Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni | ||||
Titolo: | Testo unico dei servizi pubblici locali di interesse economico generale - Atto del Governo n. 308 - Schede di lettura | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Atti del Governo Numero: 305 | ||||
Data: | 09/06/2016 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni |
Testo unico dei
servizi pubblici locali di interesse
economico generale
Testo unico dei servizi pubblici locali di
interesse economico generale
Atto del Governo n. 308
Servizio
Studi
Ufficio ricerche sulle
questioni regionali e delle autonomie locali
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Dossier n. 339
Servizio
Studi
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6760-9475 - st_istituzioni@camera.it -
Serie Atti del Governo n. 305
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Lo schema di
decreto legislativo
Titolo I (Ambito di applicazione, rapporti con le
discipline di settore e principi generali)
I. I
servizi di interesse economico generale (SIEG)
Articolo 3 (Ambito
di applicazione)
Articolo 4 (Finalità
e principi generali)
Titolo II (Assunzione e gestione del servizio)
Articolo 5 (Assunzione
del servizio)
Articolo 6 (Modalità
di perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico)
Articolo 7 (Modalità
di gestione del servizio)
Articolo 8 (Durata
dell’affidamento)
Titolo III (Disciplina delle reti, degli
impianti e delle altre dotazioni patrimoniali essenziali)
Articolo 9 (Proprietà
e gestione)
Articolo 10 (Esecuzione
di lavori connessi alla gestione)
Articolo 11 (Regime
del subentro in caso di scadenza dell'affidamento o cessazione anticipata)
Titolo IV (Organizzazione e allocazione dei
poteri di regolazione, vigilanza e controllo)
Articolo 12 (Organizzazione
dei servizi)
Articolo 13 (Organizzazione
dei servizi a rete - ambiti territoriali ottimali)
Articolo 14 (Bacini
e livelli adeguati dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale)
Capo II (Competenze delle Autorità
indipendenti)
Articolo 15 (Competenze
delle Autorità indipendenti)
Articolo 16 (L'Autorità
di regolazione per energia, reti e ambiente)
Articolo 17 (Modifica
delle competenze dell'Autorità di regolazione dei trasporti)
Capo III (Distinzione tra funzioni di regolazione
e funzioni di gestione)
Articolo 18 (Principio
di distinzione tra funzioni di regolazione e gestione)
Articolo 19 (Inconferibilità
degli incarichi inerenti alla gestione del servizio)
Titolo V (Contratto di servizio, tariffe,
trasparenza e tutela dei consumatori)
Articolo 21 (Contratto
di servizio)
Articolo 22 (Obblighi
contrattuali e disposizioni per l'innovazione del trasporto pubblico locale)
Articolo 24 (Carta
dei servizi)
Articolo 26 (Lotta
all'evasione tariffaria nel settore del trasporto pubblico locale)
Articolo 27 (Tutela
dell'utenza nel settore del trasporto pubblico locale)
Articolo 28 (Tutela
non giurisdizionale)
Articolo 29 (Vigilanza
sulla gestione)
Articolo 30 (Programma
dei controlli)
Articolo 31 (Sanzioni
amministrative)
Titolo VI (Incentivi e premialità)
Articolo 33 (Misure
di premialità a favore di concorrenza e aggregazioni)
Titolo VII (Disposizioni transitorie e finali)
Articolo 36 (Disposizioni
transitorie)
Articolo 37 (Coordinamento
con la legislazione vigente)
Lo schema di decreto legislativo in
esame (Atto del Governo n. 308) reca disposizioni sui servizi pubblici locali
di interesse economico generale, in attuazione della delega conferita al
Governo dal combinato disposto degli articoli 16 e 19 della legge 7 agosto 2015, n. 124 ("Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione
delle amministrazioni pubbliche"). Come
rilevato dal Governo nella relazione illustrativa, l’obiettivo dello schema di
decreto legislativo è quello di dettare una “disciplina generale organica” del
settore dei servizi pubblici locali, attraverso un riordino dell’attuale quadro
normativo che è “il risultato di una serie di interventi disorganici che hanno
oscillato tra la promozione delle forme pubbliche di gestione e gli incentivi
più o meno marcati all’affidamento a terzi mediante gara”[1].
Il provvedimento si compone di 38
articoli, suddivisi in 7 Titoli.
Il Titolo I (articoli da 1 a 4) definisce, innanzitutto, l'oggetto del
testo unico, il quale si autoqualifica come
disciplina generale in materia di servizi pubblici locali di interesse
economico generale, Le disposizioni in esso contenute individuano, ai sensi
dell’articolo 117, secondo comma, lettera p),
della Costituzione, le funzioni fondamentali di indirizzo, controllo e
regolazione di comuni, province e città metropolitane e costituiscono princìpi
di riforma economico-sociale della Repubblica.
L'ambito di applicazione del testo unico è esteso a tutti i servizi
pubblici locali di interesse economico generale. Ai servizi disciplinati da normative di settore il testo unico si applica nei
seguenti limiti: 1) per i servizi idrico integrato, di gestione integrata dei
rifiuti, di trasporto pubblico locale e per il servizio farmaceutico, le
normative di settore continuano a trovare applicazione, fatta eccezione per le
disposizioni relative alle modalità di affidamento, nonché per le disposizioni modificative
ed espressamente abrogative contenute nel testo unico, cui anche i richiamati
settori sono tenuti a conformarsi; 2) per i servizi di distribuzione di gas
naturale e di energia elettrica continuano ad applicarsi le disposizioni di
settore anche in materia di affidamento.
Il Titolo I reca, infine, le finalità e i principi generali della
materia, orientati, da una parte, alla affermazione della centralità del
cittadino, dall'altra, alla promozione della concorrenza.
Il Titolo II (articoli da 5 a 8) reca disposizioni in materia di
assunzione e gestione dei servizi di interesse economico generale.
L'assunzione
della titolarità di servizi pubblici locali di interesse economico generale
costituisce funzione fondamentale degli enti locali, i quali, nel procedimento
di individuazione di detti servizi (ulteriori rispetto a quelli stabiliti a
livello legislativo), sono tenuti a verificare preliminarmente l'inidoneità del
mercato a fornirli a condizioni compatibili con l'interesse pubblico.
Le
attività individuate come servizio pubblico possono essere gestite dall'ente
locale competente all'organizzazione del servizio in una delle seguenti
modalità: affidamento mediante procedura ad evidenza pubblica, anche a società
a capitale misto pubblico-privato, ovvero gestione diretta mediante affidamento
in house, o
- limitatamente ai servizi diversi da quelli di rete - mediante azienda
speciale o gestione in economia.
L'assunzione
della titolarità dell'attività come servizio pubblico e la sua conseguente
gestione in una delle predette forme costituisce soltanto una delle modalità di
perseguimento dell'interesse pubblico. L'interesse pubblico
può anche essere perseguito - ove la legge lo consenta espressamente - mediante
l'imposizione di obblighi di servizio a carico di tutte le imprese che operano
nel mercato, o, in alternativa, mediante il riconoscimento agli utenti di
vantaggi economici e titoli da utilizzare per la fruizione del servizio.
Il Titolo III (articoli da 9 a 11) reca disciplina delle reti, degli
impianti e delle altre dotazioni patrimoniali essenziali strumentali
all'erogazione del servizio.
Si prevede che i beni strumentali all'erogazione del servizio - indipendentemente
dalla titolarità della proprietà - siano vincolati all’uso pubblico e ne sia
garantita la disponibilità al fine della gestione del servizio.
Gli
enti locali, fermo restando quanto stabilito dalle discipline di settore, hanno
facoltà di scegliere tra gestione separata ovvero gestione unitaria del
servizio e di reti, impianti e altri beni strumentali all'erogazione di esso. La
gestione separata, volta a favorire la tutela della concorrenza, deve
assicurare comunque l’accesso equo e non discriminatorio alle dotazioni
patrimoniali a tutti i soggetti legittimati all'erogazione del servizio; la
gestione unitaria deve essere invece motivata da ragioni di efficienza ovvero
risultare funzionale al maggior beneficio degli utenti.
Il Titolo IV (articoli da 12 a 20) si suddivide in tre Capi, recanti
disposizioni, rispettivamente, in materia di: organizzazione dei servizi; competenze
delle Autorità indipendenti; distinzione tra funzioni di regolazione e funzioni
di gestione.
Al Capo I, si prevede che - fatte salve le
disposizioni che impongono l’obbligo di esercizio associato delle funzioni di
organizzazione dei servizi - spetti ai
comuni e alle città metropolitane, nell’ambito delle
rispettive competenze, l'esercizio delle
funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali di interesse economico
generale.
Per
quanto concerne i servizi pubblici locali di interesse economico generale a
rete (esclusi i servizi di distribuzione del gas naturale e dell'energia
elettrica), le regioni e le province autonome provvedono ad organizzarne la
gestione individuando ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei. Per i
servizi di trasporto pubblico locale e regionale, le regioni sono tenute a
definire i bacini di mobilità nel rispetto di specifiche disposizioni (Capo I).
Alle
Autorità di regolazione dei servizi pubblici locali di interesse economico
generale, ovvero all'Autorità nazionale anticorruzione (Anac)
per i servizi per i quali non opera un'autorità indipendente, viene attribuita
la competenza a predisporre gli schemi di bandi di gara e i contratti tipo.
All'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (ridenominata Autorità di regolazione per energia, reti e
ambiente-ARERA) vengono attribuite le funzioni di regolazione e di controllo
dei servizi afferenti al ciclo dei rifiuti, espressamente inclusi tra i servizi
a rete. Si interviene, inoltre, sulle competenze dell'Autorità di regolazione
dei trasporti in materia di trasporto pubblico locale (Capo II).
Il
Capo III del Titolo IV reca disposizioni di principio e misure applicative
volte ad assicurare la distinzione tra funzioni di regolazione, di indirizzo e
di controllo e funzioni di gestione dei servizi pubblici di interesse economico
generale.
Il Titolo V (articoli da 21 a 32) reca disposizioni a garanzia della
trasparenza e a tutela dei consumatori. In particolare vengono disciplinati: il
contratto di servizio, indicandone alcuni contenuti obbligatori, tra i quali
gli obiettivi di sviluppo dei servizi, il programma degli investimenti e il
piano economico-finanziario, con obbligo di raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario
della gestione; le carte dei servizi; le modalità per la determinazione delle
tariffe; un programma di controlli che consentano all'ente affidante di
verificare il rispetto del contratto di servizio.
Il Titolo V reca, inoltre, misure in materia di trasporto pubblico
locale: vengono imposti specifici obblighi contrattuali a carico delle imprese
gestrici; sono dettati nuovi criteri per il riparto del Fondo per il concorso
finanziario dello Stato al trasporto pubblico locale; sono potenziati gli
strumenti di contrasto all'evasione tariffaria; sono introdotte misure di
tutela degli utenti, tra cui il rimborso del prezzo del biglietto, in caso di
disservizio.
Il Titolo VI (articoli 33 e 34) reca
disposizioni in materia di incentivi e premialità.
Il Titolo VII (articoli da 35 a 38) reca disposizioni transitorie e
finali.
Vi trovano, tra l'altro, collocazione alcune disposizioni per la
pianificazione e il finanziamento della mobilità urbana sostenibile.
Come previsto dalla legge delega, sul
provvedimento sono stati acquisiti il parere del Consiglio di Stato (espresso
il 3 maggio scorso) e quello della Conferenza unificata (espresso il successivo
12 maggio), di cui si darà conto nel prosieguo del dossier (ancorché limitatamente agli aspetti ritenuti particolarmente
pertinenti alle questioni trattate).
Giova in questa sede segnalare che il parere del Consiglio di Stato contiene, fra l'altro, una raccomandazione al Governo di vigilare "anche nei suoi rapporti col Parlamento" affinché la codificazione realizzata con il testo unico "sia preservata da tentativi di tornare a norme introdotte disorganicamente in fonti diverse, evitando, quindi, nuove dispersioni attraverso strumenti normativi episodici e disordinati". Il Consiglio di Stato ha suggerito, altresì, di "operare un monitoraggio in ordine all’attuazione della (...) riforma (...), e di relazionare, periodicamente, al Parlamento in ordine all’impatto della (...) disciplina sul sistema dei servizi pubblici locali ed alla sua applicazione da parte dei diversi enti locali interessati, in modo da verificarne nel tempo il buon funzionamento".
Quanto al
parere della Conferenza unificata, in esso sono confluite le osservazioni e
proposte della Conferenza delle regioni, dell'ANCI e dell'UPI, le quali hanno espresso condivisione per
l'obiettivo dell'intervento normativo di individuare "una disciplina
generale organica della materia, attraverso l'indicazione di principi generali
per l'assunzione, la regolazione e la gestione dei servizi pubblici locali di
interesse economico generale".
L’articolo 19 della legge 7
agosto 2015, n. 124, ai fini dell'attuazione della delega per il
riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse
economico generale,
senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, detta princìpi e criteri
direttivi specifici, i quali vanno ad aggiungersi ai criteri generali comuni
per l'esercizio delle tre
deleghe di cui agli articoli 17, 18 e 19, indicati all'articolo 16[2].
Il termine per l’esercizio della delega è di dodici mesi dalla data di
entrata in vigore della legge. Entro dodici mesi dalla data di entrata in
vigore del decreto legislativo, il Governo può adottare, nel rispetto dei
medesimi princìpi e criteri direttivi e della medesima procedura seguiti per
l’adozione del decreto legislativo, uno o più decreti legislativi recanti
disposizioni integrative e correttive.
In particolare, l'art. 19, comma
1, reca i seguenti principi e criteri direttivi:
·
riconoscimento
quale funzione fondamentale dei comuni e delle città metropolitane, da
esercitare nel rispetto dei princìpi e dei criteri dettati dalla normativa
europea e dalla legge statale, dell'individuazione delle attività di interesse
generale il cui svolgimento è necessario al fine di assicurare la soddisfazione
dei bisogni degli appartenenti alle comunità locali, in condizioni di
accessibilità fisica ed economica, di continuità e non discriminazione, e ai
migliori livelli di qualità e sicurezza, così da garantire l'omogeneità dello
sviluppo e la coesione sociale (lett. a));
·
soppressione,
previa ricognizione, dei regimi di esclusiva, comunque denominati, non conformi
ai princìpi generali in materia di concorrenza e comunque non indispensabili
per assicurare la qualità e l'efficienza del servizio (lett.
b));
·
individuazione
della disciplina generale in materia di regolazione e organizzazione dei
servizi di interesse economico generale di ambito locale, compresa la
definizione dei criteri per l'attribuzione di diritti speciali o esclusivi, in
base ai princìpi di adeguatezza, sussidiarietà e proporzionalità e in
conformità alle direttive europee; con particolare riferimento alle società in
partecipazione pubblica operanti nei servizi idrici, risoluzione delle
antinomie normative in base ai princìpi del diritto dell'Unione europea,
tenendo conto dell'esito del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011 (lett. c));
·
definizione,
anche mediante rinvio alle normative di settore e armonizzazione delle stesse,
dei criteri per l'organizzazione territoriale ottimale dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica (lett. d));
·
individuazione,
anche per tutti i casi in cui non sussistano i presupposti della concorrenza
nel mercato, delle modalità di gestione o di conferimento della gestione dei
servizi nel rispetto dei princìpi dell'ordinamento europeo, ivi compresi quelli
in materia di autoproduzione, e dei princìpi generali relativi ai contratti
pubblici e, in particolare, dei princìpi di autonomia organizzativa,
economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non
discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità (lett. e));
·
introduzione,
nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, di incentivi e
meccanismi di premialità o di riequilibrio
economico-finanziario nei rapporti con i gestori per gli enti locali che
favoriscono l'aggregazione delle attività e delle gestioni secondo criteri di
economicità ed efficienza, ovvero l'eliminazione del controllo pubblico (lett. f));
·
individuazione
dei criteri per la definizione dei regimi tariffari che tengano conto degli
incrementi di produttività al fine di ridurre l'aggravio sui cittadini e sulle
imprese (lett. g));
·
definizione delle
modalità di tutela degli utenti dei servizi pubblici locali (lett. h));
·
revisione delle
discipline settoriali ai fini della loro armonizzazione e coordinamento con la
disciplina generale in materia di modalità di affidamento dei servizi (lett. i));
·
previsione di una
netta distinzione tra le funzioni di regolazione e controllo e le funzioni di
gestione dei servizi, anche attraverso la modifica della disciplina sulle
incompatibilità o sull'inconferibilità di incarichi o
cariche (lett. l));
·
revisione della
disciplina dei regimi di proprietà e gestione delle reti, degli impianti e
delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro, in base
a princìpi di tutela e valorizzazione della proprietà pubblica, di efficienza,
di promozione della concorrenza, di contenimento dei costi di gestione, di
semplificazione (lett. m));
·
individuazione e
allocazione dei poteri di regolazione e controllo tra i diversi livelli di
governo e le autorità indipendenti, al fine di assicurare la trasparenza nella
gestione e nell'erogazione dei servizi, di garantire l'eliminazione degli
sprechi, di tendere al continuo contenimento dei costi aumentando nel contempo
gli standard qualitativi dei servizi
(lett. n));
·
previsione di
adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale per gli utenti dei servizi (lett. o));
·
introduzione e
potenziamento di forme di consultazione dei cittadini e di partecipazione
diretta alla formulazione di direttive alle amministrazioni pubbliche e alle
società di servizi sulla qualità e sui costi degli stessi (lett.
p));
·
promozione di
strumenti per supportare gli enti proprietari nelle attività previste
all'articolo 18, per favorire investimenti nel settore dei servizi pubblici
locali e per agevolare i processi di razionalizzazione, riduzione e
miglioramento delle aziende che operano nel settore (lett.
q));
·
previsione di
termini e modalità per l'adeguamento degli attuali regimi alla nuova disciplina
(lett. r));
·
definizione del
regime delle sanzioni e degli interventi sostitutivi, in caso di violazione
della disciplina in materia (lett. s));
·
armonizzazione
con la disciplina generale delle disposizioni speciali vigenti nei servizi
pubblici locali, relative alla disciplina giuridica dei rapporti di lavoro (lett. t));
·
definizione di
strumenti per la trasparenza e la pubblicizzazione dei contratti di servizio,
relativi a servizi pubblici locali di interesse economico generale, da parte
degli enti affidanti anche attraverso la definizione di contratti di servizio
tipo per ciascun servizio pubblico locale di interesse economico generale (lett. u));
·
definizione di
strumenti di rilevazione, anche attraverso banche dati nazionali già
costituite, dei dati economici e industriali, degli obblighi di servizio
pubblico imposti e degli standard di
qualità, nel rispetto dei princìpi dettati dalla normativa nazionale in materia
di trasparenza (lett. v)).
(Ambito di applicazione, rapporti con le discipline di settore e principi generali)
Il Titolo
I (artt. da 1 a 4) disciplina l'ambito
di applicazione del testo unico in esame, ne definisce i rapporti con le discipline di settore e reca i principi generali della materia.
L’articolo
1, comma 1, precisa l’oggetto del testo unico quale disciplina generale in materia di servizi
pubblici locali di interesse economico generale, così definiti dal
successivo art. 2, comma 1, lett. a):
"i servizi erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo economico su un mercato, che non sarebbero svolti senza un intervento pubblico o sarebbero svolti a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che i comuni e le città metropolitane[3], nell’ambito delle rispettive competenze, assumono come necessari per assicurare la soddisfazione dei bisogni delle comunità locali, così da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale"[4].
La nozione di "servizi pubblici locali di interesse economico generale"
risulta dalla combinazione e sintesi della nozione
europea di "servizi pubblici di interesse economico generale (SIEG)"
con quella in uso nella normativa
nazionale di "servizi pubblici locali di rilevanza economica", a
ciascuna delle quali è stato dedicato un apposito capitolo.
Al riguardo, si rammenta che la Corte costituzionale,
con sent. n. 325/2010,
ha asserito che “la nozione comunitaria di servizi pubblici di interesse
economico generale (SIEG), ove limitata all’ambito locale, e quella interna di
servizio pubblico locale di rilevanza economica hanno contenuto omologo”.
In ambito comunitario il processo di integrazione dei Sieg si è avviato e sviluppato in connessione con
l'organizzazione della libera circolazione delle persone, delle merci, dei
servizi e dei capitali, nonché con la progressiva liberalizzazione di settori
di interesse economico generale tradizionalmente sottratti alle logiche di
mercato e alle disposizioni in materia di concorrenza.
Gli Stati membri hanno, infatti, a lungo provveduto a
definire, organizzare e finanziare i servizi di interesse generale secondo le
loro tradizioni e la loro storia, in assenza di norme comunitarie che li
vincolassero a un sistema di interdipendenza europea. Nel contesto di tali
differenti esperienze organizzative è, tuttavia, emersa l'idea unitaria che
determinate attività non potessero dipendere unicamente dalle regole del
mercato e dal diritto comunitario in materia di concorrenza, ma necessitassero
di una specifica regolamentazione idonea a garantire il diritto di accesso
universale a beni e servizi fondamentali.
Negli anni Novanta del secolo scorso sono intervenute
numerose direttive europee di settore (comunicazioni elettroniche, energia
elettrica, gas, poste, etc.) volte a liberalizzare i servizi di interesse
generale. Le direttive in questione hanno aperto la gestione di specifici
settori alla concorrenza tra più operatori,
facendo venire meno la riserva originaria di attività nei confronti del
soggetto pubblico, ma hanno contestualmente previsto che le autorità nazionali
di regolazione provvedessero alla determinazione di standard minimi relativi ai servizi, alla fissazione delle tariffe,
alla definizione dei sistemi di autorizzazione o di concessione, dei contratti
di servizio, degli obblighi a contrarre a carico dei gestori, delle carte di
servizi, etc.
La Commissione
europea - anche con strumenti cd. di soft
law - ha svolto un ruolo significativo nella definizione della disciplina
europea dei servizi di interesse generale (SIG): si fa riferimento, in
particolare, al Libro verde sui servizi di interesse generale del 2003 e al
Libro bianco sui servizi di interesse generale del 2004. Nel Libro verde si
offre una nozione complessa, flessibile e mutevole dei servizi di interesse
generale: "la realtà dei servizi di
interesse generale che comprendono servizi sia di interesse economico che non
economico è complessa e in costante evoluzione. Riguarda un'ampia gamma di
attività diverse: le attività delle grandi industrie di rete (energia, servizi
postali, trasporti e telecomunicazioni), la sanità, l'istruzione e i servizi
sociali; attività che hanno dimensioni diverse, dal livello europeo o persino
mondiale a quello puramente locale; attività che hanno una natura diversa,
dalle attività di mercato a quelle non di mercato. L'organizzazione di questi
servizi varia in base alle tradizioni culturali, alla storia e alla conformazione
geografica di ciascuno Stato membro, alle caratteristiche delle attività
svolte, in particolare allo sviluppo tecnologico. L'Unione europea rispetta
questa diversità e il ruolo delle autorità nazionali, regionali e locali nel
garantire il benessere dei loro cittadini e le scelte democratiche relative fra
l'altro al livello della qualità dei servizi".
Il
Trattato sul funzionamento dell'Unione
europea (TFUE) dà particolare
rilievo alla nozione di SIEG, evidenziandone il ruolo essenziale per la
promozione della coesione sociale e territoriale e disponendo che l'Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive
competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedano
affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri
compiti. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando
mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono
tali principi e fissano tali condizioni, fatta salva la competenza degli Stati
membri, nel rispetto dei trattati, di fornire, fare eseguire e finanziare tali
servizi (TFUE, art. 14).
I SIEG sono servizi che si prestano ad essere
esercitati in forma imprenditoriale in regimi concorrenziali. Sono, dunque,
forniti dal gestore agli utenti dietro corresponsione di un corrispettivo in
denaro (e per questo distinti dai servizi
non economici di interesse generale-SINEG, i quali sono erogati a titolo gratuito). Le
imprese incaricate di svolgerli sono soggette alle disposizioni dei Trattati,
in particolare alle regole in materia di concorrenza, nei limiti in cui
l'applicazione di tali norme non osti all’adempimento della specifica missione
loro affidata (TFUE, art. 106).
In particolare, le disposizioni del Trattato
rispondono a due esigenze: da una parte, garantire che i SIEG siano
effettivamente uno strumento di rafforzamento della coesione sociale; in detta
prospettiva agli Stati membri è consentito provvedere alla compensazione degli
oneri sostenuti dalle imprese per effettuare quelle prestazioni che esse sono
obbligate ad erogare per adempiere ai loro obblighi di servizio pubblico
(criterio della compensazione). Dall'altra, assicurare che il finanziamento
statale di servizi d’interesse economico generale non produca effetti
distorsivi della concorrenza e degli scambi nel settore della fornitura dei
servizi, come accadrebbe qualora la misura di detto finanziamento attribuisse all’impresa
un vantaggio economico superiore a quello che sarebbe necessario a remunerare
l’impresa per i costi del servizio pubblico (criterio della sovracompensazione
o criterio degli aiuti di Stato, TFUE, art.
107).
Il diritto europeo riconosce agli Stati membri ampia
libertà nel definire quali servizi sono di interesse economico generale. La
Commissione europea è tenuta, tuttavia,
a garantire che il finanziamento pubblico concesso per l'erogazione di
tali servizi non falsi indebitamente la concorrenza nel mercato interno e che
pertanto sia rispettato il principio di proporzionalità nella deroga alla
disciplina concorrenziale strettamente funzionale al perseguimento
dell'interesse pubblico (si veda la “Comunicazione della Commissione al
Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al
Comitato delle regioni - Una disciplina di qualità per i servizi di interesse
generale in Europa”, 20 dicembre 2011).
Al riguardo, appare opportuno richiamare anche la sentenza
della Corte di giustizia dell'UE del
24 luglio 2003 C-280/00, Altmark trans GmbH and Regierungspräsidun
Magdeburg contro Nahverkehrsgeselleschaft
Altmark GmbH[5].
Il Protocollo sui servizi di interesse generale
allegato al TFUE (Protocollo n. 26) ha segnato una tappa fondamentale nel
processo di cd. europeizzazione (integrazione in ambito comunitario) dei
servizi pubblici:
"Art. 1. I valori comuni dell'Unione con riguardo
al settore dei servizi di interesse
economico generale ai sensi dell'articolo 14 del trattato sul funzionamento
dell'Unione Europea comprendono in particolare:
· il ruolo essenziale e l'ampio potere discrezionale
delle autorità nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e
organizzare servizi di interesse economico generale il più vicini possibile
alle esigenze degli utenti;
· la diversità tra i vari servizi di interesse economico
generale e le differenze delle esigenze e preferenze degli utenti che possono
discendere da situazioni geografiche, sociali e culturali diverse;
· un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità
economica, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e
dei diritti dell'utente.
Art. 2. Le
disposizioni dei trattati lasciano impregiudicata la competenza degli Stati
membri a fornire, a commissionare e ad organizzare servizi di interesse generale non economico[6]".
La disciplina dei servizi pubblici locali ha subito,
nel nostro ordinamento, numerose modifiche, dovute, tra l'altro, alla necessità
di armonizzare la normativa nazionale con i principi comunitari.
La prima disciplina interna dei servizi pubblici
locali è stata quella recata dal titolo
V (artt. 112 e seguenti) del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli
enti locali di cui al decreto
legislativo n. 267 del 2000 (Tuel): in
particolare, l’art.
