Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Titolo: D.L. 21 giugno 2013, n. 69 'Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia', convertito, in legge, con modificazioni, dall' art. 1, comma 1, L. 9 agosto 2013, n. 98 - (Articoli da 41 a 85)
Riferimenti:
AC N. 1248/XVII   DL N. 69 DEL 21-GIU-13
Serie: Progetti di legge    Numero: 36    Progressivo: 4
Data: 11/10/2013
Descrittori:
ECONOMIA NAZIONALE   L 2013 0098
POLITICA ECONOMICA     
Altri riferimenti:
L N. 98 DEL 09-AGO-13     

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

Progetti di legge

 

 

 

Le leggi

D.L. 21 giugno 2013, n. 69

Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia”, convertito, in legge, con modificazioni, dall’ art. 1, comma 1,
L. 9 agosto 2013, n. 98

Schede di lettura

(Articoli da 41 a 85)

 

 

 

 

 

 

n. 36/4

Tomo II

 

 

11 ottobre 2013


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Bilancio

( 066760-2233 – * st_bilancio@camera.it

 

 

 

 

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File: D13069ds2.doc

 


INDICE
(Tomo I)

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Rafforzamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese)   3

§      Articolo 2 (Finanziamenti per l’acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle piccole e medie imprese)............................................................................... 8

§      Articolo 3 (Rifinanziamento dei contratti di sviluppo)................................... 12

§      Articolo 3-bis (Misure urgenti per i pagamenti dei debiti degli enti del Servizio sanitario nazionale (D.L. n. 72/2013)).................................................................................................. 17

§      Articolo 4, commi 1-7 (Norme in materia di concorrenza nel mercato del gas naturale e nei carburanti).................................................................................................... 20

§      Articolo 4, comma 7-bis (Deduzione forfetaria in favore degli esercenti impianti di distribuzione carburanti).................................................................................................... 24

§      Articolo 5 (Disposizioni per la riduzione dei prezzi dell’energia elettrica ed estensione della cd. Robin Hood Tax)..................................................................................................... 26

§      Articolo 6 (Gasolio per il riscaldamento delle coltivazioni sotto serra)........ 33

§      Articolo 7 (Imprese miste per lo sviluppo)................................................... 37

§      Articolo 8 (Partenariati)................................................................................. 39

§      Articolo 9, commi 1-2 e 3-bis (Accelerazione nell’utilizzazione dei fondi strutturali europei) 41

§      Articolo 9, comma 5 (Risorse Fondo di solidarietà della UE per gli interventi di emergenza connessi a calamità)....................................................................................................... 54

§      Articolo 9-bis (Attuazione rafforzata degli interventi per lo sviluppo e la coesione territoriale)         56

§      Articolo 10 (Liberalizzazione dell'accesso alla rete internet tramite tecnologia WIFI e dell'allacciamento dei terminali di comunicazione alle interfacce della rete pubblica)          60

§      Articolo 11 (Proroga del credito d’imposta per la produzione, la distribuzione e l’esercizio cinematografico)........................................................................................... 65

§      Articolo 11-bis (Misure economiche di natura compensativa per le televisioni locali)         68

§      Articolo 12 (Ricapitalizzazione delle Società di Gestione del Risparmio).... 69


§      Articolo 12-bis (Sostegno alle imprese creditrici dei comuni dissestati)..... 71

§      Articolo 13 (Governance dell’Agenda digitale Italiana)................................. 76

§      Articolo 13-bis (Piattaforme accreditate per gli acquisti di beni e servizi delle tecnologie della comunicazione e dell'informazione)............................................................. 85

§      Articolo 14 (Misure per favorire la diffusione del domicilio digitale)............. 88

§      Articolo 15 (Disposizioni in tema di sistema pubblico di connettività)......... 94

§      Articolo 16 (Razionalizzazione dei CED Centri elaborazione dati Modifiche al decreto-legge 18 agosto 2012, n. 179)................................................................................................. 95

§      Articolo 16-bis (Modifiche al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, in materia di accesso alle banche dati pubbliche - Credito al consumo).............................................. 96

§      Articolo 17 (Misure per favorire realizzazione del Fascicolo sanitario elettronico)    98

§      Articolo 17-bis (Modifica all'articolo 2 della legge 13 luglio 1966, n. 559, in materia di compiti dell'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato)................................................ 103

§      Articolo 17-ter (Sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale di cittadini e imprese)           105

§      Articolo 18, commi 1-3, 11 e 12 (Fondo per il finanziamento di infrastrutture cantierate o cantierabili) 108

§      Articolo 18, comma 4 (Corridoio tirrenico meridionale A12 – Appia e bretella autostradale Cisterna Valmontone)............................................................................................... 113

§      Articolo 18, comma 5 (Assegnazione di risorse alla società concessionaria Strada dei parchi S.p.A.) 116

§      Articolo 18, comma 6 (Disposizioni concernenti la linea C della metropolitana di Roma)    118

§      Articolo 18, comma 7 (Contratto di Programma RFI)................................ 120

§      Articolo 18, commi da 8 a 8-sexies (Interventi per l’edilizia scolastica).... 122

§      Articolo 18, comma 8-septies (Deroga per scuole e servizi dell’infanzia alle misure di contenimento della spesa per mobili e arredi da parte delle PA)..................................... 129

§      Articolo 18, comma 9 (Primo programma “6000 Campanili”).................... 131

§      Articolo 18, comma 10 (Programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione ad ANAS SpA) 133

§      Articolo 18, commi da 13 a 14-bis (Copertura finanziaria e relazione alle Camere da parte del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti)............................................................... 134

§      Articolo 19, commi 1-2 (Disposizioni in materiali di concessioni).............. 139

§      Articolo 19, commi 3-4 (Disposizioni in materia di defiscalizzazione)....... 145

§      Articolo 19, comma 5 (Disposizioni in materia di project bond)................. 150

§      Articolo 19, comma 5-bis (Canoni demaniali marittimi)............................. 151

§      Articolo 20 (Riprogrammazione degli interventi del Piano nazionale della sicurezza stradale)        153

§      Articolo 21 (Differimento dell'operatività della garanzia globale di esecuzione)        159

§      Articolo 22 (Misure per l'aumento della produttività nei porti).................... 160

§      Articolo 23 (Disposizioni urgenti per il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico)         164

§      Articolo 24 (Modifiche al decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188 ed alla legge 3 luglio 2009, n. 99 – Disciplina del settore ferroviario)................................................................ 168

§      Articolo 25, commi 1-4 (Svolgimento da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti delle funzioni di vigilanza e di concedente)......................................................... 175

§      Articolo 25, comma 5 (Utilizzo di risorse per i contratti di servizio con l’ENAV)       180

§      Articolo 25, commi 5-bis e 5-ter (Aeroporto di Pisa).................................. 181

§      Articolo 25, comma 6 (Sicurezza grandi dighe)......................................... 183

§      Articolo 25, commi 7 e 8 (Disposizioni concernenti ANAS)...................... 185

§      Articolo 25, commi 9-11 (Collegamenti isole minori)................................. 187

§      Articolo 25, comma 11-bis (Finanziamento opere infrastrutturali)............. 189

§      Articolo 25, comma 11-ter (Adeguamento della SS “Telesina” e del collegamento Termoli-San Vittore)........................................................................................................ 192

§      Articolo 25, comma 11-quater (Inquinamento acustico delle aviosuperfici) 194

§      Articolo 25, commi da 11-quinquies a 11-sexies (Debiti delle regioni per trasporto pubblico – Debiti Regione Calabria)....................................................................................... 196

§      Articolo 25-bis (Sede dell’Autorità di regolazione dei trasporti).................. 200

§      Articolo 26 (Proroghe in materia di appalti pubblici)................................... 203

§      Articolo 26-bis (Suddivisione in lotti).......................................................... 206

§      Articolo 26-ter (Anticipazione del prezzo nei contratti di appalto)............... 208

§      Articolo 27 (Semplificazione in materia di procedura CIPE e concessioni autostradali)      210

§      Articolo 28 (Indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento).... 214

§      Articolo 29 (Data unica di efficacia degli obblighi)...................................... 223

§      Articolo 29-bis (Interpretazione autentica dell’articolo 13, comma 3, del D.L. n. 138 del 2011, in materia di incompatibilità)........................................................................... 226

§      Articolo 29-ter (Disposizioni transitorie in materia di incompatibilità di cui al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39)................................................................................................. 228

§      Articolo 30, commi 1-5-bis, 5-quater e 6 (Semplificazioni in materia edilizia) 231

§      Articolo 30, comma 5-ter (Liberalizzazioni esercizi commerciali).............. 246

§      Articolo 30-bis (Semplificazioni in materia agricola).................................. 248

§      Articolo 31 (Semplificazioni in materia di DURC)...................................... 250

§      Articoli 32 e 35, comma 1 (Semplificazione di adempimenti in materia di sicurezza sul lavoro)     255

§      Articolo 33 (Semplificazione del procedimento per l’acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia)........................................................................................................... 274

§      Articolo 34 (Disposizioni in materia di trasmissione in via telematica del certificato medico di gravidanza indicante la data presunta del parto, del certificato di parto e del certificato di interruzione di gravidanza)............................................................................................. 275

§      Articolo 35, comma 1-bis (Limitazione delle spese per il personale “precario” nelle Regioni)         277

§      Articolo 36 (Proroga di Consigli di indirizzo e vigilanza di INPS e INAIL).. 279

§      Articolo 37 (Zone a burocrazia zero).......................................................... 281

§      Articolo 38 (Disposizioni in materia di prevenzione incendi)...................... 284

§      Articolo 39 (Uso individuale dei beni culturali, autorizzazione paesaggistica, ARCUS)       286

§      Articolo 40, comma 1 (Riequilibrio finanziario dello stato di previsione della spesa del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo)................................................. 292

§      Articolo 40, comma 1-bis (Fondazioni culturali)......................................... 295

 


INDICE
(Tomo II)

Schede di lettura

§      Articolo 41 (Disposizioni in materia ambientale) 299

§      Articolo 41-bis (Ulteriori disposizioni in materia di terre e rocce da scavo) 314

§      Articolo 41-ter (Norme ambientali per gli impianti ad inquinamento scarsamente significativo) 318

§      Articolo 41-quater (Disciplina dell’utilizzo del pastazzo) 321

§      Articolo 42 (Soppressione certificazioni sanitarie) 324

§      Articolo 42-bis (Ulteriore soppressione di certificazione sanitaria) 329

§      Articolo 42-ter (Semplificazione in merito alle verifiche dell’Istituto nazionale della previdenza sociale sull’accertamento dell’invalidità) 333

§      Articolo 42-quater (Trattamenti pensionistici per i lavoratori esposti all’amianto) 335

§      Articolo 43 (Disposizioni in materia di trapianti) 337

§      Articolo 44, commi 1 e 2 (Riconoscimento del servizio prestato presso le pubbliche amministrazioni di altri Stati membri) 339

§      Articolo 44. commi 3 e 4 (Semplificazioni per la certificazione di qualità delle materie prime utilizzate per la produzione di medicinali) 341

§      Articolo 44, commi da 4-bis a 4-ter (Disposizioni per la classificazione dei farmaci orfani e di eccezionale rilevanza terapeutica) 343

§      Articolo 44. comma 4-quater (Assicurazione esercenti professioni sanitarie) 346

§      Articolo 44, comma 4-quinquies (Foglietto illustrativo medicinali) 347

§      Articolo 45 (Omologazione delle macchine agricole) 348

§      Articolo 45-bis (Abilitazione all'uso di macchine agricole) 349

§      Articolo 46 (EXPO Milano 2015) 351

§      Articolo 46-bis (Rifinanziamento legge 499/1999 – settore agricolo) 355

§      Articolo 46-ter (Disposizioni in favore dell’Esposizione Universale di Milano del 2015) 356

§      Articolo 47 (Modifiche alla legge 27 dicembre 2002, n. 28- Fondo di garanzia per i mutui per impianti sportivi) 361

§      Articolo 47-bis (Misure per garantire la piena funzionalità e semplificare l’attività della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi) 363

§      Articolo 48 (Modifiche al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66) 365

§      Articolo 49, commi 01, 1 e 2 (Proroga e differimento termini in materia di spendig review) 367

§      Articolo 49, comma 1-bis  (Limiti alla spesa della P.A. per auto di servizio: norma di interpretazione autentica) 370

§      Articolo 49, comma 2-bis (Spending review sanitaria) 372

§      Articolo 49-bis (Misure per il rafforzamento della spending review) 375

§      Articolo 49-ter (Semplificazioni per i contratti pubblici) 379

§      Articolo 49-quater (Anticipazione di liquidità in favore dell’Associazione italiana della Croce Rossa) 381

§      Articolo 49-quinquies (Misure finanziarie urgenti per gli enti locali) 385

§      Articolo 50 (Modifiche alla disciplina della responsabilità fiscale negli appalti) 388

§      Articolo 50-bis (Semplificazione delle comunicazioni telematiche all’Agenzia delle entrate per i soggetti titolari di partita IVA) 390

§      Articolo 51 (Soppressione dell’obbligo di presentazione mensile  del modello 770) 394

§      Articolo 51-bis (Ampliamento dell’assistenza fiscale) 396

§      Articolo 52 (Disposizioni per la riscossione mediante ruolo) 398

§      Articolo 53 (Disposizioni per la gestione delle entrate tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate) 410

§      Articolo 54, comma 1 (Questionari per la predisposizione dei fabbisogni standard per gli enti locali) 413

§      Articolo 54, comma 1-bis (Gestione del servizio di tesoreria degli enti locali da parte di società per azioni) 415

§      Articolo 54-bis (Modifiche alla legge 6 novembre 2012, n. 190 in tema di vigilanza dell'Autorità nazionale anticorruzione) 417

§      Articolo 54-ter (Modifiche al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico) 419

§      Articolo 55 (Norma interpretativa in materia di rimborsi IVA alle agenzie di viaggio) 422

§      Articolo 56 (Proroga termine di versamento dell’imposta sulle transazioni finanziarie) 424

§      Articolo 56-bis (Semplificazione delle procedure in materia di trasferimenti di immobili agli enti territoriali) 426

§      Articolo 56-ter (Piani di azionariato) 433

§      Articolo 56-quater (Diritto di ripensamento per l’offerta fuori sede nei servizi di investimento) 435

§      Articolo 56-quinquies (Emittenti finanziarie cooperative) 437

§      Articolo 57 (Interventi straordinari a favore della ricerca per lo sviluppo del Paese) 439

§      Articolo 57-bis (Personale scolastico collocato fuori ruolo per compiti connessi con l’attuazione dell’autonomia scolastica) 442

§      Articolo 58, commi 1-3 e 4-7 (Turnover nelle università e negli enti di ricerca) 444

§      Articolo 58, comma 3-bis (Esclusioni dal limite alla spesa per missioni di università ed enti di ricerca finanziate da soggetti pubblici) 449

§      Articolo 58, comma 7-bis (Disposizioni concernenti assunzioni di breve durata presso il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura) 451

§      Articolo 59 (Borse di mobilità e Piano nazionale per il sostegno al merito e alla mobilità degli studenti capaci, meritevoli e privi di mezzi) 453

§      Articolo 60 (Sistema di finanziamento delle università e dell’ANVUR e procedure di valutazione delle attività amministrative delle università e degli enti di ricerca) 458

§      Articolo 61 (Copertura finanziaria) 465

§      Articolo 62 (Finalità e ambito di applicazione) 472

§      Articolo 63 (Giudici ausiliari) 473

§      Articolo 64 (Requisiti per la nomina) 475

§      Articolo 65 (Pianta organica dei giudici ausiliari. Domande per la nomina a giudici ausiliari) 477

§      Articolo 66 (Presa di possesso) 478

§      Articolo 67 (Durata dell’ufficio) 479

§      Articolo 68 (Collegi e provvedimenti. Monitoraggio) 480

§      Articolo 69 (Incompatibilità ed ineleggibilità) 481

§      Articolo 70 (Astensione e ricusazione) 484

§      Articolo 71 (Decadenza, dimissioni, mancata conferma e revoca) 485

§      Articolo 72 (Stato giuridico e indennità) 486

§      Articolo 73 (Formazione presso gli uffici giudiziari) 487

§      Articolo 74 (Magistrati destinati all'ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione con compiti di assistente di studio) 494

§      Articolo 75 (Intervento del pubblico ministero nei giudizi civili dinanzi alla Corte di Cassazione) 496

§      Articolo 76 (Divisione a domanda congiunta demandata a un professionista) 497

§      Articolo 77 (Conciliazione giudiziale) 499

§      Articolo 78 (Misure per la tutela del credito) 502

§      Articolo 79 (Semplificazione della motivazione della sentenza civile - soppresso) 504

§      Articolo 80 (Foro delle società con sede all’estero - soppresso) 505

§      Articolo 81 (Pubblico ministero presso la corte di cassazione) 508

§      Articolo 82 (Concordato preventivo) 510

§      Articolo 83 (Modifiche alla disciplina dell’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato) 515

§      Articolo 84 (Modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 “Misure in materia di mediazione civile e commerciale”) 517

§      Articolo 84-bis (Modifica all’art 2643 del codice civile) 528

§      Articolo 84-ter (Limiti ai compensi per gli amministratori di società a controllo pubblico) 529

§      Articolo 85 (Copertura finanziaria articoli 63, 73 e 74) 535

 

 


Schede di lettura


Articolo 41
(Disposizioni in materia ambientale)

 


1. L'articolo 243 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

«Art. 243. - (Gestione delle acque sotterranee emunte) - 1. Al fine di impedire e arrestare l'inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati, oltre ad adottare le necessarie misure di messa in sicurezza e di prevenzione dell'inquinamento delle acque, anche tramite conterminazione idraulica con emungimento e trattamento, devono essere individuate e adottate le migliori tecniche disponibili per eliminare, anche mediante trattamento secondo quanto previsto dall'articolo 242, o isolare le fonti di contaminazione dirette e indirette; in caso di emungimento e trattamento delle acque sotterranee deve essere valutata la possibilità tecnica di utilizzazione delle acque emunte nei cicli produttivi in esercizio nel sito, in conformità alle finalità generali e agli obiettivi di conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti nella parte terza.

2. Il ricorso al barrieramento fisico è consentito solo nel caso in cui non sia possibile conseguire altrimenti gli obiettivi di cui al comma 1 secondo le modalità dallo stesso previste.

3. Ove non si proceda ai sensi dei commi 1 e 2, l'immissione di acque emunte in corpi idrici superficiali o in fognatura deve avvenire previo trattamento depurativo da effettuare presso un apposito impianto di trattamento delle acque di falda o presso gli impianti di trattamento delle acque reflue industriali esistenti e in esercizio in loco, che risultino tecnicamente idonei.

4. Le acque emunte convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo di tali acque con il punto di immissione delle stesse, previo trattamento di depurazione, in corpo ricettore, sono assimilate alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico e come tali soggette al regime di cui alla parte terza.

5. In deroga a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 104, ai soli fini della bonifica, è ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nello stesso acquifero da cui sono emunte. A tal fine il progetto di cui all'articolo 242 deve indicare la tipologia di trattamento, le caratteristiche qualitative e quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di controllo e monitoraggio della porzione di acquifero interessata; le acque emunte possono essere reimmesse anche mediante reiterati cicli di emungimento, trattamento e reimmissione, e non devono contenere altre acque di scarico né altre sostanze ad eccezione di sostanze necessarie per la bonifica espressamente autorizzate, con particolare riferimento alle quantità utilizzabili e alle modalità d'impiego.

6. Il trattamento delle acque emunte deve garantire un'effettiva riduzione della massa delle sostanze inquinanti scaricate in corpo ricettore, al fine di evitare il mero trasferimento della contaminazione presente nelle acque sotterranee ai corpi idrici superficiali.».

2. All'articolo 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, dopo il comma 2, è aggiunto il seguente:

«2-bis. Il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 10 agosto 2012, n. 161, adottato in attuazione delle previsioni di cui all'articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, si applica solo alle terre e rocce da scavo che provengono da attività o opere soggette a valutazione d'impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale. Il decreto di cui al periodo precedente non si applica comunque alle ipotesi disciplinate dall'articolo 109 del presente decreto.».

3. All'articolo 3 del decreto-legge 25 gennaio 2012. n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 28, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri.»;

b) i commi 2 e 3 sono sostituiti dai seguenti:

«2. Fatti salvi gli accordi di programma per la bonifica sottoscritti prima della data di entrata in vigore della presente disposizione che rispettano le norme in materia di bonifica vigenti al tempo della sottoscrizione, ai fini dell'applicazione dell'articolo 185, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo n. 152 del 2006, le matrici materiali di riporto devono essere sottoposte a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell'articolo 9 del decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 16 aprile 1998, n. 88, ai fini delle metodiche da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee e, ove conformi ai limiti del test di cessione, devono rispettare quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati.

3. Le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione sono fonti di contaminazione e come tali devono essere rimosse o devono essere rese conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti o devono essere sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l'area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute.

3-bis. Gli oneri derivanti dai commi 2 e 3 sono posti integralmente a carico dei soggetti richiedenti le verifiche ivi previste.».

3-bis. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, i materiali di scavo provenienti dalle miniere dismesse, o comunque esaurite, collocate all'interno dei siti di interesse nazionale, possono essere utilizzati nell'ambito delle medesime aree minerarie per la realizzazione di reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, miglioramenti fondiari o viari oppure altre forme di ripristini e miglioramenti ambientali, a condizione che la caratterizzazione di tali materiali, tenuto conto del valore di fondo naturale, abbia accertato concentrazioni degli inquinanti che si collocano al di sotto dei valori di cui all'allegato 5 alla parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in funzione della destinazione d'uso e qualora risultino conformi ai limiti del test di cessione da compiere con il metodo e in base ai parametri di cui al decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, e successive modificazioni.

3-ter. Le aree sulle quali insistono i materiali di cui al comma 3-bis, ricorrendo le medesime condizioni ivi previste per i suoli e per le acque sotterranee, sono restituite agli usi legittimi. Ai fini di tale restituzione, il soggetto interessato comunica al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i risultati della caratterizzazione, validati dall'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) competente per territorio, che si avvale anche delle banche dati di enti o istituti pubblici.

4. All'articolo 3, comma 1, lettera e.5), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, dopo le parole «esigenze meramente temporanee», sono aggiunte le seguenti «ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti.».

5. All'articolo 1, comma 359, primo periodo, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dopo le parole «1, comma 2,» sono aggiunte le seguenti «ed agli articoli 2,», e sono aggiunte, in fine, le seguenti parole «, se attribuiti, in tutto o in parte, con il decreto di nomina di cui al comma 358».

6. In relazione alla procedura di infrazione comunitaria n. 2007/2195, al fine di consentire la semplificazione e l'accelerazione nell'attuazione degli interventi di adeguamento del sistema dei rifiuti nella Regione Campania e di accelerare l'attuazione delle azioni in corso per il superamento delle criticità della gestione del sistema stesso, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nomina con propri decreti uno o più commissari ad acta per provvedere, in via sostitutiva degli Enti competenti in via ordinaria, alla realizzazione e all'avvio della gestione degli impianti nella Regione, già previsti e non ancora realizzati, e per le altre iniziative strettamente strumentali e necessarie. I decreti, adottati sentiti gli Enti interessati, specificano i compiti e la durata della nomina, per un periodo di sei mesi, salvo proroga o revoca.

6-bis. I commissari ad acta di cui al comma 6 possono avvalersi dei poteri previsti per i commissari regionali dai commi 2 e 2-bis dell'articolo 1 del decreto-legge 26 novembre 2010, n. 196, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 gennaio 2011, n. 1, e successive modificazioni.

6-ter. I commissari ad acta di cui al comma 6 possono promuovere la conclusione di accordi di programma ai sensi dell'articolo 34 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e accordi tra i soggetti istituzionali interessati, ai sensi dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, al fine di assicurare l'efficace coordinamento e l'accelerazione delle procedure amministrative concernenti l'attuazione degli interventi; l'acquisizione al patrimonio pubblico e la disciplina del regime giuridico delle aree di localizzazione degli impianti e degli impianti medesimi; la realizzazione delle opere complementari e accessorie per il collegamento dei siti d'impianto alle reti viarie e delle infrastrutture a rete; il riconoscimento delle misure premiali e di compensazione ambientale in favore degli enti locali nel cui territorio ricadono gli impianti; le forme associative tra gli enti locali per garantire l'utilizzo convenzionale o obbligatorio degli impianti, nell'ambito del ciclo di gestione dei rifiuti nel bacino territoriale interessato, quale modello giuridico con l'efficacia prevista dal comma 7 dell'articolo 200 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

6-quater. Nelle more del completamento degli impianti di cui al comma 6 e comunque per un periodo non superiore a due anni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, in considerazione delle perduranti imperative esigenze di protezione sanitaria e ambientale nella regione Campania, è vietata l'importazione nella regione di rifiuti speciali, pericolosi e no, e di rifiuti urbani pericolosi destinati allo smaltimento.

6-quinquies. Essendo cessata il 31 dicembre 2012 la struttura commissariale del Commissario di Governo per l'emergenza bonifiche e tutela delle acque nella regione Campania, ai sensi dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 19 febbraio 2010, n. 3849, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo 2010, in ragione delle competenze residue al 31 dicembre 2012, non precedentemente trasferite agli enti ordinariamente competenti, consistenti prevalentemente nel contenzioso di natura legale derivante dalle precedenti gestioni, è assegnato al Commissario delegato di cui all'articolo 11 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 4 agosto 2010, n. 3891, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 195 del 21 agosto 2010, prorogato con l'articolo 2 del decreto-legge 14 gennaio 2013, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° febbraio 2013, n. 11, in considerazione della precedente attività di liquidazione svolta, il compito di definire entro il termine del 31 dicembre 2013 il valore economico del predetto contenzioso e gli enti legittimati al subentro, e comunque di garantire la continuità dell'attività amministrativa in corso. Alle attività di cui al precedente periodo si procede con l'ausilio, oltre che dell'Avvocatura dello Stato, anche dell'Avvocatura della regione Campania. Per le eventuali esigenze di natura economica derivanti da procedimenti esecutivi nel periodo fino al 31 dicembre 2013, il Commissario di cui al presente comma è autorizzato, nel limite massimo di 3 milioni di euro, ad utilizzare le somme giacenti sulla contabilità speciale di competenza.

7. Gli oneri derivanti dall'attuazione del comma 6 sono posti a carico degli enti e dei soggetti inadempienti secondo le modalità da stabilirsi con i decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare previsti dal medesimo comma.

7-bis. All'articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Gli impianti geotermici pilota sono di competenza statale».

7-ter. Al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il punto 7-ter dell'allegato II alla parte II, è inserito il seguente:

«7-quater) Impianti geotermici pilota di cui all'articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, e successive modificazioni»;

b) alla lettera v) dell'allegato III alla parte II sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, con esclusione degli impianti geotermici pilota di cui all'articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, e successive modificazioni»;

c) alla lettera b) del punto 2 dell'allegato IV alla parte II, dopo le parole: «le risorse geotermiche» sono inserite le seguenti: «con esclusione degli impianti geotermici pilota di cui all'articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, e successive modificazioni».

7-quater. La lettera e-bis) del comma 1 dell'articolo 4 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, è sostituita dalla seguente:

«e-bis) l'esplorazione e lo sfruttamento offshore di minerali, compresi gli idrocarburi nonché quelli previsti dall'articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, e successive modificazioni».


 

 

Comma 1 (Disciplina delle acque di falda emunte)

Il comma 1, modificato nel corso dell’esame parlamentare, provvede a riscrivere l’art. 243 del D.Lgs. n. 152/2006 (norme in materia ambientale) al fine di semplificare la disciplina, in esso recata, delle acque di falda emunte nell'ambito di interventi di bonifica dei siti contaminati, soprattutto chiarendo la non applicazione della disciplina in materia di rifiuti.

Prima dell’emanazione del D.Lgs. n. 152/2006, in assenza di una chiara indicazione da parte della normativa previgente, la tesi prevalente (sostenuta, dallo stesso Ministero dell’ambiente) prevedeva che le acque di falda emunte dovessero essere considerate sempre e comunque quali rifiuti liquidi. Con l'adozione dell'articolo 243 del Codice si chiarì che i limiti di emissione applicabili alla fase dello scarico delle acque emunte erano quelli previsti per le acque reflue industriali. Tuttavia, la disposizione non chiarì in modo esplicito il regime applicabile a dette acque al momento dell’emungimento.

Ciò ha lasciato spazio all’elaborazione della giurisprudenza amministrativa, che ha oscillato tra due contrapposti orientamenti: da un lato si è sostenuto che quando, sin dall'emungimento, le acque di bonifica vengono avviate tramite tubatura alla depurazione ed al successivo scarico (compiendo un percorso in tutto e per tutto analogo a quello che compiono le acque di processo) è possibile escludere l'applicazione della disciplina sui rifiuti[1]; dall'altro[2] si è invece sostenuta l'esistenza di una presunzione circa la qualifica delle acque emunte quali "rifiuti liquidi", che troverebbe la propria fonte nell'inclusione di tali acque nel Catalogo europeo dei rifiuti.

Si rammenta in proposito la voce 19.13 “rifiuti prodotti dalle operazioni di bonifica di terreni e risanamento delle acque di falda” contenuta nell’allegato D del Codice, che recepisce il catalogo nell’ordinamento nazionale.

 

La principale finalità della disposizione in commento è quindi quella di chiarire la non applicazione della disciplina vigente in materia di rifiuti.

E’ questa infatti la sostanza del nuovo comma 4 dell’art. 243, secondo cui le acque emunte convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo di dette acque con il punto di immissione delle stesse, previo trattamento di depurazione, in corpo ricettore, sono assimilate alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico e come tali soggette al regime di cui alla Parte III del Codice, che, tra l’altro, contiene la disciplina degli scarichi idrici (artt. 100-108).

 

 

I commi 1, 2 e 3 del nuovo art. 243 disciplinano le procedure da seguire al fine di impedire e arrestare l'inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati.

A tal fine il comma 1 prevede che, oltre ad adottare le necessarie misure di messa in sicurezza e di prevenzione dell'inquinamento delle acque (anche tramite conterminazione idraulica con emungimento e trattamento), devono essere individuate e adottate le migliori tecniche disponibili per eliminare o isolare le fonti di contaminazione dirette e indirette.

In caso di emungimento e trattamento delle acque sotterranee, lo stesso comma 1 prescrive che deve essere valutata la possibilità tecnica di utilizzazione delle acque emunte nei cicli produttivi in esercizio nel sito, in conformità alle finalità generali e agli obiettivi di conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti nella parte terza del Codice.

Il successivo comma 2 assegna carattere residuale al barrieramento fisico, prevedendo che il ricorso a tale attività sia consentito solo nel caso in cui non sia possibile conseguire altrimenti gli obiettivi di cui al comma 1 secondo le modalità dallo stesso previste.

Ai sensi del comma 3, ove non si proceda ai sensi dei commi 1 e 2, l'immissione di acque emunte in corpi idrici superficiali o in fognatura deve avvenire previo trattamento depurativo da effettuare presso un apposito impianto di trattamento delle acque di falda o presso gli impianti di trattamento delle acque reflue industriali esistenti e in esercizio in loco, che risultino tecnicamente idonei.

 

Il comma 5 riproduce nella sostanza quanto disposto dal previgente comma 2 relativamente alla possibilità - in deroga al divieto di scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo previsto dal comma 1 dell'articolo 104 del Codice -, ai soli fini della bonifica delle acque sotterranee, di reimmettere, previo trattamento, le acque sotterranee nello stesso acquifero da cui sono emunte.

L’unica modifica che appare di rilievo rispetto al testo previgente appare la disposizione integrativa che consente “reiterati cicli di emungimento, trattamento e reimmissione”.

 

Il comma 6 dispone che il trattamento delle acque emunte deve garantire un'effettiva riduzione della massa delle sostanze inquinanti scaricate in corpo ricettore, al fine di evitare il mero trasferimento della contaminazione presente nelle acque sotterranee ai corpi idrici superficiali.

Commi 2, 3, 3-bis e 3–ter (materiali di scavo)

Il comma 2 reca una disciplina, in materia di utilizzazione delle terre e rocce da scavo, in deroga alle disposizioni dettate dal regolamento di cui al D.M. n. 161/2012.

In particolare, la disposizione novella l’art. 184-bis del D.Lgs. n. 152/2006 prevedendo l’aggiunta di un comma 2-bis che limita l’applicazione del D.M. 161/2012 alle sole terre e rocce da scavo che provengono da attività o opere soggette a VIA (valutazione d’impatto ambientale) o ad AIA (autorizzazione integrata ambientale).

Viene altresì disposto che il D.M. n. 161/2012 non si applica comunque alle ipotesi disciplinate dall’art. 109 del citato decreto legislativo.

 

Relativamente alle ipotesi disciplinate dall’art. 109, per le quali viene stabilita la non applicazione, in ogni caso, del D.M. 161/2012, si ricorda che tali ipotesi riguardano i seguenti materiali (ai sensi dei commi 1 e 5 del citato art. 109):

§       materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi;

§       inerti, materiali geologici inorganici e manufatti;

§       materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l'attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni salmastri;

§       fondali marini movimentati durante l'attività di posa in mare di cavi e condotte.

 

Si ricorda che l’art. 49 del D.L. n. 1/2012 ha demandato ad apposito decreto la regolamentazione per l’utilizzo delle terre e rocce da scavo come sottoprodotti. Lo stesso articolo ha previsto l’abrogazione della disciplina delle terre e rocce da scavo dettata dall’articolo 186 del decreto legislativo n. 152/2006 (cd. Codice ambientale) a decorrere dall’entrata in vigore del nuovo regolamento.

In attuazione di tale norma è stato emanato il D.M. n. 161/2012 che ha dettato le condizioni alle quali le terre e rocce da scavo sono considerate sottoprodotti (e pertanto escluse dall’applicazione della normativa sui rifiuti) ai sensi dell'articolo 184-bis del D.Lgs. 152/2006, e stabilito l’abrogazione dell'art. 186.

Relativamente all’applicazione del D.M. n. 161/2012 si segnala altresì che tale decreto non si applica, per quanto disposto dall’art. 17-bis del D.L. n. 74/2012, nelle zone di Emilia, Lombardia e Veneto colpite dagli eventi sismici del maggio 2012. Tale disapplicazione opera fino al termine dello stato di emergenza, fissato, dall’art. 6, comma 1, del D.L. n. 43/2013, alla data del 31 dicembre 2014.

 

La disposizione recata dal comma in esame si coordina con quella recata dall’art. 41-bis che disciplina l’utilizzo, come sottoprodotti, dei materiali da scavo in deroga alle previsioni del D.M. n. 161/2012. Si rinvia in proposito alla scheda di lettura del citato art. 41-bis.

 

Il comma 3 novella le disposizioni in materia di matrici materiali di riporto introdotte dall’art. 3 del D.L. n. 2/2012 utilizzati per vari scopi, tra i quali la realizzazione di riempimenti e livellamenti del terreno.

Le modifiche apportate al testo previgente consistono innanzitutto in una modifica nella definizione delle citate matrici materiali di riporto, articolata in particolare:

§      nell’esplicitazione, nella definizione, del riferimento ai materiali di origine antropica in cui si intendono compresi “residui e scarti di produzione e di consumo”;

§      nell’introduzione del test di cessione volto a verificare l’eventuale contaminazione.

 

Relativamente all’utilizzo dei materiali di riporto, il nuovo testo dell’art. 3 prevede un netto cambiamento.

Il testo previgente disponeva infatti l’applicazione ai riporti del D.M. n. 161/2012 e, nelle more della sua adozione, prevedeva che tali riporti venissero considerati sottoprodotti solo al ricorrere delle condizioni di cui all'art. 184-bis del D.Lgs. n. 152/2006 (origine delle sostanze o degli oggetti da un processo di produzione, di cui costituiscono parte integrante; utilizzo della sostanza o dell’oggetto, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; utilizzo della sostanza o dell’oggetto direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; legalità dell’ulteriore utilizzo).

Il nuovo testo previsto dal comma in esame prevede invece, ai fini dell’applicazione dell’art. 185, comma 1, lettere b) e c), del D.Lgs. n. 152/2006, la sottoposizione delle matrici materiali di riporto a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell’art. 9 del D.M. ambiente 5 febbraio 1998[3], ai fini delle metodiche da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee.

Si ricorda che ai sensi delle citate lettere b) e c) del comma 1 dell’art. 185 del D.Lgs. n. 152/2006 sono esclusi dalla disciplina dei rifiuti:

b) il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli artt. 239 e ss. relativamente alla bonifica di siti contaminati;

c) il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato.

Ai sensi del comma 1 dell’art. 3 del D.L. 2/2012, i citati riferimenti al «suolo» contenuti all'articolo 185, commi 1, lettere b) e c), si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto.

Il citato articolo 9 del D.M. 5 febbraio 1998 reca una serie di norme tecniche, anche con rinvii alle opportune norme UNI, per l’effettuazione del test di cessione.

 

Le nuove disposizioni dettate dal comma in esame prevedono, a seconda della conformità o meno ai limiti del citato test di cessione, gli interventi da effettuare. Viene altresì previsto che i costi connessi alle attività per consentire l’utilizzo dei riporti (nuovo comma 3-bis dell’art. 3 del D.L. n. 2/2012) siano posti integralmente a carico dei soggetti richiedenti le verifiche ivi previste.

Nel corso dell’esame parlamentare la disposizione in commento è stata modificata al fine di fare comunque salvi gli accordi di programma per la bonifica sottoscritti prima della data di entrata in vigore della disposizione, che rispettano le norme in materia di bonifica vigenti al tempo della sottoscrizione.

 

Il comma 3-bis, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, introduce una disciplina speciale che (ferma restando quella dettata dall’art. 49 del D.L. 1/2012[4]) è finalizzata a consentire l’utilizzo dei materiali di scavo provenienti dalle miniere dismesse, o comunque esaurite, collocate all'interno dei siti di interesse nazionale (SIN), per la realizzazione, nell'ambito delle medesime aree minerarie dei seguenti interventi:

§      reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, miglioramenti fondiari o viari;

§      altre forme di ripristini e miglioramenti ambientali.

 

Gli utilizzi citati sono consentiti al verificarsi di tutte le seguenti condizioni:

§      la caratterizzazione dei materiali citati, tenuto conto del valore di fondo naturale, abbia accertato concentrazioni degli inquinanti inferiori alle soglie di cui all'allegato 5 alla parte IV del D.Lgs. n. 152/2006, in funzione della destinazione d'uso;

Si ricorda che nell’Allegato 5 sono elencate le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) nel suolo e nel sottosuolo in relazione alla specifica destinazione d'uso (a verde pubblico, privato e residenziale oppure ad uso commerciale e industriale) dei siti da bonificare, nonché le CSC nelle acque sotterranee.

§      vi sia conformità al test di cessione da compiere con il metodo e in base ai parametri di cui al D.M. 5 febbraio 1998.

 

Il comma 3-ter consente la restituzione agli usi legittimi delle aree sulle quali insistono i predetti materiali.

Si consente la citata restituzione:

§      qualora ricorrano, per le citate aree, le medesime condizioni previste dalla precedente disposizione per i suoli e per le acque sotterranee (cioè valori inferiori alle CSC di cui all’allegato 5);

Si ricorda che ai sensi dell’art. 240, comma 1, lettera f), del D.Lgs. 152/2006, un sito nel quale la contaminazione rilevata nelle matrice ambientali risulti inferiore ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) viene definito “sito non contaminato”.

§      previa comunicazione al Ministero dell'ambiente, da parte del soggetto interessato, dei risultati della caratterizzazione, validati dall'ARPA (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente) competente per territorio, che si avvale anche delle banche dati di enti o istituti pubblici.

 

Si fa notare che la disposizione riproduce il testo dell’art. 13 dell’A.C. 4240-B della XVI legislatura, che a sua volta riprendeva il testo dell’ordine del giorno 9/04940-A/107 accolto dal Governo nella seduta del 13 marzo 2012.

Comma 4 (modifica della definizione degli interventi di nuova costruzione)

Il comma 4 dell'articolo 41, nel contesto delle disposizioni di carattere ambientale, modifica la definizione di interventi di nuova costruzione recata dall’art. 3 del T.U. edilizia (D.P.R. n. 380/2001), attraverso una novella alla lettera e.5) del comma 1 del medesimo articolo. Tale lettera considera, tra gli interventi di “nuova costruzione”, l’installazione “di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.

Tale testo viene integrato dal comma 4 specificando che i predetti interventi sono da considerarsi come interventi di “nuova costruzione” ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti.

Comma 5 (Situazione di criticità nella gestione dei rifiuti nel Lazio)

Il comma 5 novella il comma 359 dell’art. 1 della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013) al fine di chiarire i poteri attribuiti al Commissario, nominato con il D.M. Ambiente 3 gennaio 2013 per fronteggiare la situazione di grave criticità nella gestione dei rifiuti urbani nel territorio nella provincia di Roma.

In particolare il comma in esame provvede a:

§      attribuire al Commissario citato anche i poteri previsti dall’art. 2 dell’O.P.C.M. 6 settembre 2011, n. 3963;

L’art. 2 dell’ordinanza citata prevede, ai fini del superamento dell'emergenza, e nelle more della messa in esercizio, da parte dei Soggetti competenti, del sistema impiantistico previsto dal Piano regionale di smaltimento dei rifiuti, che il Commissario provveda all'individuazione, alla progettazione ed alla successiva realizzazione di uno o più siti di discarica per lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti dai comuni di Roma, Fiumicino, Ciampino e dallo Stato della città del Vaticano. Il comma 2 prevede che il Commissario provveda, mediante procedure di affidamento coerenti con la somma urgenza o con la specificità delle prestazioni occorrenti.

Ai sensi del comma 3, nelle more del completamento del sistema impiantistico regionale, il Commissario può adottare i provvedimenti necessari per assicurare la prosecuzione, senza soluzione di continuità, dello smaltimento dei rifiuti nell'area interessata dallo stato di emergenza.

Il comma 4 attribuisce al Commissario poteri sostituivi (previa diffida) nei casi di accertata inerzia dei Soggetti preposti alla gestione, manutenzione, od implementazione degli impianti per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nell'area interessata dallo stato di emergenza.

Il comma 5 prevede che, a conclusione delle attività di cui ai commi precedenti, il commissario autorizzi la messa in esercizio degli impianti destinati alla gestione dei rifiuti e provveda al loro immediato trasferimento al comune di Roma.

§      chiarire che il commissario è autorizzato a procedere con i poteri di cui agli articoli 1, comma 2, ed agli articoli 2, 3 e 4 dell'O.P.C.M. 6 settembre 2011, n. 3963[5], nel caso in cui tali poteri siano attribuiti, in tutto o in parte, con il decreto di nomina del commissario medesimo.

 

Sulla situazione della gestione dei rifiuti nel Lazio si ricorda che in data 17 giugno 2011, è stata avviata la procedura di infrazione n. 2011/4021, e che il 21 marzo 2013 l’Italia è stata deferita alla Corte di Giustizia per non conformità alla direttiva europea sulle discariche (1999/31/CE).

Al fine di porre rimedio alla procedura di infrazione il Governo ha emanato il D.P.C.M. 22 luglio 2011 con cui è stato dichiarato, fino al 31 dicembre 2012, lo stato di emergenza ambientale nel territorio della provincia di Roma in relazione all'imminente chiusura della discarica di Malagrotta ed alla conseguente necessità di realizzare un sito alternativo per lo smaltimento dei rifiuti.

In attuazione di tale decreto è stata emanata l’O.P.C.M. n. 3963 del 6 settembre 2011.

In seguito alle difficoltà nell’individuazione del citato sito alternativo che hanno portato alle dimissioni del commissario incaricato, con il D.P.C.M. 25 maggio 2012, è stato nominato il nuovo Commissario delegato per l'emergenza ambientale nel territorio della provincia di Roma nella persona del prefetto Goffredo Sottile.

Successivamente l’art. 1, comma 358, della L. 228/2012 (legge di stabilità per il 2013), in considerazione del permanere di una situazione di grave criticità nella gestione dei rifiuti urbani nel territorio della provincia di Roma, ha demandato ad apposito decreto del Ministro dell'ambiente, al fine di non determinare soluzioni di continuità nelle azioni in corso, la nomina di un commissario che provveda in via sostitutiva degli enti competenti in via ordinaria e a cui sono attribuiti (ai sensi del comma 359) parte dei poteri previsti dall’O.P.C.M. 3963/2011.

Il successivo comma 360 ha attribuito al citato commissario ulteriori compiti in ambito regionale:

a)    autorizzazione alla realizzazione e gestione delle discariche per lo smaltimento dei rifiuti urbani nonché di impianti per il trattamento di rifiuto urbano indifferenziato e differenziato, nel rispetto della normativa comunitaria tecnica di settore;

b)    supporto alla Regione Lazio nelle iniziative necessarie al rientro nella gestione ordinaria;

c)    adozione, a fronte dell'accertata inerzia dei soggetti preposti alla gestione, manutenzione, od implementazione degli impianti per il recupero e lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nei comuni di Roma capitale, Fiumicino, Ciampino e nello Stato della Città del Vaticano, previa diffida ad adempiere entro termini perentori non inferiori a giorni trenta, dei necessari provvedimenti di natura sostitutiva in danno dei soggetti inadempienti.

In attuazione del citato comma 358 è stato emanato il D.M. 3 gennaio 2013, che ha nominato lo stesso prefetto Sottile quale Commissario per fronteggiare la situazione di grave criticità nella gestione dei rifiuti urbani nel territorio nella provincia di Roma per la durata di 6 mesi. Tale decreto è stato integrato con il D.M. 25 marzo 2013 ai fini dell’adeguamento, da parte del Commissario, delle autorizzazioni impiantistiche.

Successivamente, con il D.M. Ambiente 27 giugno 2013, al fine di completare le attività previste dal precedente D.M. 3 gennaio 2013, l’incarico del Commissario Sottile è stato prorogato al 7 gennaio 2014, al fine di “di individuare uno o più siti idonei alternativi a Malagrotta, di assicurare la piena operatività degli impianti di TMB interessati, di assicurare in subordine l'utilizzo del tritovagliatore di Rocca Cencia, di accelerare le procedure autorizzative degli impianti di compostaggio”. Lo stesso decreto ha prorogato la discarica di Malagrotta fino al 30 settembre 2013.

Commi 6, 6-bis, 6-ter, 6-quater e 7 (Situazione di criticità nella gestione dei rifiuti in Campania)

Il comma 6 detta disposizioni volte alla nomina, con decreti del Ministro dell’ambiente, di uno o più commissari ad acta per provvedere, in via sostitutiva degli enti competenti in via ordinaria:

§      alla realizzazione e all’avvio della gestione degli impianti nella Regione Campania, già previsti e non ancora realizzati;

§      alle altre iniziative strettamente strumentali e necessarie.

I decreti, adottati sentiti gli enti interessati, specificano i compiti e la durata della nomina, per un periodo di 6 mesi, salvo proroga o revoca.

Lo stesso comma specifica che le citate disposizioni vengono emanate in relazione alla procedura di infrazione comunitaria n. 2007/2195 e al fine di consentire la semplificazione e l'accelerazione nell'attuazione degli interventi di adeguamento del sistema dei rifiuti nella Regione Campania e di accelerare l'attuazione delle azioni in corso per il superamento delle criticità della gestione del sistema stesso.

Nel corso dell’esame parlamentare le disposizioni relative ai commissari ad acta per la Campania sono state integrate con l’aggiunta di tre nuovi commi.

 

Il comma 6-bis prevede che tali commissari possano avvalersi dei poteri previsti per i commissari regionali dai commi 2 e 2-bis dell'art. 1 del D.L. n. 196/2010.

Il comma 2 richiamato ha previsto la nomina da parte del Presidente della Regione Campania, per la durata di 36 mesi (sulla base della proroga disposta dall’art. 3, comma 3, del D.L. 43/2013), di commissari straordinari a cui lo stesso comma ha attribuito una serie di poteri finalizzati a garantire la realizzazione urgente dei siti da destinare a discarica, nonché ad impianti di trattamento o di smaltimento dei rifiuti nella medesima regione. Il successivo comma 2-bis ha attribuito ai medesimi commissari ulteriori poteri, finalizzati a garantire la realizzazione urgente di impianti nella regione Campania destinati al recupero, alla produzione e alla fornitura di energia mediante trattamenti termici di rifiuti.

In attuazione di tali disposizioni, con il Decreto del Presidente della Giunta Regionale della Campania n. 207 del 25 luglio 2012, il viceprefetto Raffaele Ruberto è stato nominato, per la durata di 24 mesi, decorrenti dal 30 luglio 2012, Commissario Straordinario, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del D.L. 196/2010, in sostituzione del prefetto Vardè (nominato con i precedenti decreti presidenziali n. 64/2011 e 159/2011) “per l’assolvimento dei compiti nello stesso previsti e con i poteri ivi conferiti, ai fini della prosecuzione dell’espletamento delle procedure finalizzate alla individuazione dei siti e alla realizzazione di impianti di discarica nei territori delle province di Napoli e di Salerno”.

 

Ai sensi del comma 6-ter, i commissari ad acta possono promuovere la conclusione di accordi al fine di assicurare:

§      l’efficace coordinamento e accelerazione delle procedure amministrative inerenti l'attuazione degli interventi;

§      l’acquisizione al patrimonio pubblico e la disciplina del regime giuridico delle aree di localizzazione degli impianti e degli impianti medesimi;

§      la realizzazione delle opere complementari ed accessorie per il collegamento dei siti d'impianto alle reti viarie e delle infrastrutture a rete;

§      il riconoscimento delle misure premiali e di compensazione ambientale in favore degli enti locali nel cui territorio ricadono gli impianti;

§      le forme associative fra gli enti locali per garantire l'utilizzo convenzionale e/o obbligatorio degli impianti, nell'ambito del ciclo di gestione dei rifiuti nel bacino territoriale interessato, quale modello giuridico con l'efficacia prevista dal comma 7 dell'art. 200 del D.Lgs. n. 152/2006.

Il citato comma 7 dispone che le regioni possono adottare modelli alternativi o in deroga al modello degli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) laddove predispongano un piano regionale dei rifiuti che dimostri la propria adeguatezza rispetto agli obiettivi strategici previsti dalla normativa vigente, con particolare riferimento ai criteri generali e alle linee guida riservati, in materia, allo Stato.

 

Nel corso dell’esame parlamentare il comma in esame è stato modificato al fine di chiarire che gli accordi cui la norma fa riferimento possono essere di due differenti tipi:

§      accordi di programma ai sensi dell'art. 34 del D.Lgs. n. 267/2000;

§      accordi tra i soggetti istituzionali interessati, ai sensi dell'art. 15 della L. 241/1990.

 

Il comma 6-quater introduce il divieto di importazione in Campania di rifiuti speciali e di rifiuti urbani pericolosi destinati allo smaltimento.

Tale divieto:

§      viene disposto nelle more del completamento degli impianti di cui al comma 6 e comunque per un periodo non superiore a 2 anni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto;

§      viene giustificato in considerazione delle perduranti imperative esigenze di protezione sanitaria e ambientale nella medesima regione.

 

Il comma 7 pone a carico degli enti e dei soggetti inadempienti, secondo le modalità da stabilirsi con i decreti di nomina dei commissari ad acta, gli oneri derivanti dall’attuazione del comma 6.

Comma 6-quinquies (Commissariato Bonifiche e tutela delle acque in Campania)

Il comma 6-quinquies, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, reca una disposizione volta principalmente alla definizione del contenzioso ancora in atto derivante dalle gestioni commissariali precedenti a quella per l’emergenza bonifiche e tutela delle acque nella Regione Campania ai sensi dell’O.P.C.M. 3849/2010, cessato il 31 dicembre 2012.

In particolare la norma prevede l’assegnazione al Commissario Delegato di cui all'art. 11 dell'O.P.C.M. 3891/2010 (prorogato con l'art. 2 del D.L. n. 1/2013), in considerazione della precedente attività di liquidazione svolta, il compito di:

§      definire entro il 31 dicembre 2013 il valore economico del contenzioso predetto e gli enti legittimati al subentro;

§      garantire la continuità dell'attività amministrativa in essere.

 

Lo stesso comma dispone che alle citate attività si procede con l'ausilio dell'Avvocatura dello Stato e anche dell'Avvocatura della Regione Campania.

Per le eventuali esigenze di natura economica derivanti da procedimenti esecutivi nel periodo fino al 31 dicembre 2013, il Commissario delegato è autorizzato ad utilizzare le somme giacenti sulla contabilità speciale di competenza, nel limite massimo di 3 milioni di euro.

 

L’ultima proroga relativa alla gestione commissariale per le bonifiche dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati e tutela delle acque superficiali della regione Campania è stata disposta, fino al 31 dicembre 2012, con la Deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 settembre 2012 (G.U. 25 settembre 2012, n. 224). Tale data coincideva infatti con il termine ultimo di durata delle gestioni commissariali esistenti previsto dall'art. 3, comma 2, del D.L. 59/2012 (recante disposizioni di riordino della protezione civile).

I due riferimenti normativi citati dal comma in esame fanno entrambi riferimento allo stesso commissario. L’art. 9, comma 1, dell’O.P.C.M. 3849/2010 ha infatti nominato Mario Pasquale De Biase quale Commissario delegato per il completamento, entro il 31 dicembre 2011, in regime ordinario ed in termini di somma urgenza, di tutte le iniziative necessarie al definitivo superamento dei contesti di criticità in atto nei territori dei comuni di Ischia (Napoli), frazione Pilastri, Montaguto (Avellino) e Nocera Inferiore (Salerno), di cui alle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3521/2006, n. 3532/2006 e n. 3484/2005, e successive modifiche ed integrazioni.

Il successivo comma 6 ha altresì nominato lo stesso De Biase quale commissario delegato per il compimento, entro e non oltre il 31 gennaio 2011, delle iniziative necessarie alla liquidazione della struttura commissariale precedente, di cui all'O.P.C.M. 3654/2008.

L’art. 11 dell’O.P.C.M. 3891/2010 ha attribuito al medesimo Commissario De Biase, delegato ai sensi dell'art. 9, comma 6, dell'O.P.C.M. n. 3849, il compito di provvedere alla realizzazione degli interventi urgenti di messa in sicurezza e bonifica delle aree di Giugliano in Campania (Napoli) e dei Laghetti di Castelvolturno (Caserta).

In deroga al citato divieto di proroga o rinnovo delle gestioni commissariali previsto dall’art. 3, comma 2, del D.L. 59/2012, l’art. 2 del D.L. 1/2013 ha disposto che, fino al 31 dicembre 2013, continuano a produrre effetti, tra le altre, le disposizioni, di cui all'art. 11 dell'O.P.C.M. 3891/2010.

Commi 7-bis, 7-ter e 7-quater (Impianti geotermici pilota)

Il comma 7-bis, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, novella l’art. 1 del D.Lgs. 22/2010 - che disciplina l’ambito di applicazione della medesima legge, la quale ha disciplinato il riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche – al fine di chiarire (mediante l’aggiunta di un comma 3-ter) che gli impianti geotermici pilota sono di competenza statale.

 

Conseguentemente il comma 7-ter reca una serie di novelle agli allegati alla parte II del D.Lgs. 152/2006 al fine di chiarire gli impianti geotermici pilota di cui al comma 3-bis dell’art. 1 del D.Lgs. n. 22/2010 sono (sempre) assoggettati a VIA statale.

Tali impianti vengono infatti inseriti nell’allegato II che elenca i progetti sottoposti a VIA statale, mentre vengono esclusi dagli allegati III e IV che elencano i progetti sottoposti, rispettivamente, a VIA regionale e verifica di assoggettabilità (alla VIA) di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

Si ricorda che il citato comma 3-bis dell’art. 1 del D.Lgs. 22/2010 dispone che sono “di interesse nazionale i fluidi geotermici a media ed alta entalpia finalizzati alla sperimentazione, su tutto il territorio nazionale, di impianti pilota con reiniezione del fluido geotermico nelle stesse formazioni di provenienza, e comunque con emissioni nulle, con potenza nominale installata non superiore a 5 MW per ciascuna centrale, per un impegno complessivo autorizzabile non superiore ai 50 MW”.

 

Il comma 7-quater integra il disposto della lettera e-bis) dell’art. 4 del D.Lgs. n. 334/1999 (Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose) al fine di escludere dalla c.d. normativa Seveso da esso recata, gli impianti geotermici pilota di cui all’art. 1, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 22/2010.


Articolo 41-bis
(Ulteriori disposizioni in materia di terre e rocce da scavo)

 


1. In relazione a quanto disposto dall'articolo 266, comma 7, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, in deroga a quanto previsto dal regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161, i materiali da scavo di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), del citato regolamento, prodotti nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti, sono sottoposti al regime di cui all'articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni, se il produttore dimostra:

a) che è certa la destinazione all'utilizzo direttamente presso uno o più siti o cicli produttivi determinati;

b) che, in caso di destinazione a recuperi, ripristini, rimodellamenti, riempimenti ambientali o altri utilizzi sul suolo, non sono superati i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell'allegato 5 alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, con riferimento alle caratteristiche delle matrici ambientali e alla destinazione d'uso urbanistica del sito di destinazione e i materiali non costituiscono fonte di contaminazione diretta o indiretta per le acque sotterranee, fatti salvi i valori di fondo naturale;

c) che, in caso di destinazione ad un successivo ciclo di produzione, l'utilizzo non determina rischi per la salute né variazioni qualitative o quantitative delle emissioni rispetto al normale utilizzo delle materie prime;

d) che ai fini di cui alle lettere b) e c) non è necessario sottoporre i materiali da scavo ad alcun preventivo trattamento, fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere.

2. Il proponente o il produttore attesta il rispetto delle condizioni di cui al comma 1 tramite dichiarazione resa all'Agenzia regionale per la protezione ambientale ai sensi e per gli effetti del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, precisando le quantità destinate all'utilizzo, il sito di deposito e i tempi previsti per l'utilizzo, che non possono comunque superare un anno dalla data di produzione, salvo il caso in cui l'opera nella quale il materiale è destinato ad essere utilizzato preveda un termine di esecuzione superiore. Le attività di scavo e di utilizzo devono essere autorizzate in conformità alla vigente disciplina urbanistica e igienico-sanitaria. La modifica dei requisiti e delle condizioni indicati nella dichiarazione di cui al primo periodo è comunicata entro trenta giorni al comune del luogo di produzione.

3. Il produttore deve, in ogni caso, confermare alle autorità di cui al comma 2, territorialmente competenti con riferimento al luogo di produzione e di utilizzo, che i materiali da scavo sono stati completamente utilizzati secondo le previsioni comunicate.

4. L'utilizzo dei materiali da scavo come sottoprodotto resta assoggettato al regime proprio dei beni e dei prodotti. A tal fine il trasporto di tali materiali è accompagnato, qualora previsto, dal documento di trasporto o da copia del contratto di trasporto redatto in forma scritta o dalla scheda di trasporto di cui agli articoli 6 e 7-bis del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286, e successive modificazioni.

5. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4 si applicano anche ai materiali da scavo derivanti da attività e opere non rientranti nel campo di applicazione del comma 2-bis dell'articolo 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, introdotto dal comma 2 dell'articolo 41 del presente decreto.

6. L'articolo 8-bis del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71, è abrogato.

7. L'articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161, recante la disciplina dell'utilizzazione delle terre e rocce da scavo, nel definire al comma 1, lettera b), i materiali da scavo integra, a tutti gli effetti, le corrispondenti disposizioni del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.


 

 

Il comma 1 dell'articolo 41-bis reca, in relazione a quanto disposto dall'art. 266, comma 7, del D.Lgs. n. 152/2006 (norme in materia ambientale), norme volte a disciplinare l’utilizzo, come sottoprodotti, dei materiali da scavo prodotti nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti in deroga a quanto previsto dal regolamento di cui al D.M. 161/2012. La norma fa riferimento ai materiali da scavo definiti dall’articolo 1, comma 1, lettera b), del citato D.M. 161 prodotti nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti.

Si fa notare che il richiamo all’art. 266, comma 7, sembra finalizzato a restringere l’applicazione della disposizione ai materiali provenienti da piccoli cantieri (dato che a tali cantieri si riferisce il citato comma 7).

La precisazione del fatto che tali disposizioni operano in deroga al D.M. 161 non sarebbe necessaria dato che, come ha avuto modo di chiarire il Ministero dell’ambiente con nota del 14 novembre 2012, tale decreto non si applica ai “piccoli cantieri”, dato che per essi viene prevista dall’art. 266, comma 7, del Codice, una specifica regolamentazione. Lo diventa però nel momento in cui il successivo comma 5 estende l’applicabilità del comma 1 ai cantieri più grandi purché non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale (AIA) o valutazione di impatto ambientale (VIA).

Relativamente al disposto dell’art. 266, comma 7, si ricorda che esso ha demandato ad apposito decreto interministeriale (a tutt’oggi non emanato) la disciplina per la semplificazione amministrativa delle procedure relative ai materiali, ivi incluse le terre e le rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni la cui produzione non superi i 6.000 metri cubi di materiale nel rispetto delle disposizioni comunitarie in materia.

Si fa altresì notare che i commi 1-4 dell'articolo in commento riprendono le disposizioni dell’art. 27 dell’A.S. 3162–B della XVI legislatura.

 

Ciò premesso, il comma 1 prevede che l’assoggettamento al regime dei sottoprodotti (di cui all'art. 184-bis del Codice), possa avvenire qualora vi sia la dimostrazione, da parte del produttore, del rispetto delle seguenti condizioni:

a)  che la destinazione all'utilizzo è certa, direttamente presso uno o più siti o cicli produttivi determinati;

b)  che, in caso di destinazione a recuperi, ripristini, rimodellamenti, riempimenti, ambientali o altri utilizzi sul suolo, non sono superate le CSC (concentrazioni soglia di contaminazione) di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 alla parte quarta del Codice, con riferimento alle caratteristiche delle matrici ambientali e alla destinazione d'uso urbanistica del sito di destinazione e i materiali non costituiscono fonte di contaminazione diretta o indiretta per le acque sotterranee, fatti salvi i valori di fondo naturale;

c)  che in caso di destinazione ad un successivo ciclo di produzione l'utilizzo non determina rischi per la salute né variazioni qualitative o quantitative delle emissioni rispetto al normale utilizzo delle materie prime;

d)  che ai fini di cui alle lettere b) e c) non è necessario sottoporre le terre e rocce da scavo ad alcun preventivo trattamento, fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere.

 

Si fa notare che le condizioni a), c) e d) sono analoghe alle condizioni previste dalle lettere b), c) e d) del comma 1 dell’art. 184-bis[6] del D.Lgs. n. 152/2006 per l’applicazione del regime dei sottoprodotti in luogo della disciplina sui rifiuti.

 

Il comma 2 prevede che il rispetto delle condizioni citate dal comma 1 sia attestato dal proponente o dal produttore tramite dichiarazione resa all’ARPA ai sensi del D.P.R. 445/2000, precisando:

§      le quantità destinate all'utilizzo;

§      i tempi previsti per l'utilizzo;

§      il sito di deposito.

Viene altresì specificato che il deposito non può comunque superare un anno dalla data di produzione, salvo il caso in cui l'opera nella quale il materiale è destinato ad essere utilizzato preveda un termine di esecuzione superiore.

Le attività di scavo e di utilizzo devono essere autorizzate in conformità alla vigente disciplina urbanistica e igienico - sanitaria.

La modifica dei requisiti e delle condizioni indicate nella dichiarazione resa all’ARPA sono comunicate entro 30 giorni al comune del luogo di produzione.

Il comma 3 prevede che il produttore deve, in ogni caso, confermare alle autorità territorialmente competenti il completo utilizzo, secondo le previsioni comunicate, delle terre e rocce da scavo.

Il comma 4 prevede che il trasporto delle terre e rocce da scavo utilizzate come sottoprodotti sia accompagnato, qualora previsto, dal documento di trasporto o da copia del contratto di trasporto redatto in forma scritta o dalla scheda di trasporto di cui agli artt. 6 e 7-bis del D.Lgs. n. 286/2005.

Il comma 5 estende l’applicazione delle disposizioni recate dai commi 1-4 anche ai materiali da scavo derivanti da attività ed opere non soggette a AIA o VIA.

La norma consente di colmare un vuoto normativo venutosi a creare nel settore delle terre e rocce da scavo in seguito alla conversione in legge del D.L. n. 43/2013, il cui art. 8-bis ha introdotto una disposizione, poi ripresa dal comma 2 dell’art. 41 del presente decreto-legge (che ha introdotto un comma 2-bis all’art. 184-bis del Codice) che esclude l’applicazione del D.M. 161/2012 per le terre e rocce da scavo prodotte nell'esecuzione di attività ed opere non soggette ad AIA o VIA.

Il comma 6 dispone l’abrogazione dell’art. 8-bis del D.L. n. 43/2013, dato che esso contiene disposizioni che si sovrappongono a quelle recate dall'articolo in commento e dal comma 2 dell’art. 41.

In conclusione, la disciplina precedentemente introdotta si applica sia ai piccoli cantieri (per l’espresso richiamo all’art. 266, comma 7, del D.Lgs. n. 152/2006), sia ai materiali da scavo provenienti da attività ed opere non soggette ad autorizzazione integrata ambientale (AIA) o a valutazione di impatto ambientale (VIA).

La disciplina dettata dal D.M. 161/2012 si applica quindi solo ai materiali da scavo provenienti da attività ed opere soggette a AIA o VIA (come disposto dall’art. 41, comma 2, del decreto-legge alla cui scheda di commento si rinvia).

Il comma 7 precisa, infine, che la definizione di “materiali da scavo” dettata dall’art. 1, comma 1, lett. b), del D.M. n. 161/2012, integra, a tutti gli effetti, le corrispondenti disposizioni del D.Lgs. n. 152/2006.

Si fa notare in proposito che nel testo della parte IV del citato D.Lgs. n. 152/2006 (quella relativa ai rifiuti) non si fa mai riferimento al termine “materiali da scavo”, ma sempre all’espressione “terre e rocce da scavo”.

Secondo la lettera b) del comma 1 dell’art. 1 del D.M. 161/2012, sono materiali da scavo “il suolo o sottosuolo, con eventuali presenze di riporto, derivanti dalla realizzazione di un'opera quali, a titolo esemplificativo: scavi in genere (sbancamento, fondazioni, trincee, ecc.); perforazione, trivellazione, palificazione, consolidamento, ecc.; opere infrastrutturali in generale (galleria, diga, strada, ecc.); rimozione e livellamento di opere in terra; materiali litoidi in genere e comunque tutte le altre plausibili frazioni granulometriche provenienti da escavazioni effettuate negli alvei, sia dei corpi idrici superficiali che del reticolo idrico scolante, in zone golenali dei corsi d'acqua, spiagge, fondali lacustri e marini; residui di lavorazione di materiali lapidei (marmi, graniti, pietre, ecc.) anche non connessi alla realizzazione di un'opera e non contenenti sostanze pericolose (quali ad esempio flocculanti con acrilamide o poliacrilamide)”.

La stessa lettera b) dispone altresì che “i materiali da scavo possono contenere, sempreché la composizione media dell'intera massa non presenti concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti massimi previsti dal presente Regolamento, anche i seguenti materiali: calcestruzzo, bentonite, polivinilcloruro (PVC), vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo meccanizzato”.


 

Articolo 41-ter
(Norme ambientali per gli impianti ad inquinamento
scarsamente significativo)

 


1. Alla parte I dell'allegato IV alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) alla lettera m) sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché silos per i materiali vegetali»;

b) dopo la lettera v) è inserita la seguente:

«v-bis) impianti di essiccazione di materiali vegetali impiegati da imprese agricole o a servizio delle stesse con potenza termica nominale, per corpo essiccante, uguale o inferiore a 1 MW, se alimentati a biomasse o a biodiesel o a gasolio come tale o in emulsione con biodiesel, e uguale o inferiore a 3 MW, se alimentati a metano o a gpl o a biogas»;

c) alla lettera z), la parola: "potenzialmente" è soppressa;

d) dopo la lettera kk) sono aggiunte le seguenti:

«kk-bis) Cantine che trasformano fino a 600 tonnellate l'anno di uva nonché stabilimenti di produzione di aceto o altre bevande fermentate, con una produzione annua di 250 ettolitri per i distillati e di 1.000 ettolitri per gli altri prodotti. Sono comunque sempre escluse, indipendentemente dalla produzione annua, le fasi di fermentazione, movimentazione, travaso, addizione, trattamento meccanico, miscelazione, confezionamento e stoccaggio delle materie prime e dei residui effettuate negli stabilimenti di cui alla presente lettera.

kk-ter) Frantoi».

2. Alla parte II dell'allegato IV alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo la lettera v) è inserita la seguente:

«v-bis) Impianti di essiccazione di materiali vegetali impiegati o a servizio di imprese agricole non ricompresi nella parte I del presente allegato»;

b) dopo la lettera oo) è aggiunta la seguente:

«oo-bis) Stabilimenti di produzione di vino, aceto o altre bevande fermentate non ricompresi nella parte I del presente allegato».


 

 

L’articolo 41-ter, introdotto durante l’esame parlamentare, prevede l’esclusione di talune tipologie di impianti dal novero degli impianti assoggettati all’autorizzazione alle emissioni in atmosfera dettata dal titolo I della parte quinta del decreto legislativo 152/2006 (norme in materia ambientale), e segnatamente dall’articolo 269, integrando rispettivamente gli elenchi degli impianti e delle attività non sottoposti alla predetta autorizzazione e degli stabilimenti per i quali l’autorità competente può adottare autorizzazioni “in deroga” con un procedimento semplificato.

 

Il comma 1 modifica la parte I dell’Allegato IV alla parte quinta del d.lgs. 152/2006, contenente l’elenco degli impianti e delle attività non sottoposti all’autorizzazione alle emissioni atmosferiche (art. 272, comma 1, del D.Lgs. n. 152/2006). L'elenco si riferisce a impianti e ad attività le cui emissioni sono scarsamente rilevanti agli effetti dell'inquinamento atmosferico. In tal caso si applicano esclusivamente i valori limite di emissione e le prescrizioni specificamente previsti, per tali impianti e attività, dai piani e programmi di qualità dell’aria e dalle normative regionali. In particolare, al predetto elenco sono aggiunti i seguenti impianti ed attività:

§      i silos per i materiali vegetali (comma 1, lettera a)), che modifica la lettera m della parte I dell’Allegato IV);

§      gli impianti di essiccazione di materiali vegetali impiegati da imprese agricole o a servizio delle stesse con potenza termica nominale, per corpo essiccante, uguale o inferiore ad 1 MW, se alimentati a biomasse o a biodiesel o a gasolio come tale o in emulsione a biodiesel ed uguale o inferiore a 3 MW, se alimentati a metano, o a gpl, o a biogas (comma 1, lettera b)), che aggiunge la lettera v-bis nella parte I dell’Allegato IV );

§      le cantine che trasformano fino a 600 tonnellate l'anno di uva e gli stabilimenti di produzione di aceto o altre bevande fermentate, con una produzione annua di 250 ettolitri per i distillati e di 1000 ettolitri per gli altri prodotti. La norma precisa che sono comunque sempre escluse, indipendentemente dalla produzione annua, le fasi di fermentazione, movimentazione, travaso, addizione, trattamento meccanico, miscelazione, confezionamento e stoccaggio delle materie prime e dei residui effettuate nei predetti stabilimenti (comma 1, lettera d)) del, che aggiunge la lettera kk-bis nella parte I dell’Allegato IV );

§      i frantoi (comma 1, lettera e), che aggiunge la lettera kk-ter nella parte I dell’Allegato IV );

 

Un’ulteriore modifica (comma 1, lettera c)) all’elenco di cui alla parte I dell’Allegato IV è volta a modificare la lettera z) dell’elenco medesimo al fine di considerare non sottoposti all’autorizzazione alle emissioni atmosferiche gli allevamenti effettuati in ambienti confinati[7] in cui il numero di capi effettivamente presenti, e non potenzialmente presenti (come previsto nel testo vigente), è inferiore a quello indicato per le diverse categorie di animali nella tabella dell’allegato.

 

Il comma 2 modifica la parte II dell’Allegato IV alla parte V del Codice, contenente l’elenco di specifiche categorie di stabilimenti, per le quali l'autorità competente può adottare apposite autorizzazioni in forma semplificata (autorizzazioni di carattere generale - nelle quali sono stabiliti tra l’altro i valori limite di emissione - riferite ad intere categorie di stabilimenti, inclusi, in particolare, quelli elencati nella parte II dell'Allegato IV) e le modalità di adesione a tali atti autorizzativi (art. 272, comma 2, del D.Lgs. 152/2006). In particolare, al predetto elenco sono aggiunti i seguenti impianti e stabilimenti:

§      gli impianti di essiccazione di materiali vegetali impiegati o a servizio di imprese agricole non ricompresi nella parte I dell’Allegato IV (comma 2, lettera a), che inserisce la lettera v-bis nella parte II dell’Allegato IV);

§      gli stabilimenti di produzione di vino, aceto o altre bevande fermentate non ricompresi nella parte I dell’ Allegato IV (comma 2, lettera b), che inserisce la lettera oo-bis nella parte II dell’Allegato IV).


 

Articolo 41-quater
(Disciplina dell’utilizzo del pastazzo)

 


1. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, adotta entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, un decreto contenente disposizioni che consentano la produzione, la commercializzazione e l'uso del pastazzo quale sottoprodotto della lavorazione degli agrumi ad uso agricolo e zootecnico, sottraendolo in modo definitivo alla disciplina dei rifiuti. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è adottato un decreto ai sensi dell'articolo 184-bis, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per stabilire i criteri qualitativi e quantitativi per l'utilizzo delle sostanze prodotte nel corso della lavorazione degli agrumi, nel medesimo o in altri cicli di produzione.


