Incentivi per la diffusione dei prodotti derivanti da materiale post-consumo a base di plastica e disposizioni concernenti la realizzazione dei veicoli 9 ottobre 2017 |
Indice |
Contenuto| |
Contenuto |
Definizioni e ambito di applicazione (artt. 1-2)L'articolo 1 reca la definizione di plasmix, inteso come "insieme di plastiche eterogenee incluse negli imballaggi post-consumo e non recuperate come singoli polimeri, che si usa per produrre granuli da riciclo a base poliolefinica, ovvero tutti gli imballaggi in plastiche che non sono né bottiglie né flaconi". Si fa notare che il riferimento al plasmix è contenuto solo nell'articolo 1, ai fini definitori, e nella rubrica dell'articolo 3, il quale però rinvia all'elenco dei materiali di cui all'articolo 2, che individua l'ambito di applicazione della proposta di legge non richiamando il plasmix. Andrebbe pertanto valutata l'opportunità di chiarire la relazione tra la definizione di plasmix e le disposizioni, volte a delimitare il campo di applicazione, contenute nell'art. 2.
La definizione di "plasmix" non trova riscontri nella normativa nazionale vigente, ma è utilizzata in ambito scientifico e dagli addetti ai lavori nel settore degli imballaggi e della raccolta differenziata e fa riferimento all'utilizzo di plastiche derivanti dalla raccolta differenziata, che vengono sottoposte a riciclo meccanico, trasformate in scaglie e granuli e utilizzate come materia prima per creare nuove tipologie di prodotti.
Alcune sperimentazioni dei prodotti in plasmix riguardano l'azienda REVET e la linea Utiligreen di articoli per la casa.
La sperimentazione effettuata da REVET in Toscana è il risultato di una serie di accordi per il riciclo delle plastiche, il primo dei quali firmato nel 2009 da Regione Toscana, Corepla e Revet S.p.A. e rinnovato più volte, da ultimo con l'accordo siglato nel 2014.
Nell'ambito dell'attività di riciclo del plasmix, condotta da REVET in Toscana, è stato altresì effettuato il calcolo della "carbon footprint", cioè dell'impronta ecologica di processo (si rinvia in proposito alla newsletter ARPAT del 18 aprile 2013).
L'articolo 2 disciplina l'ambito di applicazione della proposta di legge, prevedendo che essa si applichi ai rifiuti classificati con i seguenti codici CER (che, lo si ricorda, sono riportati nell'allegato D alla parte quarta del D.Lgs. 152/2006, che recepisce l'elenco dei rifiuti istituito a livello europeo):
|
Credito d'imposta per acquisti di prodotti da materiali post-consumo (art. 3)L'articolo 3 riconosce a tutte le imprese un credito d'imposta, pari al 50 per cento delle spese sostenute per l'acquisto di prodotti derivanti dai rifiuti, come individuati e classificati dall'articolo 2 della proposta in esame. Esso si applica a tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in cui operano, nonché dal regime contabile adottato, a decorrere dal 2018 (più precisamente, dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017; articolo 3, comma 1). Il credito d'imposta (comma 2 dell'articolo 3) viene riconosciuto fino a un importo massimo annuale di 20.000 euro per ciascun beneficiario, nel limite massimo complessivo di 40 milioni di euro per ciascun anno. L'agevolazione non concorre alla formazione della base imponibile IRPEF / IRES / IRAP; non rileva, inoltre, ai fini della determinazione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi, di cui all'articolo 61 del TUIR, né rispetto ai criteri di inerenza per la deducibilità delle spese, di cui all'articolo 109, comma 5, del medesimo TUIR. Esso è utilizzabile esclusivamente in compensazione a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in cui sono stati sostenuti i relativi costi (comma 3). Al credito d'imposta non si applicano (comma 4) il limite annuale di utilizzazione di 250.000 euro, previsto dall'articolo 1, comma 53 della legge n. 244 del 2007, e il limite massimo per la compensazione di 700.000 euro, previsto dall'articolo 34 della legge n. 388 del 2000. Viene prevista una specifica disciplina per il caso di accertamento della sua indebita fruizione (anche parziale) per il mancato rispetto delle condizioni richieste, ovvero per l'inammissibilità dei costi agevolabili, con recupero del dovuto da parte dell'Agenzia delle entrate, maggiorato di interessi e di sanzioni ai sensi di legge (comma 5).
