Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione straniera
Titolo: I diritti degli utenti di Internet: le esperienze in Europa e in America latina
Serie: Appunti    Numero: 74
Data: 10/06/2014
Descrittori:
EUROPA   RETI DI COMUNICAZIONE E TRASMISSIONE
SUD AMERICA   TUTELA DEI CONSUMATORI E DEGLI UTENTI

Camera dei deputati

XVII Legislatura

 

BIBLIOTECA –  LEGISLAZIONE STRANIERA

 

A P P U N T I

 

Appunto 24/2014                                                                           10 giugno 2014

 

I diritti degli utenti di Internet:

le esperienze in Europa e in America latina

Francia

Il primo gennaio 2010, dopo un iter durato quasi due anni, è entrata in vigore la legge francese «Création et Internet», comunemente denominata legge Hadopi, acronimo di Haute Autorité pour la diffusion des oeuvres et la protection des droits sur Internet, l’autorità preposta al controllo dei comportamenti degli utenti di Internet lesivi del diritto d’autore. La versione finale della legge (Loi n. 2009-1311, del 28 ottobre 2009 - Hadopi II) è il risultato di un robusto intervento correttivo svolto dal Conseil constitutionnel (Décision n. 2009-580 DC, del 10 giugno 2009), che ha depotenziato alcuni principi cardine del primo provvedimento in materia approvato dal Parlamento nazionale (Loi n. 2009-669, del 19 giugno 2009 – Hadopi). Il Consiglio ha censurato i poteri sanzionatori inizialmente attribuiti all’Hadopi e ha negato che la tutela dei diritti di proprietà intellettuale possa giustificare improprie compressioni della libertà di espressione, che vede in Internet uno dei più efficaci strumenti di realizzazione. La sentenza identifica anzi una sorta di “diritto fondamentale” all’accesso ad Internet; contestualmente, essa suggerisce la necessità che qualsiasi sanzione sia proceduta dal vaglio di un’autorità giurisdizionale, introducendo un tema di dibattito la cui risonanza sembra poter oltrepassare i confini francesi. In particolare, il Conseil constitutionnel ha affermato che “lo sviluppo generalizzato dei servizi pubblici di comunicazione online e l’importanza di questi ultimi per la partecipazione alla democrazia e l’espressione di idee e opinioni, le libertà di comunicazione dei pensieri e di opinioni sancite dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 costituiscono libertà implicite per accedere a tali servizi”.

Per ciò che riguarda specificamente il delicato tema del “diritto all’oblio”, nell’ottobre 2010 è stata siglata, da alcuni importanti operatori di siti e motori di ricerca (tra i quali Microsoft), la prima carta del diritto all’oblio, elaborata e promossa dall’allora Segretario di Stato francese all’economia digitale Nathalie Kosciusko-Morizet (Governo Fillon II), che si configura come una sorta di codice di condotta il cui contenuto ha valenza prevalentemente programmatica, ma impegna i firmatari ad agire in modo da agevolare il conseguimento di particolari obiettivi, quali il miglioramento della trasparenza nello sfruttamento dei dati e una gestione facilitata dei dati da parte degli utenti. In tale ambito la carta individua una serie di azioni mirate al raggiungimento dei seguenti obiettivi: sensibilizzazione ed educazione degli internauti; protezione dei dati personali dall’indicizzazione automatica da parte dei motori di ricerca; gestione da parte degli internauti dei dati pubblicati in rete; adozione di misure d’informazioni specifiche a beneficio dei minori; istituzione di un organismo competente a ricevere le richieste di cancellazione o modifica dei dati personali da parte degli utenti e la gestione del trasferimento di dati. Tuttavia, il rifiuto da parte di due colossi Google e Facebook di aderire alla carta riduce di molto l’efficacia di questo tentativo di autoregolamentazione. Alla base del diniego vi è infatti il timore che un controllo più pervasivo sul trattamento dei dati personali potrebbe comportare pesanti ricadute su altri diritti fondamentali, tra i quali in primis la libertà di espressione.

 

 

Germania

Nell’ordinamento tedesco il diritto relativo ad Internet (c.d. Internetrecht o Onlinerecht) non costituisce una branca giuridica a sé stante, ma investe diversi ambiti normativi: diritto civile e commerciale, diritto d’autore, disciplina della concorrenza, diritto penale, diritto internazionale privato, protezione dei dati personali, diritto delle telecomunicazioni. Con riferimento a quest’ultimo settore, Internet è stato inizialmente classificato come “servizio telematico” ai sensi della legge federale sui servizi telematici (Teledienstegesetz - TDG dell’11 luglio 1997) e come “servizio mediatico” ai sensi dell’Accordo di Stato tra Federazione e Länder sui servizi mediatici (Mediendienste-Staatsvertrag – MDStV del 31 gennaio 1997). Tale bipartizione, oggi superata dalla nuova disciplina del 2007 che ha abrogato entrambe le normative, si basava sulle diverse competenze legislative attribuite, rispettivamente, alla Federazione per quanto riguarda il settore delle telecomunicazioni e l’aspetto economico, e ai Länder per la regolamentazione della stampa e dei servizi radiotelevisivi. Nel 2007, con la riforma sistematica del diritto dei media e di Internet, i due concetti giuridici di servizio telematico e servizio mediatico sono stati fusi in quello di “mezzo telematico”, oggetto della legge sui media telematici (Telemediengesetz del 26 febbraio 2007, da ultimo modificata dall’art. 1 della legge del 31 maggio 2010).

