Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Titolo: Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico, nonché delega al Governo per l'adozione di tributi destinati al suo finanziamento - A.C. 2212
Riferimenti:
AC N. 2212/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 310
Data: 03/06/2015
Descrittori:
ACQUE   ACQUE PUBBLICHE
APPROVVIGIONAMENTO IDRICO   ENTRATE TRIBUTARIE
LEGGE DELEGA     
Organi della Camera: VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

 

 

 

 

Princìpi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico, nonché delega al Governo per l'adozione di tributi destinati al suo finanziamento

A.C. 2212

 

Schede di lettura

 

 

 

n. 310

 

 

3 giugno 2015

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Ambiente

( 066760-9253 – * st_ambiente@camera.it

Ha partecipato alla redazione del dossier il seguente Ufficio:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

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File: Am0144.doc

 


INDICE

Il quadro normativo in materia di gestione delle risorse idriche e servizio idrico integrato

§  La gestione delle risorse idriche nel d.lgs. n. 152/2006  3

§  La gestione del servizio idrico integrato  5

Contenuto

§  Finalità  15

§  Princìpi generali 15

§  Principi relativi alla tutela e alla pianificazione  18

§  Principi relativi alla gestione del servizio idrico  21

§  Governo pubblico del ciclo naturale e integrato dell'acqua  23

§  Ripubblicizzazione della gestione del servizio idrico integrato, decadenza delle forme di gestione e fase transitoria  25

§  Finanziamento del servizio idrico integrato  27

§  Governo partecipativo del servizio idrico integrato  30

§  Fondo nazionale di solidarietà internazionale  33

§  Disposizioni finanziarie  34

§  Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE  37

 

 


Il quadro normativo in materia di gestione delle risorse idriche e servizio idrico integrato

 


La gestione delle risorse idriche nel d.lgs. n. 152/2006

Il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Codice dell’ambiente), ha operato un intervento complesso di riordino di quasi tutta la legislazione ambientale, tra cui anche quella relativa alla gestione delle risorse idriche. Tale materia - insieme alla difesa del suolo e alla tutela delle acque - è disciplinata nella parte terza, in cui sono confluite disposizioni precedentemente collocate in diversi contesti normativi e sono state introdotte le disposizioni necessarie al recepimento della direttiva 2000/60/CE (c.d. direttiva acque) e volte conseguentemente a riformare l’assetto amministrativo (in precedenza disegnato dalla legge n. 183 del 1989 sulla difesa del suolo) relativamente al governo dei bacini idrografici.

La direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000 ha l’obiettivo di fissare un quadro europeo per la protezione delle acque superficiali interne, delle acque di transizione, delle acque costiere e sotterranee, che assicuri la prevenzione e la riduzione dell'inquinamento, agevoli l'utilizzo idrico sostenibile, protegga l'ambiente, migliori le condizioni degli ecosistemi acquatici e mitighi gli effetti delle inondazioni e della siccità.

Al fine di recepire le disposizioni della direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE, l’art. 63 del d.lgs. 152/2006 ha previsto l'istituzione dell’autorità di bacino distrettuale in ciascuno degli otto distretti idrografici individuati nel successivo articolo 64.

I distretti sono governati secondo un modello amministrativo unico (delineato agli artt. 63-64 del Codice), che prevede in particolare la redazione del piano di bacino distrettuale, che ha valore di piano territoriale di settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo ed alla corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato (art. 65, comma 1).

L’attivazione delle citate nuove autorità distrettuali è stata condizionata, dal comma 2 dell’art. 63, all'emanazione di un apposito D.P.C.M., che avrebbe dovuto definire i criteri e le modalità per il trasferimento delle risorse umane e strumentali dalle “vecchie” autorità di bacino (istituite dalla L. 183/1989, abrogata dal d.lgs. 152/2006) alle “nuove” autorità distrettuali.

Tale decreto attuativo non è però stato adottato. A tutt’oggi quindi non risultano ancora formalmente costituite le “nuove” autorità.

Per ovviare a questa situazione, in via transitoria, con successivi interventi (d.lgs. 284/2006 e D.L. 208/2008) è stato disposto che "nelle more della costituzione dei distretti idrografici […] e della eventuale revisione della relativa disciplina legislativa, le autorità di bacino di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono prorogate, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, fino alla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al comma 2 dell'articolo 63" (art. 170, comma 2-bis, del d.lgs. 152/2006).

E’ altresì intervenuto l’art. 4 del d.lgs. 219/2010 che – “ai fini dell'adempimento degli obblighi derivanti dalle direttive 2000/60/CE e 2007/60/CE (relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni), nelle more della costituzione delle autorità di bacino distrettuali di cui all'articolo 63 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152” – ha assegnato alle “vecchie” autorità di bacino di rilievo nazionale (istituite ai sensi della L. 183/89) il ruolo di coordinamento delle attività di pianificazione nell'ambito del distretto idrografico di appartenenza.

Il comma 2 dell’articolo 24 della legge europea per il 2013 (legge 97/2013) dispone che le autorità di bacino di rilievo nazionale (di cui alla legge 183/1989) continuano ad avvalersi, nelle more della costituzione delle autorità di bacino distrettuali, dell’attività dei comitati tecnici costituiti nel proprio ambito. La norma precisa che la finalità della disposizione è quella di poter disporre del supporto tecnico necessario al corretto ed integrale adempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva 2000/60/CE, nonché dalla direttiva 2007/60/CE.

Questo regime transitorio ha quindi consentito di dare attuazione – seppure incompleta, come rilevato dalla Commissione europea – al quadro normativo in materia di acque (direttiva 2000/60/CE) e di alluvioni (direttiva 2007/60/CE).

Si segnala che una revisione complessiva del settore è prevista dall’art. 39 del disegno di legge recante disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali – cd. collegato ambientale (A.S. 1676), che, tra l’altro, contempla la riscrittura degli articoli 63 e 64 del d.lgs. 152/2006.

 

Si richiamano brevemente anche le disposizioni contenute nella parte terza in materia di risparmio idrico, alcune delle quali ricalcano sostanzialmente la precedente normativa recata dal decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, e dalla legge n. 36 del 1994 (nota come legge Galli).

Analogamente a quanto disponeva l’art. 22 del decreto legislativo n. 152 del 1999, le norme del cd. Codice ambientale in materia di pianificazione del bilancio idrico (art. 95) prevedono la predisposizione dei piani di tutela al fine di raggiungere gli obiettivi di qualità attraverso una pianificazione delle utilizzazioni delle acque volta a evitare ripercussioni sulla loro qualità e a consentire un consumo idrico sostenibile.

I piani di tutela contengono tutte le misure volte ad assicurare l'equilibrio del bilancio idrico come definito dall'autorità di bacino, nel rispetto delle priorità stabilite dalla legislazione vigente e tenendo conto dei fabbisogni, delle disponibilità, del minimo deflusso vitale, della capacità di ravvenamento della falda e delle destinazioni d'uso della risorsa compatibili con le relative caratteristiche qualitative e quantitative.

Per quanto riguarda poi le norme sull'equilibrio del bilancio idrico (art. 145) esse sono formalmente e sostanzialmente identiche a quelle contenute nella previgente normativa (art. 3 della legge n. 36 del 1994). Si prevede, in particolare, che l'autorità di bacino definisca ed aggiorni periodicamente il bilancio idrico diretto ad assicurare l'equilibrio fra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili nell'area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi e che spetti alla medesima adottare, per quanto di competenza, le misure per la pianificazione dell'economia idrica in funzione degli usi cui sono destinate le risorse.

L’art. 146 innova invece la previgente disciplina in materia di risparmio idrico (art. 5 della legge n. 36 del 1994) attraverso la previsione di tre misure aggiuntive per la razionalizzazione dei consumi e l'eliminazione degli sprechi consistenti nella:

·     previsione, nella costruzione o sostituzione di nuovi impianti di trasporto e distribuzione dell'acqua sia interni che esterni, dell'obbligo di utilizzo di sistemi anticorrosivi di protezione delle condotte di materiale metallico;

·     adozione di sistemi di irrigazione ad alta efficienza accompagnati da una loro corretta gestione e dalla sostituzione, ove opportuno, delle reti di canali a pelo libero con reti in pressione;

·     individuazione di aree di ricarica delle falde ed adozione di misure protettive e di gestione per garantire un processo di ricarica idoneo sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.

Inoltre la competenza regolamentare per la definizione dei criteri e dei metodi idonei alla valutazione delle perdite degli acquedotti e delle fognature è trasferita dal Ministero dei lavori pubblici al Ministero dell'ambiente.

Si richiama, da ultimo, anche l’art. 144 (che riproduce, nella sostanza, le norme di cui agli articoli 1 e 2 della legge n. 36 del 1994), che dispone la demanialità di tutte le acque superficiali e sotterranee e la tutela delle stesse ispirata al principio della razionalizzazione del loro uso per evitare sprechi che pregiudichino il patrimonio idrico, nonché la vivibilità dell'ambiente l'agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici.

La gestione del servizio idrico integrato

Il servizio idrico integrato è costituito, ai sensi della definizione recata dall’art. 141, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Codice ambientale), “dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue”[1].

La disciplina del servizio idrico integrato è contenuta negli articoli da 147 a 158-bis del d.lgs. 152/2006 (costituenti il Titolo II della Sezione III della parte terza), la cui struttura si basa in buona parte sulle disposizioni della legge n. 36/1994 (legge Galli), ora abrogata dall’art. 175 del medesimo decreto legislativo.

L’intera disciplina è stata recentemente oggetto di un consistente numero di modiche contenute nell’art. 7 del D.L. 133/2014 (c.d. sblocca Italia).

L’organizzazione del servizio

In base agli articoli 147 e ss. del d.lgs. 152/2006 l’organizzazione del servizio idrico è basata su ambiti territoriali ottimali (d’ora in poi ATO) definiti dalle regioni.

Sulle disposizioni in questione, come si è già avuto modo di sottolineare, è recentemente intervenuto l’art. 7 del D.L. 133/2014 (c.d. decreto sblocca Italia) che, in particolare, ha ridefinito gli obblighi dei comuni, il ruolo degli enti di governo dell’ATO e delle regioni.

La disciplina ora vigente stabilisce che per ogni ATO la Regione individua, con propria legge, un Ente di Governo dell'ATO (EGATO) a cui – secondo quanto chiarito dall’art. 7 del D.L. 133/2014 - sono affidati tutti i compiti in materia di gestione dei servizi idrici, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche.

Come è stato anche ribadito dalla Corte Costituzionale (con la sentenza n. 62/2012) non spetta infatti alla Regione esercitare il servizio idrico, ad esempio scegliendo la società cui affidare il servizio idrico, ma spetta all'EGATO (o alla soppressa Autorità d'ambito); la Regione individua solo le funzioni e i compiti degli EGATO.

Si ricorda che i “nuovi” EGATO sostituiscono le "vecchie" AATO (Autorità d'ambito territoriale ottimale) soppresse, a far data dal 31 dicembre 2012, dal decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2.

Per una rassegna delle legislazioni regionali e degli EGATO da queste individuati in luogo delle preesistenti AATO si veda la tavola 4.1 a pag. 226 della Relazione annuale dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) del marzo 2014.

 

L’art. 147 impone ai comuni la partecipazione obbligatoria all'EGATO individuato dalla regione e situato nel territorio in cui è compreso il comune stesso (si tratta di un obbligo che già era previsto per le AATO dall’art. 148 ora abrogato e che è stato ribadito per gli EGATO dall’art. 7 del D.L. 133/2014).

Il comma 2-bis del medesimo articolo 147 (inserito dall’art. 7 del D.L. 133/2014) dispone inoltre che se l'ATO coincide con il territorio della Regione, qualora sia necessario per rendere il servizio più efficiente a beneficio degli utenti, è prevista la possibilità, per la Regione, di suddividerlo in sub-ambiti, che però devono essere almeno pari al territorio provinciale o della città metropolitana. Lo stesso comma fa salve le gestioni autonome del servizio idrico esistenti nei comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti istituite in passato ai sensi del comma 5 dell'art. 148, ora abrogato.

Tale comma prevedeva infatti che l'adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato fosse facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che gestissero l'intero servizio idrico integrato e previo consenso dell’Autorità d'ambito competente.

 

Lo stesso articolo 147, al comma 2, fissa i seguenti importanti principi informatori della gestione del servizio:

a) unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui;

b) unicità della gestione. Tale principio è stato ripristinato dall’art. 7 del D.L. 133/2014, in luogo di quello (meno stringente) dell’unitarietà, che era stato introdotto dal d.lgs. 4/2008 (c.d. secondo correttivo al Codice).

Si ricorda, in proposito, quanto rilevato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 307/2009, che, nell’analizzare il contesto normativo relativamente alla non separabilità tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico, sottolinea che “indipendentemente da ogni considerazione sul valore semantico dei termini «unicità» ed «unitarietà» della gestione, è, infatti evidente che parlare di «unitarietà», anziché di «unicità» delle gestioni, non vale a consentire l'opposto principio della separazione delle gestioni stesse. In altri termini, le due gestioni, quella delle reti e quella dell'erogazione, alla luce della sopravvenuta disciplina statale, potranno anche essere affidate entrambe a più soggetti coordinati e collegati fra loro, ma non potranno mai fare capo a due organizzazioni separate e distinte”.

La modifica apportata dal decreto n. 133 del 2014 elimina altresì la parte della lettera b) del comma 2 dell’art. 147 ove si richiedeva, comunque, il superamento della frammentazione verticale delle gestioni;

c) adeguatezza delle dimensioni gestionali, definita sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici.

 

L’art. 149 affida all’EGATO il compito di provvedere alla predisposizione e/o all’aggiornamento del piano d'ambito, e disciplina i contenuti del medesimo. Tale piano rappresenta lo strumento programmatorio cardine dell'EGATO, risultato di un'attività di ricognizione delle infrastrutture esistenti, della stesura di un programma degli interventi infrastrutturali necessari e di un piano finanziario connesso ad un modello gestionale ed organizzativo.

Le modalità di affidamento del servizio

In materia di affidamento dei servizi pubblici locali (SPL) si sono succedute diverse discipline, specie nel corso della XVI legislatura, nella cui successione temporale si sono inserite sia un'abrogazione referendaria sia una pronuncia di illegittimità costituzionale. Tali interventi sono stati adottati, per lo più, con provvedimenti d'urgenza, a partire dall'art. 23-bis del D.L. n. 112/2008, fino all'art. 34 del D.L. n. 179/2012 (per una ricostruzione dell’evoluzione normativa in materia si rinvia alla scheda “I servizi pubblici locali nella XVI legislatura” del marzo 2013, tratta dal dossier di inizio della XVII legislatura). Nel corso dell’attuale legislatura la materia dei SPL è stata interessata da ulteriori interventi, principalmente operati con il D.L. 150/2013, che in particolare ha consentito la prosecuzione delle gestioni di servizi non pienamente conformi agli orientamenti dell'UE, e dalla legge di stabilità 2015 (L. 190/2014, commi 609 e 615), che è intervenuta su una serie di questioni (per una trattazione più approfondita si rinvia alla scheda, aggiornata al 31 dicembre 2014, intitolata “Servizi pubblici locali”). Un ulteriore intervento è contemplato dall’art. 15 del ddl A.C. 3098 intitolato “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, che reca una delega al Governo per il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali d'interesse economico generale. L’esercizio di tale delega è volta alla previsione, tra l’altro, di una disciplina generale in materia di organizzazione e gestione dei servizi di interesse economico generale di ambito locale, compresa la definizione dei criteri per l'attribuzione di diritti speciali o esclusivi, in base ai principi di concorrenza, adeguatezza, sussidiarietà, anche orizzontale, e proporzionalità; con particolare riferimento alle società in partecipazione pubblica operanti nei servizi idrici, nell’ambito dei principi e criteri direttivi si prevede la risoluzione delle antinomie normative in base ai principi del diritto dell'Unione europea, tenendo conto dell'esito del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011 (si rinvia in proposito al commento dell’art. 15 dell’A.C. 3098, contenuto nel dossier n. 303/1).

Sullo sfondo della disciplina nazionale del comparto dei servizi pubblici locali vi sono i principi in materia di concorrenza e ammissibilità di affidamenti in house fissati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Merita, inoltre, segnalare le nuove direttive in materia di appalti pubblici e concessioni. In particolare, l’art. 12 della nuova direttiva in materia di appalti 2014/24/UE, rubricato “Appalti pubblici tra enti nell’ambito del settore pubblico” è la norma di riferimento per stabilire i nuovi caratteri dell’in house providing. Le disposizioni dell’articolo 12 sono riprodotte anche nell’articolo 28 della direttiva 2014/25/UE, che disciplina gli appalti nei cosiddetti settori “speciali in cui sono compresi acqua, energia, trasporti e servizi postali, e nell’articolo 17 della direttiva 2014/23/UE, che disciplina le concessioni.

La direttiva 2014/23/UE reca, per la prima volta, una disciplina unitaria sull’aggiudicazione dei contratti di concessione. Sono escluse dall’ambito di applicazione della direttiva, tra l’altro, le concessioni aggiudicate a un’impresa collegata (articolo 13) e le concessioni in house (articolo 17). Ulteriori specifiche esclusioni riguardano il settore idrico, in particolare le concessioni aggiudicate per fornire o gestire reti fisse destinate alla fornitura di un servizio al pubblico in connessione con la produzione, il trasporto o la distribuzione di acqua potabile e per alimentare tali reti con acqua potabile (articolo 12).

 

Le modalità e i termini per l’affidamento del servizio idrico sono stati recentemente modificati dall’art. 7 del D.L. 133/2014.

In particolare, è stato introdotto nel testo del d.lgs. 152/2006 un nuovo articolo 149-bis che va a sostituire le disposizioni contenute nell’art. 150, che viene abrogato.

In estrema sintesi, la nuova disciplina dispone che l’EGATO, nel rispetto del piano d'ambito e del principio di unicità della gestione per ciascun ATO:

·     delibera la forma di gestione fra quelle previste dall'ordinamento europeo;

·     provvede, conseguentemente, all'affidamento del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei SPL a rete di rilevanza economica.

 

Lo stesso articolo precisa che l'affidamento diretto può avvenire a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ATO.

Viene altresì stabilito che il soggetto affidatario gestisce il servizio idrico integrato su tutto il territorio degli enti locali ricadenti nell'ATO.

Al fine di ottenere un'offerta più conveniente e completa e di evitare contenziosi tra i soggetti interessati, le procedure di gara per l'affidamento del servizio includono appositi capitolati con la puntuale indicazione delle opere che il gestore incaricato deve realizzare durante la gestione del servizio (comma 2-bis dell’art. 149-bis).

 

Vale la pena ricordare anche le disposizioni dell’art. 151 del d.lgs. 152/2006 (anch’esse modificate dall’art. 7 del D.L. 133/2014), che disciplinano i rapporti tra EGATO e soggetto gestore del servizio idrico integrato. Tali rapporti (secondo quanto disposto dal comma 1) sono regolati da una convenzione predisposta dall'EGATO sulla base delle convenzioni-tipo, con relativi disciplinari, adottate dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (AEEGSI). Il contenuto delle convenzioni-tipo e dei relativi disciplinari è disciplinato dal comma 2 dell’art. 151. In particolare, viene stabilito che tali documenti prevedano, tra l’altro, il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio; la durata dell'affidamento, non superiore comunque a 30 anni; le opere da realizzare durante la gestione del servizio come individuate dal bando di gara.

Al gestore del servizio idrico integrato sono affidate in concessione d'uso gratuita, per tutta la durata della gestione, le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali (art. 153 del d.lgs. 152/2006).

Si ricorda, in proposito, che ai sensi dell’art. 143 del d.lgs. 152/2006 gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge e che la tutela di tali beni spetta anche all’EGATO.

 

Occorre altresì soffermarsi sulla disciplina delle gestioni esistenti, su cui è recentemente intervenuto l’art. 7 del D.L. 133/2014, che ha modificato i primi cinque commi dell'art. 172 del d.lgs. 152/2006 al fine di garantire che in tutti gli ATO il servizio idrico sia affidato a gestori unici. In particolare, il nuovo comma 1 dell'art. 172 disciplina i casi in cui il piano di ambito non sia stato redatto o l'EGATO non abbia ancora scelto la forma di gestione e avviato le procedure di affidamento. In tali casi viene introdotto il termine perentorio del 30 settembre 2015 per la conclusione di procedure di affidamento ad un gestore unico, con la conseguente decadenza degli affidamenti non conformi alla disciplina pro tempore vigente. Nei casi non contemplati dal comma 1 viene prevista una procedura per il subentro del gestore del servizio idrico integrato agli ulteriori soggetti operanti all'interno del medesimo ATO.

La tariffazione

Per quanto riguarda le modalità di calcolo della tariffa, che costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato, l’art. 154 del D.Lgs. 152/2006 stabilisce che la tariffa è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell'EGATO, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio «chi inquina paga» (comma 1).

Si fa notare che tale disposizione è conseguente all’esito del referendum popolare del 2011. Prima della consultazione referendaria, infatti, la norma stabiliva che la tariffa fosse calcolata prevedendo la remunerazione per il capitale investito dal gestore. Come stabilito dall’articolo 1, comma 1, del D.P.R. 116/2011, in esito al citato referendum sono state soppresse le seguenti parole del comma 1 dell’art. 154: «dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito».

