Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento cultura | ||||||
Titolo: | Disciplina delle professioni di educatore e di pedagogista - A.C. 2656 | ||||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 322 | ||||||
Data: | 03/07/2015 | ||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VII-Cultura, scienza e istruzione |
Disciplina delle professioni di educatore e di pedagogista
3 luglio 2015
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Indice |
Contenuto|Relazioni allegate o richieste|Necessità dell'intervento con legge|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Compatibilità comunitaria|Formulazione del testo| |
ContenutoLa proposta di legge intende disciplinare l'esercizio delle professioni di educatore e di pedagogista, al fine di garantire con omogeneità, in tutto il territorio nazionale, servizi e interventi educativi di qualità. A tal fine, stabilisce, in particolare, che l'esercizio delle rispettive attività è consentito solo a chi è in possesso delle relative qualifiche, attribuite all'esito del percorso di studi universitario specificamente indicato.
L'art. 1 Oggettoindividua gli aspetti sui quali la proposta di legge interviene - ai quali sono dedicati gli articoli successivi - esplicitando che si intende valorizzare le due professioni, garantendone il riconoscimento, la trasparenza e la spendibilità, nel quadro degli indirizzi forniti dall'Unione europea in materia di educazione formale, non formale e informale. Al riguardo, si ricorda, in particolare, che le Conclusioni 2009/C 119/02 del Consiglio europeo del 12 maggio 2009 su un quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell'istruzione e della formazione («ET 2020»), confermando quanto già evidenziato dalle Conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 e dalle Conclusioni del Consiglio europeo di Santa Maria da Feira del giugno 2000 – hanno convenuto che "la cooperazione europea nei settori dell'istruzione e della formazione per il periodo fino al 2020 dovrebbe essere istituita nel contesto di un quadro strategico che abbracci i sistemi di istruzione e formazione nel loro complesso, in una prospettiva di apprendimento permanente", in un quadro, cioè, di "apprendimento in tutti i contesti, siano essi formali, non formali o informali, e a tutti i livelli".
Nella legislazione nazionale, l'art. 2 del d.lgs. 13/2013 - che definisce le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni per l'individuazione e la validazione degli apprendimenti non formali e informali e gli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze - definisce l'"apprendimento formale" (che si attua nel sistema di istruzione e formazione e nelle università e istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, e che si conclude con il conseguimento di un titolo di studio o di una qualifica o diploma professionale, o di una certificazione riconosciuta), l'"apprendimento non formale" (caratterizzato da una scelta intenzionale della persona, che si realizza al di fuori dei sistemi di apprendimento formali) e l'"apprendimento informale" (che, anche a prescindere da una scelta intenzionale, si realizza nello svolgimento di attività nelle situazioni di vita quotidiana e nelle interazioni che in essa hanno luogo, nell'ambito del contesto di lavoro, familiare e del tempo libero).
L'art. 2 Definizione delle due professionidefinisce le due professioni – entrambe caratterizzate da autonomia scientifica e responsabilità deontologica –, in particolare specificando che l'educatore è un professionista di livello intermedio, mentre il pedagogista è un professionista di livello apicale. Entrambe le figure professionali operano nel campo dell'educazione formale e di quella non formale, in regime di lavoro autonomo, subordinato o parasubordinato, svolgendo interventi in vari contesti educativi e formativi, su individui e gruppi (di ogni età), nonché attività didattica, di ricerca e di sperimentazione. In particolare, in base al combinato disposto dell'art. 2, co. 4, e degli artt. 7 e 11, nonché 8 e 12, l'esercizio della professione è consentito solo a chi possiede le qualifiche di educatore e di pedagogista, attribuite all'esito del percorso di studi universitario specificamente indicato (sul quale, v. infra).
Più nello Esercizio dell'attivitàspecifico, gli artt. 8 e 12 prevedono che il possesso delle qualifiche di educatore e di pedagogista costituisce requisito obbligatorio per l'esercizio, in qualunque forma e ambito, rispettivamente, del lavoro educativo e pedagogico. Puntualizzano, peraltro, che tali qualifiche "consentono" l'accesso nel pubblico impiego e nelle strutture del Servizio sanitario nazionale a posti che comportano lo svolgimento delle relative attività (per le quali si richiamano espressamente gli artt. 6 e 10).