 

 

L’articolo 41-quater, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, prevede al primo periodo l’emanazione di un decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, volto a consentire la produzione, la commercializzazione e l’uso del pastazzo quale sottoprodotto della lavorazione degli agrumi ad uso agricolo e zootecnico e a non applicare pertanto la disciplina concernente i rifiuti.

Con il termine “pastazzo” si fa riferimento, nel linguaggio comune, al principale residuo del processo di trasformazione degli agrumi, costituito da scorze, porzioni di polpa e semi.

 

Lo stesso articolo disciplina le modalità per l’emanazione del decreto, prevedendo che essa avvenga:

§      di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e delle politiche agricole, alimentari e forestali;

§      entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

 

Il secondo periodo prevede l’emanazione, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, di un ulteriore decreto ministeriale, ai sensi dell’art. 184-bis, comma 2, del D.Lgs. n. 152/2006, volto a stabilire i criteri qualitativi e quantitativi per l’utilizzo delle sostanze prodotte nel corso della lavorazione degli agrumi, nel medesimo o in altri cicli di produzione.

Si ricorda, in proposito, che l’art. 184-bis detta le seguenti condizioni alle quali una sostanza o oggetto può essere considerato un sottoprodotto e non un rifiuto:

a)    la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

b)    è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c)    la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d)    l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

 

Il comma 2 del medesimo articolo prevede che, sulla base delle condizioni previste al comma 1, il Ministero dell’ambiente possa emanare decreti, in conformità a quanto previsto dalla disciplina comunitaria, per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti.

Si ricorda altresì che sull’utilizzo del pastazzo è da tempo in atto un contenzioso proprio sulla sua qualificazione come rifiuto o come sottoprodotto.

Si segnala in proposito la sentenza della Corte di Cassazione (n. 28764 del 4 luglio 2013) che ha confermato, in sede cautelare, il sequestro preventivo di un'area dove era stata depositata un'importante quantità di pastazzo, disposto dal GUP del Tribunale di Siracusa, in quanto discarica abusiva di rifiuti speciali.

Per la Suprema Corte il Giudice siciliano ha ben applicato il D.Lgs. n. 152/2006 nell'escludere che il pastazzo potesse costituire un sottoprodotto, vista l'impossibilità di reputare come certo il successivo utilizzo (criterio b) previsto dall’art. 184-bis succitato) sia come mangime per gli animali, data la notevole sproporzione tra il materiale depositato e il numero dei capi di bestiame allevati dall'azienda, sia come ammendante vegetale ai sensi della L. 748/1984, a causa del riscontrato processo di fermentazione della sostanza depositata.

 

Ai sensi del D.Lgs. n. 360/1999 (recante la disciplina relativa alla circolazione di materie prime per mangimi), il pastazzo può essere utilizzato come materia prima per la preparazione di mangimi, essendo contemplato nell'allegato Il, parte A, capo II, lettera e), punto 5.02, del medesimo decreto.

Un ulteriore utilizzo può essere quello di ammendante ai sensi della L. n. 748/1984, sostituita dal D.Lgs. n. 217/2006, a sua volta sostituito dal D.Lgs. n. 75/2010 recante “Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti”.

In una nota indirizzata alle aziende del settore (nota prot. 14843 del 1° marzo 2012), alcune delle quali destinatarie dei provvedimenti di sequestro e interessate direttamente dalla sentenza richiamata, la Regione Sicilia sottolinea che al fine di garantire un impiego certo del sottoprodotto (condizione di cui alla lettera b) dell’art. 184-bis) del D.Lgs. n. 152/2006), deve essere “verificata la rispondenza agli standard merceologici, nonché alle norme tecniche, di sicurezza e di settore e deve essere attestata la destinazione del sottoprodotto ad effettivo utilizzo in base a tali standard e norme tramite una dichiarazione del produttore o detentore, controfirmata dal titolare dell'impianto dove avviene l'effettivo utilizzo”.

 

Si fa infine notare che comunque la disciplina prevista dall'articolo in commento non potrà comunque derogare alle condizioni previste dall’art. 5 della direttiva rifiuti 2008/98/CE, per considerare una sostanza come sottoprodotto. Tali condizioni sono, infatti, nella sostanza le medesime dettate dal citato art. 184-bis.


 

Articolo 42
(Soppressione certificazioni sanitarie)

 


1. Fermi restando gli obblighi di certificazione previsti dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, per i lavoratori soggetti a sorveglianza sanitaria, sono abrogate le disposizioni concernenti l'obbligo dei seguenti certificati attestanti l'idoneità psico-fisica al lavoro:

a) certificato di sana e robusta costituzione, di cui:

1) all'articolo 2 del regolamento di cui al regio decreto 4 maggio 1925, n. 653;

2) all'articolo 17, secondo comma, del regolamento di cui al regio decreto 21 novembre 1929, n. 2330;

3) all'articolo 3, secondo comma, lettera f), del regolamento di cui al regio decreto 12 ottobre 1933, n. 1364;

4) all'articolo 8, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 novembre 2000, n. 402;

b) limitatamente alle lavorazioni non a rischio, certificato di idoneità per l'assunzione di cui all'articolo 9 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1956, n. 1668, e all'articolo 8 della legge 17 ottobre 1967, n. 977, e successive modificazioni;

c) certificato medico comprovante la sana costituzione fisica per i farmacisti, di cui:

1) all'articolo 4, primo comma, lettera e), del regolamento di cui al regio decreto 30 settembre 1938, n. 1706;

2) all'articolo 31, quinto comma, del regolamento di cui al regio decreto 30 settembre 1938, n. 1706;

3) all'articolo 5, secondo comma, numero 3), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 agosto 1971, n. 1275;

d) certificato di idoneità fisica per l'assunzione nel pubblico impiego, di cui:

1) all'articolo 2, primo comma, numero 4), del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

2) all'articolo 11, secondo comma, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

3) all'articolo 2, comma 1, numero 3), del regolamento di cui ai decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487;

4) all'articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 483;

5) all'articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 2001, n. 220;

e) certificato di idoneità psico-fisica all'attività di maestro di sci, di cui all'articolo 4, comma 1, lettera c), della legge 8 marzo 1991, n. 81.

2. All'articolo 32 del regolamento per il servizio farmaceutico, di cui al regio decreto 30 settembre 1938, n. 1706, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, le parole: «ed esibire tanti certificati medici quanti sono i dipendenti medesimi per comprovare che essi siano esenti da difetti ed imperfezioni che impediscano l'esercizio professionale della farmacia e da malattie contagiose in atto che rendano pericoloso l'esercizio stesso» sono soppresse;

b) al terzo comma, le parole: «Le suddette comunicazioni devono essere trascritte» sono sostituite dalle seguenti: «La suddetta comunicazione deve essere trascritta».

3. Per i lavoratori che rientrano nell'ambito della disciplina di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni, non si applicano le disposizioni concernenti l'obbligo della certificazione attestante l'idoneità psico-fisica relativa all'esecuzione di operazioni relative all'impiego di gas tossici, di cui all'articolo 27, primo comma, numero 4°, del regolamento di cui al regio decreto 9 gennaio 1927, n. 147.

4. Sono abrogate le disposizioni relative all'obbligatorietà del certificato per la vendita dei generi di monopolio, di cui all'articolo 6, primo comma, numero 5), della legge 22 dicembre 1957, n. 1293.

5. All'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77, le parole: «, muniti di idoneità fisica,» sono soppresse.

6. La lettera e) del comma 1 dell'articolo 5, della legge 21 novembre 1991, n. 374, e successive modificazioni, e la lettera e) del comma 1 dell'articolo 2, della legge 22 luglio 1997, n. 276, sono abrogate.

7. La legge 22 giugno 1939, n. 1239, è abrogata.

7-bis. L'articolo 14 della legge 30 aprile 1962, n. 283, e l'articolo 37 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1980, n. 327, sono abrogati.

7-ter. All'articolo 240, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, la lettera f) è abrogata.


 

 

La norma provvede a semplificare alcune procedure relative a certificazioni e ad autorizzazioni sanitarie ritenute ormai desuete anche alla luce dell’efficacia delle prestazioni.

L’articolo 42 riprende in gran parte il disegno di legge Disposizioni per la semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi alla tutela della salute (A.S. 1249) d’iniziativa governativa, presentato nel corso della XV Legislatura, i cui contenuti costituivano il risultato delle valutazioni di un gruppo di lavoro istituito presso il Ministero della salute con il compito di individuare le pratiche sanitarie di certificazione o di autorizzazione prive di valenza sanitaria.

In particolare, per quanto riguarda il comma 1, fermi restando gli obblighi di certificazione per i lavoratori soggetti a sorveglianza sanitaria, previsti dal D.Lgs. 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, vengono abrogate alcune disposizioni concernenti l’obbligo di taluni certificati attestanti l’idoneità psico-fisica al lavoro.

Le disposizioni abrogate si riferiscono ai seguenti certificati:

a)   certificato di sana e robusta costituzione, di cui:

1.    all’articolo 2 del Regolamento sugli alunni, gli esami e le tasse negli istituti medi di istruzione di cui al R.D. 653/1925;

2.    all’articolo 17, secondo comma, del Regolamento riguardante le scuole-convitto professionali per infermiere e le scuole specializzate di medicina, pubblica igiene ed assistenza sociale per assistenti sanitarie visitatrici, di cui al R.D. 2330/1929;

3.    all’articolo 3, secondo comma, lettera f), del Regolamento per la carriera e la disciplina del personale della Corte dei conti di cui al R.D. 1364/1933.;

4.    all’articolo 8, comma 2, del D.P.R. 402/2000 recante il Regolamento concernente modalità per il conseguimento della idoneità alle funzioni di ufficiale esattoriale;

b)   limitatamente alle lavorazioni non a rischio, certificato di idoneità per l’assunzione, di cui all’articolo 9 del D.P.R. 1668/1956 recante il Regolamento per l'esecuzione della disciplina legislativa sull'apprendistato, e all’articolo 8 della legge 977/1967 sulla Tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti;

c)   certificato medico comprovante la sana costituzione fisica per i farmacisti, di cui:

1.    all’articolo 4, primo comma, lettera e), del Regolamento per il servizio farmaceutico di cui al R.D. 1706/1938;

2.    all’articolo 31, quinto comma, del Regolamento per il servizio farmaceutico di cui al R.D. 1706/1938;

3.    all’articolo 5, secondo comma, numero 3), del D.P.R. 1275/1971 recante norme concernenti il servizio farmaceutico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 agosto 1971, n. 1275;

d)   certificato di idoneità fisica per l’assunzione nel pubblico impiego, di cui:

1.    all’articolo 2, primo comma, numero 4) del D.P.R. 3/1957, Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato;

2.    all’articolo 11, secondo comma, lettera c) del D.P.R. 686/1957, Norme di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato;

3.    all’articolo 2, comma 1, numero 3) del D.P.R. 487/1994 recante Norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi;

4.    all’articolo 1, comma 1, lettera b) del D.P.R. 483/1997, Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale;

5.    all’articolo 2, comma 1, lettera b) del D.P.R. 220/2001, Regolamento recante disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale;

e)   certificato di idoneità psico-fisica all’attività di maestro di sci, di cui all’articolo 4, comma 1, lettera c) della legge 81/1991, Legge-quadro per la professione di maestro di sci e ulteriori disposizioni in materia di ordinamento della professione di guida alpina.

Il comma 2 dell’articolo in esame apporta le seguenti modifiche all’articolo 32 del D.P.R. 1706/1938 recante norme concernenti il servizio farmaceutico:

La lettera a) sopprime, al primo comma dell’articolo 12, l’obbligo, per il titolare, di esibire tanti certificati medici quanti sono i dipendenti dell’esercizio farmaceutico. Resta, per il titolare, l’obbligo di comunicare al medico provinciale il nome e cognome, la data di assunzione e di cessazione degli addetti all'esercizio;

La lettera b), considerando che il titolare di un esercizio farmaceutico non deve più esibire la certificazione medica degli addetti l’esercizio, sostituisce le parole: “Le suddette comunicazioni devono essere trascritte” con le seguenti: “La suddetta comunicazione deve essere trascritta”.

Al proposito si rileva che, sebbene le certificazioni mediche non siano più richieste, rimane l’obbligo del titolare dell’esercizio farmaceutico di comunicare al medico provinciale l’assunzione/cessazione dal lavoro degli addetti l’esercizio. Presumibilmente entrambe le comunicazioni devono essere trascritte in apposito registro.

Il comma 3 prevede, che, per i lavoratori che rientrano nell’ambito della disciplina di cui al D.Lgs. 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, non trovano applicazione, in virtù delle disposizioni contenute nello stesso provvedimento, le disposizioni concernenti l’obbligo della certificazione attestante l’idoneità psico-fisica relativa all’esecuzione di operazioni relative all’impiego di gas tossici, di cui all’articolo 27, primo comma, numero 4, del regolamento di cui al R.D. 147/1927.

Il comma 4 abroga le disposizioni relative all’obbligatorietà del certificato per la vendita dei generi di monopolio, di cui all’articolo 6, primo comma, numero 5), della legge 1293/1957 sull’Organizzazione dei servizi di distribuzione e vendita dei generi di monopolio. Pertanto vengono eliminate dalle cause di esclusione dalla gestione dei magazzini di vendita, la presenza di malattie infettive o contagiose.

Il comma 5 sopprime, all’articolo 3, comma 1, del D.Lgs. 77/2002 recante Disciplina del Servizio civile nazionale, le parole “muniti di idoneità fisica”. Pertanto non è più richiesta alcuna certificazione relativa all’idoneità fisica per essere ammesso a svolgere il Servizio civile.

Il comma 6 abroga la lettera e) dell’articolo 5, comma 1, della legge 374/1991 che istituisce il giudice di pace, e la lettera e) dell’articolo 2, comma 1, della legge 276/1997 in materia di giudici onorari aggregati. Pertanto non è più richiesto il requisito dell’idoneità fisica e psichica per entrambe le nomine.

Il comma 7 abroga la legge 1239/1939, Istituzione di una tessera sanitaria per le persone addette ai lavori domestici.

Il comma 7-bis, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, abroga l’articolo 14 della legge 283/1962[8] recante la disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, unitamente all’articolo 37 del D.P.R. n. 327/1980[9] recante il relativo regolamento di esecuzione. Nello specifico viene abolito l’obbligo per il personale addetto alla preparazione, produzione, manipolazione e vendita di sostanze alimentari di essere munito di apposito libretto di idoneità sanitaria.

L’obbligo del libretto di idoneità sanitaria per alimentaristi è stato stabilito dalla Legge 283/1962 e dal relativo regolamento d’esecuzione recato dal D.P.R. n. 327/1980. Il libretto, obbligatorio per il personale addetto alla preparazione, manipolazione e vendita di sostanze alimentari, è rilasciato dall’autorità sanitaria competente, previa visita medica e accertamenti. Lo stesso personale è tenuto annualmente a visite mediche di controllo e a eventuali speciali misure profilattiche. L’Oms, già nel 1989 (Technical Report Series 785/1989), ha segnalato che gli accertamenti sanitari di routine sugli alimentaristi sono di chiara inefficacia in termini di risultati per la prevenzione e rappresentano uno spreco di risorse umane ed economiche. Il decreto legislativo 155/1997, che ha recepito la Direttiva europea 43/93 sull’igiene dei prodotti alimentari, ha modificato e integrato il quadro legislativo: in particolare rende responsabile il titolare dell’azienda dell’obbligo di informazione e aggiornamento del proprio personale alimentarista. In seguito a questo decreto, molte Regioni e Province autonome hanno modificato la normativa sul libretto sanitario per alimentaristi[10].

Infine, il comma 7-ter, anch’esso introdotto nel corso dell’esame parlamentare, sopprime, con disposizioni di rango legislativo, la lettera f) del comma 1 dell’articolo 240 del regolamento di esecuzione del codice della strada (DPR n. 495/1992), la quale prevede che il titolare delle imprese di autoriparazione concessionarie delle attività di revisione dei veicoli debba essere fisicamente idoneo all'esercizio dell'attività in base a certificazione rilasciata dal competente organo sanitario del comune di esercizio dell'attività.

Si ricorda che l’articolo 80, comma 8, del codice della strada (decreto legislativo n. 285/1992) prevede che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al fine di assicurare in relazione a particolari e contingenti situazioni operative degli uffici competenti del Dipartimento per i trasporti terrestri, il rispetto dei termini previsti per le revisioni periodiche dei veicoli a motore (individuati con decreto del Ministro) capaci di contenere al massimo 16 persone compreso il conducente, ovvero con massa complessiva a pieno carico fino a 3,5 t, può per singole province individuate con proprio decreto affidare in concessione quinquennale le suddette revisioni ad imprese di autoriparazione che svolgono la propria attività nel campo della meccanica e motoristica, carrozzeria, elettrauto e gommista ovvero ad imprese che, esercendo in prevalenza attività di commercio di veicoli, esercitino altresì con carattere strumentale o accessorio, l'attività di autoriparazione.


 

Articolo 42-bis
(Ulteriore soppressione di certificazione sanitaria)

 


1. Al fine di salvaguardare la salute dei cittadini promuovendo la pratica sportiva, per non gravare cittadini e Servizio sanitario nazionale di ulteriori onerosi accertamenti e certificazioni, è soppresso l'obbligo di certificazione per l'attività ludico-motoria e amatoriale previsto dall'articolo 7, comma 11, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, e dal decreto del Ministro della salute 24 aprile 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 169 del 20 luglio 2013.

2. Rimane l'obbligo di certificazione presso il medico o il pediatra di base per l'attività sportiva non agonistica. Sono i medici o pediatri di base annualmente a stabilire, dopo anamnesi e visita, se i pazienti necessitano di ulteriori accertamenti come l'elettrocardiogramma.


 

 

L’articolo 42-bis, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, abolisce l’obbligo di certificazione per l’attività ludico motoria e amatoriale previsto dall’articolo 7, comma 11, del decreto legge 158/2012[11] e dal conseguente Decreto del Ministero della salute 24 aprile 2013[12]. Per l'attività sportiva non agonistica rimane l'obbligo di certificazione presso il medico o pediatra di base, anche se non sono più obbligatori accertamenti sanitari quali l’elettrocardiogramma. Sono infatti i medici o i pediatri di base a stabilire annualmente, dopo anamnesi e visita, ulteriori accertamenti, se ritenuti necessari.

Si rileva che la normativa vigente in materia è di recentissima approvazione. In particolare il decreto 24 aprile 2013, pubblicato sulla G.U. il 20 luglio 2013, ha definito nel dettaglio le diverse tipologie di attività sportive e la corrispondente certificazione richiesta. Intervenendo in tale ambito, la norma in esame abroga l’obbligo di certificazione per l’attività amatoriale ludico-motoria di cui all’articolo 2 del D.M. 24 aprile 2013, mentre le norme recate dall’articolo 3 dello stesso decreto, che definiscono l’attività sportiva non agonistica e la certificazione per questa richiesta, vengono modificate. A normativa previgente, ai sensi dell’articolo 3, comma 3, del D.M. 24 aprile 2013, era previsto l’obbligo della preventiva misurazione della pressione arteriosa e l’effettuazione di un elettrocardiogramma a riposo, refertato secondo gli standard professionali esistenti. La norma in esame, pur lasciando fermo l’obbligo di certificazione per l’attività sportiva non agonistica, lascia invece al medico di medicina generale o al pediatra la libertà di stabilire la necessità di ulteriori accertamenti. Restano ferme le ulteriori disposizioni in materia di attività di particolare ed elevato impegno cardiovascolare e sull’utilizzo dei defibrillatori.

 

Il decreto legge 158/2012 (c.d. Decreto Balduzzi) all’articolo 7, comma 11, prevede, al fine di salvaguardare la salute dei cittadini che praticano un'attività sportiva non agonistica o amatoriale, che il Ministro della salute, con decreto adottato di concerto con il Ministro delegato al turismo ed allo sport, disponga garanzie sanitarie mediante l'obbligo di idonea certificazione medica, nonché linee guida per l'effettuazione di controlli sanitari sui praticanti e per la dotazione e l'impiego, da parte delle società sportive sia professionistiche sia dilettantistiche, di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita.

Il D.M. 24 aprile 2013, che raccoglie le risultanze del gruppo di lavoro in materia istituito con decreto del Ministro della salute in data 14 febbraio 2013 e del corrispondente gruppo di lavoro del Consiglio superiore di sanità, prevede diversi tipi attività sportiva e reca all’articolo 5 l’obbligo per le società sportive dilettantistiche e professionistiche a dotarsi di defibrillatori semiautomatici, nel rispetto delle modalità indicate dall’Allegato E, Linee guida sulla dotazione e l’utilizzo di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita. Di seguito vengono riassunte le disposizioni recate dal decreto per le diverse tipologie di attività.

 

 

Attività amatoriale

Ai sensi dell’articolo 2 del D.M. 24 aprile 2013, è definita amatoriale, l'attività ludico-motoria, praticata da soggetti non tesserati alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline associate, agli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, individuale o collettiva, non occasionale, finalizzata al raggiungimento e mantenimento del benessere psico-fisico della persona, non regolamentata da organismi sportivi, ivi compresa l'attività che il soggetto svolge in proprio, al di fuori di rapporti con organizzazioni o soggetti terzi. Sono pertanto esclusi dall’obbligo di certificazione medica: coloro che svolgono attività amatoriale in forma autonoma; coloro che svolgono attività amatoriale, anche in contesti organizzati, in via occasionale, a scopo prevalentemente ricreativo e in modo non ripetitivo; coloro che svolgono un’attività sportiva amatoriale con ridotto impegno cardiovascolare - quali le bocce, escluse le bocce in volo, biliardo, golf, pesca sportiva di superficie, caccia sportiva, sport di tiro, ginnastica per anziani, “gruppi cammino” e attività assimilabili, e chi pratica attività ricreative come ballo o giochi da tavolo o simili. Per tali soggetti, pur non sussistendo l’obbligo di certificazione, il comma 6 dell’articolo 2, raccomanda un controllo medico all’avvio dell’attività ludico-motoria, ai fini della valutazione di eventuali fattori di rischio.

Coloro che praticano attività ludico-motoria in contesti organizzati e autorizzati all'esercizio devono sottoporsi a controlli medici periodici ai fini della certificazione attestante l'idoneità all'attività ludico-motoria secondo quanto previsto nell'allegato A che individua tre classi di soggetti:

Classe A: uomini fino ai 55 anni e donne fino ai 65 anni, senza evidenti patologie e fattori di rischio, possono essere visitati da un medico abilitato alla professione e il certificato ha valenza biennale; Classe B: soggetti che riportano almeno due delle seguenti condizioni: età superiore ai 55 anni per gli uomini e ai 65 per le donne con anamnesi nota per almeno due delle seguenti condizioni: ipertensione arteriosa, elevata pressione arteriosa differenziale nell’anziano, l’essere fumatori, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, glicemia alterata a digiuno o ridotta tolleranza ai carboidrati o diabete di tipo II compensato, obesità addominale, familiarità per patologie cardiovascolari, altri fattori di rischio a giudizio del medico. Per tali soggetti è richiesta una certificazione da parte di un medico di medicina generale, un pediatra o un medico dello sport, i quali dovranno effettuare un elettrocardiogramma a riposo ed eventualmente altri esami necessari secondo il giudizio clinico. Il certificato è rinnovato ogni anno; Classe C: soggetti con patologie croniche conclamate diagnosticate (ad esempio: cardiologiche, pneumologiche, neurologiche, oncologiche in atto, diabetologiche di tipo I o di tipo II scompensate), che i quali devono ricorrere a un medico di medicina generale, un pediatra di libera scelta, un medico dello sport o allo specialista di branca, i quali effettueranno esami e consulenze specifiche e rilasceranno a proprio giudizio un certificato annuale o a valenza anche inferiore all’anno.

Per il caso di attività amatoriale il certificato andrà esibito all’atto di iscrizione o di avvio delle attività all’incaricato della struttura o del luogo dove si svolge l’attività.

 

 

 

Attività non agonistica

Il D.M. 24 aprile 2013 abroga, all’articolo 7, il D.M. 28 febbraio 1983, Norme per la tutela sanitaria dell'attività sportiva non agonistica. L'attività agonistica resta regolata dalla legislazione vigente in materia, principalmente dal il D.M. 18 febbraio 1982, Norme per la tutela sanitaria dell'attività sportiva agonistica.

Ai sensi dell’articolo 3, l'attività sportiva non agonistica è quella praticata dagli alunni che svolgono attività fisico-sportive organizzate dalle scuole nell’ambito delle attività parascolastiche, dai partecipanti ai giochi sportivi studenteschi nelle fasi precedenti a quella nazionale e dalle persone che svolgono attività organizzate dal Coni o da società affiliate alle Federazioni o agli Enti di promozione sportiva (che non siano considerati atleti agonisti). Questi soggetti devono sottoporsi a un controllo medico annuale effettuato da un medico di medicina generale o un pediatra di libera scelta, relativamente ai propri assistiti, oppure da un medico dello sport. La visita dovrà prevedere la misurazione della pressione arteriosa e un elettrocardiogramma a riposo.

 

 

 

Attività di particolare ed elevato impegno cardiovascolare

Ai sensi dell’articolo 4, sono previste regole più stringenti per chi partecipa ad attività ad elevato impegno cardiovascolare come manifestazioni podistiche oltre i 20 km o le gran fondo di ciclismo, nuoto o sci: in questo caso verranno effettuati accertamenti supplementari.

 


 

Defibrillatori

Si ricorda cha la materia è in parte regolata dal D.M. 18 marzo 2011, Determinazione dei criteri e delle modalità di diffusione dei defibrillatori automatici esterni. L’articolo 5 del decreto 24 aprile 2013 prevede che, le società sportive dilettantistiche e quelle sportive professionistiche, devono dotarsi di defibrillatori semiautomatici. Sono escluse le società dilettantistiche che svolgono attività a ridotto impegno cardiocircolatorio. Le società dilettantistiche hanno 30 mesi di tempo per adeguarsi, quelle professionistiche 6 mesi. Gli oneri sono a carico delle società, ma queste possono associarsi se operano nello stesso impianto sportivo, oppure possono accordarsi con i gestori degli impianti perché siano questi a farsene carico. Il decreto ministeriale contiene linee guida dettagliate sulla dotazione e l’utilizzo dei defibrillatori. Dovrà essere presente personale formato e pronto a intervenire e il defibrillatore deve essere facilmente accessibile, adeguatamente segnalato e sempre perfettamente funzionante. I corsi di formazione sono effettuati dai Centri di formazione accreditati dalle singole Regioni.


 

Articolo 42-ter
(Semplificazione in merito alle verifiche dell’Istituto nazionale della previdenza sociale sull’accertamento dell’invalidità)

 


1. I soggetti per i quali è già stata accertata da parte degli uffici competenti una menomazione o una patologia stabilizzate o ingravescenti di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 2 agosto 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 225 del 27 settembre 2007, inclusi i soggetti affetti da sindrome da talidomide o da sindrome di Down, che hanno ottenuto il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento o di comunicazione sono esclusi dalle visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante da parte degli uffici dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS).

2. Il soggetto chiamato dall'INPS per la verifica sull'accertamento del suo stato invalidante effettua la verifica limitatamente alle situazioni incerte.

3. Il soggetto chiamato dall'INPS per la verifica sull'accertamento del suo stato invalidante non perde il diritto a percepire l'emolumento economico di cui è titolare anche se i verbali di visita non sono immediatamente vidimati dal responsabile preposto.


 

 

L’articolo 42-ter, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, intende semplificare le procedure di verifica sulla permanenza dello stato invalidante da parte dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS).

Più specificamente, i soggetti affetti da una delle patologie indicate nel Decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 2 agosto 2007[13] (inclusi i soggetti affetti da sindrome da talidomide o da sindrome di Down), per i quali gli uffici competenti abbiano già accertato l’esistenza della patologia e che hanno ottenuto il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento o di comunicazione, sono esclusi dalle visite da parte dell’INPS dirette a verificare la permanenza dello stato invalidante (comma 1).

 

Il D.M. 2 agosto 2007, attuativo dell'art. 6, comma 3, della legge 80/2006[14], ha approvato l'elenco delle patologie rispetto alle quali sono escluse visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante e indicazione della relativa documentazione sanitaria. Il decreto individua 12 voci relative a condizioni patologiche per le quali non sono necessari esami di controllo e di verifica per continuare a godere del riconoscimento dello stato invalidante. L'individuazione si basa su due elementi: la gravità della condizione e l'impossibilità di miglioramento. Il decreto prevede che l'elenco delle patologie, per le quali non è più necessario ripetere le visite di controllo o di revisione, sia rivisto con cadenza annuale.

 

I soggetti chiamati dall'INPS per la verifica sull'accertamento dello stato invalidante effettuano la verifica limitatamente alle situazione incerte e non perdono il diritto all'emolumento economico di cui sono titolari anche se i verbali di visita non sono immediatamente vidimati dal responsabile (commi 2 e 3).


 

Articolo 42-quater
(Trattamenti pensionistici per i lavoratori esposti all’amianto)

 


1. Dopo il comma 14-bis dell'articolo 7-ter del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, è inserito il seguente:

«14-ter. Ai fini della determinazione del diritto e della misura del trattamento pensionistico, nei casi di lavoratori che risultino, alla data del 22 giugno 2013, cessati per mobilità, oppure titolari di prestazioni straordinarie a carico dei fondi di solidarietà o autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione, restano validi ed efficaci i provvedimenti di certificazione di esposizione all'amianto rilasciati dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, ai fini del conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni. I provvedimenti di revoca delle certificazioni rilasciate sono privi di effetto, salvo il caso di dolo dell'interessato accertato in via giudiziale con sentenza definitiva».


 

 

L’articolo 42-quater, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, interviene in materia di benefici previdenziali per i soggetti esposti all’amianto.

In particolare, la disposizione prevede (inserendo il comma 14-ter all’articolo 7-ter del D.L. n. 5/2009), che ai fini della determinazione del diritto e della misura del trattamento pensionistico, nei casi di lavoratori che risultino, alla data di entrata in vigore del D.L. n. 76/2013 (e cioè dal 23 giugno 2013) cessati per mobilità, oppure titolari di prestazioni straordinarie a carico dei fondi di solidarietà o autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione, restino validi ed efficaci i provvedimenti di certificazione di esposizione all'amianto rilasciati dall'I.N.A.I.L., ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali di cui all'articolo 13, comma 8, della L. n. 257/1992.

Conseguentemente, i provvedimenti di revoca delle certificazioni rilasciate sono privi di effetto, salvo il caso di dolo dell'interessato accertato in via giudiziale con sentenza definitiva.

 

Si ricorda che l’articolo 13, commi 6, 7 e 8, della L. n. 257/1992, ha concesso un beneficio previdenziale a determinate categorie di lavoratori che durante l’attività lavorativa siano stati esposti all’amianto.

Tale beneficio consiste nell’applicazione, ai periodi di contribuzione obbligatoria relativi all’esposizione all’amianto, di un coefficiente di moltiplicazione ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche. In particolare:

§       ai periodi di prestazione lavorativa nelle miniere e nelle cave di amianto si applica il coefficiente di 1,5 (comma 6);

§       al periodo di esposizione all’amianto, nel caso di contrazione di malattia professionale documentata dall’INAIL a causa della medesima esposizione, si applica il coefficiente di 1,5 (comma 7);

§       all’intero periodo di esposizione all’amianto soggetto alla relativa assicurazione INAIL, purché di durata superiore a 10 anni, si applica il coefficiente di 1,25 (comma 8), utile solamente ai fini della determinazione dell'importo delle prestazioni pensionistiche e non della maturazione del diritto di accesso alle medesime. Si ricorda tuttavia che, sino al 1° ottobre 2003 (cioè sino al giorno antecedente all’entrata in vigore del D.L. 269/2003), era invece previsto un coefficiente pari all’1,5 che si applicava anche ai fini della maturazione del diritto di accesso alla pensione.

 

E’ inoltre opportuno ricordare che l’articolo 1, comma 20, della L. n. 247/2007 ha previsto che ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’articolo 13, comma 8, della L. n. 257/1992, fossero valide le certificazioni rilasciate dall’I.N.A.I.L. ai lavoratori che avessero presentato domanda al predetto Istituto entro il 15 giugno 2005, per periodi di attività lavorativa svolta con esposizione all’amianto fino all’avvio dell’azione di bonifica e, comunque, non oltre il 2 ottobre 2003, nelle aziende interessate dagli atti di indirizzo già emanati in materia dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale.

In attuazione della suddetta disciplina legislativa è intervenuto il DM 12 marzo 2008, che all’articolo 2, comma 4, ha in particolare stabilito che la certificazione da parte dell’I.N.A.I.L. è rilasciata previa acquisizione:

§       della domanda del lavoratore, che attesta il possesso dei requisiti richiesti;

§       della comunicazione da parte delle ASL competenti della data di avvio dell'azione di bonifica di cui al comma 3, ovvero del mancato avvio della stessa azione di bonifica;

§       del curriculum professionale del lavoratore interessato, rilasciato dal datore di lavoro, dal quale risultino le mansioni, i reparti e i periodi lavorativi svolti successivamente all'anno 1992 sino all'avvio dell'azione di bonifica e, comunque, non oltre il 2 ottobre 2003.

Infine, si segnala che l’articolo 7-ter, comma 14, del D.L. n. 5/2009 ha inoltre disposto il mantenimento dei trattamenti pensionistici erogati prima dell’entrata in vigore dello stesso D.L. n. 5/2009, a seguito degli accertamenti compiuti dall'INAIL ai fini del conseguimento dei benefici previsti all’articolo 13, comma 8, della più volte citata L. n. 257/1992.

Tali benefici riguardano i lavoratori esposti all'amianto per un periodo superiore a 10 anni, per cui l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'I.N.A.I.L., è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,25.


 

Articolo 43
(Disposizioni in materia di trapianti)

 


1. Al terzo comma dell'articolo 3 del regio-decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente periodo:

«I comuni trasmettono i dati relativi al consenso o al diniego alla donazione degli organi al Sistema informativo trapianti, di cui all'articolo 7, comma 2, della legge 1° aprile 1999, n. 91.».

1-bis. Il consenso o il diniego alla donazione degli organi confluisce nel fascicolo sanitario elettronico di cui all'articolo 12 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e successive modificazioni.

2. Agli adempimenti di cui al comma 1, si provvede senza nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica, con le risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente.


 

 

L’articolo 43 intende ottimizzare la circolazione di informazioni in materia di dichiarazioni di volontà per la donazione di organi e tessuti. A tal fine, i Comuni vengono incaricati di trasmettere al Sistema Informativo Trapianti (SIT) i dati, nel caso questi siano stati inseriti nelle carte di identità, relativi al consenso o diniego alla donazione. Il consenso o il diniego alla donazione degli organi confluisce nel fascicolo sanitario elettronico.

L’intervento legislativo è attuato modificando l’articolo 3 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, dedicato alla carta di identità, che già prevede la possibilità di indicare il consenso o il diniego del titolare del documento alla donazione, in caso di morte, dei propri organi e tessuti.

 

L’articolo 3, comma 8-bis, del D.L. 194/2009, ha introdotto nel corpo dell’articolo 3 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. 773/1931), la possibilità di indicare sulla carta di identità il consenso o il diniego del titolare del documento alla donazione dei propri organi e tessuti in caso di morte. Tale norma, che estende di fatto la titolarità per la raccolta e la conservazione di tale informazioni alle anagrafi comunali, a fronte del rilascio/rinnovo della Carta d’identità richiesta dai cittadini residenti, è stata testata da un progetto-pilota "La Donazione degli Organi come Tratto Identitario", affidato alla Regione Umbria dai Ministeri della Salute e degli Interni, alla cui attuazione ha collaborato Federsanità Anci. Per offrire un modello organizzativo e gestionale dell'espressione della dichiarazione di volontà sono state realizzate delle Linee guida. Nel giugno 2013, la Regione Toscana ha siglato il progetto “Una scelta in comune”, frutto di un accordo di collaborazione tra Regione, Anci-Federsanità, AIDO e Centro nazionale trapianti. In base al progetto, se il cittadino intende rilaciare una dichiarazione in materia di donazione degli organi, compila un apposito modulo e i suoi dati sono inseriti nel SIT. E’ possibile recedere in qualsiasi momento dalla scelta, comunicandolo alla propria Asl.

 

Nel dettaglio, il comma 1 aggiunge al terzo comma dell’articolo 3 del R.D. n. 773/1931 la previsione che i Comuni trasmettano al SIT i dati relativi al consenso o al diniego alla donazione. Il consenso o il diniego alla donazione degli organi confluisce nel fascicolo sanitario elettronico di cui all'articolo 12 del D.L. n. 179/2012[15].

 

Il Sistema Informativo dei Trapianti (SIT) è stato istituito, nell'ambito del Sistema Informativo Sanitario, dall’articolo 7 della L. 91/1999[16]. Il SIT svolge le seguenti attività: registra e raccoglie le dichiarazioni di volontà di donazione di organi e tessuti da parte dei cittadini; raccoglie dai gestori di lista regionali le liste di attesa standard dei pazienti in attesa di trapianto; gestisce a livello nazionale il Programma Nazionale Pediatrico e la lista delle urgenze; registra il flusso dei dati sull'attività di donazione e prelievo di organi e tessuti, l’attività di trapianto di organi e la distribuzione di tessuti alle banche certificate; gestisce il registro del trapianto da vivente; raccoglie i follow-up dei pazienti trapiantati.

 

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria.


 

Articolo 44, commi 1 e 2
(Riconoscimento del servizio prestato presso le pubbliche amministrazioni di altri Stati membri)

 


1. Al comma 1 dell'articolo 5 del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2008, n. 101, dopo il primo periodo è inserito il seguente:

«Relativamente al personale delle aree della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria che presta servizio presso le strutture sanitarie pubbliche, per le quali l'ordinamento italiano richiede, ai fini del riconoscimento di vantaggi economici o professionali, che l'esperienza professionale e l'anzianità siano maturate senza soluzione di continuità, tale condizione non si applica se la soluzione di continuità dipende dal passaggio dell'interessato da una struttura sanitaria, di cui alla legge 10 luglio 1960, n. 735, di uno Stato membro a quella di un altro Stato membro».

2. All'onere derivante dal comma 1 si provvede con le risorse del fondo di rotazione di cui all'articolo 5, della legge 16 aprile 1987, n. 183, che a tale scopo sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate al Fondo sanitario nazionale, ai fini della successiva erogazione alle regioni, sulla base di apposito riparto, da effettuare con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.


 

 

L'articolo 44, commi 1 e 2, riconosce ai dipendenti dell'area della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria, operanti presso strutture sanitarie pubbliche, il servizio prestato presso strutture sanitarie pubbliche di un altro paese UE.

 

Nel dettaglio, l’articolo 44, comma 1, modifica l’articolo 5 del D.L. 59/2008, che obbliga le amministrazioni pubbliche italiane a valutare, ai fini giuridici ed economici, l'esperienza professionale e l'anzianità acquisite da cittadini comunitari nel territorio di altri Stati dell’Unione europea, anche in periodi antecedenti all’adesione degli stessi all’Unione europea, secondo condizioni di parità rispetto a quelle acquisite nell'ambito dell'ordinamento italiano.

 

La modifica apportata dall’articolo in esame, fa seguito alla procedura di infrazione 2009/4686. La Commissione europea, nel parere motivato inviato il 26 aprile 2012, rileva che la disciplina contrattuale interna relativa alla dirigenza medica e veterinaria viola l'articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell'UE e il regolamento CEE 1612/1968, relativi al principio della libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione, in quanto non prevede che i periodi di attività trascorsi dai medici alle dipendenze di un altro Stato membro dell'UE, prima di essere assegnati all'amministrazione sanitaria italiana, siano valutati, in Italia, ai fini del calcolo degli anni di esperienza professionale e di anzianità.

 

Pertanto viene previsto che, per le aree della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria in servizio presso strutture sanitarie pubbliche, qualora l'ordinamento italiano richieda, ai fini del riconoscimento di vantaggi economici o professionali, che l’esperienza professionale e l’anzianità siano maturate senza soluzione di continuità, la medesima condizione non si applica se la soluzione di continuità dipende dal passaggio dell’interessato da una struttura sanitaria pubblica (di cui alla legge 735/1960) di uno Stato membro a quella di un altro Stato membro.

 

La legge 735/1960 riconosce il servizio sanitario prestato da sanitari italiani all'estero presso Enti pubblici sanitari o presso Istituti che svolgono attività sanitaria nell'interesse pubblico ai fini dell'ammissione ai concorsi ai posti di sanitario presso Enti locali banditi nella Repubblica e come titolo valutabile nei concorsi medesimi, analogamente a quanto previsto delle vigenti disposizioni per i servizi sanitari prestati nel territorio nazionale.

 

La soppressione della condizione della continuità ha effetti retroattivi.

 

Il comma 2 dell’articolo 44 provvede ai fini della copertura degli oneri finanziari mediante le risorse del fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie, di cui all’articolo 5 della legge 183/1987, versate all’entrata del bilancio delle Stato per essere riassegnate al Fondo sanitario nazionale. Le somme sono erogate alle regioni sulla base di apposito riparto, da effettuarsi con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome.


 

Articolo 44. commi 3 e 4
(Semplificazioni per la certificazione di qualità delle materie prime utilizzate per la produzione di medicinali)

 


3. Fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di recepimento della direttiva 2011/62/UE, non si applica il disposto di cui al primo periodo dell'articolo 54, comma 3, del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, e successive modificazioni. Fino alla stessa data, le materie prime di cui all'articolo 54, comma 2, del medesimo decreto legislativo, anche importate da paesi terzi, devono essere corredate di una certificazione di qualità che attesti la conformità alle norme di buona fabbricazione rilasciata dalla persona qualificata responsabile della produzione del medicinale che utilizza le materie prime. Resta ferma la possibilità, per l'AIFA, di effettuare ispezioni dirette a verificare la conformità delle materie prime alla certificazione resa.

4. Il comma 3-bis dell'articolo 54 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, e successive modificazioni, è abrogato.


 

 

I commi 3 e 4 dell’articolo 44 sospendono, fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di recepimento della Direttiva 2011/62/UE, l’applicazione della disciplina relativa alla certificazione di conformità alle norme di buona fabbricazione di cui al comma 3, primo periodo, dell’articolo 54 del D.Lgs. 219/2006, mantenendo, fino alla medesima data, la disciplina transitoria con riferimento alle sostanze attive impiegate come materie prime per la produzione di medicinali, di cui all’art. 54, comma 3-bis del D.Lgs. 219/2006.

 

Ai sensi del testo originario dell’art. 54, commi 3 e 3-bis, del D.Lgs. 219/2006, veniva richiesto, a decorrere dal 1° gennaio 2009 – termine prorogato in ultimo al 3 luglio 2013 dal D.L. 216/2011 -, un certificato di conformità alle norme di buona fabbricazione rilasciato (all'officina di produzione della materia prima) dall'autorità competente (di uno Stato membro dell'Unione europea) per l'impiego delle materie prime per la produzione di medicinali (anche se importate da Paesi non appartenenti all'Unione europea). Fino a tale data, si consentiva che la certificazione fosse rilasciata dalla persona qualificata responsabile della produzione del medicinale. Il differimento fino al 3 luglio 2013, operato dal D.L. 216/2011, aveva consentito di mantenere, in seno all’ordinamento italiano, la previsione dell’obbligo del certificato di conformità alle norme di buona fabbricazione, sulla base delle stesse motivazioni che ne avevano giustificato l’iniziale previsione e, sotto un altro profilo, aveva consentito di attendere il recepimento, entro il 2 gennaio 2013, della Direttiva 2011/62/UE dell’8 giugno 2011, intervenuta in materia, considerato che le disposizioni concernenti le norme di buona fabbricazione delle materie prime saranno applicate in ambito comunitario a partire dal 2 luglio 2013.

 

La Direttiva 2011/62/UE prevede, nel caso di fabbricazione in paesi terzi di sostanze attive destinate all'esportazione verso l'Unione europea, una attestazione dell'autorità competente del Paese esportatore circa l’esistenza di controlli periodici severi e trasparenti, a garanzia di un livello di tutela della salute pubblica almeno pari agli standard richiesti a livello europeo.

 

Nel dettaglio, il comma 3 dell’articolo in esame disapplica, fino all’entrata in vigore dei decreti legislativi di recepimento della Direttiva 2011/62/UE, la disciplina recata dall’articolo 54, comma 3, primo periodo, del D.Lgs. 219/2006. Fino alla stessa data le materie prime, come definite dal comma 2 dell’articolo 54 dello stesso D.Lgs. 219/2006, continueranno ad essere corredate da una certificazione di qualità rilasciata dalla persona qualificata responsabile della produzione del medicinale che utilizza le materie prime. Resta ferma la possibilità per l’AIFA di effettuare ispezioni dirette a verificare la conformità delle materie prime alla certificazione resa (procedura già prevista dall’articolo 54, comma 3-bis). Conseguentemente, il comma 4 della disposizione in esame abroga il comma 3-bis dell’articolo 54 del D.Lgs. 219/2006.

 

Il comma 2 dell’articolo 54 del D.Lgs. 219/2006 definisce come materie prime utilizzate nella produzione di medicinali anche le sostanze attive utilizzate, con riferimento sia alle fasi di produzione totale o parziale sia all'importazione di una sostanza attiva, anche utilizzata essa stessa come materia prima per la produzione o estrazione di altre sostanze attive, sia alle varie operazioni di divisione, confezionamento o presentazione che precedono l'incorporazione della materia prima nel medicinale, compresi il riconfezionamento e la rietichettatura effettuati da un distributore all'ingrosso di materie prime.


 

Articolo 44, commi da 4-bis a 4-ter
(Disposizioni per la classificazione dei farmaci orfani
e di eccezionale rilevanza terapeutica)

 


4-bis. All'articolo 12, comma 5, primo periodo, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, le parole: «Fatta eccezione per i medicinali per i quali è stata presentata domanda ai sensi del comma 3, i medicinali» sono sostituite dalle seguenti: «I medicinali».

4-ter. Dopo il comma 5 dell'articolo 12 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, sono inseriti i seguenti:

«5-bis. L'AIFA valuta, ai fini della classificazione e della rimborsabilità da parte del Servizio sanitario nazionale, i farmaci di cui al comma 3, per i quali è stata presentata la relativa domanda di classificazione di cui al comma 1, corredata della necessaria documentazione, in via prioritaria e dando agli stessi precedenza rispetto ai procedimenti pendenti alla data di presentazione della domanda di classificazione di cui al presente comma, anche attraverso la fissazione di sedute straordinarie delle competenti Commissioni. In tal caso, il termine di cui al comma 4, primo periodo, è ridotto a cento giorni.

5-ter. In caso di mancata presentazione entro trenta giorni dal rilascio dell'autorizzazione all'immissione in commercio di un medicinale di cui al comma 3, l'AIFA sollecita l'azienda titolare della relativa autorizzazione all'immissione in commercio a presentare la domanda di classificazione di cui al comma I entro i successivi trenta giorni. Decorso inutilmente tale termine, viene data informativa nel sito istituzionale dell'AIFA e viene meno la collocazione nell'apposita sezione di cui al comma 5».


 

 

I commi 4-bis e 4-ter dell’articolo 44, inseriti nel corso dell’esame parlamentare, intervengono sul decreto legge 158/2012 (c.d. Decreto Balduzzi) al fine di garantire tempi rapidi alla dispensazione a carico del SSN di speciali categorie di farmaci, razionalizzando e semplificando le procedure di classificazione e di rimborsabilità di competenza dell'AIFA. L'intervento prevede che, per i farmaci orfani per le malattie rare e per quelli di eccezionale rilevanza terapeutica e sociale, quali definiti da apposita deliberazione dell'AIFA, o riguardanti medicinali utilizzabili esclusivamente in ambiente ospedaliero o in strutture ad esso assimilabili, si apra una corsia preferenziale nell'iter di classificazione e negoziazione, in modo da conseguire tempi ridotti e certi per la dispensazione a carico del SSN.

 

L’articolo 12 del decreto legge 158/2012 reca interventi sul procedimento di classificazione dei medicinali erogati a carico del SSN. In particolare, si stabilisce che l’AIFA possa istruire la domanda di classificazione di un medicinale fra quelli erogabili a carico del SSN contestualmente alla contrattazione del relativo prezzo (comma 1). D’altra parte, le aziende farmaceutiche possono presentare domande di concedibilità soltanto dopo aver ottenuto l’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) dello stesso medicinale (comma 2). Ai sensi del comma 3, dell’articolo 12, derogano da tale procedura i farmaci orfani, quelli di eccezionale rilevanza terapeutica e sociale previsti in una specifica deliberazione dell’AIFA, adottata su proposta della Commissione consultiva tecnico-scientifica, o riguardanti medicinali utilizzabili esclusivamente in ambiente ospedaliero o in strutture ad esso assimilabili. Esclusivamente per tali categorie di farmaci, le aziende produttrici possono presentare domanda di classificazione e di avvio della procedura di contrattazione prima di aver ottenuto l’AIC. Per tutti gli altri farmaci, in attesa di una eventuale domanda di diversa classificazione da parte dell’azienda interessata, i medicinali che ottengono un’AIC comunitaria o nazionale[17] sono automaticamente collocati in una apposita sezione dedicata ai farmaci non ancora valutati ai fini della rimborsabilità e classificati nei medicinali di Fascia C, interamente a carico dell’assistito. Per i medicinali autorizzati con procedura nazionale, le indicazioni della classificazione sono incluse nel provvedimento di autorizzazione all'immissione in commercio. In ogni caso, prima dell'inizio della commercializzazione, il titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio è tenuto a comunicare all'AIFA il prezzo ex factory e il prezzo al pubblico del medicinale.

La collocazione in classe C, nelle more della negoziazione del prezzo di rimborso fra AIFA ed azienda produttrice, ai sensi dell’articolo 12, comma 5, ha riguardato fra gli altri farmaci antitumorali, vaccini e antivirali, determinando di fatto una situazione di forte discriminazione anche all'accesso di farmaci salvavita, soprattutto in assenza di termini massimi per la conclusione della procedura relativa alla domanda di classificazione, come d’altra parte illustrato dall’interrogazione a risposta immediata in commissione 5/00514. Nel corso del CdM n. 14 del 12 luglio 2013, è stata pertanto condivisa la proposta del Ministro della Salute di intervenire in materia, al fine di garantire tempi rapidi alla dispensazione a carico del SSN di speciali categorie di farmaci.

 

Nel dettaglio, il comma 4-bis cancella dal testo del comma 5 dell’articolo 12 del decreto legge 158/2012 la deroga relativa ai farmaci orfani, a quelli di eccezionale rilevanza terapeutica e sociale e a quelli ospedalieri, delineando un procedimento uniforme relativamente per tutti i farmaci.

 

Il successivo comma 4-ter introduce nell’articolo 12 del decreto-legge 158/2012 i commi 5-bis e 5-ter che autorizzano un apposito iter preferenziale per i farmaci orfani, per quelli di eccezionale rilevanza terapeutica e sociale, previsti in una specifica deliberazione dell’AIFA adottata su proposta della Commissione consultiva tecnico-scientifica, o riguardanti medicinali utilizzabili esclusivamente in ambiente ospedaliero o in strutture ad esso assimilabili.

In particolare il comma 5-bis stabilisce che l'AIFA valuta in via prioritaria la domanda di classificazione e di avvio della procedura di contrattazione del prezzo dei farmaci orfani, di quelli di eccezionale rilevanza terapeutica e sociale e di quelli ospedalieri, dando alla stessa precedenza rispetto ai procedimenti già pendenti alla data di presentazione della domanda stessa, anche attraverso la fissazione di sedute straordinarie delle competenti Commissioni. In tal caso, il termine di centottanta giorni di cui all’articolo 12, comma 4, del decreto-legge 158/2012, entro cui l’AIFA comunica le proprie determinazioni all’azienda interessata, è ridotto a cento giorni.

Il comma 5-ter stabilisce che l’azienda farmaceutica produttrice di un medicinale appartenente alle speciali categorie sopra menzionate debba presentare domanda di classificazione e di negoziazione del prezzo dello stesso farmaco entro 30 giorni dal rilascio della relativa AIC. Nel caso di mancata presentazione della domanda, l'AIFA sollecita l'azienda titolare dell’AIC del farmaco a provvedere entro i successivi 30 giorni. Decorso inutilmente tale termine, ne viene data informativa sul sito istituzionale dell'AIFA e viene meno la collocazione in Fascia C.


 

Articolo 44. comma 4-quater
(Assicurazione esercenti professioni sanitarie)

 


4-quater. Nelle more dell'emanazione della disciplina organica in materia di condizioni assicurative per gli esercenti le professioni sanitarie, di cui all'articolo 3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, e al fine di agevolare l'accesso alla copertura assicurativa anche per i giovani esercenti le professioni sanitarie, incentivandone l'occupazione, nonché di consentire alle imprese assicuratrici e agli esercenti stessi di adeguarsi alla predetta disciplina, il comma 5.1 dell'articolo 3 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, è sostituito dal seguente:

«5.1. Limitatamente agli esercenti le professioni sanitarie, gli obblighi di cui al comma 5, lettera e), si applicano decorsi due anni dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica di cui all'alinea del medesimo comma 5».


 

 

Il comma 4-quater dell’articolo 44, inserito nel corso dell’esame in sede referente, prevede che, nelle more dell’emanazione della disciplina relativa alle polizze assicurative per gli esercenti le professioni sanitarie (prevista all’articolo 3 del D.L. n. 158/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 189/2012), allo scopo di agevolare l’accesso alla copertura assicurativa anche ai giovani esercenti le professioni sanitarie e di consentire ad essi e alle imprese assicuratrici di adeguarsi alla disciplina medesima, l’obbligo del professionista di stipulare a tutela del cliente idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale (di cui all’articolo 5, comma 3, lettera e) del D.L. 138/2011) si applica decorsi due anni (invece che un anno, come attualmente previsto), dalla data di entrata in vigore del D.P.R. di riforma degli ordinamenti professionali (non ancora emanato).

 

In proposito va ricordato che Il comma 2 dell’articolo 3 del D.L. n. 158/2012 (c.d. decreto Balduzzi) prevede l’adozione di un provvedimento regolamentare allo scopo di agevolare l’accesso alle polizze assicurative da parte degli esercenti le professioni sanitarie, anche in attuazione dell’articolo 3, comma 5, lettera e) del decreto-legge 138/2011[18] che statuisce il principio dell’obbligo del professionista di stipulare, a tutela del cliente, idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale.

Viene quindi demandato ad un decreto del Presidente della Repubblica, adottato ai sensi del comma 1 della legge n. 400/1988, su proposta del Ministro della salute, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze, sentite l’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA), le Federazioni nazionali degli ordini e dei collegi delle professioni sanitarie e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative delle categorie professionali interessate, la disciplina delle procedure e dei requisiti minimi ed uniformi per l’idoneità dei relativi contratti di assicurazione, nel rispetto di alcuni criteri. Ad oggi il regolamento non è stato ancora emanato.


 

Articolo 44, comma 4-quinquies
(Foglietto illustrativo medicinali)

 

4-quinquies. All'articolo 37 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

«1-bis. Nei casi di modificazioni apportate al foglietto illustrativo, l'AIFA autorizza la vendita al pubblico delle scorte, subordinandola alla consegna al cliente, a cura del farmacista, di un foglietto sostitutivo conforme a quello autorizzato».

 

 

Il comma 4-quinquies, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, prevede, per i casi di modifiche apportate al foglietto illustrativo, una procedura di autorizzazione, da parte dell'AIFA, della vendita al pubblico delle scorte dei medicinali già immesse nel ciclo distributivo. L’autorizzazione viene subordinata alla consegna al cliente, a cura del farmacista, di un foglietto sostitutivo conforme a quello autorizzato. L’intervento legislativo è attuato con l’aggiunta, nel corpo dell’articolo 37 del D.Lgs. 219/2006[19], del comma 1-bis.

La norma intende fronteggiare il fenomeno del ritiro dei farmaci per modifiche dei foglietti illustrativi, evitando gli oneri e le procedure amministrative a carico di tutti gli operatori coinvolti nella filiera del farmaco, nonché la quasi certa distruzione dei farmaci interessati.

 

A partire dal maggio 2013, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha reso disponibili strumenti di nuova attivazione quali: Portale Variazioni, Banca Dati degli Stampati (BDS), Portale Stampati. Ai fini della norma ora illustrata, risulta di particolare interesse la Banca Dati Stampati che, consentirà, in ottemperanza alla normativa vigente la pubblicazione, da parte dell’AIFA, della versione più aggiornata degli stampati dei medicinali autorizzati. Sarà pertanto disponibile agli operatori del settore, nonché ai cittadini, un archivio elettronico nel quale saranno presenti, oltre ai riassunti delle caratteristiche del prodotto, anche i fogli illustrativi dei farmaci autorizzati. L’AIFA prevede che i nuovi sistemi informativi saranno operativi alla fine del 2013.


 

Articolo 45
(Omologazione delle macchine agricole)

 

1. Al primo periodo del comma 2 dell'articolo 107 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, dopo le parole: «degli uffici competenti del Dipartimento per i trasporti terrestri» sono aggiunte le seguenti «o da parte di strutture o Enti aventi i requisiti stabiliti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali».

 

 

L’articolo 45, attraverso una modifica del comma 2 dell’articolo 107 del codice della strada (decreto legislativo n. 285/1992), prevede che, per le macchine agricole, l’accertamento dei dati di identificazione, della potenza del motore e della conformità alle prescrizioni tecniche previste dalla legge possa avvenire non solo da parte del Dipartimento per i trasporti terrestri del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, come attualmente previsto, ma anche da parte delle strutture o degli enti in possesso dei requisiti che saranno stabiliti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro delle politiche agricole. Rimane fermo che le modalità di accertamento siano stabilite con decreto del Ministero dei trasporti, di concerto con i Ministri delle politiche agricole e forestali e del lavoro e delle politiche sociali, fatte salve le competenze del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio in materia di emissioni inquinanti e di rumore.

 

L’articolo 107, comma 1, del codice della Strada prevede che le macchine agricole siano soggette all'accertamento dei dati di identificazione, della potenza del motore quando ricorre e della corrispondenza alle prescrizioni tecniche ed alle caratteristiche disposte a norma di legge, rinviando al regolamento di esecuzione e di attuazione del codice (DPR n. 495/1992) l’individuazione delle categorie di macchine agricole operatrici trainate che sono escluse dall'accertamento di cui sopra (il regolamento prevede, all’articolo 292, l’esclusione degli aratri, delle seminatrici e degli erpici).

Il comma 2 dell’articolo 107, nel testo previgente alla modifica in commento prevedeva che l'accertamento di cui al comma 1 avesse luogo mediante visita e prova da parte degli uffici competenti del Dipartimento per i trasporti terrestri, secondo modalità stabilite con decreto del Ministero dei trasporti, di concerto con i Ministri delle politiche agricole e forestali e del lavoro e delle politiche sociali, fatte salve le competenze del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio in materia di emissioni inquinanti e di rumore.


 

Articolo 45-bis
(Abilitazione all'uso di macchine agricole)

 


1. Al comma 5 dell'articolo 73 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e le condizioni considerate equivalenti alla specifica abilitazione».

2. Il termine per l'entrata in vigore dell'obbligo dell'abilitazione all'uso delle macchine agricole, in attuazione di quanto disposto dall'accordo 22 febbraio 2012, n. 53, pubblicato nel supplemento ordinario n. 47 alla Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12 marzo 2012, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, concernente l'individuazione delle attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori, nonché le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi e i requisiti minimi di validità della formazione, in attuazione dell'articolo 73, comma 5, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modificazioni, è differito al 22 marzo 2015.


 

 

L’articolo 45-bis, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, reca disposizioni in tema di abilitazione all’uso di macchine agricole.

Il comma 1 prevede che, in attuazione di quanto disposto dall’articolo 73, comma 5, del D.Lgs. n. 81/2008, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano individui non solo le attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori, le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità della formazione, ma anche le condizioni considerate equivalenti alla specifica abilitazione.

Il comma 2 posticipa al 22 marzo 2015 il termine per l'entrata in vigore dell'obbligo dell'abilitazione all'uso delle macchine agricole, introdotto dall’Accordo del 22 febbraio 2012, n. 53, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano (adottato in attuazione di quanto previsto dal citato comma 5 dell’articolo 73 del D.Lgs. n. 81/2008). Il termine attualmente previsto è quello dell’entrata in vigore del citato Accordo, ossia il 12 marzo 2013[20].

 

L’articolo 73 del decreto legislativo n. 81/2008 prevede, nell'ambito degli obblighi di cui agli articoli 36 (informazione ai lavoratori) e 37 (formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti), l’obbligo per il datore di lavoro di provvedere affinché per ogni attrezzatura di lavoro messa a disposizione, i lavoratori incaricati dell'uso dispongano di ogni necessaria informazione e istruzione e ricevano una formazione e un addestramento adeguati, in rapporto alla sicurezza, relativamente alle condizioni di impiego delle attrezzature e alle situazioni anormali prevedibili. Il datore di lavoro provvede altresì a informare i lavoratori sui rischi cui sono esposti durante l'uso delle attrezzature di lavoro, sulle attrezzature di lavoro presenti nell'ambiente immediatamente circostante, anche se da essi non usate direttamente, nonché sui cambiamenti di tali attrezzature. Il comma 5, in particolare, dispone che in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sono individuate le attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori nonché le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità della formazione. A tale disposizione è stata data attuazione con l’Accordo del 22 febbraio 2012, n. 53.


 

Articolo 46
(EXPO Milano 2015)

 


1. In via straordinaria, e fino al 31 dicembre 2015, le disposizioni di cui ai commi 8 e 12, dell'articolo 6, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, non si applicano agli enti locali coinvolti nell'organizzazione del grande evento EXPO Milano 2015 indicati nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 6 maggio 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 28 maggio 2013, n. 123, limitatamente alle spese connesse all'organizzazione del grande evento.

1-bis. Al fine di promuovere l'adeguata presentazione delle iniziative e delle esperienze della cooperazione italiana all'Expo Milano 2015 nonché la valorizzazione delle esperienze innovative nel campo del diritto all'alimentazione, della sovranità alimentare e dell'accesso alle risorse naturali da essa condotte, è assegnato al Ministero degli affari esteri, nell'ambito dei fini e degli obiettivi della legge 26 febbraio 1987, n. 49, un contributo di 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, specificamente destinato alle attività di organizzazione logistica e comunicazione attinenti alla partecipazione all'Expo Milano 2015.

1-ter. Al fine di garantire la trasparenza nell'utilizzo delle risorse pubbliche, il comune di Milano, nonché gli enti coinvolti nella realizzazione dell'evento, sono obbligati a pubblicare nel proprio sito internet ufficiale le spese sostenute per l'organizzazione del grande evento Expo Milano 2015.

1-quater. Il comune di Milano può, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, destinare fino all'80 per cento del gettito derivante dall'applicazione dell'imposta di soggiorno nella città di Milano, relativamente agli anni 2013, 2014 e 2015, al programma di azioni finalizzato alla realizzazione dell'evento "Expo 2015" denominato "City Operations", approvato con deliberazione della Giunta comunale di Milano.

1-quinquies. Le azioni indicate nel programma di cui al comma 1-quater del presente articolo e le relative spese, finanziate con le entrate di cui al medesimo comma 1-quater, non sono sottoposte ai limiti e ai divieti di cui all'articolo 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

1-sexies. I comuni della provincia di Milano, e successivamente ricompresi nell'istituenda area metropolitana, possono istituire l'imposta di soggiorno ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e successive modificazioni. Ai medesimi comuni sono estese le facoltà previste per il comune di Milano dai commi 1-quater e 1-quinquies del presente articolo, sulla base di idonee deliberazioni delle rispettive Giunte comunali.


 

 

L’articolo 46 prevede in via straordinaria, fino al 31 dicembre 2015, che i limiti di spesa vigenti per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità, rappresentanza e missioni non si applichino agli enti locali coinvolti nell’organizzazione del grande evento EXPO Milano 2015.

La norma specifica che gli enti locali coinvolti nell’EXPO 2015 sono quelli indicati nel D.P.C.M. 6 maggio 2013.

In particolare, la disposizione di cui al comma 1 prevede la non applicazione fino al 31 dicembre 2015 delle disposizioni di cui ai commi 8 e 12 dell’articolo 6 del D.L. n. 78/2010, limitatamente alle spese connesse con l’organizzazione del grande evento.

 

Il comma 8[21] dell’articolo 6, del D.L. n. 78/2010, stabilisce, a decorrere dal 2011, limiti annuali di spesa per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza; le amministrazioni pubbliche non possono effettuare spese per tali voci per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per le medesime finalità.

Il comma 12[22] dell’articolo 6, del D.L. n. 78/2010 stabilisce, a decorrere dal 2011, limiti annuali di spesa per le missioni, anche all’estero, delle pubbliche amministrazioni, che non possono effettuare spese per tali voci per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nel 2009.

 

Il comma 1-bis assegna al Ministero degli affari esteri un contributo di 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015. Tale contributo è destinato alle attività di organizzazione logistica e comunicazioni relative alla partecipazione all’Expo 2015, a sostegno della presentazione delle iniziative della cooperazione italiana particolarmente nell’ambito della sicurezza alimentare. La norma fa esplicito riferimento alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo, nell’ambito della quale il contributo viene erogato.

Alla copertura del relativo onere finanziario si provvede tramite riduzione di 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 139, della legge n. 228/2012, riguardante il fondo per il pagamento dei canoni di locazione degli immobili conferiti dallo Stato ad uno o più fondi immobiliari, istituito, a decorrere dal 2013, presso lo stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Nel bilancio per il 2013-2015, la dotazione del Fondo (cap. 3074/Economia) è pari a 846 milioni per l’anno 2014 e a 590 milioni di euro per l’anno 2015.

 

Il comma 1-ter obbliga il Comune di Milano, nonché gli enti coinvolti nella realizzazione dell'evento, a pubblicare sul proprio sito ufficiale le spese sostenute per l'organizzazione dell’evento medesimo di cui al comma 1, al fine di garantire la trasparenza nell’utilizzo delle risorse pubbliche.

 

Il successivo comma 1-quater prevede che il Comune di Milano possa destinare il gettito derivante dall'applicazione dell'imposta di soggiorno, relativamente agli anni 2013, 2014, 2015 e fino all'80 per cento dell’imposta, al programma di azioni finalizzato alla realizzazione dell'evento "Expo 2015" denominato "City Operations", approvato con deliberazione della Giunta Comunale di Milano del 15 giugno 2013.

 

I progetti di “Milano 2015 City Operations” riguardano undici azioni “obbligatorie” e settequalificanti e strategiche”: I progetti obbligatori, cioè progetti fondamentali per la riuscita della manifestazione, che l’Amministrazione intende realizzare in quanto considerati necessari perché la città possa accogliere i milioni di visitatori previsti in maniera adeguata sotto il profilo di sicurezza, mobilità, turismo, eventi culturali. Si tratta di accessibilità, mobilità, trasporti, percorribilità; Accoglienza e turismo; Ambiente, gestione rifiuti, igiene del suolo; Autorizzazioni amministrative e gestione operativa dei siti di servizio per Expo 2015 Spa; Centro di coordinamento cittadino – City Commander Center; Formazione operatori sul territorio, programmi educativi e promozione sociale; Eventi culturali, sportivi e di intrattenimento; Giovani e Programma volontari; Immagine, comunicazione e supporto delle attività di marketing; Sicurezza e protezione civile; Servizi medici. I progetti “qualificanti” che rivestono un’importanza strategica per la promozione della città e/o per il perseguimento del piano generale di sviluppo e che l’Amministrazione realizzerà compatibilmente con le risorse disponibili. Si tratta di: Brand Milano; Darsena e Vie d’Acqua; Distretto Agricolo Milano, Cascine , Orti Urbani; Scuole di Milano per Expo; Nuove imprese per i giovani; Forum Città Mondo; Progetti tecnologici.

 

Si dispone, altresì, che le azioni indicate nel programma “City Operations” e le relative spese, finanziate con le entrate derivanti dall’imposta di soggiorno, non sono sottoposte ai limiti ed ai divieti previsti dall'articolo 6 del D.L. n. 78 del 2010 (comma 1-quinquies).

 

Si ricorda che il citato articolo 6 del D.L. n. 78/2010 prevede una serie di disposizioni volte al contenimento della spesa degli apparati amministrativi, quali riduzione dei costi degli organi collegiali, riduzione del 10% dei compensi dei componenti degli organi di indirizzo, direzione e controllo, e dei consigli di amministrazione, limitazioni al numero di componenti degli organi di amministrazione e controllo di tutti gli enti pubblici, riduzione del 10% del compenso degli organi di amministrazione e controllo di società non quotate del conto della P.A. e di società totalmente possedute dalle amministrazioni pubbliche, limitazione alle spese delle P.A. per studi, incarichi di consulenza, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità, missioni, formazione e per autovetture, ecc.

 

Si osserva che il riferimento ai limiti e ai divieti di cui all’articolo 6 del D.L. n. 78/2010, relativo alla riduzione dei costi degli apparati amministrativi, appare generico, in quanto l’articolo è composto da circa 30 commi, che disciplinano numerosi aspetti delle spese delle amministrazioni considerate.

 

Infine, il comma 1-sexies prevede che anche i comuni della Provincia di Milano, e che saranno successivamente ricompresi nella istituenda Area Metropolitana, possono istituire l'imposta di soggiorno ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 23 del 2011. Anche a tali comuni sono estese le facoltà previste per il Comune di Milano nei due commi precedentemente illustrati (vale a dire, la facoltà di destinare il gettito derivante dall'applicazione dell'imposta di soggiorno per gli anni 2013-2015 – fino al limite dell’80% dell’imposta - al programma di azioni finalizzato alla realizzazione dell'evento "Expo 2015" denominato "City Operation” nonché l’esclusione delle azioni e delle relative spese del programma medesimo dai limiti e dai divieti previsti dall'articolo 6 del D.L. n. 78/2010), sulla base di idonee deliberazioni delle rispettive Giunte Comunali.

Si ricorda che l’articolo 4 del D.Lgs. n. 23 del 2011 prevede che i comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d'arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un'imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno. Il relativo gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali.


 

Articolo 46-bis
(Rifinanziamento legge 499/1999 – settore agricolo)

 

1. Al fine di favorire il rilancio del settore agricolo e di assicurare la realizzazione delle iniziative in campo agroalimentare connesse all'evento Expo Milano 2015 nonché per la partecipazione all'evento medesimo, è autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 a favore del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

 

 

L’articolo in esame, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, prevede un finanziamento, pari a 5 milioni di euro per gli anni 2013 e 2014 a favore del Dicastero agricolo per far fronte alle spese relative alla partecipazione all’evento dell’Expo 2015, nella parte che interessa la competenza del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.

Nel titolo si fa riferimento al rifinanziamento della legge n.499 del 1999, mentre manca un’indicazione puntuale all’interno del disposto normativo. Sarebbe stato forse più opportuno procedere anche attraverso una modifica formale all’articolo 4 riguardante il finanziamento delle attività di competenza del Dicastero agricolo

 

Si tratta della legge che assicura una programmazione economico-finanziaria agli interventi in ambito agricolo, agroalimentare, agroindustriale e forestale prevedendo l’approvazione del documento programmatico agroalimentare e l’individuazione delle risorse finanziarie statali, regionali ed europee destinate agli interventi pubblici nel settore, destinati ad accrescere le capacità concorrenziali del sistema agroalimentare italiano e a promuovere politiche di sviluppo e di tutela del mondo rurale. All’articolo 4, in particolare, si definiscono le attività di competenza del Ministero delle politiche agricole e forestali per le quali è previsto un finanziamento, peraltro, limitato ai soli anni compresi nel periodo 1999-2002.


 

Articolo 46-ter
(Disposizioni in favore dell’Esposizione Universale
di Milano del 2015)

 


1. Al fine dello svolgimento delle attività di propria competenza, la società Expo 2015 s.p.a. può avvalersi della struttura organizzativa di Consip spa, nella sua qualità di centrale di committenza ai sensi dell'articolo 3, comma 34, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, mediante preventiva stipula di apposita convenzione che preveda il mero rimborso delle relative spese a carico della società Expo 2015 s.p.a. e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

2. Fermo restando il conseguimento complessivo dei risparmi di spesa previsti a legislazione vigente, le società in house degli enti locali soci di Expo 2015 s.p.a. possono procedere, anche in deroga agli specifici vincoli previsti dalla legislazione vigente in materia di personale, ad assunzioni di personale a tempo determinato necessarie per la realizzazione di opere infrastrutturali essenziali e altre opere, nonché per la prestazione di servizi e altre attività, tutte strettamente connesse all'evento, fino alla conclusione delle medesime e comunque con durata non oltre il 31 dicembre 2015, nei limiti delle risorse finalizzate a dette opere.

3. L'articolo 19, paragrafo 2, dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Bureau International des Expositions sulle misure necessarie per facilitare la partecipazione all'Esposizione Universale di Milano del 2015, fatto a Roma I'11 luglio 2012, ratificato ai sensi della legge 14 gennaio 2013, n. 3, si interpreta nel senso che le disposizioni dell'articolo 17, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, si applicano anche alle prestazioni di servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria previste al capo IV, sezione I, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

4. Ai diritti per l'accesso all'Esposizione Universale di Milano del 2015 si applica, ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, l'aliquota ridotta del 10 per cento.

5. Al fine di garantire la tempestiva realizzazione delle opere Expo indispensabili per l'Evento, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, su richiesta del Commissario Unico di cui all'articolo 5 del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71, sentiti gli enti territoriali interessati, sono revocati, fino alla concorrenza del contributo in conto impianti dovuto dai soci inadempienti, i finanziamenti statali relativi ad opere connesse all'Evento, già incluse in apposito allegato al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 ottobre 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 277 del 26 novembre 2008, e successive modificazioni, il cui progetto definitivo non è stato approvato dal CIPE alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.