Il principio della adeguata remunerazione del capitale investito aveva trovato concreta applicazione nel c.d. metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato, che era stato disciplinato dal decreto del Ministro per i lavori pubblici del 1° agosto 1996 (pubblicato nella Gazz. Uff. 16 ottobre 1996, n. 243). Tale decreto, al punto 3.3, stabiliva che «sul capitale investito, come risultante dai libri contabili alla data di emanazione del metodo e dal piano economico-finanziario, si applica un tasso di remunerazione fissato nella misura del 7 per cento».

 

Dal 1° gennaio 2014 è entrato in vigore il nuovo metodo tariffario idrico approvato dall'AEEGSI con la deliberazione 27 dicembre 2013, n. 643/2013/R/IDR. Le principali novità del nuovo metodo tariffario riguardano la soppressione della componente "remunerazione del capitale" e l'inclusione dei costi ambientali tra le componenti di costo.

 

Si ricorda che l’art. 21 del D.L. 201/2011 ha trasferito all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici. L’individuazione delle citate funzioni è stata successivamente operata con il D.P.C.M. 20 luglio 2012 (pubblicato nella G.U. n. 231 del 3 ottobre 2012), che ha definito i compiti attribuiti all’Autorità e quelli attribuiti al Ministero dell'ambiente. In estrema sintesi, in ambito tariffario viene attribuito al Ministero dell'ambiente (in particolare dalle lettere d) ed e) del comma 1 dell’art 1) il compito di definire i criteri che dovranno essere seguiti dall’AEEGSI nel disciplinare le componenti di costo per la determinazione della tariffa. Lo stesso D.P.C.M. stabilisce che l’AEEGSI predispone e rivede periodicamente il metodo tariffario per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato (è in attuazione di tale disposizione che è stata emanata la deliberazione 27 dicembre 2013, n. 643/2013/R/IDR) e approva le tariffe del servizio idrico integrato proposte dal soggetto competente sulla base del piano di ambito.

Relativamente ai compiti del Ministero dell'ambiente si ricorda che l’art. 154, comma 2, del D.Lgs. 152/2006 ha demandato al Ministero l’individuazione delle “componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua”. L’art. 170, comma 3, lettera l), del medesimo decreto legislativo dispone che - in via transitoria - fino all’emanazione del decreto di cui al comma 2 dell’art. 154, continua ad applicarsi il D.M. 1° agosto 1996 recante criteri di definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato costituenti un "metodo normalizzato".

In attuazione delle disposizioni dell’art. 1, comma 1, lettera d), del citato D.P.C.M. 20 luglio 2012, con il D.M. Ambiente 24 febbraio 2015, n. 39 è stato emanato il regolamento recante i criteri per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori d'impiego dell'acqua (pubblicato nella G.U. n. 81 dell’8 aprile 2015).

 

Si ricorda, infine, che l'articolo 44 del ddl n. 1676 (collegato ambientale) contiene disposizioni in materia di tariffazione del servizio idrico. Tale norma prevede infatti che l'AEEGSI, sentiti gli enti di ambito, assicuri agli utenti domestici del servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate l'accesso a condizioni agevolate alla fornitura della quantità di acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali. Al fine di assicurare la copertura dei conseguenti oneri, si dispone che l'Autorità definisca le necessarie modifiche all'articolazione tariffaria per fasce di consumo o per uso determinando i criteri e le modalità per il riconoscimento delle agevolazioni.

 

 


Contenuto

 


Finalità

La proposta di legge individua, quali finalità del provvedimento, quella di dettare i principi con cui deve essere utilizzato, gestito e governato il patrimonio idrico nazionale, nonché quella di favorire la definizione di un governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell'acqua, in grado di garantirne un uso sostenibile e solidale (art. 1).

Si fa notare che tale disposizione è identica a quella recata dall’art. 1 della proposta di legge di iniziativa popolare n. 2 della XVI legislatura, che era stata esaminata dall’VIII Commissione (Ambiente) congiuntamente con le proposte di legge di iniziativa parlamentare n. 1951 e n. 3865. Rispetto a tale disposizione viene precisato che l’obiettivo del governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell’acqua deve essere perseguito nel quadro delle politiche complessive di tutela e di gestione del territorio.

Princìpi generali

Di seguito si dà conto dei principi generali più rilevanti statuiti dalla proposta di legge in esame. In particolare, si fa notare che le disposizioni contenute nell’art. 2, ad eccezione di quelle contenute nei commi 4 e 6 di tale articolo, riproducono in gran parte quelle del corrispondente articolo dell’A.C. 2 della XVI legislatura.

Diritto all’acqua e quantitativo minimo vitale

L’art. 2, comma 1, qualifica il diritto all'acqua potabile di qualità nonché ai servizi igienico-sanitari come diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani, come sancito dalla risoluzione dell'ONU del 26 luglio 2010.

In proposito, si ricorda la comunicazione della Commissione europea relativa all'iniziativa dei cittadini europei "acqua potabile e servizi igienico-sanitari: un diritto umano universale! L'acqua è un bene comune, non una merce!" (COM/2014/0177 def.) e che è attualmente all’esame del Parlamento europeo una proposta di risoluzione (2014/2239 INI[2]) sul seguito della citata iniziativa dei cittadini europei "L'acqua è un diritto (Right2Water)”.

 

Il comma 4 dell’art. 2 fissa un quantitativo minimo vitale garantito di 50 litri al giorno pro-capite.

L’erogazione di tale quantitativo è gratuita ed è coperta dalla fiscalità generale.

Tale disposizione è sostanzialmente identica a quella contemplata dall’art. 9, comma 3, dell’A.C. 2 della XVI legislatura.

Una disposizione con finalità analoga si ritrova nell’art. 44 dell’A.S. 1676 (c.d. collegato ambientale) che prevede che l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AAEGSI) assicuri agli utenti domestici del servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate l'accesso a condizioni agevolate alla fornitura della quantità di acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali.

Si ricorda altresì che all’interno della delibera 27 dicembre 2013, n. 643/2013/R/IDR (con cui l’Autorità ha definito il metodo per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato per gli anni 2014 e 2015) sono contenute alcune disposizioni volte a fissare un obbligo di destinazione del Fondo nuovi investimenti al finanziamento di agevolazioni tariffarie a carattere sociale (v. articoli 8, 22 e 23 dell’allegato A alla delibera n. 643 citata).

Relativamente alla quantificazione del citato minimo vitale, si ricorda che la soglia pro-capite di 50 litri al giorno è quella al di sotto della quale - secondo l’ONU e l’OMS – si può già parlare di sofferenza per mancanza di acqua.

Secondo i dati recentemente diffusi dall’Istat, l’acqua potabile fatturata nel 2012 ammonta a poco meno di 5 miliardi di metri cubi, corrispondenti ad un valore medio di 228 litri al giorno per abitante. La situazione territoriale, rispetto al valore medio, risulta però molto eterogenea sul territorio.

Carattere pubblico della risorsa

In base all’art. 2, comma 2, tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e non mercificabili.

Si ricorda, in proposito, che l’art. 144, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006 dispone che tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato.

Criteri e priorità gestionali

Nei commi 2, 3, 5 e 6 dell’art. 2 vengono indicati numerosi criteri che devono informare la gestione delle acque:

·     solidarietà;

·     salvaguardia delle aspettative e dei diritti delle generazioni future a fruire di un patrimonio ambientale integro;

·     risparmio e rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrogeologici;

·     priorità per l'alimentazione e per l'igiene umane rispetto agli “altri usi” del medesimo corpo idrico superficiale o sotterraneo;

·     ammissibilità degli altri usi dell'acqua solo quando la risorsa è sufficiente e a condizione che non ledano la qualità dell'acqua per il consumo umano;

Si fa notare che tali principi riproducono quelli enucleati nei commi 2, 3 e 4 dell’art. 144 del d.lgs. n. 152/2006.

·     reciprocità e mutuo aiuto tra bacini idrografici con disparità di disponibilità della risorsa, al fine di garantire gli usi prioritari summenzionati;

·     priorità, tra gli “altri usi” succitati, per l'agricoltura e per l'alimentazione animale;

Si fa notare che tale principio riproduce, almeno in parte, quello recato dall’art. 167, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006.

Tale comma prevede, infatti, che nei periodi di siccità e comunque nei casi di scarsità di risorse idriche, durante i quali si procede alla regolazione delle derivazioni in atto, deve essere assicurata, dopo il consumo umano, la priorità dell'uso agricolo ivi compresa l'attività di acquacoltura di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 102.

·     favorire, per gli altri usi, l'impiego dell'acqua di recupero, in particolare di quella derivante da processi di depurazione, compatibilmente con le caratteristiche della stessa, delle acque piovane e di trattamento delle acque di prima pioggia (comma 6).

Si fa notare che, a differenza dei commi precedenti, non è chiaro se l’espressione “altri usi” di cui al comma 6 comprenda o meno anche l’uso agricolo e quello per l’alimentazione animale.

Si fa notare che tale principio è alla base della disposizione di carattere tariffario contenuta nell’art. 155 del decreto legislativo n. 152/2006, relativo alla tariffa del servizio di fognatura e depurazione. Il comma 6 di tale articolo, infatti, allo scopo di incentivare il riutilizzo di acqua reflua o già usata nel ciclo produttivo, prevede che la tariffa per le utenze industriali sia ridotta in funzione dell'utilizzo nel processo produttivo di acqua reflua o già usata.

Si ricorda che un principio generale analogo è contenuto nell’art. 99 del medesimo decreto, il cui comma 2 prevede che le regioni, nel rispetto dei principi della legislazione statale, adottino norme e misure volte a favorire il riciclo dell'acqua e il riutilizzo delle acque reflue depurate. L’incremento di riciclo e riutilizzo è altresì contemplato dall’art. 98 relativo al risparmio idrico.

Si ricorda, altresì, l’art. 104, comma 8, del decreto legislativo n. 152 secondo cui (al di fuori delle ipotesi contemplate dal medesimo articolo) gli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, esistenti e debitamente autorizzati, devono essere convogliati in corpi idrici superficiali ovvero destinati, ove possibile, al riciclo, al riutilizzo o all'utilizzazione agronomica. Una disposizione analoga è contenuta nell’art. 103, comma 2.

 

Il comma 7 dell’art. 2 dispone che tutti i prelievi di acqua devono essere misurati a mezzo di un contatore conforme alla normativa dell'UE vigente in materia, fornito dall'autorità competente e installato a cura dell'utilizzatore secondo i criteri stabiliti dall'autorità stessa.

Si rammenta che l’art. 146 del d.lgs. n. 152/2006 prevede che le regioni, entro un anno dall’entrata in vigore del decreto, adottino norme e misure volte a razionalizzare i consumi e eliminare gli sprechi ed in particolare, tra l’altro, ad “installare contatori per il consumo dell'acqua in ogni singola unità abitativa nonché contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano” (lettera f). Il successivo comma 2 prevede, inoltre, che il rilascio del permesso di costruire è subordinato alla previsione, nel progetto, dell'installazione di contatori per ogni singola unità abitativa.

Alla luce di quanto precedentemente rilevato, andrebbe valutata l’opportunità di un coordinamento delle disposizioni in commento con la parte terza del cd. Codice ambientale.

Principi relativi alla tutela e alla pianificazione

L’articolo 3 reca i principi relativi alla tutela e alla pianificazione a livello di distretto idrografico.

I distretti idrografici definiti dal cd. Codice dell’ambiente (la norma fa riferimento alla definizione contenuta nell'articolo 54, comma 1, lettera t), del D.Lgs. 152/2006) costituiscono, secondo il comma 1, la dimensione ottimale di governo e di gestione dell'acqua.

Si richiama sul punto quanto contenuto nel documento intitolato Linee guida per la delimitazione degli ambiti territoriali ottimali nel settore idrico, dell’aprile 2013, ove si legge che “la diversità di estensione di bacini idrografici (da quello del Po che copre quasi integralmente il territorio di cinque regioni a quelli di poche decine di kmq di molte regioni dove i rilievi collinari sono molto vicini al mare) non consente di trasportare facilmente questa suddivisione geomorfologica a livello di ambito, dove le dimensioni devono tendere ad una maggiore omogeneità e che comunque come estensione territoriale in base agli altri criteri ha un range molto più ristretto”.

Si ricorda che tali linee guida sono connesse alle disposizioni dettate dall’art. 3-bis del D.L. 138/2011 che disciplinano la definizione, da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, del perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio.

Lo stesso articolo dispone inoltre, tra l’altro, che la dimensione degli ambiti o bacini territoriali ottimali di norma deve essere non inferiore almeno a quella del territorio provinciale.

 

In base al successivo comma 2, per ogni distretto idrografico, composto da uno o più bacini e sottobacini idrografici, è istituita un'autorità di distretto, con compiti di coordinamento fra i vari enti territoriali.

Alla medesima autorità viene affidato il compito di provvedere alla definizione del piano di gestione (sulla base del bilancio idrico) e al suo aggiornamento periodico, nonché alla definizione degli strumenti di pianificazione concernenti la gestione dell'acqua e del territorio. Il piano di gestione costituisce uno stralcio del piano di bacino distrettuale.

Si ricorda che l’art. 117 del d.lgs. 152/2006 stabilisce che per ciascun distretto idrografico è adottato un piano di gestione, che rappresenta articolazione interna del piano di bacino distrettuale. Il piano di gestione costituisce pertanto piano stralcio del piano di bacino e viene adottato e approvato secondo le procedure stabilite per quest'ultimo dal citato decreto.

Del bilancio idrico si occupa invece l’art. 145 del decreto n. 152, secondo cui l'autorità di bacino competente definisce ed aggiorna periodicamente il bilancio idrico diretto ad assicurare l'equilibrio fra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili nell'area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi.

 

Viene inoltre prevista, dal comma 3, l’istituzione di un consiglio di bacino, di cui fanno parte tutti gli enti territoriali inclusi nel bacino di riferimento, che provvede alla definizione e all'approvazione del piano di ambito o di bacino e alla modulazione della tariffa per gli usi idropotabili e per gli usi produttivi e delle concessioni di prelievo, in funzione del bilancio idrico.

Con riferimento al “consiglio di bacino”, si fa notare che in seguito alla soppressione delle autorità d’ambito, in alcune regioni queste sono state sostituite da enti denominati proprio “consigli di bacino[3].

 

Viene altresì disciplinata l’elaborazione del bilancio idrico (secondo i criteri che dovranno essere emanati con apposito decreto del Ministero dell’ambiente) e viene previsto il trasferimento, al consiglio di bacino, delle competenze in materia di servizio idrico integrato assegnate agli enti di governo dell’ambito territoriale ottimale (commi 3-4). L’attribuzione di tali funzioni ai consigli di bacino sembrerebbe volta a far coincidere l’ambito territoriale ottimale con il bacino.

 

Considerato che le disposizioni in commento riformano la governance dei distretti idrografici, andrebbe valutata l’opportunità di un coordinamento con la relativa disciplina contenuta nella parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006.

Si ricorda, inoltre, che l’art. 39 del c.d. collegato ambientale (A.S. 1676), in corso di esame al Senato, detta un'articolata disciplina in materia di autorità di bacino e di distretti idrografici.

 

L’art. 3, commi 5-8 e 10-11, disciplina invece le modalità per il rilascio o il rinnovo di concessioni di prelievo di acque, per i quali indica specifici vincoli, conferma il criterio del recupero dei costi relativi ai servizi idrici e consente l’utilizzo delle acque «destinabili all'uso umano» per un uso diverso solo se non siano presenti altre risorse idriche (in tale caso prevedendo che venga decuplicato l'ammontare del relativo canone di concessione).

Si tratta di disposizioni analoghe a quelle contenute nell’art. 3, comma 4 e seguenti, dell’A.C. 2 della XVI legislatura.

Si fa notare che talune disposizioni citate richiamano quanto disposto dall’art. 12-bis del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, come sostituito dall’art. 96 del D.Lgs. 152/2006.

Tale articolo 12-bis dispone, al comma 1, che il provvedimento di concessione è rilasciato se:

a) non pregiudica il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualità definiti per il corso d'acqua interessato;

b) è garantito il minimo deflusso vitale e l'equilibrio del bilancio idrico;

c) non sussistono possibilità di riutilizzo di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane ovvero, pur sussistendo tali possibilità, il riutilizzo non risulta sostenibile sotto il profilo economico.

In base al comma 2 i volumi d'acqua concessi sono altresì commisurati alle possibilità di risparmio, riutilizzo o riciclo delle risorse. Il disciplinare di concessione deve fissare, ove tecnicamente possibile, la quantità e le caratteristiche qualitative dell'acqua restituita. Analogamente, nei casi di prelievo da falda deve essere garantito l'equilibrio tra il prelievo e la capacità di ricarica dell'acquifero, anche al fine di evitare pericoli di intrusione di acque salate o inquinate, e quant'altro sia utile in funzione del controllo del miglior regime delle acque.

L'utilizzo di risorse prelevate da sorgenti o falde, o comunque riservate al consumo umano, può essere assentito per usi diversi da quello potabile se soddisfa le seguenti condizioni poste dal comma 3:

a) viene garantita la condizione di equilibrio del bilancio idrico per ogni singolo fabbisogno;

b) non sussistono possibilità di riutilizzo di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane, oppure, dove sussistano tali possibilità, il riutilizzo non risulta sostenibile sotto il profilo economico;

c) sussiste adeguata disponibilità delle risorse predette e vi è una accertata carenza qualitativa e quantitativa di fonti alternative di approvvigionamento.

In tali casi il canone di utenza per uso diverso da quello potabile è triplicato, escluse le concessioni ad uso idroelettrico i cui impianti sono posti in serie con gli impianti di acquedotto.

Si richiama altresì la disposizione contenuta nell’art. 95, comma 4, del decreto legislativo n. 152/2006 secondo cui, salvo le eccezioni previste dal medesimo articolo, tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entrata in vigore della parte terza del decreto sono regolate dall'Autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici, come definito secondo i criteri adottati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con apposito decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione.

 

Il comma 9 dell’art. 3 (pressoché identico al comma 8 dell’articolo 3 dell’A.C. 2 della XVI legislatura) dispone che devono essere garantiti la conservazione o il raggiungimento, per tutti i corpi idrici, di uno stato di qualità vicino a quello naturale entro l'anno 2015, ai sensi di quanto previsto dalla c.d. direttiva acque (direttiva 2000/60/CE) attraverso il controllo e la regolazione degli scarichi idrici, nonché l'uso corretto e razionale delle acque e del territorio.

Si ricorda in proposito che le disposizioni sugli obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione delle acque sono contenuti, nella legislazione vigente, negli artt. 76 e segg. del D.Lgs. 152/2006.

Si osserva che andrebbe valutata l’opportunità di chiarire il riferimento allo “stato di qualità vicino a quello naturale”, posto che la classificazione dello stato ecologico dei corpi idrici contenuta nell’Allegato V alla direttiva cd. acque (corrispondente all’Allegato 1 alla parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006) fa riferimento allo stato elevato, buono e sufficiente (e definisce lo stato buono con riferimento alle acque sotterranee).

Principi relativi alla gestione del servizio idrico

L’articolo 4, sostanzialmente identico all’art. 4 dell’A.C. 2 della XVI legislatura, qualifica il servizio idrico integrato quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, la cui gestione quindi è:

·     sottratta al principio della libera concorrenza;

·     realizzata senza fini di lucro;

·     orientata al perseguimento di finalità di carattere sociale e ambientale;

·     finanziata attraverso meccanismi di fiscalità generale e specifica, nonché meccanismi tariffari.

Relativamente al quadro normativo nazionale, merita in primo luogo segnalare che la definizione di servizio idrico integrato è contenuta nell’art. 141, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, secondo cui tale servizio è costituito “dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue”.

L’articolo 147 del d.lgs. 152/2006 disciplina, inoltre, l’organizzazione territoriale del servizio idrico integrato attraverso gli ambiti territoriali ottimali. Il comma 4 dell’articolo 149 del medesimo decreto prevede che il piano d’ambito, così come redatto, dovrà garantire il raggiungimento dell'equilibrio economico finanziario e, in ogni caso, il rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità della gestione, anche in relazione agli investimenti programmati.

L’articolo 150 del sopracitato decreto legislativo, ove era contenuto il principio dell’unitarietà della gestione del servizio idrico integrato, è stato abrogato dall’art. 7 del D.L. 133/2014 e sostituito con l’art. 149-bis, che ha ripristinato il precedente principio di unicità della gestione. Tale articolo, al comma 1, attribuisce all'ente di governo dell'ambito, nel rispetto del piano d'ambito di cui all'articolo 149 e del principio di unicità della gestione per ciascun ambito territoriale ottimale, la deliberazione della forma di gestione fra quelle previste dall'ordinamento europeo provvedendo, conseguentemente, all'affidamento del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica.

 

Si rileva al riguardo la necessità di tenere conto della normativa europea in materia e degli orientamenti della Corte costituzionale secondo quanto sinteticamente richiamato di seguito.

 

I servizi pubblici locali, in base al Testo unico degli enti locali (art. 112 del decreto legislativo n. 267 del 2000), sono definiti servizi che hanno per oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.

A sua volta, la disciplina sui servizi pubblici in sede europea fa, di norma, riferimento ai servizi di interesse generale che possono avere natura economica (SIEG) e non economica (SINEG, come le attività di carattere sociale o quelle svolte nell’esercizio di prerogative dei pubblici poteri).