Il comma 6 dell'articolo disciplina lo svolgimento dei controlli (con differenziazione del regime documentale secondo la tipologia del soggetto passivo coinvolto). Le spese sostenute per l'attività di certificazione contabile da parte delle imprese non soggette a revisione legale sono ammissibili al beneficio in commento, entro il limite massimo di 5.000 euro. Sono inoltre disciplinate le sanzioni applicabili al revisore legale o al professionista che incorre in colpa grave nell'esecuzione degli atti richiesti per il rilascio delle certificazioni necessarie ad ottenere il beneficio (comma 7).
Le norme in esame richiamano l'articolo 64 c.p.c., che estende al consulente tecnico le disposizioni del Codice penale relative ai periti. In ogni caso, il consulente tecnico che incorre in colpa grave nell'esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con l'arresto fino a un anno o con la ammenda fino a 10.329 euro. Trovano applicazione anche le norme del codice penale (articolo 35) che disciplinano la sospensione
dall'esercizio della professione o dell'arte. Resta fermo in ogni caso il diritto al risarcimento del danno causato alle parti.
Si affida (comma 8) a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, il compito di adottare le relative disposizioni applicative, nonché le modalità di verifica e di controllo dell'effettività delle spese sostenute, le cause di decadenza e di revoca del beneficio, le modalità di restituzione del credito d'imposta di cui l'impresa ha fruito indebitamente, anche con riguardo alla fruizione del credito d'imposta nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 2 (nella proposta di legge si fa riferimento al comma 9, che reca l'onere complessivamente generato dalle norme in esame). Il comma 9 reca la copertura finanziaria dell'articolo, il cui onere è quantificato in 40 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017. Alla copertura dell'onere si provvede mediante corrispondente riduzione degli stanziamenti di bilancio relativi allo stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze per l'anno 2017. Si autorizza dunque il MEF ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio (comma 10). |
Certificazioni (art. 4)L'articolo 4 stabilisce che, per l'assegnazione di contributi, agevolazioni e finanziamenti in materia ambientale, nella formulazione delle graduatorie costituiscono elementi obbligatori: - il possesso della certificazione "plastica seconda vita" (PSV) emessa dall'Istituto per la promozione delle plastiche da riciclo (IPPR);
Sul
sito dell'IPPR si legge che il marchio "Plastica Seconda Vita" è un sistema di certificazione ambientale di prodotto dedicata ai materiali ed ai manufatti ottenuti dalla valorizzazione dei rifiuti plastici, che rappresenta il primo marchio italiano ed europeo dedicato alla plastica riciclata e che "fa riferimento alle percentuali di riciclato riportate nell
a
circolare 4 agosto 2004, attuativa del DM 203/2003 sul Green Public Procurement, e alla norma UNI EN ISO 14021
".
Il decreto ministeriale 8 maggio 2003, n. 203, impone agli uffici pubblici e alle società a prevalente capitale pubblico di coprire il fabbisogno annuale di manufatti e beni con una quota di prodotti ottenuti da materiale riciclato nella misura non inferiore al 30% del loro fabbisogno. Il provvedimento definisce come "materiale riciclato" un materiale realizzato utilizzando rifiuti derivanti dal post-consumo e come "manufatti e beni ottenuti da materiale riciclato" quelli realizzati con una prevalenza in peso di materiale riciclato (in sostanza, solo un prodotto realizzato con almeno il 51% del suo peso con materiale riciclato potrà rientrare tra quelli ammessi). I
n attuazione del citato D.M. 8 maggio 2003, n. 203, il Ministero dell'Ambiente ha emanato diverse circolari che contengono indicazioni per l'operatività di tale decreto ministeriale nei diversi settori merceologici, tra cui il settore plastico (circolare 4 agosto 2004, in G.U. n. 191/04). La circolare 4 agosto 2004 fornisce, nell'ambito del settore plastico, un elenco non esaustivo di materiali riciclati ascrivibili nel Repertorio del Riciclaggio (previsto dal D.M. 203/03) che ricomprende i polimeri rigenerati. Tali materiali sono presenti sotto forma di granuli,
pallets, scaglie, macinati, micronizzati, semilavorati (barre, lastre, ecc.).