112 individua i servizi pubblici nella “produzione di
beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo
economico e civile delle comunità locali”; l'art. 113, recante disposizioni in
materia di gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica, è stato oggetto degli interventi modificativi e
parzialmente abrogativi di seguito indicati.
La legge
28 dicembre 2001, n. 448, ha modificato l’art. 113 del Tuel
e vi ha inserito l’art. 113-bis,
introducendo la distinzione tra servizi “di rilevanza industriale” e servizi
“privi di rilevanza industriale”, assoggettando i primi al regime di
concorrenza attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza
pubblica, e prevedendo, per i secondi, l’affidamento diretto.
La disciplina dei servizi pubblici locali è stata
successivamente modificata dal decreto-legge
30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge
24 dicembre 2003, n. 350, il quale ha sostituito, alla distinzione tra servizi
pubblici di rilevanza industriale/non di rilevanza industriale, quella tra
servizi pubblici “a rilevanza economica” e servizi pubblici “privi di rilevanza
economica”, "con ciò mostrando l’intento di superare la distinzione dei
servizi pubblici basata esclusivamente sul modo tecnico in cui il servizio
pubblico viene prodotto, cioè sul suo carattere strutturale e di
produzione" (Corte dei conti, parere n. 195 del 2009).
La Corte
Costituzionale, con sentenza n. 272 del 2004,
ha successivamente dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 113-bis del Tuel
in materia di servizi privi di rilevanza economica, in quanto tali servizi non
attengono alla tutela della concorrenza (come invece i servizi di rilevanza
economica) e perciò la relativa disciplina non spetta alla competenza statale
ai sensi dell'art.
117 della Costituzione. Come rilevato dalla Corte dei conti nel parere
citato, "ciò ha determinato di fatto una sorta di vuoto di disciplina dei
servizi privi di rilevanza economica, che non è stato colmato neppure dall’art.
23-bis del D.L.
n. 112/2008, il quale si riferisce espressamente ai servizi a
rilevanza economica". I servizi privi di rilevanza economica non sono
oggetto di disciplina del testo unico in esame.
In questo quadro si è inserito l'art. 23-bis del
decreto-legge
n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 133 del 2008, con l’obiettivo di favorire la diffusione dei
principi di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei
servizi. A tal fine è stato previsto: il principio della procedura a evidenza pubblica come regola generale per gli
affidamenti dei servizi pubblici a rilevanza economica; la possibilità di
affidamento a una società mista a condizione che venisse espletata una gara «a
doppio oggetto», per l'affidamento del servizio e per la scelta del socio
privato, con una partecipazione non inferiore al 40 per cento e l'attribuzione
di specifici compiti operativi; l'eccezione dell'affidamento in house, subordinato a un parere (non vincolante)
dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e all'esistenza di
«situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche,
sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento,
non permettessero un efficace e utile ricorso al mercato»[7].
In tema di modalità di affidamento, la Corte
costituzionale ha evidenziato (in particolare con la sentenza n. 325 del 2010)
come l’introduzione nell’ordinamento nazionale di regole concorrenziali, come
sono quelle in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della
gestione di servizi pubblici, più rigorose di quelle minime richieste dal
diritto dell’Unione europea non è imposta dall’ordinamento europeo «e, dunque,
non è costituzionalmente obbligata, ai sensi del primo comma dell’art. 117 Cost. […], ma neppure si pone in contrasto […] con la […] normativa comunitaria, che, in quanto
diretta a favorire l’assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo
un minimo inderogabile per gli Stati membri».
Il
comma 11 dell’art 23-bis ha, inoltre,
disposto l’abrogazione tacita delle disposizioni dell'art. 113 del Tuel nelle parti incompatibili con le nuove disposizioni[8].
L'art.
23-bis, nel testo risultante dalle
modifiche successivamente approvate, è stato dichiarato abrogato dal decreto del Presidente della Repubblica
n. 113 del 2011, a seguito degli esiti delle consultazioni
referendarie del 12 e 13 giugno 2011.
Le disposizioni dell'art. 113 del Tuel abrogate per
incompatibilità con l'art. 23-bis non
sono tuttavia tornate a rivivere a seguito dell'abrogazione referendaria dello
stesso art. 23-bis (come espressamente
dichiarato dalla Corte costituzionale nella sent. n.
320 del 2011, su cui cfr. l'illustrazione dell'art. 9 del provvedimento in
esame).
A
seguito del vuoto normativo successivo alla pronuncia referendaria, il Governo
è intervenuto sulla materia con l’articolo 4 del decreto-legge
n. 138 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011.
Tale articolo ha introdotto una disciplina
generale dei servizi pubblici locali le cui linee portanti in
tema di affidamenti hanno ripreso la disciplina varata nel 2008. In
particolare, vi si prevedeva che di regola la gestione dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica dovesse essere rimessa alla libera iniziativa
economica privata (concorrenza nel mercato), con la possibilità per gli enti
locali di introdurre diritti di esclusiva, sulla base di un'analisi di mercato
che ne comprovasse la necessità e previo parere favorevole vincolante dell'Autorità
garante della concorrenza, in favore di soggetti individuati tramite
l'espletamento di procedure di gara (concorrenza per il mercato). Era
contemplata la possibilità di affidamento del servizio a società miste, con
gara a doppio oggetto. Nel caso di valore economico del servizio inferiore a
200.000 euro annui, l'Ente locale poteva procedere a un affidamento in house a società a capitale interamente pubblico, senza
dover ricorrere al mercato. Tali disposizioni sono state poi oggetto di
successive modificazioni, volte, tra l'altro, a limitare ulteriormente le possibilità di ricorrere alle gestioni dirette[9].
Su
tale disciplina riproduttiva della disciplina oggetto del richiamato referendum è intervenuta la Corte costituzionale, che, con sentenza n. 199 del 2012, ha dichiarato l’illegittimità
delle disposizioni adottate con l’art. 4 del decreto-legge
n. 138 del 2011, e successive modificazioni, in quanto dirette
sostanzialmente a reintrodurre la
disciplina abrogata dalla volontà popolare. La Corte ha rilevato che,
nonostante l’esclusione dall’ambito di applicazione della nuova disciplina del
servizio idrico integrato, “risulta evidente l’analogia, talora la coincidenza,
della disciplina contenuta nell’art. 4 rispetto a quella dell’abrogato art. 23-bis
e l’identità della ratio ispiratrice”.
Sono, inoltre, da considerare alcune ulteriori
specifiche discipline.
L'articolo 3-bis del
decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
148 del 2011, ha rimesso alle regioni e alle province autonome la
definizione, entro il 30 giugno 2012, del perimetro degli ambiti o bacini
territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di
differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza dei servizi pubblici
locali; di norma gli ambiti o bacini territoriali ottimali non devono avere
dimensione inferiore a quella provinciale[10].
L'articolo
34 del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 221 del 2012, ha previsto: al comma 20, per tutti i servizi
pubblici locali di rilevanza economica, a prescindere dalle modalità di
affidamento, che lo stesso sia effettuato comunque sulla base di un'apposita
relazione, pubblicata sul sito Internet
dell'ente affidante, che dia conto delle ragioni e della sussistenza dei
requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento
prescelta e che definisca i contenuti specifici degli obblighi di servizio
pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche, se
previste; al comma 21, l'obbligo per gli affidamenti in essere di adeguarsi ai
requisiti previsti dalla normativa europea entro il termine del 31 dicembre
2013.
L'efficacia delle disposizioni del citato articolo 34
è stata prorogata dall'articolo 13 del
decreto-legge n. 150 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 15 del 2014, ai sensi del quale la mancata istituzione o designazione
dell'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale, ovvero la mancata
deliberazione dell'affidamento entro il termine del 30 giugno 2014, comportano
l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte del prefetto competente per
territorio, che provvede agli adempimenti necessari al completamento della
procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014, con spese a carico
dell'ente inadempiente. Tuttavia, tale proroga non si
applica in ogni caso, ma limitatamente alle ipotesi in cui l'ente affidante,
ovvero, ove previsto, l'ente di governo dell'ambito o bacino territoriale
ottimale e omogeneo, abbia avviato le procedure di affidamento di servizi, con
l'adozione e la pubblicazione della relazione che motiva l'affidamento
prescelto. Il mancato rispetto del termine comporta la cessazione degli
affidamenti non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea alla
data del 31 dicembre 2014.
Su tali previsioni interviene l'art. 36
dello schema di decreto legislativo in commento, che affida al Presidente del
Consiglio dei ministri l'effettuazione di una ricognizione dello stato di
attuazione degli obblighi di cui all'art. 3-bis
del decreto-legge n. 138 del 2011 e all'art. 13 del decreto-legge n. 150 del
2013, al termine della quale lo stesso esercita eventualmente i poteri
sostitutivi previa diffida ad adempiere entro un termine minimo di 90 giorni.
L'art. 8 della legge n. 115 del 2015[11]
ha da ultimo modificato la disciplina transitoria applicabile agli affidamenti
diretti di servizi pubblici locali di rilevanza economica, di cui all’articolo
34, comma 22, del citato decreto-legge n. 179 del 2012[12].
Il comma
2 definisce tre ambiti materiali dei quali si dovrà tenere conto in sede di
applicazione delle disposizioni del decreto legislativo: tutela e promozione
della concorrenza, ambiente e livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
Si osserva che l'art.
113, comma 1, del decreto legislativo n. 267 del 2000,
in materia di gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica - oggetto di abrogazione da parte dell'art. 38 del testo
unico in esame[13]
- menzionava soltanto la "tutela della concorrenza", quale ambito
materiale di riferimento della
disciplina delle modalità di gestione e di affidamento dei servizi pubblici
locali.
Il richiamo alla materia "ambiente" è in
linea con l'espressa inclusione dei servizi afferenti al ciclo dei rifiuti tra
i servizi pubblici locali di interesse economico generale a rete, con la
connessa attribuzione delle relative funzioni di regolazione a una autorità
indipendente (al riguardo, si rinvia alla illustrazione degli artt. 2 e 16).
I tre ambiti materiali richiamati sono, ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione, riservati alla competenza
esclusiva dello Stato. Come rilevato dalla Corte costituzionale, si tratta di
ambiti materiali di carattere trasversale, che fanno riferimento non tanto ad
oggetti precisi, quanto piuttosto a finalità che il legislatore statale è
chiamato a perseguire (per questo la Corte li identifica anche come
“materie-funzioni” o “materie-valore”) e che possono intrecciarsi con una
pluralità di altre materie, incluse quelle di competenza concorrente o
residuale delle regioni.
Alle finalità di tutela della concorrenza e
dell’ambiente la Corte costituzionale ha fatto ricorso, in modo sistematico,
per riconoscere la legittimità dell’esercizio della competenza legislativa
statale. A titolo esemplificativo,
appare esplicativa la sentenza della Corte costituzionale n. 29 del 2006, in
cui si afferma che "alla potestà legislativa esclusiva dello Stato nella
materia “tutela della concorrenza”, devono essere ricondotte le disposizioni
statali di principio contenute nell’art. 113 del d.lgs.
n. 267 del 2000, in quanto le medesime, pur incidendo sulla materia
dei servizi pubblici locali, che appartiene alla competenza residuale delle
Regioni, disciplinano l’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali,
di rilevanza economica, secondo un sistema teso a salvaguardare la
concorrenzialità del mercato". Quanto al richiamo alle esigenze di tutela
dell’ambiente (oltre che di tutela della concorrenza) a sostegno
dell’intervento statale appare indicativa, ex
plurimis, la sent. n.
32 del 2015[14].
La Corte, in più occasioni (si veda, ad esempio, la sent. n. 272 del 2004[15]),
non ha invece ritenuto che la disciplina statale della gestione dei servizi
pubblici locali possa giustificarsi sulla base della competenza dello Stato a
determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettera m), della
Costituzione.
Lo stesso comma 2 riconosce che le disposizioni del decreto legislativo in
esame individuano, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, le funzioni
fondamentali di indirizzo, controllo e regolazione, di comuni, province e città
metropolitane[16] e costituiscono princìpi di riforma economico-sociale della
Repubblica.
Come asserito in più occasioni dalla Corte
costituzionale[17],
anche dopo la riforma del Titolo V del 2001, i principi di riforma
economico-sociale costituiscono un limite alla potestà legislativa primaria
delle regioni a Statuto speciale[18].
Ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p),
della Costituzione, rientra negli ambiti di competenza legislativa statale la
definizione delle funzioni fondamentali di comuni, città metropolitane e
province.
Al riguardo, si rammenta che:
· l'art.
14, comma 27, del decreto-legge n. 78 del 2010,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010[19],
annovera, tra le funzioni fondamentali dei comuni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma,
lettera p), della Costituzione, alla
lettera b), "l'organizzazione
dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i
servizi di trasporto pubblico comunale", e alla lettera f) "l'organizzazione e la gestione
dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la
riscossione dei relativi tributi";
· l'art. 13 del Tuel
attribuisce al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la
popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei
servizi alla persona e alla comunità, dell'assetto ed utilizzazione del
territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente
attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le
rispettive competenze;
· l'art.
1 della legge n. 56 del 2014, al comma 44, lettera c), attribuisce alla città metropolitana, quale funzione
fondamentale, la "strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei
servizi pubblici, organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di
ambito metropolitano. D'intesa con i comuni interessati la città metropolitana
può esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di
stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di
organizzazione di concorsi e procedure selettive".
Il comma
3 reca una clausola di salvaguardia per l'applicazione delle disposizioni
del decreto legislativo nelle regioni a statuto speciale e nelle province
autonome di Trento e di Bolzano: l'applicazione avrà luogo compatibilmente con
i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3[20]. Laddove necessario, le regioni a statuto speciale e le province
autonome di Trento e di Bolzano provvederanno ad adeguare i rispettivi
ordinamenti e norme di attuazione al decreto in esame entro sei mesi - è da presumere - dalla data della sua
entrata in vigore.
Il Consiglio di Stato, in sede di espressione del parere sullo schema
in esame, segnala "l’opportunità di non indicare il termine di sei mesi
entro il quale il suddetto adeguamento dovrà avvenire e quindi di eliminare le
parole: «entro sei mesi», rimettendo la tempistica dell’adeguamento in
questione ai suddetti enti locali nell’ambito della loro autonomia
costituzionale".
L’articolo 2 reca le definizioni.
In particolare, oltre a quella di servizi
pubblici locali di interesse economico generale richiamata nella illustrazione
dell'art. 1, si segnalano le seguenti:
· "servizi pubblici locali di interesse
economico generale a rete", quali "i servizi pubblici locali di
interesse economico generale che siano suscettibili di essere organizzati
tramite reti strutturali o collegamenti funzionali tra le sedi di produzione
del bene o di svolgimento della prestazione oggetto di servizio, sottoposti
alla regolazione a opera di un’autorità indipendente, inclusi quelli afferenti
al ciclo dei rifiuti".
I servizi a rete sono caratterizzati dalla presenza di
infrastrutture "fisiche" indispensabili alla distribuzione del
servizio. L'attribuzione di funzioni di regolazione ad Autorità indipendenti è
finalizzata - oltre che a garantire la tutela degli interessi degli utenti,
mediante un sistema di regolazione affidabile, la definizione di regole
tariffarie, adeguati poteri sanzionatori - a offrire maggiore certezza agli
operatori e agli investitori, anche in considerazione, nel caso dei servizi a
rete, degli investimenti necessari per costruire e manutenere le
infrastrutture.
In conseguenza della espressa inclusione dei servizi
afferenti al ciclo dei rifiuti tra i servizi a rete, il successivo art. 16
provvede ad attribuire all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il
sistema idrico le funzioni di regolazione e controllo del ciclo dei rifiuti,
già svolte dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del
mare.
Si rammenta, inoltre, che l'intero capo II del Titolo
IV è dedicato alle competenze delle Autorità indipendenti.
Per quanto riguarda nello specifico l'inclusione dei
servizi afferenti al ciclo dei rifiuti tra i servizi a rete, si ricorda la
disposizione di cui all'art. 3-bis, comma 6-bis, del decreto-legge n. 138 del 2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 148 del 2011 (il comma 6-bis
è stato inserito nell'art. 3-bis
dall'art.
1, comma 609, della legge n. 190 del 2014;
l'art. 3-bis viene integralmente
abrogato dall'art. 38 del testo unico in esame): "Le disposizioni del
presente articolo e le altre disposizioni, comprese quelle di carattere
speciale, in materia di servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica
si intendono riferite, salvo deroghe espresse, anche al settore dei rifiuti urbani e ai settori sottoposti alla regolazione
ad opera di un'autorità indipendente";
· "affidamento del servizio", quale
"il contratto a titolo oneroso di appalto o concessione, stipulato nelle
forme consentite dall’ordinamento, in virtù del quale gli enti pubblici
competenti ai sensi del presente decreto affidano a uno o più operatori
economici la fornitura e la gestione dei servizi pubblici locali di interesse
economico generale anche a rete, nonché l’esecuzione di lavori e opere pubbliche
a esse strutturalmente e direttamente collegati, ove il corrispettivo consista
unicamente nel diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o in tale
diritto accompagnato da un prezzo diritto esclusivo";
· "diritto esclusivo", quale "il
diritto concesso da un’autorità competente mediante una disposizione
legislativa, regolamentare o amministrativa" pubblica[21], "compatibile con i trattati europei e avente l’effetto di
riservare a un unico operatore economico l’esercizio di un’attività e di
incidere sostanzialmente sulla capacità di altri operatori economici di
esercitare tale attività";
· "diritto speciale", quale "il
diritto concesso da un’autorità competente mediante qualsiasi disposizione
legislativa, regolamentare o amministrativa" pubblica[22], "compatibile con i trattati europei e avente l’effetto di
riservare a due o più operatori economici l’esercizio di un’attività e di
incidere sostanzialmente sulla capacità di altri operatori economici di
esercitare tale attività".
Nell’ambito
della disciplina normativa comunitaria
fino al 1996 l’espressione “diritti speciali” e “diritti
esclusivi” era considerata pressoché equivalente; le due nozioni sono state
poi oggetto di specificazione in particolare nella direttiva
94/46/CE della Commissione europea
sulle comunicazioni via satellite e da ultimo nella direttiva
2006/111/CE,
relativa alla trasparenza delle
relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla
trasparenza finanziaria all'interno di talune imprese. In tale
sede è stato precisato che per "diritti esclusivi" si
intendono i diritti riconosciuti da uno Stato membro ad un'impresa,
mediante qualsiasi disposizione legislativa, regolamentare o
amministrativa, che riservi alla stessa, con riferimento ad una determinata
area geografica, la facoltà di prestare un servizio o esercitare un'attività
(art. 2, paragrafo primo, lettera f),
della direttiva 2006/111/CE). Per "diritti speciali" si
intendono “i diritti riconosciuti da uno Stato membro ad un numero
limitato di imprese mediante qualsiasi disposizione legislativa, regolamentare
o amministrativa che, con riferimento ad una determinata area
geografica: i) limiti a due o più, senza osservare criteri di
oggettività, proporzionalità e non discriminazione, il numero delle
imprese autorizzate a prestare un dato servizio o una data attività; o ii)
designi, senza osservare detti criteri, varie imprese concorrenti come
soggetti autorizzati a prestare un dato servizio o esercitare una data
attività; o iii) conferisca ad una o più imprese, senza osservare detti
criteri, determinati vantaggi, previsti da leggi o regolamenti, che pregiudichino
in modo sostanziale la capacità di ogni altra impresa di prestare il medesimo
servizio o esercitare la medesima attività nella stessa area geografica a
condizioni sostanzialmente equivalenti” (art. 2, paragrafo primo, lettera g), della direttiva 2006/111/CE).
Si
rammenta che la Corte di Giustizia dell'UE (a partire dalla sentenza del 17
maggio del 1993, causa C-320/91, c.d.
sentenza Corbeau) ha posto in evidenza che il
combinato disposto dei paragrafi 1 e 2 dell’articolo 86 del trattato della
Comunità europea (confluito ora nell'articolo 106 del TFUE) consente agli Stati
membri di conferire ad imprese, cui attribuiscono la gestione di servizi di
interesse economico generale, diritti esclusivi che possono impedire
l’applicazione delle norme del Trattato in materia di concorrenza, nella misura
in cui restrizioni alla concorrenza, o persino l’esclusione di qualsiasi forma
di concorrenza da parte di altri operatori economici, sono necessarie per
garantire l’adempimento della specifica funzione attribuita alle imprese
titolari dei diritti esclusivi.
· "regime di autorizzazione", quale
"qualsiasi procedura, non inerente alle misure applicabili a norma del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206[23], che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad
un'autorità competente allo scopo di ottenere un provvedimento espresso o
tacito relativo all'accesso ad un'attività di servizio o al suo esercizio, ivi
inclusi i diritti di installare strutture o di passare sopra o sotto il suolo
pubblico o privato. Ai fini del presente decreto, non costituisce regime autorizzatorio la segnalazione certificata di inizio di
attività (S.C.I.A.), di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241".
Articolo 3
(Ambito di applicazione)
Il comma
1 individua quale ambito di applicazione del testo unico in esame tutti i servizi pubblici locali di
interesse economico generale.
I successivi commi, tuttavia, specificano
come la disciplina comune a tutti i servizi pubblici locali di interesse
economico generale riguardi esclusivamente le disposizioni in materia di modalità
di affidamento dei servizi stessi, nonché ulteriori disposizioni del
provvedimento contenenti modifiche e
abrogazioni espresse di normative vigenti.
Il comma
2 fa salva l'applicazione delle seguenti discipline di settore: il servizio idrico integrato[24] e il servizio di gestione integrata dei rifiuti[25] di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; il trasporto pubblico locale di cui al decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422[26]; il servizio di distribuzione di energia elettrica, di cui
al decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e alla legge 23 agosto 2004, n. 239; il
servizio di distribuzione del gas naturale, di cui al decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164; il servizio farmaceutico, di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 475[27]. Resta ferma, tuttavia, la prevalenza (o eventuale
integrazione) sulle normative di settore delle
disposizioni recate dal testo unico in esame in materia di modalità di
affidamento dei servizi, e sono fatte salve le modifiche e abrogazioni espresse
contenute nello stesso testo unico.
Il Consiglio
di Stato, nel parere espresso sullo schema in esame, ha osservato: "Il
testo del comma 2 dell’articolo in esame merita di essere rivisitato nella
parte in cui stabilisce che le disposizioni in materia di “modalità di
affidamento dei servizi” si applicano anche al: servizio idrico integrato;
servizio di gestione integrata dei rifiuti; trasporto pubblico locale; servizio
farmaceutico. Nel testo del presente decreto, infatti, non vi è alcun Titolo o
articolo rubricato: «modalità di
affidamento dei servizi» e, pertanto, ai fini di una migliore
intelligibilità delle disposizioni che si applicano anche ai suddetti servizi,
sarebbe opportuno individuare puntualmente le norme alle quali si intende
riferirsi, indicando l’articolo ed eventualmente il comma, superando in questo
modo un’ambiguità che si presta a future divergenti interpretazioni".
Sul punto si
è pronunciata anche la Conferenza delle regioni con il seguente rilievo
relativo all'impianto generale del testo unico, confluito nel parere reso dalla
Conferenza unificata sul provvedimento in esame: "Considerata la necessità
di chiarire l'ambito di applicazione del decreto, evitando sovrapposizioni tra
le discipline di settore e le disposizioni del medesimo, in una visione di
testo unico, sarebbe opportuno procedere all'inserimento di appositi capi
corrispondenti alle specifiche discipline relative al servizio idrico
integrato, al servizio di gestione integrata dei rifiuti, al trasporto pubblico
locale, al servizio di distribuzione di
energia e di gas naturale che, ai sensi dell'articolo 3, comma 2, rimangono
escluse dal decreto legislativo, ad eccezione delle norme riguardanti le
modalità di affidamento dei servizi che integrano e prevalgono sulle normative
di settore. Tali modalità sono riconducibili sostanzialmente agli articoli 7 e
8, pur non potendosi escludere ulteriori disposizioni 'intruse' presenti in
altri articoli. In tal modo risulterebbe un testo onnicomprensivo di immediata
consultazione, adeguato ai nuovi principi e rispondente alle inevitabili
necessità di aggiornamento che, attraverso l'abrogazione delle singole
discipline di settore, offrirebbe all'interprete uno strumento coordinato di
azione"[28].
Per quanto
riguarda in modo specifico il trasporto pubblico locale, la Conferenza delle
regioni propone l'inserimento nell'articolo in esame di un apposito comma che
dia conto delle disposizioni del testo unico che non trovano applicazione a
detto settore: "I successivi articoli 5, 7, commi 4-5, 8, 9, 10, 11, 12,
13, 21 e 25 non si applicano ai servizi di trasporto pubblico locale di cui al
decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422".
Il comma
3 specifica ulteriormente che, in materia di
affidamento della gestione del servizio, rimangono ferme (quindi risultano
prevalenti in deroga a quanto disposto dal precedente comma 2) le disposizioni
relative al servizio di distribuzione di gas naturale, di cui al decreto legislativo n. 164 del 2000, e al servizio di distribuzione di energia elettrica, di
cui al decreto legislativo n. 79 del 1999 e alla legge n. 239 del 2004.
Dalle
relazioni illustrativa e tecnica allegate al provvedimento non emergono le ragioni
per le quali siano state fatte salve le disposizioni speciali in materia di
affidamento della gestione dei servizi di distribuzione dell'energia elettrica
e del gas naturale, tenuto conto che il criterio direttivo di cui all'art. 19,
comma 1, lett. i), della legge n. 124 del 2015 prevede la
"revisione delle discipline settoriali ai fini della loro armonizzazione e
coordinamento con la disciplina generale in materia di modalità di affidamento
dei servizi".
Articolo 4
(Finalità e principi generali)
L’articolo
4 definisce le finalità e i principi generali della materia.
Possono essere annoverate tra le finalità:
· affermare la centralità del
cittadino nell’organizzazione e produzione dei servizi pubblici locali di
interesse economico generale, anche favorendo forme di partecipazione attiva.
E' funzionale al conseguimento di detta finalità l'enunciazione del principio
per il quale, nel rispetto della Costituzione e dei princìpi del diritto
dell’Unione europea, l’assunzione, la regolazione e la gestione dei servizi
pubblici locali di interesse economico generale sono ispirate a principi di
efficienza nella gestione, efficacia nella soddisfazione dei bisogni dei
cittadini, produzione di servizi quantitativamente e qualitativamente adeguati,
applicazione di tariffe orientate ai costi standard,
promozione di investimenti in innovazione tecnologica, concorrenza
nell’affidamento dei servizi, sussidiarietà, anche orizzontale, e trasparenza (comma 1);
·
promuovere la concorrenza, la libertà di stabilimento e la libertà
di prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla
gestione di servizi pubblici locali di interesse economico generale (comma 2).
