Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione straniera
Titolo: La normativa in materia di bonifiche dei siti contaminati in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna
Serie: Appunti    Numero: 61
Data: 22/05/2014
Descrittori:
DECONTAMINAZIONE DALL' INQUINAMENTO   DIRITTO
FRANCIA   GERMANIA
GRAN BRETAGNA   SPAGNA

Camera dei deputati

XVII Legislatura

 

BIBLIOTECA – LEGISLAZIONE STRANIERA

 

A P P U N T I

 

Appunto 22/2014                                                                          21 maggio 2014

La normativa in materia di bonifiche dei siti contaminati in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna

Francia

1. La normativa in materia di “responsabilità ambientale”

In Francia, con l’adozione della “Carta dell’ambiente” (Charte de l’Environnement 2004) - cui è stato conferito valore di testo fondamentale mediante la Legge costituzionale n. 2005-205 del 1° marzo 2005 - è stato posto il principio della responsabilità per danno ambientale. L’art. 4 della Carta dispone infatti che “ogni persona deve contribuire alla riparazione dei danni che causa all’ambiente, nelle condizioni definite dalla legge”.

Successivamente, con l’approvazione della Loi n. 2008-757 del 1° agosto 2008 “relativa alla responsabilità ambientale e a diverse disposizioni di adattamento al diritto comunitario nel settore dell’ambiente”, è stata trasposta nell’ordinamento francese la Direttiva europea 2004/35/CE in materia di precauzioni e rimedi per danni all’ambiente. Come è noto, la direttiva introduce il principio “chi inquina paga” e dispone una disciplina in materia di responsabilità ambientale, per prevenire e riparare i danni recati all’ambiente e le minacce imminenti di tali danni.

Con la legge n. 2008-757 sono state in particolare recate modifiche al Codice dell’ambiente (Code de l’Environnement). Nello specifico, le norme di rango legislativo in materia di “responsabilità ambientale”, introdotte dal provvedimento, sono contenute nel Titolo VI, del Libro I, della parte legislativa del Codice dell’ambiente (CA), relativo a “Prevenzione e riparazione di certi danni causati all’ambiente” (artt. L160-1 e ss. CA). Le norme di rango regolamentare in materia, introdotte successivamente dal Décret n. 2009-468 del 23 aprile 2009, e in seguito parzialmente modificate, sono contenute nel Titolo VI, del Libro I, della parte regolamentare del Codice dell’ambiente relativo allo stesso tema (artt. R161-1 e ss. CA).

Si rileva in particolare che gli articoli del codice sopra richiamati disciplinano le condizioni nelle quali sono evitati o riparati determinati danni causati all’ambiente, in applicazione del principio “chi inquina paga” e mediante operazioni che abbiano un costo ragionevole per la società (art. L160-1 CA).

I “danni causati all’ambiente” sono i fatti che, causando un degrado diretto o indiretto dell’ambiente, creino un rischio di nuocere gravemente alla salute umana a causa della contaminazione dei suoli dovuta all’introduzione di determinate sostanze; colpiscano gravemente lo stato ecologico, chimico o quantitativo delle acque; impediscano gravemente il mantenimento o il ristabilimento in uno stato di conservazione di determinate specie animali; ostacolino le funzioni benefiche assicurate dai suoli, dalle acque, e da alcune specie ed habitats naturali (art. L161-1 CA; artt. R161-1 - R161-5 CA). È inoltre prevista la riparazione di ogni “minaccia imminente” di tali danni.

La persona che può essere ritenuta responsabile di questi danni è riconosciuta nel “gestore” o “controllore” (l’exploitant) di un’attività economica che ha prodotto deterioramenti all’ambiente. La nozione di “exploitant” si estende ad ogni “persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che esercita o controlla effettivamente, a titolo professionale, un’attività economica a fini di lucro o senza tali fini (art. L160-1 CA). Può dunque essere ritenuto responsabile di un danno ambientale un imprenditore, o un ente territoriale, ma non un soggetto privato che esercita un’attività economica non a titolo professionale.

Le spese che si rendono necessarie per attuare le misure di prevenzione (artt. L162-3 - L162-5 CA) o riparazione (artt. L162-6 - L162-12 CA) del danno sono sostenute dal gestore o controllore dell’attività economica che ha recato degrado all’ambiente.

Le spese per le misure di prevenzione o riparazione di un danno ambientale possono essere ripartite tra più gestori o controllori di attività economiche qualora il danno abbia molteplici cause (art. L162-18 CA).

L’exploitant può inoltre richiedere il risarcimento delle spese effettuate per misure di prevenzione o riparazione di un danno ad un altro soggetto responsabile, qualora sia in grado di provare che il danno o la minaccia imminente dello stesso: sia stato commesso da un terzo, nonostante esistessero misure di sicurezza appropriate; risulti dal fatto di aver rispettato un ordine o un’istruzione di un’autorità pubblica non consecutivo ad un’emissione o un incidente causati dall’attività economica in questione (art. L162-22 CA).

