Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione straniera
Titolo: Le immunità parlamentari nei principali paesi europei
Serie: Appunti    Numero: 81
Data: 21/07/2014

Camera dei deputati

XVII Legislatura

 

BIBLIOTECA – LEGISLAZIONE STRANIERA

 

A P P U N T I

 

Appunto 32/2014                                                                             21 luglio 2014

Le immunità parlamentari nei principali paesi europei

Francia

La tutela assicurata dall’ordinamento francese alla libertà di esercizio del mandato parlamentare è sancita in particolare dal principio delle immunità parlamentari, affermato dalla Costituzione (art. 26).

Le immunità parlamentari assicurano a deputati e senatori un regime giuridico in deroga al diritto comune per quanto riguarda i loro rapporti con la giustizia al fine di preservarne l’indipendenza.

L’immunità protegge ogni membro del parlamento contro ogni azione giudiziaria, penale e civile, motivata da atti che, compiuti al di fuori del mandato parlamentare, sarebbero penalmente sanzionabili o suscettibili di impegnare la responsabilità civile del suo autore (per diffamazione, ad esempio).

Si distinguono due tipi di immunità parlamentari: l’irresponsabilità e l’inviolabilità.

L’irresponsabilità (immunità assoluta) riguarda le opinioni o i voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni.

L’art. 26, comma 1  della Costituzione recita infatti: “Nessun membro del Parlamento può essere perseguito, ricercato, arrestato, detenuto o giudicato per opinioni o voti espressi nell’esercizio delle sue funzioni”.

L’irresponsabilità del deputato è un’immunità permanente, perpetua e valida anche dopo la fine del mandato e copre tutti gli atti propri della funzione parlamentare (rapporti, proposte di legge, discorsi, interrogazioni, voti, atti compiuti nell’ambito di missioni ad esso affidate dalle istanze parlamentari). Neanche il deputato stesso può rinunciare a tale immunità.

Sono esclusi dall’irresponsabilità gli atti e le dichiarazioni non rapportabili all’esercizio diretto della funzione parlamentare, come ad esempio articoli scritti su giornali, interventi in riunioni pubbliche o private, interviste rilasciate durante trasmissioni radiofoniche e televisive o, secondo una giurisprudenza consolidata, le opinioni espresse da un deputato nell’ambito di una missione ad esso affidata dal Governo.

L’inviolabilità (immunità relativa) è limitata alla durata del mandato parlamentare ed ha l’obiettivo di evitare che l’esercizio del mandato parlamentare sia ostacolato da determinate azioni penali aventi ad oggetto gli atti compiuti dal deputato o dal senatore come semplice cittadino.

L’inviolabilità regola le condizioni relative all’esercizio dell’azione penale per gli atti estranei alle funzioni parlamentari (Cost., art. 26, commi 2, 3 e 4).

Nessun membro del Parlamento può essere sottoposto ad arresto o a qualsiasi misura di privazione o di restrizione della libertà senza l’autorizzazione dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea alla quale appartiene, ad eccezione dei casi di flagranza di reato o di condanna definitiva. L’Assemblea può inoltre decidere la sospensione della detenzione o delle misure di privazione e restrizione della libertà, o dell’azione penale nei confronti di un suo membro, per una durata limitata alla sessione in corso.

A seguito della revisione costituzionale, operata dalla legge costituzionale 4 agosto 1995, n. 880, non è prescritta l’autorizzazione per l’esercizio dell’azione giudiziaria, che segue pertanto le regole di diritto comune.

Il Regolamento dell’Assemblea nazionale (art. 80) prevede - all’inizio della legislatura e all’inizio della sessione parlamentare per ogni anno successivo, ad eccezione di quello precedente il rinnovo dell’Assemblea - la costituzione di una commissione incaricata di esaminare le domande di sospensione della detenzione o delle misure di privazione e restrizione della libertà, o dell’azione penale nei confronti di un deputato.

Il Regolamento del Senato (art. 105) prevede, invece, la costituzione di una commissione ad hoc ogni volta che l’assemblea debba esaminare una proposta di risoluzione presentata per richiedere la sospensione della detenzione o delle misure di privazione e restrizione della libertà o dell’azione penale nei confronti di un senatore.

Conformemente all’ultimo comma dell’art. 26 della Costituzione, ciascuna delle due assemblee parlamentari si riunisce in seduta supplementare per esaminare le conclusioni della relativa commissione sulle domande di sospensione e la discussione, in seduta plenaria, porta alla votazione di una proposta di risoluzione.

 

 

Germania

L’istituto dell’immunità parlamentare ha il suo fondamento giuridico nell’art. 46 della Legge fondamentale, secondo cui un deputato non può essere perseguito, in sede sia giudiziaria sia disciplinare, né essere in genere chiamato a rendere conto fuori del Bundestag per le opinioni manifestate e i voti espressi in Assemblea o in una commissione parlamentare, a meno che non si tratti di ingiurie diffamanti. Un deputato può essere chiamato a rispondere di un’azione per la quale è prevista una sanzione o essere arrestato solo dopo l’autorizzazione del Bundestag, salvo che sia colto nell’atto di commettere il fatto o nel giorno immediatamente successivo. L’autorizzazione del Bundestag è inoltre necessaria per qualsiasi altra limitazione della libertà personale o per iniziare un procedimento contro un deputato.