Vengono, inoltre, enunciati i seguenti
principi generali:
·
le amministrazioni e gli enti competenti all’organizzazione dei
servizi pubblici locali di interesse economico generale rispettano la parità di
trattamento, anche tra imprese pubbliche e private, e operano secondo il
principio di proporzionalità, nei limiti di quanto necessario per garantire le
esigenze imperative di interesse generale (comma
4);
·
agli utenti dei servizi pubblici locali di interesse economico
generale sono assicurati l’accessibilità, la continuità, la non discriminazione
e i migliori livelli di qualità e sicurezza, nel rispetto dell'articolo 117,
secondo comma, lettere e) ed m), della Costituzione[29] (comma 5);
·
gli oneri aggiuntivi derivanti dagli obblighi di servizio pubblico
sono compensati nella misura strettamente necessaria a consentire il perseguimento
da parte del prestatore del servizio della specifica missione a esso affidata e
nel rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato (comma 6);
·
i soggetti competenti all’organizzazione dei servizi pubblici
locali di interesse economico generale, ai sensi dell'articolo 117, secondo
comma, lettere e), m), ed s)[30], della Costituzione, assicurano adeguate forme di
vigilanza e controllo e adeguati livelli di tutela degli utenti, secondo i
princìpi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione (comma 7).
Si rammentano:
Ø
le finalità della disciplina di affidamento e gestione
dei servizi pubblici locali cui già si faceva riferimento nell'art. 23-bis, comma 1, del decreto-legge n. 112
del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008[31]: "Le disposizioni del presente articolo
disciplinano l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di
favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di
stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori
economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito
locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed
accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle
prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma,
lettere e) e m),
della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i
principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione";
Ø i valori che, ai sensi del Protocollo n. 26 sui
servizi di interesse generale allegato al Trattato di Lisbona[32],
devono trovare applicazione in tutti gli Stati membri dell'Unione europea: un
alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di
trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utente.
Al riguardo, si propongono alcune considerazioni
tratte da uno studio di sintesi sul Protocollo n. 26 condotto dal CESI-European Academy, che risultano utili anche ai fini
dell'inquadramento dell'articolo in esame:
·
l'espressione
"alto livello" (cui, nel Protocollo, sono subordinati i primi tre
valori: qualità, sicurezza, accessibilità economica) non rappresenta un valore
assoluto, chiaramente identificabile e misurabile, ma rinvia a obiettivi
qualitativi ed evolutivi; si osserva che, nell'articolo in esame si utilizza la
locuzione "i migliori livelli di qualità e sicurezza"[33];
·
dalle diverse
fonti del diritto dell’Unione emerge che la "qualità" rinvia, nella
maggior parte dei casi, ad altri valori: l’affidabilità e la continuità dei
servizi (la "continuità" trova espressa indicazione al comma 5
dell'articolo in commento), l’esistenza di meccanismi compensatori in caso di
carenze, la tutela e la sicurezza degli utenti e dei consumatori, la protezione
dell’ambiente o lo sviluppo sostenibile, etc.. Gli obiettivi qualitativi
trovano disciplina nelle specifiche normative, nei singoli contratti e statuti;
·
la
"sicurezza" interessa aspetti diversi: la sicurezza fisica (per gli
utenti e le persone coinvolte nella produzione e fornitura del servizio),
comprensiva della sicurezza e dell’affidabilità delle reti e dei materiali,
nonché della sicurezza della fornitura e dell’approvvigionamento;
·
l’"accessibilità
economica" (accesso ai SIEG indipendentemente dal reddito dei beneficiari
o dal luogo di loro residenza; al riguardo, si osserva che il comma 5 dell'articolo
in esame fa riferimento semplicemente alla "accessibilità") è stata
costantemente sottolineata nelle politiche di liberalizzazione dei servizi di
interesse economico generale portate avanti dall’Unione europea ed è
strettamente correlata all’obiettivo di coesione perseguito dall’Unione.
L’accessibilità economica non è assoluta, è relativa alle condizioni economiche
e sociali di ogni territorio, nonché ai bisogni e alle tecnologie, e quindi
alla loro evoluzione nel tempo. Si ricorda che spetta alle autorità competenti
a livello nazionale, regionale e locale finanziare i servizi di interesse
economico generale (articolo 14 TFUE); ciò implica la possibilità di rimborsare
gli oneri sostenuti per l’adempimento di specifiche missioni di interesse generale,
di cui l’accesso e l’accessibilità economica sono componenti essenziali, con
attenzione al principio di proporzionalità dei compensi rispetto agli obiettivi
prefissati, e nel rispetto della disciplina sugli aiuti di Stato (la
compensazione e la disciplina europea sugli aiuti di Stato sono espressamente
richiamate al comma 6 dell'articolo in esame);
· la "parità di trattamento", che è elemento
cardine del processo di integrazione europea, consiste nell’assenza di
discriminazioni tra gli Stati membri e tra le persone. E' condizione necessaria
per adempiere all’obbligo di fornitura universale dei servizi e può implicare
misure positive (cd. discriminazioni positive), volte a prevenire o compensare
svantaggi dovuti alla razza, al sesso, all’origine etnica, a un handicap,
all’età, etc.;
· la definizione di "promozione dell'accesso
universale" è data nella sentenza del Tribunale di primo grado BUPA (British United Provident Association Ltd) del 12
febbraio 2008 (causa T-289/03), dalla quale l’universalità emerge come uno
degli elementi di identificazione dei SIEG:
"la nozione di servizio universale, ai sensi del diritto
comunitario, non implica che il servizio di cui trattasi debba rispondere ad
un’esigenza comune all’insieme della popolazione o essere fornito a un territorio
nella sua totalità (...) Pertanto, il fatto che gli obblighi SIEG di cui
trattasi abbiano un campo di applicazione territoriale o materiale solo
ristretto o che dei servizi di cui trattasi benefici solo un gruppo
relativamente ristretto di utenti non rimette necessariamente in discussione il
carattere universale di una missione SIEG, ai sensi del diritto
comunitario";
·
la
"promozione dei diritti degli utenti" si fonda sul riconoscimento del
fatto che la realizzazione del mercato interno e l’attuazione della politica di
concorrenza non permettono, da sole, di realizzare lo sviluppo e il benessere,
e devono essere completate da iniziative specifiche che garantiscano un
equilibrio tra forze di mercato e diritti dei cittadini nella loro veste di
utenti e consumatori.
Il comma
3 prevede, infine, che ai regimi di autorizzazione per i servizi di cui al
presente decreto si applicano le disposizioni della Parte I, Titolo II, Capo
II, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, recante "Disposizioni generali in materia di regimi autorizzatori"[34].
(Assunzione e gestione del servizio)
Il Titolo
II (artt. da 5 a 8) reca disposizioni
in materia di assunzione e gestione dei servizi di interesse economico generale.
Articolo 5
(Assunzione del servizio)
L’articolo
5 reca disposizioni in materia di assunzione del servizio pubblico locale di
interesse economico generale, stabilendo che essa costituisce funzione
fondamentale degli enti locali e che l'individuazione di servizi pubblici
(ulteriori rispetto a quelli stabiliti a livello legislativo) deve basarsi su
una verifica dell'inidoneità del mercato a fornire tali servizi a condizioni
compatibili con l'interesse pubblico.
Ai sensi del comma 1 viene riconosciuta quale funzione fondamentale dei comuni e
delle città metropolitane l’individuazione delle attività di produzione di beni
e servizi di interesse economico generale, il cui svolgimento sia necessario al
fine di assicurare la soddisfazione dei bisogni delle comunità locali.
Si rammenta l'art. 112, comma 1, del Tuel (oggetto di abrogazione da parte dell'art. 38 del
testo unico in esame), secondo cui gli enti locali, “nell'ambito delle
rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che
abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini
sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”.
Il Consiglio di Stato ha avuto modo di segnalare che
tale disposizione risulta parametro di riferimento ai fini della qualificazione
di un’attività come servizio pubblico locale: "La genericità della norma
si spiega con la circostanza che gli enti locali, ed il comune in particolare,
sono enti a fini generali dotati di autonomia organizzativa, amministrativa e
finanziaria (art. 3 T.U.E.L.), nel senso che essi hanno la facoltà di
determinare da sé i propri scopi e, in particolare, di decidere quali attività
di produzione di beni ed attività, purché genericamente rivolte a realizzare
fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile della comunità
locale di riferimento (art. 112 T.U.E.L.), assumere come doverose. Quel che
rileva è perciò la scelta politico-amministrativa dell’ente locale di assumere
il servizio, al fine di soddisfare in modo continuativo obiettive esigenze
della collettività. (...) Dunque, muovendo dal dato di diritto positivo fornito
dall’art. 112 T.U.E.L., deve ritenersi che la qualificazione di servizio
pubblico locale spetti a quelle attività caratterizzate, sul piano oggettivo,
dal perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile,
selezionati in base a scelte di carattere eminentemente politico, quanto alla
destinazione delle risorse economiche disponibili ed all’ambito di intervento,
e, su quello soggettivo, dalla riconduzione diretta o indiretta (per effetto di
rapporti concessori o di partecipazione all’assetto organizzativo dell’ente) ad
una figura soggettiva di rilievo pubblico"[35].
La Corte dei conti-Sezione regionale di controllo per
la Lombardia, nel parere reso al Comune di Malnate (VA) n. 195 del 2009, ha
asserito che "l’ordinamento lascia all’autonomia delle singole
amministrazioni l’individuazione di interessi pubblici da soddisfare per
assurgere a servizi pubblici" e che la decisione dell'ente di assumere la
titolarità di un servizio, e conseguentemente il compito della sua gestione,
risulta un "momento fondamentale per la determinazione dell’assetto dei
servizi pubblici nel sistema territoriale". Le attività così individuate
possono essere gestite attraverso una vasta serie di organismi, differenti
quanto a configurazione giuridica e a metodi organizzativi, ovvero mediante
l’affidamento a privati.
L'individuazione dei servizi pubblici locali
di interesse economico generale - fatti salvi quelli già previsti dalla legge[36] - deve essere effettuata previa verifica che le attività non siano già
fornite e non possano essere fornite da imprese operanti secondo le normali
regole di mercato, in modo soddisfacente e a condizioni coerenti con il
pubblico interesse come definito dall’amministrazione, in termini di prezzo,
caratteristiche obiettive di qualità e sicurezza, continuità e accesso al
servizio (comma 2).
Viene, inoltre, precisato che la verifica dell’idoneità del mercato a
soddisfare le esigenze di interesse pubblico possa essere effettuata mediante
una consultazione pubblica, da svolgersi con modalità adeguate e proporzionate
alle caratteristiche del servizio, anche per via telematica (comma 3).
I
commi 2 e 3 pongono alcuni limiti alla discrezionalità con la quale gli enti
locali deliberano di assumere la titolarità di un servizio di interesse
economico generale.
Il
comma 2 impone all'ente locale di verificare previamente che il mercato non sia
in grado di fornire l'attività, in modo soddisfacente e nel rispetto dei
parametri definiti dal diritto europeo come identificativi di un SIEG:
l'accessibilità economica, caratteristiche obiettive di qualità e sicurezza,
continuità e accesso al servizio (si veda l'illustrazione dell'art. 4). Gli
enti locali sono tenuti, pertanto, a definire in concreto la misura di tali
parametri in relazione all'attività per la quale devono compiere la verifica di
mercato.
Il
comma 3 propone, quale possibile modalità di verifica di mercato, una
consultazione pubblica di mercato da svolgere anche per via telematica. La
consultazione pubblica avrà ad oggetto l'interesse pubblico che si intende
soddisfare attraverso l'eventuale assunzione del servizio, le condizioni
qualitative ed economiche da garantire, le modalità con cui si intende
perseguire l'interesse pubblico ai sensi del successivo art. 6; dovrà essere
adeguata e proporzionata rispetto alle caratteristiche dell'interesse da
soddisfare; dovrà, inoltre, concludersi con un documento che dia conto della
consultazione svolta in termini di partecipazione e di contenuto e che indichi
le ragioni dell'accoglimento ovvero del mancato accoglimento delle proposte
ricevute.
Nel parere reso dalla Conferenza unificata
sul provvedimento in esame sono confluite le perplessità espresse dalla
Conferenza delle regioni e dall'ANCI in ordine alla "concreta
attuazione" della procedura di cui all'art. 5, comma 3, la quale,
"senza un'adeguata attività formativa e una standardizzazione del processo
di consultazione pubblica", potrebbe rischiare di "vanificare l'obiettivo
condiviso di apertura nel mercato dei servizi pubblici locali di interesse
economico generale". Nello stesso parere è, inoltre, confluita la
richiesta dell'ANCI di sopprimere il secondo e il terzo periodo del comma 3,
ovvero, in alternativa, di demandare a un successivo Dpcm,
da adottare previo parere della Conferenza unificata, la definizione delle
modalità di svolgimento della consultazione pubblica, con l'obiettivo di
pervenire alla semplificazione della procedura di individuazione dei servizi
pubblici locali di interesse economico generale.
Con
le disposizioni in commento il legislatore introduce una procedura finalizzata
a verificare che sussistano le condizioni perché l'ente locale possa assumere
la titolarità di una determinata attività come servizio pubblico. Detta
attività, prima dell'eventuale assunzione quale servizio pubblico, presenta le
caratteristiche di un interesse pubblico che l'amministrazione è tenuta a
perseguire e tutelare. Ai sensi del successivo art. 6, l'assunzione della titolarità
dell'attività come servizio pubblico e la sua conseguente gestione in una delle
forme di cui all'art. 7 costituisce soltanto una delle modalità di
perseguimento dell'interesse pubblico. Lo stesso può anche essere perseguito -
ove la legge lo consenta espressamente - mediante l'imposizione di obblighi di
servizio a carico di tutte le imprese che operano nel mercato, o, in
alternativa, mediante il riconoscimento agli utenti di vantaggi economici e
titoli da utilizzare per la fruizione del servizio.
L’esigenza
di una previa verifica in ordine alla realizzabilità di una gestione
concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (al fine di
assicurare la liberalizzazione delle attività economiche “compatibilmente con
le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio”) era già
contenuta nell’art. 4 del decreto-legge n. 138 del 2011. Detta disposizione,
segnatamente, subordina l'attribuzione di diritti di esclusiva allo svolgimento
di un’analisi di mercato, dalla quale eventualmente emerga l’inidoneità della
libera iniziativa economica privata a garantire un servizio rispondente ai
bisogni della comunità. Solo in esito a tale verifica, l'ente può adottare una
delibera quadro con cui dare conto dell'istruttoria compiuta, evidenziando, per
i settori sottratti alla liberalizzazione, “le ragioni della decisione e i
benefici per la comunità locale derivanti dal mantenimento di un regime di
esclusiva del servizio”.
Si
osserva che la procedura introdotta presenta analogie con la procedura che
l'amministrazione è chiamata a seguire per procedere all'affidamento diretto di
una servizio di cui risulti già titolare (si rammenta che l'art. 23-bis, comma 4, del decreto-legge n. 112
del 2008 - abrogato dal DPR n. 113 del 2011 -
prevedeva, per l'affidamento in house, che
l'ente affidante desse adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad
un'analisi del mercato, e contestualmente trasmettesse una relazione contenente
gli esiti della predetta verifica all'Autorità garante della concorrenza e del
mercato per l'espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta
giorni dalla ricezione della predetta relazione). Sulla disciplina statuita,
per l'affidamento in house,
dal provvedimento in esame si rinvia alla illustrazione dei commi 3 e 4
dell'art. 7.
Si
rammenta, infine, che il Consiglio di Stato, pur riconoscendo la natura
ampiamente discrezionale
dell'assunzione di un servizio pubblico, aveva già evidenziato la necessità
di un'adeguata ponderazione di tutti gli interessi coinvolti in tali scelte e
in quelle di organizzazione del servizio, nonché di una congrua motivazione
circa la convenienza della formula gestoria prescelta
tra quelle indicate dalla legge. In particolare nella pronuncia n. 374/90 il
Consiglio di Stato ha precisato che la gestione dei servizi pubblici è
"logicamente
e necessariamente preceduta dall'atto di assunzione del servizio".
Il provvedimento con il quale l’ente delibera
l’assunzione del servizio è pubblicato sul sito dell’amministrazione
interessata ed è trasmesso all’Osservatorio per i servizi pubblici locali, già
istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, ai sensi dell'art. 13,
comma 25-bis, del decreto-legge n. 145 del 2013,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2014 (comma
4).
Il citato comma 25-bis
prevede che gli enti locali inviino le relazioni di affidamento dei servizi
pubblici locali di rilevanza economica - le quali danno conto, tra l'altro, del
rispetto della normativa europea per la forma di affidamento prescelta (ai
sensi di quanto previsto dall'art.
34, comma 20, del decreto-legge n. 179 del 2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 221 del 2012) - all'Osservatorio per i servizi pubblici locali,
istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, che provvede a
pubblicarle nel proprio portale telematico contenente dati concernenti
l'applicazione della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica sul territorio.
Gli ambiti di intervento, i compiti e l'organizzazione
dell’Osservatorio sono stati definiti con apposito decreto
ministeriale dell'8 agosto 2014, il quale gli
attribuisce, tra l'altro, le funzioni di garantire a istituzioni e operatori
un’informazione completa e aggiornata sulle novità normative, sui processi di
riordino organizzativo e sulle performance
gestionali, attraverso apposite banche dati,
nonché di supportare, con strumenti metodologici
e linee guida, le amministrazioni pubbliche impegnate nei processi
di riordino dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, anche
per accelerare e promuovere la corretta attuazione delle disposizioni di legge
concernenti l’organizzazione in ambiti territoriali ottimali e omogenei e
l’affidamento dei servizi.
Sul procedimento di assunzione del servizio
disciplinato dall'articolo in esame è previsto il controllo dell’Autorità
garante della concorrenza e del mercato che agisce, se del caso, ai sensi
dell’articolo 21-bis della legge 10 ottobre
1990, n. 287 (comma
5).
Il richiamato art. 21-bis attribuisce all’Autorità garante della concorrenza e del mercato la legittimazione ad agire in giudizio avverso gli atti amministrativi che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato. Nello specifico, la disciplina prevista prende avvio con un parere motivato, che l’Autorità può emettere - entro sessanta giorni dall’adozione dei richiamati atti ritenuti illegittimi - indicando gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Qualora la pubblica amministrazione interessata non si conformi nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorità può adire le vie giudiziarie, entro i successivi trenta giorni.
Articolo 6
(Modalità di perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico)
L’articolo
6 interviene sulle modalità di perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico,
disponendo che, sulla base dei principi enunciati all’articolo 4,
l’amministrazione sia tenuta a valutare se il perseguimento degli obiettivi di
interesse pubblico possa essere assicurato mediante:
·
l’imposizione
di obblighi di servizio pubblico a carico di tutte le imprese che operano nel
mercato, nei casi e secondo le modalità previsti dall'ordinamento vigente.
Ai sensi della citata disposizione, il
ricorso all'imposizione di obblighi di servizio pubblico è limitato ai soli
casi in cui ciò sia specificamente previsto da una norma di legge, in assenza
della quale sono attivabili esclusivamente le altre modalità di cui alle
lettere b) e c).
·
il
riconoscimento agli utenti di vantaggi economici e titoli da utilizzare per la
fruizione del servizio.
·
l’attribuzione
dell’obbligo di servizio pubblico a uno o più operatori economici individuati
con le modalità di cui al successivo art. 7.
Articolo 7
(Modalità di gestione del servizio)
L’articolo 7 definisce le modalità di gestione del servizio, nei casi in cui, ai sensi dell'art. 6, l'amministrazione valuti che il perseguimento dell'interesse pubblico debba essere assicurato mediante l’attribuzione dell’obbligo di servizio pubblico a uno o più operatori economici.
Ai sensi del comma 1, l’ente competente all’organizzazione del servizio sceglie
la modalità di gestione dello stesso tra le seguenti opzioni[37]:
· affidamento mediante procedura a evidenza pubblica, in applicazione delle disposizioni
in materia di contratti pubblici.
La legge
n. 11 del 2016, recante "Deleghe al Governo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE,
2014/24/UE e 2014/25/UE", ha
delegato il Governo "ad adottare, entro il 18 aprile 2016, un decreto
legislativo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE,
2014/24/UE
e 2014/25/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, rispettivamente
sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e
sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua,
dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, di seguito denominato
«decreto di recepimento delle direttive», nonché, entro il 31 luglio 2016, un
decreto legislativo per il riordino complessivo della disciplina vigente in
materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (...),
ferma restando la facoltà per il Governo di adottare entro il 18 aprile 2016 un
unico decreto legislativo per le materie di cui al presente alinea, nel
rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge
24 dicembre 2012, n. 234, e dei seguenti princìpi e criteri direttivi
specifici, tenendo conto delle migliori pratiche adottate in altri Paesi
dell'Unione europea: (omissis) b) con il decreto di riordino, adozione di un
unico testo normativo con contenuti di disciplina adeguata anche per gli
appalti di lavori, servizi e forniture denominato «codice degli appalti pubblici e dei contratti di
concessione», recante le disposizioni legislative in materia di
procedure di affidamento di gestione e di esecuzione degli appalti pubblici e
dei contratti di concessione disciplinate dalle tre direttive, che sostituisce il codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (omissis)".
Alla predetta delega
si è dato attuazione con il decreto
legislativo n. 50 del 2016, recante "Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE
sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e
sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua,
dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della
disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi
e forniture"[38].
Si rammentano i
principi generali per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti e concessioni
recati dall'art. 30, comma 1, del decreto legislativo n. 50 del 2016:
"L'affidamento e l'esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi,
forniture e concessioni, ai sensi del presente codice garantisce la qualità
delle prestazioni e si svolge nel rispetto dei principi di economicità,
efficacia, tempestività e correttezza. Nell'affidamento degli appalti e delle
concessioni, le stazioni appaltanti rispettano, altresì, i principi di libera
concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di
pubblicità con le modalità indicate nel presente codice. Il principio di
economicità può essere subordinato, nei limiti in cui è espressamente
consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti nel
bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute,
dell'ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo
sostenibile, anche dal punto di vista energetico".
· affidamento a
società mista, il cui socio privato sia stato scelto con procedura a evidenza
pubblica, nel rispetto delle modalità previste dall'ordinamento dell'Unione
europea e dal decreto legislativo recante il testo unico in materia di società
a partecipazione pubblica da adottare in base all'articolo
18 della legge n. 124 del 2015. In proposito si segnala che il Governo ha adottato
in via preliminare uno schema di decreto legislativo che è stato trasmesso alle
Camere per i prescritti pareri (si veda in proposito il dossier n. 322 dei Servizi Studi di Senato e Camera sull'Atto del Governo n. 297).
Il partenariato
pubblico-privato (cd. PPP) è una delle modalità di organizzazione dei
servizi pubblici (accanto al ricorso al mercato e all'affidamento in house).
L'affidamento della realizzazione e gestione di
un'opera ovvero dell'organizzazione e gestione di un servizio di interesse
generale si realizza attraverso la cd. gara
a doppio oggetto (riguardante sia la qualità di socio sia l’affidamento del
contratto di appalto o di concessione oggetto esclusivo dell’attività della
società mista).
Tale modello è stato dapprima previsto in ambito
europeo: si rammenta la Comunicazione interpretativa della Commissione europea
del 5 febbraio 2008 sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti
pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati
istituzionalizzati (PPPI), pubblicata nella G.U.C.E. 12 aprile 2008, C91/4,
nella quale si afferma che è sufficiente una sola procedura di gara se la
scelta del partner oggetto di preventiva gara è limitata all’affidamento
della missione originaria, il che si verifica quando la scelta di quest’ultimo
è accompagnata sia dalla costituzione del partenariato pubblico privato
istituzionale (attraverso la costituzione di società mista), sia
dall’affidamento della missione al socio operativo.
La
Corte di giustizia si è pronunciata sulla
possibilità di affidamento diretto a società a partecipazione mista (Corte
di giustizia, sez. III, 15 ottobre 2009, C-196/08 (Acoset
s.p.a.), ritenendo che le norme comunitarie “non
ostano all’affidamento diretto di un servizio pubblico che preveda l’esecuzione
preventiva di determinati lavori, come quello di cui trattasi nella causa
principale, a una società a capitale misto, pubblico e privato, costituita
specificamente al fine della fornitura di detto servizio e con oggetto sociale
esclusivo, nella quale il socio privato sia selezionato mediante una procedura
ad evidenza pubblica, previa verifica dei requisiti finanziari, tecnici,
operativi e di gestione riferiti al servizio da svolgere e delle
caratteristiche dell’offerta in considerazione delle prestazioni da fornire, a
condizione che detta procedura di gara rispetti i principi di libera
concorrenza, di trasparenza e di parità di trattamento imposti dal Trattato CE
per le concessioni”[39].
Il
modello della gara a doppio oggetto ha avuto anche l’avallo della
giurisprudenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1555, secondo
cui “Le condizioni che devono sussistere affinché il ricorso ad una società
mista, sia legittimo sono: 1) che esista una norma di legge che autorizzi
l’amministrazione ad avvalersi di tale "strumento"; 2) che il partner
privato sia scelto con gara; 3) che l’attività della costituenda società mista
sia resa, almeno in via prevalente, in favore dell’autorità pubblica che ha
proceduto alla costituzione della medesima; 4) che la gara (unica) per la
scelta del partner e l’affidamento dei servizi definisca esattamente l’oggetto
dei servizi medesimi (deve trattarsi di servizi "determinati"); 5)
che la selezione della offerta migliore sia rapportata non alla solidità
finanziaria dell’offerente, ma alla capacità di svolgere le prestazioni
specifiche oggetto del contratto; 6) che il rapporto instaurando abbia durata
predeterminata”.
Il
principio della gara a doppio oggetto ha trovato codificazione, nel nostro
ordinamento, con il comma 12 dell'art.
4 del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge
n. 148 del 2011 (l'art. 4, in materia di adeguamento della
disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa
dell'Unione europea è stato dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale
con sentenza n. 199 del 2012), secondo cui, nel caso di procedure
riguardanti al tempo stesso, "la qualità di socio, al quale deve essere
conferita una partecipazione non inferiore al 40 per cento, e l'attribuzione di
specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio, il bando di
gara o la lettera di invito assicura che: a) i criteri di valutazione delle
offerte basati su qualità e corrispettivo del servizio prevalgano di norma su
quelli riferiti al prezzo delle quote societarie; b) il socio privato
selezionato svolga gli specifici compiti operativi connessi alla gestione del
servizio per l'intera durata del servizio stesso e che, ove ciò non si
verifica, si proceda a un nuovo affidamento; c) siano previsti criteri e
modalità di liquidazione del socio privato alla cessazione della gestione"[40].
· gestione diretta mediante affidamento in house.
Con il decreto
legislativo n. 50 del 2016, che, come rammentato, dà attuazione alla delega
conferita al Governo dall'art.
1 della legge n. 11 del 2016, vengono,
tra l'altro, recepite le disposizioni in materia di affidamenti in house contenute
nelle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e
2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014,
concernenti, rispettivamente, l'aggiudicazione dei contratti di concessione,
gli appalti pubblici e le procedure di appalto degli enti erogatori nei settori
dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali[41].