In considerazione del fatto che il comma 1 degli articoli 8 e 12 dispone che il possesso delle qualifiche di educatore e pedagogista costituisce requisito obbligatorio per l'esercizio delle rispettive attività in tutti gli ambiti (incluso, dunque, il pubblico impiego, del quale, peraltro, fa parte il SSN, ex art. 1, co. 2, d.lgs. 165/2001), occorre valutare la necessità del riferimento esplicito agli ambiti indicati, contenuto nel comma 2 . In ogni caso, occorrerebbe uniformare la terminologia, sostituendo - nel comma 2 - la parola "consente" con la locuzione "costituisce requisito obbligatorio per".
Gli artt. 3 e 4 individuano gli ambiti dell'attività professionale, nonché i contesti in cui la Ambiti e contesti dell'attivitàstessa è esercitata. In particolare, l'art. 3 fa riferimento agli ambiti: scolastico; sociale; del welfare; della genitorialità e della famiglia; ambientale; culturale; motorio; della salute; del lavoro; giudiziario; dello sviluppo delle comunità locali; della cooperazione internazionale.
L'art. 4, invece, elenca le diverse tipologie di servizi e le diverse istituzioni o organizzazioni – specificando che possono essere pubbliche o private, anche non accreditate – nell'ambito dei quali i professionisti possono operare.
Per quanto riguarda i servizi, si tratta, fra l'altro, di: servizi educativi di accompagnamento alla crescita di individui e gruppi e servizi di consulenza, in particolare in ambito familiare; servizi educativi per la prima infanzia; servizi educativi per la prevenzione del disagio e la promozione del benessere per gli adolescenti, nonché per l'inclusione sociale in contesti socio-territoriali svantaggiati; servizi per anziani; servizi educativi di promozione del benessere e della salute; servizi di educazione formale e non formale per adulti; servizi educativi, ludici, artistico-espressivi e del tempo libero per soggetti di ogni età; servizi di educazione ambientale e sui beni culturali; servizi educativi per le tecnologie informative, comunicative e multimediali; servizi educativi nei contesti lavorativi (formazione, orientamento, inserimento lavorativo); servizi per la rieducazione e la risocializzazione di soggetti detenuti; servizi educativi per le pari opportunità; servizi per l'aggiornamento e la formazione iniziale di educatori e di pedagogisti. In relazione all'elenco delle istituzioni o organizzazioni nelle quali l'attività può essere svolta - recato dall'art. 4, co. 2 - sembrerebbe opportuno un coordinamento con quanto dispone l'art. 3.
Gli artt. 6 e 10 – Competenzedeclinando quanto già stabilito agli artt. 3 e 4 – precisano le attività professionali e le competenze, rispettivamente, dell'educatore e del pedagogista. In particolare, il pedagogista si occupa – oltre che di azioni pedagogiche rivolte a singoli soggetti –, di progettare, programmare, organizzare e coordinare i servizi pubblici o privati di educazione e formazione, nonché di monitorarli e valutarli. All'educatore spetta, tra l'altro, programmare, attuare, gestire e valutare le azioni educative e formative dei medesimi servizi, nonché concorrere alla progettazione dei suddetti servizi e di azioni educative rivolte ai singoli soggetti.
I due articoli elencano, inoltre, le specifiche attività attribuite alle due professioni. Per quest'ultimo aspetto, occorrerebbe un coordinamento con quanto dispone l'art. 4, co. 1, che già individua i servizi nell'ambito dei quali operano i professionisti.