Nella comunicazione della Commissione europea sull'applicazione delle norme dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato alla compensazione concessa per la prestazione di servizi di interesse economico generale (2012/C 8/02) è posto in evidenza come la nozione di servizio di interesse economico generale sia un concetto in evoluzione, che dipende, tra l'altro, dalle esigenze dei cittadini, dagli sviluppi tecnologici e del mercato e dalle preferenze sociali e politiche nello Stato membro interessato. Taluni SIEG possono essere forniti da imprese pubbliche o private senza ricevere un sostegno finanziario specifico dalle autorità degli Stati membri; altri servizi possono invece essere prestati solo se le autorità offrono una compensazione finanziaria al fornitore. La Corte di giustizia ha stabilito che i servizi di interesse economico generale sono servizi che presentano caratteri specifici rispetto alle altre attività economiche. In assenza di specifiche norme dell'Unione che definiscono il campo di applicazione per l'esistenza di un SIEG, gli Stati membri dispongono dunque di un ampio margine di discrezionalità nel definire un determinato servizio come servizio di interesse economico generale e nel compensare il prestatore del servizio. Le competenze della Commissione europea a tale riguardo si limitano alla verifica di errori manifesti compiuti dagli Stati membri nel definire un servizio come SIEG e alla valutazione degli eventuali aiuti di Stato connessi alla compensazione. Nel caso esistano norme specifiche dell'Unione, la discrezionalità degli Stati membri è soggetta ad esse, fatto salvo il dovere della Commissione di valutare se il SIEG è stato correttamente definito ai fini del controllo sugli aiuti di Stato.

L’articolo 4 della direttiva 2014/23/UE, che disciplina l’aggiudicazione dei contratti di concessione, fa salva la libertà, per gli Stati membri, di definire, in conformità del diritto dell'Unione, quali essi ritengano essere servizi d'interesse economico generale, in che modo tali servizi debbano essere organizzati e finanziati, in conformità delle regole sugli aiuti di Stato, e a quali obblighi specifici essi debbano essere soggetti. L’articolo 4 precisa, inoltre, che i servizi non economici d'interesse generale non rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva.

 

La Corte costituzionale nella sentenza n. 325 del 2010 ha rilevato, tra l’altro, che secondo le indicazioni fornite dalla giurisprudenza europea e dalla Commissione europea, per «interesse economico generale» si intende un interesse che attiene a prestazioni dirette a soddisfare i bisogni di una indifferenziata generalità di utenti e, al tempo stesso, si riferisce a prestazioni da rendere nell’esercizio di un’attività economica, cioè di una «qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato», anche potenziale (sentenza Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, causa C-35/96, Commissione c. Italia, e Libro verde sui servizi di interesse generale del 21 maggio 2003, § 2.3, punto 44) e, quindi, secondo un metodo economico, finalizzato a raggiungere, entro un determinato lasso di tempo, quantomeno la copertura dei costi. Si tratta dunque di una nozione oggettiva di interesse economico, riferita alla possibilità di immettere una specifica attività nel mercato corrispondente, reale o potenziale. La Corte, inoltre, sottolinea che la nozione di servizio pubblico locale di rilevanza economica, in quanto corrispondente a quella europea di servizio di interesse economico generale, avrebbe carattere oggettivo e facilmente individuabile anche ex-ante, vale a dire nel caso in cui esso non sia già esistente sul mercato. Tale carattere sarebbe riscontrabile in virtù della semplice possibilità dell'apertura di un mercato rilevante, «obiettivamente valutata secondo un giudizio di concreta realizzabilità, a prescindere da ogni soggettiva determinazione dell'ente al riguardo».

La Corte costituzionale, inoltre, nel pronunciarsi circa l’ammissibilità del quesito referendario riguardante l’abrogazione del riferimento all’«all’adeguatezza della remunerazione del capitale investito» nella determinazione della tariffa di cui all’articolo 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (sentenza n. 26 del 2011), lo ha reputato idoneo al fine perseguito in quanto coessenziale alla nozione di “rilevanza” economica del servizio è la copertura dei costi (sentenza n. 325 del 2010), non già la remunerazione del capitale. Per altro verso, la Corte  - nella medesima sentenza n. 26 – ha precisato che (in conseguenza dell’abrogazione del riferimento all’adeguatezza della remunerazione del capitale investito) la normativa residua, immediatamente applicabile, data proprio dall’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, non presenta elementi di contraddittorietà, persistendo la nozione di tariffa come corrispettivo, determinata in modo tale da assicurare «la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”».

Governo pubblico del ciclo naturale e integrato dell'acqua

L’articolo 5 contiene disposizioni volte a disciplinare la governance del servizio idrico e, più in generale, del ciclo dell’acqua.

In particolare, viene previsto il seguente riparto di competenze:

·      al Ministero dell’ambiente viene affidata esclusivamente la funzione regolatoria del governo del ciclo naturale dell'acqua e della sua salvaguardia come bene ambientale. Il comma 1 precisa che tale Ministero esercita anche le competenze in materia di regolamentazione di tutti gli usi, produttivi o non produttivi, e del servizio idrico, nonché di determinazione delle componenti delle tariffe differenziate per uso umano e per tutti gli usi produttivi, comprese le concessioni, in conformità con i principi in materia di tariffazione del servizio idrico integrato previsti dall'art. 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Al medesimo Ministero vengono attribuiti funzioni e compiti che la sezione III della parte terza del d.lgs. 152/2006, riguardante la gestione delle risorse idriche, riserva alla competenza dello Stato;

·      a un Comitato interministeriale composto dai rappresentanti dei Ministeri competenti in materia di risorse idriche, presieduto dal Ministro dell'ambiente o da un suo delegato, sono attribuite le competenze relative alla programmazione delle grandi opere infrastrutturali a livello di reti idrauliche di rilievo nazionale nonché all'acqua per uso umano, comprese le bevande, e per usi produttivi ed energetici;

Si osserva che sarebbe necessario indicare esplicitamente nella norma i ministri componenti del Comitato.

·      alle regioni, nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali, viene in particolare affidato il compito di disciplinare il governo del rispettivo territorio, possibilmente unificando le competenze in un unico assessorato regionale, e di redigere il piano di tutela delle acque su scala regionale e di bacino idrografico. In funzione della non rilevanza economica del servizio idrico integrato è conferita alle regioni ordinarie la scelta del modello gestionale del servizio stesso, nonché la definizione dei bacini idrografici;

Relativamente al piano di tutela delle acque si ricorda che esso è disciplinato dall’art. 121 del D.Lgs. 152/2006.

·     agli enti locali, attraverso il Consiglio di bacino, sono attribuite le funzioni di programmazione del piano di bacino, di organizzazione del servizio idrico integrato, di scelta della forma di gestione, di modulazione delle tariffe all'utenza sulla base del metodo definito dal Ministero dell'ambiente, nonché di affidamento della gestione e del relativo controllo;

·     ad un'Autorità nazionale di vigilanza sulle risorse idriche, istituita con decreto del Ministro dell'ambiente, saranno attribuite le funzioni di controllo sull'attuazione e il rispetto della disciplina vigente. Tale Autorità si avvarrà di un Osservatorio sui settori di propria competenza, che svolgerà funzioni di raccolta, elaborazione e restituzione di dati, costituendo una banca dati connessa con i sistemi informativi del Ministero dell'ambiente, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, delle autorità di bacino e dei soggetti gestori dei servizi idrici.

Si ricorda che il comma 19 dell’art. 21 del D.L. 201/2011 ha trasferito all’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici.

 

Andrebbe, pertanto, valutata l’opportunità di un coordinamento con le norme che hanno definito l’attuale assetto di governance dei servizi idrici.

 

I commi 1 e 2 dell’art. 6 prevedono la proprietà pubblica e la natura demaniale delle infrastrutture afferenti al servizio idrico e la conseguente inalienabilità e destinazione perpetua ad uso pubblico, nonché la non separabilità della gestione e dell’erogazione del servizio idrico integrato e l’affidamento esclusivo a enti di diritto pubblico. La norma sembra, pertanto, privilegiare tale modalità di affidamento rispetto alle altre consentite dalla normativa vigente.

Si segnala che l’articolo 143 del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede che gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge. La medesima disposizione attribuisce all'ente di governo dell'ambito la tutela dei beni di cui al comma 1, ai sensi dell'articolo 823, secondo comma, del codice civile.

Per quanto riguarda l’affidamento del servizio, come già precedentemente rilevato, l’149-bis del citato decreto legislativo prevede che l’ente di governo dell’ambito deliberi la forma di gestione fra quelle previste dall'ordinamento europeo provvedendo, conseguentemente, all'affidamento del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica. A seguito di quanto previsto dal comma 615 dell’articolo 1 della legge di stabilità n. 190 del 2014, l'affidamento diretto può avvenire a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ATO.

Le nuove direttive europee in materia di appalti pubblici e concessioni apportano una serie di importanti innovazioni alla disciplina europea, che dovrà essere recepita nell’ordinamento nazionale.

Relativamente agli affidamenti in house, i cui principi sono stati fissati nel tempo dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, l’art. 12 della nuova direttiva in materia di appalti 2014/24/UE, approvata il 15 gennaio 2014 dal Parlamento europeo, rubricato “Appalti pubblici tra enti nell’ambito del settore pubblico” innova con riguardo alle due condizioni necessarie per l’affidamento: la prima riguarda l’effettuazione di “oltre l’80 %” delle attività della persona giuridica controllata nello svolgimento dei compiti affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatrici; la seconda, nel confermare il divieto di partecipazione diretta di capitali privati nella persona giuridica controllata, consente in via eccezionale forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto. Viene, altresì, innovata la definizione di controllo analogo congiunto da parte delle amministrazioni aggiudicatrici.

Per quanto riguarda le concessioni, come già segnalato nella descrizione del quadro normativo, sono escluse dall’ambito di applicazione della nuova direttiva 2014/23/UE le concessioni aggiudicate per fornire o gestire reti fisse destinate alla fornitura di un servizio al pubblico in connessione con la produzione, il trasporto o la distribuzione di acqua potabile e per alimentare tali reti con acqua potabile (articolo 12).

Si ricorda, infine, l’articolo 15 del disegno di legge n. 3098, che delega il Governo al riordino dei servizi pubblici locali di interesse economico generale sulla base di una serie di principi e criteri direttivi che, con particolare riferimento alle società in partecipazione pubblica operanti nei servizi idrici, prevedono la risoluzione delle antinomie normative in base ai principi del diritto dell'Unione europea, tenendo conto dell'esito del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011.

Andrebbe valutata l’opportunità di una più chiara individuazione degli “enti di diritto pubblico” a cui può essere affidata la gestione delle reti e l’erogazione del servizio idrico integrato anche al fine di valutare tale modalità di affidamento alla luce del quadro normativo europeo e nazionale.

Ripubblicizzazione della gestione del servizio idrico integrato, decadenza delle forme di gestione e fase transitoria

L’articolo 6, commi 4-10, riproduce, nella sostanza, salvo limitate differenze, l’art. 6 dell’A.C. 2 della XVI legislatura.

Le disposizioni in esame sono consequenziali a quelle dettate dagli articoli precedenti, in particolare a quelle che definiscono il servizio idrico integrato quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica e che dispongono l’affidamento esclusivo a enti di diritto pubblico. In conseguenza di tali disposizioni le norme in esame vietano l’acquisizione di quote azionarie di società di gestione del servizio idrico integrato.

Viene inoltre regolata la fase transitoria per il passaggio al nuovo assetto di gestione esclusivamente pubblica, prevedendo in particolare:

·      la decadenza immediata di tutte le forme di gestione del servizio idrico affidate in concessione a terzi;

Andrebbe valutata l’opportunità di chiarire a quali forme di gestione del servizio idrico la norma si riferisce.

Sembrerebbe inoltre opportuno precisare le modalità di cessazione dei rapporti di concessione attualmente in essere, per i quali la disposizione prevede la “decadenza”.

Ai sensi dell’articolo 151 del decreto legislativo n. 152 del 2006, la gestione del servizio idrico è regolata da convenzioni tra gli enti di governo degli ambiti e i soggetti gestori sulla base delle convenzioni tipo, con relativi disciplinari, adottate dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico. A tal fine, le convenzioni tipo devono prevedere, tra l’altro, le condizioni di risoluzione secondo i principi del codice civile.

·      nel caso di affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, l’avvio del processo di trasformazione in società a capitale interamente pubblico (che deve concludersi entro un anno), con obbligo di successiva trasformazione in ente pubblico (entro sei mesi);

Andrebbe valutata l’opportunità di disciplinare più chiaramente le fattispecie riguardanti la gestione di una pluralità di servizi laddove si fa riferimento al “previo recesso del settore acqua”.

·      nel caso di affidamento a società a capitale interamente pubblico, la trasformazione, entro un anno, in enti di diritto pubblico.

Anche in relazione alla disposizione in esame appare necessario precisare la nozione di “ente di diritto pubblico”.

 

L’articolo 6, comma 10, demanda ad un successivo decreto ministeriale la definizione dei criteri e delle modalità ai quali le regioni e gli enti locali devono attenersi per garantire la continuità del servizio idrico durante tale fase transitoria.

Al fine di attuare i citati processi di trasformazione societaria e aziendale, viene prevista l’istituzione, presso il Ministero dell'ambiente, di un apposito Fondo nazionale per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, che sarà disciplinato con un apposito decreto del medesimo Ministero (articolo 7, che riproduce grosso modo il corrispondente articolo dell’A.C. 2 della XVI legislatura).

Al finanziamento del Fondo si provvede tramite anticipazioni della Cassa depositi e prestiti S.p.A.

Al riguardo, si osserva come la norma non provvede né alla quantificazione dell’onere da essa recato – atteso che si limita a disporre l’istituzione del Fondo, senza indicarne la relativa dotazione – né all’individuazione della relativa copertura finanziaria, non risultando a tal fine idonea la mera previsione di una anticipazione finanziaria a carico della Cassa Depositi e Prestiti, senza contestualmente prevederne la dotazione di bilancio sulla cui base corrispondere l’anticipazione medesima, nonché le modalità di restituzione della stessa al soggetto erogatore, costituito per l’appunto dalla Cassa.

In tal senso hanno operato, ad esempio, le recenti disposizioni dettate dal decreto-legge n. 35 del 2013 (tra le altre, l’articolo 1, commi da 11 a 13) in tema di pagamento dei debiti pregressi della amministrazioni pubbliche.

Finanziamento del servizio idrico integrato

Criteri generali

L’art. 8, comma 1, individua, in termini generali, le modalità di finanziamento del servizio idrico integrato attraverso:

·      la fiscalità generale e specifica;

·      la tariffa.

Si segnala che non risulta chiaro il riferimento alla fiscalità specifica. Al riguardo, parrebbe più opportuno un rinvio a quanto previsto dal successivo articolo 12 recante le norme di copertura finanziaria.

 

Il comma 2 specifica che i finanziamenti reperiti attraverso la fiscalità generale e i contributi nazionali ed europei sono destinati a coprire, in particolare, i costi di investimento per tutte le nuove opere del servizio idrico integrato e i costi di erogazione del quantitativo minimo vitale garantito (individuato in 50 litri giornalieri per persona, v. supra).

Fondo investimenti

L’articolo 8, comma 3, prevede l’istituzione (con apposito decreto del Ministro dell'ambiente, da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge) di un apposito fondo finalizzato ad accelerare gli investimenti nel servizio idrico integrato, con particolare riferimento alla ristrutturazione della rete idrica, e che è finanziato tramite anticipazioni della Cassa depositi e prestiti S.p.A.

Si segnala che l’art. 22 del Metodo Tariffario Idrico (MTI), approvato dall'AEEGSI con la deliberazione 27 dicembre 2013, n. 643/2013/R/IDR, obbliga il gestore del servizio idrico integrato a “destinare esclusivamente alla realizzazione dei nuovi investimenti individuati come prioritari nel territorio servito, o al finanziamento di agevolazioni tariffarie a carattere sociale, una quota del vincolo riconosciuto ai ricavi destinata al Fondo nuovi investimenti”.

Al riguardo, si osserva che la norma non quantifica l’onere da essa recato né ne dispone la copertura finanziaria, non risultando idonea a tal fine la previsione di una anticipazione a carico della Cassa Depositi e Prestiti, per le ragioni già illustrate per il precedente articolo 7, alle quali si rinvia.

Determinazione della tariffa

L’art. 9, comma 1, demanda ad un apposito decreto (da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge) del Ministro dell'ambiente, la definizione del metodo per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato:

·      nel rispetto dell'articolo 9 della direttiva 2000/60/CE;

L’art. 9 della direttiva 2000/60/CE, in particolare, afferma il principio del recupero dei costi dei servizi idrici (full recovery cost), compresi i costi ambientali e relativi alle risorse, prendendo in considerazione l'analisi economica effettuata in base all'allegato III e, in particolare, secondo il principio "chi inquina paga".

Essa inoltre prevede che, entro il 2010, gli Stati membri provvedono:

-      a che le politiche dei prezzi dell'acqua incentivino adeguatamente gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente e contribuiscano in tal modo agli obiettivi ambientali della direttiva,

-      a un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell'acqua, suddivisi almeno in industria, famiglie e agricoltura, sulla base dell'analisi economica effettuata secondo l'allegato III e tenendo conto del principio "chi inquina paga".

·      e in conformità ai seguenti principi di copertura dei costi:

a)   copertura integrale dei costi di gestione del servizio idrico integrato;

b)   copertura parziale dei costi di investimento, con specifico riferimento all'ammortamento e agli oneri finanziari derivanti dagli investimenti effettuati tramite il fondo per i nuovi investimenti istituito dall’art. 8;

c)   copertura dei costi attinenti le attività di depurazione o di riqualificazione ambientale necessarie per compensare l'impatto delle attività per cui è concesso l'uso dell'acqua;

d)   copertura dei costi relativi alle attività di prevenzione e di controllo;

e)   articolazione tariffaria progressiva differenziata per fasce di consumo prevedendo che:

-      il consumo fino a 50 litri giornalieri per persona sia considerato quantitativo minimo vitale garantito, con costi a carico della fiscalità generale;

-      il consumo oltre i 300 litri giornalieri per persona sia equiparato all'uso commerciale.

 

Come si è già avuto modo di segnalare in precedenza, l’art. 154, comma 2, del c.d. Codice ambientale (D.Lgs. 152/2006) ha demandato al Ministero dell’ambiente l’individuazione delle “componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua”. Il D.P.C.M. 20 luglio 2012 (pubblicato nella G.U. n. 231 del 3 ottobre 2012), nel definire i compiti attribuiti all’AEEGSI, ha assegnato al Ministero dell'ambiente, in ambito tariffario, il compito di definire i criteri che devono essere seguiti dall’AEEGSI nel definire le componenti di costo per la determinazione della tariffa.

 

I commi dell’art. 9 successivi al primo contengono disposizioni che (ad eccezione del comma 4) non trovano corrispondenza nell’A.C. 2 della XVI legislatura.

Compiti di modulazione delle tariffe attribuiti al Consiglio di bacino

Il comma 2 prevede che il consiglio di bacino proceda, in funzione dei bilanci idrici, alla modulazione delle tariffe all'utenza sulla base del metodo definito dal Ministro dell'ambiente e del piano di bacino approvato, tenendo conto della composizione del nucleo familiare, della quantità dell'acqua erogata e dell’esigenza di razionalizzazione dei consumi e di eliminazione degli sprechi in funzione dei bilanci idrici.

Il successivo comma 3 prevede che lo stesso consiglio proceda (sempre sulla base del metodo tariffario definito dal Ministro dell'ambiente) alla modulazione delle tariffe per usi produttivi differenziati per tipologie d'uso e per fasce di consumo, in conformità ai principi previsti dall'art. 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e ai fini del raggiungimento e del mantenimento degli obiettivi di qualità ambientali previsti dalla direttiva.

Il riferimento all’art. 154 sembra essere finalizzato a richiamare il disposto dei commi 6 e 7. Il comma 6 dispone infatti che nella modulazione della tariffa sono assicurate, anche mediante compensazioni per altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonché per i consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito, e che, per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi, sono ammesse maggiorazioni di tariffa per le residenze secondarie, per gli impianti ricettivi stagionali, nonché per le aziende artigianali, commerciali e industriali. Ai sensi del comma 7, l'eventuale modulazione della tariffa tra i comuni tiene conto degli investimenti pro capite per residente effettuati dai comuni medesimi che risultino utili ai fini dell'organizzazione del servizio idrico integrato.

Modalità per la limitazione della fornitura idrica

Il comma 4, che riproduce il corrispondente comma dell’A.C. 2 della XVI legislatura, impedisce la sospensione dell’erogazione del quantitativo minimo vitale (quantificato dall’art. 2, comma 4, in 50 litri giornalieri pro-capite).

 

In caso di morosità nel pagamento, è prevista l’installazione, da parte del gestore, di un apposito meccanismo limitatore dell'erogazione, idoneo a garantire esclusivamente la fornitura giornaliera essenziale di 50 litri giornalieri per persona.

Si osserva che la norma non indica a chi competa l’onere relativo all’installazione.

 

La limitazione della fornitura idrica è possibile, in base al comma 5, solo al verificarsi delle seguenti condizioni:

·      preavviso del gestore mediante comunicazione avente valore legale recante l'indicazione del giorno a partire dal quale procederà alla limitazione della fornitura;

·      la limitazione dovrà avvenire almeno 30 giorni dopo il ricevimento della citata comunicazione.