 

 

L’articolo 46-ter, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, prevede ulteriori interventi in favore dell’Esposizione universale di Milano del 2015, che riguardano il possibile coinvolgimento della Consip s.p.a., in qualità di centrale di committenza, la possibilità di procedere ad assunzioni di personale a tempo determinato da parte delle società in house degli enti locali soci di EXPO s.p.a., la revoca dei finanziamenti statali per opere il cui progetto definitivo non è stato approvato.

In particolare, il comma 1 consente alla società EXPO s.p.a., per lo svolgimento delle attività di propria competenza, di avvalersi di Consip[23] S.p.A., nella sua qualità di centrale di committenza[24], mediante la stipula di un’apposita convenzione, che preveda il rimborso delle relative spese a carico della società EXPO medesima e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Il comma 2 consente assunzioni di personale a tempo determinato, necessario per la realizzazione di opere infrastrutturali essenziali e altre opere previste, nonché per la prestazione di servizi e altre attività, tutte strettamente connesse all'evento EXPO Milano 2015, fino alla conclusione delle medesime e comunque con durata non oltre il 31 dicembre 2015, da parte delle società in house[25] degli enti locali soci di EXPO s.p.a.

Sugli affidamenti diretti alle società in house, particolari caratteristiche assumono alcune procedure di affidamento diretto adottate a favore delle società in house degli enti locali soci, quale strumento giuridico autorizzato dalla disciplina specifica dettata per Expo e adottato dalla Società per la realizzazione di particolari progetti e/o servizi. Ai fini della realizzazione delle opere di competenza di EXPO, infatti, l’art. 4, comma 9, del D.P.C.M. 22 ottobre 2008[26] (ora sostituito dall’articolo 5, comma 9, del D.P.C.M. 6 maggio 2013 con il quale all’art. 8 è stato abrogato il D.P.C.M. 22 ottobre 2008), prevede che la Società “ può anche avvalersi degli uffici tecnici e amministrativi degli enti pubblici interessati e può disporre di personale comandato dagli stessi [...]”. In conformità a tale previsione, ed al fine di adottare celermente le procedure a evidenza pubblica per l’affidamento dei lavori di costruzione del sito espositivo, la Società ha deciso di avvalersi delle competenze, nonché degli uffici tecnici e amministrativi, di Metropolitane Milanesi S.p.A. e di Infrastrutture Lombarde S.p.A[27].

L’art. 5 del D.P.C.M. 6 maggio 2013 ha individuato i soci della società EXPO 2015 s.p.a: il Ministero dell’economia e delle finanze, il comune di Milano, la regione Lombardia, la provincia di Milano e la Camera di commercio di Milano, secondo le quote stabilite dal Ministero dell'economia e delle finanze. Altri enti locali o enti pubblici, secondo le procedure previste dalla normativa vigente sulle società per azioni, possono aderire alla EXPO 2015, previa definizione della rispettiva quota di partecipazione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze.

 

Le assunzioni sono effettuate anche in deroga agli specifici vincoli previsti dalla legislazione vigente in materia di personale e nei limiti delle risorse finalizzate alla realizzazione delle opere, fermo restando il conseguimento complessivo dei risparmi di spesa previsti a legislazione vigente.

Al riguardo, si ricorda che l’articolo 4, commi 9-10 del D.L. n. 95/2012 ha disposto specifiche limitazioni nelle assunzioni per le società pubbliche che abbiano conseguito nel 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90%, con esclusione di quelle quotate e le loro controllate, nonché misure di contenimento della spesa per il personale dipendente dalle società medesime. In particolare, per tali società è stata disposta l’applicazione delle disposizioni limitative delle assunzioni previste per l’amministrazione pubblica controllante (considerando comunque che per talune amministrazioni, quali enti di ricerca, o per taluni enti territoriali, sussistono differenziazioni rispetto alle misure di contenimento dettate per la generalità della P.A.). Allo stesso tempo continua ad applicarsi l’articolo 18, comma 2, del D.L. n. 112/2008 (secondo cui le società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità), salva comunque l’applicazione della disposizione più restrittiva in precedenza richiamata. Infine, è stato ridotto il ricorso a rapporti di lavoro di tipo temporaneo, stabilendo che le società in oggetto possano ricorrere a personale a tempo determinato o a contratto solo entro il limite del 50% della spesa sostenuta per tali finalità nell'anno 2009.

 

Il comma 3 reca una disposizione interpretativa dell’articolo 19, comma 2, dell’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Bureau International des Expositions sulle misure necessarie per facilitare la partecipazione all'Esposizione Universale di Milano del 2015, fatto a Roma l'11 luglio 2012, ratificato con la legge n. 3 del 2013.

 

L’articolo 19 dell’Accordo indica le agevolazioni fiscali in favore dell'Organizzatore, cioè della Società «Expo 2015 S.p.A.» che ha il compito, secondo le competenze delineate dalla normativa italiana, di porre in essere interventi infrastrutturali e organizzativi necessari per la realizzazione dell'Expo Milano 2015. In particolare il comma 2 prevede che le disposizioni di cui all'articolo 17, quinto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 (IVA), si applicano anche alle prestazioni di servizi, compresa la prestazione di manodopera, rese nel settore edile da soggetti appaltatori nei confronti dell'Organizzatore.

 

Il quinto comma dell’articolo 17 del D.P.R. n. 633 disciplina il meccanismo della reverse charge (inversione contabile), in base al quale il destinatario di una cessione di beni o prestazione di servizi, se soggetto passivo nel territorio dello Stato, è tenuto all'assolvimento dell'imposta in luogo del cedente o prestatore[28].

Previsto originariamente per le operazione del mercato dell’oro e dell’argento, il sesto comma dell’articolo 17 lo ha esteso:

a)    alle prestazioni di servizi, compresa la prestazione di manodopera, rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili ovvero nei confronti dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore;

a-bis)    alle cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l'opzione per l'imposizione;

b)    alle cessioni di apparecchiature terminali per il servizio pubblico radiomobile terrestre di comunicazioni soggette alla tassa sulle concessioni governative, nonché dei loro componenti ed accessori;

c)    alle cessioni di personal computer e dei loro componenti ed accessori;

d)    alle cessioni di materiali e prodotti lapidei, direttamente provenienti da cave e miniere.

 

Il settimo comma dell’articolo 17 attribuisce al Ministro dell'economia e delle finanze la facoltà di estendere il meccanismo della reverse charge, mediante propri decreti, a ulteriori tipologie, purché rientranti fra quelle alle quali il predetto meccanismo risulta applicabile in virtù dell'autorizzazione prevista, in via generale, nella normativa comunitaria.

Il decreto del Ministero dell'economia del 10 luglio 2012 (G.U. n. 203 del 31 agosto 2012) ha disposto l’applicazione dell'inversione contabile alle prestazioni edili rese nell'ambito dell'Expo Milano 2015.

 

La disposizione in esame estende, in via interpretativa, le disposizioni di cui all’articolo 17, comma quinto del D.P.R. n. 633 del 1972 (reverse charge), anche alle prestazioni di servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria previste al Capo IV, Sezione I (artt. da 90 a 96), del D.Lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture).

 

Il comma 4 prevede l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta del 10 per cento (in luogo del 22 per cento) in relazione ai diritti per l’accesso (biglietti) all’Expo 2015 di Milano.

Al riguardo si ricorda che l’articolo 19 dell’Accordo, al comma 3, dispone che, ai fini dell'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, le prestazioni rese dall'Organizzatore per l'accesso all'Expo Milano 2015 non rientrano fra quelle esenti dall’imposta ai sensi dell'articolo 10, primo comma, n. 22), del D.P.R. n. 633 del 1972, cioè le prestazioni proprie delle biblioteche, discoteche e simili e quelle inerenti alla visita di musei, gallerie, pinacoteche, monumenti, ville, palazzi, parchi, giardini botanici e zoologici e simili.

 

Il comma 5 demanda, al fine di garantire la tempestiva realizzazione delle opere dell’EXPO 2015 indispensabili per l’evento, a un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, la revoca dei finanziamenti statali delle opere connesse all’Evento, già incluse nel D.P.C.M. 22 ottobre 2008, il cui progetto definitivo non è stato approvato dal CIPE alla data di entrata in vigore delle legge di conversione del decreto legge. La revoca dei finanziamenti statali avviene su richiesta del Commissario unico del Governo per l’EXPO[29], sentiti gli enti territoriali interessati, fino alla concorrenza del contributo in conto impianti dovuto dai soci inadempienti.

Le opere connesse, già elencate in allegato al D.P.C.M. 22 ottobre 2008, sono ora elencate nell’allegato 2 del D.P.C.M. 6 maggio 2013, con il quale all’art. 8 è stato abrogato il D.P.C.M. del 2008. L’allegato 1 reca, invece, il dettaglio degli investimenti per opere infrastrutturali «essenziali» di Expo Milano 2015.

Il monitoraggio sullo stato di avanzamento delle opere “essenziali”, “connesse”, e “necessarie” (queste ultime non inserite nel dossier di candidatura di Expo), sui costi, sulle risorse disponibili e sulla loro ripartizione è effettuato dal Tavolo Lombardia (vedi tabelle).


 

Articolo 47
(Modifiche alla legge 27 dicembre 2002, n. 28-
Fondo di garanzia per i mutui per impianti sportivi)

 

1. L'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, è così modificato:

a) al comma 13, come modificato dall'articolo 64, comma 3-ter, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni, dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134, le parole «Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport» sono sostituite da «Presidente del Consiglio dei Ministri, o dall'Autorità di Governo delegata per lo sport, ove nominata»;

b) il comma 15 è abrogato.

 

 

L’articolo 47 reca modifiche all’articolo 90 della legge n. 289 del 2002 in relazione al Fondo di garanzia per i mutui relativi alla costruzione, all'ampliamento, all'attrezzatura, al miglioramento o all'acquisto di impianti sportivi.

 

L’articolo 90 della legge finanziaria 2003 (legge n. 289 del 2002), al comma 12 nel testo originario - ha istituito presso l'Istituto per il credito sportivo un Fondo di garanzia per la fornitura di garanzia sussidiaria a quella ipotecaria per i mutui relativi alla costruzione, all'ampliamento, all'attrez­zatura, al miglioramento o all'acquisto di impianti sportivi, ivi compresa l'acquisizione delle relative aree, da parte di società o associazioni sportive dilettantistiche con personalità giuridica. Ai sensi del comma 13 con apposito regolamento del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio nazionale del CONI, si sarebbe provveduto alla disciplina del Fondo, in particolar modo relativamente alle forme di intervento del Fondo in relazione all'entità del finanziamento e al tipo di impianto. Si dispone, inoltre che il Fondo è gestito e amministrato a titolo gratuito dall'Istituto per il credito sportivo (comma 14), mentre al comma 15 si ribadisce che la garanzia prestata dal Fondo è di natura sussidiaria, si esplica nei limiti e con le modalità stabiliti dal regolamento e opera entro i limiti delle disponibilità del Fondo.

I commi 12 e 13 sono stati sostituiti dall’articolo 64, comma 3-ter del D.L. n. 78 del 2012: in particolare il comma 12 ha eliminato la specifica che la garanzia del fondo sia sussidiaria a quella ipotecaria (specifica che, tuttavia, è contenuta nel successivo comma 15) e ha ampliato il novero dei soggetti che potranno usufruire della stessa garanzia, ricomprendendo anche “ogni altro soggetto pubblico o privato che persegua, anche indirettamente, finalità sportive”. Con la nuova formulazione del comma 13 il regolamento che avrebbe dovuto disciplinare il Fondo è stato sostituito dalla previsione di criteri di gestione approvati dal Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, su proposta dell'Istituto per il credito sportivo, sentito il Comitato olimpico nazionale italiano. Al Fondo possono essere destinati ulteriori apporti conferiti direttamente o indirettamente da enti pubblici.

 

Con la modifica recata dalla lettera a), novellando il comma 13 – come sostituito dall’articolo 64, comma 3-ter, del D.L. n. 78 del 2012 – si dispone che i criteri di gestione del Fondo siano approvati dal Presidente del Consiglio dei ministri, o dall’autorità di Governo delegata per lo sport, ove nominata, in luogo del Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport.

Tale disposizione, di carattere più generale, si rende necessaria alla luce delle continue modifiche della struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri dovute al conferimento delle deleghe ai Ministri senza portafoglio nelle successive compagini governative. L’attuale formulazione “Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport” è stata infatti introdotta nel 2012 quando la delega per lo sport era stata ad esso attribuita.

 

La successiva lettera b) abroga il comma 15 dell’articolo 90 ai sensi del quale la garanzia prestata dal Fondo è di natura sussidiaria, si esplica nei limiti e con le modalità stabiliti dal regolamento e opera entro i limiti delle disponibilità del Fondo.

La soppressione della garanzia sussidiaria (già eliminata in sede di modifica del comma 12 ad opera del D.L. n. 78 del 2012) avrebbe lo scopo di rendere più fruibile l’accesso al fondo di garanzia per il finanziamento per la costruzione di impianti sportivi, per cui continuano a sussistere le ordinarie forme di garanzia.

 

Si segnala che in data 8 agosto 2013 é stata sottoscritta dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie con delega allo sport Delrio e dal Ministro per i beni, le attività culturali e il turismo Bray, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze Saccomanni, una nuova direttiva sull’Istituto per il credito sportivo, che permetterà ai Commissari straordinari dell’Istituto di sottoporre ai Ministeri vigilanti lo statuto e, una volta approvato, di nominare il consiglio di amministrazione e permettere all’Istituto di superare la fase di commissariamento e operare nel pieno delle sue funzioni.

In particolare la direttiva provvede alla definizione di nuovi criteri per la determinazione delle quote di partecipazione al fondo di dotazione, ripristinando la prevalenza pubblica per quanto riguarda il patrimonio; alla ridefinizione dei criteri per la distribuzione degli utili; alla semplificazione e lo snellimento delle strutture dell'Ente, ivi compresa la riduzione dei componenti degli organi sociali, come previsto dalla "spending review" e portando da 9 a 5 il numero dei componenti il consiglio di amministrazione; alla definizione di criteri di nomina dei rappresentanti degli organi sociali, alla presenza di genere nella composizione degli organi sociali; alla ridefinizione dei componenti del comitato di gestione dei fondi speciali (http://www.affariregionali.it/media/98046/agosto.pdf).


 

Articolo 47-bis
(Misure per garantire la piena funzionalità e semplificare l’attività della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi)

 


1. All'articolo 27 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 2:

1) le parole: «è composta da dodici membri» sono sostituite dalle seguenti: «è composta da dieci membri»;

2) dopo le parole: «quattro scelti fra il personale di cui alla legge 2 aprile 1979, n. 97,» sono inserite le seguenti: «anche in quiescenza,»;

3) le parole: «due fra i professori di ruolo» sono sostituite dalle seguenti: «e uno scelto fra i professori di ruolo»;

4) le parole: «e uno fra i dirigenti dello Stato e degli altri enti pubblici» sono soppresse;

b) dopo il comma 2 è inserito il seguente:

«2-bis. La Commissione delibera a maggioranza dei presenti. L'assenza dei componenti per tre sedute consecutive ne determina la decadenza».

2. La Commissione di cui all'articolo 27 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come da ultimo modificato dal presente articolo, è ricostituita entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Fino alla data di nuova costituzione, la Commissione continua a operare nella precedente composizione.

3. Il primo periodo del comma 6 dell'articolo 12 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 2006, n. 184, è soppresso».


 

 

L’articolo 47-bis, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, incide sulla disciplina della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi.

Il comma 1, in particolare, riduce il numero dei suoi componenti da dodici a dieci. La riduzione è operata sul numero dei professori di ruolo in materie giuridiche (da due a uno) e dei dirigenti dello Stato (da uno a zero). Resta fermo il numero dei deputati (due) e senatori (due) e dei membri (quattro) scelti fra il personale di cui alla legge 2 aprile 1979, n. 97 (magistrati ordinari e amministrativi, magistrati della giustizia militare e avvocati dello Stato). La disposizione specifica che per quest’ultima categoria possono essere nominati anche soggetti in quiescenza.

Viene, inoltre, introdotta una innovazione nell’organizzazione dei lavori, prevedendo che la Commissione delibera a maggioranza dei presenti e che l’assenza dei componenti per tre sedute consecutive ne determina la decadenza.

Attualmente, il quorum di validità delle sedute è contenuto nel regolamento in materia di accesso ai documenti amministrativi: infatti l’articolo 12, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 2006, n. 184 al primo periodo (che è soppresso dal comma 3) prevede che le sedute della Commissione sono valide con la presenza di almeno sette componenti.

La norma introdotta legifica pertanto una disposizione di rango secondario.

Il comma 2 pone un termine di 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (21 agosto 2013) per la ricostituzione della Commissione nella composizione così ridotta. Fino alla data di nuova costituzione, la Commissione resta operante nella precedente composizione.

 

L’accesso ai documenti amministrativi è un diritto garantito dalla legge sull’azione amministrativa (L. 241/1990, art. 22 e seguenti) ed è uno dei principi generale dell’attività amministrativa per le sue rilevanti finalità di pubblico interesse.

Dal punto di vista soggettivo, il diritto all’accesso è riconosciuto a “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”.

Il diritto di accesso si concretizza con la possibilità di prendere visione e di estrarre copia dei documenti amministrativi.

Oggetto del diritto di accesso sono esclusivamente i documenti amministrativi, ossia tutti gli atti che hanno una rappresentazione materiale, essendo espressamente esclusi dall’accesso le informazioni in possesso della pubblica amministrazione che non hanno forma di documento amministrativo (fatta eccezione per i dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono, ai sensi del D.Lgs. n. 196/2003).

Una deroga al diritto di accesso è prevista per casi particolari quali:

§       i documenti coperti da segreto di Stato;

§       i procedimenti tributari, per i quali vigono norme speciali;

§       nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione;

§       nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.

Inoltre, il Governo può individuare, con regolamento, casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi in determinate circostanze, quali, ad esempio, quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche o gruppi di persone.

Non sono in ogni caso ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni.

La Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi è l'organismo preposto alla vigilanza sull'attuazione del principio della piena conoscibilità e trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione, al quale possono rivolgersi privati cittadini e pubbliche amministrazioni. Gli interessati possono ricorrere in via amministrativa alla Commissione avverso le determinazioni di diniego o differimento concernenti il diritto di accesso.


 

Articolo 48
(Modifiche al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66)

 


1. Al capo II del titolo II del libro terzo del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, dopo l'articolo 537-bis è aggiunto il seguente:

«Art. 537-ter - (Cooperazione con altri Stati per i materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale) - 1. Il Ministero della difesa, nel rispetto dei principi, delle norme e delle procedure in materia di esportazione di materiali d'armamento di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185, e successive modificazioni, d'intesa con il Ministero degli affari esteri, può svolgere per conto di altri Stati esteri con i quali sussistono accordi di cooperazione o di reciproca assistenza tecnico-militare, e tramite proprie articolazioni, attività di supporto tecnico-amministrativo per l'acquisizione di materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale anche in uso alle Forze armate e per le correlate esigenze di sostegno logistico e assistenza tecnica, richiesti dai citati Stati, nei limiti e secondo le modalità disciplinati nei predetti accordi.

2. Con regolamento adottato, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro della difesa di concerto con il Ministro degli affari esteri e il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, è definita la disciplina esecutiva e attuativa delle disposizioni di cui al presente articolo.

3. Le somme percepite per il rimborso dei costi sostenuti per le attività di cui al comma 1 sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere integralmente riassegnate ai fondi di cui all'articolo 619.».


 

 

L’articolo 48 del decreto legge in esame novella il decreto legislativo n. 66 del 2010 (Codice dell’ordinamento militare) al fine di inserirvi il nuovo articolo 537-bis in materia di cooperazione con altri Stati per i materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale.

Nello specifico, il nuovo articolo 537-bis del Codice dell’ordinamento militare è finalizzato a consentire la partecipazione del Ministero della difesa, tramite le sue articolazioni, d’intesa con il Ministero degli affari esteri, alle attività di supporto tecnico-amministrativo e logistico, nonché di assistenza tecnica - con esclusione delle attività contrattuali - con altri Stati esteri, per l'acquisto da parte dei citati Stati di materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale, ovvero in uso alle Forze armate italiane.

La disposizione in esame pone come condizione di operatività l’esistenza di accordi di cooperazione o di reciproca assistenza tecnico-militare tra l’Italia e il Paese con il quale si intende procedere a talune delle richiamate operazioni ed il pieno rispetto della normativa in materia di esportazione di materiali d'armamento di cui alla legge n. 185 del 1990.

La disposizione in esame demanda, poi, ad un apposito regolamento adottato su proposta del ministro della Difesa, previo parere delle Commissioni competenti, ai sensi del comma 1 dell’articolo 17 della legge n. 400 del 1988 il compito di definire la disciplina esecutiva e attuativa delle disposizioni previste dalla norma in esame. Viene, altresì, specificato che le somme percepite per il rimborso dei costi sostenuti per le citate attività siano versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere integralmente riassegnati ai fondi di cui all'articolo 619 del codice dell'ordinamento militare.

In relazione al tema della cooperazione internazionale nel settore della difesa, si ricorda che l’Italia nel corso dei decenni ha stipulato accordi di cooperazione militare, e più in generale nel settore della difesa, con una molteplicità di Paesi, anche in ossequio alle direttrici fondamentali della propria politica estera e di sicurezza – al proposito vanno notati ad esempio i numerosi accordi bilaterali firmati con i Paesi emersi dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica e del blocco orientale.

Nell’ambito di tali accordi sono ricorrenti clausole che riguardano il commercio di armamenti, sovente con il riferimento a più ampi quadri di cooperazione internazionale che ne assicurano la praticabilità in relazione alla sicurezza. Si ricorda a tal proposito che le Nazioni Unite il 3 giugno 2013 hanno aperto alla firma il Trattato sul commercio internazionale delle armi (ATT – Arms Trade Treaty), la cui futura entrata in vigore aggiungerà certamente un’ulteriore cornice di regolazione nella materia. Il Consiglio dei Ministri dello scorso 12 luglio, ha approvato, su proposta dei ministri degli Affari Esteri Emma Bonino e della Difesa Mario Mauro, il disegno di legge di ratifica ed esecuzione del Trattato, adottato nel marzo 2013 dall’Assemblea Generale delle Nazioni unite e firmato a New York il 2 aprile 2013.

Il Trattato, frutto di un lungo e complesso impegno negoziale avviato in ambito ONU dal 2006, rappresenta un punto di svolta nella trattazione di una delicata problematica nell’ambito delle relazioni internazionali. Il commercio illecito e non regolamentato delle armi ha conseguenze dirette, non solo sulla sicurezza delle Nazioni, ma soprattutto sul piano umanitario, sociale, ed economico. Il commercio illegale, o scarsamente regolamentato di armi non convenzionali, reca un pesantissimo costo in vite umane: stime internazionali fissano in più di 740.000 le persone che ogni anno muoiono a causa delle violenze armate.

L’ATT risponde alla urgente necessità di colmare le lacune del commercio non regolamentato di armi convenzionali e di intensificare gli sforzi volti al consolidamento della pace e dell’assistenza umanitaria, perseguendo l’obiettivo di rendere il commercio, l’esportazione e il trasferimento delle predette armi più responsabili e trasparenti.

L’Italia, pur disponendo in materia di una delle normative più avanzate a livello mondiale, ha svolto un ruolo importante in ogni fase del negoziato per raggiungere, sul piano legislativo, il migliore risultato possibile.

Con riferimento alla compatibilità del Trattato con la normativa europea, l’Italia, come gli altri Paesi membri, ha firmato l’ATT previa autorizzazione del Consiglio europeo, il quale sta ora procedendo all’elaborazione della decisione che autorizzerà gli Stati al deposito dello strumento di ratifica presso il Segretariato generale delle Nazioni unite.


 

Articolo 49, commi 01, 1 e 2
(Proroga e differimento termini in materia di spendig review)

 


01. All'articolo 3, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, le parole: «entro il 31 dicembre 2012» sono sostituite dalle seguenti: «entro il 31 dicembre 2013».

1. All'articolo 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, lettera b), le parole «30 giugno 2013» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2013» e le parole «a decorrere dal 1° gennaio 2014» sono sostituite dalle seguenti: «a decorrere dal 1° luglio 2014»;

b) al comma 2, le parole: «a decorrere dal 1° gennaio 2014» sono sostituite dalle seguenti: «a decorrere dal 1° luglio 2014».

1-bis. Il comma 2 dell'articolo 5 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, si interpreta nel senso che le previsioni e i termini ivi previsti non si applicano alle società quotate e alle loro controllate.

2. Il termine di cui all'articolo 9, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 è differito al 31 dicembre 2013. Sono fatti salvi gli atti compiuti dagli enti, agenzie ed organismi che hanno proseguito la loro attività oltre il predetto termine.


 

 

Il comma 01 novella l’articolo 3, comma 3 del D.L. n. 95/2012 (legge n. 135/2012), differendo dal 31 dicembre 2012 al 31 dicembre 2013 il termine entro il quale le regioni e gli enti locali possono recedere dai contratti di locazione in essere alla data del 7 luglio 2012, anche in deroga ai termini di preavviso stabiliti dai medesimi contratti.

La facoltà di recesso anticipato concessa agli enti territoriali dall’articolo 3, comma 3, del D.L. n. 95/2012 e qui prorogata, è da correlarsi con quanto disposto dal comma 2 del medesimo articolo 3 del D.L. n. 95, che concede alle regioni e agli enti locali la possibilità, per fini istituzionali, dell’uso gratuito di beni immobili di proprietà statale e allo Stato, per i medesimi fini istituzionali, la possibilità dell’uso gratuito di beni immobili di proprietà regionale e locale.

In particolare, l’articolo 3 del D.L. n. 95/2012 (legge n. 135/2012) reca talune disposizioni in materia di riduzione dei costi per locazioni passive sostenuti dalla pubblica amministrazione. Il comma 2 di tale articolo prevede la possibilità che alle regioni e agli enti locali possa essere concesso, per fini istituzionali, l’uso gratuito di beni immobili di proprietà dello Stato, e che allo Stato, reciprocamente, possa essere concesso, per fini istituzionali, l’uso gratuito di beni immobili di proprietà delle regioni e degli enti locali. Al fine di agevolare l’utilizzabilità di tale disposizione, il successivo comma 3 dispone che - per i contratti in corso alla data del 7 luglio 2012 (data di entrata in vigore del decreto legge n. 95/2012), le regioni e gli enti locali hanno facoltà di recedere dal contratto, entro il 31 dicembre 2012 (31 dicembre 2013, a seguito della modifica in commento), anche in deroga ai termini di preavviso stabiliti dal contratto medesimo.

 

Il comma 1 proroga taluni termini relativi alla spending review sulle società pubbliche cd. “strumentali” disposta dall’articolo 4 del decreto legge n. 95/2012 (legge n. 135/2012).

Destinatarie delle misure in questione sono le società non quotate controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1 comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001[30] che abbiano conseguito nel 2011 un fatturato da prestazione di servizi alla P.A. superiore al 90% del loro intero fatturato.

 

Per tali società, l’articolo 4, comma 1, del D.L. n. 95/2012 ha previsto che si proceda, alternativamente, allo scioglimento ovvero all’alienazione, dettando, per l’una e per l’altra di queste operazioni, una tempistica differente:

a)   lo scioglimento, entro il 31 dicembre 2013;

b)   in alternativa allo scioglimento, l’alienazione con procedure ad evidenza pubblica delle partecipazioni detenute alla data del 7 luglio 2012[31]. In tale caso, il servizio è contestualmente assegnato alla società privatizzata per cinque anni.

 

Il decreto legge in esame proroga di sei mesi, dal 30 giugno 2013 al 31 dicembre 2013, il termine entro il quale procedere alla predetta alienazione delle partecipazioni, e di sei mesi, dal 1 gennaio 2014 al 1 luglio 2014, il termine a decorrere dal quale il servizio strumentale è assegnato per cinque anni alla società privatizzata.

 

Si osservi che la Corte costituzionale, con sentenza 16-23 luglio 2013, n. 229, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 1 dell’articolo 4 del D.L. n. 95/2012, nella parte in cui si applica alle Regioni ad autonomia ordinaria[32].

Il comma 2 dell’articolo in esame differisce al 31 dicembre 2013 il termine, invero già scaduto il 7 aprile 2013, decorso il quale sono automaticamente soppressi gli enti, le agenzie e gli organismi non soppressi o riaccorpati dagli enti territoriali ai sensi dell’articolo 9, commi 1 e 4, del citato D.L. n. 95/2012.

 

Il comma 2, inoltre, fa salvi gli atti compiuti dagli enti, agenzie ed organismi che hanno proseguito la loro attività oltre il 7 aprile 2013.

Si ricorda che l’articolo 9 comma 1 del D.L. n. 95/2012 ha imposto alle regioni, alle province e ai comuni di sopprimere o accorpare enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che, alla data del 7 luglio 2012, esercitavano, anche in via strumentale, funzioni fondamentali (di cui all'articolo 117, comma secondo, lettera p), della Costituzione) o funzioni amministrative spettanti a comuni, province e città metropolitane.

In alternativa alla soppressione o all’accorpamento, il legislatore ha consentito la riduzione in misura non inferiore al 20 per cento degli oneri finanziari dei predetti enti.

In caso di mancato intervento in tal senso da parte degli enti territoriali interessati entro il 7 aprile 2013[33], il comma 4 dell’articolo 9 ha disposto la soppressione automatica degli enti e la nullità di tutti gli atti adottati successivamente a tale data.

 

Con riferimento alla norma in commento, si osserva che essa, più che un differimento, sembra avere l’effetto di una riviviscenza di norme, rendendo ancora vigenti gli enti ed organismi che, alla data del 7 aprile 2013 dovrebbero essere stati già automaticamente soppressi, facendo salvi gli atti di quegli enti che hanno comunque proseguito l’attività.


 

Articolo 49, comma 1-bis
(Limiti alla spesa della P.A. per auto di servizio: norma di interpretazione autentica)

 

1-bis. Il comma 2 dell'articolo 5 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, si interpreta nel senso che le previsioni e i termini ivi previsti non si applicano alle società quotate e alle loro controllate.

 

 

Il comma 1-bis contiene una norma di interpretazione autentica del comma 2 dell’articolo 5 del D.L. n. 95/2012 (legge n. 135/2012).

Il comma 2 dell’articolo 5 del D.L. n. 95/2012 pone, a decorrere dall’anno 2013, un limite alla spesa pubblica per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture, nonché per l’acquisto di buoni taxi. Tale spesa non può essere superiore al 50 per cento di quella sostenuta nell’anno 2011[34].

Il limite è imposto nei confronti delle:

§      amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge di contabilità pubblica (legge n. 196/2009) [35],

Sono escluse le autovetture utilizzate dall'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari del MIPAFF, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco o per i servizi istituzionali di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, per i servizi sociali e sanitari svolti per garantire i livelli essenziali di assistenza, ovvero per i servizi istituzionali svolti nell'area tecnico-operativa della difesa.

§      Autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob);

§      società dalle stesse amministrazioni controllate.

Il comma 1-bis in esame stabilisce che il menzionato comma 2, articolo 5 del D.L. n. 95 si interpreta nel senso che le previsioni e i termini ivi previsti non si applicano alle società quotate e alle loro controllate.

Dunque, in ragione del combinato disposto di tale comma con l’articolo 34, comma 38 del D.L. n. 179/2012 (legge n. 221/2012), l’articolo 5, comma 2 del D.L. n. 95/2012 non si applicherebbe:

§      alle società controllate pubbliche che emettono azioni quotate in mercati regolamentati;

§      alle società controllate pubbliche, che emettono altre tipologie di strumenti finanziari diverse dai titoli azionari, purché ammessi alla quotazione sui mercati regolamentati;

§      alle società (quotate e non quotate) controllate dalle predette società.

 

Si ricorda che l’articolo 34, comma 38 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (legge n. 221/2012) definisce - ai fini della corretta applicazione delle disposizioni in materia di contenimento della spesa pubblica riguardanti le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196[36] - “società quotate le società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati.

L’Avvocatura generale dello Stato, con parere reso il 23 marzo 2013 su apposita istanza presentata dal Ministero dell’economia e finanze, ha fornito indicazioni in merito all’ambito applicativo del citato articolo 34, comma 38, del D.L. n. 179/2012.

L’Avvocatura ha espresso l’avviso di ricomprendere, nella definizione di società quotate fornita dalla predetta norma, sia le società che emettono azioni quotate in mercati regolamentati sia le società che mettono altri strumenti finanziari sempre quotati in mercati regolamentati, quali, ad esempio, i titoli obbligazionari.

Quanto, invece, all’individuazione del perimetro di applicazione della norma in argomento, ha inoltre ritenuto di comprendervi anche le società che abbiano emesso strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati, anche dopo il 19 dicembre 2012, data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 179/2012, legge n. 221/2012, con la quale è stata introdotta la disposizione qui in commento, che avrebbe dunque – secondo il parere dell’Avvocatura - portata interpretativa generale.

L’Avvocatura rileva pertanto che, per ridurre la portata applicativa della norma, sarebbe opportuno un intervento legislativo volto a limitare il perimetro di applicazione della disposizione in argomento alle sole società che avessero già emesso, alla data 19 dicembre 2012, strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati.


 

Articolo 49, comma 2-bis
(Spending review sanitaria)

 


2-bis. All'articolo 15 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 8, lettera d), le parole: «rilevati dai modelli CE» sono sostituite dalle seguenti: «trasmessi nell'ambito del nuovo sistema informativo sanitario ai sensi del decreto del Ministro della salute 15 luglio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 2 del 4 gennaio 2005»;

b) al comma 14, dopo il primo periodo, è inserito il seguente: «Qualora nell'anno 2011 talune strutture private accreditate siano rimaste inoperative a causa di eventi sismici o per effetto di situazioni di insolvenza, le indicate percentuali di riduzione della spesa possono tenere conto degli atti di programmazione regionale riferiti alle predette strutture rimaste inoperative, purché la regione assicuri, adottando misure di contenimento dei costi su altre aree della spesa sanitaria, il rispetto dell'obiettivo finanziario previsto dal presente comma».


 

 

Il comma 2-bis dell’articolo 49, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, reca norme di proroga o differimento di termini in materia di spending review sanitaria.

Nello specifico il comma 2-bis apporta modificazioni all’articolo 15 del decreto legge 95/2012[37] (c.d. Spending Review). In particolare:

§      la lettera a) modificando l’articolo 15, comma 8, lettera d), del D.L. n. 95/2012, stabilisce che, per il monitoraggio complessivo della spesa sostenuta per l'assistenza farmaceutica ospedaliera invece di fare riferimento ai dati rilevati ai modelli CE, si prendono a riferimento i dati trasmessi nell’ambito del nuovo sistema informativo sanitario ai sensi del decreto del Ministro della salute 15 luglio 2004, Istituzione, presso l'Agenzia italiana del farmaco, di una banca dati centrale finalizzata a monitorare le confezioni dei medicinali all'interno del sistema distributivo, ovvero i dati trasmessi dalle aziende farmaceutiche all’NSIS corrispondenti al flusso informativo della tracciabilità del farmaco.

 

L’articolo 5-bis del D.Lgs. 540/1992[38], prevede l’istituzione presso il Ministero della salute di una Banca dati centrale che, partendo dai dati di produzione e fornitura dei bollini numerati dei prodotti medicinali, raccoglie e registra i movimenti delle singole confezioni. Inoltre, tutti gli attori della filiera (produttori, depositari, grossisti, farmacie aperte al pubblico, centri sanitari autorizzati all’impiego di medicinali, aziende sanitarie locali e smaltitori) sono tenuti ad archiviare e trasmettere a tale Banca dati il codice prodotto ed il numero identificativo (numerazione progressiva del bollino) di ciascun pezzo uscito e la relativa destinazione, mentre coloro che ricevono sono tenuti ad archiviare il codice prodotto ed il numero identificativo di ciascun pezzo ricevuto. Il DM 15 luglio 2004 ha istituito la Banca dati  per il monitoraggio dei medicinali nel canale distributivo, definendone le regole per l’alimentazione, in attuazione del modello teorico definito dalla Legge comunitaria 2001[39]. Il campo di applicazione del decreto ministeriale è rappresentato da tutti i prodotti medicinali ad uso umano immessi in commercio in Italia, disciplinati dal D.Lgs. n. 219/2006 , compresi anche l’ossigeno e gli altri gas medicinali dotati di AIC.

Si rileva che, successivamente, ai fini del monitoraggio dei consumi di medicinali in ambito ospedaliero è stato emanato il Decreto Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali 4 febbraio 2009, Istituzione del flusso informativo per il monitoraggio dei consumi di medicinali in ambito ospedaliero che prevede l’istituzione di una banca dati dedicata a partire dal 1 ottobre 2009 e ne disciplina il flusso informativo di alimentazione. Nell’aprile 2013, il Ministero della salute ha predisposto un documento in materia Monitoraggio dei consumi di medicinali in ambito ospedaliero (DM 4 Febbraio 2009): Linee guida per la predisposizione e la trasmissione dei file al NSIS.

 

§      la lettera b) aggiunge un periodo al comma 14 dell’articolo 15 del decreto legge 95/2012 in materia di riduzioni di spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie di assistenza specialistica ambulatoriale e di assistenza ospedaliera, fornite da privati accreditati rimasti inoperativi a causa di eventi sismici o per effetto di situazioni di insolvenza.

 

L’articolo 15, comma 14, del decreto legge 95/2012 stabilisce una riduzione della spesa complessiva annua dello 0,5 per cento per il 2012, dell’1 per cento per il 2013 e del 2 per cento dal 2014, rispetto al valore di spesa consuntivato nel 2011, per l’acquisto di prestazioni sanitarie di assistenza specialistica ambulatoriale e di assistenza ospedaliera, fornite da privati accreditati. Per conseguire tale obiettivo, la Regione o la Provincia autonoma applica, a tutti i contratti ed accordi, o agli eventuali atti di programmazione, vigenti nel 2012, una riduzione, in percentuale fissa, del volume delle attività prestate e del relativo importo erogato. La misura di contenimento della spesa si aggiunge alle misure adottate dalle Regioni o dalle Province autonome. La rideterminazione della spesa conseguita nel 2012 costituisce il parametro per la riduzione della spesa sanitaria regionale riguardante gli acquisti delle prestazioni sanitarie presso gli operatori privati accreditati, a partire dall’esercizio 2013.

 

Nello specifico, la lettera b) prevede che, qualora nell’anno 2011 talune strutture private accreditate siano rimaste inoperative a causa di eventi sismici o per effetto di situazioni di insolvenza, la riduzione di spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie fornite da privati accreditati, ai sensi dell’articolo 15, comma 14, del decreto legge 95/2012, sia calcolata rispetto a quella consuntivata per l'anno 2011 integrandola con i tetti di spesa fissati nel medesimo anno con gli atti di programmazione regionale per le strutture private accreditate rimaste inoperative a causa di eventi sismici od anche per effetto di situazioni di insolvenza. La regione deve comunque assicurare, adottando misure di contenimento dei costi su altre aree della spesa sanitaria, il rispetto del’obiettivo finanziario previsto.

 

Al proposito si rinvia all’Ordine del Giorno G10.101 all’A.S. 890 di conversione in legge del decreto legge 76/2013 in materia di interventi occupazione, coesione sociale, IVA e misure finanziarie. L’Ordine del giorno, accolto dal Governo, evidenziava come, a causa del concomitante perdurare degli effetti del terremoto e della inoperatività di alcune strutture private in stato di grave insolvenza, nel corso del 2011 il Servizio Sanitario Regionale Abruzzese non fosse stato in grado di erogare le prestazioni messe a budget, causando in tal modo notevoli disagi ai cittadini della regione, costretti ad una mobilità passiva nelle regioni limitrofe, con probabili aggravi di costo per il SSN. Per tale ragione, impegnava il Governo a valutare l'opportunità, anche in considerazione dei vincoli di bilancio, ad assumere iniziative volte a prevedere che la riduzione di spesa di cui al comma 14 dell’articolo 15, fosse calcolata rispetto a quella consuntivata per l'anno 2011 integrandola con i tetti di spesa fissati nel medesimo anno con gli atti di programmazione regionale per le strutture private accreditate rimaste in operative a causa di eventi sismici od anche per effetto di situazioni di insolvenza, ciò al fine di evitare un taglio ben superiore a quello previsto dalle norme sulla spending review.


 

Articolo 49-bis
(Misure per il rafforzamento della spending review)

 


1. Al fine di coordinare l'azione del Governo e le politiche volte all'analisi e al riordino della spesa pubblica e migliorare la qualità dei servizi pubblici offerti, è istituito un Comitato interministeriale, presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri e composto dal Ministro dell'economia e delle finanze, dal Ministro dell'interno, dal Ministro per i rapporti con il Parlamento e il coordinamento dell'attività di Governo, dal Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio con funzioni di Segretario del Consiglio dei ministri. Il Presidente del Consiglio dei ministri può invitare alle riunioni del Comitato interministeriale altri Ministri, in ragione della rispettiva competenza in ordine alle materie da trattare. Il Comitato svolge attività di indirizzo e di coordinamento in materia di razionalizzazione e revisione della spesa delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, degli enti pubblici, nonché delle società controllate direttamente o indirettamente da amministrazioni pubbliche che non emettono strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati, con particolare riferimento alla revisione dei programmi di spesa e della disciplina dei trasferimenti alle imprese, alla razionalizzazione delle attività e dei servizi offerti, al ridimensionamento delle strutture, alla riduzione delle spese per acquisto di beni e servizi, all'ottimizzazione dell'uso degli immobili e alle altre materie individuate dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 maggio 2012, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 170 del 23 luglio 2012, o da ulteriori direttive del Presidente del Consiglio dei ministri.

2. Ai fini della razionalizzazione della spesa e del coordinamento della finanza pubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, può nominare con proprio decreto un Commissario straordinario, con il compito di formulare indirizzi e proposte, anche di carattere normativo, nelle materie e per i soggetti di cui al comma 1, terzo periodo.

3. Il Commissario straordinario opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione ed è scelto tra persone, anche estranee alla pubblica amministrazione, dotate di comprovata esperienza e capacità in materia economica e di organizzazione amministrativa.

4. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 2 stabilisce:

a) la durata dell'incarico, che non può comunque eccedere i tre anni;

b) l'indennità del Commissario straordinario, nei limiti di quanto previsto dall'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;

c) le risorse umane e strumentali del Ministero dell'economia e delle finanze delle quali il Commissario straordinario può avvalersi nell'esercizio delle sue funzioni, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

5. Il Commissario straordinario ha diritto di corrispondere con tutti i soggetti di cui al comma 1, terzo periodo, e di chiedere ad essi, oltre a informazioni e documenti, la collaborazione per l'adempimento delle sue funzioni. In particolare, il Commissario straordinario ha il potere di chiedere alle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, l'accesso a tutte le banche di dati da esse costituite o alimentate. Nell'esercizio delle sue funzioni, il Commissario straordinario può disporre lo svolgimento di ispezioni e verifiche a cura dell'Ispettorato per la funzione pubblica e del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e richiedere, previe intese ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 19 marzo 2001, n. 68, la collaborazione della Guardia di finanza.

6. Entro venti giorni dalla nomina, il Commissario straordinario presenta al Comitato interministeriale di cui al comma 1 un programma di lavoro recante gli obiettivi e gli indirizzi metodologici dell'attività di revisione della spesa pubblica. Nel corso dell'incarico il Commissario straordinario, anche su richiesta del Comitato interministeriale, può presentare aggiornamenti e integrazioni del programma ai fini della loro approvazione da parte del medesimo Comitato. Il programma e gli eventuali aggiornamenti e integrazioni sono trasmessi alle Camere.

7. Il Commissario straordinario, se richiesto, svolge audizioni presso le competenti Commissioni parlamentari.

8. Agli oneri derivanti dal comma 4, lettera b), nel limite massimo di 150 mila euro per l'anno 2013, di 300 mila euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015 e di 200 mila euro per l'anno 2016, si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

9. Gli articoli 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5 e 6 del decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 luglio 2012, n. 94, e l'articolo 1, comma 2, della legge 6 luglio 2012, n. 94, sono abrogati.


 

 

L’articolo 49-bis reca una nuova disciplina dell’attività volta alla razionalizzazione della spesa pubblica, che sostituisce – semplificandola e rifondendola in un unico articolo, quello in esame – la disciplina già disposta dagli articoli da 1 a 6 del decreto legge n. 52/2012[40], che vengono conseguentemente abrogati.

La nuova disciplina conferma gli organi cui è affidata l’attività in esame già previsti dal D.L. 52 sopradetto, vale a dire il Comitato interministeriale (nel quale peraltro, rispetto alla attuale composizione, viene inserito anche il Ministro dell’interno, prevedendosi inoltre che possano partecipare, su iniziativa del Presidente del Consiglio, anche altri Ministri, in ragione della materia da trattare) ed il Commissario straordinario, la cui durata, prevista in un anno dalla disciplina vigente[41], viene ora estesa fino a tre anni.

Il Comitato svolge attività di indirizzo e coordinamento in materia di razionalizzazione della spesa di tutte le amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e delle società controllate direttamente o indirettamente da amministrazioni pubbliche che non emettono strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati (vale a dire società per azioni ed altre società che emettono titoli quotati, anche se non azionari[42]). Tale attività dovrà concernere in particolare i trasferimenti alle imprese, la riduzione delle spese per acquisto di beni e servizi, l'ottimizzazione dell'uso degli immobili e le altre materie individuate dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 maggio 2012[43], o da ulteriori direttive del Presidente del Consiglio dei ministri (comma 1).

Il Presidente del Consiglio dei Ministri può altresì nominare un Commissario straordinario, con durata dell’incarico fino a tre anni, con il compito di formulare indirizzi e proposte, anche di carattere normativo, sulle materie oggetto di spending review (comma 2)[44]. Esso, che va scelto tra persone (anche estranee alla PA) dotate di comprovata esperienza economica ed organizzativa, ha poteri conoscitivi nei confronti di tutte le amministrazioni pubbliche, tra cui l’accesso alle banche dati dalle stesse alimentate, nonché poteri ispettivi, a mezzo degli organi della Ragioneria Generale dello Stato, e può richiedere la collaborazione della Guardia di finanza (comma 5). Entro venti giorni dalla nomina, il Commissario dovrà presentare al Comitato il proprio programma di lavoro, che va trasmesso anche alle Camere (comma 6). Per quanto concerne gli oneri derivanti dall’indennità da corrispondersi al Commissario, essi non potranno superare 150 mila euro per l'anno 2013[45], 300 mila euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015 e 200 mila euro per l'anno 2016, cui si provvede, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del D.L. 282/2004 (comma 8).

 

Come già detto, a seguito delle nuove norme dettate dall’articolo 49-bis in esame vengono conseguentemente abrogate le disposizioni che attualmente regolano la materia, costituite dagli articoli 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5 e 6 del D.L. n. 52/2012, nonché dall’articolo 1, comma 2, della legge di conversione dello stesso (L. n. 94/2012), che disponeva l’efficacia delle suddette norme fino alla data del 31 dicembre 2014, che di seguito si richiamano brevemente.

L'articolo 1 istituisce un Comitato interministeriale per la revisione della spesa pubblica con funzioni di indirizzo e coordinamento in ordine, principalmente, alla revisione dei programmi di spesa, alla riduzione delle spese per l’acquisto di beni e servizi, al ridimensionamento delle strutture ed all’ottimizzazione dell’uso degli immobili.

I commi da 1-bis ad 1-quinquies confermano i contenuti della disciplina sulla revisione della spesa pubblica detta dall’articolo 01 del decreto-legge n.138 del 2011, con alcune differenziazioni derivanti dalla necessità di prorogarne alcuni termini di realizzazione nonché dalla istituzione dei nuovi organi previsti dal decreto- legge in esame nell’ambito del processo di spending review, vale a dire il Comitato interministeriale ed il Commissario straordinario.

L'articolo 2 prevede la nomina - da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro per i rapporti con il Parlamento - di un Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi con il compito di definire il livello di spesa per voci di costo delle amministrazioni pubbliche; a tal fine la disposizione reca l’elencazione delle amministrazioni cui si riferisce l’attività del Commissario, includendo tra le stese anche taluni tipi di società a controllo pubblico e, limitatamente alla spesa sanitaria, le regioni commissariate per i piani di rientro sanitari.

L’articolo 3 rinvia ad apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la definizione della durata e dell’indennità del Commissario, la eventuale nomina di due subcommissari nonché l’individuazione di uffici, personale e mezzi dei quali il Commissario può avvalersi, nel rispetto dell’invarianza di spesa.

L'articolo 4 prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri riferisca al Parlamento sull’attività di razionalizzazione della spesa pubblica con cadenza semestrale, e invii altresì al Parlamento una relazione sulla medesima attività. Tali obblighi, in fase di prima applicazione, vengono adempiuti entro il 31 luglio 2012. L'articolo 5 conferisce al Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi alcuni poteri di coordinamento e di indirizzo dell’attività di spending review con il coinvolgimento delle amministrazioni pubbliche. In particolare, viene attribuito al Commissario il potere di chiedere informazioni e documenti alle singole amministrazioni e alle società a totale partecipazione pubblica diretta e indiretta e di disporre che vengano svolte ispezioni nei confronti delle stesse da parte dell’Ispettorato per la funzione pubblica e del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. Al Commissario spetta, inoltre, il compito di definire, per voci di costo, il livello di spesa per acquisti di beni e servizi da parte delle amministrazioni pubbliche e di segnalare al Consiglio dei ministri o al presidente della regione interessata le norme di legge o di regolamento che determinano spese o voci di costo che possono essere razionalizzate. Esso inoltre segnala alle amministrazioni interessate le misure di riordino da operare, fissando un termine per l’adozione delle stesse, decorso il quale il Consiglio dei ministri può autorizzare l’esercizio di poteri sostitutivi.

L’articolo 6 detta i requisiti soggettivi per la nomina oltreché le condizioni fondamentali di operatività del Commissario straordinario.

L’articolo 1, comma 2 della legge di conversione n. 94/2012 dispone che le norme contenute nel Capo I del decreto-legge (vale a dire gli articolo da 1 a 6) hanno efficacia fino alla data del 31 dicembre 2014.


 

Articolo 49-ter
(Semplificazioni per i contratti pubblici)

 

1. Per i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture sottoscritti dalle pubbliche amministrazioni a partire da tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario è acquisita esclusivamente attraverso la banca dati di cui all'articolo 6-bis del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

 

 

L’articolo 49-ter, introdotto durante l’esame parlamentare, prevede l’obbligo per i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture sottoscritti dalle pubbliche amministrazioni a partire da tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (21 agosto 2013), di acquisire la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario esclusivamente attraverso la Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP) di cui all'articolo 6-bis del decreto legislativo 163/2006 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture)[46].

L’articolo 6-bis del D.Lgs. n. 163/2006 dispone, al fine di ridurre gli oneri amministrativi derivanti dagli obblighi informativi che gli operatori economici devono sostenere per partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, che, a partire dal 1° gennaio 2013, la documentazione attestante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario, sia acquisita presso la Banca Dati, istituita presso l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) dall’art. 62-bis del D.lgs. n. 82/2005 (Codice dell'amministrazione digitale), attraverso la quale le stazioni appaltanti possono verificare il possesso dei predetti requisiti.

L’AVCP, con la deliberazione 111/2012 ha introdotto l’AVCPASS, (Authority Virtual Company Passport), che consente alle stazioni appaltanti di verificare i requisiti di partecipazione degli operatori economici a cui devono obbligatoriamente registrarsi:

§       dal 1° luglio 2013, per tutti gli appalti di lavori in procedura aperta di importo a base d’asta pari o superiore a € 40.000 nei settori ordinari, ad eccezione di quelli interamente svolti con sistemi telematici, con sistemi dinamici di acquisizione o mediante il mercato elettronico, nonché di quelli nei settori speciali;

§       dal 1° gennaio 2014, per tutti gli appalti di importo a base d’asta pari o superiore a € 40.000,00 nei settori ordinari e speciali, interamente svolti con sistemi telematici, con sistemi dinamici di acquisizione o mediante il mercato elettronico.

Successivamente, l’AVCP, con il Comunicato del 12 giugno 2013, ha rinviato al 1° gennaio 2014 il passaggio al regime obbligatorio del nuovo sistema AVCPASS per le pubbliche gare d’appalto d’importo pari o superiore a 40.000 euro esperite in modalità non telematica[47]. Per gli appalti di importo a base d’asta pari o superiore a € 40.000,00 svolti attraverso procedure interamente gestite con sistemi telematici, nonché per i settori speciali, l’obbligo, prima stabilito a partire dal 1° gennaio 2014, di procedere alla verifica dei requisiti attraverso il sistema AVCPASS sarà regolamentato attraverso una successiva deliberazione dell’Autorità.


 

Articolo 49-quater
(Anticipazione di liquidità in favore
dell’Associazione italiana
della Croce Rossa)

 


1. Nelle more dello svolgimento delle attività di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, l'Associazione italiana della Croce Rossa (CRI) può presentare al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento del tesoro e Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, entro il 30 settembre 2013, con certificazione congiunta del presidente e del direttore generale, un'istanza di accesso ad anticipazione di liquidità, per l'anno 2014, nel limite massimo di 150 milioni di euro. L'anticipazione è concessa, previa presentazione da parte della CRI di un piano di pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012 anche a carico di singoli comitati territoriali, a valere sulla sezione per assicurare la liquidità dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio sanitario nazionale del Fondo di cui all'articolo 1, comma 10, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64.

2. All'erogazione della somma di cui al comma 1 si provvede a seguito:

a) della predisposizione, da parte dell'ente, di misure idonee e congrue di copertura annuale del rimborso dell'anticipazione di liquidità maggiorata degli interessi, verificate da apposito tavolo tecnico cui partecipano l'ente, i Ministeri vigilanti e il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato;

b) della sottoscrizione di apposito contratto tra il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento del tesoro e la CRI, nel quale sono definite le modalità di erogazione e di restituzione delle somme comprensive di interessi e in un periodo non superiore a trenta anni, prevedendo altresì, qualora l'ente non adempia nei termini stabiliti al versamento delle rate dovute, sia le modalità di recupero delle medesime somme da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, sia l'applicazione di interessi moratori. Il tasso di interesse a carico dell'ente è pari al rendimento di mercato dei buoni poliennali del tesoro a cinque anni in corso di emissione.


 

 

L’articolo 49-quater, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, consente alla Associazione italiana della Croce rossa (CRI) - nelle more dello svolgimento delle attività, disciplinate dall’articolo 4 del D.Lgs. n. 178/2012[48],volte alla ricognizione della massa patrimoniale dell’ente e al ripiano dell'indebitamento pregresso della CRI mediante procedura concorsuale – di avere accesso, per l’anno 2014, ad anticipazione di liquidità per il pagamento dei debiti certi, liquidi ed esigibili, maturati alla data del 31 dicembre 2012, nel limite massimo di 150 milioni di euro a valere sulla Sezione per assicurare la liquidità dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio sanitario nazionale del Fondo anticipazioni liquidità di cui all’articolo 1, comma 10, del D.L. n. 35/2012 (legge n. 64/2013).

In particolare, l’articolo prevede che la CRI possa presentare - entro il 30 settembre 2013 - con certificazione congiunta del Presidente e del Direttore generale, un'istanza di accesso ad anticipazione di liquidità, per l’anno 2014, nel limite massimo di 150 milioni di euro al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento del Tesoro e della Ragioneria generale dello Stato.

 

A tale proposito, si ricorda che nel corso della seduta n. 15 del 14 maggio 2013 della Camera dei Deputati, dedicata alla Discussione del disegno di legge di Conversione in legge del decreto-legge 35/2013 (A.C. 676-A) è stato illustrato l’ordine del giorno 9/676-A/17, che impegna il Governo ad adottare misure che assicurino alla Croce Rossa Italiana la liquidità di cassa necessaria ad evitare il blocco delle procedure esecutive, anche prevedendo la possibilità di includere la stessa Croce Rossa tra i soggetti ammessi a beneficiare delle anticipazioni di liquidità previste dal decreto legge 35/2013.

L’ordine del giorno, accolto dal Governo, richiamava la grave situazione di liquidità di cassa della Croce Rossa, sottolineando allo stesso tempo come il D.Lgs. 178/2012, non garantendo più la solvibilità dei pagamenti e dei debiti pregressi, non fosse in grado di scongiurare la paralisi dell'attività della Croce Rossa nei confronti dell'utenza. Per quanto riguarda la situazione della C.R.I., essa appare dovuta a tre filoni di contenzioso antecedenti al 2009. In particolare, un debito pregresso derivante da un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo pari a circa 49 milioni di euro, un contenzioso incentivo personale a tempo determinato con un impatto di circa 70 milioni di euro e infine l'intervenuta sentenza 6077/13 del 12 febbraio 2013 della Corte di cassazione relativamente alla stabilizzazione dei lavoratori a tempo determinato nelle condizioni di cui alla legge finanziaria per il 2007, che ha visto soccombere la Croce Rossa, concretizzando maggiori spese per il personale pari a circa 37 milioni di euro.

 

L’anticipazione è concessa - previa presentazione da parte della C.R.I. di un piano di pagamenti dei debiti certi, liquidi e esigibili alla data del 31 dicembre 2012 anche a carico di singoli Comitati territoriali - a valere sulla sezione per assicurare la liquidità dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio sanitario nazionale del Fondo anticipazioni liquidità, di cui all’articolo 1, comma 10, del D.L. n. 35 (comma 1).

 

L’articolo dispone, inoltre, che all’erogazione della suddetta somma si provvede a seguito della:

a)      predisposizione, da parte dell’ente, di misure idonee e congrue di copertura annuale del rimborso dell’anticipazione di liquidità maggiorata degli interessi, le quali devono essere verificate da apposito Tavolo tecnico cui partecipano l’ente, i Ministeri vigilanti e il Ministero dell’economia e delle finanze – RGS;

b)      sottoscrizione di apposito contratto tra il Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento del Tesoro e l'Associazione italiana della Croce Rossa, nel quale sono definite le modalità di erogazione e di restituzione delle somme comprensive di interessi e in un periodo non superiore a trenta anni, prevedendo altresì, qualora l’ente non adempia nei termini stabiliti al versamento delle rate dovute, le modalità di recupero delle medesime somme da parte del Ministero dell’economia e l’applicazione di interessi moratori. Il tasso di interesse a carico dell’ente deve essere pari al rendimento di mercato dei Buoni poliennali del tesoro a cinque anni in corso di emissione.

 

Si ricorda che articolo 1, comma 10, del decreto legge n. 35/2013 (legge n. 64/2013) prevede l’istituzione nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze di un Fondo con obbligo di restituzione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili, strutturandolo in tre sezioni (a cui corrispondono tre articoli del relativo capitolo di bilancio):

§       “Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali”;

§       “Sezione per assicurare la liquidità alle regioni e alle province autonome per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili diversi da quelli finanziari e sanitari”;

§       Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio Sanitario Nazionale”.

Quanto alle risorse, la “Sezione debiti del Servizio sanitario nazionale”, recava, nella formulazione originaria del D.L. n. 35, una dotazione finanziaria di 5 miliardi per il 2013 e di 9 miliardi per il 2014.

 

L’articolo 13, comma 1 del D.L. n. 102/2013, in corso di conversione presso le Camere, ha operato una rimodulazione delle risorse complessivamente iscritte sul Fondo di cui all’articolo 1, comma 10 del D.L. n. 35[49]. In particolare, le risorse della Sezione debiti del Servizio sanitario nazionale sono state incrementate per l’anno 2013, passando dagli originari 5 miliardi a 7,5 miliardi e la dotazione per il 2014 è stata contemporaneamente ridotta passando dagli iniziali 9 miliardi a 6,5 miliardi di euro[50].

 

L’articolo 3 del medesimo decreto disciplina la concessione delle anticipazioni di liquidità in favore delle regioni e delle province autonome, per il pagamento dei debiti sanitari cumulati al 31 dicembre 2012. Le anticipazioni sono dunque ammesse per un importo massimo di 14 miliardi di euro per il biennio 2013-2014, di cui 5 miliardi per il 2013 e 9 miliardi per il 2014. I criteri per il riparto delle risorse tra le regioni e le province autonome sono costituiti dall'ammontare degli ammortamenti non sterilizzati e dall'importo delle mancate erogazioni - per competenza e/o per cassa - delle somme dovute dalle regioni ai rispettivi Servizi sanitari. Le anticipazioni in oggetto devono essere restituite, insieme con gli interessi, in un periodo non superiore a 30 anni (ai sensi del comma 5, lettera c))[51].

 

Come già sopra accennato, l’articolo aggiuntivo in esame reca la copertura della misura in esso prevista a valere sulle risorse del Fondo di cui all’articolo 1, comma 10 del D.L. n. 35/2013 (legge n. 64/2013), che il medesimo D.L. n. 35/2013 destina alla concessione di anticipazioni di liquidità per il pagamento dei debiti degli enti territoriali (enti locali, regioni e province autonome ed enti del servizio sanitario nazionale).

 

Il D.Lgs. n. 178/2012 di riorganizzazione dell'Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.) ha profondamente modificato l’Associazione, fino a trasferirne le funzioni, dal 1° gennaio 2014, alla costituenda Associazione della Croce Rossa Italiana che diverrà persona giuridica di diritto privato ai sensi del Libro Primo, titolo II, capo II, del codice civile. Fino al 1° gennaio 2014, la C.R.I. assume la denominazione di “Ente strumentale alla Croce Rossa italiana”, e mantiene la personalità giuridica di diritto pubblico come ente non economico, con l’obiettivo di concorrere allo sviluppo della nuova Associazione. L’Ente svolgerà le attività in ordine al patrimonio e ai dipendenti della CRI.

Si ricorda che Associazione italiana della Croce rossa (CRI) è inclusa nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione nel settore relativo agli Enti produttori di servizi assistenziali, ricreativi e culturali (Cfr. Comunicato ISTAT pubblicato in G.U. n. 227 del 28 settembre 2012) e non nel settore delle amministrazioni locali.

Peraltro, si ricorda che le amministrazioni facenti parte del conto economico consolidato della P.A. (ulteriori rispetto a quelle tenute alla certificazione dei crediti) sono state obbligate - ai sensi dell’articolo 7, comma 7-ter del D.L. n. 35/2013 - a registrarsi sulla piattaforma elettronica dei crediti entro il 28 giugno 2013, ai soli fini della comunicazione, entro il 15 settembre 2013, dell’elenco completo dei propri debiti per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali, certi liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2013.

La Croce Rossa Italiana risulta tra gli enti che si sono accreditati sulla piattaforma elettronica.


 

Articolo 49-quinquies
(Misure finanziarie urgenti per gli enti locali)

 


1. Al testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 243-bis, comma 5, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Qualora, in caso di inizio mandato, la delibera di cui al presente comma risulti già presentata dalla precedente amministrazione, ordinaria o commissariale, e non risulti ancora intervenuta la delibera della Corte dei conti di approvazione o di diniego di cui all'articolo 243-quater, comma 3, l'amministrazione in carica ha facoltà di rimodulare il piano di riequilibrio, presentando la relativa delibera nei sessanta giorni successivi alla sottoscrizione della relazione di cui all'articolo 4-bis, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149»;

b) all'articolo 243-quater, comma 2, le parole: «la sottocommissione di cui al comma 1» sono sostituite dalle seguenti: «la commissione di cui all'articolo 155».


 

 

L’articolo 49-quinquies reca alcune modifiche agli articoli del Testo unico dell’ordinamento degli enti locali (TUEL), di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che disciplinano la nuova procedura pluriennale di riequilibrio finanziario degli enti locali per i quali sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocarne il dissesto finanziario.

Gli articoli 243-bis, 243-ter e 243-quater del TUEL che ne recano la disciplina sono stati introdotti, di recente, dall’articolo 3, comma 1, lettera r) del D.L. n. 174/2012[52], al fine di consentire agli enti locali di disporre di uno strumento ordinamentale aggiuntivo rispetto a quelli già disciplinati dal TUEL - per gli enti strutturalmente deficitari e per gli enti già in stato di dissesto finanziario - volto ad evitare la dichiarazione di dissesto finanziario dell’ente, sostenendo le politiche autonome di risanamento degli enti medesimi.

 

In particolare, la nuova procedura consente ai comuni e alle province, per i quali sussistano, anche in considerazione delle pronunce delle competenti sezioni regionali della Corte dei conti sui bilanci degli enti, condizioni di squilibrio strutturale in grado di provocare il dissesto finanziario, la predisposizione di un piano pluriennale di riequilibrio finanziario, di durata massima di 10 anni, che deve indicare tutte le misure necessarie per ripristinare l'equilibrio strutturale del bilancio e per assicurare l'integrale ripiano del disavanzo di amministrazione e il finanziamento dei debiti fuori bilancio.

Tale facoltà si configura soltanto nel caso in cui le misure di cui agli articoli 193 e 194 del TUEL - che prevedono, tra l’altro, la possibilità di ripianare il disavanzo di amministrazione con l’utilizzo di tutte le entrate e le disponibilità, ad eccezione di quelle provenienti dall'assunzione di prestiti e di quelle aventi specifica destinazione per legge, nonché i proventi derivanti da alienazione di beni patrimoniali disponibili, e di finanziare debiti fuori bilancio mediante rateizzazione della durata massima di tre anni - non siano sufficienti a superare le condizioni di squilibrio rilevate. L’articolo 243-bis del TUEL specifica, inoltre, che la procedura non possa essere iniziata qualora la sezione regionale della Corte dei Conti abbia già provveduto, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 149, ad assegnare un termine per l'adozione delle misure correttive previste dall'articolo 1, comma 168, della legge n. 266/2005[53].

Il piano è sottoposto a istruttoria da parte della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali e a successiva approvazione (o diniego) da parte della competente sezione regionale della Corte dei conti, nonché a un monitoraggio del suo stato di attuazione.

A supporto della procedura si prevede, per tutto il periodo di durata del piano di riequilibrio, la facoltà, per l’ente, di deliberare le aliquote o tariffe dei tributi locali nella misura massima consentita, anche in deroga ad eventuali limitazioni disposte dalla legislazione vigente, nonché quella di procedere all'assunzione di mutui per la copertura di debiti fuori bilancio riferiti a spese di investimento, anche in tal caso in deroga ai limiti massimi della capacità di indebitamento previsti dalla legislazione vigente.

Qualora si sia avvalso della facoltà di deliberare le aliquote o tariffe nella misura massima prevista e abbia previsto l’impegno ad alienare i beni patrimoniali disponibili non indispensabili per i suoi fini istituzionali alla rideterminazione della propria dotazione organica ai sensi dell'articolo 259, comma 6, del TUEL, l’ente può, infine, accedere, ad un apposito Fondo di rotazione, all’uopo istituito. Attraverso tale Fondo, lo Stato può concedere anticipazioni, a valere sulla relativa dotazione, a sostegno del risanamento degli enti locali che abbiano deliberato la procedura di riequilibrio finanziario.

 

Le novelle disposte dall’articolo in esame riguardano il comma 5 dell’articolo 243-bis del TUEL, relativo alla delibera del piano di riequilibrio da parte del Consiglio dell’ente.

Tale comma prevede che la delibera del piano da parte del Consiglio dell'ente locale debba avvenire entro il termine perentorio di 60 giorni dalla data di esecutività della precedente delibera consiliare di ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale.

La novella disposta dall’articolo in esame specifica che, in caso di inizio mandato, qualora la delibera del piano di riequilibrio risulti già presentata dalla precedente amministrazione – sia essa ordinaria o commissariale - e non risulti ancora intervenuta la delibera della Corte dei conti di approvazione o di diniego, di cui all'articolo 243-quater, comma 3, sopradescritto, viene data facoltà all'amministrazione in carica di rimodulare il piano di riequilibrio, presentando la relativa delibera nei 60 giorni successivi alla sottoscrizione della relazione di inizio mandato, di cui all'articolo 4-bis, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149[54].

 

Si ricorda, che l’articolo 4-bis del D.Lgs. n. 149/2011 stabilisce, al fine di garantire il principio di trasparenza delle decisioni di entrata e di spesa, che le province e i comuni sono tenuti a redigere una relazione di inizio mandato, volta a verificare la situazione finanziaria e patrimoniale e la misura dell'indebitamento dei medesimi enti. La relazione di inizio mandato, predisposta dal responsabile del servizio finanziario o dal segretario generale, è sottoscritta dal presidente della provincia o dal sindaco entro il novantesimo giorno dall'inizio del mandato. Sulla base delle risultanze della relazione medesima, il presidente della provincia o il sindaco in carica, ove ne sussistano i presupposti, possono ricorrere alle procedure di riequilibrio finanziario vigenti.

 

Una ulteriore novella riguarda il comma 2 dell’articolo 243-quater, in merito alla procedura di esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale.

La novella è volta a coordinare il comma 2 dell’articolo 243-quater con la nuova formulazione del comma 1 del medesimo articolo, come sostituito, di recente, dall’articolo 10-ter del D.L. n. 35/2013[55].

L’articolo 10-ter citato, infatti, riformulando il comma 1 dell’articolo 243-quater, ha semplificato la procedura di esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, in particolare eliminando la sottocommissione, appositamente nominata per l’esame del piano dalla Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali (di cui all'articolo 155 del TUEL), affidando lo svolgimento dell’istruttoria direttamente alla Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali.

La novella apportata dall’articolo in esame all’articolo 243-quater intende, pertanto, allinearsi alla nuova procedure di istruttoria del piano di riequilibrio, eliminando anche dal comma 2 dell’art. 243-quater il riferimento alla sottocommissione e sostituendolo con quello alla Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali, di cui all'articolo 155 del TUEL.


 

Articolo 50
(Modifiche alla disciplina della responsabilità fiscale negli appalti)

 

1. Al comma 28 dell'articolo 35, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, le parole: «e del versamento dell'imposta sul valore aggiunto dovuta» sono sostituite dalla seguente «dovute».

 

 

L’articolo 50 reca modifiche all’articolo 35, comma 28 del D.L. n. 223/2006 in tema di responsabilità solidale dell’appaltatore. In particolare viene meno la responsabilità solidale dell’appaltatore per il versamento dell’Iva da parte del subappaltatore, mentre rimane per il versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente.

 

Si segnala che nel corso dell’esame al Senato è stata ripristinata la formulazione originaria del decreto ed è stata soppressa la disposizione, introdotta nel corso dell’esame alla Camera, che prevedeva l’esclusione della responsabilità solidale con l’acquisizione del nuovo Documento unico di regolarità tributaria (DURT) relativo al subappaltatore, attestante l'inesistenza di debiti tributari per imposte, sanzioni o interessi, scaduti e non estinti dal subappaltatore alla data di pagamento del corrispettivo o di parti di esso.

La modifica prevedeva che il rilascio del DURT avvenisse da parte dell’Agenzia delle entrate per via digitale e certificata. A tal fine si assegnava al Direttore dell’Agenzia delle entrate, di intesa con l’INPS, il compito di stabilire le modalità organizzative e attuative. L’avvio del nuovo sistema di rilascio doveva avvenire entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame. In attesa della messa a regime delle procedure di fatturazione elettronica, i soggetti iscritti avrebbero dovuto trasmettere per via digitale, con cadenza periodica, i dati contabili e i documenti primari relativi alle retribuzioni erogate, ai contributi versati e alle imposte dovute.

 

La disciplina della responsabilità solidale negli appalti (modificata da ultimo dall’articolo 13-ter del D.L. n. 83 del 2012, il quale ha altresì aggiunto i commi 28-bis e 28-ter), in sintesi, prevede la responsabilità dell'appaltatore e del committente per il versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'imposta sul valore aggiunto (ora eliminata) dovuta dal subappaltatore e dall'appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del contratto. La responsabilità è esclusa se l'appaltatore/committente acquisisce la documentazione attestante che i versamenti fiscali, scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, sono stati correttamente eseguiti dal subappaltatore/appaltatore; tale documentazione può consistere anche nella asseverazione rilasciata da CAF o da professionisti abilitati. Sia l'appaltatore che il committente possono sospendere il pagamento del corrispettivo dovuto al subappaltatore/appaltatore fino all'esibizione della predetta documentazione. L'inosservanza delle modalità di pagamento previste a carico del committente è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 200.000 se gli adempimenti prescritti non sono stati correttamente eseguiti dall'appaltatore e dal subappaltatore. Tale responsabilità, comunque, è limitata all’ipotesi in cui, pur in assenza della presentazione della documentazione, tali versamenti non risultino eseguiti dall’appaltatore o dall’eventuale subappaltatore.

E’ infine prevista l'applicazione delle predette norme ai contratti di appalto e subappalto di opere, forniture e servizi conclusi da soggetti che operano nell'ambito di attività rilevanti a fini IVA, dai soggetti IRES, dallo Stato e dagli enti pubblici, escludendo le stazioni appaltanti.

L'Agenzia delle entrate con la circolare 2/E del 1° marzo 2013 ha fornito, dopo la precedente circolare n. 40/E del 2012, ulteriori chiarimenti sulle problematiche interpretative sorte sull'articolo 13-ter del D.L. n. 83 del 2012. In particolare, per quanto riguarda l'ambito oggettivo di applicazione, è stato escluso che l'articolo 13-ter trovi applicazione soltanto in relazione ai contratti stipulati dagli operatori economici del settore edilizio, avendo invece una portata generale. Non rientrano nel campo applicativo della norma le tipologie contrattuali diverse dal contratto di appalto di opere e servizi (gli appalti di fornitura di beni, il contratto d'opera, il contratto di trasporto, il contratto di subfornitura, le prestazioni rese nell'ambito del rapporto consortile).

