprietà o il controllo)                                                160

§  Articolo 36 (Monitoraggio finanziario dei lavori relativi a infrastrutture strategiche e insediamenti produttivi)                                                          162

§  Articolo 37 (Trasmissione ad ANAC delle varianti in corso d’opera)           166

§  Articolo 38 (Processo amministrativo digitale)                                             168

§  Articolo 39 (Semplificazione degli oneri formali nella partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici)                                             169

§  Articolo 40 (Accelerazione dei giudizi in materia di appalti pubblici)            173

§  Articolo 41 (Contrasto all’abuso del processo)                                            176

§  Articolo 42 (Comunicazione per via telematica nel processo amministrativo) 178

§  Articolo 43 (Informatizzazione del processo contabile)                                180

§  Articolo 44 (Deposito telematico degli atti processuali)                               183

§  Articolo 45 (Comunicazione della sentenza)                                                187

§  Articolo 46 (Notificazioni eseguite da avvocati con modalità telematiche)   189

§  Articolo 47 (Indirizzi PEC delle pubbliche amministrazioni. Comunicazione al Ministero della Giustizia)                                                                              190

§  Articolo 48 (Vendita delle cose mobili pignorate con modalità telematiche) 191

§  Articolo 49 (Informatizzazione del processo tributario)                                194

§  Articolo 50 (Ufficio per il processo)                                                              196

§  Articolo 51, comma 1 (Apertura al pubblico delle cancellerie di tribunali e Corti d’appello)                                                                                                     200

§  Articolo 51, comma 2 (Termini per il deposito telematico degli atti processuali) 201

§  Articolo 52 (Poteri di autentica degli ausiliari e dei difensori)                       202

§  Articolo 53 (Copertura finanziaria attraverso l’aumento del contributo unificato) 206

 

 


Schede di lettura

 


 

Articolo 1
(Ricambio generazionale nella pubblica amministrazione)

 

 

L’articolo 1 detta norme per favorire il ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni, disponendo l’abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio e l’ampliamento dell’ambito applicativo dell’istituto della risoluzione unilaterale del contratto da parte della P.A. nei confronti dei dipendenti che abbiano maturato i requisiti pensionistici (requisito contributivo).

Il comma 1 abroga tutte le disposizioni che disciplinano l’istituto del trattenimento in servizio (ossia l’articolo 16 del decreto legislativo n. 503/1992, l’articolo 72, commi 8-10, del decreto-legge n.112/2008 e l’articolo 9, comma 31, del decreto-legge n. 78/2010).

L’istituto del trattenimento in servizio è stato introdotto dall’articolo 16 del D.Lgs. 503/1992, che ha previsto la possibilità per i dipendenti pubblici di permanere in servizio per un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo.

Successivamente, l’articolo 72, commi 7-10 del D.L. 112/2008 ha escluso che la permanenza in servizio potesse configurarsi in termini di diritto soggettivo del dipendente, rimettendo la valutazione sulla domanda del dipendente (da presentare all’amministrazione di appartenenza tra il 12° e il 24° mese precedente il compimento del limite di età) alla P.A. di appartenenza, chiamata a decidere sulla base delle proprie esigenze organizzative e funzionali, “in relazione alla particolare esperienza acquisita in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi[1].

Ulteriori limitazioni al trattenimento in servizio sono state introdotte (nel quadro della nuova disciplina volta al contenimento dei costi di personale della P.A. e alla riduzione degli organici) dall’articolo 9, comma 31, del D.L. 78/2010, il quale ha stabilito che i trattenimenti in servizio possono essere disposti esclusivamente nell'ambito delle facoltà di assunzioni consentite dalla legislazione vigente in base alle cessazioni del personale e con il rispetto delle relative procedure autorizzatorie[2]. Infine, è stata sancita la non applicabilità dell'intero comma 31 ai trattenimenti in servizio previsti dall'articolo 16, comma 1-bis[3] del D.Lgs. 503/1992, che ha disposto per alcune categorie di personale (magistrati ordinari, amministrativi e militari, nonché avvocati e procuratori dello Stato) la facoltà di permanere in servizio sino al compimento del 75° anno di età.

Per quanto concerne il personale militare, la categoria dell'ausiliaria comprende il personale che a seguito di cessazione dal servizio per raggiungimento del limite di età previsto per il grado rivestito o a domanda ha manifestato  la propria disponibilità a prestare servizio nell'ambito del comune o della provincia di residenza presso l'amministrazione di appartenenza o altra amministrazione. Il personale militare permane in ausiliaria:

a) fino a 65 anni, se con limite di età per la cessazione dal servizio pari o superiore a 60 anni, ma inferiore a 62 anni;

b) fino a 67 anni, se con limite di età per la cessazione dal servizio pari o superiore a 62 anni e, comunque, per un periodo non inferiore ai 5 anni.

Ai sensi dell’articolo 993 del Codice dell’ordinamento militare il richiamo in servizio presso l'Amministrazione della difesa è disposto con decreto del Ministro della difesa adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.  Il richiamo in servizio dei militari che accettano l'impiego è disposto con decreto del Ministro competente di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro della pubblica amministrazione e l’innovazione.

 

Il comma 2 detta la disciplina transitoria, prevedendo che i trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del decreto-legge sono fatti salvi fino al 31 ottobre 2014 (o fino alla loro scadenza, se anteriore), mentre i trattenimenti in servizio disposti ma non ancora efficaci alla data di entrata in vigore del decreto-legge sono revocati.

Il comma 3 prevede che i trattenimenti in servizio per magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari e per gli avvocati dello Stato sono fatti salvi fino al 31 dicembre 2015 (o fino alla loro scadenza, se anteriore).

L’art. 16 della legge 503 del 1992 (come modificata dall'articolo 72, comma 7, del D.L.112/2008, conv. dalla L. 133/2008) prevede la facoltà del dipendente pubblico di rimanere volontariamente in servizio nei 2 anni successivi al raggiungimento dell'età pensionabile. E’ tuttavia data facoltà all'amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell'efficiente andamento dei servizi.

Per le categorie di personale di magistratura ordinaria, amministrativa, militare e contabile nonché dell’avvocatura dello Stato (ovvero il personale di cui all’art. 1 della legge 27/1981), il comma 1-bis dell’art. 16 della stessa L. 503/1992 (introdotto dalla legge finanziaria 2003) ha esteso la facoltà di trattenimento in servizio sino al compimento del 75° anno di età (v. risoluzioni adottate dal CSM il 14 gennaio 1993 e il 15 gennaio 2003).

Il comma 3 introduce una deroga alla nuova disciplina dei trattenimento in servizio dei pubblici dipendenti dettata dai commi 1 e 2. Sono, a tal fine, fatti salvi fino al 31 dicembre 2015 (o fino alla loro scadenza, se anteriore) i trattenimenti in servizio. di magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari e degli avvocati dello Stato.

In connessione con la disciplina dell’articolo 1 v. anche l’art. 2, comma 3, del decreto-legge in commento sui requisiti per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi dei magistrati.

Il comma 4 prevede che, fino alla data del 31 dicembre 2015, può essere trattenuto in servizio il personale militare collocato in ausiliaria che sia stato richiamato in servizio ai sensi degli articoli 992 e 993 del Codice dell’ordinamento militare (ausiliaria) (vedi sopra).

 

Il comma 5 amplia l’ambito applicativo dell’istituto della risoluzione unilaterale del contratto da parte della P.A. nei confronti dei dipendenti che abbiano maturato i requisiti pensionistici, estendendolo al personale delle autorità indipendenti e ai dirigenti medici responsabili di struttura complessa, con riferimento ai soggetti che maturano i requisiti pensionistici a decorrere dal 1° gennaio 2012.

L’istituto è disciplinato dall’articolo 72, commi da 8 a 11, del D.L. 112/2008, che ha introdotto la facoltà per le P.A. (nell’esercizio dei propri poteri generali di organizzazione) di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro e il contratto individuale (con preavviso di sei mesi) nei confronti del personale dipendente (compresi i dirigenti, ma escludendo magistrati, professori universitari e dirigenti medici responsabili di struttura complessa) che abbia maturato l’anzianità massima contributiva di 40 anni[4]. Per il personale dei comparti sicurezza, difesa ed esteri, le modalità applicative della disposizione sono rinviate ad un D.P.C.M., da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del D.L. 112/2008, (il D.P.C.M. in questione non risulta fin qui adottato).

Successivamente, l’articolo 16, comma 11, del D.L. 98/2011 ha escluso l’obbligo di motivazione di ciascun provvedimento di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, stabilendo che l’esercizio di tale facoltà da parte delle P.A. “non necessita di ulteriori motivazioni qualora l'amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri di applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo”.

Da ultimo, con l’articolo 1, comma 16, del D.L. 138/2011, l’applicazione dell’istituto (dal DL 112/2008 prevista per il solo triennio 2009-2011) è stata prorogata al triennio 2012-2014 (come anche confermato, successivamente, dall'articolo 24, comma 20, del D.L. 201/2011).

Per quanto riguarda i requisiti pensionistici, l’articolo 24, comma 10, del D.L. 201/2011 (c.d. Riforma Fornero) prevede che l’accesso al trattamento pensionistico è consentito esclusivamente qualora risulti maturata anzianità contributiva di: nel 2012, 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne; nel 2013, 42 anni e 2 mesi per gli uomini e 41 anni e 2 mesi per le donne; a decorrere dal 2014, 42 anni e 3 mesi per gli uomini e 41 anni e 3 mesi per le donne. Resta ferma l’applicabilità della disciplina di adeguamento dei requisiti contributivi agli incrementi della speranza di vita (art. 12 del D.L. 78/2010). Si prevede l’applicazione di una riduzione percentuale per ogni anno anticipato nell’accesso al pensionamento rispetto all’età di 62 anni. Tale percentuale è elevata al 2% per ogni ulteriore anno di anticipo rispetto a 2 anni (nel caso in cui l'età al pensionamento non sia intera, la riduzione percentuale è proporzionale al numero di mesi).

Merita ricordare, infine, che l’articolo 24, comma 20, del D.L. 201/2011 ha specificato che l'attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, con riferimento ai soggetti che maturano i requisiti per il pensionamento a decorrere dal 1° gennaio 2012, tiene conto della rideterminazione dei requisiti di accesso al pensionamento come disciplinata dal presente articolo.

 

Per quanto concerne le nuove norme relative all’istituto della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, in via preliminare si evidenzia, sotto il profilo della tecnica legislativa, l’opportunità di intervenire con modifiche espresse della normativa vigente (recata dall’articolo 72, comma 11, del D.L. 112/2008).

 

Con riferimento all’ambito applicativo dell’istituto, che la norma estende a personale delle autorità indipendenti e dirigenti medici responsabili di struttura complessa (categorie in precedenza escluse), si osserva che esso continua a non trovare immediata applicazione nei comparti sicurezza, difesa ed esteri (per i quali l’articolo 72, comma 11, del D.L. 112/2008 – non modificato, sul punto, dal D.L. in esame - rinvia, per la definizione delle modalità applicative, ad appositi D.P.C.M., fin qui non adottati).

 

Merita ricordare, inoltre, che l’applicazione dell’istituto è attualmente prevista per il triennio 2012-2014, per cui in assenza di ulteriori interventi legislativi volti a prorogarne l’efficacia, a decorrere dal 1° gennaio 2015 le P.A. non potranno più procedere a risoluzioni unilaterali dei contratti nei confronti dei dipendenti che abbiano maturato i requisiti pensionistici.

 

 

Il comma 6 reca la norma di copertura finanziaria degli oneri recati dall’articolo in esame, quantificati in 2,6 milioni per il 2014, 75,2 milioni per il 2015, 113,4 milioni per il 2016, 123,2 milioni per il 2017 e in 152,9 milioni a decorrere dal 2018.

 

Con riferimento alla copertura finanziaria degli oneri relativi agli anni 2015 e successivi, il comma 6 dispone l’aumento degli obiettivi di risparmio attesi dalla spending review a decorrere dal 2015, previsti dalla legge di stabilità per il 2014 (ai commi 427-428, come modificati dall’articolo 2 del D.L. n. 4/2014).

In particolare, il comma 427, come novellato dall’articolo 2, comma 1, lettera b), del D.L. 28 gennaio 2014, n. 4, prevede l’adozione da parte delle amministrazioni pubbliche, sulla base delle attività svolte dal Commissario straordinario per la spending review, di una serie di misure di revisione della spesa, di ridimensionamento delle strutture e di ottimizzazione dell’uso degli immobili atte ad assicurare una riduzione della spesa delle pubbliche amministrazioni non inferiore a 488,4 milioni di euro per l’anno 2014, a 1.372,8 milioni di euro per l’anno 2015, a 1.874,7 milioni di euro per gli anni 2016 e 2017, e a 1.186,7 milioni di euro a decorrere dall’anno 2018, in termini di indebitamento netto[5].

Tali misure di risparmio, si ricorda, operano anche nei confronti degli enti territoriali; la quota di risparmi che tali enti sono tenuti ad assicurare alla finanza pubblica, nell’ambito degli importi complessivi suindicati, è pari a complessivi 344 milioni di euro nel 2015 e a 688 milioni in ciascuno degli anni 2016 e 2017, come precisato dal successivo comma 429 della legge n. 147/2013.

 

In particolare, la lettera a) del comma 6 in esame, novellando il citato comma 427, stabilisce che le economie di spesa da conseguirsi a partire dal 2015, sulla base delle attività svolte dal Commissario straordinario per la spending review, debbano essere non inferiori a 1.448 milioni di euro per l’anno 2015, a 1.988,1 milioni per l’anno 2016, a 1.997,9 milioni per l’anno 2017 e a 1.339,6 milioni di euro a decorrere dall’anno 2018.

Rispetto al testo del comma 427, pertanto, gli obiettivi finanziari assegnati all’attività di razionalizzazione della spesa sono incrementati di 75,2 milioni nel 2015, 113,4 milioni nel 2016, 123,2 milioni per il 2017 e 152,9 milioni a decorrere dal 2018.

La tabella che segue espone gli obiettivi complessivi assegnati alla spending review a seguito del succedersi degli interventi sopra richiamati.

(milioni di euro)

Gli obiettivi di risparmio della spending review

 

2014

2015

2016

2017

2018

Obiettivo di risparmi previsto dalla legge di stabilità 2014

-

3,6

8,3

11,3

11,3

Incremento dell’obiettivo di risparmio ai sensi del D.L. n. 4/2014

0,5

0,8

0,6

0,6

0,6

Incremento dell’obiettivo di risparmio ai sensi del D.L. n. 90/2014

-

0,07

0,1

0,1

0,1

Totale

0,5

4,47

9,0

12,0

12,0

Si rammenta che in data 19 novembre 2013 il Commissario straordinario per la spending review ha inviato alle Camere (DOC.XXVII, n. 5) il programma di lavoro per l’attività di revisione della spesa pubblica per il periodo novembre 2014-ottobre 2016 che, quanto agli obiettivi quantitativi, è finalizzato a perseguire i risparmi definiti dalla legge di stabilità 2014, vale a dire 3,6 miliardi nel 2015, 8,3 miliardi nel 2016 e 11,3 miliardi a decorrere dal 2017.

Va peraltro ricordato che nel DEF 2014 vengono ulteriormente aumentati – e per importi consistenti - gli obiettivi finanziari assegnati all’attività di spending review, in quanto, dall’analisi condotta in una prima fase, è emersa la possibilità di portare i risparmi fino a 4,5 miliardi nel 2014 e fino a 17 e 32 miliardi rispettivamente nel 2015 e 2016.

 

In connessione ai maggiori obiettivi di risparmio imposti dal comma 427 come novellato dalla lettera a), la lettera b) del comma in esame provvede a modificare anche il comma 428 della legge di stabilità, al fine di aumentare anche la quota di risparmi che attiene al bilancio dello Stato a decorrere dal 2015, attraverso l’aumento del complesso degli importi accantonati sugli stanziamenti rimodulabili del bilancio dello Stato, ivi previsto.

In particolare, il comma 428 come anch’esso novellato dall’articolo 2, comma 1, lettera c), del D.L. 28 gennaio 2014, n. 4, dispone, nelle more della definizione degli interventi correttivi di spending review, la costituzione di accantonamenti indisponibili sulle dotazioni finanziarie iscritte a legislazione vigente delle spese rimodulabili[6] delle missioni di spesa di ciascun Ministero, come dettagliati nell’allegato 3 alla legge n. 147/2013, negli importi complessivi di 710 milioni di euro per l’anno 2014, 1.028,8 milioni di euro per l’anno 2015, e di 1.186,7 milioni di euro a decorrere dall’anno 2016. L’accantonamento in questione ha una finalità prudenziale, atteso che il comma medesimo precisa che a seguito dell’adozione degli interventi di riduzione della spesa di cui al comma 427, si provvederà a rendere disponibili le somme accantonate.

Gli accantonamenti indisponibili sulle spese rimodulabili delle missioni di spesa di ciascun Ministero vengono ora stabiliti, a decorrere dal 2015, negli importi complessivi 1.104 milioni di euro per l’anno 2015, 1.300,1 milioni di euro per l’anno 2016, 1.309,9 milioni per l’anno 2017 e a 1.339,6 milioni a decorrere dall’anno 2018, secondo quanto indicato nel nuovo Allegato 3 di seguito riportato, come sostituito dal decreto-legge in esame (lettera c):

 

 

(milioni di euro)

Programma di spending review – somme accantonate e rese indisponibili

 

2014

2015

2016

2017

2018 e segg.

Ministero dell’economia e delle finanze

355,7

448,4

504,5

511,9

523,6

Ministero dello sviluppo economico

55,6

88,5

90,5

83,6

85,1

Ministero del lavoro e delle politiche sociali

21,5

7,0

6,0

6,0

6,1

Ministero della giustizia

13,5

37,2

47,5

49,0

50,5

Ministero degli affari esteri

13,5

25,2

30,5

31,3

32,2

Ministero dell’interno

30,9

58,9

66,2

68,0

70,0

Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare

2,9

6,7

8,5

8,7

8,9

Ministero delle infrastrutture e dei trasporti

113,0

165,0

170,0

163,7

165,7

Ministero della difesa

89,5

254,6

362,7

373,6

382,9

Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali

11,1

8,4

9,2

9,5

9,7

Ministero della salute

2,8

4,2

4,6

4,7

4,9

Totale

710,0

1.104,0

1.300,1

1.309,9

1.339,6

 

Rispetto al testo del comma 428, la lettera b) del comma 6 in esame dispone, pertanto, nuovi accantonamenti sul bilancio dello Stato per 75,2 milioni nel 2015, 113,4 milioni nel 2016, 123,2 milioni per il 2017 e 152,9 milioni a decorrere dal 2018.

Rimane ferma la previsione recata dal comma 428, per questo aspetto non modificato dalla disposizione in commento, in cui si stabilisce che da tali accantonamenti – che come sopra si è detto hanno finalità prudenziale – restano escluse (come già previsto dalla normativa originaria):

§  le spese del Ministero per i beni e le attività culturali e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

§  le spese della Missione "Ricerca e innovazione”;

§  gli stanziamenti relativi al Fondo per lo sviluppo e la coesione;

§  gli stanziamenti per la realizzazione di opere e attività connesse al grande evento Expo Milano.

 

Resta altresì ferma la possibilità, prevista dalla normativa originaria, per le amministrazioni di proporre variazioni compensative tra gli accantonamenti interessati, al fine di assicurare la necessaria flessibilità gestionale.

 

 

Con riferimento agli oneri relativi all’anno 2014, pari a 2,6 milioni di euro, la lettera d) del comma in esame vi provvede a valere sulle risorse del Fondo gestione istituti contrattuali lavoratori portuali in liquidazione, di cui all’articolo 9, comma 8, del D.L. n. 457/1997.

 

Infine il comma 7 reca la consueta formula che autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare con propri decreti le necessarie variazioni di bilancio.

 

 


 

Articolo 2
(Incarichi direttivi ai magistrati)

 

 

L’articolo 2 disciplina la procedura per l’attribuzione degli incarichi direttivi e semidirettivi ai magistrati dal parte del Consiglio Superiore della Magistratura, con misure dirette a favorire la tempestiva conclusione della procedura. A tal fine inserisce due nuovi commi 1-bis e 1-ter nell’articolo 13 del d.lgs. 160/2006 (Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati) in materia di attribuzione di funzioni.

Mentre il vigente comma 1 dell’art. 13 del D.Lgs. 160/2006 stabilisce che l’assegnazione di sede, il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti, il conferimento delle funzioni semidirettive e direttive sono disposti dal Consiglio superiore della magistratura con provvedimento motivato, previo parere del consiglio giudiziario, il nuovo comma 1-bis disciplina lo specifico procedimento per il conferimento delle funzioni direttive e semidirettive, stabilendo i termini temporali per la conclusione della procedura.

Gli incarichi direttivi e semidirettivi hanno carattere temporaneo, secondo quanto previsto dagli articolo 45 e 46 del D.Lgs. 160/2006.

 

In base all’art. 45, le funzioni direttive di cui all’articolo 10, commi da 10 a 16, hanno natura temporanea e sono conferite per la durata di quattro anni, al termine dei quali il magistrato può essere confermato, previo concerto con il Ministro della giustizia, per un’ulteriore sola volta, per un eguale periodo a seguito di valutazione, da parte del Consiglio superiore della magistratura, dell’attività svolta. In caso di valutazione negativa, il magistrato non può partecipare a concorsi per il conferimento di altri incarichi direttivi per cinque anni (comma 1). Alla scadenza del termine di cui al comma 1, il magistrato che ha esercitato funzioni direttive, in assenza di domanda per il conferimento di altra funzione, ovvero in ipotesi di reiezione della stessa, é assegnato alle funzioni non direttive nel medesimo ufficio, anche in soprannumero, da riassorbire con la prima vacanza (comma 2). All’atto della presa di possesso da parte del nuovo titolare della funzione direttiva, il magistrato che ha esercitato la relativa funzione, se ancora in servizio presso il medesimo ufficio, resta comunque provvisoriamente assegnato allo stesso, nelle more delle determinazioni del Consiglio superiore della magistratura, con funzioni né direttive né semidirettive (comma 3).

Analogamente, in base all’art. 46, le funzioni semidirettive hanno natura temporanea e sono conferite per un periodo di quattro anni, al termine del quale il magistrato può essere confermato per un eguale periodo a seguito di valutazione, da parte del Consiglio superiore della magistratura, dell’attività svolta. In caso di valutazione negativa il magistrato non può partecipare a concorsi per il conferimento di altri incarichi semidirettivi e direttivi per cinque anni (comma 1). Il magistrato, al momento della scadenza del secondo quadriennio, calcolata dal giorno di assunzione delle funzioni, anche se il Consiglio superiore della magistratura non ha ancora deciso in ordine ad una sua eventuale domanda di assegnazione ad altre funzioni o ad altro ufficio, o in caso di mancata presentazione della domanda stessa, torna a svolgere le funzioni esercitate prima del conferimento delle funzioni semidirettive, anche in soprannumero, da riassorbire con la prima vacanza, nello stesso ufficio o, a domanda, in quello in cui prestava precedentemente servizio (comma 2).

Si rammenta che le funzioni direttive giudicanti di primo grado sono quelle di presidente del tribunale ordinario e di presidente del tribunale per i minorenni; le funzioni direttive requirenti di primo grado sono quelle di procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario e di procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni. Le funzioni direttive giudicanti elevate di primo grado sono quelle di presidente del tribunale ordinario negli uffici aventi sede nelle città di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia e di presidente dei tribunali di sorveglianza di cui alla tabella A allegata all’ordinamento penitenziario. Le funzioni direttive requirenti elevate di primo grado sono quelle di procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario nelle medesime città.

Le funzioni direttive giudicanti di secondo grado sono quelle di presidente della corte di appello; le funzioni direttive requirenti di secondo grado sono quelle di procuratore generale presso la corte di appello.

Le funzioni direttive requirenti di coordinamento nazionale sono quelle di procuratore nazionale antimafia.

Le funzioni direttive giudicanti di legittimità sono quelle di presidente di sezione della Corte di cassazione; le funzioni direttive requirenti di legittimità sono quelle di avvocato generale presso la Corte di cassazione.

Le funzioni direttive superiori giudicanti di legittimità sono quelle di presidente aggiunto della Corte di cassazione e di presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche; le funzioni direttive superiori requirenti di legittimità sono quelle di procuratore generale aggiunto presso la Corte di cassazione.

Le funzioni direttive apicali giudicanti di legittimità sono quelle di primo presidente della Corte di cassazione; le funzioni direttive apicali requirenti di legittimità sono quelle di procuratore generale presso la Corte di cassazione.

Inoltre, le funzioni semidirettive giudicanti di primo grado sono quelle di presidente di sezione presso il tribunale ordinario, di presidente e di presidente aggiunto della sezione dei giudici unici per le indagini preliminari; le funzioni semidirettive requirenti di primo grado sono quelle di procuratore aggiunto presso il tribunale.

Le funzioni semidirettive giudicanti elevate di primo grado sono quelle di presidente della sezione dei giudici unici per le indagini preliminari negli uffici aventi sede nelle città di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia.

Le funzioni semidirettive giudicanti di secondo grado sono quelle di presidente di sezione presso la corte di appello; le funzioni semidirettive requirenti di secondo grado sono quelle di avvocato generale presso la corte di appello.

 

In base al nuovo comma 1-bis dell’art. 13 del D.Lgs. 160/2006 il CSM provvede a conferire le funzioni direttive e semidirettive:

a) nel caso di collocamento a riposo del titolare per raggiunto limite di età o di decorrenza del termine di otto anni, previsto come limite massimo di permanenza nella funzione direttiva o semidirettiva in base agli articoli 45 e 46 del decreto legislativo n. 160/2006;

b) entro tre mesi dalla pubblicazione della vacanza, negli altri casi.

 

Il nuovo comma 1-ter stabilisce che, in caso di ingiustificata inosservanza dei termini, il Comitato di presidenza provveda alla sostituzione del relatore della procedura con il Presidente della Commissione competente, il quale entro trenta giorni deve formulare una proposta.

Il Comitato di Presidenza del CSM è previsto dall’art. 2 della legge 195/1958 ed è composto dal Vice Presidente, che lo presiede, dal Primo Presidente della Corte suprema di cassazione e dal procuratore generale presso la Corte medesima. Spetta al Comitato promuovere l'attività e l'attuazione delle deliberazioni del Consiglio e provvedere alla gestione dei fondi stanziati in bilancio.

Le Commissioni sono previste dall’art. 3 della medesima legge: su proposta del Comitato di presidenza, il Presidente del Consiglio superiore nomina all'inizio di ogni anno le Commissioni aventi il compito di riferire al Consiglio nonché la Commissione speciale per il conferimento degli uffici direttivi.

Quando si tratta di assegnazioni di sedi e di funzioni, trasferimenti e promozioni, l’art. 11 della legge 195 stabilisce che il CSM delibera su relazione della Commissione competente, tenute presenti le eventuali osservazioni del Ministro della giustizia. Sul conferimento degli uffici direttivi il Consiglio delibera su proposta, formulata di concerto con il Ministro della giustizia, di una commissione formata da sei dei suoi componenti, di cui quattro eletti dai magistrati e due eletti dal Parlamento.

 

Pare pertanto che tra i casi di “giustificata inosservanza” dei termini debba essere ricompreso quello in cui il mancato rispetto dei termini sia dovuto all’inerzia di soggetti diversi dalla Commissione, ad esempio all’assenza del concerto ministeriale.

Pare inoltre utile specificare quale sia l’organo cui è destinata la proposta del Presidente della Commissione competente del CSM (verosimilmente lo stesso plenum del CSM).

Si osserva che, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, nessun riferimento è già presente nella legge alle figure del Presidente della Commissione e del relatore.

 

Il comma 2 dell’articolo 2 riguarda la disciplina transitoria, prevedendo che il nuovo comma 1-bis si applichi alle procedure concorsuali relative a vacanze successive alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

Occorrerebbe precisare che la disposizione transitoria riguarda anche il comma 1-ter, cui il comma 1-bis risulta strettamente collegato.

 

Il comma 3 riduce da quattro a due anni il termine minimo in servizio che deve essere assicurato dai magistrati che concorrono per il conferimento delle funzioni direttive e semidirettive. La riduzione opera in via transitoria, per il conferimento di funzioni relative alle vacanze pubblicate sino al 30 giugno 2015, derogando a quanto previsto dagli articoli 34-bis e 35 del decreto legislativo n. 160/2006.

L’articolo 34-bis, che riguarda il limite di età per il conferimento di funzioni semidirettive, e l’articolo 35, che riguarda il limite di età per il conferimento di funzioni direttive, prevedono in modo tra loro analogo che tali funzioni possano essere conferite esclusivamente ai magistrati che, al momento della data della vacanza del posto messo a concorso, assicurano almeno quattro anni di servizio prima della data di collocamento a riposo a 75 anni (prevista dall’articolo 16, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, ora abrogato dall’articolo 1 del decreto-legge in commento) e hanno esercitato la relativa facoltà . Ai magistrati che non assicurano il periodo di servizio minimo possono essere conferite funzioni semidirettive o direttive unicamente nel caso di conferma nell’incarico.

 

La riduzione temporanea da quattro a due anni residui di servizio per il conferimento delle funzioni direttive e semidirettive risulta connessa all’abbassamento dell’età per il pensionamento dei magistrati prevista dall’articolo 1 del decreto-legge.

 

Come si legge nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione, con la riduzione temporanea da quattro a due anni residui di servizio “si gradualizzano gli effetti derivanti dall’abbassamento dell’età pensionabile, anche nei confronti di coloro che subiscono gli effetti indiretti dell’abbassamento dell’età a 70 anni”.

 

Occorre valutare se la disposizione si applichi anche nei confronti delle vacanze pubblicate anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge e ancora pendenti a tali data.

 

Il comma 4, modificando l’articolo 17 della legge sulla costituzione e il funzionamento del CSM (legge 195/1958), interviene sul regime delle impugnazioni avverso i provvedimenti riguardanti i magistrati, rispetto a cui delimita l’area del controllo del giudice amministrativo, con riguardo al giudizio di annullamento e al procedimento per l’ottemperanza.

 

Prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, l’articolo 17 stabiliva che tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati sono adottati, in conformità delle deliberazioni del Consiglio superiore, con decreto del Presidente della Repubblica controfirmato dal Ministro, ovvero, nei casi stabiliti dalla legge, con decreto del Ministro della giustizia. Stabiliva inoltre che la tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo è disciplinata dal codice del processo amministrativo, che contro i provvedimenti in materia disciplinare è ammesso ricorso alle sezioni unite della Corte suprema di cassazione e che il ricorso ha effetto sospensivo del provvedimento impugnato.

Il conferimento di incarichi direttivi  rientra tra gli atti discrezionali, di c.d. “alta amministrazione”. Il Consiglio di Stato, Sez. IV,10-07-2007, n. 3893, ha rilevato che “la natura giuridica di atto di alta amministrazione da riconoscere alla delibera per il conferimento dell'ufficio di primo presidente della corte di cassazione, attraverso la quale il consiglio superiore della magistratura esercita un elevatissimo potere discrezionale che non si esaurisce nel mero riscontro da parte dei singoli candidati dei requisiti prescritti dalla legge, limita e attenua, ma non esclude, il sindacato giurisdizionale sull'esercizio di detto potere discrezionale, circoscrivendolo all'accertamento estrinseco della sua legittimità, cioè al riscontro dell'esistenza dei presupposti e alla congruità della motivazione nonché all'esistenza del nesso logico di consequenzialità fra presupposti e conclusioni”.

La giurisprudenza ha confermato la sindacabilità (anche) degli atti di alta amministrazione per tutti e tre i visi dell’atto amministrativo (incompetenza, violazione di legge, ed eccesso di potere). In tal senso, per le Sezioni Unite della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato le delibere del CSM non si sottraggono a tale scrutinio.

 

La modifica introdotta dall’articolo 17 introduce una disciplina speciale per il ricorso avverso i provvedimenti di conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi. Stabilisce infatti che, contro i provvedimenti concernenti il conferimento o la conferma degli incarichi direttivi e semidirettivi, il controllo del giudice amministrativo ha per oggetto solo i vizi di violazione di legge e di eccesso di potere manifesto.

In tal modo, per il solo giudizio in questione sono individuate specifiche ipotesi di vizio del provvedimento (violazione di legge ed eccesso di potere manifesto), rispetto a quelle di carattere generale (violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere). La relazione illustrativa fa riferimento a “una più stringente definizione dei margini della verifica giurisdizionale del giudice amministrativo nei confronti degli atti del Consiglio superiore della magistratura”.

Il comma 4 prevede poi che per la tutela giurisdizionale nei confronti dei provvedimenti in questione si segue, per quanto applicabile, il rito abbreviato disciplinato dall’articolo 119 del processo amministrativo.

 

Il rito abbreviato è oggi applicato ai giudizi su controversie relative a una serie di materie individuate dalla legge. In tali giudizi, tutti i termini processuali ordinari sono dimezzati salve alcune eccezioni. Inoltre, sono previsti specifici termini per le decisioni in primo grado e davanti al Consiglio di Stato, sulla domanda cautelare. E’ inoltre possibile la pubblicazione anticipata del dispositivo rispetto alla sentenza.

 

Il comma 4 stabilisce poi alcune eccezioni rispetto al regime ordinario del procedimento per l’ottemperanza.

Come noto, ove l’attività di adeguamento dell’amministrazione sfoci in un provvedimento che risulti insoddisfacente per taluno dei contendenti, l’impugnazione secondo cui l’amministrazione avrebbe violato od eluso il giudicato viene devoluta alla cognizione del giudice amministrativo, la cui giurisdizione può considerarsi estesa al merito. E’ il procedimento di ottemperanza, ora disciplinato dagli artt. 112 ss. del codice del processo amministrativo.

 

In base all’art. 114 del codice del processo amministrativo, sul procedimento di ottemperanza, l’azione si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta; l’azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza (comma 1). Unitamente al ricorso è depositato in copia autentica il provvedimento di cui si chiede l'ottemperanza, con l'eventuale prova del suo passaggio in giudicato (comma 2). Il giudice decide con sentenza in forma semplificata (comma 3).

Il giudice, in caso di accoglimento del ricorso:

a) ordina l’ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione;

b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato;

c) nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti, determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne derivano;

d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta;

e) salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo (comma 4).

Se è chiesta l’esecuzione di un’ordinanza il giudice provvede con ordinanza (comma 5).

Il giudice conosce di tutte le questioni relative all'ottemperanza, nonché, tra le parti nei cui confronti si è formato il giudicato, di quelle inerenti agli atti del commissario ad acta. Avverso gli atti del commissario ad acta le stesse parti possono proporre, dinanzi al giudice dell'ottemperanza, reclamo, che è depositato, previa notifica ai controinteressati, nel termine di sessanta giorni. Gli atti emanati dal giudice dell'ottemperanza o dal suo ausiliario sono impugnabili dai terzi estranei al giudicato (comma 6)

Nel caso di ricorso al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza, il giudice fornisce chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza, anche su richiesta del commissario (comma 7).

Le disposizioni di cui al Titolo sull’ottemperanza si applicano anche alle impugnazioni avverso i provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice dell’ottemperanza (comma 8).

I termini per la proposizione delle impugnazioni sono quelli previsti nel Libro III (comma 9).

Nel 1995 con due sentenze la Corte Costituzionale ha escluso la fondatezza della tesi della non sottoponibilità degli atti del C.S.M. alla giurisdizione estesa al merito che il giudice amministrativo esercita in sede di ottemperanza, affermando che tale ipotesi “non ha, di per sé, alcun esplicito fondamento costituzionale, né la titolarità delle specifiche competenze conferite dall'art. 105 della Costituzione può comportare, quale conseguenza automatica, franchigie dell'attività di detto organo dal sindacato giurisdizionale, in quanto funzioni svolgentesi su piani diversi” (Corte cost., sentt. 419 e 435 del 1995).

Tuttavia più di recente il CSM ha impugnato davanti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione talune decisioni di ottemperanza del Consiglio di Stato, prospettando il vizio di eccesso di potere giurisdizionale: le Sezioni Unite con la sentenza n. 23302 del 9 novembre 2011 hanno accolto un ricorso annullando la decisione impugnata, mentre con successiva sentenza n. 736 del 19 gennaio 2012 hanno respinto un altro gravame del Consiglio Superiore avverso altra sentenza amministrativa di ottemperanza resa in secondo grado.

 

Il comma 4 prevede che, nel caso di azione di ottemperanza, il giudice amministrativo, qualora sia accolto il ricorso, ordina l’ottemperanza e assegna al Consiglio superiore un termine per provvedere. Non si applicano le disposizioni del codice del processo ammnistrativo (art. 114, comma 4, lettere a) e c)) in base a cui il giudice, in caso di accoglimento del ricorso: ordina l’ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione; nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti, determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne derivano.

 

Pare utile valutare l’individuazione di specifici parametri di giudizio (limitati alla violazione di legge e all’eccesso di potere manifesto) per il solo procedimento relativo ai provvedimenti di conferimento o conferma di incarichi direttivi o semidirettivi, così come individuato dal comma 4.

 

Occorre altresì considerare se il distinto parametro del giudizio amministrativo possa effettivamente delimitare l’area di intervento del giudice amministrativo sui provvedimenti in questione laddove la verifica dovrà riguardare sia la sussistenza dell’eccesso di potere sia il suo carattere manifesto.

Occorre in fine considerare che tra le fattispecie sintomatiche dell’eccesso di potere elaborate dalla giurisprudenza già risulta anche l’ingiustizia “manifesta” e l’illogicità “manifesta”.

 

 

 


 

Articolo 3
(Turn over nella P.A.)

 

 

L’articolo 3 contiene nuove disposizioni in materia di limitazioni al turn over nelle P.A.

In particolare:

·        si rimodulano le limitazioni al turn over per determinate amministrazioni dello Stato (ed altri enti) per il quinquiennio 2014-2018; in particolare, per quanto riguarda il criterio basato sui risparmi di spesa legati alle cessazioni dell’anno precedente, vengono confermati i limiti attuali (20% nel 2014, 40% nel 2015, 60% nel 2016, 80% nel 2017, 100% nel 2018), pur con la specificazione (da cui potranno derivare effetti restrittivi, per quanto limitati, sulle possibilità di assunzioni), che la base di calcolo è costituita dal solo personale “di ruolo”, inoltre, il concomitante vincolo relativo alla percentuale di unità cessate nell’anno precedente (c.d. limite capitario) viene eliminato (comma 1);

·        si dispone una analoga rimodulazione delle limitazioni al turn over negli enti di ricerca, sempre per il quinquiennio 2014-2018 (comma 2);

·        si stabilisce una specifica procedura per le autorizzazioni alle assunzioni di cui ai commi 1 e 2 (commi 3 e 10), introducendo una procedura per il monitoraggio dei costi (comma 4);

·        si prevede un graduale aumento delle percentuali di turn over, con conseguente incremento delle facoltà di assunzione (60% nel biennio 2014-2015, 80% nel biennio 2016-2017, 100% nel 2018), per gli enti territoriali, per il quinquiennio 2014-2018 (comma 5);

·        si prevede la non applicazione dei limiti di assunzioni al personale appartenente alle categorie protette ai fini della copertura delle quote d’obbligo (comma 6);

·        a fini di coordinamento legislativo, infine, si provvede all’abrogazione o alla modifica di specifiche norme previgenti in materia (commi 7-9).

Amministrazioni dello Stato ed altri enti ed agenzie (comma 1)

Il comma 1 conferma la percentuale di assunzioni effettuabili dalle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, dalle agenzie, dagli enti pubblici non economici e degli anti di cui all’articolo 70, comma 4, del D.Lgs. 165/2001[7], in relazione alle cessazioni avvenute nell’anno precedente, seppur rapportandola alle spese per il solo personale di ruolo. Più precisamente, si conferma al 20% (per il 2014) il limite di spesa relativa al personale cessato nell’anno precedente in relazione al quale le richiamate pubbliche amministrazioni possano assumere personale a tempo indeterminato; tale percentuale viene aumentata al 40% per il 2015, al 60% per il 2016, all’80% per il 2017, e al 100% a decorrere dal 2018 (confermando quindi quanto disposto dalla normativa vigente).

In sostanza, la disposizione in esame (oltre a riunificare, per ragioni di semplificazione normativa, come evidenziato nella relazione illustrativa, il regime del turn over delle amministrazioni pubbliche, salvo alcune eccezioni, in un unico articolo) elimina (dal 2014) il vincolo alle assunzioni relativo alle percentuali di unità lavorative cessate nell’anno precedente (cd. limite capitario), mantenendo il solo criterio basato sui risparmi di spesa legati alla cessazioni di personale (peraltro con riferimento al solo personale di ruolo[8]) avvenute nell’anno precedente.

La nuova disciplina non si applica ai Corpi di polizia, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e al comparto Scuola, per i quali viene espressamente fatta salva la (vigente) normativa di settore.

 

Con riferimento alla nuova disciplina del turn over, si rileva che non è previsto, come invece espressamente fa la normativa vigente, che prima di procedere a nuove assunzioni le pubbliche amministrazioni sono comunque tenute a verificare l’impossibilità di coprire i posti vacanti facendo ricorso alla mobilità.

 

Si fa presente, inoltre, che il testo esclude dall’applicazione della nuova disciplina sulle limitazioni al turn over i Corpi di polizia, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e il comparto Scuola, ma non anche il comparto Università (diversamente da quanto indicato nella relazione illustrativa), per il quale, quindi, potrebbe non trovare più applicazione la specifica disciplina di settore[9].

 

Per quanto attiene alle amministrazioni dello Stato (ed altri enti ed organismi individuati di volta in volta) la disciplina della limitazione del turn over appare alquanto articolata e stratificata, basandosi su un impianto che in sostanza ha individuato percentuali minime di reintegrazione dei cessati e posticipato (di volta in volta) l’anno di superamento del regime limitativo delle assunzioni (prevedendo altresì un rafforzamento del principio del previo esperimento della mobilità). Attualmente le percentuali di limitazione al turn over sono disciplinate dall’articolo 1, commi 460, lettera a) e 462, della L. 147/2013, che, modificando una serie di norme in materia[10] (sostanzialmente prorogando di un anno l’effettività delle norme stesse) ha delineato la situazione assunzionale evidenziata nella tabella che segue[11].

 

Anno

Percentuale di turn over ammessa

 

L. 147/2013, art. 1, co. 460, lett. a) e 462

D.L. 90/2014, art. 3, co. 1

2014

20%

2015

40%

2016

60%

2017

80%

2018

100%

Enti di ricerca (comma 2)

Il comma 2 prevede la facoltà, per gli enti di ricerca, la cui spesa per il personale di ruolo del singolo ente non superi l'80% delle proprie entrate correnti complessive (come risultanti dal bilancio consuntivo dell'anno precedente), di procedere, per il biennio 2014-2015, ad assunzioni di personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 50% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente. Tale spesa viene aumentata al 60% nel 2016, all'80% nel 2017 e al 100% a decorrere dal 2018.

 

Sostanzialmente, la norma in esame, confermando i limiti attuali al turn over degli enti di ricerca, modifica (restringendolo) l’ambito di applicazione dei medesimi limiti: analogamente a quanto disposto per le amministrazioni dello Stato, infatti, le percentuali sono calcolate in relazione alla spesa del solo personale a tempo indeterminato di ruolo cessato nell’anno precedente[12].

 

La seguente tabella indica le percentuali delle facoltà di assunzioni nella normativa previgente e nel provvedimento in esame.

 

Anno

Percentuale di turn over ammessa

 

D.L. 112/2008, art. 66, co. 14,

D.L. 90/2014, art. 3, co. 2

2011-2013

20%

--

2014

50%

50%

2015

50%

50%

2016

60%

60%

2017

80%

80%

2018

100%

100%

 

Si ricorda che nella normativa previgente la limitazione al turn over degli enti di ricerca era disciplinata dall’articolo 66, comma 14 (come modificato dall’articolo 1, comma 460, lettera c), della L. 147/2013) del D.L. 112/2008, che, per il triennio 2011-2013 aveva disposto la facoltà, per gli enti di ricerca, di procedere, per ciascun anno (previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità), ad assunzioni di personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato entro il limite dell'80% delle proprie entrate correnti complessive, come risultanti dal bilancio consuntivo dell'anno precedente (purché entro il limite del 20% delle risorse relative alla cessazione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato intervenute nell'anno precedente). La predetta facoltà assunzionale era poi stata incrementata al 50% nel biennio 2014-2015, al 60% nel 2016, all'80% nel 2017 e al 100% a decorrere dal 2018.

 

Lo stesso comma, inoltre, stabilisce che dal 1° gennaio 2014, non si debba tener conto del criterio di calcolo di cui all’articolo 35, comma 3, del D.L. 207/2008. Le nuove modalità operative cui far riferimento sono disciplinate dal comma 4 (vedi oltre)

L’articolo 35, comma 3, del D.L. 207/2008 rinvia ad uno specifico decreto interministeriale (che non risulta fin qui adottato) la definizione delle modalità applicative delle disposizioni nel richiamato articolo 66, comma 14, del D.L. 112/2008, in materia di limiti alle assunzioni negli enti di ricerca, intese a chiarire che, al fine di garantire omogeneità di computo delle retribuzioni del personale cessato e di quello neo assunto, nella definizione delle economie delle cessazioni, non si dovesse tener conto del maturato economico (e che quindi si tenesse conto dei livelli retributivi iniziali).

Autorizzazioni alle assunzioni e monitoraggio della spesa (commi 3, 4 e 10).

Il comma 3 dispone che le assunzioni delle amministrazioni e degli enti di cui ai commi 1 e 2 devono essere autorizzate mediante lo stesso D.P.C.M. e con le procedure con i quali si concede l’avvio, ai sensi dell’articolo 35, comma 4, del D.Lgs. 165/2001 (come modificato dal successivo comma 10, vedi infra), delle procedure concorsuali, previa richiesta delle amministrazioni interessate (predisposta sulla base della programmazione del fabbisogno di personale), corredata da analitica dimostrazione delle cessazioni avvenute nell'anno precedente e delle conseguenti economie e dall'individuazione delle unità da assumere (nonché degli oneri correlati). Lo stesso comma 3, inoltre, consente, dal 2014, il cumulo delle risorse destinate alle assunzioni per un arco temporale non superiore a 3 anni, nel rispetto della programmazione del fabbisogno e di quella finanziaria e contabile (in sostanza, le risorse non utilizzate in un anno potrebbero, nel triennio di riferimento, essere utilizzate cumulandosi appunto con quelle dell’anno – o degli anni – seguente).

Si segnala, al riguardo, che la disciplina sulla programmazione di fabbisogno del personale nelle P.A., di cui all’articolo 39, comma 3, della L. 449/1997, stabilisce che le assunzioni restino comunque subordinate all'indisponibilità di personale da trasferire secondo le vigenti procedure di mobilità (e che possano essere disposte esclusivamente presso le sedi che presentino le maggiori carenze di personale).

 

Ai sensi del comma 4 è previsto un monitoraggio annuale (da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica e del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della ragioneria generale dello Stato) sull’andamento delle assunzioni e dei livelli occupazionali che si determinano per effetto delle richiamate disposizioni. Nel caso in cui dal monitoraggio si rilevino incrementi di spesa in grado di compromettere gli obiettivi e gli equilibri di finanza pubblica, con apposito decreto interministeriale vengono adottate misure correttive per neutralizzare l’incidenza del maturato economico del personale cessato nel calcolo delle economie da destinare alle assunzioni previste dal regime vigente.

 

Il comma 10, come accennato in precedenza, modifica il comma 4 dell’articolo 35 del D.Lgs. 165/2001, concernente il reclutamento del personale.

In particolare, si prevede:

·        che con specifico D.P.C.M. sia autorizzato l'avvio delle procedure concorsuali, nonché le relative assunzioni, del personale delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, delle agenzie e degli enti pubblici non economici (viene quindi meno il requisito del limite dimensionale di questi ultimi dell’organismo superiore alle 200 unità e si sopprime l’esplicito riferimento all’ l'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali) (lettera a));

·        che per gli enti di ricerca la procedura per l’autorizzazione all’avvio delle procedure concorsuali si riferisca anche alle assunzioni relative alle procedure stesse (lettera b)).

 

Secondo la relazione illustrativa, il comma in esame ha una finalità di semplificazione in quanto riconduce ad un unico D.P.C.M. la contestuale concessione dell’autorizzazione a bandire e ad assumere, allo scopo di rendere coerenti i bandi di concorso e le successive assunzioni dei vincitori.

 

Ai sensi dell’articolo 35, comma 4, del D.Lgs. 165/2001, le determinazioni relative all'avvio di procedure di reclutamento sono adottate da ciascuna amministrazione (o ente) sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale (ai sensi dell’articolo 39 della L. 449/1997). Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, ivi compresa l'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali e gli enti pubblici non economici, con organico superiore alle 200 unità, l'avvio delle procedure concorsuali era subordinato all'emanazione di apposito D.P.C.M., mentre per gli enti di ricerca, l'autorizzazione all'avvio delle procedure concorsuali era concessa, in sede di approvazione del piano triennale del fabbisogno del personale e della consistenza dell'organico, secondo i rispettivi ordinamenti. Per gli enti di ricerca di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 2009, n. 213, l'autorizzazione di cui al presente comma è concessa in sede di approvazione dei Piani triennali di attività e del piano di fabbisogno del personale e della consistenza dell'organico, di cui all'articolo 5, comma 4, del medesimo decreto.

Regioni ed Enti locali (comma 5)

Il comma 5 contiene specifiche norme volte a rimodulare le limitazioni al turn over per gli enti territoriali.

In particolare, il comma in esame:

·        prevede un graduale aumento delle percentuali di turn over, con conseguente incremento delle facoltà di assunzioni (60% nel biennio 2014-2015, 80% nel biennio 2016-2017, 100% nel 2018) per gli enti territoriali, per il quinquiennio 2014-2018;

·        conferma le disposizioni previste dall’articolo 16, comma 9, del D.L. 95/2012[13] e dall’articolo 1, commi 557, 557-bis e 557-ter della L. 296/2006[14];

·        consente il cumulodal 2014 - delle risorse destinate alle assunzioni per un arco temporale non superiore a 3 anni, nel rispetto della programmazione del fabbisogno e di quella finanziaria e contabile;

·        contestualmente provvede all’abrogazione dell’articolo 76, comma 7, del D.L. 112/2008, che ha stabilito il divieto, per gli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale sia pari o superiore al 50% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 40%;

·        prevede che le regioni e gli enti locali coordinino le politiche di assunzioni delle aziende speciali, delle istituzioni e delle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgano attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT, al fine di garantire anche per i medesimi soggetti una graduale riduzione della percentuale tra spese di personale e spese correnti.

 

La norma in esame quindi, abrogando la normativa previgente riscrive la disciplina sulla limitazioni al turn over per gli enti territoriali, introducendo anche in questo caso il riferimento alle cessazioni di personale a tempo indeterminato di ruolo nell’anno precedente e aumentando altresì la percentuale di assunzioni effettuabili.

Contestualmente, l’abrogazione dell’articolo 76, comma 7, del D.L. 112/2008 fa venir meno il divieto totale di assunzioni negli enti con spese di personale pari o superiori al 50% delle spese correnti.

 

La seguente tabella indica le percentuali delle facoltà di assunzioni nella normativa previgente e nel provvedimento in esame.

 

Anno

Percentuale di turn over ammessa

 

L. 296/2006, art. 1, co. 557-557-ter*;
D.L. 112/2008, art. 76, co. 7

D.L. 90/2014, art. 3, co. 5

2014

40%

60%

2015

40%

60%

2016

40%

80%

2017

40%

80%

2018

40%

100%

*Si ricorda che tale norma non ha individuato regole sulle limitazioni percentuali del turn over.

 

Attualmente, la disciplina sulle assunzioni negli enti territoriali è contenuta nell’articolo 1, comma 557 e ss., della L. 296/2006 (espressamente per le regioni, vedi supra) nonché nell’articolo 76, comma 7, del D.L. 112/2008 (per gli enti locali sottoposti al Patto di stabilità interno, ma applicabile anche alle regioni[15], così come da ultimo modificato dall’articolo 1, comma 558, della L. 147/2013), il quale ha stabilito il divieto, per gli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale sia pari o superiore al 50% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 40% (50% per gli enti che partecipano alla sperimentazione del nuovo regime contabile relativo alla disciplina sull’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni e degli enti locali ex D.Lgs. 118/2011) della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente. Specifici limiti sono poi previsti per il personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale. Ai fini del computo della richiamata percentuale si calcolano le spese sostenute anche dalle aziende speciali, dalle istituzioni e società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica (tali disposizioni non si applicano alle società quotate su mercati regolamentati). Inoltre, è stato stabilito che con apposito D.P.C.M., da adottare entro il 30 giugno 2014, potesse essere modificata la richiamata percentuale, al fine di tenere conto degli effetti del computo della spesa di personale in termini aggregati. Per gli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale sia pari o inferiore al 35% delle spese correnti sono ammesse, in deroga al limite del 40% in precedenza citato e comunque nel rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno e dei limiti di contenimento complessivi delle spese di personale, le assunzioni per turn-over che consentano l'esercizio di specifiche funzioni.

Per gli enti non sottoposti al Patto di stabilità, la disciplina è contenuta nell’articolo 1, comma 562, della L. 296/2006, che ha previsto che tali enti possano assumere nel limite delle cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nell’anno precedente considerato che le “spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, non devono superare il corrispondente ammontare dell’anno 2008.

Si ricorda, infine, che l’articolo 16, comma 9, del D.L. 95/2012 ha disposto che, nelle more dell’attuazione delle disposizioni di riduzione e razionalizzazione delle Province, sia fatto divieto alle stesse di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato.

Categorie protette (comma 6)

Il comma 6 dispone la non applicazione dei limiti di assunzioni previsti dall’articolo in esame alle assunzioni di personale appartenente alle categorie protette ai fini della copertura delle quote d’obbligo (come peraltro già previsto da precedenti norme).

 

La L. 12 marzo 1999, n. 68, ha introdotto una nuova disciplina per il diritto al lavoro dei disabili. I lavoratori disabili, considerata la comprovata difficoltà di rendersi “appetibili” sul mercato del lavoro, usufruiscono di uno speciale regime di collocamento obbligatorio, in base al quale ai datori di lavoro viene imposto di assumere un certo numero di lavoratori disabili, i quali devono tuttavia possedere una (anche solo minima) capacità lavorativa residua.

Le principali categorie di lavoratori disabili coinvolti dal collocamento obbligatorio sono:

·        gli invalidi civili in età lavorativa affetti da minorazioni fisiche o psichiche che comportino una riduzione della capacità lavorativa sopra il 45%;

·        gli invalidi del lavoro che abbiano una riduzione della capacità lavorativa sopra il 33%;

·        le persone non vedenti o sordomute;

·        persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio con minorazioni ascritte dalla prima all'ottava categoria.

Le condizioni di disabilità vengono accertate attraverso apposita visita medica effettuata da commissioni mediche istituite presso le ASL.

I datori di lavoro, pubblici e privati, hanno l’obbligo di impiegare un certo numero o una certa quota di lavoratori disabili (quote di riserva)[16]:

·        per i datori di lavoro che occupano più di 50 dipendenti, il 7% della forza lavoro deve essere costituita da disabili;

·        i datori che occupano da 36 a 50 dipendenti devono assumere almeno 2 disabili;

·        i datori di lavoro che occupano da 15 a 35 dipendenti devono assumere almeno un disabile;

·        i datori di lavoro che occupano meno di 16 dipendenti sono invece esentati dal collocamento obbligatorio.

L’articolo 1, comma 2, della L. 407/1998, ha disposto il diritto al collocamento obbligatorio a favore delle vittime del terrorismo, del dovere e delle altre categorie ad esse equiparate, nonché dei familiari (coniuge e figli superstiti, ovvero fratelli conviventi e a carico qualora siano gli unici superstiti) dei soggetti deceduti, con assunzione per chiamata diretta per i profili professionali del personale contrattualizzato del comparto Ministeri, con precedenza rispetto ad ogni altra categoria e preferenza a parità di titoli.

Nelle disposizioni transitorie di cui all’articolo 18, comma 2, della L. 68/1999 viene attribuita, in attesa di una disciplina organica del diritto al lavoro degli orfani e dei coniugi superstiti di coloro che siano deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, ovvero in conseguenza dell'aggravarsi dell'invalidità riportata per tali cause, nonché dei coniugi e dei figli di soggetti riconosciuti grandi invalidi per causa di guerra, di servizio e di lavoro e dei profughi italiani rimpatriati, in favore dei soggetti richiamati, una quota di riserva, sul numero di dipendenti dei datori di lavoro pubblici e privati che occupano più di 50 dipendenti, pari all’1% e determinata secondo specifica disciplina. La richiamata quota è pari ad un'unità per i datori di lavoro, pubblici e privati, che occupano da 51 a 150 dipendenti. Lo stesso articolo, infine, ha disposto, fino al 31 dicembre 2004, che gli invalidi del lavoro ed i soggetti appartenenti alle forze di polizia, forze militari e della protezione civile invalidi per servizio, che alla medesima data risultino iscritti nelle liste delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private di cui alla L. 482/1962, siano avviati al lavoro dagli uffici competenti senza necessità di inserimento nella graduatoria dei disabili disoccupati.

Inoltre, in materia è intervenuto l’articolo 5, comma 7, del D.L. 102/2010, il quale (aggiungendo un ulteriore periodo all’articolo 1, comma 2, della L. 407/1998) ha stabilito la non applicazione della quota di riserva per i soggetti di cui all’articolo 18, comma 2, della L. 68/1999 (vedi supra) per le assunzioni di cui all’articolo 1, comma 2, della richiamata L. 407/1998[17].