Tra gli strumenti di certificazione ambientale per la distribuzione delle merci, rilevano le norme ISO serie 14000 che rispecchiano, a livello internazionale, il generale consenso circa le attuali buone pratiche rivolte alla protezione dell'ambiente, applicabili a qualunque organizzazione e in qualunque parte del globo. L'intera serie ISO 14000 fornisce strumenti manageriali per le organizzazioni che vogliano porre sotto controllo i propri aspetti ed impatti ambientali e migliorare le proprie prestazioni in tale campo. Il sottoinsieme ISO 14020 disciplina, invece, tre tipi di etichette e di dichiarazioni ambientali, le etichette di Tipo I - ISO 14024 - le etichette di Tipo II - ISO 14021: Autodichiarazioni ambientali - e le etichette di Tipo III - ISO 14025: Dichiarazioni Ambientali di Prodotto. Le etichette di Tipo II - ISO 14021 riportano auto-dichiarazioni ambientali da parte di produttori, importatori o distributori di prodotti, senza che vi sia l'intervento di un organismo indipendente di certificazione (tra le quali: "Riciclabile", "Compostabile", ecc.).
Si ricorda che il "
Green public procurement" (GPP) è uno strumento di politica ambientale finalizzato a favorire la diffusione di prodotti e servizi a ridotto impatto ambientale negli acquisti effettuati dalla PA. Conseguentemente, è stato adottato il "Piano d'Azione per la sostenibilità dei consumi della Pubblica Amministrazione (PAN Gpp)", con il Dm 11 aprile 2008 del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare di concerto con i Ministri dell'Economia e delle Finanze e dello Sviluppo Economico, che accoglie le indicazioni della Commissione europea che già nel 2003 invitava gli Stati membri ad adottare dei Piani d'azione nazionale nel quadro della politica integrata di prodotto (IPP) nell'ambito della relativa Comunicazione COM 2003/302. Il Piano d'azione nazionale, nel suo successivo aggiornamento con Dm 10 aprile 2013, definisce nuovi obiettivi a livello nazionale di acquisti verdi negli appalti pubblici per le categorie merceologiche per cui siano stati definiti i "Criteri ambientali minimi" (Cam) approvati con decreti ministeriali e disponibili sul sito del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. In tema di acquisti pubblici, l'art. 34 del Codice dei contratti pubblici (
Decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50) recentemente modificato dall'
art. 23 del D.Lgs 56/17 (Disposizioni integrative e correttive al
decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50) ha imposto l'obbligo di applicazione del GPP per le stazioni appaltanti.
- e la conformità al protocollo europeo EuCertPlast.
EuCertPlast - secondo quanto riportato nel relativo sito internet - è un progetto triennale "che si propone di creare una certificazione europea per riciclatori di materie plastiche post-consumo" e che è cofinanziato dalla Commissione europea nell'ambito del Programma Eco-innovazione.
Andrebbe valutata l'opportunità di precisare l'ambito di applicazione della disposizione in esame e di coordinarla con l'articolo 17 della legge 221/2015 (collegato ambientale), che già detta una norma di carattere generale finalizzata a definire i criteri preferenziali nella formulazione delle graduatorie per l'assegnazioni di contributi, agevolazioni e finanziamenti in materia ambientale.
L'art. 17 richiamato dispone che per l'assegnazione di contributi, agevolazioni e finanziamenti in materia ambientale, nella formulazione delle graduatorie costituiscono elemento di preferenza: il possesso di registrazione al sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS); il possesso di certificazione UNI EN ISO 14001; il possesso per un proprio prodotto o servizio del marchio di qualità ecologica dell'Unione europea (Ecolabel UE); il possesso della certificazione ISO 50001.
L'introduzione dell'obbligatorietà delle certificazioni indicate nella norma andrebbe, inoltre, valutata alla luce del fatto che esistono altri sistemi, che sono richiamati nella disciplina vigente, e che il protocollo EuCertPlast appare ancora in fase sperimentale.
Nei criteri ambientali minimi (CAM) per l'acquisto di articoli per l'arredo urbano (D.M. 5 febbraio 2015, pubblicato nella G.U. n. 50 del 2 marzo 2015), ad esempio, si fa riferimento a "certificazioni o marchi (esempio ReMade in Italy, Plastica Seconda Vita, Rifiuti KM 0, o equivalenti etichettature, anche europee o internazionali) rilasciati sulla base di verifiche di parte terza condotte da un organismo riconosciuto", che attestino la presenza di una percentuale di materiale riciclato non inferiore al limite fissato nei CAM medesimi.