Si segnala che Confindustria ha presentato nel marzo 2013 una formale denuncia (complaint) alla Commissione europea per sostenere l'incompatibilità con il diritto comunitario delle regole che riguardano nello specifico la responsabilità solidale dell'appaltatore per quanto riguarda il versamento all'erario dell'Iva dovuta dal subappaltatore. Analoga denuncia è stata presentata dall’Associazione italiana dei dottori commercialisti di Milano. Tale responsabilità è stata eliminata dalla norma in esame.

 


 

Articolo 50-bis
(Semplificazione delle comunicazioni telematiche all’Agenzia delle entrate per i soggetti titolari di partita IVA)

 


1. A decorrere dal 1° gennaio 2015 i soggetti titolari di partita IVA possono comunicare in via telematica all'Agenzia delle entrate i dati analitici delle fatture di acquisto e cessione di beni e servizi, incluse le relative rettifiche in aumento e in diminuzione. Gli stessi soggetti trasmettono l'ammontare dei corrispettivi delle operazioni effettuate e non soggette a fatturazione, risultanti dagli appositi registri. Sono esclusi dalla segnalazione i corrispettivi relativi a operazioni, non soggette a fatturazione, effettuate dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni e da altri organismi di diritto pubblico, nonché dai soggetti che applicano la dispensa dagli adempimenti di cui all'articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni.

2. Le informazioni di cui al comma 1 sono trasmesse quotidianamente.

3. L'attuazione delle disposizioni del presente articolo è informata al principio della massima semplificazione per i contribuenti. Dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di attuazione di cui al comma 6, ai soggetti che optano per l'invio dei dati di cui al comma 1 in via telematica all'Agenzia delle entrate non si applicano le seguenti disposizioni:

a) l'articolo 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni;

b) l'articolo 1, commi da 1 a 3, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, e successive modificazioni;

c) l'articolo 60-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni;

d) l'articolo 20, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, e successive modificazioni;

e) l'articolo 1, comma 1, lettera c), ultimo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, e successive modificazioni;

f) l'articolo 35, commi 28 e seguenti, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, come da ultimo modificato dall'articolo 50, comma 1, del presente decreto.

4. A partire dalla stessa data di cui al comma 3, alinea, secondo periodo, all'articolo 50, comma 6, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo periodo, le parole: «e quelle da questi ultimi ricevute» sono soppresse;

b) al secondo periodo, le parole: «e delle prestazioni di servizi di cui al comma 1 dello stesso articolo 7-ter, ricevute da soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro della Comunità» sono soppresse;

c) al terzo periodo, le parole: «ed al secondo» sono soppresse.

5. Con decreto del Presidente della Repubblica, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, è emanato un regolamento che ridefinisce le informazioni da annotare nei registri tenuti ai fini dell'assolvimento degli obblighi in materia di imposta sul valore aggiunto, allo scopo di allineare il contenuto dei medesimi alle segnalazioni di cui al comma 1 del presente articolo, e abroga, in tutto o in parte, gli obblighi di trasmissione di dati e di dichiarazione contenenti informazioni già ricomprese nelle medesime segnalazioni.

6. Le disposizioni di attuazione del presente articolo sono adottate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze avente natura non regolamentare, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 5.


 

 

L’articolo 50-bis, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, reca disposizioni per la semplificazione della comunicazione telematica all’Agenzia delle entrate per i soggetti titolari di partita IVA. Si tratta, tuttavia, di un regime facoltativo, in base al quale dal 1° gennaio 2015 i soggetti titolari di partita IVA possono, a fronte di una serie di benefici in termini di minori adempimenti fiscali, comunicare giornalmente in via telematica all’Agenzia delle entrate i dati analitici delle fatture di acquisto e cessione di beni e servizi, incluse le relative rettifiche in aumento e in diminuzione.

Gli stessi soggetti trasmettono l’ammontare dei corrispettivi delle operazioni effettuate e non soggette a fatturazione, risultanti dagli appositi registri.

Sono esclusi dalla segnalazione i corrispettivi relativi a operazioni, non soggette a fatturazione, effettuate dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni e da altri organismi di diritto pubblico, nonché dai soggetti che applicano la dispensa dagli adempimenti per le operazioni esenti (prevista dall’articolo 36-bis del D.P.R. n. 633 del 1972).

 

Il comma 3 dispone che dalla data di entrata in vigore del regolamento previsto dal successivo comma 5 – con cui si ridefiniscono le informazioni da annotare nei registri tenuti ai fini dell’assolvimento degli obblighi IVA - ai soggetti che optano per l’invio in via telematica all’Agenzia delle Entrate dei dati analitici delle fatture di acquisto e cessione di beni e servizi non si applicano le seguenti disposizioni:

§      l’articolo 21 del D.L. n. 78 del 2010, relativo all’obbligo di comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini IVA di importo non inferiore a 3.000 euro, come attuato dal provvedimento del direttore dell’Agenzia 22 dicembre 2010;

§      l’articolo 1, commi da 1 a 3, del D.L. n. 40 del 2010, relativo alla comunicazione telematica di tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi di importo superiore a euro 500 effettuate e ricevute, registrate o soggette a registrazione, nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi cosiddetti black list, come attuato con D.M. Economia e finanze del 30 marzo 2010;

§      l’articolo 60-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, sulla solidarietà del cessionario al pagamento dell’IVA in caso di mancato versamento dell'imposta da parte del cedente relativa a cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale;

§      l’articolo 20, comma 1, del D.P.R. n. 605 del 1973, relativo alla comunicazione all'anagrafe tributaria da parte delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici degli estremi dei contratti di appalto, di somministrazione e di trasporto conclusi mediante scrittura privata e non registrati;

§      l’articolo 1, comma 1, lettera c), ultimo periodo, del D.L. n. 746 del 1983, relativo alla comunicazione all'Agenzia delle entrate, esclusivamente per via telematica, dei dati relativi alle operazioni realizzate senza applicazione dell'imposta indicate nella apposita dichiarazione su tali acquisti o importazioni, attuata con provvedimento del direttore dell’Agenzia del 14 marzo 2005;

§      l’articolo 35, commi 28, 28-bis e 28-ter, del D.L. n. 223 del 2006, relativi alla responsabilità in solido dell'appaltatore con il subappaltatore, nei limiti dell'ammontare del corrispettivo dovuto, del versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente dovute dal subappaltatore all'erario in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del rapporto di subappalto di opere o di servizi.

 

Analogamente, il comma 4 dispone, dalla data di entrata in vigore del regolamento previsto dal successivo comma 5, la soppressione di alcune disposizioni contenute all’articolo 50, comma 6, del D.L. n. 331 del 1993, relative alla presentazione in via telematica all'Agenzia delle dogane degli elenchi riepilogativi delle cessioni e degli acquisti intracomunitari, nonché di talune prestazioni di servizi, ricevute da soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro della Comunità.

Il già richiamato comma 5 prevede l’emanazione di un regolamento ex articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, che ridefinisce le informazioni da annotare nei registri tenuti ai fini dell’assolvimento degli obblighi IVA, allo scopo di allineare il contenuto di tali registri alle segnalazioni di cui al primo comma del presente articolo, e abroga, in tutto o in parte, gli obblighi di trasmissione di dati e di dichiarazione contenenti informazioni già ricomprese nella medesima segnalazione.

Infine il comma 6 rinvia ad un decreto ministeriale avente natura non regolamentare, da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore del regolamento di cui al precedente comma 5, per l’attuazione delle disposizioni contenute nel presente articolo.

 

Si ricorda che un regime premiale per favorire la trasparenza fiscale era stato introdotto dal D.L. n. 201 del 2011 (articolo 10, commi 1-8) a decorrere dal 1° gennaio 2013. L’agevolazione è rivolta alle imprese (non soggette a Ires) ed ai professionisti che “collaborano” con l’amministrazione finanziaria fornendole i propri dati rilevanti ai fini fiscali, prevedendo per essi una serie di benefici fiscali e semplificazioni amministrative, oltre che l’assistenza fiscale direttamente da parte dell’Agenzia delle Entrate per molti adempimenti Iva e dei sostituti d’imposta.

Tale regime opzionale riguarda i soggetti che svolgono: attività artistica o professionale; attività di impresa individuale; attività di impresa nella forma delle società di persone. I benefici riconosciuti consistono:

a)    nella semplificazione degli adempimenti amministrativi;

b)    nell’assistenza, nei predetti adempimenti, da parte dell'Amministrazione finanziaria;

c)    nell’accelerazione del rimborso o della compensazione dei crediti IVA;

d)    per i contribuenti non soggetti all’accertamento basato sugli studi di settore, nell’esclusione dagli accertamenti basati sulle presunzioni semplici;

e)    nella riduzione di un anno dei termini di decadenza per l’attività di accertamento delle imposte dirette.

 

Per poter accedere ai predetti benefici il contribuente deve provvedere all’invio telematico all’amministrazione finanziaria dei corrispettivi, delle fatture emesse e ricevute e delle risultanze degli acquisti e delle cessioni non soggetti a fattura; egli deve altresì istituire un conto corrente dedicato ai movimenti finanziari relativi all’attività artistica, professionale o di impresa esercitata.

 

Ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate (ancora non emanato) è affidato il compito di individuare i benefici relativi alla semplificazione degli adempimenti amministrativi, l’assistenza da parte dell'Amministrazione finanziaria e l’accelerazione di rimborso e compensazione dei crediti IVA, con particolare riferimento agli obblighi concernenti l’imposta sul valore aggiunto e gli adempimenti dei sostituti d’imposta.


 

Articolo 51
(Soppressione dell’obbligo di presentazione mensile
del modello 770)

 

1. Il comma 1 dell'articolo 44-bis del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, è abrogato.

 

 

L’articolo 51 abroga il comma 1 dell’articolo 44-bis del D.L. n. 269 del 2003, relativo alla semplificazione della dichiarazione annuale presentata dai sostituti d’imposta attraverso la trasmissione mensile dei dati.

L’articolo 44-bis è stato inserito nel D.L. n. 269 del 2003 dall’articolo 1, comma 121, della legge finanziaria 2008 (legge n. 244/2007), e successivamente modificato dall’articolo 42, comma 2, del D.L. n. 207 del 2008, dall’articolo 1, comma 6, del D.L. n. 194 del 2009 e dall’articolo 29, comma 7, del D.L. n. 216 del 2011.

Le disposizioni introdotte dal citato articolo 44-bis avrebbero avuto lo scopo di semplificare la dichiarazione annuale presentata dai sostituti d’imposta tenuti al rilascio della certificazione di cui all’articolo 4, commi 6-ter e 6-quater, del D.P.R. n. 322 del 1998, recante il regolamento sulle modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive e all'imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell'articolo 3, comma 136, della legge n. 662 del 1996[56].

L’articolo 44-bis dispone che – originariamente - a partire dalle retribuzioni corrisposte con riferimento al mese di gennaio 2009 - i sostituti di imposta dovranno comunicare, mensilmente e per via telematica, direttamente o tramite gli intermediari abilitati, i dati retributivi e le informazioni necessarie per il calcolo delle ritenute fiscali e dei relativi conguagli, per il calcolo dei contributi, per l’implementazione delle posizioni assicurative individuali e per l’erogazione delle prestazioni. I sopra illustrati obblighi di comunicazione dovranno essere assolti mediante una dichiarazione mensile da presentare entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di riferimento.

Un primo intervento modificativo del testo è stato disposto dall’articolo 42, comma 2, del D.L. n. 207 del 2008, che ha differito il termine di riferimento al gennaio 2010. Successivamente l’articolo 1, comma 6, del D.L. n. 194 del 2009, oltre a differire tale termine al gennaio 2011, ha previsto altresì un periodo di sperimentazione a partire dal 2010, con modalità stabilite di concerto tra l’Agenzia delle entrate e l’Istituto nazionale della previdenza sociale – INPS. I termini sono stati quindi differiti dall’articolo 1, comma 1, del D.L. n. 225 del 2010 e, da ultimo, dal D.P.C.M. 25 marzo 2011.

Conseguentemente la formulazione previgente del comma 2 dell’articolo 42 risultava essere la seguente: “Il termine di decorrenza stabilito nel mese di gennaio 2009 dal comma 1 dell'articolo 44-bis del D.L. n. 269 del 2003, è prorogato al mese di gennaio 2014 previa sperimentazione, a partire dall'anno 2013, con modalità stabilite di concerto tra l'Agenzia delle entrate e l'Istituto nazionale della previdenza sociale.


 

Articolo 51-bis
(Ampliamento dell’assistenza fiscale)

 


1. A decorrere dall'anno 2014, i soggetti titolari dei redditi di lavoro dipendente e assimilati indicati agli articoli 49 e 50, comma 1, lettere a), c), c-bis), d), g), con esclusione delle indennità percepite dai membri del Parlamento europeo, i) e l), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in assenza di un sostituto d'imposta tenuto a effettuare il conguaglio, possono comunque adempiere agli obblighi di dichiarazione dei redditi presentando l'apposita dichiarazione e la scheda ai fini della destinazione del cinque e dell'otto per mille, con le modalità indicate dall'articolo 13, comma 1, lettera b), del regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 31 maggio 1999, n. 164, e successive modificazioni, ai soggetti di cui all'articolo 34, comma 4, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e agli altri soggetti che possono prestare l'assistenza fiscale ai sensi delle disposizioni contenute nel decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248.

2. Se dalle dichiarazioni presentate ai sensi del comma 1 emerge un debito, il soggetto che presta l'assistenza fiscale trasmette telematicamente la delega di versamento utilizzando i servizi telematici resi disponibili dall'Agenzia delle entrate ovvero, entro il decimo giorno antecedente la scadenza del termine di pagamento, consegna la delega di versamento compilata al contribuente che effettua il pagamento con le modalità indicate nell'articolo 19 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.

3. Nei riguardi dei contribuenti che presentano la dichiarazione ai sensi del comma 1, i rimborsi sono eseguiti dall'amministrazione finanziaria, sulla base del risultato finale delle dichiarazioni.

4. Per l'anno 2013, le dichiarazioni ai sensi del comma 1 possono essere presentate dal 2 al 30 settembre 2013, esclusivamente se dalle stesse risulta un esito contabile finale a credito. Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate sono stabiliti i termini e le modalità applicative delle disposizioni recate dal presente comma.


 

 

L’articolo 51-bis, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, prevede la possibilità, a decorrere dal 2014, per i soggetti titolari di taluni redditi di lavoro dipendente e assimilati indicati agli articoli 49 e 50 del TUIR, di poter usufruire dei centri di assistenza fiscale (CAF) e dei consulenti del lavoro, ai fini della presentazione della dichiarazione dei redditi anche in caso di assenza di un sostituto d'imposta che sia tenuto a effettuare il conguaglio.

Tale disposizione consente ai soggetti che, nell’attuale contesto di congiuntura economica, hanno cessato il rapporto di lavoro senza trovare un nuovo impiego, di ottenere in tempi rapidi il rimborso delle imposte, emergente dalla dichiarazione per l’anno 2012, senza attendere l’esito della liquidazione automatizzata della dichiarazione.

Viene pertanto estesa la possibilità di ricorrere ai CAF anche per quei soggetti che nell’anno 2013 si trovavano in una condizione di lavoratore dipendente, ma nell’anno successivo non risultano più tali e quindi non avrebbero potuto, ai sensi della normativa vigente, utilizzare un CAF in quanto non sussistendo più il rapporto di lavoro dipendente, non figura più il sostituto di imposta.

Gli effetti della disposizione si concretizzano nella possibilità di ottenere già nell’anno stesso (successivo a quello del rapporto di lavoro dipendente) eventuali rimborsi (credito) da parte dell’Amministrazione finanziaria; in caso contrario, effettuando la dichiarazione tramite modello UNICO il rimborso si sarebbe ottenuto dopo alcuni anni.

 

La disposizione in esame richiama i redditi da lavoro dipendente di cui all’art. 49 del TUIR (comprese le pensioni), nonché quelli assimilati (art. 50 del TUIR), limitatamente alle seguenti lettere del comma 1, lettere a), c), c-bis), d), g), con esclusione delle indennità percepite dai membri del Parlamento europeo, i) e l), del TUIR.

 

Il comma 2 specifica che, se dalle dichiarazioni presentate emerge un debito, il soggetto che presta l'assistenza fiscale trasmette telematicamente la delega di versamento utilizzando i servizi telematici resi disponibili dall'Agenzia delle entrate ovvero, entro il decimo giorno antecedente la scadenza dei termine di pagamento, consegna la delega di versamento compilata al contribuente che effettua il pagamento con le modalità indicate nell'articolo 19 del D.Lgs. n. 241 del 1997.

 

Il comma 3 specifica che eventuali rimborsi sono, tuttavia, effettuati dall’Amministrazione finanziaria dopo aver verificato la correttezza della dichiarazione (risultato finale delle dichiarazioni).

 

Il comma 4 reca una disposizione transitoria relativamente al 2013, prevedendo la possibilità di presentare le dichiarazioni dei redditi dal 2 al 30 settembre 2013, esclusivamente se dalle stesse risulta un esito contabile finale a credito. Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate sono stabiliti i termini e le modalità applicative di tale disposizione transitoria.

A tale disposizione è stata data attuazione con il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate 22 agosto 2013, pubblicato sul sito internet dell’Agenzia delle entrate in pari data, ai sensi dell’articolo 1, comma 361, della legge finanziaria 2008 (legge n. 244/2007).

http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/a303840040d1dcedbb24fb946923ac27/provvedimento_agosto_22.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=a303840040d1dcedbb24fb946923ac27


 

Articolo 52
(Disposizioni per la riscossione mediante ruolo)

 


1. Al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 19, sono apportate le seguenti modificazioni:

1) dopo il comma 1-quater è inserito il seguente:

«1-quinquies. La rateazione prevista dai commi 1 e 1-bis, ove il debitore si trovi, per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, può essere aumentata fino a centoventi rate mensili. Ai fini della concessione di tale maggiore rateazione, si intende per comprovata e grave situazione di difficoltà quella in cui ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:

a) accertata impossibilità per il contribuente di eseguire il pagamento del credito tributario secondo un piano di rateazione ordinario;

b) solvibilità del contribuente, valutata in relazione al piano di rateazione concedibile ai sensi del presente comma.»;

2) al comma 3, alinea, le parole «di due rate consecutive» sono sostituite dalle seguenti «, nel corso del periodo di rateazione, di otto rate, anche non consecutive»;

b) all'articolo 52:

1) al comma 2-bis le parole: « e 79,» sono sostituite dalle seguenti: «, 79 e 80, comma 2, lettera b),»;

2) dopo il comma 2-bis, sono aggiunti i seguenti:

«2-ter. Nel caso in cui il debitore eserciti la facoltà di cui al comma 2-bis, la vendita del bene deve aver luogo entro i cinque giorni antecedenti la data fissata, ai sensi degli articoli 66 e 78, per il primo incanto, ovvero la nuova data eventualmente fissata per effetto della nomina di cui all'articolo 80, comma 2, lettera b).

2-quater. Se la vendita di cui al comma 2-ter non ha luogo nei cinque giorni antecedenti la data fissata per il primo incanto e vi è necessità di procedere al secondo, il debitore, entro il giorno che precede tale incanto, può comunque esercitare la facoltà prevista dal comma 2-bis al prezzo stabilito ai sensi degli articoli 69 e 81.»;

c) all'articolo 53, comma 1, le parole «centoventi» sono sostituite dalle seguenti: «duecento»;

d) all'articolo 62:

1) il comma 1, è sostituito dal seguente:

«1. I beni di cui all'articolo 515, terzo comma, del codice di procedura civile, anche se il debitore è costituito in forma societaria ed in ogni caso se nelle attività del debitore risulta una prevalenza del capitale investito sul lavoro, possono essere pignorati nei limiti di un quinto, quando il presumibile valore di realizzo degli altri beni rinvenuti dall'ufficiale esattoriale o indicati dal debitore non appare sufficiente per la soddisfazione del credito.»;

2) dopo il comma 1, è inserito il seguente:

«1-bis. Nel caso di pignoramento dei beni di cui al comma 1, la custodia è sempre affidata al debitore ed il primo incanto non può aver luogo prima che siano decorsi trecento giorni dal pignoramento stesso. In tal caso, il pignoramento perde efficacia quando dalla sua esecuzione sono trascorsi trecentosessanta giorni senza che sia stato effettuato il primo incanto.»;

e) all'articolo 72-bis, comma 1, lett. a) la parola: «quindici» è sostituita dalla seguente: «sessanta»;

f) all'articolo 72-ter, dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:

«2-bis. Nel caso di accredito delle somme di cui ai commi 1 e 2 sul conto corrente intestato al debitore, gli obblighi del terzo pignorato non si estendono all'ultimo emolumento accreditato allo stesso titolo.»;

g) all'articolo 76, il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. Ferma la facoltà di intervento ai sensi dell'articolo 499 del codice di procedura civile, l'agente della riscossione:

a) non dà corso all'espropriazione se l'unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente;

a-bis) non dà corso all'espropriazione per uno specifico paniere di beni definiti "beni essenziali" e individuato con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze d'intesa con l'Agenzia delle entrate e con l'Istituto nazionale di statistica;

b) nei casi diversi da quello di cui alla lettera a), può procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui procede supera centoventimila euro. L'espropriazione può essere avviata se è stata iscritta l'ipoteca di cui all'articolo 77 e sono decorsi almeno sei mesi dall'iscrizione senza che il debito sia stato estinto.»;

h) all'articolo 77, comma 1-bis, dopo le parole «comma 1,» sono inserite le seguenti: «anche quando non si siano ancora verificate le condizioni per procedere all'espropriazione di cui all'art. 76, commi 1 e 2,»;

i) all'articolo 78, dopo il comma 2, è aggiunto il seguente:

«2-bis. Se, per effetto delle nomine previste dall'articolo 80, comma 2, il primo incanto non può essere effettuato nella data indicata nell'avviso di vendita, l'agente della riscossione fissa i nuovi incanti e notifica al soggetto nei confronti del quale procede, il relativo avviso contenente le informazioni di cui al comma 1, lettera d) del presente articolo.»;

l) all'articolo 80:

1) dopo il comma 1, è inserito il seguente:

«1-bis. Entro il termine di cui al comma 1, l'avviso di vendita è pubblicato sul sito internet dell'agente della riscossione.»;

2) il comma 2, è sostituito dal seguente:

«2. Su istanza del soggetto nei confronti del quale si procede o dell'agente della riscossione, il giudice può disporre:

a) che degli incanti, ferma la data fissata per gli stessi, sia data notizia al pubblico a mezzo di giornali o con altre idonee forme di pubblicità commerciale;

b) la vendita al valore stimato con l'ausilio di un esperto da lui nominato, nel caso in cui ritenga che il valore del bene, determinato ai sensi dell'articolo 79, sia manifestamente inadeguato. Se l'agente della riscossione lo richiede, il giudice può nominare un ausiliario che riferisca sulle caratteristiche e sulle condizioni del bene pignorato, e può assegnare ad esso la funzione di custode del bene.»;

3) dopo il comma 2, è aggiunto il seguente:

«2-bis Nei casi di cui al comma 2, le spese sono anticipate dalla parte richiedente e liquidate dal giudice in prededuzione. In deroga a quanto disposto dall'articolo 53, comma 1, il pignoramento non perde efficacia se, per effetto delle nomine di cui al comma 2 del presente articolo, il primo incanto non può essere effettuato entro duecento giorni dall'esecuzione del pignoramento stesso.»;

m) all'articolo 85, comma 1, le parole: «minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede» sono sostituite dalle seguenti: «prezzo base del terzo incanto»;

m-bis) all'articolo 86, il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. La procedura di iscrizione del fermo di beni mobili registrati è avviata dall'agente della riscossione con la notifica al debitore o ai coobbligati iscritti nei pubblici registri di una comunicazione preventiva contenente l'avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà eseguito il fermo, senza necessità di ulteriore comunicazione, mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari, salvo che il debitore o i coobbligati, nel predetto termine, dimostrino all'agente della riscossione che il bene mobile è strumentale all'attività di impresa o della professione».

2. All'articolo 10, comma 13-quinquies, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, le parole «31 dicembre» sono sostituite dalle seguenti: «30 settembre».

3. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da adottare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge sono stabilite le modalità di attuazione e monitoraggio degli effetti derivanti dall'applicazione del meccanismo di rateazione di cui al comma 1, lettera a).

3-bis. Entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Governo riferisce alle Camere, con apposita relazione, sugli effetti di ognuna delle misure di cui al presente articolo, ai fini di una puntuale valutazione della loro efficacia, con particolare riferimento: all'introduzione di una franchigia di 120.000 euro per l'espropriazione degli immobili diversi dalla casa di abitazione non di lusso; all'innalzamento a 120 del numero massimo di rate in cui possono essere ripartiti i debiti; all'ampliamento a otto del numero di rate il cui mancato pagamento fa venir meno il beneficio della rateizzazione dei debiti.


 

 

L’articolo 52, comma 1, modifica e integra la disciplina della riscossione delle imposte contenuta nel D.P.R. n. 602 del 1973, prevedendo una serie di misure finalizzate ad agevolare i contribuenti in difficoltà economica o con momentanea carenza di liquidità.

 

La norma è volta a migliorare le relazioni con i debitori, anche in ragione dell'impegno assunto dal Governo con la risoluzione in Commissione VI Finanze della Camera, atto n. 7/00014, del 21 maggio 2013 (Risoluzione conclusiva atto n. 8/00002 approvata il 22 maggio 2013). In particolare rispetto all’atto di indirizzo parlamentare sono state attuate le seguenti indicazioni:

§      è ampliata fino a dieci anni la possibilità di rateazione del pagamento delle imposte (120 rate mensili), nei casi di comprovata e grave situazione di difficoltà, eventualmente prorogabile per altri dieci anni (la normativa previgente prevede che la dilazione possa essere concessa fino a 72 rate, prorogabili per lo stesso periodo). A tal fine, devono ricorrere congiuntamente due condizioni:

-       l’accertata impossibilità per il contribuente di assolvere il pagamento secondo un piano di rateazione ordinario;

-       la solvibilità del contribuente valutata in relazione al piano di rateazione richiesto;

§      è ampliato a otto il numero di rate non pagate, anche non consecutive, a partire dal quale il debitore decade dal beneficio della rateizzazione del proprio debito tributario;

§      viene stabilità l’impignorabilità sulla prima ed unica casa di abitazione a fronte di debiti iscritti a ruolo; per gli altri immobili del debitore l'agente della riscossione può procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui si procede è superiore a centoventimila euro (il precedente limite era di ventimila euro);

§      i limiti di pignorabilità dei beni strumentali, previsti dall'articolo 515 del codice di procedura civile, sono estesi ai debitori costituiti in forma societaria;

§      si dà impulso alla revisione del sistema di remunerazione della riscossione, prevedendo l'adozione del relativo decreto ministeriale entro il 30 settembre (comma 2).

Sono inoltre previste le seguenti misure:

§      la vendita in proprio dei beni pignorati, per la quale può essere effettuata la stima di un esperto nominato dal giudice, deve avvenire nei cinque giorni antecedenti il primo incanto; per consentire al debitore di disporre di un congruo termine per esercitare concretamente la predetta facoltà di vendita in proprio il termine di efficacia del pignoramento è prolungato da centoventi a duecento giorni;

§      sono escluse dal pignoramento presso terzi le somme depositate sul conto corrente del debitore dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, relative all’ultimo emolumento accreditato.

 

Non sono stati recepiti gli ulteriori criteri indicati nella citata risoluzione. Si tratta, in particolare, della riduzione degli interessi di mora in caso di ritardato pagamento e della limitazione del principio del solve et repete previsto dall’articolo 15 del D.P.R. n. 602/1973, secondo il quale il contribuente che presenti ricorso in sede giurisdizionale avverso atti di accertamento tributario relativi ad imposte dirette o IVA deve comunque versare un terzo della somma richiesta dall'amministrazione.

 

L’articolo reca inoltre una norma in materia di fermo amministrativo dei beni mobili registrati, prevedendo che l’agente della riscossione notifichi una comunicazione preventiva con la quale avvisa che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di 30 giorni, sarà eseguito il fermo; se entro tale termine il debitore dimostra che il bene in questione è strumentale all’attività di impresa o della professione il fermo non è eseguito.

Ai sensi del comma 3-bis, il Governo riferisce alle Camere, entro il 21 maggio 2014 (ossia nove mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame, in vigore dal 21 agosto 2013), sugli effetti di ognuna delle misure di cui al presente articolo, ai fini di una loro puntuale valutazione di efficacia. La relazione del Governo, in particolare, deve dar conto degli effetti derivanti:

§      dall'introduzione di una franchigia di centoventimila euro per l'espropriazione degli immobili diversi dalla casa di abitazione non di lusso;

§      dall'innalzamento a 120 del numero massimo di rate in cui possono essere ripartiti i debiti;

§      dall'ampliamento a 8 del numero di rate il cui mancato pagamento fa venir meno il beneficio della rateizzazione dei debiti.

Rateazione

La lettera a) del comma 1, aggiungendo il comma 1-quinquies all’articolo 19 del DPR n. 602 del 1973, prevede l’estensione fino a dieci anni della possibilità di rateazione del pagamento delle imposte (120 rate mensili), nei casi di comprovata e grave situazione di difficoltà, per ragioni estranee alla propria responsabilità, eventualmente prorogabile per lo stesso periodo (la normativa previgente prevede che la dilazione possa essere concessa fino a 72 rate, prorogabili per lo stesso periodo). A tal fine, devono ricorrere congiuntamente due condizioni:

§      l’accertata impossibilità per il contribuente di assolvere il pagamento secondo un piano di rateazione ordinario;

§      la solvibilità del contribuente valutata in relazione al piano di rateazione richiesto.

La decadenza dal beneficio della rateizzazione scatta nel caso del mancato pagamento di otto rate anche non consecutive (in luogo delle previgenti due rate consecutive). In tal caso il comma 3 dell’articolo 19 del D.P.R. n. 602/1973 prevede che: il debitore decade automaticamente dal beneficio della rateazione; l'intero importo iscritto a ruolo ancora dovuto è immediatamente ed automaticamente riscuotibile in unica soluzione; il carico non può più essere rateizzato.

 

Si evidenzia che Equitalia, con una nota interna del 1° luglio 2013, ha diramato le proprie istruzioni volte ad adeguare la propria azione alla nuova normativa, anche alle procedure in corso. In particolare, la nota afferma la decorrenza immediata della norma che estende da due ad otto il numero di rate non pagate, anche non consecutive, per la decadenza dal beneficio della rateazione. La nota di Equitalia, con riferimento ai contribuenti decaduti dal beneficio per il mancato pagamento di due rate, ipotizza una disciplina di favore per i debitori che eviti loro di essere esclusi dalla fruizione dell’agevolazione introdotta. In attesa dei possibili chiarimenti, pertanto, nella nota si ritiene opportuno che le strutture preposte si astengano dall’attivare iniziative di riscossione nei confronti di coloro che risultino dovessero versare nella situazione anzidetta.

 

La fattispecie prevista dalla norma in esame si aggiunge all’ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà, prevista dal comma 1 dell’articolo 19, per il quale è già ammessa una rateazione in 72 rate mensili, e all’ipotesi di comprovato peggioramento della situazione di obiettiva difficoltà, per il quale il comma 1-bis consente un ulteriore periodo di dilazione del pagamento fino a 72 mesi. Si rammenta che il comma 1-ter (inserito dal D.L. n. 16/2012) consente un piano di rateazione con rate di importo crescente (l’importo minimo della rata è di 100 euro).

Si segnala che il comma 3 dell’articolo in esame prevede che, entro 30 giorni dalla data di conversione del decreto-legge in esame, un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze stabilisca le modalità di attuazione e monitoraggio degli effetti derivanti dall’applicazione del meccanismo di rateazione inserito con la norma in commento.

Tale decreto, al momento della redazione del presente dossier, non risulta ancora emanato.

Vendita in proprio dei beni pignorati

La lettera b) del comma 1 modifica e integra con due nuovi commi (2-ter e 2-quater) l’articolo 52 del D.P.R. n. 602/1973, in materia di vendita di beni pignorati a seguito di esecuzione forzata per debiti tributari. Tale articolo è stato in precedenza modificato dal D.L. n. 201 del 2011 (articolo 10, comma 13-terdecies) il quale ha consentito al contribuente sottoposto a esecuzione forzata – in luogo dell’agente della riscossione - di mettere direttamente in vendita i beni pignorati o ipotecati, versando all’erario l’intero ricavato. La vendita deve avvenire con il consenso dell’agente della riscossione, il quale interviene nell’atto di cessione. L’eccedenza è rimborsata al debitore entro dieci giorni lavorativi.

 

La lettera b) al n. 1), per la determinazione del valore del bene oggetto di vendita, aggiunge ai rimandi agli articoli 68 e 79 del D.P.R. n. 602/1973, l’articolo 80, comma 2, lettera b), il quale prevede per la vendita di un immobile la stima di un esperto nel caso in cui il giudice, su istanza del debitore o dell’agente della riscossione, ritenga che il valore determinato ai sensi dell’articolo 79 sia manifestamente inadeguato (l’articolo 80 è stato così modificato dalla lettera l), si veda oltre).

 

La lettera b) al n. 2) introduce i commi 2-ter e 2-quater all’articolo 52 con i quali viene precisato che la vendita in proprio del bene pignorato o ipotecato deve avvenire nei cinque giorni antecedenti il primo incanto. Si prevede, inoltre, che qualora ciò non abbia luogo e l'agente della riscossione attivatosi per la vendita coattiva abbia necessità di procedere al secondo incanto, il debitore possa comunque esercitare la facoltà di vendita diretta entro il giorno antecedente la data stabilita per il secondo incanto.

La lettera c), modificando il comma 1 dell’articolo 53, prolunga il termine di efficacia del pignoramento da centoventi a duecento giorni, al fine di consentire al debitore di disporre di un congruo termine per esercitare concretamente la predetta facoltà di vendita in proprio.

Limite al pignoramento dei beni strumentali

La lettera d), modificando l’articolo 62 del D.P.R. n. 602/73, estende alle imprese che abbiano forma giuridica di società e nei casi di prevalenza del capitale sul lavoro i limiti alla pignorabilità dei beni strumentali già riconosciuti dal codice di procedura civile alle ditte individuali. Il pignoramento può riguardare al massimo un quinto dei beni aziendali, e può essere effettuato solo laddove non sia congruo il valore di presumibile realizzo degli altri beni del debitore (nuovo comma 1).

Si prevede, inoltre, che nel caso di pignoramento dei beni strumentali il debitore ne sia obbligatoriamente nominato custode. La vendita all’asta non può avvenire prima che siano trascorsi almeno trecento giorni e non dopo i successivi sessanta giorni (comma 1-bis).

Il comma 3 dell’articolo 515 del codice di procedura civile, richiamato dalla norma in esame, prevede che gli strumenti, gli oggetti e i libri indispensabili per l’esercizio della professione, dell’arte o del mestiere del debitore possono essere pignorati nei limiti di un quinto, quando il presumibile valore di realizzo degli altri beni rinvenuti dall’ufficiale giudiziario o indicati dal debitore non appare sufficiente per la soddisfazione del credito. Il secondo periodo del comma 3 prevede, inoltre, che il predetto limite non si applica per i debitori costituiti in forma societaria e in ogni caso se nelle attività del debitore risulta una prevalenza del capitale investito sul lavoro.

Pignoramento presso terzi (stipendi e pensioni)

Con le lettere e) e f) sono adottate misure volte ad attenuare alcuni effetti del pignoramento presso terzi, in particolar modo nel caso di stipendi e pensioni accreditati su conto corrente, al fine di evitare che vengano meno i limiti alla relativa pignorabilità.

La lettera e) modificando l'articolo 72-bis del D.P.R. n. 602 del 1973 (in materia di pignoramento dei crediti verso terzi) eleva da quindici a sessanta giorni il termine entro il quale il terzo pignorato deve pagare il credito direttamente all’agente della riscossione.

Ciò consentirebbe al debitore che abbia fondate ragioni da opporre all'iniziativa di riscossione avviata di attivare, in tempi consoni, le tutele del caso, evitando che, nelle more, il terzo disponga l'accredito delle somme pignorate.

 

La lettera f) aggiunge il comma 2-ter all’articolo 72-ter del D.P.R. n. 602/1973, inserito dal D.L. n. 16 del 2012 al fine di graduare i limiti di pignorabilità degli stipendi (ovvero di altre indennità relative al rapporto di lavoro).

Si ricorda che l’articolo 72-ter prevede la misura del quinto dello stipendio (prevista dall’articolo 545 del c.p.c.) come intaccabile dal pignoramento nel caso di salario avente un importo superiore a 5.000. Per gli importi fino a 2.500 euro si prevede il limite di pignorabilità da parte dell’agente della riscossione in misura pari a un decimo. Per gli importi tra 2.500 e 5.000 euro la misura è di un settimo.

Con il comma 2-ter in commento sono escluse dal pignoramento le somme depositate sul conto corrente del debitore dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, relative all’ultimo emolumento accreditato.

Tale norma è volta ad ovviare al rischio del venir meno dei limiti alla pignorabilità degli stipendi e delle pensioni, tenuto conto che il D.L. n. 201 del 2011 ha imposto l'accredito degli emolumenti retributivi e pensionistici superiori a 1000 sul conto corrente bancario/postale e, considerato che, per costante e consolidato orientamento giurisprudenziale, le somme di danaro, una volta depositate sul conto, perdono qualsiasi connessione con la eventuale speciale destinazione delle stesse, ovvero con il titolo per il quale sono versate in favore dell'avente diritto

Si evidenzia al riguardo che Equitalia, con nota interna del 22 aprile 2013, aveva stabilito di non procedere al pignoramento sui conti correnti di banche e poste dove affluiscono i redditi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati di importo inferiore a 5 mila euro. Si tratta di un'iniziativa interna di Equitalia per tutelare le fasce più deboli dei cittadini in attesa dell’intervento normativo. 

Con la successiva nota interna del 1° luglio 2013 Equitalia ha diramato le proprie istruzioni volte ad adeguare la propria azione alla nuova normativa, anche alle procedure in corso. Con riferimento alla tematica in esame si prevede il superamento delle disposizioni impartite con la precedente nota del 22 aprile.

Limiti alla espropriazione immobiliare

Le successive lettere g), h), i), l) e m) intervengono in materia di espropriazione immobiliare. In primo luogo si prevede la impignorabilità dell’unica casa di abitazione (non di lusso) del debitore, escludendo la possibilità che l'agente possa avviare l'espropriazione forzata immobiliare. Nell'ipotesi di espropriazione iniziata da creditori privati, è riconosciuto al creditore pubblico il diritto di intervento secondo i principi generali dell'ordinamento processuale.

In particolare la lettera g) sostituisce il primo comma dell’articolo 76 (espropriazione immobiliare) del D.P.R. n. 602/1973, facendo salva, in primo luogo, la facoltà di intervento dell’agente della riscossione nella procedura di espropriazione iniziata da altri creditori, prevista dall’articolo 499 del codice di procedura civile per i creditori.

La norma in esame (lettera a)) prevede che l’agente della riscossione non può dare corso all’espropriazione dell’unico immobile di proprietà del debitore, qualora esso costituisca la sua casa di abitazione dove risiede anagraficamente. Sono esclusi da questa previsione le case di lusso aventi le caratteristiche individuate dal D.M. n. 218 del 1969 (Caratteristiche delle abitazioni di lusso) e i fabbricati delle categorie catastali A/8 (abitazioni in ville) e A/9 (castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici).

Nel corso dell’esame parlamentare è stato individuato un ulteriore limite alla espropriazione immobiliare. Mediante l’inserimento della lettera a-bis) al comma 1 dell’articolo 76 del D.P.R. n. 602/1973, si prevede che l'agente della riscossione non dà corso all’espropriazione per uno specifico paniere di beni definiti “beni essenziali” che deve essere individuato con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze in accordo con l’Agenzia delle entrate e l’ISTAT.

Si osserva al riguardo che facendo riferimento a un “paniere di beni” la norma sembra riguardare beni mobili. In tal caso andrebbe riferita non all’articolo 76, ma all’articolo 62 del D.P.R. n. 602/1973.

 

Per gli altri beni immobili del debitore (abitazioni non prima casa, case di lusso, fabbricati A/8 e A/9) l'agente della riscossione può procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui si procede è superiore a centoventimila euro (il precedente limite, modificato da ultimo dal D.L. n. 16 del 2012, era di ventimila euro). Si prevede, inoltre, che in tal caso l’espropriazione può essere avviata se è stata iscritta ipoteca (di cui all’articolo 77) e sono decorsi almeno sei mesi dall’iscrizione senza che il debito sia stato estinto (lettera b)).

Si evidenzia che ai sensi del comma 1 dell’articolo 77 l’iscrizione dell’ipoteca può avvenire solo dopo che siano decorsi sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, salve le disposizioni relative alla dilazione ed alla sospensione del pagamento.

 

La lettera h), modificando il comma 1-bis dell’articolo 77, precisa che l’ipoteca può essere iscritta anche quando non si siano ancora verificate le condizioni per procedere all'espropriazione immobiliare (ossia anche nei casi sopra descritti: unica casa di abitazione e per gli altri immobili per credito inferiore a centoventimila euro), purché l'importo complessivo del credito per cui si procede non sia inferiore complessivamente a ventimila euro.

La finalità di garanzia dell’ipoteca immobiliare non è necessariamente preordinata all’esecuzione. Essa, infatti, mira ad impedire, in primo luogo, che siano pregiudicate le ragioni creditorie degli enti impositori per i quali l'agente della riscossione procede, nel caso in cui altri creditori avviino l'espropriazione o impongano altri vincoli reali sul bene gravato dalla cautela. Ha, del pari, la finalità di assicurare il diritto di prelazione sul ricavato della vendita conseguente all'esproprio promosso da altri e, nell'ipotesi di fallimento del debitore, di consentire all'agente della riscossione di soddisfarsi ugualmente con prelazione sul ricavato. L'iscrizione comporta, inoltre, il diritto di sequela. Il debitore resta, infatti, libero di disporre del bene ipotecato, ma il trasferimento eventualmente disposto nonostante l'iscrizione della cautela non è opponibile all'agente della riscossione, che può soddisfarsi sul bene acquisito da terzi.

Le lettere i) e l) integrano le norme previste per la pubblicità degli incanti e per la stima del valore dell’immobile pignorato.

In particolare si prevede che gli agenti della riscossione, per rendere quanto più proficue le operazioni di vendita, hanno l'obbligo di pubblicizzare la vendita stessa sui siti delle proprie società di riscossione (articolo 80, comma 1-bis).

Il giudice, su istanza del debitore o dell’agente della riscossione, nel caso in cui ritenga che il prezzo base, determinato ai sensi dell’articolo 79, sia manifestamente inadeguato, nomina un esperto per effettuare la stima. L’agente della riscossione può richiedere la nomina di un ausiliario per l'identificazione delle caratteristiche del bene o per esigenze di custodia (articolo 80, comma 2).

Nei casi in cui il giudice abbia disposto la pubblicità degli incanti a mezzo di giornali o con altre forme di pubblicità commerciale, ovvero abbia nominato un esperto per la stima, ovvero un ausiliario per la relazione sulle condizioni del bene pignorato e per la custodia, le spese sono anticipate dalla parte richiedente e liquidate dal giudice in prededuzione, ovvero in via prioritaria (articolo 80, comma 2-bis).

Nel caso in cui siano state effettuate le nomine sopradette (esperto o ausiliario) il pignoramento non perda efficacia se il primo incanto, a causa delle nomine, non può essere effettuato entro il nuovo termine di legge, ovvero duecento giorni (articolo 80, comma 2-bis). In tal caso, l'agente della riscossione ha l'onere di fissare i nuovi incanti e di notificare il relativo avviso al soggetto nei confronti del quale si procede (articolo 78, comma 2-bis).

 

La lettera m) modifica il comma 1 dell’articolo 85 (Assegnazione dell'immobile allo Stato) prevedendo che nel caso in cui anche il terzo incanto abbia avuto esito negativo l’immobile invenduto venga devoluto allo Stato al prezzo base del terzo incanto (in precedenza era previsto il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede).

La Corte costituzionale con la sentenza n. 281 del 2011 ha dichiarato l’illegittimità della precedente versione della norma in questione, imponendo al legislatore di rivedere la misura del prezzo di assegnazione dell’immobile invenduto, in quanto l'importo del credito per il quale si procede non ha alcuna relazione con il valore dell'immobile. La Corte ha pertanto suggerito di far riferimento al prezzo del terzo incanto, salvo diversa valutazione del legislatore che però sia in ragionevole rapporto con il valore del bene pignorato.

 

Equitalia, con una nota interna del 1° luglio 2013, ha diramato le proprie istruzioni volte ad adeguare la propria azione alla nuova normativa, anche alle procedure in corso. In particolare devono essere sospese le espropriazioni in corso sulla prima ed unica casa di abitazione del debitore. Sono sospese, inoltre, le espropriazioni immobiliari pendenti alla data di entrata in vigore del decreto in esame qualora: l’importo del credito per cui si procede non supera centoventimila euro; non sia stata iscritta preventivamente l’ipoteca o non siano decorsi almeno sei mesi dall’iscrizione della stessa senza che il debito sia stato estinto.

Procedura di fermo di beni mobili registrati

La lettera m-bis) sostituisce il comma 2 dell’articolo 86 (Fermo di beni mobili registrati).

La formulazione previgente prevedeva che il fermo si eseguisse mediante iscrizione del provvedimento relativo nei registri mobiliari a cura del concessionario, che ne avrebbe dato altresì comunicazione al soggetto nei confronti del quale si procede. Con decreto del Ministro delle finanze n. 503 del 1998 è stato adottato il regolamento recante norme in materia di fermo amministrativo di veicoli a motore ed autoscafi.

La nuova formulazione provvede a dettagliare ulteriormente tale procedura di iscrizione del fermo di beni mobili registrati:

§      l’agente della riscossione, prima dell’esecuzione del fermo, non provvede automaticamente all’iscrizione nei registri mobiliari, ma avvia la procedura provvedendo a notificare al debitore o ai coobbligati iscritti nei pubblici registri comunicazione preventiva, con la quale di avvisa che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di 30 giorni, sarà eseguito il fermo, senza necessità di ulteriore comunicazione, mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari;

§      entro tale termine di 30 giorni tuttavia il debitore o i coobbligati possono dimostrare all’agente della riscossione che il bene mobile in questione è strumentale all’attività di impresa o della professione. In tal caso non si provvederà al fermo del mezzo.

Remunerazione degli agenti della riscossione

Il comma 2, modificando l’articolo 10, comma 13-quinquies, del D.L. n. 201 del 2011, anticipa al 30 settembre 2013 (in luogo del 31 dicembre) il termine entro il quale devono essere adottati i decreti non regolamentari del Ministro dell’economia e delle finanze che calcolano annualmente il rimborso spettante agli agenti della riscossione e in materia di rimborso spese, propedeutici all’avvio del nuovo sistema di remunerazione degli agenti della riscossione.

 

L’articolo 10, ai commi da 13-quater a 13-septies del D.L. n. 201 del 2011, ha previsto la riforma del sistema della remunerazione degli agenti della riscossione. Sino all’entrata in vigore dei provvedimenti attuativi della nuova disciplina resta ferma l’antecedente disciplina in materia di remunerazione degli agenti della riscossione, recata dall’articolo 17 del D.Lgs. n. 112/1999 nella sua antecedente formulazione. In attesa dell'entrata in vigore di detta riforma, il D.L. n. 95 del 2012 ha previsto (articolo 5, comma 1) una riduzione dell'aggio di un punto percentuale sui ruoli emessi dal 1° gennaio 2013 (che dunque passa dal nove all’otto per cento a decorrere dalla predetta data).

In sostanza, il sistema di remunerazione con aggio è sostituito da un rimborso percentuale, alla cui determinazione si deve procedere in base ad elementi connessi ad elementi di fatto come l’andamento della riscossione, ma anche in rapporto a indicatori di produttività ed efficienza dell’agente unico della riscossione.

Il rimborso è posto a carico del debitore nella misura del cinquantuno per cento, nel caso di pagamento tempestivo (entro sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento). La parte rimanente rimane a carico dell’ente creditore. Per pagamenti tardivi (successivi ai sessanta giorni dalla notifica) il rimborso è interamente a carico del contribuente.

Relazione del Governo alle Camere

Il comma 3 dell’articolo in esame prevede che, entro 30 giorni dalla data di conversione del decreto-legge in esame, un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze stabilisca le modalità di attuazione e monitoraggio degli effetti derivanti dall’applicazione del meccanismo di rateazione inserito con la norma in commento (comma 1, lettera a)). Come già anticipato in precedenza, al momento della redazione del presente dossier tale decreto non risulta ancora emanato.

Il comma 3-bis prevede che il Governo riferisca alle Camere, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, sugli effetti di ognuna delle misure di cui al presente articolo, ai fini di una loro puntuale valutazione di efficacia.

La relazione del Governo, in particolare, deve dar conto degli effetti derivanti:

§      dall'introduzione di una franchigia di 120.000 euro per l'espropriazione degli immobili diversi dalla casa di abitazione non di lusso;

§      dall'innalzamento a 120 del numero massimo di rate in cui possono essere ripartiti i debiti;

§      dall'ampliamento a 8 del numero di rate il cui mancato pagamento fa venir meno il beneficio della rateizzazione dei debiti.


 

Articolo 53
(Disposizioni per la gestione delle entrate tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate)

 


1. Il comma 2-ter dell'articolo 10 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, è sostituito dal seguente:

«2-ter. Al fine di favorire il compiuto, ordinato ed efficace riordino della disciplina delle attività di gestione e riscossione delle entrate dei Comuni, anche mediante istituzione di un Consorzio, che si avvale delle società del Gruppo Equitalia per le attività di supporto all'esercizio delle funzioni relative alla riscossione, i termini di cui all'articolo 7, comma 2, lettera gg-ter), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, e all'articolo 3, commi 24, 25 e 25-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, sono stabiliti inderogabilmente al 31 dicembre 2013.».


 

 

L’articolo 53 proroga al 31 dicembre 2013 l’operatività delle vigenti disposizioni in materia di gestione delle entrate locali (anche per le entrate di natura diversa dai tributi di tutti gli enti territoriali, non solo dei comuni), consentendo anche ai concessionari diversi da Equitalia di proseguire le attività di accertamento e riscossione di entrate locali, purché in presenza dei requisiti per l'iscrizione all’albo dei soggetti abilitati ad accertare e riscuotere le entrate locali.

 

La norma interviene modificando il comma 2-ter dell’articolo 10, del decreto-legge n. 35 del 2013, che aveva consentito ai comuni di continuare ad avvalersi di Equitalia per la riscossione dei tributi fino al 31 dicembre 2013. Tale norma consentiva quindi - solo per la predetta attività di riscossione dei tributi (e non anche per le entrate di natura diversa) - di superare la scadenza del 30 giugno 2013, a decorrere dalla quale la società Equitalia e le società per azioni dalla stessa partecipata avrebbero cessato - secondo quanto stabilito all'articolo 7, lettera gg-ter), del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, e successive proroghe - di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate dei comuni e delle società da questi ultimi partecipate.

Tale termine, inizialmente fissato al 1° gennaio 2012, era stato successivamente prorogato al 31 dicembre 2012 dal decreto – legge n. 201 del 2011 e, quindi, al 30 giugno 2013 dall’articolo 9, comma 4, del decreto-legge n. 174 del 2012, in attesa del riordino della disciplina delle attività di gestione e riscossione delle entrate degli enti territoriali.

Il citato decreto-legge n. 174 del 2012 conteneva anche la proroga - sempre al 30 giugno 2013 - dell’operatività delle disposizioni in materia di gestione delle entrate locali (di tutti gli enti territoriali, non solo dei comuni), contenute in particolare nell’articolo 3, commi 24, 25 e 25-bis del decreto-legge n. 203 del 2005, riguardanti le società concessionarie diverse da Equitalia. Tale termine non è stato peraltro prorogato dal D.L. 35 del 2013, restando confermata la scadenza, per le predette società, al 30 giugno 2013.

 

La norma in commento allinea quindi tutte le scadenze al 31 dicembre 2013 al fine di favorire il riordino della disciplina delle attività di gestione e riscossione delle entrate dei Comuni, anche mediante istituzione di un consorzio, che si avvale delle società del Gruppo Equitalia per le attività di supporto all’esercizio delle funzioni relative alla riscossione.

 

La disciplina dei consorzi tra enti locali è contenuta nell’articolo 31 TUEL ed è stata integrata dal comma 28 dell’art. 2 della legge finanziaria 2008 (legge 244/2007).

L'art. 2, comma 186, lett. e), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, ha stabilito che i comuni devono procedere alla soppressione dei consorzi di funzioni tra enti locali, facendo salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti. I comuni assumono le funzioni esercitate dai consorzi soppressi nonché le relative risorse, con successione ai medesimi consorzi in tutti i rapporti giuridici in essere e ad ogni altro effetto.

Infine, l’art. 19, del decreto-legge n. 95 del 2012 ha previsto che i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 se appartenenti a comunità montane, esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, le funzioni fondamentali elencate nel medesimo articolo 19, ad esclusione di quelle relative allo stato civile.

 

In relazione all’eventuale istituzione di un consorzio, si osserva che la disposizione reintroduce l'istituto del consorzio, abrogato dalla legge, seppur limitandolo all'esercizio della funzione di riscossione, senza peraltro chiarire le modalità di istituzione nonché i compiti e le funzioni attribuiti al medesimo.

 

Per quanto riguarda il riordino della riscossione delle entrate degli enti locali, si ricorda che l'Assemblea della Camera ha approvato in prima lettura il testo unificato delle proposte di legge nn. 282-950-1122-1339-A, col quale si conferisce una delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita. In materia di riordino della riscossione delle entrate locali, si dispone la revisione della procedura dell’ingiunzione fiscale e delle ordinarie procedure di riscossione coattiva dei tributi, per adattarle alla riscossione locale. Si intende procedere inoltre alla revisione dei requisiti per l’iscrizione all’albo dei concessionari, all’emanazione di linee guida per la redazione di capitolati, nonché a introdurre strumenti di controllo e a garantire la pubblicità. Le attività di riscossione devono essere assoggettate a regole pubblicistiche, prevedendo, in particolare, che gli enti locali possano riscuotere i tributi e le altre entrate con lo strumento del ruolo esclusivamente in forma diretta o con società interamente partecipate, ovvero avvalendosi delle società del Gruppo Equitalia s.p.a.; i soggetti operano secondo un codice deontologico, con specifiche cause di incompatibilità per gli esponenti aziendali chi riveste ruoli apicali negli enti affidatari dei servizi di riscossione.

Sul tema della riscossione, il 22 maggio 2013 la Commissione Finanze ha approvato la risoluzione 8-00002, che impegna il governo a fornire maggiore flessibilità alle procedure di riscossione coattiva dei tributi, al fine di evitare che gli strumenti della riscossione possano pregiudicare la sopravvivenza economica del soggetto debitore, salvaguardando in tal modo gli stessi interessi erariali; a ricercare soluzioni che consentano un rientro più graduale del debito, prevedendo criteri obiettivi e non discrezionali nella valutazione della situazione economico-finanziaria del contribuente.


 

Articolo 54, comma 1
(Questionari per la predisposizione dei fabbisogni standard per gli enti locali)

 

1. I questionari di cui all'articolo 5, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, sono resi disponibili sul sito internet della Soluzioni per il Sistema Economico - SOSE S.p.a.; con provvedimento del Ministero dell'economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana è data notizia della data in cui i questionari sono disponibili. Dalla data di pubblicazione del suddetto provvedimento decorre il termine di sessanta giorni previsto dalla medesima lettera c).

 

 

L’articolo 54, al comma 1, reca disposizioni concernenti la disponibilità e la pubblicità dei questionari predisposti dalla società SOSE (Soluzioni per il Sistema Economico)[57] Spa, ai fini della predisposizione delle metodologie per la determinazione dei fabbisogni standard degli enti locali, sulla base di quanto dispone l’articolo 5 del decreto legislativo n.216 del 2010[58], prevedendo che:

§      i questionari sono resi disponibili sul sito della SOSE e con provvedimento del Ministero dell’economia e delle finanze da pubblicare sulla G.U. viene data notizia della data di tale disponibilità;

§      dalla data di pubblicazione del suddetto provvedimento decorre il termine di sessanta giorni, previsto dal comma 1, lettera c) del sopracitato articolo 5, entro cui i comuni e le province devono compilare e restituire per via telematica i questionari.

 

La procedura di determinazione dei fabbisogni standard – che, si rammenta, secondo la legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale costituiscono i nuovi parametri in base ai quali individuare il finanziamento delle spese degli enti locali al fini di un graduale superamento del criterio della spesa storica – viene affidata dal decreto legislativo n. 216 del 2010 alla SOSE spa che, avvalendosi anche dell’IFEL (Istituto per la finanza e l’economia locale) e dell’Istat, predispone le metodologie occorrenti alla determinazione dei fabbisogni medesimi, che dovranno far riferimento ai criteri ed alle indicazioni recate dall’articolo 5 del medesimo decreto legislativo.

In particolare, i valori dei fabbisogni andranno individuati con tecniche statistiche che diano rilievo alle caratteristiche individuali dei singoli Comuni e Province, utilizzando i dati di spesa storica tenendo conto dei gruppi omogenei e tenendo altresì conto della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata; considerando altresì una quota di spesa per abitante e tenendo conto della produttività e della diversità della spesa in relazione: all'ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, con particolare riferimento al livello di infrastrutturazione del territorio, alla presenza di zone montane, alle caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei predetti diversi enti, al personale impiegato, alla efficienza, all'efficacia e alla qualità dei servizi erogati nonché al grado di soddisfazione degli utenti.

Ai fini della determinazione delle metodologie in questione, il medesimo articolo 5 stabilisce che la SOSE predisponga appositi questionari, funzionali alla raccolta dei dati contabili e strutturali di comuni e province, cui andranno inviati con un termine di compilazione e restituzione stabilito in sessanta giorni. L’inosservanza di tale termine comporta il blocco, fino all’avvenuto invio del questionario, dei trasferimenti a qualunque titolo da erogare all’ente locale inadempiente.

L’articolo 54, comma 1, in commento sembra pertanto finalizzato a disciplinare con norma primaria la procedura relativa ai questionari inviati (rectius, somministrati, come recita l’articolo 5, comma 1, lettera c) del D.Lgs. n. 216/2010) agli enti locali, soprattutto ai fini della individuazione del termine di decorrenza dei sessanta giorni per la restituzione degli stessi.

Si tratta di una procedura di fatto già seguita, atteso che la stessa risulta attuata, nei termini ora stabiliti in norma, ad opera dei Decreti Direttoriali del Direttore generale delle finanze 21 febbraio 2012, pubblicato sulla G.U. 25 febbraio 2012, n.47, 16 novembre 2012, pubblicato sulla G.U. 20 novembre 2012, n.271 e 7 dicembre 2012, pubblicato sulla G.U. 12 dicembre 2012, n.289. Ciascuno di tali decreti, nel comunicare la disponibilità di questionari relativi ad alcune funzioni di comuni e province, precisa che il termine di sessanta giorni per la restituzione degli stessi decorre dalla data di pubblicazione dei decreti medesimi.


 

Articolo 54, comma 1-bis
(Gestione del servizio di tesoreria degli enti locali
da parte di società per azioni)

 


1-bis. Al fine di garantire in modo efficiente lo svolgimento del servizio di tesoreria nei confronti degli enti locali, l'articolo 208 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che il tesoriere, senza distinzione tra i soggetti di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 del predetto articolo 208, che rivesta la qualifica di società per azioni, può delegare, anche per i servizi di tesoreria già affidati, la gestione di singole fasi o processi del servizio ad una società per azioni che sia controllata dal tesoriere ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile. Il tesoriere che deleghi la gestione di singole fasi o processi del servizio di tesoreria garantisce che il servizio sia in ogni caso erogato all'ente locale nelle modalità previste dalla convenzione, e mantiene la responsabilità per gli atti posti in essere dalla società delegata. In nessun caso la delega della gestione di singole fasi o processi del servizio può generare alcun aggravio di costi per l'ente.


 

 

Il comma 1-bis dell’articolo 54 reca una norma interpretativa dell’articolo 208 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al D.Lgs. n. 267/2000, relativo all’individuazione dei soggetti abilitati a svolgere il servizio di tesoreria[59] nei confronti degli enti locali.

In particolare, l’articolo 208 prevede che il servizio di tesoreria possa essere affidato:

§       ad una banca autorizzata a svolgere l'attività di raccolta di risparmio tra il pubblico e l'esercizio del credito, per i comuni capoluoghi di provincia, le province, le città metropolitane;

§       a società per azioni regolarmente costituite con capitale sociale interamente versato non inferiore a 516,5 milioni di euro (1 miliardo di lire), aventi per oggetto la gestione del servizio di tesoreria e la riscossione dei tributi degli enti locali e che alla data del 25 febbraio 1995 erano incaricate dello svolgimento del medesimo servizio a condizione che il capitale sociale risulti adeguato a quello minimo richiesto dalla normativa vigente per le banche di credito cooperativo. L’affidamento del servizio di tesoreria a società per azioni è riservato ai comuni non capoluoghi di provincia, alle comunità montane e alle unioni di comuni;

§       altri soggetti abilitati per legge (ad esempio, i concessionari del servizio nazionale di riscossione, Poste Italiane Spa, gli istituti di crediti autorizzati a svolgere attività bancaria).

In base all’articolo 210 del TUEL, l'affidamento del servizio viene effettuato mediante le procedure ad evidenza pubblica stabilite nel regolamento di contabilità di ciascun ente, con modalità che rispettino i principi della concorrenza.

Il rapporto tra l’ente locale e il tesoriere è regolato in base ad una convenzione deliberata dall'organo consiliare dell'ente, nella quale devono essere indicate le condizioni, i tassi di interesse da applicare ai depositi fruttiferi e alle anticipazioni di cassa e tutte le eventuali modalità operative.

Dal 1° gennaio 2012, la convenzione di tesoreria può prevedere l’obbligo per il tesoriere di accettare, su apposita istanza del creditore, crediti pro-soluto certificati dall’ente ai sensi dell’articolo 9, comma 3-bis, del D.L. n. 185/2008[60].

Infine, si ricorda che l’articolo 210 del TUEL stabilisce che, qualora ricorrano le condizioni di legge, l’ente può procedere, per non più di una volta, al rinnovo del contratto di tesoreria nei confronti del medesimo soggetto.

 

La norma interpretativa è volta a precisare che il tesoriere dell’ente locale - indipendentemente dal fatto che si tratti di una banca ovvero di una società per azioni avvero di altro soggetto comunque abilitato, senza distinzione, cioè, tra i soggetti di cui all'articolo 208, primo comma, lettere a), b) e c) - laddove rivesta la qualifica di società per azioni, ha facoltà di delegare, anche per i servizi di tesoreria già affidati, la gestione di singole fasi o processi del servizio di tesoreria ad una società per azioni che sia controllata dal tesoriere medesimo, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, n. 1 e 2 del codice civile.

Ai sensi della citata disposizione del codice civile, sono considerate società controllate: 1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria.

 

Il tesoriere che deleghi la gestione di singole fasi o processi del servizio di tesoreria deve comunque garantire che il servizio sia in ogni caso erogato all'ente locale nel rispetto delle modalità previste dalla convenzione. Esso mantiene, inoltre, la responsabilità per gli atti posti in essere dalla società delegata.

In nessun caso la delega della gestione di singole fasi o processi del servizio può generate alcun aggravio di costi per l'ente.


 

Articolo 54-bis
(Modifiche alla legge 6 novembre 2012, n. 190 in tema di vigilanza dell'Autorità nazionale anticorruzione)

 


1. All'articolo 1 della legge 6 novembre 2012, n. 190, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 2, la lettera d) è sostituita dalla seguente:

«d) esprime parere obbligatorio sugli atti di direttiva e di indirizzo, nonché sulle circolari del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico»;

b) al comma 3 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e danno tempestiva comunicazione dell'avvenuta pubblicazione sui detti siti alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica».


 

 

L’articolo 54-bis, introdotto in sede di conversione, interviene sulla disciplina dei poteri consultivi e della pubblicità degli atti della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche - Autorità nazionale anticorruzione (CIVIT) in materia di anticorruzione introdotta dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 (cd. “legge anticorruzione”).

 

Analogamente all’articolo 54-ter (alla cui corrispondente scheda di lettura si fa rinvio), la disposizione è finalizzata a circoscrivere l’ambito di applicazione del potere consultivo della CIVIT i cui pareri sono limitati ai soli atti (direttive, atti di indirizzo, circolari) del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione.

La legge 190, nel testo originario, prevedeva che tutti gli organi dello Stato e tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, fossero titolati a presentare richieste di parere alla Commissione che aveva la facoltà (ma non l’obbligo) di rendere il parere.

L’oggetto dell’attività consultiva non muta rispetto alla disciplina previgente: la CIVIT esprime pareri in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico

L’art. 54-bis, lettera a) interviene a limitare i pareri della CIVIT ai soli atti ad essa sottoposti dal Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. Inoltre, i pareri della CIVIT non sono più facoltativi ma obbligatori.

 

La lettera b) prevede che, qualora la Commissione faccia richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni, o ordina l'adozione di atti o provvedimenti richiesti dai piani anticorruzione (di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 1 della legge 190) o dalle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa o ancora ordini la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza citati, la Commissione stessa, ed anche le amministrazioni interessate, oltre a darne notizia nei rispettivi siti web, li devono anche comunicare tempestivamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione pubblica.

 

La CIVIT con comunicato del 26 luglio 2013 ha reso di noto di aver temporaneamente sospeso le proprie decisioni sulle richieste di parere pervenute ai sensi dell’art. 16 comma 3 del D.Lgs. n. 39/2013 nelle more dell’approvazione definitiva della legge di conversione del decreto in esame (si veda in proposito la scheda relativa all’art. 54-ter).


 

Articolo 54-ter
(Modifiche al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39,
Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità
di incarichi presso le pubbliche amministrazioni
e presso gli enti privati in controllo pubblico)

 


1. All'articolo 16 del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 2, dopo la parola: «segnalazione» sono inserite le seguenti: «della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica»;

b) il comma 3 è sostituito dal seguente:

«3. L'Autorità nazionale anticorruzione esprime pareri obbligatori sulle direttive e le circolari ministeriali concernenti l'interpretazione delle disposizioni del presente decreto e la loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità degli incarichi e di incompatibilità».


 

 

L’articolo in esame, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, interviene sulla disciplina in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico recata dal D.Lgs. n. 39/2013, circoscrivendo il potere consultivo dell’Autorità nazionale anticorruzione – CIVIT e limitando al solo Dipartimento della funzione pubblica l’iniziativa di attivare il procedimento sanzionatorio in caso di violazione alle norme sulla inconferibilità.

In particolare, la disposizione:

§      restringe al solo Dipartimento della funzione pubblica il potere di segnalazione alla CIVIT ai fini della sospensione della procedura di conferimento dell'incarico in caso di violazione delle norme in materia. Nel testo previgente non era precisata la fonte della segnalazione. Resta comunque salva la possibilità per l’Autorità di agire d’ufficio;

§      restringe alle sole direttive e alle circolari ministeriali, concernenti l’interpretazione delle disposizioni del decreto 39 e la loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, l’oggetto dei pareri della CIVIT, che diventano obbligatori. In precedenza qualunque amministrazione od ente interessato poteva presentare richiesta di parere. Una norma analoga è contenuta nell’art. 54-bis del presente provvedimento, cui si rinvia.

 

Il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 aprile 2013, n. 92, attua la delega contenuta nei commi 49 e 50 dell’art. 1 della legge 6 novembre 2012, n. 190 (la c.d. legge anticorruzione) in materia di dell’inconferibilità e dell’incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati di diritto pubblico. La norma di delega non prevedeva il parere parlamentare e sullo schema di decreto non è stato richiesto il parere del Consiglio di Stato.

Il decreto legislativo 39/2013 prevede fattispecie di:

§      inconferibilità, cioè di preclusione, permanente o temporanea, a conferire gli incarichi a coloro che abbiano riportato condanne penali per i reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, nonché a coloro che abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati da pubbliche amministrazioni o svolto attività professionali a favore di questi ultimi, a coloro che siano stati componenti di organi di indirizzo politico;

§      incompatibilità, da cui consegue l'obbligo per il soggetto cui viene conferito l'incarico di scegliere, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di quindici giorni, tra la permanenza nell'incarico e l'assunzione e lo svolgimento di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione che conferisce l'incarico, lo svolgimento di attività professionali ovvero l'assunzione della carica di componente di organi di indirizzo politico.

 

Per il contenuto della norma di delega e del decreto legislativo si può vedere il dossier del Servizio studi della Camera Inconferibilità e incompatibilità di incarichi. Decreto legislativo n. 39 del 2013, Documentazione e ricerche n. 24, 4 giugno 2013, dove sono anche evidenziati alcuni dubbi interpretativi.

E proprio su questo punto interviene la disposizione in esame, modificando l’art. 16, comma 3, del decreto, con una disposizione che incide sia sulla fase di input, in quanto restringe all’ambito ministeriale il potere di rivolgersi all’Autorità per sollecitare pareri interpretativi su propri atti, la seconda nella fase di output, prevedendo che i pareri sono resi ai ministri (in primo luogo si presume quello della pubblica amministrazione) che a loro volta potranno tenerne conto nell’emanazione di direttive interpretative.

In pratica, si intende sollevare l’organo tecnico (l’Autorità) dal ruolo interpretativo che viene spostato all’organo politico (Ministro) previa consultazione dell’organo tecnico.

 

Il decreto legislativo 39 presenta diversi aspetti problematici, alcuni dei quali come si è detto rilevati nel dossier del Servizio studi. Ciò ha provocato la richiesta di numerosi pareri alla CIVIT (circa 100) prevalentemente da parte degli enti locali.

L’Autorità finora ha reso alcuni pareri, in particolare con le delibere n. 46, 47, 48, 57 e 58 del 2013 (consultabili sul sito della CIVIT: www.civit.it).

 

La CIVIT con comunicato del 26 luglio 2013 ha reso di noto di aver temporaneamente sospeso le proprie decisioni sulle richieste di parere pervenute ai sensi dell’art. 16 comma 3 del D.Lgs. 39/2013 nelle more dell’approvazione definitiva della legge di conversione del decreto 69/2013.

 

Come si legge nel comunicato: “Gli interventi normativi prospettati, infatti, incidono sulle funzioni che sono state attribuite alla CIVIT dalla legge n. 190/2012 e dai decreti delegati; in particolare, con riferimento alla materia dell’inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, assegnano all’Autorità un ruolo meramente consultivo per la emanazione di direttive da parte dell’Esecutivo. La Commissione ha manifestato al Presidente del Consiglio, alla Presidente della Camera dei deputati e ai Presidenti dei gruppi parlamentari la propria profonda preoccupazione per le prospettate modifiche normative che rappresentano un vulnus all’esercizio in autonomia e indipendenza delle funzioni attribuite dalla legge 190/2012, che ha individuato nella CIVIT l’Autorità nazionale anticorruzione, in attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite in materia di lotta alla corruzione e della Convenzione di Strasburgo, proprio in quanto Autorità indipendente”.

 

Si segnala che l’art. 29-ter del decreto-legge n. 69/2013 (cui si fa rinvio) interviene, per altri aspetti, sulla disciplina recata dal D.Lgs. n. 39/2013.


 

Articolo 55
(Norma interpretativa in materia di rimborsi IVA
alle agenzie di viaggio)

 


1. Alla luce di quanto previsto dall'articolo 310 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, come interpretata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, l'articolo 74-ter, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, si interpreta nel senso che l'imposta assolta sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi, di cui al comma 2 dello stesso articolo, effettuate da terzi nei confronti delle agenzie di viaggio stabilite fuori dell'Unione europea a diretto vantaggio dei viaggiatori non è rimborsabile. Fermo restando quanto previsto in materia di risorse proprie del bilancio dell'Unione europea, sono comunque fatti salvi i rimborsi che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, siano stati eventualmente effettuati; altresì non si da luogo alla restituzione delle somme che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, risultino già rimborsate e successivamente recuperate dagli uffici dell'amministrazione finanziaria.


 

 

L’articolo 55 reca una norma interpretativa relativamente alla disciplina IVA applicabile alle agenzie di viaggio e turismo, contenuta all’articolo 74-ter del D.P.R. n. 633 del 1972, il quale recepisce quanto disposto all’articolo 26 della sesta direttiva IVA 77/388/CEE del 17 maggio 1977.

L’articolo 74-ter prevede un regime speciale per l’attività svolta dagli operatori turistici in nome e per conto proprio - anche tramite mandatari - con particolare riferimento all’offerta, all’interno ed all’esterno del territorio nazionale in cui ha sede l’operatore, di “pacchetti turistici” costituiti ai sensi dell’articolo 2 del D.Lgs. n. 111/1995.

In tal modo i servizi forniti durante il viaggio direttamente ai clienti sono assoggettati all’imposta nei diversi Paesi in cui gli stessi vengono erogati, mentre il margine destinato all’agenzia di viaggio è assoggettato ad imposizione nello Stato di residenza di quest’ultima. In caso di applicazione del descritto regime speciale, come disposto al successivo terzo comma dell’articolo 74-ter, inoltre, “non è ammessa in detrazione l’imposta relativa ai costi” sostenuti dalle predette agenzie per l’acquisizione presso terzi dei beni e dei servizi destinati ad essere forniti a diretto vantaggio dei viaggiatori. Con decreto del Ministro delle finanze 30 luglio 1999, n. 340, sono state definite particolari modalità di applicazione per le operazioni effettuate dalle agenzie di viaggio e turismo.

 

Tuttavia l’applicazione del terzo comma dell’art. 74-ter ha generato nel tempo notevoli incertezze con riferimento all'imposta assolta sui beni e servizi acquistati da agenzie di viaggio stabilite fuori dell'Unione europea e da queste inglobati in pacchetti turistici venduti al pubblico, anche alla luce degli indirizzi interpretativi di orientamento diverso ad opera dell’Amministrazione finanziaria (risoluzione del Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze n. 62 del 7 aprile 1999, risoluzione dell'Agenzia delle entrate n. 141 del 26 novembre 2004).