Da ultimo, l’articolo 4, comma 27, della L. 92/2012 (riforma del mercato del lavoro) ha modificato i criteri di computo della quota di riserva (ex articolo 4, comma 1, della L. 68/1999), prevedendo che, di norma, vengano inseriti nella base di computo aziendale tutti i lavoratori con contratto di lavoro subordinato[18]. Inoltre, la legge prevede che la disciplina sui procedimenti relativi agli esoneri parziali (dagli obblighi di assunzione), sui criteri e le modalità per la loro concessione e la definizione di norme volte al potenziamento delle attività di controllo, venga ridefinita con un regolamento ministeriale finalizzato ad evitare abusi nel ricorso all’istituto dell’esonero e a garantire il rispetto delle quote di riserva (il decreto, che doveva essere emanato entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge, non risulta fin qui adottato).

Sui criteri di calcolo della base di computo è inoltre intervenuto, in senso restrittivo, l'articolo 46-bis del D.L. 83/2012, che ha escluso dalla base medesima i lavoratori con contratto a tempo determinato di durata fino a 6 mesi.

Infine, l’articolo 7, commi 6 e 7, del D.L. 101/2013 contiene disposizioni volte a favorire l’ingresso nelle pubbliche amministrazioni dei lavoratori appartenenti alle categorie protette, imponendone l’assunzione, nel rispetto delle quote e dei criteri di computo vigenti, anche in soprannumero ed in deroga ai divieti di assunzione posti in materia di contenimento dei costi di personale. Più precisamente, il comma 6 ha disposto che le amministrazioni pubbliche procedano alla rideterminazione del numero delle assunzioni obbligatorie nell’ambito delle categorie protette sulla base delle quote e dei criteri di computo previsti dalla normativa vigente, tenendo conto, se necessario, della dotazione organica come rideterminata secondo la legislazione in vigore. Ciascuna amministrazione, eseguita la suddetta rideterminazione, ha quindi l’obbligo di assumere un numero di lavoratori pari all'eventuale differenza tra il numero che risulta dal ricalcolo e quello attualmente esistente, anche in soprannumero ed in deroga ai divieti di assunzione posti in materia di contenimento dei costi di personale. Spetta al Dipartimento per la funzione pubblica e al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per quanto di rispettiva competenza, il monitoraggio dell’adempimento dell’obbligo precedentemente previsto (comma 7).

Ulteriori interventi di coordinamento legislativo (commi 7, 8 e 9)

I successivi commi 7 ed 8 e 9 intervengono a fini di coordinamento legislativo, modificando o abrogando disposizioni superate dalla disciplina introdotta dall’articolo in esame.

 

Più specificamente:

ai sensi del comma 7, si esclude il 2014 dalla disciplina concernente i limiti alle assunzioni di personale a tempo indeterminato previste per il quinquennio 2010-2014 dall’articolo 3, comma 102, della L. 244/2007, (assunzioni che potevano appunto effettuarsi, in determinate amministrazioni, enti ed agenzie, nei limiti di un contingente di personale corrispondente ad una spesa complessiva pari al 20% di quella relativa alle cessazioni avvenute nell’anno precedente ). Tale disciplina, quindi è da considerarsi esaurita al 31 dicembre 2013;

la lettera a) del comma 8 abroga il comma 9 dell’articolo 66 del D.L. 112/2008, che disponeva la facoltà (per il 2015) per determinate amministrazioni pubbliche, di procedere, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 40% di quella relativa al personale cessato nell’anno precedente. In ogni caso il numero delle unità di personale da assumere non poteva eccedere il 50% delle unità cessate nell’anno precedente;

la lettera b del comma 8, sopprime l’ultimo periodo dell’articolo 66, comma 14, del D.L. 112/2008 (relativo agli enti di ricerca), che prevedeva un aumento del limite delle risorse relative alla cessazione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato intervenute nell'anno precedente ai fini del calcolo delle assunzioni effettuabili;

il comma 9 abroga il comma 8 dell’articolo 9 del D.L. 78/2010, il quale disponeva che le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 523, della L. 296/2006 nel 2016 avrebbero potuto procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 60% di quella relativa al personale cessato nell'anno precedente. Tale facoltà assunzionale era inoltre incrementata nella misura dell'80% nel 2017 e del 100% a decorrere dal 2018.

 

 

 

 


 

Articolo 4
(Mobilità obbligatoria e volontaria)

 

 

L’articolo 4 introduce una nuova disciplina della mobilità nella pubblica amministrazione.

Il comma 1 sostituisce i commi 1 e 2 dell’articolo 30 del decreto legislativo n. 165/2001, prevedendo, in particolare:

·      la pubblicazione sul proprio sito istituzionale, per un periodo minimo di 30 giorni, del bando che indica i posti che le amministrazioni intendono coprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni;

·      la possibilità, in via sperimentale (fino all’introduzione di nuove procedure per la definizione dei fabbisogni standard), di operare trasferimenti tra sedi centrali di differenti Ministeri, Agenzie ed Enti pubblici non economici nazionali, anche in mancanza dell’assenso dell’amministrazione di appartenenza, a condizione che l’amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti superiore a quella dell’amministrazione di provenienza;

·      l’istituzione da parte del Dipartimento della funzione pubblica di un portale per l’incontro tra domanda e offerta di mobilità;

·      che le sedi delle pubbliche amministrazione ubicate nel territorio dello stesso comune o a una distanza inferiore a 50 chilometri dalla sede di prima assegnazione costituiscono medesima unità produttiva (ai sensi dell’articolo 2103), all’interno della quale i dipendenti sono tenuti a prestare la loro attività lavorativa, previo accordo tra le amministrazioni interessate o (secondo modalità da definire con successivo DM) anche in assenza di accordo, quando sia necessario sopperire a carenze di organico;

·      la nullità delle clausole contrattuali in contrasto con la nuova disciplina sulla mobilità del personale;

·      l’istituzione di un Fondo destinato al miglioramento dell’allocazione del personale pubblico, volto a favorire i processi di mobilità (con priorità per la mobilità verso gli uffici giudiziari), con una dotazione di 15 milioni di euro per il 2014 e 30 milioni di euro a decorrere dal 2015 (i criteri di utilizzo delle risorse sono rimessi a un successivo DPCM).

Alla copertura degli oneri si provvede:

-   quanto a 6 milioni di euro per il 2014 e a 9 milioni di euro a decorrere dal 2015 mediante corrispondente riduzione dell’incremento di 20 milioni di euro[19] a decorrere dal 2008 dell’autorizzazione di spesa per il Fondo per la stabilizzazione dei rapporti di lavoro pubblici;

-   quanto a 9 milioni di euro a decorrere dal 2014 mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa del fondo destinato a finanziare, nei confronti del personale dell'Amministrazione economico-finanziaria e delle amministrazioni statali la concessione di incentivi all'esodo, alla mobilità territoriale, l'erogazione di indennità di trasferta, nonché uno specifico programma di assunzioni di personale qualificato

-   quanto a 12 milioni di euro a decorrere dal 2015 mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa del Fondo istituito ai sensi dell’articolo 1, comma 527, della L. 296/2006 nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per procedere ad ulteriori assunzioni di personale a tempo indeterminato, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità.

A decorrere dal 2015 si provvede ai sensi dell’articolo 11, comma 3, lett. d) della L. 196/2006 che individua i parametri cui deve attenersi la legge di stabilità.

Infine, per l’attuazione di quanto previsto, si autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare le variazioni di bilancio necessarie.

 

Il comma 2 dispone l’abrogazione dell’articolo 1, comma 29, del decreto-legge 138/2011, il quale prevede che i dipendenti pubblici (con esclusione dei magistrati) sono tenuti, su richiesta del datore di lavoro, ad effettuare la prestazione in luogo di lavoro e sede diversi sulla base di motivate esigenze, tecniche, organizzative e produttive. La norma stabilisce, quindi, che nelle more della disciplina contrattuale si fa riferimento ai criteri datoriali (oggetto di informativa preventiva) e che il trasferimento è consentito nell’ambito del territorio regionale di riferimento (per il solo personale del Ministero dell'interno il trasferimento può essere disposto anche al di fuori del territorio regionale di riferimento).

Il comma 3 prevede che il decreto del Presidente del consiglio dei ministri al quale l’articolo 29-bis del decreto legislativo n. 165/2001 rimette (previo parere della Conferenza unificata e sentite le organizzazioni sindacali, senza peraltro prevedere un termine per la sua adozione) la definizione delle tabella di equiparazione (fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti collettivi dei diversi comparti) necessaria per consentire la mobilità intercompartimentale (decreto fin qui non adottato), debba essere adottato entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame. Decorso tale termine la tabella di equiparazione è adottata con una diversa e più snella procedura, ossia con decreto del Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

La mobilità nel settore pubblico: quadro della normativa vigente

La mobilità nel settore pubblico è disciplinata, essenzialmente, dagli articoli 30 (mobilità volontaria), 33, 34 e 34-bis (mobilità d’ufficio) e 29-bis del decreto legislativo n. 165/2001, nonché dall’articolo 1, comma 29, del decreto-legge n. 138/2011 (quest’ultimo abrogato dal DL in esame).

Pe quanto concerne la mobilità volontaria, l’articolo 30 del decreto legislativo n. 165/2001 prevede che le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base della professionalità del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire (comma 1). Le procedure ed i criteri generali per l’attuazione del passaggio diretto dei dipendenti sono definiti dai contratti collettivi nazionali. Sono nulli gli accordi, atti o clausole dei contratti collettivi che intendano eludere l’obbligo di ricorrere alla mobilità prima di procedere al reclutamento di nuovo personale (comma 2). Si prevede che le amministrazioni pubbliche, al fine di coprire le vacanze di organico e prima dell’espletamento delle procedure concorsuali, devono attivare le procedure di mobilità volontaria, fermo restando che esse devono comunque provvedere in via prioritaria all’immissione in ruolo dei dipendenti che, provenienti da altre amministrazioni, prestino già attività presso l’amministrazione in posizione di comando o di fuori ruolo (purché tali dipendenti appartengano alla medesima area presentino la relativa domanda di trasferimento). Entro i limiti dei posti vacanti, i dipendenti sono inquadrati nella medesima area funzionale e con la posizione economica corrispondente a quella posseduta nella amministrazione di provenienza (comma 2-bis). Salvo diversa previsione, al dipendente si applica il trattamento giuridico ed economico (compreso quello accessorio) previsto dal contratto collettivo vigente nel comparto dell’amministrazione di destinazione (comma 2-quinquies). Per motivate esigenze organizzative, le amministrazioni possono utilizzare personale di altre amministrazioni in assegnazione temporanea per un massimo di tre anni (comma 2-sexies).

Per quanto concerne la mobilità d’ufficio (cd. mobilità collettiva), gli articoli 33, 34 e 34-bis del D.Lgs. 165/2001 prevedono in primo luogo che sia attivata una apposita procedura volta a raggiungere un accordo con le organizzazioni sindacali per ricollocare almeno parzialmente il personale in esubero nell'ambito della medesima amministrazione o presso altre amministrazioni. L’avvio della procedura deve essere comunicato al Dipartimento della funzione pubblica e, attraverso un’informativa preventiva da parte del dirigente responsabile, alle rappresentanze unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del comparto. Trascorsi dieci giorni dalla comunicazione, l’amministrazione procede alla risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro dei dipendenti che hanno maturato i requisiti pensionistici[20] e, in subordine, verifica la ricollocazione totale o parziale del personale in soprannumero o in eccedenza nell'ambito della stessa amministrazione o presso altre amministrazioni comprese nell’ambito regionale. All’esito di tale procedura (trascorsi 90 giorni dalla comunicazione alle OO.SS. e alle rappresentanze unitarie del personale), il personale eccedente di cui non è stata possibile la ricollocazione lavorativa viene collocato in disponibilità e quindi, oltre a percepire un’apposita indennità (pari all’80% dello stipendio), viene iscritto in appositi elenchi da cui si attinge preliminarmente per soddisfare le esigenze di personale delle amministrazioni pubbliche che presentano necessità di assumere nuovo personale. Decorso il termine massimo di ventiquattro mesi dal collocamento in disponibilità, anche in mancanza di ricollocazione presso altra amministrazione, il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto di diritto. La possibilità di procedere a nuove assunzioni da parte delle pubbliche amministrazioni è subordinata all’utilizzo del personale collocato in disponibilità.

Con specifico riferimento alla mobilità intercompartimentale, l’articolo 29-bis del decreto legislativo n. 165/2001 prevede che al fine di favorire i processi di mobilità fra i comparti di contrattazione del personale pubblico, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere della Conferenza unificata, sentite le Organizzazioni sindacali, venga definita, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, una tabella di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione (si fa presente che il DPCM in questione, per il quale la norma di autorizzazione non prevede peraltro un termine di adozione, non è stato fin qui adottato).

Merita segnalare, altresì, che l’articolo 30, comma 1-bis[21], del decreto legislativo n. 165/2001, ha previsto la possibilità, con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e previa intesa con la conferenza unificata, sentite le confederazioni sindacali rappresentative, di introdurre “misure per agevolare i processi di mobilità, anche volontaria, per garantire l'esercizio delle funzioni istituzionali da parte delle amministrazioni che presentano carenze di organico” (si fa presente che il decreto in oggetto, che consentirebbe di intervenire sulla materia in via non legislativa, non è stato fin qui adottato).

Sulla materia è successivamente intervenuto l’articolo 1, comma 29, del decreto-legge 138/2011, il quale prevede che i dipendenti pubblici (con esclusione dei magistrati) sono tenuti, su richiesta del datore di lavoro, ad effettuare la prestazione in luogo di lavoro e sede diversi sulla base di motivate esigenze, tecniche, organizzative e produttive. La norma stabilisce, quindi, che nelle more della disciplina contrattuale si fa riferimento ai criteri datoriali (oggetto di informativa preventiva) e che il trasferimento è consentito nell’ambito del territorio regionale di riferimento (per il solo personale del Ministero dell'interno il trasferimento può essere disposto anche al di fuori del territorio regionale di riferimento).

Infine, si ricorda che al fine di sopperire alle gravi carenze di personale degli uffici giudiziari, il legislatore è di recente intervenuto con l’articolo 3, comma 1, del decreto-legge n. 101/2013, il quale consente al personale pubblico di amministrazioni che presentano situazioni di soprannumerarietà o di eccedenza rispetto alle dotazioni organiche (ferme restando le procedure di mobilità collettiva di cui all’articolo 33 del decreto legislativo n.165/2001), il passaggio diretto a domanda, sino al 31 dicembre 2015, presso il Ministero della giustizia, per ricoprire i posti vacanti del personale amministrativo operante presso gli uffici giudiziari, con inquadramento nella qualifica corrispondente. Il passaggio avviene mediante cessione del contratto di lavoro e previa selezione secondo criteri prefissati dallo stesso Ministero della giustizia in apposito bando.

 

 


 

Articolo 5
(Personale in disponibilità e assegnazione di nuove mansioni)

 

 

L’articolo 5 interviene sulla gestione del personale pubblico in disponibilità, al fine di ampliarne le possibilità di ricollocamento, e sulla mobilità di personale tra diverse società partecipate dalle pubbliche amministrazioni.

Il comma 1 (modificando l’articolo 34 del D.Lgs. 165/2001) interviene sulla disciplina del personale in eccedenza e posto in disponibilità, prevedendo:

1.       che gli elenchi del personale in disponibilità, formati e gestiti dal Dipartimento della funzione pubblica e dalle strutture regionali e provinciali, siano pubblicati sul sito istituzionale delle amministrazioni competenti (lettera a));

2.       al fine di ampliare le possibilità di ricollocamento, che il personale in disponibilità può presentare (nei 6 mesi anteriori alla data di scadenza del termine di 24 mesi previsto come periodo massimo di godimento dell’indennità spettante al seguito del collocamento in disponibilità) istanza di ricollocazione, nell’ambito dei posti vacanti in organico, anche in una qualifica inferiore o in posizione economica inferiore (della stessa o di inferiore area o categoria), in deroga a quanto previsto dall’articolo 2103 del codice civile[22]; la ricollocazione non può comunque avvenire prima dei 30 giorni anteriori alla data di scadenza del richiamato termine di 24 mesi (lettera b));

3.       che nell’ambito della programmazione triennale delle assunzioni[23], l’avvio di procedure concorsuali e le nuove assunzioni, a tempo indeterminato o determinato (per un periodo comunque superiore a 12 mesi), sono subordinate all’utilizzo del personale collocato in disponibilità[24]. Il personale in disponibilità, iscritto nei richiamati elenchi, può, alternativamente:

-      essere assegnato, nell’ambito dei posti vacanti in organico, in posizione di comando presso altre amministrazioni[25] (amministrazioni che ne facciano richiesta o amministrazioni individuate a seguito di ricognizione effettuata dal Dipartimento della funzione pubblica[26]);

-      avvalersi dell’istituto dell’aspettativa senza assegni presso organismi pubblici o privati[27].

Si prevede, poi, che il termine di 24 mesi previsto come periodo massimo di godimento dell’indennità disponibilità, rimane sospeso durante il periodo in cui i dipendenti sono impiegati a tempo determinato o in posizione di comando presso altre pubbliche amministrazioni o in cui si avvalgono dell’aspettativa senza assegni. Infine, si stabilisce che l’onere retributivo è a carico dell’amministrazione o dell’ente che utilizzano il dipendente (lettera c)).

 

 

La gestione degli esuberi nella P.A.

L’art. 33 del D.Lgs. 165/2001 prevede che le amministrazioni che hanno situazioni di soprannumero o rilevino comunque eccedenze di personale sono tenute a seguire la seguente procedura:

-        immediata comunicazione dell’avvio della procedura al Dipartimento della funzione pubblica e alle RSU e alle OO.SS. firmatarie del CCNL di comparto;

-        trascorsi 10 giorni dalla comunicazione, si procede alla risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro ex art. 72, c. 11, del D.L. 112/2008[28] e, in subordine, verifica della ricollocazione totale o parziale del personale in soprannumero o in eccedenza;

-        trascorsi 90 giorni dalla comunicazione, si procede al collocamento in disponibilità del personale che non sia possibile impiegare diversamente (il lavoratore “in disponibilità” ha comunque diritto ad un’indennità di disponibilità, pari all’80% dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, per la durata massima di 24 mesi.

Per quanto concerne il collocamento del personale risultato in eccedenza e posto in disponibilità al termine della apposita procedura di mobilità collettiva, l’articolo 34 del D.Lgs. 165/2001 dispone, in via generale, che il suddetto personale sia iscritto in appositi elenchi, da cui le amministrazioni pubbliche devono preliminarmente attingere per soddisfare le proprie esigenze di personale. Il Dipartimento della funzione pubblica realizza "opportune forme di coordinamento" tra l'elenco da esso gestito e quelli tenuti dalle strutture regionali e provinciali. Come specificato dal comma 4, il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto alla decorrenza del periodo massimo di fruizione dell’indennità di disponibilità prevista dall’articolo 33, comma 8, ossia 24 mesi. Per quanto riguarda gli enti pubblici territoriali in generale e gli enti locali in situazione di dissesto finanziario, i primi vengono autorizzati ad utilizzare le economie derivanti dalla minore spesa dal collocamento in disponibilità del personale per la formazione e riqualificazione di esso, mentre ai secondi si continua ad applicare la disciplina dettata in materia di gestione del personale in disponibilità dal D.Lgs. 267/2000 (Testo unico degli enti locali) (commi 7 e 8). Inoltre, la possibilità di procedere a nuove assunzioni, nell’ambito della programmazione triennale del personale[29], è subordinata all’utilizzo del personale collocato in disponibilità (comma 6).

Attribuzione di mansioni diverse (c.d. demansionamento”)

In ordine al demansionamento del dipendente e alla conseguente riduzione della retribuzione[30], dal combinato disposto degli articoli 52 del D.Lgs. 165/2001 e 2103 del codice civile, si ricava che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, o a mansioni equivalenti, o, ancora, a quelle corrispondenti alla qualifica superiore (acquisite per effetto di procedure selettive o attribuite per obiettive esigenze di servizio), senza alcuna diminuzione della retribuzione, con conseguente nullità di ogni patto contrario.

Al riguardo, l’orientamento prevalente della giurisprudenza è quello di collegare la modifica in peius delle mansioni, e quindi anche della retribuzione, ad un esplicito accordo tra le parti e al fatto che tale modifica sia necessaria per evitare il ricorso al licenziamento[31]. Per quanto concerne la natura degli emolumenti retributivi suscettibili di riduzione, secondo un orientamento formatosi attraverso diverse pronunce della giurisprudenza in merito[32], la regola sull’irriducibilità della retribuzione riguarda il compenso e le indennità corrisposte in considerazione delle qualità professionali intrinseche alle mansioni del lavoratore e non si estende invece alle indennità erogate in ragione di particolari modalità della prestazione stessa che compensano particolari disagi o difficoltà del lavoratore nell’esecuzione della prestazione (e possono essere soppresse allorché vengano meno le speciali situazioni che le hanno generate). Inoltre, un ulteriore limite è rappresentato dal fatto che è illegittimo qualunque accordo che determini una retribuzione inferiore a quella prevista per un determinato livello dal CCNL applicato.

 

Il comma 2 interviene sulla mobilità del personale tra società partecipate dalle pubbliche amministrazioni[33]. In primo luogo, viene fissato un termine entro il quale le procedure vigenti per la gestione del personale in esubero devono concludersi (termine di 60 per le ricollocazione nella stessa società o in società controllate dallo stesso ente; termine di 90 giorni per la ricollocazione in altre società collocate anche al di fuori del territorio regionale). Inoltre, viene introdotta la possibilità per il personale in esubero di chiedere la ricollocazione in una qualifica inferiore nella stessa o in altra società controllata.

Mobilità del personale pubblico tra società partecipate dalle P.A.

La mobilità di personale tra società partecipate dalle pubbliche amministrazioni[34], è disciplinata dall’articolo 1, commi 565-567, della L. 147/2013 (Stabilità 2014). Il comma 565 dispone che le società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, o dai loro enti strumentali, ad esclusione di quelle emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e delle società dalle stesse controllate, che rilevino eccedenze di personale, sono tenute, in relazione alle esigenze funzionali, e in caso di spese di personale pari o superiori al 50% delle spese correnti, ad inviare un'informativa preventiva alle rappresentanze sindacali operanti presso la società ed alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo applicato. Nell’informativa deve essere individuato il numero, la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale eccedentario e tali informazioni sono comunicate anche al Dipartimento della funzione pubblica. Le posizioni dichiarate eccedentarie non possono essere ripristinate nella dotazione di personale neanche mediante nuove assunzioni. Come stabilito dal successivo comma 566, entro 10 giorni dal ricevimento dell'informativa si procede, a cura dell'ente controllante, alla riallocazione totale o parziale del personale eccedentario nell'ambito della stessa società mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro, ovvero presso altre società controllate dal medesimo ente o dai suoi enti strumentali. Per quanto concerne la gestione delle eccedenze di personale delle società controllate, il comma 567 dispone che in tali casi gli enti controllanti e le stesse società possono concludere accordi collettivi con le organizzazioni sindacali più rappresentative per realizzare forme di trasferimenti in mobilità dei dipendenti in esubero presso altre società dello stesso tipo anche operanti fuori del territorio regionale ove ha sede la società interessata dalle eccedenze.

 

 

 


 

Articolo 6
(Divieto di incarichi per soggetti in quiescenza)

 

 

L’articolo 6 prevede che le pubbliche amministrazioni non possono conferire incarichi di studio e di consulenza, né incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo di amministrazioni pubbliche, a soggetti già lavoratori pubblici e privati collocati in quiescenza, a meno che non si tratti di incarichi o cariche conferiti a titolo gratuito.

 

Il divieto trova applicazione agli incarichi conferiti a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto-legge e non riguarda, in ogni caso, incarichi o cariche presso organi costituzionali.

La disposizione modifica l’articolo 5, comma 9, del D.L. 95/2012, il quale ha vietato alle pubbliche amministrazioni di attribuire incarichi di studio e consulenza a soggetti in quiescenza già appartenenti ai ruoli, che abbiano svolto nell'ultimo anno di servizio funzioni e attività corrispondenti, ampliando in modo rilevante sia l’ambito soggettivo (tutti i soggetti in quiescenza), sia l’ambito oggettivo (divieto esteso al conferimento di incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni).

 

Le amministrazioni interessate sono quelle di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001 e quelle inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'I.S.T.A.T.[35].

 

 


 

Articolo 7
(Riduzione di distacchi, aspettative e permessi sindacali nella P.A.)

 

 

L’articolo 7 dispone, a decorrere dal 1° settembre 2014, la riduzione del 50%, per ciascuna associazione sindacale, dei distacchi, delle aspettative e dei permessi sindacali, come attribuiti dalle disposizioni regolamentari e contrattuali vigenti al personale delle P.A. e al personale in regime di diritto pubblico. Con le procedure contrattuali previste dai rispettivi ordinamenti può essere modificata la ripartizione dei contingenti, come ridefiniti, tra le varie associazioni sindacali.

L’articolo 50 del decreto legislativo n.165/2001 ha rimesso a un apposito accordo tra l'ARAN e le confederazioni sindacali più rappresentative la disciplina delle aspettative e dei permessi sindacali nel settore pubblico. La gestione dell'accordo, ivi comprese le modalità di utilizzo e distribuzione delle aspettative e dei permessi sindacali tra le confederazioni e le organizzazioni sindacali aventi titolo sulla base della loro rappresentatività, con riferimento a ciascun comparto e area separata di contrattazione, è demandata alla contrattazione collettiva. Le amministrazioni pubbliche sono tenute a fornire alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica - il numero complessivo ed i nominativi dei beneficiari dei permessi sindacali.

Sulla materia è successivamente intervenuto l’articolo 46-bis del decreto-legge n. 112/2008, che ha rimesso ad un decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione il compito di provvedere ad una razionalizzazione e progressiva riduzione dei distacchi, delle aspettative e dei permessi sindacali. La norma non riguarda gli enti territoriali e gli enti di competenza regionale del SSN. Le risorse derivanti dalle conseguenti riduzioni di spesa sono destinate al finanziamento della contrattazione integrativa delle pubbliche amministrazioni interessate dalla riduzione dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa. In attuazione dell’articolo 46-bis del DL 112/2008 è stato adottato il DM 23 febbraio 2009, che ha disposto la progressiva riduzione del contingente dei distacchi e dei permessi sindacali retribuiti e rivisto i criteri per la ripartizione dei contingenti tra le varie associazioni sindacali.

 

 


 

Articolo 8
(Collocamento in fuori ruolo dei magistrati)

 

 

L’articolo 8 interviene sulla legge n. 190 del 2012 (cd. legge anticorruzione), rendendo maggiormente stringente la disciplina sul collocamento “fuori ruolo” dei magistrati (ordinari, amministrativi, contabili e militari) e degli avvocati e procuratori dello Stato che intendano assumere incarichi extragiudiziari.

 

Si ricorda che l’art. 1, comma 66, della legge n. 190/2012 dispone che tutti gli incarichi apicali e semiapicali – compresi quelli di capo di gabinetto - attribuiti a magistrati ordinari, amministrativi, militari, contabili e ad avvocati e procuratori dello Stato presso istituzioni, enti pubblici, nazionali e non, debbano essere obbligatoriamente svolti in posizione di fuori ruolo per tutta la durata dell’incarico. Il successivo comma 67 delegava il Governo ad adottare, entro 4 mesi, un decreto legislativo per individuare gli ulteriori incarichi, anche negli uffici di diretta collaborazione, che comportino il collocamento obbligatorio fuori ruolo. La delega non è stata esercitata, nonostante la presentazione alle Camera di un apposito schema di decreto legislativo (cfr. XVI Leg., A.G. 539).

Il comma 68 ha, poi, stabilito come regola generale per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari e per gli avvocati e i procuratori dello Stato un limite di permanenza massima fuori ruolo di 10 anni, anche continuativi, nell'arco del loro servizio.

 

Il comma 1, intervenendo sull’art. 1, comma 66, della legge n. 190 del 2012 obbliga i magistrati e gli avvocati dello Stato al collocamento “fuori ruolo” non solo quando intendano assumere incarichi di “capo di gabinetto” ma, più in generale, quando intendano assumere la titolarità di uffici di diretta collaborazione (lett. a). In sostanza il decreto-legge supera l’inattuazione della delega prevista dal comma 67 – che invitava il Governo a individuare gli incarichi di diretta collaborazione incompatibili - affermando l’incompatibilità di tutti gli uffici di diretta collaborazione, “comunque denominati”, con le funzioni giudiziarie.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 7 del D.Lgs. n. 300 del 1999, il Ministro si avvale di uffici di diretta collaborazione, aventi esclusive competenze di supporto e di raccordo con l'amministrazione, istituiti e disciplinati con regolamento adottato ai sensi del comma 4-bis dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400.

A tali uffici sono assegnati, nei limiti stabiliti dallo stesso regolamento:

§  dipendenti pubblici anche in posizione di aspettativa, fuori ruolo o comando a cui si applica l’articolo 17, comma 14, della legge 127/1997[36];

§  collaboratori assunti con contratti a tempo determinato disciplinati dalle norme di diritto privato;

§  esperti e consulenti per particolari professionalità e specializzazioni con incarichi di collaborazione coordinata e continuativa.

Tutte le assegnazioni di personale a tali uffici, “compresi gli incarichi anche di livello dirigenziale e le consulenze e i contratti, anche a termine”, cessano automaticamente se non confermati entro trenta giorni dal giuramento del nuovo Ministro.

L’incarico di Capo degli uffici deve essere attribuito ad esperti, anche estranei all'amministrazione, dotati di elevata professionalità (art. 7, co. 2, lett. e)). Tra le figure di vertice all’interno dell’area della diretta collaborazione dei Ministeri, di norma sono ricomprese: Capo di Gabinetto, Capo dell’ufficio legislativo, Segretario particolare del Ministro, Capo della segreteria del Ministro, Capo dell'ufficio stampa, Capi delle segreterie del Vice Ministro e dei Sottosegretari di Stato.

 

In relazione all’obbligo del “fuori ruolo” per i magistrati e gli avvocati dello Stato che siano titolari di uffici di diretta collaborazione, il comma 2 fissa in 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, il termine entro il quale gli interessati devono ottenere il collocamento fuori dai ruoli. Superato tale termine, la cessazione dall’incarico opererà di diritto.

 

Inoltre, introducendo un periodo finale nel comma 66, il decreto-legge precisa che i magistrati e gli avvocati e procuratori dello Stato dovranno porsi fuori ruolo, non potendo ricorrere all’istituto dell’aspettativa (comma 1, lett. b). Con questa previsione il decreto-legge intende superare la prassi attuale che consente ai magistrati, attraverso il ricorso al diverso istituto dell’aspettativa, di aggirare il limite decennale del fuori ruolo.

Per quanto riguarda le aspettative già concesse alla data di entrata in vigore del decreto-legge, esse sono fatte salve dal comma 3.

 

Se si ipotizza che alcuni degli incarichi di diretta collaborazione siano attualmente attribuiti a magistrati o avvocati dello Stato che si trovano in aspettativa, pare utile valutare se la salvaguardia delle aspettative già concesse, prevista dal comma 3, vanifichi il contenuto del comma 2, che obbliga i titolari degli incarichi di diretta collaborazione a ottenere il fuori ruolo entro 30 giorni.

 

Il comma 4 della disposizione in commento riguarda la pubblicità dei dati sulla produttività di magistrati e avvocati dello Stato nonché sulla loro assunzione di incarichi estranei alle funzioni d’istituto.

In particolare, è prevista la pubblicazione sui siti degli uffici giudiziari ordinari, amministrativi, contabili e militari nonché sul sito dell’Avvocatura dello Stato:

-        delle statistiche annuali inerenti alla produttività dei magistrati e degli avvocati;

-        dei periodi di assenza dei medesimi soggetti riconducibili all’assunzione di incarichi conferiti.

 

Si osserva che, per quanto riguarda le magistrature, entrambe le informazioni sono nella disponibilità degli organi di autogoverno, più che dei singoli uffici giudiziari.

La disposizione necessiterà di misure attuative da parte degli organi di autogoverno.

 

 

 


 

Articolo 9
(Onorari degli avvocati dello Stato e degli enti pubblici)

 

 

L’articolo 9 riforma la disciplina dei compensi professionali liquidati ad “avvocati pubblici” (avvocati dello Stato e degli enti pubblici) in conseguenza di sentenze favorevoli alle pubbliche amministrazioni, il cui fondamento giuridico è contenuto nel R.D. n. 1611 del 1933.

 

Il Regio Decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (T.U. delle leggi sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato) disciplina la materia la materia dei compensi nelle cause vittoriose in cui è parte la PA con riferimento alla sola Avvocatura dello Stato, ma ad essa si sono, poi, conformati le restanti avvocature pubbliche e la vigente contrattazione collettiva.

L’art. 21 del R.D. n. 1611 riconosce all’Avvocatura dello Stato la facoltà di esazione diretta “delle competenze di avvocato e di procuratore nei confronti delle controparti quando tali competenze siano poste a carico delle controparti stesse per effetto di sentenza, ordinanza, rinuncia o transazione” (comma 1).

Con l'osservanza delle disposizioni sulle gestioni fuori bilancio nelle amministrazioni pubbliche (Titolo II della legge 1041/1971) tutte le somme di cui al comma 1 e successivi vengono ripartite per sette decimi tra gli avvocati e procuratori di ciascun ufficio in base alle norme del regolamento e per tre decimi in misura uguale fra tutti gli avvocati e procuratori dello Stato. Si ricorda, sul punto, che l’Avvocatura dello Stato è organizzata sul territorio attraverso una struttura centrale, l’Avvocatura Generale, con sede a Roma, e venticinque articolazioni periferiche, le Avvocature Distrettuali, dislocate in tutti capoluoghi di Regione o comunque dove abbia sede la Corte d’Appello.

La ripartizione delle somme ha luogo dopo che i titoli, in base ai quali le somme stesse sono state riscosse, siano divenuti irrevocabili: le sentenze per passaggio in giudicato, le rinunce per accettazione e le transazioni per approvazione (comma 2).

Ai sensi del successivo comma 3, Negli altri casi di transazione dopo sentenza favorevole alle Amministrazioni dello Stato e nei casi di pronunciata compensazione di spese in cause nelle quali le Amministrazioni stesse non siano rimaste soccombenti, sarà corrisposta dall’Erario all’Avvocatura dello Stato, con le modalità stabilite dal regolamento, la metà delle competenze di avvocato e di procuratore che si sarebbero liquidate nei confronti del soccombente. Quando la compensazione delle spese sia parziale, oltre la quota degli onorari riscossa in confronto del soccombente sarà corrisposta dall’Erario la metà della quota di competenze di avvocato e di procuratore sulla quale cadde la compensazione”.

Le competenze di cui al terzo comma sono corrisposte in base a liquidazione dell'avvocato generale, predisposta in conformità delle tariffe di legge (comma 4)

I successivi commi dell’art. 21 prevedono: la sua applicabilità anche per i giudizi nei quali l'Avvocatura dello Stato ha la rappresentanza e la difesa delle regioni e di tutte le altre amministrazioni pubbliche non statali e degli enti pubblici (comma 5); l’applicabilità del primo comma per i giudizi nei quali l'Avvocatura dello Stato assuma la rappresentanza e la difesa degli impiegati ed agenti delle amministrazioni dello Stato, delle regioni e di tutte le altre amministrazioni pubbliche non statali e degli enti pubblici (comma 6); che le proporzioni previste dal secondo comma e le modalità di ripartizione delle competenze in caso di trasferimento da una sede all’altra possono essere modificate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dell’Avvocato generale dello Stato, sentito il Consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato (comma 7)

Nelle cause di lavoro, l’art. 152-bis disp. att. c.p.c. dispone che nella liquidazione degli onorari di difesa a favore delle pubbliche amministrazioni assistite da propri dipendenti si applicano gli onorari forensi nella misura dell’80% rispetto a quelli degli avvocati liberi professionisti.

Tale disciplina va letta in relazione al contenuto degli artt. 91 e 92 del codice di procedura civile ove è previsto che “il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa”, e che in presenza di “gravi ed eccezionali ragioni”, il giudice può compensare in tutto o in parte le spese del giudizio, avendo la quantificazione che il giudice effettua in sentenza una mera efficacia dichiarativa – sia che la liquidazione sia espressa, sia che sia compensata. E’ dunque l’organo giudicante ad avere il potere fissato normativamente di “liquidare “ il compenso, o quantificandolo in un importo determinato o decidendone la compensazione se, a proprio insindacabile giudizio, ne ricorrano i presupposti.

 

Alla luce della disciplina previgente, la normazione secondaria come la giurisprudenza hanno pacificamente riconosciuto a favore degli avvocati pubblici il generale diritto a percepire i compensi per cause concluse con sentenza favorevole, sia con spese a carico della controparte (nella misura determinata dal giudice) sia in caso di compensazione di spese legali (in questo caso, secondo i rispettivi regolamenti, sebbene si sia sempre preferita l’applicazione, anche da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, dei parametri forensi ridotti della metà: T.A.R. Puglia Lecce, Sez. III, n. 847 del 25 marzo 2010 e Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Basilicata, Potenza, deliberazione n. 2/2010/PAR).

 

L’art. 9 abroga (comma 1):

·       l’articolo 1, comma 457, della L. 147/2013 (Legge di stabilità 2014) che, per il triennio 2014-2016, ha ridotto i compensi di dipendenti o dirigenti delle pubbliche amministrazioni – compreso il personale dell’Avvocatura dello Stato - in relazione ai successi nei processi in cui questi hanno rappresentato l’amministrazione;

·        e l’articolo 21, comma 3, del R.D. 1611/1933 (T.U. sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato) che prevede i compensi (a carico dell’Erario) in favore degli avvocati della PA: per le transazioni che seguono a sentenze favorevoli alla pubblica amministrazione; in caso di compensazione integrale o parziale delle spese in cause nelle quali le Amministrazioni stesse non siano rimaste soccombenti.

 

Il comma 457 della L. 147/2013 ha previsto che: “A decorrere dal 1° gennaio 2014 e fino al 31 dicembre 2016 i compensi professionali liquidati, esclusi, nella misura del 50 per cento, quelli a carico della controparte, a seguito di sentenza favorevole per le pubbliche amministrazioni ai sensi del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, o di altre analoghe disposizioni legislative o contrattuali, in favore dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale dell’Avvocatura dello Stato, sono corrisposti nella misura del 75 per cento. Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente comma sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotate di autonomia finanziaria ad apposito capitolo di bilancio dello Stato. La disposizione di cui al precedente periodo non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale”.

Sostanzialmente, secondo la disciplina del comma 457, sui compensi a carico della controparte e limitatamente a una parte di essi ovvero a una parte corrispondente al 50% del compenso, tale compenso doveva essere così ripartito: il 25% a favore del bilancio dello Stato, il 75% a favore dell’avvocato. Per esempio, se la controparte deve pagare 100 euro a seguito di sentenza a lei sfavorevole, l’avvocato riceveva 87,5 euro così ottenute: 100:2= 50 75%50=37,5 50+37,5= 87,5

 

Lo stesso comma 1 dell’art. 9 prevede che, in caso di sentenza favorevole alla PA, solo il 10% delle spese legali recuperate e poste a carico delle controparti sia ripartito tra gli avvocati dello Stato o tra gli avvocati dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

 

Una deroga esplicita alla disciplina sopradescritta è prevista in favore degli avvocati inquadrati con qualifica non dirigenziale negli enti pubblici e negli enti territoriali; la deroga non riguarda quindi gli avvocati dello Stato (comma 1).

 

Nell’ipotesi, invece, che il giudice decida la compensazione integrale delle spese (comprese quelle di transazione a seguito di sentenza favorevole alle amministrazioni pubbliche), agli avvocati dipendenti, compresi gli avvocati dello Stato, non sono corrisposti compensi professionali da parte dell’Erario (comma 2).

 

Una specifica norma transitoria prevede che tale ultima disposizione nonché la indicata disciplina derogatoria per gli avvocati non dirigenti della PA si applicano alle sentenze depositate dopo la data di entrata in vigore del decreto-legge in esame (comma 3).

 

Si osserva come, a fini di chiarezza e di corretta interpretazione della nuova disciplina, in alternativa ad una completa riformulazione dell’art. 21 del R.D. 1611/1933, potrebbe essere opportuno valutare l’abrogazione dei commi 2 e 4 dello stesso art. 21. Tale disposizioni si riferirebbero, infatti, ad una disciplina ormai superata da quella dell’art. 9 in esame. Il comma 2 fa infatti riferimento alla ripartizione di “tutte le somme” di cui al comma 1 e successivi ovvero quelle recuperate dalla controparte o erogate dall’Erario agli avvocati dello Stato per compensi professionali; il comma 4 si riferisce esplicitamente ad un comma 3, ormai abrogato.

In alternativa, stante la necessaria abrogazione del comma 4, si potrebbe modificare il comma 2 dello stesso art. 21 precisando che le somme recuperate dall’Avvocatura dello Stato ai sensi del comma 1 debbano essere versate per il 90% allo stato di previsione dell’Entrata. Si realizzerebbe così un coordinamento con il contenuto del comma 1 dell’art. 9 in esame che prevede, in caso di sentenza favorevole alla PA, la ripartizione del 10% delle spese legali recuperate e poste a carico delle controparti.

Infine, potrebbe essere utile chiarire il rapporto tra la nuova disciplina e quella, sopracitata, relativa ai compensi professionali per gli avvocati pubblici nelle cause di lavoro (art. 152-bis, disp. att. c.p.c.).

 

 

 


 

Articolo 10
(Abrogazione del diritto di rogito del segretario comunale e provinciale e abrogazione del provento annuale
dei diritti di segreteria)

 

 

L’articolo 10 abolisce l’attribuzione ai segretari comunali e provinciali delle quote loro spettanti dei diritti di segreteria e del diritto di rogito, che vengono così interamente acquisiti ai bilanci degli enti locali.

 

Gli enti locali percepiscono dagli utenti i diritti di segreteria ed i diritti di istruttoria connesse all’espletamento di servizi istituzionali quali:

§  espletamento di pratiche anagrafiche o di stato civile;

§  rilascio di carte di identità;

§  istruttoria pratiche ufficio tecnico;

§  rogito di contratti da parte del segretario comunale o provinciale (L. n. 604/1992).

 

I diritti rimangono acquisiti per gran parte al bilancio degli enti, fatta eccezione di una quota ripartita con cadenza trimestrale come segue:

§  al fondo di cui all’art. 42 della L. n. 604/1962 e successive modificazioni il 10%;

§  al comune il 90%;

§  al segretario comunale e provinciale (per diritti di rogito) il 75% della quota spettante al Comune.

 

In particolare, la legge dispone che i comuni sono tenuti a riscuotere i servizi di segreteria, mentre le province sono autorizzate ad esigere, per la spedizione degli atti, i diritti di segreteria (L. 604/1962, art. 40).

Il provento annuale dei diritti di segreteria per la maggior parte rimane al comune (o la provincia) e per una parte è destinata al finanziamento del fondo per la formazione dei segretari comunali e provinciali di cui all’art. 42 della L. 604/1962 (L. 734/1973, art. 30).

La percentuale di riparto tra ente locale e il suddetto fondo (originariamente 70%-30%) è stata modificata in seguito in favore dei comuni e province cui spettano il 90% dei proventi di segreteria mentre il rimanente 10% va al fondo di formazione (D.L. 55/1983, art. 27).

Inoltre, la quota spettante agli enti locali per i soli diritti di rogito è ulteriormente suddivisa: una parte significativa (il 75% e fino ad un massimo di un terzo dello stipendio in godimento) va ai segretari comunali e provinciali che hanno proceduto al rogito (L. 312/1980, art. 41).

In proposito, si ricorda che il segretario comunale o provinciale può rogare tutti i contratti nei quali l'ente è parte ed autenticare scritture private ed atti unilaterali nell'interesse dell'ente (art. 97, comma 4, lett. c), D.Lgs. 267/2000. I segretari comunali e provinciali sono comunque tenuti a rogare i contratti e i processi verbali di aggiudicazione nelle aste e nelle licitazioni private (artt. 16 e 17 del R.D. 2440/1923 e artt. 93 e 95 del R.D. 827/1924.

 

Le quote spettanti ai segretari comunali e provinciali per i diritti di segreteria erano versati all’Agenzia dei segretari comunali e provinciali (art. 21 D.P.R. n. 465/1997). Nel 2010 l’Agenzia è stata soppressa e il Ministero dell’interno è succeduto a titolo universale all’Agenzia; le risorse strumentali e di personale ivi in servizio, comprensive del fondo di cassa, sono state trasferite al Ministero (art. 7, commi 31-ter e seguenti, D.L. 78/2010).

 

I diritti di segreteria spettanti ai segretari comunali e provinciali sono inclusi tra le componenti della loro retribuzione come previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro del 16 maggio 2001 (art. 37 CCNL).

 

La disposizione in esame interviene, quindi, rilegificando norme attualmente disciplinate da contratto collettivo nazionale.

 

Ai sensi del citato art. 37 la struttura della retribuzione dei segretari comunali e provinciali si compone delle seguenti voci:

a) trattamento stipendiale;

b) indennità integrativa speciale;

c) retribuzione individuale di anzianità, ove acquisita;

d) retribuzione di posizione;

e) maturato economico annuo, ove spettante;

f) retribuzione di risultato;

g) diritti di segreteria;

h) retribuzione aggiuntiva per sedi convenzionate.

 

 

 

 


 

Articolo 11
(Disposizioni sul personale dirigenziale delle regioni
e degli enti locali)

 

 

L’articolo 11 modifica il sistema di conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato negli enti locali (commi 1 e 2), nelle regioni e negli enti e nelle aziende del Servizio sanitario nazionale con riferimento alla dirigenza professionale, tecnica ed amministrativa (comma 3). Si interviene, inoltre, sugli uffici di supporto degli organi di direzione politica degli enti locali (comma 4).

In sintesi, viene aumentato dal 10 al 30% dei posti della pianta organica la quota massima di incarichi dirigenziali che gli enti locali possono conferire mediante contratti a tempo determinato e si prevede l’obbligo di selezione pubblica per il conferimento di detti incarichi. Inoltre, se i contratti sono stipulati con dipendenti di pubbliche amministrazioni, questi sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell'anzianità di servizio, mentre la disciplina previgente prevedeva la risoluzione del rapporto di lavoro e l’eventuale riassunzione, subordinata alla vacanza del posto in organico.

In secondo luogo, si fissa un limite massimo (pari al 10% della dotazione organica) anche al numero di incarichi dirigenziali conferibili con contratti a tempo determinato dalle regioni e (con riferimento alla dirigenza professionale, tecnica ed amministrativa) dagli enti e dalle aziende del Servizio sanitario nazionale.

Infine, si stabilisce il divieto di effettuare attività gestionale al personale degli uffici di supporto agli organi di direzione politica locale (sindaci, presidenti di provincia e assessori) anche se il loro trattamento economico è parametrato a quello dirigenziale.

 

Il comma 1, apporta le seguenti modifiche all’art. 110 del TUEL:

·     aumenta al 30% dei posti della pianta organica, la quota massima di incarichi dirigenziali che gli enti locali possono conferire mediante contratti a tempo determinato;

·     prevede l’obbligo di selezione pubblica per il conferimento di detti incarichi;

·     prevede, se i contratti sono stipulati con dipendenti di pubbliche amministrazioni, il collocamento in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell'anzianità di servizio, mentre la disciplina previgente prevedeva la risoluzione del rapporto di lavoro e l’eventuale riassunzione, subordinata alla vacanza del posto in organico.

 

Il conferimento degli incarichi dirigenziali con contratto a tempo determinato nelle pubbliche amministrazioni è disciplinato in via generale dall’art. 19, comma 6, del D.Lgs. 165/2001. Si prevede la possibilità di affidare tali incarichi in presenza di determinati requisiti e in predefiniti limiti percentuali rispetto alla dotazione organica. Gli incarichi sono attribuiti, anche a termine, entro il limite del 10% della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli dirigenziali e dell’8% della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia. La durata di tali incarichi, comunque, non può eccedere il termine di tre anni per gli incarichi di Segretario generale di ministeri, gli incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente e per gli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale, il termine di cinque anni (il ricorso a tipologie a termine è stato disciplinato dal D.Lgs. n. 150/2009 che ha previsto che tali incarichi siano conferiti in presenza di specifici requisiti stabiliti ex lege).

 

Per gli enti locali in materia vige una normativa speciale recata dall’art. 110 del testo unico degli enti locali (D.Lgs. 267/2000).

 

L’art. 110, comma 1, TUEL prevede la possibilità di ricorrere alla copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire (sul tema si richiamano il parere n. 308/2010 della sez. regionale della Corte dei Conti per la Lombardia e il parere n. 44/2010 della sez. regionale della Corte dei Conti per la Puglia[37]). In breve, ai sensi dell’art. 110 del TUEL, lo statuto dell’ente locale può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire. Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento del totale della dotazione organica della dirigenza e dell'area direttiva e comunque per almeno una unità[38]. Tale percentuale è stata successivamente incrementata (vedi oltre).

I contratti di cui sopra non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica; sotto il profilo del trattamento economico, equivalente a quello previsto dai vigenti contratti collettivi nazionali e decentrati per il personale degli enti locali, questo può essere integrato, con provvedimento motivato della Giunta, da una indennità ad personam, commisurata alla specifica qualificazione professionale e culturale, anche in considerazione della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Il trattamento economico e l'eventuale indennità ad personam sono definiti in stretta correlazione con il bilancio dell'ente e non vanno imputati al costo contrattuale e del personale.

 

Quanto disposto dall’art. 110 TUEL deve essere integrato dal comma 6-quater del citato art. 19 del D.Lgs. 165/2001 introdotto dal D.Lgs. 141/2011 e modificato dal D.L. 16/2012 (art. 4-ter, comma 13).

Il comma 6-quater stabilisce un limite massimo generale degli incarichi a contratto pari al 10% della dotazione organica dirigenziale. Inoltre, la norma prevede la possibilità di ampliare il contingente de quo sino al 20% per i comuni con non più di 100 mila abitanti e al 13% per i comuni fino a 250 mila abitanti, stabilendo, per quest’ultimi, che la facoltà di deroga possa esercitarsi solo nell'ambito dei vincoli previsti per le assunzioni a tempo indeterminato. Si prevede, poi, la possibilità di superare, in via transitoria e con provvedimento motivato, i suddetti limiti al fine di rinnovare, per una sola volta, gli incarichi in corso e in scadenza entro il 31 dicembre 2012.

 

Il comma 2 abroga il citato comma 6-quater, in quanto la soglia massima di incarichi conferibili viene reintrodotta nell’art. 110 TUEL.

 

Per quanto concerne le modalità di attribuzione degli incarichi dirigenziali, si ricorda che tale conferimento presuppone, ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. n. 165/2001, un processo propedeutico finalizzato a rendere conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione dirigenziale che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta; ogni amministrazione pubblica acquisisce le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta ai fini dell’attribuzione. In parallelo, l’art. 109 del D.Lgs. n. 267/2000 (TUEL), in materia di attribuzione degli incarichi dirigenziali, precisa che sono conferiti a tempo determinato con provvedimento motivato e con le modalità fissate dal regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, secondo criteri di competenza professionale, in relazione agli obiettivi indicati nel programma amministrativo del sindaco o del presidente della provincia e sono revocati in caso di inosservanza delle direttive del sindaco o del presidente della provincia, della Giunta o dell’assessore di riferimento, o in caso di mancato raggiungimento al termine di ciascun anno finanziario degli obiettivi assegnati nel piano esecutivo di gestione o per responsabilità particolarmente grave o reiterata e negli altri casi disciplinati dai contratti collettivi di lavoro.

 

La disposizione in esame introduce l’obbligo di procedere all’assegnazione degli incarichi dirigenziali attraverso procedure di selezione pubblica volta ad accertare il possesso di “comprovata esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle materie oggetto dell’incarico”.

Si tratta di un bilanciamento rispetto all’ampliamento (fino al 30%) della possibilità di affidare tali incarichi a personale con contratto a tempo determinato.

 

Per giurisprudenza consolidata, le deroghe legislative al principio secondo cui agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, seppure previste espressamente dallo stesso art. 97, c. 3, Cost., sono sottoposte al sindacato di legittimità costituzionale.

In particolare, in base alla giurisprudenza costituzionale, "l'area delle eccezioni" al concorso deve essere "delimitata in modo rigoroso" (sent. n. 215 del 2009; sent. n. 363 del 2006). Le deroghe, cioè, sono legittime solo in presenza di "peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico" idonee a giustificarle (sent. n. 81 del 2006). In altre parole, la deroga al principio del concorso pubblico deve essere essa stessa funzionale alle esigenze di buon andamento dell'amministrazione (sent. n. 293 del 2009). Con la sentenza 9/2010 la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 24, comma. 2, della L.R. n. 23 del 2008, Piemonte, in quanto tale disposizione oltre a prevedere assunzioni a tempo determinato, con contratto che può avere una durata massima di cinque anni e che è rinnovabile senza alcun limite, e a non richiedere la ricorrenza di alcun presupposto oggettivo perché un incarico di direttore regionale sia affidato ad un soggetto esterno piuttosto che ad un dirigente appartenente ai ruoli dell'amministrazione, contempla una deroga al principio del concorso pubblico di notevole consistenza (30 per cento dei posti di direttore regionale).

 

Il comma 3 fissa al dieci per cento il limite dei posti di dotazione organica ricopribili tramite assunzioni a tempo determinato per la dirigenza regionale e la dirigenza professionale, tecnica ed amministrativa degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale.

 

Va ricordato che ai sensi dell’articolo 10 del CCNQ dell’11 giugno 2007, il comparto del personale del Servizio sanitario nazionale comprende il personale:

-        delle Aziende sanitarie ed ospedaliere del SSN;

-        degli istituti zooprofilattici sperimentali di cui al decreto legislativo n. 270/1993;

-        degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di cui al decreto legislativo n. 288/2003;

-        dell’Azienda ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino;

-        dell’Ospedale Galliera di Genova;

-        delle ex Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB) che svolgono prevalentemente funzioni sanitarie;

-        delle Residenze sanitarie assistite a prevalenza pubblica (RSA);

-        delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA);

-        dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali.

 

Si rileva, in proposito, che molte regioni hanno introdotto proprie discipline di regolazione della dirigenza che, in alcuni casi, consentono il ricorso ad incarichi dirigenziali da conferire a personale esterno. Ad esempio la regione Piemonte con la citata L.R. 28 luglio 2008, n. 23.

Quest’ultima in particolare (art. 24) prevedeva che gli incarichi di direttore regionale potessero essere conferiti, entro il limite del 30 per cento dei rispettivi posti, a persone esterne all'amministrazione regionale. Tale disposizione è stata ritenuta incostituzionale dalla citata sentenza del 2010. Successivamente la legge regionale ha provveduto a ridurre tale limite al 10%, equiparandolo a quello statale.

Come si è visto sopra, nella pronuncia la Corte applica il parametro dell’art. 97 recante il principio dell’accesso al pubblico impiego per concorso.

 

In materia, rileva anche la sentenza della Corte costituzionale n. 233/2006, che ha evidenziato come la materia “organizzazione amministrativa della Regione”, comprensiva dell’incidenza della stessa sulla disciplina del relativo personale, è attribuita alla competenza residuale delle Regioni (art. 117, quarto comma, Cost.), da esercitare nel rispetto dei «principi fondamentali di organizzazione e funzionamento» fissati negli statuti (art. 123 Cost.).

Al contempo, per quanto riguarda più specificatamente i dirigenti e il relativo trattamento economico, nella recente sentenza 61/2014, la Corte costituzionale, dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 3, del D.L. n. 78 del 2010, nella parte in cui concerne il personale dirigenziale regionale e provinciale (i cui rapporti di impiego sono tutti contrattualizzati), ha affermato che tale materia è riconducibile a quella dell’«ordinamento civile» (sent. n. 173 del 2012). E, come affermato dalla Corte (sentenza n. 77 del 2013), la competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento civile» vincola gli enti ad autonomia differenziata anche con riferimento alla disciplina del rapporto di lavoro con i propri dipendenti.

 

Il comma 4 pone il divieto di effettuare attività gestionale al personale degli uffici di supporto agli organi di direzione politica locale (sindaci presidenti di provincia e assessori) assunti con contratto a tempo determinato anche se il loro trattamento economico è parametrato a quello dirigenziale.

Si tratta del personale disciplinato dall’art. 90 del TUEL che consente, attraverso una specifica previsione in tal senso del regolamento comunale o provinciale degli uffici e dei servizi, di costituire uffici di diretta collaborazione del sindaco, del presidente della provincia, della giunta o degli assessori. Di tali uffici possono far parte sia dipendenti dell’ente locale, sia personale esterno assunto con contratto a tempo determinato. Se si tratta di personale dipendente da altra pubblica amministrazione è collocato in aspettativa senza assegni e viene retribuiti applicando il contratto collettivo nazionale di lavoro degli enti locali.

La disposizione è finalizzata a separare le attività gestionali di line da quelle proprie del degli uffici di staff a supporto dell’organo di indirizzo politico, in ossequio al principio della separazione tra politica e amministrazione che trova la sua attuazione, a livello dell’amministrazione statale, nell’art. 14 del D.Lgs. 165/2001,che prevede appunto che gli uffici di diretta collaborazione dei ministri hanno esclusivamente competenze di supporto e di raccordo con l’amministrazione.

 

Tale principio è ormai consolidato nella giurisprudenza costituzionale, alla luce della quale “emerge come gli uffici di diretta collaborazione svolgano un’attività strumentale rispetto a quella esercitata dal Ministro, collocandosi, conseguentemente, in un contesto diverso da quello proprio degli organi burocratici. Detti uffici, infatti, sono collocati in un ambito organizzativo riservato all’attività politica con compiti di supporto delle stesse funzioni di governo e di raccordo tra queste e quelle amministrative di competenza dei dirigenti. In questa prospettiva, non assume rilievo […] la distinzione funzionale tra le attribuzioni del Ministero e quelle degli uffici in esame, dovendo, al contrario, sussistere tra loro una intima compenetrazione e coesione che giustifichi un rapporto strettamente fiduciario finalizzato alla compiuta definizione dell’indirizzo politico-amministrativo. La separazione di funzioni, che la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto necessaria per assicurare il rispetto, in particolare, dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa, deve essere assicurata, pertanto, esclusivamente tra l’attività svolta dai Ministri, con il supporto degli uffici di diretta collaborazione, e quella esercitata dagli organi burocratici, cui spetta la funzione di amministrazione attiva” (sent. 304/2010).