|
Fondo per l'acquisto di prodotti realizzati con materiali post-consumo (art. 5)L'articolo 5, comma 1, al fine - esplicitato nella norma - di migliorare e di incrementare il riciclaggio delle materie plastiche e il recupero degli scarti non pericolosi, prevede l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente, di un fondo, con una dotazione pari a 300 milioni di euro annui a decorrere dal 2017, per l'acquisto di prodotti realizzati con i rifiuti indicati all'art. 2. - arredo urbano per parchi e giardini pubblici; - prodotti per la viabilità e allestimento di percorsi; - contenitori per la raccolta differenziata di rifiuti; - attrezzature varie, purché realizzati (rectius ralizzate) con materiali derivati da plastiche miste conformi ai requisiti dettati dal comma 4. Il comma 4 dispone che i prodotti acquistabili devono essere realizzati con materiali derivati da plastiche miste, provenienti dalla raccolta differenziata degli imballaggi in plastica o da selezione di rifiuti urbani residui, e devono avere le seguenti caratteristiche:
Il comma 5 demanda ad un apposito decreto del Ministro dell'ambiente (che dovrà essere emanato, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro 90 giorni dall'entrata in vigore della proposta di legge) la determinazione delle modalità attuative dell'articoloin esame, con particolare riferimento ai criteri di priorità per l'ottenimento dei finanziamenti del fondo, garantendo comunque il rispetto dei limiti del medesimo fondo, nonché eventuali criteri di esclusione. Il comma 6 disciplina la copertura degli oneri (pari a 300 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017), prevedendo che ad essi si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2017-2019, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze per l'anno 2017, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero. Il comma 7 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. |
Agevolazioni (art. 6)L'articolo 6, al comma 1, estende l'applicazione delle agevolazioni tariffarie previste dall'art. 39 del D.L. 83/2012, ossia le agevolazioni per le c.d. imprese energivore, precisando che ciò avviene senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.
Con riferimento al sistema di a
gevolazioni vigente per le imprese c.d. "energivore", si ricorda che
l'articolo 39, comma 1, del decreto legge 83/12ha previsto che con uno o più decreti del Ministro dell'Economia e delle Finanze, di concerto col Ministro dello Sviluppo Economico, fossero definite le imprese a forte consumo di energia. La norma è stata attuata con il decreto 5 aprile 2013.L'azienda "energivora" è identificata non solo sul consumo assoluto dei vettori energetici, ma anche in base all'incidenza del costo dell'energia sul proprio volume complessivo d'affari.
Il provvedimento stabilisce che le aziende con un costo totale dell'energia superiore al 3% del fatturato abbiano diritto ad agevolazioni sulle accise. Al 2% è invece stato fissato l'indice di intensità elettrica, ossia il rapporto tra costi dell'elettricità e fatturato oltre il quale le aziende potranno godere di sgravi sugli oneri di sistema in bolletta (in particolare quelli per le FER). Più alto sarà questo rapporto maggiori saranno le agevolazioni. Resta poi valida la soglia di 2,4 GWh annui di volumi consumati, al di sotto della quale le imprese non avranno diritto agli sgravi.
Il medesimo articolo 39 ha altresì disposto che i corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema elettrico ed i criteri di ripartizione dei medesimi oneri a carico dei clienti finali venissero rideterminati dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, in modo da tener conto della definizione di imprese a forte consumo di energia contenuta e nel rispetto dei vincoli (divieto di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica) sanciti dal citato comma 2, secondo indirizzi del Ministro dello sviluppo economico.Il Decreto del Ministro dello sviluppo economico del 24 luglio 2013, attuativo del
decreto legge 83/2012, ha inoltre demandato all'Autorità per l'Energia Elettrica, il Gas e il Settore Idrico (AEEG) di ridefinire i
corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema, limitando l'erogazione di tali benefici alle sole imprese energivore del settore manifatturiero (pertanto, la possibilità di accedere ai benefici è stata preclusa alle imprese operanti in settori diversi, come quello dei servizi sanitari).
In seguito all'acquisizione degli indirizzi del Ministro dello Sviluppo Economico, l'AEEGSI, con la deliberazione 340/2013/R/eel, ha stabilito che, a partire dal 1° luglio 2013, le imprese a forte consumo di energia elettrica che ne abbiano titolo possano richiedere le agevolazioni loro spettanti .
Il quadro legislativo di riferimento verte sui c
.d. oneri generali, cioè quegli oneri volti a garantire la copertura dei costi sostenuti per gli interventi effettuati sul sistema elettrico per realizzare finalità di interesse collettivo individuate dal legislatore. Tali
costi sono finanziati tramite componenti tariffarie distintamente individuate nella bolletta elettrica e che ciascun utente finale versa in parte in quota fissa e in parte in funzione dei consumi effettivi di energia elettrica. Le agevolazioni consistono nell'
esonero dal pagamento di tali componenti: è dunque previsto l'azzeramento delle aliquote delle componenti tariffarie A per i consumi mensili eccedenti gli 8 GWh per utenti connessi in media tensione e per i consumi mensili eccedenti i 12 GWh per utenti connessi in alta e altissima tensione. Dunque, a partire dal 1° gennaio 2014, è stata introdotta in
bolletta una nuova componente tariffaria, denominata AE a copertura degli oneri, derivanti dal
comma 3 dell'articolo 39 del D.L. n. 83/2012, per le agevolazioni alle imprese a forte consumo di energia elettrica, a carico delle utenze non destinatarie delle medesime agevolazioni.