Gli artt. 7 e 11 – cui si è giàFormazione universitaria accennato – disciplinano la formazione universitaria necessaria, disponendo che la qualifica di educatore è attribuita solo a chi consegue un diploma di laurea nella classe di laurea in scienze dell'educazione e della formazione (classe L-19), mentre la qualifica di pedagogista è attribuita solo a chi consegue un diploma di laurea magistrale nelle classi di laurea magistrale in programmazione e gestione dei servizi educativi (classe LM-50), scienze dell'educazione degli adulti e della formazione continua (classe LM-57), scienze pedagogiche (classe LM-85). Entrambi gli articoli specificano, inoltre, che la formazione universitaria deve essere funzionale al raggiungimento delle conoscenze, abilità e competenze necessarie per lo svolgimento delle attività professionali indicate, rispettivamente, negli artt. 6 e 10. In materia, si ricorda che, sulla base dell'art. 4, co. 2, del DM 270/2004, recante il vigente regolamento sull'autonomia didattica degli atenei, sono stati adottati, il 16 marzo 2007, un DM relativo alla determinazione delle classi delle lauree e un DM relativo alla determinazione delle classi di laurea magistrale.
In base al primo DM, gli sbocchi occupazionali dei laureati nella classe delle lauree in scienze dell'educazione e della formazione (classe L-19) riguardano attività di educatore e animatore socio-educativo nelle strutture pubbliche e private che gestiscono o erogano servizi sociali e socio-sanitari (residenziali, domiciliari, territoriali) previsti dalla legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (L. 328/2000) e riguardanti famiglie, minori, anziani, soggetti detenuti nelle carceri, stranieri, nomadi, servizi culturali, ricreativi, sportivi, di educazione ambientale. Gli stessi laureati possono, inoltre, svolgere attività professionale come formatore, istruttore o tutor nei servizi di formazione professionale e continua, pubblici, privati e del privato sociale, nelle imprese e nelle associazioni di categoria, come educatori nei nidi e nelle comunità infantili, nei servizi di sostegno alla genitorialità, nelle strutture prescolastiche, scolastiche ed extrascolastiche e nei servizi educativi per l'infanzia e per la preadolescenza.
In base al DM relativo alle classi di laurea magistrale, i laureati nella classe LM-50 operano nell'area del coordinamento di servizi educativi e socio-assistenziali con il compito, fra gli altri, di progettare, supervisionare e valutare progetti educativi e riabilitativi. Gli sbocchi occupazionali sono principalmente nei servizi alla persona, erogati da enti pubblici o privati, in campo educativo, sociale, sanitario e assistenziale, oltre che, con funzioni di alta responsabilità, in scuole, agenzie di formazione professionale, strutture socio-culturali e socio-educative di enti locali, regioni e pubblica amministrazione, cooperative, associazioni di volontariato, aziende sanitarie e socio-sanitarie.
I laureati nella classe LM-57 operano nell'area degli interventi e dei servizi formativi rivolti agli adulti e ordinati ad azioni di formazione e aggiornamento, riqualificazione, orientamento e bilancio di competenze, inserimento lavorativo. Gli sbocchi occupazionali sono prevalentemente in istituzioni ed enti pubblici e privati che erogano azioni, interventi e servizi di formazione continua, in aziende private, agenzie ed enti di formazione professionale, servizi alle imprese, servizi per l'impiego, servizi socio-educativi e culturali, organismi del terzo settore, servizi formativi della PA.
Per i laureati nella classe LM-85 gli sbocchi occupazionali sono in attività di ricerca educativa e di consulenza nella programmazione e gestione di interventi nelle scuole e nei servizi in campo educativo e formativo erogati da enti pubblici e privati e del terzo settore, e organismi di direzione, orientamento, supporto e controllo presso la PA.
Al riguardo, non apparendo un netto discrimine fra le attività che, in base al DM 520/1998, sono attribuite all'educatore professionale (in possesso della laurea nella classe L-SNT-2) e le attività che, in base al testo in esame, sarebbero attribuite all'educatore (in possesso della laurea nella classe L-19), occorrerebbe un approfondimento sul novero dei titoli di studio che determinano l'attribuzione di quest'ultima qualifica. Conseguentemente, si dovrebbe pervenire ad un coordinamento normativo.
Nello stesso ambito, si ricorda, peraltro, che, con decreti del MIUR, di concerto con il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione, è stata stabilita l'equiparazione, ai fini della partecipazione ai concorsi pubblici, tra titoli del vecchio ordinamento (ante DM 509/1999) e titoli ex DM 509/1999 e ex DM 270/2004.