 

 

 


 

Articolo 12
(Attività di volontariato di soggetti che beneficiano di misure
di sostegno al reddito)

 

 

L’articolo 12 istituisce, in via sperimentale, per il biennio 2014-2015, un apposito Fondo destinato a reintegrare l’INAIL dell’onere della copertura assicurativa contro le malattie e gli infortuni (nel limite di spesa di 10 milioni di euro) in favore dei soggetti beneficiari di misure di sostegno al reddito che svolgano attività di volontariato a beneficio delle comunità locali.

Più nel dettaglio, il comma 1 dispone che il suddetto Fondo sia istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in favore dei soggetti beneficiari di ammortizzatori e di altre forme di integrazione e sostegno del reddito previste dalla normativa vigente, impegnati in attività di volontariato, fermo restando quanto disposto dall’articolo 4 della L. 266/1991[39].

Il comma 2 stabilisce che la dotazione del Fondo non sia superiore a 10 milioni di euro (5 milioni per ciascuno degli anni 2014 e 2015) e che alla stessa si provveda mediante corrispondente riduzione del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione[40]. Alle variazioni di bilancio necessarie si provvede con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, su proposta del MLPS.

Secondo il comma 3, i comuni e gli altri enti locali interessati ad usufruire dell’attività dei soggetti beneficiari di ammortizzatori e di altre forme di integrazione e sostegno del reddito previste (la cui sussistenza è oggetto di verifica da parte dell’INPS) rendono noti i progetti di utilità sociale in corso con le associazioni di volontariato attraverso apposite iniziative informative e pubblicitarie.

Infine, il comma 4 dispone che i soggetti beneficiari di misure di sostegno al reddito conseguano per il loro impegno in attività di volontariato dei crediti formativi, secondo modalità e criteri stabiliti con decreto del MLPS.

La regolamentazione dei rapporti tra organizzazioni di volontariato e istituzioni pubbliche (Stato, regioni, province autonome, enti locali e altri enti pubblici) è un tema molto dibattuto sin dall’emanazione della legge quadro sul volontariato (legge 266/1991).

Non a caso le Linee guida per una riforma del Terzo settore presentate dal Governo nel maggio 2014 prevedono come uno degli obiettivi principali la valorizzare del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale, con:

1.               un aggiornamento della legge 328/2000 con riferimento alla programmazione e gestione dei servizi sociali;

2.             la revisione dei requisiti per l’autorizzazione/accreditamento delle strutture e dei servizi sociali e delle procedure di affidamento per l’erogazione dei servizi sociali da parte degli enti locali ad organizzazioni del terzo settore;

3.             l’introduzione di incentivi per la libera scelta dell’utente a favore delle imprese sociali mediante deduzioni o detrazioni fiscali oppure mediante voucher.

Finora, lo strumento giuridico, maggiormente utilizzato per regolamentare i rapporti tra le organizzazioni di volontariato e gli enti pubblici, è quello della convenzione di cui all’articolo 7 della legge 266/1991, che stabilisce che lo Stato, le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli altri enti pubblici possono stipulare convenzioni con le organizzazioni di volontariato che dimostrino attitudine e capacità operativa purché siano iscritte da almeno sei mesi nei Registri  delle organizzazioni di volontariato istituiti dalle regioni e dalle province autonome (articolo 6 della legge quadro).
La legge 266/1991 elenca alcuni degli elementi di base che le convenzioni devono includere:

Infine, il comma 3 dell’articolo 7, stabilisce che sia obbligatoriamente prevista, quale elemento essenziale della convenzione, la copertura assicurativa e che i relativi oneri siano a carico dell'Ente con il quale viene stipulata la convenzione medesima. 

In ultimo si ricorda che il Comune di Milano ha di recente presentato il Patto per il riscatto sociale: un intervento che prevede l’erogazione di un  contributo di integrazione al reddito a persone disoccupate, con o senza minori a carico, in cambio dell’impegno da parte del beneficiario a seguire un programma di interventi di inclusione sociale attiva per sei mesi attraverso borse lavoro, percorsi formativi, azioni di volontariato, forme alternative di spesa (ticket, social market) e partecipazione a laboratori occupazionali per sei mesi. Il contributo di 1.200 euro è assegnato a coloro che possiedono un ISEE inferiore a 6.000 euro.

 

 


 

Articolo 13
(Incentivi per la progettazione)

 

 

L’articolo 13 dispone che gli incentivi relativi alla progettazione da parte delle amministrazioni aggiudicatrici e alle attività tecnico-amministrative ad essa connesse - contemplati dai commi 5 e 6 dell’art. 92 Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 163/2006) – non possano essere corrisposti al personale con qualifica dirigenziale, in ragione dell’onnicomprensività del relativo trattamento economico (nuovo comma 6-bis dell’art. 92 del Codice).

 

Il citato comma 5 dell’art. 92 del Codice disciplina le modalità per il riparto - tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori – di una somma non superiore al 2% dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell'amministrazione. Il successivo comma 6 prevede invece il riparto del 30% della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione tra i dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto.

Si segnala che l’Avvocatura dello Stato con il parere n. 21/12/2013-513720/23, ha rilevato che il combinato disposto dell’art. 24 del D.Lgs. 165/2001 (che sancisce il principio di onnicomprensività della retribuzione), e dell’art. 92, comma 5, del Codice, “sembrerebbe doversi interpretare nel senso che i dirigenti siano esclusi dall'ambito di applicazione degli incentivi ex art. 92, comma 5”[41].

 

 


Articolo 14
(Abilitazione scientifica nazionale; chiamata di professori associati)

 

 

L’articolo 14 reca disposizioni concernenti la procedura di abilitazione scientifica nazionale 2013 e la medesima procedura che dovrebbe essere bandita nel 2014, nonché disposizioni relative alla chiamata di professori associati per gli anni 2012 e 2013, prevista dal Piano straordinario di cui alla legge di stabilità 2011.

 

In particolare, i commi 1 e 2 concernono il differimento (dal 31 maggio 2014) al 30 settembre 2014 del termine di conclusione dei lavori delle commissioni per l’abilitazione scientifica nazionale della tornata 2013.

Il differimento opera senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Agli oneri organizzativi e finanziari derivanti si provvede, infatti, mediante le risorse ordinarie attribuite dal MIUR agli atenei sedi delle procedure.

 

L’abilitazione scientifica nazionale – prevista dall’art. 16 della L. 240/2010, successivamente modificato dall’art. 49 del D.L. 5/2012 (L. 35/2012) e dall’art. 1, co. 398, della L. 228/2012 – attesta la qualificazione scientifica necessaria per l’accesso alla prima e alla seconda fascia del ruolo dei professori. Il suo conseguimento consente la partecipazione alle procedure di chiamata attivate dalle università (artt. 18 e 24, co. 5 e 6, L. 240/2010).

Le procedure per il conseguimento dell'abilitazione sono svolte per settori concorsuali, raggruppati in macrosettori concorsuali. Ciascun settore concorsuale può essere articolato a sua volta in settori scientifico-disciplinari (art. 15, L. 240/2010)[42].

Le modalità di espletamento delle procedure sono state disciplinate con regolamento emanato con DPR 222/2011 (successivamente modificato dall’art. 1, co. 399, della L. 228/2012), che, in particolare, prevede – in attuazione dell’art. 16, co. 3, lett. d), della L. 240/2010 – che le stesse procedure sono indette ogni anno entro il mese di ottobre (art. 3).

Per l’espletamento delle procedure, l’art. 6 del regolamento prevede – in attuazione dell’art. 16, co. 3, lett. f), della L. 240/2010 – la costituzione, ogni due anni, di una commissione nazionale per ciascun settore concorsuale, composta da cinque membri[43], di cui quattro professori ordinari di università italiane sorteggiati all’interno di una lista formulata dal MIUR. A tali membri non sono corrisposti compensi, emolumenti ed indennità. Il quinto commissario è individuato tra studiosi o  esperti  in

servizio presso università di un Paese aderente all’OCSE, diverso dall'Italia. Al commissario in servizio all'estero è corrisposto, invece, un compenso cui si provvede con le disponibilità di bilancio degli atenei[44].

Le procedure si svolgono presso le università individuate nell’ambito di una lista formata da quelle aventi strutture idonee e dotate delle necessarie risorse finanziarie. Gli oneri relativi al funzionamento di ciascuna commissione sono posti a carico dell’ateneo dove si espleta la procedura. Di tali oneri si tiene conto nella ripartizione del Fondo di finanziamento ordinario delle università[45] (art. 5).

In base all’art. 16, co.3, lett. e), della L. 240/2010, come modificato dall’art. 1, co. 398, della L. 228/2012, le commissioni devono concludere i propri lavori entro cinque mesi dalla data di scadenza del termine per la presentazione delle domande[46].

L’art. 8, co. 6, del DPR 222/2011 dispone che, qualora, i lavori delle commissioni non si concludano nel termine previsto, il Direttore generale competente può assegnare un ulteriore termine per un periodo non superiore a sessanta giorni, decorso il quale sono avviate le procedure di sostituzione della commissione, alla quale è assegnato un termine non superiore a tre mesi per la conclusione dei lavori[47].

La prima tornata della procedura per l’abilitazione scientifica nazionale – relativa al 2012 – è stata avviata con Decreto direttoriale n. 222 del 20 luglio 2012.

 

La tornata 2013 è stata avviata con Decreto direttoriale n. 161 del 28 gennaio 2013. In particolare, l’art. 4, co. 6, del bando ha fissato il termine per la conclusione dei lavori delle commissioni al 31 marzo 2013. Un ulteriore termine di 60 giorni (31 maggio 2014) – oltre il quale si sarebbero dovute avviare le procedure di sostituzione della commissione – è stato fissato con D.D. 1236 del 1° aprile 2014.

 

Le disposizioni in esame, dunque, modificano implicitamente anche la disciplina prevista dall’art. 8, co. 6, del DPR 222/2011 che, come si è visto, richiederebbe la sostituzione delle commissioni.

Al riguardo, la relazione illustrativa evidenzia che la “complicata procedura di sostituzione dei commissari (…) provocherebbe attese insostenibili per gli attuali candidati e il rischio, più che concreto, di conseguire l’abilitazione quando le risorse del piano straordinario degli associati saranno già ampiamente esaurite” (il termine per il loro utilizzo è infatti fissato al 31 ottobre 2014)” (al riguardo, v. infra, co. 4 dell’articolo in esame).

 

Il comma 3 dispone che, nelle more della revisione della disciplina, è sospesa per il 2014 l’indizione della procedura per il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale e del procedimento per la formazione delle commissioni nazionali (di cui, rispettivamente, agli artt. 3, co. 1, e 6, co. 1, del DPR 222/2011).

In materia, si rammenta che il 18 giugno 2014 la VII Commissione ha approvato la risoluzione 8-00064, che ha impegnato il Governo a migliorare la normativa in materia, in particolare, introducendo la presentazione “a sportello” delle domande (svincolata, cioè, da scadenze temporali), rivedendo le modalità di composizione e nomina delle commissioni giudicatrici e valutando l'opportunità di rendere facoltativa la presenza di commissari stranieri, nonché rivedendo criteri, parametri e indicatori del DM 76/2012.

 

Con riguardo alla formulazione del testo, si segnala che la disposizione deroga esplicitamente solo a quanto previsto dall’art. 16, co. 3, lett. d), della L. 240/2010 (indizione annuale delle procedure per il conseguimento dell’abilitazione) e non anche al disposto di cui alla lett. f) del medesimo comma 3 (istituzione di commissioni nazionali di durata biennale).

 

Il comma 4, infine, differisce (dal 31 ottobre 2014) al 31 marzo 2015 il termine per procedere alle chiamate di professori associati per gli anni 2012 e 2013, previste dal piano straordinario di cui all’art. 1, co. 24, della L. 220/2010 e all’art. 29, co. 9, della L. 240/2010.

La relazione illustrativa evidenzia che tale disposizione è conseguente al differimento del termine per la conclusione dei lavori delle commissioni per l’abilitazione scientifica nazionale di cui al comma 1 dell’articolo in esame.

 

L’art. 1, co. 24, della L. 220/2010 (legge di stabilità 2011) ha incrementato la dotazione del Fondo per il finanziamento ordinario delle università per un importo pari a 800 milioni di euro per il 2011 e a 500 milioni di euro annui a decorrere dal 2012, destinandone una parte (non quantificata) al finanziamento di un piano straordinario per la chiamata di professori di seconda fascia per gli anni 2011-2016.

Successivamente, l’art. 29, co. 9, della L. 240/2010 – come modificato dall’art. 49, D.L. 5/2012 (L. 35/2012) –, ha fissato la misura delle risorse aggiuntive riservate a tal fine in non più di 13 milioni di euro per il 2011, 93 milioni di euro per il 2012 e 173 milioni di euro a decorrere dal 2013 e ha stabilito che la chiamata deve essere effettuata secondo le procedure di cui agli artt. 18 e 24, co. 6, della medesima L. 240/2010, o mediante chiamata diretta (art. 1, co. 9, L. 230/2005).

La disciplina per l’utilizzo delle risorse è stata emanata con DI 15 dicembre 2011 e DI 28 dicembre 2012 che hanno indicato, rispettivamente, i criteri per l’utilizzo delle risorse per il 2011 e per il 2012-2013. In particolare, l’art. 3, co. 1, del DI 28 dicembre 2012 ha fissato per l’utilizzo delle somme assegnate il termine del 31 ottobre 2014[48].

 

 


 

Articolo 15
(
Scuole di specializzazione medica)

 

 

L’articolo 15 reca disposizioni relative alla decorrenza della riduzione della durata dei corsi delle scuole di specializzazione medica e disciplina il contributo per la partecipazione alle prove di ammissione. Stanzia, inoltre, ulteriori risorse per il trattamento economico da riconoscere agli specializzandi.

 

In particolare, il comma 1 prevede che la riduzione della durata dei corsi delle scuole di specializzazione medica - da definire con un decreto interministeriale che doveva essere emanato entro il 31 marzo 2014 e che al momento non è ancora intervenuto - si applicherà a decorrere dall’a.a. 2014-2015.

A tal fine, novella il primo periodo dell’art. 20, co. 3-ter, del d.lgs. 368/1999.

 

Rispetto alla formulazione previgente, che faceva riferimento all’applicazione della riduzione della durata dei corsi dall’a.a. successivo all’emanazione del decreto, la nuova formulazione individua un anno accademico certo.

Considerato che il termine del 31 marzo 2014, previsto per l’emanazione del decreto interministeriale, è ormai ampiamente decorso, la modifica normativa sembrerebbe rispondere all’obiettivo di evitare che la riduzione della durata dei corsi sia applicata già a decorrere dall’imminente avvio dell’a.a. 2013/2014 delle scuole di specializzazione (vedi infra).

Si segnala, tuttavia, che, a differenza della formulazione previgente, l’attuale imporrà un nuovo intervento legislativo qualora il decreto interministeriale non dovesse intervenire in tempo utile per l’avvio dell’a.a. 2014-2015[49].

 

Al riguardo si segnala che le attività didattiche relative all’a.a. 2012-2013 si sono avviate, in base all’art. 1 del Decreto Ministeriale 10 giugno 2013 n. 444, il 1° agosto 2013.

In base al comunicato stampa del MIUR del 17 aprile 2014, il bando di concorso per l’a.a. 2013/2014 sarà emanato entro il mese di luglio e le prove di esame si svolgeranno a ottobre, mentre a partire dal 2015 il bando sarà pubblicato entro il 28 febbraio di ogni anno e la prova d’esame si svolgerà non prima di sessanta giorni dopo la sua uscita.

 

 

Il co. 3-bis dell’art. 20 del d.lgs. 368/1999, introdotto dall’art. 21 del D.L. 104/2013 (L. 128/2013), ha previsto che con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, la durata dei corsi di formazione specialistica dei medici è ridotta rispetto agli attuali 5 o 6 anni (v. art. 2, co. 2, decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 1° agosto 2005), rispettando i limiti minimi previsti dalla normativa europea in materia, e si riorganizzano le classi e le tipologie di corsi di specializzazione medica. Ha, altresì, previsto che eventuali risparmi derivanti dalla riorganizzazione sono destinati all'incremento dei contratti di formazione specialistica medica.

Come già evidenziato, il decreto, che doveva essere emanato entro il 31 marzo 2014, non è ancora intervenuto.

Inoltre, il co. 3-ter dell’art. 20 del d.lgs. 368/1999, introdotto dalla stessa fonte sopra citata, ha disposto che la durata dei corsi di formazione specialistica, come definita con il decreto, si applica agli specializzandi che nell'anno accademico successivo all'emanazione del medesimo decreto sono immatricolati al primo anno di corso (primo periodo). Per gli specializzandi che nel medesimo anno sono iscritti al secondo o al terzo anno di corso, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca provvede, con decreto, ad adeguare l'ordinamento didattico alla nuova durata così. Per gli specializzandi che nel medesimo a.a. sono iscritti al quarto o successivo anno di corso, resta valido l'ordinamento previgente (secondo e terzo periodo).

 

Il comma 2 autorizza l’ulteriore spesa di 6 milioni di euro per il 2014, 40 milioni di euro per il 2015 e 1,8 milioni di euro per il 2016 per la formazione dei medici specialisti.

Tali risorse si aggiungono a quelle, anch’esse ulteriori, previste dall’art. 1, co. 424, della legge di stabilità per il 2014 (L. 147/2013), pari a 30 milioni di euro per l’anno 2014 e a 50 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015.

Al riguardo si ricorda che, in base all’art. 39 del d.lgs. 368/1999, al medico in formazione specialistica, per tutta la durata legale del corso, è corrisposto un trattamento economico annuo onnicomprensivo[50].

Come già evidenziato nel comunicato stampa del MIUR del 14 giugno 2014 e ribadito nella relazione illustrativa, con le risorse disponibili, al netto dell’incremento disposto[51], per il prossimo anno accademico potrebbero essere finanziati circa 3.300 contratti, mentre con le risorse aggiuntive si garantisce la copertura di 5.000 contratti. Considerato che nei prossimi dieci anni sono attesi circa 100.000 pensionamenti tra i medici specialisti, preparare il ricambio attraverso la formazione dei giovani specializzandi appare funzionale al mantenimento della qualità della sanità pubblica.

 

Al relativo onere si provvede:

·      per il 2014, utilizzando quota parte delle entrate che dalle contabilità speciali scolastiche - non più alimentate dal 2013 - sono versate, in ciascuno degli anni dal 2013 al 2016, all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate ai capitoli dello stato di previsione del MIUR relativi alle spese di funzionamento delle scuole. Pertanto, 6 milioni di euro resteranno acquisiti all’erario.

Al riguardo si ricorda che l’art. 7, co. 39, del D.L. 95/2012 (L. 135/2012) ha previsto che dal 1° gennaio 2013 le contabilità speciali su cui affluivano le risorse statali da destinare alle istituzioni scolastiche, di cui all’art. 5-ter del D.L. 452/2001 (L. 16/2002), non sono più alimentate e che le somme disponibili alla stessa data sono versate all’entrata del bilancio dello Stato in misura pari a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015 e, per la restante parte, nel 2016, anno a decorrere dal quale le contabilità speciali sono soppresse[52]. Ha, altresì, disposto che le somme in questione sono annualmente riassegnate ai capitoli dello stato di previsione del MIUR relativi alle spese di funzionamento delle scuole;

·      per il 2015, mediante riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica.

La dotazione del Fondo ISPE (cap. 3075/Economia) risulta rideterminata nel bilancio 2014-2016 (legge n. 148/2013 e D.M. di ripartizione in capitoli del 27 dicembre 2013) in 44,3 milioni per il 2014, in 360,5 milioni nel 2015 e in 173,6 milioni nel 2016. Sugli stanziamenti indicati dalla legge di bilancio 2014-2016, hanno, peraltro, già inciso in senso riduttivo, una serie di interventi legislativi;

·      per il 2016, mediante riduzione del Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO).

In base al Decreto 106303 del 27 dicembre 2013 - Ripartizione in capitoli delle Unità di voto parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014 – 2016, nel 2016 il capitolo 1694 dello stato di previsione del MIUR, sul quale sono allocati gli stanziamenti relativi al FFO, ha  uno stanziamento di € 6.807.679.266 che, per effetto della riduzione disposta dalla norma in esame, diventerebbe di € 6.805.879.266.

 

Il comma 3 prevede che anche per la partecipazione alle prove di ammissione alle scuole di specializzazione medica è dovuto dai candidati un diritto di segreteria, nella misura massima di 100 euro. Le corrispondenti entrate sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate al MIUR per la copertura degli oneri connessi alle prove di ammissione.

A tal fine, si prevede l’applicazione della procedura già prevista per la partecipazione ai concorsi per il reclutamento del personale dirigenziale delle amministrazioni pubbliche (art. 4, co. 54, L. 183/2011), poi estesa ai concorsi per il reclutamento del personale di magistratura (art. 4, co. 15, D.L. 101/2013-L. 125/2013).

 

Al riguardo si ricorda che l’art. 21 del già citato D.L. 104/2013, modificando l’art. 36 del D.Lgs. 368/1999, ha previsto un'unica commissione preposta all'ammissione alle scuole di specializzazione e la formazione di un'unica graduatoria nazionale[53].

 

 

 


 

Articolo 16
(Nomina dei dipendenti nei CDA delle società partecipate)

 

 

L’articolo 16 interviene sulla disciplina concernente la composizione dei consigli di amministrazione delle società controllate, ovvero totalmente partecipate, da parte delle amministrazioni pubbliche, eliminando l’obbligatorietà della presenza dei dipendenti pubblici e dei dipendenti delle società controllate nei consigli medesimi, ferma restando la necessità dell’intesa tra amministrazione pubblica e società interessata per nomina della maggioranza dei componenti i consigli; viene inoltre ribadito, ampliandone l’ambito di applicabilità, il vigente criterio di onnicomprensività del trattamento economico per i membri medesimi, se dipendenti dall’amministrazione pubblica o dalla società. Le norme si applicano a decorrere dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo all’entrata in vigore del decreto legge.

 

In particolare il comma 1 dell’articolo in esame interviene sui commi 4 e 5 dell’articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012[54], che regolamentano, rispettivamente, la composizione ed i criteri di scelta dei componenti dei consigli di amministrazione delle società controllate direttamente dalle pubbliche amministrazioni[55], ovvero totalmente partecipate dalle stesse, riducendo nel contempo il numero dei componenti medesimi.

Per quanto concerne il comma 4, questo stabilisce che le società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore delle amministrazioni medesime superiore al 90 per cento dell’intero fatturato dovranno avere un CDA composto al massimo da 3 membri.

La norma fa pertanto riferimento alle cd. “società strumentali” delle P.A., vale a dire quelle strutture societarie che producono attività rivolte essenzialmente alla pubblica amministrazione e non ad altri soggetti.

 

Il comma medesimo fissa altresì (primo periodo) i seguenti criteri di composizione dei CdA di tali società:

§  nel caso di società a partecipazione diretta, minimo due membri (vale a dire la maggioranza del CdA, composto da tre membri) devono essere dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione o titolare dei poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d’intesa tra le amministrazioni medesime;

§  nel caso di partecipazione indiretta, minimo due membri devono essere scelti tra dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione nella controllante o dei poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d’intesa tra le amministrazioni medesime, e dipendenti della stessa società controllante.

Si rammenta che sia per le società a partecipazione diretta che per quelle a partecipazione indiretta, il terzo membro svolge le funzioni di amministratore delegato.

 

L’articolo 16 interviene su tali disposizioni, eliminando la previsione che i due membri in questione debbano essere obbligatoriamente dipendenti delle società suddette, e disponendo invece che gli stessi debbano essere scelti d’intesa tra le amministrazioni e le società interessate (amministrazione titolare della partecipazione e quella titolare dei poteri di indirizzo e vigilanza nel caso delle partecipazioni dirette, e, nel caso delle partecipazioni indirette, amministrazione titolare della partecipazione nella controllante, quella titolare dei poteri di indirizzo e vigilanza e la società controllante stessa).

 

Il medesimo comma 4 stabilisce inoltre (terzo periodo) che i dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione, o titolare dei poteri di indirizzo e vigilanza, “ferme le disposizioni vigenti sull’onnicomprensività del trattamento economico”, ovvero i dipendenti della società controllante (qualora membri del CdA) hanno rispettivamente l'obbligo di riversare i relativi compensi assembleari all'amministrazione (per il riversamento, ove consentito in base alle vigenti disposizioni, al Fondo per il finanziamento del trattamento economico accessorio[56]) o alla società di appartenenza.

Anche tale periodo è oggetto di modifica da parte dell’articolo in commento, il quale, riformulandolo, pone il vincolo dell’onnicomprensività del trattamento economico non solo (come ora previsto) per i dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione, o titolare dei poteri di indirizzo e vigilanza, ma anche per i dipendenti della società controllante.

Ovviamente tale vincolo, come pure il riversamento al Fondo suddetto, opera solo qualora i membri del CdA siano anche dipendenti dell’amministrazione o della società, fattispecie questa che ora, alla luce della modifica apportata al primo periodo del comma 4 in questione, ha carattere eventuale, come precisa la nuova formulazione del primo periodo dettata dall’articolo 16 in esame.

 

Con riguardo al comma 5, esso fa riferimento alle altre società a totale partecipazione pubblica, diretta o indiretta, stabilendo che i relativi CdA devono essere composti da tre o cinque membri, tenendo conto della rilevanza e della complessità delle attività svolte.

Nel caso in cui i CdA siano composti da tre membri, si applicano i medesimi criteri stabiliti dal comma 4. Nel caso di CdA composti da cinque membri, la composizione dovrà assicurare (terzo periodo):

a)   per le società a partecipazione diretta, la presenza di almeno tre dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d’intesa tra le amministrazioni medesime;

b)   per le società a partecipazione indiretta, la presenza di almeno tre membri scelti tra dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione della società controllante o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d’intesa tra le amministrazioni medesime, e dipendenti della stessa società controllante.

In tale ultimo caso (quarto periodo), si rammenta, le cariche di Presidente e di Amministratore delegato sono disgiunte e al Presidente potranno essere affidate dal Consiglio deleghe esclusivamente nelle aree relazioni esterne e istituzionali e supervisione delle attività di controllo interno.

 

Anche con riguardo al comma 5 in esame, l’articolo 16 elimina la previsione che i tre membri in questione (vale a dire la maggioranza del consiglio) debbano essere obbligatoriamente dipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione o della società controllante, e disponendo invece che gli stessi debbano essere scelti d’intesa tra le amministrazioni e società interessate: amministrazione titolare della partecipazione e quella titolare dei poteri di indirizzo e vigilanza nel caso delle partecipazioni dirette; e, nel caso delle partecipazioni indirette, amministrazione titolare della partecipazione della controllante, quella titolare dei poteri di indirizzo e vigilanza e la società controllante stessa.

Viene inoltre soppresso il quarto periodo del comma (in ordine alle cariche di Presidente ed Amministratore delegato, come sopra detto), che viene sostituito da una diversa disposizione, con la quale si dispone l’applicazione della disciplina sull’onnicomprensività del trattamento economico recata dal terzo periodo del comma 4, sopra illustrata.

 

Le nuove disposizioni introdotte dal comma 1 troveranno applicazione con decorrenza dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore del decreto legge (comma 2).

 

 


 

Articolo 17, commi 1-2
(Ricognizione degli enti pubblici e modalità di gestione dei servizi strumentali)

 

 

Il comma 1 dell’articolo 17 prevede la creazione di un sistema informatico di acquisizione di dati relativi agli enti pubblici e a quelli privati, ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria, funzionale all’adozione di misure di razionalizzazione di tali enti.

 

La predisposizione del sistema informatico è a cura del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio, il quale vi provvede entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame.

Il sistema è alimentato dalle amministrazione statali vigilanti, le quali inseriscono sia i dati relativi agli enti vigilati, sia le proposte di razionalizzazione in ordine a tali enti. La disposizione non specifica nel dettaglio quali dati dovranno essere immessi nel sistema.

 

In relazione alla trasparenza sugli enti pubblici o di interesse pubblico, si ricorda che attualmente, ciascuna amministrazione ha l’obbligo di pubblicare sul proprio sito istituzionale alcune informazioni relative agli enti vigilati (art. 22, D.Lgs. 33/2013). In particolare i dati, che devono essere aggiornati annualmente, riguardano:

a) l'elenco degli enti pubblici, comunque denominati, istituiti, vigilati e finanziati dalla amministrazione medesima ovvero per i quali l'amministrazione abbia il potere di nomina degli amministratori dell'ente, con l'elencazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell'amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate;

b) l'elenco delle società di cui detiene direttamente quote di partecipazione anche minoritaria (ad eccezione delle società quotate) indicandone l'entità, con l'indicazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell'amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate;

c) l'elenco degli enti di diritto privato, comunque denominati, in controllo dell'amministrazione, con l'indicazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell'amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate[57].

Le informazioni da pubblicare per ciascun ente sono relative alla ragione sociale, alla misura della eventuale partecipazione dell'amministrazione, alla durata dell'impegno, all'onere complessivo a qualsiasi titolo gravante per l'anno sul bilancio dell'amministrazione, al numero dei rappresentanti dell'amministrazione negli organi di governo, al trattamento economico complessivo a ciascuno di essi spettante, ai risultati di bilancio degli ultimi tre esercizi finanziari. Sono altresì pubblicati i dati relativi agli incarichi di amministratore dell'ente e il relativo trattamento economico complessivo.

 

La disposizione prevede infine che alle amministrazioni inadempienti è fatto divieto di compiere atti relativi agli enti vigilati, inclusi il trasferimento di fondi e la nomina di titolari e componenti dei relativi organi.

Per inadempienti s’intendono quelle amministrazioni che non hanno inserito i dati e le proposte relativi agli enti vigilati entro tre mesi dall’abilitazione all’inserimento delle informazioni richieste nel sistema informatico.

 

Anche l’articolo 22 del D.Lgs. 33/2013 prevede che, in caso di mancata o incompleta pubblicazione dei dati relativi agli enti, è vietata l'erogazione in loro favore di somme a qualsivoglia titolo da parte dell'amministrazione interessata.

 

L’obiettivo della creazione di un sistema informatico degli enti interviene su un aspetto, ossia quello della preliminare ricognizione e censimento degli enti esistenti, non presente negli interventi normativi volti a riordinare il sistema degli enti pubblici che si sono succeduti nelle ultime legislature (c.d. normativa taglia-enti).

 

La razionalizzazione degli enti pubblici statali, attraverso la loro trasformazione, soppressione o accorpamento ha rappresentato uno degli obiettivi più rilevanti delle politiche legislative di riforma della p.a. negli ultimi anni. A partire dal 2001, sino ad oggi, quasi tutte le manovre finanziarie annuali sono intervenute in materia, con una crescente accentuazione delle esigenze di contenimento della spesa pubblica.

Nei numerosi interventi normativi che si sono succeduti, e in parte sovrapposti, si sono alternati meccanismi volti ad individuare gli enti da riordinare o da sopprimere secondo criteri diversi, scelti di volta in volta dal legislatore.

In particolare, l’articolo l’art. 26 del decreto-legge 112/2008 (conv. da L. 133/2008), ha previsto un meccanismo di soppressione degli enti pubblici statali non economici, il c.d. taglia-enti, successivamente modificato dall’art. 17, co. 1-9, D.L. 78/2009 e dall’art. 10-bis, D.L. 194/2009.

Il meccanismo taglia-enti prevede due distinte procedure per giungere alla soppressione ex-lege degli enti pubblici non economici, a seconda che gli enti abbiano più o meno di 50 unità di personale. Gli enti con una dotazione organica inferiore alle 50 unità sono automaticamente soppressi, decorsi novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 112, ad eccezione di quelli confermati con decreto dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa. Tale processo si è concluso con il D.M. del 19 novembre 2008 che ha confermato nove enti.

Per gli enti con dotazione pari o superiore a 50 unità, la soppressione è prevista qualora allo scadere del termine del 31 ottobre 2010 non siano stati emanati i regolamenti di riordino previsti dalla legge finanziaria per il 2008 (art. 2, co. 634-636, L. 244/2007)[58]. Le funzioni esercitate da ciascun ente soppresso sono attribuite all’amministrazione vigilante o, nel caso di pluralità di amministrazioni, a quella titolare delle maggiori competenze in materia. L’amministrazione succede inoltre all’ente soppresso a titolo universale, in ogni rapporto, anche controverso e ne acquisisce le risorse finanziarie, strumentali e di personale.

Per quanto riguarda i regolamenti di riordino previsti dalla legge finanziaria per il 2008, successive modifiche (dapprima l’articolo 17 del D.L. 78/2009 e, in seguito, l’art. 12, comma 19, del D.L. 95/2012) hanno attribuito alla Presidenza del Consiglio un ruolo di regia e di coordinamento delle relative operazioni. Infatti, tali regolamenti sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e sentito il Ministro vigilante. Pertanto, il potere di proposta viene centralizzato nel Presidente del Consiglio dei ministri, mentre i Ministri alle cui competenze sono riconducibili i settori oggetto di riordino intervengono nel procedimento solo in sede consultiva. Tale sede viene invece esclusa per le organizzazioni sindacali. Resta invariato il concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze ed è previsto il parere delle competenti commissioni parlamentari entro 120 giorni. Un’ulteriore novità è la previsione della facoltà di proposta da parte del Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa di cui all'articolo 2 del D.L n. 52 del 2012.

 

Il comma 2 dell’articolo in commento attribuisce al Dipartimento della funzione pubblica il compito di predisporre un sistema informatico di acquisizione dati sulle modalità di gestione dei servizi strumentali, con particolare riguardo ai servizi esternalizzati, con la finalità di procedere ad una razionalizzazione dei servizi strumentali delle attività delle amministrazioni statali.

Il comma rinvia alle modalità di cui al comma 1, il quale prescrive che il Dipartimento della funzione pubblica deve provvedere alla predisposizione di un sistema informatico in cui le pubbliche amministrazioni inseriscono i dati relativi agli enti pubblici e privati vigilati (ai fini del comma 2: i dati relativi alla modalità di gestione dei servizi strumentali, con particolare riguardo a quelli esternalizzati) e le proposte di riordino e razionalizzazione degli stessi entro il termine di 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.

Ai sensi del medesimo comma 2, le amministrazioni statali inseriscono i relativi dati nel sistema, entro il medesimo termine e con le stesse modalità di cui al comma 1, il quale, in proposito, prevede che, trascorsi 3 mesi dall'abilitazione all'inserimento, è fatto divieto a tali amministrazioni di compiere qualsiasi atto nei confronti degli enti rispetto ai quali i dati e le proposte non sono stati immessi nel sistema.

Pertanto, ai fini del comma 2, dovrebbe intendersi che il divieto, trascorso il suddetto termine di 3 mesi dall’abilitazione, riguardi gli atti relativi alla gestione dei servizi strumentali. Sul punto appare peraltro opportuno un chiarimento.

Il mancato inserimento dei dati rileva – solo per quanto riguarda i dati di cui al comma 2 (e non per quelli di cui al comma 1) - ai fini della responsabilità dirigenziale del dirigente responsabile.

 

In base all’art 21 del d.lgs. 165/2001, che disciplina la responsabilità dirigenziale, il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione ovvero l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente comportano, previa contestazione e ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. In relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli di cui all'articolo 23 del d.lgs. 165/2001 ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo.

 

 


 

Articolo 17, commi 3-5
(Acquisizione di informazioni relative alle società partecipate
dalle pubbliche amministrazioni)

 

 

I commi da 3 a 5 dell’articolo 17 riguardano l’acquisizione delle informazioni relative alle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni, che vengono concentrate in un’unica banca dati gestita dal Ministero dell’economia e delle finanze, al fine di semplificare gli adempimenti in capo alle amministrazioni.

 

In particolare, il comma 3 prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2015, nella banca dati gestita dal Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo 2, comma 222, della legge n. 191/2009 (legge finanziaria per il 2010) – la quale monitora gli immobili e gli spazi allocativi delle pubbliche amministrazioni, ai fini della redazione del rendiconto patrimoniale delle Amministrazioni pubbliche a valori di mercato - confluiscano altresì una serie di informazioni attualmente acquisite dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

Il richiamato articolo 2, comma 222, della legge n. 191 del 2009 ha tra l’altro introdotto l’obbligo, per le amministrazioni pubbliche, di trasmettere una serie di comunicazioni all’Agenzia del demanio relativamente agli immobili da esse utilizzati, con l’obiettivo di unificare in capo alla stessa Agenzia le procedure riguardanti le locazioni passive e di razionalizzare gli spazi utilizzati dalle amministrazioni.

Inoltre, la norma impone alle amministrazioni pubbliche che utilizzano o detengono, a qualunque titolo, immobili di proprietà dello Stato o di proprietà dei medesimi soggetti pubblici, di trasmettere al Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento del tesoro - l’elenco identificativo dei predetti beni ai fini della redazione del rendiconto patrimoniale delle Amministrazioni pubbliche a valori di mercato. A tal fine, il Dipartimento del tesoro ha avviato il progetto Patrimonio della PA finalizzato alla rilevazione annuale delle componenti degli attivi di tutte le amministrazioni pubbliche, sia centrali che locali. Attualmente la rilevazione riguarda i beni immobili (fabbricati e terreni), le concessioni e le partecipazioni.

 

Sotto il profilo della formulazione della norma, si osserva che il richiamato comma 222 non disciplina in maniera specifica - né menziona - la “banca dati del Dipartimento del tesoro”, bensì - come sopra illustrato - reca un’ampia normativa sulla razionalizzazione degli spazi utilizzati dalle Amministrazioni pubbliche, introducendo obblighi di comunicazione sia all’Agenzia del Demanio che al Dipartimento del tesoro. Occorrerebbe pertanto chiarire se la banca dati cui si fa riferimento è costituita dal citato progetto Patrimonio della P.A. ovvero da altro strumento informatico.

 

In particolare, ai sensi della norma in commento, devono confluire nella predetta banca dati le informazioni relative:

§  al costo annuo del personale utilizzato da enti pubblici economici, aziende che producono servizi di pubblica utilità, società non quotate partecipate direttamente o indirettamente, a qualunque titolo, pubbliche amministrazioni rientranti nel conto economico consolidato pubblicato dall’ISTAT ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge n. 196/2009 – eccezion fatta per quelle emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati e dalle società dalle stesse controllate.

Si tratta di informazioni che le suddette amministrazioni sono tenute a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica - e al Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell’articolo 60, comma 3, del D.Lgs. n. 165/2001;

§  all’elenco dei consorzi di cui fanno parte le amministrazioni pubbliche statali, regionali e locali e delle società a totale o parziale partecipazione da parte delle amministrazioni medesime – informazioni che le P.A. sono tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica ai sensi dell’articolo 1, comma 587, della legge n. 296/2006 (finanziaria per il 2007) entro il 30 aprile di ciascun anno – con l’indicazione della ragione sociale, della misura della partecipazione, della durata dell'impegno, dell'onere complessivo a qualsiasi titolo gravante per l'anno sul bilancio dell'amministrazione, del numero dei rappresentanti dell'amministrazione negli organi di governo nonché del trattamento economico complessivo a ciascuno di essi spettante.

La norma precisa che debbano confluire nella banca dati del Dipartimento del Tesoro tutte le informazioni in tal senso acquisite entro il 31 dicembre 2014. A partire dal 1° gennaio 2015, infatti, le informazioni relative alle partecipazioni in società per azioni da parte delle P.A. saranno acquisite secondo le modalità di cui al successivo comma 4, vale a dire attraverso le banche dati già esistenti ovvero su apposita richiesta di invio.

 

L’ultimo periodo del comma 3 dispone che al Dipartimento della funzione pubblica è in ogni caso garantito l’accesso alle suddette informazioni contenute nella banca dati del Dipartimento del Tesoro, ai fini dello svolgimento delle relative attività istituzionali.

Le suddette informazioni sono altresì rese disponibili alla banca dati delle Amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 13 della legge di contabilità nazionale (legge n. 296/2009).

Si ricorda che l’articolo 13 della legge di contabilità nazionale prevede, al fine di assicurare un efficace controllo e monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica, nonché per acquisire gli elementi informativi necessari per dare attuazione al federalismo fiscale, che le amministrazioni pubbliche provvedano a inserire in una banca dati unitaria, istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze, accessibile all'ISTAT e alle stesse amministrazioni pubbliche, i dati concernenti i bilanci di previsione, le relative variazioni, i conti consuntivi, quelli relativi alle operazioni gestionali.

Con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 17 marzo 2010 il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato è stato individuato quale struttura responsabile della suddetta Banca dati.

 

Il comma 4 introduce disposizioni finalizzate all’acquisizione da parte del Ministero dell’economia e delle finanze delle informazioni relative alle partecipazioni in società per azioni detenute, direttamente o indirettamente, dalle pubbliche amministrazioni.

Le pubbliche amministrazioni interessate dalla norma sono quelle di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi del quale si intendono come tali tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al D.Lgs. n. 300/1999.

 

L’acquisizione delle predette informazioni può avvenire attraverso le banche dati già esistenti ovvero su apposita richiesta di invio.

Si rimanda comunque ad un apposito decreto del Ministro dell’economia, da adottarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame, la definizione delle modalità di invio e i contenuti delle informazioni che le amministrazioni sono tenute a comunicare.

Anche tali informazioni sono rese disponibili alla banca dati delle Amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 13 della legge di contabilità nazionale (legge n. 296/2009).

 

La norma dispone, infine, la pubblicazione sul sito istituzionale del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’economia e finanze e su quello del Dipartimento della funzione pubblica dell’elenco delle amministrazioni pubbliche adempienti e di quelle non adempienti all’obbligo di comunicazione.

 

In considerazione della suesposta procedura di acquisizione di informazioni sulle partecipazioni da parte del Ministero dell’economia introdotta dal comma 4, il successivo comma 5 abroga a partire dal 1° gennaio 2015 le disposizioni in materia di pubblicità delle partecipazioni delle amministrazioni pubbliche, recate dai commi da 587 a 591 dell’articolo 1 della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296/2006).

 

I commi da 587 a 591 intervengono in materia di pubblicità delle partecipazioni delle amministrazioni pubbliche. Si stabilisce innanzitutto che, entro il 30 aprile di ciascun anno, le amministrazioni pubbliche statali, regionali e locali sono tenute a comunicare, in via telematica o su apposito supporto magnetico, al Dipartimento della funzione pubblica l’elenco dei consorzi di cui fanno parte e delle società a totale o parziale partecipazione da parte delle amministrazioni medesime. La comunicazione deve indicare la ragione sociale, la misura della partecipazione, la durata dell’impegno, l’onere complessivo a qualsiasi titolo gravante per l’anno sul bilancio dell’Amministrazione, il numero dei rappresentanti dell’Amministrazione negli organi di governo, il trattamento economico complessivo a ciascuno di essi spettante.

Il comma 591 stabilisce che i dati raccolti a seguito della comunicazione sopra disciplinata sono pubblici, e sono esposti nel sito web del Dipartimento della Funzione pubblica. Il ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione riferisce annualmente alle Camere.

La disciplina richiamata prevede, inoltre, sanzioni nei casi di mancata o incompleta comunicazione dei dati.

In particolare, ai sensi del comma 588, la mancata o incompleta comunicazione dei dati è sanzionata con il divieto di erogare somme a qualsivoglia titolo da parte dell’amministrazione interessata a favore del consorzio o della società, o a favore dei propri rappresentanti negli organi di governo degli stessi. Nel caso di inosservanza delle disposizioni indicate, una cifra pari alle spese da ciascuna amministrazione sostenute nell’anno viene detratta dai fondi a qualsiasi titolo trasferiti a quella amministrazione dallo Stato nel medesimo anno (comma 589). Viene quindi affermato che le disposizioni in questione costituiscono per le Regioni principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, ai fini del rispetto dei parametri stabiliti dal patto di stabilità e crescita dell’Unione europea (comma 590).

Si ricorda peraltro che tali disposizioni sanzionatorie, di cui al commi 588-590, sono state dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale, con sentenza 21 maggio-6 giugno 2008, n. 190 (Gazz. Uff. 11 giugno 2008, n. 25 - Prima serie speciale).

 

 

 


 

Articolo 18, commi 1 e 2
(Soppressione delle sezioni staccate di TAR)

 

 

L’articolo 18, comma 1, sopprime – con decorrenza 1° ottobre 2014 - le sezioni staccate dei tribunali amministrativi regionali, ovvero le sezioni dei TAR con sede in comune non capoluogo di regione. Viene salvaguardata la sola sezione autonoma per la Provincia di Bolzano.

La disposizione sopprime, dunque, le seguenti sedi, lasciando operativo il tribunale amministrativo del capoluogo di regione:

·        Abruzzo: Pescara

·        Calabria: Reggio Calabria

·        Campania: Salerno

·        Emilia Romagna: Parma

·        Lazio: Latina

·        Lombardia: Brescia

·        Puglia: Lecce

·        Sicilia: Catania

 

La soppressione viene realizzata dal comma 2 attraverso l’immediata abrogazione del comma 3 dell’art. 1 della legge sui TAR (L. n. 1034 del 1971)[59] e la modifica del comma 5, relativo alla particolare struttura della giustizia amministrativa nella regione Lazio.

 

Per attuare questa soppressione di uffici giudiziari, l’art. 18 demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio, da emanare entro il 15 settembre 2014, sentito il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, l’individuazione di:

-        modalità di trasferimento del contenzioso pendente presso le sezioni soppresse;

-        modalità di trasferimento delle risorse umane e finanziarie.

Si osserva che, dovendosi sopprimere le sezioni distaccate il 1° ottobre 2014, sarebbe preferibile fissare il termine ultimo per l’emanazione del DPCM prima del 15 settembre così da consentire, effettivamente, il trasferimento del personale e degli affari pendenti.

Si rammenta che, quando si è recentemente provveduto alla soppressione delle sezioni distaccate dei tribunali ordinari, i tempi per l’attuazione della riforma, realizzata partendo da una legge delega e con il coinvolgimento del Parlamento nell’espressione dei pareri sui decreti attuativi, sono stati più ampi (praticamente due anni); la disposizione non chiarisce la sorte dei locali dismessi né affronta il tema – anche solo logistico - del riaccorpamento presso la sede centrale di magistrati e personale amministrativo.

 

 

Quanto alla disciplina transitoria, il decreto-legge dispone che sin dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, i nuovi ricorsi siano depositati presso la sede centrale del TAR, ovvero la sede del capoluogo di regione.

Si osserva che il decreto legge, al comma 2, sopprime sin d’ora le sezioni distaccate, abrogando il comma 3 dell’art. 1 della legge sui TAR. Conseguentemente, dall’entrata in vigore del DL, il deposito di un ricorso ad una sez. staccata di TAR dovrebbe essere escluso. Il DL stabilisce invece l’obbligo di depositare il ricorso al TAR del capoluogo a partire dall’entrata in vigore della legge di conversione.

 

Si sottolinea inoltre l’esigenza di operare la soppressione del riferimento alle sezioni staccate anche in ogni altra legge in vigore. Solo a titolo esemplificativo, si ricorda che numerosi riferimenti alle sezioni staccate sono contenuti nel Codice del processo amministrativo (d.lgs. 104 del 2010), il cui articolo 47 provvede, ad esempio, alla ripartizione delle controversie tra TAR e sezioni staccate.

 

 

 


 

Articolo 18, comma 3
(Soppressione del magistrato delle acque per le province venete
e di Mantova)

 

 

Il comma 3 dell’articolo 18 prevede la soppressione del magistrato delle acque per le province venete e di Mantova e il trasferimento delle sue funzioni al provveditorato alle opere pubbliche competente per territorio.

 

Il magistrato delle acque per le province venete e di Mantova è stato istituito dalla legge 5 maggio 1907, n. 257. Il primo comma dell’articolo 1 di tale legge ha previsto, infatti, l’istituzione di un Ufficio per le opere idrauliche delle province di Venezia, Padova, Treviso, Vicenza, Verona, Rovigo, Belluno, del Friuli, del bacino della provincia di Mantova alla sinistra del Po e del Mincio, del bacino della provincia di Trieste dall'argine sinistro dell'Isonzo al litorale fino a Porto Buso, della provincia di Trento (ad eccezione del piccolo bacino dell'Alto Chiese) nonché della parte della provincia di Brescia in cui ricade il bacino imbrifero del Garda. Il predetto ufficio è stato denominato magistrato alle acque con sede a Venezia secondo quanto stabilito dal secondo comma dell’articolo 1 della medesima legge.

La legge n. 257 del 1907 ha, altresì, disciplinato le funzioni del magistrato delle acque, con riguardo “al buon governo delle acque pubbliche, del sistema delle bonifiche e del regime dei porti, del lido del mare e dei fari” (art. 2), la nomina del Presidente del Magistrato alle Acque, che rappresenta il Ministero dei lavori pubblici dal quale dipende direttamente (art. 3), e le funzioni del Presidente del Magistrato alle acque, che tra l’altro presiede il Comitato tecnico di magistratura, che ha le funzioni ed attribuzioni della II sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici (art. 4).

Per informazioni sull’attività attualmente svolta dal Magistrato alle acque di Venezia si veda il sito http://www.magisacque.it/.

Il magistrato alle acque di Venezia rientra nell’organizzazione decentrata del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. I successivi provvedimenti di riorganizzazione del Ministero hanno, infatti, riguardato anche il Magistrato alle acque di Venezia (si veda tra l’altro l’art. 20 del D.P.R. n. 1534 del 30 giugno 1955, l’art. 9, comma 4, del D.P.R. n. 184 del 2004). Da ultimo, il comma 4 dell’articolo 7 del D.P.C.M. 11 febbraio 2014, n. 72, che reca il regolamento di organizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, prevede che il Provveditore per le opere pubbliche per il Veneto, il Trentino-Alto Adige ed il Friuli-Venezia Giulia svolge le funzioni di Presidente del Magistrato alle acque di Venezia in materia di salvaguardia di Venezia e della sua laguna con i relativi interventi, nonché le residuali attività di competenza statale in materia di demanio idrico ed opere idrauliche.

Si segnala inoltre che Il Presidente del magistrato alle acque di Venezia è segretario del Comitato cui è demandato l'indirizzo, il coordinamento ed il controllo per l'attuazione degli interventi per la salvaguardia della laguna di Venezia previsti dalla legge n. 798 del 1984.

Nell’ambito degli interventi per la salvaguardia della laguna di Venezia il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - Magistrato alle Acque di Venezia (MAV) è il soggetto concedente per la realizzazione dei piani di salvaguardia della Laguna di Venezia, tra i quali rientra anche il Sistema Mo.S.E. (si veda in proposito la scheda dell’8 Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” con dati al 31 ottobre 2013). Con la delibera n. 67 del 2013 del CIPE si prevede, tra l’altro, che il Magistrato alle acque di Venezia fornisca una relazione sullo stato di fatto e tenga informata la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Venezia e laguna sullo sviluppo delle progettazioni delle opere di inserimento architettonico e paesaggistico delle strutture relative alle opere di spalla alle bocche di porto. Nella medesima delibera si prevede, inoltre, che entro 30 giorni dalla pubblicazione della medesima delibera il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti trasmetta al CIPE l’Atto contrattuale modificativo del 43° Atto Attuativo alla convenzione generale 4 ottobre 1991, rep. n. 7191, stipulata tra il Magistrato alle acque di Venezia e il Consorzio Venezia Nuova.

 

 

 

 

 


 

Articolo 18, comma 4
(Cabina di regia dell’Agenda digitale italiana)

 

 

Il comma 4 dell’articolo 18 modifica l’organizzazione del Tavolo permanente per l’attuazione dell’Agenda digitale italiana, prevedendo che il suo presidente sia individuato dal Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, mentre il testo previgente individuava il presidente nel Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale, posto a capo di una specifica struttura di missione; l’incarico di Commissario e la struttura di missione vengono così soppressi.

 

In tal senso si interviene con una modifica dell’articolo 47, comma 2, del decreto-legge n. 5/2012, nel testo da ultimo introdotto dall’articolo 13 del decreto-legge n. 69/2013.

 

La disposizione fa in particolare riferimento al terzo periodo del comma 2 del citato articolo 47; tuttavia il testo oggetto della modifica si trova al quarto periodo.

 

La norma prevedeva, come struttura di governance dell’Agenda digitale italiana, a fianco della cabina di regia presieduta dal ministro delegato (attualmente il ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione) e composta dai ministri interessati (in particolare Sviluppo economico, Istruzione, Università e ricerca, Salute, Politiche agricole, Economia e finanze) e da un presidente di regione e un sindaco designati dalla Conferenza Unificata, un Tavolo permanente come organismo consultivo, da istituire con DPCM (il DPCM non risulta però ancora emanato).

Tale Tavolo era presieduto dal Commissario straordinario per l’attuazione dell’agenda digitale individuato, come risulta dal comunicato della riunione del Consiglio dei ministri del 15 giugno 2013, nell’ing. Francesco Caio, posto a capo di un’apposita struttura di missione (istituita con il DPCM 10 luglio 2013).

Il 30 gennaio 2014 il Commissario straordinario ha concluso il suo mandato con la pubblicazione del rapporto "Raggiungere gli obiettivi Europei 2020 della banda larga in Italia: prospettive e sfide".

Il Rapporto contiene un'analisi dei piani di investimento dei gestori italiani di telecomunicazioni. Per quanto riguarda l'obiettivo, stabilito dall’agenda digitale europea[60], della copertura a 30Mbps (Megabit per secondo) per il 100% della popolazione entro il 2020, le prime stime indicano una copertura raggiungibile in tale data del 70% con piani di dettaglio che arrivano al più fino al 2016-2017 con coperture al 50%. Si ritiene che il raggiungimento completo degli obiettivi UE richieda ulteriori azioni complesse di tipo finanziario e di coordinamento tra i soggetti in campo, con un forte impegno e monitoraggio della Presidenza del Consiglio.

 

Per l’attuazione dell’agenda digitale italiana, in coerenza con gli indirizzi elaborati dalla cabina di regia, il decreto-legge n. 83/2012 ha istituito l’Agenzia per l’Italia digitale. L’Agenzia è in particolare chiamata ad occuparsi dello sviluppo delle reti di nuova generazione e dell'interoperabilità tra i sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni e tra questi e quelli dell'Unione europea. In questo quadro, l’Agenzia dovrà monitorare l'attuazione dei piani di TIC (tecnologie delle informazione e delle comunicazioni) delle pubbliche amministrazioni, promuovendone annualmente di nuovi, in linea con l’Agenda digitale europea. Essa assorbe anche le funzioni dei preesistenti organismi DigitPA e Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione. Lo statuto dell’Agenzia per l’Italia digitale è stato approvato con il DPCM 8 gennaio 2014, pubblicato nella “Gazzetta Ufficiale – Serie generale” n. 37 del 14 febbraio 2014. Il direttore dell’Agenzia per l’Italia digitale, Agostino Ragosa, ha rassegnato le sue dimissioni il 3 giugno 2014 ed è in corso la procedura di nomina del nuovo direttore dell’Agenzia, sulla base dell’articolo 21, comma 2, del decreto-legge n. 83/2012. Tale disposizione prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri, o, laddove designato (come attualmente è) il ministro delegato (e cioè attualmente il ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione), nomina il direttore generale dell'Agenzia, tramite procedura di selezione ad evidenza pubblica, tra persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di innovazione tecnologica e in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di processi di innovazione. A tal fine il 6 giugno 2014 è apparso sul sito del Dipartimento della funzione pubblica l’avviso pubblico per la nomina del direttore. Alla scadenza del 15 giugno 2014 sono state inviate ai fini della selezione 155 candidature.

 

 

 


 

Articolo 19
(Soppressione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e ridefinizione delle funzioni dell’Autorità nazionale anticorruzione)

 

 

L’articolo 19 prevede la soppressione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP) e il trasferimento dei compiti e delle funzioni dell’AVCP all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC). Sono, altresì, ridefinite le attribuzioni spettanti all’ANAC e trasferite al Dipartimento della funzione pubblica le funzioni, attualmente svolte dall’ANAC, in materia di misurazione e valutazione della performance.

 

La soppressione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici e il trasferimento delle funzioni all’Autorità nazionale anticorruzione (commi 1-4 e 8).

Il comma 1 prevede la soppressione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, d’ora in avanti Codice), e la decadenza dei relativi organi a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto.

 

Per una disamina dei poteri, delle funzioni e degli organi dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, si rinvia agli elementi di informazione riportati in calce alla presente scheda.

 

Il comma 2 dispone il trasferimento dei compiti e delle funzioni dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.

A tal fine, il comma 3 prevede che il Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione presenti al Presidente del Consiglio dei ministri, entro il 31 dicembre 2014, un piano per il riordino della stessa Autorità in cui si prevede:

- il trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali, necessarie per lo svolgimento delle funzioni dell’AVCP attribuite dal comma 2 (lettera a);

- la riduzione non inferiore al venti per cento del trattamento economico accessorio del personale dipendente, inclusi i dirigenti (lettera b);

Si ricorda che analoga disposizione è contenuta, in relazione ad una serie di Autorità amministrative e indipendenti, all’articolo 22, comma 5, alla cui scheda si rimanda.

 

- la riduzione delle spese di funzionamento in misura non inferiore al venti per cento (lettera c).

 

Il comma 4 prevede che il piano per il riordino dell’Autorità nazionale anticorruzione, che deve essere presentato entro il 31 dicembre 2014, divenga efficace a seguito dell’approvazione con D.P.C.M.

 

Il comma 8 prevede che, nelle more dell’approvazione del piano di riordino, il Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione provveda allo svolgimento dei compiti dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici attribuiti dal comma 2 e degli ulteriori compiti assegnati dal comma 5 (su cui, v. infra) con le risorse umane, strumentali e finanziarie della soppressa Autorità.

 

Nel box di seguito, sono sintetizzati i principali aspetti dell’ordinamento e dell’organizzazione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, soppressa dalle disposizioni in esame.

 


L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici

 

Composizione e durata

L’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici è stata istituita dall'articolo 4 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, con funzioni di vigilanza sugli appalti di lavori, compresi quelli d'interesse regionale.