Il comma 6 dispone che nel caso di utenze domestiche e condominiali il soggetto gestore non può procedere alla limitazione della fornitura idrica, anche nelle forme della riduzione del flusso, se non previo accertamento giudiziale dell'inadempimento dell'utente, anche nelle forme di cui agli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile (procedimento d'ingiunzione).

 

Il comma 7 dispone che, in caso di mancato rispetto delle condizioni previste dal presente articolo (forse sarebbe meglio fare riferimento alle condizioni contemplate dai soli commi 4-6), l'autorità giudiziaria, indipendentemente dall'accertamento dell'inadempimento dell'utente, ordina al soggetto gestore, anche nelle forme di cui all'articolo 700 del codice di procedura civile (provvedimenti di urgenza), l'allaccio immediato della fornitura idrica. Sono nulle tutte le disposizioni contrattuali e regolamentari incompatibili con il presente articolo.

La disposizione sembra riferirsi non solo ad indebiti distacchi (vietati dal comma 4), ma anche a limitazioni effettuate senza rispettare tutte le condizioni previste. Andrebbe quindi riformulata con riferimento non solo all’allaccio immediato, ma anche alla rimozione di eventuali meccanismi limitatori.

Tariffe agevolate per utenti in condizioni economico-sociali disagiate

L’ultimo periodo del comma 6 stabilisce che, ai fini della determinazione della tariffa, gli enti competenti tengono conto delle utenze disagiate.

 

Tale disposizione persegue una finalità analoga a quella dell'articolo 44 del disegno di legge n. 1676 (c.d. collegato ambientale). Tale ultima norma prevede infatti che l'AEEGSI, sentiti gli enti di ambito, assicuri agli utenti domestici del servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate l'accesso a condizioni agevolate alla fornitura della quantità di acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali. Al fine di assicurare la copertura dei conseguenti oneri, si dispone che l'Autorità definisca le necessarie modifiche all'articolazione tariffaria per fasce di consumo o per uso determinando i criteri e le modalità per il riconoscimento delle agevolazioni.

Governo partecipativo del servizio idrico integrato

L’art. 10 riprende, integrandole e ampliandole, le disposizioni contenute nel corrispondente articolo dell’A.C. 2 della XVI legislatura.

In particolare, i commi 1 e 2 affermano il principio del governo democratico della gestione del servizio idrico integrato e attribuiscono agli enti locali il compito di adottare (sulla base di norme regionali di indirizzo) forme di democrazia partecipativa che garantiscano, ai lavoratori del servizio idrico integrato e agli abitanti del territorio, la partecipazione attiva alle decisioni sugli atti fondamentali di pianificazione, programmazione e gestione. Viene altresì previsto, per favorire la partecipazione democratica, che lo Stato e gli enti locali applichino, nella redazione degli strumenti di pianificazione, il disposto dell'art. 14 della direttiva 2000/60/CE, in conformità a quanto previsto dalla Convenzione di Aarhus del 1998 sull'accesso alle informazioni e la partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia ambientale.

Si segnala che l’articolo 14 della direttiva 2000/60/CE disciplina l’informazione e la consultazione pubblica, prevedendo che gli Stati membri promuovono la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all'attuazione della direttiva, in particolare all'elaborazione, al riesame e all'aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici.

L’articolo 66 del d.lgs. 152/2006 (che nella parte terza ha dato attuazione alla richiamata direttiva) prevede, al comma 7, che le autorità di bacino promuovano la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all'elaborazione, al riesame e all'aggiornamento dei piani di bacino, provvedendo affinché, per ciascun distretto idrografico, siano pubblicati e resi disponibili per eventuali osservazioni del pubblico, inclusi gli utenti, concedendo un periodo minimo di sei mesi per la presentazione di osservazioni scritte, i seguenti documenti:

a) il calendario e il programma di lavoro per la presentazione del piano, inclusa una dichiarazione delle misure consultive che devono essere prese almeno tre anni prima dell'inizio del periodo cui il piano si riferisce;

b) una valutazione globale provvisoria dei principali problemi di gestione delle acque, identificati nel bacino idrografico almeno due anni prima dell'inizio del periodo cui si riferisce il piano;

c) copie del progetto del piano di bacino, almeno un anno prima dell'inizio del periodo cui il piano si riferisce.

Disposizioni di contenuto analogo volte a garantire l’informazione e la consultazione pubblica con riferimento all’elaborazione, al riesame e all’aggiornamento dei Piani di tutela delle acque sono contenute nell’art. 122 del decreto n. 152.

Si segnala anche l’art. 162 del citato decreto che, con riferimento alla gestione del servizio idrico integrato, disciplina i compiti del gestore al fine di garantire l’informazione degli utenti e prevede forme di pubblicità dei progetti concernenti opere idrauliche che comportano o presuppongono grandi e piccole derivazioni, opere di sbarramento o di canalizzazione, nonché la perforazione di pozzi.

La presenza di tali disposizioni all’interno del cd. Codice dell’ambiente è motivata dal fatto che con tale provvedimento si è inteso operare, tra l’altro, anche il recepimento nell’ordinamento nazionale della direttiva 2003/35/CE, che rappresenta l’attuazione a livello europeo di uno dei tre pilastri della succitata Convenzione di Aarhus. L’Unione europea non si è infatti limitata a ratificare la Convenzione, ma si è impegnata ad adottare i provvedimenti necessari per assicurarne un'applicazione effettiva. In particolare il primo pilastro della convenzione, che fa riferimento all'accesso al pubblico delle informazioni, ha trovato attuazione nella direttiva 2003/4/CE relativa all'accesso del pubblico alle informazioni in materia ambientale (recepita con il D.Lgs. 195/2005), mentre il secondo pilastro, che riguarda la partecipazione del pubblico alle procedure ambientali, è stato recepito dalla direttiva 2003/35/CE.

La Convenzione di Aarhus è stata ratificata dall'Italia con la legge n. 108/2001.

 

Il comma 3 rinvia agli statuti di province e comuni (ai sensi dell'articolo 8 del D.Lgs. 267/2000) la disciplina degli strumenti di democrazia partecipativa di cui ai commi precedenti.

 

Il comma 4 attribuisce al Governo il compito di definire – entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento – la Carta nazionale del servizio idrico integrato.

La finalità e il contenuto della Carta sono individuati nei seguenti:

·      il riconoscimento del diritto all'acqua di cui all’art. 2 (in particolare il riferimento sembra ai 50 litri giornalieri procapite gratuiti, in quanto coperti dalla fiscalità generale);

·      la fissazione dei livelli e degli standard minimi di qualità del servizio idrico integrato;

·      la disciplina delle modalità di vigilanza sulla sua corretta applicazione, definendo le eventuali sanzioni applicabili.

 

Si segnala che l’articolo 151 del d.lgs. 152/2006 dispone che le convenzioni tipo adottate dall’AEEGSI (sulla base delle quali sono predisposte, da parte dell’ente di governo dell’ambito, le convenzioni dirette a regolare i rapporti tra l’ente ed il soggetto gestore del servizio idrico integrato) devono prevedere l'obbligo di adottare la carta di servizio sulla base degli atti d'indirizzo vigenti.

In attuazione di tale disposizione, con la deliberazione 412/2013/R/IDR, l’AEEGSI ha avviato un procedimento per la predisposizione di una o più convenzioni tipo per la regolazione dei rapporti tra enti affidanti e gestori del servizio idrico integrato. In virtù delle numerose modifiche apportate dal D.L. 133/2014 alla disciplina del servizio idrico, con la successiva delibera 25 settembre 2014, n. 465/2014/R/idr, l’AEEGSI ha, tra l’altro, deciso di prorogare al 30 giugno 2015 il termine per la conclusione del citato procedimento.

 

Il comma 5 introduce norme finalizzate a garantire la pubblicità:

·      delle sedute del consiglio di bacino e dei relativi atti deliberati (in proposito viene richiesto che i verbali e le deliberazioni siano pubblicati sul sito web istituzionale del consiglio, in conformità al D.Lgs. 33/2013);

Si ricorda che tale decreto legislativo contiene le norme di riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. L’art. 1 di tale decreto enuncia il principio generale di trasparenza, intesa come “accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche”, statuisce che la trasparenza concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell'utilizzo di risorse pubbliche ed integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino. L’art. 8 del medesimo decreto stabilisce che i documenti contenenti atti oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblicati tempestivamente sul sito istituzionale dell'amministrazione e ivi mantenuti per un periodo di 5 anni, decorrenti dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello da cui decorre l'obbligo di pubblicazione, e comunque fino a che gli atti pubblicati producono i loro effetti.

·      di tutti gli atti e i provvedimenti, adottati dai gestori del servizio idrico integrato, che prevedono impegni di spesa.

Fondo nazionale di solidarietà internazionale

L’art. 11 riprende, integrandole e ampliandole, le disposizioni contenute nel corrispondente articolo dell’A.C. 2 della XVI legislatura.

La disposizione, al comma 1, prevede l’istituzione, presso il Ministero dell’ambiente, del Fondo nazionale di solidarietà internazionale, posto sotto la vigilanza dei Ministri dell'ambiente e degli affari esteri.

Le finalità del Fondo sono individuate nel favorire l'accesso all'acqua potabile per tutti gli abitanti del pianeta e contribuire alla costituzione di una fiscalità generale universale che garantisca tale accesso, da realizzare attraverso la destinazione delle sue risorse a progetti di sostegno all'accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari, gestiti attraverso forme di cooperazione decentrata e partecipata dalle comunità locali dei Paesi di erogazione e dei Paesi di destinazione, con l'esclusione di qualsiasi profitto o interesse privatistico.

 

In base al comma 2, le risorse destinate ad alimentare il Fondo sono individuate - tra le altre - nelle seguenti:

a) prelievo in tariffa di 1 centesimo di euro per metro cubo di acqua erogata a cura del gestore del servizio idrico integrato. Il comma 3 precisa che tali introiti sono destinati esclusivamente alle finalità di cui al comma 1;

b) prelievo fiscale nazionale di 1 centesimo di euro per ogni bottiglia di acqua minerale commercializzata.

 

Posto che la formulazione del comma 2 lascia intendere che le disponibilità indicate sono soltanto alcune delle risorse che afferiscono al Fondo, sarebbe opportuno precisare anche le ulteriori risorse del medesimo.

Occorrerebbe precisare, anche eventualmente mediante un rinvio a disposizioni di rango secondario, le modalità attuative del prelievo in commento.

 

Le risorse del Fondo, secondo il disposto del comma 4, saranno erogate tramite bandi emanati dai Ministri competenti (vale a dire i Ministri dell'ambiente e degli affari esteri), i cui criteri sono definiti in sede di Conferenza unificata.

Si ricorda che l’articolo 1, comma 1284, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), come sostituito dall’art. 2, comma 334, della legge n. 244/2007 (finanziaria 2008), ha istituito un fondo di solidarietà, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, finalizzato a promuovere il finanziamento esclusivo di progetti e interventi, in ambito nazionale e internazionale, atti a garantire il maggior accesso possibile alle risorse idriche secondo il principio della garanzia dell’accesso all’acqua a livello universale. Il fondo è alimentato dalle risorse di cui al comma 1284-ter, mentre l’individuazione delle modalità di funzionamento e di erogazione delle risorse del fondo viene demandata ad un apposito decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro degli affari esteri, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata.

Il successivo comma 1284-ter ha istituito un contributo di 0,5 centesimi di euro per ogni bottiglia di acqua minerale o da tavola in materiale plastico venduta al pubblico, destinando un decimo delle entrate derivanti da tale contributo all’alimentazione del fondo di cui al comma 1284.

 

Ciò premesso, si osserva che andrebbe valutata l’opportunità di un coordinamento tra l’articolo in commento e l’articolo 1, comma 1284, della legge finanziaria 2007, in considerazione della parziale sovrapposizione delle finalità dei Fondi istituiti dalle due disposizioni.

 

Si segnala, peraltro, che la Corte con sentenza 19-23 maggio 2008, n. 168, ha dichiarato, tra l’altro, l'illegittimità dell'articolo 1, comma 1284, della legge 296/2006 (legge finanziaria 2007), nel testo sostituito dall'art. 2, comma 334, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui prevede che le modalità di funzionamento e di erogazione delle risorse del fondo siano indicate con decreto del Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro degli affari esteri, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata anziché d'intesa con la Conferenza unificata. Secondo la Corte, le disposizioni censurate istituiscono un fondo di natura unitaria ed indivisa, la cui disciplina si pone all’incrocio di materie attribuite dalla Costituzione alla potestà legislativa statale e regionale, senza che nessuna di tali materie possa considerarsi nettamente prevalente sulle altre: in tale ipotesi la concorrenza di competenze giustifica l’applicazione del principio di leale collaborazione e richiede, pertanto, il ricorso all’istituto della citata “intesa” con la Conferenza unificata.

Disposizioni finanziarie

L’articolo 12 riprende, nella sostanza, le disposizioni contenute nel corrispondente articolo dell’A.C. 2 della XVI legislatura, finalizzate a garantire la copertura finanziaria delle misure contenute nell’articolo 8, commi 2 e 3.

Al riguardo, si ricorda che il richiamato comma 2 destina i finanziamenti reperiti attraverso il ricorso alla fiscalità generale alla copertura, in particolare, dei costi di investimento per tutte le nuove opere del servizio idrico integrato e dei costi di erogazione del quantitativo minimo vitale garantito (50 litri giornalieri pro-capite).

Il successivo comma 3, invece, prevede l’istituzione di un fondo per l’accelerazione degli investimenti nel servizio idrico integrato, la cui quantificazione non è peraltro indicata dalla norma.

 

In merito all’articolo in esame, si osserva preliminarmente che esso non reca l’indicazione dell’ammontare degli oneri derivanti dalle disposizioni di cui all’articolo 8, commi 2 e 3, contrariamente a quanto espressamente previsto dalla legge di contabilità e finanza pubblica.

Relativamente alla copertura finanziaria, si osserva inoltre che l’articolo reca modalità che:

·     non appaiono coerenti con le norme di contabilità pubblica stante l’assenza dell’indicazione puntuale dell’autorizzazione di spesa che si intende ridurre (lett.a), la cui determinazione è peraltro rinviata alla legge di stabilità;

·     non sembrano idonee a fini di copertura stante la natura eventuale delle risorse (lett. b, d, f);

·     non specificano le quote del gettito delle imposte di scopo che dovrebbero essere destinate alla medesima copertura (lett. c, e), atteso che peraltro la definizione dell’imposizione è demandata a un successivo decreto legislativo sulla base della delega, invero generica, dettata dal successivo comma 2.

 

Si ricorda che l’articolo 17 della legge n. 196/2009 prescrive che, in attuazione dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ciascuna legge che comporti nuovi o maggiori oneri debba indicare espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento da essa previsto, la spesa autorizzata. Si ricorda, inoltre, che l’articolo 17 della legge n. 196/2009, relativo alle modalità di copertura finanziaria delle leggi comportanti oneri, prescrive che essa possa essere determinata esclusivamente mediante riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa, mediante modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate, mediante utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali.

 

Si osserva altresì che la norma in esame non provvede alla copertura degli oneri relativi all’istituzione del Fondo nazionale per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, operata dall’art. 7.

 

In ordine alla copertura finanziaria, l’articolo dispone che essa sia garantita attraverso:

a)   la destinazione, nell’ambito della legge di stabilità, di risorse annuali pari a 1 miliardo di euro, provenienti da una corrispondente riduzione delle spese militari, a partire da quelle stanziate per l'acquisto degli aerei cacciabombardieri F35;

b)   la destinazione di una quota parte, pari a 2 miliardi di euro annui, delle risorse derivanti dalla lotta all'evasione e all'elusione fiscali;

La disposizione in esame andrebbe, peraltro, coordinata con le regole vigenti in ordine alla determinazione delle risorse derivanti dal contrasto all’evasione fiscale e alla finalizzazione delle stesse, che ai sensi della legge n. 147/2013 (articolo 1, commi 431-435) sono destinate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica ed al Fondo per la riduzione della pressione fiscale.

c)   la destinazione delle risorse provenienti da una tassa di scopo pari a 1 centesimo di euro per ogni bottiglia in PoliEtilenTereftalato (PET) commercializzata;

Si ricorda che con il termine di “imposta di scopo” si intende una forma di imposizione che trova la sua giustificazione nel collegamento tra imposizione e destinazione del gettito. L’imposta di scopo costituisce quindi una deroga al principio dell’unità del bilancio, in base al quale, nel bilancio, la corrispondenza tra entrate e spese deve essere garantita a livello globale, non essendo possibile stabilire una specifica correlazione tra una singola entrata ed una singola spesa.

d)   la destinazione dei fondi derivanti dalle sanzioni irrogate per violazione delle disposizioni vigenti in materia di tutela del patrimonio idrico;

Si ricorda in particolare che la disciplina sanzionatoria per le violazione delle prescrizioni attinenti alla tutela delle acque dall’inquinamento (Sezione II della Parte Terza del c.d. Codice ambientale) è contenuta nel Titolo V e consiste in sanzioni amministrative (articoli 133-136) e sanzioni penali (articoli 137-140), che contemplano anche l’irrogazione di pene pecuniarie.

Si segnala che l’articolo 136 prevede il versamento delle somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative previste dalla parte terza del provvedimento all'entrata del bilancio regionale e la successiva riassegnazione alle unità previsionali di base destinate alle opere di risanamento e di riduzione dell'inquinamento dei corpi idrici. Alle regioni viene attribuito il compito di provvedere alla ripartizione delle somme riscosse fra gli interventi di prevenzione e di risanamento.

Le risorse verrebbero, pertanto, destinate ad una finalità diversa rispetto a quella contemplata per le somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative dall’articolo 136 del cd. Codice ambientale (opere di risanamento e di riduzione dell'inquinamento dei corpi idrici).

e)   l'allocazione di una quota annuale delle risorse derivanti dall'introduzione di una tassa di scopo relativa al prelievo fiscale sulla produzione e sull'uso di sostanze chimiche inquinanti per l'ambiente idrico;

f)    la destinazione di una quota parte delle risorse aggiuntive provenienti da un aumento dell'importo dell'imposta sulle transazioni finanziarie.

La legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 491 a 500) ha introdotto un'imposta sulle transazioni finanziarie sulle seguenti operazioni:

·     trasferimento della proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi emessi da soggetti residenti nel territorio dello Stato nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente, con un'aliquota pari allo 0,2 per cento del valore della transazione se le operazioni di acquisto sono effettuate fuori dai mercati regolamentati (over the counter); l'aliquota è dello 0,1 per cento per le operazioni concluse in mercati regolamentati o con sistemi multilaterali di negoziazione;

·     operazioni sui cosiddetti strumenti derivati, ad imposta in misura fissa, determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto.

Si ricorda che a livello europeo è in corso di definizione una cooperazione rafforzata tra undici Stati membri per disciplinare un’imposta sulle transazioni finanziarie.

 

Il comma 2 delega il Governo ad adottare, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per la definizione delle tasse di scopo di cui al comma 1, lettere c) ed e), in conformità ai principi e criteri direttivi desumibili dalla presente legge.

Come già precedentemente rilevato, andrebbero esplicitati i principi e i criteri direttivi per il conferimento della delega al Governo.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE

(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

Tra il 23 giugno e il 23 settembre 2014 la Commissione europea ha lanciato una consultazione pubblica sulla politica dell’UE in materia di acqua potabile allo scopo di identificare le aree suscettibili di miglioramento, in vista di una possibile revisione della direttiva 98/83/CE sulla qualità dell’acqua per il consumo umano. Tale revisione dovrebbe in particolare essere finalizzata a migliorare l'erogazione di acqua potabile di alta qualità nell’UE.

La consultazione rappresenta tra l’altro una risposta concreta a Right2Water,  la prima iniziativa dei cittadini europei ad avere soddisfatto i requisiti stabiliti dal regolamento (UE) n. 211/2011[4]. In essa si esortava la Commissione europea a proporre una normativa che sancisca il diritto umano universale all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari in quanto servizi pubblici fondamentali per tutti. In merito alla richiesta che l'approvvigionamento in acqua potabile e la gestione delle risorse idriche non siano soggetti alle "logiche del mercato interno" e che i servizi idrici siano esclusi da qualsiasi forma di liberalizzazione, la Commissione ha ricordato che, sulla base dei trattati, nell’UE le modalità di gestione dei servizi idrici sono prerogativa esclusiva delle autorità pubbliche degli Stati membri.

Oltre al tema del qualità dell’acqua potabile, il questionario predisposto per la consultazione ha tenuto conto anche di alcune questioni sollevate dalla suddetta iniziativa dei cittadini europei (ad esempio l’accessibilità dei prezzi), che esulano dal campo di applicazione dell’attuale direttiva sull’acqua potabile e dovranno forse essere affrontate attraverso altre iniziative o strumenti nazionali o a livello dell’UE.

A conclusione della consultazione, nel febbraio 2015 è stata pubblicata un’analisi dei risultati, anche sulla base dei quali la Commissione valuterà la necessità dell’intervento legislativo.



[1]     Si tratta di una definizione che riproduce quella recata dall’art. 4, comma 1, lettera f), della legge Galli, che nel 1994 introdusse una profonda riforma del settore volta ad unificare in un unico ciclo di prestazioni attività fino a quel momento separatamente considerate e conseguentemente organizzate secondo soluzioni particolari.