In particolare, con D.I. 9 luglio 2009 è stata stabilita la corrispondenza tra la classe L-19 (ex DM 270/2004) e la classe 18 -Scienze dell'educazione e della formazione (ex DM 509/1999). Con ulteriore D.I. 9 luglio 2009 è stata stabilita l'equiparazione delle classi LM-50, LM-57 e LM-85 (ex DM 270/2004), rispettivamente, alle classi 56/S Programmazione e gestione dei servizi educativi e formativi, 65/S Scienze dell'educazione degli adulti e della formazione continua, 87/S Scienze pedagogiche (ex DM 509/1999).
In materia di formazione universitaria, interviene anche l'art. 13 che dispone che i corsi di laurea afferenti alle classi di laurea e di laurea magistrale indicate negli artt. 7 e 11 sono tenuti a uniformare alle nuove disposizioni il titolo e l'indirizzo del corso, il profilo professionale, il curricolo formativo, nonché i servizi di orientamento in ingresso, in itinere e in uscita per il lavoro.
Al riguardo, si ricorda che, in base all'art. 4 del già citato DM 270/2004, i corsi di studio dello stesso livello, comunque denominati dagli atenei, aventi gli stessi obiettivi formativi qualificanti e le conseguenti attività formative indispensabili, sono raggruppati in classi di appartenenza, individuate con decreto ministeriale. I titoli conseguiti al termine dei corsi di studio dello stesso livello, appartenenti alla stessa classe, hanno identico valore legale.
Modifiche o istituzioni di singole classi possono essere adottate, anche su proposta delle università, con decreto del Ministro, sentito il CUN, unitamente alle connesse disposizioni in materia di obiettivi formativi qualificanti e di conseguenti attività formative.
In virtù del sistema normativo descritto, non sembrerebbe necessario intervenire su "titolo" e "indirizzo" del corso. Inoltre, gli ulteriori eventuali adeguamenti dovrebbero competere – piuttosto che ai singoli corsi di laurea – al MIUR che, a tal fine, dovrebbe provvedere ad apportare le opportune modifiche ai decreti ministeriali del 16 marzo 2007. Gli artt. 5 e 9 riconoscono all'Riferimenti all'EQFeducatore e al pedagogista le conoscenze, competenze e abilità proprie, rispettivamente, delle aree di professionalità del 6° e 7° livello del Quadro europeo delle qualifiche.
Sull'argomento, si ricorda che il 23 aprile 2008 è stata adottata la Raccomandazione europea del Parlamento europeo e del Consiglio sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente (EQF: European Qualifications Framework) con la quale gli Stati membri sono stati invitati a rapportare i sistemi nazionali delle qualifiche al Quadro europeo entro il 2010 e ad adottare misure affinché entro il 2012 i nuovi certificati di qualifica, i diplomi e i documenti Europass contenessero un chiaro riferimento all'appropriato livello del EQF. Quest'ultimo è strutturato secondo otto livelli di riferimento, declinati in conoscenze, abilità e competenze.
Per quanto concerne l'Italia, il 20 dicembre 2012, in sede di Conferenza Stato-Regioni, è stato sottoscritto un accordo – recepito con D.I. 13 febbraio 2013 – con il quale è stato adottato il "Primo rapporto italiano di referenziazione delle qualificazioni al EQF". In base a tale accordo, la laurea e il diploma accademico di I livello sono riferiti al livello 6 del EQF, mentre la laurea magistrale, il diploma accademico di secondo livello, il master universitario di primo livello, il diploma accademico di specializzazione e il diploma di perfezionamento o master sono riferiti al livello 7 del EQF.
Al riguardo, si veda anche il comunicato stampa del MIUR del 1° febbraio 2013.
Con riferimento agli artt. 5 e 9, occorre tener presente che l'Accordo citato riferisce chiaramente i soggetti in possesso di laurea al livello 6 e quelli in possesso di laurea magistrale al livello 7 dell'EQF.