L’articolo 6 del Codice dei contratti pubblici ha esteso i poteri delI’Autorità anche al settore delle forniture e dei servizi, nonché ai settori speciali. Per tale ragione l’Autorità ha assunto la denominazione di Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

L'Autorità è un organo collegiale costituito originariamente da sette membri, poi ridotto a tre membri, (articolo 23, comma 1, lett. b), del D.L. 201/2011), nominati con determinazione, adottata d'intesa dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, e scelti tra personalità che operano in settori tecnici, economici e giuridici con riconosciuta professionalità per una durata di sette anni.

L'Autorità sceglie il Presidente tra i propri componenti e stabilisce le norme sul proprio funzionamento (comma 2).

 

Compiti

L’articolo 6, comma 7, del Codice prevede che l’Autorità, oltre a svolgere i compiti espressamente previsti da altre norme:

- vigila sull'osservanza della disciplina legislativa e regolamentare vigente, verificando, anche con indagini campionarie, la regolarità delle procedure di affidamento;

- vigila sui contratti di lavori, servizi, forniture, esclusi in tutto o in parte dall'ambito di applicazione del Codice;

- vigila affinché sia assicurata l'economicità di esecuzione dei contratti pubblici ed accerta che dall'esecuzione dei contratti non sia derivato pregiudizio per il pubblico erario;

- segnala al Governo e al Parlamento, con apposita comunicazione, fenomeni particolarmente gravi di inosservanza o di applicazione distorta della normativa sui contratti pubblici;

- formula al Governo proposte in ordine alle modifiche occorrenti in relazione alla legislazione che disciplina i contratti pubblici di lavori, servizi, forniture;

- formula al Ministro delle infrastrutture proposte per la revisione del Regolamento di attuazione del Codice dei contratti;

- predispone e invia al Governo e al Parlamento una relazione annuale nella quale si evidenziano le disfunzioni riscontrate nel settore dei contratti pubblici;

- esercita i poteri sanzionatori ad essa attribuiti;

- vigila sul sistema di qualificazione; nell'esercizio di tale vigilanza l'Autorità può annullare, in caso di constatata inerzia degli organismi di attestazione, le attestazioni rilasciate in difetto dei presupposti stabiliti dalle norme vigenti, nonché sospendere, in via cautelare, dette attestazioni;

- su iniziativa della stazione appaltante e di una o più delle altre parti, esprime parere non vincolante relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, eventualmente formulando una ipotesi di soluzione;

- svolge i compiti previsti dall'articolo 1, comma 67, legge 23 dicembre 2005, n. 266, per cui, in particolare, l’Autorità determina l'ammontare delle contribuzioni ad essa dovute dai soggetti, pubblici e privati, sottoposti alla sua vigilanza.

 

Per quanto riguarda i compiti svolti dall’Autorità, le determinazioni e le deliberazioni dell’Autorità rientrano nell’ambito della funzione regolatoria del sistema che disciplina gli appalti pubblici nel cui ambito rientra anche l’attività di approvazione dei modelli dei bandi-tipo, previo parere del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e sentite le categorie professionali interessate, che sono predisposti dalle stazioni appaltanti.

Nell’ambito della funzione amministrativa rileva principalmente la vigilanza sul sistema di qualificazione delle imprese ad opera delle società organismo di attestazione (SOA).

Quanto alle funzioni ispettive e sanzionatorie a carico dell’Autorità, in particolare, il comma 9 dell’articolo 6 attribuisce il potere di richiedere alle stazioni appaltanti, agli operatori economici esecutori dei contratti, alle SOA e ad ogni altra amministrazione, ente o soggetto coinvolto, documenti, informazioni e chiarimenti sul contratto interessato, disporre ispezioni, perizie e avvalersi del Corpo della Guardia di Finanza.

In merito alla funzione sanzionatoria, l’Autorità ai sensi del comma 11 dell’articolo 6 del Codice, nei Iimiti ivi previsti, irroga sanzioni pecuniarie per la violazione di obblighi concernenti, in particolare, l’obbligo di comprovare il possesso dei requisiti di partecipazione alla procedura di affidamento.

Rientra, infine, nell’attività dell’Autorità l’espressione di pareri di precontenzioso, di carattere non vincolante, resi su istanza delle stazioni appaltanti e degli operatori economici che intervengono nelle procedure di gara, al fine di comporre conflitti mediante la formulazione di una ipotesi di soluzione.

Per disciplinare gli ambiti d’intervento, l’Autorità ha emanato il Provvedimento del 13 febbraio 2014 recante il Regolamento sul procedimento per la soluzione delle controversie.

 

Indipendenza dell’Autorità e sua organizzazione

L’articolo 6, comma 4, del Codice stabilisce che l’Autorità è connotata da indipendenza funzionale, di giudizio e di valutazione e da autonomia organizzativa. Conseguentemente l’articolo 8, comma 2, del Codice prevede che l'Autorità, nell'ambito della sua autonomia organizzativa, disciplina con uno o più regolamenti la propria organizzazione e il proprio funzionamento, i bilanci, i rendiconti e la gestione delle spese nei limiti delle proprie risorse, anche in deroga alle disposizioni sulla contabilità generale dello Stato, l'accesso ai documenti amministrativi, le modalità di esercizio della vigilanza e i procedimenti sanzionatori di sua competenza.

L’articolo 8, commi 3 e 4, delimita gli ambiti dei due regolamenti che l’Autorità può emanare per l’esercizio della vigilanza e dei procedimenti sanzionatori.

Per il regolamento in materia di vigilanza e accertamenti ispettivi di competenza, è stato da ultimo emanato il Provvedimento del 4 agosto 2011, mentre per il regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio è stato emanato il Provvedimento del 26 febbraio 2014.

Un aspetto essenziale dell’organizzazione dell’Autorità è quello riguardante il finanziamento per lo svolgimento delle attività come disciplinato dall’articolo 8, comma 12, del Codice. Con l’entrata in vigore della legge finanziaria 2006 (legge n. 266 del 2005, articolo 1, commi 65 e 67) è stato introdotto un nuovo sistema, che dispone che l'Autorità, ai fini della copertura dei costi relativi al proprio funzionamento, determina annualmente l'ammontare delle contribuzioni ad essa dovute dai soggetti, pubblici e privati, sottoposti alla sua vigilanza, nonché le relative modalità di riscossione, mediante ricorso al mercato di competenza nel rispetto comunque del limite massimo dello 0,4 per cento del valore complessivo del mercato stesso. L’ultima delibera di attuazione è del 5 marzo 2014.

L’articolo 8, comma 11, prevede inoltre che la gestione finanziaria si svolge in base al bilancio di previsione approvato dall'Autorità entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello cui il bilancio si riferisce (sono stati approvati il bilancio preventivo 2014 e il rendiconto 2013).

 

L’organizzazione del personale

Come previsto dall’articolo 8, comma 6, la nuova definizione della pianta organica dell'Autorità è stata definita con il D.P.C.M. 23 luglio 2007. Complessivamente, il personale che costituisce l’organico dell’Autorità al 31 marzo 2014 risulta pari a 336 dipendenti.

 

Le banche dati

L'articolo 62-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell'amministrazione digitale), ha previsto l’istituzione, presso l’Autorità, della Banca dati nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP) a cui sono connessi i sistemi di verifica dei requisiti di gara (AVCpass) e dell’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti (AUSA).

L’articolo 6-bis del Codice stabilisce che, al fine di semplificare le procedure amministrative, la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario per la partecipazione alle procedure disciplinate dal medesimo Codice deve essere acquisita esclusivamente attraverso la Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP).

L’art. 6-bis del Codice stabilisce anche che nella BDNCP confluiscono i dati previsti dall'articolo 7 del Codice, ovvero tutti i dati che le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori sono tenuti a comunicare all'Osservatorio dei contratti pubblici.

Al fine di agevolare gli operatori del settore, l’Autorità ha elaborato e predisposto un sistema per la verifica on line dei requisiti per la partecipazione alle procedure di affidamento c.d. “AVCPass” (Authority Virtual Company Passport), disciplinato dalla delibera n. 111 del 20 dicembre 2012, attuativa dell’art. 6-bis del D.Lgs. 163/2006.

La decorrenza riguardante l’obbligatorietà del sistema di verifica dei requisiti, prevista dal comma 1 dell’articolo 6-bis del Codice, fissata inizialmente al 1° gennaio 2013, è stata differita dall’art. 9, comma 15-ter, del D.L. 150/2013, al 1° luglio 2014.

 

L’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti (AUSA) è stata invece prevista dall’articolo 33-ter del decreto legge n. 179/2012 che dispone l’obbligo a carico delle Stazioni Appaltanti non solo di iscrizione all’Anagrafe Unica, ma anche l’aggiornamento annuale dei propri dati identificativi.

Nell’ambito dell’AUSA l’articolo 9 del D.L. 66/2014, ha previsto, da ultimo, l’istituzione dell'elenco dei soggetti aggregatori di cui fanno parte Consip S.p.A. e di una centrale di committenza per ciascuna regione.

 

 

Le funzioni nell’ambito dell’Expo 2015 (comma 7)

Il comma 7 assegna al Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione il compito di formulare proposte al Commissario unico delegato del Governo per l’Expo Milano 2015 ed alla società Expo 2015 per la corretta gestione delle procedure di appalto per la realizzazione dell’evento Expo 2015.

 

L’art. 5 del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, ha previsto l’istituzione della figura di un Commissario unico delegato del Governo per Expo 2015, che è stato nominato. Con il D.P.C.M. 6 maggio 2013 Giuseppe Sala è stato nominato Commissario unico fino al 31 dicembre 2016.

Il D.P.C.M. 22 ottobre 2008, recante interventi necessari per la realizzazione dell’Expo Milano 2015, ha istituito gli organi – tra i quali la Società di gestione Expo Milano 2015 S.p.A. (Soge) - che provvedono a porre in essere tutti gli interventi necessari per la realizzazione dell'Expo, vale a dire le opere essenziali e le attività di organizzazione e di gestione dell'evento, nonché le opere connesse.

 

Si segnala che l’articolo 30 (alla cui scheda di commento si rinvia) attribuisce al Presidente dell’ANAC una serie di compiti di alta sorveglianza al fine di garantire la correttezza e la trasparenza delle procedure connesse alla realizzazione delle opere dell’EXPO 2015. Per tali finalità, nello svolgimento delle attività di verifica della legittimità degli atti relativi all’affidamento e all’esecuzione dei contratti e di ispezione e di accesso alle banche dati, si prevede che il Presidente dell’ANAC si avvalga di una apposita unità operativa speciale.

 

Attribuzione all’ANAC di ulteriori funzioni in materia di anticorruzione (commi 5-6)

Il comma 5 attribuisce inoltre all’ANAC:

-        il compito di ricevere notizie e segnalazioni di illeciti, anche nelle forme di cui all’art. 54-bis del d.lgs. 165/2001, che disciplina l’ipotesi in cui il pubblico dipendente denuncia all'autorità giudiziaria o alla Corte dei conti (ora anche all’ANAC) o riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro. Ai sensi dell’art. 54-bis, Il dipendente non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia;

 

L'articolo 31 del decreto-legge reca le conseguenti modifiche, in termini di novella,  all'articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001, al fine di estendere la possibilità di denunciare i predetti illeciti, oltre all'autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, anche all'ANAC.

 

-        il potere di applicare, nei confronti dei soggetti obbligati, sanzioni amministrative, i cui proventi possono essere utilizzati dall'Autorità per le proprie attività istituzionali, nel caso in cui le pubbliche amministrazioni non provvedano ad adottare il Piano triennale di prevenzione della corruzione, il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità di cui all'articolo 10 del decreto legislativo n. 33 del 2013 o il codice di comportamento ai sensi dell'articolo 54 del decreto legislativo n. 165 del 2001.

 

Il Piano triennale di prevenzione della corruzione è adottato, ai sensi della legge 190/2012, dall'organo di indirizzo politico, su proposta del responsabile della prevenzione della corruzione, entro il 31 gennaio di ogni anno.

Il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità è adottato, in base all'articolo 10 del decreto legislativo n. 33 del 2013, da ciascuna amministrazione, sentite le associazioni rappresentate nel Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti. Il Programma, da aggiornare annualmente, indica le iniziative previste per garantire, in particolare, un adeguato livello di trasparenza nonchè la legalità e lo sviluppo della cultura dell'integrità. Tale programma definisce le misure, i modi e le iniziative volti all'attuazione degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, e le relative misure sono collegate, sotto l'indirizzo del responsabile, con le misure e gli interventi previsti dal Piano di prevenzione della corruzione

In base all’art. 54 del d. lgs. 165/2001 il Governo definisce un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico. A sua volta, ciascuna pubblica amministrazione definisce, con procedura aperta alla partecipazione e previo parere obbligatorio del proprio organismo indipendente di valutazione, un proprio codice di comportamento che integra e specifica il codice di comportamento definito dal Governo, sulla base delle linee guida date dalla CIVIT (ora denominata ANAC).

 

Trasferimento delle funzioni in materia di misurazione e valutazione della performance dall’ANAC al Dipartimento della funzione pubblica

Il disegno organizzativo concernente la nuova ANAC si completa con il trasferimento al Dipartimento della funzione pubblica delle funzioni, attualmente attribuite dall’ANAC, in materia di misurazione e valutazione della performance, previsto dal comma 9 dell’articolo in commento, al fine di concentrare la missione istituzionale dell’ANAC sui compiti in materia relativi alla garanzia della trasparenza e alla prevenzione della corruzione nelle pubbliche amministrazioni.

 

Si ricorda che per l’esercizio di tali funzioni la CIVIT (poi divenuta ANAC) era stata originariamente istituita ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 150/2009[61]. Nel corso della attuale legislatura, già il D.L. 101/2013 (conv. da L. 133/2013) conteneva una disposizione, all’articolo 5, comma 1, che con la medesima finalità trasferiva le citate funzioni all’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN). Tuttavia, la disposizione è stata soppressa nel corso dell’esame parlamentare del provvedimento per la conversione.

 

Le funzioni trasferite sono individuate in dettaglio mediante rinvio agli artt. 7, 10, 12, 13 e 14 del D.Lgs. n. 150 del 2009. Il Dipartimento della funzione pubblica entra nella titolarità di tali funzioni a decorrere dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame.

 

Ai sensi delle disposizioni richiamate, l’ANAC è dotata di poteri di indirizzo, monitoraggio e controllo dell’operato delle amministrazioni nei settori della valutazione e della trasparenza. Tra questi, in particolare, la Commissione:

a) definisce i parametri e i modelli di riferimento del Sistema di misurazione e valutazione della performance mediante il quale le amministrazioni pubbliche valutano annualmente la performance organizzativa e individuale, nonché definisce la struttura e le modalità di redazione del Piano della performance e della Relazione sulla performance;

b) definisce i requisiti dei componenti degli organismi indipendenti di valutazione della performance, che hanno sostituito all’interno delle amministrazioni i servizi di controllo interno; inoltre, indirizza, coordina e sovrintende all’esercizio delle funzioni di valutazioni da parte dei citati organismi;

d) fornisce supporto tecnico e metodologico all’attuazione delle varie fasi del ciclo di gestione della performance;

e) verifica la corretta redazione Piano della performance e della Relazione sulla performance da parte delle amministrazioni centrali e analizza quelle degli enti territoriali secondo un meccanismo a campione, formulando osservazioni e specifici rilievi;

f) redige la graduatoria di perfomance delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, che deve essere fornita, entro il 31 maggio di ogni anno, all'Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) ai fini della ripartizione delle risorse della contrattazione decentrata;

g) predispone una relazione annuale sulla performance delle amministrazioni centrali e ne garantisce la diffusione.

 

Ai sensi del successivo comma 11, per lo svolgimento delle nuove funzioni il Dipartimento della funzione pubblica può avvalersi di personale in posizione di fuori ruolo o di comando ai sensi dell’art. 17, co. 14, della L. 127/1997.

 

In base all’art. 17, co. 14, della L. 127/1997, nel caso in cui disposizioni di legge o regolamentari dispongano l'utilizzazione presso le amministrazioni pubbliche di un contingente di personale in posizione di fuori ruolo o di comando, le amministrazioni di appartenenza sono tenute ad adottare il provvedimento di fuori ruolo o di comando entro quindici giorni dalla richiesta.

 

Oltre alla diversa imputazione delle funzioni, l’articolo in esame autorizza il Governo ad adottare un regolamento di delegificazione ex art. 17, co. 2, L. 400/1988 per riordinare le funzioni in materia di misurazione e valutazione della performance (comma 10).

Il regolamento deve essere emanato entro centottanta giorni dall’entrata in vigore del decreto in esame. Le norme regolatrici della materia vengono individuate in:

a)     semplificazione degli adempimenti a carico delle p.a.;

b) progressiva integrazione del ciclo della performance con la programmazione finanziaria;

c)     raccordo con il sistema dei controlli interni;

d)     validazione esterna dei sistemi e risultati;

e)     conseguente revisione della disciplina degli organismi indipendenti di valutazione.

Si ricorda che l’art. 14 del D.lgs. 150/2009 ha previsto l’istituzione in ogni amministrazione di un Organismo indipendente di valutazione della performance (OIV), che svolge le attività inerenti alla misurazione e alla valutazione della performance, garantendo dall’interno la definizione e l’implementazione dei sistemi di valutazione, nel rispetto dei modelli definiti dalla Commissione. Trattasi di organo monocratico, ovvero collegiale di tre componenti, nominati per tre anni (rinnovabili per una sola volta) dall’organo di indirizzo politico-amministrativo tra soggetti di elevata professionalità ed esperienza, maturata nel management, nella valutazione della performance e quella del personale delle amministrazioni pubbliche.

 

Inoltre, si ricorda che gli articoli 18 e 19 del D.Lgs. 150/2009 contengono disposizioni volte al miglioramento delle prestazioni organizzativa ed individuale nelle amministrazioni pubbliche, anche attraverso l’utilizzo di sistemi premianti selettivi e valorizzando i dipendenti che conseguano le migliori performance attraverso l'attribuzione selettiva di incentivi sia economici sia di carriera, vietando, al contempo, la distribuzione indifferenziata o sulla base di automatismi di incentivi e premi collegati alla performance in assenza di opportune verifiche. In particolare, l’articolo 19 del D.Lgs. 150/2009 ha strutturato il riconoscimento dei premi in base a specifiche graduatorie nelle quali il personale sia distribuito in differenti livelli di performance in modo che: il 25% del personale venga collocato nella fascia di merito alta (alla quale corrisponde l'attribuzione del 50% delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale); il 50% è collocato nella fascia di merito intermedia (con attribuzione del 50% delle risorse legate alla performance); il restante 25% è collocato nella fascia di merito bassa (senza alcuna attribuzione di trattamento accessorio). Tale differenziazione si applica (articolo 6 del D.Lgs. 141/2011) a partire dalla tornata di contrattazione collettiva successiva a quella relativa al quadriennio 2006-2009.

Successivamente, l’articolo 5, commi da 11 a 11-sexies del D.L. 95/2012, ha disposto una disciplina transitoria sulla valutazione del dipendenti pubblici, nelle more dei rinnovi contrattuali ai fini dell’erogazione dei premi legati alla prestazione lavorativa sulla base della mancata applicazione delle disposizioni del D.Lgs. 150/2009 in precedenza richiamate. In particolare, il personale dirigenziale viene valutato su una serie di criteri da raggiungere (raggiungimento degli obiettivi assegnati e dei comportamenti organizzativi posti in essere); inoltre spetta al dirigente valutare la performance dei dipendenti in relazione al raggiungimento di specifici obiettivi di gruppo o individuali o al contributo assicurato alla performance dell'unità organizzativa di appartenenza e ai comportamenti organizzativi dimostrati. Infine ai dipendenti ed ai dirigenti (per questi ultimi in relazione alla retribuzione di risultato) più meritevoli in esito alla valutazione effettuata, viene attribuito, secondo specifiche modalità, un trattamento accessorio maggiorato di un importo compreso tra il 10 e il 30% del trattamento accessorio medio attribuito ai dipendenti appartenenti alle stesse categorie.

 

Il comma 10 demanda ad un regolamento di delegificazione il riordino delle funzioni di misurazione e valutazione della performance senza individuare le norme di rango primario da ritenersi abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento stesso e indicando con una formulazione ampia le “norme generali regolatrici della materia”.

 

Si segnala in proposito che la sentenza della Corte costituzionale n. 149 del 2012, in un obiter dictum, lasca impregiudicata la possibilità di pronunciarsi sulla “correttezza della prassi di autorizzare l’emanazione di regolamenti di delegificazione tramite decreto-legge”, nonché “ogni valutazione sulle procedure di delegificazione non conformi al modello previsto dall’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, quale è quella prevista dalla disposizione impugnata, che non determina «le norme generali regolatrici della materia», né indica espressamente le norme di rango primario da ritenersi abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore dei regolamenti di delegificazione”.

 

Completa il riordino, il comma 14, che prevede la soppressione del Comitato tecnico-scientifico per il controllo strategico nelle amministrazioni dello Stato.

Tale Comitato è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi dell'articolo 7 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, per il coordinamento in materia di valutazione e controllo strategico nelle amministrazioni dello Stato. Successivamente, è stato riordinato con D.P.R. 12 dicembre 2006, n. 315, che ha previsto che il Comitato fosse composto da un Presidente e da tre membri. aveva previsto una durata di tre anni del Comitato, il quale è stato successivamente prorogato per un periodo non superiore a due anni dall’art. 1 del D.P.C.M. 3 agosto 2011. Da agosto 2013, il Comitato non è stato ulteriormente rinnovato.

 

Il Comitato tecnico scientifico è collocato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento programma di Governo e svolge la propria attività avvalendosi del supporto tecnico del predetto Dipartimento. I componenti del Comitato sono scelti tra professori universitari, magistrati amministrativi, contabili ed ordinari, avvocati dello Stato, funzionari parlamentari, avvocati del libero foro con almeno quindici anni di iscrizione nell'albo professionale, dirigenti di prima fascia dello Stato e dirigenti delle pubbliche amministrazioni di livello equivalente in base ai rispettivi ordinamenti o tra esperti di chiara fama, anche stranieri, nelle materie oggetto delle attività del Comitato.

Ai fini del coordinamento delle attività di competenza delle amministrazioni dello Stato in materia di valutazione e controllo strategico di cui all’art. 6 del d.lgs 286/1999[62], il Comitato:

- svolge attività di supporto al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro da lui delegato, al fine di assicurare la coerenza tra il programma di Governo e la pianificazione strategica dei Ministeri;

- promuove l'utilizzo di metodologie e strumenti comuni per la pianificazione strategica delle amministrazioni dello Stato, la circolazione di informazioni e documenti, il confronto di buone prassi, l'accumulo e la diffusione di conoscenze, anche con riferimento alle esperienze di altri Paesi;

- elabora metodologie e strumenti per assicurare e migliorare il collegamento fra gli obiettivi strategici e l'allocazione e l'uso delle risorse nelle amministrazioni dello Stato;

- elabora proposte per la progressiva integrazione tra il processo di formazione del bilancio ed il processo di pianificazione strategica delle amministrazioni dello Stato;

- formula, anche su richiesta del Presidente del Consiglio dei Ministri, valutazioni specifiche di politiche pubbliche o programmi operativi plurisettoriali.

La legge finanziaria per il 2008 (art. 3, co. 68 e 69, L. 244/2007) ha inoltre attribuito al Comitato il compito di elaborare annualmente le linee guida per lo svolgimento dell’attività istruttoria dei ministeri ai fini della trasmissione al Parlamento, entro il 15 giugno di ogni anno, della relazione sullo stato della spesa, sull’efficacia nell’allocazione delle risorse nelle amministrazioni di rispettiva competenza e sul grado di efficienza dell’azione amministrativa svolta.

 

Il comma 14 sopprime il Comitato di cui al regolamento adottato con D.P.R. 315/2006 senza provvedere all’abrogazione di tale regolamento, recante riordino del Comitato. Inoltre, non si dispone nulla in ordine alle funzioni svolte dal Comitato e alla loro eventuale riattribuzione ad altro soggetto o amministrazione.

Riordino di ulteriori funzioni dell’ANAC

I commi 12 e 13 abrogano alcune disposizioni relative alle funzioni dell’ANAC in materia di qualità dei servizi pubblici.

 

Già il D.L. 101/2013 (conv. da L. 125/2013), nel testo originario, conteneva una disposizione, all’articolo 5, comma 4, che trasferiva le funzioni in materia di qualità dei servizi pubblici dall’ANAC al Dipartimento della funzione pubblica. Tuttavia, la disposizione è stata soppressa nel corso dell’esame parlamentare del provvedimento per la conversione.

 

A tal fine, l’articolo in esame, al comma 12 abroga l’art. 13, co. 7, D.Lgs. 150/2013, che attribuisce all’ANAC il coordinamento, il supporto operativo e il monitoraggio delle attività relative alla qualità dei servizi pubblici di cui al comma 2 dell’art. 7 del D.lgs. 286/1999, che viene a sua volta abrogato dal successivo comma 13.

 

A sua volta, l’articolo 7, co. 2, del D.Lgs. 286/1999, come modificato dall’art. 28 del D.Lgs. 150/2009, attribuiva alla CIVIT (poi ANAC) un potere di proposta al Presidente del Consiglio dei ministri ai fini della emanazione delle direttive sugli standard qualitativi dei servizi pubblici. Tali direttive stabiliscono le modalità di definizione, adozione e pubblicizzazione degli standard di qualità, i casi e le modalità di adozione delle carte dei servizi, i criteri di misurazione della qualità dei servizi, le condizioni di tutela degli utenti, nonché i casi e le modalità di indennizzo automatico e forfettario all'utenza per mancato rispetto degli standard di qualità. La stessa disposizione, per quanto riguarda i servizi erogati direttamente o indirettamente dalle regioni e dagli enti locali, rinvia ad atti di indirizzo e coordinamento adottati d'intesa con la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sempre su proposta della Autorità.

 

Si valuti l’opportunità, all’esito delle modifiche introdotte con riferimento alle competenze che riguardano la qualità dei servizi pubblici, di abrogare anche la disposizione di cui all’articolo 13, co. 6, lett. f), del D.Lgs. 150/2009, che attribuisce alla CIVIT (poi trasformata in ANAC) il compito di adottare le linee guida per la definizione degli Strumenti per la qualità dei servizi pubblici.

 

Il riordino delle competenze dell’ANAC si completa con la disposizione di cui al comma 15, in base alla quale sono trasferite alla stessa Autorità le funzioni spettanti al Dipartimento della funzione pubblica in base alla normativa vigente in materia di prevenzione della corruzione.

 

Per individuare le funzioni trasferite, la norma fa riferimento all’articolo 1 della c.d. legge anticorruzione (L. 190/2012), ai sensi del quale il Dipartimento della funzione pubblica:

a)     predispone il Piano nazionale anticorruzione;

b)     coordina l'attuazione delle strategie di prevenzione e contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione elaborate a livello nazionale e internazionale;

c)     promuove e definisce norme e metodologie comuni per la prevenzione della corruzione, coerenti con gli indirizzi, i programmi e i progetti internazionali;

d)     definisce modelli standard delle informazioni e dei dati occorrenti per il conseguimento degli obiettivi previsti dalla presente legge, secondo modalità che consentano la loro gestione ed analisi informatizzata;

e)     definisce criteri per assicurare la rotazione dei dirigenti nei settori particolarmente esposti alla corruzione e misure per evitare sovrapposizioni di funzioni e cumuli di incarichi nominativi in capo ai dirigenti pubblici, anche esterni.

 

Si segnala che l’articolo 19, nel procedere al riordino delle funzioni attribuite all’Autorità nazionale anticorruzione, interviene sulle norme vigenti prevalentemente senza modificare testualmente i provvedimenti che disciplinano tali funzioni. Pertanto, sarebbe opportuno coordinare le nuove disposizioni con la normativa vigente, anche mediante l’utilizzo della tecnica della novella.

 

Conclude l’articolo in esame, il comma 16, ai sensi del quale dall’applicazione delle disposizioni ivi previste non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

 


 

Articolo 20
(FORMEZ PA)

 

 

L’articolo 20 prevede che il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione proponga all’assemblea dell’Associazione FORMEZ PA - entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame – lo scioglimento dell’Associazione e la nomina di un Commissario straordinario.

A decorrere dalla data di nomina del Commissario straordinario, decadono gli organi attualmente in carica, ad eccezione dell’Assemblea e del collegio dei revisori. Gli organi che decadono sono dunque il Presidente, il Consiglio di amministrazione, il Direttore generale ed il Comitato di indirizzo (cfr. art. 3, D.Lgs. 6/2010).

Compito del Commissario è di assicurare la continuità nella gestione delle attività dell’Associazione nonché la prosecuzione dei progetti in corso.

Il Commissario ha inoltre l’obbligo di proporre al richiamato Ministro, entro il 31 ottobre 2014, un piano delle politiche dello sviluppo delle amministrazioni dello Stato e degli enti territoriali, che salvaguardi i livelli occupazionali del personale in servizio nonché gli equilibri finanziari dell’Associazione. Lo stesso piano deve altresì individuare eventuali nuove forme per il perseguimento delle politiche individuate in precedenza. Il piano è presentato all’assemblea dal richiamato Ministro ai fini delle determinazioni conseguenti.

 

Secondo la relazione illustrativa, il procedimento individuato nell’articolo in esame, con il coinvolgimento dell’Assemblea, consente di contemperare l’urgenza del riordino (anche nell’ottica del risparmio) e la garanzia per le amministrazioni territoriali per le quali l’Associazione rappresenta organismo in house, conservando il rapporto di controllo analogo tra le amministrazioni stesse e l’Associazione.

 

Il Centro di formazione studi (FORMEZ) è un'associazione con personalità giuridica partecipata dallo Stato attraverso la Funzione Pubblica. Nato nel 1965 con lo scopo di affiancare alle opere pubbliche e alla creazione della grande impresa un intervento basato sulla formazione dei quadri direttivi delle imprese e delle amministrazioni pubbliche, il FORMEZ nel corso degli anni è passato attraverso vari mutamenti di competenze e funzioni. Da ultimo, il D.Lgs. 6/2010, oltre a cambiare la denominazione in FORMEZ PA, ha attribuito ad esso la funzione di supporto delle riforme e di diffusione dell'innovazione amministrativa nei confronti dei soggetti associati. Nell'ambito delle competenze stabilite dal richiamato D.Lgs. 6/2010, l'Assemblea dei Soci del 17 marzo 2010 ha individuato una nuova missione specifica per l’Associazione, individuandone le finalità per il settore della formazione e nel settore dei servizi e dell’assistenza tecnica. Il FORMEZ PA è un'associazione riconosciuta, con personalità giuridica di diritto privato sotto il controllo e la vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, cui spetta una quota associativa non inferiore al 76% (la parte restante è distribuita tra regioni ed autonomie locali). L’Associazione conta 475 unità di personale, legato all’Istituto con un autonomo C.C.N.L..


 

Articolo 21
(Unificazione delle Scuole di formazione delle p.a.)

 

 

L’articolo 21 dispone la soppressione di 5 scuole di formazione delle pubbliche amministrazioni e la contestuale assegnazione delle funzioni degli organismi soppressi alla Scuola nazionale dell’amministrazione (SNA).

Nel dettaglio, l’unificazione delle scuole nella sola SNA comporta la soppressione della Scuola superiore dell’economia e delle finanze, dell’Istituto diplomatico «Mario Toscano», della Scuola superiore dell’amministrazione dell’interno (SSAI), del Centro di formazione della difesa, della Scuola superiore di statistica e di analisi sociali ed economiche e delle sedi distaccate della Scuola nazionale dell’amministrazione prive di centro residenziale.

 

La Scuola superiore dell’economia e delle finanze – già Scuola centrale tributaria – è stata riordinata con l’articolo 8 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 287 e disciplinata dal D.M. 28 settembre 2000, n. 301. Essa è un’istituzione di alta cultura e formazione posta alle dirette dipendenze del Ministro dell’economia e delle finanze ed ha autonomia organizzativa e contabile; provvede, principalmente, alla formazione, alla specializzazione ed all'aggiornamento del personale dell'amministrazione finanziaria nonché, su richiesta delle agenzie fiscali e degli altri enti che operano nel settore della fiscalità, del personale di questi ultimi, mediante l'organizzazione e la gestione di attività formative e di divulgazione, sia nelle sedi proprie che in sedi esterne. Provvede, altresì, nell'ambito delle proprie competenze, autonomamente o su impulso di altri soggetti, alla redazione di studi e ricerche su temi di interesse dell'amministrazione finanziaria. Al 1° aprile 2014 la dotazione organica ella Scuola era di 98 dipendenti e 10 dirigenti.

 

L’Istituto diplomatico “Mario Toscano” (ISDI), istituto originariamente nel 1967 in seguito alla riforma dell’Amministrazione degli Affari esteri, in base alla più recente riforma del Ministero (D.P.R. n. 95/2010) è configurato come una struttura di livello dirigenziale della Direzione generale per le risorse e l’innovazione del Ministero degli Affari Esteri (DGRI). Tale direzione provvede alla formazione e al perfezionamento del personale del Ministero degli Esteri, avvalendosi dell’Istituto diplomatico (Art. 5 comma 9, lett. o), del D.P.R. n. 95/2010). L’ISDI si articola in 5 sezioni tra cui sono ripartite le diverse competenze ed è diretta da un diplomatico con grado di ministro plenipotenziario e da un consigliere, che ricopre l’incarico di vicedirettore.

 

La Scuola superiore dell’amministrazione dell’interno (SSAI), istituita con D.M. 10 settembre 1980, nasce come istituto di alta cultura, formazione e ricerca per provvedere alla formazione, qualificazione, aggiornamento didattico e culturale del personale del Ministero dell’Interno e di altre amministrazioni pubbliche nazionali ed estere. A livello decentrato coordina iniziative formative svolte dalle Prefetture - Uffici Territoriali del Governo su tematiche maggiormente legate alle realtà ed esigenze locali.

Dal 2010, la Scuola, a seguito della riorganizzazione degli uffici centrali di livello dirigenziale generale del Ministero dell’Interno operato con D.P.R. 210/2009[63], ha assorbito le attribuzioni ed i compiti della soppressa Direzione Centrale per la Documentazione e la Statistica. Pertanto, assicura ora anche la funzione di documentazione generale e di statistica a sostegno dell’attività di amministrazione generale del Ministero e delle Prefetture - UTG. Alla Scuola sono stati, altresì, attribuiti compiti di analisi e ricerca su tematiche socio-economiche emergenti sul territorio.

La Scuola dipende dal Dipartimento per le politiche del personale dell'amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie del Ministero.

 

Il Centro di formazione della difesa è stato istituito nel 1969 ed ha attualmente sede a Roma. Inizialmente dedicato alla formazione del personale civile della difesa ha successivamente ampliato il proprio bacino di utenza. In particolare, il Centro di formazione provvede all'organizzazione e allo svolgimento, nella propria sede, presso i Comandi e gli Enti periferici o presso Enti pubblici, Istituti specializzati e Centri italiani o stranieri, di corsi di formazione per il personale di nuova assunzione, di seminari e/o corsi di aggiornamento, di specializzazione e di riqualificazione professionale per la successiva eventuale riconversione del personale civile della Difesa. Di concerto con il Segretario Generale della Difesa e Direttore Nazionale degli Armamenti, la Direzione generale del personale civile nonché con gli Stati Maggiori di Forza Armata, la Scuola provvede anche ad organizzare e svolgere "orsi, cicli di conferenze ed altre iniziative per il personale civile e militare inserito nell'area cosiddetta tecnico-amministrativa dell'Amministrazione della Difesa. Con il D.M. del 6 giugno 2001, l'Istituto, già dipendente dal Gabinetto del Ministro, è stato posto alle dipendenze del Segretario Generale del Ministero della Difesa.

 

La Scuola superiore di statistica e di analisi sociali ed economiche (SAES), nasce nel settembre 2011, con il compito di curare – ai sensi dell’art. 5, co. 1, lett. f) del D.P.R. 7 settembre 2010, n. 166 - la formazione del personale e dei responsabili di uffici dirigenziali dell’Istat, del personale delle pubbliche amministrazioni e del Sistema statistico nazionale, e di altri soggetti pubblici e privati, tra cui studenti universitari, personale di altre istituzioni (anche straniere) e imprese. Inoltre, la Scuola – Direzione centrale dell’Istat posta alle dirette dipendenze della Presidenza - ha tra le sue funzioni quella di favorire la divulgazione della cultura statistica e la promozione della ricerca nei campi della statistica e dell’analisi economica e sociale, nonché di promuovere e realizzare attività di cooperazione internazionale in campo statistico.

 

In base alla normativa vigente, tutti gli organismi coinvolti dal riordino compongono il Sistema unico del reclutamento e della formazione pubblica, istituito dal regolamento adottato con D.P.R. 16 aprile 2013, n. 70[64], in attuazione dell’articolo 11, co. 1, del D.L. 95/2012 (conv. L. 135/2012), che aveva autorizzato il Governo ad adottare uno o più regolamenti di delegificazione al fine di individuare idonee forme di coordinamento tra le scuole pubbliche di formazione, gli istituti di formazione e le altre strutture competenti e di riformare il sistema di reclutamento e di formazione dei dirigenti e dei funzionari pubblici[65].

Con la creazione del Sistema unico - che non ha inciso l’autonomia e la collocazione istituzionale delle singole Scuole – gli indirizzi e le attività delle scuole sono definiti da un Comitato per il coordinamento, presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri o da un Ministro da lui delegato e composto dagli organi di vertice delle Scuole. Al Comitato spettano le funzioni di programmazione delle attività di formazione dei dirigenti e dei funzionari, nonché il coordinamento nell’utilizzo delle risorse umane (personale docente), finanziarie e strumentali (sedi delle Scuole). Il Comitato ha sede presso la Scuola nazionale dell’amministrazione, che fornisce il supporto tecnico con le risorse disponibili[66].

 

Pertanto, con l’istituzione del Sistema unico si è inteso creare meccanismi di coordinamento delle risorse e delle attività delle Scuole coinvolte. La disposizione in esame prevede, invece, l’accorpamento strutturale e funzionale delle scuole facenti parte del sistema unico nella Scuola nazionale dell’amministrazione, in un’ottica di razionalizzazione del sistema e di contenimento della relativa spesa.

 

La Scuola nazionale dell’amministrazione (SNA), originariamente denominata Scuola superiore della pubblica amministrazione (SSPA) è un’istituzione di alta cultura e formazione, posta nell’ambito e sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio[67].

Istituita nel 1957, essa è stata soggetta a diversi riordinamenti, il più recente dei quali è stato operato con il D.Lgs. 178/2009[68] che ha integralmente sostituito la disciplina precedente contenuta nel D.Lgs. 287/1999[69] , come modificato dal D.Lgs. 381/2003.

La Scuola ha la missione di promuovere il processo di innovazione e riforma della pubblica amministrazione con l'obiettivo generale di fare della pubblica amministrazione un fattore di competitività del sistema economico e produttivo italiano. A questi fini la Scuola svolge attività di formazione post-laurea di eccellenza per i dipendenti pubblici.

Tra i compiti primari della Scuola sono da ricordare:

§  il reclutamento dei dirigenti e dei funzionari dello Stato;

§  l’attività formativa iniziale dei dirigenti dello Stato;

§  la formazione permanente dei dirigenti e dei funzionari dello Stato;

§  la formazione, con gli oneri a carico dei committenti, di dipendenti di amministrazioni pubbliche diverse da quelle statali, di soggetti gestori di servizi pubblici e di istituzioni ed imprese private;

§  lo svolgimento di attività di ricerca, analisi e documentazione finalizzata al perseguimento dell'eccellenza nell'attività di formazione legata ai processi di riforma ed innovazione della pubblica amministrazione.

La legge individua tra gli organi della Scuola, il presidente, unitamente al comitato di programmazione, al comitato di gestione e al dirigente amministrativo.

Spetta al presidente, in qualità di vertice dell’istituzione, il compito di assicurare lo svolgimento delle attività istituzionali: egli è responsabile dell’attività didattica e scientifica della Scuola e nomina le commissioni esaminatrici per i concorsi e i corsi.

L’attività di formazione è svolta da un gruppo di 19 docenti stabili, scelti tra dirigenti di amministrazioni pubbliche, docenti universitari, magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati dello Stato e consiglieri parlamentari, esperti - italiani o stranieri - di comprovata professionalità. La Scuola può, inoltre, avvalersi di docenti incaricati, anche temporaneamente, di specifiche attività di insegnamento e conferire a persone di comprovata professionalità specifici incarichi finalizzati alla pubblicazione di ricerche e studi.

 

La Scuola ha la sede centrale in Roma, ma le attività di insegnamento e formazione sono tenute oltre che presso la sede di Roma, in quelle distaccate di Acireale, Bologna, Caserta, Reggio Calabria e del Centro residenziale studi di Caserta. Ai sensi del comma 1 della disposizione in commento, il riordino comporta anche la soppressione delle sedi distaccate della SNA prive di centro residenziale, ossia, delle sedi di Acireale, Bologna e Reggio Calabria.

 

Ai sensi dei commi 1 e 3 è prevista una riorganizzazione complessiva della Scuola nazionale dell’amministrazione entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto. In proposito, i vincoli proposti dalla legge sono due:

§  la articolazione in dipartimenti della SNA: a ciascuno dei dipartimenti individuati sono attribuite le funzioni degli organismi soppressi;

§  la collaborazione con gli organi costituzionali, le autorità indipendenti, le università e l’Istat, anche mediante la stipula di convenzioni sulle attività di formazione iniziale e permanente.

La possibilità di collaborazioni della Scuola con università e istituti di ricerca pubblici e privati, italiani e stranieri, amministrazioni pubbliche e istituzioni e società private è già prevista dall’art. 3, co. 1, lett. f), del D.lgs. 178/2009 in relazione allo svolgimento di attività di ricerca, analisi e documentazione. Anche il regolamento che ha previsto l’istituzione del Sistema unico della scuole pubbliche di formazione prevede forme di collaborazione tra le scuole e le università italiane e straniere e con altri istituti di formazione, da definire nell'ambito di rapporti convenzionali e contrattuali sulla base di linee di indirizzo formulate dal Comitato di cui all'articolo 2, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (art. 13, D.P.R. 70/2013).

 

In merito alle forme di collaborazione previste, si fa presente che gli organi costituzionali sono titolari di autonomia, anche organizzativa, costituzionalmente tutelata.

 

Mentre il funzionamento e le norme fondamentali della Scuola nazionale dell’amministrazione sono disciplinate dal citato D.Lgs. 178/2009 ed, in parte, dal D.P.R. 70/2013, l’organizzazione interna è definita da delibere del Presidente, ai sensi dell’articolo 15, co. 1, del D.lgs. 178/1999. Attualmente, essa è regolata dalla delibera n. 1 del 22 febbraio 2013, che prevede un’articolazione per servizi ed uffici.

In relazione alla riorganizzazione, il comma 3 prevede che la Scuola adegui il proprio ordinamento ai due principi, senza indicare con quale atto debba essere fatto tale adempimento. In base all’attuale formulazione del testo e all’ordinamento della Scuola, sembrerebbe necessario procedere con delibere del Presidente.

 

Oltre alle funzioni, il comma 1 prevede l’attribuzione alla Scuola nazionale dell’amministrazione dell’ottanta per cento delle risorse finanziarie già stanziate agli organismi soppressi e destinate all’attività di formazione. Il restante venti per cento è versato all’entrata del bilancio dello Stato.

Anche se non specificato, la disposizione pare riferirsi agli stanziamenti per attività di formazione delle Scuole soppresse per l’anno 2014, in molti casi già avviate e parzialmente espletate.

In base alla riassegnazione delle risorse, di fatto gli stanziamenti per la formazione svolte dalle Scuole soppresse subiscono una riduzione del venti per cento.

Ad ogni modo, secondo la relazione tecnica i risparmi complessivi derivanti dal riordino delle Scuole di formazione sono quantificabili solo a consuntivo.

 

Inoltre, la Scuola nazionale subentra nei rapporti di lavoro a tempo determinato e di collaborazione coordinata e continuativa o di progetto in essere presso gli organismi soppressi. Il subingresso non ha effetto sulla durata dei rapporti che cessano alla scadenza pattuita.

Si ricorda che nelle Scuole di formazione che vengono soppresse, di norma i docenti destinatari di incarico sono inquadrabili come consulenti o come collaboratori o hanno incarichi di natura occasionale e di durata inferiore alla giornata lavorativa.

 

Gli incarichi di docenza alla Scuola superiore dell’amministrazione dell’interno sono conferiti ai sensi del decreto del direttore della Scuola in data 30 luglio 2001 con importi ridotti ai sensi dell’art. 6, comma 3, del D.L. 78/2010, convertito dalla legge 122/2010.

 

Il comma 2 modifica la composizione del Comitato di gestione della Scuola nazionale dell’amministrazione, dettata dall’articolo 6 del d.lgs. 178/2009[70], al fine di introdurvi i rappresentanti delle Scuola soppresse.

 

Ai sensi della disposizione citata, il Comitato di gestione, che dura in carica quattro anni, approva il programma annuale della Scuola, il bilancio di previsione e consuntivo proposto dal Presidente e le variazioni di bilancio; adotta gli altri provvedimenti previsti dalla legge o dai regolamenti; inoltre, viene sentito dal Presidente in merito alla definizione dell'organizzazione interna della Scuola.

 

Attualmente, il Comitato di gestione della SNA è composto:

§  dal Presidente, che lo presiede;

§  dal Capo del Dipartimento per le politiche di gestione e di sviluppo delle risorse umane della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

§  dal Capo del Dipartimento della funzione pubblica;

§  dal Capo del Dipartimento per la digitalizzazione della pubblica amministrazione e l'innovazione tecnologica;

§  da due rappresentanti nominati dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Ministro per la pubblica amministrazione, a tale fine delegato;

§  da un rappresentante nominato dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

La disposizione specifica che alle sedute del Comitato partecipa il Dirigente amministrativo senza diritto di voto. La nomina a membro del comitato di gestione e la partecipazione alle riunioni non dà titolo ad emolumenti o compensi di qualsiasi tipo.

 

Con le modifiche apportate dal comma 2, da un lato viene escluso dal Comitato il Capo del Dipartimento per la digitalizzazione della pubblica amministrazione e l'innovazione tecnologica; dall’altro, ne entrano a far parte un membro nominato dal Ministro dell’interno, uno dal Ministro dell’economia e delle finanze, uno dal Ministro degli affari esteri e altri cinque rappresentanti (al massimo) nominati da ulteriori ministri, competenti per le rispettive aree di attività.

In totale, i membri del Comitato di gestione passano da sette a quattordici.

 

In relazione alla previsione in via residuale di ulteriori cinque membri del Comitato di gestione, non risulta agevole l’individuazione degli altri Ministri competenti per aree di attività. Pertanto, sarebbe opportuno in merito un chiarimento.

 

Il comma 4 dispone che i docenti ordinari e i ricercatori dei ruoli a esaurimento della Scuola Superiore dell’economia e delle finanze, di cui all’articolo 4-septies, comma 4, del D.L. n. 97 del 2008, sono trasferiti alla Scuola nazionale dell’amministrazione e agli stessi sono applicati lo stato giuridico e il trattamento economico, rispettivamente, dei professori o dei ricercatori universitari, con pari anzianità.

 

L’articolo 5 del regolamento di riordino della SSEF (D.M n. 301 del 2000) ha previsto che la Scuola possa avvalersi di consulenti esterni, di soggetti con professionalità e competenze utili allo svolgimento delle proprie attività istituzionali, anche di supporto alla didattica ed alla ricerca, di personale docente di comprovata professionalità collocato, ove occorra e se non inquadrato, in posizione di fuori ruolo, comando o aspettativa, se l'incarico non consente il normale espletamento delle proprie funzioni nell'amministrazione di appartenenza. Il personale docente è, comunque, scelto tra professori universitari in posizione di aspettativa senza assegni vincitori di concorso a professore universitario in attesa di chiamata, magistrati, avvocati dello Stato e dirigenti di amministrazioni pubbliche: i docenti incaricati temporaneamente possono essere altresì scelti tra esperti, italiani o stranieri, di comprovata professionalità. I professori della Scuola inquadrati acquisiscono, ad ogni effetto, lo stato giuridico e le funzioni di professori ordinari con salvezza delle procedure di avanzamento di carriera. Il numero complessivo dei professori incaricati non temporanei non può superare le trenta unità.

L’articolo 4-septies del D.L. n. 97 del 2008, al comma 2, ha soppresso il ruolo dei professori ordinari della SSEF, disponendo (comma 4) l’inserimento degli stessi e dei ricercatori della Scuola in appositi ruoli ad esaurimento.

 

Il comma 5 disciplina in parte la destinazione del personale non docente in servizio presso le Scuole soppresse e le sedi soppresse della SNA, distinguendo due ipotesi:

1.   il personale che si trova in posizione di comando o fuori ruolo presso gli organismi soppressi rientra nelle amministrazioni di provenienza entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame;

2.   il personale in servizio presso le sedi distaccate o periferiche, anche se in posizione di comando o fuori ruolo, può transitare nei ruoli delle pubbliche amministrazioni con posti vacanti nella dotazione organica o, in subordine, in sovrannumero. Si prevede, in tal caso, un criterio di preferenza per le amministrazioni aventi sede nella stessa regione in cui è sita la sede periferica.

In ogni caso, al personale trasferito si applica il trattamento economico e giuridico previsto dai contratti collettivi vigenti nell’amministrazione di destinazione, a fronte di ciò, lo stesso personale mantiene l’inquadramento previdenziale di provenienza.

 

Ai sensi del comma 6, è demandata ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze l’individuazione delle risorse finanziarie e strumentali da trasferire alla Presidenza del Consiglio dei Ministri necessarie per l’esercizio delle funzioni trasferite alla Scuola nazionale dell’amministrazione.

 

 

L’articolo in esame provvede al complessivo riordino delle scuole pubbliche di formazione senza modificare o abrogare le norme vigenti in materia che disciplinano le singole Scuole e le disposizioni del D.P.R. n. 70 del 2013 che ha disciplinato il Sistema unico del reclutamento e della formazione pubblica. In merito sarebbe opportuno un coordinamento normativo.

 

 


 

Articolo 22, commi 1-3
(Incompatibilità dei componenti e dei dirigenti
delle autorità indipendenti)

 

 

L’articolo 22 prevede disposizioni relative alle autorità indipendenti, che introducono, nei commi da 1 a 11, norme comuni alle diverse autorità in materia di incompatibilità, reclutamento e trattamento economico del personale, gestione dei servizi strumentali, acquisti di beni e servizi, ubicazione delle sedi, anche al fine di raggiungere risparmi di spesa.

 

I commi 1-3 introducono alcune novità in materia di incompatibilità dei componenti e dei dirigenti delle autorità indipendenti, successive alla cessazione dell’incarico.

In particolare, il comma 1 esclude la possibilità, ammessa dalle vigenti norme di settore, che i componenti di un’autorità indipendente, alla scadenza del mandato, possano essere nominati presso altra autorità. Tale divieto di nomina vige per due anni dalla cessazione dell’incarico e, in caso di violazione, ne comporta la decadenza. Il divieto riguarda i componenti delle seguenti autorità:

·        Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm, 1990);

·        Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob, 1974);

·        Autorità di regolazione dei trasporti (2013);

·        Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (Aeeg, 1995);

·        Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom, 1997);

·        Garante per la protezione dei dati personali (1996);

·        Autorità nazionale anticorruzione (Anac, 2009);

·        Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP, 1993);

·   Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali (1990).

 

Rispetto alla classificazione tradizionale delle autorità indipendenti, sono escluse dalla norma l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp), che viene soppressa ai sensi dell’art. 19 del decreto in esame, nonché l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (Isvap, 1981), che in seguito alla trasformazione in Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Ivass, 2013), non è più riconducibile al modello delle autorità, in quanto presenta i caratteri di ente pubblico strumentale.

 

L’innovazione introdotta si affianca alla previsione, contenuta nel D.L. 201/2011 (art. 23, comma 3), che ha uniformato la disciplina del mandato dei componenti di tutte le autorità indipendenti, escludendo la possibilità di essere confermati alla cessazione dalla carica. In tal modo, si è stabilito un divieto di rinnovo consecutivo della carica, ferme restando le disposizioni di settore che prevedono, per singole autorità, la rinnovabilità non consecutiva dell'incarico.

 

Oltre a quella ricordata, il decreto-legge n. 201 del 2011 (conv. da L. 216/2011) ha adottato altre misure di carattere generale sullo status dei componenti delle autorità indipendenti, anche al fine di uniformare le diverse discipline previste dalla legge in relazione alle singole authorities. Infatti, ha stabilito la riduzione dei componenti di tutte le autorità indipendenti, ad eccezione della Banca d'Italia e dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali[71]. Inoltre, ha esteso a tutte le autorità il principio della prevalenza del voto del presidente in sede deliberante, nel caso in cui il numero dei componenti, incluso il presidente, risulti pari, principio fino a quel momento previsto solo per l'Autorità garante per la protezione dei dati personali.

 

L’introduzione del divieto di nomina in altra autorità omologa al fine di evitare la creazione di ruoli o carriere di componenti delle autorità indipendenti, a garanzia della loro stessa autonomia e indipendenza, era emersa nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle autorità indipendenti svolta dalla I Commissione della Camera nel corso della XVI legislatura.

 

Anche per quanto riguarda la durata del mandato, il legislatore ha proceduto – con l’art. 47-quater del D.L. n. 248/2007[72] – ad una sostanziale “omogeneizzazione” del quadro normativo relativo sia alla durata in carica dei membri delle autorità che alla possibilità di rinnovare l’incarico, nel senso indicato dall’Unione europea per alcuni settori. Infatti, a seguito dell’intervento del legislatore, a decorrere dal 2008, la durata del mandato di tutti i componenti della Consob, del Garante per la protezione dei dati personali e dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture è stata equiparata a quella già prevista per l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, pari a sette anni, senza possibilità di rinnovo. Per quanto concerne l’Autorità nazionale anticorruzione, l’articolo 5 del D.L. 101/2013 ha confermato la durata del mandato (pari a sei anni) ed introdotto il divieto di rinnovo dell'incarico per tutti i componenti.

 

Con specifico riferimento alla Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), il comma 2 - con l’introduzione di un nuovo articolo 29-bis alla legge 28 dicembre 2005, n. 262 - introduce per i componenti degli organi di vertice e i dirigenti a tempo indeterminato, nei quattro anni successivi alla cessazione dell'incarico, il divieto di intrattenere, direttamente o indirettamente, rapporti di collaborazione, di consulenza o di impiego con i soggetti pubblici o privati operanti nei settori di competenza. Viene altresì specificato che i contratti conclusi in violazione di tale norma sono nulli.

 

In materia di incompatibilità si ricorda che, ai sensi dell’articolo 1, comma quinto del D.L. 8 aprile 1974, n. 95, il presidente e i membri della Commissione non possono esercitare, a pena di decadenza dall'ufficio, alcuna attività professionale, neppure di consulenza, né essere amministratori, ovvero soci a responsabilità illimitata, di società commerciali, sindaci revisori o dipendenti di imprese commerciali o di enti pubblici o privati, né ricoprire altri uffici pubblici di qualsiasi natura, né essere imprenditori commerciali.

Per tutta la durata del mandato i dipendenti statali sono collocati fuori ruolo e i dipendenti di enti pubblici sono collocati d'ufficio in aspettativa. Il rapporto di lavoro dei dipendenti privati è sospeso ed i dipendenti stessi hanno diritto alla conservazione del posto.

Il Regolamento di organizzazione e funzionamento della Consob (adottato con delibera Consob n. 8674 del 17 novembre 1994 e successivamente modificato nel tempo) stabilisce che i componenti di nuova nomina, nella prima riunione cui partecipino, debbano dichiarare formalmente, assumendosi la responsabilità, di non versare in alcuna delle predette situazioni di incompatibilità; ove invece un componente incorra in una delle predette cause di incompatibilità la Commissione, esperiti gli opportuni accertamenti e sentito l'interessato, stabilisce un termine entro il quale il componente è tenuto ad esercitare l'opzione. Trascorso il termine, ove non sia cessata la causa di incompatibilità ovvero il componente non abbia presentato le proprie dimissioni, il Presidente riferisce al Presidente del Consiglio dei ministri sulle cause di decadenza dall'ufficio sussistenti nei confronti del componente medesimo. La comunicazione predetta, salvo diversa deliberazione della Commissione, comporta la sospensione dalle funzioni del componente fino alla adozione del provvedimento di competenza del Presidente del Consiglio dei ministri.

La legge n. 14 del 1978, recante la disciplina del controllo parlamentare sulle nomine negli enti pubblici, all’articolo 7 specifica che - fatte salve le incompatibilità sancite da leggi speciali -  le nomine alle cariche di presidenti e vicepresidenti di istituti e di enti pubblici, anche economici (effettuate dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dal Consiglio dei Ministri ed dai singoli Ministri) sono incompatibili con le funzioni di:

·      membro del Parlamento e dei consigli regionali;

 

 

·      dipendente dall'amministrazione cui compete la vigilanza o dei Ministeri del bilancio, del tesoro, delle finanze e delle partecipazioni statali;

·      dipendente dello Stato che comunque assolva mansioni inerenti all'esercizio della vigilanza sugli enti ed istituti;

·      membro dei consigli superiori o di altri organi consultivi tenuti ad esprimere pareri su provvedimenti degli organi degli enti ed istituti;

·      magistrato ordinario, del Consiglio di Stato, dei tribunali amministrativi regionali, della Corte dei conti e di ogni altra giurisdizione speciale;

·      avvocato o procuratore presso l'Avvocatura dello Stato; g) appartenente alle forze armate in servizio permanente effettivo.

 

Ulteriori disposizioni relative alla Consob sono contenute nei commi da 13 a 16 dell’articolo in esame; dette norme in particolare ripristinano il numero di cinque componenti dell’Autorità, in precedenza abbassato a tre per effetto del D.L. n. 201 del 2011.

 

In via analoga a quanto stabilito per la Consob, il comma 3 estende ai dirigenti a tempo indeterminato delle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità il regime delle incompatibilità successive, già previsto per i componenti delle medesime autorità dall’art. 2, co. 9, della L. 481/1995.