 

La disposizione in esame richiama peraltro quanto disposto dall’articolo 310 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come interpretata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.

 

Gli articoli da 306 a 310 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio (Sistema comune IVA) disciplinano il regime speciale per le agenzie di viaggio. In particolare l’articolo 310 stabilisce che gli importi dell'IVA imputati all'agenzia di viaggio da altri soggetti passivi per le operazioni effettuate per la realizzazione del viaggio effettuate a diretto vantaggio del viaggiatore non sono né detraibili né rimborsabili in alcuno Stato membro.

 

Conseguentemente, un'interpretazione dell'articolo 74-ter, comma 3, con la quale si accordasse il rimborso dell'imposta in questione, produrrebbe vantaggi competitivi a favore delle agenzie di viaggio stabilite fuori dell'Unione europea, Ciò sarebbe in aperto contrasto con l'articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 86/560/CEE del Consiglio, del 17 novembre 1986, in materia di rimborsi ai soggetti stabiliti fuori dell'Unione europea, che prevede che il rimborso non può essere concesso a condizioni più favorevoli di quelle applicate ai soggetti passivi della Comunità.

 

Pertanto, l’articolo 55 in esame provvede ad interpretare l’articolo 74-ter, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, nel senso che l’imposta assolta sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi, di cui al comma 2 dello stesso articolo, effettuate da terzi nei confronti delle agenzie di viaggio stabilite fuori dell’Unione europea a diretto vantaggio dei viaggiatori non è rimborsabile.

Secondo la Relazione tecnica (A.C. 1248) tale interpretazione della norma genererebbe a regime dal 2014 maggiori entrate per 12 milioni (2,4 milioni nel 2013).

 

In considerazione dell'incertezza interpretativa che ha regnato sulla materia, il secondo periodo dell’articolo 55 provvede a fare salvi i rimborsi che, alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, siano stati eventualmente effettuati; altresì non si dà luogo alla restituzione delle somme che, alla medesima data, siano state in un primo tempo rimborsate alle agenzie di viaggio e successivamente recuperate dagli uffici dell’amministrazione finanziaria.


 

Articolo 56
(Proroga termine di versamento dell’imposta
sulle transazioni finanziarie)

 


1. Il comma 497 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 è sostituito dal seguente:

«497. L'imposta di cui ai commi 491, 492 e 495 si applica alle transazioni concluse a decorrere dal 1° marzo 2013 per i trasferimenti di cui al comma 491 e per le operazioni di cui al comma 495 relative ai citati trasferimenti, e a decorrere dal 1° settembre 2013 per le operazioni di cui al comma 492 e per quelle di cui al comma 495 su strumenti finanziari derivati e valori mobiliari. Per il 2013 l'imposta di cui al comma 491, primo periodo, è fissata nella misura dello 0,22 per cento; quella di cui al sesto periodo del medesimo comma è fissata in misura pari a 0,12 per cento. L'imposta dovuta sui trasferimenti di proprietà di cui al comma 491 e sugli ordini di cui al comma 495 relativi ai predetti trasferimenti di cui al comma 491 effettuati fino al 30 settembre 2013 è versata entro il 16 ottobre 2013. L'imposta dovuta sulle operazioni di cui al comma 492 e sugli ordini di cui al comma 495 su strumenti finanziari derivati e valori mobiliari effettuati nel mese di settembre del 2013 è versata entro il 16 ottobre 2013.».

2. La società di Gestione Accentrata per l'imposta dovuta sui trasferimenti di proprietà, sulle operazioni e sugli ordini di cui rispettivamente ai commi 491, 492 e 495 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, effettuati fino al 30 settembre dai soggetti deleganti, provvede al versamento entro il 16 novembre 2013.


 

 

L’articolo 56 (comma 1) – con una modifica all’articolo 1, comma 497, della legge di stabilità 2013, proroga al 1° settembre 2013 la decorrenza e al 16 ottobre 2013 il termine di versamento dell’imposta sulle transazioni finanziarie per le operazioni su strumenti derivati (di cui al comma 492) e per le negoziazioni ad alta frequenza su strumenti finanziari derivati e valori mobiliari (di cui al comma 495).

Per i trasferimenti di proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi (di cui al comma 491) e per le negoziazioni ad alta frequenza sui predetti trasferimenti, effettuati fino al 30 settembre 2013, il termine entro il quale effettuare il versamento è fissato al 16 ottobre 2013.

La legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 491 a 500) ha introdotto un’imposta sulle transazioni finanziarie sulle seguenti operazioni:

§       trasferimento della proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi emessi da soggetti residenti nel territorio dello Stato nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente, con un'aliquota pari allo 0,2 per cento del valore della transazione se le operazioni di acquisto sono effettuate fuori dai mercati regolamentati (over the counter); l'aliquota è dell'0,1 per cento per le operazioni concluse in mercati regolamentati o con sistemi multilaterali di negoziazione; per il 2013, considerata anche la partenza a esercizio già iniziato, la percentuale è fissata nella misura dello 0,22 per cento (per le operazioni over the counter) e dello 0,12 (per le operazioni concluse nei mercati regolamentati);

§       operazioni sui cosiddetti strumenti derivati, ad imposta in misura fissa, determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto, secondo la tabella 3 allegata alla legge di stabilità;

§       negoziazioni ad alta frequenza relative ad azioni, ad altri strumenti partecipativi e derivati su equity.

Con il D.M. 21 febbraio 2013 – successivamente modificato dal D.M. 20 settembre 2013 - sono state previste le norme attuative dell'imposta. L'imposta si applica al trasferimento della proprietà delle azioni e degli strumenti finanziari partecipativi emessi da società residenti nel territorio dello Stato con capitale superiore a 500 milioni di euro, a prescindere dal Paese di provenienza dell'ordine. Al decreto ministeriale è allegato l'elenco degli emittenti italiani con capitalizzazione attualmente inferiore alla predetta soglia.

Per quanto riguarda le operazioni su strumenti finanziari derivati e le operazioni sui valori mobiliari, si stabilisce un prelievo massimo di 200 euro.

Il D.M. 20 settembre 2013, in particolare, ha chiarito che l’imposta si applica anche nei casi in cui ad essere trasferita è la nuda proprietà dei titoli.

Vengono specificate le definizioni di prezzo di acquisto e prezzo di liquidazione in caso di negoziazione su mercati non regolamentati. Nel caso, invece, il regolamento riguardi strumenti finanziari derivati e valori mobiliari negoziati su mercati regolamentati, per prezzo di acquisto si intende il valore di esercizio (cosiddetto strike price) delle azioni acquistate.

Nei casi in cui gli strumenti finanziari derivati e i valori mobiliari hanno come sottostante o come valore di riferimento dividendi su azioni l’imposta non si applica.

Riguardo alle operazioni esenti poste in essere nell’esercizio dell’attività di supporto agli scambi, nonché nell’esercizio dell’attività di sostegno alla liquidità nel quadro delle prassi di mercato ammesse, sono stati meglio delineati aspetti di carattere operativo ai fini del riconoscimento dell’esenzione ai soggetti che svolgono le anzidette attività.

L’articolo 2 del provvedimento fissa al 1° gennaio 2014 la decorrenza dell’efficacia delle modifiche concernenti le obbligazioni e i titoli di debito.

 

Il comma 2 stabilisce che la società di Gestione Accentrata per l'imposta dovuta sui trasferimenti di proprietà, sulle operazioni e sugli ordini sopra citati, effettuati fino al 30 settembre dai soggetti deleganti, provvede al versamento entro il 16 novembre 2013.

Ciò in quanto il citato decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 21 febbraio 2013, all'articolo 19, comma 5, dispone che la Società di Gestione Accentrata provvede al versamento dell'imposta - in forza delle deleghe conferitegli dai responsabili dell'imposta stessa - entro il giorno 16 del secondo mese successivo alla data dell'operazione eccetto che per le operazioni del mese di novembre per le quali il versamento è effettuato entro il giorno 19 del mese di dicembre.

 

Si ricorda che ai sensi dell’articolo 80 del D.Lgs. n. 58 del 1998 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) l'attività di gestione accentrata di strumenti finanziari ha carattere di impresa ed è esercitata nella forma di società per azioni, anche senza fine di lucro. Le società di gestione accentrata hanno per oggetto esclusivo la prestazione del servizio di gestione accentrata di strumenti finanziari e possono svolgere attività connesse e strumentali.


 

Articolo 56-bis
(Semplificazione delle procedure in materia di trasferimenti
di immobili agli enti territoriali)

 


1. Il trasferimento in proprietà, a titolo non oneroso, a comuni, province, città metropolitane e regioni dei beni immobili di cui all'articolo 5, comma 1, lettera e), e comma 4, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, siti nel rispettivo territorio, è disciplinato dal presente articolo. Sono esclusi dal trasferimento i beni in uso per finalità dello Stato o per quelle di cui all'articolo 2, comma 222, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni, i beni per i quali siano in corso procedure volte a consentirne l'uso per le medesime finalità, nonché quelli per i quali siano in corso operazioni di valorizzazione o dismissione di beni immobili ai sensi dell'articolo 33 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni.

2. A decorrere dal 1° settembre 2013, i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni che intendono acquisire la proprietà dei beni di cui al comma 1 presentano all'Agenzia del demanio, entro il termine perentorio del 30 novembre 2013, con le modalità tecniche da definire a cura dell'Agenzia medesima, una richiesta di attribuzione sottoscritta dal rappresentante legale dell'ente, che identifica il bene, ne specifica le finalità di utilizzo e indica le eventuali risorse finanziarie preordinate a tale utilizzo. L'Agenzia del demanio, verificata la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento della richiesta, ne comunica l'esito all'ente interessato entro sessanta giorni dalla ricezione della richiesta. In caso di esito positivo si procede al trasferimento con successivo provvedimento dell'Agenzia del demanio. In caso di esito negativo, l'Agenzia comunica all'ente interessato i motivi ostativi all'accoglimento della richiesta. Entro trenta giorni dalla comunicazione del motivato provvedimento di rigetto, l'ente può presentare una richiesta di riesame del provvedimento, unitamente ad elementi e documenti idonei a superare i motivi ostativi rappresentati dall'Agenzia del demanio.

3. Laddove le richieste abbiano ad oggetto immobili assegnati alle amministrazioni pubbliche, l'Agenzia del demanio interpella le amministrazioni interessate, al fine di acquisire, entro il termine perentorio di trenta giorni, la conferma della permanenza o meno delle esigenze istituzionali e indicazioni in ordine alle modalità di futuro utilizzo dell'immobile. Qualora le amministrazioni non confermino, entro tale termine, la permanenza delle esigenze istituzionali, l'Agenzia, nei successivi trenta giorni, avvia con le altre amministrazioni la verifica in ordine alla possibilità di inserire il bene nei piani di razionalizzazione di cui all'articolo 2, commi 222, 222-bis e 222-ter, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni. Qualora detta verifica dia esito negativo e sia accertato che l'immobile non assolve ad altre esigenze statali, la domanda è accolta e si procede al trasferimento del bene con successivo provvedimento del Direttore dell'Agenzia del demanio. In caso di conferma delle esigenze di cui al comma 2 da parte dell'amministrazione usuaria, l'Agenzia comunica all'ente richiedente i motivi ostativi all'accoglimento della richiesta.

4. Qualora per il medesimo immobile pervengano richieste di attribuzione da parte di più livelli di governo territoriale, il bene è attribuito, in forza dei princìpi di sussidiarietà e di radicamento sul territorio, in via prioritaria ai comuni e alle città metropolitane e subordinatamente alle province e alle regioni. In caso di beni già utilizzati, essi sono prioritariamente trasferiti agli enti utilizzatori.

5. Nei provvedimenti di cui ai commi 2 e 3 si prevede che, trascorsi tre anni dal trasferimento, qualora all'esito di apposito monitoraggio effettuato dall'Agenzia del demanio l'ente territoriale non risulti utilizzare i beni trasferiti, gli stessi rientrino nella proprietà dello Stato, che ne assicura la migliore utilizzazione.

6. I beni trasferiti, con tutte le pertinenze, accessori, oneri e pesi, entrano a far parte del patrimonio disponibile delle regioni e degli enti locali. Il trasferimento ha luogo nello stato di fatto e di diritto in cui i beni si trovano, con contestuale immissione di ciascun ente territoriale, a decorrere dalla data di sottoscrizione dell'atto formale di trasferimento del bene di cui ai commi 2 e 3, nel possesso giuridico e con subentro del medesimo in tutti i rapporti attivi e passivi relativi al bene trasferito.

7. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze le risorse a qualsiasi titolo spettanti alle regioni e agli enti locali che acquisiscono in proprietà beni immobili utilizzati a titolo oneroso sono ridotte in misura pari alla riduzione delle entrate erariali conseguente al trasferimento di cui al comma 1. Qualora non sia possibile l'integrale recupero delle minori entrate per lo Stato in forza della riduzione delle risorse, si procede al recupero da parte dell'Agenzia delle entrate a valere sui tributi spettanti all'ente ovvero, se non sufficienti, mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato da parte dell'ente interessato.

8. Al fine di soddisfare le esigenze allocative delle amministrazioni statali, gli enti territoriali continuano ad assicurare allo Stato l'uso gratuito di immobili di loro proprietà fino al permanere delle esigenze medesime.

9. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano.

10. Alle risorse nette derivanti a ciascun ente territoriale dall'eventuale alienazione degli immobili trasferiti ai sensi del presente articolo ovvero dall'eventuale cessione di quote di fondi immobiliari cui i medesimi immobili siano conferiti si applicano le disposizioni dell'articolo 9, comma 5, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85.

11. In considerazione dell'eccezionalità della situazione economica e tenuto conto delle esigenze prioritarie di riduzione del debito pubblico, al fine di contribuire alla stabilizzazione finanziaria e promuovere iniziative volte allo sviluppo economico e alla coesione sociale, è altresì destinato al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, con le modalità di cui al comma 5 dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, il 10 per cento delle risorse nette derivanti dall'alienazione dell'originario patrimonio immobiliare disponibile degli enti territoriali, salvo che una percentuale uguale o maggiore non sia destinata per legge alla riduzione del debito del medesimo ente. Per la parte non destinata al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, resta fermo quanto disposto dal comma 443 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228.

12. Le disposizioni di cui al decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, si applicano solo in quanto compatibili con quanto previsto dal presente articolo.

13. All'articolo 33, comma 8-ter, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il quinto periodo è soppresso;

b) al sesto periodo, le parole: «, nonché l'attribuzione agli Enti territoriali delle quote dei fondi, nel rispetto della ripartizione e per le finalità previste dall'articolo 9 del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, limitatamente ai beni di cui all'articolo 5, comma 1, lettera e), sopra richiamato, derivanti dal conferimento ai predetti fondi immobiliari» sono soppresse.


 

 

L’articolo 56-bis interviene in merito al c.d. “federalismo demaniale”, di cui al decreto legislativo n. 185 del 2010 (attuativo della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale), relativamente al trasferimento, a titolo non oneroso, agli enti territoriali di taluni beni dello Stato, mobili e immobili, che non fossero espressamente esclusi dal trasferimento dal decreto legislativo stesso.

Il medesimo decreto, all’articolo 5, comma 2, esclude dal trasferimento gli immobili in uso per comprovate ed effettive finalità istituzionali alle amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici destinatari di beni immobili dello Stato in uso governativo e alle Agenzie fiscali; i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale, secondo la normativa di settore; i beni appartenenti al patrimonio culturale; le reti di interesse statale, ivi comprese quelle stradali ed energetiche; le strade ferrate in uso di proprietà dello Stato; sono altresì esclusi dal trasferimento di cui al presente decreto i parchi nazionali e le riserve naturali statali.

Più in generale si ricorda che il decreto legislativo n. 85 del 2010 ha delineato un articolato percorso di individuazione e di attribuzione, a titolo gratuito, a diversi livelli di governo substatale di beni immobili, demaniali o patrimoniali, di proprietà dello Stato. Il processo di trasferimento si articola in fasi distinte, che prevedono, a seconda della natura dei bene trasferibili o da escludere dal trasferimento, un decreto di ricognizione ovvero un decreto di previa individuazione dei beni, da trasferire successivamente su domanda agli enti territoriali con un ulteriore provvedimento. Peraltro la necessità della concertazione in sede di Conferenza unificata, ai fini dell'acquisizione delle prescritte intese ovvero dei pareri, ha comportato una dilatazione dei tempi del procedimento: lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ex articolo 5, comma 1, lettera e), previsto dal decreto legislativo in commento (beni patrimoniali trasferibili), iscritto più volte all'ordine del giorno della Conferenza, non ha finora registrato l'acquisizione dell'intesa prescritta. Analogamente, lo schema di decreto del Direttore dell'Agenzia del demanio, recante l'elenco dei beni esclusi dal trasferimento (articolo 5, comma 3), ha riportato il parere negativo della Conferenza.

Su tale situazione ha certamente influito il fato che il processo di individuazione e di attribuzione comporta il coinvolgimento non solo dell'Agenzia del demanio, ma di tutte le amministrazioni che attualmente curano la gestione dei vari beni (in particolare, il Ministero della difesa per i beni militari, il Ministero delle infrastrutture e l'Enac per i beni aeroportuali, il Ministero dello sviluppo economico e dell'Ambiente per le miniere e i beni del demanio idrico, eccetera).

Di fronte a tale impasse il legislatore ha in taluni caso emanato, nell’ambito di provvedimenti di urgenza, norme che hanno interessato singole tipologie di beni (quali, ad esempio, i beni culturali), al fine di accelerarne il trasferimento.

 

Il comma 1 esclude dal trasferimento:

§      i beni in uso per finalità dello Stato (come già previsto dal D.Lgs. n. 85 del 2010) o per le finalità indicate dall'articolo 2, comma 222, della legge n. 191 del 2009 (immobili da assegnare alle Amministrazioni in luogo di contratti di locazione con terzi);

§      i beni per i quali siano in corso procedure volte a consentirne l'uso per le medesime finalità,

§      quelli per i quali siano in corso operazioni di valorizzazione o dismissione di beni immobili ai sensi dell’articolo 33, del D.L. n. 98 del 2011.

 

Il comma 2 definisce la tempistica per il trasferimento degli immobili non esclusi dal trasferimento:

§      dal 1° settembre 2013 e fino al 30 novembre 2013, i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni che intendono acquisire la proprietà di tali beni presentano all'Agenzia del demanio, con le modalità tecniche da definire a cura dell'Agenzia medesima, una richiesta di attribuzione sottoscritta dal rappresentante legale dell'ente che identifica il bene, ne specifica le finalità di utilizzo e indica le eventuali risorse finanziarie preordinate a tale utilizzo;

§      nei 60 giorni dalla ricezione della richiesta l'Agenzia del demanio, verificata la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento della richiesta, ne comunica l'esito all'ente interessato.

Sembra da presumere che la richiesta riguardi quei beni che ai sensi del D.Lgs. n. 85 sono già stati inseriti dall’Agenzia del demanio nell’elenco dei beni disponibili, il cui schema di decreto era stato presentato in Conferenza unificata, ma non aveva avuto ulteriore seguito;

§      in caso di esito positivo si procede al trasferimento con successivo provvedimento dell'Agenzia del demanio;

§      in caso di esito negativo, l'Agenzia comunica all'ente interessato i motivi ostativi all'accoglimento della richiesta. Entro 30 giorni dalla comunicazione del motivato provvedimento di rigetto, l’ente può presentare nuova richiesta. La richiesta di riesame del provvedimento dovrà essere corredata da elementi e documenti idonei a superare i motivi ostativi esposti dall’Agenzia del demanio.

Tale nuova procedura di fatto sostituisce quella prevista dal D.Lgs. n. 85, la quale dispone che le amministrazioni statali indichino i beni da escludere dall’eventuale trasferimento, l’Agenzia del demanio definisca gli elenchi dei beni disponibili, gli enti presentino la richiesta di trasferimento, ed infine con DPCM verrebbe disposto il trasferimento.

 

Qualora la richiesta di trasferimento riguardi immobili assegnati alle amministrazioni pubbliche (ovviamente non tra quelli in uso per finalità dello Stato, in quanto già esclusi dall’elenco dei beni trasferibili), ai sensi del comma 1 dell’articolo in esame l'Agenzia del demanio interpella l’amministrazione interessata, ai fini di acquisire, entro il termine perentorio di 30 giorni, la conferma della permanenza o meno delle esigenze istituzionali e indicazioni in ordine alle modalità di futuro utilizzo dell'immobile.

Qualora l’Amministrazione non confermi, entro tale termine, la permanenza delle esigenze istituzionali, l'Agenzia, nei successivi 30 giorni, avvia con le altre Amministrazioni la verifica in ordine alla possibilità di inserire il bene nei piani di razionalizzazione degli spazi ad uso ufficio, previsti all'articolo 2, commi da 222, a 222-ter, della legge n. 191 del 2009. Qualora detta verifica dia esito negativo e sia accertato che l'immobile non assolve ad altre esigenze statali, la domanda è accolta e si procede al trasferimento del bene con successivo provvedimento del Direttore dell'Agenzia del demanio. In caso, invece di conferma da parte dell'Amministrazione utilizzatrice delle esigenze di istituto, l'Agenzia comunica all'ente richiedente i motivi ostativi all'accoglimento della richiesta.

 

Il comma 4 disciplina il caso di richiesta di assegnazione dello stesso immobile da parte di più livelli di governo territoriale, disponendone l’attribuzione in via prioritaria ai Comuni e alle Città metropolitane e subordinatamente alle Province e alle Regioni. In caso di beni già utilizzati, essi sono prioritariamente trasferiti agli enti utilizzatori.

I commi da 5 a 7 dispongono che:

§      all’Agenzia del demanio è assegnata una attività di monitoraggio dell’utilizzo dei beni trasferiti, prevedendo che, trascorsi tre anni dal trasferimento, qualora l'ente territoriale non risulti utilizzare i beni trasferiti, gli stessi rientrino nella proprietà dello Stato, che ne assicura la migliore utilizzazione;

§      i beni trasferiti con tutte le pertinenze, accessori, oneri e pesi, entrano a far parte del patrimonio disponibile delle Regioni e degli enti locali;

§      con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze si provvederà ad una riduzione delle risorse spettanti a qualsiasi titolo alle regioni e agli enti locali che acquisiscono in proprietà beni immobili utilizzati a titolo oneroso, in misura pari alla riduzione delle entrate erariali conseguente al trasferimento dei beni (analoga disposizione è contenuta all’articolo 9, comma 2, del D.Lgs. n. 85 del 2010). Qualora non sia possibile l’integrale recupero delle minori entrate per lo Stato in forza della riduzione delle risorse, si procede al recupero da parte dell’Agenzia delle entrate a valere sui tributi spettanti all’ente ovvero, se risultassero non sufficienti, mediante versamento all’entrata del bilancio dello Stato da parte dell’ente interessato.

Il comma 8 dispone che, al fine di soddisfare le esigenze allocative delle amministrazioni statali, gli enti territoriali continuano ad assicurare allo Stato l'uso gratuito di immobili di loro proprietà fino al permanere delle esigenze medesime.

Ai sensi del comma 9 (come già previsto nella legge delega n.42/2009 sul federalismo fiscale) le disposizioni del presente articolo non si applicano nelle regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano.

L’articolo 1, comma 2, della legge n. 42 del 2010 (Delega sul federalismo fiscale), infatti, non ricomprende le disposizioni previste dall’articolo 19 in merito all’attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio (c.d. federalismo demaniale) tra quelle che si applicano anche alle regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano

Per quanto riguarda l’utilizzo delle risorse nette derivanti a ciascun ente territoriale dall'eventuale alienazione degli immobili che sono stati trasferiti ai sensi del presente articolo ovvero dalla eventuale cessione di quote di fondi immobiliari cui tali immobili siano conferiti, il comma 10 rinvia a quanto disposto dall’articolo 9, comma 5, del D.Lgs. n. 85 del 2010 sul federalismo demaniale.

La norma richiamata prevede che le risorse nette derivanti a ciascun ente dalla eventuale alienazione degli immobili del patrimonio disponibile loro attribuito ai sensi del decreto legislativo, nonché quelle derivanti da eventuali cessioni di quote di fondi immobiliari cui i medesimi beni siano stati conferiti, siano acquisite dall’ente territoriale per un ammontare pari al 75 per cento delle stesse, al fine di essere destinate alla riduzione del debito dell’ente e, in assenza del debito o comunque per la eventuale parte restante, a spese di investimento.

La quota residua del 25 per cento è invece destinata al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. La definizione delle modalità applicative di tale disciplina ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, che al momento non risulta ancora emanato.

 

Il comma 11, in considerazione dell’esigenza prioritaria di riduzione del debito pubblico, destina al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, con le modalità previste dall’articolo 9, comma 5, del D.Lgs. n. 85, il 10 per cento delle risorse nette derivanti dalla alienazione dell’originario patrimonio immobiliare disponibile degli enti territoriali, salvo che una percentuale uguale o maggiore non sia destinata per legge alla riduzione del debito del medesimo ente.

A titolo esemplificativo, si ricorda quanto previsto dall’articolo 23-ter, comma 1, lettera g), del D.L. n. 95 del 2012, in base al quale la totalità delle risorse rivenienti dalla valorizzazione ed alienazione degli immobili di proprietà delle regioni e degli enti locali trasferiti agli appositi fondi comuni d'investimento immobiliare è destinata alla riduzione del debito dell’ente e, solo in assenza del debito, o comunque per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento».

 

L’ultimo periodo del comma 11 ribadisce che per la parte di risorse non destinata al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato si applica quanto disposto dall’articolo 1, comma 443, della legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012), ai sensi del quale i proventi da alienazioni di beni patrimoniali disponibili possono essere destinati esclusivamente alla copertura di spese di investimento ovvero, in assenza di queste o per la parte eccedente, per la riduzione del debito.

Si ricorda che, con sentenza n. 63 del 2013, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 66, comma 9, secondo periodo, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, nella parte in cui si prevede che gli enti territoriali, in assenza di debito pubblico, o per la parte eventualmente eccedente, debbano destinare le risorse derivanti delle operazioni di dismissione di terreni agricoli al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. La Corte ha sottolineato come la disciplina, non essendo finalizzata ad assicurare l’esigenza del risanamento del debito degli enti territoriali e, quindi, non essendo correlata alla realizzazione del ricordato principio fondamentale, si risolve in una indebita ingerenza nell’autonomia della Regione.

 

Il comma 12 specifica che le disposizioni previste dal decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 sul federalismo demaniale, si applicano solo in quanto compatibili con quanto previsto dal presente articolo.

Com’è noto, tale formulazione costituisce un richiami normativo di carattere generico, che può prestarsi a difficoltà nella fase applicativa delle nuove disposizioni e che, pertanto risulterebbe opportuno, qualora possibile, specificare a quali norme del suddetto decreto legislativo si intenda fare riferimento.

 

Infine il comma 13 novella il comma 8-ter dell’articolo 33, del D.L. n. 98 del 2011, recante “Disposizioni in materia di valorizzazione del patrimonio immobiliare”, abrogando o sopprimendo i riferimenti alla possibilità di trasferire o conferire agli appositi fondi di investimento immobiliare i beni valorizzabili, suscettibili di trasferimento ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera e), del D.Lgs. n. 85 del 2010, individuati dall'Agenzia del demanio e a seguito di apposita manifestazione da parte dei competenti organi degli Enti interessati, della volontà di valorizzazione.


 

Articolo 56-ter
(Piani di azionariato)

 

1. I Ministri dello sviluppo economico, della giustizia, dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali presentano al Parlamento, entro il 30 settembre 2013, una relazione sulla disciplina, sulle esperienze e sulle prospettive dell'azionariato diffuso, ovvero della partecipazione, anche azionaria, dei dipendenti agli utili di impresa ed individuano le opportune misure, normative e di incentivazione fiscale, volte a favorire la diffusione delle predette esperienze in ambito nazionale e la collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende ai sensi dell'articolo 46 della Costituzione a partire dai piani di azionariato.

 

 

L’articolo 56-ter, inserito nel corso dell’esame parlamentare, prevede che entro il 30 settembre 2013 i Ministri dello sviluppo economico, della giustizia, dell’economia e delle finanze e del lavoro presentino al Parlamento una relazione sulla disciplina, sulle esperienze e sulle prospettive dell’azionariato diffuso (non ancora presentata), ovvero la partecipazione anche azionaria dei dipendenti agli utili dell’impresa.

Lo scopo dichiarato della norma è quello di individuare le opportune misure, anche normative e di incentivazione fiscale, volte a diffondere l’azionariato diffuso in ambito nazionale, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 46 della Costituzione.

L’articolo 46 della Costituzione prevede che «Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende».

Tra le iniziative parlamentari volte a dare attuazione all’articolo 46 della Costituzione si segnalano quelle risalenti agli anni Novanta (A.C. n. 5744, Alemanno e altri, della XIII legislatura), quelle della XIV legislatura (A.C. n. 2023, Cirielli ed altri; A.C. n. 4039, Delbono e altri), quella XV legislatura (A.S. n. 1177, Treu, Adragna e altri) e quella della XVI (A.S. n. 1531 Adragna e altri).

La materia della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese è regolata anche dal diritto dell’Unione europea, che, a grandi linee, comprende:

§      il regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, dell’8 ottobre 2001, che istituisce lo statuto della Società europea (SE) e la direttiva 2001/86/CE del Consiglio, dell’8 ottobre 2001, che prevede il coinvolgimento dei lavoratori alle decisioni societarie a livello di vigilanza e di sviluppo delle strategie di impresa (ma non di gestione corrente, che resta di competenza della direzione aziendale);

§      la direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2002, che istituisce il sistema dell’informazione e della consultazione dei lavoratori;

§      la raccomandazione n. 92/443/CEE del Consiglio, del 27 luglio 1992, concernente la promozione della partecipazione dei lavoratori subordinati ai profitti e ai risultati dell’impresa;

§      la direttiva 2003/72/CE del Consiglio, del 22 luglio 2003, che accompagna il regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003, istitutivo della Società cooperativa europea.

Da ricordare inoltre la direttiva 94/45/CE del Consiglio, del 22 settembre 1994, relativa all’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie, direttiva trasfusa nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo 2 aprile 2002, n. 74.

Per completezza di riferimenti normativi occorre ricordare che il codice civile già prevede (articolo 2349) speciali categorie di azioni da assegnare ai lavoratori, con esclusione del diritto di opzione dei soci (articolo 2441, quarto comma). L’azionariato dei lavoratori viene sostenuto da apposite esenzioni fiscali e contributive entro limiti fissati dalla legge e purché le azioni non siano cedute o ritrasferite per almeno tre anni (articolo 51, comma 2, lett. g), del D.P.R. n. 917 del 1986 – TUIR).

 

I piani di azionariato diffuso prevedono l’acquisto a un prezzo vantaggioso rispetto al valore di mercato da parte dei dipendenti di una società delle azioni della società in cui lavorano o di sue controllate. In sostanza si tratta di una forma di retribuzione e incentivazione che le aziende utilizzano come strumento di fidelizzazione per i propri dipendenti, rendendoli partecipi del rischio d'impresa e, contemporaneamente, cercando di stimolarne l'impegno professionale e la produttività in modo da generare valore a beneficio di tutti. Quando i dipendenti ricevono le azioni a titolo gratuito, si parla di piano di stock grant.

 

Si segnala che la precedente formulazione dell’articolo 56-ter, inserita nel corso dell’esame alla Camera, prevedeva l’esonero dal pagamento del bollo sulle comunicazioni alla clientela relative ai prodotti e agli strumenti finanziari, a decorrere dall’anno 2014, per i piani di partecipazione, anche azionaria, dei dipendenti agli utili di impresa nel settore del commercio e della distribuzione, qualora fossero stati costituiti prima del 7 dicembre 2011.


 

Articolo 56-quater
(Diritto di ripensamento per l’offerta fuori sede
nei servizi di investimento)

 

1. All'articolo 30, comma 6, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, dopo il secondo periodo è inserito il seguente: «Ferma restando l'applicazione della disciplina di cui al primo e al secondo periodo ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettere c), c-bis) e d), per i contratti sottoscritti a decorrere dal 1° settembre 2013 la medesima disciplina si applica anche ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettera a)».

 

 

L’articolo 56-quater, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, modificando l’articolo 30, comma 6 del TUF (D.Lgs. n. 58 del 1998) estende la disciplina del diritto di ripensamento per l’offerta fuori sede a determinati servizi di investimento, tra i quali la negoziazione in proprio per i contratti sottoscritti dal 1° settembre 2013.

 

La norma inserisce dopo il secondo periodo del comma 6 dell’articolo 30 del TUF una disposizione di interpretazione autentica che considera già applicabile la prima parte del comma 6 (diritto di ripensamento per l’offerta fuori sede) ai servizi di investimento di cui all’articolo 1, comma 5, lettere c), c-bis) e d).

Si rammenta che i primi due periodi del comma 6 prevedono che l'efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede sia sospesa per sette giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione da parte dell'investitore. Entro detto termine l'investitore può comunicare il proprio recesso senza spese né corrispettivo al promotore finanziario o al soggetto abilitato; tale facoltà è indicata nei moduli o formulari consegnati all'investitore.

Il comma 5 dell’articolo 1 del TUF definisce "servizi e attività di investimento", quando hanno per oggetto strumenti finanziari, anche:

§      la sottoscrizione e/o collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente (lettera c));

§      il collocamento senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente (lettera c-bis));

Il servizio di sottoscrizione e/o collocamento consiste nella distribuzione di strumenti finanziari, nell’ambito di un’offerta standardizzata, sulla base di un accordo con l’emittente (o offerente). Il collocamento, o la sottoscrizione, possono avvenire "con" o "senza" assunzione a fermo o assunzione di garanzia nei confronti dell’emittente. Nel caso di collocamento "senza", l’intermediario assume solo l’obbligo di ricercare presso il pubblico i soggetti interessati alla sottoscrizione o all’acquisto degli strumenti finanziari da collocare; il rischio di un insuccesso nel collocamento grava solo sull’emittente. Nel caso in cui l’intermediario sottoscriva o acquisti egli stesso preventivamente i titoli, o comunque presti una garanzia per la riuscita dell’operazione, assume su di sé il rischio del buon esito dell’operazione;

§      la gestione di portafogli (lettera d));

Attraverso il servizio di gestione di portafogli l’intermediario impiega in tutto o in parte il patrimonio del cliente in strumenti finanziari. L’intermediario decide quali strumenti finanziari compongono il portafoglio al fine di valorizzarlo, provvedendo anche a tutte le operazioni necessarie per acquistarli o venderli. Il cliente può ordinare di acquistare o vendere determinati titoli. Prima di prestare il servizio, l’intermediario deve valutare che il servizio offerto (o richiesto) sia adeguato per il cliente e cioè che, sulla base delle informazioni acquisite dal cliente stesso, corrisponda ai suoi obiettivi di investimento senza esporlo a rischi da lui non sopportabili o non comprensibili.

 

A decorrere dal 1° settembre 2013, inoltre, la suddetta facoltà di recesso è attribuita anche ai servizi di negoziazione per conto proprio (articolo 1, comma 5, lettera a)).

La negoziazione per conto proprio è l’attività con cui l’intermediario, su ordine del cliente, gli vende strumenti finanziari di sua proprietà ovvero li acquista direttamente dal cliente stesso. Nell’attività di negoziazione per conto proprio l’intermediario:

§      impegna "posizioni proprie" e cioè soddisfa le esigenze di investimento o di disinvestimento della clientela con strumenti finanziari già presenti nel proprio portafoglio;

§      entra nel contratto di compravendita come controparte diretta dei clienti;

§      esegue gli ordini dei clienti.

 

Al riguardo si segnala che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 13905, depositata il 3 giugno 2013, a composizione di un contrasto giurisprudenziale, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui il diritto di recesso accordato all’investitore dall’articolo 30 del TUF e la previsione di nullità dei contratti su strumenti finanziari in cui quel diritto non sia contemplato, si applicano anche fuori dall’ambito di un servizio di collocamento prestato dall’intermediario in favore dell’emittente o dell’offerente di tali strumenti, ove occorra la stessa esigenza di tutela.

La Suprema Corte ha interpretato in maniera estensiva il termine «collocamento». Nella sentenza si afferma infatti che «la parola collocamento è da intendere in senso ampio, come sinonimo di atto negoziale mediante il quale lo strumento finanziario viene fatto acquisire al cliente». La conseguenza di tale interpretazione è che il diritto di recesso (che deve essere messo per iscritto a pena di nullità) vale per qualsiasi ipotesi in cui l’intermediario venda fuori sede strumenti finanziari ad investitori al dettaglio.

La norma in esame sembra volere adeguare la disciplina del diritto di ripensamento per l’offerta fuori sede nei servizi di investimento alla pronuncia della Cassazione, circoscrivendone i potenziali effetti.


 

Articolo 56-quinquies
(Emittenti finanziarie cooperative)

 


1. All'articolo 112, comma 7, del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In attesa di un riordino complessivo degli strumenti di intermediazione finanziaria, e comunque non oltre il 31 dicembre 2014, possono continuare a svolgere la propria attività, senza obbligo di iscrizione nell'albo di cui all'articolo 106, le società cooperative di cui al capo I del titolo VI del libro quinto del codice civile, esistenti alla data del 1° gennaio 1996 e le cui azioni non siano negoziate in mercati regolamentati, che concedono finanziamenti sotto qualsiasi forma esclusivamente nei confronti dei propri soci, a condizione che:

a) non raccolgano risparmio sotto qualsivoglia forma tecnica;

b) il volume complessivo dei finanziamenti a favore dei soci non sia superiore a quindici milioni di euro;

c) l'importo unitario del finanziamento sia di ammontare non superiore a 20.000 euro;

d) i finanziamenti siano concessi a condizioni più favorevoli di quelli presenti sul mercato».


 

 

L’articolo 56-quinquies consente alle società cooperative esistenti al 1° gennaio 1996 e le cui azioni non siano negoziate in mercati regolamentari, che concedono finanziamenti sotto qualsiasi forma esclusivamente ai propri soci, di continuare a svolgere la propria attività senza l’obbligo di iscrizione nell’albo degli intermediari di cui all’articolo 106 (albo intermediari) del Testo Unico Bancario, non oltre il 31 dicembre 2014, a specifiche condizioni di legge.

 

La norma in particolare novella l’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo n. 141 del 2010, il quale è intervenuto sul comma 7 dell’articolo 112 del decreto legislativo n. 385 del 1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia).

 

Più in dettaglio, in attesa di un riordino complessivo degli strumenti di intermediazione finanziaria, e comunque non oltre il 31 dicembre 2014, possono continuare a svolgere la propria attività, senza obbligo di iscrizione nell’albo di cui all’articolo 106 (albo intermediari) del TUB, le società cooperative previste dal capo I (articolo 2511 e seguenti) del titolo VI del libro V del codice civile, esistenti alla data del 1° gennaio 1996 e le cui azioni non siano negoziate in mercati regolamentari, che concedono finanziamenti sotto qualsiasi forma esclusivamente ai propri soci, a condizione che:

§      non raccolgano risparmio sotto qualsiasi forma tecnica;

§      il volume complessivo dei finanziamenti a favore dei soci non sia superiore a 15 milioni di euro;

§      l’importo unitario del finanziamento sia di ammontare non superiore a 20.000 euro;

§      i finanziamenti siano concessi a condizioni più favorevoli di quelli presenti sul mercato.

 

Il D.Lgs. n. 141 del 2010, oltre a dare attuazione alla direttiva 2008/48/CE, relativa ai contratti di credito ai consumatori, ha modificato il testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi. In particolare il D.Lgs. 141 del 2010 ha unificato la disciplina degli intermediari finanziari, ovvero di quei soggetti che esercitano nei confronti del pubblico l'attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. Si è passati in sostanza da un sistema in cui la vigilanza in capo a tali soggetti era graduata in base alle dimensioni operative degli stessi - con iscrizione in due elenchi separati, ex articoli 106 e 107 del TUB - alla riconduzione ad unum della disciplina di tutti gli intermediari, assoggettati complessivamente ad autorizzazione preventiva da parte di Banca d'Italia, con forme di vigilanza equivalente e con iscrizione in un unico albo.

È prevista pertanto l’istituzione dell’albo unico degli intermediari finanziari che esercitano nei confronti del pubblico l’attività di concessione di finanziamento sotto qualsiasi forma, la cui tenuta è affidata alla Banca d’Italia (articolo 106 del TUB). Nell’albo unico si devono iscrivere anche i confidi di maggiori dimensioni e le agenzie di prestito su pegno, mentre è prevista l’iscrizione in una sezione separata del medesimo albo delle società fiduciarie controllate da una banca o aventi un capitale versato non inferiore al doppio di quello previsto dal codice civile per le società per azioni (art. 199 del TUF).

L’articolo 112 interviene in merito agli altri soggetti (diversi dagli intermediari finanziari) operanti nell'attività di concessione di finanziamenti. Il comma 7 dell’articolo 112 (come modificato dall’articolo 3 del D.Lgs. n. 169 del 2012) stabilisce che i soggetti diversi dalle banche, già operanti alla data di entrata in vigore della presente disposizione i quali, senza fine di lucro, raccolgono tradizionalmente in ambito locale somme di modesto ammontare ed erogano piccoli prestiti (c.d. “casse peota”) possono continuare a svolgere la propria attività, in considerazione del carattere marginale della stessa, nel rispetto delle modalità operative e dei limiti quantitativi determinati dal CICR, essendo eliminato l’obbligo di iscriversi in una apposita sezione dell’elenco degli esercenti il microcredito. Possono inoltre continuare a svolgere la propria attività, senza obbligo di iscrizione nell'albo di cui all'articolo 106, gli enti e le società cooperative costituiti entro il 1° gennaio 1993 tra i dipendenti di una medesima amministrazione pubblica, già iscritti nell'elenco generale di cui all'articolo 106 del D.Lgs. n. 358 del 1993 vigente alla data del 4 settembre 2010, ove si verifichino le condizioni di cui all'articolo 2 del decreto del Ministro del tesoro del 29 marzo 1995.


 

Articolo 57
(Interventi straordinari a favore della
ricerca per lo sviluppo del Paese)

 


1. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca favorisce interventi diretti al sostegno e allo sviluppo delle attività di ricerca fondamentale e di ricerca industriale, mediante la concessione di contributi alla spesa nel limite del cinquanta per cento della quota relativa alla contribuzione a fondo perduto disponibili nel Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR), con particolare riferimento:

a) al rafforzamento della ricerca fondamentale condotta nelle università e negli enti pubblici di ricerca;

b) alla creazione e allo sviluppo di start-up innovative e spin-off universitari;

c) alla valorizzazione dei progetti di social innovation per giovani al di sotto dei 30 anni;

d) al sostegno allo sviluppo di capitale di rischio e crowdfunding;

e) al potenziamento del rapporto tra mondo della ricerca pubblica e imprese, mediante forme di sostegno che favoriscano la partecipazione del mondo industriale al finanziamento dei corsi di dottorato e di assegni di ricerca;

f) al potenziamento infrastrutturale delle università e degli enti pubblici di ricerca, anche in relazione alla partecipazione alle grandi reti infrastrutturali europee nell'ambito del programma europeo Horizon 2020;

g) al sostegno agli investimenti in ricerca delle piccole e medie imprese, e in particolare delle società nelle quali la maggioranza delle quote o delle azioni del capitale sia posseduta da giovani al di sotto dei 35 anni;

h) alla valorizzazione di grandi progetti/programmi a medio-lungo termine condotti in partenariato tra imprese e mondo pubblico della ricerca, con l'obiettivo di affrontare le grandi sfide sociali contemporanee;

i) al supporto e alla incentivazione dei ricercatori che risultino assegnatari di borse di studio, assegni o altre forme similari di sovvenzione dell'Unione europea, ovvero dei progetti finanziati a carico dei fondi per progetti di ricerca di interesse nazionale (PRIN) o del Fondo per gli investimenti della ricerca di base (FIRB);

l) al sostegno dell'internazionalizzazione delle imprese che partecipano a bandi europei di ricerca;

l-bis) al sostegno in favore di progetti di ricerca in campo umanistico, artistico e musicale, con particolare riferimento alla digitalizzazione e messa on line dei relativi prodotti .

2. Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono individuate le risorse disponibili nel FAR da destinare agli interventi di cui al comma 1. Dette risorse sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate all'apposito programma dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per le finalità di cui al presente articolo. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.


 

 

L’articolo 57 elenca una serie di interventi diretti al sostegno e allo sviluppo delle attività di ricerca fondamentale[61] e di ricerca industriale[62] che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sostiene con un contributo alla spesa, utilizzando a tal fine una parte della quota del fondo FAR destinata alla contribuzione a fondo perduto, nel limite del cinquanta per cento di essa (comma 1).

Gli interventi a sostegno della ricerca industriale e applicata, di competenza del MIUR, gravano sul Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR) (attualmente confluito nel FIRST[63]), che si compone di una parte destinata al «credito agevolato», quale fondo di rotazione sul conto di tesoreria (C.to 3001) tenuto presso la Banca d'Italia, e di una parte destinata al «contributo alla spesa».

Secondo i dati forniti dalla relazione illustrativa, il rapporto tra le disponibilità del Fondo, negli ultimi cinque anni (fino al 2011, anno dell'ultimo rifinanziamento della parte destinata al contributo alla spesa), è stato di circa il 12% per il contributo alla spesa e l'88% per la parte di credito agevolato, con un tendenziale allargamento della forbice percentuale a discapito del contributo alla spesa.

La quota di interessi percepiti, a seguito del rientro di mutui o prestiti, negli ultimi dieci anni fino al 2012, è pari a circa 72 milioni di euro. Tale montante ha costituito un'alimentazione «esterna» che ha incrementato la dotazione iniziale del Fondo.

A causa della grave crisi economica di questi ultimi anni le imprese si sono trovate in grandi difficoltà a utilizzare il finanziamento di progetti di ricerca sotto la forma di mutui/prestiti e di credito agevolato, nonostante le condizioni particolarmente favorevoli sia con riferimento al tempo di restituzione (piano di ammortamento in dieci anni) che al tasso molto agevolato accordato (0,5 per cento).

Si rende pertanto necessario un intervento mirato di sostegno alle imprese privilegiando il contributo alla spesa.

 

La relazione tecnica evidenzia inoltre che l’intervento normativo proposto mira anche a risolvere la mancanza di risorse anche per gli altri interventi di competenza del MIUR, oltre a quelli di ricerca industriale/applicata.

 

Gli interventi elencati dalla norma mirano in particolare:

a)   al rafforzamento della ricerca fondamentale condotta nelle università e negli enti pubblici di ricerca;

b)   alla creazione e allo sviluppo di start-up innovative e spin-off universitari;

c)   alla valorizzazione dei progetti di social innovation per giovani al di sotto dei 30 anni;

d)   al sostegno allo sviluppo di capitale di rischio e crowdfunding (ovvero al finanziamento dei progetti effettuato da una molteplicità di soggetti);

e)   al potenziamento del rapporto tra mondo della ricerca pubblica e imprese, mediante forme di sostegno che favoriscano la partecipazione del mondo industriale al finanziamento dei corsi di dottorato e assegni di ricerca post-doc;

f)     al potenziamento infrastrutturale delle università e degli enti pubblici di ricerca, anche in relazione alla partecipazione alle grandi reti infrastrutturali europee nell'ottica di Horizon 2020;

g)   al sostegno agli investimenti in ricerca delle piccole e medie imprese, e in particolare delle società nelle quali la maggioranza delle quote o delle azioni del capitale sia posseduta da giovani al di sotto dei 35 anni;

h)   alla valorizzazione di grandi progetti/programmi a medio-lungo termine condotti in partenariato tra imprese e mondo pubblico della ricerca, con l'obiettivo di affrontare le grandi sfide sociali contemporanee;

i)      al supporto e alla incentivazione dei ricercatori che risultino vincitori di grant europei o di progetti a carico dei fondi PRIN o FIRB;

l)      al sostegno dell'internazionalizzazione delle imprese che partecipano a bandi europei di ricerca.

 

Secondo il comma 2, le risorse disponibili nel fondo FAR da destinare agli interventi elencati sono individuate con decreto del MIUR, di concerto con il MEF.

 

La relazione tecnica quantifica le risorse attualmente disponibili sul fondo FAR in 100 milioni di euro. Dal momento che la norma in esame si limita a dare una diversa finalizzazione alle somme presenti a titolo di contributo alla spesa, essa non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Si ricorda che gli articoli 60-63 del D.L. n. 83/2012 hanno ridefinito gli interventi di competenza del MIUR diretti al sostegno delle attività di ricerca fondamentale e di ricerca industriale.

Con il D.M. 19 febbraio 2013 il MIUR ha attuato tali disposizioni prevedendo le modalità di utilizzo e gestione del Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST) e le disposizioni procedurali per la concessione delle agevolazioni a valere sulle relative risorse finanziarie, a norma degli articoli 60, 61, 62 e 63 del citato decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83.


 

Articolo 57-bis
(Personale scolastico collocato fuori ruolo per compiti connessi con l’attuazione dell’autonomia scolastica)

 


1. All'articolo 1, comma 58, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «nonché quelli adottati ai sensi del medesimo articolo per l'anno scolastico 2013-2014 relativamente ai soli soggetti di cui al primo periodo del comma 8 del medesimo articolo 26 della legge n. 448 del 1998».

2. Per l'attuazione del comma 1 è autorizzata una spesa nel limite massimo di 1,1 milioni di euro per l'anno 2013 e di 2,2 milioni di euro per l'anno 2014. Ai relativi oneri si provvede, per l'anno 2013, mediante corrispondente riduzione lineare degli stanziamenti di parte corrente iscritti, nell'ambito delle spese rimodulabili di cui all'articolo 21, comma 5, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nel programma «Iniziative per lo sviluppo del sistema istruzione scolastica e per il diritto allo studio» della missione «Istruzione scolastica» dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e, per l'anno 2014, mediante utilizzo dei risparmi di spesa di cui all'articolo 58, comma 5.


 

 

L’articolo 57-bis, introdotto durante l’esame parlamentare, fa salvi i provvedimenti di collocamento fuori ruolo per compiti connessi con l’autonomia scolastica adottati per l’a.s. 2013/2014 sulla base delle disposizioni vigenti prima dell’entrata in vigore della legge di stabilità 2013.

 

In particolare, il comma 1, novellando l’art. 1, comma 58, della L. n. 228/2012 (L. di stabilità 2013) – che, in relazione alla riduzione dei contingenti di collocamenti fuori ruolo disposti dal comma 57 aveva fatto salvi i provvedimenti già adottati per l’a.s. 2012/2013 sulla base del testo dell'art. 26, comma 8, della L. n. 448/1998 vigente prima della data della sua entrata in vigore - fa salvi anche quelli adottati per l’a.s. 2013/2014, ma limitatamente a quelli disposti per compiti connessi con l’attuazione dell’autonomia scolastica (e non anche, dunque, per quelli disposti per le associazioni professionali del personale direttivo e docente e per gli enti cooperativi da esse promossi, nonché per gli enti che operano nel campo della formazione e della ricerca educativa e didattica).

 

Al riguardo si ricorda che l’art. 26, co. 8, della L. 448/1998, nel testo come modificato, da ultimo, dall’art. 1, co. 57, della L. n. 228/2012, dispone, al primo periodo, che il contingente di docenti e dirigenti scolastici di cui l’amministrazione scolastica centrale e periferica può avvalersi per compiti connessi con l’attuazione dell’autonomia scolastica è di 150 unità. Prima di tale, ultima, modifica, il contingente era di 300 unità, ai sensi dall’art. 4, co. 68, della legge di stabilità 2012 (L. n. 183/2011).

 

Si ricorda, altresì, che, a seguito di quanto disposto dalla L. n. 228/2012, il MIUR, con Nota prot. n. 2980 del 25 marzo 2013 aveva comunicato che tutte le posizioni di comando in essere sarebbero cessate a decorrere dal 31 agosto 2013 e che, a partire dall’a.s. 2013/2014, il personale comandato doveva riprendere servizio nella propria sede di titolarità oppure, nel caso di collocamenti fuori ruolo per periodi superiori a 5 anni, presso la sede determinata in accordo con l’U.S.R. competente, fatta salva la possibilità di partecipare alla nuova procedura di selezione indetta dai Dipartimenti e dalle Direzioni generali dell’Amministrazione centrale e periferica e di collocarsi in posizione utile all’ottenimento del rinnovo del comando.

 

Il comma 2 dispone che per l’attuazione del comma 1 è autorizzata una spesa nel limite massimo di 1,1 milioni di euro per il 2013 e 2,2 milioni di euro per il 2014, al cui onere si provvede:

§      per il 2013, mediante corrispondente riduzione lineare degli stanziamenti di parte corrente iscritti, nell’ambito delle spese rimodulabili, nel Programma “Iniziative per lo sviluppo del sistema di istruzione scolastica e per il diritto allo studio” della Missione “Istruzione scolastica” dello stato di previsione del MIUR;

§      per il 2014, mediante utilizzo dei risparmi di spesa di cui all’art. 58, co. 5 (alla cui scheda si rinvia).


 

Articolo 58, commi 1-3 e 4-7
(Turnover nelle università e negli enti di ricerca)

 


1. Al fine di favorire lo sviluppo del sistema universitario e della ricerca all'articolo 66 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 13-bis, le parole «triennio 2012-2014» sono sostituite dalle seguenti «biennio 2012-2013» e le parole «per l'anno 2015» sono sostituite dalle seguenti «per gli anni 2014 e 2015»;

b) al comma 14, le parole «quadriennio 2011-2014» sono sostituite dalle seguenti «triennio 2011-2013» e le parole «per l'anno 2015» sono sostituite dalle seguenti «per gli anni 2014 e 2015».

2. Il Fondo per il finanziamento ordinario delle università statali è incrementato di euro 21,4 milioni nell'anno 2014 ed euro 42,7 milioni a decorrere dall'anno 2015 e il Fondo ordinario per gli enti di ricerca è incrementato di euro 3,6 milioni nell'anno 2014 ed euro 7,1 milioni a decorrere dall'anno 2015.

3. All'articolo 1, comma 9, della legge 4 novembre 2005, n. 230, dopo il terzo periodo è inserito il seguente periodo:

«Non è richiesto il parere della commissione di cui al terzo periodo nel caso di chiamate di studiosi che siano risultati vincitori di uno dei programmi di ricerca di alta qualificazione di cui al primo periodo, effettuate entro tre anni dalla vincita del programma.».

4. Ai maggiori oneri derivanti dal comma 1, pari ad euro 25 milioni nell'anno 2014 ed euro 49,8 milioni a decorrere dall'anno 2015, si provvede mediante utilizzo dei risparmi di spesa di cui al comma 5.

5. A decorrere dall'anno scolastico 2013/2014 le istituzioni scolastiche ed educative statali acquistano, ai sensi dell'articolo 1, comma 449, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, i servizi esternalizzati per le funzioni corrispondenti a quelle assicurate dai collaboratori scolastici loro occorrenti nel limite della spesa che si sosterrebbe per coprire i posti di collaboratore scolastico accantonati ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 119. A decorrere dal medesimo anno scolastico il numero di posti accantonati non è inferiore a quello dell'anno scolastico 2012/2013. In relazione a quanto previsto dal presente comma, le risorse destinate alle convenzioni per i servizi esternalizzati sono ridotte di euro 25 milioni per l'anno 2014 e di euro 49,8 milioni a decorrere dall'anno 2015.

6. Eventuali risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli indicati al comma 5 del presente articolo, tenuto anche conto della compensazione degli effetti in termini di fabbisogno e indebitamento netto derivati dal comma 9 dell'articolo 59 del presente decreto, rimangono a disposizione per le esigenze di funzionamento delle istituzioni scolastiche e per le supplenze brevi.

7. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.


 

 

L’articolo 58, commi 1, 2 e da 4 a 7, anticipa di un anno la possibilità che le università e gli enti di ricerca effettuino assunzioni nella misura del 50% (in luogo del 20%) della spesa relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell'anno precedente. Ai maggiori oneri derivanti dall’aumento della facoltà di assunzione, pari ad euro 25 milioni nell’anno 2014 ed euro 49,8 milioni annui a decorrere dall’anno 2015, si provvede utilizzando parte dei risparmi conseguenti alle riduzioni di spesa per i servizi esternalizzati nelle scuole.

 

In particolare, il comma 1, apportando alcune modifiche all’articolo 66 del D.L. n. 112/2008 (L. n. 133/2008), concernente la disciplina sulla limitazione del turn-over nelle Amministrazioni pubbliche – che disponeva, ai commi 13-bis e 14, che università ed enti di ricerca potessero procedere ad assunzioni nella misura del 20% della spesa relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell'anno precedente per il triennio 2012-2014, del 50% per il 2015 e del 100% dal 2016 –, prevede che i richiamati enti possano procedere ad assunzioni nella misura del 50% della spesa relativa al corrispondente personale cessato dal servizio nell’anno precedente per gli anni 2014 e 2015.

 

In base al comunicato stampa presente sul sito del Governo, in tal modo “si liberano posti per 1.500 ordinari e 1.500 nuovi ricercatori in “tenure track” (di cui all’articolo 24, L. n. 240/2010).

 

In materia di limiti alle assunzioni per le università, si ricorda che l’articolo 66 del D.L. n. 112/2008 (L. n. 133/2008) è stato da ultimo novellato dall’articolo 14, comma 3, del D.L. n. 95/2012 (L. n. 135/2012) che, in particolare, con il comma 13-bis, ha definito una nuova disciplina per il turn over. In base alla nuova disciplina, le misure percentuali fissate valgono con riferimento “al sistema” delle università nel suo complesso, mentre all’attribuzione del contingente di assunzioni spettante a ciascun ateneo si provvede con decreto ministeriale, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 7 del D.Lgs. n. 49/2012 (che ha individuato le combinazioni dei livelli degli indicatori di spesa per il personale e di spesa per indebitamento rilevanti, per ciascun ateneo, per la determinazione, tra l’altro, della misura delle assunzioni di personale a tempo indeterminato e del conferimento di contratti di ricerca a tempo determinato)[64].

 

A tal fine, il comma 2 incrementa i fondi sui quali gravano le spese per il personale dei rispettivi comparti, prevedendo che:

§      il Fondo per il finanziamento ordinario delle università è incrementato di 21,4 milioni di euro nel 2014 e di 42,7 milioni di euro annui dal 2015;

§      il Fondo ordinario per gli enti di ricerca vigilati dal MIUR è incrementato di 3,6 milioni di euro nel 2014 e di 7,1 milioni di euro annui dal 2015.

 

La relazione tecnica all’A.C. 1248 chiariva che l’importo stimato per il 2014 è pari al 50 per cento (circa) di quello a regime, ipotesi strutturata sull’assunto che nel 2014 le nuove assunzioni siano equidistribuite in corso d’anno.

 

Il Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO), previsto dall’articolo 5, comma 1, lett. a), della L. 537 del 1993, è allocato sul cap. 1694 dello stato di previsione del MIUR.

Il D.M. n. 111878 del 31 dicembre 2012, di ripartizione in capitoli, reca in corrispondenza del cap. 1694 una previsione di stanziamento di 6.574,3 milioni di euro per il 2014 e di 6.544,7 milioni di euro per il 2015, a fronte di 6.694,7 milioni di euro stanziati per il 2013. Tali valori sono confermati dal disegno di legge di assestamento 2013.

 

Il Fondo ordinario per gli enti di ricerca vigilati dal MIUR, previsto dall’articolo 7 del d.lgs. 204/1998, è determinato nella tab. C della legge di stabilità ed è allocato sul cap. 7236 dello stato di previsione del MIUR.

Il D.M. di ripartizione in capitoli sopra citato reca, in corrispondenza del cap. 7236, una previsione di spesa di 1.766,2 milioni di euro per il 2014 e di 1.759,5 milioni di euro per il 2015, a fronte di 1.768,5 milioni di euro stanziati per il 2013. Anche tali valori sono confermati dal disegno di legge di assestamento 2013.

 

Ai sensi del comma 4, ai maggiori oneri derivanti dall’aumento della facoltà di assunzione si provvede utilizzando parte dei risparmi conseguenti alle riduzioni di spesa per i servizi esternalizzati nelle scuole, di cui al comma 5.

Quest’ultimo fissa, per le istituzioni scolastiche ed educative statali, a decorrere dall’anno scolastico 2013/2014, un tetto alla spesa per l’acquisto di servizi esternalizzati, che devono avvenire nel rispetto dell’obbligo di avvalersi delle convenzioni quadro CONSIP: la spesa, infatti, non può essere superiore a quella che si sosterrebbe per coprire i posti di collaboratore scolastico accantonati ai sensi dell’articolo 4 del D.P.R. n. 119/2009. In relazione a questi ultimi, dispone anche che, a decorrere dal medesimo a.s. 2013/2014, il numero di posti accantonati non deve essere inferiore a quello dell’a.s. 2012/2013.

 

Si ricorda che l’articolo 1, comma 449, della L. n. 296/2006, richiamato nel testo del comma 5, dispone che tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, sono tenute ad approvvigionarsi di beni e servizi utilizzando le convenzioni-quadro CONSIP.

In relazione all’esternalizzazione dei servizi nelle scuole, l’articolo 4 del D.P.R. n. 119/2009 ha disposto che nelle istituzioni scolastiche in cui i compiti del profilo di collaboratore scolastico sono assicurati, in tutto o in parte, da personale esterno all'amministrazione, è indisponibile, a qualsiasi titolo, il 25% dei posti del corrispondente profilo professionale.

 

In particolare, la relazione illustrativa e la relazione tecnica all’A.C. 1248 chiarivano che l’importo a base di gara previsto per “la stipulanda convenzione Consip” per i servizi esternalizzati – di cui si prevedeva l’attivazione per il mese di settembre 2013 – sarebbe pari alla spesa che si sarebbe sostenuta per assumere un numero di collaboratori scolastici pari a quanti sono i posti accantonati in organico.

Il limite di spesa annuale è stato stimato in circa 280 milioni di euro - derivanti dal prodotto fra il numero dei posti di collaboratore scolastico accantonati nell’a.s. 2012-2013, pari a 11.851 posti, e lo stipendio annuale lordo di un collaboratore scolastico supplente, pari a 23.581,37 euro - a fronte di una spesa di 390 milioni di euro.

Pertanto, il risparmio complessivo derivante dalle disposizioni recate dal comma 5 ammonta, in base alla relazione tecnica all’A.C. 1248, a 110 milioni di euro annui a decorrere dal 2014 e a 36,6 milioni di euro già nel 2013.

 

In base al comma 6, le eventuali risorse recuperate attraverso quanto disposto dal comma 5, ulteriori rispetto agli importi indicati al comma 4 (25 milioni di euro per il 2014 e 49,8 milioni di euro annui a decorrere dal 2015), e al netto di quanto necessario per la compensazione degli effetti finanziari derivanti dall’articolo 59, comma 9 – che dispone il riutilizzo delle somme impegnate e non pagate nel 2011 e 2012 del Fondo per il merito per nuove finalità (borse di mobilità), tramite il versamento all’entrata del bilancio (v. infra) - sono destinate al funzionamento delle scuole e alle supplenze brevi.

Al riguardo si segnala, peraltro, che l’articolo 57-bis dispone che agli oneri derivanti dalle misure inerenti il personale scolastico collocato fuori ruolo, da esso recate, quantificati nel limite massimo di euro 2,2 milioni per il 2014, si provvede mediante utilizzo dei risparmi di spesa di cui all’articolo 58, comma 5.

 

Il comma 3 modifica la procedura per la chiamata diretta, da parte delle università, di studiosi che siano risultati vincitori di specifici programmi di ricerca di alta qualificazione, ove la chiamata sia effettuata entro 3 anni dalla vincita del programma, escludendo la necessità del parere dell’apposita commissione nominata dal Consiglio universitario nazionale (CUN).

 

La relazione illustrativa all’A.C. 1248 evidenziava che nel caso specifico il parere della commissione non appare necessario perché la valutazione tecnica è stata già fatta in sede di selezione dei programmi da parte del MIUR.

 

L’articolo 29, comma 7, della L. n. 240/2010 ha aggiunto alle due possibilità di chiamata diretta, da parte delle università, di professori ordinari e associati e di ricercatore, già previste dall’articolo 1, comma 9, della L. n. 230/2005 (studiosi impegnati all’estero da almeno un triennio in attività di ricerca o insegnamento universitario, che ricoprano una posizione accademica equipollente in istituzioni universitarie estere; studiosi che abbiano già svolto per chiamata diretta autorizzata dal MIUR, nell’ambito del “programma di rientro dei cervelli” - si veda dossier del Servizio Studi n. 387/3 dell’8 febbraio 2011 -, un periodo di almeno 3 anni di ricerca e di docenza nelle università italiane e conseguito risultati scientifici congrui rispetto al posto per il quale ne viene proposta la chiamata), una terza possibilità, riferita a studiosi che siano risultati vincitori nell’ambito di specifici programmi di ricerca di alta qualificazione, finanziati dall’Unione europea o dallo stesso MIUR.

I programmi in questione sono stati individuati con D.M. MIUR 1 luglio 2011 (GU n. 256 del 3 novembre 2011). In particolare, l’articolo 2 del D.M. ha disposto che i programmi devono avere una durata almeno triennale e non devono essersi conclusi, al momento della proposta di chiamata, da più di tre anni.

Una ulteriore modifica introdotta dall’articolo 29, comma 7, della L. n. 240/2010 ha riguardato la procedura. In particolare, è stato previsto che, per tutte le ipotesi di chiamata diretta, la concessione o il rifiuto del nulla osta da parte del Ministro, sulla base delle proposte formulate dalle università, siano preceduti dal parere di una commissione, nominata dal CUN, composta da tre professori ordinari appartenenti al settore scientifico disciplinare in riferimento al quale è proposta al chiamata (previamente, il parere era richiesto solo per la chiamata di studiosi di chiara fama, ulteriore ipotesi disciplinata dall’articolo 1, comma 9, della L. n. 230/2005).


 

Articolo 58, comma 3-bis
(Esclusioni dal limite alla spesa per missioni di università
ed enti di ricerca finanziate da soggetti pubblici)

 

3-bis. All'articolo 6, comma 12, quarto periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, dopo le parole: «soggetti privati» sono aggiunte le seguenti: «nonché da finanziamenti di soggetti pubblici destinati ad attività di ricerca».

 

 

Il comma 3-bis dell’articolo 58 novella il comma 12 dell’articolo 6 del D.L. n. 78/2010 (L. 122/2010), al fine di escludere dai limiti alla spesa pubblica per missioni ivi previsti, la spesa per missioni effettuata dalle università e dagli enti di ricerca con risorse derivanti da finanziamenti di soggetti pubblici destinati ad attività di ricerca.

 

La novella, dunque, estende il perimetro delle esclusioni già contemplate dal citato comma 12 del D.L. n. 78/2010 nonché da successivi interventi legislativi, modificativi del medesimo comma.

 

Il comma 12 dell’articolo 6, del D.L. 78/2010 stabilisce, a decorrere dal 2011, limiti annuali di spesa per le missioni, anche all’estero, delle pubbliche amministrazioni.

Più in dettaglio, il comma sancisce, a decorrere dal 2011, il divieto per le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione[65], incluse le Autorità indipendenti, di effettuare spese per missioni per un ammontare superiore al 50% della spesa sostenuta nel 2009.

La violazione del limite costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. La norma dispone che il limite di spesa può essere superato soltanto in casi eccezionali, previa adozione di un provvedimento motivato adottato dall'organo di vertice dell'amministrazione, da comunicare preventivamente agli organi di controllo ed agli organi di revisione dell'ente.

Il comma esplicitamente esclude dalla riduzione:

§       le missioni internazionali di pace e delle Forze armate;

§       le missioni delle Forze di polizia e dei Vigili del fuoco;

§       le missioni del personale di magistratura;

§       le missioni strettamente connesse ad accordi internazionali ovvero indispensabili per assicurare la partecipazione a riunioni presso enti e organismi internazionali o comunitari, nonché con investitori istituzionali necessari alla gestione del debito pubblico;

§       la spesa effettuata per lo svolgimento di compiti ispettivi.

Per ciò che concerne le spese per missioni sostenute da Università ed enti di ricerca, si ricorda che il legislatore è già intervenuto con la legge n. 240/2010 sul citato comma 12 dell’articolo 6 del D.L. n. 78/2010, al fine di introdurre quale ulteriore esclusione dai limiti alla spesa ivi previsti, le spese per missioni effettuate dalle università e dagli enti di ricerca con risorse derivanti da finanziamenti dell'Unione europea ovvero di soggetti privati[66].

 

La novella operata dal comma qui in esame, dunque, estende l’esclusione già prevista per le università e gli enti di ricerca alle missioni da queste effettuate finanziate con risorse pubbliche purché espressamente destinate ad attività di ricerca[67].

 

Recenti interventi legislativi, tra cui l’articolo 46 del decreto legge qui in esame (cfr. la relativa scheda di lettura), recano poi ulteriori esclusioni dal limite alla spesa per missioni sancito dall’articolo 6, comma 12 del D.L. n. 78/2010, senza però operarne una modifica esplicita.

 

Si segnala, infatti, che l’articolo 46 del decreto legge in esame esclude dall’applicazione dei vigenti limiti di spesa per missioni - nonché dei limiti fissati per le spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza - in via straordinaria, fino al 31 dicembre 2015, le spese effettuate dagli enti locali coinvolti nell’organizzazione del grande evento EXPO Milano 2015.

 

Si segnala, infine, che l’articolo 10, del D.L. n. 91/2013 esclude, altresì, dall’applicazione dei vigenti limiti di spesa per missioni - nonché dei limiti fissati per le spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza - gli enti e agli organismi, anche aventi personalità giuridica di diritto privato, che operano nel settore dei beni e delle attività culturali, vigilati o comunque sovvenzionati dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ivi inclusi i teatri stabili di iniziativa pubblica e i relativi circuiti e associazioni.


 

Articolo 58, comma 7-bis
(Disposizioni concernenti assunzioni di breve durata presso il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura)


7-bis. Il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, per le eccezionali e straordinarie esigenze delle aziende sperimentali connesse allo svolgimento di attività agricole, nell'ambito delle risorse di bilancio disponibili e nel rispetto dei vincoli finanziari previsti dalla normativa vigente in materia di utilizzo di tipologie di lavoro flessibile, può assumere operai agricoli il cui rapporto di lavoro è regolato dal contratto collettivo nazionale di lavoro per gli operai agricoli e florovivaisti e dai contratti integrativi provinciali. L'assunzione può avvenire solo per l'esecuzione di lavori di breve durata, stagionali o a carattere saltuario, nel rispetto dei limiti temporali e dei vincoli previsti dalla normativa vigente per ciascuna tipologia di contratto.


 

 

Il comma 7-bis, aggiunto nel corso dell’esame parlamentare, prevede che il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), nell’ambito delle risorse disponibili e nel rispetto dei vincoli finanziari previsti dalla vigente normativa in materia di utilizzo di tipologie di lavoro flessibile, per far fronte alle esigenze straordinarie delle aziende agricole, possa assumere operai agricoli per l’esecuzione di lavori di breve durata.

 

Il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, posto sotto la vigilanza del Dicastero agricolo, è dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, con autonomia scientifica, statutaria, amministrativa e finanziaria, e si configura quale ente di programmazione generale della ricerca del comparto agroindustriale. L'attività del settore si deve quindi svolgere sulla base un piano triennale di attività (che può annualmente essere rivisto) che, approvato dal Dicastero agricolo, è predisposto dal Consiglio in modo da essere coerente con la programmazione scientifica nazionale definita nel Piano nazionale delle Ricerche (PNR) del MIUR, Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

L’attività attribuita al Consiglio, e svolta dagli istituti diffusi sul territorio, deve essere diretta a:

§       svolgere la ricerca scientifica e applicata; (la norma specifica che tra le finalità della ricerca vanno inclusi lo sviluppo sostenibile agricolo e rurale , nonché l'utilizzo delle aree svantaggiate e colpite da marginalità e dei sistemi acquei - sia a scopi produttivi che di tutela);

§       individuare processi produttivi e tecniche gestionali innovative, anche attraverso miglioramenti genetici e applicazione delle biotecnologie;

§       fornire consulenza ai ministeri, alle regioni e province autonome, anche con accordi di programma con tali enti;

§       favorire il trasferimento alle imprese dei risultati ottenuti;

§       eseguire ricerche a favore delle imprese del settore primario e dell'agroindustria.

Le fonti di finanziamento del CRA sono costituite dalle seguenti entrate:

-        il contributo ordinario annuale, a carico del bilancio statale (iscritto nella tabella del Mipaaf, Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali), per i compiti d'istituto e per le spese per personale;

-        i contributi, tratti dal Fondo integrativo speciale per la ricerca (di cui al D.lgs. n. 204/1999), per progetti e interventi di particolare rilevanza strategica indicati nel PNR (si tratta dei cosiddetti PRIN finanziati dal MIUR);

-        i compensi per l'attività di ricerca e consulenza richiesta da soggetti pubblici o privati;

-        le eventuali risorse assegnate dal Mipaaf, o da altre amministrazioni, a progetti speciali;

-        contributi dell’Unione europea;

-        i proventi conseguenti ai brevetti ottenuti nelle strutture di ricerca;

-        ogni altra risorsa derivante da lasciti, donazioni o altri contributi, nonché dalle rendite dal patrimonio del Consiglio costituito dall'insieme dei beni degli istituti e delle strutture inseriti nel Consiglio.