La responsabilità per i contenuti diffusi online è dell’emittente dalla quale tali contenuti sono stati inviati, a meno che essa non riesca a dimostrare che i contenuti di un’altra persona sono stati inoltrati con il suo stesso consenso. Nell’ottica di una rete che supera i confini nazionali devono essere osservate le leggi del paese in cui i dati vengono trasmessi ma, in alcuni casi, il diritto nazionale può essere applicato anche nel paese in cui la legge è stata infranta. Nella maggior parte dei casi, quindi, trova applicazione il diritto vigente nello Stato che trasmette determinati contenuti, sempre che lo Stato del ricevente tolleri l’invio di dati secondo un diritto straniero. Per citare un esempio giurisprudenziale emblematico, si può far riferimento ad una sentenza di principio della Corte di cassazione federale (c.d. Holocaust-Urteil del Bundesgerichstshof) del 12 dicembre 2000, secondo la quale un cittadino australiano può essere ritenuto penalmente responsabile in Germania per un sito web negazionista dell’olocausto, ospitato su un server in Australia.

Sul versante della protezione dei dati personali e del diritto alla privacy assume particolare rilevanza la sentenza della Corte costituzionale federale del 2 marzo 2010, che ha dichiarato l’incostituzionalità delle disposizioni attuative della direttiva europea 2006/24/CE sulla conservazione di dati generati o trattati nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico. Nello specifico si tratta degli artt. 113a e 113b della Telekommunikationsgesetz e dell’art. 100g del codice di procedura penale (Strafprozessordnung). Secondo i giudici costituzionali le norme di recepimento della direttiva europea sono incompatibili con l’art. 10, comma 1 della Legge fondamentale (Grundgesetz) che sancisce l’inviolabilità del segreto della corrispondenza, postale e delle telecomunicazioni. Tali disposizioni violano quindi un diritto costituzionalmente garantito, consentendo l’archiviazione di dati sensibili in mancanza di parametri di sicurezza per i cittadini e non fornendo informazioni precise in merito alle modalità di utilizzo di tali dati. Pur non mettendo in discussione in linea di principio la validità della norma europea (che sarà poi dichiarata invalida dalla sentenza della Corte di giustizia europea dell’8 aprile 2014), la Corte costituzionale tedesca reputa l’applicabilità delle disposizioni di recepimento di particolare gravità per la segretezza delle telecomunicazioni, ritendo i dati archiviati sufficienti per una profilazione invasiva degli utenti riguardo alle loro opinioni politiche, ai loro gusti personali, ai loro comportamenti in fatto di consumi, e ad altro ancora. I giudici hanno inoltre sottolineato il rischio di abuso in quanto l’affidamento ad attori privati di dati di tale importanza non può essere consentito in presenza di deboli garanzie di sicurezza. Non da ultimo la raccolta e conservazione di tali dati senza un preciso motivo rischiano di provocare negli utenti una diffusa sensazione di essere costantemente osservati a scapito della garanzia e tutela dei propri diritti fondamentali.

Per quanto concerne, invece, il diritto di accesso alla rete, connesso al diritto all’informazione, si segnala una più recente pronuncia della Corte di cassazione federale del 24 gennaio 2013 (BGH, Urteil vom 24.01.2013 – III ZR 98/12), che ha riconosciuto il diritto al risarcimento ad un cittadino che, a causa di un adeguamento tariffario, era stato privato della connessione ad internet per due mesi. La Corte ha invece negato il risarcimento per l’impossibilità di utilizzare il fax ed il telefono fisso perché il ricorrente avrebbe potuto ovviare con altri mezzi (fax all’ufficio postale e utilizzo del telefono cellulare). Pur trattandosi di un risarcimento non elevato, va rilevato che la Corte ha ritenuto Internet una componente importante della vita moderna ponendolo sullo stesso piano del diritto alla mobilità (come nel caso dell’impossibilità di utilizzare la propria auto per un certo periodo a causa di un incidente imputabile a terzi). Secondo l’allora Ministro federale della giustizia (Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, FDP) la sentenza è una dimostrazione di quanto la rete sia fondamentale per il diritto all’informazione e configura l’utilizzo di Internet come un vero e proprio diritto del cittadino (Bürgerrecht).