[2]     La scheda dell’iter completo della procedura 2014/2239(INI) è disponibile al link http://parltrack.euwiki.org/dossier/2014/2239(INI).

[4]     In particolare, il regolamento prevede che 1 milione di cittadini di almeno un quarto degli Stati membri dell'UE (attualmente almeno 7 Stati membri) - secondo una soglia minima fissa stabilita per ciascun Stato membro, pari al numero dei parlamentari europei per quella nazione moltiplicato per 750 (per l’Italia occorrono 54.750 sottoscrizioni) – possano invitare la Commissione europea a proporre atti giuridici.

SERVIZIO STUDI

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

 

 

 

 

Princìpi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico, nonché delega al Governo per l'adozione di tributi destinati al suo finanziamento

A.C. 2212

 

Schede di lettura

 

 

 

n. 310

 

 

3 giugno 2015

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Ambiente

( 066760-9253 – * st_ambiente@camera.it

Ha partecipato alla redazione del dossier il seguente Ufficio:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: Am0144.doc

 



Il quadro normativo in materia di gestione delle risorse idriche e servizio idrico integrato

 


La gestione delle risorse idriche nel d.lgs. n. 152/2006

Il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Codice dell’ambiente), ha operato un intervento complesso di riordino di quasi tutta la legislazione ambientale, tra cui anche quella relativa alla gestione delle risorse idriche. Tale materia - insieme alla difesa del suolo e alla tutela delle acque - è disciplinata nella parte terza, in cui sono confluite disposizioni precedentemente collocate in diversi contesti normativi e sono state introdotte le disposizioni necessarie al recepimento della direttiva 2000/60/CE (c.d. direttiva acque) e volte conseguentemente a riformare l’assetto amministrativo (in precedenza disegnato dalla legge n. 183 del 1989 sulla difesa del suolo) relativamente al governo dei bacini idrografici.

La direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000 ha l’obiettivo di fissare un quadro europeo per la protezione delle acque superficiali interne, delle acque di transizione, delle acque costiere e sotterranee, che assicuri la prevenzione e la riduzione dell'inquinamento, agevoli l'utilizzo idrico sostenibile, protegga l'ambiente, migliori le condizioni degli ecosistemi acquatici e mitighi gli effetti delle inondazioni e della siccità.

Al fine di recepire le disposizioni della direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE, l’art. 63 del d.lgs. 152/2006 ha previsto l'istituzione dell’autorità di bacino distrettuale in ciascuno degli otto distretti idrografici individuati nel successivo articolo 64.

I distretti sono governati secondo un modello amministrativo unico (delineato agli artt. 63-64 del Codice), che prevede in particolare la redazione del piano di bacino distrettuale, che ha valore di piano territoriale di settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo ed alla corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato (art. 65, comma 1).

L’attivazione delle citate nuove autorità distrettuali è stata condizionata, dal comma 2 dell’art. 63, all'emanazione di un apposito D.P.C.M., che avrebbe dovuto definire i criteri e le modalità per il trasferimento delle risorse umane e strumentali dalle “vecchie” autorità di bacino (istituite dalla L. 183/1989, abrogata dal d.lgs. 152/2006) alle “nuove” autorità distrettuali.

Tale decreto attuativo non è però stato adottato. A tutt’oggi quindi non risultano ancora formalmente costituite le “nuove” autorità.

Per ovviare a questa situazione, in via transitoria, con successivi interventi (d.lgs. 284/2006 e D.L. 208/2008) è stato disposto che "nelle more della costituzione dei distretti idrografici […] e della eventuale revisione della relativa disciplina legislativa, le autorità di bacino di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono prorogate, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, fino alla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al comma 2 dell'articolo 63" (art. 170, comma 2-bis, del d.lgs. 152/2006).

E’ altresì intervenuto l’art. 4 del d.lgs. 219/2010 che – “ai fini dell'adempimento degli obblighi derivanti dalle direttive 2000/60/CE e 2007/60/CE (relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni), nelle more della costituzione delle autorità di bacino distrettuali di cui all'articolo 63 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152” – ha assegnato alle “vecchie” autorità di bacino di rilievo nazionale (istituite ai sensi della L. 183/89) il ruolo di coordinamento delle attività di pianificazione nell'ambito del distretto idrografico di appartenenza.

Il comma 2 dell’articolo 24 della legge europea per il 2013 (legge 97/2013) dispone che le autorità di bacino di rilievo nazionale (di cui alla legge 183/1989) continuano ad avvalersi, nelle more della costituzione delle autorità di bacino distrettuali, dell’attività dei comitati tecnici costituiti nel proprio ambito. La norma precisa che la finalità della disposizione è quella di poter disporre del supporto tecnico necessario al corretto ed integrale adempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva 2000/60/CE, nonché dalla direttiva 2007/60/CE.

Questo regime transitorio ha quindi consentito di dare attuazione – seppure incompleta, come rilevato dalla Commissione europea – al quadro normativo in materia di acque (direttiva 2000/60/CE) e di alluvioni (direttiva 2007/60/CE).

Si segnala che una revisione complessiva del settore è prevista dall’art. 39 del disegno di legge recante disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali – cd. collegato ambientale (A.S. 1676), che, tra l’altro, contempla la riscrittura degli articoli 63 e 64 del d.lgs. 152/2006.

 

Si richiamano brevemente anche le disposizioni contenute nella parte terza in materia di risparmio idrico, alcune delle quali ricalcano sostanzialmente la precedente normativa recata dal decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, e dalla legge n. 36 del 1994 (nota come legge Galli).

Analogamente a quanto disponeva l’art. 22 del decreto legislativo n. 152 del 1999, le norme del cd. Codice ambientale in materia di pianificazione del bilancio idrico (art. 95) prevedono la predisposizione dei piani di tutela al fine di raggiungere gli obiettivi di qualità attraverso una pianificazione delle utilizzazioni delle acque volta a evitare ripercussioni sulla loro qualità e a consentire un consumo idrico sostenibile.

I piani di tutela contengono tutte le misure volte ad assicurare l'equilibrio del bilancio idrico come definito dall'autorità di bacino, nel rispetto delle priorità stabilite dalla legislazione vigente e tenendo conto dei fabbisogni, delle disponibilità, del minimo deflusso vitale, della capacità di ravvenamento della falda e delle destinazioni d'uso della risorsa compatibili con le relative caratteristiche qualitative e quantitative.

Per quanto riguarda poi le norme sull'equilibrio del bilancio idrico (art. 145) esse sono formalmente e sostanzialmente identiche a quelle contenute nella previgente normativa (art. 3 della legge n. 36 del 1994). Si prevede, in particolare, che l'autorità di bacino definisca ed aggiorni periodicamente il bilancio idrico diretto ad assicurare l'equilibrio fra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili nell'area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi e che spetti alla medesima adottare, per quanto di competenza, le misure per la pianificazione dell'economia idrica in funzione degli usi cui sono destinate le risorse.

L’art. 146 innova invece la previgente disciplina in materia di risparmio idrico (art. 5 della legge n. 36 del 1994) attraverso la previsione di tre misure aggiuntive per la razionalizzazione dei consumi e l'eliminazione degli sprechi consistenti nella:

·     previsione, nella costruzione o sostituzione di nuovi impianti di trasporto e distribuzione dell'acqua sia interni che esterni, dell'obbligo di utilizzo di sistemi anticorrosivi di protezione delle condotte di materiale metallico;

·     adozione di sistemi di irrigazione ad alta efficienza accompagnati da una loro corretta gestione e dalla sostituzione, ove opportuno, delle reti di canali a pelo libero con reti in pressione;

·     individuazione di aree di ricarica delle falde ed adozione di misure protettive e di gestione per garantire un processo di ricarica idoneo sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.

Inoltre la competenza regolamentare per la definizione dei criteri e dei metodi idonei alla valutazione delle perdite degli acquedotti e delle fognature è trasferita dal Ministero dei lavori pubblici al Ministero dell'ambiente.

Si richiama, da ultimo, anche l’art. 144 (che riproduce, nella sostanza, le norme di cui agli articoli 1 e 2 della legge n. 36 del 1994), che dispone la demanialità di tutte le acque superficiali e sotterranee e la tutela delle stesse ispirata al principio della razionalizzazione del loro uso per evitare sprechi che pregiudichino il patrimonio idrico, nonché la vivibilità dell'ambiente l'agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici.

La gestione del servizio idrico integrato

Il servizio idrico integrato è costituito, ai sensi della definizione recata dall’art. 141, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Codice ambientale), “dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue”[1].

La disciplina del servizio idrico integrato è contenuta negli articoli da 147 a 158-bis del d.lgs. 152/2006 (costituenti il Titolo II della Sezione III della parte terza), la cui struttura si basa in buona parte sulle disposizioni della legge n. 36/1994 (legge Galli), ora abrogata dall’art. 175 del medesimo decreto legislativo.

L’intera disciplina è stata recentemente oggetto di un consistente numero di modiche contenute nell’art. 7 del D.L. 133/2014 (c.d. sblocca Italia).

L’organizzazione del servizio

In base agli articoli 147 e ss. del d.lgs. 152/2006 l’organizzazione del servizio idrico è basata su ambiti territoriali ottimali (d’ora in poi ATO) definiti dalle regioni.

Sulle disposizioni in questione, come si è già avuto modo di sottolineare, è recentemente intervenuto l’art. 7 del D.L. 133/2014 (c.d. decreto sblocca Italia) che, in particolare, ha ridefinito gli obblighi dei comuni, il ruolo degli enti di governo dell’ATO e delle regioni.

La disciplina ora vigente stabilisce che per ogni ATO la Regione individua, con propria legge, un Ente di Governo dell'ATO (EGATO) a cui – secondo quanto chiarito dall’art. 7 del D.L. 133/2014 - sono affidati tutti i compiti in materia di gestione dei servizi idrici, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche.

Come è stato anche ribadito dalla Corte Costituzionale (con la sentenza n. 62/2012) non spetta infatti alla Regione esercitare il servizio idrico, ad esempio scegliendo la società cui affidare il servizio idrico, ma spetta all'EGATO (o alla soppressa Autorità d'ambito); la Regione individua solo le funzioni e i compiti degli EGATO.

Si ricorda che i “nuovi” EGATO sostituiscono le "vecchie" AATO (Autorità d'ambito territoriale ottimale) soppresse, a far data dal 31 dicembre 2012, dal decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2.

Per una rassegna delle legislazioni regionali e degli EGATO da queste individuati in luogo delle preesistenti AATO si veda la tavola 4.1 a pag. 226 della Relazione annuale dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) del marzo 2014.

 

L’art. 147 impone ai comuni la partecipazione obbligatoria all'EGATO individuato dalla regione e situato nel territorio in cui è compreso il comune stesso (si tratta di un obbligo che già era previsto per le AATO dall’art. 148 ora abrogato e che è stato ribadito per gli EGATO dall’art. 7 del D.L. 133/2014).

Il comma 2-bis del medesimo articolo 147 (inserito dall’art. 7 del D.L. 133/2014) dispone inoltre che se l'ATO coincide con il territorio della Regione, qualora sia necessario per rendere il servizio più efficiente a beneficio degli utenti, è prevista la possibilità, per la Regione, di suddividerlo in sub-ambiti, che però devono essere almeno pari al territorio provinciale o della città metropolitana. Lo stesso comma fa salve le gestioni autonome del servizio idrico esistenti nei comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti istituite in passato ai sensi del comma 5 dell'art. 148, ora abrogato.

Tale comma prevedeva infatti che l'adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato fosse facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che gestissero l'intero servizio idrico integrato e previo consenso dell’Autorità d'ambito competente.

 

Lo stesso articolo 147, al comma 2, fissa i seguenti importanti principi informatori della gestione del servizio:

a) unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui;

b) unicità della gestione. Tale principio è stato ripristinato dall’art. 7 del D.L. 133/2014, in luogo di quello (meno stringente) dell’unitarietà, che era stato introdotto dal d.lgs. 4/2008 (c.d. secondo correttivo al Codice).

Si ricorda, in proposito, quanto rilevato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 307/2009, che, nell’analizzare il contesto normativo relativamente alla non separabilità tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico, sottolinea che “indipendentemente da ogni considerazione sul valore semantico dei termini «unicità» ed «unitarietà» della gestione, è, infatti evidente che parlare di «unitarietà», anziché di «unicità» delle gestioni, non vale a consentire l'opposto principio della separazione delle gestioni stesse. In altri termini, le due gestioni, quella delle reti e quella dell'erogazione, alla luce della sopravvenuta disciplina statale, potranno anche essere affidate entrambe a più soggetti coordinati e collegati fra loro, ma non potranno mai fare capo a due organizzazioni separate e distinte”.

La modifica apportata dal decreto n. 133 del 2014 elimina altresì la parte della lettera b) del comma 2 dell’art. 147 ove si richiedeva, comunque, il superamento della frammentazione verticale delle gestioni;

c) adeguatezza delle dimensioni gestionali, definita sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici.

 

L’art. 149 affida all’EGATO il compito di provvedere alla predisposizione e/o all’aggiornamento del piano d'ambito, e disciplina i contenuti del medesimo. Tale piano rappresenta lo strumento programmatorio cardine dell'EGATO, risultato di un'attività di ricognizione delle infrastrutture esistenti, della stesura di un programma degli interventi infrastrutturali necessari e di un piano finanziario connesso ad un modello gestionale ed organizzativo.

Le modalità di affidamento del servizio

In materia di affidamento dei servizi pubblici locali (SPL) si sono succedute diverse discipline, specie nel corso della XVI legislatura, nella cui successione temporale si sono inserite sia un'abrogazione referendaria sia una pronuncia di illegittimità costituzionale. Tali interventi sono stati adottati, per lo più, con provvedimenti d'urgenza, a partire dall'art. 23-bis del D.L. n. 112/2008, fino all'art. 34 del D.L. n. 179/2012 (per una ricostruzione dell’evoluzione normativa in materia si rinvia alla scheda “I servizi pubblici locali nella XVI legislatura” del marzo 2013, tratta dal dossier di inizio della XVII legislatura). Nel corso dell’attuale legislatura la materia dei SPL è stata interessata da ulteriori interventi, principalmente operati con il D.L. 150/2013, che in particolare ha consentito la prosecuzione delle gestioni di servizi non pienamente conformi agli orientamenti dell'UE, e dalla legge di stabilità 2015 (L. 190/2014, commi 609 e 615), che è intervenuta su una serie di questioni (per una trattazione più approfondita si rinvia alla scheda, aggiornata al 31 dicembre 2014, intitolata “Servizi pubblici locali”). Un ulteriore intervento è contemplato dall’art. 15 del ddl A.C. 3098 intitolato “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, che reca una delega al Governo per il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali d'interesse economico generale. L’esercizio di tale delega è volta alla previsione, tra l’altro, di una disciplina generale in materia di organizzazione e gestione dei servizi di interesse economico generale di ambito locale, compresa la definizione dei criteri per l'attribuzione di diritti speciali o esclusivi, in base ai principi di concorrenza, adeguatezza, sussidiarietà, anche orizzontale, e proporzionalità; con particolare riferimento alle società in partecipazione pubblica operanti nei servizi idrici, nell’ambito dei principi e criteri direttivi si prevede la risoluzione delle antinomie normative in base ai principi del diritto dell'Unione europea, tenendo conto dell'esito del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011 (si rinvia in proposito al commento dell’art. 15 dell’A.C. 3098, contenuto nel dossier n. 303/1).

Sullo sfondo della disciplina nazionale del comparto dei servizi pubblici locali vi sono i principi in materia di concorrenza e ammissibilità di affidamenti in house fissati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Merita, inoltre, segnalare le nuove direttive in materia di appalti pubblici e concessioni. In particolare, l’art. 12 della nuova direttiva in materia di appalti 2014/24/UE, rubricato “Appalti pubblici tra enti nell’ambito del settore pubblico” è la norma di riferimento per stabilire i nuovi caratteri dell’in house providing. Le disposizioni dell’articolo 12 sono riprodotte anche nell’articolo 28 della direttiva 2014/25/UE, che disciplina gli appalti nei cosiddetti settori “speciali in cui sono compresi acqua, energia, trasporti e servizi postali, e nell’articolo 17 della direttiva 2014/23/UE, che disciplina le concessioni.

La direttiva 2014/23/UE reca, per la prima volta, una disciplina unitaria sull’aggiudicazione dei contratti di concessione. Sono escluse dall’ambito di applicazione della direttiva, tra l’altro, le concessioni aggiudicate a un’impresa collegata (articolo 13) e le concessioni in house (articolo 17). Ulteriori specifiche esclusioni riguardano il settore idrico, in particolare le concessioni aggiudicate per fornire o gestire reti fisse destinate alla fornitura di un servizio al pubblico in connessione con la produzione, il trasporto o la distribuzione di acqua potabile e per alimentare tali reti con acqua potabile (articolo 12).

 

Le modalità e i termini per l’affidamento del servizio idrico sono stati recentemente modificati dall’art. 7 del D.L. 133/2014.

In particolare, è stato introdotto nel testo del d.lgs. 152/2006 un nuovo articolo 149-bis che va a sostituire le disposizioni contenute nell’art. 150, che viene abrogato.

In estrema sintesi, la nuova disciplina dispone che l’EGATO, nel rispetto del piano d'ambito e del principio di unicità della gestione per ciascun ATO:

·     delibera la forma di gestione fra quelle previste dall'ordinamento europeo;

·     provvede, conseguentemente, all'affidamento del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei SPL a rete di rilevanza economica.

 

Lo stesso articolo precisa che l'affidamento diretto può avvenire a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ATO.

Viene altresì stabilito che il soggetto affidatario gestisce il servizio idrico integrato su tutto il territorio degli enti locali ricadenti nell'ATO.

Al fine di ottenere un'offerta più conveniente e completa e di evitare contenziosi tra i soggetti interessati, le procedure di gara per l'affidamento del servizio includono appositi capitolati con la puntuale indicazione delle opere che il gestore incaricato deve realizzare durante la gestione del servizio (comma 2-bis dell’art. 149-bis).

 

Vale la pena ricordare anche le disposizioni dell’art. 151 del d.lgs. 152/2006 (anch’esse modificate dall’art. 7 del D.L. 133/2014), che disciplinano i rapporti tra EGATO e soggetto gestore del servizio idrico integrato. Tali rapporti (secondo quanto disposto dal comma 1) sono regolati da una convenzione predisposta dall'EGATO sulla base delle convenzioni-tipo, con relativi disciplinari, adottate dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (AEEGSI). Il contenuto delle convenzioni-tipo e dei relativi disciplinari è disciplinato dal comma 2 dell’art. 151. In particolare, viene stabilito che tali documenti prevedano, tra l’altro, il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio; la durata dell'affidamento, non superiore comunque a 30 anni; le opere da realizzare durante la gestione del servizio come individuate dal bando di gara.

Al gestore del servizio idrico integrato sono affidate in concessione d'uso gratuita, per tutta la durata della gestione, le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali (art. 153 del d.lgs. 152/2006).

Si ricorda, in proposito, che ai sensi dell’art. 143 del d.lgs. 152/2006 gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge e che la tutela di tali beni spetta anche all’EGATO.

 

Occorre altresì soffermarsi sulla disciplina delle gestioni esistenti, su cui è recentemente intervenuto l’art. 7 del D.L. 133/2014, che ha modificato i primi cinque commi dell'art. 172 del d.lgs. 152/2006 al fine di garantire che in tutti gli ATO il servizio idrico sia affidato a gestori unici. In particolare, il nuovo comma 1 dell'art. 172 disciplina i casi in cui il piano di ambito non sia stato redatto o l'EGATO non abbia ancora scelto la forma di gestione e avviato le procedure di affidamento. In tali casi viene introdotto il termine perentorio del 30 settembre 2015 per la conclusione di procedure di affidamento ad un gestore unico, con la conseguente decadenza degli affidamenti non conformi alla disciplina pro tempore vigente. Nei casi non contemplati dal comma 1 viene prevista una procedura per il subentro del gestore del servizio idrico integrato agli ulteriori soggetti operanti all'interno del medesimo ATO.

La tariffazione

Per quanto riguarda le modalità di calcolo della tariffa, che costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato, l’art. 154 del D.Lgs. 152/2006 stabilisce che la tariffa è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell'EGATO, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio «chi inquina paga» (comma 1).

Si fa notare che tale disposizione è conseguente all’esito del referendum popolare del 2011. Prima della consultazione referendaria, infatti, la norma stabiliva che la tariffa fosse calcolata prevedendo la remunerazione per il capitale investito dal gestore. Come stabilito dall’articolo 1, comma 1, del D.P.R. 116/2011, in esito al citato referendum sono state soppresse le seguenti parole del comma 1 dell’art. 154: «dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito».

Il principio della adeguata remunerazione del capitale investito aveva trovato concreta applicazione nel c.d. metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato, che era stato disciplinato dal decreto del Ministro per i lavori pubblici del 1° agosto 1996 (pubblicato nella Gazz. Uff. 16 ottobre 1996, n. 243). Tale decreto, al punto 3.3, stabiliva che «sul capitale investito, come risultante dai libri contabili alla data di emanazione del metodo e dal piano economico-finanziario, si applica un tasso di remunerazione fissato nella misura del 7 per cento».