Tale disposizione, infatti, vieta ai componenti, per almeno quattro anni dalla cessazione dell'incarico, di intrattenere, direttamente o indirettamente, rapporti di collaborazione, di consulenza o di impiego con le imprese operanti nel settore di competenza.

 

La violazione di tale divieto è punita, salvo che il fatto costituisca reato, con una sanzione pecuniaria pari, nel minimo, alla maggiore somma tra 25.822 euro e l'importo del corrispettivo percepito e, nel massimo, alla maggiore somma tra 258.228 euro e l'importo del corrispettivo percepito. All'imprenditore che abbia violato tale divieto si applica la sanzione amministrativa pecuniaria pari allo 0,5 per cento del fatturato e, comunque, non inferiore a 154.94 euro non superiore a 1.032.913,5 euro, e, nei casi più gravi o quando il comportamento illecito sia stato reiterato, la revoca dell'atto concessivo o autorizzativo. I valori di tali sanzione sono rivalutati secondo il tasso di variazione annuo dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati rilevato dall'ISTAT.

 

Sia per la Consob che per le autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità istituite ai sensi della L. 481/1995 (Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico e Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), si introduce la deroga in base alla quale il divieto introdotto non si applica ai dirigenti che negli ultimi quattro anni di servizio sono stati responsabili esclusivamente di uffici di supporto.

 

La relazione illustrativa del provvedimento non fornisce indicazioni sulla motivazione della deroga introdotta.

In riferimento all’uso dell’espressione “uffici di supporto”, si ricorda che, nell’ambito dell’autonomia riconosciuta alle autorità, i diversi regolamenti interni disciplinano l’articolazione organizzativa delle stesse, prevedendo in alcuni casi anche uffici con funzioni di supporto al Presidente o ai componenti, denominati variamente a seconda della singola Autorità (uffici di diretta collaborazione, gabinetto, segreterie, ecc.).

 

Al fine di evitare incertezze in sede applicativa sarebbe opportuno, considerata la eterogeneità degli ordinamenti interni delle autorità, specificare più puntualmente gli uffici ai cui responsabili non si applica l’incompatibilità prevista dai commi 2 e 3.

 

 

 

 


 

Articolo 22, commi 4 e 5
(Concorsi delle autorità indipendenti)

 

 

L’articolo 22, comma 4, introduce una nuova procedura gestionale unitaria delle procedure concorsuali per il reclutamento del personale in varie autorità indipendenti[73], previa stipula di apposite convenzioni tra gli stessi organismi, al fine di assicurare la trasparenza e l’imparzialità delle procedure.

Allo stesso tempo, si sancisce la nullità di tutte le procedure concorsuali avviate dopo il 26 giugno 2014 e prima della stipula della convenzione, o in violazione degli obblighi indicati in precedenza nonché delle successive eventuali assunzioni, mentre restano valide le procedure concorsuali in corso alla data del 26 giugno 2014.

 

Il successivo comma 5 dispone che dal 1° luglio 2014, gli organismi richiamati provvedano, nell’ambito dei propri ordinamenti, ad effettuare una riduzione non inferiore al 20% del trattamento economico accessorio del personale dipendente, inclusi i dirigenti.

 

Si ricorda che analoga disposizione è contenuta, in relazione all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, servizi e forniture, all’articolo 19, comma 3, lettera b), alla cui scheda si rimanda.

 

 

 

 


 

Articolo 22, comma 6
(Riduzione della spesa per incarichi di consulenza
e per organi collegiali delle autorità indipendenti)

 

 

Il comma 6 dispone che a decorrere dal 1° ottobre 2014 le autorità di cui al comma 1 (Autorità garante della concorrenza e del mercato, Commissione nazionale per le società e la borsa, Commissione di vigilanza sui fondi pensione, Autorità di regolazione dei trasporti, Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, servizi e forniture, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Garante per la protezione dei dati personali, Autorità nazionale anticorruzione e della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali) riducono la spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca e per gli organi collegiali non previsti dalla legge in misura non inferiore al 50 per cento rispetto a quella sostenuta nel 2013.

Gli incarichi e i contratti in corso sono rinegoziati entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge al fine di rispettare tali limiti.

 

Peraltro sulla materia è recentemente intervenuto l’articolo 14 del D.L. n. 66 del 2014, che al comma 1 ha posto ulteriori limiti di spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca alle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate annualmente dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009, con l’esclusione delle Università, degli istituti di formazione, degli enti di ricerca e degli enti del Servizio sanitario nazionale.

La norma richiamata stabilisce che, ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati annualmente a fini statistici dall’ISTAT, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001.

In tale ultimo elenco (Comunicato ISTAT, G.U. n. 229 del 30 settembre 2013) sono indicate, quali autorità amministrative indipendenti: l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), l’Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP), l’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni (AGCOM), l’Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG), la Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, la Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche - Autorità nazionale anticorruzione (CIVIT) e il Garante per la protezione dei dati personali.

In particolare il comma 1 dell’articolo 14 del D.L. n. 66 del 2014 pone, a decorrere dall’anno 2014, il divieto per le amministrazioni pubbliche, di cui all’art. 1, co. 2, della legge n. 196 del 2009, di conferire incarichi di consulenza, studio e ricerca qualora la spesa complessiva sostenuta nell’anno per tali incarichi sia superiore ad una determinata percentuale della spesa per il personale dell’amministrazione che conferisce l’incarico come risultante dal conto annuale del 2012.

 

In sostanza la disposizione in commento – relativamente alla spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca - sembrerebbe doversi applicare quanto meno alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione e all’Autorità di regolazione dei trasporti (le altre autorità sono già indicate nell’elenco ISTAT; la CONSOB è peraltro ricompresa nella riduzione disposta dall’articolo 10, comma 2, del D.L. in esame).

 

In ordine a tali molteplici disposizioni di riduzione della spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca, previsti contemporaneamente da più disposizioni legislative (art. 14, co. 1, del D.L. n. 66/2014 e art. 22, co. 6 del D.L. in esame) sarebbe opportuno che il Governo fornisse chiarimenti sull’ammontare delle risorse da considerare a tal fine.

 

Per quanto riguarda la rinegoziazione degli incarichi e dei contratti in corso entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge al fine di rispettare i nuovi limiti, prevista dall’ultimo periodo del comma in esame, si ricorda che una analoga disposizione è contenuta all’articolo 14, comma 4, del D.L. n. 66 del 2014: il Parlamento, in sede di conversione in legge del D.L., ha sostituito l’obbligo di rinegoziazione (“sono rinegoziati”) con la facoltà per le amministrazioni interessate (“possono essere rinegoziati”).

 

Il comma in esame dispone, inoltre, la riduzione della spesa per gli organi collegiali (delle autorità di cui al comma 1) non previsti dalla legge, in misura non inferiore al 50 per cento rispetto a quella sostenuta nel 2013.

 

Nell’ambito dell’autonomia organizzativa riconosciuta dalle rispettive leggi istitutive, le autorità provvedono a disciplinare con propri regolamenti le disposizioni sul funzionamento e l’organizzazione interna. In alcuni casi , tali regolamenti hanno previsto la creazione di organi collegiali, che non sono contemplati dalle norme istitutive.

 

 

 


 

Articolo 22, commi 7 e 8
(Gestione unitaria dei servizi e assoggettamento delle autorità indipendenti alla normativa in materia di acquisti centralizzati)

 

 

Il comma 7 stabilisce che le Autorità procedano alla gestione unitaria dei servizi strumentali mediante la stipula di convenzioni o la costituzione di uffici comuni almeno tra due Autorità.

Dall’applicazione di tale disposizione devono derivare, entro l'anno 2015, risparmi complessivi pari ad almeno il dieci per cento della spesa complessiva sostenuta dalle stesse Autorità, per i medesimi servizi, nell'anno 2013.

 

Il comma 7 prescrive quindi che, entro il 31 dicembre 2014, le Autorità provvedano alla gestione unitaria per almeno tre dei seguenti servizi:

-        affari generali;

-        servizi finanziari e contabili;

-        acquisti e appalti;

-        amministrazione del personale;

-        gestione del patrimonio;

-        servizi tecnici e logistici;

-        sistemi informativi ed informatici.

 

 

Il comma 8, modificando i commi 449 e 450 dell’articolo 1 della legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007) in materia di acquisti centralizzati della pubblica amministrazione, ricomprende le autorità indipendenti tra i soggetti per i quali prevista:

§  la facoltà (“possono”) di ricorrere alle convenzioni quadro della Consip e alle convenzioni stipulate dalle centrali regionali di acquisto, ovvero l’obbligo di utilizzarne i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipula dei contratti (comma 449);

§  l’obbligo - per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario[74] - a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi dell’articolo 328 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (DPR  n. 207/2010) ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure (comma 450).

 

La normativa previgente obbliga le amministrazioni statali centrali e periferiche (con l’indicazione di soggetti esclusi o specificamente ricompresi) a particolari procedure in materia di acquisti, prevedendo procedure diversificate per le restanti amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo n. 165 del 2001[75].

Poiché in tale elenco non figurano le autorità indipendenti, la novella recata dalla disposizione in esame assoggetta anche le autorità indipendenti alle disposizioni in materia di acquisti centralizzati della pubblica amministrazione.

 

 

 

 


 

Articolo 22, commi 9-10
(Accorpamento delle sedi delle Autorità indipendenti)

 

 

Il comma 9 dell’articolo 22 prevede che l’Agenzia del Demanio individui, entro il 30 settembre 2014, uno o più edifici contigui da adibire a sede comune di alcune autorità indipendenti (Autorità di regolazione dei trasporti, Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Commissione di vigilanza sui fondi pensione e Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali). Tali Autorità vi devono trasferire i propri uffici entro il 30 giugno 2015.

Una analoga procedura (individuazione entro il 30 settembre 2014 da parte del Demanio di immobili contigui da adibire a sede comune e trasferimento degli uffici entro il 30 giugno 2015) è prevista per le sedi in Roma della Consob, dell’Antitrust, del Garante della privacy e dell’Autorità anticorruzione, tenendo conto delle esigenze di riservatezza connesse alle loro funzioni di vigilanza e in modo da assicurare che le predette Autorità abbiano non più di due sedi comuni.

 

Il comma 10 abroga la norma che dispone che più Autorità per i servizi pubblici non possono avere sede nella medesima città.

 

In tema di razionalizzazione nell’utilizzo degli immobili pubblici si ricorda che, da ultimo, l'articolo 24 del D.L. n. 66 del 2014 ha previsto un nuovo piano di razionalizzazione nazionale per assicurare, oltre al rispetto del parametro metri quadrati per addetto (tra i 20 e i 25 metri quadri per addetto), la riduzione delle locazioni passive in modo da garantire per ciascuna amministrazione dal 2016 una riduzione rispetto al 2014 di almeno il 50 per cento della spesa per locazioni e di almeno il 30 per cento degli spazi utilizzati (sono esclusi i presidi di pubblica sicurezza, di soccorso pubblico e le carceri). Le amministrazioni pubbliche, qualora richiedano immobili per i loro fabbisogni allocativi, sono tenute a svolgere le proprie indagini di mercato prioritariamente all'interno del novero di immobili in proprietà pubblica presenti sull’apposito applicativo informatico messo a disposizione dall’Agenzia del demanio.

 

L’Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico ha 180 dipendenti. Possiede un immobile a Roma e ha in locazione passiva tre immobili, di cui due a Milano ed uno a Roma, per i quali spende circa 3,3 milioni di euro.

 

L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha 419 dipendenti ed è articolata in due sedi: una principale a Napoli e una secondaria, operativa, a Roma. Per gli immobili, in locazione, l’autorità spende circa 5,5 milioni di euro.

 

La Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip) ha 76 dipendenti ed ha sede a Roma, in un edificio di proprietà del Fondo immobili pubblici. Nel 2013 ha speso circa 1 milione di euro per l’affitto locali ed oneri accessori.

 

La Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali ha 30 dipendenti, i suoi uffici sono ubicati a Roma, in locazione. Nel 2013 ha speso per i canoni di locazione 329 mila euro.

 

La Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) ha 619 dipendenti. La sede centrale in Roma, è ubicata in un immobile di proprietà. Vi è poi una locazione attiva di quota parte del lastrico solare, durata sei anni, canone annuo di locazione percepito anno 2013 euro 44.199,16, scadenza ottobre 2019.

La sede secondaria operativa si trova a Milano presso un immobile concesso in uso gratuito dal Comune di Milano per 60 anni, decorrenza luglio 1999, a fronte dell'avvenuto sostenimento da parte della Consob degli oneri per il risanamento conservativo dell'immobile.

Un secondo immobile a Milano, è in locazione passiva, per la durata di sei anni, canone annuo di locazione versato anno 2013 euro 446.869,50, scadenza agosto 2016.

 

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust) ha 252 dipendenti, e ha in locazione passiva un immobile a Roma per il quale ha versato, per il primo semestre 2013, circa 2,5 milioni di euro.

 

Il Garante per la protezione dei dati personali ha 122 dipendenti in servizio e per i locali in locazione passiva a Roma, ha versato nel 2013 1,8 milioni di euro.

 

 

 


 

Articolo 22, comma 11
(Sede dell’Autorità dei trasporti)

 

 

Il comma 11 dell’articolo 22 prevede, al primo periodo, l’applicazione, a decorrere dal 1° ottobre 2014, anche all’Autorità di regolazione dei trasporti della disposizione del comma 9 dell’articolo 22 che prevede l’individuazione di una sede comune, in uno o più edifici contigui, per diverse autorità indipendenti (cfr. supra la relativa scheda).

 

Il comma 9 dell’articolo 22 già contiene un esplicito riferimento anche all’Autorità dei trasporti. Appare pertanto opportuno un chiarimento sul coordinamento tra le due disposizioni.

 

Conseguentemente, il secondo periodo del comma 11 dispone la soppressione della previsione che aveva stabilito l’individuazione con D.P.C.M., entro il 31 dicembre 2013, “in un immobile di proprietà pubblica nella città di Torino” della sede dell’Autorità dei trasporti (si tratta dell’articolo 37, comma 1, secondo periodo, del decreto-legge n. 201/2011, introdotto dall’articolo 25-bis, comma 1, del decreto-legge n. 69/2013).

 

In base alla disposizione da ultimo richiamata, il D.P.C.M. 3 dicembre 2013 ha individuato la sede dell’Autorità di regolazione dei trasporti presso il palazzo Lingotto, in via Nizza 230 a Torino.

 

L’Autorità è entrata nella piana operatività dal 15 gennaio 2014 con l'approvazione del Regolamento che disciplina i procedimenti per la formazione delle decisioni dell’Autorità e per la partecipazione ad esse dei soggetti portatori d’interesse.

L’Autorità è un organo collegiale composto da un presidente e due componenti, nominati con decreto del Presidente della Repubblica[76], previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente. Le designazioni effettuate dal Governo sono previamente sottoposte al parere, vincolante e da esprimersi con maggioranza dei due terzi, delle competenti Commissioni parlamentari. La durata della carica è stabilita in sette anni, senza possibilità di conferma.

L’Autorità ha tra i suoi compiti:

§  garantire condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali e alla mobilità dei passeggeri e delle merci in ambito nazionale, locale e urbano, anche collegata a stazioni, aeroporti e porti;

§  definire i criteri per la fissazione di tariffe, canoni e pedaggi;

§  stabilire le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto nazionali e locali connotati da oneri di servizio pubblico;

§  definire gli schemi dei bandi delle gare per l'assegnazione dei servizi di trasporto in esclusiva e delle convenzioni, da inserire nei capitolati delle medesime gare, e stabilire i criteri per la nomina delle commissioni aggiudicatrici;

§  verificare che nei bandi di gara per il trasporto ferroviario regionale, non sussistano condizioni discriminatorie o che impediscano l'accesso a concorrenti potenziali;

§  nel settore del trasporto ferroviario, sentiti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, le regioni e gli enti locali interessati, definire gli ambiti del servizio pubblico sulle tratte e le modalità di finanziamento;

§  svolgere le funzioni di organismo di regolazione per l'accesso all'infrastruttura ferroviaria, definendo i criteri per la determinazione dei pedaggi e per l’assegnazione delle tracce e della capacità e vigilando sulla loro corretta applicazione;

§  nel settore autostradale, stabilire, per le nuove concessioni, sistemi tariffari dei pedaggi basati sul metodo del price cap, con revisione quinquennale. L’Autorità definisce inoltre gli schemi di concessione, da inserire nei bandi di gara relativi alla gestione o costruzione, gli schemi dei bandi relativi alle gare cui sono tenuti i concessionari autostradali per le nuove concessioni e gli ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali;

§  svolgere le funzioni di Autorità di vigilanza in materia di diritti aeroportuali, approvando i sistemi di tariffazione e l'ammontare dei suddetti diritti;

§  monitorare e verificare la corrispondenza dei livelli di offerta del servizio taxi, delle tariffe e della qualità delle relative prestazioni alle esigenze dei diversi contesti urbani, secondo i criteri di ragionevolezza e proporzionalità, allo scopo di garantire il diritto di mobilità degli utenti.

Per approfondimenti consulta qui l’apposito tema dell’attività parlamentare.

 

 

 


 

Articolo 22, comma 12
(Attribuzione al Tar Lazio della competenza sulle controversie relative all’Autorità per l’energia elettrica e il gas)

 

 

Il comma 12 dell’articolo 22 attribuisce alla competenza funzionale inderogabile del Tar Lazio – in luogo del Tar Lombardia - la competenza a conoscere delle controversie relative ai poteri esercitati dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas.

L’obiettivo è realizzato attraverso l’abrogazione dell’art. 14, comma 2, del Codice del processo amministrativo (D.Lgs. n. 104 del 2010) che attribuiva tale competenza al Tar Lombardia, sede di Milano.

Per esigenze sistematiche occorre novellare anche l’art. 135, comma 1, lett. c), del Codice del processo amministrativo che attualmente assegna al TAR Lazio, sede di Roma, la competenza a conoscere delle controversie che abbiano ad oggetto gli atti delle autorità amministrative indipendenti, facendo un’eccezione proprio per quelle indicate all’art. 14, comma 2, ovvero per quelle relative all’Autorità per l’energia elettrica e il gas.

A partire dunque dalla data di entrata in vigore del decreto-legge ogni ricorso riguardante gli atti dell’Autorità per l’energia e il gas deve essere depositato presso il Tar del Lazio, sede di Roma.

Il decreto-legge non chiarisce le sorti del contenzioso pendente che, presumibilmente, in forza del principio per cui tempus regis actum, sarà trattato, fino a esaurimento, dal TAR della Lombardia.

Occorre valutare l’esigenza di una disciplina transitoria espressa sugli eventuali procedimenti pendenti.

 

 

 

 


 

Articolo 22, commi da 13 a 16
(Disposizioni riguardanti la Consob)

 

 

I commi da 13 a 16 dell’articolo 22 recano disposizioni concernenti l’ordinamento della Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob).

Per effetto delle norme in esame i componenti della Consob tornano ad essere cinque (dal precedente numero di tre, così ridotto dal D. L. n. 201 del 2011), a partire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in commento. Sono apportate le conseguenti modifiche di coordinamento all’ordinamento della Consob, ripristinando la maggioranza qualificata, pari ad almeno quattro voti, per l’adozione di determinate delibere. La decorrenza delle norme sulle maggioranze qualificate è fissata (comma 16) alla data di nomina dell’ultimo dei cinque componenti della Consob.

Il comma 15 quantifica gli oneri derivanti dall’innalzamento del numero dei componenti della Consob in 480.000 euro annui, cui si fa fronte nell’ambito del bilancio della stessa Consob mediante risparmi di spesa, ulteriori rispetto a quelli previsti a legislazione vigente.

 

In primo luogo, il comma 13 abroga l’articolo 23, comma 1, lettera e) del D.L. n. 201 del 2011, norma con la quale era stata disposta la riduzione dei componenti della Consob da cinque a tre membri, compreso il Presidente. Per effetto delle norme in esame i componenti della Consob tornano ad essere cinque, a partire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in commento.

 

Il comma 14 reca le conseguenti modifiche di coordinamento all’ordinamento della Consob, contenuto nel D.L. n. 94 del 1974: si ripristinano le disposizioni che richiedevano una maggioranza qualificata, pari ad almeno quattro voti, per l’adozione di determinate delibere.

 

I commi 2-bis e 2-ter del richiamato articolo 23 del D.L. n. 201 del 2011 avevano infatti abolito tali maggioranze qualificate in conseguenza della riduzione del numero dei componenti della Consob.

 

Più in dettaglio, torna a richiedersi la tale maggioranza qualificata di almeno quattro voti favorevoli per l’adozione delle seguenti delibere:

§  adozione dei regolamenti di organizzazione e funzionamento della Commissione (articolo 1, comma nono del D.L. 95/1974);

§  deliberazioni relative alla nomina del direttore generale e del vicedirettore generale (articolo 2, comma quarto, terzo periodo del D.L. 95/1974);

§  nomina del segretario generale (articolo 2, comma quarto, quarto periodo del D.L. 95/1974);

§  deliberazioni relative all’assunzione di dipendenti con contratto a tempo determinato (articolo 2, comma ottavo del D.L. 95/1974);

 

Si segnala che rimane vigente la maggioranza semplice per l’adozione delle seguenti delibere (ai sensi dell’articolo 23 del richiamato D.L. n. 201 del 2011, in particolare del comma 2-bis, lettera d) e del comma 2-ter):

§  attribuzione di incarichi e qualifiche dirigenziali (articolo 2, comma quinto del D.L. 95/1974);

§  delibere relative alla possibilità di avvalersi di personale delle amministrazioni dello Stato (ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 281 del 1985);

§  delibere relative all’inquadramento in ruolo di determinate categorie di personale (articolo 4, comma sette della richiamata legge n. 281 del 1985).

 

Il comma 15 quantifica gli oneri derivanti dall’innalzamento del numero dei componenti della Consob in 480.000 euro annui, cui si fa fronte nell’ambito del bilancio della stessa Consob. A tal fine si dispone che l’Autorità effettui corrispondenti risparmi di spesa, ulteriori rispetto a quelli previsti a legislazione vigente, senza incrementare il contributo a carico dei soggetti vigilati.

 

La decorrenza delle norme sulle maggioranze qualificate è fissata (comma 16) dalla data di nomina dell’ultimo dei cinque componenti della Consob.

 

Si segnala che un’ulteriore disposizione in materia di Consob è contenuta nell’articolo 22, comma 2 del provvedimento in esame, concernente in particolare le incompatibilità dei componenti Consob alla cessazione del loro mandato. Si rinvia, per approfondimenti, alla relativa scheda di lettura.

 

 

 

 


 

Articolo 23
(Interventi urgenti in materia di riforma delle province
e delle città metropolitane)

 

 

L’articolo 23 reca alcune modifiche all’art. 1 della Legge 7 aprile 2014, n. 56, in materia di città metropolitane e province.

 

La lettera a) interviene nell’ambito della procedura, in sede di prima applicazione, per l’istituzione delle città metropolitane, prevedendo che la competenza ad approvare lo statuto, entro la data del 31 dicembre 2014, sia propria della conferenza metropolitana, anziché del consiglio metropolitano (come previsto dal co. 14, art. 1 L. 56/2014).

Tale modifica appare coerente con la previsione del comma 9 dell’art. 1 della L. 56/2014 che attribuisce alla conferenza metropolitana il compito di adottare o respingere lo statuto e le sue modifiche proposti dal consiglio metropolitano, con i voti che rappresentino almeno un terzo dei comuni compresi nella città metropolitana e la maggioranza della popolazione complessivamente residente.

 

Si ricorda che la legge 56/2014 individua nove città metropolitane: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, cui si aggiunge la città metropolitana di Roma capitale. Il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia omonima. Gli organi della città metropolitana sono il sindaco metropolitano, il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana.

Il sindaco metropolitano è il sindaco del comune capoluogo.

Il consiglio metropolitano, che è l'organo di indirizzo e controllo, è composto dal sindaco metropolitano e da un numero di consiglieri variabile in base alla popolazione. È organo elettivo di secondo grado e dura in carica 5 anni; hanno diritto di elettorato attivo e passivo i sindaci e i consiglieri dei comuni della città metropolitana.

Lo statuto può comunque prevedere l’elezione diretta a suffragio universale del sindaco e del consiglio metropolitano, previa approvazione della legge statale sul sistema elettorale e previa articolazione del comune capoluogo in più comuni o, nelle città metropolitane con popolazione superiore a 3 milioni di abitanti, in zone dotate di autonomia amministrativa.

La conferenza metropolitana è composta dal sindaco metropolitano e dai sindaci dei comuni della città metropolitana. È competente per l’adozione dello statuto e ha potere consultivo per l’approvazione dei bilanci; lo statuto può attribuirle altri poteri propositivi e consultivi.

 

La lettera b) reca una serie di modifiche alle disposizioni della L. 56/2014 (art. 1, co. 49) che riguardano il subentro della regione Lombardia nelle partecipazioni azionarie di controllo detenute dalla provincia di Milano nelle società che operano nella realizzazione e gestione di infrastrutture “comunque connesse” all’EXPO 2015.

Viene, in tale ambito, previsto che il subentro della regione Lombardia riguardi anche le partecipazioni azionarie detenute dalla provincia di Monza e Brianza nelle predette società; il subentro riguarda tutte le partecipazioni azionarie e non solo quelle di controllo, come invece previsto per la provincia di Milano.

E’ quindi stabilito (inserendo un nuovo periodo al co. 49) che, entro il 30 giugno 2014, sono eseguiti gli adempimenti societari necessari per il trasferimento delle partecipazioni azionarie “di cui al primo periodo” alla Regione Lombardia, a titolo gratuito e in regime di esenzione fiscale.

Al contempo, la L. 56/2014 prevede che entro quaranta giorni dalla data di entrata in vigore della legge (quindi entro il 18 maggio, termine peraltro ordinatorio), sono definite con decreto del Ministro per gli affari regionali, da adottare di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti, le direttive e le disposizioni esecutive necessarie a disciplinare il trasferimento, in esenzione fiscale, alla regione Lombardia delle partecipazioni azionarie “di cui al precedente periodo”.

Andrebbe quindi valutato il rapporto tra le previsioni del nuovo periodo introdotto dalla lettera b), n. 2), rispetto a quelle del secondo periodo, chiarendo in particolare il rapporto tra gli adempimenti societari previsti dalla nuova disposizione e il contenuto del decreto ministeriale nonché la scansione temporale degli adempimenti.

Va altresì considerata la congruità del termine previsto (30 giugno 2014) per eseguire i suddetti adempimenti rispetto alla data di entrata in vigore del decreto-legge, di cui è in corso l’iter di conversione.

Viene infine individuata nel 31 dicembre 2016 (anziché nel 31 ottobre 2015) la data per il trasferimento, in regime di esenzione fiscale, alla città metropolitana e alla nuova provincia di Monza e di Brianza delle partecipazioni azionarie originariamente detenute dalla provincia di Milano e dalla provincia di Monza e Brianza, dopo il trasferimento alla regione Lombardia operato in base alle suesposte disposizioni.

 

La lettera c) disciplina le modalità per procedere al subentro nelle partecipazioni azionarie in questione.

In particolare, viene precisato che il subentro avviene a titolo gratuito, ferma restando l’appostazione contabile del relativo valore. La valutazione e l’accertamento del valore delle partecipazioni riferito alle due fasi – ovvero il momento del subentro della Regione nelle partecipazioni e il momento del trasferimento alla città metropolitana (recte: alla città metropolitana e alla provincia di Monza e Brianza) – viene effettuata con perizia resa da uno o più esperti nominati dal Presidente del Tribunale di Milano tra gli iscritti all’apposito Albo dei periti.

Gli oneri delle attività di valutazione e accertamento sono posti, in pari misura, a carico della Regione Lombardia e della città metropolitana (non invece a carico della provincia di Monza e Brianza), fermo restando che non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Il valore rivestito dalle partecipazioni al momento del subentro della Regione Lombardia è quanto dovuto, rispettivamente, alla città metropolitana e alla nuova Provincia di Monza e Brianza.

L’eventuale differenza tra il valore rivestito dalle partecipazioni al momento del trasferimento, rispettivamente, alla città metropolitana e alla nuova Provincia di Monza e Brianza e quello accertato al momento del subentro da parte della Regione Lombardia costituisce il saldo, positivo o negativo, del trasferimento delle medesime partecipazioni a favore della città metropolitana e della nuova Provincia, che sarà oggetto di regolazione tra le parti. La disposizione in esame non determina dunque chi beneficerà dell’eventuale saldo positivo e chi si farà carico dell’eventuale saldo negativo, rimettendo la questione all’accordo tra le parti.

 

Per quanto riguarda gli organi delle società coinvolte da tale procedura, il nuovo comma 49-ter dispone la decadenza – che ha effetto dal momento della ricostituzione dei nuovi organi - dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo di dette società contestualmente al subentro della regione Lombardia (anche mediante società dalla stessa controllate) nelle società partecipate dalla provincia di Milano e dalla provincia di Monza e della Brianza; alla ricostituzione di tali organi si provvederà nei modi e termini che previsti dalla legge e dagli statuti sociali.

 

Per la nomina di detti organi sociali si applicano le disposizioni di cui al co. 5 dell’art. 4 del D.L. 95/2012, che disciplinano la nomina dei consigli di amministrazione delle società a partecipazione pubblica, prevendo in particolare che debbano essere composti da tre o cinque membri, tenendo conto della rilevanza e della complessità delle attività svolte, scelti sulla base di alcuni criteri ivi stabiliti. Vengono altresì richiamate le previsioni del co. 4 dell’art. 4 del D.L. 95/2012 che indicano, come regola generale, il numero di tre membri per la composizione dei consiglio di amministrazione, nel rispetto di determinati requisiti.

 

La disposizione in esame prevede dunque la decadenza di organi di società private anche nel caso in cui l’ente territoriale detenga una partecipazione minoritaria, come può avvenire per le società partecipate dalla provincia di Monza e Brianza.

 

Le medesime previsioni riguardanti la decadenza degli organi societari si applicano alla fase successiva, stabilendosi che coloro che sono stati nominati a seguito del subentro della regione Lombardia decadono contestualmente al successivo trasferimento delle relative partecipazioni in favore della città metropolitana e della nuova Provincia (fermo restando che la decadenza ha effetto dal momento della ricostituzione dei nuovi organi). Alla ricostituzione di detti organi si provvederà nei modi e termini previsti dalla legge e dagli statuti sociali.

 

La lettera d) interviene sulla disciplina della costituzione degli organi della provincia in sede di prima applicazione, prevedendo espressamente che le scadenze di cui al comma 79 dell’art. 1 (v. infra) sull’indizione dell’elezione, riguardino il presidente della provincia oltre che il consiglio provinciale. Viene inoltre chiarito che entro i termini previsti debba aver luogo non solo l’indizione ma anche lo svolgimento delle elezioni.

La disposizione richiama quindi i commi da 58 a 78 dell’art. 1 i quali disciplinano l’elezione del presidente della provincia (commi da 58 a 66) e l’elezione del consiglio provinciale (commi 67-78).

 

L’elezione del presidente della provincia è di secondo grado, essendo eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia. Hanno elettorato passivo i sindaci della provincia il cui mandato non scada prima di 18 mesi dalla data delle elezioni. Il voto è ponderato e ciascuna elettore vota per un solo candidato. Il presidente della provincia dura in carica 4 anni e decade in caso di cessazione dalla carica di sindaco (commi 58-65, art. 1 L. 56/2014).

 

Si ricorda che in sede di prima applicazione (in cui sono eleggibili anche i consiglieri provinciali uscenti) il comma 79 dell’art. 1 L. 56/2014 prevede che l’elezione è indetta:

§  entro il 30 settembre 2014 per le province i cui organi scadono per fine mandato nel 2014.

Nella prima fase, il nuovo Consiglio ha il compito di preparare le modifiche statutarie previste dalla riforma, che dovranno essere approvate dall'Assemblea dei sindaci entro il successivo 31 dicembre 2014; si applica la procedura per l’esercizio del potere sostitutivo in caso di mancata approvazione delle modifiche statutarie entro il 30 giugno 2015 (comma 81).

§  entro trenta giorni dalla scadenza per fine mandato o dalla decadenza o scioglimento anticipato degli organi provinciali, qualora tali eventi si verifichino dal 2015 in poi.

L'assemblea dei sindaci ha sei mesi di tempo a decorrere dall'insediamento del consiglio provinciale per approvare le modifiche statutarie necessarie; altrimenti, si applica la procedura per l’esercizio del potere sostitutivo (comma 83).

 

La lettera e) abroga, di conseguenza, le disposizioni del comma 81 (secondo e terzo periodo) che fanno riferimento all’elezione del presidente della provincia (essendo, in base alle previsioni della suddetta lettera d), ricomprese nel citato comma 79).

Tali disposizioni prevedevano, in sede di prima applicazione, l’elezione del presidente della provincia entro il 31 dicembre 2014.

Esse contemplavano altresì l’eleggibilità a presidente della provincia, limitatamente alle prime elezioni, dei consiglieri provinciali uscenti. Tale eleggibilità peraltro sembrerebbe confermata in forza del comma 80, che la prevede per tutte le elezioni del comma 79, tra le quali è ora compresa anche quella del presidente della provincia.

 

La lettera f) reca alcune modifiche al comma 82, il quale prevede che fino all'insediamento del nuovo Presidente della provincia e, in ogni caso, “non oltre il 31 dicembre 2014” restano in carica a titolo gratuito ed ai fini dell'ordinaria amministrazione e per gli atti indifferibili ed urgenti, assumendo anche le funzioni del consiglio provinciale, il Presidente della provincia in carica alla data di entrata in vigore della legge ovvero - qualora si tratti di provincia commissariata - il commissario, nonché la giunta provinciale.

Le modifiche apportate dalla lettera f) sopprimono il riferimento al termine ultimo del 31 dicembre 2014 (termine superato dalle modifiche apportate dalla lettera d)) e specificano che le suddette disposizioni riguardano il presidente della provincia in carica ovvero, “in tutti i casi”, qualora la provincia sia commissariata, il commissario, chiarendo altresì, riguardo a quest’ultimo, che l’assunzione delle predette funzioni avviene “a partire dal 1° luglio 2014”.

La lettera f) modifica inoltre il comma 14, nella parte in cui dispone la proroga sino al 31 dicembre 2014 dei commissariamenti delle province cui subentreranno le città metropolitane, prevedendo che alla proroga si applicano le disposizioni dell’esaminato comma 82, sui commissariamenti delle province cui non cui subentreranno le città metropolitane.

 

La lettera g) prevede che gli eventuali incarichi commissariali, successivi all’entrata in vigore della legge n. 56/2014, su città metropolitane e province, sono comunque esercitati a titolo gratuito.

Nella formulazione della lettera g) sarebbe opportuno chiarire, per evitare incertezze in sede applicativa, se la gratuità si riferisca agli incarichi conferiti successivamente all’entrata in vigore della legge n. 56/2014 o a tutti gli incarichi commissariali o ancora a tutti gli incarichi commissariali con riferimento alle nuove funzioni assegnate dalla legge n. 56/2014 (e quindi dal 1° luglio 2014).

 

Si ricorda, infine, che la legge 56/2014 è stata recentemente oggetto di alcune modifiche disposte dall’articolo 19, commi 01 e 1, del D.L. 66/2014, come modificato nel corso dell’iter di conversione.

In particolare, è stata soppressa la previsione, nell’ambito del procedimento di istituzione delle città metropolitane, di una conferenza statutaria incaricata di redigere, entro il 30 settembre 2014, una proposta di statuto della città metropolitana (comma 01, lettera a), che abroga il comma 13 dell’art. 1 L. 56/2014). La conferenza avrebbe dovuto essere costituita da un numero di componenti pari a quelli previsti per il consiglio metropolitano ed eletta secondo le disposizioni previste per il consiglio metropolitano medesimo (elezioni di secondo grado, con diritto di elettorato attivo e passivo dei sindaci e consiglieri comunali). Secondo la relazione illustrativa dell’emendamento del Governo approvato al Senato nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione del D.L. 66/2914, la soppressione della conferenza statutaria è dovuta al fatto che tale conferenza era inizialmente legata all’ipotesi di consentire ai comuni di esercitare la scelta di far parte o meno della città metropolitana, ipotesi contemplata nel testo approvato dalla Camera ma poi soppressa dal Senato.

In secondo luogo, si è intervenuti sulla disciplina della gratuità degli incarichi di sindaco metropolitano, di consigliere metropolitano e di componente della conferenza metropolitana, specificando che gli oneri connessi con le attività in materia di status degli amministratori, relativi ai permessi retribuiti e agli oneri previdenziali, assistenziali ed assicurativi, restano a carico della città metropolitana (comma 01, lettera c), che modifica l’art. 24 L. 56/2014). Uguale disciplina è dettata per il presidente della provincia e i componenti della giunta provinciale, che restano in carica, a titolo gratuito, nella fase transitoria di istituzione della città metropolitana. Anche in tal caso gli oneri per i permessi retribuiti e gli oneri previdenziali, assistenziali ed assicurativi restano a carico della provincia.

 

 

 


 

Articolo 24
(Agenda per la semplificazione amministrativa)

 

 

L’articolo 24, comma 1, prevede l’adozione di un atto di programmazione concertata tra i diversi livelli di governo delle misure di semplificazione amministrativa da attuare nel prossimo triennio.

 

Si tratta dell’Agenda per la semplificazione per il triennio 2015-2017, che il Consiglio dei Ministri deve approvare entro il 31 ottobre 2014, previa intesa con la Conferenza unificata.

L’agenda deve contenere le linee di indirizzo in materia di semplificazione amministrativa, comuni a Stato, regioni e autonomie locali, nonché il cronoprogramma per l’attuazione delle relative misure.

 

In relazione ai lavori legislativi in corso, si segnala che l’articolo 7, comma 2 del disegno di legge S. 958, recante Misure di semplificazione degli adempimenti per i cittadini e le imprese e di riordino normativo, di cui il Senato ha avviato l’esame, prevede l’introduzione a regime di un’agenda della semplificazione a cadenza annuale.

 

Il comma 1 della disposizione individua quale contenuto necessario dell’Agenda la previsione di accordi ed intese con le regioni volte a coordinare le attività delle amministrazioni interessate, anche con riferimento alla prosecuzione dell’attuazione delle misure previste dal D.L. 5/2012 (c.d. decreto Semplifica Italia). Tali accordi dovranno anche prevedere l’istituzione di un apposito comitato interistituzionale presso la Conferenza unificata.

 

Si ricorda che nella seconda parte della XVI legislatura, il D.L. 5/2012 (conv. da L. 35/2012) ha dettato disposizioni relative ad una molteplicità di settori, tese a snellire gli oneri burocratici in favore dei cittadini e degli operatori economici, nonché a migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione.

Per quanto concerne gli strumenti di concertazione tra i diversi livelli di governo, la disposizione fa riferimento agli accordi di cui all’articolo 9 del D.lgs. 281/1997, che prevede le funzioni della Conferenza unificata, nonché alle intese di cui all’articolo 8 del L. 131/2003. In base a tale disposizione, il Governo può promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni (co. 6).

 

L’articolo in esame dispone inoltre che le singole amministrazioni statali, ove non abbiano ancora provveduto, adottano moduli unificati e standardizzati su tutto il territorio nazionale per la presentazione di istanze, dichiarazioni e segnalazioni da parte di cittadini e imprese (comma 2). A tal fine, è adottato un decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previo parere della Conferenza unificata.

 

L’adozione della modulistica comune per la presentazione alle amministrazioni regionali e locali di istanze, dichiarazioni e segnalazioni per il settore dell’edilizia e in riferimento all’avvio delle attività produttive è oggetto di accordo o intesa conclusa in sede di Conferenza unificata (comma 3).

In tale modo, la disposizione amplia l’utilizzo del modulo unificato e standardizzato che è già previsto da singole normative di settore e, in altri casi, è in fase di sperimentazione.

 

Nel sito web del Dipartimento della Funzione pubblica[77] viene ricordato che, con l'accordo “Italia Semplice” siglato il 12 giugno 2014 tra Governo, Regioni ed enti locali, sono stati adottati i moduli unificati e semplificati per la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) in edilizia e il permesso di costruire.

Per quanto concerne la modulistica standardizzata per l’avvio di attività produttive, già il decreto di riordino della disciplina sullo sportello unico (DPR 160/2010, articolo 12, commi 3 e 4) prevedeva che il Governo, le Regioni e gli Enti locali, con gli accordi relativi alla gestione del sistema di sportelli unici,  puntassero anche all’unificazione, quantomeno in ambito regionale, della modulistica delle amministrazioni responsabili dei sub-procedimenti, nonché alla definizione di criteri minimi di omogeneità della modulistica a livello nazionale. Fino alla definizione dei criteri minimi di omogeneità della modulistica, i soggetti interessati utilizzano gli strumenti messi a disposizione dal portale www.impresainungiorno.gov.it, che si potrà avvalere di quanto predisposto dagli sportelli unici delle attività produttive (SUAP) già operativi.

Attualmente, dunque, in mancanza della modulistica predisposta dal SUAP e dalle amministrazioni comunque coinvolte nel procedimento, il soggetto interessato utilizza gli strumenti messi a disposizione dal portale per il territorio di competenza regionale, previa validazione adottata con provvedimento del Ministero dello sviluppo economico, sentite le amministrazioni statali e regionali per i procedimenti di rispettiva competenza (D.M. 10 novembre 2011, recante Misure per l'attuazione dello sportello unico per le attività produttive).

 

Con una disposizione puramente ricognitiva degli ambiti di competenza legislativa dello Stato, il comma 4 stabilisce che gli accordi conclusi in sede di Conferenza unificata sono tesi ad assicurare la libera concorrenza (art. 117, secondo comma, lett. e), Cost.), costituiscono livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.), assicurano il coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale (art. 117, secondo comma, lett. r), Cost.).

 

Per quanto riguarda la giurisprudenza costituzionale, con la sentenza n. 15 del 2010, la Corte ha dichiarato le disposizioni volte alla semplificazione ed al riordino della disciplina dello sportello unico per le attività produttive rientrano nella materia affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. r), della Costituzione, del «coordinamento informativo statistico ed informatico dei dati della amministrazione statale, regionale e locale».

Si tratta di un’esigenza che è stata avvertita anche in sede comunitaria, di talché l’art. 6 della direttiva 2006/123/CE ha previsto al paragrafo 1 che «Gli Stati membri provvedono affinché i prestatori possano espletare le procedure e le formalità seguenti, mediante i punti di contatto denominati sportelli unici: a) tutte le procedure e le formalità necessarie per poter svolgere le loro attività di servizi, in particolare le dichiarazioni, notifiche o istanze necessarie ad ottenere l’autorizzazione delle autorità competenti, ivi comprese le domande di inserimento in registri, ruoli, banche dati, o di iscrizione ad organismi o ordini ovvero associazioni professionali; b) le domande di autorizzazione necessarie all’esercizio delle loro attività di servizi».

Palese è secondo la Corte, la funzione di coordinamento perseguita dalla normativa che disciplina compiti e funzionamento dello “sportello unico per le imprese”, attraverso la istituzione di un procedimento amministrativo uniforme volto a consentire ai soggetti in possesso dei requisiti di legge la intrapresa della attività economica. Ciò non solo al fine di garantire, attraverso la uniformità e la ragionevole snellezza del procedimento, la maggiore trasparenza ed accessibilità del mercato, sì da assicurare le migliori condizioni di concorrenza, ma anche al fine di dare contenuto al precetto di cui all’art. 41 della Costituzione, il quale assegna, fra l’altro, alla legge dello Stato il compito di determinare i controlli opportuni affinché la iniziativa economica, anche privata, sia coordinata a fini sociali. Sulla base di tali argomenti la Corte ha concluso ravvisando come le istanze regionali sono adeguatamente tutelate già attraverso la necessaria acquisizione del parere della Conferenza unificata, senza che sia necessaria l’intesa.

 

 

 


 

Articolo 25
(Semplificazioni per i soggetti con invalidità)

 

 

L’articolo 25 contiene misure di semplificazione in materia di invalidità civile e disabilità. Le disposizioni sono finalizzate all’eliminazione di inutili duplicazioni e alla riduzione dei tempi di risposta della pubblica amministrazione.

 

L’intervento di semplificazione riguarda:

·        le procedure per la revisione, il rinnovo o l’estensione della patente di guida richiesta dai mutilati e minorati fisici (commi 1 e 2);

·        la regolamentazione della sosta/parcheggio degli invalidi muniti di specifico contrassegno (comma 3);

·        lo snellimento delle procedure per l’accertamento della permanenza della minorazione civile o della disabilità con riduzione dei termini obbligatori entro i quali effettuare le visite di accertamento ordinarie e provvisorie e ampliamento delle fattispecie per cui possono essere effettuati gli accertamenti provvisori (comma 4);

·        la garanzia per il disabile o l’invalido civile della continuità dell’erogazione delle provvidenze economiche nel momento del passaggio dalla minore alla maggiore età (commi 5 e 6);

·        l’esclusione, per i soggetti affetti  dalle menomazioni o dalle patologie stabilizzate o ingravescenti elencate nel D.M. 2 agosto 2007, dalle visite INPS di verifica della permanenza dello stato invalidante (commi 7 e 8);

·        la facoltà per la persona disabile affetta da invalidità uguale o superiore all'80% di non sostenere la prova preselettiva eventualmente prevista per le prove d'esame nei concorsi pubblici e per l'abilitazione alle professioni (comma 9).

 

Il comma 1 modifica la composizione delle Commissioni mediche locali costituite presso le unità sanitarie di ogni capoluogo di provincia con il compito di accertare i requisiti fisici e psichici in caso di revisione, rinnovo o estensione della patente di guida richiesta da mutilati e minorati fisici per minorazioni anatomiche o funzionali a carico degli arti o della colonna vertebrale. Finora,  in questi casi, la composizione della commissione veniva integrata con un medico appartenente ai servizi territoriali della riabilitazione, nonché con un dipendente della Direzione generale della motorizzazione del Dipartimento per i trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici, appartenente ad uno dei profili per i quali è richiesta la laurea in ingegneria.

La disposizione in esame aggiunge ai componenti della Commissione anche un rappresentante designato dalle Associazioni di persone con invalidità, esperto in materia, che partecipa ai lavori della Commissione a titolo gratuito.

L’intervento legislativo interviene integrando l’articolo 330, comma 5 del Regolamento di attuazione e di esecuzione del Nuovo Codice della strada (D.P.R. 495/1992[78]).

 

Il comma 2 semplifica le procedure relative al rinnovo della patente di guida per i mutilati e i minorati.

Si ricorda che le patenti speciali sono rilasciate, ai sensi dell’articolo 116, comma 5, del Codice della strada (D.Lgs. 285/1992), ai mutilati ed ai minorati fisici, anche se affetti da più minorazioni, e che possono essere limitate alla guida di veicoli di particolari tipi e caratteristiche, nonché con determinate prescrizioni. I termini di rinnovo di tali patenti sono inferiori rispetto a quelli delle patenti ordinarie: cinque anni, anziché dieci, ridotti a tre a partire dal settantesimo anno di età. Il rinnovo è subordinato all'accertamento dei requisiti fisici e psichici del conducente, effettuato dalle commissioni mediche locali. E’ anche previsto il rilascio di un permesso di guida provvisorio, valido sino all’esito delle procedure di rinnovo, per i titolari di patente di guida speciale in fase di rinnovo.

 

La nuova disposizione prevede che i rinnovi della patente di guida possano essere effettuati secondo le ordinarie procedure, previste dal comma 2 dell’art. 119, cioè dall'ufficio della unità sanitaria locale territorialmente competente cui sono attribuite funzioni in materia medico-legale o da uno degli altri medici espressamente indicati dalla norma e con la durata normalmente prevista per le diverse categorie. La norma prevede che ciò possa avvenire qualora le Commissioni mediche legali, all’esito della visita di accertamento dei requisiti fisici e psichici per il conseguimento della patente di guida da parte di mutilati e minorati, certifichino che il conducente presenta situazioni di mutilazione o minorazione fisica stabilizzate e non suscettibili di aggravamento, e in assenza di modifica delle prescrizioni o delle limitazioni in atto.

L’intervento legislativo avviene aggiungendo un periodo al testo dell’articolo 119, comma 4, lettera a) del Codice della strada.

Attualmente la durata della patente di guida, regolamentata dall’articolo 126 del Codice della strada, è di 10 anni per gli autoveicoli e motoveicoli delle categorie AM, A1, A2, A, B1, B e BE (5 anni oltre il cinquantesimo anno di età e 3 anni oltre il settantesimo anno di età), mentre è inferiore e pari a 5 anni, 3 anni o 2 anni per le altre categorie (autobus, veicoli per il trasporto merci, etc.), a seconda della sussistenza di determinati requisiti.

L’articolo 119 stabilisce in particolare che l’accertamento dei requisiti psichici e fisici sia effettuato da commissioni mediche locali, costituite dai competenti organi regionali, ovvero dalle province autonome di Trento e Bolzano, che provvedono altresì alla nomina dei rispettivi presidenti, per una serie di soggetti, fra cui i mutilati e i minorati fisici, per i quali tale accertamento è ritenuto indispensabile. Inoltre, nel caso in cui il giudizio di idoneità non possa essere formulato in base ai soli accertamenti clinici, la norma prevede che si debba procedere anche ad una prova pratica di guida su veicolo adattato in relazione alle particolari esigenze.

Al riguardo l’articolo 330 del Regolamento di attuazione del Codice della strada prevede che le commissioni mediche locali sono costituite con provvedimento del presidente della regione o delle province autonome di Trento e di Bolzano, presso i servizi dell'Azienda sanitaria locale, che svolgono funzioni in materia medico-legale.

 

Il comma 3 modifica la disciplina dedicata alla sosta degli invalidi muniti di specifico contrassegno. 

L’intervento di semplificazione obbliga i comuni a lasciare a disposizione degli invalidi muniti di contrassegno, un numero di posti per la sosta gratuita superiore al limite minimo di un 1 posto ogni 50 o frazione di 50 posti disponibili[79], anche nell'ambito delle aree destinate al parcheggio a pagamento gestite in concessione. Visto l’incremento di posti disponibili per la sosta dei disabili che dovrebbe crearsi, passa invece da obbligatorio a facoltativo la decisione dei comuni, di rendere gratuita, per gli invalidi muniti di contrassegno,  la sosta nei parcheggi a pagamento qualora i posti singoli  a loro riservati fossero occupati o indisponibili.

 

Il comma 4 snellisce le procedure per l’accertamento della permanenza della minorazione civile o della disabilità con riduzione dei termini obbligatori entro i quali effettuare le visite di accertamento ordinarie e provvisorie e ampliamento delle fattispecie per cui possono essere effettuati gli accertamenti provvisori. L’intervento viene attuato modificando in più parti l’articolo 2 del decreto legge 324/1993[80].

In particolare la lettera a) modifica il comma 2 dell’articolo 2 portando da 90 a 45 giorni, il termine  entro il quale gli accertamenti di invalidità, se non effettuati dalla Commissione medica per l’accertamento dell’invalidità[81], possono essere effettuati, in via provvisoria, da un medico specialista nella patologia denunciata, in servizio presso l'unità sanitaria locale da cui è assistito l'interessato.

Inoltre, mentre a legislazione previgente, gli accertamenti provvisori potevano essere effettuati solo per le agevolazioni previste dall’articolo 33 della legge 104/1992[82] in materia di assistenza a soggetti disabili con connotazione di gravità, con l’intervento in esame potranno essere effettuati anche per:

·        il diritto alla scelta prioritaria nell'assegnazione di sede, riconosciuto alle persone disabili dall'articolo 21 della legge 104/992;

·        riposi e permessi per i figli disabili di cui all’articolo 42 del D.Lgs. 151/2001[83].

La lettera b) abbassa da centottanta a novanta giorni il termine entro il quale le Commissioni mediche devono esprimersi in merito agli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell'intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale residua di cui all'articolo 4 della legge 104/1992. L’intervento avviene con la modifica del comma 3-bis.

Infine la lettera c) inserisce il comma 3-quater nel corpo dell’articolo 2. La norma di coordinamento specifica che, ai fini delle agevolazioni lavorative previste dagli articoli 21 e 33 della legge 104/1992, e dall'articolo 42 del D.Lgs. 151/2001, la Commissione medica competente, previa richiesta motivata dell'interessato, è autorizzata a rilasciare un certificato provvisorio al termine della visita. Il certificato provvisorio produce effetto fino all'emissione dell'accertamento definitivo da parte della Commissione medica dell'INPS.

 

Il comma 5 garantisce il riconoscimento provvisorio, ai minori già titolari di indennità di frequenza, delle prestazioni erogabili agli invalidi maggiorenni. La domanda in via amministrativa deve essere presentata entro i sei mesi antecedenti il compimento della maggiore età. Rimane fermo, al raggiungimento della maggiore età, l'accertamento delle condizioni sanitarie e degli altri requisiti previsti dalla normativa di settore.

 

Il comma 6 garantisce, nel passaggio dalla minore alla maggiore età, la continuità dell’erogazione delle prestazioni di invalidità civile.

Ferma restando la sussistenza degli altri requisiti previsti dalla normativa di settore, previa domanda in via amministrativa e senza ulteriori accertamenti sanitari, le prestazioni erogabili agli invalidi maggiorenni sono direttamente attribuite ai minori titolari di:

1.     indennità di accompagnamento per invalidi civili di cui alla legge 11 febbraio 1980, n. 18, Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili;

2.     indennità di accompagnamento per ciechi civili di cui alla legge 28 marzo 1968, n. 406, Norme per la concessione di una indennità di accompagnamento ai ciechi assoluti assistiti dall'Opera nazionale ciechi civili e alla legge 27 maggio 1970, n. 382, Disposizioni in materia di assistenza ai ciechi civili;

3.     indennità di comunicazione di cui all'articolo 4 della legge 21 novembre 1988, n. 508;

4.     indennità di accompagnamento o di comunicazione erogata ai soggetti affetti da una delle patologie indicate nel Decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 2 agosto 2007[84] (inclusi i soggetti affetti da sindrome da talidomide o da sindrome di Down) riconosciuti dalle Commissioni mediche[85].

 

Il comma 7 sopprime le parole "che hanno ottenuto il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento o di comunicazione” dall'articolo 42-ter, comma 1, del decreto legge 69/ 2013 che semplifica le procedure di verifica sulla permanenza dello stato invalidante da parte dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS).

Con la soppressione operata, sono esclusi dalle visite INPS di verifica della permanenza dello stato invalidante i soggetti affetti da una delle patologie indicate nel Decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 2 agosto 2007[86] (inclusi i soggetti affetti da sindrome da talidomide o da sindrome di Down), per i quali gli uffici competenti abbiano già accertato l’esistenza della patologia.

 

Sopprimendo il primo periodo del comma 2 dell'articolo 97[87], Interventi a favore dei cittadini affetti dal morbo di Hansen e dalla sindrome di Down nonché disabili, della legge finanziaria 2001 (legge 388/2000), il comma 8 lascia al solo D.M. 2 agosto 2007 l’individuazione delle patologie e delle menomazioni per le quali non sono richieste le visite mediche periodiche di accertamento della disabilità. Il D.M. del 2007 indica anche la documentazione sanitaria idonea a comprovare la minorazione.

 

Il comma 9 stabilisce che la persona affetta da invalidità uguale o superiore all'80% non è tenuta a sostenere la prova preselettiva eventualmente prevista per le prove d'esame nei concorsi pubblici e per l'abilitazione alle professioni. L’intervento legislativo è attuato inserendo il comma 2-bis nel corpo dell’articolo 20 della legge 104/1992.

 

 


 

Articolo 26
(Semplificazione per la prescrizione dei medicinali per il trattamento di patologie croniche)

 

 

L’articolo 26 semplifica le procedure prescrittive dei medicinali utilizzati per il trattamento delle patologie croniche e delle malattie rare. Con l’intervento di semplificazione:

1.     il numero massimo delle confezioni prescrivibili passa da tre a sei;

2.     il periodo di durata della prescrizione, che finora non poteva superare i 60 giorni, non può superare i 180 giorni di terapia.

 

L’articolo 9 del decreto legge 347/2001[88] stabilisce il numero di confezioni farmaceutiche prescrivibili per singola ricetta. In particolare, il comma 1, fissa le condizioni per la dispensazione dei farmaci ai pazienti affetti da patologie croniche, accertate ai sensi del DM 329/1999[89], e ai pazienti affetti dalle malattie rare, elencate negli allegati al D.M. 279/2001[90]. Attualmente, ai fini dell’esenzione sono individuate 56 malattie e condizioni croniche ed invalidanti, esenti ai sensi del D.M. 329/1999, e 284 malattie e 47 gruppi di malattie rare, esenti ai sensi del D.M. 279/2001.

Finora, il numero massimo di confezioni per ricetta (a favore degli esenti per malattia) era pari a tre, e comunque la prescrizione non poteva superare i 60 giorni di terapia. La prescrizione fino a sei pezzi per ricetta (pluriprescrizione) era consentita soltanto per i medicinali a base di antibiotici in confezione monodose, i medicinali a base di interferone a favore dei soggetti affetti da epatite cronica e i medicinali somministrati esclusivamente per fleboclisi.

Un ulteriore intervento di semplificazione in materia è stato stabilito dall’articolo 4 del decreto legge 5/2012[91] "Semplifica Italia" che ha reso molto più snella, per malati cronici e i disabili, la procedura per i rinnovi degli attestati di esenzione dal ticket[92].

 

L’intervento legislativo è attuato introducendo il comma 1-bis nel corpo dell’articolo 9, Numero di confezioni prescrivibili per singola ricetta, del decreto legge 347/2001[93].

L’introdotto comma 1-bis stabilisce che, in attesa della sostituzione, sull’intero territorio nazionale, della ricetta cartacea con la ricetta elettronica, il medico può prescrivere fino ad un massimo di sei confezioni, per ricetta, di medicinali da utilizzare per le patologie croniche e per le malattie rare. I farmaci prescritti devono essere utilizzati dal paziente, da almeno sei mesi. La durata della prescrizione non può comunque superare i 180 giorni di terapia.