Un cittadino eletto al Bundestag gode della protezione dell’immunità dal momento della sua entrata in Parlamento. Se sono in corso indagini su di lui, queste vengono subito interrotte e il tribunale si rivolge al Presidente del Bundestag con una comunicazione. Qualora sia già iniziata l’azione penale, anche questa deve essere sospesa ed è necessario presentare una domanda di autorizzazione a procedere, ovvero una richiesta di rimozione dell’immunità, che seguirà la procedura parlamentare prevista dal Regolamento del Bundestag.

Le disposizioni della Legge fondamentale in materia di immunità si riferiscono ai soli membri del Bundestag e non riguardano i membri della Camera alta del Parlamento federale (Bundesrat), questi ultimi non eletti dai cittadini, ma direttamente designati dai Governi dei Länder. Tuttavia, i membri del Bundesrat che sono, al tempo stesso, anche membri del Parlamento del Land di appartenenza, godono delle immunità sancite dalle rispettive costituzioni regionali.

In sostanza, il citato art. 46 prevede due profili di immunità parlamentare: la irresponsabilità o insindacabilità (Indemnität) e l’immunità processuale penale (Immunität).

Per quel che concerne il primo profilo, il comma 1 dell’art. 46 dispone che la norma non sia applicata per le "ingiurie diffamanti" (verleumderische Beleidigungen), vale a dire le offese personali e gratuite, prive di contenuto politico, per le quali il parlamentare è pienamente responsabile. Occorre tuttavia rilevare che nella prassi risulta difficile distinguere le pure offese personali dalle cd. “ingiurie a carattere politico” che rientrano nell’ambito dell’irresponsabilità.

Quanto al secondo profilo, il diritto all’immunità deve essere considerato un mezzo di tutela del Parlamento e non una prerogativa del singolo deputato. Il fine di tale istituto è infatti quello di garantire l’operatività e la funzionalità dell’organo parlamentare proteggendolo dalle ingerenze dell’esecutivo e del potere giudiziario. Pertanto, dal momento che l’immunità riguarda i procedimenti penali e altre misure coercitive nei confronti di singoli membri del Bundestag , ai fini dello svolgimento di un processo o dell’esecuzione di determinate misure è necessaria l’autorizzazione del Bundestag. L’obbligo dell’autorizzazione parlamentare è previsto per tutti i procedimenti penali contro i componenti il Bundestag a prescindere dal fatto che si tratti di un giudizio su un tema rientrante nella prerogativa della irresponsabilità o altro tipo di reato, per le perquisizioni e i sequestri nel corso di processi in cui il deputato è imputato o accusato, nonché per gli arresti e il rilascio di dichiarazioni giurate in caso di esecuzione forzata.

La limitazione delle prerogative della magistratura in sede penale è bilanciata dalla prassi, invalsa dalla fine degli anni ’60, in virtù della quale il Bundestag all’inizio di ogni legislatura approva una sorta di autorizzazione generale contenuta nella “Decisione del Bundestag sulla rimozione dell’immunità dei suoi membri” (Beschluß des Deutschen Bundestages betr. Aufhebung der Immunität von Mitgliedern des Bundestages) di cui all’Allegato 6 del Regolamento. Ai sensi del primo comma di tale allegato, il Bundestag autorizza per la durata dell’intera legislatura lo svolgimento di indagini nei confronti di deputati per reati penalmente perseguibili, salvo che si tratti di ingiurie a carattere politico (§§ 185, 186, 187a, comma 1, 188, comma 1 del codice penale). L’autorizzazione generale non comprende il rinvio a giudizio per reati penalmente perseguibili e richieste di emanazione di un’ordinanza di condanna, né misure di limitazione o privazione della libertà nel corso delle indagini. Nel medesimo allegato 6 sono poi enunciati i principi stabiliti dalla Commissione per la verifica delle elezioni, l’immunità e il Regolamento (Ausschuß für Wahlprüfung, Immunität und Geschäftsordnung) per una corretta applicazione della disciplina relativa all’immunità.

L’iter della procedura, per gli aspetti parlamentari, è disciplinato dal § 107 del Regolamento del Bundestag e dal citato Allegato 6. Prima di avviare le indagini, il pubblico ministero competente ha l’obbligo di comunicare al Presidente del Bundestag l’intenzione di aprire un’istruttoria nei confronti di un membro del Bundestag. Contemporaneamente, qualora non ostino motivi investigativi, deve essere informato anche il deputato interessato. Le indagini possono iniziare non prima di 48 ore dall’arrivo della comunicazione al Presidente dell’Assemblea. Ai fini del computo del termine non sono calcolati i fine settimana e i giorni festivi. Il Presidente, d’intesa con il presidente della Commissione per la verifica delle elezioni, l’immunità ed il regolamento, può prolungare tale termine o richiedere la sospensione del procedimento.