Le spese per l’esecuzione delle misure sopra richiamate non possono essere a carico dell’exploitant, se questi prova che non ha colpa o negligenza e che il danno in questione risulta da un’emissione o un’attività, ovvero dall’utilizzo di un prodotto, non considerati suscettibili di provocare danni all’ambiente, tenuto conto dello stato delle conoscenze scientifiche e tecniche esistenti al momento del fatto che ha generato il danno (art. L162-23 CA).

L’autorità amministrativa competente in materia di prevenzione e riparazione dei danni causati all’ambiente è il prefetto del dipartimento nel quale è avvenuto il fenomeno di degrado ambientale, o nel quale si manifesta la sua minaccia. Nel caso in cui tali fenomeni si verifichino in più dipartimenti, il Primo ministro stabilisce il prefetto competente (art. R162-2 CA).

Qualora si manifesti un danno ambientale, il prefetto competente procede alla valutazione della natura e delle conseguenze del fatto. L’exploitant ritenuto responsabile è dunque chiamato a sottoporre all’approvazione del prefetto le misure di riparazione che intende eseguire (art. L162-7 CA). Su tali misure il prefetto richiede un parere alle collettività territoriali, ai loro raggruppamenti, o agli enti pubblici competenti, nonché alle associazioni di protezione dell’ambiente (art. L162-10 CA). Dopo aver offerto all’exploitant la possibilità di esprimere le sue osservazioni in materia, il prefetto dispone, con decisione motivata, le misure di riparazione che devono essere attuate (art. L162-11 CA).

Nel caso di contaminazione dei suoli, come previsto dall’art. L161-1, par. 1°, sez. I, CA, le misure di riparazione devono servire ad eliminare ogni rischio di attentato grave alla salute umana, tenendo conto delle condizioni del sito danneggiato. Deve inoltre essere prevista la possibile riparazione del suolo mediante rigenerazione naturale (art. L162-8 CA; artt. R162-9 - R162-10 CA).

In caso di urgenza, o qualora non sia possibile identificare immediatamente l’exploitant di un determinato danno ambientale, le collettività territoriali, altri enti territoriali o pubblici, le associazioni interessate, o i proprietari di terreni nei quali si è verificato il danno possono proporre all’autorità competente di eseguire loro stessi le misure di riparazione del danno (art. L162-15 CA). Nelle stesse situazioni il prefetto competente può disporre di eseguire lui stesso, o di far eseguire a spese dell’exploitant negligente, le misure di riparazione necessarie (art. L162-16 CA). Qualora l’exploitant venga meno ai suoi doveri con riguardo alle misure sia di prevenzione, sia di riparazione di un danno ambientale, l’autorità competente può disporre determinate sanzioni amministrative (art. L162-14; art. L171-8 CA). Se l’exploitant non comunica all’autorità amministrativa competente le informazioni dovute in caso di minaccia di danno ambientale o del suo verificarsi, o se non esegue le misure di riparazione del danno disposte dalla stessa autorità, può incorrere in sanzioni penali, che sono quelle stabilite per le contraventions della 5a classe, per le quali è prevista una pena pecuniaria fino ad un massimo di 1.500 euro (art. R163-1 CA; art. 131-13 Codice penale).

Nel luglio 2012 il Ministero dell’ambiente francese ha pubblicato una “Guida metodologica” per gli operatori del settore al fine di agevolare l’applicazione della legge n. 2008-757: “Le guide méthodologique: la loi résponsabilité environnementale et ses méthodes d’équivalence.

 

2. La legislazione delle “installations classées pour la protection de l’environnement” (ICPE).

Nell’ordinamento francese vige una legislazione specifica per alcuni stabilimenti che svolgono determinate attività produttive. Si tratta di fabbriche, officine, laboratori, depositi, cantieri, all’interno dei quali sono svolte attività economiche che possono presentare inconvenienti per la salute pubblica, per l’agricoltura, per la protezione dell’ambiente e dei paesaggi, per l’utilizzo razionale dell’energia, per la conservazione dei siti o del patrimonio archeologico. Tali istituti sono definiti “installations classées pour la protection de l’environnement” (ICPE) (art. L511-1 CA).

Una prima sistematizzazione della disciplina in materia è stata disposta con la Loi n. 76-663 del 19 luglio 1976 “relativa alle istallazioni classificate per la protezione dell’ambiente e con il Décret n. 77-1133 del 21 settembre 1977.

Attualmente la materia è disciplinata dal Codice dell’ambiente. Con riferimento alle disposizioni di rango legislativo, si tratta delle norme contenute nel Titolo I (“installations classées pour la protection de l’environnement”), del Libro V, della parte legislativa del Codice dell’ambiente (artt. L511-1 e ss. CA). Alcuni di questi articoli sono stati di recente modificati con la Loi n. 2014-366 del 24 marzo 2014 “per l’accesso all’alloggio e ad un’urbanistica rinnovata”. Con riferimento alle disposizioni di rango regolamentare si tratta delle norme contenute nel Titolo I, del Libro V, della parte regolamentare del medesimo codice (cfr. artt. R511-9 e ss.).