 

 

 

 

Regno Unito

Nel Regno Unito la normativa rilevante per la tutela delle posizioni soggettive concernenti l’accesso ad Internet e la sua utilizzazione ha fonte in una molteplicità di testi legislativi.

La tutela dei dati personali, in primo luogo, è disciplinata dal Data Protection Act 1998. Adottata in attuazione delle norme comunitarie, la legge ha innovato un ambito disciplinare tradizionalmente caratterizzato dall’elaborazione giurisprudenziale degli istituti tipici della privacy. Peraltro, un tratto peculiare delle disposizioni del 1998 è da cogliere nella visione integrata degli aspetti di rilevanza giuridica concernenti la circolazione delle informazioni, che trova espressione nella attribuzione all’autorità indipendente di settore (Information Commissioner’s Office) di competenze di controllo e di garanzia non limitate al campo della data protection, ma concernenti anche il diritto di accesso dei singoli alle informazioni di interesse pubblico (disciplinato dal Freedom of Information Act 2000).

Un profilo che ha assunto specifico rilievo, nell’esperienza britannica, si correla con la questione del bilanciamento tra le garanzie concernenti il trattamento di dati personali e le esigenze di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza dello Stato, perseguite attraverso attività di sorveglianza elettronica disposte dai poteri pubblici. In quest’ambito, le innovazioni legislative dirette ad adeguare il diritto interno agli aggiornamenti del corpus normativo comunitario in materia di privacy (con riferimento alle comunicazioni elettroniche e alla data retention) si sono intersecate, nel contesto nazionale, con i provvedimenti adottati nell’ambito della lotta al terrorismo.

Principale testo normativo di riferimento, assieme alle norme attuative e ai codici di condotta che ne integrano la disciplina, è a questo riguardo il Regulation of Investigatory Powers Act 2000 (RIPA), con cui il legislatore ha inteso individuare un punto di equilibrio tra l’azione investigativa dei poteri pubblici – soggetta ad un regime di autorizzazioni - e il rispetto delle garanzie previste dalla CEDU. La necessaria applicazione del principio di proporzionalità, sulla cui sola base possono essere giustificate modalità di controllo certamente invasive della vita privata, discende, in particolare, dalla vigenza dello Human Rights Act 1998, con cui il Regno Unito ha incorporato nel proprio ordinamento la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, introducendovi garanzie di rango sostanzialmente costituzionale che, nel quadro di più recenti ipotesi politico-istituzionali concernenti l’introduzione di una written constitution nel Regno Unito, sono state considerate il nucleo di una eventuale codificazione dei diritti fondamentali nella forma di un moderno Bill of Rights.

Quali che siano i possibili esiti del più generale dibattito circa l’opportunità di una solenne enunciazione dei diritti fondamentali, è il caso di segnalare il rilievo particolare assunto, tra questi, dal diritto alla privacy, venuto al centro dell’attenzione sotto il profilo del contemperamento delle relative garanzie con diverse e perlopiù confliggenti finalità di interesse pubblico. Aspetti problematici, a questo riguardo, sono emersi con riguardo all’aggiornamento degli strumenti normativi in materia di intercettazione delle comunicazioni elettroniche (oggetto di un Communications Data Bill redatto nel 2012 e tornato al riesame dello Home Office dopo i rilievi formulati dagli organi parlamentari in punto di compatibilità con i diritti fondamentali); all’operatività del National DNA Database, e alle relative modalità di conservazione (dopo la sentenza di condanna pronunciata nel 2008 nei confronti del Regno Unito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Marper) dei dati genetici e biometrici di persone con precedenti penali; alle previsioni (abrogate nel 2010 dall’attuale Esecutivo pochi mesi dopo il suo insediamento) istitutive di una base centralizzata di dati anagrafici (Identity Cards Act 2006). In questo quadro, non è mancata la sollecitazione, espressa in forma di mozione in una delle più recenti sessioni parlamentari, riferita all’opportunità di disciplinare in modo esplicito, quale aspetto sostanziale di una “carta dei diritti di Internet” (Internet Bill of Rights), la garanzia della privacy dell’utente della Rete.

Un profilo non meno rilevante della disciplina cui soggiace l’utilizzazione di Internet, la libertà di espressione, non è inciso da previsioni specificamente riferite alla natura del mezzo utilizzato. A parte la prescrizione generale che vieta l’uso “inappropriato” delle reti di comunicazione elettronica (dettata dal Communications Act 2003, art. 127), deve infatti farsi capo, per le ipotesi di espressioni discriminatorie e di istigazione all’odio diffuse attraverso la Rete, alla legislazione ordinaria in materia di “hate speech”. Essa è costituita, principalmente, dal Public Order Act 1986, modificato nel 2008 per integrarne le disposizioni con il riferimento alla discriminazione sessuale e di genere; e dal Racial and Religious Hatred Act 2006, di cui è oggetto la discriminazione fondata sull’origine etnica e sul credo religioso. Per quel che concerne le disabilità, il termine normativo di riferimento è costituito dall’Equality Act 2010, di cui può imputarsi la violazione a chi per mezzo della Rete diffonda contenuti discriminatori riferiti a tale condizione personale, inclusa tra quelle oggetto di tutela (oltre all’età, allo stato civile, all’orientamento sessuale, al mutamento di sesso).