 

Articolo 59
(
Borse di mobilità e Piano nazionale per il sostegno al merito e alla mobilità degli studenti capaci, meritevoli e privi di mezzi)

 


1. Al fine di promuovere l'eccellenza e il merito degli studenti e di incentivare la mobilità nel sistema universitario, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca bandisce, entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, borse di mobilità a favore di studenti che, avendo conseguito risultati scolastici eccellenti, intendono iscriversi per l'anno accademico 2013/2014 a corsi di laurea ovvero a corsi di laurea magistrale a ciclo unico, presso università statali o non statali italiane, con esclusione delle università telematiche, che hanno sede in regioni diverse da quella di residenza degli studenti stessi e delle famiglie di origine.

2. Il bando stabilisce l'importo delle borse di mobilità, nonché le modalità per la presentazione telematica delle domande e i criteri per la formulazione della graduatoria nazionale di merito tra i candidati. L'importo delle borse può essere differenziato tenendo conto della distanza tra il luogo di residenza dello studente e la sede dell'università alla quale lo stesso intende iscriversi.

3. I soggetti di cui al comma 1 sono ammessi al beneficio sulla base dei seguenti criteri:

a) possesso di un diploma di istruzione secondaria superiore conseguito in Italia nell'anno scolastico 2012/2013, con votazione all'esito dell'esame di Stato pari o superiore a 95/100;

b) condizioni economiche dello studente individuate sulla base dell'Indicatore della situazione economica equivalente, di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive modificazioni.

4. Le borse di mobilità sono attribuite sulla base di una graduatoria nazionale nella quale sono inseriti i soggetti ammessi ai sensi del comma 3, fino ad esaurimento delle risorse di cui al presente articolo. In caso di parità di punteggio, prevale il candidato che presenta i valori più bassi nel requisito di cui alla lettera b) del citato comma 3, quindi più alti nel requisito di cui alla lettera a) del medesimo comma 3. La comunicazione della graduatoria e l'assegnazione delle borse sono effettuate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca entro quarantacinque giorni dalla data di pubblicazione del bando di cui al comma 2 e comunque non oltre il 30 settembre 2013. La predetta assegnazione diviene efficace all'atto dell'immatricolazione dello studente presso un'università situata in una regione differente da quella di residenza dello stesso e della famiglia d'origine, con esclusione delle università telematiche.

5. Per gli anni accademici successivi al primo, gli studenti che hanno avuto accesso per il primo anno al beneficio di cui al comma 1 possono mantenere il diritto allo stesso con apposita domanda, ferma restando la permanenza del requisito della residenza fuori sede, a condizione che rispettino i seguenti requisiti di merito:

a) aver acquisito almeno il 90 per cento dei crediti formativi universitari previsti dal piano di studi in base all'anno di iscrizione;

b) aver riportato una media di voti pari o superiore a 28/30;

c) non aver riportato alcun voto inferiore a 26/30.

6. Le borse di mobilità sono cumulabili con le borse di studio assegnate ai sensi del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68.

7. All'atto dell'effettiva immatricolazione, la somma viene assegnata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca all'università presso la quale lo studente beneficiario è iscritto, la quale provvede all'erogazione a favore dello studente.

8. Ai fini del presente articolo è autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e di 7 milioni di euro per l'anno 2015, da iscrivere nel Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti, di cui all'articolo 1 del decreto-legge 9 maggio 2003, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 luglio 2003, n. 170, per l'erogazione delle borse di mobilità.

9. Le somme già impegnate e non ancora pagate nel limite di 17 milioni di euro negli anni 2011 e 2012 per gli interventi di cui all'articolo 9, commi da 3 a 14, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, sono mantenute nel conto dei residui per essere versate all'entrata del bilancio dello Stato, quanto a euro 5 milioni per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e a euro 7 milioni per l'anno 2015. Alla compensazione degli effetti finanziari dall'anno 2014 in termini di fabbisogno e indebitamento netto derivanti dal presente comma si provvede mediante corrispondente utilizzo delle risorse che si rendono disponibili per effetto dell'articolo 58.

10. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.

11. Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è adottato un Piano nazionale per il merito e la mobilità degli studenti universitari capaci, meritevoli e privi di mezzi, che definisce la tipologia degli interventi e i criteri di individuazione dei beneficiari. Il suddetto Piano è triennale e può essere aggiornato annualmente anche in relazione alle risorse disponibili. Le risorse stanziate per l'attuazione del Piano sono determinate annualmente con la legge di stabilità.


 

 

L’articolo 59, ampiamente modificato durante l’esame parlamentare, introduce le borse per la mobilità degli studenti universitari e prevede l’adozione di un Piano nazionale per il merito e la mobilità degli studenti universitari capaci e meritevoli e privi di mezzi.

 

Il comma 1 dispone che, al fine di promuovere l’eccellenza e il merito degli studenti universitari, nonché di incentivarne la mobilità, entro 15 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto il MIUR emana un bando per l’erogazione di borse di mobilità a favore di studenti meritevoli (v. infra) che, per l’a.a. 2013/2014, intendano iscriversi a corsi di laurea o a corsi di laurea magistrale a ciclo unico[68] presso università statali o non statali italiane - con esclusione delle università telematiche - che hanno sede in regione diversa da quella di residenza “degli studenti stessi e delle famiglie di origine” (espressione presente anche nel comma 4, mentre il comma 2 fa riferimento alla “residenza dello studente”).

Pur trattandosi di un intervento di sostegno del diritto allo studio, non è stata prevista l’intesa con la Conferenza Stato-regioni ai fini dell’adozione del bando.

 

In materia si rammenta, infatti, che la riforma del titolo V della parte II della Costituzione – operata con la L. cost. 3/2001 – ha attribuito alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.). Nell’ambito di tale titolo, la potestà legislativa in materia di diritto allo studio universitario spetta, poi, esclusivamente alle regioni.

Nel contesto costituzionale sopra descritto – in attuazione della delega recata dalla L. 240/2010 per la revisione della normativa di principio in materia di diritto allo studio e per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) erogate dalle università statali – è stato emanato il d.lgs. 68/2012, le cui disposizioni hanno avuto effetto a decorrere dall’a.a. 2012-2013 e riguardano gli studenti iscritti ai corsi svolti dalle università, dalle Istituzioni di alta formazione e specializzazione artistica e musicale (AFAM) e dalle Scuole superiori per mediatori linguistici abilitate a rilasciare titoli equipollenti ai diplomi di laurea conseguiti presso le università.

Nello specifico, l’art. 3 del d.lgs. 68/2012 prevede un sistema integrato di strumenti e servizi per la garanzia del diritto allo studio, al quale partecipano, nell’ambito delle rispettive competenze, diversi soggetti. In particolare, lo Stato ha competenza esclusiva in materia di determinazione dei LEP; le regioni a statuto ordinario esercitano la competenza esclusiva in materia di diritto allo studio, disciplinando e attivando gli interventi per il concreto esercizio di tale diritto; le università e le istituzioni AFAM, nei limiti delle proprie risorse, organizzano i propri servizi – compresi quelli di orientamento e tutorato – al fine di realizzare il successo formativo degli studi e promuovono attività culturali, sportive e ricreative, nonché interscambi tra studenti di università italiane e straniere.

In base al comma 3, l’ammissione al beneficio è disposta sulla base di criteri di merito ed economici.

Con riferimento al criterio di merito, è richiesto il possesso di un diploma di istruzione secondaria di secondo grado conseguito in Italia nell’a.s. 2012/2013, con votazione almeno pari a 95/100. Valori superiori, come si vedrà infra, rilevano ai fini della graduatoria di ammissione al beneficio.

Le condizioni economiche dello studente sono individuate sulla base dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).

Il comma 2 dispone che il bando definisce l’importo delle borse di mobilità – eventualmente differenziato in base alla distanza fra residenza dello studente (per il riferimento alla residenza, v. ante) e sede dell’università prescelta –, le modalità per la presentazione telematica delle domande e i criteri per la formulazione di una graduatoria nazionale, che, in base al comma 4, è formata dai soggetti in possesso dei requisiti indicati al comma 3, fino ad esaurimento delle risorse.

Sempre il comma 4 dispone che, ai fini della formazione della graduatoria nazionale, in caso di parità di punteggio prevale il candidato che presenta il valore più basso relativamente alla condizione economica, quindi quello che ha conseguito il voto più alto nel diploma.

Infine, lo stesso comma 4 dispone che la comunicazione della graduatoria e l’assegnazione delle borse è effettuata dal MIUR entro 45 giorni dalla data del bando e, comunque, non oltre il 30 settembre 2013. L’assegnazione diventa efficace all’atto dell’effettiva immatricolazione dello studente, momento nel quale, ai sensi del comma 7, il MIUR assegna le risorse all’università di riferimento, che provvede alla conseguente erogazione.

Il mantenimento del diritto alla corresponsione della borsa di studio per gli anni accademici successivi al primo è subordinato, in base al comma 5, oltre che alla permanenza del requisito della residenza fuori sede, esclusivamente a requisiti di merito. In particolare, occorre aver acquisito almeno il 90 per cento dei crediti formativi universitari previsti dal piano di studi per l’anno di riferimento, aver riportato negli esami una media pari almeno a 28/30 e nessun voto inferiore a 26/30.

In ogni caso, è necessario presentare ogni anno una apposita domanda.

Il comma 6 dispone che le borse di mobilità sono cumulabili con le borse di studio assegnate ai sensi del D.Lgs. 68/2012.

Per le finalità indicate, il comma 8 reca un’autorizzazione di spesa per 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014, e per 7 milioni di euro per l’anno 2015, da iscrivere sul Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti (che, tuttavia, in base all’art. 60, co. 1, del D.L. - alla cui scheda si rinvia - confluisce, a decorrere dal 2014, nel Fondo per il finanziamento ordinario delle università statali e nel contributo statale per le università non statali legalmente riconosciute).

Prima di procedere con l’illustrazione dei successivi commi dell’art. 59, è utile indicare che il bando è stato emanato con DM 4 settembre 2013, n. 755.

Esso ha fissato il termine del 26 settembre 2013 per la presentazione della domanda e ha indicato che la graduatoria riportante i punteggi totali sarebbe stata accessibile ai soli candidati, entro la data indicata, ossia il 30 settembre 2013, nell’area riservata del portale www.universitaly.it.

L’importo della borsa di mobilità è stato definito in 5.000 euro annui. Sono stati, inoltre, definiti i punti da attribuire, ai fini della formazione della graduatoria, sia con riferimento al punteggio riportato nell’esame di Stato (al massimo, 4 punti), sia con riferimento all’indicatore della situazione economica equivalente (al massimo, 6 punti).

Pertanto, considerato che, in base all’art. 59 del D.L. 69/2013, le borse di mobilità sono cumulabili con quelle erogate ai sensi del d.lgs. 68/2012, e che il DM 26 marzo 2013 n. 222, nelle more dell'attuazione degli articoli 7 e 8 dello stesso d.lgs. n. 68/2012, ha aggiornato gli importi minimi delle borse di studio per l’a.a. 2013/2014, fissando quello relativo agli studenti fuori sede in € 5.052,56, si ricava che, con le due tipologie di beneficio, uno studente fuori sede potrà disporre, per l’a.a. 2013/2014, di almeno € 10.052,56.

Il 3 ottobre 2013 il MIUR ha comunicato che sono state presentate 4.160 domande: 2.902 di studenti che vogliono immatricolarsi in un corso triennale, 530 per lauree magistrali a ciclo unico di 5 anni, 728 per lauree magistrali a ciclo unico di 6 anni. Il 71% dei richiedenti proviene dalle regioni del sud e dalle isole, il 13% dal centro e il 16% dal nord. Nello stesso comunicato sono presenti ulteriori dati e una tabella.

Il comma 9 dispone il mantenimento in bilancio, nel conto dei residui, delle risorse già impegnate negli anni 2011 e 2012 e non ancora pagate finalizzate a interventi del Fondo per il merito - istituito dall’art. 4 della L. 240/2010 (il cui decreto attuativo, come evidenziava anche la relazione tecnica, non è stato adottato) e destinato alla promozione dell’eccellenza e del merito fra gli studenti universitari dei corsi di laurea e di laurea magistrale, per la cui gestione l’art. 9, co. 3-14, del D.L. n. 70/2011 (L. n. 106/2011) ha istituito la Fondazione per il merito – ai fini del loro versamento all’entrata del bilancio dello Stato.

Le suddette somme, indicate nel limite di 17 milioni di euro, sono versate all’entrata del bilancio dello Stato nella misura di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e di 7 milioni per l’anno 2015.

L’art. 9, co. 15, del D.L. 70/2011 ha autorizzato per il 2011 la spesa di 9 milioni di euro a favore del Fondo per il merito e di 1 milione di euro per la costituzione del fondo di dotazione della Fondazione per il merito, nonché di 1 milione di euro annui a decorrere dal 2012 a favore della stessa Fondazione.

Dal D.M. 16 aprile 2012, n. 71 , recante i criteri di ripartizione del FFO per il 2012, sono stati altresì destinati a sostegno del Fondo 9 milioni di euro, nell’ambito degli interventi a favore degli studenti.

Il Governo, intervenendo nella seduta delle Commissioni riunite I e V dell’8 luglio 2013 in risposta ai chiarimenti dalle stesse richiesti, ha confermato che si fa riferimento proprio a queste risorse.

Alla compensazione degli effetti finanziari dall’anno 2014, in termini di fabbisogno e indebitamento netto, derivanti dalla rifinalizzazione delle somme destinate al Fondo, si provvede a valere su quota parte delle risorse che si rendono disponibili ai sensi dell’articolo 58, per effetto della riduzione degli stanziamenti destinati alle convenzioni per i servizi esternalizzati nelle scuole.

Il comma 10 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Il comma 11 dispone che con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, è adottato un Piano nazionale per il merito e la mobilità degli studenti universitari capaci e meritevoli e privi di mezzi.

Il Piano definisce la tipologia degli interventi e i criteri di individuazione dei beneficiari, è triennale, e può essere aggiornato annualmente, anche in relazione alle risorse disponibili, che sono determinate ogni anno con la legge di stabilità.

Non è previsto un termine per la prima emanazione del Piano, ma si intenderebbe che lo stesso possa rappresentare una sorta di continuazione dell’intervento disposto per l’a.a. 2013/2014 con i commi 1-10.


 

Articolo 60
(Sistema di finanziamento delle università e dell’ANVUR e procedure di valutazione delle attività amministrative delle università e
degli enti di ricerca)

 


01. La quota del Fondo per il finanziamento ordinario delle università destinata alla promozione e al sostegno dell'incremento qualitativo delle attività delle università statali e al miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza nell'utilizzo delle risorse, di cui all'articolo 2 del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1, e successive modificazioni, è determinata in misura non inferiore al 16 per cento per l'anno 2014, al 18 per cento per l'anno 2015 e al 20 per cento per l'anno 2016, con successivi incrementi annuali non inferiori al 2 per cento e fino ad un massimo del 30 per cento. Di tale quota, almeno tre quinti sono ripartiti tra le università sulla base dei risultati conseguiti nella Valutazione della qualità della ricerca (VQR) e un quinto sulla base della valutazione delle politiche di reclutamento, effettuate a cadenza quinquennale dall'Agenzia nazionale per la valutazione dell'università e della ricerca (ANVUR). L'applicazione delle disposizioni di cui al presente comma non può determinare la riduzione della quota del Fondo per il finanziamento ordinario spettante a ciascuna università e a ciascun anno in misura superiore al 5 per cento dell'anno precedente.

1. Al fine di semplificare il sistema di finanziamento delle università statali e non statali, a decorrere dall'esercizio finanziario 2014 i mezzi finanziari destinati dallo Stato per le finalità di cui all'articolo 5, comma 1, lettera e), della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e alla legge 7 agosto 1990, n. 245, concernenti la programmazione dello sviluppo del sistema universitario, per le finalità di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 9 maggio 2003, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 luglio 2003, n. 170, concernente il Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti e per le finalità di cui alla legge 30 novembre 1989, n. 398, per le borse di studio universitarie post laurearti, confluiscono, per la quota di rispettiva competenza, calcolata sulla base delle assegnazioni relative al triennio 2010-2012, rispettivamente nel Fondo per il finanziamento ordinario delle università statali e nel contributo statale, erogato ai sensi della legge 29 luglio 1991, n. 243, alle università non statali legalmente riconosciute.

2. All'articolo 13, comma 12, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, è aggiunto in fine il seguente periodo: «II sistema di valutazione delle attività amministrative delle università e degli enti di ricerca di cui al Capo I del decreto legislativo 31 dicembre 2009, n. 213, è svolto dall'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) nel rispetto dei principi generali di cui all'articolo 3 e in conformità ai poteri di indirizzo della Commissione di cui al comma 5.».

3. A decorrere dall'anno 2014, al fine di semplificare il sistema di finanziamento per il funzionamento dell'ANVUR e di consentire un'adeguata programmazione delle sue attività, le risorse iscritte a tale scopo nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ai sensi dell'articolo 2, comma 142, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, sono incrementate di 1 milione di euro. Al relativo onere, pari a 1 milione di euro annui a decorrere dal 2014, si provvede, quanto a 500.000 euro annui a decorrere dal 2014, mediante corrispondente riduzione del Fondo per il finanziamento ordinario delle università di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e, quanto a 500.000 euro annui a decorrere dal 2014, mediante corrispondente riduzione del Fondo ordinario per gli enti di ricerca di cui all'articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 204. Le ulteriori risorse eventualmente attribuite all'ANVUR a valere sui predetti fondi ai sensi dell'articolo 12, comma 7, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 2010, n. 76, non possono superare per ciascuno degli anni 2014 e 2015 il limite massimo di 1,5 milioni di euro per ciascun fondo.

3-bis. Al fine di semplificare le procedure di valutazione che richiedono il ricorso ad esperti, all'articolo 12, comma 4, lettera d), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 2010, n. 76, le parole: «in numero non superiore complessivamente a cinquanta unità» sono sostituite dalle seguenti: «nei limiti delle risorse finanziarie disponibili nel bilancio dell'Agenzia a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica».

3-ter. Dall'applicazione del presente articolo, fatto salvo quanto previsto dai commi 3 e 3-bis, non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


 

 

L’articolo 60 reca disposizioni concernenti la quota di finanziamento premiale delle università a valere sul Fondo di finanziamento ordinario (FFO), la confluenza nel FFO e nel contributo alle università non statali legalmente riconosciute di risorse attualmente allocate su altri fondi, il sistema di valutazione delle attività amministrative delle università e di 12 enti di ricerca vigilati dal MIUR, l’ANVUR.

 

Il comma 01, inserito durante l’esame parlamentare, dispone che la quota del FFO destinata, ai sensi dell’art. 2 del D.L. n. 180/2008 (L. n. 1/2009), alla promozione e al sostegno dell’incremento qualitativo delle attività delle università statali e al miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza nell’utilizzo delle risorse, è determinata in misura non inferiore al 16% per il 2014, al 18% per il 2015 e al 20% per il 2016, con successivi incrementi annuali non inferiori al 2% e fino ad un massimo del 30%.

Sono state, così, modificate implicitamente le disposizioni recate dai commi 1 e 1-bis dell’art. 2 citato, in base ai quali gli incrementi annuali della originaria quota del 7% del FFO destinata al finanziamento premiale sono disposti in misura compresa tra lo 0,5% e il 2%.

Con riferimento ai criteri di ripartizione, il comma dispone che almeno tre quinti della quota premiale sono ripartiti tra le università sulla base dei risultati conseguiti nella Valutazione della qualità della ricerca (VQR) e un quinto sulla base della valutazione delle politiche di reclutamento, effettuate ogni 5 anni dall’ANVUR.

In tal caso, si è modificato, anzitutto, il meccanismo di individuazione delle modalità di ripartizione delle risorse definito dal comma 2 dell’art. 2 del D.L. n. 180/2008 – che aveva previsto l’intervento di un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca (nei fatti, tale ripartizione è stata, poi, operata con il decreto con cui annualmente è ripartito il FFO: per il 2012, si veda l’all. 1 del D.M. 71/2012) – procedendo a tale individuazione con la norma primaria.

Sembrerebbe, inoltre, che si sia intervenuti sui parametri di riferimento per la ripartizione, come definiti dal già citato co. 1 dell’art. 2 del D.L. n. 180/2008.

Si ricorda, infatti, che il co. 1 dell’art. 2 del D.L. 180/2008 dispone che la quota premiale è ripartita prendendo in considerazione: la qualità dell'offerta formativa e i risultati dei processi formativi; la qualità della ricerca scientifica; la qualità, l'efficacia e l'efficienza delle sedi didattiche. A questo riguardo, sono presi in considerazione i parametri relativi all'incidenza del costo del personale sulle risorse complessivamente disponibili, nonché il numero e l'entità dei progetti di ricerca di rilievo nazionale ed internazionale assegnati all'ateneo.

Al riguardo, si rammenta, peraltro, che l'art. 5, co. 1, lett. c), e 5, della L. 240/2010 – in attuazione del quale è stato emanato il d.lgs. 49/2012 – ha previsto l'attribuzione di una quota non superiore al 10% del FFO correlata alla valutazione delle politiche di reclutamento degli atenei, da effettuare in base a meccanismi elaborati dall’ANVUR.

Ulteriori novità sembrerebbero essere costituite dalla previsione di un intervento quinquennale della VQR e della valutazione delle politiche di reclutamento degli atenei e dall’affidamento esplicito di quest’ultima all’ANVUR.

Si ricorda, infatti, che l’introduzione di un sistema di valutazione delle politiche di reclutamento degli atenei è stata operata dall’art. 9 del d.lgs. 49/2012 che, tuttavia, non ha definito né la cadenza temporale, né il soggetto al quale la stessa è affidata. Peraltro, in attesa del completamento della disciplina (in particolare, l’art. 9 prevede che la ponderazione dei criteri e la definizione dei parametri per la valutazione è stabilita con decreto di natura non regolamentare emanato dal MIUR, sentita l’ANVUR), continuano ad applicarsi, ai sensi dell’art. 29, co. 14, della L. 240/2010, le disposizioni vigenti, recate dal DM 345/2011.

 

Per quanto concerne la valutazione della qualità della ricerca, il 16 luglio 2013 è stato pubblicato il rapporto sulla VQR 2004-2010.

Da ultimo, il comma 01 dispone che l’applicazione delle previsioni da esso recate non può determinare la riduzione della quota del FFO spettante a ciascuna università, per ciascun anno, in misura maggiore del 5% rispetto all’anno precedente.

 

Dal punto di vista del coordinamento con la normativa vigente, sarebbe stato preferibile novellare l’art. 2 del D.L. n. 180/2008 (L. n. 1/2009).

 

Il comma 1 dispone che, al fine di semplificare il sistema di finanziamento delle università statali e non statali, a decorrere dal 2014 confluiscono nel Fondo di finanziamento ordinario (cap. 1694, relativo alle università statali) e nel contributo erogato alle università non statali legalmente riconosciute, ai sensi della L. 243 del 1991 (cap. 1692) – per la quota di rispettiva competenza, calcolata sulla base delle assegnazioni relative al triennio 2010-2012 e indicata nella relazione tecnica all’A.C. 1248 – le risorse relative a:

§      fondo per la programmazione dello sviluppo del sistema universitario, di cui all’art. 5, co. 1, lett. c), della L. 537/1993 e alla L. 245/1990 (cap. 1690 dello stato di previsione del MIUR, esposto in tabella C della legge di stabilità).

Nel Decreto 111878 del 31 dicembre 2012, di ripartizione in capitoli delle unità di voto parlamentare relative al bilancio per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015, lo stanziamento previsto in corrispondenza del 2014 è pari a 43,6 milioni di euro, identico a quello riportato, per il medesimo anno, nel disegno di legge di assestamento 2013.

Rispetto a tale importo, la relazione tecnica all’A.C. 1248 indicava un importo inferiore, pari a 43,0 milioni di euro, probabile conseguenza di tagli o accantonamenti disposti in applicazione di previsioni legislative.

Con riferimento all’assegnazione delle risorse del fondo, si ricorda che l’art. 3, co. 4 e 5, del DM 23 dicembre 2010, n. 50 – recante le linee generali di indirizzo della programmazione delle università per il triennio 2010-2012 – ha previsto che esse sono suddivise tra le università statali (compresi gli Istituti ad ordinamento speciale) e le università non statali “in due quote proporzionali al relativo fondo di finanziamento ordinario”. In attuazione di tale disposto, sono intervenuti, rispettivamente per gli esercizi 2010, 2011 e 2012, i decreti direttoriali nn. 656/2010, 594/2011 e 32/2012;

§      fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti (cap. 1713 dello stato di previsione del MIUR). Il capitolo è diviso in 3 piani di gestione, di cui in questa sede rileverebbero, in base alla lettera dell’art. 60, co. 1 – che fa riferimento solo all’art. 1, co. 1, del D.L. n. 105/2003 (L. n. 170/2003) – il pg. 1-Fondo mobilità e il pg. 2-Assegni di ricerca.

In base alla relazione tecnica all’A.C. 1248, peraltro, confluirà nel FFO anche il pg. 5-Contributo alla scuola di ateneo per la formazione europea Jean Monnet costituita in facoltà, per il quale l’autorizzazione di spesa è stata disposta dall’art. 1, co. 278, della L. n. 311/2004, che contestualmente ha trasformato la Scuola in Facoltà della seconda università degli studi di Napoli[69].

Per l’anno 2014, il citato D.M. di ripartizione in capitoli reca, in corrispondenza del cap. 1713, uno stanziamento di 72,2 milioni di euro, identico a quello riportato, per il medesimo anno, dal disegno di legge di assestamento 2013. Anche in questo caso, la relazione tecnica all’A.C. 1248 indicava un importo inferiore, pari a 71,3 milioni di euro;

§      borse di studio post laurea (cap. 1686 dello stato di previsione del MIUR). Il capitolo è suddiviso in due piani di gestione, dei quali, in base alla relazione tecnica all’A.C. 1248, rileva in questa sede solo il pg. 2-Borse di studio per la formazione di corsi di dottorato di ricerca, di perfezionamento e di specializzazione presso università italiane e straniere a favore di laureati. (Il pg. 1 riguarda, invece, Borse di studio agli specializzandi medici periodo 1983-1991).

Per l’anno 2014, il citato D.M. di ripartizione in capitoli reca, in corrispondenza del pg. 2 del cap. 1686, uno stanziamento di 159,2 milioni di euro, identico a quello riportato, per il medesimo anno, dal disegno di legge di assestamento 2013. Anche in tal caso la relazione tecnica all’A.C. 1248 indicava un importo inferiore, pari a 157,2 milioni di euro.

 

Il comma 2, integrando il comma 12 dell’art. 13 del D.Lgs. n. 150/2009 – che concerne la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) – dispone che “il sistema di valutazionedelle attività amministrative delle università e di 12 enti di ricerca vigilati dal MIUR, riordinati ai sensi del Capo I del d.lgs. 213/2009, “è svolto dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR)”.

A tal fine, l’ANVUR deve rispettare i principi generali indicati dall’art. 3 del d.lgs. 150/2009 e attenersi agli indirizzi che la Commissione è chiamata a dare in base al comma 5 dell’art. 13.

In relazione alla formulazione testuale utilizzata, sarebbe stato opportuno chiarire se restano ferme le attività di valutazione della gestione amministrativa affidate ai nuclei di valutazione interna degli atenei.

 

Al riguardo, si ricorda, infatti, che l’art. 2, co. 138-142, del D.L. n. 262/2006 (L. 286/2006), istituendo l’ANVUR, le ha attribuito, tra le altre, la funzione di indirizzo e coordinamento delle attività di valutazione demandate ai nuclei di valutazione interna degli atenei e degli enti di ricerca.

A loro volta, i nuclei di valutazione interna degli atenei sono stati istituiti, secondo le prescrizioni dell’art. 5, co. 22, della L. 537/1993, con il compito di verificare, mediante analisi comparative dei costi e dei rendimenti, l'imparzialità ed il buon andamento dell'azione amministrativa, oltre che la corretta gestione delle risorse pubbliche e la produttività della ricerca e della didattica. Il ruolo e le funzioni di tali organismi sono stati successivamente rafforzati con le disposizioni della L. 370/1999, il cui art. 1 ha previsto, fra l’altro, che il nucleo di valutazione di ateneo esplica funzioni di valutazione interna della gestione amministrativa.

Da ultimo, l’art. 2, co. 1, lett. r), della L. 240/2010 ha disposto che i nuclei svolgono anche, in raccordo con l’attività dell’ANVUR, le funzioni dell’organismo di valutazione della performance di cui all’art. 14 del D.lgs. 150/2009 al fine di promuovere il merito e il miglioramento della performance organizzativa e individuale.

Le funzioni di indirizzo dell’ANVUR nei confronti dei nuclei di valutazione degli atenei e degli enti di ricerca, ad eccezione di quelle loro affidate dalle istituzioni di appartenenza, sono state ribadite, da ultimo, dall’art. 3, co. 1, lett. c), del DPR 76/2010, recante regolamento concernente la struttura e il funzionamento dell’Agenzia.

Sul tema specifico dell’applicabilità del d.lgs. 150/2009 alle università, si vedano la delibera n. 09/2010 dell’11 marzo 2010 e la delibera n. 23/2013 del 16 aprile 2013 della CIVIT.

 

Il comma 3 dispone che, a decorrere dal 2014, le risorse destinate all’ANVUR ai sensi dell’art. 2, co. 142, del D.L. n. 262/2006 (L. 286/2006) sono incrementate di 1 milione di euro.

 

In base alla disposizione citata, per la copertura degli oneri relativi all’istituzione e al funzionamento dell’ANVUR (art. 2, co. 138-141, del D.L. n. 262/2006) è stato previsto un limite di spesa di 5 milioni di euro annui, utilizzando le risorse riguardanti il funzionamento del soppresso Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNVSU) nonché, per la quota rimanente, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa relativa al FFO.

 

Alla copertura dell’onere si provvede, a decorrere dal 2014, quanto a 500.000 euro annui, mediante corrispondente riduzione del FFO e, quanto a lire 500.000 euro annui, mediante riduzione del Fondo ordinario per gli enti di ricerca (art. 7, co. 1, d.lgs. 204/1998).

Al contempo si dispone che le ulteriori risorse eventualmente attribuite all’ANVUR a valere sugli stessi due Fondi, ai sensi dell’art. 12, co. 7, del DPR 76/2010, non possono superare, per ciascuno degli anni 2014 e 2015, il limite massimo di 1,5 milioni di euro per ciascun Fondo.

Al riguardo si ricorda, infatti, che l'art. 12, co. 7, del DPR 76/2010, recante il Regolamento sulla struttura ed il funzionamento dell’ANVUR, ha previsto che, a valere sul Fondo ordinario per gli enti di ricerca e sul FFO, sentita la CRUI, possono essere riservate risorse per l’ANVUR, in relazione alle esigenze connesse alle sue attività di valutazione.

Su questa base, ad es., il già citato DM 71/2012, ha destinato all’ANVUR 2 milioni di euro per il 2012; altrettanti ne ha destinati lo schema di DM per il riparto del Fondo ordinario per gli enti di ricerca per il 2013 (Atto n. 5).

 

Durante l’esame parlamentare, inoltre, è stato introdotto il comma 3-bis, che modifica l’art. 12, co. 4, lett. d), del già citato DPR 76/2010, in materia di contratti che possono essere stipulati dall’ANVUR con esperti della valutazione.

In particolare, mentre il testo previgente prevedeva che il numero di tali contratti non poteva eccedere, complessivamente, 50 unità, il comma 3-bis ha eliminato il limite massimo e ha disposto che gli stessi contratti sono conferiti nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, a legislazione vigente, nel bilancio dell’ANVUR, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. La finalità dichiarata è quella di semplificare le procedure di valutazione che richiedono il ricorso ad esperti.

Ulteriori modifiche al D.P.R. 76/2010 sono recate dal D.L. 104/2013, in corso di esame.

 

Il par. 3, lett. e), della Lettera circolare dei Presidenti delle Camere sulle regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi, del 20 aprile 2001, dispone che “Non si ricorre all'atto legislativo per apportare modifiche frammentarie ad atti non aventi forza di legge, al fine di evitare che questi ultimi presentino un diverso grado di ‘resistenza’ ad interventi modificativi successivi”.

 

Il comma 3-ter reca la clausola di invarianza finanziaria, fatto salvo quanto previsto ai commi 3 e 3-bis.


 

Articolo 61
(Copertura finanziaria)

 


1. Agli oneri derivanti dagli articoli 2, comma 8, 11, 17, 18, comma 8-septies, 22, comma 3, 23, 32, comma 7-ter, 42-ter, 46, comma 1-bis, 46-bis e 56, pari a 41,1 milioni di euro per l'anno 2013, a 104,7 milioni di euro per l'anno 2014, a 62,9 milioni di euro per l'anno 2015, a 75,4 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, a 57,4 milioni di euro per l'anno 2020, a 46,4 milioni di euro per l'anno 2021 e a 40,4 milioni di euro a decorrere dall'anno 2022, si provvede:

a) quanto a 2,4 milioni di euro per l'anno 2013, a 12 milioni di euro per l'anno 2014, a 57,9 milioni di euro per l'anno 2015, a 71,9 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, a 53,9 milioni di euro per l'anno 2020, a 42,9 milioni di euro per l'anno 2021 e a 36,9 milioni di euro a decorrere dall'anno 2022, mediante corrispondente utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dagli articoli 5, comma 1 e 55;

b) quanto a 7,65 milioni di euro per l'anno 2013 e a 1,5 milioni di euro per l'anno 2014, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2013-2015, nell'ambito del programma "Fondi di riserva e speciali" della missione "Fondi da ripartire" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2013, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a 2,65 milioni di euro per l'anno 2013, l'accantonamento relativo al medesimo Ministero, quanto a 2 milioni di euro per l'anno 2013, l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e, quanto a 3 milioni di euro per l'anno 2013 e a 1,5 milioni di euro per l'anno 2014, l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri;

c) quanto a 20,75 milioni di euro per l'anno 2013, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 14, comma 1, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221;

d) quanto a 10 milioni di euro per l'anno 2013, mediante corrispondente riduzione dall'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 47, secondo comma, della legge 20 maggio 1985, n. 222, relativamente alla quota dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) destinata allo Stato;

d-bis) quanto a 15,9 milioni di euro per l'anno 2014 e a 3,5 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015, mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo di cui all'articolo 1, comma 515, della legge 24 dicembre 2012, n. 228;

d-ter) quanto a 300.000 euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 139, della legge 24 dicembre 2012, n. 228;

d-quater) quanto a 1,5 milioni di euro per l'anno 2015, mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307;

e) quanto a 75 milioni per l'anno 2014 mediante l'aumento dell'aliquota dell'accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonché dell'aliquota dell'accisa sul gasolio usato come carburante di cui all'allegato I del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni, in modo tale da compensare il predetto onere nonché quello correlato ai rimborsi di cui al penultimo periodo della presente lettera. La misura dell'aumento è stabilita con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli da adottare entro il 31 dicembre 2013; il provvedimento è efficace dalla data di pubblicazione sul sito internet dell'Agenzia. Nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 5, comma 1, limitatamente agli esercenti le attività di trasporto merci con veicoli di massa massima complessiva pari o superiore a 7,5 tonnellate, e comma 2, del decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 452, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2002, n. 16, il maggior onere conseguente ai predetti aumenti è rimborsato con le modalità previste dall'articolo 6, comma 2, primo e secondo periodo, del decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 26. Resta fermo quanto stabilito dall'articolo 24, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183 .

2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.


 

 

L’articolo 61 provvede in ordine alla copertura finanziaria degli oneri derivanti da alcuni articoli del provvedimento, quantificati complessivamente pari a 41,1 milioni di euro per l’anno 2013, 104,7 milioni di euro per l’anno 2014, 62,9 milioni di euro per l’anno 2015, 75,4 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, 57,4 milioni di euro per l’anno 2020, 46,4 milioni di euro per l’anno 2021 e a 40,4 milioni di euro a decorrere dall’anno 2022.

Gli oneri sono derivanti dalle seguenti disposizioni:

§       articolo 2, comma 8, che stanzia un contributo alle imprese per il periodo dal 2014 al 2021 per coprire quota parte degli interessi derivanti dall’accensione di finanziamenti per l’acquisto di nuovi macchinari ad uso produttivo;

§       articolo 11, che estende al 2014 il credito imposta nel settore cinematografico nel limite massimo di spesa di 45 milioni;

§       articolo 17, che reca misure per favorire la realizzazione del Fascicolo sanitario elettronico;

§       articolo 18, comma 8-septies, che esclude le spese per acquisto di mobili e arredi destinati all'uso scolastico e dei servizi all'infanzia dalle misure di contenimento di tali tipologie di spese per gli anni 2013-2014;

§       articolo 22, comma 3, che reca l’incremento di 20 milioni di euro annui del Fondo adeguamento porti;

§       articolo 23, che riduce la tassa sulle unità da diporto per favorire il rilancio del settore;

§       articolo 32, comma 7-ter, che riconosce il pagamento in misura ridotta dei contributi previdenziali ed assicurativi alle cooperative e relativi consorzi presenti nel settore dell’agricoltura;

§       articolo 42-ter, che interviene in materia di benefici previdenziali per i soggetti esposti all’amianto;

§       articolo 46, comma 1-bis, che assegna al Ministero degli affari esteri un contributo di 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, per le attività di organizzazione relative alla partecipazione all’Expo 2015. Tali oneri, che nel testo licenziato dalla Camera erano scontati all’interno dell’articolo 46 a valere sul Fondo per i canoni di locazione, sono ora posti, dal Senato, a carico dell’articolo 61 in esame, con l’utilizzo, nell’anno 2014, dell’accantonamento del Fondo speciale di parte corrente e, per il 2015, del Fondo per interventi strutturali di politica economica;

§       articolo 46-bis, che reca un rifinanziamento di 5 milioni di euro per gli anni 2013-2014 per il rilancio del settore agricolo;

§       articolo 56, che prevede lo slittamento del versamento dell’imposta sulle transazioni finanziarie.

A tali oneri complessivi si provvede:

a)   quanto a 2,4 milioni di euro per l’anno 2013, a 12 milioni di euro per l’anno 2014, a 57,9 milioni di euro per l’anno 2015, a 71,9 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, a 53,9 milioni di euro per l’anno 2020, a 42,9 milioni di euro per l’anno 2021 e a 36,9 milioni di euro a decorrere dall’anno 2022, mediante corrispondente utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dagli articoli 5, comma 1 (Robin tax), e 55 (rimborsi IVA agenzie di viaggio con sede extra UE);

b)   quanto a 7,65 milioni di euro per l’anno 2013 e a 1,5 milioni per l’anno 2014, mediante corrispondente riduzione, per i medesimi anni, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, allo scopo utilizzando, quanto a 2,65 milioni per l’anno 2013 l'accantonamento relativo al medesimo Ministero dell’economia, quanto a 2 milioni per l’anno 2013 l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e quanto a 3 milioni per l’anno 2013 e a 1,5 milioni per l’anno 2014 l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri;

c)   quanto a 20,75 milioni di euro per l’anno 2013, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 14, comma 1, del D.L. n. 179/2012, che reca il rifinanziamento di 150 milioni di euro per l’anno 2013 del Piano nazionale banda larga[70];

Si ricorda che l’art. 14, comma 1 ha autorizzato, per l’anno 2013, la spesa di 150 milioni da iscrivere nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico per il completamento del Piano nazionale banda larga, definito dal Ministero dello sviluppo economico – Dipartimento per le comunicazioni; autorizzato dalla Commissione europea con l’atto: aiuto di Stato n. SA.33807 (2011/N) – Piano nazionale banda larga Italia. Le risorse dovranno essere utilizzate nelle aree dell’intero territorio nazionale definite dal medesimo regime d’aiuto (vale a dire tutte le aree individuate come in digital divide ai sensi del Piano) e si dovrà tenere conto delle singole specificità territoriali e della copertura delle aree a bassa densità abitativa;

d)   quanto a 10 milioni di euro per l’anno 2013, mediante corrispondente riduzione della quota di pertinenza statale dell’otto per mille IRPEF, di cui all’articolo 47, secondo comma, della legge 20 maggio 1985, n. 222.

Si ricorda che ai sensi dell'art. 47, commi 2 e 3, della legge n. 222/1985, una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica.

In merito alle risorse dell’otto per mille IRPEF di competenza statale, si ricorda che nella legge di bilancio 2013-2015 (legge n. 229/2012 e relativo D.M. Economia 31 dicembre 2012 di riparto in capitoli dei programmi di spesa), la quota dell’otto per mille IRPEF di pertinenza statale, iscritta sul cap. 2780 dello stato di previsione del Ministero dell’economia, risulta pari a 13,8 milioni di euro nel 2013, 86,1 milioni nel 2014 e a 95,7 milioni nel 2015.

Rispetto allo stanziamento iscritto in bilancio, si segnala che le risorse dell’otto per mille IRPEF dello Stato per l’anno 2013 sono state oggetto, in corso di esercizio, di riduzione per circa 1,1 milioni di euro, a seguito di tagli lineari, operati anche in attuazione delle clausole di salvaguardia finanziaria contenute nell’articolo 2, comma 1, del D.L. n. 78/2010 e nell’articolo 16, comma 3, del D.L. n. 98/2011. Ulteriori tagli per il 2013 sono stati apportati dal disegno di legge di assestamento (A.C. 1573, in corso di conversione)(riduzione di 0,8 milioni di euro) e dall’articolo 12, comma 1, lett. g), del D.L. n. 76/2013 (riduzione di 1,5 milioni di euro per l'anno 2013 e di 10 milioni di euro per l'anno 2014).

Da interrogazione effettuata sulla banca dati della Ragioneria generale dello Stato, alla data attuale, dopo la riduzione apportata dall’articolo in esame, sul capitolo di bilancio per l’anno 2013 residuano circa 400.000 euro.

Anche le risorse per gli anni 2014 e 2015 destinate all’otto per mille di pertinenza statale sono state più volte oggetto di riduzioni, ai sensi dell’articolo 12, comma 3, lettera c-sexies) del D.L. n. 35/2013 (riduzione di 2,1 milioni di euro per l'anno 2014 e di 35,8 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015), dell’articolo 21, comma 3, lettera d), del D.L. n. 63/2013 (riduzione di 35 milioni di euro per l’anno 2015) e dell’articolo 12, comma 2, lett. d) della legge n. 97/2013 (legge europea 2013) (riduzione di 12 milioni a decorrere dal 2014).

d-bis)   quanto a 15,9 milioni di euro nell'anno 2014 e a 3,5 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015 mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo finalizzato ad escludere dall'ambito di applicazione dell'IRAP alcune categorie di persone fisiche, istituito dall'articolo 1, comma 515, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità per il 2013.

Si ricorda che il comma 515 ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un Fondo con dotazione di 188 milioni di euro per il 2014, di 252 milioni di euro per il 2015 e di 242 milioni di euro a decorrere dal 2016, volto a esentare dall’IRAP, a decorrere dal 2014, le persone fisiche esercenti attività commerciali, arti e professioni, che non si avvalgono di lavoratori dipendenti o assimilati e che impiegano anche in locazione beni strumentali di ammontare massimo determinato con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. Si segnala che il D.L. 28 giugno 2013, n. 76 dispone, all’articolo 12, comma 1, lettera e), a copertura degli oneri da esso recati, una ulteriore riduzione di 150 milioni nel 2014 e di 120 milioni nel 2015 del Fondo IRAP in questione.

d-ter)    quanto a 0,3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 mediante riduzione del Fondo per il pagamento dei canoni di locazione degli immobili conferiti dallo Stato ad uno o più fondi immobiliari, di cui all’articolo 1, comma 139, della legge n. 228 del 2012.

Il Fondo, istituto a decorrere dall'anno 2013 nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze (cap. 3074) presenta una dotazione di 249 milioni di euro per l'anno 2013, di 846,5 milioni per l'anno 2014, di 590 milioni per l'anno 2015 e di 640 milioni a decorrere dall'anno 2016. Si ricorda che il presente D.L. in esame dispone, all’articolo 12, una ulteriore riduzione del Fondo di 6 milioni nel 2013.

Si segnala che la dotazione del Fondo risulta inoltre utilizzata a copertura finanziaria dal D.L. n. 76 del 2013, che all’articolo 12, dispone a tal fine una riduzione del Fondo di 91,05 milioni di euro per l’anno 2013, di 209,15 milioni per l’anno 2014, di 6,15 milioni per gli anni dal 2015 al 2017 e di 6 milioni a decorrere dall’anno 2018.

d-quater)          quanto a 1,5 milioni di euro per l’anno 2015 mediante riduzione del Fondo per gli interventi strutturali di politica economica (ISPE).

Si ricorda che il Fondo ISPE è stato istituito dall'articolo 10, comma 5, del D.L. n. 282 del 2004[71] al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale. Il Fondo, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze (cap. 3075) viene utilizzato in modo flessibile ai fini del reperimento delle risorse occorrenti a copertura di interventi legislativi recanti oneri finanziari. Per quanto concerne le risorse finanziarie, si ricorda che nella legge di bilancio 2013-2015 (Legge n. 229/2012 e relativo D.M. Economia 31 dicembre 2012 di riparto in capitoli dei programmi di spesa) il Fondo presentava una dotazione pari a 16,9 milioni per il 2013, 14,4 milioni per il 2014 e a 29,7 milioni per il 2015.

Si ricorda che a dotazione del Fondo per l’anno 2013 è stata via via ridotta di 16,9 milioni di euro, a copertura di una serie di disposizioni legislative intercorse successivamente all'approvazione della legge di bilancio, e di recente incrementata di 98,6 milioni di euro dall’articolo 7-bis, comma 4, del D.L. n. 43/2013. Esso risulta, da ultimo ridotta di 98 milioni di euro per il 2013 a copertura finanziaria di parte degli oneri recati dal D.L. n. 76/2013.

Si ricorda infine, che a valere sulle risorse del Fondo è stata posta la copertura finanziaria degli oneri relativi all’indennità da corrispondersi al Commissario straordinario per gli interventi di spending review, pari a 150.000 euro per l'anno 2013[72], 300.000 euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015 e a 200.000 euro per l'anno 2016, dall’articolo 49-bis del provvedimento in esame.

Alla data attuale, dopo le riduzioni apportate dal provvedimento in esame, sul capitolo di bilancio per l’anno 2013 non residuano disponibilità.

e)   quanto a 75 milioni per l’anno 2014 mediante l’aumento dell’aliquota dell’accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonché dell’aliquota dell’accisa sul gasolio usato come carburante (di cui all’allegato I del testo unico accise), in modo tale da compensare il predetto onere nonché quello correlato ai rimborsi di cui al penultimo periodo della presente lettera.

L’allegato I al D.Lgs. n. 504 del 1995 elenca i prodotti assoggettati ad imposizione e le relative aliquote: per la benzina e la benzina con piombo è prevista una accisa pari a 564 euro per mille litri, mentre per il gasolio usato come carburante è indicata in 423 per mille litri. Tuttavia negli ultimi anni è stato previsto che la copertura degli oneri recati da numerosi provvedimenti legislativi fosse posta a valere sull’aumento di tali aliquote, rinviandone la determinazione ad una determinazione del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli (al fine di conseguire un gettito pari all’onere da coprire), mentre in altri casi l’ammontare dell’aliquota dell’accisa è stata fissata direttamente dalla disposizione legislativa[73]. Da ultimo, la legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012), all’articolo 1, comma 487, conferma, con decorrenza dal 1° gennaio 2013, quanto disposto con la determinazione del direttore dell'Agenzia delle dogane 9 agosto 2012, n. 88789, che ha fissato l’aliquota di accisa sulla benzina a 728,40 euro per mille litri e quella sul gasolio usato come carburante a 617,40 euro per mille litri.

La misura dell’aumento - tale da determinare maggiori entrate per 75 milioni nel 2014 - è stabilita con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle dogane da adottare entro il 31 dicembre 2013; il provvedimento è efficace dalla data di pubblicazione sul sito internet dell’Agenzia.

Viene disposto il rimborso del maggior onere derivante dagli aumenti di accisa sul gasolio, nei confronti di:

§      soggetti esercenti le attività di trasporto merci (articolo 5, comma 1 del decreto-legge n. 452 del 2001) con veicoli di massa massima complessiva pari o superiore a 7,5 tonnellate[74];

§      enti pubblici e imprese pubbliche locali esercenti l'attività di trasporto pubblico locale (di cui al D.Lgs. n. 422/1997, e relative leggi regionali di attuazione, norme richiamate dall’art. 5, comma 2 del D.L. n. 452/2001);

§      imprese esercenti autoservizi di competenza statale, regionale e locale, (di cui alla legge 28 settembre 1939, n. 1822[75], al Regolamento (CEE) n. 684/92 del Consiglio del 16 marzo 1992[76], e successive modificazioni, e al citato decreto legislativo n. 422 del 1997, tutti richiamati dall’articolo 5, comma 2 del D.L. n. 452/2001);

§      enti pubblici e imprese esercenti trasporti a fune in servizio pubblico per trasporto di persone (articolo 5, comma 2 del D.L. 452/2001).

Il rimborso viene disposto con le modalità previste dall’articolo 6, comma 2, primo e secondo periodo, del decreto legislativo n. 26 del 2007, ai sensi del quale esso può venir effettuato anche in compensazione, a seguito della presentazione di apposita dichiarazione ai competenti Uffici dell'Agenzia delle dogane, secondo le modalità e con gli effetti previsti da apposito regolamento (di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 277 del 2000, recante disciplina dell'agevolazione fiscale a favore degli esercenti le attività di trasporto merci).

Da ultimo, la lettera e) conferma quanto disposto dall’articolo 24, comma 1, della legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011), ai sensi del quale le somme relative all’eventuale minor utilizzo delle risorse stanziate per le agevolazioni fiscali (finanziate attraverso l’aumento dell’aliquota dell’accisa sui taluni prodotti petroliferi), in favore delle imprese operanti nel settore cinematografico, ai sensi dell’art. 1, commi da 325 a 337 della legge n. 244/2007 e successivamente prorogate (tax credit esterno e interno, ovvero credito d’imposta per le spese sostenute da imprese esterne ed interne alla filiera del cinema; credito d’imposta per le imprese che si avvalgono di manodopera italiana), individuate con decreto dei Ministri per i beni e le attività culturali e dell’economia e delle finanze, sono riassegnate ogni anno con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze allo stato di previsione del MIBAC, ai fini del rifinanziamento del Fondo per la produzione, la distribuzione l'esercizio e le industrie tecniche (di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 28/2004).

 

La Tabella che segue indica gli oneri complessivi e le risorse utilizzate a copertura per il triennio 2013-2015 ai sensi dell’articolo in esame:

milioni di euro

Art./comma

 

2013

2014

2015

 

ONERI

41,1

104,7

62,9

2, co. 8

Contributo imprese per copertura quota parte interessi su finanziamenti bancari per acquisto nuovi macchinari

0

7,5

21,0

11

Credito imposta settore cinematografico

0

45,0

0

17

Fascicolo sanitario elettronico

0

10,0

5,0

18, co. 8-septies

Esclusione spese acquisto di mobili e arredi destinati all'uso scolastico e dei servizi all'infanzia da misure di contenimento

0,3

0,3

 

22, co. 3

Fondo adeguamento porti

20,0

20,0

20,0

23

Nautica da diporto (minori entrate)

1,20

11,9

11,9

32, co. 7-ter

Riduzione contributi previdenziali ed assicurativi a cooperative e consorzi presenti nel settore dell’agricoltura

1,25

2,5

2,5

42-ter

Benefici previdenziali per i soggetti esposti all’amianto

0,5

1,0

1,0

46, co. 1-bis

Finanziamento Ministero affari esteri per EXPO 2015

 

1,5

1,5

46-bis

Rifinanziamento settore agricolo

5,0

5,0

0

56

Slittamento versamento imposta sulle transazioni finanziarie (minori entrate)

6,75

0

0

56

Oneri per interessi slittamento versamento imposta sulle transazioni finanziarie

6,10

0

0

61

COPERTURA

41,1

104,7

62,9

a)

Maggiori entrate Robin tax (art. 5, co. 1) al netto riduzione componente A2 tariffa elettrica (co. 2)

0

0

45,9

a)

Maggiori entrate Agenzie di viaggio (art. 55)

2,4

12,0

12,0

b)

Fondo speciale di parte corrente

7,65

1,5

0

c)

Piano nazionale banda larga

20,75

0

0

d)

Otto per mille IRPEF Stato

10,00

0

0

d-bis)

Fondo IRAP

0

15,9

3,5

d-ter)

Fondo canoni di locazione

0,3

0,3

 

d-quater)

Fondo interventi strutturali di politica economica (ISPE)

 

 

1,5

e)

Aumento aliquota accisa benzina e gasolio

0

75,0

0

Il comma 2 autorizza il Ministro dell’economia ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.


 

Articolo 62
(Finalità e ambito di applicazione)

 


1. Al fine di agevolare la definizione dei procedimenti civili, compresi quelli in materia di lavoro e previdenza, secondo le priorità individuate dai presidenti delle Corti di appello con i programmi previsti dall'articolo 37, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, si applicano le disposizioni del presente capo.

2. Le disposizioni del presente capo non si applicano ai procedimenti trattati dalla Corte di appello in unico grado.


 

 

Il titolo III del decreto legge (artt. da 62 a 85) introduce misure di diversa natura per l’efficienza della giustizia e la riduzione del contenzioso civile pendente, compreso quello in materia di lavoro e previdenza. Lo smaltimento dei processi avviene sulla base delle priorità stabilite nei programmi redatti dai presidenti di corte d’appello (entro il 31 gennaio di ogni anno) per la gestione dei procedimenti civili. In particolare, le misure introdotte prevedono l’arruolamento di giudici ausiliari onorari, la collaborazione di qualificati laureati in giurisprudenza nel supporto a magistrati presso uffici di primo grado e d’appello, l’introduzione della figura dell’assistente di studio presso la Corte di cassazione nonché - in sede processuale - il ripristino della conciliazione obbligatoria in determinate materie ed una serie di ulteriori misure di razionalizzazione.

Il titolo III è così suddiviso:

§      articoli da 62 a 72 (capo I), sui giudici ausiliari per lo smaltimento dell’arretrato civile;

§      articolo 73 (capo II), sul tirocinio formativo dei laureati in giurisprudenza presso gli uffici giudiziari;

§      articolo 74 (capo III), concernente i magistrati assistenti di studio della Corte di Cassazione;

§      articoli da 75 a 80 (capo IV), recanti misure processuali (p.m. in cassazione, divisione davanti al notaio, conciliazione giudiziale, tutela del credito, motivazione delle sentenze civili, foro delle società estere);

§      articolo 81 (capo V), sull’ordinamento giudiziario con riferimento al p.m. presso la Corte di Cassazione;

§      articolo 82 (capo VI), che modifica la disciplina del concordato preventivo;

§      articolo 83 (capo VII), relativo all’esame di Stato per l’abilitazione alla professione forense;

§      articolo 84 (capo VIII), relativo alla mediazione civile;

§      articolo 85 (capo IX), recante le disposizioni finanziarie.


 

Articolo 63
(Giudici ausiliari)


1. Ai fini di quanto previsto dall'articolo 62 si procede alla nomina di giudici ausiliari nel numero massimo di quattrocento.

2. I giudici ausiliari sono nominati con apposito decreto del Ministro della giustizia, previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, su proposta formulata dal consiglio giudiziario territorialmente competente nella composizione integrata a norma dell'articolo 16 del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25. Ai fini della formulazione della proposta i consigli giudiziari, nel caso di cui al comma 3, lettera d), acquisiscono il parere del Consiglio dell'ordine cui è iscritto, ovvero cui è stato iscritto negli ultimi cinque anni, il candidato. Ai fini della formulazione della proposta i consigli giudiziari, nel caso di cui al comma 3, lettera e), acquisiscono il parere del Consiglio notarile cui è iscritto, ovvero è stato iscritto negli ultimi cinque anni, il candidato.

3. Possono essere chiamati all'ufficio di giudice ausiliario:

a) i magistrati ordinari, contabili e amministrativi e gli avvocati dello Stato, a riposo da non più di tre anni al momento di presentazione della domanda, nonché magistrati onorari, che non esercitino più ma che abbiano esercitato con valutazione positiva la loro funzione per almeno cinque anni;

b) i professori universitari in materie giuridiche di prima e seconda fascia anche a tempo definito o a riposo da non più di tre anni al momento di presentazione della domanda;

c) i ricercatori universitari in materie giuridiche;

d) gli avvocati anche se cancellati dall'albo da non più di tre anni al momento di presentazione della domanda;

e) i notai anche se a riposo da non più di tre anni al momento di presentazione della domanda.


 

 

L’articolo 63 stabilisce, per le indicate finalità di deflazione del contenzioso civile pendente presso le Corti d’appello, la nomina con decreto del ministro della giustizia di un numero massimo di 400 giudici ausiliari.

Secondo la relazione del Governo al decreto-legge, tale numero appare idoneo ad assicurare la definizione, ogni anno, di 36.000 procedimenti (ovvero 90 per ogni giudice ausiliario).

 

Si ricorda che già nella XIII legislatura, la legge 276 del 1997 aveva individuato in apposite sezioni stralcio, cui assegnare 1.000 giudici onorari reclutati in via straordinaria, lo strumento con cui affrontare il pesante arretrato della giustizia civile pendente presso i tribunali alla data del 30 aprile 1995.

Ai sensi dell'art. 12 della legge 276, il processo davanti al giudice onorario aggregato (Goa) si svolgeva – salvo specifiche deroghe - secondo le modalità previste dall'art. 90, 1° e 5° co., della legge 353 del 1990 di riforma del processo civile, ossia secondo il rito delle vecchie cause (con litispendenza anteriore al 1° gennaio 1993). Ogni sezione stralcio dei tribunali era composta da un presidente, giudice togato e da almeno 2 giudici onorari aggregati.

La legge 276 dettava specifici requisiti di nomina (con preferenza per gli esercenti la professione forense) dei Goa (la cui permanenza nell’ufficio era stabilita in 5 anni, con al massimo uno di proroga), una disciplina dell’incompatibilità (ed ineleggibilità) dei Goa analoga a quella dei magistrati ordinari - con specifiche disposizioni per gli avvocati - nonché una disciplina dell’astensione, ricusazione, decadenza, dimissioni e revoca dei giudici aggregati.

Lo stock di sentenze che avrebbero dovuto, entro 5 anni, smaltire tali giudici (identificati dalla sigla Goa - giudici onorari aggregati, aventi lo status giuridico di magistrati onorari), era all’epoca quantificato in circa 800.000 cause. In realtà la conclusione dell’attività delle sezioni stralcio si è avuta in un periodo ben superiore ai 5 anni (alcune sezioni stralcio chiusero oltre il 2005) e con un costo superiore a quello inizialmente previsto (20 milioni di lire come indennità annua onnicomprensiva per ogni Goa, poi divenute euro 10.329,14, più 250.000 lire (euro 129,11) per ogni sentenza o verbale di conciliazione) ovvero una spesa complessiva di 574 miliardi di lire fino al 2001 e di 37,7 miliardi l'anno a regime per gli anni successivi. L’attività dei Goa nelle sezioni stralcio è stata prorogata di anno in anno fino al 31 dicembre 2006.

Nonostante le difficoltà iniziali (l’avvio delle sezioni avvenne solo nel novembre 1998) e l’incompleta copertura dell’organico (l’attività iniziò con meno di 300 Goa) che non si riuscì mai a completare, la valutazione medio tempore di tale esperienza da parte del Governo fu positiva.

Nella relazione del Ministro della giustizia per l’apertura dell’anno giudiziario 2001 si dà atto dell’accresciuta produttività del sistema giudiziario e si prosegue affermando che un importante contributo al raggiungimento di un trend positivo è stato offerto dalle sezioni stralcio che, con ranghi ridotti e coperti con notevole ritardo, nel periodo dall’11 novembre 1998 al 31 dicembre 2000, hanno definito circa 315.000 giudizi su 815.458 cause del vecchio rito, riducendo l’arretrato a circa 500.000.

 

Il decreto individua le categorie professionali che possono fare domanda di nomina a giudice ausiliario ovvero i magistrati a riposo (ordinari, contabili e amministrativi), i professori universitari in materie giuridiche di prima o seconda fascia, anche a tempo determinato o a riposo (da non oltre 3 anni), i ricercatori universitari in materie giuridiche, gli avvocati (cui l’art. 65 attribuisce preferenza a fini della nomina, v. ultra) ed i notai (per entrambe le ultime due categorie, anche se a riposo).

 

Si tratta, sostanzialmente, delle stesse categorie professionali tra cui erano nominati ai sensi della legge 276/1997 i 1.000 giudici onorari aggregati per la definizione del contenzioso civile pendente.

 

Il procedimento prevede – per l’adozione del decreto di nomina da parte del ministro - una deliberazione del CSM su proposta del Consiglio giudiziario competente per territorio (in composizione allargata ai componenti laici)[77] acquisito il parere - nel caso di domanda da parte di notai - del competente consiglio notarile.


 

Articolo 64
(Requisiti per la nomina)

 


1. Per la nomina a giudice ausiliario sono necessari i seguenti requisiti:

a) essere cittadino italiano;

b) avere l'esercizio dei diritti civili e politici;

c) non aver riportato condanne per delitti non colposi;

d) non essere stato sottoposto a misura di prevenzione o di sicurezza;

e) avere idoneità fisica e psichica;

f) non avere precedenti disciplinari diversi dalla sanzione più lieve prevista dagli ordinamenti delle amministrazioni o delle professioni di provenienza.

2. Nei casi di cui all'articolo 63, comma 3, lettere a) e b), al momento della presentazione della domanda il candidato non deve aver compiuto i settantacinque anni di età.

3. Nel caso di cui all'articolo 63, comma 3, lettere d) ed e), al momento della presentazione della domanda il candidato deve essere stato iscritto all'albo per un periodo non inferiore a cinque anni e non aver compiuto i sessanta anni di età.

4. Per la nomina a giudice ausiliario in relazione ai posti previsti per il circondario di Bolzano è richiesta anche una adeguata conoscenza delle lingue italiana e tedesca. Si osserva altresì il principio di cui all'articolo 8, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, e successive modificazioni.

5. Non possono essere nominati giudici ausiliari:

a) i membri del Parlamento nazionale ed europeo, i deputati e i consiglieri regionali, i membri del Governo, i presidenti delle regioni e delle province, i membri delle giunte regionali e provinciali;

b) i sindaci, gli assessori comunali, i consiglieri provinciali, comunali e circoscrizionali;

c) gli ecclesiastici e i ministri di culto;

d) coloro che ricoprano incarichi direttivi o esecutivi nei partiti politici.


 

 

L’articolo 64 individua i requisiti per la nomina del giudice ausiliario, in analogia alle previsioni già contenute nell'ordinamento sulla selezione della magistratura onoraria. Il riferimento pare essere all’art. 42-ter del RD 12/1941 sull’ordinamento giudiziario, che stabilisce i requisiti per la nomina a giudice onorario (Got) e a vice procuratore onorario (Vpo) di tribunale.

In particolare, a parte la laurea in giurisprudenza, l’art. 64 del decreto-legge non stabilisce alcun requisito inerente la residenza (nel comune del distretto della corte d’appello per cui si fa domanda).

 

Il citato art. 42-ter del R.D. n. 12/1941, al contrario, per la nomina di Got e Vpo, prevede tra i requisiti la residenza in un comune compreso nel distretto in cui ha sede l'ufficio giudiziario per il quale è presentata domanda, fatta eccezione per coloro che esercitano la professione di avvocato o le funzioni notarili.

La legge sulle sezioni stralcio n. 276/1997 (art. 2) non prevedeva, invece, alcun requisito di residenza per la nomina dei giudici onorari aggregati (Goa).

I requisiti previsti dall’art. 64 sono la cittadinanza italiana, l’esercizio dei diritti civili e politici, non avere riportato condanne per delitti non colposi,non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza, avere idoneità fisica e psichica, non avere precedenti disciplinari diversi dalla sanzione più lieve prevista dai rispettivi ordinamenti.

Con particolare riferimento al requisito anagrafico la norma prevede, al momento di presentazione della domanda:

§      per i magistrati e gli avvocati dello Stato a riposo, nonché i professori universitari, un limite massimo di 75 anni di età;

§      per gli avvocati e i notai, invece, tale limite è di 60 anni.

 

Il limite anagrafico per i Goa era di 67 anni. Per Got e Vpo è, invece, stabilito un minimo di 25 anni ed un massimo di 69.

 

Per notai e avvocati un ulteriore requisito consiste nell’iscrizione all’albo da almeno 5 anni, termine evidentemente individuato come sintomatico di adeguata esperienza professionale.

L’art. 64 prevede, ai fini delle nomina a giudice ausiliario nel circondario di Bolzano, la conoscenza delle due lingue (italiano e tedesco) nonché una disposizione a tutela delle minoranze linguistiche, ovvero il rispetto del rapporto dei tre gruppi linguistici (italiano, tedesco e ladino), secondo la loro consistenza quale risultante nell'ultimo censimento (art. 8, D.P.R. n. 752/1976).

Sono infine, individuate gli incarichi (elettivi e non) la cui titolarità esclude la possibilità di essere nominato giudice ausiliario.

In particolare, non possono essere nominati giudici ausiliari i parlamentari nazionali ed europei, i consiglieri regionali, i membri del Governo, i presidenti, i sindaci e gli altri componenti delle giunte regionali, provinciali e comunali, i consiglieri provinciali, comunali e circoscrizionali, gli ecclesiastici e i ministri di culto, i titolari di incarichi direttivi o esecutivi nei partiti politici.

L’art. 42-quater, primo comma, dell’ordinamento giudiziario reca una disposizione analoga per i giudici onorari di tribunale. Tale disposizione si distingue tuttavia dall’art. 64 in quanto richiama espressamente anche ulteriori funzioni o incarichi che impediscono la nomina dei Got: i componenti degli organi deputati al controllo sugli atti degli enti territoriali; i titolari della carica di difensore civico; coloro che abbiano ricoperto nei tre anni precedenti incarichi nei partiti politici; gli appartenenti ad associazioni i cui vincoli siano incompatibili con l'esercizio indipendente della funzione giurisdizionale; coloro che svolgono o abbiano svolto nei tre anni precedenti attività professionale non occasionale per conto di imprese di assicurazione o bancarie, ovvero per istituti o società di intermediazione finanziaria.


 

Articolo 65
(Pianta organica dei giudici ausiliari.
Domande per la nomina a giudici ausiliari)

 


1. Entro due mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Ministro della giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e i consigli degli ordini distrettuali, è determinata la pianta organica ad esaurimento dei giudici ausiliari, con l'indicazione dei posti disponibili presso ciascuna Corte di appello. La pianta organica è determinata tenendo conto delle pendenze e delle scoperture di organico in ciascuna Corte, cui può essere assegnato un numero di posti complessivamente non superiore al numero di quaranta per ciascuna Corte.

2. Con il decreto di cui al comma 1 sono determinati le modalità e i termini di presentazione della domanda per la nomina a giudice ausiliario nonché i criteri di priorità nella nomina. È riconosciuta preferenza ai fini della nomina agli avvocati iscritti all'albo. A parità di titoli sono prioritariamente nominati coloro che hanno minore età anagrafica con almeno cinque anni di iscrizione all'Albo. Della pubblicazione del decreto è dato avviso sul sito internet del Ministero della giustizia.

3. Le domande dei candidati sono trasmesse, senza ritardo, al consiglio giudiziario che formula le proposte motivate di nomina, indicando, ove possibile, una rosa di nomi pari al doppio dei posti previsti nella pianta organica per ciascun ufficio giudiziario e redigendo la graduatoria.

4. Il presidente della Corte di appello assegna i giudici ausiliari alle diverse sezioni dell'ufficio.


 

 

L’articolo 65 stabilisce che la pianta organica ad esaurimento dei giudici ausiliari presso le Corti d’appello è determinata con decreto del ministro della giustizia (da pubblicare sul sito Internet del ministero), decorsi 2 mesi dall’entrata in vigore del decreto-legge.

Per ogni corte d’appello è indicato il numero dei magistrati ausiliari assegnati, fermo restando non possono essere nominati più di 40 giudici.

Lo stesso decreto ministeriale prevede le modalità di presentazione della domanda al Consiglio giudiziario di competenza ed i criteri di priorità nella nomina, fermo restando il titolo preferenziale dello svolgimento della professione forense. Ciò significa che andranno con priorità nominati gli avvocati iscritti all’albo (in possesso ovviamente dei requisiti) e solo dopo gli appartenenti alle altre categorie.

Il procedimento prevede sia lo stesso Consiglio giudiziario a formulare proposte motivate di nomina, a indicare – ove possibile – una rosa di nomi pari al doppio dei posti della pianta organica di ciascun ufficio giudiziario, a formulare le proposte di nomina e a redigere una graduatoria finale.

I giudici ausiliari nominati sono poi assegnati alle singole sezioni dal presidente della Corte d’appello.


 

Articolo 66
(Presa di possesso)

 

1. Il giudice ausiliario prende possesso dell'ufficio entro il termine indicato nel decreto di nomina previsto dall'articolo 63, comma 2, ed è assegnato con apposito provvedimento del presidente della Corte di appello a norma dell'articolo 65, comma 4.

 

 

L’articolo 66 stabilisce che la presa di possesso dell’ufficio da parte del giudice ausiliario avvenga entro il termine stabilito dal decreto di nomina e che l’assegnazione avvenga con apposito provvedimento del Presidente della Corte d’appello che destina il giudice ad una delle sezioni.


 

Articolo 67
(Durata dell’ufficio)

 

1. Il giudice ausiliario è nominato per la durata di cinque anni, prorogabili per non più di cinque anni.

2. La proroga è disposta con le modalità di cui all'articolo 63, comma 2.

3. Il giudice ausiliario cessa dall'incarico al compimento del settantottesimo anno di età e nelle ipotesi di decadenza, dimissioni, revoca e mancata conferma a norma dell'articolo 71.

 

 

La norma stabilisce in 10 anni il termine massimo di permanenza nell’ufficio di giudice ausiliario. La nomina ha infatti durata di cinque anni e può essere prorogata per un pari periodo con decreto del ministro della giustizia (ex art. 65 del decreto).

 

L’articolo 67 prevede la cessazione dall’incarico di giudice ausiliario - oltre che per le ipotesi di cui all’art. 71, di dimissioni, revoca, decadenza e mancata conferma – al compimento dei 78 anni di età.

 

Ciò significa che, anche ove il mandato quinquennale (primo o secondo) non sia concluso, il raggiungimento del limite anagrafico indicato costituisce motivo di decadenza di diritto dall’incarico


 

Articolo 68
(Collegi e provvedimenti. Monitoraggio)

 

1. Del collegio giudicante non può far parte più di un giudice ausiliario.

2. Il giudice ausiliario deve definire, nel collegio in cui è relatore e a norma dell'articolo 72, comma 2, almeno novanta procedimenti per anno.

3. Con cadenza semestrale il ministero della giustizia provvede al monitoraggio dell'attività svolta dai giudici ausiliari al fine di rilevare il rispetto dei parametri di operosità ed il conseguimento degli obiettivi fissati dal presente capo.

 

 

L’articolo 68 prevede che dei collegi giudicanti presso le corti d’appello non possa far parte più di un giudice ausiliario.

 

La disposizione indica puntuali standard di efficienza che il giudice ausiliario è tenuto a raggiungere nello svolgimento dell’ufficio, stabilendo che ciascun giudice onorario debba definire, come relatore, almeno 90 procedimenti all’anno.

 

La norma fissa in capo al ministro della giustizia obblighi di monitoraggio semestrale sull’attività e la produttività dei magistrati ausiliari.

 

Precisando che in ogni collegio giudicante non ci potrà essere più di un giudice ausiliario (nel collegio di 3 giudici, 2 dovranno essere, quindi, togati) non viene seguita la scelta fatta propria dalla legge n. 276/1997 sui giudici onorari aggregati, che invertiva detta proporzione stabilendo che ogni sezione stralcio fosse costituita da un magistrato (presidente) e da almeno due giudici onorari aggregati.


 

Articolo 69
(Incompatibilità ed ineleggibilità)

 


1. Al giudice ausiliario si applica la disciplina delle incompatibilità e delle ineleggibilità prevista per i magistrati ordinari.

2. Il giudice ausiliario, nominato tra i candidati di cui all'articolo 63, comma 3, lettera d), non può svolgere le funzioni presso la corte di appello nel cui distretto ha sede il consiglio dell'ordine cui era iscritto al momento della nomina o nei cinque anni precedenti.

3. Gli avvocati che svolgono le funzioni di giudice ausiliario non possono esercitare la professione dinanzi agli uffici giudiziari del distretto di Corte di appello in cui svolgono le funzioni, e non possono rappresentare, assistere o difendere le parti di procedimenti trattati dinanzi agli uffici giudiziari del medesimo distretto neppure nei successivi gradi di giudizio.

4. Gli avvocati che svolgono le funzioni di giudice ausiliario non possono rappresentare, assistere o difendere, anche presso uffici di altri distretti di corte d'appello, le parti di procedimenti in relazione ai quali hanno svolto le funzioni. Il divieto si estende ad altro avvocato di lui socio o con lui associato.


 

 

L’articolo 69 prevede l’applicazione ai giudici ausiliari della disciplina delle incompatibilità e delle ineleggibilità stabilita per i magistrati ordinari.

 

In riferimento alle incompatibilità dei magistrati, l’ordinamento giudiziario (RD 12/1941) prevede rispettivamente, incompatibilità di funzioni (art. 16) e incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con avvocati (art. 18).

In particolare, l’art. 16 stabilisce che i magistrati non possono assumere pubblici o privati impieghi od uffici, ad eccezione di quelli di senatore, di consigliere nazionale o di amministratore gratuito di istituzioni pubbliche di beneficenza. Non possono nemmeno esercitare industrie o commerci, né qualsiasi libera professione, né accettare incarichi di qualsiasi specie ed assumere le funzioni di arbitro, senza l'autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura. L’art. 18 preclude ai magistrati giudicanti e requirenti delle corti di appello e dei tribunali l’appartenenza ad uffici giudiziari nelle sedi nelle quali i loro parenti fino al secondo grado, gli affini in primo grado, il coniuge o il convivente, esercitano la professione di avvocato. La norma detta poi gli specifici criteri sulla base dei quali, in concreto, è verificata l'incompatibilità di sede.