Le ICPE che possono operare in Francia sono definite nella “nomenclatura delle installazioni classificate” stabilita dal Governo con decreto adottato previo parere del Consiglio di Stato. Le ICPE, a seconda della gravità dei pericoli o dei possibili inconvenienti che le loro attività possono arrecare, sono sottoposte ad un regime di autorizzazione, di registrazione o di dichiarazione (art. L511-2 CA).

Con riferimento al momento della cessazione delle attività di una ICPE e alle misure di ripristino del sito (rémise en état du site) presso cui ha operato l’ICPE interessata, il Codice dell’ambiente dispone alcune regole specifiche.

Al momento della dichiarazione della cessazione definitiva delle attività, il gestore di una ICPE sottoposta ad autorizzazione o a registrazione è tenuto a porre il sito presso cui operava l’ICPE in condizioni di non nuocere agli interessi protetti dall’art. L511-1 CA e in condizioni tali da permetterne un “uso futuro” specifico che può essere o già determinato nel “decreto di autorizzazione” o definito congiuntamente con il sindaco competente per l’area o con il “presidente dell’ente pubblico di cooperazione intercomunale competente in materia di urbanistica”, al momento della cessazione dell’attività dell’ICPE. L’“uso futuro” del sito può essere eventualmente stabilito di concerto con il proprietario del terreno presso cui operava l’ICPE. Qualora non si trovi un accordo su tale uso, si opta per un uso comparabile a quello avuto nell’ultimo periodo. Nel caso in cui la riabilitazione prevista del sito sia incompatibile con l’uso futuro della zona, il prefetto competente può stabilire le prescrizioni di riabilitazione per un uso del sito coerente con i documenti di urbanistica (art. L512-6-1 CA; art. L512-7-6 CA). Nel caso in cui avvenga la cessazione delle attività di una ICPE sottoposta a dichiarazione, il suo gestore è tenuto a lasciare il sito in modo tale da non nuocere agli interessi protetti dall’art. L511-1 CA e da permetterne un uso futuro comparabile all’ultimo periodo di attività dell’ICPE (art. L512-12-1 CA).

Entrando più nello specifico, nel caso di una ICPE sottoposta ad autorizzazione, al momento della cessazione definitiva delle attività il suo gestore è tenuto a notificare al prefetto, entro un termine stabilito, la data di tale cessazione e le misure che intende assumere per assicurare la “messa in sicurezza del sito” (mise en sécurité du site). Il gestore deve definire l’“utilizzo futuro” del sito secondo regole specifiche. È poi compito del prefetto determinare in ultima analisi le misure di ripristino del sito che devono essere attuate (art. R512-39-1 e art. R512-39-2 CA). Una volta stabilito il tipo o i tipi di “usi futuri” del sito, il gestore dell’ICPE trasmette al prefetto di competenza una relazione (mémoire) in cui indica le misure che ha assunto o che intende assumere per assicurare la protezione degli interessi menzionati all’articolo L511-1 CA. Si rileva in particolare che in tale documento devono essere illustrate le “misure di gestione dei rischi legati alle acque sotterranee o superficiali eventualmente inquinate”. In caso di necessità di lavori di riabilitazione, il prefetto determina eventualmente le misure di sorveglianza necessarie. Una volta disposti i lavori di ripristino del sito, l’“ispettore delle ICPE” ne constata la realizzazione e ne invia una relazione al prefetto (art. R512-39-3 CA).

Qualora il ripristino di un sito utilizzato da una ICPE comporti un ripristino “nel suo stato iniziale”, il gestore della ICPE interessata deve includere nella relazione una valutazione dello stato di inquinamento del suolo e delle acque sotterranee causato da determinate sostanze pericolose. Nel caso in cui sia riscontrato che l’origine di un inquinamento significativo del suolo o delle acque sotterranee del sito dipenda dall’attività dell’ICPE in questione, il suo gestore indica le misure che intende assumere per riportare il sito nelle condizioni simili a quelle descritte nel “rapporto base” sul sito elaborato al momento dell’inizio delle attività dell’ICPE nella zona (art. R515-75 CA).

 

3. La gestione dei siti e dei suoli inquinati

Di recente, con la già citata Loi n.2014-366 del 24 marzo 2014, è stata disposta l’introduzione nel Codice dell’ambiente di norme specifiche relative al trattamento dei “siti e dei suoli inquinati”.

L’art. 173 della legge dispone infatti, tra le altre modifiche al Codice dell’ambiente, l’introduzione di nuovi articoli nel capitolo VI (“Sites et sols pollués”) del Libro V della parte legislativa Codice dell’ambiente. Tale capitolo si compone di tre articoli: art. L556-1 (modificato), art. L556-2 e art. L556-3 (inseriti ex novo con il provvedimento del 2014).