Le disposizioni di questi testi legislativi sono corredate dall’indicazione di criteri che individuano, in relazione ai diversi ambiti della discriminazione, la sussistenza e la gravità del comportamento vietato. La rilevanza di questi criteri, manifestatasi nella loro applicazione in sede giurisdizionale e nell’attività delle authorities istituite con compiti di garanzia in taluni settori “sensibili” (come la Equality and Human Rights Commission), si traduce, sul piano pratico, nella tipizzazione di comportamenti discriminatori e ispirati dall’odio compiuti per mezzo della Rete, per la cui rilevazione e segnalazione è operativo, dal 2011, un apposito servizio on-line gestito dalle autorità di polizia (True Vision).

Peraltro, un limite alla libertà di espressione, secondo alcune opinioni critiche, sarebbe derivato dal recente intervento rubricato sotto l’espressione “economia digitale”, con cui il legislatore ha previsto (con il Digital Economy Act 2010) un maggiore coinvolgimento dei providers nell’azione di contrasto dei fenomeni di violazione dei diritti di privativa sui contenuti digitali, e delineato strumenti inibitori che possono consistere nel blocco dei siti Internet di cui sia riconosciuta la responsabilità in atti di pirateria concernenti il diritto d’autore. Sul piano operativo, le modalità di blocco dei siti Internet, e le relative opzioni tecniche, sono state prese in esame da parte dell’autorità di garanzia delle comunicazioni – OFCOM – in un documento del 2010 espressamente dedicato al “site blocking”.

Un tema ulteriore, di notevole risonanza presso l’opinione pubblica e posto recentemente anche all’attenzione parlamentare, riguarda la tutela dei minori on-line. Sulla base dei risultati di un’inchiesta indipendente promossa nel 2012 dalla Camera dei Comuni e affidata ad esperti esterni, è stata prospettata, e sottoposta ad una consultazione pubblica, l’opportunità di adottare misure normative per ottenere dai providers una preliminare configurazione delle modalità di connessione alla Rete idonea a filtrare e a bloccare preventivamente i contenuti potenzialmente lesivi. Tale soluzione di filtraggio “alla fonte”, tuttavia, è stata ritenuta di dubbia efficacia e proporzionalità dal Governo, che nella sua replica alla relazione conclusiva dell’inchiesta ha evidenziato (anche sulla base dei risultati della consultazione pubblica) il ruolo imprescindibile di un’attiva vigilanza dei genitori (attraverso le opzioni tecniche di “parental control”) sull’uso “sicuro” di Internet da parte dei propri figli.

Il tema dell’adozione di metodiche opt-in oppure opt-out per la connessione alla Rete e la selezione dei contenuti per suo tramite diffusi è emerso, più di recente, in sede politica e con riferimento particolare alla tutela dei minori rispetto alla diffusione di contenuti pornografici. Il Primo Ministro ha annunciato, in un discorso pronunciato nel 2013, l’intento di voler prevedere l’obbligo per i providers di predisporre una connessione filtrata (“family-friendly filters”) per tutti i nuovi utenti salvo loro diversa opzione, e di contattare gli utenti già abbonati per informarli della possibilità di optare per tale modalità “sicura” di configurazione di accesso alla rete ove non preferiscano diversamente. Riguardo alla legislazione vigente, il Primo Ministro ha annunciato modifiche (attraverso il Criminal Justice and Court Bill attualmente all’esame del Parlamento) delle norme in materia di pornografia estrema, al fine di reprimerne con maggiore severità la diffusione anche attraverso Internet.

 

 

Spagna

La Costituzione spagnola (1978) non contiene riferimenti diretti a Internet. Tuttavia l’art. 18 garantisce il segreto delle comunicazioni e in specie di quelle postali, telegrafiche e telefoniche, salva decisione giudiziale (comma 3), prevedendo inoltre che la legge ponga limiti all’uso dell’informatica per salvaguardare l’onore e l’intimità personale e familiare dei cittadini, nonché il pieno esercizio dei loro diritti (comma 4).