Al fine di rafforzare la Corsi post-laureaspecificità e il livello professionale, l'art. 14 stabilisce che i "corsi post-laurea di perfezionamento e di master" per educatore e per pedagogista devono prevedere l'inserimento nei progetti di tirocinio e di formazione delle attività formative indicate, sostanzialmente relative agli ambiti già indicati negli artt. 3 e 4. In base all'art. 3 del DM 270/2004, le università rilasciano – oltre ai diplomi di laurea e di laurea magistrale –, il diploma di specializzazione e il dottorato di ricerca.
Il medesimo art. 3 stabilisce, inoltre, che le università possono attivare, disciplinandoli nei regolamenti didattici di ateneo, corsi di perfezionamento scientifico e di alta formazione permanente e ricorrente, successivi al conseguimento della laurea o della laurea magistrale, alla conclusione dei quali sono rilasciati i master universitari di primo e di secondo livello.
Occorre chiarire, dunque, se con l'espressione "corsi post-laurea di perfezionamento e di master" si intenda fare riferimento sia ai corsi di dottorato di ricerca e di specializzazione, sia ai corsi di perfezionamento che si concludono con il rilascio del master. In ogni caso, occorre tener presente l'autonomia degli atenei in materia.
Al riguardo, si ricorda che i corsi di dottorato di ricerca e il conseguimento del relativo titolo sono disciplinati dall'art. 4 della L. 210/1998 (come modificato, da ultimo, dall'art. 19 della L. 240/2010) che, in particolare, prevede che i medesimi corsi sono istituti previo accreditamento da parte del MIUR, su conforme parere dell'ANVUR. Il regolamento attuativo, emanato con DM 8 febbraio 2013, n. 45, ha poi disciplinato le modalità di accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato e ha definito i criteri e i parametri sulla base dei quali i soggetti accreditati disciplinano, tra l'altro, con proprio regolamento, l'istituzione dei corsi, gli obiettivi formativi e il relativo programma di studi (per approfondimenti, si veda il focus).
Con riguardo ai master, si rammenta che, nel rispondere all'interrogazione 5/03533 in VII Commissione, il 23 ottobre 2014, il rappresentante del Governo ha evidenziato che "diversamente dai restanti corsi universitari, i corsi di perfezionamento scientifico e di alta formazione permanente sono disciplinati dalle università in totale autonomia in quanto concepiti con la finalità di perfezionare la formazione universitaria acquisita nei corsi di laurea e di laurea magistrale e per rispondere alle specifiche e mutevoli esigenze di un mercato del lavoro sempre più complesso e dinamico" e che allo stato "sono in fase di studio gli aspetti di dettaglio concernenti l'accreditamento iniziale e periodico dei corsi di studio finalizzati al conseguimento dei master universitari".
L'art. 15 dispone, anzitutto, che leCollocazione professionale professioni di educatore e di pedagogista rientrano fra le professioni non organizzate in ordini o collegi, di cui alla L. 4/2013. L'art. 1, co. 2, della L. 4/2013 dispone che per "professione non organizzata in ordini o collegi" si intende l'attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo. Individua, inoltre, esplicitamente alcune esclusioni: si tratta delle attività (intellettuali) riservate per legge agli iscritti in albi o elenchi, ai sensi dell'art. 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative.
La legge dispone, altresì (art. 2), che coloro che esercitano la professione possono costituire associazioni professionali di natura privatistica – caratterizzate dall'assenza di scopo di lucro (art. 5, co. 1, lett. f) –, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva, con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza.
In sostanza, la L. 4/2013 ha previsto l'autoregolamentazione volontaria per la qualifica delle figure professionali, anche indipendentemente dall'adesione dei soggetti che esercitano le professioni ad una delle associazioni.