Il nuovo art. L556-1 CA dispone in particolare che - fatti salvi gli articoli del codice dedicati alla chiusura delle attività delle ICPE che operano in virtù di una registrazione, di un’autorizzazione, o di una dichiarazione – debbano essere rispettate alcune condizioni qualora sia proposto un ulteriore utilizzo futuro di un certo suolo, differente da quello proposto dall’exploitant interessato. Colui che si propone di realizzare il cambiamento di utilizzo è tenuto a definire le misure di gestione dell’inquinamento dei suoli e a realizzarle al fine di assicurare la compatibilità tra lo stato dei suoli e la protezione della sicurezza, la salute o la sanità pubblica, l’agricoltura e l’ambiente, con riferimento all’utilizzo progettato. Queste misure di gestione devono essere elaborate tenendo conto dell’efficacia delle tecniche di riabilitazione, realizzate in condizioni economicamente accettabili e di un bilancio dei loro costi e benefici. Il proponente di tali misure deve sottoporre la sua proposta ad un “ufficio di studi certificato nel campo dei siti e dei suoli inquinati”. L’art. L556-2 CA stabilisce in particolare che i progetti di costruzione di edifici o di lottizzazione di terreni in suoli che presentano rischi di inquinamento sono oggetto di uno “studio dei suoli”. Con riferimento ai progetti di costruzione di edifici o di ristrutturazione che necessitano di un permesso, il responsabile dei progetti inserisce, nel dossier relativo alla domanda di autorizzazione per tali lavori, un attestato predisposto da un ufficio studi certificato, in cui è garantita la realizzazione dello studio dei suoli e della sua presa in considerazione per l’attuazione dei progetti sopra indicati. L’art. L556-3 CA dispone che, in caso di inquinamento dei suoli o di rischio di tale fenomeno, l’autorità amministrativa competente può, dopo aver messo in mora il responsabile del danno, stabilire d’ufficio l’esecuzione dei lavori di risanamento ambientale degli stessi. I lavori sono a spese del responsabile del danno. L’esecuzione dei lavori può essere assegnata dal ministro dell’ambiente, o da quello competente per l’urbanistica, ad un ente pubblico fondiario (établissement public foncier) o, in sua assenza, all’“Agenzia per l’ambiente e per la gestione dell’energia” (Agence de l’environnement et de la maîtrise de l’énergieADEME-). Qualora si verifichi la scomparsa o l’insolvenza dell’exploitant del sito inquinato, o del responsabile dell’inquinamento, lo Stato può, con l’eventuale concorso finanziario delle collettività territoriali, assegnare all’ADEME il risanamento ambientale del sito. I lavori di bonifica realizzati possono essere eventualmente dichiarati, su richiesta dello Stato, “lavori di pubblica utilità”.

Con riferimento ai suoli inquinati che hanno generato uno dei rischi sopradescritti, l’art. L556-3 CA individua inoltre diversi possibili responsabili. Qualora l’inquinamento del suolo sia stato prodotto da un’attività descritta all’art. L165-2 CA, o da un’attività realizzata da una ICPE, o da “un’installazione nucleare di base”, si ritiene responsabile del danno l’ultimo exploitant della struttura che è alla base dell’inquinamento del suolo, o eventualmente la persona indicata all’art. L512-21 e all’art. L556-1 CA. Qualora l’inquinamento del suolo abbia un’origine diversa da quella sopradescritta, si ritiene responsabile del danno il produttore di rifiuti che ha contribuito all’inquinamento dei suoli, o il gestore di tali rifiuti. Si rileva che il Titolo IV del Libro V della parte legislativa del Codice dell’ambiente è dedicato alla materia dei rifiuti (déchets), (artt. L541-1 e ss. CA). Il Titolo IV del Libro V della parte regolamentare del Codice dell’ambiente è dedicato alla stessa materia (cfr. artt. D541-1 e ss.). L’art. L556-3 CA dispone infine che, a titolo sussidiario, qualora non si individui uno dei responsabili sopra descritti, si ritiene responsabile del danno il proprietario del terreno in cui sono presenti i suoli inquinati, se è dimostrato che questi abbia dimostrato negligenza o che non sia estraneo a tale inquinamento.

 

 

Germania

In Germania, a livello federale, la disciplina riguardante la difesa del suolo è contenuta nella Legge sulla protezione del suolo e sul risanamento dei siti contaminati (Gesetz zum Schutz vor schädlichen Bodenveränderungen und zur Sanierung von Altlasten (Bundes-Bodenschutzgesetz - BBodSchG) del 17 marzo 1998 (da ultimo modificata con la legge del 24 febbraio 2012). La legge federale è stata in seguito integrata dal Regolamento federale sulla tutela del suolo (Bundes-Bodenschutz- und Altlastenverordnung - BBodSchV) del 12 luglio 1999.

La Legge sulla protezione del suolo, che costituisce la norma principale di riferimento per le bonifiche nella politica nazionale di recupero e tutela dell’ambiente, integra aspetti inerenti la prevenzione della contaminazione sul suolo e la bonifica. L’obiettivo è di impedire effetti dannosi sul suolo quali:

-         limitazioni delle funzioni del suolo;

-         effetti sulla salute umana o sull’ambiente derivanti dal deterioramento del suolo.