Una volta avviate le indagini, qualora il pubblico ministero concluda l’istruttoria con una richiesta di incriminazione o reputi necessaria una perquisizione (o qualunque altro provvedimento che non rientri nell’autorizzazione di carattere generale), deve richiedere al Bundestag un’autorizzazione specifica per via gerarchica, cioè tramite il procuratore generale, il Ministero della giustizia del Land e il Ministero federale della giustizia. La richiesta, indirizzata al Presidente del Bundestag, viene direttamente assegnata alla Commissione per la verifica delle elezioni, l’immunità ed il regolamento, la quale, dopo aver esaminato e discusso la questione, formula la propria raccomandazione al Bundestag in base ai principi dettati nell’allegato 6 (Beschlussempfehlung). La raccomandazione della Commissione di approvare o respingere la revoca dell’immunità è pubblicata in uno stampato in cui figura il nome del deputato, ma non il reato per il quale si richiede di intentare un procedimento penale. La discussione su di una raccomandazione non è legata ad un termine, ma deve avere inizio non prima del terzo giorno della distribuzione della proposta stessa. Nell’interesse del deputato e dell’intero organo parlamentare l’Assemblea, in base alla prassi, decide senza discussione.

Nelle questioni di minore rilevanza, come ad esempio i reati riguardanti la circolazione stradale (per i quali deve essere concessa, in linea di principio, l’autorizzazione), la Commissione per la verifica delle elezioni, l’immunità ed il regolamento può assumere una decisione preliminare (Vorentscheidung) al fine di semplificare la procedura. La decisione preliminare è comunicata per iscritto al Bundestag attraverso il Presidente, senza essere inserita all’ordine del giorno. Essa si considera accolta e vale quindi come decisione del Bundestag se non vengono sollevate obiezioni per iscritto entro sette giorni dalla comunicazione.

L’autorizzazione a procedere concessa dal Bundestag consiste in pratica nella “rimozione dell’immunità” (Aufhebung der Immunität). Il deputato conserva lo status di membro del Bundestag e continua ad esercitare il proprio mandato. Dovendo egli partecipare ai lavori parlamentari, il pubblico ministero e il tribunale, nel momento di fissare i termini procedurali, devono tener conto del programma stabilito per lo svolgimento delle sedute del Bundestag. Dal punto di vista temporale, dunque, mentre l’irresponsabilità ha carattere permanente, l’immunità processuale penale vale solo per la durata del mandato.

Infine, secondo quanto prescrive l’art. 47 della Legge fondamentale, a ciascun membro del Bundestag è riconosciuto il diritto di rifiutarsi di testimoniare (Zeugnisverweigerungsrecht): il deputato può infatti avvalersi di tale diritto negando la sua testimonianza in riferimento a persone che gli abbiano confidato dei fatti nella sua qualità di deputato, nonché riguardo ai fatti stessi. Lo stesso vale anche per la fattispecie inversa, in cui sia stato il deputato a confidarsi con un’altra persona. Entro i limiti di tale diritto, non è ammesso il sequestro di documenti scritti o di registrazioni. Al Bundestag non è attribuito il potere di disporre di tale diritto, che presuppone un rapporto fiduciario tra il deputato e un altro cittadino. Spetta quindi soltanto al deputato decidere di avvalersene rifiutandosi di testimoniare; inoltre, tale diritto continua ad essere efficace anche una volta cessato il mandato parlamentare.

 

 

Regno Unito

Le immunità dei membri del Parlamento hanno radici profonde nella storia costituzionale del Regno Unito, e le rispettive discipline, consolidatesi dopo le lotte politiche del XVII secolo, costituiscono parte integrante della forma di governo britannica e della tradizione costituzionale dello Stato. Il principio dell’autonomia delle Assemblee legislative e della insindacabilità degli interna corporis acta ha fondamento positivo nel Bill of Rights del 1689, e, per taluni aspetti, nei Parliamentary Privilege Acts del 1737 e del 1770; le convenzioni costituzionali e la prassi parlamentare, d’altra parte, hanno concorso a delineare la disciplina dei relativi istituti[1]. Nonostante il suo radicamento nella tradizione, il tema è stato oggetto in tempi recenti di un rinnovato interesse, con particolare riguardo all’elaborazione di alcune proposte di riforma in materia di “parliamentary privilege”.

I membri di entrambe le Camere non godono di una generale ed incondizionata immunità dai procedimenti penali esperiti nei loro confronti. Per tale ragione essi possono essere (e, nell’esperienza, sono stati) perseguiti dal giudice penale (ad esempio, per illeciti riferiti all’erogazione di rimborsi), con precedenza del procedimento giurisdizionale ordinario rispetto all’esercizio, da parte della Camera, dei propri poteri disciplinari (i quali, peraltro, sono attivati a fronte della violazione delle norme di deontologia vigenti nell’ordinamento parlamentare, e non di comportamenti di rilevanza penale, rimessi alla cognizione del giudice comune).