In particolare, la qualificazione della prestazione professionale si basa sulla conformità della medesima a norme tecniche UNI ISO, UNI EN ISO, UNI EN e UNI (d'ora in avanti: norme tecniche UNI), di cui alla direttiva 98/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998. Le associazioni professionali e le forme aggregative delle stesse associazioni – il cui elenco è pubblicato sul sito internet del Ministero dello sviluppo economico – collaborano all'elaborazione della normativa tecnica UNI relativa alle singole attività professionali, e possono promuovere la costituzione di organismi accreditati di certificazione della conformità per i settori di competenza. Tali organismi – accreditati dall'organismo unico nazionale di accreditamento per gli organismi di certificazione ACCREDIA – possono rilasciare, su richiesta del singolo professionista, anche non iscritto ad alcuna associazione, il certificato di conformità alle norme tecniche UNI definite per la singola professione.
Le associazioni professionali, invece, possono rilasciare ai propri iscritti un'attestazione relativa, tra l'altro, agli standard qualitativi e di qualificazione professionale necessari per il mantenimento dell'iscrizione all'associazione e all'eventuale possesso della certificazione di conformità alle norme tecniche UNI.
Il possesso dell'attestazione non rappresenta requisito necessario per l'esercizio dell'attività professionale.
Dispone, altresì, che le stesse professioni di educatore e di pedagogista sono inserite negli elenchi e nelle banche dati dei soggetti deputati alla classificazione e alla declaratoria delle professioni, nonché nel repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali. Al fine indicato, sono attivati specifici codici professionali ed è unificata la classificazione delle professioni di CNEL, ISFOL, ISTAT, Ministeri, regioni e altri organismi autorizzati. A tale classificazione devono attenersi anche gli organismi di accreditamento e certificazione della qualità, le associazioni professionali e i singoli professionisti. Al riguardo, si ricorda, anzitutto, che la Commissione europea, con raccomandazione 29 ottobre 2009 (2009/824/EC), ha adottato la nuova classificazione internazionale delle professioni, inducendo i paesi membri a elaborare dati statistici in materia di lavoro secondo la classificazione ISCO08 o secondo una classificazione nazionale da essa derivata.
Per l'Italia, l'ISTAT ha conseguentemente aggiornato la precedente tassonomia (CP2001), adottando la nuova nomenclatura e classificazione delle professioni CP2011.
L'obiettivo della CP2011 è fornire uno strumento per ricondurre le professioni esistenti all'interno di un numero limitato di raggruppamenti, da utilizzare per comunicare, diffondere e scambiare dati statistici e amministrativi sulle professioni, comparabili a livello internazionale. Di conseguenza, come indicato anche nella premessa, la classificazione non può in alcun modo essere considerata uno strumento normativo per il riconoscimento istituzionale di talune professioni o per la determinazione di standard retributivi e delle condizioni di impiego.
I livelli di competenza previsti dalla classificazione internazionale delle professioni ISCO08, ripresi sostanzialmente dalla CP2011, sono quattro e vengono definiti operativamente considerando la natura del lavoro che caratterizza la professione, il livello di istruzione formale (così come descritto dalla classificazione internazionale Isced97) e l'ammontare di formazione o di esperienza richieste per eseguire in modo adeguato i compiti previsti.
Il principio della competenza delinea un sistema classificatorio articolato su 5 livelli di aggregazione gerarchici. In particolare, i nove grandi gruppi, che rappresentano il livello di classificazione più elevato, contengono 37 gruppi che, a loro volta, racchiudono 129 classi. Queste sono ulteriormente disaggregate in 511 categorie, all'interno delle quali sono comprese 800 unità professionali. Tra queste:
Si segnala, inoltre, che ISFOL e ISTAT hanno realizzato il Sistema informativo sulle professioni, finalizzato a fornire informazioni sull'occupazione e sulle caratteristiche delle professioni presenti nel mercato del lavoro.
Il repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali è previsto dal già citato d.lgs. 13/2013.
In particolare, al fine di uniformarsi alle direttive europee, favorire la mobilità, l'incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro, nonché la spendibilità delle certificazioni in ambito nazionale ed europeo, l'art. 8 ha istituito il repertorio citato, che costituisce il quadro di riferimento unitario per la certificazione delle competenze, attraverso la progressiva standardizzazione degli elementi essenziali dei titoli di istruzione e formazione, compresi quelli di istruzione e formazione professionale, e delle qualificazioni professionali.