La legge stabilisce una serie di obblighi di prevenzione di inquinamento o rischio di inquinamento; ogni soggetto che svolge un’attività potenzialmente inquinante ha l’obbligo generale di agire in modo da non creare danni al suolo (§ 4, comma 1). L’obbligo di ripristino ambientale sorge in capo al soggetto responsabile. In assenza del soggetto responsabile (che può essere anche persona giuridica o società), ne rispondono il proprietario o il gestore del sito. L’operazione di bonifica deve essere eseguita in modo che non vi siano rischi per la salute umana e per l’ambiente a lungo termine (§ 4, comma 3). Qualora non sia possibile compiere un’opera di bonifica, devono essere adottate altre misure di messa in sicurezza e di protezione del sito.

In caso di sversamento accidentale, il soggetto responsabile deve avvertire non solo le autorità competenti, ma anche il proprietario del sito qualora sia persona diversa dal gestore, provvedendo a fornire tutta la documentazione necessaria sulle condizioni del sito e sul progetto di intervento.

Il soggetto responsabile della bonifica deve presentare un piano di bonifica e un contratto pubblico che espliciti le modalità, i mezzi e i soggetti che intende adoperare per realizzare il lavoro presentato nel progetto (§ 13). Il piano di bonifica può essere rivisto modificato e integrato dalle autorità competenti qualora lo ritengano inadeguato od insufficiente. Le clausole contenute nel contratto sono sotto il controllo delle autorità pubbliche. Una volta approvato dall’autorità, il piano viene dichiarato vincolante per il soggetto che lo ha presentato.

Sulla base di quanto disposto dalla Legge fondamentale e ai sensi del § 21 della Legge sulla protezione del suolo, i Länder sono autonomamente responsabili della gestione dei siti contaminati. Ogni Land ha individuato una propria procedura e le varie procedure applicate hanno in comune i seguenti passaggi:

-         l’identificazione e la registrazione (in anagrafe) dei siti contaminati, dal momento che tutti i Länder dispongono di un proprio registro e di propri criteri di iscrizione e aggiornamento;

-         l’investigazione e l’analisi di rischio;

-         gli interventi di bonifica e di monitoraggio.

Tutti i Länder applicano il principio generale “chi inquina paga”, qualora il responsabile sia identificabile; in caso contrario, o nel caso in cui le spese di ripristino siano troppo onerose per il proprietario o gestore del sito, alcuni Länder prevedono il sostegno pubblico alle opere.

 

 

Regno Unito

In applicazione dell’Environmental Protection Act 1990 (come successivamente modificato), la qualificazione normativa di sito inquinato (contaminated land) concerne le aree territoriali esposte alle conseguenze ambientali di determinati agenti inquinanti, suscettibili di determinare effetti dannosi sulla popolazione, sulle specie di fauna protetta e sulle risorse idriche. Tale definizione è formulata (nella Part 2 A del testo normativo) in coerenza con le finalità generali della legge, consistenti nella individuazione e rimozione di ogni “rischio inaccettabile” per la salute umana e per l’ambiente, nel ripristino dei siti contaminati e nella garanzia per i soggetti pubblici e privati che, in relazione agli adempimenti previsti dalla legge, vengano posti su di loro oneri compatibili con i principi di proporzionalità e di sviluppo sostenibile.

La legge definisce in dettaglio (all’art. 78 A) il “danno significativo alla salute umana” (harm to human health) il cui possibile verificarsi fonda il criterio di qualificazione delle aree come inquinate. Ad alcune di tali aree, inoltre, è attribuita rilevanza particolare (special sites), in ragione della tipologia o del livello di inquinamento o in quanto sottoposta a specifiche forme di controllo: è il caso dei siti contaminati da radioattività, o utilizzati per determinate attività industriali altamente inquinanti, oppure gestiti direttamente dal Ministero della Difesa.

La competenza esclusiva in ordine alla qualificazione delle aree inquinate è attribuita dalla legge agli enti locali preposti (local authorities), ai quali spetta, nel quadro delle funzioni di regolazione ad essi attribuite in materia ambientale, disporre lo svolgimento di accurati controlli circa la sussistenza delle condizioni da cui possano derivare effetti pregiudizievoli significativi (significant harm) per l’equilibrio ecologico, gli organismi viventi e, nel caso dell’uomo, riferiti alla sua salute (nonché ai suoi beni: art. 78A(4)). Tali condizioni sono sottoposte ad accertamento mediante un accurato esame tecnico-scientifico di tutti gli elementi di prova rilevanti e disponibili (risk assessment), i cui risultati sono rimessi, di norma, all’apprezzamento dello stesso ente locale per quanto attiene alla valutazione della possibilità e della probabilità che simili danni possano prodursi.