 

Con D.M. 2 novembre 2011, in applicazione dell'art. 11, co. 16, del decreto legge 78/2010, è stato approvato il disciplinare tecnico per la dematerializzazione della ricetta medica ed è stato stabilito che la diffusione, presso le singole Regioni, della ricetta elettronica sia definita mediante accordi specifici tra il Ministero dell'Economia e delle Finanze, il Ministero della Salute e le singole Regioni, tenuto conto delle infrastrutture regionali già realizzate[94].

Con il passaggio alla ricetta dematerializzata, i medici non ricevono più blocchi di ricette cartacee, bensì solo una serie di numeri, corrispondenti ai numeri delle ricette elettroniche (NRE) assegnati alle ASL. Per prescrivere un farmaco, il medico si connette al sistema di riferimento e, dopo essersi identificato, effettua la prescrizione on line utilizzando uno degli NRE a lui assegnati, a cui associa il codice fiscale dell’assistito. Il sistema valida il codice fiscale e tutte le informazioni di esenzione (per reddito e/o per patologia) e a questo punto, il medico completa la ricetta con la prescrizione del farmaco. Come ultimo passaggio, il medico può stampare e consegnare all’assistito un promemoria. Sottoscrivendo il consenso per rendere visibili alle farmacie i dati sulle prescrizioni di medicinali, i cittadini possono ritirare i farmaci utilizzando unicamente la tessera sanitaria. Nel caso in cui il cittadino non abbia rilasciato il consenso, i farmaci devono essere ritirati esibendo la tessera sanitaria e il promemoria sul quale è indicata la prescrizione del medico. Il vantaggio della ricetta elettronica risulta più evidente per i cittadini affetti da patologie croniche e/rare che necessitano di prescrizioni ripetitive: con la ricetta dematerializzata si possono infatti evitare le attese per il ritiro delle ricette dei farmaci abitualmente assunti.

 


 

Articolo 27
(Semplificazione e razionalizzazione in materia sanitaria)

 

 

L’articolo 27 detta alcune modifiche a disposizioni vigenti in ambito sanitario.

L’intervento legislativo è attuato con una modifica all’articolo 3 del decreto legge 158/2012[95] che ha posto l’assicurazione obbligatoria in capo all’esercente le professioni sanitarie.

 

Il comma 1 modifica la recente disciplina in materia di responsabilità professionale dell’esercente le professioni sanitarie. In particolare vengono modificate  alcune delle norme relative al Fondo assicurativo istituito a garanzia delle professioni sanitarie. Viene inoltre ribadito che l’obbligo di stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale, non trova applicazione nei confronti del professionista sanitario che opera nell'ambito di un rapporto di lavoro alle dipendenze del Servizio sanitario nazionale.

 

Le norme in esame specificano che:

·        l’esercente le professioni sanitarie è tenuto a stipulare idonea polizza assicurativa per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale. Tale obbligo non trova applicazione nei confronti del solo professionista sanitario che opera nell'ambito di un rapporto di lavoro dipendente con il Servizio sanitario nazionale;

·        la copertura assicurativa è garantita da un apposito Fondo, nei limiti delle risorse dello stesso Fondo;

·        le risorse del Fondo sono costituite in base alle misure contributive stabilite dal soggetto gestore del Fondo e non, come precedentemente stabilito, in misura definita in sede di contrattazione collettiva.

 

Si ricorda che l’articolo 3 del decreto legge 158/2012 ha demandato ad un D.P.R (regolamento di attuazione) la precisazione del contenuto minimo delle polizze assicurative. Il regolamento, che doveva essere emanato entro il 30 giugno 2014[96], aveva il compito di stabilire e precisare:

a) i casi, in base a categorie di rischio professionale definite, per i quali prevedere l’obbligo di copertura assicurativa. L’obbligo è collegato all’istituzione di un Fondo appositamente costituito, alimentato dal contributo dei professionisti che ne facciano espressa richiesta e da un ulteriore contributo a carico delle imprese autorizzate all’esercizio dell’assicurazione per danni derivanti dall’attività medico professionale. Finora la determinazione della misura del contributo dei professionisti doveva essere definita in sede di contrattazione collettiva;

b) il soggetto gestore del Fondo e le sue competenze;

c) le condizioni di stipulazione: alla scadenza del contratto la variazione in aumento o diminuzione del premio in relazione al verificarsi o meno di sinistri, subordinando la disdetta della polizza alla reiterazione di una condotta colposa del sanitario accertata con sentenza passata in giudicato.

 

Il comma 1, lettere a) e b), modifica ora l’articolo 3 del decreto legge 158/2012 nella parte dedicata al contenuto minimo e ai requisiti delle polizze assicurative. In particolare, si prevede che:

·      la copertura assicurativa sia contenuta nei limiti delle risorse del Fondo - anche per assicurare il rispetto della clausola di invarianza degli oneri finanziari di cui al comma 6 dell’ articolo 3 del  decreto legge 158/2012;

·      la misura del contributo dei professionisti al finanziamento del fondo venga determinata dal soggetto gestore del fondo anziché, come attualmente previsto, in sede di contrattazione collettiva. A tale proposito la relazione illustrativa sottolinea che il ricorso alla contrattazione collettiva potrebbe allungare sensibilmente i tempi di emanazione del regolamento di attuazione, con il rischio che il mancato accordo delle OOSS interessate finisca per rendere inapplicabile il decreto.

 

La lettera c) interviene sul comma 4 dell’articolo 3 del decreto legge 158/2012 il quale prevedeva l’esclusione, a carico degli enti del SSN, di qualsiasi copertura assicurativa della responsabilità civile ulteriore rispetto a quella prevista, per il relativo personale, dalla normativa contrattuale vigente.

 

Con l’integrazione proposta dalla lettera in esame viene ribadito che l’obbligo per qualunque professionista di stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale[97], non trova applicazione nei confronti del professionista sanitario che opera nell'ambito di un rapporto di lavoro dipendente con il Servizio sanitario nazionale. Conseguentemente, decade l’obbligo per gli esercenti sanitari dipendenti del SSN di sottoscrivere una polizza di Responsabilità Civile Professionale entro il termine ultimo del 15 agosto 2014[98].

 

L’articolo 3, comma 5, lettera e) del decreto legge 138/2011[99] stabilisce, a tutela del cliente, che qualunque professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell'assunzione dell'incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale.

 

Il comma 2, semplifica le procedure necessarie per la realizzazione di strutture sanitarie e socio sanitarie. Il comune non dovrà più acquisire la verifica di compatibilità del progetto da parte della regione; verifica da effettuarsi in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di meglio garantire l’accessibilità ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove strutture.

L’intervento legislativo è attuato mediante la soppressione del comma 3 dell’articolo 8-ter del D.Lgs. 502/1992[100].

 

In particolare, l’articolo 8-ter sottopone ad un regime di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio le strutture sanitarie e socio sanitarie private, che, “erogano prestazioni di assistenza specialistica in regime ambulatoriale” ed erogano prestazioni in regime di ricovero ospedaliero o in regime residenziale e semiresidenziale. Sono invece soggette all'autorizzazione al solo esercizio le attività di assistenza domiciliare, gli studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie, se attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, nonché le strutture esclusivamente dedicate ad attività diagnostiche. Il comma 3 prevede che per la realizzazione di strutture sanitarie il Comune acquisisca, nell’esercizio delle proprie competenze in materia di autorizzazioni e concessioni, la verifica di compatibilità del progetto da parte della Regione, verifica che deve essere effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale.

Sul punto erano già intervenuti il Consiglio di Stato ( con la sentenze n. 4788/ 2013 relativa alla regione Sardegna e n. 550/2013 relativa alla regione Lazio) nonché la segnalazione AGCM AS 852 del 18 luglio 2011.

 

I commi 3 e 4 incidono sulla composizione del Consiglio superiore di sanità, di cui all’articolo 7 del D.P.R. 28 marzo 2013, n. 44, allo scopo di operarne un’ulteriore razionalizzazione, riducendo da quaranta a trenta i componenti non di diritto dell’organo (comma 3).

Viene poi contestualmente previsto (comma 4) che, al trentesimo giorno dalla data di entrata in vigore del decreto in esame, tutti i componenti in carica del Consiglio decadano automaticamente e che con decreto del Ministro della salute l’organo venga ricostituito nella nuova composizione prevista.

 

L’articolo 7 del citato D.P.R. n. 44/2013 – nella formulazione precedente alla modifica apportata dal decreto-legge in esame - prevede che il Consiglio superiore di sanità sia costituito da quaranta componenti non di diritto e dai componenti di diritto di cui al comma 3, nominati con decreto del Ministro della salute. Il Consiglio è organo consultivo e tecnico del Ministro della salute e svolge le funzioni di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266, e le altre attribuitegli dalla normativa vigente.

I componenti non di diritto del Consiglio superiore di sanità sono individuati tra docenti universitari, dirigenti di struttura complessa del Servizio sanitario nazionale, soggetti particolarmente qualificati nelle materie attinenti alle competenze istituzionali del Consiglio stesso e tra appartenenti alla magistratura ordinaria, amministrativa, contabile e agli avvocati dello Stato.

Sono componenti di diritto del Consiglio superiore di sanità i dirigenti generali preposti ai dipartimenti ed alle direzioni generali del Ministero della salute, il presidente dell'Istituto superiore di sanità, i direttori del Centro nazionale sangue e del Centro nazionale trapianti, il direttore dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali, il direttore generale dell'Agenzia italiana del farmaco, l'Ispettore generale della sanità militare presso lo Stato Maggiore della difesa, il presidente del Comitato scientifico permanente del CCM, il presidente della Federazione nazionale ordini medici chirurghi e odontoiatri (FNOM CeO), il presidente della Federazione ordini farmacisti italiani (FOFI), il presidente della Federazione nazionale collegi infermieri (IPASVI), il presidente della Federazione nazionale collegi ostetriche (FNCO), il presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine degli psicologi, il presidente della Federazione nazionale ordini veterinari italiani (FNOVI) e il presidente della Federazione nazionale collegi tecnici sanitari di radiologia medica (F.N.C.P.T.S.R.M.).

 

 


 

Articolo 28
(Riduzione del diritto annuale dovuto alle camere di commercio
a carico delle imprese
)

 

 

L’articolo 28 dimezza l’importo del diritto annuale dovuto dalle imprese alle Camera di Commercio.

 

L’articolo 18 della legge n. 580 del 1993 “Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura”, disciplina il finanziamento ordinario delle camere di commercio specificando che ad esso si provvede mediante: a) il diritto annuale come determinato ai sensi dei commi 4, 5 e 6; b) i proventi derivanti dalla gestione di attività e dalla prestazione di servizi e quelli di natura patrimoniale; c) le entrate e i contributi derivanti da leggi statali, da leggi regionali, da convenzioni o previsti in relazione alle attribuzioni delle camere di commercio; d) i diritti di segreteria sull'attività certificativa svolta e sulla iscrizione in ruoli, elenchi, registri e albi tenuti ai sensi delle disposizioni vigenti; e) i contributi volontari, i lasciti e le donazioni di cittadini o di enti pubblici e privati; f) altre entrate e altri contributi. Le camere di commercio sono inoltre destinatarie di contributi a carico del bilancio dello Stato, per l'espletamento di funzioni delegate.

La misura del diritto annuale dovuto ad ogni singola camera di commercio da parte di ogni impresa iscritta è determinata dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite l'Unioncamere e le organizzazioni di categoria, sulla base del fabbisogno necessario per l'espletamento dei servizi che il sistema delle camere di commercio è tenuto a fornire, da cui viene detratta una quota calcolata in relazione ad un obiettivo annuale di efficienza del sistema. I diritti annuali sono:

·      in misura fissa, per i soggetti iscritti al REA e per le imprese individuali iscritte al registro delle imprese,

·      commisurati al fatturato dell'esercizio precedente, per gli altri soggetti.

La misura del diritto annuale può essere incrementata dalle camere di commercio fino a un massimo del venti per cento per il cofinanziamento di specifici progetti aventi per scopo l'aumento della produzione e il miglioramento delle condizioni economiche della circoscrizione territoriale di competenza.

 

Il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, emana ogni anno un decreto per determinare le misure del diritto annuale.

Gli importi dovuti per il 2014 si evincono dalla nota n. 0201237 del 05/12/2013 del Ministero dello sviluppo economico sulle misure del diritto annuale per l'anno 2014, che a sua volta rinvia al Decreto 21 aprile 2011 del Ministero dello sviluppo economico, in quanto non si è ritenuto di aggiornare gli importi.

 

La vigilanza sulla materia del diritto annuale delle Camere di commercio è effettuata dallo stesso Ministero dello sviluppo economico, che con il decreto direttoriale 5 giugno 2014 (direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica) ha disposto la pubblicazione dei dati sulle attività economiche 2013, forniti dalle Camere di Commercio in relazione al numero delle imprese, all'indice di occupazione, al valore aggiunto e al diritto annuale.

Per l’anno 2013, il totale dell’importo del diritto annuale è pari a 780,5 milioni di euro.

 

Per l’anno 2010 (secondo l’ultima relazione fatta al Parlamento sulle attività delle Camere di Commercio) il diritto annuale rappresentava circa il 70% delle entrate del sistema camerale. Per quanto riguarda i costi, sempre per l’anno 2010, la parte strutturale era di 591 milioni di euro, mentre la parte variabile di 769,5 milioni di euro.

 

 

 


 

Articolo 29
(Nuove norme in materia di iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo
di infiltrazione mafiosa)

 

 

L’articolo 29 modifica la legge anticorruzione (legge n. 190 del 2012) nella parte in cui disciplina le c.d. white list (art. 1, comma 52), ovvero gli elenchi, tenuti dalle prefetture, di imprese non soggette a rischio di infiltrazioni mafiose.

 

Liste di imprese virtuose sono state inizialmente previste da alcuni provvedimenti speciali: dal D.L. 39/2009, per la ricostruzione post terremoto in Abruzzo; dal DL 135/2009, relativo ai lavori dell'EXPO 2015; dal D.L. 195/2009, per i lavori edilizi del Piano Straordinario Carceri.

Il primo provvedimento che ha tentato di estendere a livello generale la disciplina delle white list è stato il Decreto-legge 70/2011, Semestre Europeo (art. 4, comma 13), che ha stabilito, per l'efficacia dei controlli antimafia nei subappalti e subcontratti successivi ai contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, l'istituzione presso ogni Prefettura di un elenco di fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, ai quali possono rivolgersi gli esecutori degli appalti.

L'esigenza di prevedere liste pulite cui possono attingere, per i subappalti, le imprese che si sono aggiudicate l'appalto è derivata dalla constatazione che proprio nel subappalto, per lo più legato ad attività legate al territorio, è maggiormente possibile la penetrazione delle organizzazioni criminali (fornitura calcestruzzo, cottimi, noli a caldo e a freddo, guardianie di cantieri, smaltimenti in discarica).

Più recentemente, l'istituzione di white list è stata prevista dal D.L. 74/2012, per i lavori post-terremoto in Emilia nonché dalla legge cd. anticorruzione (legge 190/2012). In particolare, la legge n. 190, con l'articolo 1, comma 52 e seguenti, pur mantenendo inalterato l'impianto di base disegnato dall'articolo 4 del citato D.L. 70/2011, introduce due novità di rilievo:

·       la prima è costituita dal fatto che la white list è istituita per l'efficacia dei controlli antimafia sulle sole imprese operanti nei settori maggiormente a rischio di infiltrazione mafiosa. A tal fine vengono elencate le tipologie di attività d'impresa ritenute maggiormente esposte (tra cui ciclo del calcestruzzo, noli a caldo a freddo, ciclo delle cave, trasporti a discarica, cottimi, guardianie dei cantieri); si tratta, sostanzialmente, delle attività già elencate nel citato decreto-legge 74/2012 per i lavori connessi all'emergenza terremoto in Emilia e contenute nella Direttiva 23 giugno 2010 del Ministro dell'Interno;

·       la seconda novità è inerente agli effetti giuridici derivanti dall'iscrizione alla white list, che equivale all'assolvimento degli obblighi di "informazione antimafia" per l'esercizio dell'attività d'impresa ritenuta a rischio (informazione di necessaria acquisizione per appalti pubblici di valore superiore alla soglia comunitaria). Tale previsione intende evidentemente sottolineare l'effetto tipico del sistema delle white list, ossia quello deflattivo e di semplificazione degli adempimenti connessi alle verifiche antimafia.

La stessa legge anticorruzione prevede che l'elenco dei settori maggiormente a rischio di infiltrazione mafiosa possa essere aggiornato periodicamente, per tener conto di eventuali mutamenti nelle strategie criminali di acquisizione delle attività economiche.

In attuazione di questa disciplina è stato emanato il D.P.C.M. 18 aprile 2013.

 

Il comma 1 dell’articolo 29 prevede l’obbligatoria iscrizione delle imprese che operano nei settori a rischio di infiltrazioni mafiose (individuati dal comma 53 della legge 190/2012; si tratta ad esempio di attività di trasporto di materiali in discarica per conto terzi, noli a caldo e a freddo, guardianie di cantieri) negli elenchi delle imprese non soggette a rischio di infiltrazione mafiosa tenuti dalle prefetture (la prefettura competente è quella della provincia ove l'impresa ha posto la propria residenza o sede legale) e periodicamente verificati per confermare il mantenimento del possesso dei requisiti originari.

Per quelle imprese l’iscrizione alla white list - originariamente facoltativa e ora obbligatoria - assorbe i contenuti della comunicazione e dell’informazione antimafia (nuovo comma 52-bis).

 

Si ricorda che il Codice antimafia (D.Lgs 159/2011) prevede due diverse tipologie di documentazione antimafia:

·        la comunicazione antimafia, che consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di cause di decadenza, di sospensione o di divieto tipizzate ex lege e conseguenti, a loro volta, all'irrogazione con provvedimento definitivo di una misura di prevenzione o alla pendenza del relativo procedimento;

·        l'informazione antimafia, che implica, invece, un'indagine più approfondita ed un margine ulteriore di valutazione discrezionale, postulando non solo la certificazione dell'insussistenza di cause ostative tipizzate, ma l'ulteriore verifica volta all'accertamento dell'esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tesi a condizionare le scelte o gli indirizzi delle società o imprese interessate.

 

In base al comma 2, in via transitoria, e per massimo 12 mesi dall’entrata in vigore del decreto-legge, si prevede che le stazioni appaltanti possano – nei settori a rischio – procedere all’affidamento di contratti o all’autorizzazione di subcontratti ritenendo sufficiente la richiesta di iscrizione alla white list. Si presume, infatti, che l’obbligatorietà dell’iscrizione comporti un elevato numero di domande e dunque un rallentamento dei tempi per le verifiche prefettizie e si intende evitare che questo determini un rallentamento nelle procedure di affidamento dei lavori. Laddove la prefettura dovesse poi negare l’iscrizione, gli affidamenti saranno revocati, a meno che l'opera sia già in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell'interesse pubblico e il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi.

 

In base al D.P.C.M. 18 aprile 2013 l’iscrizione dura 12 mesi. Nella domanda le imprese devono solo indicare i settori di attività e il proprio indirizzo di posta elettronica. La prefettura ha 90 giorni di tempo per dare il beneplacito all'iscrizione nella white list, consultando la Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia e, in attesa della piena operatività della Banca dati antimafia, farà i controlli con i collegamenti informatici previsti dal Codice antimafia (articolo 99, comma 2-bis).

Le prefetture potranno fare controlli a campione e dovranno rendere pubbliche le white list nel proprio sito alla sezione «Amministrazione trasparente».

 

 

 


 

Articolo 30
(Unità operativa speciale per Expo 2015)

 

 

L’articolo 30 attribuisce al Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) una serie di compiti che il comma 1 definisce di alta sorveglianza e garanzia della correttezza e trasparenza delle procedure connesse alla realizzazione delle opere dell’EXPO 2015 e, a tal fine, prevede che esso si avvalga di una apposita unità operativa speciale.

Tale unità operativa è stata istituita con la delibera ANAC n. 101 del 25 giugno 2014.

Compiti e poteri attribuiti al Presidente dell’ANAC

I commi 2 e 3 dell’articolo in esame elencano nel dettaglio i compiti attribuiti, chiarendo che si aggiungono a quelli affidati all’ANAC in conseguenza della soppressione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP).

Tali compiti aggiuntivi riguardano:

§  la verifica, in via preventiva, della legittimità degli atti relativi all’affidamento ed all’esecuzione dei contratti di lavori, servizi e forniture per la realizzazione delle opere e delle attività connesse ad EXPO 2015, con particolare riguardo al rispetto delle norme in materia di trasparenza dettate dalla L. 190/2012;

La citata legge n. 190 del 2012 ha operato una valorizzazione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa in funzione di strumento per la prevenzione della corruzione, ampliandone sia l’ambito soggettivo che l’ambito oggettivo, e prevedendo una delega per il riordino delle numerose disposizioni in materia di trasparenza. In attuazione di tale delega il Governo ha emanato il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (“Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”) con cui è stata operata una sistematizzazione dei principali obblighi di pubblicazione vigenti, non limitandosi alla sola ricognizione e al coordinamento delle disposizioni già adottate, ma introducendo nuovi obblighi ed ulteriori adempimenti, oltre a quelli esistenti.

La nuova disciplina ha anche esteso l’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni in materia di trasparenza e disegnato un sistema di controlli e sanzioni sull’attuazione degli obblighi di pubblicazione. Inoltre, sono state ampliate le possibilità di controllo diffuso sull’operato della P.A., con il riconoscimento del diritto all’accesso civico, azionabile da chiunque con riferimento a tutte le informazioni e ai dati per i quali esiste l’obbligo di pubblicazione[101].

§  verifica, in via preventiva, per la parte di competenza, del corretto adempimento, da parte della Società Expo 2015 S.p.A. e delle altre stazioni appaltanti, degli accordi in materia di legalità sottoscritti con la Prefettura di Milano;

§  poteri ispettivi e di accesso alle banche dati già attribuiti all’AVCP;

La norma fa esplicito riferimento ai poteri contemplati dal comma 9, dell’art. 6 del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), nonché ai poteri di accesso alla Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia che l’art. 97 del Codice antimafia (D.Lgs. 159/2011) attribuiva, tra gli altri, anche all’AVCP.

Il comma 9 dell’art. 6 del D.Lgs. 163/2006 consentiva all’AVCP, nell'ambito della propria attività, di:

a) richiedere alle stazioni appaltanti, agli operatori economici esecutori dei contratti, alle SOA (società di attestazione), nonché ad ogni soggetto pubblico o privato che ne sia in possesso, documenti, informazioni e chiarimenti relativamente ai lavori, servizi e forniture pubblici, in corso o da iniziare, al conferimento di incarichi di progettazione, agli affidamenti;

b) disporre ispezioni, anche su richiesta motivata di chiunque ne abbia interesse, avvalendosi anche della collaborazione di altri organi dello Stato;

c) disporre perizie e analisi economiche e statistiche nonché la consultazione di esperti in ordine a qualsiasi elemento rilevante ai fini dell'istruttoria;

d) avvalersi del Corpo della Guardia di Finanza.

§  possibilità di partecipare alle riunioni della sezione specializzata del Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere presieduta dal Prefetto di Milano.

L’art. 3-quinquies, comma 1, del D.L. 135/2009 ha stabilito che il prefetto della provincia di Milano assicura il coordinamento e l’unità di indirizzo di tutte le attività finalizzate alla prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata nell’affidamento e esecuzione di contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, nonché nelle erogazioni e concessioni di provvidenze pubbliche connessi alla realizzazione dell’Expo Milano 2015. A tal fine il successivo comma 2 ha disposto che il Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere (istituito dall’articolo 180, comma 2, del Codice dei contratti pubblici), opera a immediato, diretto supporto del prefetto di Milano, attraverso una sezione specializzata istituita presso la prefettura.

Composizione dell’unità operativa speciale

Il comma 1 dell'articolo in esame prevede che l’unità operativa speciale sia composta da personale in posizione di comando, distacco o fuori ruolo, anche proveniente dal corpo della Guardia di Finanza.

Nella delibera n. 101/2014 istitutiva dell’unità operativa speciale, viene sottolineato che “in questa fase iniziale, in cui non è ancora possibile determinare in modo preciso l’entità dell’impegno dell’Unità operativa speciale, si provvederà, anche per evitare inutili dispendi economici, a dotare l’Unità stessa di un numero molto ristretto di persone con la riserva di integrarlo successivamente in relazione ai profili che saranno ritenuti indispensabili per lo svolgimento dei compiti assegnati e previa verifica delle professionalità esistenti presso la soppressa Autorità di vigilanza dei contratti pubblici”.

In relazione al disposto della delibera, che prevede che l’unità operativa sia costituita da un ufficio di staff e da un ufficio di controllo, nei considerato della medesima viene chiarito che dell’Ufficio di staff faranno parte tre persone già in servizio presso l’ANAC, nonché un’altra persona, individuata in via fiduciaria e proveniente da altra amministrazione pubblica attraverso l’istituto del comando, e che l’ufficio destinato ai compiti di controllo sarà composto da tre sottufficiali della guardia di finanza, da distaccarsi presso l’ANAC, e da un ufficiale superiore con il grado di colonnello, “quest’ultimo con compiti di coordinamento dell’ufficio in diretta collaborazione con il Presidente dell’ANAC; per quest’ultima figura si procederà a richiedere una collaborazione a tempo parziale al comando generale della Guardia di finanza”.

Copertura degli oneri

Alla copertura degli oneri derivanti dall’articolo in esame si provvede, secondo quanto disposto dal comma 4, con le risorse finanziarie e strumentali disponibili nel bilancio dell’ANAC. In proposito, si segnala che il comma 8 dell’articolo 19 del decreto (alla cui scheda di commento si rinvia) prevede che, nelle more dell’approvazione del piano di riordino del’Autorità nazionale anticorruzione, il Presidente dell’Autorità stessa provveda allo svolgimento dei compiti dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici attribuiti dal comma 2 e degli ulteriori compiti assegnati dal comma 5 dello stesso articolo 19 con le risorse umane, strumentali e finanziarie della soppressa Autorità.

 

 

 

 

 


 

Articolo 31
(Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti)

 

 

L’articolo 31 modifica l’art. 54-bis del TU sul pubblico impiego (D.Lgs 165/2001) relativo alla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti, disposizione introdotta dalla cd. legge Severino in materia di anticorruzione (L. 190 del 2012).

 

Viene previsto dall’art. 31 che, in presenza di condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, il dipendente pubblico possa inoltrare denuncia, oltre che all’autorità giudiziaria e alla Corte dei conti, anche all’A.N.A.C. (Autorità nazionale anticorruzione).

Tale disposizione ha natura di coordinamento con le nuove funzioni assegnate all’Autorità dal decreto-legge in esame (v. art. 19, comma 5).

 

L’art. 1, comma 51, della legge 190 del 2012 ha introdotto una nuova disposizione (art. 54-bis) nel TU sul pubblico impiego (decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) volta alla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti. L’art. 54-bis del TU prevede che, fuori dei casi di responsabilità penale a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero di responsabilità civile per lo stesso titolo ai sensi dell'articolo 2043 c.c., il pubblico dipendente che denuncia all'autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia (comma 1).

La norma stabilisce l’impossibilità di rivelare, nell'ambito del procedimento disciplinare, l'identità del dipendente segnalante, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell'addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l'identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato (comma 2). L'adozione di misure discriminatorie è segnalata al Dipartimento della funzione pubblica, per i provvedimenti di competenza, dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere (comma 3).Sempre a fini di tutela del dipendente pubblico, la denuncia è sottratta all'accesso agli atti previsto dagli articoli 22 e ss. della legge 241/1990 sul procedimento amministrativo.

 

 


 

Articolo 32
(Gestione delle imprese per la prevenzione della corruzione)

 

 

L’articolo 32 detta una serie di misure per la prevenzione della corruzione e a tal fine definisce nuove norme per la gestione di imprese aggiudicatarie di appalti pubblici indagate per specifici delitti contro la PA, in relazione all’attività delle quali si registrino rilevanti anomalie o comunque situazioni sintomatiche di condotte illecite.

I citati delitti contro la pubblica amministrazione, previsti dal codice penale, sono i seguenti: concussione (art. 317), corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318), corruzione semplice e aggravata per atto contrario ai doveri d’ufficio (artt. 319 e 319-bis), corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter), induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater), corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio (art. 320), istigazione alla corruzione (art. 322), peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri (art. 322-bis), traffico di influenze illecite (art. 346-bis), turbata libertà degli incanti (art. 353) e del procedimento di scelta del contraente (art. 353-bis).

In tali ipotesi, il Presidente dell’ANAC, in presenza di fatti gravi e accertati - anche a seguito di denunce di illeciti da parte di dipendenti della pubblica amministrazione (ex art. 1, comma 51, L. 190/2012, cfr. art. 31) - può proporre, in via alternativa, al Prefetto competente:

·         di intimare all’impresa il rinnovamento degli organi sociali;

·         di assumere direttamente il controllo dell’impresa attraverso un’amministrazione straordinaria temporanea fino all’esecuzione del contratto pubblico (comma 1).

La procedura passa per le seguenti fasi:

·        il Prefetto – fatte le proprie valutazioni sui presupposti di un proprio intervento e sulla gravità dei fatti - intima all’impresa di rinnovare gli organi sociali rimuovendo il soggetto (o i soggetti) coinvolti nei presunti illeciti;

·        in caso di mancato adeguamento entro 30 gg. da parte dell’impresa, come pure nei casi di “particolare gravità dei fatti oggetto dell’indagine”, il Prefetto provvede con decreto (entro 10 gg.) alla nomina di un massimo di 3 amministratori in possesso dei requisiti di professionalità e onorabilità previsti dal decreto del Ministero dello sviluppo economico 10 aprile 2013 (si tratta del regolamento sui requisiti di professionalità ed onorabilità dei commissari giudiziali e straordinari delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi).

Al riguardo si osserva che dalla formulazione del comma 1 dell’art. 32 può evincersi una autonoma valutazione circa la sussistenza di “fatti gravi e accertati” da parte di autorità amministrative (prima da parte del Presidente dell’ANAC e poi del Prefetto), cui consegue l’adozione di misure straordinarie a carico dell’impresa. Tuttavia, l’accertamento di tali fatti di natura penale - anche per le conseguenze ablative che ne derivano – dovrebbe invece derivare da un atto di un’autorità giudiziaria.

 

Tali soggetti avranno, quindi, il compito dell’amministrazione straordinaria temporanea dell’impresa, la cui durata è determinata dallo stesso decreto anche in base alle esigenze di esecuzione del contratto pubblico (comma 2).

L’amministrazione straordinaria temporanea è considerata di pubblica utilità e gli amministratori – cui sono avocati tutti i poteri di gestione dell’impresa spettanti ai titolari o all’assemblea - rispondono per eventuali diseconomie solo in caso di dolo o colpa grave (commi 3 e 4).

Il riferimento alla “pubblica utilità” sembra assimilare l’amministrazione straordinaria all’espropriazione per pubblico interesse da parte della PA prevista dalla Costituzione. L’art. 42 Cost. prevede, infatti, che “la proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale”.

 

Ipotesi di revoca del decreto di nomina degli amministratori - che prevede esplicitamente il quantum del loro compenso (a carico dell’impresa ex comma 6) - sono l’adozione da parte della magistratura di un provvedimento di sequestro, confisca o amministrazione giudiziaria dell’impresa aggiudicatrice dell’appalto (comma 5).

Durante l’amministrazione straordinaria, i pagamenti all’impresa non sono sospesi ma l’utile d’impresa derivante dal contratto di appalto pubblico (determinato dagli amministratori in via presuntiva) deve essere accantonato in un apposito fondo. L’utile così accantonato, fino all’esito del giudizio penale:

·         non può essere oggetto di distribuzione (ai soci o agli azionisti);

·        né può essere pignorato (comma 7).

Una ulteriore e diversa misura può esser adottata dal Prefetto quando  le citate indagini penali per delitti contro la PA riguardino membri di organi societari diversi da quelli dell’impresa aggiudicataria dell’appalto.

In tali ipotesi, il comma 8 prevede, anziché l’amministrazione straordinaria temporanea, la possibile nomina di tre esperti da parte del Prefetto per svolgere funzioni di sostegno e monitoraggio dell’impresa. Gli esperti – anch’essi compensati sulla base delle previsioni del decreto di nomina (comma 9) - hanno sostanzialmente il compito di fornire all’impresa indicazioni sui migliori modelli organizzativi e di controllo interno da adottare a fini di trasparenza e di prevenzione dei reati.

 

Il comma 10 stabilisce l’applicazione delle misure introdotte dall’art. 32 anche se l’impresa è oggetto di informazione antimafia interdittiva da parte del Prefetto quando sussista l'urgente necessità di assicurare il completamento dell'esecuzione del contratto (ovvero la sua prosecuzione) per garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell'integrità dei bilanci pubblici. In tali casi, le misure di amministrazione straordinaria e gestione e monitoraggio dell’impresa sono assunte anche in presenza dei presupposti di cui all'art. 94, comma 3 del Codice antimafia (D.Lgs. 159 del 2011).

In relazione a tale ultima previsione sembra che - più che al comma 3 dell’art. 94 - il riferimento potrebbe riguardare il comma 2 della stessa disposizione. Tale norma prevede che - ove il prefetto non rilasci l'informazione antimafia interdittiva entro i termini previsti, ovvero nel caso di lavori o forniture di somma urgenza, qualora la sussistenza di una causa interdittiva antimafia o gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto – le PA contraenti recedano dai contratti con l’impresa, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.

 

Linformazione antimafia (artt. 90-95, D.Lgs. 159/2011) è la documentazione che le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici nonché i concessionari di opere pubbliche devono acquisire dal Prefetto prima di stipulare un contratto di appalto di un determinata entità economica con un’impresa. L’informazione consiste nell’attestazione da parte del Prefetto della sussistenza o meno per l’impresa di tentativi di infiltrazione mafiosa nonché di una della misure interdittive (decadenza, sospensione o divieto di licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio; di iscrizione nell’elenco degli appaltatori; di concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici) derivanti dall’adozione di misure definitive di prevenzione antimafia. L’art- 92, comma 1, D.Lgs. 159/2011, prevede che il rilascio dell'informazione antimafia sia immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati quando non emerga alcuna delle indicate situazioni a carico dell’impresa (informazione antimafia liberatoria). Al contrario, l’informazione antimafia interdittiva (art. 92, comma 2, D.Lgs. 159/2011) - attestando la sussistenza di un tentativo di infiltrazione mafiosa nell’impresa o la sussistenza delle citate misure - impedisce alle pubbliche amministrazioni la stipula, l’approvazione o l’autorizzazione di contratti o subcontratti, nonché l’autorizzazione e il rilascio di concessioni ed erogazioni nei confronti dell’impresa interessata.

L’informazione antimafia interdittiva da parte del Prefetto si integra con il sistema delle cd. white list dei fornitori previste dall’art. 1, comma 52, della legge 190/2012. Tale disposizione è stata riformulata dall’art. 29 del decreto in esame che, esplicitamente, prevede l’applicazione dell’art. 92, comma 2, del D.Lgs. 159/2011.

 

 

In tal caso, le misure sono disposte dallo stesso Prefetto che ne informa il Presidente dell'ANAC. Le stesse misure sono revocate e cessano comunque di produrre effetti in caso di sentenza definitiva di annullamento dell'informazione antimafia interdittiva, di ordinanza che dispone, in via definitiva, l'accoglimento dell'istanza cautelare eventualmente proposta ovvero di aggiornamento dell'esito della predetta informazione antimafia, anche a seguito dell'adeguamento dell'impresa alle indicazioni degli esperti di cui al comma 8.

 

 


 

Articolo 33
(Parere su transazione di controversie Expo 2015)

 

 

L’articolo 33 prevede la possibilità, per la società Expo 2015 p.a., di chiedere che l’Avvocatura generale dello Stato esprima il proprio parere, entro 10 giorni dal ricevimento della proposta, sulla proposta transattiva relativa a controversie concernenti diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione di contratti pubblici, servizi e forniture.

 

L'Avvocatura dello Stato è l’organo che provvede alla tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato; alle consultazioni legali richieste dalle Amministrazioni ed inoltre a consigliarle e dirigerle quando si tratti di promuovere, contestare o abbandonare giudizi; esamina progetti di legge, di regolamenti, di capitolati redatti dalle Amministrazioni, qualora ne sia fatta richiesta; predispone transazioni d'accordo con le Amministrazioni interessate o esprime parere sugli atti di transazione redatti dalle Amministrazioni; prepara contratti o suggerisce provvedimenti intorno a reclami o questioni mossi amministrativamente che possano dar materia di litigio (art. 13 del R.D. 1611/1933).

 

Ai sensi del comma 1 dell’articolo 239 del Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, anche al di fuori dei casi in cui è previsto il procedimento di accordo bonario ai sensi dell'articolo 240, le controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, possono sempre essere risolte mediante transazione nel rispetto del codice civile. Sulla base di quanto previsto dal comma 2 del medesimo articolo 239, per le amministrazioni aggiudicatrici e per gli enti aggiudicatori, se l'importo di ciò che detti soggetti concedono o rinunciano in sede di transazione eccede la somma di 100.000 euro, è necessario il parere dell'avvocatura che difende il soggetto o, in mancanza, del funzionario più elevato in grado, competente per il contenzioso.

 

Nella relazione tecnica si evidenza che la norma in commento è volta ad introdurre maggiori garanzie nelle ipotesi in cui, sussistendo concreti elementi per giungere ad una soluzione transattiva di controversie instaurate tra Expo 2015 spa e i propri fornitori, sia stato abbozzato dalle parti interessate un accordo per un componimento bonario.

Nella relazione si rileva, inoltre, che la previsione si configura come mera facoltà ed ha natura ordinamentale, rientrando già tra i compiti dell’Avvocatura dello Stato esprimersi su ipotesi transattive, ancorché per quanto attiene alle amministrazioni dello Stato.

 

       

Articolo 34
(Contabilità speciale per Expo Milano 2015)

 

 

L’articolo 34 precisa che restano a carico delle disponibilità della contabilità speciale intestata al Commissario unico delegato del Governo per Expo Milano 2015, nell’ambito delle spese di funzionamento previste per I’Expo:

§  gli eventuali compensi o rimborsi spese dei componenti della segreteria del Commissario;

§  gli eventuali compensi o rimborsi spese per ulteriori incarichi per specifiche professionalità, individuate dal medesimo Commissario, di durata non superiore al suo mandato.

 

Il Commissario unico delegato del Governo per Expo Milano 2015

L’art. 5 del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, ha previsto l’istituzione della figura di un Commissario unico delegato del Governo, in cui sono stati concentrati le funzioni e i poteri del Commissario straordinario e del Commissario generale dell’Expo 2015. Con il D.P.C.M. 6 maggio 2013 Giuseppe Sala è stato nominato Commissario unico fino al 31 dicembre 2016.

In particolare al Commissario unico sono stati attribuiti:

§  i poteri e le funzioni del Commissario straordinario e del Commissario generale dell’Expo 2015, incluse le deroghe previste nelle ordinanze di protezione civile richiamate nell’art. 3, comma 1, lettera a), del D.L. 59/2012, ad eccezione delle funzioni di rappresentanza internazionale;

§  i poteri sostitutivi per risolvere situazioni o eventi ostativi alla realizzazione delle opere essenziali e connesse, previste dagli allegati del D.P.C.M. 22 ottobre 2008, confluiti nel D.P.C.M. 6 maggio 2013;

§  i poteri di deroga in materia di legislazione vigente, attraverso l’emanazione di ordinanze, nei limiti stabiliti con una delibera del Consiglio dei ministri, sentito il Presidente della regione Lombardia.

 

L’art. 5 del D.L. 43/2013 ha anche previsto, entro il 31 maggio 2013, la nomina fino ad un massimo di tre soggetti di alta e riconosciuta professionalità, in materia economico-giuridica o ingegneristica, o dalla comprovata esperienza istituzionale, da effettuarsi con provvedimento del Commissario unico. Il comma 2-bis del medesimo articolo ha posto a carico delle disponibilità della contabilità speciale intestata al Commissario gli eventuali compensi dei delegati.

Viene puntualizzato inoltre che i tre tecnici esercitano deleghe di tipo funzionale:

§  per la realizzazione di determinate opere e attività;

§  per le funzioni di garanzia e controllo sull'andamento delle opere;

§  per l’efficiente e il corretto utilizzo di tutti i poteri attribuiti al Commissario.

 

Con provvedimento del Commissario unico n. 1 del 31 maggio 2013 sono stati nominati Giovanni Confalonieri e Antonio Acerbo quali delegati per specifiche funzioni di garanzia e controllo dell’andamento delle opere essenziali e connesse di cui agli allegati 1 e 2 del D.P.C.M. 6 maggio 2013. I compensi dei delegati sono stati quantificati con il provvedimento del Commissario n. 11 del 13 gennaio 2014.

Con il proprio provvedimento n. 3 del 24 giugno 2013, il Commissario unico ha istituito la propria segreteria (la quale è subentrata alla Segreteria Tecnica costituita con i decreti n. 10/2011 e n. 13/2012 del precedente Commissario Straordinario) e nominato Francesco Marzari quale Direttore della medesima segreteria. I restanti componenti della segreteria sono stati nominati con il provvedimento del Commissario unico n. 6 del 14 ottobre 2013.

 

 

 

 


 

Articolo 35
(Divieto di transazioni della pubblica amministrazione con società o enti esteri aventi sede in Stati che non permettono l'identificazione dei soggetti che ne detengono la proprietà o il controllo)

 

 

L’articolo 35 vieta ogni operazione economica e finanziaria tra le pubbliche amministrazioni e società o enti esteri per i quali, secondo la legislazione dello Stato di cui hanno la sede, non è possibile identificare i soggetti che ne detengono quote di proprietà di capitale o il controllo. Tale divieto non opera qualora siano osservati gli obblighi di adeguata verifica del titolare effettivo della società o dell’ente coinvolto nelle predette operazioni, previsti dalla vigente disciplina antiriciclaggio.

 

Più in dettaglio, per assicurare la trasparenza e la legalità nell’attività amministrativa e contrattuale delle pubbliche amministrazioni, il comma 1 vieta ogni operazione economica e finanziaria tra le pubbliche amministrazioni (di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) e società o enti esteri per i quali, secondo la legislazione dello Stato di cui hanno la sede, non è possibile identificare i soggetti che ne detengono quote di proprietà di capitale o il controllo.

Rimane ferma la possibilità della stazione appaltante di richiedere documentazione e chiarimenti alle imprese concorrenti nelle procedure di evidenza pubblica.

 

Tale divieto vale fino al recepimento delle tre direttive che riformano il settore degli appalti e delle concessioni: la direttiva 2014/25/UE sugli appalti nei cosiddetti "settori speciali" (acqua, energia, trasporti e servizi postali), la direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici nei settori ordinari e la direttiva 2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione. Le direttive sono entrate in vigore il 18 aprile 2014. Gli Stati membri dovranno recepire le disposizioni delle nuove norme nell'ordinamento nazionale entro il 18 aprile 2016[102].

 

Il richiamato articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 165 del 2001 intende per amministrazioni pubbliche tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie fiscali (di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300). Fino alla revisione organica della disciplina di settore, tale qualifica spetta anche al CONI.

 

In deroga a quanto disposto dal comma 1, il divieto (comma 2) non opera ove siano osservati gli obblighi di adeguata verifica del titolare effettivo della società o dell’ente di cui al medesimo comma 1, in conformità con la disciplina in materia di antiriciclaggio (decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231).

 

Al riguardo, sembrerebbe opportuno specificare il contenuto delle locuzioni “operazione economica e finanziaria” e “società ed enti esteri”.

 

Il Titolo II, capo I del richiamato D.Lgs. n. 231 del 2007 reca infatti una complessa disciplina degli obblighi di adeguata verifica della clientela, intestando le attività di verifica agli intermediari finanziari e agli altri soggetti esercenti attività finanziaria, ai professionisti e ai revisori contabili, nonché ad altri soggetti che ricoprono ruoli potenzialmente esposti al contatto con soggetti i quali intendono utilizzare il denaro a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo.

 

 


 

Articolo 36
(Monitoraggio finanziario dei lavori relativi a infrastrutture strategiche e insediamenti produttivi)

 

 

L’articolo 36 interviene sulla disciplina del monitoraggio finanziario dei lavori relativi a infrastrutture strategiche e a insediamenti produttivi prevedendo che venga attuata secondo le modalità e le procedure, anche informatiche, individuate dalla delibera CIPE n. 145 del 2011 e che venga aggiornata con una nuova deliberazione del CIPE. La norma provvede, inoltre, alla copertura finanziaria degli oneri necessari per l’implementazione e la gestione del sistema di monitoraggio finanziario.

 

Il comma 1 prevede che, per i lavori relativi a infrastrutture strategiche e insediamenti produttivi – disciplinati dalla Parte II, Titolo III, Capo IV, del Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006 (d’ora in avanti Codice) – il controllo dei flussi finanziari è attuato secondo le modalità e le procedure, anche informatiche, individuate dalla delibera n. 45 del 2011 del CIPE.  Per tale finalità, le stazioni appaltanti adeguano gli atti generali di propria competenza alle modalità di monitoraggio finanziario di cui alla citata delibera n. 45 del 2011 e alle ulteriori prescrizioni derivanti dal loro aggiornamento con una nuova deliberazione del CIPE.

 

Al fine di consentire il monitoraggio finanziario dei lavori relativi a infrastrutture strategiche e insediamenti produttivi, Il comma 6-bis dell’articolo 161 del Codice stabilisce che i pagamenti relativi alla realizzazione di tali opere debbano essere effettuati con le procedure previste dal SIOPE (Sistema informativo delle operazioni degli enti pubblici). A tal fine la norma dispone che tutti i soggetti responsabili di dette opere, anche diversi dalle pubbliche amministrazioni come definite secondo i criteri di contabilità nazionale SEC 95, devono procedere per i loro pagamenti in base alle procedure previste per il SIOPE e devono provvedere a far riportare anche il CUP (Codice unico di progetto) sui mandati informatici utilizzati per il pagamento dei fornitori.

L'art. 176, comma 3, lettera e), del Codice demanda, tra l’altro, al CIPE la definizione dei contenuti degli accordi in materia di sicurezza, prevenzione e repressione della criminalità sulla base delle linee guida indicate dal Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere (CASGO).

Nella deliberazione n. 45 del 2011 il CIPE ha preso atto degli esiti della sperimentazione del monitoraggio finanziario su alcune infrastrutture strategiche (parte della tratta T5 della metro C di Roma e Variante di Cannitello), le cui modalità e procedure, anche informatiche, sono richiamate dalla norma in commento. Il sistema di monitoraggio finanziario prevede l'istituzione di «conti correnti dedicati», da utilizzare per tutti gli incassi e i pagamenti relativi alla realizzazione dell'opera, l'obbligo di pagamento solo tramite bonifici elettronici SEPA (Single Euro Payments Area) e l'obbligo, per i titolari dei suddetti conti dedicati, di richiedere alla propria banca di fornire un servizio di «esito» dei singoli pagamenti e di comunicare gli estratti conto all'Ente che cura il monitoraggio. Il sistema fa, altresì, riferimento alla creazione, tramite l'utilizzo della rete del Consorzio CBI, che cura per conto dell'ABI l'attività bancaria on line per i servizi di corporate banking, di un focal point dove confluiscono, giornalmente, tutti gli «esiti» dei pagamenti, contrassegnati da apposito codice unico di progetto (CUP) ed effettuati con bonifici SEPA on line, e gli estratti dei conti correnti dedicati utilizzati dalle imprese. Nella medesima delibera si precisa, inoltre, che le attività svolte e i risultati ottenuti sono stati utilizzati per l'elaborazione del «progetto CAPACI» («Creating Automated Procedures Against Criminal Infiltration in public contracts»), che è stato cofinanziato dall’Unione europea e che la sperimentazione del monitoraggio finanziario prosegue in sede di attuazione del progetto CAPACI, con l'obiettivo di mettere a punto alcuni applicativi informatici, tra cui in particolare quelli concernenti un sistema di warning automatico.

 

Per i contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legge, il comma 2 prevede l’adeguamento delle modalità di controllo dei flussi finanziari alle indicazioni della citata deliberazione n. 45 del 2011 del CIPE entro sei mesi dalla medesima entrata in vigore.

 

Il comma 3 demanda a una nuova delibera del CIPE, da adottare ai sensi della citata lettera e) del comma 3 dell’articolo 176 del Codice, l’aggiornamento delle modalità di esercizio del sistema di monitoraggio finanziario di cui alla predetta delibera n. 45/2011, allo scopo di dare attuazione al disposto del presente articolo e alla definizione dei tempi di attuazione. A tal fine nella norma vengono richiamati anche i decreti legislativi n. 228 e n. 229 del 2011 e la delibera del CIPE n. 124 del 2011.

 

I decreti legislativi n. 228 e 229 del 2011 sono stati emanati in attuazione della delega di cui ai commi da 8 a 10 dell’articolo 30 della legge n. 196 del 2009 (legge di contabilità e finanza pubblica), concernenti rispettivamente la valutazione degli investimenti relativi alle opere pubbliche e le procedure di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche.

L’art. 1 del decreto legislativo n. 228 del 2011 prevede l’obbligatorietà, per i singoli Ministeri, delle attività di valutazione ex ante ed ex post, per le opere pubbliche o di pubblica utilità finanziate a valere sulle proprie risorse poste a bilancio o su quelle oggetto di trasferimento a favore di soggetti attuatori, pubblici o privati, nonché per le opere pubbliche che prevedono emissione di garanzie a carico dello Stato.

Il decreto legislativo n. 229 del 2011 prevede l’istituzione, presso ciascuna amministrazione, di un sistema gestionale informatizzato contenente tutte le informazioni inerenti l’intero processo realizzativo dell’opera, con obbligo, tra l’altro, di subordinare l’erogazione dei finanziamenti pubblici all’effettivo adempimento degli obblighi di comunicazione ivi previsti. La definizione dei contenuti informativi minimi del sistema informativo in argomento è demandata ad un apposito decreto del Ministero dell’economia e delle finanze (art. 5), che è stato emanato in data 26 febbraio 2013 e pubblicato nella G.U. 5 marzo 2013, n. 54.

Nella delibera n. 124 del 2012 il CIPE prende atto che le relazioni sul Sistema Monitoraggio Investimenti Pubblici (MIP) e Codice Unico di Progetto (CUP), relative al primo e secondo semestre 2011, presentano l’evoluzione della progettazione del sistema di monitoraggio finanziario delle grandi opere (MGO). Tali relazioni evidenziano che il completamento del sistema MGO - C.A.P.A.C.I prevede essenzialmente il test degli applicativi informatici di acquisizione e analisi dei dati con riferimento a più opere/imprese e la messa a punto di un sistema di warning automatici, che gli applicativi dovranno fornire insieme a una reportistica periodica, anche questa da identificare compiutamente.

 

Per l’implementazione del sistema di monitoraggio finanziario, il comma 4 autorizza una spesa di 1.321.000 euro per l’anno 2014 alla cui copertura si provvede con una quota di pari importo del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura assegnata, per l’anno 2014, con le procedure di cui al comma 1 dell’articolo 5 del decreto legge n. 79 del 2012, al Fondo esigenze urgenti e indifferibili.

 

Il D.L. n. 225 del 2010 (art. 2, comma 6-sexies) ha unificato nel Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura i preesistenti Fondi di solidarietà alle vittime delle richieste estorsive e dell'usura (D.P.R. 455/1999) e di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso (legge n. 512/1999).

Le finalità del Fondo di rotazione unificato sono le seguenti:

·     indennizzare le vittime dei reati di tipo mafioso che siano costituite parti civili nei procedimenti penali intentati nei confronti degli autori dei reati di mafia;

·     concedere un indennizzo commisurato ai danni derivanti dagli eventi subiti, a favore delle vittime dell'estorsione esercenti un'attività economica imprenditoriale;

·     concedere un mutuo decennale senza interessi per un ammontare commisurato al danno subito per la vicenda di usura, a favore delle vittime dell'usura esercenti un'attività comunque economica.

Il Fondo è gestito fuori bilancio, in forza di atto concessorio con il Ministero dell'interno, dalla CONSAP (la Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici S.p.A), attraverso gestione separata, che provvede alla materiale erogazione dei benefici.

Per quanto concerne le risorse del Fondo, si è potuto fare affidamento sia sui contributi dello Stato, ossia su stanziamenti annui di bilancio, sia sui contributi a valere sui premi assicurativi raccolti nel territorio dello Stato (nei rami di incendio, responsabilità civile diversi, auto rischi diversi, furto ed altri), sia sulle entrate derivanti dalle confische dei beni. Tuttavia, all'indomani della riunificazione in unico Fondo delle dotazioni da destinare alle vittime dei reati di mafia, estorsione e racket, si è proceduto via via ad uno graduale svuotamento delle risorse del Fondo di rotazione.

Alcune disposizioni legislative hanno spostato parte delle entrate su altri fondi, mentre altre ne hanno soppresso le previste destinazioni: in particolare, l'art. 5 del D.L. n. 79 del 2012 (conv. dalla legge n. 131 del 2012) ha previsto che le risorse del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura, disponibili al termine di ogni esercizio finanziario ed accertate con decreto interministeriale, siano versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere poi riassegnate al c.d. Fondo esigenze urgenti e indifferibili ed essere destinate alle esigenze dei ministeri.

 

Agli oneri per la gestione del sistema, quantificati in 617.000 euro annui, si provvede con le risorse derivanti da una percentuale dell’importo dei contratti, nella misura dello 0,0006 per cento, che devono essere versate dai soggetti aggiudicatari annualmente e fino alla messa in esercizio degli interventi medesimi, a decorrere dall’anno 2014. Si tratta delle risorse destinate all’attuazione di misure volte al perseguimento delle finalità di prevenzione e repressione della criminalità organizzata e dei tentativi di infiltrazione mafiosa ai sensi dell’articolo 176, comma 3, lettera e), ultimo periodo, del Codice.

 

Al fine di garantire l'attuazione di idonee misure volte al perseguimento delle finalità di prevenzione e repressione della criminalità e dei tentativi di infiltrazione mafiosa, il comma 20 del medesimo articolo 176 del Codice prevede che il soggetto aggiudicatore indica nel bando di gara un'aliquota forfettaria, non sottoposta al ribasso d'asta, ragguagliata all'importo complessivo dell'intervento, secondo valutazioni preliminari che il contraente generale è tenuto a recepire nell'offerta formulata in sede di gara.

Ai sensi dell’ultimo periodo della lettera e) del comma 3 dell’articolo 176, richiamato dalla disposizione in commento, gli oneri connessi al monitoraggio finanziario sono ricompresi nell'aliquota forfettaria di cui al predetto comma 20.

 

 


 

Articolo 37
(Trasmissione ad ANAC delle varianti in corso d’opera)

 

 

L’articolo 37 sottopone al controllo dell’ANAC l’effettuazione di alcune tipologie di varianti consentite dal Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 163/2006). Viene infatti introdotto l’obbligo di trasmissione all’ANAC, entro 30 giorni dall’approvazione da parte della stazione appaltante, di alcune tipologie di varianti in corso d’opera, al fine di consentire alla stessa ANAC di effettuare le valutazioni e adottare gli eventuali provvedimenti di competenza.

Le varianti da comunicare all’ANAC

L'applicazione dell’articolo in esame è limitata alle varianti in corso d’opera resesi necessarie:

§  per cause impreviste e imprevedibili accertate nei modi stabiliti dal regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice dei contratti pubblici (D.P.R. 207/2010), o per l'intervenuta possibilità di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al momento della progettazione che possono determinare, senza aumento di costo e alterazione dell’impostazione progettuale, significativi miglioramenti nella qualità dell'opera (lett. b) del comma 1 dell’art. 132 del Codice);

§  per la presenza di eventi inerenti alla natura e alla specificità dei beni sui quali si interviene, o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili in fase progettuale (lett. c) del comma 1 dell’art. 132 del Codice);

§  per impreviste difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell'appaltatore (lett. d) del comma 1 dell’art. 132 del Codice).

 

Si ricorda che l’art. 132 del Codice ammette varianti in corso d’opera, sentito il progettista e il direttore dei lavori, oltre che nei casi succitati, anche per esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari, nonché per il manifestarsi di errori/omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione dell'opera o la sua utilizzazione (lettere a) ed e) del comma 1).

Il comma 3 dell’art. 132 stabilisce che non sono considerati varianti gli interventi disposti dal direttore dei lavori per risolvere aspetti di dettaglio[103].

La documentazione da trasmettere

L’articolo in esame prevede che la variante sia trasmessa all’ANAC unitamente:

§  al progetto esecutivo;

§  all’atto di validazione;

§  ad apposita relazione del responsabile del procedimento.

 

 

 


 

Articolo 38
(Processo amministrativo digitale)

 

 

L’articolo 38 stabilisce un termine certo (sessanta giorni) per l’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con cui sono stabilite le regole tecnico-operative per la sperimentazione, la graduale applicazione, l’aggiornamento del processo amministrativo telematico.

 

Più in dettaglio, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 90/2014, l’articolo 13 dell’Allegato 2 al codice del processo amministrativo (decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104) stabiliva che con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e il DigitPA, sono stabilite, nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, le regole tecnico-operative per la sperimentazione, la graduale applicazione, l’aggiornamento del processo amministrativo telematico, tenendo conto delle esigenze di flessibilità e di continuo adeguamento delle regole informatiche alle peculiarità del processo amministrativo, della sua organizzazione e alla tipologia di provvedimenti giurisdizionali.

L’articolo 38 del decreto-legge prevede quindi che il DPCM sia adottato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge e che il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa e l’Agenzia per l’Italia digitale (che ha assunto le funzioni di DigitPA) rendano il loro avviso entro trenta giorni dalla richiesta, decorsi i quali si può procedere in assenza dello stesso.

 

 


 

Articolo 39
(Semplificazione degli oneri formali nella partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici)

 

 

L’articolo 39 interviene sulla disciplina dell’attestazione dei requisiti di ordine generale necessari per la partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici di cui agli articoli 38 e 46 del Codice dei contratti pubblici.