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Relazioni allegate o richiesteLa proposta di legge è corredata di relazione illustrativa. |
Necessità dell'intervento con leggeL'intervento con legge si giustifica in quanto l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti è riservata allo Stato. |
Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definiteLa disciplina delle professioni rientra, ai sensi dell'articolo 117, co. 3, Cost. nell'ambito della competenza legislativa concorrente. Conseguentemente, spetta alla legislazione dello Stato determinare i principi fondamentali, in conformità con i quali le regioni possono esercitare la propria potestà legislativa. In tale ambito, peraltro, secondo l'indirizzo della Corte costituzionale, la determinazione dei titoli per l'accesso spetta allo Stato (ex plurimis, sentenze nn. 329/2003, 12/2004, 153/2006, 424/2006, 57/2007, 179/2008, 138/2009, 271/2009, 328/2009, 98/2013). |
Compatibilità comunitaria |
Esame del provvedimento in relazione alla normativa comunitariaPer il diritto europeo, i professionisti sono, al pari delle imprese, soggetti alle regole di concorrenza (dettate dall'art. 101 del Trattato sull'Unione europea, ex art. 81 del TCE). L'UE è dunque particolarmente attenta ai c.d. diritti esclusivi, ovvero a tutte le regolamentazioni che riservino alcune attività a una ristretta categoria di professionisti. In particolare, l'art. 16 della "direttiva servizi" (Direttiva n. 2006/123/UE) prevede, fra l'altro, che gli Stati membri non possono subordinare l'accesso a un'attività di servizi o l'esercizio della medesima sul proprio territorio a requisiti che non rispettino i seguenti principi: a) non discriminazione: i requisiti non devono essere direttamente o indirettamente discriminatori in funzione della cittadinanza o, per quanto riguarda le società, dell'ubicazione della sede legale; b) necessità: i requisiti devono essere giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell'ambiente; c) proporzionalità: i requisiti sono tali da garantire il raggiungimento dell'obiettivo perseguito e non vanno al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo. Il punto (56) dei considerando della direttiva, peraltro, evidenzia che "motivi imperativi di interesse generale" – tra i quali rientrano, in particolare, per quanto qui interessa, la tutela dei consumatori e dei destinatari di servizi, art. 4, punto 8), della direttiva – "possono giustificare l'applicazione di regimi di autorizzazione e altre restrizioni", fatto salvo il rispetto dei citati principi di necessità e proporzionalità. In maniera analoga dispone il d.lgs. 59/2010, emanato in attuazione della direttiva citata. In particolare – ribadita all'art. 8 la definizione di "motivi imperativi d'interesse generale" recata dall'art. 4 della direttiva – gli artt. 14 e 15 prevedono che, fatte salve le disposizioni istitutive relative ad ordini, collegi e albi professionali, regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione. Ove sia previsto un regime autorizzatorio, le condizioni alle quali è subordinato l'accesso e l'esercizio alle attività di servizi devono essere, tra l'altro: non discriminatorie; commisurate all'obiettivo di interesse generale; chiare ed inequivocabili; oggettive; rese pubbliche preventivamente; trasparenti e accessibili.
Per ulteriori profili, si rinvia al par. Contenuto. |
Formulazione del testoAll'art. 4, co. 2, la lett. m) deve essere sostituita con la seguente: "m) centri provinciali per l'istruzione degli adulti (CPIA)". Si ricorda, infatti, che, come evidenziato nella circolare MIUR n. 6 del 27 febbraio 2015, il 31 agosto 2015 i Centri territoriali permanenti per l'istruzione e la formazione in età adulta di cui all'ordinanza del Ministro della pubblica istruzione 29 luglio 1997, n. 455, e i corsi serali per il conseguimento di titoli di studio, compresi i corsi della scuola dell'obbligo e di istruzione secondaria superiore negli istituti di prevenzione e pena, cessano di funzionare e sono riorganizzati secondo i nuovi assetti delineati dal DPR 263/12.
All'art. 7, co. 1, e all'art. 13, co. 1, deve essere soppressa la parola "triennale", ovunque ricorra. |