Un limite generale alla discrezionalità degli enti locali è posto nel testo normativo attraverso l’individuazione di determinate conseguenze sulla salute della popolazione (quali la mortalità, la diffusione di gravi patologie, l’occorrenza di difetti genetici riscontrati alla nascita e di menomazioni delle funzioni riproduttive), il cui verificarsi comporta, tipicamente, la sussistenza delle anzidette condizioni di rischio. Gli enti locali possono tuttavia considerare come rilevanti, ai fini dell’applicazione della legge e in conformità ai suoi obiettivi generali, ulteriori tipologie di rischio, in combinazione tra loro o con riferimento ai particolari effetti che possono derivarne sulla salute e sulla qualità di vita della popolazione interessata. Peraltro, il danno alla salute, valutato in relazione al suo grado di intensità e rilevanza al fine di qualificare o meno una determinata area come inquinata, può essere preso in esame dall’ente locale sotto l’ulteriore profilo della sua valenza di evento indicativo, sintomatico o precursore di un danno più grave che nel lungo periodo possa determinarsi in conseguenza del ripetersi di episodi meno significativi se isolatamente considerati.

Una descrizione delle categorie di rischio, considerate in relazione ai loro possibili effetti sulla salute umana e sull’equilibrio ambientale, è contenuta nel par. 4 delle apposite linee guida predisposte dal Dipartimento governativo competente e aggiornate nel 2012.

La stessa legge, all’art. 78B, attribuisce agli enti locali funzioni ispettive e ne disciplina le modalità di esercizio. Esse sono articolate con riferimento ad ambiti territoriali più ampi, nei quali tali funzioni si esplicano in indagini su vasta scala e nella raccolta di informazioni generali, e ad ambiti più circoscritti, in relazione ai quali i risultati dell’indagine sono oggetto dello specifico risk assessment. Le due modalità ispettive (denominate, rispettivamente, strategic e detailed inspection) sono caratterizzate, nel primo caso, dalla previa predisposizione di un programma di azione, con cui l’ente locale provvede a formulare (e ad aggiornare costantemente) i criteri generali adottati per l’individuazione dei fattori di rischio ambientale e la definizione delle soluzioni esperibili (anche attraverso il concorso volontario dei soggetti interessati), nonché per limitare gli oneri amministrativi destinati a gravare sugli operatori e per contenere i costi per l’erario; nel secondo caso, l’ispezione si correla a scelte di priorità concernenti le aree territoriali da sottoporre a specifica valutazione del rischio ambientale.

La relazione finale dell’attività ispettiva (risk summary), di cui le linee guida ministeriali delineano il contenuto minimo, include tra l’altro: l’indicazione degli agenti inquinanti rilevati, della loro pericolosità per la salute, del grado di probabilità che il relativo impatto possa prodursi e in quale arco di tempo; la descrizione dei rischi esaminati nel loro contesto territoriale in relazione ad altri fattori di rischio a cui sia esposta la popolazione; la descrizione generale dell’intervento ritenuto idoneo alla bonifica del sito inquinato, con previsione dei tempi necessari per effettuarlo e dei benefici attesi. Qualora ad esito dell’indagine l’autorità locale competente qualifichi l’area considerata come non inquinata, essa motiva per iscritto la propria decisione, con provvedimento portato a conoscenza di tutti i soggetti interessati.

Nell’esercizio dei loro compiti, gli enti locali sono tenuti ad agire – specie nei casi di maggiore incertezza – effettuando una ponderazione tra i rischi correlati all’inquinamento rilevato in una determinata area e i benefici conseguenti ad interventi di riduzione o rimozione di tali rischi; ciò, avendo riguardo al potenziale impatto delle opere di risanamento ambientale sotto il profilo dei costi finanziari (indipendentemente dal soggetto, pubblico o privato, che debba sostenerli), degli oneri amministrativi, nonché degli ulteriori effetti sull’ambiente e sulla salute che possono derivarne. A tale proposito, le già richiamate linee guida ministeriali delineano per gli enti locali un approccio di tipo precauzionale: la valutazione dei rischi sussistenti in determinate aree territoriali è infatti considerata su un piano di bilanciamento con la proporzionalità e ragionevolezza degli eventuali interventi di risanamento.

All’accertato inquinamento di una determinata area fa seguito il provvedimento dell’ente locale con cui se ne prescrive la bonifica (remediation notice, la cui emanazione può non avere luogo qualora il soggetto che ne sarebbe destinatario ponga spontaneo, tempestivo e adeguato rimedio al fenomeno inquinante). A tal fine, l’autorità preposta al controllo sull’effettiva e conforme esecuzione dei relativi interventi (enforcing authority) è lo stesso ente locale competente oppure, in taluni casi (riferiti perlopiù ai special sites), l’agenzia nazionale per la protezione ambientale (Environmental Agency).

La legge, all’art. 78E, definisce la bonifica dei siti inquinati (remediation) come il complesso di attività preordinate, a seconda dei casi, a prevenire, minimizzare o mitigare gli effetti ed ogni rischio significativo conseguenti all’inquinamento dell’area territoriale o delle acque considerate, oppure finalizzate a riportare i luoghi al loro precedente stato, e consistenti, inoltre, nelle successive ispezioni periodicamente effettuate per constatare la condizione dei luoghi o delle acque. Nel quadro di queste generali opzioni, l’autorità competente individua la natura degli interventi specificamente necessari e ne precisa le finalità, le tecniche e le fasi, avendo riguardo (come esposto nel par. 6 delle succitate linee guida) alla loro complessiva ragionevolezza sotto il profilo della loro praticabilità ed efficacia, della sostenibilità dei costi, della gravità dei rischi per l’ambiente e per la salute e degli effettivi benefici che possono essere in tal modo ottenuti.