Si
tratta dell'art. 17 della direttiva 2014/23/UE (Concessioni tra enti
nell'ambito del settore pubblico), dell'art. 12 della direttiva 2014/24/UE
(Appalti pubblici tra enti nell'ambito del settore pubblico), dell'art. 28
della direttiva 2014/25/UE (Appalti tra amministrazioni aggiudicatrici), i
quali - con identiche disposizioni - disciplinano tipologie di concessioni e di
appalti che presentano caratteristiche tali da poter essere escluse dall'ambito
di applicazione della normativa europea in materia di procedure di affidamento
dei contratti pubblici e da consentire il ricorso all'affidamento in house.
Tra
le disposizioni europee richiamate, la previsione di cui all'art. 12 della
direttiva 2014/24/UE, che disciplina l'in house nei settori classici, può essere assunta a
paradigma anche per l'in house nell'ambito delle concessioni e dei settori speciali,
vista l’identità dei testi normativi specifici.
Il
citato art. 12 ha definito le condizioni che necessitano ai fini
dell'esclusione, dall’ambito di applicazione della direttiva stessa, di un appalto
pubblico aggiudicato da un’amministrazione a una persona giuridica di diritto
pubblico o di diritto privato.
Già
prima della codificazione normativa europea, la giurisprudenza europea e nazionale avevano avuto modo di
elaborare indici identificativi da utilizzare per verificare la legittimità del
ricorso all’in house
providing: la totale partecipazione pubblica; il controllo analogo, anche congiunto nel caso di affidamento in house in
favore di società partecipata da più enti pubblici; la prevalenza dell’attività con l’ente affidante.
La
formulazione della disciplina dell'in house
recata dal citato art. 12 ha recepito la giurisprudenza della Corte di
Giustizia sui requisiti dell'in house,
introducendo, tuttavia, rilevanti
innovazioni, che il Consiglio di Stato ha avuto modo di evidenziare nel
parere n. 298/15, al quale è stata dedicata la scheda di approfondimento
sottostante.
Il parere della Seconda Sezione del Consiglio di Stato n. 298/2015: requisiti per gli affidamenti diretti in house Nel parere n. 298/2015, la Seconda Sezione del Consiglio di Stato - investita della richiesta di parere in ordine alla possibilità per il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca di affidare in via diretta al Cineca (Consorzio interuniversitario) servizi nel campo dell'informatica, concernenti il sistema universitario, della ricerca e scolastico - ha approfondito e chiarito, alla luce delle disposizioni della direttiva 2014/24/UE, i presupposti e le condizioni di ammissibilità degli affidamenti diretti in house. In particolare, richiamando una propria precedente pronuncia, il Consiglio di Stato evidenzia che, oltre ai requisiti dell'istituto già definiti in via giurisprudenziale, una società partecipata da un ente pubblico, per poter essere investita direttamente della gestione di un compito, non deve presentare i seguenti ulteriori caratteri: la presenza di privati al capitale sociale o anche la mera previsione statutaria di una futura ed eventuale privatizzazione; la presenza di previsioni statutarie che permetterebbero alla società di acquisire una vocazione commerciale tale da rendere precario il controllo da parte dell'ente pubblico (ad esempio la possibilità di ampliare l'oggetto sociale, l'apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali, l'espansione territoriale dell'attività della società a tutta l'Italia e all'estero). Passando all'esame dell'art. 12 della direttiva, il Consiglio di Stato rileva come il legislatore europeo - nel disciplinare un istituto regolato finora esclusivamente in via giurisprudenziale - abbia in parte recepito la giurisprudenza, ma, in una parte rilevante, abbia profondamente innovato, "definendo in modo parzialmente diverso le condizioni di esclusione dalla direttiva medesima. L’art. 12 cit., infatti, nel confermare che, nel caso di “in house providing” escluso dalla direttiva, 'l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi' (art.12 cit., 1° par., lett. a), ha aggiunto una precisa definizione in ordine all’ulteriore requisito della cosiddetta 'parte più importante dell'attività svolta', secondo cui 'oltre l’80% delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice' (art.12 cit., 1° par., lett. b). Ed alla successiva lett. c) ha aggiunto la condizione ulteriore e parzialmente innovativa (rispetto alla giurisprudenza comunitaria e nazionale), secondo cui 'nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata'. Ha poi aggiunto nell'ultima parte del primo paragrafo cit., a maggiore definizione della nozione comunitaria di 'controllo analogo', che 'si ritiene che un’amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi della lettera a) qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice'. Quindi l’art. 12, paragrafo 1 cit. richiede che, ai fini dell'esclusione dei contratti tra soggetti pubblici dall’applicazione della direttiva, l’amministrazione aggiudicatrice debba svolgere sull'altro ente pubblico 'un controllo analogo a quello che esercita sui propri dipartimenti/servizi'; inoltre che più dell’80% delle prestazioni dell'altro ente pubblico siano effettuate a favore dell’amministrazione aggiudicatrice o di un altro ente pubblico controllato dalla prima; infine che l'altro ente pubblico che riceve l'affidamento dall'amministrazione aggiudicatrice non sia controllato da capitale privato, (…); e che in ogni caso tale partecipazione non determini influenza dominante (la percentuale dell’80% richiama la stessa quota dettata, per i settori speciali, dagli artt. 218 del dlg.163/06 e 23 Dir. 17/2004)". Il Consiglio di Stato rileva, inoltre, che la disciplina contenuta nella direttiva è stata "introdotta per la prima volta con diritto scritto" ed è "destinata a regolare a brevissimo la concorrenza nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nell’U.E.". |
· limitatamente ai servizi diversi da quelli di
rete, gestione in economia o mediante
azienda speciale.
La gestione in
economia consiste nella gestione diretta da parte dell'ente locale.
Per quanto riguarda le aziende speciali, sono ancora vigenti le disposizioni del decreto
del Presidente della Repubblica n. 902 del 1986
("Approvazione del nuovo
regolamento delle aziende di servizi
dipendenti dagli enti locali")[42],
per quanto compatibili con le disposizioni successivamente introdotte dal Tuel. In particolare:
ü
l'art.
114 del Tuel definisce l'azienda
speciale come "ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità
giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal
consiglio comunale o provinciale", e impone alle aziende speciali gli
obblighi di conformare la propria attività a criteri di efficacia, efficienza
ed economicità e di mantenere l'equilibrio economico;
ü
l'art. 113 del Tuel - oggetto di abrogazione da parte dell'art. 38 del
testo unico in esame - nel testo previgente le modifiche apportatevi con legge
n. 448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002), contemplava l'azienda speciale
come forma di gestione dei servizi pubblici locali, specificando che ad essa si
poteva ricorrere "anche per la gestione di più servizi di rilevanza
economica ed imprenditoriale"[43];
ü
l'art. 113-bis del Tuel -
dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con sent.
n. 272 del 2004 - prevedeva, per la gestione dei servizi pubblici locali privi
di rilevanza economica, la possibilità di affidamento diretto ad aziende
speciali, anche consortili (in alternativa all'affidamento diretto a società in house o a
istituzioni). Per tali servizi era, inoltre, consentita la gestione in economia
(gestione diretta da parte dell'ente locale) quando, per le modeste dimensioni
o per le caratteristiche del servizio, non fosse opportuno procedere ad
affidamento ai richiamati soggetti (istituzioni, aziende speciali, società in house).
L'art. 35 della legge n. 448 del 2001 ha sostituito il
richiamato art. 113, disponendo contestualmente che gli enti locali, entro il
30 giugno 2003, procedessero alla trasformazione delle aziende speciali in
società di capitali, secondo la disciplina di cui all'art. 115 del Tuel ("Trasformazione delle
aziende speciali in società per azioni"). La Corte dei conti
ha avuto modo di rilevare che le disposizioni normative sulla trasformazione
delle aziende speciali in società di capitali sono da inquadrarsi in un
contesto normativo teso a garantire la piena espansione del mercato e a
limitare ogni vulnus alla concorrenza
(deliberazione n. 15 del 2014). Nella richiamata deliberazione la Corte dei
conti-Sezione delle autonomie prende atto, tuttavia, di un mutamento del
contesto normativo: "L’attuale situazione è, invece, caratterizzata dalla
preoccupazione di arginare il fenomeno delle società partecipate, i cui
risultati economici sono stati modesti se non fortemente negativi per gli enti
soci, come pure è sentita l’esigenza di contrastare fenomeni elusivi, nel caso
in cui l’uso improprio dello strumento societario si concretizzi nella
violazione dei vincoli di finanza pubblica. L’evoluzione del quadro normativo è
nel senso del superamento di una disciplina parcellizzata dei diversi modelli
di gestione dei servizi pubblici locali, in favore di una regolazione che tende
a omologare la disciplina degli organismi partecipati, ormai tutti interessati
da disposizioni di razionalizzazione volte al contenimento della spesa, quale
che sia il modello organizzatorio adottato".
In tale mutato contesto è da leggersi la novella
apportata all'art. 114 del Tuel dall'art. 25 del decreto-legge
n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, il
quale, con l'inserimento del comma 5-bis,
ha imposto alle aziende speciali e alle istituzioni l'obbligo annuale di
iscrizione e di deposito dei propri bilanci al registro delle imprese o nel
repertorio delle notizie economico-amministrative della Camera di commercio,
industria, artigianato e agricoltura del proprio territorio.
L'art. 1, comma 557, della legge n. 147 del 2013
(legge di stabilità per il 2014) ha consolidato l'omogeneità di trattamento tra
aziende speciali, istituzioni e società partecipate, disponendo la comune
applicazione del regime limitativo delle assunzioni di personale, ferma
restando la possibilità, per gli enti locali, di escludere da tali vincoli
singole aziende speciali e istituzioni che gestiscono servizi
socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l'infanzia, culturali e alla
persona (ex IPAB) e le farmacie.
Nell'illustrato nuovo contesto normativo sono da
inquadrarsi, inoltre, le pronunce di alcune sezioni regionali di controllo
della Corte dei conti, le quali hanno consentito la trasformazione di società
di capitali gestrici di servizi pubblici di rilevanza economica in aziende
speciali. In tal senso si è pronunciata anche la Sezione delle autonomie, con
deliberazione n. 2 del 2014, con la quale viene demandata all'autonoma
valutazione dell'ente locale l'opportunità di procedere alla liquidazione di
una società partecipata e alla successiva costituzione di un'azienda speciale
ai fini della gestione di un servizio pubblico di rilevanza economica (nella
specie il servizio idrico), ritenendosi superato il divieto di gestione dei
servizi pubblici locali tramite azienda speciale, sancito - con disposizione
peraltro di natura transitoria - dall'art. 35, comma 8, della legge finanziaria
per il 2002.
La disposizione in esame, che esclude per i servizi a rete la possibilità di gestione diretta o
tramite azienda speciale, parrebbe porsi in controtendenza rispetto al
quadro normativo e giurisprudenziale - da ultimo delineatosi - di
omogeneizzazione del regime delle aziende speciali a quello delle società
partecipate, le quali, d'altra parte, troveranno distinta disciplina con
l'adozione del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (Atto
del Governo n. 297, su cui cfr. dossier
n. 322 dei servizi studi del Senato e della Camera).
La scelta delle
modalità di gestione è effettuata con provvedimento motivato dell’ente
competente, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti
previsti dall’ordinamento dal diritto europeo per la forma di gestione
prescelta. Il provvedimento definisce, in relazione alle caratteristiche del
mercato, i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e la loro
durata, la natura dei diritti speciali o esclusivi eventualmente conferiti e
descrive il sistema di compensazione, se previsto, indicando i parametri per il
calcolo, il controllo e l’eventuale revisione della compensazione, nonché le
modalità per evitare ed eventualmente recuperare le sovracompensazioni
(comma 2).
Nel comma 2 confluisce il contenuto:
·
dell'art.
34, comma 20, del decreto-legge n. 179 del 2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012 - abrogato dall'art.
38 del testo unico in esame -, nel quale si prevede che l'affidamento dei
servizi pubblici locali di rilevanza economica sia effettuato sulla base di apposita relazione, che dia conto
"delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento
europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti
specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando
le compensazioni economiche se previste";
·
dell'art. 3-bis, comma 1-bis, terzo e quarto periodo, del decreto-legge
n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del
2012 - oggetto di abrogazione da parte dell'art. 38 del testo unico in esame -
(il citato comma 1-bis è stato
inserito nell'art. 3-bis dal
richiamato art.
34 del decreto-legge n. 179 del 2012 e successivamente
modificato dall'art.
1, comma 609, della legge n. 190 del 2014),
dove si ribadisce che la relazione che supporta l'affidamento del servizio è
chiamata a dar conto della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento
europeo per la forma di affidamento prescelta e a motivare "le ragioni
[dell'affidamento] con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità,
di efficienza, di economicità e di qualità del servizio".
Tali
motivazioni sono chieste - ai sensi del successivo comma 3 - anche
per i casi di affidamento in house o di gestione dei servizi mediante azienda
speciale, ipotesi nelle quali, peraltro, gli obblighi motivazionali risultano
ancora più analitici (si veda l'illustrazione del comma 3).
Ai sensi del comma
3, primo periodo, nel caso di affidamento in house o di gestione mediante azienda
speciale, il provvedimento deve, altresì, dare specificamente conto delle
ragioni del mancato ricorso al mercato (per i servizi a rete è richiesto anche
un piano economico-finanziario ai sensi del comma 4). Inoltre, laddove non sussistano i presupposti
della concorrenza nel mercato, sulla base di quanto disposto allo stesso comma
3, secondo periodo, il provvedimento deve motivare anche in ordine
all’eventuale impossibilità di procedere mediante suddivisione in lotti del
servizio da affidare, al fine di consentire, ove possibile, l’attività di più
imprese nella prestazione del servizio e favorire forme di concorrenza
comparativa.
Ai sensi del comma 4, per i servizi pubblici locali di interesse economico
generale a rete, il provvedimento
recante la motivazione in ordine alla modalità di gestione del servizio in house[44] contiene un piano economico-finanziario con la proiezione, per
l’intero periodo di durata dell’affidamento, dei costi e dei ricavi, degli
investimenti e dei relativi finanziamenti e deve essere asseverato da un
istituto di credito o da società di servizi costituite dall’istituto di credito
stesso e iscritte nell’albo degli intermediari finanziari, o da una società di
revisione (comma 4, primo periodo). Nell’ipotesi di affidamento in house di
tali servizi, il piano economico-finanziario deve, inoltre, specificare
l’assetto economico-patrimoniale della società, il capitale proprio investito e
l’ammontare dell’indebitamento (comma 4, secondo periodo).
Le disposizioni di cui ai
commi 2, 3 e 4 impongono obblighi motivazionali in ordine all’individuazione di
modalità di gestione dei servizi pubblici diverse rispetto a quella assicurata
dal mercato (o più precisamente da forme di concorrenza nel mercato).
Se la pubblica amministrazione non ritiene, nello specifico, che la gestione di
un dato servizio possa essere assicurata dalle ordinarie logiche di mercato,
quindi senza l’intervento del settore pubblico, il comma 2 introduce un primo
obbligo motivazionale, che impone di dar conto delle ragioni che inducono a
scegliere una determinata modalità di gestione (fra quelle individuate dal
comma 1 dell'articolo in esame), avendo riguardo di evidenziare la sussistenza
dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo. Considerati i contenuti
dell’art. 106, paragrafo 2, del TFUE, nella motivazione si dovrebbe fare
riferimento, fra l’altro, alle ragioni ostative “all'adempimento,
in linea di diritto e di fatto, della specifica missione (…) affidata” alle
imprese incaricate della gestione del servizio qualora le stesse fossero sottoposte alle norme dei trattati, e
in particolare alle regole di concorrenza. Si tratta del resto di una motivazione implicitamente richiesta
dall’art 5, comma 2 (si veda la relativa illustrazione), secondo cui
l’individuazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica che non
siano già previsti dalla legge presuppone una verifica in ordine alla
circostanza che gli stessi non possano essere forniti secondo le “normali
regole di mercato in modo soddisfacente e a condizioni coerenti con il pubblico
interesse”.
Ai sensi del comma 3,
secondo periodo, in tali casi (ovvero nei casi in cui “non sussistano i
presupposti per la concorrenza nel mercato”) – e quindi anche qualora si
ricorresse a procedure ad evidenza pubblica – occorrerebbe altresì dar conto
“dell’impossibilità[45] di procedere mediante suddivisione in lotti”. Ciò
al fine di favorire il coinvolgimento di un numero maggiore di imprese (per
l’assegnazione dei lotti), così da far emergere forme di concorrenza
comparativa.
Qualora la modalità
individuata per l’affidamento dovesse comportare il ricorso all’in house o
all’azienda speciale, e non fosse pertanto possibile assicurare neanche forme
di concorrenza per il mercato, il comma 3 impone obblighi
motivazionali più stringenti. Le
disposizioni richiamate sottendono un’impostazione volta a promuovere la
concorrenza nel settore dei servizi pubblici locali in sintonia con
l’ordinamento dell’Unione europea.
L’unica disposizione non
pienamente in linea con tale impostazione sembrerebbe a priva vista essere
contenuta al comma 3, primo periodo, laddove fra gli obblighi motivazionali in
ordine al mancato ricorso al mercato è prevista la dimostrazione che la scelta
assunta "non sia comparativamente più svantaggiosa per i cittadini"
(e non comparativamente più vantaggiosa come una logica pro concorrenziale indurrebbe a suggerire). Detta disposizione,
qualora non venisse interpretata alla luce della disciplina complessiva in
esame, potrebbe essere intesa nel senso di giustificare il mancato ricorso al
mercato (anche solo in termini di concorrenza per il mercato) essenzialmente in
tutti i casi in cui tale scelta non sia penalizzante per i cittadini,
sottendendo un favor
per le scelte non concorrenziali, ancorché efficienti dal punto di vista
economico-finanziario e di benefici per la collettività.
Tuttavia, una lettura
sistemica con le disposizioni già richiamate, induce a ritenere senz’altro
prevalente l'impostazione favorevole alla concorrenza, che sembra essere peraltro
confermata anche dalla previsione, da parte dello stesso comma 3, nell’ambito
delle motivazioni a giustificazione del ricorso ad affidamenti in house e di
gestione mediante azienda speciale, che il provvedimento debba altresì dar
conto dei "benefici per la collettività della forma di gestione prescelta,
anche con riferimento agli obiettivi (...) di efficienza e di economicità e di
qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”.
Nel parere
reso dalla Conferenza unificata sullo schema di decreto legislativo in esame,
sono confluiti i rilevi, avanzati unitariamente dalla Conferenza delle regioni
e dall'ANCI, in ordine alla 'estrema difficoltà operativa relativa alle
modalità di affidamento in house del servizio o mediante azienda speciale" previste dall'art. 7,
comma 3. In particolare viene
evidenziato che "tali modelli gestori sono possibili solo se l'ente
dimostra che tale scelta non sia comparativamente più svantaggiosa rispetto ai
costi standard del servizio definiti dalle Autorità indipendenti (articolo 15,
comma 2) e ritorna - in modo diverso ma ugualmente complesso - la prova
'diabolica' del fallimento del mercato, che deve essere esplicitato nelle
'ragioni del mancato ricorso al mercato' ed anche
nella mancata divisione in lotti". La Conferenza delle regioni e l'ANCI
individuano, inoltre, nella "limitazione delle ipotesi di affidamento in
house" la
"sostanziale riproposizione" della disciplina di cui all'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, oggetto
di abrogazione referendaria, e dell'art. 4 del decreto-legge n. 138 del 2011
dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale[46]. Rispetto alla disciplina europea
recepita con decreto legislativo n. 50 del 2016, "l'obbligo, previsto dal
comma 3 dell'articolo in esame, che il provvedimento di affidamento dia
specificamente conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato pare (...)
tradurre un approccio eccessivamente restrittivo". Propongono,
conseguentemente, la soppressione del comma 3 (unitamente ad altre modifiche
dei commi 4 e 5 dello stesso art. 7), ovvero - in subordine - l'esclusione,
dall'ambito di applicazione dei commi 3, 4 e 5, delle società in
house
costituite per la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni
patrimoniali essenziali[47]. Su detta ultima richiesta è allineata
anche l'UPI.
Nel comma 4 confluiscono le previsioni del già
richiamato art. 3-bis, comma 1-bis, quinto periodo e seguenti, del decreto-legge
n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del
2012 - oggetto di abrogazione da parte dell'art. 38 del testo unico in esame -,
il quale, al fine di garantire la realizzazione degli interventi
infrastrutturali necessari da parte del soggetto affidatario, dispone che la
relazione sulla base della quale viene effettuato l’affidamento del servizio
pubblico a rete deve comprendere un PEF che, fatte salve le disposizioni di
settore, contenga anche la proiezione, per il periodo di durata
dell'affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi
finanziamenti. Viene altresì richiesta una specificazione, nell'ipotesi di
affidamento in house,
dell'assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio
investito e dell'ammontare dell'indebitamento da aggiornare ogni triennio.
La
disposizione di cui al secondo periodo del comma 4 parrebbe presentare taluni
problemi interpretativi poiché nella sua formulazione lascia intendere che
siano richiesti contenuti integrativi (rispetto a quelli contemplati al primo
periodo) del piano economico finanziario (PEF) “nell’ipotesi di affidamento in
house di tali
[quelli a rete] servizi”. Invero, l’attuale formulazione del primo periodo, nel
disporre che il PEF debba essere previsto dai “provvedimenti di cui al comma 3”
sembra inequivocabilmente già riferirsi soltanto alle società in house. Si potrebbe pertanto supporre che il richiamo al comma
3, e non al comma 2, recato nel primo periodo del comma 4 sia frutto di un
refuso. Un eventuale richiamo al comma 2, nel confermare la formulazione della
disciplina vigente introdotta dall’art. 1, comma
609, lett. a), della legge n. 190 del 2014 (legge di
stabilità per il 2015)[48], estenderebbe l’obbligo di contemplare
il PEF anche ai provvedimenti in cui si procede alla scelta della modalità di
gestione del servizio mediante procedura a evidenza pubblica (incluso il
ricorso ad una gara a doppio oggetto). Qualora il richiamo corretto fosse al
comma 2, si potrebbe valutare di approfondire le modalità con cui sia possibile
ottenere l’asseverazione - da parte di un istituto di credito o altra società
di servizi o di revisione abilitata - di un PEF redatto in una fase in cui può
non essere noto il soggetto affidatario.
In casi di
affidamento in house
o di gestione mediante azienda speciale, prima dell’adozione del
provvedimento di cui al comma 3, l’amministrazione invia lo schema di atto
deliberativo all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che esprime
un parere entro il termine perentorio di trenta giorni dalla ricezione dello
stesso. Il provvedimento definitivo sulla scelta della modalità di gestione
deve, nelle motivazioni, dar conto dei rilievi mossi dall’Autorità (comma 5).
Il comma 6
reca disposizioni volte a determinare la data di scadenza di alcune tipologie
di affidamenti in essere (riproponendo il contenuto del comma 22 dell'art. 34 del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 221 del 2012, oggetto di abrogazione da parte dello schema di decreto
legislativo in esame).
Articolo 8
(Durata dell’affidamento)
L’articolo
8 stabilisce la durata del periodo di affidamento.
Essa è fissata dall’ente concedente in
funzione della prestazione richiesta ed è correlata all’entità e alla durata
degli investimenti, fermo restando che essa non può comunque eccedere il
periodo necessario ad ammortizzare i programmi di investimento previsti in sede
di affidamento (comma 1).
Qualora la durata del periodo di affidamento
sia inferiore a quella necessaria per l'ammortizzazione degli investimenti, ai
sensi dell'art. 11, comma 3 (cui il comma
2 dell'articolo in commento fa rinvio), il gestore subentrante è tenuto a
corrispondere un indennizzo pari al valore contabile non ammortizzato
(rivalutato per l'inflazione e al netto di contributi pubblici).
Il comma
3 pone un limite generalizzato alla durata dell’affidamento in house di
servizi pubblici locali di interesse economico generale diversi da quelli a
rete, stabilendo che essa non possa
eccedere i cinque anni.
Il comma 3 introduce una disposizione innovativa
rispetto a quanto previsto dall’ordinamento vigente, in cui non era prevista
una durata massima per gli affidamenti in
house di servizi diversi da quelli di rete.
Nel parere
reso dalla Conferenza unificata sullo schema di decreto legislativo in esame,
sono confluiti i rilevi, avanzati unitariamente dalla Conferenza delle regioni
e dall'ANCI, in ordine alla limitazione a 5 anni della durata degli affidamenti
in house per servizi differenti da quelli di rete. Sia le Regioni che l'ANCI
chiedono la soppressione di detta disposizione in quanto tale termine
"appare irragionevole alla luce della procedura prevista per gli
affidamenti in house e del fatto che uno stesso termine viene riferito a tipologie,
potenzialmente molto diversificate, di servizi" e contribuisce a rendere
"penalizzante" l'affidamento in house di servizi di interesse economico generale
diversi da quelli di rete.
(Disciplina delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali essenziali)
Il Titolo
III (artt. da 9 a 11) reca la
disciplina delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali
essenziali.
Articolo 9
(Proprietà e gestione)
L’articolo
9 reca disposizioni
in materia di proprietà e gestione di reti, impianti e altre dotazioni
patrimoniali essenziali.
Ai sensi del comma 1, gli enti competenti all’organizzazione del servizio
individuano - in sede di affidamento
della gestione delle reti e delle altre risorse patrimoniali (ovvero della
gestione del servizio nei casi in cui non ci sia separazione fra gestione delle
reti e gestione del servizio) - le reti, gli impianti e le altre dotazioni
patrimoniali essenziali destinati alla produzione del servizio.
Tali beni - indipendentemente dalla
titolarità della proprietà - sono vincolati all’uso pubblico e ne deve essere
garantita la disponibilità al fine della gestione del servizio (comma 2)[49].
Il comma
3 prevede che le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali
essenziali di proprietà degli enti pubblici possano essere conferiti, anche in
forma associata, a società interamente possedute dall’ente o dagli enti
conferenti. In questo caso, ai sensi dell'articolo 118 del Tuel, è prevista l'esenzione dall'imposizione fiscale. Al capitale di tali società non è ammessa la
partecipazione, neanche parziale o indiretta, di soggetti privati.
A tali società - ai sensi del successivo comma
7 - può essere attribuita, oltre alla proprietà delle predette
risorse, anche la loro gestione mediante affidamento diretto, nonché il compito
di espletare le gare per individuare il soggetto gestore del servizio.
La gestione delle reti, degli impianti e
delle altre dotazioni patrimoniali essenziali può essere affidata, al fine di
favorire la tutela della concorrenza, separatamente dalla gestione del
servizio, garantendo comunque l’accesso equo e non discriminatorio alle
predette risorse. Tuttavia, gli enti competenti all’organizzazione del servizio
possono stabilirne, per ragioni di efficienza, o, comunque, in funzione del
maggior beneficio per gli utenti, la gestione unitaria (comma 4).
Qualora sia separata dalla gestione del
servizio, la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni
patrimoniali essenziali è realizzata dagli enti competenti all’organizzazione
del servizio mediante: imprese idonee, da individuare mediante procedure ad
evidenza pubblica; società miste, il cui socio privato sia stato scelto con
procedura a evidenza pubblica, secondo le modalità previste dal diritto
dell’Unione europea; soggetti allo scopo costituiti con le caratteristiche
previste dalle modalità di affidamento in
house (comma
5).