L’art. 17 dello stesso R.D. n. 12/1941 prevede un’ipotesi d’incompatibilità speciale per i primi presidenti ed i procuratori generali della Repubblica che non possono assumere alcun incarico fuori dalla residenza, tranne quelli ad essi attribuiti da leggi e regolamenti.

Le cause di ineleggibilità a parlamentari dei magistrati ordinari sono previste dal TU n. 361 del 1957 per l’elezione della Camera dei deputati (art. 8), che, in forza del rinvio operato dall’art. 5 del TU n. 533/1993, si applica anche alle elezioni del Senato.

L’art. 8 del TU del 1957 prevede che i magistrati – anche in caso di scioglimento anticipato della Camera dei deputati e di elezioni suppletive - non sono eleggibili nelle circoscrizioni sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura. Non sono in ogni caso eleggibili se, all'atto dell'accettazione della candidatura, non si trovino in aspettativa.

Sono esclusi dall’applicazione della norma i magistrati di cassazione, in quanto la giurisdizione dei rispettivi uffici coincide con il territorio nazionale, rendendo pertanto inapplicabile nei loro confronti la limitazione di ineleggibilità riferita ad un particolare ambito territoriale.

I magistrati che sono stati candidati e non sono stati eletti non possono esercitare per un periodo di cinque anni le loro funzioni nella circoscrizione nel cui ambito si sono svolte le elezioni..tale disposizione nonostante le numerose censure di costituzionalità sollevate, è stata ritenuta conforme alla Costituzione (Corte cost., sentenza n. 172/1982).

Il regime dell’ineleggibilità dei magistrati alle elezioni amministrative è invece dettato dal’art. 60, comma 1, n. 6 del testo unico degli enti locali - TUEL (D.Lgs. 267/2000) secondo cui nel territorio, nel quale esercitano le loro funzioni, i magistrati addetti alle corti di appello, ai tribunali, ai tribunali amministrativi regionali, nonché i giudici di pace non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale. L’ineleggibilità non ha effetto se l'interessato cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca dell'incarico o del comando, collocamento in aspettativa non retribuita non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature.

 

Per avvocati che svolgano funzioni di giudice ausiliario è inapplicabile l’interdizione in toto dall’attività professionale prevista per i magistrati dall’art. 16 dell’ordinamento giudiziario (v. ante).

Infatti, l’art. 69, per esigenze di terzietà del giudice, detta specifiche ipotesi di incompatibilità per l'esercizio delle funzioni di giudice ausiliario nominato tra gli avvocati.

Dette ipotesi si ricollegano essenzialmente alla particolare delicatezza della funzione difensiva ed al possibile conflitto d’interesse che gli avvocati possono avere nelle cause trattate davanti al distretto di corte d’appello nelle quali svolgono funzioni di giudice ausiliario.

L’incompatibilità investe tanto l’attività del giudice ausiliario nominato tra gli avvocati quanto l’attività dell’avvocato.

In particolare, il giudice ausiliario nominato tra gli avvocati non può svolgere le funzioni presso la corte d’appello nel cui distretto ha sede il consiglio dell’ordine cui era iscritto al momento della nomina o nei cinque anni precedenti.

Gli avvocati che svolgono le funzioni di giudice ausiliario non possono esercitare dinanzi agli uffici giudiziari del distretto in cui svolgono le funzioni né possono rappresentare, assistere o difendere nei successivi gradi di giudizio.

Inoltre, anche se fuori dal distretto di svolgimento delle funzioni, agli avvocati-giudici ausiliari è, tuttavia, precluso rappresentare o difendere le parti di procedimenti in cui hanno svolto le funzioni di giudice.

 

Anche per i giudici onorari aggregati la legge n. 276/1997 (art. 5) prevedeva l’applicazione del regime delle incompatibilità e delle ineleggibilità previsto per i magistrati ordinari.

In particolare prevedeva che:

§      il giudice onorario aggregato, nominato tra gli avvocati iscritti al relativo albo o non più iscritti da meno di cinque anni, non può svolgere le sue funzioni presso il tribunale ove ha sede il Consiglio dell'ordine cui era iscritto al momento della nomina o nei cinque anni precedenti, salvo che il circondario del tribunale non comprenda una popolazione superiore a 500.000 abitanti;

§      gli avvocati che svolgono le funzioni di giudice onorario aggregato, quando la nomina non comporta la cancellazione dall'albo degli avvocati, a norma del comma 1 dell'articolo 9, non possono esercitare la professione forense dinanzi agli uffici giudiziari del distretto o della sezione distaccata di corte di appello, ove esistente, nel cui ambito ha sede il tribunale al quale appartengono, e non possono rappresentare, assistere o difendere in procedimenti svolti dinanzi ai medesimi uffici, nei gradi successivi di giudizio;

§      gli avvocati che svolgono le funzioni di giudice onorario aggregato non possono altresì rappresentare, assistere o difendere, anche presso uffici di altri distretti, parti di procedimenti in relazione ai quali hanno svolto tali funzioni. Gli avvocati che svolgono le funzioni di giudice onorario aggregato certificano personalmente l'inesistenza nei loro confronti delle cause di incompatibilità di cui al precedente periodo.

 

Per i giudici onorari di tribunale, l’art. 42-quater dell’ordinamento giudiziario stabilisce una serie di incompatibilità (o comunque cause ostative all’assunzione dell’incarico).

Come si è visto all’art. 64, non possono esercitare le funzioni di giudice onorario di tribunale:

a)    i membri del parlamento nazionale ed europeo, i membri del Governo, i titolari di cariche elettive ed i membri delle giunte degli enti territoriali, i componenti degli organi deputati al controllo sugli atti degli stessi enti ed i titolari della carica di difensore civico;

b)    gli ecclesiastici e i ministri di confessioni religiose;

c)    coloro che ricoprono o hanno ricoperto nei tre anni precedenti incarichi, anche esecutivi, nei partiti politici;

d)    gli appartenenti ad associazioni i cui vincoli siano incompatibili con l'esercizio indipendente della funzione giurisdizionale;

e)    coloro che svolgono o abbiano svolto nei tre anni precedenti attività professionale non occasionale per conto di imprese di assicurazione o bancarie, ovvero per istituti o società di intermediazione finanziaria.

Inoltre, gli avvocati ed i praticanti ammessi al patrocinio non possono esercitare la professione forense dinanzi agli uffici giudiziari compresi nel circondario del tribunale presso il quale svolgono le funzioni di giudice onorario e non possono rappresentare o difendere le parti, nelle fasi successive, in procedimenti svoltisi dinanzi ai medesimi uffici.

Il giudice onorario di tribunale non può assumere l'incarico di consulente, perito o interprete nei procedimenti che si svolgono dinanzi agli uffici giudiziari compresi nel circondario del tribunale presso il quale esercita le funzioni giudiziarie.


 

Articolo 70
(Astensione e ricusazione)

 


1. Il giudice ausiliario ha l'obbligo di astenersi e può essere ricusato a norma dell'articolo 52 del codice di procedura civile, oltre che nei casi previsti dall'articolo 51, primo comma, del medesimo codice, quando è stato associato o comunque collegato, anche mediante il coniuge, i parenti o altre persone, con lo studio professionale di cui ha fatto o fa parte il difensore di una delle parti.

2. Il giudice ausiliario ha altresì l'obbligo di astenersi e può essere ricusato quando ha in precedenza assistito nella qualità di avvocato una delle parti in causa o uno dei difensori ovvero ha svolto attività professionale nella qualità di notaio per una delle parti in causa o uno dei difensori.


 

 

L’articolo 70 del decreto - ferme restando le ordinarie ipotesi di astensione del giudice di cui all’art. 51, primo comma, c.p.c. - individua ulteriori, specifici casi in cui il magistrato ausiliario, in relazione alla pregressa attività professionale svolta, è obbligato ad astenersi, pena la possibilità di ricusazione ex art. 52 c.p.c..

L’art. 51 primo comma, c.p.c., detta ipotesi di astensione obbligatoria del giudice:

1)    se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;

2)    se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;

3)    se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;

4)    se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;

5)    se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un'associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.

In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad astenersi; quando l'astensione riguarda il capo dell'ufficio l'autorizzazione è chiesta al capo dell'ufficio superiore.

Sussiste l’ulteriore obbligo di astensione del giudice ausiliario

§      se questi “è stato associato o comunque collegato” – anche tramite il coniuge, i parenti o altre persone - con lo studio professionale di cui ha fatto parte (o fa parte) il difensore di una delle parti in causa;

§      quando il giudice ausiliario, già avvocato, abbia assistito in passato una delle parti in causa ovvero quando il giudice, già notaio, abbia svolto attività professionale per una delle parti in causa o per uno dei difensori.


 

Articolo 71
(Decadenza, dimissioni, mancata conferma e revoca)

 


1. I giudici ausiliari cessano dall'ufficio quando decadono perché viene meno taluno dei requisiti per la nomina, in caso di revoca e di dimissioni, in caso di mancata conferma annuale ovvero quando sussiste una causa di incompatibilità.

2. Entro trenta giorni dal compimento di ciascun anno dalla data della nomina, il consiglio giudiziario in composizione integrata verifica che il giudice ausiliario abbia definito il numero minimo di procedimenti di cui all'articolo 68, comma 2, e propone al Consiglio superiore della magistratura la sua conferma o, in mancanza e previo contraddittorio, la dichiarazione di mancata conferma.

3. In ogni momento il presidente della corte di appello propone motivatamente al consiglio giudiziario la revoca del giudice ausiliario che non è in grado di svolgere diligentemente e proficuamente il proprio incarico.

4. Nei casi di cui al comma 3 il consiglio giudiziario in composizione integrata, sentito l'interessato e verificata la fondatezza della proposta, la trasmette al Consiglio superiore della magistratura unitamente ad un parere motivato.

5. I provvedimenti di cessazione sono adottati con decreto del Ministro della giustizia su deliberazione del Consiglio superiore della magistratura.


 

 

L’articolo 71 detta le ipotesi di cessazione dall’ufficio di giudice ausiliario ovvero:

§      decadenza;

§      dimissioni;

§      mancata conferma;

§      revoca.

La decadenza consegue sia al venire meno di qualcuno dei requisiti di nomina (cfr. art. 64) sia alla revoca dall’ufficio decisa dal consiglio giudiziario competente (v. ultra).

La mancata conferma del giudice ausiliario consegue al mancato raggiungimento degli standard di efficienza prescritti, ovvero la definizione dei 90 procedimenti all’anno, di cui all’art. 68. La verifica è demandata annualmente al consiglio giudiziario, che propone al CSM la conferma o meno (in tal caso, previo contraddittorio) del magistrato onorario.

L’articolo 71 detta la disciplina delle ipotesi di revoca del giudice ausiliario:

§      la proposta motivata spetta al presidente della corte d'appello, che la trasmette al consiglio giudiziario (sulla base della considerazione che il giudice non sia in grado di svolgere con diligenza ed efficienza il proprio incarico);

§      il consiglio giudiziario, sentito l’interessato, se opta per la revoca formula a sua volta un parere motivato al CSM;

§      se il CSM delibera la revoca; il Ministro della giustizia adotta con decreto la cessazione dall’ufficio del giudice ausiliario.


 

Articolo 72
(Stato giuridico e indennità)

 


1. I giudici ausiliari acquisiscono lo stato giuridico di magistrati onorari.

2. Ai giudici ausiliari è attribuita un'indennità onnicomprensiva, da corrispondere ogni tre mesi, di duecento euro per ogni provvedimento che definisce il processo, anche in parte o nei confronti di alcune delle parti, a norma dell'articolo 68, comma 2.

3. L'indennità annua complessiva non può superare, in ogni caso, la somma di ventimila euro e sulla stessa non sono dovuti contributi previdenziali.

4. L'indennità prevista dal presente articolo è cumulabile con i trattamenti pensionistici e di quiescenza comunque denominati.


 

 

L'articolo 72 definisce lo stato giuridico dei giudici ausiliari che acquisiscono lo stato giuridico di magistrati onorari.

Viene fissata in 200 euro l’indennità onnicomprensiva da attribuire ai giudici onorari, con cadenza trimestrale, per ogni provvedimento che definisce il processo, anche parzialmente ovvero solo su alcune delle domande proposte con l’atto di citazione o rispetto solo ad alcune delle parti.

L’art. 72 stabilisce, in ogni caso:

§      un limite massimo dell’indennità annua da attribuire al giudice ausiliario (20.000 euro), precisando che su di essa non sono dovuti contributi previdenziali;

§      la cumulabilità dell’indicata indennità con i trattamenti pensionistici o di quiescenza cui abbia, eventualmente, diritto il giudice ausiliario.

 

Si ricorda che la legge n. 276/1997 prevedeva, invece, il diritto dei giudici onorari aggregati ai contributi previdenziali. Al contrario, sulla base della normativa vigente i Got (come i giudici di pace) non hanno diritto ad alcuna copertura previdenziale.

La legge 276/1997 attribuiva ai giudici onorari aggregati – dopo l’ingresso dell’euro – una indennità di euro 10.329,14 annui da corrispondere a rate mensili, oltre ad euro 129,11 per ogni sentenza che definisse il processo ovvero per ogni verbale di conciliazione, da corrispondere ogni tre mesi.

Il TU spese di giustizia (D.P.R. n. 115/2002) prevede (art. 64) che ai giudici onorari di tribunale spetti un'indennità di 98 per le attività di udienza svolte nello stesso giorno ed un'ulteriore indennità di euro 98 ove il complessivo impegno lavorativo per le attività di udienza superi le cinque ore.


 

Articolo 73
(Formazione presso gli uffici giudiziari)

 


1. I laureati in giurisprudenza all'esito di un corso di durata almeno quadriennale, in possesso dei requisiti di onorabilità di cui all'articolo 42-ter, secondo comma, lettera g), del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, che abbiano riportato una media di almeno 27/30 negli esami di diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale civile, diritto commerciale, diritto penale, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo, ovvero un punteggio di laurea non inferiore a 105/110 e che non abbiano compiuto i trenta anni di età, possono accedere, a domanda e per una sola volta, a un periodo di formazione teorico-pratica presso le Corti di appello, i tribunali ordinari, gli uffici e i tribunali di sorveglianza e i tribunali per i minorenni della durata complessiva di diciotto mesi. Lo stage formativo, con riferimento al procedimento penale, può essere svolto esclusivamente presso il giudice del dibattimento. I laureati, con i medesimi requisiti, possono accedere a un periodo di formazione teorico-pratica, della stessa durata, anche presso il Consiglio di Stato, sia nelle sezioni giurisdizionali che consultive, e i Tribunali Amministrativi Regionali. La Regione Siciliana e le province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito della propria autonomia statutaria e delle norme di attuazione, attuano l'istituto dello stage formativo e disciplinano le sue modalità di svolgimento presso il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana e presso il Tribunale Regionale di Giustizia amministrativa di Trento e la sezione autonoma di Bolzano.

2. Quando non è possibile avviare al periodo di formazione tutti gli aspiranti muniti dei requisiti di cui al comma 1 si riconosce preferenza, nell'ordine, alla media degli esami indicati, al punteggio di laurea e alla minore età anagrafica. A parità dei requisiti previsti dal primo periodo si attribuisce preferenza ai corsi di perfezionamento in materie giuridiche successivi alla laurea.

3. Per l'accesso allo stage i soggetti di cui al comma 1 presentano domanda ai capi degli uffici giudiziari con allegata documentazione comprovante il possesso dei requisiti di cui al predetto comma, anche a nonna degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. Nella domanda può essere espressa una preferenza ai fini dell'assegnazione, di cui si tiene conto compatibilmente con le esigenze dell'ufficio. Per il Consiglio di Stato, il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, il Tribunale Regionale di Giustizia amministrativa di Trento e la sezione autonoma di Bolzano, i Tribunali Amministrativi Regionali la preferenza si esprime con riferimento ad una o più sezioni in cui sono trattate specifiche materie.

4. Gli ammessi allo stage sono affidati a un magistrato che ha espresso la disponibilità ovvero, quando è necessario assicurare la continuità della formazione, a un magistrato designato dal capo dell'ufficio. Gli ammessi assistono e coadiuvano il magistrato nel compimento delle ordinarie attività. Il magistrato non può rendersi affidatario di più di due ammessi. Il ministero della giustizia fornisce agli ammessi allo stage le dotazioni strumentali, li pone in condizioni di accedere ai sistemi informatici ministeriali e fornisce loro la necessaria assistenza tecnica. Per l'acquisto di dotazioni strumentali informatiche per le necessità di cui al quarto periodo è autorizzata una spesa unitaria non superiore a 400 euro. Nel corso degli ultimi sei mesi del periodo di formazione il magistrato può chiedere l'assegnazione di un nuovo ammesso allo stage al fine di garantire la continuità dell'attività di assistenza e ausilio. L'attività di magistrato formatore è considerata ai fini della valutazione di professionalità di cui all'articolo 11, comma 2, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, nonché ai fini del conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi di merito. L'attività di magistrato formatore espletata nell'ambito dei periodi formativi dei laureati presso gli organi della Giustizia amministrativa non si considera ai fini dei passaggi di qualifica di cui al capo II del titolo II della legge 27 aprile 1982, n. 186, e successive modificazioni, né ai fini del conferimento delle funzioni di cui all'articolo 6, quinto comma, della medesima legge. Al magistrato formatore non spetta alcun compenso aggiuntivo o rimborso spese per lo svolgimento dell'attività formativa.

5. L'attività degli ammessi allo stage si svolge sotto la guida e il controllo del magistrato e nel rispetto degli obblighi di riservatezza e di riserbo riguardo ai dati, alle informazioni e alle notizie acquisite durante il periodo di formazione, con obbligo di mantenere il segreto su quanto appreso in ragione della loro attività e astenersi dalla deposizione testimoniale. Essi sono ammessi ai corsi di formazione decentrata organizzati per i magistrati dell'ufficio ed ai corsi di formazione decentrata loro specificamente dedicati e organizzati con cadenza almeno semestrale secondo programmi che sono indicati per la formazione decentrata da parte della Scuola superiore della magistratura. I laureati ammessi a partecipare al periodo di formazione teorico-pratica presso il Consiglio di Stato, il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, i Tribunali Amministrativi Regionali e il Tribunale Regionale di Giustizia amministrativa di Trento e la sezione autonoma di Bolzano sono ammessi ai corsi di formazione organizzati dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa.

5-bis. L'attività di formazione degli ammessi allo stage è condotta in collaborazione con i consigli dell'Ordine degli avvocati e con le Scuole di specializzazione per le professioni legali, secondo le modalità individuate dal Capo dell'Ufficio, qualora gli stagisti ammessi risultino anche essere iscritti alla pratica forense o ad una Scuola di specializzazione per le professioni legali.

6. Gli ammessi allo stage hanno accesso ai fascicoli processuali, partecipano alle udienze del processo, anche non pubbliche e dinanzi al collegio, nonché alle camere di consiglio, salvo che il giudice ritenga di non ammetterli; non possono avere accesso ai fascicoli relativi ai procedimenti rispetto ai quali versano in conflitto di interessi per conto proprio o di terzi, ivi compresi i fascicoli relativi ai procedimenti trattati dall'avvocato presso il quale svolgono il tirocinio.

7. Gli ammessi allo stage non possono esercitare attività professionale innanzi l'ufficio ove lo stesso si svolge, né possono rappresentare o difendere, anche nelle fasi o nei gradi successivi della causa, le parti dei procedimenti che si sono svolti dinanzi al magistrato formatore o assumere da costoro qualsiasi incarico professionale.

8. Lo svolgimento dello stage non da diritto ad alcun compenso e non determina il sorgere di alcun rapporto di lavoro subordinato o autonomo né di obblighi previdenziali e assicurativi.

9. Lo stage può essere interrotto in ogni momento dal capo dell'ufficio, anche su proposta del magistrato formatore, per sopravvenute ragioni organizzative o per il venir meno del rapporto fiduciario, anche in relazione ai possibili rischi per l'indipendenza e l'imparzialità dell'ufficio o la credibilità della funzione giudiziaria, nonché per l'immagine e il prestigio dell'ordine giudiziario.

10. Lo stage può essere svolto contestualmente ad altre attività, compreso il dottorato di ricerca, il tirocinio per l'accesso alla professione di avvocato o di notaio e la frequenza dei corsi delle scuole di specializzazione per le professioni legali, purché con modalità compatibili con il conseguimento di un'adeguata formazione. Il contestuale svolgimento del tirocinio per l'accesso alla professione forense non impedisce all'avvocato presso il quale il tirocinio si svolge di esercitare l'attività professionale innanzi al magistrato formatore.

11. Il magistrato formatore redige, al termine dello stage, una relazione sull'esito del periodo di formazione e la trasmette al capo dell'ufficio.

[12. L'esito positivo dello stage, come attestato a norma del comma 11, costituisce titolo per l'accesso al concorso per magistrato ordinario, a norma dell'articolo 2 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160. Costituisce, altresì, titolo idoneo per l'accesso al concorso per magistrato ordinario lo svolgimento del tirocinio professionale per diciotto mesi presso l'Avvocatura dello Stato, sempre che sussistano i requisiti di merito di cui al comma 1 e che sia attestato l'esito positivo del tirocinio.]

13. Per l'accesso alla professione di avvocato e di notaio l'esito positivo dello stage di cui al presente articolo è valutato per il periodo di un anno ai fini del compimento del periodo di tirocinio professionale ed è valutato per il medesimo periodo ai fini della frequenza dei corsi della scuola di specializzazione per le professioni legali, fermo il superamento delle verifiche intermedie e delle prove finali d'esame di cui all'articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398.

14. L'esito positivo dello stage costituisce titolo di preferenza a parità di merito, a norma dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, nei concorsi indetti dall'amministrazione della giustizia, dall'amministrazione della giustizia amministrativa e dall'Avvocatura dello Stato. Per i concorsi indetti da altre amministrazioni dello Stato l'esito positivo del periodo di formazione costituisce titolo di preferenza a parità di titoli e di merito.

15. L'esito positivo dello stage costituisce titolo di preferenza per la nomina a giudice onorario di tribunale e a vice procuratore onorario.

16. All'articolo 5, della legge 21 novembre 1991, n. 374, dopo il comma 2, è inserito il seguente comma:

«2-bis. La disposizione di cui al comma 2 si applica anche a coloro che hanno svolto con esito positivo lo stage presso gli uffici giudiziari.».

17. Al fine di favorire l'accesso allo stage è in ogni caso consentito l'apporto finanziario di terzi, anche mediante l'istituzione di apposite borse di studio, sulla base di specifiche convenzioni stipulate con i capi degli uffici, o loro delegati, nel rispetto delle disposizioni del presente articolo.

18. I capi degli uffici giudiziari di cui al presente articolo quando stipulano le convenzioni previste dall'articolo 37 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, devono tenere conto delle domande presentate dai soggetti in possesso dei requisiti di cui al comma 1.

19. L'esito positivo dello stage presso gli uffici della Giustizia amministrativa, come attestato a norma del comma 11, è equiparato a tutti gli effetti a quello svolto presso gli uffici della Giustizia ordinaria.

20. La domanda di cui al comma 3 non può essere presentata prima del decorso del termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.


 

 

Il Capo II (composto dal solo articolo 73) detta un’articolata disciplina volta a consentire l’accesso a stage formativi teorico-pratici della durata di 18 mesi presso gli uffici della magistratura ordinaria e amministrativa, riservati ai laureati più meritevoli delle facoltà di giurisprudenza, all’esito di un corso almeno quadriennale.

Un progetto “Ufficio del giudice” è da tempo all’attenzione del legislatore al fine di incrementare l’efficienza del servizio giustizia.

Da ultimo, il D.L. n. 98/2011 ha previsto (art. 37) che, in relazione alle concrete esigenze organizzative dell'ufficio, i capi degli uffici giudiziari possono stipulare apposite convenzioni senza oneri a carico della finanza pubblica, con le facoltà universitarie di giurisprudenza, con le scuole di specializzazione per le professioni legali e con i consigli dell'ordine degli avvocati per consentire ai più meritevoli, su richiesta dell'interessato e previo parere favorevole del Consiglio giudiziario per la magistratura ordinaria, del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa per quella amministrativa e del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria per quella tributaria, lo svolgimento presso i medesimi uffici giudiziari del primo anno del corso di dottorato di ricerca, del corso di specializzazione per le professioni legali o della pratica forense per l'ammissione all'esame di avvocato. Coloro che sono ammessi alla formazione professionale negli uffici giudiziari assistono e coadiuvano i magistrati che ne fanno richiesta nel compimento delle loro ordinarie attività, anche con compiti di studio, e ad essi si applica l'articolo 15 del TU impiegati civili dello Stato (DPR 3/1957) ovvero l’obbligo del segreto d’ufficio. Lo svolgimento delle attività di formazione sostituisce ogni altra attività del corso del dottorato di ricerca, del corso di specializzazione per le professioni legali o della pratica forense per l'ammissione all'esame di avvocato. Al termine del periodo di formazione il magistrato designato dal capo dell'ufficio giudiziario redige una relazione sull'attività e sulla formazione professionale acquisita, che viene trasmessa alle facoltà, agli ordini forensi e alle scuole di specializzazione. Ai soggetti previsti dal presente comma non compete alcuna forma di compenso, di indennità, di rimborso spese o di trattamento previdenziale da parte della pubblica amministrazione. Il rapporto non costituisce ad alcun titolo pubblico impiego. È in ogni caso consentita la partecipazione alle convenzioni di terzi finanziatori.

L’articolo 73 prevede, quindi, i requisiti di accesso ai periodi formativi; la procedura di ammissione; gli obblighi del magistrato formatore; il contenuto dello stage ed i relativi limiti; i profili retributivi e previdenziali; l’esito del periodo di formazione ed i relativi effetti.

Gli uffici giudiziari interessati agli stage sono:

§      per la magistratura ordinaria, i tribunali ordinari e per i minorenni, le corti d’appello, gli uffici e i tribunali di sorveglianza; in riferimento al processo penale, lo stage può svolgersi solo presso il giudice del dibattimento;

§      per la magistratura amministrativa, sia il Tar che il Consiglio di Stato.

Disposizioni particolari riguardano gli uffici della giustizia amministrativa presso la Regione Sicilia e la Regione Autonoma del Trentino-Alto Adige.

Requisiti e domanda di ammissione

L’accesso a domanda ai periodi di formazione – possibili una sola volta - è subordinato al possesso dei seguenti requisiti:

§      laurea in giurisprudenza con punteggio minimo di 105 su 110;

§      media di almeno 27/30 negli esami nelle materie più significative del corso di laurea, individuate dal comma 1 dell’art. 73;

§      età massima di 30 anni;

§      requisiti di onorabilità consistenti nel non avere riportato condanne per delitti non colposi o a pena detentiva per contravvenzioni e non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza.

 

Se il numero degli aspiranti è maggiore del numero dei posti disponibili presso l’ufficio giudiziario per cui si è fatta domanda costituisce titolo preferenziale, nell’ordine, la miglior media negli esami nelle specifiche materie indicate; il punteggio di laurea, la minore età anagrafica.

 

La domanda di ammissione – che l’articolo 73, ultimo comma, precisa non possa essere presentata se non siano decorsi 30 gg. dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge (la domanda può, quindi essere presentata a partire dal 21 settembre 2013) - va presentata dai laureati ai capi degli uffici giudiziari, allegando la documentazione che dimostri il possesso dei requisiti e dichiarando eventuali preferenze riferite ad uno o più magistrati presso cui svolgere il tirocinio ovvero a determinate materie.

Il magistrato formatore e i contenuti dello stage

L’articolo 73 prevede l’affidamento del laureato ad un magistrato formatore, offertosi volontariamente ovvero designato a tal fine dal capo dell’ufficio.

Ogni formatore non può seguire più di 2 tirocinanti, salvo che negli ultimi sei mesi, in cui può chiedere un ulteriore ammesso allo stage che garantisca continuità nell’attività di assistenza all’attività del magistrato. L’attività del magistrato formatore, consistente sostanzialmente nel guidare e controllare l’attività degli stagisti, è valutata sia ai fini dei passaggi quadriennali di professionalità che per l’accesso ad incarichi direttivi e semidirettivi di merito sotto il profilo della capacità, della laboriosità, della diligenza e dell’impegno.

 

Secondo l’art. 10 del D.Lgs. n. 160/2006, sono funzioni direttive di merito di primo grado quelle di presidente del tribunale; di merito di secondo grado quelle di presidente della corte d’appello.

Funzioni semidirettive di merito di primo grado sono quelle di presidente di sezione presso il tribunale ordinario, di presidente e di presidente aggiunto della sezione GIP; funzioni semidirettive di secondo grado sono quelle di presidente di sezione presso la corte di appello.

 

In relazione all’attività dei tirocinanti, il ministero della giustizia dovrà mettere a loro disposizione tutte le dotazioni strumentali per lo svolgimento dell’attività di assistenza al magistrato, comprese le necessarie dotazioni informatiche (è autorizzata un spesa unitaria massima di 400 euro).

Dal punto di vista dell’attività oggetto dello stage, l’art. 73 afferma che i tirocinanti “assistono e coadiuvano il magistrato nello svolgimento delle attività ordinarie” potendo accedere ai fascicoli processuali, partecipare alle udienze come alle camere di consiglio (salvo opinione contraria del giudice).

L’attività dei tirocinanti comprende la partecipazione sia ai corsi di formazione cui partecipa il magistrato formatore che ai corsi di formazione decentrata, almeno semestrali, a loro appositamente dedicati.

Se gli stagisti svolgono la pratica forense o seguono una Scuola di specializzazione per le professioni legali alla loro formazione collaborano anche gli Ordini degli avvocati nonché la citata Scuola di specializzazione.

La disciplina in esame impone, comunque, precisi limiti sia in riferimento a generici doveri di riserbo e riservatezza derivante dalla documentazione cui possono accedere, che al possibile conflitto d’interessi in cui può incorrere lo stagista (es: accesso a fascicoli di procedimenti trattati dall'avvocato presso il quale lo stagista svolge il tirocinio forense); in particolare, ai tirocinanti è imposto – in relazione alle notizie apprese nel corso dell’attività presso gli uffici - l’obbligo del segreto e di astensione dalla deposizione testimoniale.

È, inoltre, chiarito che l'ammesso allo stage non possa avere accesso ai fascicoli relativi ai procedimenti trattati dall'avvocato presso il quale svolge il tirocinio e che rimane salvo il potere del giudice di non far partecipare il tirocinante alla singola udienza o camera di consiglio.

L’articolo 73 precisa, poi, che l'ammissione al periodo di formazione impedisce al tirocinante di svolgere sia attività professionale presso l'ufficio del giudice formatore ove si svolge lo stage, che in favore delle parti dei procedimenti svoltisi innanzi al magistrato formatore. Nessun limite per il patrocinio davanti a quest’ultimo è, invece, imposto all’avvocato presso il quale lo stagista svolga il tirocinio forense.

Il periodo formativo può svolgersi, purché compatibile, anche contemporaneamente ad altre attività: oltre che con gli accennati tirocinio forense e frequenza di scuole di specializzazione è possibile frequentare dottorati di ricerca e svolgere tirocinio notarile.

Viene chiarito che, per il periodo di attività presso il tribunale o la corte d’appello, l’ammesso allo stage non ha diritto ad alcuna forma di compenso, e di trattamento previdenziale da parte della pubblica amministrazione. Il rapporto non costituisce ad alcun titolo rapporto subordinato (di pubblico impiego) o autonomo. Resta ferma la discrezionalità del presidente del tribunale o della corte d’appello di interrompere lo svolgimento dello stage per una serie di motivi sopravvenuti (quali: ragioni organizzative, venire meno del rapporto di fiducia con lo stagista, imparzialità dell’ufficio, credibilità della funzione giudiziaria, prestigio dell’ordine giudiziario).

Al termine del periodo formativo, il magistrato formatore deve redigere una relazione sul corretto svolgimento dell’attività da parte del tirocinante e trasmetterla al capo dell’ufficio giudiziario.

In sede di conversione è stata soppressa la disposizione del decreto che prevedeva che all’esito positivo del tirocinio presso l’ufficio giudiziario conseguisse l’acquisizione di titolo idoneo per l’accesso al concorso in magistratura ordinaria (analogo effetto aveva lo svolgimento del tirocinio di 18 mesi presso l’Avvocatura dello Stato).

I 18 mesi di stage con esito positivo sono, invece, valutati pari ad 1 anno di tirocinio forense e notarile e, per lo stesso periodo, ai fini della frequenza presso le scuole di specializzazione legale.

L'esito positivo del tirocinio costituisce poi titolo preferenziale per la nomina a giudice onorario e vice procuratore onorario di tribunale, autonomo requisito di accesso all'esercizio delle funzioni di giudice di pace, per i concorsi indetti dalle amministrazioni della giustizia, dall’Avvocatura e, in diversa misura, da altre amministrazioni dello Stato.

L’art. 73 del D.L. precisa come l’attestazione dell’esito positivo dello stage presso Tar e Consiglio di Stato (ovvero presso gli altri organi di giustizia amministrativa presso la regione Sicilia e la regione autonoma del Trentino Alto-Adige) sia equiparato a tutti gli effetti a quello svolto presso gli uffici giudiziari ordinari.

 

Per favorire l’attuazione degli stage formativi è previsto il possibile apporto finanziario di terzi mediante anche tramite borse di studio erogate sulla base di convenzioni stipulate con i capi degli uffici giudiziari.

In relazione alle convenzioni previste dal citato art. 37 del D.L. n. 98/2011 (con le facoltà universitarie, gli ordini forensi nonché le scuole di specializzazione per le professioni legali), l’art. 73 precisa che i capi degli uffici giudiziari dovranno, in sede di stipula, “tenere conto delle domande presentate dai soggetti in possesso dei requisiti di cui al comma 1”.


 

Articolo 74
(Magistrati destinati all'ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione con compiti di assistente di studio)

 


1. All'articolo 115 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) le parole: ''trentasette magistrati destinati all'ufficio del massimario e del ruolo" sono sostituite dalle seguenti: "sessantasette magistrati destinati all'ufficio del massimario e del ruolo, anche con compiti di assistente di studio";

b) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

"Il Primo Presidente della Corte di cassazione, tenuto conto delle esigenze dell'ufficio, osservati i criteri stabiliti dal Consiglio superiore della magistratura, anno per anno può destinare fino a trenta magistrati addetti all'ufficio del massimario e del ruolo alle sezioni della Corte con compiti di assistente di studio. I magistrati con compiti di assistente di studio possono assistere alle camere di consiglio della sezione della Corte cui sono destinati, senza possibilità di prendere parte alla deliberazione o di esprimere il voto sulla decisione".

2. In sede di prima applicazione dell'articolo 115 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come da ultimo modificato dal comma 1 del presente articolo, e fino allo scadere del quinto anno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Primo Presidente della Corte di cassazione, al fine di garantire la più celere definizione dei procedimenti pendenti, destina almeno la metà dei magistrati addetti all'ufficio del massimario e del ruolo, e non più di quaranta, alle sezioni civili con compiti di assistente di studio.

3. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Consiglio superiore della magistratura stabilisce i criteri per la destinazione dei magistrati addetti all'ufficio del massimario e del ruolo alle sezioni della Corte di cassazione con compiti di assistente di studio.

4. Con cadenza annuale il Primo Presidente della Corte di cassazione informa il Consiglio superiore della magistratura e, per le competenze di organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, il Ministero della giustizia del numero e dell'attività svolta dai magistrati addetti all'ufficio del massimario e del ruolo destinati alle sezioni della Corte con compiti di assistente di studio.

5. Al decreto legislativo 23 gennaio 2006, n. 24, l'allegato 2 è sostituito dall'allegato A annesso al presente decreto.

6. I procedimenti di prima copertura dei posti aggiunti alla pianta organica per la Corte di cassazione ai sensi del presente articolo devono essere conclusi entro il termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

7. Con decreto del Ministro della giustizia, da adottare, sentito il Consiglio superiore della magistratura, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono determinate le piante organiche degli uffici giudiziari, tenuto conto delle disposizioni del presente articolo.


 

 

Il Capo III del titolo III del decreto legge mira a fornire alla Corte di cassazione un qualificato supporto da parte di magistrati da utilizzare come assistenti di studio per una rapida definizione dell’arretrato civile.

L’articolo 74 novella anzitutto l’art. 115 del R.D. n. 12/1941 (ordinamento giudiziario), relativo ai magistrati di tribunale destinati all'ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione per:

§      aumentare il numero di tali magistrati dagli attuali 37 a 67;

§      prevedere che tali magistrati possano svolgere «anche» compiti di assistenti di studio;

§      precisare che spetta al Primo presidente della Cassazione, annualmente, destinare fino a 30 di questi magistrati alle sezioni della Corte con compiti di assistenti di studio, privi però di poteri deliberativi o di voto.

 

Per i primi 5 anni di applicazione della nuova disciplina, il Presidente della Cassazione dovrà annualmente destinare alle sezioni civili, con compiti di assistenti di studio, la metà dei magistrati del massimario e del ruolo «al fine di garantire la più celere definizione dei procedimenti pendenti».

 

Spetterà al CSM, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, stabilire i criteri per la destinazione dei magistrati dell’ufficio del massimario alle sezioni della Corte, con compiti di assistenti di studio. Lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura, al pari del Ministro della giustizia, dovrà essere annualmente informato dal Presidente della Cassazione sull’attività svolta da tali magistrati.

L’art. 74 aumenta di 30 unità l’organico della Corte di Cassazione prevedendo il termine di 180 giorni per la prima copertura dei posti aggiunti e per la rideterminazione delle piante organiche degli uffici giudiziari con decreto del Ministro, sentito il CSM. La rideterminazione si rende necessaria in quanto, non essendo stato aumentato in generale l’organico della magistratura, ma solo quello della Corte di cassazione, occorre ridurre per un totale di 30 unità l’organico di altri uffici giudiziari.


 

Articolo 75
(Intervento del pubblico ministero nei giudizi civili dinanzi alla
Corte di Cassazione)

 


1. Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 70, il secondo comma è sostituito dal seguente: «Deve intervenire nelle cause davanti alla corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge.»;

b) all'articolo 380-bis, secondo comma, il secondo periodo è sostituito dal seguente: «Almeno venti giorni prima della data stabilita per l'adunanza, il decreto e la relazione sono notificati agli avvocati delle parti i quali hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima, e di chiedere di essere sentiti, se compaiono.»;

c) all'articolo 390, primo comma, le parole «o sia notificata la richiesta del pubblico ministero di cui all'articolo 375» sono sostituite dalle seguenti: «o siano notificate le conclusioni scritte del pubblico ministero nei casi di cui all'articolo 380-ter».

2. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione dell'udienza o dell'adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.


 

L’articolo 75 interviene sul codice di procedura civile con il fine di rendere più selettivo l’intervento della procura generale nei procedimenti in cassazione.

Attualmente, davanti al giudice di legittimità il PM ha l’obbligo generalizzato di intervento in tutte le cause, circostanza che determina una dispersione di risorse dell’ufficio di procura cui l’intervento in esame intende porre rimedio.

Sono, quindi, novellati gli artt. 70, 380-bis e 390 del codice di rito civile.

L’intervento dell’articolo 75 è integrato da quello dell’art. 81 del decreto-legge, che modifica l’ordinamento giudiziario in riferimento alle attribuzioni del pubblico ministero presso la Corte di cassazione (v. ultra).

Dalla modifica all’art. 70, che chiarisce che il pubblico ministero interviene in cassazione nei casi previsti dalla legge, derivano per coordinamento le ulteriori modifiche:

§      quella dell’art. 380-bis, secondo comma, che esclude l’obbligo del presidente della sezione di comunicare al PM, almeno 20 gg. prima della data stabilita per l’adunanza della Corte, il decreto che fissa l’adunanza stessa e la relazione inerente le ragioni della decisione (rimane l’obbligo di notifica ai difensori delle parti);

§      quella dell’art. 390, primo comma, che prevede la possibile rinuncia della parte al ricorso principale o incidentale finché non sia cominciata la relazione all'udienza o fino alla notifica delle conclusioni scritte del PM nei procedimenti per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza di cui all'articolo 380-ter.

L’articolo 75 introduce, infine, una disciplina transitoria in relazione alla vigenza della nuova disciplina dei giudizi di cassazione.


 

Articolo 76
(Divisione a domanda congiunta demandata a un professionista)

 


1. Nel titolo V del libro quarto del codice di procedura civile, dopo l'articolo 791, è aggiunto il seguente:

«Art. 791-bis - (Divisione a domanda congiunta) - Quando non sussiste controversia sul diritto alla divisione né sulle quote o altre questioni pregiudiziali gli eredi o condomini e gli eventuali creditori e aventi causa che hanno notificato o trascritto l'opposizione alla divisione possono, con ricorso congiunto al tribunale competente per territorio, domandare la nomina di un notaio ovvero di un avvocato aventi sede nel circondario al quale demandare le operazioni di divisione. Le sottoscrizioni apposte in calce al ricorso possono essere autenticate, quando le parti lo richiedono, da un notaio o da un avvocato. Se riguarda beni immobili, il ricorso deve essere trascritto a norma dell'articolo 2646 del codice civile. Si procede a norma degli articoli 737 e seguenti del presente codice. Il giudice, con decreto, nomina il professionista incaricato eventualmente indicato dalle parti e, su richiesta di quest'ultimo, nomina un esperto estimatore.

Quando risulta che una delle parti di cui al primo comma non ha sottoscritto il ricorso, il professionista incaricato rimette gli atti al giudice che, con decreto, dichiara inammissibile la domanda e ordina la cancellazione della relativa trascrizione. Il decreto è reclamabile a norma dell'articolo 739.

Il professionista incaricato, sentite le parti e gli eventuali creditori iscritti o aventi causa da uno dei partecipanti che hanno acquistato diritti sull'immobile a norma dell'articolo 1113 del codice civile, nel termine assegnato nel decreto di nomina predispone il progetto di divisione o dispone la vendita dei beni non comodamente divisibili e dà avviso alle parti e agli altri interessati del progetto o della vendita. Alla vendita dei beni si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni relative al professionista delegato di cui al Libro terzo, Titolo II, Capo IV, Sezione III, § 3-bis. Entro trenta giorni dal versamento del prezzo il professionista incaricato predispone il progetto di divisione e ne dà avviso alle parti e agli altri interessati.

Ciascuna delle parti o degli altri interessati può ricorrere al Tribunale nel termine perentorio di trenta giorni dalla ricezione dell'avviso per opporsi alla vendita di beni o contestare il progetto di divisione. Sull'opposizione il giudice procede secondo le disposizioni di cui al Libro quarto, Titolo I, Capo III-bis; non si applicano quelle di cui ai commi secondo e terzo dell'articolo 702-ter. Se l'opposizione è accolta il giudice dà le disposizioni necessarie per la prosecuzione delle operazioni divisionali e rimette le parti avanti al professionista incaricato.

Decorso il termine di cui al quarto comma senza che sia stata proposta opposizione, il professionista incaricato deposita in cancelleria il progetto con la prova degli avvisi effettuati. Il giudice dichiara esecutivo il progetto con decreto e rimette gli atti al professionista incaricato per gli adempimenti successivi.».


 

 

L’articolo 76 modifica la disciplina della divisione “giudiziale” nelle comunioni – ereditarie e non - e permette ai condividenti, se d’accordo, di rivolgersi al tribunale per ottenere la nomina di un professionista che si occupi dell’intera procedura di divisione.

La nuova normativa intende favorire una sollecita decisione sulle divisioni e sgravare il giudice civile da compiti che, in assenza di contestazioni, possono ben essere svolti da qualificati professionisti come gli esercenti la professione notarile.

La possibilità di chiedere la divisione di un complesso di beni in comunione è un diritto di ciascun titolare di una quota di un bene in comunione. In assenza di accordo tra i comproprietari, la disciplina del codice di procedura civile (artt. 784 e ss.) prevede il ricorso al giudice, che ha il compito di redigere un progetto di divisione che, in assenza di contestazioni, è reso esecutivo con ordinanza non impugnabile.

L’art. 786 c.p.c. prevede che il giudice può delegare le operazioni di divisione ad un notaio, sotto la direzione dello stesso giudice.

E’ quindi il notaio a formare il progetto di divisione e di assegnazione delle quote e dei lotti dei beni; tuttavia, in caso di mancato accordo delle parti sul progetto, questi deve trasmettere al giudice istruttore apposito processo verbale e sarà poi quest’ultimo a decidere con ordinanza, sentiti i partecipanti alla comunione.

Analogo ricorso al notaio è previsto dal codice di rito civile per le operazioni di vendita

La nuova disciplina introdotta dall’art. 76, con l’introduzione di un nuovo art. 791-bis c.p.c., stabilisce che in assenza di contestazioni sul diritto alla divisione, sulle quote o su altre questioni pregiudiziali alla divisione stessa, le parti della comunione possono chiedere, con ricorso congiunto al tribunale competente, la nomina di un notaio o di un avvocato del circondario, cui affidare le operazioni di divisione (in presenza di beni immobili, è necessaria la trascrizione ai sensi dell’art. 2646 c.c.). Rimane possibile la riassunzione della divisione in capo al giudice se risulta mancante la sottoscrizione del ricorso congiunto anche di una sola delle parti; l’ inammissibilità del ricorso è dichiarata con decreto del giudice, reclamabile davanti alla corte d’appello.

In camera di consiglio, il giudice nomina, quindi, con decreto il professionista incaricato e, su richiesta di quest’ultimo, un perito estimatore per la valutazione dei beni della comunione

Nel termine indicato nel decreto di nomina, il professionista deve predisporre il progetto di divisione, sentendo le parti, gli eventuali creditori e aventi causa, oppure disporre la vendita dei beni non comodamente divisibili, avvisando in entrambi i casi tutti questi ultimi. Alla vendita dei beni si applicano le disposizioni sull’espropriazione immobiliare. Sul progetto di divisione, come sulla eventuale vendita di beni, è possibile un ricorso entro 30 gg. (termine perentorio) al tribunale sia delle parti che dei terzi interessati; il ricorso è deciso dal giudice secondo la disciplina del procedimento sommario di cognizione. All’accoglimento dell’opposizione il giudice dà le necessarie disposizioni per la prosecuzione della divisione e rimette gli atti al professionista.

Se non vi è opposizione al progetto la procedura termina con il decreto del giudice che rende esecutivo il progetto depositato in cancelleria e rimette le parti innanzi al professionista incaricato per il compimento del vero e proprio atto di divisione e dei relativi adempimenti.


 

Articolo 77
(Conciliazione giudiziale)

 


1. Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo l'articolo 185 è inserito il seguente:

«Art. 185-bis. (Proposta di conciliazione del giudice) - II giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l'istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all'esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice.»;

b) all'articolo 420, primo comma, primo periodo, dopo la parola «transattiva» sono aggiunte le parole «o conciliativa»; allo stesso comma, secondo periodo, dopo la parola «transattiva» sono aggiunte le parole «o conciliativa».


 

 

L’articolo 77 interviene sul codice di procedura civile per introdurvi l’obbligo per il giudice, nel corso del processo civile, di formulare alle parti una proposta di transazione o conciliazione, potendo valutare ai fini del giudizio l’eventuale rifiuto che gli venga opposto; il decreto-legge estende così al rito ordinario una disposizione introdotta nel rito del lavoro nel 2010.

 

Si ricorda che attualmente il codice di procedura civile prevede che il giudice possa (facoltà) tentare la conciliazione delle parti. La previsione di un tentativo obbligatorio di conciliazione, originariamente inserita nell’art. 183 c.p.c. con riferimento alla prima udienza di trattazione, è stata infatti soppressa nel 2005.

In base all’art. 185 del codice di procedura civile, rubricato “tentativo di conciliazione”, dopo la prima udienza di trattazione (art. 183) il giudice istruttore può fissare, in caso di richiesta congiunta delle parti, una nuova udienza di comparizione delle parti, al fine di interrogarle liberamente e di provocarne la conciliazione. La stessa disposizione aggiunge che «il tentativo di conciliazione può essere rinnovato in qualunque momento dell'istruzione». La rinnovazione è rimessa alla discrezionalità del giudice, quando ritenga che il tentativo possa essere esperito con nuove probabilità di successo; ciò fino a quando la causa sia stata rimessa al collegio.

Superata la fase istruttoria in primo grado, peraltro, il tentativo di conciliazione potrà essere esperito anche in fase d’appello: l’art. 350, terzo comma, c.p.c. prevede infatti espressamente, per la fase di appello, che nella prima udienza di trattazione il collegio proceda al tentativo di conciliazione. Al contrario, il giudizio di Cassazione esclude per la sua essenza, la possibilità di un componimento giudiziale: l'eventuale transazione raggiunta autonomamente dalle parti, durante il processo, determina la cessazione della materia del contendere.

L'esperimento del tentativo di conciliazione ed il suo risultato, positivo o negativo, devono risultare dal verbale d'udienza redatto ai sensi dell'art. 130. Il contenuto della conciliazione, ove il tentativo abbia avuto esito positivo è, tuttavia, documentato in un apposito e separato processo verbale (art. 88 disp. att.), predisposto dal cancelliere e sottoscritto dal giudice, dal cancelliere e dalle parti. Il processo verbale costituisce titolo esecutivo.

Per quanto riguarda il rito del lavoro, l’art. 420 c.p.c. – a seguito di una novella del 2010 - prevede che il giudice nell’udienza di discussione «interroga liberamente le parti presenti, tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva». Il rifiuto delle parti, senza giustificato motivo, costituisce un comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio.

 

Rispetto a questo quadro normativo il decreto legge, attraverso due interventi sul codice di procedura civile, intende armonizzare il rito di cognizione e il rito del lavoro.

In particolare, la lettera a) del comma 1 introduce, dopo l’articolo 185 c.p.c., l’articolo 185-bis, in base al quale il giudice, nel processo di cognizione, non solo può promuovere la conciliazione delle parti attraverso il loro interrogatorio libero (come già previsto), ma deve anche formulare una propria proposta transattiva o conciliativa. Il rifiuto delle parti, senza giustificato motivo, potrà essere valutato dal giudice ai fini del giudizio (previsione già contenuta nell’art. 420 c.p.c. in tema di rito del lavoro). La proposta deve provenire dal giudice istruttore e dunque prima della rimessione della causa al collegio.

 

La lettera b) novella l’art. 420 c.p.c. inserendovi la possibilità del giudice del lavoro di formulare alle parti una proposta conciliativa (oltre che, come attualmente già previsto, transattiva).

 

Il legislatore introduce pertanto in entrambe le disposizioni sia la proposta di transazione che la proposta di conciliazione, rendendo necessario distinguere i due istituti.

 

La transazione è disciplinata dall’art. 1965 del codice civile, che la qualifica come il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro. Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti.

Generalmente, la transazione viene considerata come risultato della sola volontà negoziale delle parti, senza il presupposto dell’intervento di un terzo mentre il nome di conciliazione viene riferito più propriamente al componimento ottenuto a mezzo dell’opera del terzo imparziale e non ad un componimento qualunque, ma alla composizione giusta della lite.

Inoltre, il risultato di conciliazione può differire da quello di transazione anche circa il suo contenuto. Infatti, mentre (almeno secondo la dizione dell’art. 1965 c.c.) il componimento raggiunto con la transazione si estrinseca solo attraverso reciproche concessioni delle parti, il componimento conciliativo può consistere, oltre che in ciò, anche in una rinuncia alla propria pretesa, o in un riconoscimento unilaterale della pretesa altrui, accettati dalle controparti.

Quanto al versante processuale, infine, la transazione ha una rilevanza solo indiretta sul processo, qualora esso sia pendente, nel senso che l’accordo transattivo non fa venire meno la litispendenza. Infatti, il rapporto giuridico processuale, nonostante la controversia sia stata rimossa, rimane persistente e per estinguerlo occorrerà la pronuncia di un provvedimento giurisdizionale che dichiarerà la cessazione della materia del contendere (analogamente a quanto necessario in caso di conciliazione raggiunta in sede stragiudiziale). La conciliazione ha invece un’efficacia direttamente processuale, poiché oltre agli effetti sostanziali propri della transazione, produce anche la conclusione del processo pendente (attraverso il verbale di conciliazione e il parallelo verbale d’udienza nel quale il giudice da conto della riuscita della composizione della lite).

Nell’applicazione dell’art. 420 c.p.c. la giurisprudenza ha distinto la conciliazione giudiziale dal negozio transattivo di cui all'art. 1965 c.c., sostenendo che la prima non ha effetto novativo rispetto alla natura del diritto dedotto in giudizio (in particolare, la Cassazione ha applicato questo principio a fini fiscali, cfr. Cass. 14008 del 1999).


 

Articolo 78
(Misure per la tutela del credito)

 


1. Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 645, secondo comma, è aggiunto il seguente periodo:

«L'anticipazione di cui all'articolo 163-bis, terzo comma, deve essere disposta fissando l'udienza per la comparizione delle parti non oltre trenta giorni dalla scadenza del termine minimo a comparire»;

b) all'articolo 648, primo comma, le parole «con ordinanza non impugnabile» sono sostituite dalle seguenti parole: «provvedendo in prima udienza, con ordinanza non impugnabile».

2. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano ai procedimenti instaurati, a norma dell'articolo 643, ultimo comma, del codice di procedura civile, successivamente all'entrata in vigore del presente decreto.


 

 

L’articolo 78 interviene sulla procedura di opposizione al decreto ingiuntivo per:

§      accelerare la fissazione dell’udienza di comparizione delle parti;

§      prevedere che già nel corso di tale udienza il giudice possa concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo.

Gli interventi, finalizzati a consentire al creditore di avere più celermente soddisfazione della propria pretesa, si applicano ai procedimenti instaurati successivamente all’entrata in vigore del decreto-legge.

 

Il procedimento ingiuntivo è un processo speciale, regolato dal libro IV del codice di procedura civile e strutturato in due distinte fasi:

a)    la prima, diretta ad ottenere un decreto giudiziale di condanna al pagamento di somme, o alla consegna di cosa mobile e contraddistinta dall’assenza di contraddittorio con il debitore;

b)    la seconda, avviata su iniziativa dello stesso debitore, di opposizione contro il decreto emesso dal giudice, caratterizzata dal pieno contraddittorio e dall’applicazione, salvo eccezioni, delle regole del processo civile di cognizione.

Poiché la fase di opposizione è lasciata all’iniziativa dell’ingiunto (debitore), in mancanza, il decreto ingiuntivo diviene definitivo e non più revocabile, salve le impugnazioni straordinarie.

 

L’art. 645 c.p.c., nel testo anteriore all’entrata in vigore del decreto-legge, disponeva che l’opposizione al decreto ingiuntivo si propone davanti all'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto, con atto di citazione notificato al ricorrente (primo comma). In seguito all'opposizione, il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito (secondo comma)[78] e dunque i termini di comparizione, e conseguentemente quelli di costituzione, sono ordinari.

In merito, si ricorda che nel procedimento ordinario l’art. 163-bis c.p.c. definisce i termini di comparizione prevedendo che:

§      tra il giorno della notificazione della citazione al convenuto e quello dell'udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non minori di 90 giorni (se il luogo della notificazione si trova in Italia, altrimenti di 150 giorni ) (primo comma);

§      nelle cause che richiedono pronta spedizione il presidente può, su istanza dell'attore e con decreto motivato in calce dell'atto originale e delle copie della citazione, abbreviare fino alla metà i termini indicati dal primo comma (secondo comma);

§      se il termine assegnato dall'attore (in questo caso il debitore che ha fatto opposizione al decreto ingiuntivo) ecceda il minimo indicato dal primo comma, il convenuto (in questo caso il creditore che ha chiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo), costituendosi prima della scadenza del termine minimo, può chiedere al presidente del tribunale che, sempre osservata la misura di quest'ultimo termine, l'udienza per la comparizione delle parti sia fissata con congruo anticipo su quella indicata dall'attore. Il presidente provvede con decreto, che deve essere comunicato dal cancelliere all'attore, almeno 5 giorni liberi prima dell'udienza fissata dal presidente (terzo comma).

 

Su questo quadro normativo è intervenuto il decreto-legge, che ha inserito un ultimo periodo nel secondo comma dell’art. 645 (comma 1, lettera a), dell’art. 78). La disposizione specifica che l’anticipazione dell’udienza di comparizione delle parti, rispetto alla data fissata dall’attore (ovvero dal debitore ingiunto), deve essere disposta stabilendo l’udienza non oltre trenta giorni dalla scadenza del termine minimo a comparire. Essendo il termine minimo a comparire di 90 giorni, se ne ricava che tra la notificazione dell’opposizione al decreto ingiuntivo e l’udienza di comparizione non devono intercorrere più di 120 giorni.

 

Il secondo intervento del decreto-legge riguarda l’art. 648 del codice di rito, che consente al giudice istruttore, se l’opposizione «non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione», di concedere con ordinanza non impugnabile l’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo. L’art. 78, comma 1, lett. b), specifica che tale ordinanza deve intervenire già in prima udienza.

 

Infine, il comma 2 dell’art. 78 chiarisce che le nuove disposizioni si applicano ai procedimenti instaurati dopo l’entrata in vigore del decreto-legge ovverosia, in base al richiamo all’art. 643, ultimo comma, c.p.c., solo ai procedimenti nei quali la notifica del decreto ingiuntivo è successiva all’entrata in vigore della riforma.


 

Articolo 79
(Semplificazione della motivazione della sentenza civile - soppresso)

 

[1. All'articolo 118 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile, il primo e il secondo comma sono sostituiti dal seguente comma: «La motivazione della sentenza di cui all'articolo 132, secondo comma, numero 4), del codice consiste nella concisa esposizione dei fatti decisivi e dei principi di diritto su cui la decisione è fondata, anche con esclusivo riferimento a precedenti conformi ovvero mediante rinvio a contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa. Nel caso previsto nell'articolo 114 del codice debbono essere esposte le ragioni di equità sulle quali è fondata la decisione.». ]

 

 

L’articolo 79soppresso dalla legge di conversione del decreto-legge - novellava l’art. 118 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile al fine di semplificare ulteriormente il contenuto della motivazione della sentenza civile; quest’ultimo intervento seguiva alla novella operata dalla legge n. 69 del 2009.

 

Secondo la formulazione dell'articolo 118, comma 1, delle disposizioni di attuazione – come novellato dalla legge 69 del 2009 - la motivazione della sentenza “consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”

Si prevede inoltre che devono essere «esposte concisamente e in ordine le questioni discusse e decise dal collegio e indicati le norme di legge e i principi di diritto applicati» (comma 2).

 

Il decreto-legge sostituiva entrambi i commi dell’art. 118 con un comma unico, prevedendo che la motivazione della sentenza consistesse nella concisa esposizione dei fatti decisivi e dei principi di diritto su cui la decisione è fondata, anche con esclusivo riferimento a precedenti conformi ovvero mediante rinvio a contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa».


 

Articolo 80
(Foro delle società con sede all’estero - soppresso)

 


[1. Per tutte le cause civili nelle quali è parte, anche nel caso di più convenuti ai sensi dell'articolo 33 del codice di procedura civile, una società con sede all'estero e priva nel territorio dello Stato di sedi secondarie con rappresentanza stabile, che secondo gli ordinari criteri di ripartizione della competenza territoriale e nel rispetto delle disposizioni normative speciali che le disciplinano dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari di seguito elencati, sono inderogabilmente competenti:

a) gli uffici giudiziari di Milano per gli uffici giudiziari ricompresi nei distretti di Brescia, Genova, Milano, Torino, Trento e Bolzano (sezione distaccata), Trieste, Venezia;

b) gli uffici giudiziari di Roma per gli uffici giudiziari ricompresi nei distretti di Ancona, Bologna, Cagliari, Sassari (sezione distaccata), Firenze, L'Aquila, Perugia, Roma;

c) gli uffici giudiziari di Napoli per gli uffici giudiziari ricompresi nei distretti di corte d'appello di Bari, Caltanissetta, Campobasso, Catania, Catanzaro, Lecce, Taranto (sezione distaccata), Messina, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria, Salerno.

2. Quando una società di cui al comma 1 è chiamata in garanzia, la cognizione così della causa principale come dell'azione in garanzia, è devoluta, sulla semplice richiesta della società stessa, con ordinanza del giudice, all'ufficio giudiziario competente a norma del medesimo comma.

3. Le norme ordinarie di competenza restano ferme per i giudizi relativi ai procedimenti esecutivi e fallimentari, nei casi di intervento volontario, e nei giudizi di opposizione di terzo. Resta altresì ferma la disposizione di cui all'articolo 25 del codice di procedura civile.

4. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle cause di cui agli articoli 25, 409 e 442 del codice di procedura civile, e alle cause di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.

5. Le disposizioni del presente articolo si applicano ai giudizi instaurati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. ]


 

 

L’articolo 80soppresso dalla legge di conversione del decreto-legge - delineava una nuova competenza inderogabile per territorio, prevedendo che le cause che avessero come parte (attrice, convenuta o chiamata in garanzia) una società con sede all’estero, priva di rappresentanza stabile in Italia, dovessero essere radicate a Milano, Roma e Napoli.

La disposizione prevedeva anche delle eccezioni al criterio del foro inderogabile, limitatamente alle cause di lavoro ed a quelle che hanno come parte la pubblica amministrazione, nonché per le procedure fallimentari e quelle esecutive.

 

Analiticamente, in base al comma 1:

§      la norma sulla competenza territoriale si applicava a tutti i giudizi civili (con le eccezioni previste dai successivi commi 3 e 4). Diversamente da quanto fatto di recente con il c.d. tribunale delle imprese, in questo caso il decreto-legge non distingueva in base al tipo di controversia, ma operava lo spostamento di competenza esclusivamente in ragione della natura (di società estera) di una qualsiasi delle parti.

§      sul piano soggettivo, la competenza inderogabile scattava in presenza di «una società con sede all’estero e priva nel territorio dello Stato di sedi secondarie con rappresentanza stabile». L’ambito applicativo della norma si ricavava, a contrario, dalla lettura dell’art. 2508 del codice civile, che definisce le società estere con sedi secondarie in Italia.

 

La disposizione civilistica afferma che le società costituite all'estero che stabiliscono in Italia una o più sedi secondarie con rappresentanza stabile, sono soggette, per ciascuna sede, alle disposizioni della legge italiana sulla pubblicità degli atti sociali. Esse devono inoltre pubblicare, secondo le medesime disposizioni, il cognome, il nome, la data e il luogo di nascita delle persone che le rappresentano stabilmente nel territorio dello Stato, con indicazione dei relativi poteri.

 

Per l’individuazione di quale ufficio – tra Milano, Roma e Napoli – sia competente, si sarebbe dovuto far riferimento al seguente prospetto:

 

Ufficio giudiziario competente

Distretto di provenienza

Milano

§       Brescia

§       Genova

§       Milano

§       Torino

§       Trento e Bolzano

§       Trieste

§       Venezia

Roma

§       Ancona

§       Bologna

§       Cagliari e Sassari

§       Firenze

§       L'Aquila

§       Perugia

§       Roma

Napoli

§       Bari

§       Caltanissetta

§       Campobasso

§       Catania

§       Catanzaro

§       Lecce e Taranto

§       Messina

§       Napoli

§       Palermo

§       Potenza

§       Reggio Calabria

§       Salerno

 

La disposizione non risultava, in particolare, collegata alla specializzazione degli uffici giudiziari (diversamente dalla disciplina del tribunale delle imprese, mancava uno specifico catalogo di controversie).

La competenza per territorio delineata dal comma 1 era inderogabile. Ciò comportava che l’incompetenza del giudice adito fosse rilevabile d’ufficio.

 

Il comma 2 precisava che lo spostamento di competenza operasse anche quando la società estera era chiamata in garanzia. Era la stessa società a poter chiedere al giudice lo spostamento delle cause (tanto della causa principale quanto dell’azione di garanzia) verso gli uffici di Milano, Roma o Napoli. Il giudice provvedeva con ordinanza.

 

I commi 3 e 4 elencavano una serie di controversie per le quali non operava lo spostamento di competenza. Si tratta delle seguenti cause:

§      giudizi relativi a procedimenti esecutivi e fallimentari;

§      giudizi nei quali l’intervento della società estera fosse volontario;

§      giudizi di opposizione di terzo;

§      cause nelle quali fosse parte un’amministrazione dello Stato (ex art. 25 c.p.c.);

§      controversie individuali di lavoro;

§      controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie;

§      controversie previste dal c.d. Codice del consumo (d.lgs. n. 206 del 2005).

 

In base al comma 5, la riforma si sarebbe applicata alle controversie instaurate a partire dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.


 

Articolo 81
(Pubblico ministero presso la corte di cassazione)

 


1. L'articolo 76 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è sostituito dal seguente:

«Art. 76 (Attribuzioni del pubblico ministero presso la Corte suprema di cassazione). 1. Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude:

a) in tutte le udienze penali;

b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui all'articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile.

2. Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione redige requisitorie scritte nei casi stabiliti dalla legge.».


 

 

L’articolo 81 del decreto-legge sostituisce l’art. 76 dell’Ordinamento giudiziario (R.D. n. 12 del 1941), in tema di attribuzioni del pubblico ministero presso la Corte di Cassazione, per escludere l’obbligo di intervento del PM in relazione ad alcune udienze civili. Questo intervento va letto insieme alle le novelle apportate alla competenza del PM dall’art. 75 del decreto-legge (v. sopra).

 

La precedente formulazione dell’art. 76 stabiliva che il PM dovesse intervenire e concludere in tutte le udienze civili e penali in Cassazione, potendo redigere requisitorie scritte nei casi stabiliti dalla legge.

La novella, mantenendo ferma la possibilità delle requisitorie scritte, conferma che il PM deve intervenire e concludere in tutte le udienze penali. Quanto alle udienze civili, il PM deve tuttora intervenire e concludere:

§      in tutte le udienze delle Sezioni unite;

§      nelle pubbliche udienze delle sezioni semplici, diverse dalla c.d. sezione filtro.

 

In particolare, dunque, il richiamo alle “pubbliche udienze” implica l’esclusione dell’intervento del PM dai procedimenti in camera di consiglio presso le sezioni semplici.

 

Si ricorda che, in base all’art. 375 del codice di procedura civile, la Cassazione, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce di dovere:

1)    dichiarare l’inammissibilità del ricorso;

2)    ordinare l'integrazione del contraddittorio o disporre che sia eseguita o rinnovata la notificazione dell'impugnazione;

3)    provvedere in ordine all'estinzione del processo in ogni caso diverso dalla rinuncia;

4)    pronunciare sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione;

5)    accogliere o rigettare il ricorso principale e l’eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza.

 

Il decreto-legge esclude inoltre che il PM debba intervenire alle udienze della c.d. sezione filtro, ovvero della sezione prevista dal primo comma dell’art. 376 c.p.c. per verificare la sussistenza dei presupposti per la pronuncia in camera di consiglio.

 

Si ricorda che, a seguito della riforma operata dalla legge n. 69 del 2009, l’art. 376 c.p.c. dispone che il Presidente della Corte, a meno che non ricorrano ipotesi di obbligatoria rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, deve assegnare i ricorsi ad apposita sezione, che verifica se sussistono i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 375, primo comma (essenzialmente dunque la sezione filtro dovrà stabilire se il ricorso sia inammissibile o anche manifestamente infondato). Se la verifica ha esito negativo non resta che l'assegnazione alle sezioni semplici di spettanza del primo presidente. Se invece la verifica è positiva si procederà alla decisione in camera di consiglio – e dunque senza la partecipazione del PM - secondo il procedimento disciplinato dall’'art. 380-bis (a sua volta novellato dall’art. 75 del decreto-legge, v. sopra).


 

Articolo 82
(Concordato preventivo)

 


1. All'articolo 161, sesto comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo periodo, dopo le parole «ultimi tre esercizi» sono aggiunte le seguenti «e all'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti»;

b) sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Con decreto motivato che fissa il termine di cui al primo periodo, il tribunale può nominare il commissario giudiziale di cui all'articolo 163, secondo comma, n. 3; si applica l'articolo 170, secondo comma. Il commissario giudiziale, quando accerta che il debitore ha posto in essere una delle condotte previste dall'articolo 173, deve riferirne immediatamente al tribunale che, nelle forme del procedimento di cui all'articolo 15 e verificata la sussistenza delle condotte stesse, può, con decreto, dichiarare improcedibile la domanda e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza reclamabile a norma dell'articolo 18.».

2. All'articolo 161, settimo comma, primo periodo, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, dopo le parole «sommarie informazioni» sono aggiunte le seguenti: «e deve acquisire il parere del commissario giudiziale, se nominato».

3. L'articolo 161, ottavo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, è sostituito dal seguente:

«Con il decreto che fissa il termine di cui al sesto comma, primo periodo, il tribunale deve disporre gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell'impresa e all'attività compiuta ai fini della predisposizione della proposta e del piano, che il debitore deve assolvere, con periodicità almeno mensile e sotto la vigilanza del commissario giudiziale se nominato, sino alla scadenza del termine fissato. Il debitore, con periodicità mensile, deposita una situazione finanziaria dell'impresa che, entro il giorno successivo, è pubblicata nel registro delle imprese a cura del cancelliere. In caso di violazione di tali obblighi, si applica l'articolo 162, commi secondo e terzo. Quando risulta che l'attività compiuta dal debitore è manifestamente inidonea alla predisposizione della proposta e del piano, il tribunale, anche d'ufficio, sentito il debitore e il commissario giudiziale se nominato, abbrevia il termine fissato con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo. Il tribunale può in ogni momento sentire i creditori.».

3-bis. Al fine di garantire i crediti spettanti alle cooperative di lavoro, in relazione alla loro finalità mutualistica, il privilegio di cui all'articolo 2751-bis, numero 5), del codice civile, spettante per corrispettivi dei servizi prestati e dei manufatti prodotti, è riconosciuto qualora le medesime cooperative abbiano superato positivamente o abbiano comunque richiesto la revisione di cui al decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220.


 

 

L’articolo 82 è volto ad offrire maggiori garanzie di carattere informativo per i creditori e per il tribunale nel concordato preventivo “in bianco” (o “con riserva”). Con tale forma di concordato preventivo sono anticipati gli effetti protettivi del patrimonio dell'impresa in crisi, indipendentemente dalla elaborazione della proposta e del piano di concordato.

 

Più in dettaglio, il concordato preventivo è un mezzo di soddisfacimento delle ragioni dei creditori, previsto dalla legge fallimentare (LF), alternativo al fallimento di cui impedisce la dichiarazione e le conseguenze personali patrimoniali. Il concordato preventivo si sostanzia in un accordo tra l’imprenditore e la maggioranza dei creditori, finalizzato a risolvere la crisi aziendale e ad evitare il fallimento mediante una soddisfazione – anche parziale – dei creditori.

L'imprenditore che si trova in stato di crisi può quindi proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere:

a)    la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma;

b)    l'attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore;

c)    la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei;

d)    trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.

La proposta può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione. Per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza (art. 160 LF).

 

La domanda per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo è proposta con ricorso, sottoscritto dal debitore, al tribunale del luogo in cui l'impresa ha la propria sede principale. Il debitore deve presentare con il ricorso:

a)    una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa;

b)    uno stato analitico ed estimativo delle attività e l'elenco nominativo dei creditori, con l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;

c)    l'elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;

d)    il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili;

e)    un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta.

Il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista, designato dal debitore che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. Analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano (art. 161 LF).

 

Con l’art. 33 del decreto-legge n. 83/2012 (convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) è stata modificata la legge fallimentare con l’obiettivo di migliorare l'efficienza dei procedimenti di composizione delle crisi d'impresa, in modo da incentivare l'impresa a denunciare per tempo la propria situazione di crisi.

In particolare, per quanto qui rileva, è stata rivista la disciplina del concordato preventivo.

A tal fine è stato previsto che per l’ammissione al concordato preventivo il debitore possa presentare il piano anche successivamente alla presentazione della domanda, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione prescritta entro un termine fissato dal giudice (al massimo 120 giorni, prorogabili di ulteriori sessanta). Fino al decreto di apertura del concordato preventivo il debitore, previa autorizzazione del tribunale, può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione. I crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili dall’attivo.

Si è inteso così consentire al debitore di beneficiare degli effetti protettivi del proprio patrimonio connessi al deposito della domanda di concordato, impedire che i tempi di preparazione della proposta e del piano aggravino la situazione di crisi sino a generare un vero e proprio stato di insolvenza e promuovere la prosecuzione dell' attività produttiva dell’imprenditore in concordato.

A seguito dell’art. 33 del dl 83/2012, il nuovo sesto comma dell’art. 161 della LF ha infatti previsto che l'imprenditore possa depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione prescritta entro un termine fissato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni.

 

In questo contesto normativo si inserisce l’art. 82 del dl 69/2013.

L’obiettivo delle risiede nel fatto che le rilevazioni statistiche condotte dal Ministero della giustizia hanno consentito di rilevare un non trascurabile ricorso all'istituto del cosiddetto «concordato in bianco» non del tutto corrispondente alle finalità che ne hanno ispirato l'introduzione, rappresentate dall'anticipazione degli effetti protettivi del patrimonio dell'impresa in crisi a prescindere dalla elaborazione della proposta e del piano di concordato. L'intervento è volto pertanto a conservare la flessibilità e la snellezza dello strumento, approntando però delle misure volte ad implementare il patrimonio informativo dei creditori e del tribunale già in sede di fissazione del termine attraverso l'estensione degli obblighi di deposito del debitore.

 

L’articolo 82, comma 1, lett. a), del D.L. n. 69/2013 modifica l’art. 161, sesto comma, LF prevedendo che l’imprenditore che presenti la domanda per il concordato “in bianco” debba presentare insieme non solo i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi ma anche l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti.