La disciplina agevolativa a favore delle imprese energivore
sarà oggetto di riforma entro il 1° gennaio 2018, ai sensi di quanto previsto dalla
lettera b) del comma 3-ter dell'articolo 1 del D.L. n. 3/2010 come recentemente novellato dal
D.L. n. 244/2016. La citata norma prevede che la struttura delle componenti tariffarie relative agli oneri generali di sistema elettrico, da applicare ai clienti connessi in alta e altissima tensione sia adeguata dall'AEEGSI su tutto il territorio nazionale ai criteri che governano la tariffa di rete per i servizi di trasmissione, distribuzione e misura, tenendo comunque conto dei diversi livelli di tensione e dei parametri di connessione, oltre che della diversa natura e delle peculiarità degli oneri rispetto alla tariffa. La medesima riforma prevede altresì che la rideterminazione degli oneri di sistema elettrico, di cui all'
articolo 39, comma 3, del D.L. n. 83/2012 sarà applicata esclusivamente agli oneri generali relativi al sostegno delle energie rinnovabili.
Il medesimo comma 1 individua i soggetti destinatari dell'estensione delle suddette agevolazioni:
I codici ATECO 38 fanno riferimento alle attività di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti e recupero dei materiali.
L'
art. 3 del D.Lgs. 209/2003 (di recepimento della
direttiva 2000/53/UE relativa ai veicoli fuori uso), definisce "frantumazione", alla lettera n) del comma 1, come l'insieme delle "operazioni per la riduzione in pezzi o in frammenti, tramite frantumatore, del veicolo già sottoposto alle operazioni di messa in sicurezza e di demolizione, allo scopo di ottenere residui di metallo riciclabili, separandoli dalle parti non metalliche destinate al recupero, anche energetico, o allo smaltimento".
Si ricorda che - in base a quanto previsto dal punto 5.3 dell'allegato VIII alla
parte seconda del D.Lgs. 152/2006, che elenca gli impianti assoggettati ad AIA - sono soggetti ad autorizzazione integrata ambientale:
- gli impianti di smaltimento dei rifiuti non pericolosi, con capacità superiore a 50 Mg al giorno, che comportano il ricorso ad una o più attività, tra le quali il "trattamento in frantumatori di rifiuti metallici, compresi i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche e i veicoli fuori uso e relativi componenti";
- gli impianti di recupero e smaltimento di rifiuti non pericolosi, con una capacità superiore a 75 Mg al giorno, che comportano il ricorso ad una o più attività, tra le quali il "trattamento in frantumatori di rifiuti metallici, compresi i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche e i veicoli fuori uso e relativi componenti". Il comma 2 demanda ad uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze (che dovranno essere emanati, di concerto col Ministro dello sviluppo economico, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della proposta di legge), la definizione dei nuovi criteri di revisione del sistema delle accise sull'elettricità e sui prodotti energetici e degli oneri generali di sistema elettrico per le imprese con forte consumo di energia.
Al riguardo, va ricordato che, in ossequio alla normativa europea in materia di aiuti di Stato, le sopra descritte misure istitutive delle agevolazioni alle imprese a forte consumo di energia elettrica (articolo 39 del DL 83/2012) sono state notificate dal Governo alla Commissione UE il 17 aprile 2014 e il relativo procedimento si è concluso con la Decisione della Commissione europea C(2017) 3406 del 23 maggio 2017. La Commissione è giunta alle seguenti conclusioni: le agevolazioni rappresentano un
aiuto di Stato
in quanto comportano un
vantaggio selettivo
nei confronti solo di determinate imprese, limitate nel numero, con specifici livelli di consumi e che operano in determinati settori (quali quello manifatturiero); inoltre, la
digressività del sistema
non corrisponde ad un principio di ordinaria tassazione e non rappresenta una caratteristica tipica delle tariffe di trasmissione. Nelle conclusioni, pertanto, viene chiarito che le agevolazioni relative alle componenti tariffarie A devono considerarsi aiuti di Stato illegali, in quanto sono state riconosciute senza che venissero previamente notificate.