Reti, impianti e altre dotazioni patrimoniali
essenziali vengono posti a disposizione dei soggetti gestori dei medesimi
impianti (ovvero dei gestori del servizio in presenza di gestione unitaria di
rete e servizio), salvo diversamente previsto dalle discipline di settore,
dietro corresponsione di un canone stabilito dalla competente autorità di
settore, se prevista, ovvero dall’ente competente all’organizzazione del
servizio (comma 6).
I
concessionari sono tenuti a fornire agli enti competenti a bandire la gara per
l'affidamento del relativo servizio i dati concernenti le caratteristiche
tecniche delle reti, degli impianti e delle infrastrutture, il loro valore
contabile di inizio esercizio, secondo parametri di mercato, le rivalutazioni e
gli ammortamenti e ogni altra informazione necessaria per definire i bandi. E'
prevista l'irrogazione di una sanzione pecuniaria da parte del Prefetto per
ritardata comunicazione ovvero comunicazione di informazioni false (comma 8).
La proprietà
delle reti Sul tema della alienabilità delle reti degli enti
territoriali - oggetto di disciplina da parte dell'articolo in esame - è
intervenuta la Corte costituzionale
con sentenza n. 320 del 2011 (richiamata nella successiva sent. n. 114 del 2012), con la quale è stata
dichiarata l'illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge
della regione Lombardia n. 26 del 2003 ("Disciplina dei servizi locali
di interesse economico generale"), in quanto violative
della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento
civile (art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost.), cui è ascrivibile il regime della proprietà di beni del
demanio accidentale degli enti pubblici territoriali, sotto il quale ricade
la disciplina della proprietà delle reti degli enti territoriali. Le regioni
- asserisce la Corte - sono legittimate a "disporre in tale materia solo
ove la legge regionale costituisca attuazione di una specifica normativa
statale. (...) Nella specie, una siffatta normativa statale manca, non potendo
essa essere individuata nel (...) comma 13 dell’art. 113 del TUEL", che
deve ritenersi "tacitamente abrogato, per incompatibilità, dal comma 5
dell’art. 23-bis del decreto-legge
n. 112 del 2008", il quale ha "stabilito il principio secondo cui
le reti sono di «proprietà pubblica»; principio evidentemente in contrasto
con il richiamato comma 13, che consentiva, invece, il conferimento delle
reti in proprietà a società di diritto privato a capitale interamente
pubblico". Al riguardo si rammenta che il comma 13 dell’art. 113 del Tuel dispone
che gli enti locali, "nei casi in cui non sia vietato dalle normative di
settore, possono conferire la proprietà delle reti, degli impianti, e delle
altre dotazioni patrimoniali a società a capitale interamente pubblico, che è
incedibile. Tali società pongono le reti, gli impianti e le altre dotazioni
patrimoniali a disposizione dei gestori incaricati della gestione del
servizio o, ove prevista la gestione separata della rete, dei gestori di
quest'ultima, a fronte di un canone stabilito dalla competente Autorità di
settore, ove prevista, o dagli enti locali. Alla società suddetta gli enti
locali possono anche assegnare, ai sensi della lettera a) del comma 4, la
gestione delle reti, nonché il compito di espletare le gare di cui al comma
5". La disposizione di cui al citato comma 13 - che,
come evidenziato, consente espressamente la cessione di reti a società
patrimoniali[50] - è stata inserita nell’art. 113 del Tuel con la sostituzione dello stesso ad opera dell'art.
35, comma 1, della legge n. 448 del 2001; la condizione posta originariamente
dall'art. 35 era che gli enti locali detenessero la maggioranza del capitale
della società patrimoniale alla quale veniva conferita la proprietà delle
reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali. Detta condizione è
stata successivamente modificata dall'art. 14, comma 1, lett.
g), del decreto-legge n. 269 del
2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, il quale ha
introdotto la necessità che la partecipazione pubblica fosse non
maggioritaria, ma totale. Con l'art.
23-bis, comma 5, del decreto-legge
n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del
2008, viene espressamente sancito il principio della proprietà pubblica delle
reti, prevedendo che la gestione possa essere affidata a soggetti privati
("Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può
essere affidata a soggetti privati"). Ai sensi del comma 1 dello stesso
art. 23-bis, tali disposizioni si applicano a tutti i servizi pubblici
locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse
incompatibili, facendo eccezione per alcuni settori. Il comma 11
dell’art 23-bis prevede, inoltre,
l’abrogazione tacita delle disposizioni dell'art. 113 nelle parti incompatibili
con le disposizioni di cui all'art. 23-bis.
Come sopra evidenziato, la Corte costituzionale,
nella richiamata sent. n. 320 del 2011, ha asserito
che le disposizioni di cui al comma 13 dell'art. 113 del Tuel risultano implicitamente abrogate dall'art.
23-bis, comma 11, in quanto il
principio di "proprietà pubblica" è "evidentemente in
contrasto con il richiamato comma 13, che consentiva, invece, il conferimento
delle reti in proprietà a società di diritto privato a capitale interamente
pubblico. Al riguardo, va osservato che la proprietà pubblica delle reti
implica, indubbiamente, l’assoggettamento di queste – e, dunque, anche delle
reti idriche – al regime giuridico del demanio accidentale pubblico, con
conseguente divieto di cessione e di mutamento della destinazione pubblica.
In particolare le reti, intese in senso ampio, vanno ricomprese, in quanto
appartenenti ad enti pubblici territoriali, tra i beni demaniali, ai sensi
del combinato disposto del secondo comma dell’art. 822 e del primo comma
dell’art. 824 cod. civ.". A giudizio della Corte costituzionale, risulta
infondata l'obiezione della regione Lombardia per la quale la disposizione
della propria legge oggetto di impugnazione, "nel prevedere
espressamente l’incedibilità del capitale della società a totale
partecipazione pubblica e nel richiamare il comma 13 dell’art. 113 del
TUEL", garantiva "il mantenimento del regime giuridico proprio dei
beni demaniali conferiti in proprietà alla società patrimoniale d’àmbito.
(...) Il patrimonio sociale costituisce" - precisa infatti la Corte -
"una nozione diversa da quella di capitale sociale: il primo è
rappresentato dal complesso dei rapporti giuridici, attivi e passivi, che
fanno capo alla società; il secondo è l’espressione numerica del valore in
denaro di quella frazione ideale del patrimonio sociale netto (dedotte, cioè,
le passività) che è fissata dall’atto costitutivo e non è distribuibile tra i
soci. Ne deriva che l’incedibilità delle quote od azioni del capitale sociale
– sia essa frutto di una pattuizione fra i soci (art. 2341-bis cod. civ.) o, come nel caso di
specie, di una previsione legislativa – non comporta anche l’incedibilità dei
beni che costituiscono il patrimonio della società; beni, perciò, che possono
liberamente circolare e che integrano la garanzia generica dei creditori
(art. 2740 cod. civ.), limitabile solo nei casi stabiliti dalla legge dello
Stato nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia di ordinamento
civile. La sola partecipazione pubblica, ancorché totalitaria, in società di
capitali non vale, dunque, a mutare la disciplina della circolazione
giuridica dei beni che formano il patrimonio sociale e la loro
qualificazione". La Corte costituzionale ha, inoltre, precisato che
"il più volte menzionato comma 13 dell’art. 113 del TUEL non ha ripreso
vigore a séguito della dichiarazione – ad opera del (....) art. 1, comma 1,
del d.P.R. n. 113 del 2011 – dell’avvenuta
abrogazione dell’intero art. 23-bis
del decreto-legge n. 112 del 2008 (in questo senso, specificamente, sentenza
n. 24 del 2011)". Il quadro normativo in questione - prosegue la Corte
- "non è stato modificato neppure dal decreto-legge 13 agosto 2011, n.
138 (Ulteriori misure per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo),
convertito, con modificazioni, dal comma 1 dell’art. 1 della legge 14
settembre 2011, n. 148. Il comma 28 dell’art. 4 di tale decreto, nel
riprodurre letteralmente il contenuto del comma 5 dell’art. 23-bis del d.lgs. n. 112 del 2008 –
abrogato, come si è visto, in seguito a referendum popolare –, ha
ripristinato il principio (dettato in generale per i SPL di rilevanza
economica) secondo cui, «Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la
loro gestione può essere affidata a soggetti privati». Con riferimento al
regime della proprietà delle reti, tale principio (...) è incompatibile (...)
con il comma 13 dell’art. 113 del TUEL". Con sentenza n. 199 del 2012, la Corte
costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 del
decreto-legge n. 138 del 2011, in quanto violativo
del divieto di ripristino della
normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’art. 75 della
Costituzione. Alla luce del quadro normativo illustrato - nel quale
il comma 13 dell'art. 113 del Tuel risulta
implicitamente abrogato e sono venute meno le disposizioni che sancivano la
proprietà pubblica delle reti e degli impianti strumentali ai servizi
pubblici locali - la Corte dei
conti-Sezione Regionale di controllo per la Lombardia - nel parere reso al Comune di Mozzate (CO)
n. 295 del 2013 sulla possibilità, in base alla normativa vigente, che la
proprietà delle reti, degli impianti e di altre dotazioni strumentali allo
svolgimento di un servizio di interesse economico generale (nel caso di
specie la distribuzione del gas) sia riconducibile a un soggetto diverso
dall'ente pubblico concedente - si rivolge alla disciplina di diritto comune,
che differenzia il regime dei beni pubblici a seconda che essi ricadano tra i
beni demaniali (inalienabili se non nelle forme di legge) ovvero del
patrimonio indisponibile (alienabili ma con vincolo di destinazione). Nel
caso di reti e impianti che ricadano nel regime del patrimonio indisponibile,
non è esclusa la loro conferibilità alle società
patrimoniali, "fatto salvo l’onere, per il socio pubblico, di
predisporre tutti i meccanismi negoziali (a livello statutario o
convenzionale) ed esercitare tutti i poteri atti a garantire la destinazione
effettiva del bene all’utilità pubblica. Infine, (...) non è esclusa la
possibilità di trasferire tali beni a terzi soggetti, anche privati, purché
il titolo di conferimento, non contrasti, in punto causale, con il
mantenimento dei beni alla funzione cui sono destinati, in ragione della quale
la legge stabilisce l’impignorabilità (cfr. l’art. 514 c.p.c.;
per i beni immobili Cass. Civ.
sez. III, sentenza 21 giugno 2011 n. 13585) e la sottrazione degli stessi a funzioni di
garanzia di crediti"[51]. |
Si osserva che il comma
2 dell'articolo in esame - in linea con il parere della Corte dei conti n.
295 del 2013 espresso con riferimento al settore del gas naturale (cfr. la
scheda di approfondimento che precede) - prevede che reti, impianti e dotazioni
patrimoniali essenziali siano vincolati all'uso pubblico indipendentemente
dalla titolarità della proprietà e ne sia garantita la disponibilità ai fini
dell'affidamento della gestione.
Nell'articolo
in esame confluiscono, inoltre, alcune disposizioni dell'art.
113 del Tuel (oggetto di abrogazione da parte
dell'art. 38), tra cui quelle di cui al più volte richiamato comma 13. In
particolare:
· il comma 3, al pari del primo periodo dell'art. 113,
comma 13, del Tuel,
prevede la conferibilità di reti e impianti a
società interamente pubbliche, specificando, in aggiunta, che non è ammessa
partecipazione privata al capitale neppure parziale o indiretta. Il medesimo
comma 3, ultimo periodo, opera - in modo innovativo - il rinvio all'art. 118
del Tuel che disciplina il trasferimento dei beni
dagli enti locali alle società di capitali. Nel comma in commento viene meno,
infine, la qualificazione del capitale della società patrimoniale come
"incedibile";
· i commi 6 e 7, nel disporre che gli enti pubblici
proprietari ovvero le predette società a capitale interamente pubblico pongono
le reti a disposizione del gestore del servizio ovvero del gestore della rete
in caso di gestione separata, e che alle stesse società proprietarie delle reti
può anche essere affidata in house la gestione delle stesse, ovvero il compito di
selezionare il soggetto gestore con procedura ad evidenza pubblica, riproducono
il contenuto del secondo e terzo periodo dell'art. 113, comma 13;
· il comma 4 attribuisce direttamente agli enti locali,
fermo restando quanto stabilito dalle discipline di settore, la facoltà di
scegliere tra gestione separata ovvero gestione unitaria delle reti e del
servizio, purché la scelta di gestione separata sia motivata da ragioni di
rispetto della concorrenza e assicuri comunque l’accesso equo e non
discriminatorio alle dotazioni patrimoniali a tutti i soggetti legittimati
all'erogazione del servizio, e la scelta di gestione unitaria sia motivata da
ragioni di efficienza ovvero risulti funzionale al maggior beneficio degli
utenti. Il comma 3 dell'art. 113 del Tuel demandava,
invece, alle discipline di settore di stabilire i casi nei quali l'attività di
gestione delle reti e degli impianti destinati alla produzione dei servizi
pubblici locali potesse essere separata da quella di erogazione degli stessi;
· il comma 5 richiama i contenuti del comma 4 dell'art.
113 del Tuel, in virtù del quale la gestione della
rete, qualora sia separata dalla gestione del servizio, può essere affidata a
imprese idonee individuate mediante procedure ad evidenza pubblica ovvero a
società in house.
Nel comma 5, a differenza di quanto previsto nel richiamato comma 4 dell'art.
113 del Tuel, si esplicita la possibilità di
avvalersi di società a capitale misto pubblico-privato, nelle quali il socio
privato sia stato scelto con procedure a evidenza pubblica secondo le modalità
previste dal diritto dell'Unione europea;
· il comma 8, che disciplina gli obblighi cui sono
tenuti i soggetti concessionari nei confronti dell'ente concedente, riproduce
sostanzialmente il contenuto dei commi 6 e 7 dell'art. 25 del decreto-legge n.
1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, oggetto
di abrogazione ai sensi dell'articolo 38 del provvedimento in esame.
Articolo 10
(Esecuzione di lavori connessi alla gestione)
L’articolo
10 disciplina l’esecuzione di lavori connessi alla gestione del servizio,
prevedendo che - nei casi in cui la gestione della rete, degli impianti o delle
altre dotazioni patrimoniali, separata o integrata con l'erogazione dei
servizi, non sia stata affidata con gara ad evidenza pubblica - i soggetti
gestori provvedano all'esecuzione dei lavori comunque connessi alla gestione
della rete, degli impianti o delle altre dotazioni patrimoniali esclusivamente
mediante contratti di appalto o di concessione di lavori pubblici, aggiudicati
a seguito di procedure ad evidenza pubblica, ovvero in economia nei limiti
previsti dalla disciplina sui contratti pubblici (comma 1).
Qualora, invece, si ricada nell’ipotesi
opposta - vale a dire la gestione della rete, degli impianti o delle altre
dotazioni patrimoniali, separata o integrata con la gestione dei servizi, sia
stata affidata con procedure di gara - il soggetto gestore, purché qualificato
ai sensi della normativa vigente e purché la gara espletata abbia avuto ad
oggetto sia la gestione del servizio relativo alla rete sia l'esecuzione dei
lavori connessi, può realizzare direttamente i lavori. Se la gara non ha avuto
ad oggetto l'esecuzione dei lavori, quest'ultima deve essere appaltata a terzi
con procedure ad evidenza pubblica (comma
2).
L'articolo 10 riproduce sostanzialmente il contenuto
del comma 5-ter dell'art. 113 del Tuel, inserito dall'art. 4, comma 234, lett.
a), della legge
n. 350 del 2003 (oggetto di abrogazione da parte dell'art. 38).
Sul comma 5-ter
si era espressa l'Anac con deliberazione n. 79 del
2005, rilevando che lo stesso "consente all’ente locale di affidare
direttamente (in house) al gestore della rete la
realizzazione dei lavori connessi alla gestione purché qualificato ai sensi
della normativa vigente e a condizione che la suddetta gestione sia stata
affidata al gestore con procedura di gara ad evidenza pubblica che abbia avuto
ad oggetto sia la gestione del servizio relativo alla rete, sia l’esecuzione
dei lavori connessi. In tutti i casi in cui tali presupposti non ricorrono
(ossia: gestione della rete affidata senza gara ad evidenza pubblica ovvero con
gara che ha avuto ad oggetto esclusivamente la gestione del servizio e non
anche l’esecuzione dei lavori) il gestore non potrà realizzare direttamente i
lavori ma dovrà affidare la loro esecuzione a terzi con le procedure ad
evidenza pubblica previste dalla legislazione vigente. Dal dato normativo sopra
richiamato emerge l’eccezionalità che caratterizza lo schema dell’in house providing
(“gestione in proprio”). E’ evidente infatti che il ricorso all’istituto
dell’affidamento in house per gestire servizi
pubblici locali e/o realizzare lavori ad essi connessi attraverso società a
capitale pubblico totalitario o maggioritario/minoritario (società miste)
sottrae al mercato un consistente nucleo di appalti, con conseguente
pregiudizio per l’iniziativa imprenditoriale privata, e rappresenta una deroga
alla regola generale dell’evidenza pubblica e alla libera concorrenza, che può
essere tollerata solo in presenza di determinate circostanze che ne
giustifichino l’ammissibilità".
Articolo 11
(Regime del subentro in caso di scadenza dell'affidamento o cessazione
anticipata)
L’articolo
11 reca disciplina
del subentro del nuovo gestore
nell'assegnazione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni
patrimoniali in caso di scadenza dell’affidamento o di cessazione
anticipata.
Tale disciplina è applicabile anche ai casi
in cui la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni
patrimoniali sia separata dalla gestione del servizio (comma 6).
Alla scadenza del periodo di affidamento e in
esito al nuovo affidamento, le reti, gli impianti e le altre dotazioni
patrimoniali essenziali per la prosecuzione del servizio, non essendo
duplicabili a costi socialmente sostenibili, sono assegnati al nuovo gestore.
Analogamente si procede in caso di cessazione anticipata (comma 1).
Nel comma 1 confluiscono i contenuti: 1) dell'art.
113, comma 9, del Tuel (di cui l'articolo 38 dispone
l'abrogazione), il quale prevede l'assegnazione al nuovo gestore di reti,
impianti e altre dotazioni patrimoniali, alla scadenza del periodo di
affidamento e in esito alla successiva gara di affidamento; 2) del comma 7
dell'art.
35 della legge n. 448 del 2001 (anch'esso oggetto di abrogazione da parte dell'art.
38), il quale dispone che le imprese concessionarie cessanti, al termine
dell'affidamento, reintegrino gli enti locali nel possesso delle reti, degli
impianti e delle altre dotazioni utilizzati per la gestione dei servizi.
Nel caso di durata dell’affidamento inferiore
rispetto al tempo di recupero dell’ammortamento ovvero di cessazione
anticipata, si prevede, a carico del gestore subentrante, un indennizzo pari al
valore contabile non ancora ammortizzato, rivalutato attraverso pertinenti
deflatori fissati dall’Istat e al netto di eventuali contributi pubblici
direttamente riferibili agli investimenti stessi (comma 3).
Il comma 7 dell'art.
35 della legge n. 448 del 2001 - oltre a disporre che le imprese concessionarie
cessanti, al termine dell'affidamento, reintegrino gli enti locali nel possesso
delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni utilizzati per la gestione
dei servizi - prevede che alle imprese cessanti sia dovuto, dal gestore
subentrante, un indennizzo stabilito secondo le disposizioni del comma 9
dell'articolo 113 del Tuel (come sostituito dal comma
1 dello stesso art. 35). Effettivamente il comma 9 dell'art. 113 del Tuel - nel testo precedente le modifiche apportate dal decreto
del Presidente della Repubblica n. 168 del 2010
(Regolamento in materia di servizi
pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133)
- disponeva che al gestore uscente fosse dovuto "da parte del nuovo
gestore un indennizzo pari al valore dei beni non ancora ammortizzati, il cui
ammontare è indicato nel bando di gara". Tale periodo è stato
successivamente soppresso dal citato regolamento di cui al D.P.R.
n. 168 del 2010.
Si osserva che il comma 3 in esame prevede la
corresponsione dell'indennizzo nel caso di durata dell’affidamento inferiore
rispetto al tempo di recupero dell’ammortamento ovvero di sua cessazione
anticipata.
I criteri per la determinazione
dell'indennizzo sono indicati nel bando e nella lettera d’invito relativi alla
gara indetta per il successivo affidamento a seguito della scadenza o della
cessazione anticipata della gestione (comma
5).
(Organizzazione e allocazione dei poteri di regolazione, vigilanza e controllo)
Il Titolo
IV (artt. da 12 a 20) si suddivide in tre
Capi, recanti disposizioni, rispettivamente, in materia di: organizzazione dei servizi; competenze delle Autorità indipendenti;
distinzione tra funzioni di regolazione e
funzioni di gestione.
Articolo 12
(Organizzazione dei servizi)
L’articolo
12 prevede che le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali di
interesse economico generale, compresa la scelta della forma di gestione, la
determinazione delle tariffe all’utenza, l’affidamento della gestione e la
relativa vigilanza, siano esercitate dai
comuni e dalle città metropolitane, nell’ambito delle rispettive competenze
(comma 1).
Si osserva che non viene riconosciuto alcun ruolo agli
enti di area vasta diversi dalla città
metropolitana[52],
a differenza di quanto previsto all'art. 13, comma 4, in materia di
organizzazione dei servizi a rete nei casi in cui il perimetro dell'ambito o
bacino territoriale ottimale coincida con il territorio dell'ente di area
vasta.
Si rammenta che:
· l'art. 14, comma 27, del decreto-legge n. 78 del 2010,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010[53],
annovera, tra le funzioni fondamentali dei comuni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma,
lettera p), della Costituzione, alla
lettera b), "l'organizzazione
dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i
servizi di trasporto pubblico comunale", e alla lettera f) "l'organizzazione e la gestione
dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la
riscossione dei relativi tributi";
· l'art. 13 del Tuel
attribuisce al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la
popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei
servizi alla persona e alla comunità, dell'assetto ed utilizzazione del
territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente
attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le
rispettive competenze;
· l'art. 1 della legge n. 56 del 2014, al comma 44,
lettera c), attribuisce alla città
metropolitana, quale funzione fondamentale, la "strutturazione di sistemi
coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzazione dei servizi
pubblici di interesse generale di ambito metropolitano. D'intesa con i comuni interessati
la città metropolitana può esercitare le funzioni di predisposizione dei
documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di
servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive".
I comuni e le città metropolitane, secondo le
rispettive competenze, regolano, inoltre, ogni altra funzione attinente
all’organizzazione e alla gestione dei servizi, assicurando adeguati strumenti
di tutela non giurisdizionale a favore dell’utenza (comma 2).
In proposito, l’articolo 30 della legge
n. 69 del 2009 ("Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile")
ha introdotto l'obbligo di prevedere forme di tutela non giurisdizionale
dell'utente dei servizi pubblici, stabilendo che le carte dei servizi dei
soggetti che erogano servizi pubblici o di pubblica utilità debbano contenere
la previsione della possibilità, per gli utenti che lamentino la violazione di
un diritto o di un interesse giuridico rilevante, di promuovere la risoluzione
non giurisdizionale della controversia, che deve avvenire entro i trenta giorni
successivi alla richiesta.
Al riguardo, si veda anche l'illustrazione dei
successivi artt. 24 e 28.
Sono fatte salve le disposizioni che
stabiliscono l’obbligo di esercizio associato delle funzioni di organizzazione
dei servizi (comma 3)[54].
Con riferimento all’obbligo di esercizio associato
testé richiamato, si segnala l'articolo
14, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, il quale prevede
che i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000
abitanti, se appartengono o sono appartenuti a comunità montane[55],
sono tenuti ad esercitare obbligatoriamente in forma associata, mediante unione
di comuni[56]
o convenzione[57],
le funzioni fondamentali dei comuni[58]
(con la sola eccezione delle funzioni di tenuta dei registri di stato civile e
di popolazione e dei compiti in materia di servizi anagrafici nonché in materia
di servizi elettorali, nell'esercizio delle funzioni di competenza statale, ai
sensi dell’articolo 14 del Tuel). L’obiettivo della
disposizione - che ha sostituito il criterio volontaristico, fino ad allora
vigente, della scelta di gestione associata delle funzioni con quello
obbligatorio - è quello di contenere i costi della pubblica amministrazione e,
al contempo, favorire un incremento dell’efficienza nell’erogazione dei servizi[59].
Il comma 31-ter
del richiamato art. 14 recava termini per l'attuazione delle disposizioni di
cui allo stesso art. 14, che, più volte prorogati, sono stati da ultimo
differiti al 31 dicembre 2016 dall'art. 4, comma 4, del decreto-legge n. 210
del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 21 del 2016.
Articolo 13
(Organizzazione dei servizi a rete - ambiti territoriali ottimali)
L’articolo
13 reca disposizioni
relative all’organizzazione dei servizi a rete, per ambiti o bacini
territoriali ottimali e omogenei individuati dalle regioni e dalle province
autonome.
Fatte salve le specifiche disposizioni recate
dall'art. 14 in materia di trasporto pubblico locale e regionale, al fine di
favorire i processi di aggregazione dei gestori, i servizi pubblici locali di
interesse economico generale a rete sono organizzati per ambiti o bacini
territoriali ottimali e omogenei, individuati dalle regioni e dalle province
autonome, le quali provvedono, altresì, a istituirne o designarne gli enti di
governo (comma 1).
Gli ambiti territoriali ottimali non possono
essere inferiori a quelli del territorio provinciale (comma 2)[60].
Le funzioni di organizzazione dei servizi a
rete, compresa la scelta della forma di gestione, la determinazione delle
tariffe all’utenza, l’affidamento della gestione e la relativa vigilanza, sono
esercitate unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali
ottimali (comma 3).
Nel caso in cui il perimetro dell’ambito o
bacino territoriale ottimale coincida con il territorio della città
metropolitana o dell’ente di area vasta, le funzioni dell’ente di governo sono
svolte dalla medesima città metropolitana o dall’ente di area vasta[61] (comma 4).
Tali disposizioni non si applicano al
servizio di distribuzione del gas naturale e al servizio di distribuzione
dell’energia elettrica (comma 5).
Gli enti locali aderiscono agli enti di
governo di cui al comma 1 entro sessanta giorni dalla loro istituzione o
designazione. Qualora non adempiano in tal senso, il Presidente della regione
esercita i poteri sostitutivi, previa diffida all'ente locale ad adempiere
entro un termine non superiore a sessanta giorni. In caso di mancato esercizio
dei poteri sostitutivi entro sessanta giorni dalla scadenza di quest’ultimo
termine, si applica l’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131[62] (comma 6).
Nell'articolo in esame confluiscono le previsioni di
cui all'art. 3-bis, commi 1 e 1-bis, primo e secondo periodo, del decreto-legge
n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 148 del 2011[63].
L'art. 3-bis,
che reca disciplina in materia di ambiti o bacini territoriali ottimali e
criteri di organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali, è
stato inserito nel decreto-legge
n. 138 del 2011 dal decreto-legge
n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 27 del 2012. L'art.
34 del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con
modificazioni, dalla legge
n. 221 del 2012 ha successivamente inserito, nel menzionato art. 3-bis, il comma 1-bis, con il quale è stata introdotta la previsione per la quale le
funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza
economica devono essere esercitate unicamente dagli enti di governo degli
ambiti o bacini territoriali ottimali. Detto comma è stato da ultimo modificato
dall'art.