La principale norma in materia di protezione dei dati personali è costituita dalla Ley Orgánica 15/1999, de 13 de diciembre, de protección de datos de carácter personal, che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria 95/46 del 24 ottobre 1995, “relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati”. L’aspetto peculiare della legge è costituito dall’enunciazione delle regole che devono presiedere alle operazioni di trattamento di dati personali. In estrema sintesi, si stabilisce che i dati debbano essere trattati in modo leale e legittimo, e in conformità alle condizioni specifiche previste per i dati sensibili (datos especialmente protegidos, art. 7); si affermano i princìpi di finalità e di pertinenza, dovendo i dati essere raccolti per uno scopo conforme alla legge, e sottoposti a trattamento solo a questo fine e non per ulteriori utilizzazioni. Essi devono essere conservati per il tempo strettamente necessario al loro trattamento, devono essere accurati e aggiornati, devono essere protetti da misure tecniche di sicurezza, idonee ad impedire la loro perdita, alterazione o distruzione accidentale nonché la loro accessibilità da parte di terzi non autorizzati. Ai soggetti interessati è riconosciuto: il diritto di accesso ai propri dati detenuti da terzi, nonché quello, in casi prestabiliti, di opporsi al relativo trattamento (artt. 6, 14); il diritto di impugnare atti dell’amministrazione o di soggetti privati assunti sulla base di valutazioni sorrette unicamente dal trattamento di dati personali (art. 13); il diritto di accesso al Registro generale di protezione dei dati, in cui sono riportate le finalità dei trattamenti di dati e l’identità dei soggetti responsabili (art. 14); il diritto di ottenere la rettifica o la cancellazione di dati personali incompleti, inesatti o non pertinenti (art. 16); il diritto al risarcimento del danno (art. 19). Il legislatore spagnolo ha infine previsto, conformemente alle disposizioni comunitarie, alcune deroghe alla disciplina generale, nel quadro delle garanzie riconosciute ai soggetti interessati: tali deroghe operano con riguardo al trattamento di dati personali compiuti dalle pubbliche autorità a fini di sicurezza nazionale o di assistenza sociale, e da soggetti privati nell’ambito dell’attività giornalistica, della ricerca storica, scientifica e statistica.

Nel 2002 è stata approvata la Ley 34/2002, de 11 de julio, de servicios de la sociedad de la información y de comercio electrónico, con la quale il legislatore ha accolto un concetto ampio di “servizi della società dell'informazione”, comprendente, al di là dell’ambito della contrattazione di beni e servizi per via elettronica, la fornitura di informazioni, l’invio di comunicazioni commerciali, le attività di intermediazione per l’accesso a Internet, la trasmissione di dati attraverso le reti di telecomunicazioni e l’offerta di strumenti di ricerca, accesso e ricompilazione di dati, purché svolte con finalità economiche. Il principio della libera prestazione dei servizi della società dell’informazione trova il suo limite nel rispetto di alcuni valori fondamentali: la salvaguardia dell’ordine pubblico, delle indagini giudiziarie e della difesa nazionale; la protezione della salute pubblica o delle persone fisiche dei consumatori, degli utenti e degli investitori; il rispetto della dignità della persona e il divieto di discriminazioni in base alla razza, al sesso, alla religione, alle opinioni, alla nazionalità, all’incapacità o a qualsiasi altra circostanza personale o sociale; la protezione della gioventù e dell’infanzia. Le amministrazioni pubbliche devono favorire l’elaborazione e l’applicazione di codici di condotta volontari, redatti con la partecipazione delle associazioni dei consumatori e degli utenti e volti alla protezione dei destinatari dei servizi, in particolare dei minori. Per quanto concerne l’informazione e il controllo, sia i destinatari sia i fornitori dei servizi possono, indirizzandosi ai Ministeri competenti e agli organi corrispondenti presso le Comunità autonome, ottenere informazioni relative ai propri diritti, alle obbligazioni contrattuali, ai procedimenti di risoluzione dei conflitti, nonché indicazioni concernenti le autorità, le associazioni e le organizzazioni che possono fornire informazioni ulteriori o assistenza pratica.

Nel 2009 è stato adottato il Real Decreto 899/2009, de 22 de mayo, por el que se aprueba la carta de derechos del usuario de los servicios de comunicaciones electrónicas. La Carta dei diritti dell’utente dei servizi di comunicazione elettronica ha raccolto le disposizioni relative ad alcuni diritti già riconosciuti, aggiungendone degli altri. In particolare l’art. 3 del decreto riconosce, tra gli altri, il diritto a ottenere una connessione alla rete telefonica pubblica da un’ubicazione fissa, che faciliti l’accesso funzionale a Internet e di accedere alla prestazione del servizio telefonico, così come al resto delle prestazioni comprese nel servizio universale, il diritto a ricevere servizi di comunicazioni elettroniche con garanzia di qualità ed un’informazione comparabile, pertinente e aggiornata sulla qualità dei servizi di comunicazioni elettroniche disponibili, e infine il diritto alla protezione dei dati di carattere personale[1]. L’art. 5 prevede che, in relazione al servizio di banda larga per l’accesso a Internet, l’operatore non può applicare all’utente finale un’offerta la cui velocità pubblicizzata sia superiore alla velocità massima permessa dalla tecnologia utilizzata. L’art. 16 prevede inoltre il diritto a un indennizzo per l’interruzione temporanea del servizio di accesso a Internet.