 

L’articolo 82, comma 1, lett. b), del D.L: n. 69/2913, aggiunge due periodi all’art. 161, sesto comma, LF, in base a cui:

§      il tribunale, nel fissare un termine per la presentazione del piano, può nominare il commissario giudiziale (in precedenza invece la nomina del commissario da parte del tribunale poteva avere luogo solamente con il decreto con cui è dichiarata aperta la procedura di concordato preventivo, successivamente alla presentazione del piano); si applica l’art. 170, secondo comma, LF, in base a cui i libri su cui è stato annotato il decreto di ammissione al concordato sono restituiti al debitore, che deve tenerli a disposizione del giudice delegato e del commissario giudiziale;

§      il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale – nelle forme seguite per la dichiarazione di fallimento e verificata la sussistenza delle condotte stesse – può con decreto dichiarare improcedibile la domanda e, su istanza del creditore o del p.m., accertati i presupposti per la dichiarazione di fallimento, lo dichiara con sentenza reclamabile ai sensi dell’art. 18 LF (reclamo del debitore e di qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni).

 

L’articolo 82, comma 2, del D.L. n. 69/2013 integra l’art. 161, settimo comma, LF, concernente gli atti urgenti di straordinaria amministrazione che il debitore può compiere fino al decreto di apertura del concordato preventivo, previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni. In base alla modifica introdotta il tribunale ha obbligo di acquisire il parere del commissario giudiziale.

 

In fine, il comma 3 dell’articolo 82 sostituisce l’art. 161, ottavo comma, della LF, specificando ulteriormente gli obblighi informativi periodici disposti dal tribunale, che il debitore deve assolvere.

In base alle modifiche introdotte:

§      il decreto del tribunale “deve disporre” gli obblighi informativi periodici (la disposizione previgente utilizza il termine “dispone”);

§      è precisato che gli obblighi informativi sono relativi anche all’attività compiuta ai fini della predisposizione della proposta e del piano;

§      è stabilito che tali obblighi debbono essere assolti con periodicità almeno mensile e sotto la vigilanza del commissario giudiziale, se nominato;

§      il debitore, con periodicità mensile, deve depositare “una” situazione finanziaria dell’impresa che, entro il giorno successivo, è pubblicata nel registro delle imprese a cura del cancelliere;

§      quando risulta che l'attività compiuta dal debitore è manifestamente inidonea alla predisposizione della proposta e del piano, il tribunale, anche d'ufficio, sentito il debitore e il commissario giudiziale, se nominato, abbrevia il termine fissato con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo (sarebbe il termine per la presentazione del piano e della documentazione). Il tribunale può in ogni momento sentire i creditori.

Il comma 3-bis dell’art. 82 – introdotto nel corso dell’esame al Senato –limita l’applicazione del privilegio generale sui mobili che garantisce i crediti spettanti alle cooperative di lavoro, in relazione alla loro finalità mutualistica (articolo 2751-bis, n. 5, del codice civile), spettante per corrispettivi dei servizi prestati e della vendita dei manufatti prodotti. Tale privilegio viene riconosciuto soltanto qualora le medesime cooperative abbiano superato positivamente (o abbiano comunque richiesto) le revisioni ed ispezioni straordinarie del Ministero delle attività produttive volte all’accertamento delle finalità mutualistiche ai sensi del D.Lgs. n. 220 del 2002).


 

Articolo 83
(Modifiche alla disciplina dell’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato)

 

1. All'articolo 47, comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, le parole «magistrati in pensione» sono sostituite dalle seguenti: «di regola prioritariamente magistrati in pensione, e solo in seconda istanza magistrati in servizio».

 

 

L’articolo 83 interviene sulla recente legge 247 del 2012, di riforma della professione forense per modificarne l’art. 47, relativo alla composizione della commissione d’esame per l’abilitazione professionale.

 

Si ricorda che l’articolo 47 disciplina la commissione d'esame prevedendo una commissione centrale, nominata, con decreto dal ministro della giustizia, composta da 5 membri effettivi e 5 supplenti, dei quali

§      tre effettivi e tre supplenti sono avvocati designati dal Cnf tra gli iscritti all’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, uno dei quali la presiede;

§      un membro effettivo e un supplente sono magistrati in pensione;

§      un effettivo e un supplente sono professori universitari o ricercatori confermati in materie giuridiche.

Lo stesso D.M. nomina una sottocommissione, in identica composizione, per ogni distretto di corte d'appello. Onde evitare ogni commistione, gli avvocati componenti della commissione non possono essere eletti quali componenti del consiglio dell’ordine, di un consiglio distrettuale di disciplina, del consiglio di amministrazione o del comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense e del Cnf nelle elezioni immediatamente successive alla data di cessazione dell’incarico ricoperto.

L'art. 47 prevede il potere ispettivo - anche su richiesta del CNF - del Ministro della giustizia sulla regolarità dello svolgimento delle prove, il quale può annullare gli esami in cui siano state compiute irregolarità.

Conclusi positivamente gli esami di abilitazione, la Commissione rilascia il certificato per l'iscrizione all'albo degli avvocati.

 

Si ricorda altresì che in base all’art. 49 della riforma forense, per i primi due anni dalla data di entrata in vigore della legge (ovvero fino al gennaio 2015) l'esame di abilitazione all'esercizio della professione di avvocato si effettua, sia per quanto riguarda le prove scritte e le prove orali, sia per quanto riguarda le modalità di esame, secondo le norme previgenti. L’intervento del decreto-legge lascia pensare che la composizione delle commissioni d’esame prevista dall’art. 47 debba invece trovare applicazione già a partire dai prossimi esami di abilitazione.

 

Il decreto-legge interviene sulla disposizione che prevede la presenza in commissione di “magistrati in pensione”, stabilendo che i membri della commissione devono essere «di regola» magistrati in pensione, aprendo però anche alla possibilità che si tratti di magistrati in servizio.

La disposizione è stata modificata nel corso dell’esame parlamentare e nella sua vigente versione prevede che . per la composizione della commissione d’esame “prioritariamente” si debba fare ricorso ai magistrati in pensione e, “solo in seconda istanza”, si possa ricorrere a magistrati in servizio.


 

Articolo 84
(Modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28
“Misure in materia di mediazione civile e commerciale”)

 


1. Al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, sono apportate le seguenti modificazioni:

0a) all'articolo 1, comma 1, la lettera a) è sostituita dalla seguente:

«a) mediazione: l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa»;

0b) all'articolo 4, il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all'articolo 2 è presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all'organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell'istanza»;

a) all'articolo 4, il comma 3 è sostituito dal seguente:

«3. All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato è tenuto a informare l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L'avvocato informa altresì l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l'avvocato e l'assistito è annullabile. Il documento che contiene l'informazione è sottoscritto dall'assistito e deve essere allegato all'atto introduttivo dell'eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione»;

b) all'articolo 5, prima del comma 2, è inserito il seguente comma:

«1-bis. Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall'avocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La presente disposizione ha efficacia per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore. Al termine di due anni dalla medesima data di entrata in vigore è attivato su iniziativa del Ministero della giustizia il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.»;

c) all'articolo 5, il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione»;

c-bis) all'articolo 5, dopo il comma 2 è inserito il seguente:

«2-bis. Quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo»;

d) all'articolo 5, il comma 4 è sostituito dal seguente:

«4. I commi 1-bis e 2 non si applicano:

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;

b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile;

c) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all'articolo 696-bis del codice di procedura civile;

d) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;

e) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;

f) nei procedimenti in camera di consiglio;

g) nell'azione civile esercitata nel processo penale»;

e) all'articolo 5, il comma 5 è sostituito dal seguente:

«5. Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, se il contratto, lo statuto ovvero l'atto costitutivo dell'ente prevedono una clausola di mediazione o conciliazione e il tentativo non risulta esperito, il giudice o l'arbitro, su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo il giudice o l'arbitro fissa la successiva udienza quando la mediazione o il tentativo di conciliazione sono iniziati, ma non conclusi. La domanda è presentata davanti all'organismo indicato dalla clausola, se iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti ad un altro organismo iscritto, fermo il rispetto del criterio di cui all'articolo 4, comma 1. In ogni caso, le parti possono concordare, successivamente al contratto o allo statuto o all'atto costitutivo, l'individuazione di un diverso organismo iscritto»;

f) all'articolo 6, comma 1, la parola «quattro» è sostituita dalla seguente parola: «tre»;

f-bis) all'articolo 6, il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. Il termine di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione, ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del sesto o del settimo periodo del comma 1-bis dell'articolo 5 ovvero ai sensi del comma 2 dell'articolo 5, non è soggetto a sospensione feriale»;

g) all'articolo 7, il comma 1 è sostituito dal seguente comma:

«1. Il periodo di cui all'articolo 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell'articolo 5, commi 1-bis e 2, non si computano ai fini di cui all'articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89.»;

h) all'articolo 8, comma 1, primo periodo, le parole: «non oltre quindici» sono sostituite dalle seguenti: «non oltre trenta» e dopo il secondo periodo sono inseriti i seguenti: «Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento»;

i) all'articolo 8, dopo il comma 4, è aggiunto il seguente comma:

«4-bis. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.»;

l) all'articolo 11, il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. Se è raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell'accordo medesimo. Quando l'accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione. In ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento. Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all'articolo 13»;

m) all'articolo 12, comma 1, il primo periodo è sostituito dai seguenti: «Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico. In tutti gli altri casi l'accordo allegato al verbale è omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell'ordine pubblico»;

n) l'articolo 13 è sostituito dal seguente:

«Art. 13. - (Spese processuali). - 1. Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Resta ferma l'applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano altresì alle spese per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4.

2. Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4. Il giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento sulle spese di cui al periodo precedente.

3. Salvo diverso accordo, le disposizioni dei commi 1 e 2 non si applicano ai procedimenti davanti agli arbitri»;

o) all'articolo 16, dopo il comma 4, è aggiunto il seguente comma:

«4-bis. Gli avvocati iscritti all'albo sono di diritto mediatori. Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 55-bis del codice deontologico forense. Dall'attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.»;

p) all'articolo 17:

1) il comma 4 è sostituito dal seguente:

«4. Fermo restando quanto previsto dai commi 5-bis e 5-ter del presente articolo, con il decreto di cui all'articolo 16, comma 2, sono determinati:

a) l'ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici, il criterio di calcolo e le modalità di ripartizione tra le parti;

b) i criteri per l'approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati;

c) le maggiorazioni massime dell'indennità dovute, non superiori al 25 per cento, nell'ipotesi di successo della mediazione;

d) le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell'articolo 5, comma 2»;

2) prima del comma 6 sono inseriti i seguenti:

«5-bis. Quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell'articolo 5, comma 2, del presente decreto, all'organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni. A tale fine la parte è tenuta a depositare presso l'organismo apposita dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo mediatore, nonché a produrre, a pena di inammissibilità, se l'organismo lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato.

5-ter. Nel caso di mancato accordo all'esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l'organismo di mediazione» .

2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano decorsi trenta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.


 

 

L’articolo 84, profondamente modificato nel corso dell’esame parlamentare, novella il decreto legislativo n. 28 del 2010, reintroducendo le disposizioni sul carattere obbligatorio della mediazione dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Corte costituzionale, per eccesso di delega (sentenza n. 272 del 2012).

La disposizione, inoltre:

§      assegna all’istituto della mediazione obbligatoria un carattere transitorio (durata 4 anni) e sperimentale (monitoraggio degli effetti dell’istituto a partire dal secondo anno di sperimentazione);

§      esclude dalla mediazione obbligatoria le controversie in materia di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti nonché le controversie rispetto alle quali si sia già attivata la consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite ai sensi dell’articolo 696-bis del codice di procedura civile;

§      prevede la mediazione obbligatoria anche per giudizi già instaurati in primo grado o addirittura in sede d’appello, rimettendo al giudice la valutazione sull’esigenza di procedervi;

§      rende obbligatoria l’assistenza dell’avvocato di tutte le parti al procedimento di mediazione;

§      interviene sul procedimento di mediazione, prevedendo che:

-       il procedimento non possa durare più di tre mesi (attualmente sono quattro);

-       si debba tenere un primo incontro, in cui il mediatore verifica con le parti le possibilità di proseguire il tentativo di mediazione; se l’incontro non ha esito positivo e il procedimento si chiude subito, niente è dovuto al mediatore;

§         gli avvocati iscritti all'albo sono di diritto mediatori, pur dovendo garantire una specifica formazione.

La sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2010

Si ricorda che, dando attuazione alla delega in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, contenuta nell’art. 60 della legge 69/2009, il Governo aveva previsto – nel silenzio delle disposizioni di delega e quale strumento deflattivo dell’ingente carico processuale civile – che il procedimento di mediazione stragiudiziale, finalizzato al raggiungimento della conciliazione delle liti, rappresentasse una condizione di procedibilità dell’azione civile in relazione ad un cospicuo numero di controversie aventi ad oggetto diritti disponibili.

La disposizione cardine era dunque l’articolo 5 del decreto legislativo, in base al quale «chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto (...). L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. (...)».

In relazione a questa disposizione, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 272 del 2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010 (ed in via consequenziale, ex art. 27 l. 87/53, di altre puntuali disposizioni contenute nel decreto) per eccesso di delega, dichiarando assorbiti gli altri profili avanzati dai rimettenti.

Il Governo ha inteso superare il vizio di illegittimità costituzionale riconosciuto dalla Corte, introducendo la mediazione obbligatoria con lo strumento del decreto-legge da sottoporre alla conversione parlamentare[79]. Il presupposto è dunque che la mediazione obbligatoria non presenti altri vizi di costituzionalità, ovvero non pregiudichi il diritto d’azione, né la ragionevole durata del processo, né il principio di uguaglianza; la convinzione è sostenuta dal fatto che la Corte ha accolto il primo profilo di censura – l’eccesso di delega – senza pronunciarsi sugli altri, dichiarati assorbiti[80].

Il contenuto del decreto-legge alla luce delle modifiche approvate in sede referente

Analiticamente, la lettera 0a) del comma 1 dell’art. 84 novella l’articolo 1 del decreto legislativo 28/2010 per quanto riguarda la definizione di mediazione.

Se fino ad oggi la mediazione è stata definita come l’attività svolta da un terzo imparziale per assistere le parti sia nella ricerca di un accordo amichevole, sia nella formulazione di una proposta di risoluzione della controversia; con la novella, la mediazione è sempre la ricerca di un accordo amichevole, che può da ultimo – ed eventualmente - approdare alla formulazione di una proposta di composizione della controversia[81].

La successiva lettera 0b) del comma 1 interviene sul comma 1 dell’art. 4 del decreto legislativo n. 28/2010, per delineare la competenza territoriale per gli organismi di mediazione. In particolare, la disposizione prevede che la domanda di mediazione debba essere presentata ad un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia; in caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolgerà presso l’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda (facendo riferimento alla data del deposito dell’istanza).

 

La lettera a) del comma 1 ripristina l’originario contenuto del decreto legislativo, intervenendo sull’articolo 4 (accesso alla mediazione), comma 3, per prevedere a carico dell’avvocato l’obbligo di informare il cliente, già all'atto del conferimento dell'incarico, della necessità di avvalersi del procedimento di mediazione a fronte di controversie per le quali la mediazione è obbligatoria.

 

Le lettere da a-bis) a e) novellano l’articolo 5 del decreto legislativo, in tema di condizione di procedibilità della mediazione e rapporti tra mediazione e processo.

In particolare, la lettera b) reinserisce la disposizione (ora comma 1-bis dell’art. 5) dichiarata incostituzionale dalla Corte, prevedendo la mediazione come condizione di procedibilità dell’azione in relazione ad una serie di controversie, tra le quali sono state espunte (rispetto al testo del 2010) le controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti[82].

L’articolo 84 ha modificato l’art. 5 prevedendo:

§      che la mediazione obbligatoria già prevista per le controversie relative al risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, è da intendersi estesa alle controversie in tema di responsabilità sanitaria, intesa come la responsabilità degli esercenti professioni sanitarie;

§      che nelle materie per le quali la mediazione è obbligatoria è altresì necessario procedervi con l’assistenza di un avvocato;

§      che la disposizione sul carattere obbligatorio della mediazione ha carattere sperimentale e durata limitata a 4 anni; dopo i primi due il Ministero della Giustizia dovrà attivare un monitoraggio sugli esiti dell’esperienza svolta.

 

La lettera c) interviene invece sul comma 2 dell’art. 5, relativo alla mediazione rispetto a controversie già instaurate o addirittura già in appello. La disposizione stabilisce che laddove il giudice ritenga, per la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, che sia esperibile una mediazione, potrà disporre che le parti vi procedano; in tal caso, il tentativo di mediazione diviene condizione di procedibilità dell’azione (tanto in primo grado quanto in appello). Nel testo previgente il decreto legislativo disponeva che il giudice potesse sempre invitare le parti alla mediazione, senza però che la mancata adesione all’invito avesse ripercussioni sulla procedibilità dell’azione.

Il nuovo testo sopprime, inoltre, l’obbligo per il giudice che prescrive la mediazione di indicare l’organismo al quale rivolgersi.

 

La lettera c-bis), introdotta nel corso dell’esame parlamentare, introduce nell’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010 il comma 2-bis, al fine di chiarire che quando la mediazione è condizione di procedibilità dell’azione (in quanto prevista come obbligatoria dal decreto, ovvero prescritta dal giudice) «la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo».

 

La lettera d) interviene sul comma 4 dell’art. 5, per aggiungere alle attuali ipotesi nelle quali la disciplina della mediazione non si applica, le controversie per le quali sia stata attivata la «consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite», di cui all’art. 696-bis del codice di procedura civile[83]. L’intento del legislatore pare essere quello di non duplicare i tentativi di mediazione.

La lettera e) ripristina la formulazione del comma 5 anteriore alla sentenza della Corte costituzionale, reintroducendovi il richiamo alla mediazione obbligatoria.

 

Le lettere f) e f-bis) intervengono sull’articolo 6 del decreto legislativo, in tema di durata del procedimento di mediazione:

§      riducendo da 4 a 3 mesi la durata massima del procedimento;

§      ripristinando la formulazione originaria, che tiene conto delle ipotesi di mediazione obbligatoria introdotte dall’articolo 5.

 

La lettera g) interviene sull’articolo 7 del decreto legislativo n. 28/2010, ripristinando la formulazione originaria in base alla quale il tempo dedicato alla mediazione (art. 6), nonché il periodo di rinvio del giudizio imposto dal giudice nei casi di mediazione obbligatoria (art. 5, comma 1 e, a seguito delle novelle apportate dal decreto-legge), non si computano ai fini del rispetto del termine di ragionevole durata del processo previsto dalla legge Pinto (legge n. 89 del 2001).

 

Le lettere h) ed i) novellano l’articolo 8, in tema di procedimento di mediazione. In particolare, la lettera h), come modificata nel corso dell’esame parlamentare, prevede:

§      che, ricevuta la domanda di mediazione, il mediatore debba, entro 30 giorni, fissare un primo incontro tra le parti;

§      che, tanto al primo incontro quanto ai successivi, le parti debbano partecipare alla mediazione con l’assistenza di un avvocato;

§      che in sede di primo incontro il mediatore debba invitare le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione. In caso negativo la mediazione si conclude subito e all’organismo di mediazione non è dovuto alcun compenso (v. infra, art. 17, comma 5-bis).

La lettera i) ripristina l’originaria formulazione della disposizione (ora comma 4-bis) dichiarata incostituzionale della Corte, in base alla quale dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio.

 

La lettera l) ripristina la formulazione precedente all’intervento della Corte costituzionale dell’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo, che impone al mediatore – prima di formulare la proposta di mediazione – di informare le parti delle possibili conseguenze sulle spese processuali del mancato accordo.

 

La lettera m) novella l’articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 28/2010, relativo all’omologazione del verbale di accordo[84].

Il testo del decreto-legge precisa che il verbale deve essere «sottoscritto dagli avvocati che assistono tutte le parti», così negando al verbale la possibilità di essere omologato se alla mediazione le parti non si sono fatte assistere da un avvocato e affermando – in maniera indiretta – l’obbligo di assistenza dell’avvocato. La lettera m) prevede, dunque, che «ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato», l’accordo sottoscritto dalle parti e dagli avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. In questo caso dunque non sarà necessario procedere con l’omologazione da parte del tribunale in quanto spetterà agli avvocati certificare la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico.

La disposizione precisa che «in tutti gli altri casi» l’accordo allegato al verbale potrà essere omologato dal presidente del tribunale.

La lettera n) reintroduce l’articolo 13 del decreto legislativo, in tema di spese processuali, dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 272 del 2012.

La disposizione prevede, nel caso di fallimento della mediazione per mancata accettazione della proposta, una speciale ripartizione delle spese nel successivo giudizio civile: in particolare, a carico della parte vincitrice che non abbia accettato una proposta di mediazione integralmente corrispondente al successivo provvedimento giudiziario, sono previste l’imputazione delle spese processuali e la condanna a versare allo Stato, a titolo di sanzione processuale, una somma parametrata sul contributo unificato.

 

La lettera o) interviene sull’art. 16 del decreto legislativo stabilendo che gli avvocati sono di diritto mediatori. Rispetto al decreto-legge, che si limita a questa affermazione, le modifiche introdotte dalle Camere hanno specificato che «gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò focalizzati» e questo nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del codice deontologico.

 

Si ricorda che gli organismi di mediazione sono enti pubblici o privati presso i quali può svolgersi il procedimento di mediazione. Il decreto legislativo prevede l’istituzione di un Registro degli organismi di mediazione, tenuto e vigilato dal Ministero della giustizia.

Con la domanda di iscrizione al registro, gli organismi debbono in particolare depositare il regolamento di procedura ed il codice etico. Al regolamento dovranno allegarsi le tabelle delle indennità degli enti privati, mentre quelle degli enti pubblici sono stabilite con decreto. Nei casi di parti cui spetta, nel processo, il gratuito patrocinio, l’organismo fornirà la prestazione gratuitamente.

La disciplina della formazione del registro, delle modalità di iscrizione, della sua articolazione in sezioni, dei requisiti di professionalità ed efficienza degli enti di mediazione come dei mediatori-persone fisiche, è ora contenuta nel D.M. n. 180 del 2010 (poi novellato dal D.M. n. 145/2011), che ha determinato anche l’ammontare minimo e massimo delle indennità in favore degli organismi di mediazione pubblici, nonché i criteri per l’approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi di mediazione privati.

In base all’art. 18 del decreto legislativo, i consigli degli ordini forensi possono costituire organismi, da iscrivere a semplice domanda, che facciano uso del proprio personale e dei locali messi a disposizione dal presidente del tribunale.

Nel Registro possono essere iscritti anche gli organismi di mediazione istituiti, per materie di loro competenza, presso i consigli degli ordini professionali e presso le Camere di commercio; l’iscrizione avviene a semplice domanda, ma previa autorizzazione del Ministero della giustizia, subordinata alla verifica di alcuni requisiti minimi, che consentono all’organismo il materiale svolgimento dell’attività. La facoltà di istituire organismi di mediazione anche presso i consigli di ordini professionali diversi da quelli forensi risponde essenzialmente all’esigenza di sviluppare organismi in grado di dare rapida soluzione alle controversie in determinate materie tecniche (ad es. in materia ingegneristica, informatica, contabile o simili).

 

La lettera p), modificata nel corso dell’esame parlamentare, novella l’articolo 17 del decreto legislativo in tema di risorse, regime tributario e indennità, ripristinando la formulazione anteriore alla sentenza della Corte costituzionale. In particolare, è reintrodotta la disposizione che prevede che, quando è obbligatorio esperire la mediazione, la parte avente diritto all’ammissione al gratuito patrocinio (ovvero titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 10.628,16) è esentata dal pagamento dell’indennità all’organismo di conciliazione: sarà a tal fine sufficiente il deposito presso quest’ultimo di una autocertificazione, fermo restando il diritto dell’ente a richiedere i documenti giustificativi.

Inoltre il testo del decreto-legge determina il compenso dovuto al mediatore per scaglioni, in base al valore della controversia, per l’ipotesi in cui già all’esito del primo incontro appaia chiaro che la mediazione non avrà successo.

In particolare, il decreto-legge prevede che in tal caso siano dovuti al mediatore al massimo:

§       60 euro, per liti di valore fino a 1.000 euro;

§       100 euro, per liti di valore fino a 10.000 euro;

§       180 euro, per liti di valore fino a 50.000 euro;

§       200 euro, per liti di valore superiore a 50.000 euro.

I valori indicati si applicano a ciascuna parte che partecipa alla mediazione e non indicano dunque quanto il mediatore riceverà in totale.

 

Una disposizione introdotta nel corso dell’esame parlamentare (comma 5-ter dell’art. 17 del decreto legislativo) ha invece affermato il diverso principio della gratuità della mediazione quando appaia chiaro, già in sede di primo incontro, che non sussistono i presupposti per procedere.

 

Infine, il comma 2 dell’articolo 84 disciplina l’efficacia delle disposizioni sulla mediazione, posticipandola al trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione.


 

Articolo 84-bis
(Modifica all’art 2643 del codice civile)

 

1. All'articolo 2643 del codice civile, dopo il numero 12) è inserito il seguente:

«12-bis) gli accordi di mediazione che accertano l'usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato».

 

 

L’articolo 84-bis, introdotto dalla legge di conversione del decreto-legge, novella l’art. 2643 del codice civile integrando il catalogo degli atti che si devono rendere pubblici mediante la trascrizione.

Aggiungendo un numero 12-bis all’articolo citato, si prevede che debbano essere trascritti gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione allo scopo di rendere questi ultimi opponibili a terzi; la norma precisa l’obbligo di sottoscrizione del relativo processo verbale, autenticata da un pubblico ufficiale.

.L'usucapione, infatti, rimane tra le materia per le quali il legislatore ha previsto l’obbligatorietà della mediazione e con la modifica dell’art. 2643 c.c. le parti di un procedimento di mediazione avente ad oggetto la domanda di usucapione di un bene potranno accordarsi davanti al mediatore e successivamente trascrivere validamente l’accordo.

La necessità dell’inserimento dell’art. 84-bis deriva principalmente da un oscillante giurisprudenza di merito sulla possibilità del verbale di conciliazione (avente ad oggetto l’accertamento dell’acquisto del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento per intervenuta usucapione) di costituire titolo idoneo alla trascrizione nei registri immobiliari (cfr. tra le altre, Tribunale di Roma, sez. V civ., 22 luglio 2011 e 8 febbraio 2012; Tribunale di Como, sez. distaccata di Cantù, 2 febbraio 2012)


 

Articolo 84-ter
(Limiti ai compensi per gli amministratori di
società a controllo pubblico)

 


1. All'articolo 23-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

«5-quater. Nelle società direttamente o indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che emettono esclusivamente strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati nei mercati regolamentati nonché nelle società dalle stesse controllate, il compenso di cui all'articolo 2389, terzo comma, del codice civile per l'amministratore delegato e il presidente del consiglio d'amministrazione non può essere stabilito e corrisposto in misura superiore al 75 per cento del trattamento economico complessivo a qualsiasi titolo determinato, compreso quello per eventuali rapporti di lavoro con la medesima società, nel corso del mandato antecedente al rinnovo.

5-quinquies. Nelle società direttamente o indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che emettono titoli azionari quotati nei mercati regolamentati, in sede di rinnovo degli organi di amministrazione è sottoposta all'approvazione dell'assemblea degli azionisti una proposta in materia di remunerazione degli amministratori con deleghe di dette società e delle loro controllate, conforme ai criteri di cui al comma 5-quater. In tale sede, l'azionista di controllo pubblico è tenuto ad esprimere assenso alla proposta di cui al primo periodo.

5-sexies. Le disposizioni di cui ai commi 5-quater e 5-quinquies si applicano limitatamente al primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore della presente disposizione ovvero, qualora si sia già provveduto al rinnovo, ai compensi ancora da determinare ovvero da determinare in via definitiva. Le disposizioni di cui ai commi 5-quater e 5-quinquies non si applicano qualora nei dodici mesi antecedenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione siano state adottate riduzioni dei compensi dell'amministratore delegato o del presidente del consiglio di amministrazione almeno pari a quelle previste nei medesimi commi».


 

 

L’articolo 84-ter stabilisce limiti agli emolumenti degli amministratori di società controllate[85] dalle pubbliche amministrazioni che emettono strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati, disponendo altresì l’applicazione di tali limiti anche alle società - quotate o non - da queste controllate.

 

A tale fine, l’articolo 84-ter aggiunge nell’articolo 23-bis del D.L. n. 201/2011 (legge n. 214/2011) [86] tre nuovi commi, da 5-quater a 5-sexies.

Si ricorda che l’articolo 23-bis:

§       ai commi da 1 a 5, reca norme in materia di compensi degli amministratori rivestiti di particolari cariche (sostanzialmente, gli amministratori con deleghe) nelle società non quotate controllate dal Ministero dell’economia e delle finanze[87], disponendo che tali società siano classificate per fasce, sulla base di appositi indicatori dimensionali e qualitativi, e per ciascuna fascia sia determinato, con apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze(MEF), il compenso massimo al quale i rispettivi consigli di amministrazione dovranno far riferimento per la determinazione degli emolumenti di cui all’articolo 2389, terzo comma, del codice civile[88] (comma 1).

Gli emolumenti possono includere una componente variabile che non può essere inferiore al 30% della componente fissa e che è corrisposta in misura proporzionale al grado di raggiungimento di obiettivi annuali oggettivi e specifici, predeterminati dal CDA[89] (comma 3).

Sempre con decreto del MEF si provvede poi a rideterminare, almeno ogni tre anni, le fasce di classificazione e il relativo importo massimo[90] (comma 2).

Per le società non quotate controllate dalle società controllate dal Ministero dell’economia e delle finanze non quotate (dunque per le società non quotate indirettamente controllate del MEF), i consigli di amministrazione, nella determinazione degli emolumenti di cui all’articolo 2389, terzo comma cc., non possono superare il limite massimo stabilito dal sopradetto decreto ministeriale per la società controllante né, comunque, quello costituito dal trattamento economico del primo presidente di Cassazione (comma 4)[91].

Lo schema di decreto del Ministero dell’economia relativo ai compensi degli amministratori con deleghe delle società controllate dal MEF è stato trasmesso alle Camere il 10 settembre 2013, ai fini dell’espressione del parere da parte delle commissioni parlamentari competenti. La Commissione bilancio della Camera si è pronunciata in data 3 ottobre 2013, esprimendo parere favorevole con osservazioni.

§       Il comma 5-bis limita i compensi da corrispondersi ai sensi dell’articolo 2389, terzo comma cc. agli amministratori con deleghe delle società non quotate controllate dalle altre pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165/2001 sul pubblico impiego[92], stabilendo che essi non possano essere superiori al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione; il comma 5-ter ricomprende nei limiti medesimi anche i dipendenti delle società non quotate medesime.

 

Le norme introdotte dall’articolo 84-ter, dunque, da un lato, si aggiungono alla disciplina già dettata ai commi da 1 a 5-ter dell’articolo 23-bis del D.L. n. 201/2011, introducendo specifici vincoli ai compensi degli amministratori con deleghe delle società quotate a controllo pubblico diretto e indiretto, dall’altro, sottopongono ai limiti delle società quotate le società controllate da società a controllo pubblico quotate (cioè emittenti titoli finanziari quotati).

 

Si osserva che l’intervento del legislatore operato con l’articolo 84-ter è finalizzato, di fatto, a dar seguito al parere espresso dall’Avvocatura generale dello Stato, su richiesta del Ministero dell’economia e finanze, in data 23 marzo 2013, circa la portata applicativa delle norme contenute nei citati commi da 1 a 5-ter dell’articolo 23-bis, i quali, come detto si applicano alle società a controllo pubblico “non quotate”.

 

Quanto alla definizione di società quotate, si ricorda che l’articolo 34, comma 38 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (legge n. 221/2012) definisce - ai fini della corretta applicazione delle disposizioni in materia di contenimento della spesa pubblica riguardanti le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196[93] - “società quotate” le società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati.

Tale precisazione legislativa è intervenuta in relazione al fenomeno della crescente normazione speciale inerente le società pubbliche, la quale ha di regola escluso per le società pubbliche quotate l’applicazione delle disposizioni di contenimento della spesa, lasciando per esse un assoggettamento tendenzialmente esclusivo alla disciplina codicistica, in quanto la natura di soggetti sottoposti interamente al mercato sembra costituire per tali società una sorta di diaframma difensivo dall’applicazione intrusiva di regole pubblicistiche[94].

 

L’Avvocatura generale dello Stato, con il predetto parere, ha fornito indicazioni in merito alla portata dell’articolo 34, comma 38, del D.L. n. 179/2012, valutando la disposizione come una norma interpretativa generale.

Ha pertanto espresso l’avviso di ricomprendere, nella definizione di società quotate fornita dalla predetta norma, sia le società che emettono azioni quotate in mercati regolamentati sia le società che mettono altri strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati, quali, ad esempio, i titoli obbligazionari[95].

 

Laddove dunque norme di contenimento della spesa pubblica – come i commi da 1 a 5-ter del D.L. n. 201/2011 - escludano dal loro ambito applicativo le “società quotate” partecipate dalle pubbliche amministrazioni, tale esclusione opera non solo per le società che emettono titoli azionari quotati (società quotate in senso stretto), ma anche per le società che – sebbene non quotate in senso stretto – emettono altre tipologie di strumenti finanziari.

 

Facendo riferimento alla società controllate dal Ministero dell’economia e finanze possono infatti riscontrarsi:

§      società quotate, quali Enel s.p.a, Eni s.p.a. e Finmeccanica s.p.a., che emettono titoli azionari.

§      società che emettono esclusivamente strumenti finanziari quotati diversi dalle azioni, costituite ad esempio dalla Poste Italiane s.p.a., dalla CDP- Cassa Depositi e Prestiti s.p.a. e dalle FS-Ferrovie dello Stato Italiane s.p.a., società non quotate che producono emissioni obbligazionarie.

Si osservi, infatti, al riguardo che la V Commissione permanente della Camera dei deputati, nel parere reso sullo schema di D.M. relativo ai compensi degli amministratori con deleghe delle società controllate dal MEF ai sensi del comma 1 dell’articolo23-bis del D.L. n. 201/2011 ha richiamato il parere espresso dall’Avvocatura generale dello Stato, rilevando come possa escludersi dall’ambito applicativo dell’articolo 23-bis la società Ferrovie dello Stato S.p.A.

 

L’Avvocatura ha inoltre rilevato che dall’ambito di applicazione dei limiti ai compensi degli amministratori con deleghe delle società non quotate a controllo pubblico di cui ai commi da 1 a 5-ter dell’articolo 23-bis del decreto-legge n. 201/2011, dovessero ritenersi escluse non solo le società quotate, come sopra definite, cioè le società genericamente emittenti titoli quotati nei mercati regolamentati, ma anche le società non quotate controllate da una società quotata.

L’Avvocatura ha pertanto espresso l’opportunità, per ridurre la portata applicativa della norma, di un intervento legislativo volto eventualmente a limitare il perimetro di applicazione della disposizione in argomento.

 

L’articolo 84-ter aggiunge dunque nell’articolo 23-bis:

§      nuove norme volte ad assoggettare a vincoli i compensi degli amministratori con deleghe delle società quotate a controllo pubblico diretto e indiretto, differenziando a seconda che si tratti di società che emettono azioni quotate in mercati regolamentati ovvero altre tipologie di titoli quotati;

§      nuove norme limitative dei compensi degli amministratori con deleghe delle due specifiche tipologie di società non quotate controllate da società pubbliche quotate altrimenti escluse dai limiti del predetto articolo 23-bis, differenziando a seconda che si tratti di società che emettono esclusivamente strumenti finanziari quotati, diversi dalle azioni (ad es. titoli obbligazionari), e società che emettono titoli azionari quotati.

Si osservi i predetti vincoli si applicano limitatamente al primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo al 10 agosto 2013, ovvero, se si è già provveduto al rinnovo, ai compensi eventualmente ancora da determinare in via definitiva.

 

I nuovi commi, particolare, prevedono:

§       per le società che emettono esclusivamente strumenti finanziari quotati diversi dalle azioni, nonché per le società dalle stesse controllate, che il compenso per l’amministratore delegato e per il presidente del consiglio d’amministrazione non possa essere superiore al 75 per cento del trattamento economico complessivo, a qualunque titolo determinato, nel corso del mandato antecedente al rinnovo (comma 5-quater).

§      per le società direttamente o indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni che emettono titoli azionari quotati, in sede di rinnovo degli organi di amministrazione, che all’assemblea degli azionisti debba essere sottoposta un proposta di remunerazione degli amministratori con delega delle società medesime – nonché delle controllate – conforme ai criteri di cui al comma 5-quater. La proposta deve essere assentita dall’azionista di controllo pubblico (comma 5-quinquies);

Potrebbe presumersi che le differenze tra le procedure volte al contenimento dei compensi degli amministratori tra le due tipologie di società, sia riconducibile alla necessaria autonomia decisionale che deriva dalla natura privatistica in senso stretto di società quotate sul mercato azionario che contraddistingue le seconde.

Si dispone infine (comma 5-sexies) che le disposizioni recate dai commi 5-quater e 5-quinquies si applichino limitatamente al primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di conversione in legge del decreto-legge in esame (10 agosto 2013), ovvero, se si è già provveduto al rinnovo, ai compensi eventualmente ancora da determinare in via definitiva. Se ne prevede inoltre la non applicabilità qualora, nei dodici mesi precedenti la medesima data, siano già state applicate riduzioni dei compensi in questione dell’amministratore delegato o del presidente del consiglio di amministrazione almeno pari a quanto previsto nelle nuove commi 5- quater e 5-quinquies.


 

Articolo 85
(Copertura finanziaria articoli 63, 73 e 74)

 


1. Agli oneri derivanti dalle disposizioni di cui ai Capi I e II del presente titolo, valutati complessivamente in 4.850.000 euro per l'anno 2013 e 8.000.000 euro a decorrere dall'anno 2014 e fino all'anno 2024, si provvede mediante l'utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dall'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 28, comma 2, della legge 12 novembre 2011, n. 183, che sono conseguentemente iscritte nello stato di previsione dell'entrata ed in quello del Ministero della giustizia.

2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

3. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Ministro della giustizia provvede al monitoraggio degli oneri di cui al presente articolo e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui ai presente articolo, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro della giustizia, provvede, con proprio decreto, alla riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria del maggior onere risultante dall'attività di monitoraggio, delle dotazioni finanziarie di parte corrente iscritte, nell'ambito delle spese rimodulabili di cui all'articolo 21, comma 5, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nel Programma Giustizia civile e penale della Missione Giustizia dello stato di previsione del Ministero della giustizia. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al secondo periodo.

4. Dalle disposizioni di cui ai Capi IV, V, VI, VII e VIII del presente titolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

L’articolo 85 provvede, al comma 1, in ordine alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al Capo I (Giudici ausiliari) e Capo II (tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari) del Titolo III del provvedimento, recante misure per l’efficienza della giustizia, valutati complessivamente in 4,850 milioni di euro per l’anno 2013 e a 8 milioni di euro per ciascuno degli ani del periodo 2014-2024.

 

Il comma prevede che a tali oneri si provveda mediante l’utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dalle modifiche alla disciplina del contributo unificato introdotte con l’articolo 28 della legge 12 novembre 2011, n. 183, che vengono a tal fine versate allo stato di previsione dell’entrata del bilancio per essere riassegnate allo stato di previsione del Ministero della giustizia.

 

Si ricorda che l’articolo 28, comma 2, della legge n. 183/2011 prevede che il maggior gettito derivante dalla nuova disciplina del contributo unificato sia versato allo stato di previsione dell’entrata del bilancio, con separata contabilizzazione per essere riassegnato, con decreto del Ministro dell'economia e finanze, allo stato di previsione del Ministero della giustizia al fine di assicurare il funzionamento degli uffici giudiziari, con particolare riferimento ai servizi informatici e con esclusione delle spese di personale.

Quota parte di tale maggiore gettito, nella misura di 4,85 milioni di euro per l’anno 2013 e di 8 milioni di euro per ciascun degli anni dal 2014 al 2024, viene pertanto distolta da tale finalità per essere destinata alla copertura finanziaria di cui all’articolo in esame.

 

In merito alle risorse disponibili derivanti dal maggior gettito del contributo unificato, di cui all’articolo 28, comma 2, della legge n. 183/2011, la Relazione tecnica riporta che esse ammontano complessivamente a circa 17,2 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012. Di queste, tuttavia, una quota pari a 5 milioni per l’anno 2012 e a 3,6 milioni a decorrere dall’anno 2014, risulta già utilizzata per la copertura finanziaria degli oneri connessi all'adeguamento dei sistemi informativi hardware e software presso gli uffici giudiziari, per il potenziamento delle reti di trasmissione dati, nonché per la manutenzione dei relativi servizi e per gli oneri connessi alla formazione del personale di magistratura, amministrativo e tecnico, recati dall’articolo 16-quinquies del D.L. n. 179/2012.

Risulterebbero, dunque, disponibili per le finalità di copertura di cui all’articolo 85 in esame, circa 12,2 milioni di euro per l’anno 2013 e 13,6 milioni a decorrere dal 2014.

 

Il comma 2 autorizza il Ministro dell’economia ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Il comma 3 introduce una clausola di salvaguardia finanziaria demandando al Ministro della giustizia il monitoraggio degli oneri considerati dall’articolo in esame, con l’obbligo di riferire in merito al Ministro del’economia e delle finanze.

La clausola prevede che, nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui all’articolo in esame, il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro della giustizia, provvede, con proprio decreto, alla riduzione degli stanziamenti relativi alle spese rimodulabili di parte corrente iscritte nell’ambito del Programma di spesa Giustizia civile e penale del Ministero della giustizia, nella misura necessaria alla copertura finanziaria del maggior onere risultante dall’attività di monitoraggio.

Il Ministro dell’economia e delle finanze riferisce altresì, senza ritardo, alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all’adozione delle suddette misure.

 

Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 21, comma 5, della legge n. 196 del 2009, concernente il bilancio di previsione, le spese, nell'ambito di ciascun programma, si ripartiscono in: a) spese non rimodulabili; b) spese rimodulabili. Le spese rimodulabili, sulle quali si intendono apportare le riduzione indicate dal comma 3 in esame, consistono, secondo la legge di contabilità: 1) nelle spese derivanti da fattori legislativi, intendendo come tali quelle autorizzate da espressa disposizione legislativa che ne determina l'importo, considerato quale limite massimo di spesa, e il periodo di iscrizione in bilancio; 2) nelle spese di adeguamento al fabbisogno, ossia spese non predeterminate legislativamente ma quantificate tenendo conto delle esigenze delle amministrazioni.

Le spese non rimodulabili sono, invece, quelle “per le quali l'amministrazione non ha la possibilità di esercitare un effettivo controllo, in via amministrativa, sulle variabili che concorrono alla loro formazione, allocazione e quantificazione”. Esse corrispondono alle spese definite come oneri inderogabili, nell’ambito dei quali rientrano esclusivamente le spese cosiddette obbligatorie.

 

Il comma 4 dispone, infine, che dalle disposizioni di cui ai Capi IV, V, VI, VII e VIII del presente provvedimento non debbono derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

La norma si intende riferita ai Capi del Titolo III del provvedimento.

 



[1]     Tar Sardegna, Sez. II, n. 549 del 21 aprile 2009; Tar Sicilia (PA), Sez. I, n. 540, del 20 marzo 2009, Tar Toscana, Sez. II, 19 maggio 2010, n. 1523; Tar Lombardia, Brescia, Sez. I, ord. n. 117/2010; Tar Lazio, Roma, sez. II, 16 maggio 2011, Tar Toscana Sez. II, 6 ottobre 2011, n. 1452.

[2]     Tar Sicilia (CT) ordinanza cautelare n. 788 del 7 giugno 2007 , successivamente ribadita, in sede di merito, con sentenza del 17 giugno 2008, n. 1188, nonché Tar Catania sentenza n. 207 del 29 gennaio 2008. Tar Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, con sentenza del 26 maggio 2008, n. 301; Tar Calabria, sentenze 23 maggio 2008, nn. 1068 e 1069; Tar Lombardia (BS) Sez. I, sentenza n. 4883 del 20 dicembre 2010; Tar Campania, Sez. V, sentenza 21 marzo 2012, n. 1398.

[3]     Recante “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22”.

[4]     Si veda, riguardo ai contenuti dell’art. 49, quanto detto nel commento al comma 2 dell'articolo in commento.

[5]     Si ricorda che l’art. 1, comma 2, della citata ordinanza, prevede che il Commissario si avvalga, in qualità di Soggetto attuatore, nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, della Direzione attività produttive e rifiuti della regione Lazio per lo svolgimento della funzione di stazione appaltante per la realizzazione di una o più discariche e/o per l'ampliamento di discariche esistenti indicate dalla medesima Regione, nonché di un impianto di trattamento meccanico - biologico dei rifiuti urbani necessari a garantire la piena copertura del fabbisogno dell'area interessata dallo stato di emergenza.

L’art. 3 dell’ordinanza prevede invece che, per l'attuazione degli interventi dichiarati indifferibili, urgenti, di pubblica utilità e costituenti variante ai piani urbanistici, il Commissario, ove non sia possibile l'utilizzazione delle strutture pubbliche, possa affidare la progettazione anche a liberi professionisti, utilizzando, ove necessario, le deroghe di cui all'art. 4.

Lo stesso articolo disciplina le modalità di svolgimento dell’eventuale conferenza di servizi con la quale il Commissario, per gli interventi di competenza, provvede all'approvazione dei progetti, nonché incarica il Commissario di provvedere per le occupazioni d'urgenza e per le eventuali espropriazioni delle aree occorrenti per l'esecuzione delle opere e degli interventi, una volta emesso il decreto di occupazione d'urgenza, prescindendo da ogni altro adempimento, alla redazione dello stato di consistenza e del verbale di immissione in possesso dei suoli anche con la sola presenza di due testimoni.

L’art. 4 autorizza invece il Commissario, ove ritenuto indispensabile e sulla base di specifica motivazione, a derogare, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, della direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 ottobre 2004 e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, ad una serie di disposizioni, elencate dalla norma, tra cui si ricordano alcune norme del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006) in materia di rifiuti, nonché del D.Lgs. 36/2003 sulle discariche, del D.P.R. 327/2001 in materia di espropriazioni e del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici).

[6]     È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:

a)    la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

b)    è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c)     la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d)    l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

[7]     Per allevamento effettuato in ambiente confinato si intende l'allevamento il cui ciclo produttivo prevede il sistematico utilizzo di una struttura coperta per la stabulazione degli animali.

[8]     L. 30 aprile 1962, n. 283, Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del T.U. delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande.

[9]     D.P.R. 26 marzo1980, n. 327, Regolamento di esecuzione della L. 30 aprile 1962, n. 283, e successive modificazioni, in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande.

[10]    Informazioni tratte da Epicentro - Il portale dell'epidemiologia per la sanità pubblica, che da conto anche delle diverse situazioni regionali.

[11]    D.L. 13 settembre 2012, n. 158, Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 8 novembre 2012, n. 189.

[12]    D.M. 24aprile 2013, Disciplina della certificazione dell'attività sportiva non agonistica e amatoriale e linee guida sulla dotazione e l'utilizzo di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita, pubblicato sulla G.U. 20 luglio 2013, n. 169.

[13]    D.M. 2 agosto 2007, Individuazione delle patologie rispetto alle quali sono escluse visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante.

[14]    L. 9 marzo 2006, n. 80, Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, recante misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione.

[15]    D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 17 dicembre 2012, n. 221.

[16]    L. 1-4-1999 n. 91, Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti.

[17]    Attualmente, in Italia, per l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio dei medicinali è prevista, oltre alla modalità di registrazione nazionale ai sensi del D. Lgs. 219/2006, quella comunitaria. Quest’ultima prevede l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio dei medicinali secondo procedure che coinvolgono tutti i Paesi membri (procedura centralizzata) o parte di essi (procedura di mutuo riconoscimento e decentrata).

[18]    Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148/2011.

[19]    D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 219, Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE.

[20]    Si ricorda che l’Accordo prevede esplicitamente che l’entrata in vigore avvenga dopo 12 mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 12 marzo 2012 (G.U. 12 marzo 2012, n. 60, S.O.).

[21]    Il comma 8 non si applica, tra l’altro, ai convegni organizzati dalle università e dagli enti di ricerca ed agli incontri istituzionali connessi all'attività di organismi internazionali o comunitari, alle feste nazionali previste da disposizioni di legge e a quelle istituzionali delle Forze armate e delle Forze di polizia.

[22]    Dal comma 12 sono escluse: le missioni internazionali di pace e delle Forze armate; le missioni delle Forze di polizia e dei Vigili del fuoco; le missioni del personale di magistratura; le missioni strettamente connesse ad accordi internazionali ovvero indispensabili per assicurare la partecipazione a riunioni presso enti e organismi internazionali o comunitari, nonché con investitori istituzionali necessari alla gestione del debito pubblico; lo svolgimento di compiti ispettivi.

[23]    La Concessionaria servizi informatici pubblici - CONSIP S.p.A. è stata istituita in base a quanto previsto dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 414 del 1997. Tale società – il cui capitale è interamente posseduto dal Ministero dell’economia e finanze – è la struttura di servizio per agli acquisti centralizzati di beni e servizi della P.A.

[24]    Ai sensi dell’art. 3, comma 34, del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), la «centrale di committenza» è un'amministrazione aggiudicatrice che: acquista forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori, o aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori.

[25]    Si ricorda che nel diritto europeo, che ha elaborato il modello dell’in-house providing, la questione della partecipazione delle società in house è considerata prevalentemente nella giurisprudenza della Corte di giustizia laddove vengono richiesti due requisiti necessari perché esse possano essere titolari di affidamenti diretti in deroga rispetto al metodo di scelta del contraente mediante gara pubblica: il requisito del controllo analogo e il requisito dell’attività prevalente L’orientamento della Corte è stato fatto proprio dalla giurisprudenza nazionale. La Corte costituzionale, nella sentenza 439 del 2008, ha fissato i parametri di rilievo costituzionale che deve rispettare la legislazione in tema di società in house, con riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia in materia.

[26]    Interventi necessari per la realizzazione dell'EXPO Milano 2015.

[27]    Corte dei Conti, Determinazione 60/2013 gestione finanziaria dell’Expo 2015 S.p.A. per gli esercizi 2011 e 2012.

[28]    Quest'ultimo soggetto emette fattura senza addebitare l'imposta ed applica la norma che prevede l'applicazione del regime del reverse charge. Il destinatario della cessione di beni o della prestazione del servizio deve integrare la fattura ricevuta con l'indicazione dell'aliquota propria della operazione messa in essere dal cedente o prestatore del servizio, della relativa imposta e inoltre deve registrare il documento sia nel registro delle fatture emesse o dei corrispettivi, che nel registro degli acquisti a tal punto da rendere neutrale l'effetto della imposta.

[29]    Nominato ai sensi dell’art. 14 del D.L. 112/2008 come modificato dall’art. 5 del D.L. 43 /2013.

[30]    Ai sensi dell’articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 165/2001 per “amministrazioni pubbliche” si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

[31]    Data di entrata in vigore del decreto-legge n. 95/2012 (legge n. 135/2012).

[32]    L’articolo 4, del D.L. n. 95/2012 impone, come detto, al comma 1, lo scioglimento o la privatizzazione delle società pubbliche affidatarie in house di servizi alla P.A. consentendo che le stesse sopravvivano e continuino ad essere titolari di affidamenti diretti (comma 8) solo nelle rare ipotesi nelle quali «per le peculiari caratteristiche economiche e sociali, ambientali e geo-morfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento non è possibile un efficace ed utile ricorso al mercato». Tali ipotesi sono soggette comunque alla valutazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (comma 3, secondo periodo). L’articolo inoltre consente che esse sopravvivano nei casi nei quali siano stati predisposti dei piani di razionalizzazione e di ristrutturazione societari, i quali devono peraltro avere il parere favorevole (vincolante) del Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per l'acquisto di beni e servizi di cui all'articolo 2 del d.l. n. 52 del 2012 (comma 3-sexies).

      La Corte costituzionale, nella citata sentenza, dichiara che – sebbene l’articolo 4 obbedisca anche alla finalità del contenimento della spesa pubblica – i commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies ed 8 del medesimo articolo, sono costituzionalmente illegittimi, in quanto delineano una disciplina puntuale e dettagliata che vincola totalmente anche le amministrazioni regionali, senza lasciare alcun margine di adeguamento, anche a Regioni e Province autonome, con conseguente lesione della loro autonomia organizzativa, nonché della competenza regionale concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica.

[33]    9 mesi dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 95/2012.

[34]    Il predetto limite è derogabile, solo nell’anno 2013, esclusivamente in ragione della sussistenza di contratti pluriennali già in essere. I contratti di locazione o noleggio in essere alla data del 7 luglio 2012 possono essere ceduti, anche senza l'assenso del contraente privato, alle Forze di polizia, con il trasferimento delle relative risorse finanziarie fino alla scadenza del contratto. Si prevede, infine, la revoca delle gare espletate (da Consip S.p.A.) nel 2012 per la prestazione del servizio di noleggio a lungo termine di autoveicoli senza conducente, nonché per la fornitura in acquisto di berline medie con cilindrata non superiore a 1.600 cc per le Pubbliche Amministrazioni.

L’articolo 1, comma 423 della legge n. 228/2012 ha prorogato all'anno 2014 il termine di cui al comma 2 dell'articolo 5 per le società che gestiscono servizi di interesse generale su tutto il territorio nazionale.

[35]    L’ultimo elenco ISTAT è stato pubblicato in G.U. n. 229 del 30 settembre 2013.

[36]    Si ricorda che le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, della legge n. 196/2009 sono:

§       le amministrazioni rientranti nel conto economico consolidato della P.A., annualmente individuate dall’ISTAT in apposito elenco entro il 30 settembre;

§       le Autorità indipendenti;

§       le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 del D.Lgs. sul pubblico impiego, D.Lgs. n. 165/2001.

[37]    D.L. 6 luglio 2012, n. 95, Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 7 agosto 2012, n. 135.

[38]    D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 540, Attuazione della direttiva 92/27/CEE concernente l'etichettatura ed il foglietto illustrativo dei medicinali per uso umano.

[39]    LEGGE 1 marzo 2002, n. 39, Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2001.

[40]    D.L. 7 maggio 2012, n. 52, recante “Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica”, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 6 luglio 2012, n. 94.

[41]    Periodo ormai decorso, per cui l’organo (cui sono stati preposti prima il dr. Bondi e poi il dr. Canzio) ha ora cessato l’attività.

[42]    Sulla base di quanto dispone l’articolo 34, comma 38, del D.L. n.179 del 2012, infatti, con riferimento alle società controllate dalle amministrazioni pubbliche vengono ricomprese tra le società quotate – come tali da escludere dall’ambito applicativo della disciplina pubblicistica di contenimento della spesa - non soltanto le società emittenti azioni ma, più ampiamente, tutte le società emittenti strumenti finanziari, anche diversi dalle azioni, purché ammessi alla quotazione sui mercati regolamentati.

[43]    Direttiva recante “Indirizzi operativi ai fini del contenimento della spesa pubblica” pubblicata sulla G.U. n.170 del 23 luglio 2012.

[44]    Il 4 ottobre 2013 è stato nominato Commissario straordinario per la spending review il dr. Carlo Cottarelli, che assumerà le relative funzioni a decorrere dal 23 ottobre 2013 (Comunicato stampa del Ministero dell’economia e delle finanze n.172 del 4 ottobre 2013).

[45]    Rispetto ai 78.000 euro previsti per l’anno 2013 dall’ articolo 15 del D.L. n. 52/2012 che, per l’anno 2012, ha stabilito l’indennità medesima in 155.000 euro.

[46]    Inserito dall'art. 20, comma 1, lett. a), D.L. 2012, n. 5.

[47]    Il regime transitorio previsto dalla Deliberazione n. 111/2012 (che doveva concludersi il 30 giugno 2013) è stato prorogato per consentire alle Stazioni Appaltanti di adeguarsi gradualmente alle nuove modalità di verifica dei requisiti di partecipazione delle imprese attraverso l’accesso on line alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici (BDNCP) istituita presso l’AVCP.

[48]    D.Lgs. 28 settembre 2012 n. 178, “Riorganizzazione dell'Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.), a norma dell'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183”.

[49]    L’articolo 13, comma 1 del D.L. n. 102/2013 ha, in particolare, rimodulato la dotazione complessiva del Fondo per assicurare liquidità per pagamenti certi liquidi ed esigibili degli enti territoriali, che passa dagli originari 9.327,9 milioni per il 2013 e 14.527,9 milioni per il 2014 a 16.546,6 milioni per il 2013 e a 7.309,4 milioni nel 2014.

[50]    Si noti infine, che il medesimo articolo 13 del D.L. n. 102/2013, ha disposto, al comma 8, un incremento della dotazione complessiva del Fondo anticipazioni liquidità per 7,2 miliardi di euro, destinando tale incremento “ad ulteriori pagamenti” da parte delle Regioni e degli enti locali di debiti certi liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2012, demandando però ad un successivo decreto ministeriale, da adottarsi entro il 28 febbraio 2014, la definizione del riparto delle suddette risorse tra le tre Sezioni in cui il Fondo è articolato.

[51]    La quota di anticipazioni relativa al 2013 è stata già ripartita tra le regioni e le province autonome (nella misura massima prevista di 5 miliardi) con i decreti direttoriali del 16 aprile 2013. e del 2 luglio 2013.

[52]    Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012 (legge n. 213/2012).

[53]    L’articolo 1, comma 168, della legge finanziaria 2006 (L. n. 266/2005) stabilisce che le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, qualora accertino comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità interno, adottano specifica pronuncia e vigilano sull'adozione da parte dell'ente locale delle necessarie misure correttive e sul rispetto dei vincoli e limitazioni posti in caso di mancato rispetto delle regole del patto medesimo.

[54]    Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42.

[55]    Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali.

[56]    In base a queste ultime disposizioni, i sostituti di imposta rilasciano un’apposita certificazione unica anche ai fini dei contributi dovuti all'Istituto nazionale per la previdenza sociale (I.N.P.S.) attestante l'ammontare complessivo delle dette somme e valori, l'ammontare delle ritenute operate, delle detrazioni di imposta effettuate e dei contributi previdenziali e assistenziali, nonché gli altri dati stabiliti con il provvedimento amministrativo di approvazione dello schema di certificazione unica. La certificazione è unica anche ai fini dei contributi dovuti agli altri enti e casse previdenziali. La certificazione unica sostituisce quelle previste ai fini contributivi.

[57]    La SOSE - Soluzioni per il Sistema Economico S.p.A. è una Società per azioni costituita con la partecipazione al capitale sociale del Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’88% e della Banca d’Italia per l’12%, in base all’art. 10, comma 12 della legge 146/1998, con l’affidamento in concessione di svolgere tutte le attività relative alla costruzione, realizzazione e aggiornamento degli studi di settore.

[58]    Decreto legislativo 26 novembre 2010, recante disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di comuni, province e città metropolitane, emanato in attuazione della legge delega sul federalismo fiscale n.42 del 2009.

[59]    Ai sensi dell’articolo 209 del TUEL, il servizio di tesoreria consiste nel complesso delle attività e delle operazioni connesse alla gestione finanziaria dell’ente locale, in particolare finalizzate alla riscossione delle entrate, al pagamento delle spese, alla custodia di titoli e valori ed agli adempimenti connessi previsti dalla legge, dallo statuto, dai regolamenti dell’ente o da norme pattizie. Il tesoriere esegue le operazioni indicate nel rispetto della legge 29 ottobre 1984, n. 720, e successive modificazioni, relativa al sistema di tesoreria unica.

[60]    La norma richiamata prevede che, su istanza del creditore di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti, le regioni e gli enti locali sono tenuti a certificare, nel rispetto delle disposizioni normative vigenti in materia di patto di stabilità interno, se il relativo credito sia certo, liquido ed esigibile, anche al fine di consentirne la cessione a favore di banche o intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente.

[61]    Secondo la comunicazione della Commissione europea 2006/C323/01 in materia di aiuti di Stato legati alla ricerca si intendono per «ricerca fondamentale» i lavori sperimentali o teorici svolti soprattutto per acquisire nuove conoscenze sui fondamenti di fenomeni e di fatti osservabili, senza che siano previste applicazioni o utilizzazioni pratiche dirette.

[62]    Secondo la comunicazione della Commissione europea 2006/C323/01 in materia di aiuti di Stato legati alla ricerca si intende per «ricerca industriale» la ricerca pianificata o indagini critiche miranti ad acquisire nuove conoscenze, da utilizzare per mettere a punto nuovi prodotti, processi o servizi o permettere un notevole miglioramento dei prodotti, processi o servizi esistenti. Comprende tale definizione la creazione di componenti di sistemi complessi necessaria per la ricerca industriale, in particolare per la validazione di tecnologie generiche, ad esclusione dei prototipi;

[63]    il fondo FIRST è stato istituito dall’art. 1, co. 870–874, della L. finanziaria 2007 nello stato di previsione del Ministero dell'università e della ricerca, e in esso sono confluite le risorse di alcuni fondi, fra cui il Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR). Tale fondo è finanziato a valere sulle risorse del Fondo per l’erogazione del trattamento di fine rapporto (TFR), istituito presso l’INPS, ed è alimentato in via ordinaria dai conferimenti annualmente disposti dalla legge finanziaria, dai rientri dei contributi concessi sotto forma di credito agevolato e dalle risorse assegnate dal CIPE, nell’ambito del riparto del FAS (ora, del Fondo per lo sviluppo e la coesione).

[64]    Criteri e contingente assunzionale delle Università statali per l'anno 2012 sono stati determinati con D.M. 22 ottobre 2012, n. 297, pubblicato nella GU n. 273 del 22 novembre 2012.

[65]    La ricognizione delle amministrazioni pubbliche facenti parte del conto economico consolidato della P.A. è effettuata ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge n. 196/2009 dall’ISTAT, sulla base del Sec95, il sistema europeo dei conti. L'ultimo elenco degli enti ed organismo facenti parte del conto economico consolidato della P.A. è stato pubblicato dall’ISTAT nella G.U. n. 229 del 30 settembre 2013.

[66]    L’esclusione dal limite delle spese delle università e degli enti di ricerca per missioni finanziate con risorse derivanti dall'Unione europea ovvero di soggetti privati è stata introdotta con l’articolo 29, comma 15 della legge n. 240/2010, recante “Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario”.

[67]    L’intervento novellatore qui in esame è da ricondurre con quanto rilevato dalla Ragioneria generale dello Stato nella Circolare n. 2 del 5 febbraio 2013.

In tale Circolare, la Ragioneria ha fornito indicazioni in merito all’ambito di applicazione delle misure di contenimento della spesa per gli enti ed organismi pubblici.

Relativamente ai limiti alla spesa per missioni, la Ragioneria ha osservato che le esclusioni dal limite individuate dal legislatore nell’articolo 6, comma 12, del D.L. n. 78 devono ritenersi tassative e non suscettibili di interpretazione analogica, e pertanto ha rilevato come – in assenza di un apposito intervento legislativo – le missioni delle Università ed enti di ricerca gravanti su fondi o finanziamenti pubblici non potessero ritenersi automaticamente sottratte dal tetto del 50% previsto dalla norma.

[68]    Per i corsi di laurea magistrale a ciclo unico, cui si accede con il possesso del diploma di scuola secondaria superiore, si vedano l’art. 6, co. 3, del D.M. 270/2004, il D.M. 249/2010 e il D.M. 2 marzo 2011.

[69]    Conseguentemente, sarebbe stato opportuno fare riferimento, nel testo dell’art. 60, anche alle finalità di cui all’art. 1, co. 278, della L. 311/2004.

[70]    Si ricorda che la lettera c) del testo originario prevedeva la copertura finanziaria (di 19 milioni di euro per l’anno 2013 e di 7,4 milioni di euro per l’anno 2014) a valere sulla riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 27, comma 10, sesto periodo, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, recante misure di sostegno all'emittenza televisiva locale.

[71]    Disposizioni urgenti in materia fiscale e di finanza pubblica.

[72]    Rispetto ai 78.000 euro previsti dalla normativa previgente di cui all’articolo 15 del D.L. 52/2012.

[73]    Determinazione 5 aprile 2011, n. 41102, Determinazione 28 giugno 2011, n. 77579, Determinazione 28 ottobre 2011, n. 127505, articolo 34, comma 4, della legge n. 183 del 2011, articolo 15, commi 1 e 2, del D.L. n. 201 del 2011, Determinazione 7 giugno 2012, n. 69805 e Determinazione 9 agosto 2012, n. 88789.

[74]    Il richiamato comma 1 indica veicoli di massa massima complessiva superiore a 3,5 tonnellate.

[75]    Recante la disciplina degli autoservizi di linea (autolinee) per viaggiatori, bagagli e pacchi agricoli in regime di concessione all'industria privata.

[76]    Relativo alla fissazione di norme comuni per i trasporti internazionali di viaggiatori effettuati con autobus.

[77]    L’art. 16 del D.Lgs. 25/2006 prevede che alle deliberazioni su determinate materie il consiglio giudiziario partecipi in composizione integrata con componenti designati dal consiglio regionale ed i componenti avvocati e professori universitari.

[78]    Sul secondo comma dell’art. 645 c.p.c. è recentemente intervenuta la legge n. 218 del 2011. La disposizione contenuta nel secondo comma prevedeva, infatti, prima di tale riforma, che i termini di comparizione fossero ridotti a metà. La questione, che aveva dato spunto a vivacissimi dibattiti sia in ambito dottrinale che giurisprudenziale (si ricorda, da ultima, la pronuncia delle Sezioni Unite C., S.U., 19246/2010), è stata risolta dal legislatore. Le parole: "; ma i termini di comparizione sono ridotti a metà" presenti nel testo originario sono infatti state soppresse dall'art. 1, co. 1, della legge 29 dicembre 2011, n. 218.

[79]    Nella Relazione illustrativa del disegno di legge di conversione si sottolinea infatti che «La declaratoria d'illegittimità è avvenuta per eccesso rispetto alla delega contenuta nell'articolo 60 della legge 18 marzo 2009 n. 69. Si legge in particolare nella motivazione che la cosiddetta mediazione obbligatoria «delinea un istituto a carattere generale, destinato ad operare per un numero consistente di controversie, in relazione alle quali, però, [...], il carattere dell'obbligatorietà per la mediazione non trova alcun ancoraggio nella legge delega». Ne deriva che la declinazione in termini di condizione di procedibilità dell'esperimento del procedimento di mediazione non trova ostacoli, in questo contesto, quando, come nel caso, sia ripristinata a mezzo di provvedimento legislativo non delegato».

[80]    In questi termini si è pronunciato il Ministro della Giustizia in Assemblea alla Camera dei deputati, rispondendo a un atto di sindacato ispettivo (n. 3-00123), il 19 giugno 2013. In quella sede il Ministro ha sostenuto che «la declaratoria di illegittimità è avvenuta per eccesso rispetto alla delega contenuta nell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, con conseguente assorbimento delle altre questioni sollevate. Da ciò deriva che configurare la mediazione in termini di condizione di procedibilità non trova alcun ostacolo nella sentenza della Corte, quando, come oggi, venga ripristinata a mezzo di provvedimento legislativo non delegato».

[81]    Nel corso dell’attività conoscitiva svolta dalla Commissione Giustizia era emerso come la proposta di risoluzione formulata dal mediatore non debba essere di per sé mediazione, ma la fase finale, eventuale, di una pratica di mediazione (cfr. audizione della prof. Lucarelli, secondo la quale «non vi è bisogno di spingere a forza nella natura della mediazione dei conflitti ciò che non le appartiene, ma che ne rappresenta una fase puramente eventuale, da disciplinare con le opportune cautele a pena di snaturare il valore della mediazione svolta nel rispetto della volontà delle parti interessate»).

[82]    Il Governo spiega questa esclusione nella Relazione illustrativa, nella quale ricorda che «operano sul punto gli impulsi alla composizione stragiudiziale di cui agli articoli 148 e 149 del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209» e ricorda i dati sulla applicazione della mediazione nel periodo tra il 21 marzo 2011 e il 30 giugno 2012. Ebbene, il Governo rileva che i dati statistici mostrano che le controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli – a fronte di una percentuale generale del 46,4 per cento di raggiungimento dell'accordo nei casi di aderente (alla domanda di mediazione) comparso – registrano una percentuale specifica del 96,2 per cento di aderente non comparso: «ne consegue che, per le dinamiche innescate dalla decisiva presenza dell'ente assicurativo, la funzionalità settoriale della mediazione è particolarmente bassa».

[83]    L’art. 696-bis è stato introdotto nel codice di rito civile nel 2005, con finalità deflattive del contenzioso civile, intendendo favorire la composizione della lite nella fase antecedente a quella processuale, attraverso il ricorso a un consulente tecnico chiamato ad accertare o determinare i crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il consulente ha ex lege ha la facoltà – ma non l'obbligo – di tentare la conciliazione tra le parti, ogniqualvolta lo si ritenga possibile e dunque non nei casi in cui non ne sussistano oggettivamente le condizioni. Qualora il tentativo di pervenire ad una soluzione conciliativa dia buon esito, il giudice interviene attribuendo, con decreto, efficacia di titolo esecutivo al processo verbale in cui si è trasfuso l'accordo tra le parti. Ove, però, il tentativo di conciliazione sia coltivato infruttuosamente o nell'ipotesi in cui non sia stato possibile darvi corso, ciascuna parte può chiedere che la relazione tecnica sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito, sostanziandosi, in quest'ultimo caso, in un mezzo istruttorio preventivamente acquisito, pur se formata al di fuori dei casi in cui si ammette il tradizionale accertamento tecnico preventivo.

[84]    Si ricorda che l’omologa, concessa con decreto del Presidente del Tribunale, che verifica la regolarità formale e il rispetto dei principi di ordine pubblico o delle norme imperative del verbale, è essenziale se si vuole che l’accordo costituisca titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica, oltre che per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

[85]    Si ricorda che l’articolo 2359 del codice civile definisce società controllate: 1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Ai fini dell'applicazione dei predetti numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta (non i voti spettanti per conto di terzi).

[86]    D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, “Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici”, convertito, con modificazioni, in legge 22 dicembre 2011, n. 214.

[87]    Si ricorda, in proposito, che l’articolo 3, comma 12, lettera b), della legge n. 244/2007 prevede, per le società non quotate, direttamente o indirettamente controllate dallo Stato, che - previa delibera dell'assemblea dei soci, sulle materie delegabili -al Presidente possano essere attribuite deleghe operative da parte dell'organo di amministrazione, che provvede a determinarne in concreto il contenuto ed il compenso ai sensi dell'articolo 2389, terzo comma, del codice civile, e che – fermo restando quanto ora descritto - l'organo di amministrazione possa delegare proprie attribuzioni a un solo componente, al quale possono essere riconosciuti compensi ai sensi del già citato articolo 2389 del codice civile unitamente al Presidente nel caso di attribuzione di deleghe operative.

      Inoltre, si ricorda che ai sensi dell’articolo 3, comma 27-bis della legge n. 244/2007, nel caso di costituzione di società statali che producono servizi di interesse generale, ovvero di assunzione di partecipazioni da parte dello Stato in tali società, i diritti dell’azionista sono esercitati dal MEF di concerto con i Ministeri competenti per materia.

[88]    L'articolo 2389, terzo comma c.c. prevede che la remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale. Se lo statuto lo prevede, l'assemblea può determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche.

[89]    Il Consiglio di amministrazione riferisce all'assemblea degli azionisti (convocata ai sensi dell'art. 2364, secondo co., c.c., circa la politica retributiva degli amministratori con deleghe adottata, anche in termini di conseguimento degli obiettivi agli stessi affidati con riferimento alla parte variabile della stessa retribuzione.

[90]    I D.M. di aggiornamento devono tenere conto dei mutamenti di mercato e del tasso di inflazione programmato, nel rispetto degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica.

[91]    Sulla base delle procedure previste dal DPCM 23 marzo 2012, che ha stabilito tale limite con riferimento all’anno 2011, prevedendo che lo stesso fosse aggiornato annualmente sulla base di apposite comunicazioni del Ministro della giustizia al Ministro della pubblica amministrazione ed al Ministro dell’economia e finanze, tale limite risulta ora stabilito, con riferimento all’anno 2012, in 302.937 euro.

[92]    La norma fa riferimento all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n.165/2001: si tratta di tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al D.Lgs. n. 300/1999.

[93]    Si ricorda che le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, della legge n. 196/2009 sono:

§       le amministrazioni rientranti nel conto economico consolidato della P.A., annualmente individuate dall’ISTAT in apposito elenco entro il 30 settembre. L’ultimo elenco è stato pubblicato in G.U. n. 229 del 30 settembre 2013;

§       le Autorità indipendenti;

§       le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 165/2001 sul pubblico impiego.

[94]    Una norma di tenore simile a quella di cui all’articolo 34, comma 38 del D.L. n. 179/2012 è ad esempio contenuta per gli enti locali nell’articolo 147-quater del T.U.E.L., introdotto dall'articolo 3, comma 1, lett. d), del D.L. n. 174/2012 (legge n. 213/2012), che sottrae dai controlli interni sulle società partecipate dagli enti locali le società quotate partecipate dagli enti locali, cioè le società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati e quelle da esse controllate ai sensi dell’articolo 2359 c.c..

[95]    l’Avvocatura ha infatti ritenuto che l’articolo 34, comma 38 del D.L. n. 179/2012 operi anche per le società che hanno emesso strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati dopo il 19 dicembre 2012, data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 179/2012, legge n. 221/2012, con la quale è stata introdotta la disposizione qui in commento.