Il “privilegio parlamentare”, in cui si sostanzia l’autonomia delle Camere, si riflette sullo status dei loro componenti e si declina, in primo luogo, nell’immunità ad essi riconosciuta per i voti dati e le opinioni espresse.

Esplicazione del fondamentale principio, che vuole l’attività del Parlamento libera da intromissioni delle corti e sottoposta unicamente al proprio stesso controllo (exclusive cognisance), è infatti la libertà di espressione (freedom of speech) dei parlamentari, i quali non possono essere chiamati a rendere conto delle opinioni espresse in Parlamento dinanzi alle corti, in procedimenti civili o penali, oppure in qualsiasi sede diversa dal Parlamento medesimo (articolo 9 del Bill of Rights[2]); nel tempo sono venute meno, invece, le antiche disposizioni legislative che con formula più ampia affermavano l’improcedibilità di azioni legali rivolte contro membri del Parlamento.

La tradizionale deferenza verso l’immunità statuita dall’antico testo legislativo ha fatto sì che, per superare determinati suoi effetti preclusivi sul piano giudiziale - consistenti nel divieto, anch’esso tralatizio, di ricorrere ai lavori preparatori per l’interpretazione della legge, e nell’impossibilità di esaminare i dibattiti parlamentari nel caso in cui un membro del Parlamento subisca diffamazione con riguardo al modo in cui ha espletato il proprio mandato -, si siano rese necessarie, rispettivamente, l’eliminazione del cosiddetto Hansard Ban ad opera della giurisprudenza (principalmente nel caso Pepper v. Hart[3]), e una modifica legislativa idonea a consentire, su istanza del membro in quanto parte offesa, la non applicazione dell’immunità nelle cause di diffamazione (Defamation Act 1996, section 13). Quest’ultima disposizione, in particolare, al momento della sua approvazione suscitò critiche circa la sua congruenza e opportunità, tali da indurre, nel 1999, la Commissione bicamerale sulle prerogative parlamentari (Joint Committee on Parliamentary Privilege) a raccomandarne la modifica affinché la deroga all’immunità nei giudizi dinanzi alle corti fosse possibile non per iniziativa del singolo parlamentare, ma a seguito di delibera dell’Assemblea; tale suggerimento non ha però finora avuto seguito.

Un diverso aspetto venuto in risalto nell’esperienza del Regno Unito (e posto all’esame della predetta Commissione bicamerale, a cui si deve un’organica riflessione sugli istituti dell’immunità parlamentare[4]) è stato quello dei limiti della libertà di espressione del membro del Parlamento, di cui è stata in passato prospettata l’autonoma regolamentazione parlamentare quanto alle sue modalità di esercizio, e con riferimento anche alla previsione di un diritto di replica del cittadino (non parlamentare) che si ritenga leso da affermazioni a suo carico compiute nel corso di procedimenti dell’Assemblea. La questione è tornata di attualità in relazione a una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 2003, pronunciata sul ricorso contro il Regno Unito di un elettore che si riteneva diffamato dal parlamentare del suo collegio per effetto di talune affermazioni a lui riferite pronunciate nel contesto di un dibattito alla Camera dei Comuni[5]. La Corte, in quella occasione, ha ritenuto conforme al principio di proporzionalità la mancanza di azione del cittadino contro un parlamentare che lo abbia leso con dichiarazioni fatte nella Camera di appartenenza, poiché giustificata dall’esigenza di garantire, nel pubblico interesse, il libero dibattito nella sede parlamentare e di mantenere un equilibrato rapporto tra i poteri.

Corollario ulteriore del principio dell'autonomia del Parlamento - e parte costitutiva dell'immunità parlamentare - è, tradizionalmente, la libertà dall’arresto dei membri del Parlamento e la loro soggezione a poteri disciplinari e penali esercitati dalle stesse Camere; libertà, tuttavia, che nella prassi non è mai stata intesa o applicata nel senso di rendere i parlamentari immuni dall’applicazione delle disposizioni di diritto penale o di condizionare a una previa autorizzazione dell’assemblea la procedibilità nei loro confronti per reati comuni.

Pare degno di nota che anche su questo profilo si sia fermata l’attenzione del Joint Committee on Parliamentary Privilege in occasione dell’esame svolto nel 1999 di una riforma dell’immunità parlamentare. La Commissione prese in considerazione l’aspetto dei reati commessi da parlamentari e dei relativi procedimenti, evidenziando, al riguardo, l’opportunità di interventi di chiarificazione e di delimitazione della sfera parlamentare e di quella giudiziale. Occorre infatti tenere presente che la corruzione o la concussione perpetrata da un membro del Parlamento integra il reato di contempt of parliament ed è, in quanto tale, sanzionabile da ciascuna Camera in esercizio esclusivo dei poteri disciplinari e di natura penale che ad esse si riconoscono per antica consuetudine[6]. Fuori della sfera parlamentare, invece, si sono nel tempo registrate incertezze circa la punibilità alla stregua del common law degli stessi reati commessi da parlamentari, essendo stata controversa la qualifica di pubblico ufficiale del membro del Parlamento, dalla quale preliminarmente è dipesa l’applicabilità, nei confronti di questo, del diritto comune.