Inoltre, la
Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020,
di cui alla
Comunicazione 2014/C 200/01
(Linee guida, sezioni 3.7.2 e 3.7.3),
prevede che gli Stati membri possano adottare misure di agevolazione per le imprese a forte consumo di energia elettrica
sotto forma di riduzione dei costi associati
esclusivamente al finanziamento della produzione di energia da fonti rinnovabili e nel rispetto di determinate condizioni (indicate al paragrafo 3.7.2). Per tali ragioni, la Commissione conclude nel senso di una
valutazione di compatibilità solo per le misure
che sono state riconosciute (e che potranno essere riconosciute)
relative alla componente A3.
In base al piano di aggiustamento delle misure esistenti alla disciplina europea, presentato dallo Stato italiano e approvato dalla Commissione UE con la decisione C(2017) 3406,
le agevolazioni alle imprese a forte consumo di energia elettrica a decorrere dal 1° gennaio 2018 saranno limitate agli oneri generali relativi al sostegno delle energie rinnovabili e della cogenerazione,
con l'esclusione degli oneri relativi alla frazione non bio-degradabile nel caso di utilizzo di rifiuti per la cogenerazione.
Va inoltre ricordato che il disegno di legge europea 2017, già approvato dalla Camera e in corso di esame presso il Senato
(A.S. 2886), all'articolo 19 demanda ad uno o più decreti del Ministero dello sviluppo economico, la r
idefinizione delle imprese a forte consumo di energia elettrica, nonché delle
agevolazioni attualmente previste per tale tipologia di imprese. La disposizione è volta a conformare la legislazione nazionale alla Comunicazione della Commissione europea "Disciplina degli aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020" nonché alla
Decisione della Commissione europea C(2017) 3406 del 23 maggio 2017 volta a valutare la possibile esistenza e compatibilità con la disciplina degli aiuti di Stato delle misure notificate dallo Stato italiano in data 17 aprile 2014 relative alle
agevolazioni previste in materia di oneri generali di sistema per le imprese a forte consumo di energia dall'
art. 39 del Decreto-legge n. 83 del 12 giugno 2012 e dal decreto ministeriale del 5 aprile 2013. La novità principale della riforma è l'utilizzo di una possibilità prevista dall'Unione europea:
l'applicazione della clausola sul valore aggiunto lordo (Val) per le imprese che hanno un costo dell'energia pari ad almeno il 20% dello stesso Val. Queste imprese potranno ridurre il proprio contributo per le rinnovabili fino allo 0,5% del Val, rendendo questo onere esclusivamente funzione del proprio risultato aziendale (fatta salva la contribuzione minima richiesta dalle regole Ue).
L'estensione delle agevolazioni tariffarie di cui all'articolo in commento andrebbe pertanto valutata alla luce della normativa europea in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020, nonchè alla luce della riforma del sistema di agevolazioni per le imprese energivore contenuto nella legge europea 2017, in corso di approvazione presso il Senato. |
Obblighi per i costruttori di veicoli (art. 7)L'articolo 7 introduce l'obbligo, per i produttori di veicoli, di realizzare i veicoli stessi utilizzando plastiche riciclate provenienti dal trattamento di veicoli fuori uso nelle seguenti percentuali minime:
Secondo l'articolo 46 del codice della strada si intendono per veicoli "tutte le macchine di qualsiasi specie, che circolano sulle strade guidate dall'uomo". Tra questi l'articolo 47 include: a) veicoli a braccia; b) veicoli a trazione animale; c) velocipedi; d) slitte; e) ciclomotori; f) motoveicoli; g) autoveicoli; h) filoveicoli; i) rimorchi; l) macchine agricole; m) macchine operatrici; n) veicoli con caratteristiche atipiche.
L'introduzione del predetto obbligo andrebbe valutata alla luce di quanto già prevede la normativa nazionale che, in attuazione di quella europea, demanda ai Ministeri competenti l'adozione di iniziative dirette, tra l'altro, a promuovere modalità di fabbricazione di veicoli nuovi che agevolano il reimpiego delle componenti dei veicoli fuori uso. Ciò premesso, andrebbe valutata l'opportunità di precisare l'ambito applicativo dell'obbligo indicato con particolare riferimento all'individuazione dei produttori di veicoli soggetti alla norma, anche tenuto di quanto prevede la normativa vigente, nonché con riferimento alla realizzazione di veicoli assemblati in Italia ma per i quali alcune componenti, ad esempio in plastica, siano realizzate all'estero.