 

In particolare, il comma 1 introduce il comma 2-bis nell’articolo 38 del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, d’ora in avanti Codice) prevedendo a carico del concorrente una sanzione pecuniaria in caso di mancanza, incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale delle dichiarazioni sostitutive presentate, e la successiva possibilità di regolarizzare la propria dichiarazione entro un termine stabilito, decorso il quale il concorrente viene escluso dalla gara.

Nei casi di irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione e non applica alcuna sanzione.

La sanzione pecuniaria, che il concorrente verserà alla stazione appaltante, sarà determinata dal bando di gara in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della gara e comunque non sarà superiore a 50.000 euro. Il versamento di questa sanzione è garantito dalla cauzione provvisoria prevista per la partecipazione alla gara di appalto.

 

Si ricorda che questa sanzione potrebbe cumularsi con quella irrogata dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, ai sensi dell’art. 6, comma 11, del Codice (sanzione amministrativa pecuniaria fino a 25.822 euro o fino a 51.545 euro a seconda che gli operatori economici forniscano informazioni non veritiere, ovvero omettano di fornire documenti, informazioni e chiarimenti relativamente ai lavori, servizi e forniture pubblici, in corso o da iniziare, al conferimento di incarichi di progettazione, agli affidamenti). La norma specifica, infatti, che le stesse sanzioni si applicano agli operatori economici che non ottemperano alla richiesta della stazione appaltante o dell'ente aggiudicatore di comprovare il possesso dei requisiti di partecipazione alla procedura di affidamento, nonché agli operatori economici che forniscono dati o documenti non veritieri, circa il possesso dei requisiti di qualificazione, alle stazioni appaltanti o agli enti aggiudicatori o agli organismi di attestazione.

 

Al fine di evitare l’esclusione dalla gara, è prevista la possibilità per il concorrente, entro un termine massimo di dieci giorni, assegnato dalla stazione appaltante, di rendere, integrare o regolarizzare le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti.

 

In merito al comma 1 si osserva che la disposizione non chiarisce quando le irregolarità possano definirsi “essenziali” e quando le dichiarazioni possano considerarsi “non indispensabili”; tale valutazione è rimessa infatti alla discrezionalità della stazione appaltante, la quale ha per altro la facoltà di consentire la regolarizzazione in luogo dell’esclusione dalla gara.

Andrebbe, altresì, chiarito se il pagamento sia comunque dovuto anche laddove il concorrente non intenda sanare la propria posizione nel termine assegnatogli.

 

L’articolo 38 disciplina le cosiddette “cause di esclusione” dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, nonché per l’affidamento di subappalti, ossia i requisiti di ordine generale (cd. “requisiti morali”) che devono possedere i soggetti che devono stipulare i contratti con la pubblica amministrazione. Il comma 1 elenca le cause di esclusione dalle gare tra le quali rilevano: fallimento, liquidazione coatta, concordato preventivo, misure di prevenzione antimafia, sentenze di condanna per reati che incidono sulla moralità professionale e reati di partecipazione ad un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, divieto di intestazione fiduciaria,  irregolarità fiscali e contributive, falsa dichiarazione o falsa documentazione in merito a specifici requisiti e condizioni rilevanti per la partecipazione a procedure di gara e per l’affidamento dei subappalti, sospensione o revoca dell'attestazione SOA, omessa denuncia dei reati di concussione ed estorsione, rapporti di controllo e collegamento sostanziale.

Il medesimo articolo, al comma 2, prevede, inoltre, che il candidato o il concorrente debba attestare il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle previsioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in cui indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione.

Il comma 1-bis specifica che i casi indicati al comma 1 non si applicano alle aziende o società sottoposte a sequestro o confisca ed affidate ad un custode o amministratore giudiziario, limitatamente alle cause riferite al periodo precedente al predetto affidamento, o finanziario.

L’articolo 46 del Codice dei contratti, al comma 1, disciplina il cosiddetto “soccorso istruttorio” in base al quale le stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati nei limiti previsti dagli articoli da 38 a 45 del Codice dei contratti, sul possesso di requisiti di carattere generale e requisiti specifici (requisiti morali e di idoneità professionale, qualificazione per eseguire lavori pubblici, capacità economica, finanziaria, tecnica e professionale dei fornitori e dei prestatori di servizi, garanzia della qualità, gestione ambientale, ed elenchi ufficiali di fornitori o prestatori di servizi).

Ai sensi del comma 1-bis del citato articolo 46, la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal Codice e dal relativo Regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte.  La norma specifica inoltre che i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione e comunque dette prescrizioni sono nulle.

L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, nella determinazione n. 4 del 2012, ha dettato le indicazioni generali per la redazione dei bandi di gara ai sensi degli articoli 64, comma 4-bis, e 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici, dedicando una specifica sezione ai requisiti di ordine generale di cui all’articolo 38, alle modalità di presentazione delle dichiarazioni sostitutive e al mancato, inesatto o tardivo adempimento alla richiesta di chiarimenti. A quest’ultimo proposito, l’Autorità ha precisato che “il cd. potere-dovere di soccorso istruttorio viene in rilievo qualora si tratti di completare o chiedere chiarimenti in ordine al contenuto di documenti che siano stati comunque presentati e non anche quando si tratti di produrre documenti in toto assenti, benché imposti per la partecipazione alla gara……la cd. regolarizzazione non può in alcun caso essere riferita agli elementi essenziali della domanda o dell’offerta e non deve essere consentita nell’ipotesi di documentazione del tutto assente; diversamente, si realizzerebbe un’alterazione degli elementi essenziali dell’offerta, che devono essere sempre presenti ab origine, ed una lesione del carattere perentorio del termine per la presentazione dell’offerta stessa”.

 

Il nuovo comma 2-bis dell’articolo 38 del Codice dispone, infine, che ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte, non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte medesime.

 

In relazione all’individuazione della soglia di anomalia, il Codice, all’art. 86, co. 1 e 2, indica due metodologie distinte a seconda del criterio di aggiudicazione applicato (rispettivamente, prezzo più basso e offerta economicamente più vantaggiosa). In entrambi i casi, il legislatore ha previsto un meccanismo automatico per tale individuazione. Il comma 3 del citato articolo 86 prevede che, in ogni caso, le stazioni appaltanti possono valutare la congruità di ogni altra offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa.

 

Il comma 2, attraverso l’inserimento del comma 1-ter dell’articolo 46 del Codice, estende l’applicazione delle disposizioni contenute nel nuovo comma 2-bis dell’articolo 38 del Codice, ad ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara.

 

Il comma 3 stabilisce l’applicazione delle norme introdotte dai commi 1 e 2 dell’articolo in esame alle procedure di affidamento indette successivamente all’entrata in vigore del presente articolo. Tali disposizioni, infatti, richiedono che sia il bando di gara a determinare la sanzione pecuniaria da applicare al concorrente che incorra in irregolarità essenziali e sanabili delle dichiarazioni sostitutive.

 

 


 

Articolo 40
(Accelerazione dei giudizi in materia di appalti pubblici)

 

 

L’articolo 40 detta nuove disposizioni volte ad accelerare i giudizi amministrativi in materia di appalti pubblici.

In particolare, il comma 1 dell’art. 40 modifica l’art. 120 del Codice del processo amministrativo - che, come accennato, prevede disposizioni specifiche applicabili al rito degli appalti pubblici - sostituendo i commi 6 (lett. a) e 9 (lett. b) e aggiungendo un comma 8-bis (lett. c).

Il nuovo comma 6 stabilisce che - ferma restando la possibilità, in presenza dei presupposti, di definire il giudizio già in sede cautelare - il giudizio è definito comunque con sentenza semplificata ad una udienza fissata d’ufficio dal TAR e dal Consiglio di Stato entro 30 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente (la PA e i controinteressati); detto termine scade 30 giorni dalla notificazione del ricorso nei loro confronti (termine di 60 gg.di cui all’art. 46, comma 1, dimezzato ex art. 119, comma 2, del Codice). La segreteria del giudice avvisa immediatamente le parti della data dell’udienza a mezzo di posta elettronica certificata.

Come indicato nella relazione illustrativa, attraverso l’introduzione del termine breve dei 30 giorni, si vuole superare “un sistema che prevedeva che l’ordinanza cautelare di accoglimento aveva l’effetto di impedire la sottoscrizione del contratto sino alla celebrazione dell’udienza pubblica”.

 

Il comma 6 dell’art. 120 - la cui applicabilità è estesa anche al Consiglio di stato ex comma 11 dello stesso art. 120 - viene quindi riformulato per accelerare la decisione sul merito da parte dei TAR e del Consiglio di Stato (comma 1, lettera a)).

 

Il comma 6 previgente l’entrata in vigore del decreto-legge in esame stabiliva che - ove il giudizio del TAR (o del C.d.S) sull’impugnazione degli atti delle procedure di affidamento e di aggiudicazione definitiva di pubblici lavori, servizi o forniture (nonché dei connessi provvedimenti dell’AVCP, l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture) - non fosse immediatamente definito in sede di decisione sulla domanda cautelare ex art. 60 (con sentenza semplificata) l’udienza di merito, ove non indicata dal collegio ai sensi dell’articolo 119, comma 3 (alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di 30 giorni dalla data di deposito dell’ordinanza che decide sulla sospensiva), fosse immediatamente fissata d’ufficio con assoluta priorità.

 

Solo per esigenze istruttorie o per l’integrazione del contraddittorio o per garantire il rispetto dei termini a difesa, è possibile rinviare, con la relativa ordinanza, il giudizio ad un’ulteriore udienza da tenersi non oltre 30 giorni.

Il termine massimo per definire il giudizio, in caso non sia possibile la pronuncia della sentenza in forma semplificata, è comunque di 60 giorni.

 

L’art. 40 aggiunge poi all’art. 120 un comma 8-bis in base a cui il collegio, quando dispone le misure cautelari (in primis la cd. sospensiva ovvero la sospensione degli effetti dell’atto amministrativo) subordina, di regola, l’efficacia delle misure stesse alla prestazione, da parte del richiedente, di una cauzione anche tramite fideiussione; la cauzione può non essere chiesta solo per eccezionali ragioni specificate dalle motivazioni della stessa ordinanza cautelare.

E’ pertanto modificata la disciplina in materia di misure cautelari prevista dall’art. 119, comma 4, del Codice del processo amministrativo (art. 40,comma 1, lettera b)) che prevedeva che, con l’ordinanza che fissa la data di discussione del merito, in caso di estrema gravità ed urgenza, il tribunale amministrativo regionale o il Consiglio di Stato possono disporre le opportune misure cautelari.

 

La possibilità di una cauzione è già prevista dall’art. 56, comma 3, del Codice. Tale disposizione, in materia di misure cautelari monocratiche, prevede che - qualora dalla decisione sulla domanda cautelare derivino effetti irreversibili - il presidente può subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare alla prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, determinata con riguardo all’entità degli effetti irreversibili che possono prodursi per le parti e i terzi.

 

La misura cautelare, in ogni caso, ha efficacia solo per 60 giorni decorrenti dalla data della pubblicazione della relativa ordinanza.

Il comma 8-bis fa salve le previsioni del comma 3 dell’art. 119 del Codice.

 

L’art. 119, comma 3, del D.Lgs. 104/2010 prevede che, salva l’applicazione dell’articolo 60 (ovvero la possibilità di definire già nel merito il giudizio in sede cautelare), il tribunale amministrativo regionale chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare, accertata la completezza del contraddittorio ovvero disposta l’integrazione dello stesso, se ritiene, a un primo sommario esame, la sussistenza di profili di fondatezza del ricorso e di un pregiudizio grave e irreparabile, fissa con ordinanza la data di discussione del merito alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di 30 giorni dalla data di deposito dell’ordinanza, disponendo altresì il deposito dei documenti necessari e l’acquisizione delle eventuali altre prove occorrenti. In caso di rigetto dell’istanza cautelare da parte del tribunale amministrativo regionale, ove il Consiglio di Stato riformi l’ordinanza di primo grado, la pronuncia di appello è trasmessa al tribunale amministrativo regionale per la fissazione dell’udienza di merito. In tale ipotesi, il termine di trenta giorni decorre dalla data di ricevimento dell’ordinanza da parte della segreteria del tribunale amministrativo regionale, che ne dà avviso alle parti.

 

Si valuti l’opportunità di chiarire in maniera esplicita la portata del riferimento alla salvaguardia dell’art. 119, comma 3.

 

Viene dettata infine – sempre con finalità acceleratorie – una nuova formulazione del comma 9 dell’art. 120 (art. 40, comma 1, lettera c)), in base a cui che la sentenza del TAR e del Consiglio di Stato che definisce il giudizio è depositata entro 20 giorni dall’udienza di discussione, ferma restando la possibilità di chiedere entro 2 giorni la pubblicazione del dispositivo.

Nella versione precedente la vigenza del D.L. in esame, prevedeva che “il dispositivo del provvedimento con cui il tribunale amministrativo regionale definisce il giudizio è pubblicato entro sette giorni dalla data della sua deliberazione”. Il deposito della sentenza del TAR e del Consiglio di stato doveva invece avvenire entro 23 giorni dall’udienza di discussione (termine dimezzato ex 119, comma 2, rispetto agli ordinari 45 gg previsti dall’art. 89, comma 1, del Codice).

 

Il comma 2 dell’art. 40 precisa che la nuova disciplina di cui al comma 1 si applica ai giudizi introdotti con ricorso depositato, in primo grado o in grado di appello, dopo il 25 giugno 2014, data di entrata in vigore del decreto-legge.

 

 

 


 

Articolo 41
(Contrasto all’abuso del processo)

 

 

L’articolo 41 introduce misure per il contrasto all’abuso del processo, modificando il codice del processo amministrativo (d.lgs. 104/2010). A tal fine:

·        stabilisce che in ogni caso il giudice, anche d’ufficio, può condannare la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, quando la decisione è fondata su ragioni manifeste;

·        modifica la disciplina della sanzione per lite temeraria prevedendo che, nelle controversie in materia di appalti, l’importo della sanzione pecuniaria può essere elevato fino all’1% del valore del contratto.

 

Più in dettaglio, l’articolo 26 dell’allegato I del codice, disciplina le decisioni del giudice sulle spese di giudizio e i casi di lite temeraria, operando un rinvio al codice di procedura civile..

Infatti, in base all’articolo 26 quando emette una decisione, il giudice provvede anche sulle spese del giudizio, secondo quanto previsto dal codice di procedura civile circa la responsabilità delle parti per le spese e per i danni processuali, tenendo anche conto del rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità (comma 1). Il giudice condanna d'ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria, in misura non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio, quando la parte soccombente ha agito o resistito temerariamente in giudizio. Il gettito delle sanzioni pecuniarie è versato al bilancio dello Stato, per essere riassegnato allo stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per le spese riguardanti il funzionamento del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali, ivi comprese quelle occorrenti per incentivare progetti speciali per lo smaltimento dell’arretrato e per il miglior funzionamento del processo amministrativo (comma 2).

A sua volta, il c.p.c. disciplina in dettaglio la condanna alle spese (art. 91), anche per singoli atti e con compensazione (art. 92), la distrazione delle spese (art. 93), la condanna di rappresentanti o curatori (art. 94), le spese del processo di esecuzione (art.. 95), la responsabilità aggravata (art. 96) e la responsabilità di più soccombenti (art. 97).

In particolare, l’art. 96, terzo comma, c.p.c. prevede che in ogni caso, quando pronuncia sulle spese, il giudice, anche d’ufficio, può condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.

 

L’articolo 41 del decreto-legge aggiunge un periodo al comma 1 dell’art. 26 del codice del processo amministrativo, in base a cui in ogni caso il giudice, anche d’ufficio, può condannare la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, quando la decisione è fondata su ragioni manifeste.

Si osserva che la formulazione ricalca quella dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., circoscrivendo peraltro i presupposti del pagamento di una somma a titolo equitativo al solo caso di ragioni manifeste della decisione. Pare utile valutare gli effetti del rapporto di specialità tra la nuova disposizione e l’art. 96, terzo comma, c.p.c., (quest’ultimo già applicabile in via generale al processo amministrativo), oltre che con l’ipotesi di lite temeraria già prevista dal comma 2 dell’art. 26 del codice.

 

Inoltre, l’articolo 41 modifica la disciplina della sanzione per lite temeraria, stabilendo che nelle controversie in materia di appalti l’importo della sanzione pecuniaria può essere elevato fino all’1% del valore del contratto, ove superiore al limite stabilito, collegato all’importo del contributo unificato. L’individuazione delle controversie è effettuata dalla disposizione tramite rinvio agli articoli 119, lettera a) (i provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture), e 120 del codice.

Con riguardo alla tipologia di atti impugnabili, in base all’articolo 120 del codice del processo amministrativo (allegato 1), gli atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, nonché i connessi provvedimenti dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, sono impugnabili unicamente mediante ricorso al tribunale amministrativo regionale competente. Nel caso in cui sia mancata la pubblicità del bando, il ricorso non può comunque essere più proposto decorsi trenta giorni decorrenti dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell’avviso di aggiudicazione definitiva, a condizione che tale avviso contenga la motivazione dell’atto con cui la stazione appaltante ha deciso di affidare il contratto senza previa pubblicazione del bando. Se sono omessi gli avvisi o le informazioni di cui al presente comma oppure se essi non sono conformi alle prescrizioni ivi contenute, il ricorso non può comunque essere proposto decorsi sei mesi dal giorno successivo alla data di stipulazione del contratto. Quando è impugnata l’aggiudicazione definitiva, se la stazione appaltante fruisce del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, il ricorso è notificato, oltre che presso detta Avvocatura, anche alla stazione appaltante nella sua sede reale, in data non anteriore alla notifica presso l’Avvocatura, e al solo fine dell’operatività della sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione del contratto. I nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti.

 

Pare utile specificare che il limite di riferimento per la sanzione pecuniaria è quello superiore del quintuplo del contributo unificato dovuto, e non quello inferiore del doppio.

 

 


 

Articolo 42
(Comunicazione per via telematica nel processo amministrativo)

 

 

L’articolo 42 prevede che si applicano anche nel processo amministrativo  le disposizioni relative alle comunicazioni e notificazioni per via telematica a cura della cancelleria nel processo civile; alle notificazioni per via telematica a persona diversa dall'imputato nel processo penale; alle notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo; alle comunicazioni e notificazioni per via telematica alle pubbliche amministrazioni.

Modifica a tal fine l’articolo 16 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (legge conv. 221/2012) aggiungendo un comma 17-bis in base a cui le disposizioni di cui ai commi 4, 6, 7, 8, 12 e 13 si applicano anche nel processo amministrativo,

In dettaglio, l’articolo 16 del decreto-legge 179/2012 riguarda i biglietti di cancelleria, le comunicazioni e le notificazioni per via telematica.

In base al comma 4 dell’articolo 16, nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria.

In base al comma 6, le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario.

Nei procedimenti civili nei quali sta in giudizio personalmente la parte il cui indirizzo di posta elettronica certificata non risulta da pubblici elenchi, la stessa può indicare l'indirizzo di posta elettronica certificata al quale vuole ricevere le comunicazioni e notificazioni relative al procedimento. In tale caso le comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria, si effettuano ai sensi del comma 4 e si applicano i commi 6 e 8. Tutte le comunicazioni e le notificazioni alle pubbliche amministrazioni che stanno in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti sono effettuate esclusivamente agli indirizzi di posta elettronica comunicati (comma 7).

Quando non è possibile procedere ai sensi del comma 4 per causa non imputabile al destinatario, nei procedimenti civili si applicano l'articolo 136, terzo comma, e gli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile e, nei procedimenti penali, si applicano gli articoli 148 e seguenti del codice di procedura penale (comma 8).

Si rammenta poi che, in base al comma 12, al fine di favorire le comunicazioni e notificazioni per via telematica alle pubbliche amministrazioni, le amministrazioni pubbliche comunicano al Ministero della giustizia, con le regole tecniche prescritte, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 179, l'indirizzo di posta elettronica certificata conforme alla normativa in materia, a cui ricevere le comunicazioni e notificazioni. L'elenco formato dal Ministero della giustizia è consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati.

In caso di mancata comunicazione entro il termine di cui al comma 12, si applicano i commi 6 e 8 (comma 13).

 

 


 

Articolo 43
(Informatizzazione del processo contabile)

 

 

L’articolo 43 disciplina l’utilizzo di modalità telematiche anche nei giudizi contabili, dinanzi alla Corte dei Conti.

 

Sul punto, il legislatore era già intervenuto con l’art. 20-bis del D.L. n. 179 del 2012[104], che rimette a un decreto del Presidente della Corte dei conti la fissazione delle regole tecniche ed operative per l'adozione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione da parte della Corte dei conti nelle attività di controllo e nei giudizi che si svolgono innanzi a essa.

In particolare, la disposizione richiamata prevede che, con decreto del Presidente della Corte dei conti, siano anche disciplinate le modalità per la tenuta informatica dei registri previsti nell’ambito delle attività giurisdizionali e di controllo preventivo di legittimità, nonché le regole e le modalità di effettuazione delle comunicazioni e notificazioni mediante posta elettronica certificata, ai sensi del già citato decreto legislativo n. 82 del 2005. Fino alla data che verrà fissata con il decreto medesimo, le notificazioni e le comunicazioni continueranno ad essere effettuate nei modi e nelle forme previste dalle disposizioni vigenti[105].

Ad oggi, il decreto non risulta essere stato emanato.

 

In particolare, il comma 1, senza imporre l’utilizzo di tali modalità, si limita a consentirle ed a salvaguardare gli atti processuali compiuti per via telematica, purché compiuti nel rispetto dei seguenti principi:

-        gli atti processuali devono essere riferibili ad un soggetto determinato;

-        gli atti processuali devono essere integri nei propri contenuti;

-        in ogni atto deve essere rispettata la riservatezza dei dati personali.

La disposizione richiama l’obbligatorio rispetto dei principi stabiliti dal Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82 del 2005).

 

Le disposizioni in materia di attività digitale delle pubbliche amministrazioni sono raccolte e riordinate in un unico atto normativo, il Codice dell'amministrazione digitale (CAD), adottato con il D.Lgs. 82/2005 in attuazione della delega contenuta nell’art. 10 della legge 229/2003, relativa al riassetto delle disposizioni vigenti in materia di Società dell’informazione.

Tra i principi generali del Capo I si segnala l’obbligo delle pubbliche amministrazioni centrali e locali di organizzarsi, rideterminando le proprie strutture e procedimenti secondo le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, per assicurare “la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale”. A tal fine, le pubbliche amministrazioni provvedono in particolare a razionalizzare e semplificare i procedimenti amministrativi, le attività gestionali, i documenti, la modulistica, le modalità di accesso e di presentazione delle istanze da parte dei cittadini e delle imprese, assicurando che l'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione avvenga in conformità alle prescrizioni tecnologiche definite nelle regole tecniche dettate con DPCM. Nella valutazione dei progetti di investimento in materia di innovazione tecnologica, le pubbliche amministrazioni, tengono conto degli effettivi risparmi derivanti dalla razionalizzazione, nonché dei costi e delle economie che ne derivano. Si prevede, altresì, che le pubbliche amministrazioni quantificano annualmente i risparmi effettivamente conseguiti in attuazione delle disposizioni di cui sopra. Tali risparmi sono utilizzati, per due terzi secondo quanto previsto dall’articolo 27, comma 1, del D.Lgs. n. 150 del 2009, relativamente al premio di efficienza, e in misura pari ad un terzo per il finanziamento di ulteriori progetti di innovazione.

Con particolare riferimento, poi, alla organizzazione interna della Corte dei conti, si ricorda che l'art. 4 della L. n. 20/1994 stabilisce che la Corte dei conti delibera con proprio regolamento le norme concernenti l'organizzazione, il funzionamento, la struttura dei bilanci e la gestione delle spese. Il potere di autonomia organizzativa è stato, poi, rafforzato ed ampliato dall'art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 286/1999[106].

 

Le regole tecniche e procedurali per l'adozione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nelle attività di controllo e nei giudizi che si svolgono innanzi alla Corte dovranno essere dettate da un decreto del Presidente della Corte dei conti, come già prescritto dal citato art. 20-bis del D.L. 179/2012.

 

Il comma 2 traccia i possibili contenuti del decreto del Presidente della Corte, affermando che le indicazioni tecniche, operative e temporali individuate dalla disciplina attuativa dovranno tener conto – in quanto compatibili – delle previsioni già dettate per il processo civile dagli articoli 16 (Biglietti di cancelleria, comunicazioni e notificazioni per via telematica), 16-ter (Pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni) e 16-quater (Modifiche alla disciplina delle notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali da parte di avvocati) del citato D.L. 179/2012.

 

Infine, il comma 3 chiarisce che il pubblico ministero contabile potrà, sulla base di tali regole tecniche, procedere alle notificazioni per via telematica utilizzando gli indirizzi di posta elettronica certificata contenuti in elenchi pubblici.

 

 


 

Articolo 44
(Deposito telematico degli atti processuali)

 

 

L’articolo 44 riguarda l’obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali. In particolare, dispone che l’obbligo del deposito telematico – oggi previsto a decorrere dal 30 giugno 2014 – interessa esclusivamente i procedimenti iniziati davanti al tribunale ordinario dal 30 giugno 2014; per i procedimenti iniziati prima del 30 giugno 2014, l’obbligo del deposito telematico decorre dal 31 dicembre 2014; fino a tale data, gli atti processuali e i documenti possono essere depositati con modalità telematiche e in tal caso il deposito si perfeziona esclusivamente con tali modalità.

E’ inoltre precisato che per difensori non si intendono i dipendenti di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente. Il Ministro della giustizia può individuare i tribunali nei quali viene anticipato, nei procedimenti civili iniziati prima del 30 giugno 2014, il termine fissato dalla legge per l’obbligatorietà del deposito telematico.

In fine è introdotta, a decorrere dal 30 giugno 2015, una disciplina - analoga a quella del procedimento civile davanti al tribunale - sull’obbligo del deposito degli atti processuali in forma telematica nei procedimenti civili davanti alla corte d’appello.

 

Più in dettaglio, si rammenta che l’intervento normativo fa seguito a una lunga serie di modifiche legislative dirette a favorire la digitalizzazione del processo.

 

Il processo di digitalizzazione del processo risale al D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123 (Regolamento recante disciplina sull'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti), in attuazione di una disposizione della cd. Legge Bassanini volta a riconoscere in via generale valore legale agli atti e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici (art. 15, comma 2, L. 59/97).

Da allora numerosi interventi legislativi hanno cercato di estendere sempre più l’area e l’effettiva applicazione del processo telematico.

Merita ricordare che il 14 marzo 2011 è stato presentato dal Governo il Piano straordinario per la digitalizzazione della giustizia da attuare entro 18 mesi[107].

Ancor più recentemente si segnala che il decreto-legge 179/2012 – ora interessato dalle modifiche introdotte dall’art. 44 del decreto-legge in commento - ha integrato la disciplina processuale delle comunicazioni e notificazioni per via telematica. In particolare, l’art. 16 contiene disposizioni in materia di comunicazioni e notificazioni per via telematica nel processo civile e penale. Da ultimo, la legge di stabilità 2013 (legge 228/2012) è ulteriormente intervenuta sul decreto-legge 179/2012 stabilendo in particolare che, con decorrenza dal 30 giugno 2014, sia obbligatorio il deposito per via telematica degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione. La decorrenza dell’obbligo può essere anticipata nei tribunali in cui il ministro della giustizia accerti la funzionalità dei servizi telematici.

 

I dati di sintesi sull’attuazione del processo civile telematico al 31 maggio 2014 resi noti dal Ministero della Giustizia sono i seguenti[108]:

 

Elaborazione dei dati rilevati sui server dell’Amministrazione negli ultimi 12 mesi (dal 1 giugno 2013 al 31 maggio 2014)

Comunicazioni e notificazioni

Attivate in tutti i tribunali e le corti d’appello

Sono state consegnate 11.553.366, per un risparmio stimato pari a oltre € 40 milioni di euro (Calcolo effettuato sul costo medio stimato di € 7,00 a comunicazione tradizionale tramite ufficiale giudiziario, prudenzialmente moltiplicato per la metà delle comunicazioni elettroniche effettivamente consegnare (totale = 11.553.366: 2 = 5.776.683 x €. 7,00 = €. 40.436.781)

Al mese ne vengono consegnate circa 1.000.000

Depositi telematici a valore legale da parte di avvocati e professionisti

Attivati in 132 tribunali (94% dell’intero territorio) e 13 corti d’appello (50% dell’intero territorio)

Sono stati ricevuti 439.942 atti, di cui 108.284 ricorsi per decreto ingiuntivo e 65.823 memorie

Sono stati 30.288 i professionisti univoci che hanno depositato almeno un atto, di cui 25.141 avvocati

Al mese vengono ricevuti circa 50.000 atti

Sono 96 i tribunali dove la cancelleria ha accettato almeno 20 memorie telematiche

Depositi telematici da parte dei magistrati

I magistrati hanno depositato 907.805 provvedimenti, di cui 274.704 verbali di udienza e 96.574 sentenze

I giudici (o i G.O.T.) che  da inizio 2013 hanno depositato almeno un provvedimento sono 2.332

Al mese vengono depositati circa 100.000 atti

Sono 123 i tribunali effettivamente in grado di accettare ricorsi e di emettere decreti ingiuntivi in via telematica

Atti scansionati (dal 1° maggio 2013 al 30 aprile 2014)

Sono stati scansionati 2.736.513 atti, di cui 2.071.051 provvedimenti dei giudici.

Nell’archivio informatico sono quindi stati inseriti negli ultimi 12 mesi circa 4 milioni di documenti, di cui il 31% è in formato nativo digitale

Pagamenti telematici

Sono stati effettuati 6.298 pagamenti, per un totale di €.1.131.262.

 

L’articolo 44 del decreto-legge interviene quindi sull’obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali.

 

Il comma 1 dispone che:

·      l’obbligo del deposito telematico – oggi previsto dall’art. 16-bis del DL 179 del 2012 a decorrere dal 30 giugno 2014 – interessa esclusivamente i procedimenti che prenderanno avvio davanti al tribunale ordinario dal 30 giugno 2014;

·      per i procedimenti iniziati prima del 30 giugno 2014, l’obbligo del deposito telematico decorre dal 31 dicembre 2014; fino a tale data, gli atti processuali e i documenti possono essere depositati con modalità telematiche e in tal caso il deposito si perfeziona esclusivamente con tali modalità.

 

Il comma 1 interessa quindi la disciplina introdotta dall’art. 16-bis, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 179/2012. L’art. 16-bis prevede infatti nei primi tre commi che, a decorrere dal 30 giugno 2014, nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per il deposito degli atti e dei documenti da parte dei soggetti nominati o delegati dall'autorità giudiziaria. Spetta alle parti provvedere, con le modalità telematiche, a depositare gli atti e i documenti provenienti dai soggetti da esse nominati. Nei processi esecutivi di cui al libro III del codice di procedura civile la disposizione sul deposito telematico si applica successivamente al deposito dell'atto con cui inizia l'esecuzione. Nelle procedure concorsuali sul deposito telematico si applica esclusivamente al deposito degli atti e dei documenti da parte del curatore, del commissario giudiziale, del liquidatore, del commissario liquidatore e del commissario straordinario.

 

Il comma 2 dell’articolo 44 modifica l’art. 16-bis del decreto-legge 179/2012:

·      precisando al comma 1 che per difensori non si intendono i dipendenti di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente;

·      modificando il comma 5 in modo da prevedere che il Ministro della giustizia con decreto possa individuare i tribunali nei quali viene anticipato, nei procedimenti civili iniziati prima del 30 giugno 2014 e anche limitatamente a specifiche categorie di procedimenti, il termine fissato dalla legge per l’obbligatorietà del deposito telematico.

Con riguardo alla modifica del comma 5, pare utile acquisire informazioni aggiornate dal Governo circa gli uffici nei quali eventualmente già sia stato anticipato il termine per il deposito telematico obbligatorio, con riguardo ai procedimenti in corso. Nel caso, infatti, il nuovo comma 5 potrebbe costituire un arretramento rispetto alla obbligatorietà del deposito telematico già introdotta in taluni uffici.

Pare utile valutare se il richiamo generico nel nuovo comma 5 al termine fissato “dalla legge” – e non più a quello di cui ai commi da 1 a 4 dell’art. 16-bis – possa interessare ulteriori termini di deposito non espressamente richiamati dal provvedimento.

 

L’articolo 44 introduce in fine un nuovo comma 9-ter all’articolo 16-bis del decreto-legge 179/2012. Il nuovo comma, riproducendo la disciplina sull’obbligo del deposito degli atti processuali da parte dei difensori con modalità esclusivamente telematica, prevista dal comma 1 dell’art. 16-bis del decreto-legge 179/2012 con riguardo ai procedimenti civili davanti al tribunale, ne estende l’applicazione ai procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi alla corte d’appello, a decorrere dal 30 giugno 2015.

 

Si osserva che la nuova disciplina sul deposito in forma telematica nei procedimenti davanti alla corte d’appello non riproduce anche la clausola – introdotta dall’art. 44, comma 2, lettera a), del decreto-legge per i procedimenti davanti al tribunale – in base a cui per difensori non si intendono i dipendenti di cui si avvalgono le p.a. per stare in giudizio personalmente. Occorre pertanto valutare se tale esclusione debba valere anche nei procedimenti innanzi alla corte d’appello.

 

Il nuovo comma 9-ter – anche per i procedimenti civili in corte d’appello e con lo stesso procedimento previsto per i tribunali – prevede la possibilità che, con proprio decreto, il Ministro della giustizia individui le corti d’appello nelle quali viene anticipato, nei procedimenti civili iniziati prima del 30 giugno 2015 e anche limitatamente a specifiche categorie di procedimenti, il termine fissato dalla legge per l’obbligatorietà del deposito telematico,

 

 


 

Articolo 45
(Comunicazione della sentenza)

 

 

L’articolo 45 modifica il codice di procedura civile, escludendo che il processo verbale –compreso quello relativo all’assunzione dei mezzi di prova - debba essere sottoscritto da altri intervenuti oltre il cancelliere e richiedendo che la notizia alle parti costituite del deposito della sentenza abbia luogo mediante biglietto contenente il testo integrale della sentenza stessa (e non più il solo dispositivo).

A tal fine modifica tre articoli del codice di procedura civile (artt. 126, 133 e 207).

In dettaglio, l’articolo 126 c.p.c. sul contenuto del processo verbale, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 90/2014 stabiliva che il processo verbale deve contenere l'indicazione delle persone intervenute e delle circostanze di luogo e di tempo nelle quali gli atti che documenta sono compiuti; deve inoltre contenere la descrizione delle attività svolte e delle rilevazioni fatte, nonché le dichiarazioni ricevute (primo comma). Il processo verbale è sottoscritto dal cancelliere. Se vi sono altri intervenuti, il cancelliere, quando la legge non dispone altrimenti dà loro lettura del processo verbale e li invita a sottoscriverlo. Se alcuno di essi non può o non vuole sottoscrivere, ne è fatta espressa menzione.

L’articolo 45 del decreto-legge sopprime al secondo comma il riferimento all’invito alla sottoscrizione e, conseguentemente, all’ipotesi in cui gli intervenuti non possano o non vogliano sottoscrivere.

L’articolo 133 del c.p.c., sulla pubblicazione e comunicazione della sentenza, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 90/2014 stabiliva che la sentenza è resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata (primo comma) e che Il cancelliere dà atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma, ed entro cinque giorni, mediante biglietto contenente il dispositivo, ne dà notizia alle parti che si sono costituite (secondo comma).

L’articolo 45 del decreto-legge sostituisce al secondo comma il riferimento al “dispositivo” con quello al “testo integrale della sentenza”.

L’articolo 207 c.p.c., sul processo verbale dell'assunzione dei mezzi di prova, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 90/2014 stabiliva che dell'assunzione dei mezzi di prova si redige processo verbale sotto la direzione del giudice (primo comma). Le dichiarazioni delle parti e dei testimoni sono riportate in prima persona e sono lette al dichiarante che le sottoscrive (secondo comma).

L’articolo 45 del decreto-legge sopprime al secondo comma il riferimento alla sottoscrizione del dichiarante.

Nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione è precisato che le modifiche agli articoli 126 e 207 hanno il fine di adeguare le previsioni ivi contenute alle peculiarità del processo telematico, evitando il compimento di attività manuali per lo svolgimento delle quali è necessario l’impiego di preziose risorse umane e materiali che possono invece essere più utilmente destinate ad altri scopi.

Nella stessa relazione è inoltre chiarito che la modifica all’art. 133 c.p.c. è finalizzata a superare un dubbio interpretativo sorto dal contrasto tra l’art. 133, secondo comma c.p.c., di carattere speciale e previgente (che prevede la comunicazione del dispositivo della sentenza) e l’art. 45 disp. att. c.p.c., modificato dal decreto-legge 179/2012, di carattere generale e cronologicamente successiva (che prevede la comunicazione del testo integrale del provvedimento).

 

 

 


 

Articolo 46
(Notificazioni eseguite da avvocati con modalità telematiche)

 

 

L’articolo 46 reca disposizioni sulle notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali da parte degli avvocati, volte ad incentivare anche da parte dei professionisti, l’impiego delle modalità telematiche, modificando a tal fine la legge n. 53 del 1994[109].

 

In particolare:

 

·             il comma 1, lett. a), b) e c) – modificando gli articoli 1, 3-bis e 7 della legge – stabilisce che per effettuare la notificazione attraverso la posta elettronica certificata l’avvocato non ha bisogno dell’autorizzazione del consiglio dell’ordine (generalmente richiesta per le notificazioni attraverso il servizio postale);

·             il comma 1, lett. d) – intervenendo sull’art. 10 della legge 53/1994 - esonera, in caso di notificazione eseguita con modalità telematica, dal pagamento dell’imposta di bollo. Nella relazione illustrativa è precisato che “il recupero della conseguente perdita di gettito è ottenuto con un corrispondente aumento del contributo unificato”.

 

Il comma 2 – modificando il D.L. 179/2012, nella parte in cui novellava la legge 53 del 1994, ad esempio introducendovi la disciplina della notificazione per posta elettronica certificata - esclude che la notificazione per via telematica da parte dell’avvocato possa eseguirsi nel settore della giustizia amministrativa.

 

Si rileva l’esigenza di introdurre questa disposizione direttamente nella legge n. 53 del 1994 che, in generale, si applica anche alle notificazioni di atti amministrativi. Si potrebbe ad esempio aggiungere questo periodo in coda all’art. 3-bis della legge.

Inoltre si osserva che la relazione illustrativa non esplicita le ragioni della esclusione delle notificazioni telematiche degli avvocati nella giustizia amministrativa, a fronte della nuova disciplina delle comunicazioni e notificazioni telematiche nel processo amministrativo contenuta nell’articolo 42.

 


 

Articolo 47
(Indirizzi PEC delle pubbliche amministrazioni. Comunicazione
al Ministero della Giustizia)

 

 

L’articolo 47 fissa al 30 novembre 2014 il termine (originariamente fissato al 17 giugno 2013 e dunque ampiamente scaduto) entro il quale le pubbliche amministrazioni devono comunicare al Ministero della giustizia il proprio indirizzo di posta elettronica certificata al fine di poter ricevere le comunicazioni e notificazioni del processo civile per via telematica.

A tal fine, il decreto-legge modifica l’art. 16, comma 12, del citato DL 179/2012.

 

 


 

Articolo 48
(Vendita delle cose mobili pignorate con modalità telematiche)

 

 

L’articolo 48 è volto a rafforzare l’impiego delle modalità telematiche nell’ambito del processo di esecuzione, intervenendo in particolare nelle procedure di espropriazione mobiliare presso il debitore.

Il decreto-legge, modificando l’art. 530 del codice di procedura civile, prevede che le vendite di cose mobili pignorate, disposte a decorrere da un mese dall’entrata in vigore della legge di conversione (comma 2), debbano essere interamente effettuate - dal deposito della cauzione, alla presentazione delle offerte, allo svolgimento della gara, al pagamento del prezzo - con modalità telematiche (comma 1).

L’utilizzo di tali modalità è da intendersi come regola, cui il giudice potrà derogare solo quando ritenga tali modalità pregiudizievoli per gli interessi dei creditori o per il celere svolgimento della procedura.

 

Normativa pre-D.L. 90/2014

Normativa vigente

Codice di procedura civile
Art. 530
Provvedimento per l’assegnazione o per l’autorizzazione alla vendita

Sulla istanza di cui all'articolo precedente il giudice dell'esecuzione fissa l'udienza per l'audizione delle parti.

Identico.

All'udienza le parti possono fare osservazioni circa l'assegnazione e circa il tempo e le modalità della vendita, e debbono proporre, a pena di decadenza, le opposizioni agli atti esecutivi, se non sono già decadute dal diritto di proporle.

Identico.

Se non vi sono opposizioni o se su di esse si raggiunge l'accordo delle parti comparse, il giudice dell'esecuzione dispone con ordinanza l'assegnazione o la vendita.

Identico.

Se vi sono opposizioni il giudice dell'esecuzione le decide con sentenza e dispone con ordinanza l'assegnazione o la vendita.

Identico.

Qualora ricorra l'ipotesi prevista dal secondo comma dell'articolo 525, e non siano intervenuti creditori fino alla presentazione del ricorso, il giudice dell'esecuzione provvederà con decreto per l'assegnazione o la vendita; altrimenti provvederà a norma dei commi precedenti, ma saranno sentiti soltanto i creditori intervenuti nel termine previsto dal secondo comma dell'articolo 525.

Identico.

Il giudice dell’esecuzione può stabilire che il versamento della cauzione, la presentazione delle offerte, lo svolgimento della gara tra gli offerenti e l’incanto, ai sensi degli articoli 532, 534 e 534-bis, nonché il pagamento del prezzo, siano effettuati con modalità telematiche.

Il giudice dell’esecuzione stabilisce che il versamento della cauzione, la presentazione delle offerte, lo svolgimento della gara tra gli offerenti, ai sensi dell’articolo 532, nonché il pagamento del prezzo, siano effettuati con modalità telematiche, salvo che le stesse siano pregiudizievoli per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura.

In ogni caso il giudice dell’esecuzione può disporre che sia effettuata la pubblicità prevista dall’articolo 490, secondo comma, almeno dieci giorni prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte o della data dell’incanto.

Identico.

 

In sostanza, se prima del decreto-legge il giudice poteva disporre l’impiego di tali modalità per le vendite senza (art. 532) e con incanto (art. 534), nonché per quelle con incanto delegate a professionisti (art. 534-bis), attualmente il giudice deve disporre l’utilizzo delle modalità telematiche (salvo eccezioni), ma solo per le vendite che, ai sensi dell’art. 532 c.p.c.[110], si svolgono senza incanto o tramite commissionario dei beni pignorati.

Il campo d’applicazione della vendita con modalità telematiche risulta dunque circoscritto rispetto alla situazione antecedente il decreto-legge.

In merito, si evidenzia che l’art. 48 è identico all’art. 5, comma 1, lett. g), n. 1), del disegno di legge A.C. 2092[111], presentato alla Camera dei deputati dal Ministro della Giustizia Cancellieri il 12 febbraio 2014, e mai esaminato. In tale disegno di legge la modifica dell’art. 530 si inserisce in una complessiva riforma del processo esecutivo, nell’ambito della quale viene riscritto anche l’art. 532 del codice di procedura, dedicato alla vendita senza incanto e vengono, soprattutto, abrogati tanto l’art. 534 quanto l’art. 534-bis.

Si osserva che la relazione illustrativa non chiarisce le ragioni per cui l’articolo 48 del decreto-legge limita le possibilità di ricorso all’esecuzione con modalità telematiche. La identica disposizione del disegno di legge 2092 è in realtà coordinata con ulteriori misure di riforma complessiva del processo esecutivo.

 

 

 

 


 

Articolo 49
(Informatizzazione del processo tributario)

 

 

L’articolo 49 consente, nell’ambito del processo tributario, l’utilizzo della posta elettronica certificata (PEC) anche alla parte processuale che non si avvale di un avvocato; in tal caso la parte che sta in giudizio personalmente deve indicare la propria PEC nel ricorso. Qualora la parte non abbia comunicato la PEC o questa non funzioni correttamente per cause imputabili al destinatario, le comunicazioni nel corso del giudizio sono eseguite mediante deposito degli atti in segreteria della Commissione tributaria.

L’invito al pagamento del contributo unificato può essere notificato anche mediante PEC.

 

Il comma 1 modifica il D.Lgs. n. 546 del 1992 (disposizioni sul processo tributario). In particolare la lettera a), aggiungendo un periodo alla fine del comma 1-bis dell’articolo 16 (comunicazioni e notificazioni), chiarisce che nei procedimenti nei quali la parte sta in giudizio personalmente, e il relativo indirizzo di posta elettronica certificata non risulta dai pubblici elenchi, la stessa può indicare l'indirizzo di posta (certificata) al quale vuol ricevere le comunicazioni. L’ultimo periodo della norma sul quale incide la modifica in esame già chiarisce che l'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o delle parti è indicato nel ricorso o nel primo atto difensivo.

 

Si ricorda che l’utilizzo della PEC nell’ambito del processo tributario è stato introdotto dall’articolo 39, comma 8, del D.L. n. 98 del 2011, il quale con riferimento alle problematiche concernenti l'attuazione dei principi previsti dal codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82 del 2005), ha introdotto alcune disposizioni volte ad assicurare una maggiore efficienza e celerità del processo tributario, stabilendo innanzitutto che le comunicazioni sono effettuate anche mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata ovvero nell'ambito del Sistema pubblico di connettività se si tratta di pubbliche amministrazioni. L’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o delle parti è indicato nel ricorso o nel primo atto difensivo.

La disposizione risponde, in tal modo, all’esigenza di potenziare l’utilizzo della posta elettronica certificata nel processo tributario, anche nell’ottica di contenere i costi per la spedizione della comunicazione a mezzo raccomandata.

Con il decreto 23 dicembre 2013, n. 163, del MEF è stato adottato il regolamento recante la disciplina dell'uso di strumenti informatici e telematici nel processo tributario, entrato in vigore il 1° marzo 2014.

Il comma 1, lettera b), dispone che qualora la parte non abbia indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata, ovvero nel caso di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario, le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in segreteria della Commissione tributaria (nuovo comma 3-bis dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 546 del 1992).

 

Il comma 2 prevede che l’invito al pagamento del contributo unificato possa essere notificato anche mediante PEC. In caso di mancata elezione di domicilio, l’invito è depositato presso l'ufficio (nuovo comma 2 dell’articolo 248 del D.P.R. n. 115 del 2002, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia).

La disposizione fa salvo il contenuto della convenzione mediante la quale il Ministero della giustizia affida ad Equitalia Giustizia la gestione del credito (prevista dall’articolo 1, comma 367, della legge n. 244 del 2007). Tale norma prevede che la società provvede alla gestione del credito, mediante le seguenti attività: a) acquisizione dei dati anagrafici del debitore e quantificazione del credito; b) iscrizione a ruolo del credito; a tale fine, il titolare dell'ufficio competente delega uno o più dipendenti della società stipulante alla sottoscrizione dei relativi ruoli.

 

 


 

Articolo 50
(Ufficio per il processo)

 

 

L’articolo 50 introduce l’ufficio del processo presso i tribunali ordinari (e relative Procure della Repubblica) e presso le Corti d’appello.

E’, infatti, da tempo discussa, a fini di incremento della produttività degli uffici giudiziari nonché del rispetto costituzionale del termine di ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma), la creazione di uno staff che coadiuvi il giudice nelle attività non strettamente connesse all’esercizio della giurisdizione. Tale consapevolezza è, del resto, corroborata dalle esperienze in corso presso alcuni uffici giudiziari (tra cui Firenze e Milano) nelle quali dette strutture, formate da stagisti laureati in giurisprudenza ha avuto per effetto un concreto miglioramento della performance dell’ufficio.

Per garantire la citata ragionevole durata innovando i modelli organizzativi ed assicurando l’uso delle più moderne tecnologie l’articolo 50  aggiunge al D.L. 179 del 2012, convertito dalla L. 221/2012, un nuovo articolo 16-octies che istituisce - presso le corti di appello, i tribunali ordinari e le procure della Repubblica presso i tribunali ordinari - una specifica struttura organizzativa.

Tale struttura, denominata ufficio per il processo, è composta:

      da personale di cancelleria;

      da giovani laureati, scelti tra i più meritevoli, che svolgono presso detti uffici tirocinio formativo di 18 mesi (ex art. 73 del D.L. 69/2013) ovvero la formazione professionale nel primo anno del corso di dottorato di ricerca, del corso di specializzazione per le professioni legali o della pratica forense (ex art. 37, D.L. 98/2011).

L’art. 73 del D.L. 69/2013, Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia (L. 98/2013) detta un’articolata disciplina volta a consentire l’accesso a stage formativi teorico-pratici della durata di 18 mesi presso gli uffici della magistratura ordinaria e amministrativa, riservati ai laureati più meritevoli delle facoltà di giurisprudenza, all’esito di un corso almeno quadriennale. Gli uffici giudiziari interessati dagli stage sono: per la magistratura ordinaria, i tribunali e le corti d’appello (lo stage negli uffici penali potrà svolgersi solo presso il giudice del dibattimento; escluse quindi le procure e gli uffici del GIP e del GUP) gli uffici e i tribunali di sorveglianza nonché i tribunali per i minorenni; per la magistratura amministrativa, sia i Tar che il Consiglio di Stato. L’accesso a domanda ai periodi di formazione – possibili una sola volta - è subordinato al possesso dei seguenti requisiti (comma 1): laurea in giurisprudenza all’esito di un corso di durata almeno quadriennale, ottenuta con punteggio minimo di 105 su 110 oppure una media di almeno 27/30 negli esami in specifiche materie (tra le più significative del corso di laurea); età massima di 30 anni; requisiti di onorabilità consistenti nel non avere riportato condanne per delitti non colposi o a pena detentiva per contravvenzioni e non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza.

L’art. 73 prevede l’affidamento del laureato ad un magistrato formatore la cui attività consiste sostanzialmente nel guidare e controllare l’attività degli stagisti. Dal punto di vista dell’attività i tirocinanti “assistono e coadiuvano il magistrato nello svolgimento delle attività ordinarie” potendo accedere ai fascicoli processuali, partecipare alle udienze come alle camere di consiglio (salvo opinione contraria del giudice); partecipano, inoltre, sia ai corsi di formazione cui partecipa il magistrato formatore che ai corsi di formazione decentrata indicati dalla Scuola superiore della magistratura, almeno semestrali, a loro appositamente dedicati. Laddove lo stagista sia iscritto alla pratica forense o ad una Scuola di specializzazione per le professioni legali, la formazione dovrà essere condotta in collaborazione con l’ordine professionale e la Scuola di specializzazione, secondo modalità individuate dal Capo dell’ufficio giudiziario.

L’articolo 73 impone, comunque, precisi limiti sia in riferimento a generici doveri di riserbo e riservatezza derivante dalla documentazione cui possono accedere, che al possibile conflitto d’interessi in cui può incorrere lo stagista (es: accesso a fascicoli di procedimenti trattati dall'avvocato presso il quale lo stagista svolge il tirocinio forense); in particolari ai tirocinanti è imposto – in relazione alle notizie apprese nel corso dell’attività presso gli uffici - l’obbligo del segreto e di astensione dalla deposizione testimoniale

Per il periodo di attività presso il tribunale o la corte d’appello, lo stagista – che ha accesso ai fascicoli e partecipa alle udienze e alle camera di consiglio - non ha diritto ad alcuna forma di compenso e di trattamento previdenziale da parte della pubblica amministrazione. Il rapporto non costituisce ad alcun titolo rapporto subordinato (di pubblico impiego) o autonomo. Al termine del periodo formativo, il magistrato formatore deve redigere una relazione sul corretto svolgimento dell’attività da parte del tirocinante e trasmetterla al capo dell’ufficio giudiziario. Una disposizione – soppressa in sede di conversione - prevedeva che lo stagista (anche ove il periodo di formazione fosse trascorso presso l’Avvocatura dello Stato) conseguisse in caso di stage positivo l’acquisizione di titolo idoneo per l’accesso al concorso in magistratura ordinaria.

I 18 mesi di stage con esito positivo sono valutati pari ad 1 anno di tirocinio forense e notarile e, per lo stesso periodo, ai fini della frequenza presso le scuole di specializzazione legale. L'esito positivo del tirocinio costituisce, inoltre, titolo preferenziale per la nomina a giudice onorario e vice procuratore onorario di tribunale, autonomo requisito di accesso all'esercizio delle funzioni di giudice di pace, per i concorsi indetti dalle amministrazioni della giustizia, dall’Avvocatura dello Stato e, in diversa misura, da altre amministrazioni dello Stato.

L’art. 73 precisa come l’attestazione dell’esito positivo dello stage presso Tar e Consiglio di Stato (ovvero presso gli altri organi di giustizia amministrativa presso la regione Sicilia e la regione autonoma del Trentino Alto-Adige) sia equiparato a tutti gli effetti a quello svolto presso gli uffici giudiziari ordinari. Per favorire l’attuazione degli stage formativi è previsto il possibile apporto finanziario di terzi mediante convenzioni.

 

L’articolo 37 del D.L. 98/2011, Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria (L. 111/2011) ha previsto che i capi degli uffici giudiziari, nell’ambito dell’attuazione del programma per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti, sono autorizzati a stipulare convenzioni, senza oneri per la finanza pubblica, con le facoltà universitarie di giurisprudenza, con le scuole di specializzazione per le professioni legali e con i consigli dell'ordine degli avvocati per consentire ai più meritevoli lo svolgimento presso gli uffici giudiziari del primo anno del corso di dottorato di ricerca, del corso di specializzazione per le professioni legali o della pratica forense.

I dottorandi, gli specializzandi ed i praticanti assistono e coadiuvano i magistrati nel compimento delle loro ordinarie attività e sono tenuti al segreto d’ufficio; al termine della formazione il magistrato redige una relazione sull'attività e sulla formazione professionale acquisita. I dottorandi, gli specializzandi ed i praticanti non hanno diritto ad alcun compenso, indennità, rimborso spese o trattamento previdenziale da parte della pubblica amministrazione; il loro rapporto non costituisce ad alcun titolo pubblico impiego. L’art. 37 consente la partecipazione alle convenzioni di terzi finanziatori.

 

·      solo per le corti d’appello, dai giudici ausiliari già previsti per lo smaltimento dell’arretrato civile (ex art. 62, D.L. 69/2013).

Si osserva che il riferimento corretto sarebbe all’art. 63 del D.L. 69/2013

L’art. 63 del citato D.L. 69/2013 ha previsto - per favorire lo smaltimento dell’arretrato civile presso le corti d’appello - la nomina di 400 giudici ausiliari nominati con apposito decreto del Ministro della giustizia, previa deliberazione del CSM, su proposta formulata dal consiglio giudiziario territorialmente competente. Possono essere chiamati all'ufficio di giudice ausiliario: i magistrati ordinari, contabili e amministrativi e gli avvocati dello Stato, a riposo da non più di tre anni al momento di presentazione della domanda, nonché magistrati onorari, che non esercitino più ma che abbiano esercitato con valutazione positiva la loro funzione per almeno cinque anni; i professori universitari in materie giuridiche di prima e seconda fascia anche a tempo definito o a riposo da non più di tre anni al momento di presentazione della domanda; i ricercatori universitari in materie giuridiche; gli avvocati anche se cancellati dall'albo da non più di tre anni al momento di presentazione della domanda; i notai anche se a riposo da non più di tre anni al momento di presentazione della domanda. Ai sensi dell’art. 67, il giudice ausiliario è nominato per la durata di 5 anni, prorogabili per non più di 5 anni e – a parte le ipotesi di decadenza, dimissioni, revoca e mancata conferma - cessa dalla carica improrogabilmente al compimento dei 78 anni di età.

 

·      solo per i tribunali, dai giudici onorari di tribunale (cd. GOT), previsti dall’art. 42-ter dell’ordinamento giudiziario (R.D. 12/1941).

L’ordinamento giudiziario (art. 42-ter e ss.) prevede che i GOT sono nominati tra i laureati in giurisprudenza, residenti in un comune del distretto, di età compresa tra 25 e 69 anni, in possesso dei requisiti di onorabilità. Nominati con decreto del Ministro della giustizia, in conformità della deliberazione del CSM, su proposta del consiglio giudiziario competente per territorio, permangono in carica per 3 anni (prorogabili per pari periodo) ed esercitano le funzioni assegnate dal presidente del tribunale. Nell'assegnazione è seguito il criterio di non affidare ai giudici onorari: nella materia civile, la trattazione di procedimenti cautelari e possessori, fatta eccezione per le domande proposte nel corso della causa di merito o del giudizio petitorio; nella materia penale, le funzioni di giudice per le indagini preliminari e di giudice dell'udienza preliminare, nonché la trattazione di procedimenti diversi da quelli di citazione diretta a giudizio (previsti dall'articolo 550 c.p.p.). Il limite di età per l’esercizio delle funzioni di GOT è stabilito in 71 anni.

 

Le disposizioni attuative dell’ufficio del processo sono di competenza del Ministero della giustizia e del CSM.

 

Oltre ad una disposizione integrativa dell’art. 73, comma 1, del D.L. 69/2013 avente natura di coordinamento con il comma 1 del nuovo articolo 16-octies del D.L. 179/2012 (che prevede lo stage formativo anche presso le Procure della repubblica presso i tribunali ordinari), il comma 2 dell’art. 50 – al fine, come indica la relazione al disegno di legge di conversione del D.L. in esame, “…di incentivare il ricorso allo stage formativo” - ripristina la citata previsione sugli effetti dello stage ai fini dell’accesso al concorso in magistratura ordinaria.

Al riguardo, si rileva che tale disposizione reitera un’identica norma prevista dal D.L. 69/2013 e soppressa dal Parlamento in sede di conversione dello stesso.

 

Il comma 2 integra, infatti, con un comma 11-bis, il contenuto dell’art. 73 del citato D.L. 69/2013, stabilendo che l'esito positivo dello stage, attestato dal magistrato formatore, costituisce titolo per l'accesso al concorso per magistrato ordinario ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 160 del 2006.