In merito all’eventualità che accuse di corruzione (bribery) fossero rivolte a membri del Parlamento, la Commissione del 1999 concluse che la materia non potesse, per la sua delicatezza e gravità, essere interamente rimessa all’autonomia di ciascun ramo del Parlamento, e che la repressione dei reati suddetti dovesse preferibilmente essere affidata al diritto comune e alle ordinarie vie giurisdizionali, nel presupposto che queste ultime rappresentassero l’unico rimedio credibile, nonché il più valido deterrente (“prosecution through the courts is the only credible remedy”), e che da tale soggezione al diritto comune non potesse derivare che una minima, e ininfluente, compressione della libertà fondamentale salvaguardata dall'articolo 9 del Bill of Rights[7].

Le raccomandazioni enunciate dal Joint Committee avrebbero dovuto, come auspicato dalla stessa Commissione, assumere veste legislativa nella forma di un nuovo Parliamentary Privilege Act; ma ciò non è avvenuto. Esse sono tuttavia confluite nel più ampio dibattito sulla revisione del diritto penale in materia di reati economici (imperniato sull’elaborazione di un Corruption Bill nel 2003 e sui termini di applicabilità delle sue disposizioni ai membri del Parlamento e all’acquisizione a fini probatori di atti parlamentari[8]), per essere infine recepite in parte dal Codice di comportamento dei membri della Camera dei Comuni e nelle previsioni regolamentari concernenti il Register of interests.

Il dibattito politico-istituzionale in ordine a tali profili ha avuto una significativa ripresa, ponendosi anzi ai primi posti dell’agenda parlamentare, a dieci anni di distanza dalle raccomandazioni del suddetto Joint Committee, quando nel 2009 è stata divulgata, con ampia risonanza nell’opinione pubblica, l’esistenza di abusi commessi da membri del Parlamento relativamente all’erogazione di rimborsi ottenuti sulla base di false dichiarazioni. Lo scandalo del 2009[9] ha determinato l’approvazione, nello stesso anno, del Parliamentary Standards Act 2009, che oltre ad alcune rilevanti innovazioni concernenti il sistema della deontologia parlamentare, ha introdotto la figura di “reato parlamentare” - stante la sua esclusiva applicabilità ai membri delle Camere - consistente nelle dichiarazioni mendaci o fuorvianti (false or misleading) rese nelle richieste di rimborso. Merita segnalare che l’approvazione della legge è stata ritenuta necessaria benché la Corte Suprema del Regno Unito avesse affermato, in una sentenza concernente alcuni membri delle Camere che avevano riportato la condanna penale per falsa attestazione di spese rimborsabili, l’inopponibilità delle prerogative parlamentari alla cognizione delle allowance claims da parte del giudice comune[10].

Più di recente, il governo conservatore-liberaldemocratico ha posto in agenda la riforma delle immunità e delle prerogative parlamentari in relazione alla libertà della stampa e al diritto di cronaca, recuperando alcune proposte formulate nel 1999 dal Joint Committee on Parliamentary Privilege e prospettando, tra l’altro, l’espressa abrogazione della tutela garantita dell’art. 9 del Bill of Rights del 1689 con riferimento a una serie di reati. Le linee di fondo dell’intervento riformatore, esposte in un documento diffuso nel 2012 e sottoposto alla procedura di consultazione pubblica[11], muovono dalla premessa che “it is wrong in principle to deny the courts access to any relevant evidence when the alleged act is serious enough to have been recognised as a criminal offence”, per giungere a prospettare una limitazione delle tutele garantite dall’immunità parlamentare ai soli casi in cui il reato contestato al componente della Camera si correli strettamente alla ragione di fondo di tale istituto, ossia la protezione della sua libertà di parola e di dibattito in Parlamento[12].

Appare qui utile segnalare, per una ricognizione dei maggiori caratteri costitutivi dello status parlamentare, come nel Regno Unito sia attualmente tema di dibattito l’opportunità di introdurre l’istituto del recall, allo scopo di consentire agli elettori di un singolo collegio di determinare, attraverso la presentazione di un’apposita petizione, la decadenza dell’eletto che abbia commesso gravi ed accertate malversazioni. La posizione favorevole del Governo, che nel recall ha ravvisato un ulteriore potere disciplinare esercitabile dalla Camera chiamata a considerare il merito delle petizione ad essa indirizzata, ha tuttavia incontrato le critiche del Political and Constitutional Reform Committee della Camera dei Comuni, che ha ritenuto adeguata, e concretamente applicabile, la vigente misura disciplinare dell’espulsione dalla Camera del membro che si sia reso autore di gravi illeciti[13]. Si tratta di una sanzione raramente irrogata nella storia parlamentare[14], che comporta la conseguente decadenza dal mandato (peraltro, senza incidere sul diritto elettorale passivo di chi ne venga colpito, che può presentarsi alle elezioni suppletive convocate a seguito della vacanza del suo seggio). Nondimeno, essa vige tuttora nell’ordinamento parlamentare e se ne può disporre l’applicazione alle infrazioni delle regole dell’ordine parlamentare (attraverso il misbehaviour in the Chamber o il contempt posto in essere mediante violazioni del Codice di condotta); tale indiscussa vigenza ha recentemente indotto il Committee on Standards a ritenere sufficienti le attuali sanzioni disciplinari[15], considerato anche il regime probatorio richiesto per la loro irrogazione, di norma meno rigoroso di quello applicato nei comuni procedimenti giurisdizionali.