La Ley 2/2011, de 4 de marzo, de Economía Sostenible, all’interno della Strategia di recupero dell’economia spagnola, ha previsto un ampio programma di riforme volte a una nuova crescita equilibrata e duratura, che sia sostenibile dal punto di vista economico, ambientale e sociale. In particolare l’art. 52 ha previsto l’inclusione, come parte integrante del servizio universale di telecomunicazioni, di una connessione che consenta comunicazioni di dati di banda larga a una velocità di downstream di 1 Mbit al secondo, mediante qualsiasi tecnologia. La Commissione delegata del Governo per gli affari economici può fissare un costo massimo per le connessioni che permettono comunicazioni in banda larga incluse nel servizio universale. La quarantatreesima disposizione finale disciplina inoltre l’attività di download da Internet, prevedendo la possibilità, da parte della Commissione sulla proprietà intellettuale, di privazione dell’accesso a Internet per i soggetti che violano i contenuti protetti dalle norme sul diritto d’autore.

Infine, nel 2014 è stata approvata la nuova legge sulle comunicazioni: la Ley 9/2014, de 9 de mayo, General de Telecomunicaciones. L’art. 3 della legge pone tra gli obiettivi della legge la difesa degli interessi degli utenti, assicurando il loro diritto di accesso ai servizi di comunicazioni elettroniche in condizioni adeguate di prezzo e qualità, promuovendo la capacità degli utenti finali ad accedere e distribuire l’informazione o utilizzare le applicazioni e i servizi, in particolare attraverso un accesso a Internet. Tutti gli utenti finali del servizio universale possono ottenere una connessione alla rete pubblica di comunicazioni elettroniche da un’ubicazione fissa, che consenta di realizzare comunicazioni tramite voce, fax e dati, a velocità sufficiente per accedere in maniera funzionale ad Internet. Tale connessione deve permettere comunicazioni di dati in banda larga a una velocità di downstream di 1 Mbit al secondo (art. 25). La Strategia nazionale di reti ultrarapide deve adottare le misure per raggiungere gli obiettivi stabiliti dall’Agenda digitale per l’Europa e incorporati nell’Agenda digitale per la Spagna e, in particolare, per assicurare l’universalizzazione di una connessione che permetta comunicazioni di dati di banda larga che si estenda progressivamente, in modo da raggiungere nel 2017 una velocità minima di Internet di 10 Mbit al secondo e, entro il 2020, di consentire a tutti gli utenti una velocità minima di Internet di 30 Mbit al secondo, e ad almeno il 50% delle famiglie l’accesso a servizi di velocità superiore a 100 Mbit al secondo (diciottesima disposizione aggiuntiva).

 

 

Altri paesi europei

La Grecia è tra i Paesi i cui ordinamenti contemplano previsioni di rango costituzionale, rilevanti per la ricostruzione di una sfera di diritti fondamentali espressamente riconducibili all’accesso e all’utilizzazione di Internet. La costituzione ellenica, a seguito della revisione costituzionale del 2001, prevede all’art. 5A), comma 2, che «ciascuno ha il diritto di partecipare alla Società dell’Informazione. La facilitazione dell’accesso alle informazioni trattate in forma elettronica, come anche la produzione, lo scambio e la diffusione di esse, è materia di obblighi per lo Stato, in conformità alle garanzie di cui agli articoli 9, 9A e 19» (traduzione non ufficiale).

All’esplicita previsione costituzionale di un diritto di accesso alla rete, fonte del corrispondente obbligo a carico dei pubblici poteri di garantirne l’effettiva realizzazione, non risulta però che abbiano fatto seguito provvedimenti attuativi da parte del legislatore ordinario, la cui adozione non costituisce, presumibilmente, una priorità attuale, considerata la dura crisi economica che ha colpito il Paese.

Sempre in ambito europeo, una delle esperienze più significative è quella dell’Estonia, il cui Telecommunications Act del febbraio 2000 ha inserito l’accesso alla rete nel novero degli obblighi di servizio universale, prefiggendosi, all’art. 5, di rendere Internet “(…) universally available to all subscribers regardless of their geographical location, at a uniform price”. In più, la Legge specifica l’intenzione di abbattere ogni discriminazione nei confronti degli utenti residenti in zone geograficamente disagiate del Pese, e ciò sia dal punto di vista del diniego dell’accesso alla rete, sia sotto il profilo dell’adeguamento tariffario nei confronti di tali soggetti. Inoltre, in ragione di una forte promozione delle nuove tecnologie al servizio della partecipazione democratica, l’Estonia ha introdotto, sin dalle elezioni amministrative del 2005, un sistema di votazione elettronica da sfruttare, su massima scala, anche per le elezioni politiche. Il voto elettronico è così divenuto una realtà consolidata, ripetutasi da ultimo in occasione delle elezioni politiche del 2011, quando il 24,3% delle preferenze è stato espresso con questa modalità.