L’art. 2 del D.Lgs. 160/2006 prevede (comma 1) che al concorso per esami in magistratura ordinaria sono ammessi, tra gli altri:

-      i laureati in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e del diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali previste dall’articolo 16 del D.Lgs. 398/1997 (lett. h);

-      i laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, ed hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche (lett- i);

-      i laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, ed hanno conseguito il diploma di specializzazione in una disciplina giuridica, al termine di un corso di studi della durata non inferiore a due anni presso le scuole di specializzazione di cui al DPR 162/1982 (lett- l).

Sul punto, la relazione illustrativa riferisce della possibilità per lo stagista di accedere al concorso in magistratura “senza dover conseguire il diploma presso una scuola di specializzazione”. In realtà, l’attestato di svolgimento positivo dello stage risulta equiparato – ai fini dell’accesso al concorso per esami in magistratura ordinaria - anche al possesso del dottorato di ricerca in materie giuridiche.

Analogamente, è riconosciuto come titolo idoneo per l'accesso al concorso per magistrato ordinario lo svolgimento del tirocinio professionale per 18 mesi presso l'Avvocatura dello Stato, sempre in presenza dei requisiti di merito e dell’attestazione dell'esito positivo del tirocinio.

In relazione a tale disposizione potrebbe essere opportuno precisare che ci si riferisce al tirocinio professionale forense.

 


 

Articolo 51, comma 1
(Apertura al pubblico delle cancellerie di tribunali e Corti d’appello)

 

 

L’articolo 51, comma 1, modifica la legge n. 1196 del 1960, sull’ordinamento delle cancellerie, per specificare (art. 162) l’orario di apertura al pubblico delle cancellerie dei tribunali e delle Corti d’appello. Per questi uffici, infatti, il decreto-legge prevede un’apertura per almeno tre ore nei giorni feriali, rispetto alle 5 ore giornaliere previste per ogni altra cancelleria e segreteria giudiziaria.

Saranno i presidenti degli uffici giudiziari, sentiti i capi delle cancellerie, a individuare l’orario specifico di apertura.

La relazione illustrativa giustifica la riduzione nell’orario di apertura al pubblico di queste cancellerie con l’esigenza di dedicare una parte dell’orario di ufficio allo svolgimento delle attività connesse con il deposito telematico degli atti.

 

 

 

 


 

Articolo 51, comma 2
(Termini per il deposito telematico degli atti processuali)

 

 

L’articolo 51, comma 2, specifica le modalità di effettuazione del deposito telematico degli atti processuali civili, intervenendo sull’art. 16-bis del D.L. 179/2012, come modificato dall’art. 44 del decreto-legge, (v. sopra).

Tale provvedimento ha infatti previsto, con decorrenza 30 giugno 2014, il deposito obbligatorio per via telematica degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite.

Per garantire l’operatività della riforma il decreto-legge specifica che:

·     anche a tale deposito, che si considera avvenuto al momento in cui il gestore della posta elettronica certificata (PEC) del Ministero della giustizia genera la ricevuta di avvenuta consegna, si applicano le disposizioni sulla proroga di diritto della scadenza quando la stessa si verifichi in giorno festivo o prefestivo;

·     se il messaggio di posta elettronica è troppo “pesante” per le specifiche tecniche del sistema, può essere suddiviso in diversi invii e sarà ritenuto tempestivo quando l’invio sarà completato entro la fine del giorno di scadenza del termine.

 


 

Articolo 52
(Poteri di autentica degli ausiliari e dei difensori)

 

 

L’articolo 52 riguarda i poteri di autentica dei difensori e degli ausiliari del giudice.

In particolare, il comma 1, lettera a), introduce un nuovo comma 9-bis all’art. 16-bis del decreto-legge 179/2012, prevedendo che le copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonché di provvedimenti di quest’ultimo - presenti nei fascicoli informatici dei procedimenti civili indicati nel medesimo art. 16-bis (procedimenti contenziosi o di volontaria giurisdizione, processi esecutivi del libro III c.p.c., procedure concorsuali, procedimenti d’ingiunzione) – equivalgano all’originale, anche se privi della firma digitale del cancelliere.

Il difensore, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore e il commissario giudiziale possono estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche di tali atti e provvedimenti e attestarne la conformità all’originale. Le copie in tal caso equivalgono all’originale.

Precisa la relazione illustrativa che la nova disciplina consentirà di liberare le risorse necessarie per adibire i cancellieri a compiti più qualificati di assistenza al giudice e, in particolare, a seguito di idonea riqualificazione, di inserirli nell’ufficio per il processo.

 

Per i duplicati rimane fermo quanto previsto dall’art. 23-bis del codice dell’amministrazione digitale, sui duplicati e copie informatiche di documenti informatici.

In base all’art. 23-bis, i duplicati informatici hanno il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico da cui sono tratti, se prodotti in conformità alle regole tecniche prescritte dall'articolo 71 del codice (comma 1). Le copie e gli estratti informatici del documento informatico, se prodotti in conformità alle vigenti regole tecniche di cui all'articolo 71, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale da cui sono tratte se la loro conformità all'originale, in tutti le sue componenti, è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato o se la conformità non è espressamente disconosciuta. Resta fermo, ove previsto, l'obbligo di conservazione dell'originale informatico (comma 2).

Nella relazione illustrativa è precisato che “non si è ritenuto di limitare il valore giuridico della copia conforme ai soli fini processuali, perché l’uso che della copia si può fare riguarda anche attività non processuali, ad esempio per la notificazione, o per la trascrizione, annotazione ed iscrizione nei pubblici registri”.

 

Pare utile valutare se la clausola di salvaguardia dell’art. 23-bis del codice dell’amministrazione digitale riguardi anche l’attestazione di conformità, ivi prevista, da parte di un pubblico ufficiale ai fini dell’efficacia probatoria o se tale disposizione risulti superata dai contenuti del nuovo comma 9-bis dell’art. 16-bis del decreto-legge 179/2012.

 

Stabilisce in fine il nuovo comma 9-bis che le nuove disposizioni non si applicano agli atti processuali che contengono provvedimenti giudiziali che autorizzano il prelievo di somme di denaro vincolate all’ordine del giudice.

L’articolo 52 disciplina poi, al comma 1, lettera b), il domicilio digitale. Introduce a tal fine un nuovo articolo 16-sexies nel decreto-legge 179/2012, prevedendo la notificazione all’indirizzo di posta elettronica certificata - PEC, quando il difensore ne è munito, con riguardo ai casi in cui la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, a istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario. In particolare, si prevede che la notificazione presso la cancelleria abbia luogo esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo PEC, risultante dagli elenchi contenuti nell’indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti e nel registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia. E’ fatto salvo quanto previsto dall’articolo 366 c.p.c., sul contenuto del ricorso in Cassazione.

 

L’art. 366 c.p.c., oltre a indicare il contenuto proprio del ricorso, a pena di inammissibilità, stabilisce al secondo comma che se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma, ovvero non ha indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione. Inoltre, in base al quarto comma, le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni tra i difensori di cui agli articoli 372 e 390 sono effettuate ai sensi dell'articolo 136, secondo e terzo comma.

A sua volta, in base all’art. 136, secondo e terzo comma, il biglietto relativo alle comunicazioni è consegnato dal cancelliere al destinatario, che ne rilascia ricevuta, ovvero trasmesso a mezzo posta elettronica certificata, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Salvo che la legge disponga diversamente, se non è possibile procedere in tal senso, il biglietto viene trasmesso a mezzo telefax, o è rimesso all'ufficiale giudiziario per la notifica.

Le comunicazioni di cancelleria in Cassazione risulterebbero quindi ancora possibili attraverso strumenti non telematici.

 

 

Inoltre, si prevede che il diritto di copia (con o senza certificazione di conformità) non sia dovuto quando la copia è estratta dai fascicoli informatici dai soggetti abilitati.

A tal fine è modificato il DPR 115/2002 (Testo unico sulle spese di giustizia), agli articoli 40, 268 e 269.

L’articolo 40 del testo unico sulle spese di giustizia, relativo alla determinazione di nuovi supporti e degli importi, stabilisce che, con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono disciplinati, anche con riferimento a nuovi mezzi tecnologici, il diritto di copia e il diritto di certificato e ne sono individuati gli importi sulla base dei costi del servizio e dei costi per l'incasso dei diritti (comma 1). Inoltre, con lo stesso decreto l'importo del diritto di copia rilasciata su supporto cartaceo è fissato in misura superiore di almeno il cinquanta per cento di quello previsto per il rilascio di copia in formato elettronico.  L'importo del diritto di copia, aumentato di dieci volte, è dovuto per gli atti comunicati o notificati in cancelleria nei casi in cui la comunicazione o la notificazione al destinatario non si è resa possibile per causa a lui imputabile.

L’articolo 52 del decreto-legge aggiunge due commi (rispettivamente 1-quater e 1-quinquies) all’articolo 40 del testo unico, in base a cui:

·        il diritto di copia senza certificazione di conformità non è dovuto quando la copia è estratta dal fascicolo informatico dai soggetti abilitati ad accedervi;

·        il diritto di copia autentica non è dovuto nei casi previsti dall’articolo 16-bis, coma 9-bis, del decreto-legge 179/2012 (si tratta della disposizione introdotta dal comma 1 dell’art. 52 sulla possibilità di estrarre copie informatiche di atti processuali da parte dei difensori e degli ausiliari del giudice).

 

Inoltre, l’articolo 52 aggiunge un comma all’art. 268 del testo unico. L’art. 268, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 90/2014, stabiliva che per il rilascio di copie autentiche di documenti è dovuto il diritto nella misura stabilita dalla tabella, contenuta nell'allegato n. 7 del testo unico.

Il nuovo comma 1-bis precisa che il diritto di copia autentica non è dovuto per le copie informatiche autenticate (ancora una volta, secondo quanto previsto dalla nuova disciplina delle copie informatiche degli atti processuali da parte dei difensori e degli ausiliari del giudice, introdotta dal nuovo comma 9-bis dell’art. 16-bis del decreto-legge 179/2012).

La relazione illustrativa precisa che l’esenzione dal pagamento del diritto di copia non produce variazioni di gettito, attraverso la “forfettizzazione degli importi ricavati a titolo di diritti di copia, aumentando il contributo unificato percentualmente e in misura strettamente corrispondente” (v. art. 53 del decreto -legge 90). Ciò eviterà a colui che estrae la copia di dover sostenere l’esborso aggiuntivo della commissione dovuta, per i pagamenti telematici, in favore del sistema bancario o della spa Poste italiane, con conseguente abbattimento dei costi del servizio giustizia.

 

 

In fine, l’articolo 52 sostituisce il comma 1-bis dell’articolo 269 del testo unico sulle spese di giustizia.

L’articolo 269, sul diritto di copia su supporto diverso da quello cartaceo, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 90/2014 stabiliva che per il rilascio di copie di documenti su supporto diverso da quello cartaceo è dovuto il diritto forfettizzato nella misura stabilita dalla tabella, contenuta nell'allegato n. 8 del testo unico (comma 1). Il diritto di copia senza certificazione di conformità non è dovuto dalle parti che si sono costituite con modalità telematiche ed accedono con le medesime modalità al fascicolo (comma 1-bis).

In base al nuovo comma 1-bis il diritto di copia senza certificazione di conformità non è dovuto quando la copia è estratta dal fascicolo informatico dai soggetti abilitati ad accedervi.

Il medesimo comma 1-bis è stato introdotto dalla legge di stabilità per il 2014; tuttavia, come specificato nella relazione illustrativa, la costituzione con modalità telematiche è incompatibile con la normativa sul processo civile telematico, che non impone il deposito telematico del primo atto difensivo di parte. Pertanto, il rilascio da parte del cancelliere di copia senza certificazione di conformità con modalità tradizionali rimane non assoggettato all’obbligo del pagamento del diritto di copia.

 

 

 


 

Articolo 53
(Copertura finanziaria attraverso l’aumento del contributo unificato)

 

 

L’articolo 53, comma 1, quantifica le minori entrate per lo Stato derivanti dall’attuazione degli articoli da 38 a 52 del decreto-legge. In particolare, determinano minori entrate:

·      l’art. 46, co. 1, lett. d), che esclude il pagamento dell’imposta di bollo quando gli avvocati procedano a notificazioni attraverso posta elettronica certificata;

·      l’art. 52, co. 2, lett. a), b) e c), che esclude il pagamento di diritti di copia quando la copia sia estratta, da soggetti abilitati, dai fascicoli informatici.

 

Anno

Minore entrata

2014

18 milioni di euro

Di cui

·     3 mln per mancato bollo notifiche avvocati

·     15 mln per esclusione diritti di copia da fascicoli informatici

2015 (a decorrere dal)

52,53 milioni di euro

Di cui

·     10 mln per mancato bollo notifiche avvocati

·     42,53 mln per esclusione diritti di copia da fascicoli informatici

 

Le minori entrate vengono coperte attraverso un generalizzato aumento – circa del 15% - del contributo unificato nei procedimenti civili.

 

Tipo di processo

Contributo pre DL

Contributo oggi

Processi di valore fino a 1.100 euro, nonché processi per controversie di previdenza e assistenza obbligatorie (salvo quanto previsto dall'articolo 9, comma 1-bis), per i procedimenti di cui all'articolo 711 c.p.c., e per i procedimenti di cui all'articolo 4, comma 16, della legge 1° dicembre 1970, n. 898

37

43

Processi di valore superiore a 1.100 euro e fino a 5.200 euro e per i processi di volontaria giurisdizione, nonché per i processi speciali di cui al libro IV, titolo II, capo I e capo VI, c.p.c., e per i processi contenziosi di cui all'articolo 4 della legge 1° dicembre 1970, n. 898

85

98

Processi di valore superiore a 5.200 euro e fino a 26.000 euro e per i processi contenziosi di valore indeterminabile di competenza esclusiva del giudice di pace

206

237

Processi di valore superiore a 26.000 euro e fino a 52.000 euro e per i processi civili di valore indeterminabile;

450

518

Processi di valore superiore a 52.000 euro e fino a 260.000 euro

660

759

Processi di valore superiore a 260.000 euro e fino a 520.000 euro

1.056

1.214

Processi di valore superiore a euro 520.000

1.466

1.686

Processi esecutivi mobiliari di valore inferiore a 2.500 euro

37

43

Processi esecutivi immobiliari

242

278

Altri processi esecutivi

121

139

Processi di opposizione agli atti esecutivi

146

168

Procedura fallimentare (dalla sentenza dichiarativa di fallimento alla chiusura)

740

851

 

A questi aumenti, realizzati novellando l’art. 13 del TU spese di giustizia (D.P.R. n. 115 del 2002), devono aggiungersi, a cascata, tutti gli aumenti relativi ai contributi unificati per i giudizi di impugnazione. L’art. 13, comma 1-bis (non novellato) dispone infatti che il contributo dovuto in primo grado «è aumentato della metà per i giudizi di impugnazione ed è raddoppiato per i processi dinanzi alla Corte di cassazione».

 

Il comma 2 prevede una clausola di salvaguardia finanziaria demandando al Ministro della giustizia il monitoraggio degli oneri in termini di minori entrate recati dal provvedimento in esame, con l’obbligo di riferire in merito al Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo 17, comma 12, della legge di contabilità nazionale (legge n. 196/2009).

 

L’articolo 17 della legge n. 196/2009 prevede che ciascuna legge che comporti nuovi o maggiori oneri debba indicare espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento da essa previsto, la spesa autorizzata, che si intende come limite massimo di spesa, ovvero le relative previsioni di spesa, definendo una specifica clausola di salvaguardia, da redigere secondo i criteri di cui al comma 12, per la compensazione degli effetti che eccedano le previsioni medesime.

Secondo il citato comma 12, la clausola di salvaguardia deve essere effettiva e automatica. Essa deve indicare le misure di riduzione delle spese o di aumenti di entrata, con esclusione del ricorso ai fondi di riserva, nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni indicate dalle leggi al fine della copertura finanziaria. In tal caso, sulla base di apposito monitoraggio, il Ministro dell'economia e delle finanze adotta, sentito il Ministro competente, le misure indicate nella clausola di salvaguardia e riferisce alle Camere con apposita relazione. La relazione espone le cause che hanno determinato gli scostamenti, anche ai fini della revisione dei dati e dei metodi utilizzati per la quantificazione degli oneri autorizzati dalle predette leggi.

 

La clausola inserita nel comma in esame prevede che, nel caso in cui si verifichino, siano in procinto di verificarsi, scostamenti rispetto agli oneri previsti il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro della giustizia, provvederà con proprio decreto all’aumento del contributo unificato, nella misura necessaria a garantire la copertura finanziaria delle minori entrate risultanti dal monitoraggio.

 

Al riguardo si rileva l’opportunità di valutare con attenzione tale disposizione, che demanda ad un atto ministeriale la determinazione dell’importo di una prestazione patrimoniale indicata dalla legge (art. 23 Cost.), operando – seppur in presenza di alcuni presupposti - una delegificazione della materia, senza peraltro indicare un parametro o un limite massimo al possibile aumento di tali importi.

 

La giurisprudenza costituzionale sul punto (antecedente alla legge 196/2009) ha registrato orientamenti non totalmente conformi nel tempo: in alcune sentenze (36/1959 e 341/2000) la Corte ha evidenziato come la potestà amministrativa nella determinazione del quantum della prestazione risulta limitata sia nell’oggetto che dalle direttive, dovendosi ritenere illegittima  quella norma che non contenga sufficienti indicazioni per la parametrazione dei profili quantitativi della prestazione. Nello stesso tempo, diverse pronunce hanno delimitato in negativo gli elementi che possono non essere presenti nella base legislativa: tra questi, il limite massimo del prelievo che non necessariamente deve essere quindi contenuto nella disciplina legislativa (sentenze nn. 4/1957, 30/1957, 36/1959, 34/1986).

 

I commi 3 e 4 stabiliscono che, laddove il ministro dell’economia attivi la clausola di salvaguardia del comma precedente,

-        debba riferirne senza ritardo alle Camere;

-        sia autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 

 

 


 

 



[1] Il provvedimento, inoltre, ha fatti salvi i trattenimenti in essere alla data di entrata in vigore del decreto-legge (nonché quelli già disposti con riferimento alle domande presentate nei 6 mesi successivi alla data di entrata in vigore del decreto-legge medesimo), ha previsto l’obbligo per le amministrazioni di riconsiderare, con provvedimento motivato, tenuto conto della nuova disciplina, i provvedimenti di trattenimento in servizio già adottati con decorrenza dal 1° gennaio al 31 dicembre 2009 e, infine, ha disposto la decadenza dei trattenimenti in servizio già autorizzati con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2010, prevedendo contestualmente l’obbligo della presentazione di una nuova istanza.

[2] Il provvedimento ha quindi fatto salvi i trattenimenti in servizio aventi decorrenza anteriore al 1° gennaio 2011 (disposti prima dell'entrata in vigore del D.L. 112/2208), mentre quelli aventi decorrenza successiva al 1° gennaio 2011 (disposti prima dell'entrata in vigore del medesimo D.L. 112/2008), sono stati ritenuti privi di effetti.

[3] Il comma 1-bis è stato introdotto dall’articolo 34, comma 12, della legge n.289/2002.

[4] Al riguardo merita ricordare che Il testo originario dell’articolo 72, comma 11, consentiva la risoluzione unilaterale del rapporto in presenza di un’anzianità contributiva di 40 anni. Successivamente, l’articolo 6, comma 3, della L. 15/2009 (nel modificare il testo del articolo 72, comma 11), ha disposto che l’istituto si applicasse non al compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni, bensì al compimento dell'anzianità massima di servizio effettivo di 40 anni La disposizione non trovava applicazione nei confronti dei magistrati e dei professori ordinari.

 

 

[5] Si ricorda che nel testo originario del comma 427, le economie di spesa che avrebbero dovuto derivare dalle misure di revisione della spesa, di ridimensionamento delle strutture e di ottimizzazione dell’uso degli immobili venivano limitate al solo triennio 2015-2017, ed erano fissate negli importi di 600 milioni di euro nell’anno 2015 e 1.310 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017.

L’aumento degli importi relativi all’obiettivo di risparmio da conseguire per le pubbliche amministrazioni attraverso le suddette misure di razionalizzazione della spesa - che vengono anticipati al 2014 e resi permanenti - è disposto, dall’articolo 2, comma 1, lettera b), del D.L. n. 4/2014, a copertura, in termini di indebitamento netto, della soppressione dei commi 575 e 576 della legge di stabilità 2014, disposta dal medesimo decreto-legge, all’articolo 2, comma 1, lettera a), i quali prevedevano l’adozione di provvedimenti normativi di razionalizzazione delle detrazioni per oneri in grado di assicurare maggiori entrate per l’anno 2014 e a decorrere dall’anno 2015 per importi pari a 488,4 milioni di euro nel 2014, 772,8 milioni nel 2015 e 564,7 milioni a decorrere dal 2016.

[6] Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 21, comma 5, della legge n. 196 del 2009, concernente il bilancio di previsione, le spese, nell'ambito di ciascun programma, si ripartiscono in: a) spese non rimodulabili; b) spese rimodulabili.

Secondo la definizione contenuta nella legge di contabilità, le spese non rimodulabili sono quelle “per le quali l'amministrazione non ha la possibilità di esercitare un effettivo controllo, in via amministrativa, sulle variabili che concorrono alla loro formazione, allocazione e quantificazione”. Esse corrispondono alle spese definite come “oneri inderogabili”. Le spese rimodulabili - delle quali non è data una vera e propria definizione - sono individuate: nelle spese derivanti da fattori legislativi, intendendo come tali quelle autorizzate da espressa disposizione legislativa che ne determina l'importo, considerato quale limite massimo di spesa, e il periodo di iscrizione in bilancio; nelle spese di adeguamento al fabbisogno, ossia spese non predeterminate legislativamente ma quantificate tenendo conto delle esigenze delle amministrazioni.

[7] Gli enti di cui all’art. 70, comma 4, del D.Lgs. 165/2001 sono: ente EUR; enti autonomi lirici ed istituzioni concertistiche assimilate; Agenzia spaziale italiana; Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato; Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura; Comitato nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell'energia nucleare e delle energie alternative (ENEA); Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale e Registro aeronautico italiano (RAI); CONI; Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL); Ente nazionale per l'aviazione civile (E.N.A.C.).

[8] La normativa previgente faceva infatti riferimento al “personale cessato”, senza alcuna specificazione, con la conseguenza che doveva intendersi tutto il personale in servizio (di ruolo e non di ruolo). Facendo riferimento al solo personale di ruolo (ossia al solo personale della pianta organica ed escludendo quindi il personale non di ruolo, come personale comandato, personale con contratto a tempo determinato o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa), la base di calcolo potrebbe restringersi, con conseguente limitazione delle facoltà di assunzioni.

[9] Al riguardo, l’articolo 1, comma 460, lettera b), della L. 147/2013 ha modificato il limite percentuale, relativo alle risorse concernenti la cessazione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato intervenute nell'anno precedente, utile ai fini delle assunzioni a tempo indeterminato e di ricercatori effettuabili nelle Università statali (di cui al comma 13-bis dell’ articolo 66 del D.L. 112/2008): tale limite risulta, attualmente, pari al 50% nel biennio 2014-2015, al 60% nel 2016, all'80% nel 2017 e al 100% a decorrere dal 2018.

[10] Si tratta del limite alle assunzioni previsto (destinatarie sono le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, gli enti pubblici non economici e gli enti pubblici di cui all'articolo 70, comma 4, del D.Lgs. 165/2001) dell’articolo 66, comma 9, del D.L. 112/2008, e dell’articolo 9, comma 8, del D.L. 78/2010, che peraltro vengono abrogate dall’articolo in esame. Per una disamina sul contenuto, cfr. il paragrafo “Ulteriori interventi di coordinamento legislativo”.

[11] Può essere inoltre utile ricordare che, per quanto riguarda il personale a tempo determinato e i rapporti di lavoro flessibili (in convenzione, contratti di collaborazione coordinata e continuativa, contratti di formazione lavoro e altri rapporti formativi, somministrazione di lavoro, lavoro accessorio), il D.L. 78/2010 (articolo 9, comma 28) ha previsto che le P.A. (a decorrere dal 2011) possono avvalersene nel limite del 50% della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009. Il provvedimento ha altresì stabilito che tali vincoli costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica, a cui devono pertanto adeguarsi le regioni, le province autonome e gli enti del S.S.N., nonché (per effetto dell’articolo 4, commi 102 e 103, della L. 183/2011) le Camere di commercio e gli enti locali.

[12] La normativa previgente faceva infatti riferimento al “personale cessato”, senza alcuna specificazione, con la conseguenza che doveva intendersi tutto il personale in servizio (di ruolo e non di ruolo). Facendo riferimento al solo personale di ruolo (ossia al solo personale della pianta organica ed escludendo quindi il personale non di ruolo, come personale comandato, personale con contratto a tempo determinato o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa), la base di calcolo potrebbe restringersi, con conseguente limitazione delle facoltà di assunzioni.

[13] Tale comma, come accennato in precedenza, ha stabilito che nelle more dell’attuazione delle disposizioni di riduzione e razionalizzazione delle Province, alle stesse sia vietato procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato.

[14] L’articolo 1, comma 557, della L. 296/2006, contiene disposizioni per il contenimento della spesa del personale degli enti sottoposti al Patto di stabilità interno (senza però individuare alcuna regola sul turn over), evidenziando innanzitutto che la riduzione di tali spese includa gli oneri riflessi e l'IRAP ed escluda gli oneri relativi ai rinnovi contrattuali. Allo stesso tempo, vengono indicati i principi sui quali modulare le azioni volte al contenimento dei costi, consistenti:

• nella riduzione della percentuale delle spese per il personale sul totale delle spese correnti, attraverso una parziale reintegrazione dei cessati e il contenimento del lavoro flessibile;

• nello snellimento delle strutture con accorpamento di uffici e la riduzione della percentuale delle posizioni dirigenziali;

• nel contenimento della crescita della contrattazione integrativa anche in coerenza con le disposizioni dettate per le amministrazioni statali.

Ai fini dell'applicazione delle richiamate disposizioni, il successivo comma 557-bis ha precisato che costituiscono spese di personale anche quelle sostenute per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, per la somministrazione di lavoro, per il personale titolare di incarichi a contratto, nonché per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all'ente. Infine, si stabilisce (comma 557-ter) che in caso di mancato rispetto delle disposizioni sopra indicate, si applica l’articolo 76, comma 4 del D.L. 112/2008 (che in tali casi prevede il divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, nonché di stipulare contratti elusivi di tale divieto).

Si ricorda, infine, che la disciplina del patto di stabilità interno, è attualmente incentrata, per gli enti locali, sul controllo dei saldi finanziari e, per le regioni, sul principio del contenimento delle spese finali. In concreto, per ciascun anno finanziario, la legge stabilisce un tetto massimo di spesa che non può essere superato per l'intero comparto delle regioni (sono distinti gli obiettivi per le regioni a statuto ordinario e per le regioni a statuto speciale). Il livello complessivo di spesa, viene poi determinato per ciascuna regione; che purché rimanga al di sotto del tetto, può modulare le diverse voci di spesa.

[15] Vedi in tal senso il punto 4.2.2 della Relazione della Corte dei conti sulla gestione finanziaria delle regioni (esercizi 2011 – 2012), nonché la sentenza della Corte costituzionale n. 287 del 2013.

[16] Si segnala che sui criteri di calcolo della base di computo è di recente intervenuto, in senso restrittivo, l'articolo 46-bis del D.L. 83/2012, che ha escluso dalla base medesima i lavoratori con contratto a tempo determinato di durata fino a 6 mesi.

[17] Si ricorda, inoltre, che la L. 25/2011, recando un’interpretazione autentica del quarto periodo del richiamato articolo 1, comma 2, della L. 407/1998, stabilendo che per tale disposizione resta comunque ferma l'applicazione di quanto stabilito dall'articolo 3 della L. 68/1999 sulle percentuali di collocamento obbligatorio.

[18] Ed escludendo i soci di cooperative, i dirigenti, i lavoratori assunti per attività da svolgersi all’estero, i lavoratori socialmente utili, i lavoratori a domicilio e quelli aderenti al programma di emersione – ex articolo 1, comma 4-bis della L. 383/2001 -, i lavoratori con contratto di inserimento e, infine, quelli occupati con contratto di somministrazione presso l’utilizzatore.

[19]   L’incremento del suddetto Fondo per la stabilizzazione dei rapporti di lavoro pubblici, operato dall’art. 3, c. 97, della L. 244 del 2007, è stato successivamente ridotto prima di 2,82 milioni di euro (art. 14, c. 4, lett. b), D.L. 195/2009), di 0,6 milioni di euro per l'anno 2013, 3 milioni di euro per l'anno 2014, 5 milioni di euro per l'anno 2015, 8,7 milioni di euro per l'anno 2016 e 11,4 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017 (art. 4-bis, c. 2, lett. b), D.L. 101/2013) e da ultimo di 10 milioni di euro (art. 15, c. 3, lett. b), D.L. 102/2013)

[20] Ai sensi dell’articolo 72, comma 11, del D.L. 112/2008, che prevede la possibilità, fino a tutto il 2014, di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro e il contratto individuale (con preavviso di sei mesi) nei confronti del personale dipendente (compresi i dirigenti) che hanno compiuto l’anzianità massima contributiva. Secondo l’art. 16, c. 11, del D.L. 98/2011, l’esercizio della facoltà di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro “non necessita di ulteriori motivazioni qualora l'amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri di applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo”. Si ricorda che sull’istituto della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro interviene l’articolo 1 del presente dossier.

[21] Introdotto dall’articolo 49, comma 2, del decreto legislativo n.150/2009 (c.d. decreto Brunetta).

[22] L’articolo 2103 del Codice civile stabilisce che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia acquisito o a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.

[23] Programmazione triennale prevista dall’articolo 39 della L. 449/1997 (v.oltre).

[24] Si fa presente che nel testo vigente prima dell’entrata in vigore del decreto-legge in esame si faceva riferimento alle nuove assunzioni, senza alcuna specificazione in ordine  al tempo determinato o indeterminato; inoltre, non si subordinava l’avvio di procedure concorsuali all’utilizzo del personale in disponibilità.

[25] L’istituto del comando nel pubblico impiego è disciplinato, in via generale, dall’articolo 56 del DPR 3/1957, il quale stabilisce che – per riconosciute esigenze di servizio, o quando sia richiesta una speciale competenza, purché per un periodo di tempo determinato ed in via eccezionale – l’impiegato di ruolo può essere comandato a prestare servizio presso altra amministrazione statale o presso altri enti pubblici. Il successivo articolo 57 del Testo Unico precisa che la spesa per il personale comandato presso altra amministrazione statale resta a carico dell’amministrazione di appartenenza, mentre alla spesa del personale comandato presso enti pubblici provvede direttamente ed a proprio carico l’ente presso cui detto personale presta servizio. La riforma del pubblico impiego, (attuata con il D.Lgs.29/1993, poi trasfuso nel D.Lgs, 165/2001), non ha disciplinato l’istituto del comando, che va pertanto ricostruito all’interno di un quadro più generale, ferma restando l’applicabilità del T.U. del pubblico impiego nell’ambito dei settori del lavoro pubblico non contrattualizzato in funzione suppletiva. Si ricorda che l’art. 4 del CCNL siglato il 15.5.2001, integrativo del CCNL del personale del comparto Ministeri sottoscritto in data 16.2.1999, ha statuito che il dipendente, a domanda, può essere assegnato temporaneamente ad altra amministrazione anche di diverso comparto che ne faccia richiesta per utilizzarne le prestazioni (posizione di "comando"). Salvo casi eccezionali, la posizione di comando cessa al termine previsto e non può superare la durata di 12 mesi rinnovabili una sola volta. Alla scadenza del termine massimo, il dipendente può chiedere, in relazione alla disponibilità di posti in organico, il passaggio diretto all'amministrazione di destinazione. In caso contrario il dipendente rientra all'amministrazione di appartenenza. Il comando può cessare, prima del termine previsto, qualora non prorogato ovvero per effetto del ritiro dell'assenso da parte dell'interessato o per il venir meno dell'interesse dell'amministrazione che lo ha richiesto. Il comando non pregiudica la posizione del dipendente agli effetti della maturazione dell'anzianità lavorativa, dei trattamenti di fine lavoro e di pensione e dello sviluppo professionale.

[26] La ricognizione è operata ai sensi dell'art. 34-bis, c. 5-bis, del D.Lgs. 165/2001, il quale prevede che “ove se ne ravvisi l’esigenza per una più tempestiva ricollocazione del personale in disponibilità […] il Dipartimento della funzione pubblica effettua ricognizioni presso le amministrazioni pubbliche per verificare l’interesse all’acquisizione in mobilità dei dipendenti”.

[27] L’istituto dell’aspettativa senza assegni, che consente una deroga di carattere generale al principio dell’esclusività del rapporto di impiego del pubblico dipendente (contenuto nell’articolo 60 del T.U. in materia di impiegati civili dello Stato), è disciplinato dall’articolo 23-bis del D.Lgs. 165/2001 che consente ai dirigenti delle pubbliche amministrazioni, agli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia e, limitatamente agli incarichi pubblici, ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili nonché agli avvocati e procuratori dello Stato di essere collocati, a domanda, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale.

 

[28] Sull’istituto della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro da parte della PA nei confronti dei dipendenti che abbiano maturato i requisiti pensionistici, si rinvia alla scheda relativa all’articolo 1 del presente decreto-legge.

[29] Si ricorda che l’obbligo di programmazione triennale del fabbisogno di personale, a carico degli organi di vertice delle amministrazioni pubbliche, è stato introdotto dall’articolo 39 della L. 449/1997 allo scopo di assicurare le esigenze di funzionalità e di ottimizzare le risorse per il migliore funzionamento dei servizi, compatibilmente con le disponibilità finanziarie e di bilancio: tutte le determinazioni relative all’assunzione di personale devono essere adottate sulla base della citata programmazione triennale. La programmazione triennale dei fabbisogni è altresì richiamata in più punti del D.Lgs. 165/2001; in particolare, gli articoli 16 e 17 che, tra i poteri e i compiti dei dirigenti, contemplano quelli di predisporre le risorse e i profili professionali necessari anche al fine dell’elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno.

[30] A cui fa riferimento il comma 1, lett. b), dell’articolo in esame.

[31] Sul punto si vedano le sentenze Cassazione, S.U., n. 7755 del 7 agosto 1998 e Cassazione, Sezione lavoro, n. 16106 del 20 dicembre 2001,

[32] In tal senso Cass. sez. lav., 10 maggio 2002, n. 6763, in Foro it., 2002, I, 3111; Cass. sez. lav., 7 dicembre 2000, n. 15517, in Rep. foro it., 2000, Lavoro (rapporto), 3890, n. 1256; Cass. sez. lav., 11 maggio 2000, n. 6046, in Rep. foro it., Lavoro (rapporto), 3890, n. 1295; Cass. sez. lav., 8 giugno 1999, n. 5659, in Not. giur. lav., 1999, 603; Cass. sez. lav., 18 novembre 1997, n. 11460, in Giust. civ. mass., 1997, 2208; Cass. sez. lav., 8 settembre 1997, n. 8704, in Not. giur. lav., 1997, 602 nonché Cass. sez. lav., 13 dicembre 1996 n. 11124, in Lav. e prev. oggi, 1997, 1217.

[33] Amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, il quale chiarisce che per “amministrazioni pubbliche” debbono intendersi tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’ARAN e le Agenzie istituite dal D.Lgs. 300 del 1999 (Agenzia industrie difesa; Agenzia per le normative e i controlli tecnici; Agenzia per la proprietà industriale; Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici; Agenzia dei rapporti terrestri e delle infrastrutture; Agenzia per la formazione e l’istruzione professionale; Agenzie fiscali (entrate, dogane, territorio, demanio).

[34] Disciplina richiamata dal comma 2 dell’articolo in esame.

[35] Le pubbliche amministrazioni richiamate sono innanzitutto quelle indicate dall’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001, ossia tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al D.Lgs. 300/1999. In secondo luogo, si tratta delle amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il cui ultimo elenco è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 229 del 30 settembre 2013. Da ultimo, il divieto vige anche per le autorità indipendenti (ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa).

[36] L. 15 maggio 1997, n. 127, “Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”. Nella norma richiamata si prevede che nel caso in cui disposizioni di legge o regolamentari dispongano l'utilizzazione presso le amministrazioni pubbliche di un contingente di personale in posizione di fuori ruolo o di comando, le amministrazioni di appartenenza sono tenute ad adottare il provvedimento di fuori ruolo o di comando entro quindici giorni dalla richiesta.

[37] Seppur contrariamente a quanto affermato dal parere della sez. regionale delle Corte dei Conti per la Puglia, appare confermato il contenuto del comma 2 dell’art. 110 del D.Lgs. n. 267/2000 con riferimento alla attribuzione di incarichi dirigenziali a termine al di fuori della dotazione organica: il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire.

[38] Sui presupposti di legittimità del conferimento di incarico di consulenza a soggetto esterno la Corte dei Conti ha avuto modo di precisare che essi consistono ne: l'impossibilità oggettiva di reperire risorse umane disponibili all'interno della P.A., la straordinarietà della situazione che giustifica il ricorso alla convenzione e la natura temporanea, determinata ed altamente qualificata della prestazione (Sez. giurisdiz., Sent. n. 000141 del 05-03-2007 (ud. del 27-02-2007).

[39] La disposizione richiama l’art. 4 della L. 266/1991 (legge quadro sul volontariato) che concerne l’assicurazione dei soli aderenti ad organizzazioni di volontariato. Queste hanno l’obbligo di assicurare i propri aderenti contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell'attività di volontariato, nonché per la responsabilità civile verso i terzi.

[40] L’articolo 18, comma 1, del D.L. n. 185/2008 ha disposto che il CIPE, presieduto dal Presidente del Consiglio, provveda ad assegnare, in coerenza con gli indirizzi assunti in sede europea, una quota delle risorse nazionali disponibili del Fondo aree sottoutilizzate ad una serie di fondi. Alla lettera a) del comma 1 viene indicato il Fondo sociale per occupazione e formazione, che viene appositamente istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. In tale Fondo affluiscono anche le risorse del Fondo per l'occupazione, nonché ogni altra risorsa comunque destinata al finanziamento degli ammortizzatori sociali, concessi in deroga alla normativa vigente, e quelle destinate in via ordinaria dal CIPE alla formazione. Attualmente, le risorse del richiamato Fondo sono destinate a specifici interventi di politica attiva del lavoro, o (nel caso di risorse non destinate a determinati interventi previsti dalla normativa) al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga.

[41] Cfr. pag. 120 della Rassegna dell’Avvocatura dello Stato n. 4/2013 (www.avvocaturastato.it/files/file/Rassegna/2013/rassegna_avvocatura_2013_ottobre_dicembre.pdf).

[42] I settori concorsuali sono stati determinati con DM 336/2011 e successivamente rideterminati con DM 159/2012.

[43] La prima procedura per la formazione delle commissioni nazionali è stata avviata con decreto direttoriale 27 giugno 2012, n. 181.

[44] Il compenso è stato determinato con D.I. 4 gennaio 2012, n. 159 in euro 16.000 per l’intera durata biennale della commissione.

[45] Da ultimo, l’art. 11 del DM 8 agosto 2013 n. 700, di ripartizione del Fondo di finanziamento ordinario (FFO) delle università per il 2013, ha destinato a tal fine € 5 mln.

[46] Peraltro, all’art. 8, co. 6, del regolamento permane la decorrenza dei cinque mesi dalla data di pubblicazione del bando.

[47] Al DPR 222/2011 ha fatto seguito il DM 76/2012, con il quale sono stati definiti, in particolare, i criteri e i parametri per la valutazione dei candidati, nonché le modalità di accertamento della qualificazione dei Commissari.

[48] Ai sensi dell’art. 14, co. 2-quinquies, D.L. 216/2011 (L. 14/2012), le risorse destinate al piano per il 2012 e 2013 sono ripartite tra tutte le università statali e le istituzioni ad ordinamento speciale.

[49] Rispondendo all’interpellanza urgente n. 2-00559  il 5 giugno 2014, il rappresentante del Governo ha fatto presente che “Con riguardo alla riduzione della durata dei corsi di specializzazione, i competenti uffici stanno lavorando, perché va tenuto conto della complessità dell'operazione, considerato che la riduzione della durata determina necessariamente la revisione degli ordinamenti didattici per ogni scuola di specializzazione”.

 

[50] L’art. 21 del D.L. 104/2013, modificando l’art. 39, co. 3, del D.lgs. 368/1999 ha disposto che, dall’a.a. 2013-2014, il trattamento economico è determinato ogni tre anni, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dell'economia e delle finanze. Al momento il DPCM non risulta intervenuto.

[51] Per le risorse complessivamente disponibili nel 2014 prima dell’ulteriore incremento previsto dal comma 2 in esame, si veda la risposta del Governo all’interrogazione a risposta immediata n. 3-00857, resa il 4 giugno 2014.

[52] In base alla relazione tecnica all’A.S. 3396, al 1° gennaio 2012 la giacenza complessiva nei conti correnti di contabilità speciale era di 423 milioni di euro, fortemente diminuita grazie all’istituzione, dal 2007, del Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche (art. 1, co. 601, della L. 296/2006) e alla modifica del circuito della spesa, attraverso l’invio diretto alle scuole di gran parte dei fondi ad esse destinati, senza quindi più farli transitare nelle contabilità speciali.

[53] Sull’argomento, si veda il già citato  comunicato stampa del MIUR del 17 aprile 2014.

[54]Recante “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario”, convertito dalla legge n.132 del 2012.

[55]Ai sensi dell’articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 165/2001 per “amministrazioni pubbliche” si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

[56]Il Fondo per il finanziamento del trattamento economico accessorio è un tipico istituto della contrattazione di II livello (o integrativa), nel quale afferiscono le risorse aggiuntive destinati ai trattamenti accessori tipici (quali straordinario, indennità varie) di ogni settore o comparto. La quantificazione del Fondo è rimessa alla legge (per il pubblico impiego) o alla contrattazione collettiva.

[57] Ai fini delle disposizioni sulla trasparenza sono enti di diritto privato in controllo pubblico gli enti di diritto privato sottoposti a controllo da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti costituiti o vigilati da pubbliche amministrazioni nei quali siano a queste riconosciuti, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi.

[58] Dalla procedura sono escluse alcune categorie di enti: gli ordini professionali e loro federazioni, le federazioni sportive e gli enti non inclusi nell'elenco ISTAT, gli enti la cui funzione consiste nella conservazione e nella trasmissione della memoria della resistenza e delle deportazioni, nonché le autorità portuali, gli enti parco e gli enti di ricerca.

[59] Il comma 3 dell’art. 1 così dispone: «Nelle regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Abruzzi, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia sono istituite sezioni staccate, le cui sedi e le cui circoscrizioni saranno stabilite nelle norme di attuazione della presente legge previste nell'articolo 52».

[60]Il 19 maggio 2010 la Commissione europea ha adottato la comunicazione "Un'agenda digitale europea"(COM(2010)245), una delle sette “iniziative-faro” della Strategia per la crescita "Europa 2020"; la comunicazione indica le iniziative per promuovere la digitalizzazione e lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in Europa. In attuazione dell’agenda la comunicazione COM(2010)472 indica l'obiettivo di assicurare entro il 2020 l'accesso ad Internet a tutti i cittadini con una velocità di connessione superiore a 30 Megabit per secondo (Mbit/s) e per almeno il 50% delle famiglie con velocità superiore a 100 Mbit/s. Per approfondimenti vedi qui.

[61] Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.

[62] Si ricorda che il controllo strategico è stato introdotto tra i controlli interni delle pubbliche amministrazioni con il decreto legislativo 286/1999. Tale forma di controllo ha lo scopo di valutare l’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione amministrativa dei piani, dei programmi e di altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico in termini di congruenza tra risultati conseguiti ed obiettivi predefiniti.

[63] D.P.R. 24 novembre 2009 n. 210, Disposizioni relative all'organizzazione degli uffici centrali di livello dirigenziale generale del Ministero dell'interno ed al personale dell'amministrazione civile dell'interno, per l'attuazione dell'articolo 1, comma 404-416, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dell'articolo 74 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

[64] D.P.R. 16 aprile 2013, n.70, Regolamento recante riordino del sistema di reclutamento e formazione dei dipendenti pubblici e delle Scuole pubbliche di formazione, a norma dell'articolo 11 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.

[65] Sono escluse dal Sistema le attività di formazione e reclutamento relative ai magistrati, agli avvocati e procuratori dello Stato, al personale militare, alle forze di polizia e ai vigili del fuoco.

[66] Nell’ambito del Sistema unico, le Scuole favoriscono l’utilizzo gratuito delle proprie strutture anche per lo svolgimento di corsi organizzati da altre scuole pubbliche o da amministrazioni diverse da quella di appartenenza.

[67] La nuova denominazione è stata assunta in virtù dell’articolo 1 del citato D.P.R. 70 del 2013 che ha istituito il Sistema unico delle scuola pubbliche di formazione.

[68] D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 178, Riorganizzazione della Scuola superiore della pubblica amministrazione (SSPA), a norma dell'articolo 24 della legge 18 giugno 2009, n. 69. La legge finanziaria 2007 (art. 1, commi 580-585, L. 296/2006) istituiva e disciplinava l’Agenzia per la formazione dei dirigenti e dipendenti delle amministrazioni pubbliche – Scuola nazionale della pubblica amministrazione, destinata a sostituire la Scuola superiore della pubblica amministrazione, della quale si disponeva la soppressione a decorrere dal 31 marzo 2007 (termine prorogato al 15 giugno dal D.L. 300/2006) . Il decreto legge 112/2008 (art. 26, comma 3) ha ripristinato la situazione previgente disponendo l’abrogazione dei citati commi 580-585.

[69] D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 287, Riordino della Scuola superiore della pubblica amministrazione e riqualificazione del personale delle amministrazioni pubbliche, a norma dell’articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[70] D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 178, Riorganizzazione della Scuola superiore della pubblica amministrazione (SSPA), a norma dell'articolo 24 della legge 18 giugno 2009, n. 69.

[71] Nel dettaglio, è stato ridotto a cinque il numero dei componenti delle Autorità con collegi di nove membri (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - AGCom e Commissione di garanzia sull'esercizio del diritto di sciopero), e a tre quello delle autorità composte da sette (Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private di interesse collettivo) o cinque membri (Autorità per l'energia elettrica e il gas, Autorità garante della concorrenza e del mercato, Commissione nazionale per la società e la borsa, Commissione di vigilanza sui fondi pensione). Le disposizioni di decreto non si applicano ai componenti in carica al momento dell'entrata in vigore della medesima disposizione, per cui le modifiche stanno entrando a regime progressivamente, in relazione alle scadenze di mandato dei membri delle diverse autorità. I membri della Autorità nazionale anticorruzione (ex Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche), dapprima ridotti a tre secondo le previsioni del D.L. 201/2011, sono stati aumentati a cinque in forza dell’art. 5 del D.L. 101/2013. In via analoga, si procede per la Consob ai sensi dell’articolo 22, co. 13-16, del decreto in esame

[72] D.L. 31 dicembre 2007 n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito con legge 28 febbraio 2008, n. 31.

[73] Si tratta dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM o Antitrust), della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP), dell’Autorità di regolazione dei trasporti , dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, servizi e forniture, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), del Garante per la protezione dei dati personali (Garante della privacy), dell’Autorità nazionale anticorruzione e della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.

[74] Si ricorda che nell’ambito degli appalti pubblici, disciplinati del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163/2006), si distinguono i contratti «sopra soglia» e «sotto soglia», a seconda che abbiano ad oggetto affidamenti, rispettivamente, di importo superiore, ovvero inferiore a determinati valori (cd. soglie comunitarie). Agli appalti «sopra soglia» si applicano tout court le direttive comunitarie, in particolare, la direttiva 2004/18/CE e la Direttiva 2004/17/CE e la citata normativa nazionale di recepimento, mentre gli appalti «sotto soglia» trovano la loro specifica disciplina negli articoli da 121 a 124 del Codice del Contratti pubblici.

[75] Ai sensi del comma 2 dell’articolo 1 del D.Lgs. n. 165/2001 per “amministrazioni pubbliche” si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

[76] Il DPR 9 agosto 2013 ha provveduto alla nomina dei tre componenti l’Autorità.

[77] Al link www.funzionepubblica.gov.it/comunicazione/notizie/2014/giugno/italia-semplice-moduli-unificati-e-semplificati-per-l%E2%80%99edilizia.aspx è possibile scaricare la modulistica adottata.

[78] D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada.

[79] Come previsto dall'articolo 11, comma 5, del D.P.R. 24 luglio 1996, n. 503, Regolamento recante norme per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici.

[80] D.L. 27 agosto 1993, n. 324, Proroga dei termini di durata in carica degli amministratori straordinari delle unità sanitarie locali, nonché norme per le attestazioni da parte delle unità sanitarie locali della condizione di handicappato in ordine all'istruzione scolastica e per la concessione di un contributo compensativo all'Unione italiana ciechi.

[81] Di cui all'articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.

[82] L’articolo 33 della legge 104/1992 prevede agevolazioni lavorative per i familiari che assistono persone disabili e per gli stessi lavoratori con disabilità. Per maggiori informazioni si rinvia alla sezione Permessi retribuiti legge 104 nel sito dell’INPS.

[83] Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53.

 

[84] D.M. 2 agosto 2007, Individuazione delle patologie rispetto alle quali sono escluse visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante. Il DM 2 agosto 2007 ha approvato l'elenco delle patologie rispetto alle quali sono escluse visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante e indicazione della relativa documentazione sanitaria. Il decreto individua 12 voci relative a condizioni patologiche per le quali non sono necessari esami di controllo e di verifica per continuare a godere del riconoscimento dello stato invalidante. L'individuazione si basa su due elementi: la gravità della condizione e l'impossibilità di miglioramento. Il decreto prevede che l'elenco delle patologie, per le quali non è più necessario ripetere le visite di controllo o di revisione, sia rivisto con cadenza annuale.

[85] Commissioni mediche di cui all'articolo 20, comma 1, del decreto legge 1 luglio 2009, n. 78,  Provvedimenti anticrisinonché proroga di termini, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2009, n. 102. Con l’articolo 20 sono state introdotte importanti innovazioni nel processo di riconoscimento dei benefici in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile e disabilità, con l’obiettivo di realizzare la gestione coordinata delle fasi amministrative e sanitarie finalizzata ad una generale contrazione dei tempi di erogazione delle prestazioni. Per quanto riguarda le Commissioni mediche, le Commissioni mediche ASL sono state integrate dal medico INPS quale componente effettivo. Il medico INPS che partecipa alle Commissioni è designato di volta in volta, a rotazione, fra quelli in servizio presso il Centro Medico Legale (CML) territorialmente competente. La programmazione dell’attività è affidata al Responsabile del CML, che ha cura di limitare le partecipazioni di ciascun sanitario entro il numero massimo di dieci sedute consecutive nella stessa Commissione Medica Integrata. La composizione delle Commissioni Mediche Integrate, ovviamente, varia in funzione della domanda presentata dal cittadino, a seconda che sia volta al riconoscimento dell’invalidità civile, cecità civile, sordità civile o disabilità. Nel quadro dell’integrazione e della collaborazione tra amministrazioni pubbliche, ove richiesto, l’INPS può mettere a disposizione delle ASL interessate i propri Centri medici legali per l’effettuazione delle visite.

[86] D.M. 2 agosto 2007, Individuazione delle patologie rispetto alle quali sono escluse visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante.

[87] “I soggetti portatori di menomazioni o patologie stabilizzate o ingravescenti, inclusi i soggetti affetti da sindrome da talidomide, che abbiano dato luogo al riconoscimento dell'indennità di accompagnamento o di comunicazione sono esonerati da ogni visita medica finalizzata all'accertamento della permanenza della minorazione civile o dell'handicap”.

[88] D.L. 18 settembre 2001, n. 347, Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria, convertito in legge, con modificazioni, dall'art.1, L. 16 novembre 2001, n. 405.

[89] Decreto Ministero della salute, 28 maggio 1999 , n. 329, Regolamento recante norme di individuazione delle malattie croniche e invalidanti ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124.

[90] Decreto Ministero della Sanità, 18 maggio 2001, n. 279, Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124.

[91] D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 4 aprile 2012, n. 35.

[92] Con il decreto 23 novembre 2012, il Ministero della salute ha definito, in accordo con le Regioni e Province autonome, il periodo minimo di validità dell'attestato di esenzione, fissando in molti casi una durata illimitata. Comunque, gli attestati di esenzione per le malattie croniche e invalidanti, rilasciati dalle ASL, quando rinnovati o emessi per la prima volta dovranno avere una validità non inferiore a quella fissata nell’allegato 1 dello stesso decreto.

 

 

[93] D.L. 18 settembre 2001, n. 347, Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 16 novembre 2001, n. 405.

[94] Secondo le stime di Federfarma, il passaggio dalla ricetta cartacea a quella elettronica procede a passo lento e discontinuo. Tra le regioni italiane solo Sicilia e Val D'Aosta si sono approssimate al raggiungimento dell'obiettivo di una emissione di ricette elettroniche entro il 2013 pari al 60% del totale.

[95] D.L. 13 settembre 2012, n. 158 Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 8 novembre 2012, n. 189.

[96]   Per la messa a punto del regolamento è stato istituito presso il Ministero della salute un tavolo tecnico denominato “Responsabilità professionale dell’esercente le professioni sanitarie”. Ultimate le consultazioni del tavolo tecnico, Il Ministero della Salute ha avviato l’iter di approvazione che prevede, oltre il concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell’economia e delle finanze, la deliberazione del Consiglio dei ministri, sentiti la Conferenza Stato-Regioni e il Consiglio di Stato, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, nonché la consultazione degli enti indicati nella normativa, tra i quali l’ANIA.

[97]  Di cui all’articolo 3, comma 5, lettera e) del decreto legge 138/2011Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148/2011.

[98]   L’obbligo per il professionista di stipulare idonea polizza assicurativa è stato confermato dal Regolamento sulla riforma degli ordinamenti professionali (D.P.R. 137/2012 del 7 agosto 2012) che all’articolo 5 ha posto il termine per la stipula a decorrere da dodici mesi dall’entrata in vigore del Regolamento. Successivamente, l’articolo 44, comma 4-quater, del decreto legge 69/2013, ha prorogato tale termine al 15 agosto 2014.

[99] Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148/2011.

[100] Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.

[101] Per un approfondimento si veda il capitolo 5, intitolato “La trasparenza”, del Rapporto sul primo anno di attuazione della legge n. 190/2012 del dicembre 2013, curato dall’ANAC e disponibile al link www.anticorruzione.it/wp-content/uploads/Rapporto-attuazione-l.-n.-190_2012-ANAC.pdf.

Per una rassegna degli adempimenti nei confronti dell’AVCP previsti dalla L. 190/2012 si rinvia invece a www.avcp.it/portal/public/classic/FAQ/faq_legge190_2012.

[102] Per un approfondimento sui contenuti principali delle nuove direttive si rinvia a

www.camera.it/leg17/465?area=23&tema=559&Pacchetto+direttive+UE+appalti+pubblici

[103] La norma chiarisce che tali interventi devono essere contenuti entro un importo non superiore al 10% per i lavori di recupero, ristrutturazione, manutenzione e restauro e al 5% per tutti gli altri lavori delle categorie di lavoro dell'appalto e non devono comportare un aumento dell'importo del contratto stipulato per la realizzazione dell'opera. Sono inoltre ammesse (sempre ai sensi del comma 3), nell'esclusivo interesse dell'amministrazione, le varianti, in aumento o in diminuzione, finalizzate al miglioramento dell'opera e alla sua funzionalità, sempreché non comportino modifiche sostanziali e siano motivate da obiettive esigenze derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula del contratto. L'importo in aumento relativo a tali varianti non può superare il 5% dell'importo originario del contratto e deve trovare copertura nella somma stanziata per l'esecuzione dell'opera al netto del 50% dei ribassi d’asta.

[104] D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, convertito in legge da L. 17 dicembre 2012, n. 221.

[105] Ai sensi dell’art. 18 del D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123 (Regolamento recante disciplina sull'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti) le disposizioni recate da tale regolamento si applicano, in quanto compatibili, anche al processo amministrativo e ai processi innanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti. Con D.P.C.M. sono stabilite le regole tecnico-operative per il funzionamento e la gestione del sistema informatico della giustizia amministrativa e contabile.

[106] Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[107] Il Piano straordinario s'inquadrava nell'ambito del Piano e-Gov 2012 che individua nella digitalizzazione della Giustizia un obiettivo prioritario. Le risorse stanziate (saranno rilasciate per stadi di avanzamento) ammontavano a 50 milioni di euro messe a disposizione dal Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, tramite il Dipartimento per la digitalizzazione e l’innovazione tecnologica.

[108] I dati sono consultabili al seguente link:

http://pst.giustizia.it/PST/resources/cms/documents/Elaborazione_dati_PCT_maggio2014.pdf

[109] L. 21 gennaio 1994, n. 53, Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali.

[110] Codice di procedura civile, art. 532 (Vendita a mezzo di commissionario). «Il giudice dell'esecuzione può disporre la vendita senza incanto o tramite commissionario dei beni pignorati. Le cose pignorate devono essere affidate all'istituto vendite giudiziarie, ovvero, con provvedimento motivato, ad altro soggetto specializzato nel settore di competenza, affinché proceda alla vendita in qualità di commissionario.

Nello stesso provvedimento di cui al primo comma il giudice, dopo avere sentito, se necessario, uno stimatore dotato di specifica preparazione tecnica e commerciale in relazione alla peculiarità del bene stesso, fissa il prezzo minimo della vendita e l'importo globale fino al raggiungimento del quale la vendita deve essere eseguita, e può imporre al commissionario una cauzione.

Se il valore delle cose risulta da listino di borsa o di mercato, la vendita non può essere fatta a prezzo inferiore al minimo ivi segnato».

[111] Recante: Delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile, la riduzione dell’arretrato, il riordino delle garanzie mobiliari, nonché altre disposizioni per la semplificazione e l’accelerazione del processo di esecuzione forzata. Collegato alla legge di stabilità 2014.