La
direttiva 2000/53/UE reca una disciplina relativa ai veicoli fuori uso che è stata attuata da
D.Lgs. 209/2003. L'
articolo 4 di tale decreto prevede che il
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministero delle attività produttive,
adotta iniziative dirette a favorire:
a) la limitazione, da parte del costruttore di veicoli, in collaborazione con il costruttore di materiali e di equipaggiamenti, dell'uso di sostanze pericolose nella produzione dei veicoli e la riduzione, quanto più possibile, delle stesse, sin dalla fase di progettazione;
b)
modalità di progettazione e di
fabbricazione del veicolo nuovo
che agevolano la demolizione,
il reimpiego, il recupero e, soprattutto, il riciclaggio del veicolo fuori uso e dei relativi componenti e materiali, promuovendo anche lo sviluppo della normativa tecnica del settore;
c) l'utilizzo, da parte del costruttore di veicoli, in collaborazione con il produttore di materiali e di equipaggiamenti, di quantità crescenti di materiale riciclato nei veicoli ed in altri prodotti, al fine di sviluppare il mercato dei materiali riciclati.
Il
decreto legislativo 149/2006 ha modificato il
comma 1 dell'articolo 7 del D.Lgs.209/2003, disponendo che, ai fini di una corretta gestione dei rifiuti derivanti dal veicolo fuori uso, le autorità competenti favoriscano il reimpiego dei componenti idonei, il recupero di quelli non reimpiegabili, nonché, come soluzione privilegiata, il riciclaggio laddove sostenibile dal punto di vista ambientale.
Tali attività devono chiaramente essere espletate nel rispetto delle norme sulla sicurezza dei veicoli, sul controllo delle emissioni atmosferiche e sul rumore. In particolare, gli operatori economici devono garantire le seguenti percentuali minime di reimpiego e recupero:
Al fine di raggiungere gli obiettivi indicati il Ministero dell'ambiente e il Ministero dello sviluppo economico hanno siglato un
accordo di programma quadro per la gestione dei veicoli fuori uso" con le imprese del settore e con l'ANFIA (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica)".
|
Campagne di comunicazione istituzionale (art. 8)L'articolo 8, ai commi 1 e 2, prevede l'istituzione di un fondo, con una dotazione pari a 5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017, per la realizzazione di progetti e iniziative di educazione ambientale, nonché di specifiche campagne di comunicazione istituzionale dedicate al riciclo finalizzati a promuovere la cultura ambientale volta al riciclo degli imballaggi post-consumo e all'utilizzo di prodotti realizzati con materie prime seconde da riciclo. Il secondo periodo del comma 2 disciplina la copertura degli oneri recati dall'articolo, disponendo che ad essi si provveda mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2017-2019, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze per l'anno 2017, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero. L'educazione ambientale - secondo quanto riportato nel sito web del Ministero dell'ambiente, sezione "Educazione Ambientale e allo Sviluppo Sostenibile" - è uno "strumento fondamentale per sensibilizzare i cittadini e le comunità ad una maggiore responsabilità e attenzione alle questioni ambientali e al buon governo del territorio". Nello stesso sito si legge che "in Italia, in occasione dell'anno scolastico 2015, è stata lanciata dal Ministero dell'ambiente, in collaborazione con il Ministero dell'istruzione, la pubblicazione delle nuove linee guida per l'educazione ambientale elaborate da un gruppo di lavoro interministeriale. La collaborazione tra i due Ministeri si è rafforzata nel 2016, con la firma di un protocollo d'intesa sull'educazione ambientale e allo sviluppo sostenibile nelle scuole, nel quadro del PON Scuola 2014-2020", che ha portato, successivamente, alla sottoscrizione di una Carta nazionale sul tema, redatta con il contributo di esperti e rappresentanti di enti, istituzioni, associazioni, imprese e università. Da un punto di vista strettamente normativo, oltre alle disposizioni per l'educazione ambientale nelle scuole citate nel commento all'art. 9, si ricordano le disposizioni dell'art. 7-bis del D.L. 172/2008 ai sensi del quale, al fine di formare i giovani relativamente all'importanza della conservazione di un ambiente sano e al rispetto del territorio, nonché alla realizzazione di tutte le pratiche utili per l'attuazione del ciclo completo dei rifiuti, sono previste iniziative di formazione attraverso l'inserimento dell'educazione ambientale nei programmi scolastici relativi al periodo dell'obbligo di istruzione. Gli articoli 7-quater e 7-quinquies del D.L. 208/2008 disciplinano il finanziamento di progetti ed iniziative di educazione ambientale, comunicazione istituzionale, e valorizzazione, anche attraverso il ricorso alle nuove tecnologie, delle aree protette e della biodiversità, ivi inclusa la promozione delle attività turistico-ambientali, nonché di progetti finalizzati alla sensibilizzazione delle giovani generazioni, in riferimento alla conservazione di un ambiente sano, ed alla promozione delle prassi e dei comportamenti ecocompatibili, nell'ambito dei sistemi di istruzione secondaria superiore e universitaria. |