Il meccanismo è stato sottoposto a critiche, successivamente diradate da una pronunzia della Riigikohus, la Corte suprema estone, che ha ricondotto l’introduzione dell’e-vote al tentativo di favorire la massima partecipazione possibile dei cittadini nei procedimenti elettorali.

La rilevanza di Internet è dunque saldata al principio partecipativo, tanto da porre la salvaguardia della partecipazione informatica su un piano sovraordinato rispetto ai dubbi espressi in relazione alla garanzia del rispetto di numerose caratteristiche del voto, tra cui segretezza, personalità e libertà.

Infine, anche la Finlandia ha intrapreso un percorso normativo iniziato con l’approvazione del Communications Market Act (393/2003), e culminato sei anni dopo con l’introduzione della banda larga tra gli obblighi di servizio universale.

La Sezione 60c) della legge finnica contiene la regolamentazione degli obblighi di servizio universale delle telecomunicazioni. La FI.CO.R.A. (Finnish Communications Regulatory Authority) individua un provider cui viene attribuito il ruolo di gestore del servizio universale delle telecomunicazioni, che ha il dovere di erogare il servizio alla totalità degli utenti ad un prezzo ragionevole ed indipendentemente dalla collocazione geografica. Tra gli obblighi di servizio universale, la legge individua anche una “appropriata connessione Internet per tutti gli utenti”. Il legislatore si cura altresì di stabilire dei parametri di riferimento per valutare quando un servizio abbia un prezzo “ragionevole” e quando una connessione possa ritenersi “appropriata”. Dal primo punto di vista dovranno essere valutati i prezzi medi, nonché il coefficiente di difficoltà ed i costi da sostenere per la realizzazione dell’infrastruttura. Dal secondo punto di vista, la legge attribuisce al Ministero dei Trasporti e delle Comunicazioni il compito di fissare, con decreto, la funzionalità minima di una connessione alla Rete affinché la stessa possa considerarsi “appropriata”. Ad oggi il governo finnico, con l’emanazione del Decreto 732/2009 sulle tariffe minime di un accesso funzionale ad Internet come servizio universale (traduzione inglese), ha fissato tale misura in almeno 1 Mbit per secondo in downstream.

 

 

Le esperienze di alcuni Paesi dell’America latina

In alcune Costituzioni dei Paesi dell’America latina è possibile rinvenire precisi riferimenti relativi a Internet e alle reti informatiche.

In Venezuela la Costituzione (1999-2000), all’art. 28, sancisce il diritto di ogni persona ad accedere all’informazione e ai dati contenuti in registri ufficiali o privati sulla persona medesima o sui suoi beni, con le eccezioni stabilite dalla legge, così come di conoscere l’uso che viene fatto dei dati e di richiedere al tribunale competente l’aggiornamento, la rettifica o la distruzione degli stessi, nel caso siano erronei o ledano illegittimamente i propri diritti. Allo stesso modo si può accedere a documenti di qualsiasi natura che contengano informazioni la cui conoscenza sia di interesse per comunità o gruppi di persone, fatto salvo il segreto delle fonti di informazione giornalistica o di altre professioni determinate dalla legge. L’art. 108 prevede che i mezzi di comunicazione, pubblici e privati, debbano contribuire alla formazione dei cittadini. Lo Stato deve altresì garantire servizi pubblici di radio, televisione e reti di biblioteca e informatiche, al fine di permettere l’accesso universale all’informazione. I centri di istruzione devono incorporare la conoscenza e l’applicazione delle nuove tecnologie e delle sue innovazioni, secondo requisiti stabiliti dalla legge.

In Honduras la Costituzione (1982), all’art. 182 (riformato nel 2006), riconosce, accanto all’hábeas corpus, un hábeas data. Quest’ultimo può essere promosso dalla persona i cui dati personali o familiari figurano in archivi, registri pubblici o privati, al fine di ottenere accesso all’informazione, impedire la sua trasmissione o divulgazione, rettificare dati inesatti o erronei, aggiornare l’informazione, esigere confidenzialità e l’eliminazione di false informazioni, rispetto a qualsiasi archivio o registro, pubblico o privato, contenuto in mezzi convenzionali, elettronici o informatici, che producano danno all’onore, all’intimità personale, familiare e alla propria immagine. Tale garanzia non riguarda il segreto delle fonti di informazione giornalistica.

In Brasile la Costituzione (1988), all’art. 5 (2014), prevede che

“Tutti sono uguali davanti alla legge, senza distinzione alcuna; è garantita, tanto ai brasiliani quanto agli stranieri residenti nel Paese, l’inviolabilità del diritto alla vita, alla libertà, all’uguaglianza, alla sicurezza e alla proprietà, nei seguenti termini:

(…)

LXXII. L’habeas data verrà concesso:

a) per assicurare la conoscenza di informazioni relative alla persona del richiedente, come risultano nei registri o nelle banche dati di enti governativi o di carattere pubblico;

b) per la rettifica di dati, qualora non si preferisca farlo con processo segreto, giudiziale o amministrativo”[2].