 

 

Spagna

L’articolo 71, comma 1, della Costituzione garantisce ai deputati e ai senatori il godimento della “inviolabilità (inviolabilidad) per le opinioni manifestate nell’esercizio delle loro funzioni”.

Ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, i deputati ed i senatori, “durante il periodo del loro mandato”, godono altresì dell’immunità (inmunidad) e possono essere arrestati solo “in caso di flagrante reato”; essi inoltre non possono essere “incriminati né processati senza previa autorizzazione delle rispettive Camere”.

Il comma 3 del medesimo articolo introduce il principio del “foro speciale” (aforamiento) per i processi contro i parlamentari, assegnando la competenza a giudicare alla Sezione penale del Tribunale supremo, così come avviene per il Primo ministro e per gli altri membri del Governo.

Se la “inviolabilità” riconosciuta al comma 1 è assimilabile alla nostra “insindacabilità”, intesa come irresponsabilità giuridica per le opinioni espresse dal parlamentare nell’esercizio delle proprie funzioni[16], il concetto di “immunità”, così come evidenziato dalla giurisprudenza del Tribunale costituzionale (sentenze 90/1985, 243/1988, 9/1990 e 206/1992) e dalla dottrina giuridica, costituisce una prerogativa di carattere formale, volta a tutelare le Camere e il loro funzionamento, evitando attacchi politici e strumentali ai rappresentanti popolari che le compongono; l’immunità non ha quindi la natura di privilegio personale del singolo parlamentare (ius singolare). In tale contesto va quindi interpretata la limitazione di tale prerogativa al “periodo del mandato”, al termine del quale il parlamentare torna ad essere sottoposto alla giustizia ordinaria, come gli altri cittadini.

Al di fuori dei casi di flagranza del reato, per i quali è possibile anche l’arresto, per poter incriminare e sottoporre a processo penale un membro del Congresso dei deputati (o del Senato) è necessario ottenere l’autorizzazione a procedere da parte della Camera di appartenenza.

La procedura è disciplinata, per quanto concerne i deputati, dagli artt. 11-14 del Regolamento del Congresso dei Deputati. Nel Regolamento del Senato la procedura è disciplinata dall’art. 22.

La richiesta di autorizzazione (suplicatorio) è trasmessa alle Camere dalla Sezione penale del Tribunale supremo, alla quale qualsiasi autorità giudiziaria, che in sede di indagini ravvisi ipotesi di reato a carico di un parlamentare, è tenuta a trasmettere i suoi atti. Il Tribunale supremo non è obbligato a inoltrare automaticamente richiesta di autorizzazione per ogni segnalazione ricevuta, ma può svolgere ulteriori indagini e, soprattutto, convocare l’interessato per il rilascio di dichiarazioni spontanee, a seguito delle quali valutare se inoltrare o meno il suplicatorio alla Camera di appartenenza[17].

Il Presidente del Congresso (o del Senato), ricevuta una richiesta di autorizzazione, la trasmette alla Commissione competente (Comisión del Estatuto de los Diputados al Congresso, Comisión de Suplicatorios al Senato), che entro 30 giorni, durante i quali è ascoltato anche l’interessato, concludono l’esame della questione e presentano una relazione per l’Assemblea, che deve deliberare nella prima seduta immediatamente successiva. La decisione adottata, in forma di risoluzione motivata, va comunicata, entro 8 giorni, al Tribunale supremo; entrambi i regolamenti parlamentari prevedono la possibilità del “silenzio-rifiuto”, indicando che il suplicatorio è da considerarsi respinto se la Camera, in periodo di sessione ordinaria, non si sia pronunciata entro 60 giorni dal ricevimento della richiesta di autorizzazione a procedere.

Come sottolineato dalla giurisprudenza costituzionale, nelle sentenze citate, nonché dalla dottrina giuridica, la decisione delle Camere (facendo riferimento al concetto di “immunità” esposto e tenendo in massima considerazione il principio della separazione dei poteri) ha il valore di un giudizio sostanzialmente politico, volto all’individuazione di un possibile fumus persecutionis nei confronti del rappresentante del popolo e non si pone, quindi, come un esame giudiziario del merito delle accuse. L’atto delle Camere, espressione dell’attività di un pubblico potere, è comunque sottoposto alla Costituzione ed è quindi possibile farne oggetto di un “ricorso di amparo” dinanzi al Tribunale costituzionale, per possibile lesione di diritti individuali. Anche il Tribunale costituzionale, a sua volta, non entra nel merito del caso, ma verifica la corrispondenza tra la motivazione della decisione adottata dalle Camere e la tutela del corretto funzionamento delle assemblee rappresentative.