1, comma 609, della legge n. 190 del 2014,
il quale ha, tra l'altro, sancito la partecipazione obbligatoria degli enti
locali agli enti di governo degli ambiti territoriali ottimali e l'attivazione,
in caso di loro inadempimento, del potere sostitutivo da parte del Presidente
della regione.
L'organizzazione dei servizi a rete per ambiti
territoriali ottimali è volta ad assicurare recuperi di efficienza del sistema,
principalmente attraverso economie di scale nella produzione ed erogazione dei
servizi. Al crescere dell’estensione territoriale del servizio (fino al
raggiungimento di un’estensione efficiente, oltre la quale il beneficio
marginale decresce), i costi medi (dati dal raffronto tra costi totali e
livelli di servizio prodotti) tendono a ridursi. Ciò è dovuto alla presenza di
elevati costi fissi che si dovrebbero comunque sostenere a prescindere dall’estensione
del servizio offerto.
L'organizzazione dei servizi a rete può anche
determinare recuperi di efficienza per via di economie di differenziazione in
cui la riduzione dei costi medi non dipende dall'incremento del singolo
servizio (come nel caso delle economie di scala), bensì dalla gestione
congiunta di due o più servizi che sono accomunati dall'utilizzo di medesimi
fattori della produzione.
Il ricorso allo strumento dell’ambito territoriale ottimale, introdotto a metà degli anni Novanta limitatamente ai servizi idrico integrato e di gestione dei rifiuti urbani (cfr. la scheda di approfondimento sottostante), conosce una generale estensione alla gestione della totalità dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica con il citato decreto-legge n.1 del 2012 ("Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività"), che introduce l’articolo 3-bis del decreto-legge n.138 del 2011.
Nello specifico, il citato art. 3-bis impone alle regioni[64]
di organizzare lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza
economica in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei “tali da
consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare
l'efficienza del servizio, entro il termine del 30 giugno 2012”. Quanto alla
dimensione degli ambiti o bacini, si prevede, ai sensi della richiamata
disposizione, che di norma debba essere non inferiore almeno a quella del
territorio provinciale, ferma restando la facoltà riconosciuta alle regioni di
individuare specifici bacini territoriali di dimensione diversa, motivando tale
scelta “in base a criteri di differenziazione territoriale e socio-economica e
in base a principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza rispetto alle
caratteristiche del servizio”, anche su proposta dei comuni o delle Unioni di
comuni[65].
Si osserva che, ai sensi del comma 2 dell’articolo in
esame, non è più derogabile la dimensione minima provinciale.
L’art. 3-bis
stabilisce, altresì, che, decorso inutilmente il termine indicato, il Consiglio
dei Ministri, a tutela dell'unità giuridica ed economica, possa esercitare i
poteri sostitutivi di cui all'articolo
8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, per organizzare lo
svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali
ottimali e omogenei.
Al riguardo non risulta l'attivazione dei predetti
poteri sostitutivi.
L'articolo 13, comma 2, del decreto-legge n. 150 del
2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 15 del 2014, ha
successivamente demandato al Prefetto l'esercizio dei poteri sostitutivi in
caso di inerzia rispetto all'istituzione o designazione dell'ente di governo
dell'ambito territoriale ottimale[66].
Si osserva che, rispetto al
richiamato art. 3-bis, l'articolo in
esame reca la previsione che sia attivato il potere sostitutivo di cui all'art. 8 della legge n. 131 del 2013 anche nelle seguenti ipotesi di inadempimento: a) quella in cui le regioni, che abbiano
individuato ambiti di dimensione inferiore a quella prescritta dal testo unico
in esame, non provvedano ad adeguarne il perimetro entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore del provvedimento in esame; b) quella in cui il Presidente della regione ometta di esercitare i
propri poteri sostitutivi nei confronti degli enti locali inadempienti rispetto
all'obbligo di aderire agli enti di governo degli ambiti territoriali ottimali.
L'organizzazione
territoriale nei servizi idrico integrato e di gestione dei rifiuti urbani L'organizzazione dei
servizi per ambiti territoriali ottimali è stata introdotta, per il servizio
idrico integrato, dall’articolo 8 (rubricato “Organizzazione territoriale del
servizio idrico integrato”) della legge n. 36 del 1994, recante disposizioni
in materia di risorse idriche (cosiddetta legge Galli), e, per il settore
della gestione dei rifiuti urbani, dall’articolo 23 (rubricato “Gestione dei
rifiuti in ambiti territoriali ottimali”) del decreto legislativo n. 22 del
1997 (cosiddetto decreto Ronchi). Sia la legge n. 36
del 1994 che il decreto legislativo n. 22 del 1997 sono stati abrogati dal
decreto legislativo n. 152 del 2006 (cd. Codice ambientale). L'art. 38 del
provvedimento in esame provvede a disporre l'abrogazione dell'art. 2, comma
38, della legge n. 244 del 2007, che prevedeva la rideterminazione degli
ambiti territoriali ottimali per la gestione del servizio idrico integrato e
del servizio di gestione integrata dei rifiuti. La disciplina
dell'organizzazione del servizio idrico, recata dagli articoli da 147 a 158-bis del decreto legislativo n. 152 del
2006 (gli articoli da 141 a 176
contengono l'intera disciplina della gestione delle risorse idriche),
è stata oggetto di consistenti modifiche da parte del decreto-legge n. 133
del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014 (cd.
sblocca Italia), il quale ha ridefinito gli obblighi dei comuni, il ruolo
delle regioni - cui spetta l'individuazione degli enti di governo degli
ATO-ambito territoriale ottimale (EGATO) -, e le competenze degli EGATO
stessi, ai quali sono affidati i compiti di gestione dei servizi idrici. In
particolare, l'EGATO "delibera la forma di gestione fra quelle previste
dall'ordinamento europeo provvedendo, conseguentemente, all'affidamento del
servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione
dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica" (art. 149-bis del decreto legislativo n. 152 del
2006)[67]. Quanto alla gestione
integrata dei rifiuti, il codice dell'ambiente, alla Parte IV, ha introdotto
disposizioni volte a conseguire l’ottimizzazione della gestione del servizio,
attraverso il comune denominatore delle aggregazioni: geografiche (in Ambiti
territoriali ottimali); funzionali (tramite l’esercizio congiunto del
servizio nelle Autorità d'ambito, poi soppresse dall'art. 2, comma 186-bis, della legge n. 191 del 2009);
gestionali (prevedendo l’affidamento del ciclo integrato ad un unico
soggetto). In particolare, il decreto legislativo n. 152 ha previsto, ai fini
del superamento della frammentazione delle gestioni, che il servizio sia
organizzato sulla base di ambiti territoriali ottimali, attribuendo alle
Regioni il compito di disciplinare le forme di cooperazione degli enti locali
ricadenti nell’ambito e, in particolare, di regolamentare la costituzione
delle autorità d’ambito, alle quali sono attribuiti i compiti di
organizzazione, affidamento e controllo del servizio di gestione integrata
dei rifiuti. La riforma dell’organizzazione introdotta dal decreto
legislativo n. 152 del 2006 è rimasta lungamente inattuata, con la
conseguenza che la frammentazione delle gestioni e la disorganicità degli
affidamenti hanno continuato a costituire elementi caratterizzanti del
servizio di gestione dei rifiuti. Sono successivamente
intervenute le seguenti disposizioni: 1) il menzionato art. 2, comma 186-bis, della legge n. 191 del 2009, il
quale ha soppresso le Autorità d'ambito di cui agli articoli 148 (in materia di gestione delle risorse idriche) e
201 (relativo al servizio di gestione
integrata dei rifiuti urbani) del decreto legislativo n. 152 del 2006,
e ha abrogato gli stessi articoli 148 e 201 con decorrenza dal 31 dicembre
2012, per effetto di quanto disposto dall'art. 13, comma 2, del decreto-legge
n. 216 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2012;
2) l'art. 3-bis del decreto-legge
n. 138 del 2011 (sul quale cfr. l'illustrazione dell'articolo in esame), il
cui comma 1-bis[68] contempla espressamente il settore dei
rifiuti urbani tra i servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica la
cui organizzazione compete unicamente agli enti di governo degli ambiti
territoriali ottimali; 3) il decreto-legge n. 150 del 2013, convertito, con
modificazioni dalla legge n. 15 del 2014, che, all'art. 13, comma 2, il quale prevede che la mancata istituzione o designazione
dell'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale ai sensi del comma 1
dell'articolo 3-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, ovvero la mancata deliberazione
dell'affidamento entro il termine del 30 giugno 2014, comportano l'esercizio
dei poteri sostitutivi da parte del Prefetto competente per territorio, che
provvede agli adempimenti necessari al completamento della procedura di
affidamento entro il 31 dicembre 2014, con spese sono a carico dell'ente
inadempiente. Ai sensi del comma 3 del medesimo art. 13, il mancato rispetto
dei termini stabiliti comporta la cessazione degli affidamenti non conformi
ai requisiti previsti dalla normativa europea alla data del 31 dicembre 2014. Sono, infine, da
rammentare le disposizioni che hanno imposto l’esercizio in forma associata
delle funzioni fondamentali per alcune categorie di enti locali. L’art. 14,
comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010, (comma sostituito dall'art. 19,
comma 1, lett. b),
del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 135 del 2012) prevede che i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti,
ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a Comunità
montane, esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di
Comuni o convenzione, le funzioni fondamentali dei comuni di cui al comma 27,
funzioni tra le quali si annovera, alla lett. f), «l’organizzazione e la gestione
dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e
la riscossione dei relativi tributi». |
Nel parere
reso dalla Conferenza unificata sullo schema di decreto legislativo in esame, è
confluito il rilievo, mosso dalla Conferenza delle regioni, per il quale,
"dalla lettura combinata" dell'articolo
in esame (che - si sottolinea - al comma 5 esclude dalla propria
applicazione i servizi di distribuzione del gas e dell'energia elettrica e, al
comma 1, fa salve le previsioni del successivo art. 14 sui servizi di trasporto
pubblico locale e regionale) e dell'art.
3, comma 2 (che - si rammenta - faceva salve le normative di settore, fatta
eccezione per le disposizioni in materia di affidamento dei servizi, nonché
modificative o espressamente abrogative contenute nello schema in esame),
emerge "la necessità di chiarire" se siano fatte salve le disposizioni
normative di settore previste dal decreto legislativo n. 152 del 2006, con
particolare riguardo al comma 7 dell'art. 200, il quale, disciplinando
l'organizzazione territoriale del servizio di gestione integrata dei rifiuti
urbani, consente alle regioni di "adottare modelli alternativi o in deroga
al modello degli Ambiti Territoriali Ottimali laddove predispongano un piano
regionale dei rifiuti che dimostri la propria adeguatezza rispetto agli
obiettivi strategici previsti dalla normativa vigente". La Conferenza
delle regioni segnala, in sostanza, la necessità di coordinare l'art. 13 in
esame con l'art. 3, comma 2, in quanto l'esclusione esplicita, dall'ambito di
applicazione dell'art. 13, dei servizi di distribuzione del gas e dell'energia
elettrica, "potrebbe generare equivoci per gli altri servizi disciplinati
da norme di settore"[69].
Differentemente,
ANCI e UPI evidenziano che la disciplina degli ambiti territoriali ottimali in
ordine ai servizi a rete, "tra cui risulta anche il servizio di igiene
urbana" di cui all'art. 13 reca significative novità e interviene a
risolvere "un dubbio esistente nella prassi e nella giurisprudenza"[70].
Articolo 14
(Bacini e livelli adeguati dei servizi di trasporto pubblico locale e
regionale)
L’articolo
14 reca disposizioni relative all’organizzazione del trasporto pubblico
locale e regionale, specificando le procedure per la determinazione dei
bacini di mobilità riferibili a tale servizio.
I bacini di mobilità per i servizi di
trasporto pubblico locale e regionale sono determinati dalle regioni[71], sentite le città metropolitane, le province e i comuni capoluogo di
provincia, nell’ambito della pianificazione del trasporto pubblico regionale e
locale, sulla base di analisi della domanda che tengano conto delle
caratteristiche socio-economiche, demografiche e comportamentali dell’utenza
potenziale, della struttura orografica, del livello di urbanizzazione e
dell’articolazione produttiva del territorio di riferimento (comma 1).
Il comma
2 prevede un'utenza minima di 350.000 abitanti. E' ammessa un'utenza
inferiore a tale soglia minima soltanto nel caso in cui i bacini coincidano con
il territorio di “enti di area vasta o di città metropolitane”[72].
La determinazione dei bacini di mobilità
avviene in base a una quantificazione ovvero a una stima della domanda di
trasporto pubblico locale e regionale su gomma e su ferro che si intende
soddisfare, avvalendosi sia di matrici origine/destinazione per
l’individuazione della rete intermodale dei servizi di trasporto pubblico di
linea e non, sia delle informazioni a disposizione dell’Osservatorio nazionale
sulle politiche di trasporto pubblico locale[73] (comma 3).
Il comma
4 prevede che - ai fini dello svolgimento delle procedure di scelta del
contraente per i servizi di trasporto locale e regionale - gli enti affidanti
articolino i bacini di mobilità in più lotti, oggetto di procedure di gara e di
contratti di servizio.
Si rammenta che l'art. 2 del provvedimento in esame fa
salva la normativa di settore relativa al trasporto pubblico locale (decreto
legislativo n. 422 del 1997), ad eccezione delle disposizioni in materia di
modalità di affidamento del servizio per le quali le disposizioni del
provvedimento in esame integrano e prevalgono sulla stessa.
Il settore del trasporto pubblico locale è stato
caratterizzato da un complesso rapporto tra normativa settoriale - contenuta in
disposizioni europee, nazionali e regionali - e disciplina generale in materia
di servizi pubblici locali. Le disposizioni di settore trovano applicazione sia
ai trasporti regionali[74]
sia a quelli locali e riguardano i trasporti in qualsiasi modalità esercitati
(gomma, ferro, vie navigabili, etc.) e in qualsiasi modalità affidati.
Per quanto concerne la disciplina europea, il regolamento (CE) n. 1370 del 2007, del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, ha provveduto: a
definire con quali modalità le autorità competenti possono intervenire, nel
rispetto del diritto comunitario, nel settore dei trasporti pubblici di
passeggeri per garantire la fornitura di servizi di interesse generale che
siano più numerosi e di migliore qualità o offerti a prezzi inferiori a quelli
che il semplice gioco delle forze del mercato consentirebbe di fornire; a
stabilire le condizioni alle quali le autorità competenti, allorché impongono o
stipulano obblighi di servizio pubblico, compensano gli operatori di servizio
pubblico per i costi sostenuti e/o conferiscono loro diritti di esclusiva in
cambio dell'assolvimento degli obblighi di servizio pubblico[75].
Per quanto riguarda la disciplina nazionale di settore[76],
il principale punto di riferimento normativo rimane la riforma operata con il decreto legislativo n. 422 del 1997 (di
attuazione della legge n. 59 del 1997), che ha trasferito la competenza in materia
di trasporto pubblico locale alle regioni[77]. Il citato decreto
legislativo distingue i servizi pubblici di
trasporto di interesse nazionale da quelli di rilevanza regionale e locale,
definiti come "l'insieme dei sistemi di mobilità terrestri, marittimi,
lagunari, lacuali, fluviali e aerei che operano in modo continuativo o
periodico con itinerari, orari, frequenze e tariffe prestabilite, ad accesso
generalizzato, nell'ambito di un territorio di dimensione normalmente regionale
o infraregionale". Il decreto legislativo n. 422
del 1997 "individua le funzioni e i compiti che sono conferiti alle
regioni ed agli enti locali in materia di servizi pubblici di trasporto di
interesse regionale e locale con qualsiasi modalità effettuati ed in qualsiasi
forma affidati e fissa, altresì, i criteri di organizzazione dei servizi di
trasporto pubblico locale".
Sempre in tema di riparto di competenze, è intervenuto
l'art. 19 del decreto-legge n. 95 del
2012, il quale, novellando l'art. 14 del decreto-legge n. 78 del 2010, ha
previsto che, ferme restando le funzioni di programmazione e di coordinamento
assegnate alle regioni, sia attribuita ai comuni la funzione fondamentale di
organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale,
ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale.
Con l'art. 37
del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 214 del 2011 è stata istituita l'Autorità di regolazione dei
trasporti, con competenze "nel settore dei trasporti e dell'accesso alle
relative infrastrutture e ai servizi accessori, in conformità con la disciplina
europea e nel rispetto del principio di sussidiarietà e delle competenze delle
regioni e degli enti locali di cui al titolo V della parte seconda della
Costituzione"[78].
Con specifico riferimento al tema dell'organizzazione del servizio, si rammenta che l'art. 14
del decreto legislativo n. 422 del 1997 attribuisce alle regioni i compiti di
programmazione in materia di trasporti locali, consistenti: 1) nella
definizione degli indirizzi per la pianificazione dei trasporti e in particolare
per i piani di bacino (piani di attuazione di competenza delle province); 2)
nella redazione dei piani regionali dei trasporti (e loro aggiornamenti),
"tenendo conto della programmazione degli enti locali ed in particolare
dei piani di bacino predisposti dalle province e, ove esistenti, dalle città
metropolitane, in connessione con le previsioni di assetto territoriale e di
sviluppo economico e con il fine di assicurare una rete di trasporto che
privilegi le integrazioni tra le varie modalità favorendo in particolar modo
quelle a minore impatto sotto il profilo ambientale"; 3) nell'approvazione
di programmi triennali dei servizi di trasporto pubblico locale (che
individuano, tra l'altro, la rete e l'organizzazione dei servizi e le modalità
di determinazione delle tariffe); 4) nella definizione, d'intesa con gli enti
locali, dei cd. servizi minimi, "qualitativamente e quantitativamente
sufficienti a soddisfare la domanda di mobilità dei cittadini e i cui costi
sono a carico del bilancio delle regioni" (art. 16).
Il più volte richiamato art. 3-bis, commi 1 e 1-bis, del
decreto-legge n. 138 del 2011 (per il quale si veda l'illustrazione dell'art.
13) ha, inoltre, attribuito alle regioni i compiti di definizione del perimetro
degli ambiti territoriali ottimali e conferito unicamente agli enti di governo
degli ambiti o bacini territoriali ottimali l'esercizio delle funzioni di
organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, tra
cui il trasporto pubblico locale.
Si osserva che il
comma 1 dell'articolo in esame riconduce la determinazione dei bacini di
mobilità per i servizi di trasporto pubblico locale e regionale nell'ambito
della pianificazione del trasporto pubblico regionale e locale.
L'organizzazione dei servizi di TPL - caratterizzata dal coinvolgimento dei
diversi livelli territoriali - risulta, pertanto, articolata nella
programmazione e pianificazione e nella individuazione dei bacini di mobilità
ottimale e dei bacini di gara. Ai fini della definizione dei bacini di
mobilità, le regioni sono tenute a sentire le città metropolitane, le province
e i comuni capoluogo di provincia e sono vincolate dalla disposizione
legislativa - introdotta dal comma 2 - per la quale l'utenza minima del bacino
è di 350.000 abitanti ovvero è ammessa una utenza inferiore solo qualora il
bacino coincida con il territorio di un ente di area vasta.
L’Autorità garante per la concorrenza e il mercato è
intervenuta con alcuni pronunciamenti in materia di bacini di gara per il
trasporto pubblico regionale e locale, tra i quali, si richiamano, in
particolare, le osservazioni rese con riferimento alla regione Liguria in data
6 marzo 2014. In tale occasione l'Autorità ha avuto modo di rilevare
l'inidoneità dello strumento legislativo ai fini della determinazione del bacino
di TPL, trattandosi di una scelta che deve essere basata su analisi economiche
più che su valutazioni politiche[79],
nonché di censurare la scelta operata (con legge) dalla regione Liguria di
organizzare il servizio sulla base di un unico lotto regionale, dal momento che
nel trasporto locale "la definizione di ambiti/bacini territoriali troppo
ampi e integrati gomma/ferro può presentare un forte impatto concorrenziale
nella misura in cui è suscettibile di ostacolare la partecipazione alle gare anche
degli operatori di grandi dimensioni" e "le economie di scala dal
lato dell'offerta si raggiungono con dimensioni piuttosto contenute".
Il comma 4 dell'articolo in esame impone agli enti
affidanti di articolare i bacini di mobilità in più lotti, oggetto di procedure
di gara e di contratti di servizio, e demanda all'Autorità di regolazione dei
trasporti la disciplina delle eccezioni a tale regola, le quali devono essere
giustificate sulla base di economie di scala proprie di ciascuna modalità e di
altre ragioni di efficienza economica.
L'art. 17,
comma 1, lett. a), del provvedimento in esame - nel novellare
l'art. 37, comma 2, lett. f), del decreto-legge n. 201 del 2011 - dispone che l'Autorità provveda a
"definire i criteri per la determinazione delle eccezioni al principio
della minore estensione territoriale dei lotti di gara rispetto ai bacini di
pianificazione, tenendo conto della domanda effettiva e di quella potenziale,
delle economie di scala e di integrazione tra servizi". Detta disposizione
parrebbe recare un contenuto sostanzialmente corrispondente a quello delle
seguenti parole del primo periodo del comma 4 in esame: "e salvo eccezioni
motivate da economie di scala proprie di ciascuna modalità e da altre ragioni
di efficienza economica, disciplinate con delibera dell'Autorità di regolazione
dei trasporti". Si suggerisce, pertanto, di valutare l'opportunità di
assicurare un coordinamento delle due disposizioni, eventualmente sostituendo
le parole da: "e salvo" fino alla fine del periodo con le seguenti:
"e salvo eccezioni che tengano
conto della domanda effettiva e di quella potenziale, delle economie di scala e
di integrazione tra servizi, ai sensi di quanto disposto dall'art. 37, comma 2,
lettera f), del decreto-legge n. 201
del 2011, convertito con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, come
modificato dall'art. 17, comma 1, lettera a), del presente decreto legislativo".
E' opportuno menzionare anche la deliberazione
dell'Autorità di regolazione dei trasporti n. 46 del 2014[80],
con la quale l'Autorità, ai fini dell'esercizio delle proprie competenze in
materia di individuazione degli ambiti di servizio pubblico e dei modi più
efficaci per finanziarli[81],
ha ritenuto necessario acquisire in modo sistematico notizie e dati rilevanti
dalle Amministrazioni competenti, tenuto conto del fatto che le scelte di
pianificazione e programmazione attinenti all’assetto della rete di trasporto,
al dimensionamento dei lotti di gara e alle modalità di svolgimento del
servizio - le quali coinvolgono diversi livelli territoriali - hanno un impatto
rilevante sull’entità delle compensazioni da mettere a gara, sulle condizioni
di partecipazione e, dunque, sugli esiti delle gare stesse[82].
Nell'Allegato A alla deliberazione n. 46 del 2014[83],
tra l'altro, l'Autorità richiama l'attenzione sulla situazione in cui vi sia
un’unica offerta o che una sola offerta sia valida e raggiunga il punteggio
minimo previsto negli atti di gara, e sulla opportunità, in dette ipotesi, di
procedere all'aggiudicazione della gara.
Con il comma 4 dell'articolo in esame si dispone che -
con riferimento ai lotti comprendenti un'utenza maggiore di 350.000 abitanti e
riguardanti il trasporto su gomma - l'Autorità di regolazione dei trasporti
intervenga a disciplinare i casi in cui per l'aggiudicazione del servizio sia
necessaria la presenza di almeno due offerte valide. Il legislatore delegato
stabilisce, tuttavia, al medesimo comma, ultimo periodo, che, in caso di unica
offerta, l'aggiudicazione sia consentita soltanto per motivi di necessità e
urgenza e comporti l'affidamento per una durata non superiore a tre anni.
Sulla disposizione di cui all'ultimo periodo del comma 4 il Consiglio
di Stato si è espresso come segue: "la disposizione si presta ad un uso
strumentale ed a possibili abusi da parte degli operatori del settore che
potrebbero partimentare di fatto il proprio accesso
ai singoli bacini di mobilità, accordandosi per presentare una sola offerta in
ciascuna gara diretta a soddisfare i singoli bacini di mobilità. Si suggerisce,
pertanto, l’espunzione del periodo, potendo le
eventuali situazioni di necessità ed urgenza essere fronteggiate con lo
strumento del potere dell’ordinanza sindacale extra ordinem ai sensi dell’art. 54,
d.lgs. 267/200".
(Competenze delle Autorità indipendenti)
Articolo 15
(Competenze delle Autorità indipendenti)
L’articolo
15 disciplina le competenze delle Autorità indipendenti in materia di servizi
pubblici locali di interesse economico generale.
Nei rispettivi ambiti di intervento, le
Autorità indipendenti di regolazione settoriale predispongono schemi di bandi
di gara e contratti tipo e individuano i costi standard dei diversi servizi pubblici locali di interesse economico
generale, nonché i livelli minimi di qualità degli stessi. Gli schemi di bandi
di gara e i contratti tipo vengono pubblicati sul portale telematico
dell’Osservatorio sui servizi pubblici locali[84]. Per i servizi per i quali non opera un’Autorità indipendente di
regolazione, gli schemi di bandi di gara e i contratti tipo sono predisposti
dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), in
conformità con la disciplina nazionale in materia di contratti pubblici[85] (commi 1 e 2).
La legge fondamentale in materia di Autorità di
regolazione dei servizi di pubblica utilità - legge
n. 481 del 1995 - ne disciplina l'organizzazione e le funzioni. In
particolare il comma 12 dell'art. 2 individua diverse categorie di funzioni
generali delle Autorità di regolazione e il successivo comma 20 specifica le
modalità di svolgimento di dette funzioni.
Ad essa si sono aggiunte disposizioni relative a
specifiche Autorità:
· l'art.
37 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge
n. 214 del 2011, poi modificato dal decreto-legge
n. 1 del 2012, che ha istituito l'Autorità di regolazione dei
trasporti (cfr. l'illustrazione dell'art. 17);
· l'art. 21, comma 19, dello stesso decreto-legge
n. 201 del 2011, che ha attribuito all'Autorità per l'energia elettrica
e il gas le funzioni di regolazione del servizio idrico; all'individuazione di
tali funzioni si è provveduto con decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 luglio 2012
(cfr. l'illustrazione dell'art. 16).
Con il comma 1 dell'articolo in esame si attribuisce all'Anac[86]
la competenza a predisporre schemi di bandi di gara e contratti tipo per i
servizi privi di autorità indipendente di regolazione. Al riguardo si rammenta
che l'art. 213 del decreto legislativo n. 50 del 2016, nell'attribuire all'Anac i compiti in materia di vigilanza e controllo sui
contratti pubblici, al comma 2 specifica: "L'Anac,
attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri
strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati, garantisce la
promozione dell'efficienza, della qualità dell'attività delle stazioni
appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni
e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle
migliori pratiche".
Le Autorità di regolazione del settore e l'Autorità
garante della concorrenza e del mercato, su richiesta dell’amministrazione
competente, esprimono il proprio parere circa i profili economici e
concorrenziali relativi alla suddivisione in lotti degli affidamenti (comma 3).