In relazione alla responsabilità per gli interventi di bonifica, la legge (art. 78F(6), corredata dalle dettagliate previsioni delle linee guida (par. 7: Liability), attribuisce alle autorità locali il compito di individuare il soggetto o il gruppo di soggetti nei cui confronti, in applicazione del principio “chi inquina paga”, sono imputabili i costi da sostenere per il risanamento. A tale scopo il testo normativo distingue due categorie di responsabilità (di grado “A” o “B”), riferendo la prima ai soggetti la cui attività sia accertata in diretto rapporto di causalità con l’inquinamento, e la seconda (in assenza dei primi) ai proprietari o ai detentori dei siti inquinati. Nell’ipotesi del concorso di più soggetti nella produzione o diffusione di agenti inquinanti, possono essere stabilite, e tra loro graduate, responsabilità concorrenti mediante una ripartizione di operazioni e di costi finanziari (liability groups). Distinte procedure sono previste per l’ipotesi in cui non sia possibile individuare un soggetto direttamente responsabile di un determinato agente inquinante (orphan linkages), prevedendosi, in tale ipotesi, l’assunzione dei costi da parte della enforcing authority, eventualmente con il contributo dei soggetti di cui sia stata accertata la responsabilità per un altro concorrente fattore inquinante. La decisione circa il possibile recupero, totale o parziale, dei costi rientra nell’ambito delle autonome valutazioni della stessa autorità locale, che a tal fine considera i profili di praticabilità e ragionevolezza delle proprie determinazioni, con particolare riguardo agli effetti finanziari sulle imprese e sulle comunità interessate.

Per completezza, occorre segnalare come la disciplina di tutela ambientale non costituisca l’unico strumento normativo applicabile da parte delle amministrazioni locali in materia di siti inquinati. Esse, infatti, possono attivarsi sulla base di altre disposizioni, esercitando i poteri loro attribuiti dalle normative in tema di pianificazione urbanistica e di autorizzazioni edilizie, alle cui previsioni non sono estranee finalità di tutela ambientale o di recupero di aree contaminate: è il caso delle Environmental Damage (Prevention and Remediation) Regulations 2009, S.I. 2009/153, che peraltro rappresenta l’atto normativo con cui il Regno Unito (limitatamente a Inghilterra e Galles) ha recepito nel proprio ordinamento la direttiva 2004/35/CE sul danno ambientale[1].

 

 

 

Spagna

In Spagna la politica in materia di recupero di siti contaminati è iniziata sostanzialmente negli anni ’90 del secolo scorso. Nel 1995 fu infatti approvato, da parte del Ministero dell’ambiente, il Plan Nacional de Recuperación de Suelos Contaminados (1995-2005), che fissava una serie di obiettivi in materia di gestione e un meccanismo di finanziamento congiunto con le Comunità autonome, costituendo il quadro generale per il recupero dei siti inquinati.

Si ricorda che la competenza in materia è del Ministero dell’ambiente (divenuto dal 2011 Ministero dell’agricoltura, alimentazione e ambiente), ma le Comunità autonome hanno poteri attuativi.

Nel 1998 fu approvata la legge in materia di rifiuti (Ley 10/1998, de 21 de abril, de Residuos), successivamente abrogata dalla legge del 28 luglio 2011 (si veda più avanti). Essa si applicava a tutti i tipi di rifiuti, ad eccezione delle emissioni inquinanti nell’atmosfera, dei rifiuti radioattivi e degli scarichi nelle acque. In riferimento alla ripartizione delle competenze amministrative, la legge, nel rispetto delle disposizioni costituzionali, assegnava allo Stato l’elaborazione dei piani nazionali di gestione dei rifiuti e le autorizzazioni al movimento degli stessi da o verso Paesi al di fuori dell’Unione europea, mentre assegnava alle Comunità autonome l’elaborazione dei piani regionali e la competenza per i trasferimenti dei rifiuti all’interno del territorio nazionale o degli altri paesi dell’Unione.

Uno dei principi fondamentali della legge era rappresentato dall’introduzione di una politica di “prevenzione” dei rifiuti, ovvero di regolamentazione della fase di produzione e di inserimento nel mercato di prodotti che, una volta utilizzati, generano dei rifiuti.

In particolare il titolo V della legge (artt. 27-28) concerneva i siti contaminati. Le Comunità autonome dovevano inoltre tenere un inventario dei “suoli contaminati” (suelos contaminados), mettendo in atto ogni procedura necessaria per il loro recupero.