(…)”

Il Brasile ha quindi introdotto nel 2014 una disciplina organica relativa ai principi, alle garanzie, ai diritti e ai doveri per l’uso di Internet (Lei n. 12.965, del 23 aprile 2014, cosiddetto “Marco Civil da Internet”). Essa si fonda sul rispetto della libertà di espressione, come pure sul riconoscimento della dimensione globale della rete; sui diritti umani, lo sviluppo della personalità e l’esercizio della cittadinanza nell’ambito dei media digitali; sul pluralismo e la diversità; sull’apertura e la collaborazione; sulla libera iniziativa, la libera concorrenza e la tutela dei consumatori; sulla finalità sociale della rete (art. 2). La disciplina dell’uso di Internet deve attenersi ai seguenti principi: garanzia della libertà di espressione, comunicazione e manifestazione del pensiero, ai sensi della Costituzione; tutela della vita privata; protezione dei dati personali, secondo quanto previsto dalla legge; mantenimento e garanzia della neutralità della rete; mantenimento della stabilità, sicurezza e funzionalità della rete, mediante misure tecniche compatibili con gli standard internazionali e incoraggiando l’uso delle migliori pratiche; responsabilizzazione degli agenti in base alle loro attività, conformemente alla legge; mantenimento della natura partecipativa della rete; libertà quanto ai modelli di attività economica perseguiti su Internet, purché non in contrasto con gli altri principi stabiliti dalla legge (art. 3). La nuova normativa si prefigge, infine, i seguenti obiettivi: promuovere il diritto di tutti all’accesso a Internet; favorire l’accesso all’informazione, la conoscenza e la partecipazione alla vita culturale e alla gestione della cosa pubblica; promuovere l’innovazione e stimolare l’ampia diffusione delle nuove tecnologie e dei nuovi modelli di utilizzo e di accesso; promuovere l'adesione a standard tecnologici aperti che consentano la comunicazione, l’accessibilità e l’interoperabilità tra applicazioni e basi di dati (art. 4).

In Ecuador la Costituzione (2008), all’art. 16, sancisce che tutte le persone, in forma individuale o collettiva, hanno diritto a: una comunicazione libera, interculturale, includente, diversa e partecipativa, in tutti gli ambiti dell’interazione sociale, in qualsiasi mezzo e forma, nella loro propria lingua e con i propri simboli; all’accesso universale alle tecnologie di informazione e comunicazione; alla creazione di mezzi di comunicazione sociale e all’accesso in eguaglianza di condizioni all’uso delle frequenze dello spettro radioelettrico per la gestione di stazioni di radio e televisione pubbliche, private e comunitarie, e a bande libere per lo sfruttamento di reti senza fili; all’accesso e all’uso di tutte le forme di comunicazione visiva, uditiva, sensoriale e ad altre che permettano l’inclusione delle persone con disabilità; ad integrare gli spazi di partecipazione previsti nella Costituzione nel campo della comunicazione.

In ultimo va segnalata un’importante sentenza della Sala Constitucional (Corte Costituzionale) della Costa Rica, che, con la pronuncia n. 12790 del 30 luglio del 2010, ha affermato che “il ritardo del governo ad aprire il mercato delle comunicazioni alla concorrenza equivale ad una violazione delle libertà fondamentali, arrecando un grave pregiudizio alla libertà di scelta dei consumatori e all’eliminazione del digital divide. Secondo le argomentazioni della Corte, “l’evoluzione negli ultimi venti anni in materia di tecnologia dell’informazione e della comunicazione […] ha rivoluzionato l’ambiente sociale dell’essere umano […], con la conseguenza che può affermarsi che questa tecnologia ha avuto un impatto significativo sul modo nel quale l’essere umano comunica, facilitando la relazione tra persone ed istituzioni a livello mondiale e eliminando la barriera di spazio e tempo. Ne discende che l’accesso a queste tecnologie si converte in uno strumento primario per agevolare l’esercizio dei diritti fondamentali, come, tra gli altri, la partecipazione democratica (democrazia elettronica) e il controllo dei cittadini, la formazione, la libertà di espressione e di pensiero, l’accesso all’informazione ed ai servizi pubblici online, il diritto a rapportarsi con i pubblici poteri attraverso strumenti elettronici e la trasparenza amministrativa”. In questo modo, la Sala Constitucional ha riconosciuto il ruolo di Internet come strumento fondamentale della comunicazione interpersonale, agevolando il rapporto tra i cittadini privati e i pubblici poteri, mediante il superamento di barriere tecniche che gli strumenti tradizionali non erano in grado di eliminare.



[1] Sul sito del Governo spagnolo è disponibile una scheda sul contenuto della Carta dei diritti dell’utente delle telecomunicazioni.

[2] Una traduzione in italiano della Costituzione brasiliana, aggiornata al 2003, è disponibile sul sito del Consiglio regionale del Veneto.