 

Dal 1° gennaio 2014 è entrato in vigore il nuovo metodo tariffario idrico approvato dall'AEEGSI con la deliberazione 27 dicembre 2013, n. 643/2013/R/IDR. Le principali novità del nuovo metodo tariffario riguardano la soppressione della componente "remunerazione del capitale" e l'inclusione dei costi ambientali tra le componenti di costo.

 

Si ricorda che l’art. 21 del D.L. 201/2011 ha trasferito all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici. L’individuazione delle citate funzioni è stata successivamente operata con il D.P.C.M. 20 luglio 2012 (pubblicato nella G.U. n. 231 del 3 ottobre 2012), che ha definito i compiti attribuiti all’Autorità e quelli attribuiti al Ministero dell'ambiente. In estrema sintesi, in ambito tariffario viene attribuito al Ministero dell'ambiente (in particolare dalle lettere d) ed e) del comma 1 dell’art 1) il compito di definire i criteri che dovranno essere seguiti dall’AEEGSI nel disciplinare le componenti di costo per la determinazione della tariffa. Lo stesso D.P.C.M. stabilisce che l’AEEGSI predispone e rivede periodicamente il metodo tariffario per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato (è in attuazione di tale disposizione che è stata emanata la deliberazione 27 dicembre 2013, n. 643/2013/R/IDR) e approva le tariffe del servizio idrico integrato proposte dal soggetto competente sulla base del piano di ambito.

Relativamente ai compiti del Ministero dell'ambiente si ricorda che l’art. 154, comma 2, del D.Lgs. 152/2006 ha demandato al Ministero l’individuazione delle “componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua”. L’art. 170, comma 3, lettera l), del medesimo decreto legislativo dispone che - in via transitoria - fino all’emanazione del decreto di cui al comma 2 dell’art. 154, continua ad applicarsi il D.M. 1° agosto 1996 recante criteri di definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato costituenti un "metodo normalizzato".

In attuazione delle disposizioni dell’art. 1, comma 1, lettera d), del citato D.P.C.M. 20 luglio 2012, con il D.M. Ambiente 24 febbraio 2015, n. 39 è stato emanato il regolamento recante i criteri per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori d'impiego dell'acqua (pubblicato nella G.U. n. 81 dell’8 aprile 2015).

 

Si ricorda, infine, che l'articolo 44 del ddl n. 1676 (collegato ambientale) contiene disposizioni in materia di tariffazione del servizio idrico. Tale norma prevede infatti che l'AEEGSI, sentiti gli enti di ambito, assicuri agli utenti domestici del servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate l'accesso a condizioni agevolate alla fornitura della quantità di acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali. Al fine di assicurare la copertura dei conseguenti oneri, si dispone che l'Autorità definisca le necessarie modifiche all'articolazione tariffaria per fasce di consumo o per uso determinando i criteri e le modalità per il riconoscimento delle agevolazioni.

 

 



Finalità

La proposta di legge individua, quali finalità del provvedimento, quella di dettare i principi con cui deve essere utilizzato, gestito e governato il patrimonio idrico nazionale, nonché quella di favorire la definizione di un governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell'acqua, in grado di garantirne un uso sostenibile e solidale (art. 1).

Si fa notare che tale disposizione è identica a quella recata dall’art. 1 della proposta di legge di iniziativa popolare n. 2 della XVI legislatura, che era stata esaminata dall’VIII Commissione (Ambiente) congiuntamente con le proposte di legge di iniziativa parlamentare n. 1951 e n. 3865. Rispetto a tale disposizione viene precisato che l’obiettivo del governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell’acqua deve essere perseguito nel quadro delle politiche complessive di tutela e di gestione del territorio.

Princìpi generali

Di seguito si dà conto dei principi generali più rilevanti statuiti dalla proposta di legge in esame. In particolare, si fa notare che le disposizioni contenute nell’art. 2, ad eccezione di quelle contenute nei commi 4 e 6 di tale articolo, riproducono in gran parte quelle del corrispondente articolo dell’A.C. 2 della XVI legislatura.

Diritto all’acqua e quantitativo minimo vitale

L’art. 2, comma 1, qualifica il diritto all'acqua potabile di qualità nonché ai servizi igienico-sanitari come diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani, come sancito dalla risoluzione dell'ONU del 26 luglio 2010.

In proposito, si ricorda la comunicazione della Commissione europea relativa all'iniziativa dei cittadini europei "acqua potabile e servizi igienico-sanitari: un diritto umano universale! L'acqua è un bene comune, non una merce!" (COM/2014/0177 def.) e che è attualmente all’esame del Parlamento europeo una proposta di risoluzione (2014/2239 INI[2]) sul seguito della citata iniziativa dei cittadini europei "L'acqua è un diritto (Right2Water)”.

 

Il comma 4 dell’art. 2 fissa un quantitativo minimo vitale garantito di 50 litri al giorno pro-capite.

L’erogazione di tale quantitativo è gratuita ed è coperta dalla fiscalità generale.

Tale disposizione è sostanzialmente identica a quella contemplata dall’art. 9, comma 3, dell’A.C. 2 della XVI legislatura.

Una disposizione con finalità analoga si ritrova nell’art. 44 dell’A.S. 1676 (c.d. collegato ambientale) che prevede che l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AAEGSI) assicuri agli utenti domestici del servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate l'accesso a condizioni agevolate alla fornitura della quantità di acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali.

Si ricorda altresì che all’interno della delibera 27 dicembre 2013, n. 643/2013/R/IDR (con cui l’Autorità ha definito il metodo per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato per gli anni 2014 e 2015) sono contenute alcune disposizioni volte a fissare un obbligo di destinazione del Fondo nuovi investimenti al finanziamento di agevolazioni tariffarie a carattere sociale (v. articoli 8, 22 e 23 dell’allegato A alla delibera n. 643 citata).

Relativamente alla quantificazione del citato minimo vitale, si ricorda che la soglia pro-capite di 50 litri al giorno è quella al di sotto della quale - secondo l’ONU e l’OMS – si può già parlare di sofferenza per mancanza di acqua.

Secondo i dati recentemente diffusi dall’Istat, l’acqua potabile fatturata nel 2012 ammonta a poco meno di 5 miliardi di metri cubi, corrispondenti ad un valore medio di 228 litri al giorno per abitante. La situazione territoriale, rispetto al valore medio, risulta però molto eterogenea sul territorio.

Carattere pubblico della risorsa

In base all’art. 2, comma 2, tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e non mercificabili.

Si ricorda, in proposito, che l’art. 144, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006 dispone che tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato.

Criteri e priorità gestionali

Nei commi 2, 3, 5 e 6 dell’art. 2 vengono indicati numerosi criteri che devono informare la gestione delle acque:

·     solidarietà;

·     salvaguardia delle aspettative e dei diritti delle generazioni future a fruire di un patrimonio ambientale integro;

·     risparmio e rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrogeologici;

·     priorità per l'alimentazione e per l'igiene umane rispetto agli “altri usi” del medesimo corpo idrico superficiale o sotterraneo;

·     ammissibilità degli altri usi dell'acqua solo quando la risorsa è sufficiente e a condizione che non ledano la qualità dell'acqua per il consumo umano;

Si fa notare che tali principi riproducono quelli enucleati nei commi 2, 3 e 4 dell’art. 144 del d.lgs. n. 152/2006.

·     reciprocità e mutuo aiuto tra bacini idrografici con disparità di disponibilità della risorsa, al fine di garantire gli usi prioritari summenzionati;

·     priorità, tra gli “altri usi” succitati, per l'agricoltura e per l'alimentazione animale;

Si fa notare che tale principio riproduce, almeno in parte, quello recato dall’art. 167, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006.

Tale comma prevede, infatti, che nei periodi di siccità e comunque nei casi di scarsità di risorse idriche, durante i quali si procede alla regolazione delle derivazioni in atto, deve essere assicurata, dopo il consumo umano, la priorità dell'uso agricolo ivi compresa l'attività di acquacoltura di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 102.

·     favorire, per gli altri usi, l'impiego dell'acqua di recupero, in particolare di quella derivante da processi di depurazione, compatibilmente con le caratteristiche della stessa, delle acque piovane e di trattamento delle acque di prima pioggia (comma 6).

Si fa notare che, a differenza dei commi precedenti, non è chiaro se l’espressione “altri usi” di cui al comma 6 comprenda o meno anche l’uso agricolo e quello per l’alimentazione animale.

Si fa notare che tale principio è alla base della disposizione di carattere tariffario contenuta nell’art. 155 del decreto legislativo n. 152/2006, relativo alla tariffa del servizio di fognatura e depurazione. Il comma 6 di tale articolo, infatti, allo scopo di incentivare il riutilizzo di acqua reflua o già usata nel ciclo produttivo, prevede che la tariffa per le utenze industriali sia ridotta in funzione dell'utilizzo nel processo produttivo di acqua reflua o già usata.

Si ricorda che un principio generale analogo è contenuto nell’art. 99 del medesimo decreto, il cui comma 2 prevede che le regioni, nel rispetto dei principi della legislazione statale, adottino norme e misure volte a favorire il riciclo dell'acqua e il riutilizzo delle acque reflue depurate. L’incremento di riciclo e riutilizzo è altresì contemplato dall’art. 98 relativo al risparmio idrico.

Si ricorda, altresì, l’art. 104, comma 8, del decreto legislativo n. 152 secondo cui (al di fuori delle ipotesi contemplate dal medesimo articolo) gli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, esistenti e debitamente autorizzati, devono essere convogliati in corpi idrici superficiali ovvero destinati, ove possibile, al riciclo, al riutilizzo o all'utilizzazione agronomica. Una disposizione analoga è contenuta nell’art. 103, comma 2.

 

Il comma 7 dell’art. 2 dispone che tutti i prelievi di acqua devono essere misurati a mezzo di un contatore conforme alla normativa dell'UE vigente in materia, fornito dall'autorità competente e installato a cura dell'utilizzatore secondo i criteri stabiliti dall'autorità stessa.

Si rammenta che l’art. 146 del d.lgs. n. 152/2006 prevede che le regioni, entro un anno dall’entrata in vigore del decreto, adottino norme e misure volte a razionalizzare i consumi e eliminare gli sprechi ed in particolare, tra l’altro, ad “installare contatori per il consumo dell'acqua in ogni singola unità abitativa nonché contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano” (lettera f). Il successivo comma 2 prevede, inoltre, che il rilascio del permesso di costruire è subordinato alla previsione, nel progetto, dell'installazione di contatori per ogni singola unità abitativa.

Alla luce di quanto precedentemente rilevato, andrebbe valutata l’opportunità di un coordinamento delle disposizioni in commento con la parte terza del cd. Codice ambientale.

Principi relativi alla tutela e alla pianificazione

L’articolo 3 reca i principi relativi alla tutela e alla pianificazione a livello di distretto idrografico.

I distretti idrografici definiti dal cd. Codice dell’ambiente (la norma fa riferimento alla definizione contenuta nell'articolo 54, comma 1, lettera t), del D.Lgs. 152/2006) costituiscono, secondo il comma 1, la dimensione ottimale di governo e di gestione dell'acqua.

Si richiama sul punto quanto contenuto nel documento intitolato Linee guida per la delimitazione degli ambiti territoriali ottimali nel settore idrico, dell’aprile 2013, ove si legge che “la diversità di estensione di bacini idrografici (da quello del Po che copre quasi integralmente il territorio di cinque regioni a quelli di poche decine di kmq di molte regioni dove i rilievi collinari sono molto vicini al mare) non consente di trasportare facilmente questa suddivisione geomorfologica a livello di ambito, dove le dimensioni devono tendere ad una maggiore omogeneità e che comunque come estensione territoriale in base agli altri criteri ha un range molto più ristretto”.

Si ricorda che tali linee guida sono connesse alle disposizioni dettate dall’art. 3-bis del D.L. 138/2011 che disciplinano la definizione, da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, del perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio.

Lo stesso articolo dispone inoltre, tra l’altro, che la dimensione degli ambiti o bacini territoriali ottimali di norma deve essere non inferiore almeno a quella del territorio provinciale.

 

In base al successivo comma 2, per ogni distretto idrografico, composto da uno o più bacini e sottobacini idrografici, è istituita un'autorità di distretto, con compiti di coordinamento fra i vari enti territoriali.

Alla medesima autorità viene affidato il compito di provvedere alla definizione del piano di gestione (sulla base del bilancio idrico) e al suo aggiornamento periodico, nonché alla definizione degli strumenti di pianificazione concernenti la gestione dell'acqua e del territorio. Il piano di gestione costituisce uno stralcio del piano di bacino distrettuale.

Si ricorda che l’art. 117 del d.lgs. 152/2006 stabilisce che per ciascun distretto idrografico è adottato un piano di gestione, che rappresenta articolazione interna del piano di bacino distrettuale. Il piano di gestione costituisce pertanto piano stralcio del piano di bacino e viene adottato e approvato secondo le procedure stabilite per quest'ultimo dal citato decreto.

Del bilancio idrico si occupa invece l’art. 145 del decreto n. 152, secondo cui l'autorità di bacino competente definisce ed aggiorna periodicamente il bilancio idrico diretto ad assicurare l'equilibrio fra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili nell'area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi.

 

Viene inoltre prevista, dal comma 3, l’istituzione di un consiglio di bacino, di cui fanno parte tutti gli enti territoriali inclusi nel bacino di riferimento, che provvede alla definizione e all'approvazione del piano di ambito o di bacino e alla modulazione della tariffa per gli usi idropotabili e per gli usi produttivi e delle concessioni di prelievo, in funzione del bilancio idrico.

Con riferimento al “consiglio di bacino”, si fa notare che in seguito alla soppressione delle autorità d’ambito, in alcune regioni queste sono state sostituite da enti denominati proprio “consigli di bacino[3].

 

Viene altresì disciplinata l’elaborazione del bilancio idrico (secondo i criteri che dovranno essere emanati con apposito decreto del Ministero dell’ambiente) e viene previsto il trasferimento, al consiglio di bacino, delle competenze in materia di servizio idrico integrato assegnate agli enti di governo dell’ambito territoriale ottimale (commi 3-4). L’attribuzione di tali funzioni ai consigli di bacino sembrerebbe volta a far coincidere l’ambito territoriale ottimale con il bacino.

 

Considerato che le disposizioni in commento riformano la governance dei distretti idrografici, andrebbe valutata l’opportunità di un coordinamento con la relativa disciplina contenuta nella parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006.

Si ricorda, inoltre, che l’art. 39 del c.d. collegato ambientale (A.S. 1676), in corso di esame al Senato, detta un'articolata disciplina in materia di autorità di bacino e di distretti idrografici.

 

L’art. 3, commi 5-8 e 10-11, disciplina invece le modalità per il rilascio o il rinnovo di concessioni di prelievo di acque, per i quali indica specifici vincoli, conferma il criterio del recupero dei costi relativi ai servizi idrici e consente l’utilizzo delle acque «destinabili all'uso umano» per un uso diverso solo se non siano presenti altre risorse idriche (in tale caso prevedendo che venga decuplicato l'ammontare del relativo canone di concessione).

Si tratta di disposizioni analoghe a quelle contenute nell’art. 3, comma 4 e seguenti, dell’A.C. 2 della XVI legislatura.

Si fa notare che talune disposizioni citate richiamano quanto disposto dall’art. 12-bis del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, come sostituito dall’art. 96 del D.Lgs. 152/2006.

Tale articolo 12-bis dispone, al comma 1, che il provvedimento di concessione è rilasciato se:

a) non pregiudica il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualità definiti per il corso d'acqua interessato;

b) è garantito il minimo deflusso vitale e l'equilibrio del bilancio idrico;

c) non sussistono possibilità di riutilizzo di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane ovvero, pur sussistendo tali possibilità, il riutilizzo non risulta sostenibile sotto il profilo economico.

In base al comma 2 i volumi d'acqua concessi sono altresì commisurati alle possibilità di risparmio, riutilizzo o riciclo delle risorse. Il disciplinare di concessione deve fissare, ove tecnicamente possibile, la quantità e le caratteristiche qualitative dell'acqua restituita. Analogamente, nei casi di prelievo da falda deve essere garantito l'equilibrio tra il prelievo e la capacità di ricarica dell'acquifero, anche al fine di evitare pericoli di intrusione di acque salate o inquinate, e quant'altro sia utile in funzione del controllo del miglior regime delle acque.

L'utilizzo di risorse prelevate da sorgenti o falde, o comunque riservate al consumo umano, può essere assentito per usi diversi da quello potabile se soddisfa le seguenti condizioni poste dal comma 3:

a) viene garantita la condizione di equilibrio del bilancio idrico per ogni singolo fabbisogno;

b) non sussistono possibilità di riutilizzo di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane, oppure, dove sussistano tali possibilità, il riutilizzo non risulta sostenibile sotto il profilo economico;

c) sussiste adeguata disponibilità delle risorse predette e vi è una accertata carenza qualitativa e quantitativa di fonti alternative di approvvigionamento.

In tali casi il canone di utenza per uso diverso da quello potabile è triplicato, escluse le concessioni ad uso idroelettrico i cui impianti sono posti in serie con gli impianti di acquedotto.

Si richiama altresì la disposizione contenuta nell’art. 95, comma 4, del decreto legislativo n. 152/2006 secondo cui, salvo le eccezioni previste dal medesimo articolo, tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entrata in vigore della parte terza del decreto sono regolate dall'Autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici, come definito secondo i criteri adottati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con apposito decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione.

 

Il comma 9 dell’art. 3 (pressoché identico al comma 8 dell’articolo 3 dell’A.C. 2 della XVI legislatura) dispone che devono essere garantiti la conservazione o il raggiungimento, per tutti i corpi idrici, di uno stato di qualità vicino a quello naturale entro l'anno 2015, ai sensi di quanto previsto dalla c.d. direttiva acque (direttiva 2000/60/CE) attraverso il controllo e la regolazione degli scarichi idrici, nonché l'uso corretto e razionale delle acque e del territorio.

Si ricorda in proposito che le disposizioni sugli obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione delle acque sono contenuti, nella legislazione vigente, negli artt. 76 e segg. del D.Lgs. 152/2006.

Si osserva che andrebbe valutata l’opportunità di chiarire il riferimento allo “stato di qualità vicino a quello naturale”, posto che la classificazione dello stato ecologico dei corpi idrici contenuta nell’Allegato V alla direttiva cd. acque (corrispondente all’Allegato 1 alla parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006) fa riferimento allo stato elevato, buono e sufficiente (e definisce lo stato buono con riferimento alle acque sotterranee).

Principi relativi alla gestione del servizio idrico

L’articolo 4, sostanzialmente identico all’art. 4 dell’A.C. 2 della XVI legislatura, qualifica il servizio idrico integrato quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, la cui gestione quindi è:

·     sottratta al principio della libera concorrenza;

·     realizzata senza fini di lucro;

·     orientata al perseguimento di finalità di carattere sociale e ambientale;

·     finanziata attraverso meccanismi di fiscalità generale e specifica, nonché meccanismi tariffari.

Relativamente al quadro normativo nazionale, merita in primo luogo segnalare che la definizione di servizio idrico integrato è contenuta nell’art. 141, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, secondo cui tale servizio è costituito “dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue”.

L’articolo 147 del d.lgs. 152/2006 disciplina, inoltre, l’organizzazione territoriale del servizio idrico integrato attraverso gli ambiti territoriali ottimali. Il comma 4 dell’articolo 149 del medesimo decreto prevede che il piano d’ambito, così come redatto, dovrà garantire il raggiungimento dell'equilibrio economico finanziario e, in ogni caso, il rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità della gestione, anche in relazione agli investimenti programmati.

L’articolo 150 del sopracitato decreto legislativo, ove era contenuto il principio dell’unitarietà della gestione del servizio idrico integrato, è stato abrogato dall’art. 7 del D.L. 133/2014 e sostituito con l’art. 149-bis, che ha ripristinato il precedente principio di unicità della gestione. Tale articolo, al comma 1, attribuisce all'ente di governo dell'ambito, nel rispetto del piano d'ambito di cui all'articolo 149 e del principio di unicità della gestione per ciascun ambito territoriale ottimale, la deliberazione della forma di gestione fra quelle previste dall'ordinamento europeo provvedendo, conseguentemente, all'affidamento del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica.

 

Si rileva al riguardo la necessità di tenere conto della normativa europea in materia e degli orientamenti della Corte costituzionale secondo quanto sinteticamente richiamato di seguito.

 

I servizi pubblici locali, in base al Testo unico degli enti locali (art. 112 del decreto legislativo n. 267 del 2000), sono definiti servizi che hanno per oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.

A sua volta, la disciplina sui servizi pubblici in sede europea fa, di norma, riferimento ai servizi di interesse generale che possono avere natura economica (SIEG) e non economica (SINEG, come le attività di carattere sociale o quelle svolte nell’esercizio di prerogative dei pubblici poteri).