Nel 2005 è stato adottato il regolamento attuativo, il Real Decreto 9/2005, de 14 de enero, por el que se establece la relación de actividades potencialmente contaminantes del suelo y los criterios y estándares para la declaración de suelos contaminados (tuttora vigente). Il decreto utilizza la categoria dei livelli generici di riferimento (niveles genéricos de referenzia - NGR), tra i quali la concentrazione di una sostanza inquinante nel suolo che non comporta un rischio superiore al massimo accettabile per la salute umana o per gli ecosistemi. A partire dagli NGR le Comunità autonome possono decidere di dichiarare un sito contaminato nel caso in cui fossero superati gli NGR o di richiedere l’esecuzione di un’analisi di rischio specifica per il sito. Esse possono tuttavia considerare il rischio potenziale sufficientemente basso da non richiedere ulteriori interventi.

Il decreto prende in considerazione tre tipologie di uso del suolo: industriale, residenziale e naturale. Per le tre tipologie vengono esaminati diversi scenari di esposizione. In particolare per tutte e tre le tipologie sono presi in considerazione i fattori relativi agli esseri umani; solo per la terza tipologia è preso in considerazione anche l’ecosistema.

Nel 2009 è stato adottato il Piano nazionale integrato dei rifiuti per il periodo 2009-2015 (Plan Nacional Integrado de Residuos para el período 2008-2015), una parte del quale è dedicata ai suoli contaminati.

Successivamente la Ley 22/2011, de 28 de julio, de residuos y suelos contaminados ha recepito nell’ordinamento spagnolo la direttiva comunitaria 2008/98/CE, relativa ai rifiuti, con la quale è stato stabilito un quadro giuridico organico, a livello europeo, in tema di gestione dei rifiuti.

La legge 22/2011, che ha contestualmente abrogato la precedente normativa del 1998, ha orientato la politica dei rifiuti verso i principi della massimizzazione nello sfruttamento delle risorse, da un lato, e della minimizzazione dell’impatto ambientale, dall’altro lato, attraverso l’introduzione di misure di prevenzione, riutilizzazione e riciclo dei rifiuti, nonché la promozione dell’innovazione scientifica e tecnologica che permetta di ridurre l’emissione di gas nocivi nell’atmosfera.

Il titolo I, contenente disposizioni e principi generali, è a sua volta suddiviso in due capitoli. Il capitolo I detta le disposizioni generali e pone come oggetto della legge la gestione dei rifiuti attraverso misure che ne prevengano la produzione e ne riducano gli impatti negativi sulla salute umana e sull’ambiente interessato, migliorando al contempo l’efficacia nell’uso delle risorse; è posta come oggetto della legge anche la definizione del regime giuridico dei suoli inquinati. L’art. 3, lettera x, definisce suolo inquinato (“suelo contaminado”) qualsiasi suolo “le cui caratteristiche siano state alterate negativamente dalla presenza di componenti chimici pericolosi derivanti da attività dell’uomo”.

Il capitolo II, riguardante i principi della politica dei rifiuti e le competenze di carattere amministrativo, istituisce, con riferimento a quest’ultimo versante, una nuova Commissione di coordinamento in materia di rifiuti (Comisión de coordinación en materia de residuos), ascritta al Ministero dell’ambiente, qualificata come organo di cooperazione tecnica e collaborazione tra le distinte amministrazioni e composta da rappresentanti dei diversi Ministeri competenti per materia, delle Comunità autonome e degli enti locali.

Il titolo II, dedicato agli strumenti della politica dei rifiuti, prevede l’elaborazione di piani e programmi per la gestione dei rifiuti, a livello sia nazionale che regionale e locale, e dà particolare risalto, in consonanza con le disposizioni contenute nella direttiva 2008/98/CE, ai programmi di prevenzione della formazione dei rifiuti, che devono essere redatti dalle pubbliche amministrazioni competenti.

Il titolo V contiene disposizioni relative ai suoli inquinati. Tra i vari profili considerati, è attribuito alle Comunità autonome il compito di procedere a un inventario di tali suoli per i territori di rispettiva competenza e stabilisce le procedure per il recupero degli stessi.

Per quanto concerne il profilo della responsabilità, anche nella legislazione spagnola è presente il principio “chi inquina paga”. L’art. 36 della legge 22/2011 stabilisce che sono tenuti a svolgere le operazioni di decontaminazione e di recupero dei suoli inquinati, su richiesta delle Comunità autonome, i soggetti inquinatori (los causantes de la contaminación), che, nel caso in cui siano più di uno, rispondono di tale obbligo solidalmente e, secondariamente, in questo ordine: prima i proprietari dei suoli contaminati, poi i possessori degli stessi. Nel caso dei beni pubblici in concessione, rispondono, in mancanza del soggetto inquinatore, prima il possessore e poi il proprietario.

Si segnalano infine i provvedimenti normativi in materia di due Comunità autonome: la Comunità di Madrid ha approvato il Decreto 326/1999, de 18 de noviembre, por el que se regula el régimen jurídico de los suelos contaminados de la Comunidad de Madrid, mentre le Isole Canarie hanno adottato il Decreto 147/2007, de 24 de mayo, por el que se regula el régimen jurídico de los suelos contaminados en la Comunidad Autónoma de Canarias y se crea el Inventario de Suelos Contaminados de Canarias.

 

 

 

 

 

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[1] La Scozia e l’Irlanda del Nord hanno recepito la direttiva europea con due analoghi provvedimenti.