Il coinvolgimento delle richiamate Autorità è pertanto
eventuale e demandato alla libera iniziativa delle amministrazioni territoriali
chiamate ad affidare il servizio. Fa eccezione il caso in cui le
amministrazioni optino per l’affidamento in
house o di gestione mediante azienda speciale: in
tale caso esse sono obbligate, ai sensi dell'art. 7, comma 5, a trasmettere
all’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato lo schema di
provvedimento di scelta della modalità di gestione, che deve dare conto, oltre
che delle ragioni del mancato ricorso al mercato, anche “dell’impossibilità di
procedere mediante suddivisione in lotti nel rispetto della disciplina
europea”.
Il comma
4 specifica che le attività dirette a dare attuazione all’articolo in esame
saranno svolte con le dotazioni umane, finanziarie e strumentali “disponibili a
legislazione vigente”[87].
Articolo 16
(L'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente)
L’articolo
16 - fatte salve le competenze e i poteri
conferiti all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico
dalla legge n. 481 del 1995 - attribuisce
alla stessa anche le funzioni di regolazione e controllo del ciclo dei rifiuti,
ridenominandola Autorità di regolazione per energia, reti
e ambiente (ARERA).
Con l'attribuzione all'ARERA di ampi poteri di
regolazione e controllo si perseguono i seguenti obiettivi: migliorare il
sistema di regolazione del ciclo dei servizi di gestione dei rifiuti, anche
differenziati, urbani e assimilati; garantire accessibilità, fruibilità e
diffusione omogenee, sull’intero territorio nazionale, nonché adeguati livelli
di qualità in condizioni di efficienza ed economicità della gestione;
armonizzare gli obiettivi economico-finanziari con quelli generali di carattere
sociale, ambientale e di impiego appropriato delle risorse.
Sono attribuite all'ARERA, nello specifico,
le funzioni in materia di: emanazione di direttive per la separazione contabile
e amministrativa della gestione, valutazione dei costi delle prestazioni per
area geografica e per categorie di utenti, definizione di indici di valutazione
dell'efficienza ed economicità delle gestioni; definizione dei livelli di
qualità dei servizi, con il coinvolgimento in fase istruttoria delle regioni,
dei gestori e delle associazioni dei consumatori, nonché vigilanza sulle modalità
di erogazione dei servizi; tutela dei diritti degli utenti anche tramite la
valutazione di reclami e segnalazioni presentati dagli stessi (come singoli o
attraverso associazioni di consumatori); elaborazione di schemi tipo dei
contratti di servizio che regolano (ai sensi dell’art 203 del decreto-legislativo n.152 del 2006) i rapporti tra le Autorità d’ambito e i soggetti affidatari del
servizio integrato dei rifiuti; definizione e aggiornamento della metodologia
per la determinazione delle tariffe volte alla determinazione del corrispettivo
del servizio integrato dei rifiuti e dei singoli servizi, che deve tener conto
dell’esigenza di assicurare la copertura dei costi efficienti (sia quelli
gestionali, sia quelli fissi collegati agli investimenti, anche in termini di
remunerazione del capitale), nel rispetto del principio secondo cui “chi
inquina paga”[88]; fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso
agli impianti di trattamento; approvazione delle tariffe proposte dall’ente di
governo d’ambito per il servizio integrato e dai singoli gestori degli impianti
di trattamento; formulazione di proposte relative alle attività che,
nell’ambito del sistema integrato, devono essere assoggettate a concessione o
autorizzazione in base alle condizioni di concorrenzialità dei mercati; verifica della corretta redazione dei piani
di ambito; predisposizione di una relazione annuale al Parlamento (comma 1).
Le funzioni di vigilanza sulla
gestione dei rifiuti sono state, in origine, affidate all'Osservatorio
nazionale sui rifiuti dall'art. 2, comma 29-bis,
del decreto
legislativo 16 gennaio 2008, n. 4. Quest’ultimo ha
inserito nel decreto
legislativo n. 152 del 2006 un apposito articolo 206-bis, con il quale si attribuivano all'Osservatorio nazionale sui
rifiuti, tra l'altro, i seguenti compiti: vigilare sulla gestione dei rifiuti,
degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio; verificare i costi di gestione e
i livelli di qualità dei servizi erogati; predisporre criteri di azione per
migliorare efficienza e qualità nella gestione dei rifiuti. L'istituzione
dell'Osservatorio presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare era finalizzata a garantire l'attuazione delle norme di
cui alla parte quarta del decreto
legislativo n. 152 del 2006 (Norme in materia di gestione dei rifiuti), con
particolare riferimento alla prevenzione della produzione della quantità e
della pericolosità dei rifiuti e all'efficacia, all'efficienza e
all'economicità della gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di
imballaggio, nonché alla tutela della salute pubblica e dell'ambiente.
Il citato art. 206-bis
è stato recentemente modificato dall'art.
29 della legge n. 221 del 2015 (Disposizioni
in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il
contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali), il quale ha, tra
l'altro, trasferito le funzioni dell'Osservatorio al Ministero dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare. Tali funzioni sono state
contestualmente ampliate, includendovi le seguenti attività:
· l'elaborazione di parametri per l'individuazione dei
costi standard, comunque nel rispetto
del procedimento di determinazione di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, e
la definizione di un sistema tariffario equo e trasparente basato sul principio
dell'ordinamento dell'Unione europea "chi inquina paga" e sulla
copertura integrale dei costi efficienti di esercizio e di investimento;
· l'elaborazione di uno o più schemi tipo di contratto
di servizio tra le autorità d'ambito e i soggetti affidatari del servizio
integrato dei rifiuti;
· la verifica del raggiungimento degli obiettivi
stabiliti dall'Unione europea in materia di rifiuti.
Il richiamato art. 206-bis e l'art.
29 della legge n. 221 del 2015, che lo ha modificato, sono oggetto di abrogazione da
parte dell'art. 38 del testo unico, in conseguenza dell'attribuzione all'ARERA
delle funzioni di cui al comma 1 dell'articolo in esame, che riprendono,
ridefinendole e arricchendole, le competenze già conferite al Ministero
dell'ambiente.
Nella enumerazione dei compiti dell'ARERA, il
legislatore ha, inoltre, tenuto presenti le funzioni dell'Autorità per
l'energia elettrica e il gas attinenti alla regolazione e al controllo dei
servizi idrici, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri del 20 luglio 2012, con particolare riguardo alle competenze
dell'Autorità in ambito tariffario.
Per quanto concerne l'Autorità per l'energia
elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI), si rammenta che la stessa è
stata istituita ai sensi della legge n. 481 del 1995, recante "Norme per la concorrenza e la regolazione dei
servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei
servizi di pubblica utilità".
Con l’art. 21, comma 19, del decreto-legge n. 201 del
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
214 del 2011, vengono trasferite all'AEEGSI le funzioni attinenti alla
regolazione e al controllo dei servizi idrici, già attribuite alla soppressa
Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua,
istituita dall'art. 10, comma 11, del decreto-legge n.
70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011,
al fine di garantire l'osservanza dei principi contenuti nel decreto legislativo
n. 152 del 2006 in tema di gestione delle risorse idriche e di organizzazione
del servizio idrico (all'Agenzia erano state trasferite le funzioni della
precedente Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche,
prevista dall'art. 161 dello stesso decreto legislativo n. 152, anch'essa
soppressa).
Come sopra ricordato, l’individuazione
delle funzioni trasferite all'AEEGSI è stata successivamente operata con decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 luglio 2012, in conformità a
quanto previsto, dallo stesso art. 21, comma 19, il quale specifica, altresì,
che l'Autorità avrebbe esercitato le funzioni attinenti alla regolazione e al
controllo dei servizi idrici con i
medesimi poteri ad essa attribuiti
dalla legge n. 481 del 1995.
L'art. 24-bis, comma 1, del decreto-legge n. 1 del
2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, ha
successivamente inserito, nel richiamato art. 21 del decreto-legge n. 201 del
2011, il comma 19-bis, il quale - a
copertura finanziaria delle nuove competenze regolatorie
e di controllo dei servizi idrici attribuite all'AEEGSI dal comma 19 - ha
disposto l'assegnazione, all'Autorità stessa, di un contributo
di importo non superiore all'1 per mille dei r ricavi dell'ultimo esercizio, a carico dei soggetti esercenti i
servizi idrici, ai sensi dell'articolo 2, comma 38, lettera b), della legge 14
novembre 1995, n. 481, e dell'articolo
1, comma 68-bis, della legge 23 dicembre 2005, n. 266
(che hanno fissato l'entità della
contribuzione a carico dei soggetti operanti nei settori dei servizi di
pubblica utilità in una misura non superiore all'1 per mille dei ricavi
risultanti dall'ultimo bilancio approvato).
Il comma 3 dell'articolo in esame, prevede, con analoga disposizione, che, agli oneri derivanti dallo svolgimento delle nuove attribuzioni di regolazione e controllo in materia di gestione dei rifiuti, si provveda mediante assegnazione all'Arèra di un contributo di importo non superiore all'1 per mille dei ricavi dell'ultimo esercizio, a carico dei soggetti esercenti il servizio di gestione dei rifiuti[89].
Articolo 17
(Modifica delle competenze dell'Autorità di regolazione dei trasporti)
L’articolo
17 apporta modifiche
alle competenze dell’Autorità di regolazione dei trasporti (ART),
novellando l'art. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011, e demanda all'Autorità stessa il compito di definire regole generali
riferite alle procedure di scelta del contraente per l’affidamento dei servizi
di trasporto pubblico locale e regionale.
Al comma
1 viene modificato il comma 2, lettera f),
del richiamato art. 37 al fine di attribuire all’ART i seguenti compiti:
· “definire i criteri per la determinazione
delle eccezioni al principio della minore estensione territoriale dei lotti di
gara rispetto ai bacini di pianificazione”, tenendo conto a tal fine: i) della domanda effettiva e di quella
potenziale, nonché ii) delle economie
di scala e di integrazione tra servizi (lett. a)).
Con riferimento alla disposizione di cui alla lettera a) in esame, si rinvia alla
illustrazione dell'art. 14, comma 4.
· definire gli schemi dei contratti di servizio
per quelli esercitati in house da società pubbliche o a partecipazione
maggioritaria pubblica (lett. b)).
· determinare, sia per i bandi di gara che per
i contratti di servizio esercitati in house, la “tipologia di obiettivi di efficacia e di
efficienza che il gestore deve rispettare”, nonché gli obiettivi di equilibrio
finanziario (lett. b)).
Il comma
2 attribuisce all’ART, in tema di procedure per l’affidamento di servizi di
trasporto pubblico locale e regionale, il potere di intervenire, con attività
di regolazione generale:
· imponendo che le procedure di selezione del
contraente prevedano che la riscossione diretta dei proventi da traffico sia a
cura dell’affidatario, secondo logiche di assunzione del rischio di impresa (lett. a));
· richiedendo, per la partecipazione a dette
procedure, il possesso di un patrimonio netto pari almeno al 20% del
corrispettivo annuo posto a base di gara, nonché i requisiti di cui
all’articolo 18[90] del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, al fine di assicurare la sussistenza, in capo all’affidatario, della
necessaria capacità economica e finanziaria (lett. b));
· richiedendo l’adozione di misure in grado di
garantire all’affidatario l’accesso a condizioni eque ai beni immobili e
strumentali necessari all’effettuazione del servizio (lett. c))[91];
· introducendo, in alternativa a quanto
previsto alla lettera c), la facoltà
per l’ente affidante e per il gestore uscente di cedere la proprietà dei beni
immobili essenziali e dei beni strumentali[92] a soggetti societari, a capitale privato ovvero a capitale misto
pubblico-privato, specializzati nell’acquisto di beni strumentali da locare ai
gestori di servizi di trasporto pubblico (lett. d));
· richiedendo che nei bandi di gara sia
previsto il trasferimento del personale dipendente non dirigenziale dal gestore
uscente al subentrante e la conservazione, fino alla stipula di un nuovo
contratto integrativo aziendale, del trattamento economico e normativo
derivante esclusivamente dal contratto collettivo nazionale di settore (lett. e)).
L’ART è chiamata dal comma 3 ad assolvere alle illustrate funzioni facendo ricorso alle
risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente.
L’Autorità di regolazione dei trasporti è stata
istituita, nell’ambito delle autorità di regolazione dei servizi di pubblica
utilità di cui alla legge
14 novembre 1995, n. 481, dall’art.
37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come
modificato dall'art. 36 del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012[93].
Con decreto del Presidente della Repubblica del 9
agosto 2013 sono stati nominati i componenti dell'Autorità, che è entrata nella piena operatività dal 16 gennaio 2014,
con l'approvazione del Regolamento per lo svolgimento in prima attuazione dei
procedimenti per la formazione delle decisioni di competenza dell’Autorità e
per la partecipazione dei soggetti portatori d’interesse (deliberazione n.
5/2014).
Le funzioni dell'Autorità sono enumerate al richiamato
art. 37, comma 2, la cui lettera f),
oggetto di modificazione da parte del comma 1 in esame, prevede che l'Autorità
provveda a "a definire gli schemi dei bandi delle gare per l'assegnazione
dei servizi di trasporto in esclusiva e delle convenzioni da inserire nei
capitolati delle medesime gare e a stabilire i criteri per la nomina delle
commissioni aggiudicatrici; con riferimento al trasporto ferroviario regionale,
l'Autorità verifica che nei relativi bandi di gara non sussistano condizioni
discriminatorie o che impediscano l'accesso al mercato a concorrenti potenziali
e specificamente che la disponibilità del materiale rotabile già al momento
della gara non costituisca un requisito per la partecipazione ovvero un fattore
di discriminazione tra le imprese partecipanti. In questi casi, all'impresa
aggiudicataria è concesso un tempo massimo di diciotto mesi, decorrenti
dall'aggiudicazione definitiva, per l'acquisizione del materiale rotabile
indispensabile per lo svolgimento del servizio".
Lo stesso art. 37, comma 2, prevede, inoltre, che
l'Autorità provveda:
·
alla lettera a), "a garantire, secondo
metodologie che incentivino la concorrenza, l'efficienza produttiva delle
gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i
consumatori, condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle
infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali,
(...) nonché in relazione alla mobilità dei passeggeri e delle merci in ambito
nazionale, locale e urbano anche collegata a stazioni, aeroporti e porti";
· alla lettera b),
"a definire, se ritenuto necessario in relazione alle condizioni di
concorrenza effettivamente esistenti nei singoli mercati dei servizi dei
trasporti nazionali e locali, i criteri per la fissazione da parte dei soggetti
competenti delle tariffe, dei canoni, dei pedaggi, tenendo conto dell'esigenza
di assicurare l'equilibrio economico delle imprese regolate, l'efficienza
produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le
imprese, i consumatori ".
Il comma 3 del richiamato art. 37, alla lettera a), dispone che l'Autorità "può
sollecitare e coadiuvare le amministrazioni pubbliche competenti
all'individuazione degli ambiti di servizio pubblico e dei metodi più
efficienti per finanziarli, mediante l'adozione di pareri che può rendere
pubblici".
Si rammenta che la regione Veneto ha contestato la
legittimità costituzionale dell'art. 36, comma 1, lett.
a), del decreto-legge n. 1 del 2012
(che ha sostituito i commi 1 e 2 del richiamato art. 37), censurando, tra
l'altro, le disposizioni di cui alle citate lettere b) ed f) dell'art. 37
comma 2, relative alle competenze conferite all'Autorità di regolazione dei
trasporti in materia di trasporto pubblico locale: dette disposizioni
avrebbero, a giudizio della ricorrente, determinato una interferenza con le
competenze della Regione, in violazione degli artt. 117, 118 e 119 della
Costituzione e del principio di leale collaborazione. La Corte costituzionale (sent. n. 41 del
2013) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale
in quanto le disposizioni impugnate, "pur avendo attinenza con la materia
del trasporto pubblico locale, perseguono precipuamente una finalità di
promozione della concorrenza e quindi afferiscono alla competenza esclusiva
dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. (ex plurimis, sentenza
n. 325 del 2010), dato che l’istituzione dell’Autorità indipendente è
(...) funzionale alla liberalizzazione dei pubblici servizi in tutti i comparti
del trasporto, da quello ferroviario a quello aereo, da quello marittimo a
quello autostradale. (...) La Corte ha più volte affermato che l’esercizio
della competenza esclusiva e trasversale per la «tutela della concorrenza» può
intersecare qualsivoglia titolo di potestà regionale, seppur nei limiti
necessari ad assicurare gli interessi cui essa è preposta, secondo criteri di
adeguatezza e proporzionalità (ex plurimis, sentenze n.
325 del 2010, n.
452 del 2007, n.
80 e n.
29 del 2006, n.
222 del 2005). Nel caso in
esame, le funzioni conferite all’Autorità di regolazione dei trasporti, se
intese correttamente alla luce della ratio
che ne ha ispirato l’istituzione, non assorbono le competenze spettanti alle
amministrazioni regionali in materia di trasporto pubblico locale, ma le
presuppongono e le supportano. Valgono anche in questo caso i principi
affermati dalla Corte in una fattispecie analoga: «le attribuzioni
dell’Autorità non sostituiscono né surrogano alcuna competenza di
amministrazione attiva o di controllo; esse esprimono una funzione di garanzia,
in ragione della quale è configurata l’indipendenza dell’organo» (sentenza
n. 482 del 1995). Compito dell’Autorità dei trasporti è, infatti,
dettare una cornice di regolazione economica, all’interno della quale Governo,
Regioni e enti locali sviluppano le politiche pubbliche in materia di
trasporti, ciascuno nel rispettivo ambito. Del resto la stessa disposizione
censurata prevede, al comma 1 dell’art. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011,
che l’Autorità di regolazione dei trasporti sia tenuta al rispetto delle
competenze delle Regioni e degli enti locali di cui al Titolo V della parte
seconda della Costituzione" (sent. n. 41 del 2013).
Con specifico riguardo alla
competenza a definire gli schemi di bandi gara (di cui al citato art.
37, comma 2, lett. f)), la Corte, nella sentenza citata, ha precisato che
"l’Autorità è investita della competenza a definire gli schemi, senza
sostituirsi alle amministrazioni competenti nell’elaborazione in dettaglio dei
bandi, delle convenzioni da inserire nei capitolati delle medesime gare e delle
concessioni".
Si segnala che il Consiglio dell'Autorità di
regolazione dei trasporti, con deliberazione n. 6 del 16 gennaio 2014, ha
avviato un'indagine conoscitiva sui servizi di trasporto passeggeri con
particolare riferimento ai servizi di trasporto pubblico locale e a quelli
diretti ad assicurare la continuità territoriale. Con la già menzionata
deliberazione n. 46 del 19 giugno 2014[94],
l'Autorità - ai sensi della citata lettera f)
dell'art. 37, comma 2, nonché nell'esercizio delle ulteriori competenze di cui
alle lettere a) e b) dello stesso comma 2 - ha avviato il
procedimento per l'adozione di misure regolatorie per
la redazione dei bandi e delle convenzioni relativi alle gare per
l'assegnazione in esclusiva dei servizi di trasporto pubblico locale passeggeri
e dei criteri per la nomina delle commissioni aggiudicatrici. Con l'Allegato A
alla deliberazione n. 46, è stato sottoposto a consultazione un documento sulle
questioni di regolazione relative all'assegnazione in esclusiva dei servizi nel
settore del trasporto pubblico locale. All'esito
del procedimento è stata approvata la deliberazione n. 49 del 2015 recante
"Misure regolatorie
per la redazione dei bandi e delle convenzioni relativi alle gare per
l’assegnazione in esclusiva dei servizi di trasporto pubblico locale passeggeri
e definizione dei criteri per la nomina delle commissioni aggiudicatrici e avvio
di un procedimento per la definizione della metodologia per l’individuazione
degli ambiti di servizio pubblico e delle modalità più efficienti di
finanziamento".
Le
disposizioni di cui all'articolo in esame intervengono
sulle competenze dell'ART in materia di trasporto pubblico locale, con
particolare riguardo alla ipotesi di affidamento in house del servizio: in detti casi
l'Autorità è competente a definire gli schemi dei contratti di servizio. Tanto
nella definizione degli schemi di bandi di gara, quanto nella definizione dei
contratti di servizio esercitati in house, l'Autorità determina gli obiettivi di efficacia
e di efficienza, nonché di equilibrio finanziario che il gestore è tenuto a
rispettare (comma 1, lett. b), dell'articolo in esame).
Il comma 2 attribuisce all'Autorità competenze di
regolazione generale in relazione ai seguenti profili delle procedure di scelta
del contraente per l'affidamento dei servizi di TPL: modalità di riscossione
dei proventi; requisiti di partecipazione alla gara; proprietà e gestione dei
beni immobili strumentali all'effettuazione del servizio[95];
trasferimento del personale in caso di sostituzione del gestore a seguito di
gara[96].
(Distinzione tra funzioni di regolazione e funzioni di gestione)
Articolo 18
(Principio di distinzione tra funzioni di regolazione e gestione)
L’articolo
18 pone il
principio di distinzione e di esercizio separato tra funzioni di regolazione,
di indirizzo e di controllo e funzioni di gestione dei servizi pubblici di
interesse economico generale.
Le disposizioni di cui al presente Capo rispondono
all'esigenza segnalata dalla Corte Costituzionale di evitare "la
commistione, in capo alle medesime amministrazioni, di ruoli tra loro incompatibili"
(Corte costituzionale, sent. n. 41 del 2013),
imponendo la distinzione - sia in via di principio sia con misure applicative -
tra soggetto regolatore e soggetto regolato, soggetto controllore e soggetto
controllato.
Nel comparto dei servizi pubblici locali di interesse
economico generale sono presenti numerosi operatori nella cui compagine
proprietaria sono rappresentati l'ente o gli enti pubblici territoriali
affidanti.
La Corte costituzionale, nella sentenza richiamata, ha
ricordato come l'istituzione di autorità di regolazione indipendenti
costituisca un antidoto ai rischi connessi a tale situazione di fatto, ad
arginare i quali sono rivolte anche le disposizioni di inconferibilità
di cui agli artt. 19 e 20, riguardanti, rispettivamente, gli incarichi inerenti
alla gestione dei servizi e l'incarico di componente delle Commissioni di gara
per l'affidamento dei servizi.
Articolo 19
(Inconferibilità degli incarichi inerenti alla gestione
del servizio)
L’articolo 19 reca disposizioni in tema di inconferibilità degli incarichi inerenti alla gestione del
servizio, che vanno ad aggiungersi a quelle già previste dalla normativa
vigente (decreto legislativo n. 39 del 2013), e che troveranno applicazione con
riferimento alle nomine e agli incarichi conferiti successivamente alla data di
entrata in vigore del decreto legislativo in esame (comma 6).
Ai sensi del comma
1, non possono essere conferiti incarichi professionali, di amministrazione
o di controllo, né incarichi inerenti alla gestione del servizio:
·
ai componenti di organi di indirizzo politico
dell’ente competente all’organizzazione del servizio o alla sua regolazione,
vigilanza o controllo, nonché ai dirigenti e ai responsabili degli uffici o dei
servizi direttamente preposti all’esercizio di tali funzioni;
·
ai componenti di organi di indirizzo politico
di ogni altro organismo che espleti funzioni di stazione appaltante, di
regolazione, di indirizzo o di controllo del servizio, nonché ai dirigenti e ai
responsabili degli uffici o dei servizi direttamente preposti all’esercizio di
tali funzioni;
·
ai consulenti per l’organizzazione o regolazione del
servizio.
Le stesse inconferibilità sono previste anche per coloro che abbiano
svolto le predette funzioni nel biennio precedente l’affidamento del servizio (comma
2).
Ai
sensi del comma 3, l’inconferibilità investe anche il coniuge, i parenti e gli
affini entro il quarto grado dei soggetti richiamati ai commi 1 e 2.
L’efficacia
dell’atto del conferimento dell'incarico è subordinata alla presentazione, da
parte dell’interessato, di una dichiarazione attestante l’insussistenza di
cause di inconferibilità (che deve essere riprodotta
con cadenza annuale). Qualora la dichiarazione, pubblicata nel sito dell’ente
che ha conferito l’incarico, dovesse rivelarsi mendace, si determina per
l’interessato, in aggiunta alle ulteriori sanzioni stabilite dall’ordinamento,
una condizione di inconferibilità ad incarichi presso
gli enti pubblici o in controllo pubblico per un periodo di cinque anni (ai
sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 39 del
2013, specificamente
richiamato dal comma 4).
Gli atti con cui sono attribuiti gli
incarichi alle persone che versano in uno stato di inconferibilità
sono nulli e i componenti degli organi
che li abbiano conferiti sono responsabili per le conseguenze economiche e non
possono conferire gli incarichi di loro competenza per un periodo di tre mesi
(ai sensi degli articoli 17 e 18 del decreto legislativo n. 39 del 2013, specificamente richiamati dal comma 5).
Si rammenta che l'art. 4 del
decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
148 del 2011, dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con sent. n. 199 del 2012, ai commi 19 e 20 contemplava le
seguenti ipotesi di inconferibilità di incarichi di
gestione dei servizi pubblici locali[97]:
·
ad
amministratori, dirigenti e responsabili degli uffici o dei servizi dell'ente
locale affidante, nonché degli altri organismi che espletano funzioni di
stazione appaltante, di regolazione, di indirizzo e di controllo dei servizi
stessi, ovvero a soggetti che abbiano svolto dette funzioni nei tre anni
precedenti il conferimento dell'incarico;
·
al coniuge, ai
parenti e agli affini entro il quarto grado dei soggetti indicati al punto
precedente, nonché a coloro che prestano, o hanno prestato nel triennio
precedente, a qualsiasi titolo, attività di consulenza o collaborazione in
favore degli enti locali o dei soggetti che hanno affidato la gestione del
servizio pubblico locale.
Articolo 20
(Divieti e inconferibilità nella composizione delle Commissioni di
gara per l'affidamento della gestione del servizio)
L’articolo 20 reca le ipotesi di divieto e inconferibilità rispetto all'incarico di
componente delle Commissioni di gara per l'affidamento della gestione del
servizio, prevedendo che:
·
fermo quanto previsto dal decreto legislativo n. 39
del 2013 e dalla disciplina in materia di appalti pubblici, i componenti di
tali Commissioni non possano svolgere altra funzione o incarico tecnico o
amministrativo relativamente alla gestione del servizio interessato (comma 1);
· detto incarico non
possa essere conferito: a coloro che abbiano rivestito, nei due anni precedenti,
la carica di componente dell’organo politico dell’ente competente
all’organizzazione o, comunque, alla regolazione, al controllo o alla vigilanza
del servizio (comma 2); a coloro che siano stati condannati, anche con
sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I del
titolo II del libro II del codice penale, in materia di delitti dei pubblici
ufficiali contro la pubblica amministrazione[98] (comma 3); a coloro che, in qualità di componenti di Commissioni di gara, abbiano
concorso, con dolo o colpa grave accertati in sede giurisdizionale con sentenza
non sospesa, all'approvazione di atti dichiarati illegittimi (comma 4).
Il comma
5 prevede che ai componenti delle Commissioni di gara si applichino le
cause di astensione previste dall'articolo 51 del codice di procedura civile,
che enumera gli obblighi di astensione da parte del giudice[99].
Nell'ipotesi in cui
alla gara concorra una società partecipata dall'amministrazione che la indice,
i componenti della Commissione di gara non possono essere né dipendenti né
amministratori né consulenti dell’amministrazione stessa (comma 6).