Nella comunicazione della Commissione europea sull'applicazione delle norme dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato alla compensazione concessa per la prestazione di servizi di interesse economico generale (2012/C 8/02) è posto in evidenza come la nozione di servizio di interesse economico generale sia un concetto in evoluzione, che dipende, tra l'altro, dalle esigenze dei cittadini, dagli sviluppi tecnologici e del mercato e dalle preferenze sociali e politiche nello Stato membro interessato. Taluni SIEG possono essere forniti da imprese pubbliche o private senza ricevere un sostegno finanziario specifico dalle autorità degli Stati membri; altri servizi possono invece essere prestati solo se le autorità offrono una compensazione finanziaria al fornitore. La Corte di giustizia ha stabilito che i servizi di interesse economico generale sono servizi che presentano caratteri specifici rispetto alle altre attività economiche. In assenza di specifiche norme dell'Unione che definiscono il campo di applicazione per l'esistenza di un SIEG, gli Stati membri dispongono dunque di un ampio margine di discrezionalità nel definire un determinato servizio come servizio di interesse economico generale e nel compensare il prestatore del servizio. Le competenze della Commissione europea a tale riguardo si limitano alla verifica di errori manifesti compiuti dagli Stati membri nel definire un servizio come SIEG e alla valutazione degli eventuali aiuti di Stato connessi alla compensazione. Nel caso esistano norme specifiche dell'Unione, la discrezionalità degli Stati membri è soggetta ad esse, fatto salvo il dovere della Commissione di valutare se il SIEG è stato correttamente definito ai fini del controllo sugli aiuti di Stato.

L’articolo 4 della direttiva 2014/23/UE, che disciplina l’aggiudicazione dei contratti di concessione, fa salva la libertà, per gli Stati membri, di definire, in conformità del diritto dell'Unione, quali essi ritengano essere servizi d'interesse economico generale, in che modo tali servizi debbano essere organizzati e finanziati, in conformità delle regole sugli aiuti di Stato, e a quali obblighi specifici essi debbano essere soggetti. L’articolo 4 precisa, inoltre, che i servizi non economici d'interesse generale non rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva.

 

La Corte costituzionale nella sentenza n. 325 del 2010 ha rilevato, tra l’altro, che secondo le indicazioni fornite dalla giurisprudenza europea e dalla Commissione europea, per «interesse economico generale» si intende un interesse che attiene a prestazioni dirette a soddisfare i bisogni di una indifferenziata generalità di utenti e, al tempo stesso, si riferisce a prestazioni da rendere nell’esercizio di un’attività economica, cioè di una «qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato», anche potenziale (sentenza Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, causa C-35/96, Commissione c. Italia, e Libro verde sui servizi di interesse generale del 21 maggio 2003, § 2.3, punto 44) e, quindi, secondo un metodo economico, finalizzato a raggiungere, entro un determinato lasso di tempo, quantomeno la copertura dei costi. Si tratta dunque di una nozione oggettiva di interesse economico, riferita alla possibilità di immettere una specifica attività nel mercato corrispondente, reale o potenziale. La Corte, inoltre, sottolinea che la nozione di servizio pubblico locale di rilevanza economica, in quanto corrispondente a quella europea di servizio di interesse economico generale, avrebbe carattere oggettivo e facilmente individuabile anche ex-ante, vale a dire nel caso in cui esso non sia già esistente sul mercato. Tale carattere sarebbe riscontrabile in virtù della semplice possibilità dell'apertura di un mercato rilevante, «obiettivamente valutata secondo un giudizio di concreta realizzabilità, a prescindere da ogni soggettiva determinazione dell'ente al riguardo».

La Corte costituzionale, inoltre, nel pronunciarsi circa l’ammissibilità del quesito referendario riguardante l’abrogazione del riferimento all’«all’adeguatezza della remunerazione del capitale investito» nella determinazione della tariffa di cui all’articolo 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (sentenza n. 26 del 2011), lo ha reputato idoneo al fine perseguito in quanto coessenziale alla nozione di “rilevanza” economica del servizio è la copertura dei costi (sentenza n. 325 del 2010), non già la remunerazione del capitale. Per altro verso, la Corte  - nella medesima sentenza n. 26 – ha precisato che (in conseguenza dell’abrogazione del riferimento all’adeguatezza della remunerazione del capitale investito) la normativa residua, immediatamente applicabile, data proprio dall’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, non presenta elementi di contraddittorietà, persistendo la nozione di tariffa come corrispettivo, determinata in modo tale da assicurare «la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”».

Governo pubblico del ciclo naturale e integrato dell'acqua

L’articolo 5 contiene disposizioni volte a disciplinare la governance del servizio idrico e, più in generale, del ciclo dell’acqua.

In particolare, viene previsto il seguente riparto di competenze:

·      al Ministero dell’ambiente viene affidata esclusivamente la funzione regolatoria del governo del ciclo naturale dell'acqua e della sua salvaguardia come bene ambientale. Il comma 1 precisa che tale Ministero esercita anche le competenze in materia di regolamentazione di tutti gli usi, produttivi o non produttivi, e del servizio idrico, nonché di determinazione delle componenti delle tariffe differenziate per uso umano e per tutti gli usi produttivi, comprese le concessioni, in conformità con i principi in materia di tariffazione del servizio idrico integrato previsti dall'art. 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Al medesimo Ministero vengono attribuiti funzioni e compiti che la sezione III della parte terza del d.lgs. 152/2006, riguardante la gestione delle risorse idriche, riserva alla competenza dello Stato;

·      a un Comitato interministeriale composto dai rappresentanti dei Ministeri competenti in materia di risorse idriche, presieduto dal Ministro dell'ambiente o da un suo delegato, sono attribuite le competenze relative alla programmazione delle grandi opere infrastrutturali a livello di reti idrauliche di rilievo nazionale nonché all'acqua per uso umano, comprese le bevande, e per usi produttivi ed energetici;

Si osserva che sarebbe necessario indicare esplicitamente nella norma i ministri componenti del Comitato.

·      alle regioni, nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali, viene in particolare affidato il compito di disciplinare il governo del rispettivo territorio, possibilmente unificando le competenze in un unico assessorato regionale, e di redigere il piano di tutela delle acque su scala regionale e di bacino idrografico. In funzione della non rilevanza economica del servizio idrico integrato è conferita alle regioni ordinarie la scelta del modello gestionale del servizio stesso, nonché la definizione dei bacini idrografici;

Relativamente al piano di tutela delle acque si ricorda che esso è disciplinato dall’art. 121 del D.Lgs. 152/2006.

·     agli enti locali, attraverso il Consiglio di bacino, sono attribuite le funzioni di programmazione del piano di bacino, di organizzazione del servizio idrico integrato, di scelta della forma di gestione, di modulazione delle tariffe all'utenza sulla base del metodo definito dal Ministero dell'ambiente, nonché di affidamento della gestione e del relativo controllo;

·     ad un'Autorità nazionale di vigilanza sulle risorse idriche, istituita con decreto del Ministro dell'ambiente, saranno attribuite le funzioni di controllo sull'attuazione e il rispetto della disciplina vigente. Tale Autorità si avvarrà di un Osservatorio sui settori di propria competenza, che svolgerà funzioni di raccolta, elaborazione e restituzione di dati, costituendo una banca dati connessa con i sistemi informativi del Ministero dell'ambiente, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, delle autorità di bacino e dei soggetti gestori dei servizi idrici.

Si ricorda che il comma 19 dell’art. 21 del D.L. 201/2011 ha trasferito all’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici.

 

Andrebbe, pertanto, valutata l’opportunità di un coordinamento con le norme che hanno definito l’attuale assetto di governance dei servizi idrici.

 

I commi 1 e 2 dell’art. 6 prevedono la proprietà pubblica e la natura demaniale delle infrastrutture afferenti al servizio idrico e la conseguente inalienabilità e destinazione perpetua ad uso pubblico, nonché la non separabilità della gestione e dell’erogazione del servizio idrico integrato e l’affidamento esclusivo a enti di diritto pubblico. La norma sembra, pertanto, privilegiare tale modalità di affidamento rispetto alle altre consentite dalla normativa vigente.

Si segnala che l’articolo 143 del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede che gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge. La medesima disposizione attribuisce all'ente di governo dell'ambito la tutela dei beni di cui al comma 1, ai sensi dell'articolo 823, secondo comma, del codice civile.

Per quanto riguarda l’affidamento del servizio, come già precedentemente rilevato, l’149-bis del citato decreto legislativo prevede che l’ente di governo dell’ambito deliberi la forma di gestione fra quelle previste dall'ordinamento europeo provvedendo, conseguentemente, all'affidamento del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica. A seguito di quanto previsto dal comma 615 dell’articolo 1 della legge di stabilità n. 190 del 2014, l'affidamento diretto può avvenire a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ATO.

Le nuove direttive europee in materia di appalti pubblici e concessioni apportano una serie di importanti innovazioni alla disciplina europea, che dovrà essere recepita nell’ordinamento nazionale.

Relativamente agli affidamenti in house, i cui principi sono stati fissati nel tempo dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, l’art. 12 della nuova direttiva in materia di appalti 2014/24/UE, approvata il 15 gennaio 2014 dal Parlamento europeo, rubricato “Appalti pubblici tra enti nell’ambito del settore pubblico” innova con riguardo alle due condizioni necessarie per l’affidamento: la prima riguarda l’effettuazione di “oltre l’80 %” delle attività della persona giuridica controllata nello svolgimento dei compiti affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatrici; la seconda, nel confermare il divieto di partecipazione diretta di capitali privati nella persona giuridica controllata, consente in via eccezionale forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto. Viene, altresì, innovata la definizione di controllo analogo congiunto da parte delle amministrazioni aggiudicatrici.

Per quanto riguarda le concessioni, come già segnalato nella descrizione del quadro normativo, sono escluse dall’ambito di applicazione della nuova direttiva 2014/23/UE le concessioni aggiudicate per fornire o gestire reti fisse destinate alla fornitura di un servizio al pubblico in connessione con la produzione, il trasporto o la distribuzione di acqua potabile e per alimentare tali reti con acqua potabile (articolo 12).

Si ricorda, infine, l’articolo 15 del disegno di legge n. 3098, che delega il Governo al riordino dei servizi pubblici locali di interesse economico generale sulla base di una serie di principi e criteri direttivi che, con particolare riferimento alle società in partecipazione pubblica operanti nei servizi idrici, prevedono la risoluzione delle antinomie normative in base ai principi del diritto dell'Unione europea, tenendo conto dell'esito del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011.

Andrebbe valutata l’opportunità di una più chiara individuazione degli “enti di diritto pubblico” a cui può essere affidata la gestione delle reti e l’erogazione del servizio idrico integrato anche al fine di valutare tale modalità di affidamento alla luce del quadro normativo europeo e nazionale.

Ripubblicizzazione della gestione del servizio idrico integrato, decadenza delle forme di gestione e fase transitoria

L’articolo 6, commi 4-10, riproduce, nella sostanza, salvo limitate differenze, l’art. 6 dell’A.C. 2 della XVI legislatura.

Le disposizioni in esame sono consequenziali a quelle dettate dagli articoli precedenti, in particolare a quelle che definiscono il servizio idrico integrato quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica e che dispongono l’affidamento esclusivo a enti di diritto pubblico. In conseguenza di tali disposizioni le norme in esame vietano l’acquisizione di quote azionarie di società di gestione del servizio idrico integrato.

Viene inoltre regolata la fase transitoria per il passaggio al nuovo assetto di gestione esclusivamente pubblica, prevedendo in particolare:

·      la decadenza immediata di tutte le forme di gestione del servizio idrico affidate in concessione a terzi;

Andrebbe valutata l’opportunità di chiarire a quali forme di gestione del servizio idrico la norma si riferisce.

Sembrerebbe inoltre opportuno precisare le modalità di cessazione dei rapporti di concessione attualmente in essere, per i quali la disposizione prevede la “decadenza”.

Ai sensi dell’articolo 151 del decreto legislativo n. 152 del 2006, la gestione del servizio idrico è regolata da convenzioni tra gli enti di governo degli ambiti e i soggetti gestori sulla base delle convenzioni tipo, con relativi disciplinari, adottate dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico. A tal fine, le convenzioni tipo devono prevedere, tra l’altro, le condizioni di risoluzione secondo i principi del codice civile.

·      nel caso di affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, l’avvio del processo di trasformazione in società a capitale interamente pubblico (che deve concludersi entro un anno), con obbligo di successiva trasformazione in ente pubblico (entro sei mesi);

Andrebbe valutata l’opportunità di disciplinare più chiaramente le fattispecie riguardanti la gestione di una pluralità di servizi laddove si fa riferimento al “previo recesso del settore acqua”.

·      nel caso di affidamento a società a capitale interamente pubblico, la trasformazione, entro un anno, in enti di diritto pubblico.

Anche in relazione alla disposizione in esame appare necessario precisare la nozione di “ente di diritto pubblico”.

 

L’articolo 6, comma 10, demanda ad un successivo decreto ministeriale la definizione dei criteri e delle modalità ai quali le regioni e gli enti locali devono attenersi per garantire la continuità del servizio idrico durante tale fase transitoria.

Al fine di attuare i citati processi di trasformazione societaria e aziendale, viene prevista l’istituzione, presso il Ministero dell'ambiente, di un apposito Fondo nazionale per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, che sarà disciplinato con un apposito decreto del medesimo Ministero (articolo 7, che riproduce grosso modo il corrispondente articolo dell’A.C. 2 della XVI legislatura).

Al finanziamento del Fondo si provvede tramite anticipazioni della Cassa depositi e prestiti S.p.A.

Al riguardo, si osserva come la norma non provvede né alla quantificazione dell’onere da essa recato – atteso che si limita a disporre l’istituzione del Fondo, senza indicarne la relativa dotazione – né all’individuazione della relativa copertura finanziaria, non risultando a tal fine idonea la mera previsione di una anticipazione finanziaria a carico della Cassa Depositi e Prestiti, senza contestualmente prevederne la dotazione di bilancio sulla cui base corrispondere l’anticipazione medesima, nonché le modalità di restituzione della stessa al soggetto erogatore, costituito per l’appunto dalla Cassa.

In tal senso hanno operato, ad esempio, le recenti disposizioni dettate dal decreto-legge n. 35 del 2013 (tra le altre, l’articolo 1, commi da 11 a 13) in tema di pagamento dei debiti pregressi della amministrazioni pubbliche.

Finanziamento del servizio idrico integrato

Criteri generali

L’art. 8, comma 1, individua, in termini generali, le modalità di finanziamento del servizio idrico integrato attraverso:

·      la fiscalità generale e specifica;

·      la tariffa.

Si segnala che non risulta chiaro il riferimento alla fiscalità specifica. Al riguardo, parrebbe più opportuno un rinvio a quanto previsto dal successivo articolo 12 recante le norme di copertura finanziaria.

 

Il comma 2 specifica che i finanziamenti reperiti attraverso la fiscalità generale e i contributi nazionali ed europei sono destinati a coprire, in particolare, i costi di investimento per tutte le nuove opere del servizio idrico integrato e i costi di erogazione del quantitativo minimo vitale garantito (individuato in 50 litri giornalieri per persona, v. supra).

Fondo investimenti

L’articolo 8, comma 3, prevede l’istituzione (con apposito decreto del Ministro dell'ambiente, da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge) di un apposito fondo finalizzato ad accelerare gli investimenti nel servizio idrico integrato, con particolare riferimento alla ristrutturazione della rete idrica, e che è finanziato tramite anticipazioni della Cassa depositi e prestiti S.p.A.

Si segnala che l’art. 22 del Metodo Tariffario Idrico (MTI), approvato dall'AEEGSI con la deliberazione 27 dicembre 2013, n. 643/2013/R/IDR, obbliga il gestore del servizio idrico integrato a “destinare esclusivamente alla realizzazione dei nuovi investimenti individuati come prioritari nel territorio servito, o al finanziamento di agevolazioni tariffarie a carattere sociale, una quota del vincolo riconosciuto ai ricavi destinata al Fondo nuovi investimenti”.

Al riguardo, si osserva che la norma non quantifica l’onere da essa recato né ne dispone la copertura finanziaria, non risultando idonea a tal fine la previsione di una anticipazione a carico della Cassa Depositi e Prestiti, per le ragioni già illustrate per il precedente articolo 7, alle quali si rinvia.

Determinazione della tariffa

L’art. 9, comma 1, demanda ad un apposito decreto (da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge) del Ministro dell'ambiente, la definizione del metodo per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato:

·      nel rispetto dell'articolo 9 della direttiva 2000/60/CE;

L’art. 9 della direttiva 2000/60/CE, in particolare, afferma il principio del recupero dei costi dei servizi idrici (full recovery cost), compresi i costi ambientali e relativi alle risorse, prendendo in considerazione l'analisi economica effettuata in base all'allegato III e, in particolare, secondo il principio "chi inquina paga".

Essa inoltre prevede che, entro il 2010, gli Stati membri provvedono:

-      a che le politiche dei prezzi dell'acqua incentivino adeguatamente gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente e contribuiscano in tal modo agli obiettivi ambientali della direttiva,

-      a un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell'acqua, suddivisi almeno in industria, famiglie e agricoltura, sulla base dell'analisi economica effettuata secondo l'allegato III e tenendo conto del principio "chi inquina paga".

·      e in conformità ai seguenti principi di copertura dei costi:

a)   copertura integrale dei costi di gestione del servizio idrico integrato;

b)   copertura parziale dei costi di investimento, con specifico riferimento all'ammortamento e agli oneri finanziari derivanti dagli investimenti effettuati tramite il fondo per i nuovi investimenti istituito dall’art. 8;

c)   copertura dei costi attinenti le attività di depurazione o di riqualificazione ambientale necessarie per compensare l'impatto delle attività per cui è concesso l'uso dell'acqua;

d)   copertura dei costi relativi alle attività di prevenzione e di controllo;

e)   articolazione tariffaria progressiva differenziata per fasce di consumo prevedendo che:

-      il consumo fino a 50 litri giornalieri per persona sia considerato quantitativo minimo vitale garantito, con costi a carico della fiscalità generale;

-      il consumo oltre i 300 litri giornalieri per persona sia equiparato all'uso commerciale.

 

Come si è già avuto modo di segnalare in precedenza, l’art. 154, comma 2, del c.d. Codice ambientale (D.Lgs. 152/2006) ha demandato al Ministero dell’ambiente l’individuazione delle “componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua”. Il D.P.C.M. 20 luglio 2012 (pubblicato nella G.U. n. 231 del 3 ottobre 2012), nel definire i compiti attribuiti all’AEEGSI, ha assegnato al Ministero dell'ambiente, in ambito tariffario, il compito di definire i criteri che devono essere seguiti dall’AEEGSI nel definire le componenti di costo per la determinazione della tariffa.

 

I commi dell’art. 9 successivi al primo contengono disposizioni che (ad eccezione del comma 4) non trovano corrispondenza nell’A.C. 2 della XVI legislatura.

Compiti di modulazione delle tariffe attribuiti al Consiglio di bacino

Il comma 2 prevede che il consiglio di bacino proceda, in funzione dei bilanci idrici, alla modulazione delle tariffe all'utenza sulla base del metodo definito dal Ministro dell'ambiente e del piano di bacino approvato, tenendo conto della composizione del nucleo familiare, della quantità dell'acqua erogata e dell’esigenza di razionalizzazione dei consumi e di eliminazione degli sprechi in funzione dei bilanci idrici.

Il successivo comma 3 prevede che lo stesso consiglio proceda (sempre sulla base del metodo tariffario definito dal Ministro dell'ambiente) alla modulazione delle tariffe per usi produttivi differenziati per tipologie d'uso e per fasce di consumo, in conformità ai principi previsti dall'art. 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e ai fini del raggiungimento e del mantenimento degli obiettivi di qualità ambientali previsti dalla direttiva.

Il riferimento all’art. 154 sembra essere finalizzato a richiamare il disposto dei commi 6 e 7. Il comma 6 dispone infatti che nella modulazione della tariffa sono assicurate, anche mediante compensazioni per altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonché per i consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito, e che, per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi, sono ammesse maggiorazioni di tariffa per le residenze secondarie, per gli impianti ricettivi stagionali, nonché per le aziende artigianali, commerciali e industriali. Ai sensi del comma 7, l'eventuale modulazione della tariffa tra i comuni tiene conto degli investimenti pro capite per residente effettuati dai comuni medesimi che risultino utili ai fini dell'organizzazione del servizio idrico integrato.

Modalità per la limitazione della fornitura idrica

Il comma 4, che riproduce il corrispondente comma dell’A.C. 2 della XVI legislatura, impedisce la sospensione dell’erogazione del quantitativo minimo vitale (quantificato dall’art. 2, comma 4, in 50 litri giornalieri pro-capite).

 

In caso di morosità nel pagamento, è prevista l’installazione, da parte del gestore, di un apposito meccanismo limitatore dell'erogazione, idoneo a garantire esclusivamente la fornitura giornaliera essenziale di 50 litri giornalieri per persona.

Si osserva che la norma non indica a chi competa l’onere relativo all’installazione.

 

La limitazione della fornitura idrica è possibile, in base al comma 5, solo al verificarsi delle seguenti condizioni:

·      preavviso del gestore mediante comunicazione avente valore legale recante l'indicazione del giorno a partire dal quale procederà alla limitazione della fornitura;

·      la limitazione dovrà avvenire almeno 30 giorni dopo il ricevimento della citata comunicazione.

Il comma 6 dispone che nel caso di utenze domestiche e condominiali il soggetto gestore non può procedere alla limitazione della fornitura idrica, anche nelle forme della riduzione del flusso, se non previo accertamento giudiziale dell'inadempimento dell'utente, anche nelle forme di cui agli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile (procedimento d'ingiunzione).