La concessione dell’autorizzazione consente la continuazione del procedimento e perciò anche l’avvio di un processo penale contro il parlamentare[18]. Il diniego del suplicatorio determina invece il proscioglimento dell’accusato e la fine del procedimento[19].

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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[1] Nel rispetto di un risalente principio della prassi parlamentare (espresso da una resolution adottata dalla Camera dei Lord e trasmessa ai Comuni nel 1704), l’introduzione di privilegi o immunità parlamentari ulteriori rispetto a quelli già previsti dal diritto legislativo o consuetudinario, potrebbe aver luogo soltanto mediante legge formale.

[2] Il testo dell’articolo 9 del Bill of Rights può tradursi come segue: “La libertà di parola o le discussioni o dibattiti in Parlamento non devono essere incriminati o contestati in alcuna corte o in altro luogo fuori del Parlamento”. Tenore analogo hanno, per la Scozia, le previsioni del Claim of Right del 1689.

[3] Pepper (Inspector of Taxes) v Hart (1993) AC 593.

[4] Il riferimento è alla relazione del Joint Committee on Parliamentary Privilege pubblicata nella sessione 1998-1999.

[5] CEDU, A v the United Kingdom (2003).

[6] Il principio, che si fa risalire ad un precedente della Camera dei Comuni del 1695, è recepito, in forma aggiornata, nella versione vigente del Code of Conduct for Members.

[7] Affinché accuse di corruzione non fossero pretestuosamente rivolte a membri del Parlamento, la Commissione reputò opportuno prevedere il previo assenso dell’Attorney General (o, in Scozia, del Lord Advocate) per l’avvio dei relativi procedimenti. In questo modo, nell'opinione della Commissione, sarebbero stati salvaguardati, e tra loro conciliati, i due preminenti interessi pubblici coinvolti: la repressione dei reati - specie quelli commessi da soggetti che, in ragione della carica rivestita, si trovassero in una “posizione fiduciaria” (position of trust) nei confronti della collettività - e l'autonomia del Parlamento, libero da interferenze delle corti. Veniva fatto riferimento, infatti, a due figure istituzionali tipiche dell’ordinamento britannico e non estranee alla sfera parlamentare, poiché di nomina governativa e membri, rispettivamente, della Camera dei Comuni e del Parlamento scozzese; ed è degno di nota, al riguardo, che la Commissione avesse scartato la diversa soluzione consistente nell’assegnare tale funzione di “filtro” delle accuse al Director of Public Prosecutions, in ragione della sua estraneità rispetto al Parlamento.

[8] La questione è tornata a riproporsi in occasione dell’approvazione del Bribery Act 2010, il cui testo conteneva originariamente un art. 15 – poi soppresso in corso di esame – che consentiva espressamente l’utilizzazione di atti parlamentari ai fini della formazione della prova nei procedimenti penali. Anche in questo caso, l’opinione prevalente fu di rimettere la materia ad un’organica e unitaria revisione legislativa della materia delle prerogative parlamentari.

[9] È forse utile richiamare, sinteticamente e nei suoi snodi essenziali, la vicenda da cui principalmente hanno tratto origine, per un verso, l’istituzione della Independent Parliamentary Standards Authority (ISPA) e, per altro verso, l’esigenza di aggiornamento delle regole di deontologia parlamentare nel senso di una loro più stringente formulazione. Nel febbraio del 2008 veniva autorizzata dall’Information Tribunal, a cui si erano individualmente rivolti alcuni giornalisti, un’istanza di accesso (presentata in base al Freedom of Information Act) ai dati relativi alle richieste di rimborso depositate da determinati membri del Parlamento. La Camera dei Comuni presentò ricorso avverso questa decisione, ritenendola “illegittimamente intrusiva” rispetto alle proprie prerogative; ma la High Court si pronunciava per la legittimità dell’accesso. Seguì dunque l’annuncio, nel maggio del 2009, della imminente pubblicazione da parte dei Comuni dei dati sulle spese dei parlamentari, con l’espunzione di alcune informazioni ritenute di carattere “sensibile”. Prima che avesse luogo questa pubblicazione ufficiale, i dati furono divulgati in forma integrale dal Daily Telegraph che ne era venuto in possesso, evidenziando abusi commessi da parlamentari soprattutto in relazione alla dichiarazione di spese sostenute per l’abitazione di residenza (suscettibili di rimborso secondo le regole vigenti). Ne seguirono, nel 2010, procedimenti penali avviati nei confronti di membri di entrambe le Camere, e la temporanea sospensione di alcuni componenti della Camera Alta, con relativa restituzione dei rimborsi indebitamente ottenuti.