Educazione ambientale nelle scuole del primo ciclo di istruzione (art. 9)L'articolo 9 prevede l'introduzione dell'insegnamento dell'educazione ambientale come disciplina obbligatoria nei "programmi didattici" del primo ciclo di istruzione (scuola primaria e scuola secondaria di primo grado). A ciò si provvede nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, dunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le modalità attuative sono demandate a un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza Stato-regioni, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
Al riguardo, si rammenta, innanzitutto, che, con il riconoscimento dell'autonomia alle istituzioni scolastiche,
ai programmi nazionali è subentrato il Piano dell'Offerta Formativa (ora, a seguito della
L. 107/2015, triennale - PTOF) di ogni istituzione scolastica. Il perno del PTOF è il curricolo, che viene predisposto dalle medesime istituzioni, nel rispetto degli orientamenti e dei vincoli posti dalle
Indicazioni nazionali
. Per quanto concerne i
curricoli, l'
art. 8 del DPR 275/1999 ha distinto al loro interno una quota nazionale obbligatoria ed una quota riservata alle istituzioni scolastiche, affidandone la determinazione ad un decreto ministeriale.
Le vigenti
Indicazioni nazionali
per il primo ciclo – che costituiscono il quadro di riferimento per la progettazione curricolare affidata alle scuole e che sono state emanate (in attuazione dell'
art. 1, co. 4, del DPR 89/2009) con
D.M. 16 novembre 2012, n. 254 – hanno individuato le
discipline oggetto di insegnamento per tutto il ciclo. Si tratta di: italiano; lingua inglese; seconda lingua comunitaria; storia; geografia; matematica; scienze; musica; arte e immagine; educazione fisica; tecnologia (oltre a
Cittadinanza e Costituzione – insegnamento previsto dal
D.L. 137/2008-
L. 169/2008, inserito nell'area disciplinare storico-geografica – e Religione cattolica).
Già nel
documento di indirizzo per la sperimentazione dell'insegnamento di "Cittadinanza e Costituzione", del 4 marzo 2009, il MIUR ha inserito tra gli obiettivi di apprendimento caratterizzanti l'insegnamento la
tutela del paesaggio. Anche in seguito, la
CM n. 86 del 27 ottobre 2010, nel ribadire la dimensione integrata e trasversale dell'insegnamento di Cittadinanza e Costituzione, ha richiamato l'importanza dei temi della
sensibilità ambientale e dell'educazione allo
sviluppo sostenibile.
Da ultimo, in particolare, si ricorda che la
L. 107/2015 (c.d. Buona Scuola) ha inserito tra gli obiettivi formativi di
potenziamento dell'offerta formativa lo "sviluppo di comportamenti responsabili ispirati alla conoscenza e al rispetto della legalità, della
sostenibilità ambientale, dei beni paesaggistici, del patrimonio e delle attività culturali" (
art. 1, co. 7, lett. e), L. 107/2015).
A seguito di ciò, in occasione dell'avvio dell'a.s. 2015/2016, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha pubblicato le
nuove
Linee Guida Educazione ambientale per lo sviluppo sostenibile
, predisposte da un gruppo di lavoro interministeriale, di cui facevano parte anche rappresentanti del MIUR – che hanno aggiornato le precedenti,
pubblicate nel 2009 – nelle quali le tematiche ambientali ritenute prioritarie sono state articolate in otto
percorsi didattici, declinati per i diversi ordini e gradi di istruzione, che si propongono di indirizzare i docenti per la progettazione e realizzazione di programmi ed attività sui temi elencati.
Nello specifico, i percorsi didattici riguardanti il primo ciclo di istruzione sono i seguenti: "Tutela delle acque e del mare" (Infanzia, Primaria); "Tutela della biodiversità: Flora e Fauna" (Infanzia, Primaria); "Alimentazione sostenibile" (Infanzia, Primaria, Secondaria primo grado); "Gestione dei rifiuti" (Infanzia, Primaria, Secondaria primo grado); "Tutela della biodiversità: servizi ecosistemici" (Secondaria primo grado).
|