 

Il comma 7 dispone che, in caso di mancato rispetto delle condizioni previste dal presente articolo (forse sarebbe meglio fare riferimento alle condizioni contemplate dai soli commi 4-6), l'autorità giudiziaria, indipendentemente dall'accertamento dell'inadempimento dell'utente, ordina al soggetto gestore, anche nelle forme di cui all'articolo 700 del codice di procedura civile (provvedimenti di urgenza), l'allaccio immediato della fornitura idrica. Sono nulle tutte le disposizioni contrattuali e regolamentari incompatibili con il presente articolo.

La disposizione sembra riferirsi non solo ad indebiti distacchi (vietati dal comma 4), ma anche a limitazioni effettuate senza rispettare tutte le condizioni previste. Andrebbe quindi riformulata con riferimento non solo all’allaccio immediato, ma anche alla rimozione di eventuali meccanismi limitatori.

Tariffe agevolate per utenti in condizioni economico-sociali disagiate

L’ultimo periodo del comma 6 stabilisce che, ai fini della determinazione della tariffa, gli enti competenti tengono conto delle utenze disagiate.

 

Tale disposizione persegue una finalità analoga a quella dell'articolo 44 del disegno di legge n. 1676 (c.d. collegato ambientale). Tale ultima norma prevede infatti che l'AEEGSI, sentiti gli enti di ambito, assicuri agli utenti domestici del servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate l'accesso a condizioni agevolate alla fornitura della quantità di acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali. Al fine di assicurare la copertura dei conseguenti oneri, si dispone che l'Autorità definisca le necessarie modifiche all'articolazione tariffaria per fasce di consumo o per uso determinando i criteri e le modalità per il riconoscimento delle agevolazioni.

Governo partecipativo del servizio idrico integrato

L’art. 10 riprende, integrandole e ampliandole, le disposizioni contenute nel corrispondente articolo dell’A.C. 2 della XVI legislatura.

In particolare, i commi 1 e 2 affermano il principio del governo democratico della gestione del servizio idrico integrato e attribuiscono agli enti locali il compito di adottare (sulla base di norme regionali di indirizzo) forme di democrazia partecipativa che garantiscano, ai lavoratori del servizio idrico integrato e agli abitanti del territorio, la partecipazione attiva alle decisioni sugli atti fondamentali di pianificazione, programmazione e gestione. Viene altresì previsto, per favorire la partecipazione democratica, che lo Stato e gli enti locali applichino, nella redazione degli strumenti di pianificazione, il disposto dell'art. 14 della direttiva 2000/60/CE, in conformità a quanto previsto dalla Convenzione di Aarhus del 1998 sull'accesso alle informazioni e la partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia ambientale.

Si segnala che l’articolo 14 della direttiva 2000/60/CE disciplina l’informazione e la consultazione pubblica, prevedendo che gli Stati membri promuovono la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all'attuazione della direttiva, in particolare all'elaborazione, al riesame e all'aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici.

L’articolo 66 del d.lgs. 152/2006 (che nella parte terza ha dato attuazione alla richiamata direttiva) prevede, al comma 7, che le autorità di bacino promuovano la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all'elaborazione, al riesame e all'aggiornamento dei piani di bacino, provvedendo affinché, per ciascun distretto idrografico, siano pubblicati e resi disponibili per eventuali osservazioni del pubblico, inclusi gli utenti, concedendo un periodo minimo di sei mesi per la presentazione di osservazioni scritte, i seguenti documenti:

a) il calendario e il programma di lavoro per la presentazione del piano, inclusa una dichiarazione delle misure consultive che devono essere prese almeno tre anni prima dell'inizio del periodo cui il piano si riferisce;

b) una valutazione globale provvisoria dei principali problemi di gestione delle acque, identificati nel bacino idrografico almeno due anni prima dell'inizio del periodo cui si riferisce il piano;

c) copie del progetto del piano di bacino, almeno un anno prima dell'inizio del periodo cui il piano si riferisce.

Disposizioni di contenuto analogo volte a garantire l’informazione e la consultazione pubblica con riferimento all’elaborazione, al riesame e all’aggiornamento dei Piani di tutela delle acque sono contenute nell’art. 122 del decreto n. 152.

Si segnala anche l’art. 162 del citato decreto che, con riferimento alla gestione del servizio idrico integrato, disciplina i compiti del gestore al fine di garantire l’informazione degli utenti e prevede forme di pubblicità dei progetti concernenti opere idrauliche che comportano o presuppongono grandi e piccole derivazioni, opere di sbarramento o di canalizzazione, nonché la perforazione di pozzi.

La presenza di tali disposizioni all’interno del cd. Codice dell’ambiente è motivata dal fatto che con tale provvedimento si è inteso operare, tra l’altro, anche il recepimento nell’ordinamento nazionale della direttiva 2003/35/CE, che rappresenta l’attuazione a livello europeo di uno dei tre pilastri della succitata Convenzione di Aarhus. L’Unione europea non si è infatti limitata a ratificare la Convenzione, ma si è impegnata ad adottare i provvedimenti necessari per assicurarne un'applicazione effettiva. In particolare il primo pilastro della convenzione, che fa riferimento all'accesso al pubblico delle informazioni, ha trovato attuazione nella direttiva 2003/4/CE relativa all'accesso del pubblico alle informazioni in materia ambientale (recepita con il D.Lgs. 195/2005), mentre il secondo pilastro, che riguarda la partecipazione del pubblico alle procedure ambientali, è stato recepito dalla direttiva 2003/35/CE.

La Convenzione di Aarhus è stata ratificata dall'Italia con la legge n. 108/2001.

 

Il comma 3 rinvia agli statuti di province e comuni (ai sensi dell'articolo 8 del D.Lgs. 267/2000) la disciplina degli strumenti di democrazia partecipativa di cui ai commi precedenti.

 

Il comma 4 attribuisce al Governo il compito di definire – entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento – la Carta nazionale del servizio idrico integrato.

La finalità e il contenuto della Carta sono individuati nei seguenti:

·      il riconoscimento del diritto all'acqua di cui all’art. 2 (in particolare il riferimento sembra ai 50 litri giornalieri procapite gratuiti, in quanto coperti dalla fiscalità generale);

·      la fissazione dei livelli e degli standard minimi di qualità del servizio idrico integrato;

·      la disciplina delle modalità di vigilanza sulla sua corretta applicazione, definendo le eventuali sanzioni applicabili.

 

Si segnala che l’articolo 151 del d.lgs. 152/2006 dispone che le convenzioni tipo adottate dall’AEEGSI (sulla base delle quali sono predisposte, da parte dell’ente di governo dell’ambito, le convenzioni dirette a regolare i rapporti tra l’ente ed il soggetto gestore del servizio idrico integrato) devono prevedere l'obbligo di adottare la carta di servizio sulla base degli atti d'indirizzo vigenti.

In attuazione di tale disposizione, con la deliberazione 412/2013/R/IDR, l’AEEGSI ha avviato un procedimento per la predisposizione di una o più convenzioni tipo per la regolazione dei rapporti tra enti affidanti e gestori del servizio idrico integrato. In virtù delle numerose modifiche apportate dal D.L. 133/2014 alla disciplina del servizio idrico, con la successiva delibera 25 settembre 2014, n. 465/2014/R/idr, l’AEEGSI ha, tra l’altro, deciso di prorogare al 30 giugno 2015 il termine per la conclusione del citato procedimento.

 

Il comma 5 introduce norme finalizzate a garantire la pubblicità:

·      delle sedute del consiglio di bacino e dei relativi atti deliberati (in proposito viene richiesto che i verbali e le deliberazioni siano pubblicati sul sito web istituzionale del consiglio, in conformità al D.Lgs. 33/2013);

Si ricorda che tale decreto legislativo contiene le norme di riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. L’art. 1 di tale decreto enuncia il principio generale di trasparenza, intesa come “accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche”, statuisce che la trasparenza concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell'utilizzo di risorse pubbliche ed integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino. L’art. 8 del medesimo decreto stabilisce che i documenti contenenti atti oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblicati tempestivamente sul sito istituzionale dell'amministrazione e ivi mantenuti per un periodo di 5 anni, decorrenti dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello da cui decorre l'obbligo di pubblicazione, e comunque fino a che gli atti pubblicati producono i loro effetti.

·      di tutti gli atti e i provvedimenti, adottati dai gestori del servizio idrico integrato, che prevedono impegni di spesa.

Fondo nazionale di solidarietà internazionale

L’art. 11 riprende, integrandole e ampliandole, le disposizioni contenute nel corrispondente articolo dell’A.C. 2 della XVI legislatura.

La disposizione, al comma 1, prevede l’istituzione, presso il Ministero dell’ambiente, del Fondo nazionale di solidarietà internazionale, posto sotto la vigilanza dei Ministri dell'ambiente e degli affari esteri.

Le finalità del Fondo sono individuate nel favorire l'accesso all'acqua potabile per tutti gli abitanti del pianeta e contribuire alla costituzione di una fiscalità generale universale che garantisca tale accesso, da realizzare attraverso la destinazione delle sue risorse a progetti di sostegno all'accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari, gestiti attraverso forme di cooperazione decentrata e partecipata dalle comunità locali dei Paesi di erogazione e dei Paesi di destinazione, con l'esclusione di qualsiasi profitto o interesse privatistico.

 

In base al comma 2, le risorse destinate ad alimentare il Fondo sono individuate - tra le altre - nelle seguenti:

a) prelievo in tariffa di 1 centesimo di euro per metro cubo di acqua erogata a cura del gestore del servizio idrico integrato. Il comma 3 precisa che tali introiti sono destinati esclusivamente alle finalità di cui al comma 1;

b) prelievo fiscale nazionale di 1 centesimo di euro per ogni bottiglia di acqua minerale commercializzata.

 

Posto che la formulazione del comma 2 lascia intendere che le disponibilità indicate sono soltanto alcune delle risorse che afferiscono al Fondo, sarebbe opportuno precisare anche le ulteriori risorse del medesimo.

Occorrerebbe precisare, anche eventualmente mediante un rinvio a disposizioni di rango secondario, le modalità attuative del prelievo in commento.

 

Le risorse del Fondo, secondo il disposto del comma 4, saranno erogate tramite bandi emanati dai Ministri competenti (vale a dire i Ministri dell'ambiente e degli affari esteri), i cui criteri sono definiti in sede di Conferenza unificata.

Si ricorda che l’articolo 1, comma 1284, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), come sostituito dall’art. 2, comma 334, della legge n. 244/2007 (finanziaria 2008), ha istituito un fondo di solidarietà, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, finalizzato a promuovere il finanziamento esclusivo di progetti e interventi, in ambito nazionale e internazionale, atti a garantire il maggior accesso possibile alle risorse idriche secondo il principio della garanzia dell’accesso all’acqua a livello universale. Il fondo è alimentato dalle risorse di cui al comma 1284-ter, mentre l’individuazione delle modalità di funzionamento e di erogazione delle risorse del fondo viene demandata ad un apposito decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro degli affari esteri, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata.

Il successivo comma 1284-ter ha istituito un contributo di 0,5 centesimi di euro per ogni bottiglia di acqua minerale o da tavola in materiale plastico venduta al pubblico, destinando un decimo delle entrate derivanti da tale contributo all’alimentazione del fondo di cui al comma 1284.

 

Ciò premesso, si osserva che andrebbe valutata l’opportunità di un coordinamento tra l’articolo in commento e l’articolo 1, comma 1284, della legge finanziaria 2007, in considerazione della parziale sovrapposizione delle finalità dei Fondi istituiti dalle due disposizioni.

 

Si segnala, peraltro, che la Corte con sentenza 19-23 maggio 2008, n. 168, ha dichiarato, tra l’altro, l'illegittimità dell'articolo 1, comma 1284, della legge 296/2006 (legge finanziaria 2007), nel testo sostituito dall'art. 2, comma 334, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui prevede che le modalità di funzionamento e di erogazione delle risorse del fondo siano indicate con decreto del Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro degli affari esteri, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata anziché d'intesa con la Conferenza unificata. Secondo la Corte, le disposizioni censurate istituiscono un fondo di natura unitaria ed indivisa, la cui disciplina si pone all’incrocio di materie attribuite dalla Costituzione alla potestà legislativa statale e regionale, senza che nessuna di tali materie possa considerarsi nettamente prevalente sulle altre: in tale ipotesi la concorrenza di competenze giustifica l’applicazione del principio di leale collaborazione e richiede, pertanto, il ricorso all’istituto della citata “intesa” con la Conferenza unificata.

Disposizioni finanziarie

L’articolo 12 riprende, nella sostanza, le disposizioni contenute nel corrispondente articolo dell’A.C. 2 della XVI legislatura, finalizzate a garantire la copertura finanziaria delle misure contenute nell’articolo 8, commi 2 e 3.

Al riguardo, si ricorda che il richiamato comma 2 destina i finanziamenti reperiti attraverso il ricorso alla fiscalità generale alla copertura, in particolare, dei costi di investimento per tutte le nuove opere del servizio idrico integrato e dei costi di erogazione del quantitativo minimo vitale garantito (50 litri giornalieri pro-capite).

Il successivo comma 3, invece, prevede l’istituzione di un fondo per l’accelerazione degli investimenti nel servizio idrico integrato, la cui quantificazione non è peraltro indicata dalla norma.

 

In merito all’articolo in esame, si osserva preliminarmente che esso non reca l’indicazione dell’ammontare degli oneri derivanti dalle disposizioni di cui all’articolo 8, commi 2 e 3, contrariamente a quanto espressamente previsto dalla legge di contabilità e finanza pubblica.

Relativamente alla copertura finanziaria, si osserva inoltre che l’articolo reca modalità che:

·     non appaiono coerenti con le norme di contabilità pubblica stante l’assenza dell’indicazione puntuale dell’autorizzazione di spesa che si intende ridurre (lett.a), la cui determinazione è peraltro rinviata alla legge di stabilità;

·     non sembrano idonee a fini di copertura stante la natura eventuale delle risorse (lett. b, d, f);

·     non specificano le quote del gettito delle imposte di scopo che dovrebbero essere destinate alla medesima copertura (lett. c, e), atteso che peraltro la definizione dell’imposizione è demandata a un successivo decreto legislativo sulla base della delega, invero generica, dettata dal successivo comma 2.

 

Si ricorda che l’articolo 17 della legge n. 196/2009 prescrive che, in attuazione dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ciascuna legge che comporti nuovi o maggiori oneri debba indicare espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento da essa previsto, la spesa autorizzata. Si ricorda, inoltre, che l’articolo 17 della legge n. 196/2009, relativo alle modalità di copertura finanziaria delle leggi comportanti oneri, prescrive che essa possa essere determinata esclusivamente mediante riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa, mediante modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate, mediante utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali.

 

Si osserva altresì che la norma in esame non provvede alla copertura degli oneri relativi all’istituzione del Fondo nazionale per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, operata dall’art. 7.

 

In ordine alla copertura finanziaria, l’articolo dispone che essa sia garantita attraverso:

a)   la destinazione, nell’ambito della legge di stabilità, di risorse annuali pari a 1 miliardo di euro, provenienti da una corrispondente riduzione delle spese militari, a partire da quelle stanziate per l'acquisto degli aerei cacciabombardieri F35;

b)   la destinazione di una quota parte, pari a 2 miliardi di euro annui, delle risorse derivanti dalla lotta all'evasione e all'elusione fiscali;

La disposizione in esame andrebbe, peraltro, coordinata con le regole vigenti in ordine alla determinazione delle risorse derivanti dal contrasto all’evasione fiscale e alla finalizzazione delle stesse, che ai sensi della legge n. 147/2013 (articolo 1, commi 431-435) sono destinate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica ed al Fondo per la riduzione della pressione fiscale.

c)   la destinazione delle risorse provenienti da una tassa di scopo pari a 1 centesimo di euro per ogni bottiglia in PoliEtilenTereftalato (PET) commercializzata;

Si ricorda che con il termine di “imposta di scopo” si intende una forma di imposizione che trova la sua giustificazione nel collegamento tra imposizione e destinazione del gettito. L’imposta di scopo costituisce quindi una deroga al principio dell’unità del bilancio, in base al quale, nel bilancio, la corrispondenza tra entrate e spese deve essere garantita a livello globale, non essendo possibile stabilire una specifica correlazione tra una singola entrata ed una singola spesa.

d)   la destinazione dei fondi derivanti dalle sanzioni irrogate per violazione delle disposizioni vigenti in materia di tutela del patrimonio idrico;

Si ricorda in particolare che la disciplina sanzionatoria per le violazione delle prescrizioni attinenti alla tutela delle acque dall’inquinamento (Sezione II della Parte Terza del c.d. Codice ambientale) è contenuta nel Titolo V e consiste in sanzioni amministrative (articoli 133-136) e sanzioni penali (articoli 137-140), che contemplano anche l’irrogazione di pene pecuniarie.

Si segnala che l’articolo 136 prevede il versamento delle somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative previste dalla parte terza del provvedimento all'entrata del bilancio regionale e la successiva riassegnazione alle unità previsionali di base destinate alle opere di risanamento e di riduzione dell'inquinamento dei corpi idrici. Alle regioni viene attribuito il compito di provvedere alla ripartizione delle somme riscosse fra gli interventi di prevenzione e di risanamento.

Le risorse verrebbero, pertanto, destinate ad una finalità diversa rispetto a quella contemplata per le somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative dall’articolo 136 del cd. Codice ambientale (opere di risanamento e di riduzione dell'inquinamento dei corpi idrici).

e)   l'allocazione di una quota annuale delle risorse derivanti dall'introduzione di una tassa di scopo relativa al prelievo fiscale sulla produzione e sull'uso di sostanze chimiche inquinanti per l'ambiente idrico;

f)    la destinazione di una quota parte delle risorse aggiuntive provenienti da un aumento dell'importo dell'imposta sulle transazioni finanziarie.

La legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 491 a 500) ha introdotto un'imposta sulle transazioni finanziarie sulle seguenti operazioni:

·     trasferimento della proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi emessi da soggetti residenti nel territorio dello Stato nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente, con un'aliquota pari allo 0,2 per cento del valore della transazione se le operazioni di acquisto sono effettuate fuori dai mercati regolamentati (over the counter); l'aliquota è dello 0,1 per cento per le operazioni concluse in mercati regolamentati o con sistemi multilaterali di negoziazione;

·     operazioni sui cosiddetti strumenti derivati, ad imposta in misura fissa, determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto.

Si ricorda che a livello europeo è in corso di definizione una cooperazione rafforzata tra undici Stati membri per disciplinare un’imposta sulle transazioni finanziarie.

 

Il comma 2 delega il Governo ad adottare, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per la definizione delle tasse di scopo di cui al comma 1, lettere c) ed e), in conformità ai principi e criteri direttivi desumibili dalla presente legge.

Come già precedentemente rilevato, andrebbero esplicitati i principi e i criteri direttivi per il conferimento della delega al Governo.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE

(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

Tra il 23 giugno e il 23 settembre 2014 la Commissione europea ha lanciato una consultazione pubblica sulla politica dell’UE in materia di acqua potabile allo scopo di identificare le aree suscettibili di miglioramento, in vista di una possibile revisione della direttiva 98/83/CE sulla qualità dell’acqua per il consumo umano. Tale revisione dovrebbe in particolare essere finalizzata a migliorare l'erogazione di acqua potabile di alta qualità nell’UE.

La consultazione rappresenta tra l’altro una risposta concreta a Right2Water,  la prima iniziativa dei cittadini europei ad avere soddisfatto i requisiti stabiliti dal regolamento (UE) n. 211/2011[4]. In essa si esortava la Commissione europea a proporre una normativa che sancisca il diritto umano universale all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari in quanto servizi pubblici fondamentali per tutti. In merito alla richiesta che l'approvvigionamento in acqua potabile e la gestione delle risorse idriche non siano soggetti alle "logiche del mercato interno" e che i servizi idrici siano esclusi da qualsiasi forma di liberalizzazione, la Commissione ha ricordato che, sulla base dei trattati, nell’UE le modalità di gestione dei servizi idrici sono prerogativa esclusiva delle autorità pubbliche degli Stati membri.

Oltre al tema del qualità dell’acqua potabile, il questionario predisposto per la consultazione ha tenuto conto anche di alcune questioni sollevate dalla suddetta iniziativa dei cittadini europei (ad esempio l’accessibilità dei prezzi), che esulano dal campo di applicazione dell’attuale direttiva sull’acqua potabile e dovranno forse essere affrontate attraverso altre iniziative o strumenti nazionali o a livello dell’UE.

A conclusione della consultazione, nel febbraio 2015 è stata pubblicata un’analisi dei risultati, anche sulla base dei quali la Commissione valuterà la necessità dell’intervento legislativo.



[1]     Si tratta di una definizione che riproduce quella recata dall’art. 4, comma 1, lettera f), della legge Galli, che nel 1994 introdusse una profonda riforma del settore volta ad unificare in un unico ciclo di prestazioni attività fino a quel momento separatamente considerate e conseguentemente organizzate secondo soluzioni particolari.

[2]     La scheda dell’iter completo della procedura 2014/2239(INI) è disponibile al link http://parltrack.euwiki.org/dossier/2014/2239(INI).

[4]     In particolare, il regolamento prevede che 1 milione di cittadini di almeno un quarto degli Stati membri dell'UE (attualmente almeno 7 Stati membri) - secondo una soglia minima fissa stabilita per ciascun Stato membro, pari al numero dei parlamentari europei per quella nazione moltiplicato per 750 (per l’Italia occorrono 54.750 sottoscrizioni) – possano invitare la Commissione europea a proporre atti giuridici.