[10] UK Supreme Court, R v Chaytor and others (Appellants), UKSC 52 (2010).

[11] Si tratta del “Libro verde” dal titolo Parliamentary Privilege, pubblicato nell’aprile 2012. Per l’esame delle proposte in esso contenute la Camera dei Lord ha nuovamente costituito, il 28 maggio 2012, il Joint Committee on Parliamentary Privilege.

[12] Si vedano i parr. 95 e 98 del citato “Libro verde”; le esenzioni previste sono riferite, ad esempio, al reato (di common law) di misconduct in public office, alla diffusione di determinate informazioni in violazione dell’Official Secrets Act 1989, o a reati di opinione previsti dalla legislazione anti-terrorismo e in materia di ordine pubblico.

[13] Si veda la relazione del Governo Recall of MPs Draft Bill, pubblicata nel dicembre 2011. Le valutazioni del Political and Constitutional Committee della Camera dei Comuni sono esposte nella relazione pubblicata il 18 ottobre 2012: Recall of MPs: Government Response to the Committee's - First Report of Session 2012-13.

[14] In epoca contemporanea, la sanzione della expulsion è stata applicata dalla Camera dei Comuni tre volte: nel 1922, nel 1947 e nel 1953. Secondo l’opinione emersa in seno al Committee on Standards and Privileges, il ricorso raro ed episodico a questa misura appare motivato dal suo carattere estremo e dalla cautela verso provvedimenti suscettibili di interferire con le scelte dell’elettorato. Il relativo procedimento, inoltre, presenterebbe aspetti di dubbia compatibilità con lo Human Rights Act 1998, come rilevato già nel 1999 dal Joint Committee on Parliamentary Privilege.

[15] Mette conto segnalare che, con risoluzione adottata nel 2003, è stata introdotta alla Camera dei Comuni la misura disciplinare della sospensione dell’indennità corrisposta ai suoi componenti.

[16] Il Tribunale costituzionale ha chiarito che l’ambito materiale concernente le “opinioni” espresse comprende anche le “dichiarazioni di giudizio o di volontà”; per quanto riguarda invece l’ambito funzionale, il giudice costituzionale ha optato per un’interpretazione restrittiva, escludendo tutti gli atti realizzati dal parlamentare come “cittadino” (o anche come “politico”), ma comunque compiuti “fuori dell’esercizio delle competenze e funzioni che potessero corrispondergli come parlamentare” (sentenza 51/1985).

[17] Non vi sono norme specifiche sui tempi di trasmissione dei fascicoli da parte delle autorità giudiziarie al Tribunale supremo, né sulla portata delle indagini che esse possono svolgere preliminarmente. A tutela dei parlamentari eventualmente indagati, va segnalata la Legge organica 7/2002, che ha posto l’obbligo di inviare anche al parlamentare, oggetto di indagine da parte di qualsivoglia autorità giudiziaria, un avviso di garanzia, così come avviene per tutti i cittadini; si evita perciò che il parlamentare venga a conoscenza dei procedimenti che lo riguardano soltanto al momento della richiesta di autorizzazione da parte del Tribunale supremo o, addirittura, ne abbia notizia attraverso i mezzi di informazione.

[18] Ulteriori disposizioni di dettaglio sono contenute negli articoli 750-756 del codice di procedura penale e nella Ley de 9 de febrero de 1912 declarando los Tribunales que han de entender en el conocimiento de las causas contra Senadores y Diputados, formalmente in vigore, anche se considerata implicitamente abrogata da parte della dottrina. Le sentenze del Tribunale supremo, pronunciate ai sensi dell’articolo 71, comma 3, della Costituzione, sono da considerarsi definitive e non ricorribili, come è stato chiarito dalla sentenza 51/1985 del Tribunale costituzionale.

[19] La terminologia adottata dalla legge (“se sobreseerá respecto al Senador o Diputado a Cortes”, ex art. 754 del codice di procedura penale, e “sobreseimiento libre, respecto al Senador o Diputado”, ex art. 7 della Ley de 9 febrero 1912) sembra attestare il proscioglimento definitivo dell’imputato, anche se esistono opinioni in dottrina in favore di un “proscioglimento temporaneo” e che quindi non escluda, in via teorica, la possibilità di una ripresa del procedimento alla decadenza dal mandato parlamentare. È comunque estranea al modello spagnolo qualunque problematica sulla “sospensione dei procedimenti” o sulla “decorrenza (o meno) dei tempi di prescrizione”. In aggiunta, la prassi applicativa dell’istituto dell’autorizzazione a procedere attesta un sostanziale rispetto ed equilibrio tra i poteri legislativo e giudiziario: a fronte di un limitato numero di richieste provenienti dalla magistratura, va evidenziata la tendenza alla concessione dell’autorizzazione, eccetto rari casi, da parte del Parlamento. Infine la possibilità di impugnare dinanzi al Tribunale costituzionale la decisione delle Camere e la scelta del “foro speciale” per il giudizio sui parlamentari sono unanimemente riconosciuti come elementi di garanzia e di equilibrio del sistema.