Si rammenta che l'art. 4 del
decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
148 del 2011, dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con sent. n. 199 del 2012, ai commi da 22 a 24 contemplava le
seguenti ipotesi di inconferibilità dell'incarico di
componente della Commissione di gara per l'affidamento dei servizi pubblici
locali[100]:
·
a chi avesse svolto o stesse svolgendo
altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente alla gestione
del servizio di cui si tratta.
Detta ipotesi parrebbe
essere stata riformulata dal comma 1 dell'articolo in esame nella forma di
incompatibilità;
·
a coloro che
abbiano rivestito, nel biennio precedente, la carica di amministratore
dell'ente locale affidante;
·
a coloro che, in
qualità di componenti di Commissioni di gara, abbiano concorso, con dolo o
colpa grave accertati in sede giurisdizionale con sentenza non sospesa, all'approvazione
di atti dichiarati illegittimi.
Il comma 25 del richiamato
art. 4 del decreto-legge n. 138 del 2011 sanciva
l'applicazione ai componenti delle Commissioni di gara delle cause di
astensione previste dall'articolo
51 del codice di procedura civile e il comma 26
prevedeva che, nell'ipotesi in cui alla gara concorresse una società
partecipata dall'ente locale indicente, i componenti della Commissione di gara
non potessero essere né dipendenti né amministratori dell'ente locale stesso[101].
(Contratto di servizio, tariffe, trasparenza e tutela dei consumatori)
Il Titolo
V (artt. da 21 a 32) reca disposizioni in materia di contratto di servizio, tariffe, trasparenza e tutela dei consumatori.
Articolo 21
(Contratto di servizio)
L’articolo 21 reca disciplina del contratto di servizio,
che, stipulato contestualmente all'atto di affidamento, regola i rapporti tra
gli enti affidanti e i soggetti affidatari dei servizi, nonché tra i primi e le
società di gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni
patrimoniali essenziali. Nei casi in cui l'affidatario sia individuato mediante
procedure ad evidenza pubblica (art. 7, comma 1, lettere a) e b)) il contratto di
servizio è redatto sulla base dello schema allegato alla documentazione di gara
(comma 1).
Già l'art.
113, comma 11, del Tuel
(oggetto di abrogazione) dispone che i rapporti degli enti locali con le
società di erogazione del servizio e con le società di gestione delle reti e
degli impianti siano regolati da contratti di servizio, allegati ai capitolati
di gara.
Per quanto concerne i contenuti obbligatori dei
contratti di servizio, il citato comma 11 si limita ad asserire che gli stessi
devono prevedere "i livelli dei servizi da garantire e adeguati strumenti
di verifica del rispetto dei livelli previsti".
I contenuti dei contratti di servizio trovano, invece,
articolata e dettagliata disciplina nell'articolo in esame.
Il Consiglio di Stato, nel
parere reso sullo schema di decreto legislativo in esame, ha sottolineato
"l’importanza della scelta legislativa di prevedere l’inserimento
(ovviamente, a cura dell’ente affidante) dello schema di contratto nella
documentazione di gara sin dalla fase dell’indizione della procedura di
evidenza pubblica, a garanzia dei principi di trasparenza, di parità di
trattamento e di non discriminazione, onde fissare ex ante in modo vincolante gli elementi e le condizioni
essenziali del contratto da stipulare con il soggetto affidatario all’esito
della procedura di evidenza pubblica".
Nel parere reso in sede di Conferenza unificata è confluito il rilievo,
avanzato sia dalla Conferenza delle regioni che dall'ANCI, relativo alla non
conformità della precisazione che il contratto di servizio viene
"stipulato contestualmente all'atto di affidamento" con la
disposizione di cui all'art. 32, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del
2016[102]:
"Divenuta efficace l'aggiudicazione, e fatto salvo l'esercizio dei poteri
di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del
contratto di appalto o di concessione ha luogo entro i successivi sessanta
giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell'invito ad offrire,
ovvero l'ipotesi di differimento espressamente concordata con
l'aggiudicatario"[103].
Il contratto, ai
sensi del comma 2, assicura la completa corrispondenza tra oneri per
servizi e risorse disponibili, considerati gli eventuali proventi tariffari, e
reca previsioni volte alla regolazione del servizio e del rapporto tra
l'affidatario e l'amministrazione (o le amministrazioni) che hanno proceduto
all'affidamento del servizio.
Il comma 3
dispone che - fatte salve le discipline di settore - il contratto di servizio
contenga alcune previsioni obbligatorie: il regime giuridico prescelto per la
gestione del servizio; il periodo di validità del contratto; gli obiettivi di
sviluppo dei servizi, il programma degli investimenti e il piano
economico-finanziario; l’obbligo del raggiungimento dell’equilibrio
economico-finanziario della gestione; le modalità di remunerazione del capitale
investito, ivi inclusi gli oneri finanziari a carico delle parti; le
compensazioni economiche alle aziende esercenti i servizi stessi per gli
eventuali obblighi di servizio pubblico, che tengono conto dei proventi
derivanti dalle tariffe e di quelli derivanti dall'eventuale gestione di
servizi complementari; gli strumenti di rilevazione della qualità erogata e
dell'adempimento di altre obbligazioni contrattuali; le sanzioni e le penalità
in caso di mancata osservanza del contratto e le ipotesi di risoluzione in caso
di grave e ripetuta violazione degli obblighi contrattuali; idonee garanzie
finanziarie e assicurative nonché misure a garanzia della continuità del
servizio; le modalità di risoluzione delle controversie con gli utenti; gli
obblighi di informazione e di rendicontazione nei confronti
dell'amministrazione competente, o dell'autorità di regolazione settoriale, ove
costituita, e di altri enti preposti al controllo e al monitoraggio delle
prestazioni; la disciplina delle conseguenze derivanti
dall’eventuale cessazione anticipata dell’affidamento e i criteri per la
determinazione dell’indennizzo spettante al gestore.
Il comma 4 prevede
che il contratto di servizio indichi gli elementi necessari per la garanzia di
qualità del servizio affidato e la tutela dell’utente finale: il programma
d'esercizio e la dimensione di offerta dei servizi; la struttura, i livelli e
le modalità di aggiornamento delle tariffe e dei prezzi a carico dell'utenza,
per i servizi a domanda individuale; gli standard
qualitativi, ambientali e quantitativi dei servizi erogati; la previsione di procedure
relative alla proposizione di reclami nei confronti dei gestori del servizio
pubblico e conclusione dell'esame con comunicazione agli utenti degli esiti; le
modalità di ristoro dell'utenza, mediante meccanismi di rimborso automatico
ovvero in forma specifica o mediante restituzione totale o parziale del
corrispettivo, in caso di violazione degli standard
qualitativi di servizio e delle condizioni generali del contratto; l'obbligo di
provvedere periodicamente alla verifica, mediante indagini presso l'utenza,
eseguite con la partecipazione delle associazioni dei consumatori e degli
utenti maggiormente rappresentative sul territorio di competenza, della qualità
e della quantità dei servizi offerti, con previsione di eventuali sanzioni o
penalità; l'obbligo di rendere pubblica e aggiornare la carta dei servizi (si
veda l'articolo 24) relativa agli standard
di qualità e di quantità dei servizi erogati; la previsione della verifica
periodica dell'adeguatezza dei parametri qualitativi e quantitativi del
servizio erogato, fissati nel contratto di servizio, alle esigenze dell'utenza;
la previsione di un sistema di monitoraggio permanente del rispetto dei
parametri contrattuali e di quanto stabilito nelle carte dei servizi.
Con riferimento alla previsione relativa alle modalità di ristoro
dell'utenza, di cui al comma 4, lett. e),
dell'articolo in commento, il Consiglio di Stato, nel parere reso sullo schema
di decreto legislativo in esame, ha osservato che, "al fine di garantire
l’effettività della tutela degli utenti e dei consumatori nei confronti del
gestore", appare necessario escludere espressamente oneri sproporzionati a
carico dell’utenza. Suggerisce pertanto di aggiungere al testo della lettera e) il seguente
inciso: "«senza alcuna spesa e
formalità e senza eccezione con riferimento alle modalità di pagamento del
corrispettivo»".
Articolo 22
(Obblighi contrattuali e disposizioni per l'innovazione del trasporto
pubblico locale)
L’articolo 22 reca disposizioni per l’innovazione del
trasporto pubblico locale, ridefinendo alcuni obblighi contrattuali in capo
alle imprese che gestiscono tale servizio.
Al comma 1 si stabilisce che i contratti di servizio stipulati successivamente al 31 dicembre 2017 dovranno escludere che l’affidatario del servizio di trasporto regionale o locale possa avvalersi di veicoli a motore appartenenti alle categorie M2 ed M3, alimentati a benzina o gasolio con caratteristiche antinquinamento EURO 0 e 1. Resta comunque fermo quanto previsto dai decreti del Ministro delle infrastrutture e trasporti, adottati ai sensi dell’articolo 1, comma 232, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per il 2015) di disciplina dei casi di esclusione dal divieto, ivi recato, di circolazione dei veicoli a motore EURO 0, per particolari caratteristiche di veicoli di carattere storico o destinati a usi particolari.
Con una previsione analoga a quella recata nel citato art.1, comma 232, della legge di stabilità per il 2015, al secondo periodo del comma 1 dell’articolo in esame, si demanda a uno o più decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti l’individuazione dei casi di esclusione, dal predetto divieto (che, come detto, concerne ora anche i veicoli EURO 1), di veicoli di carattere storico o destinati a usi specifici.
Il comma 2 stabilisce che i contratti di servizio stipulati successivamente al 31 dicembre 2017 debbano prevedere, altresì, le seguenti obbligazioni a carico dell’affidatario del servizio stesso: i) i veicoli utilizzati per il trasporto pubblico locale (mentre non è previsto un corrispondente obbligo per i veicoli adibiti al trasporto pubblico regionale) devono essere dotati di sistemi elettronici per il conteggio dei passeggeri, ai fini della determinazione delle matrici origine/destinazione; ii) i medesimi veicoli e quelli adibiti al trasporto pubblico regionale dovranno essere dotati di sistemi satellitari per il monitoraggio elettronico del servizio. I contratti di servizio, nella definizione del corrispettivo, dovranno tener conto degli oneri, in termini di investimenti, sostenuti per adempiere ai predetti obblighi di servizio, determinati secondo i criteri utilizzati per la definizione dei costi standard di cui all’articolo 1, comma 84, della legge 27 dicembre 2013, n. 147[104]. La relativa copertura sarà assicurata con quote annuali corrispondenti agli ammortamenti degli investimenti. Le previsioni dei contratti di servizio dovranno essere formulate nel rispetto dei principi di cui al regolamento (CE) 1370/2007, in materia di servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia.
Il regolamento (CE) n. 1370/2007 stabilisce le
condizioni alle quali le autorità competenti degli Stati membri, “allorché
impongono o stipulano obblighi di servizio pubblico, compensano gli operatori
di servizio pubblico per i costi sostenuti e/o conferiscono loro diritti di
esclusiva in cambio dell'assolvimento degli obblighi di servizio pubblico”
(art.1, paragrafo 2).
In proposito
si segnala che, ancorché la disposizione in esame operi un rinvio ai (soli)
“principi” di cui al regolamento CE 1370/2007, i regolamenti dell’Unione
europea – a differenza delle direttive che richiedono ordinariamente una
trasposizione in una fonte dell’ordinamento nazionale - sono di applicazione
generale in tutti i Paesi dell’Unione europea (UE), vincolanti in tutti i loro
elementi e direttamente applicabili.
Dalle
relazioni illustrativa e tecnica non è possibile evincere la ragione per la
quale la dotazione di sistemi elettronici per il conteggio dei passeggeri, ai
fini della determinazione delle matrici origine/destinazione, debba essere
prevista esclusivamente nei veicoli adibiti al trasporto pubblico locale e non
anche a quello regionale.
Il comma 3,
al fine di favorire il rinnovo del materiale rotabile, consente alle
imprese affidatarie del servizio di trasporto pubblico locale di ricorrere alla
locazione di materiale rotabile per il trasporto ferroviario e alla locazione
senza conducente di veicoli per il trasporto su gomma. In tale ultimo caso,
occorre che i veicoli abbiano un’anzianità non superiore ai 12 anni e che la
locazione abbia una durata pari o superiore ad un anno.
Il comma 4 demanda ai comuni la previsione, nell’ambito dei Piani urbani del traffico (Put), di iniziative per la diffusione di nuove tecnologie previste dal Piano nazionale di azione sui sistemi di trasporto intelligenti (ITS), fra cui l’allocazione di specifiche quote delle risorse messe a disposizione dall’Unione europea in investimenti in nuove tecnologie per il trasporto.
L’articolo 36 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (nuovo codice della strada) impone l’obbligo di adottare il Put ai comuni con popolazione residente superiore a trentamila abitanti, nonché ai comuni con popolazione inferiore, sulla base di un elenco predisposto dalla regione di appartenenza, qualora l’ente locale registri, anche in periodi dell'anno, una particolare affluenza turistica; risulti interessato da elevati fenomeni di pendolarismo; ovvero sia coinvolto nella soluzione di rilevanti problematiche derivanti da congestione della circolazione stradale[105].
Quanto al contenuto, il Put è volto a favorire il “miglioramento delle condizioni di circolazione e della sicurezza stradale, la riduzione degli inquinamenti acustico ed atmosferico ed il risparmio energetico, in accordo con gli strumenti urbanistici vigenti e con i piani di trasporto e nel rispetto dei valori ambientali”. Si segnala altresì, in stretta connessione con le disposizioni in commento, che la disciplina del Put già accorda priorità alle tecnologie di settore, demandando al Piano il ricorso “ad adeguati sistemi tecnologici, su base informatica di regolamentazione e controllo del traffico, nonché di verifica del rallentamento della velocità e di dissuasione della sosta, al fine anche di consentire modifiche ai flussi della circolazione stradale che si rendano necessarie in relazione agli obiettivi da perseguire”[106].
Con riferimento al richiamato Piano nazionale di
azione sui sistemi di trasporto intelligenti, esso è stato adottato con decreto
del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n.44 del 2014, sulla base
delle direttive ministeriali impartite ai sensi dell’art. 8, comma 9, del decreto-legge
18 ottobre 2012, n. 179 ("Ulteriori misure urgenti per la crescita del
Paese"), convertito, con modificazioni, dalla legge
17 dicembre 2012, n. 221. In particolare, il richiamato comma 9, “al fine di
assicurare la massima diffusione di sistemi di trasporto intelligenti sul
territorio nazionale, assicurandone l'efficienza, la razionalizzazione e
l'economicità di impiego e in funzione del quadro normativo comunitario di
riferimento”, demanda al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di
concerto con i Ministri competenti per materia, l’adozione delle direttive
contenenti i requisiti per la diffusione, la progettazione, la realizzazione
degli ITS, “per assicurare disponibilità di informazioni gratuite di base e
l'aggiornamento delle informazioni infrastrutturali e dei dati di traffico,
nonché le azioni per favorirne lo sviluppo sul territorio nazionale in modo
coordinato, integrato e coerente con le politiche e le attività in essere a
livello nazionale e comunitario”. Dette direttive sono state adottate con
decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il
Ministro dell’interno e il Ministro dell’istruzione, dell’università e della
ricerca del 1 febbraio 2013, n. 39 (recante la base metodologica ed operativa
per la definizione del piano nazionale per lo sviluppo dei sistemi ITS) e del
12 dicembre 2013, n.446 (che ha attribuito al Ministro delle infrastrutture il
compito di adottare il Piano nazionale stesso).
Il comma 5 dispone che i contratti di servizio che saranno stipulati dal 31 dicembre 2016 per il trasporto regionale e locale debbano disporre che gli oneri per il mantenimento e rinnovo del materiale rotabile e degli impianti, con esclusione delle manutenzioni straordinarie degli impianti e delle infrastrutture di proprietà pubblica, siano posti a carico delle imprese affidatarie. La disposizione stabilisce, altresì, che il mantenimento e il rinnovo siano effettuati sulla base di standard qualitativi e di innovazione tecnologica definiti dagli stessi enti affidanti, ove non ricorrano alla locazione senza conducente. Le imprese affidatarie sono inoltre vincolate, ai sensi dei citati contratti di servizio: a predisporre un Piano economico finanziario (PEF) in cui si preveda di destinare al rinnovo del materiale rotabile, mediante nuovi acquisti, locazioni a lungo termine e leasing, nonché ad investimenti in nuove tecnologie, una quota non inferiore al dieci per cento del corrispettivo contrattuale; ad attivare sistemi di bigliettazione elettronica sui mezzi immatricolati, sostenendone i relativi oneri.
Ai sensi del comma 6, gli enti che affidano i servizi di trasporto pubblico locale e regionale, in sede di stipula dei contratti di servizio successivi al 31 dicembre 2017, dovranno determinare le compensazioni economiche e i corrispettivi da porre a base d’asta sulla base dei costi standard (in applicazione del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di cui all’articolo 1, comma 84, della legge 27 dicembre 2013, n. 147) e degli indicatori programmatori ivi definiti con criteri di efficienza ed economicità. La norma specifica che compensazioni e corrispettivi sono definiti ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, e delle normative comunitarie sugli obblighi di servizio pubblico, in modo da tener conto della specificità del servizio e degli obiettivi degli enti locali sia in termini di programmazione dei servizi che di promozione dell’efficienza del settore.
Il costo standard
è, per quanto rileva in questa sede[107],
lo strumento per la determinazione del corrispettivo dovuto all’operatore del
servizio pubblico calcolato sulla base di un uso efficiente delle risorse, a
prescindere dal costo effettivamente sostenuto dall’operatore stesso (che
potrebbe ben essere superiore in presenza di una gestione inefficiente). L’art.
17 (Obblighi di servizio pubblico) del decreto legislativo n. 422 del 1997[108] dispone che le regioni e gli enti locali
definiscono, ai sensi della normativa comunitaria[109], obblighi di servizio pubblico, prevedendo nei
contratti di servizio le relative compensazioni economiche[110]
alle aziende affidatarie del servizio, determinate secondo il criterio dei
costi standard. Tale criterio “dovrà
essere osservato dagli enti affidanti nella quantificazione dei corrispettivi
da porre a base d'asta previsti nel bando di gara o nella lettera di invito
delle procedure concorsuali” per la scelta del gestore del servizio,
"tenendo conto (…) dei proventi derivanti dalle tariffe e di quelli
derivanti anche dalla eventuale gestione di servizi complementari alla
mobilità".
L’articolo 1, comma 84, della legge
n.147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014) demanda al decreto
del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (previa intesa in sede di
Conferenza unificata, la definizione dei costi standard dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale,
nonché dei criteri per l'aggiornamento e l'applicazione degli stessi. Il costo standard è determinato per unità di
servizio prodotta, espressa in chilometri, per le differenti modalità di
trasporto, in modo da assicurare un’uniformità a livello nazionale, che tenga
tuttavia conto di “fattori di contesto” (con particolare riferimento alle aree
a domanda debole), “della velocità commerciale, delle economie di scala, delle
tecnologie di produzione, dell'ammodernamento del materiale rotabile e di un
ragionevole margine di utile”.
Quanto al richiamo al rispetto delle normative
comunitarie relative agli obblighi di servizio, si segnala che il regolamento
(CE) n.1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo ai servizi
pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, all’articolo 4,
paragrafo 1, dispone che i contratti di servizio pubblico e le norme generali:
i) definiscano “con chiarezza, gli obblighi di servizio pubblico che
l'operatore del servizio pubblico deve assolvere e le zone geografiche
interessate”; ii) stabiliscano “in anticipo, in modo obiettivo e trasparente (…)
i parametri in base ai quali deve essere calcolata l'eventuale compensazione” e
“la natura e la portata degli eventuali diritti di esclusiva concessi (…) in
modo da impedire una compensazione eccessiva”; iii) definiscano “le modalità di
ripartizione dei costi connessi alla fornitura di servizi”.
Il comma 7 modifica l’art.19 del decreto legislativo n. 422 del 1997 nel modo seguente:
a) al comma 5, primo periodo, viene consentito di derogare all’obbligo di assicurare che i ricavi da traffico siano almeno pari al 35 per cento dei costi operativi (al netto dei costi di infrastruttura), demandando a tal fine ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Unificata, una eventuale ridefinizione della percentuale stessa al fine di tener conto del livello della domanda di trasporto e delle condizioni economiche e sociali;
b) viene abrogato il comma 6, che imponeva un adeguamento dei contratti di servizio in vigore alla data di entrata in vigore del decreto legislativo in occasione della prima revisione annuale.
Il comma 8 dispone che le disposizioni di cui al comma 7 si applichino a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto in esame. In altri termini, le disposizioni sulla deroga al rapporto pari al 35 per cento fra ricavi da traffico e costi operativi (così come sull’obbligo di conformarsi a tale rapporto nei casi in cui non si sia già provveduto) si applicheranno a partire dal 1° gennaio del prossimo anno[111].
Il comma 9 stabilisce che - nell’ottica di favorire la finalità di accrescere la quota dei costi coperta con i ricavi da traffico - le regioni e gli enti locali sono tenuti a modificare i sistemi tariffari e le tariffe tenendo anche conto “dei principi della semplificazione, dell’applicazione dell’ISEE, dei livelli di servizio e della media dei livelli tariffari europei, del corretto rapporto tra tariffa e abbonamenti ordinari, dell’integrazione tariffaria tra diverse modalità e gestori”. Tali modifiche riguardano sia i contratti di servizio stipulati successivamente all’adozione delle misure tariffarie, sia i contratti “in essere alla predetta data” (che si presume debba essere la data di adozione delle stesse misure tariffarie). In quest’ultimo caso, si dispone la riduzione del corrispettivo del medesimo contratto in misura pari al settanta per cento dell’incremento previsto dei ricavi da traffico conseguente alla variazione tariffaria, sempre che nel contratto di servizio non sia disposto altrimenti. L’aggiornamento dei livelli tariffari, così modificati, è effettuato sulla base delle misure emanate dall’Autorità di regolazione dei trasporti[112], ai sensi dell’articolo 37, comma 2, lettera b), del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Il comma 2, lettera
b), del decreto-legge
6 dicembre 2011, n. 201, demanda all’Autorità la definizione dei “criteri per
la fissazione da parte dei soggetti competenti delle tariffe, dei canoni, dei
pedaggi, tenendo conto dell'esigenza di assicurare l'equilibrio economico delle
imprese regolate, l'efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei
costi per gli utenti, le imprese, i consumatori”.
Ai sensi del comma 10, nei casi in cui i proventi tariffari non coprano i costi di gestione del servizio a domanda individuale[113], il gestore è tenuto ad esplicitare, nella carta dei servizi e nel sito istituzionale, in modo sintetico e chiaro, la percentuale del costo di erogazione del servizio posta a carico del bilancio dell’ente locale e finanziata dalla fiscalità locale.
Il comma 11 reca una norma di interpretazione autentica dell’articolo 18, comma 2, lettera a), quarto periodo, del decreto legislativo n. 422 del 1997. Quest’ultima disposizione prevede che l'esclusione dal divieto di partecipare alle gare per l’affidamento di servizi di trasporto recato al precedente periodo (riguardante le società destinatarie di affidamenti non conformi al combinato disposto degli articoli 5 e 8, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1370/2007[114] e la cui durata ecceda il termine del 3 dicembre 2019) non si applichi alle imprese affidatarie del servizio oggetto di procedura concorsuale. Ai sensi del comma in esame, l’esclusione deve intendersi circoscritta ai soli casi nei quali dette imprese concorrano all’affidamento del servizio già gestito, ovvero di un servizio avente caratteristiche qualitative, quantitative simili o che sia ricompreso nello stesso ambito territoriale dove già operano, fermo restando il divieto a partecipare a procedure “che affidano servizi con dimensioni economiche e geografiche su scala più ampia”.
Ai sensi del comma 12, sono fatte salve le modalità di affidamento diretto dei servizi di trasporto previste dal regolamento (CE) n. 1370/2007.
Ai sensi dell'art. 5 del regolamento richiamato
(Aggiudicazione di contratti di servizio pubblico), paragrafi 2, 4 e 6, la
possibilità di affidamento diretto è subordinata alla presenza di determinati
requisiti: l'affidamento deve avvenire a favore di un soggetto giuridicamente
distinto su cui l'autorità pubblica eserciti un controllo analogo a quello
esercitato sulle proprie strutture (si deve trattare cioè di una società in
house) e non ci deve essere un divieto da parte
del Legislatore nazionale. Gli affidamenti diretti sono sempre consentiti
(fatto salvo il divieto da parte del Legislatore nazionale) al di sotto di
determinate soglie di valore e dimensione del servizio. Possono essere,
inoltre, aggiudicati direttamente i contratti di servizio pubblico di trasporto
per ferrovia, fatta eccezione per tram e metropolitane per i quali vale la
disciplina generale[115].
Si riportano in questa sede le argomentazioni addotte del Consiglio di
Stato, nel parere espresso sul provvedimento in esame, in ordine alla necessità
di espungere dallo schema di decreto legislativo gli articoli 22, 23, 26, 27 e
35 disciplinanti aspetti specifici del settore del trasporto pubblico locale:
"Gli articoli all’esame, recanti variegate previsioni legislative – volte
alla rinnovazione/ammodernamento del parco automobilistico, all’introduzione di
sistemi elettronici per il conteggio dei passeggeri, alla diffusione di nuove
tecnologie in sede di definizione dei Piani urbani del traffico,
all’introduzione di nuovi parametri per il calcolo delle compensazioni
economiche degli obblighi di servizio pubblico, alla modificazione dei criteri
di riparto del Fondo per il concorso finanziario dello Stato al trasporto
pubblico locale, all’introduzione di misure di lotta all’evasione e di tutela
dell’utenza nel settore in questione, alla promozione di una pianificazione e
programmazione della mobilità sostenibile nelle aree urbane – intervengono in
modo disorganico, con disposizioni di dettaglio, su una serie di aspetti
specifici del settore del trasporto pubblico locale. A differenza dall’articolo
14 (Bacini e livelli adeguati dei servizi di trasporto pubblico locale e
regionale) – il quale, pur inerendo anch’esso alla materia dei trasporti
pubblici locali, trova ‘copertura’ nell’art. 19, lettere d) ed i), della legge
di delega – i menzionati articoli perseguono finalità estranee ad una riforma
organica della materia dei servizi pubblici locali e si presentano come ‘asistemici’ rispetto a un testo unico che tratta i servizi
pubblici locali nella loro disciplina generale. Infatti, le disposizioni recate
dagli articoli all’esame, in quanto specificamente concentrate su un singolo
settore, determinano uno squilibrio sistematico nel testo unico e sembrano
porsi in radicale contrasto con i principi e i criteri direttivi generali di
cui all’art. 16, comma 2, lettere a), b), c) e d), della legge di delega. Le
stesse sono, dunque, nel loro complesso incompatibili con la finalità di
procedere al riordino sistematico della disciplina della materia dei servizi
pubblici locali di rilevanza economica, sottesa alla delega legislativa. A ciò
si aggiunge che gli articoli de quibus si innestano in modo disarticolato su plessi
normativi preesistenti e si rivelano tecnicamente carenti, poiché danno luogo a
sovrapposizioni e difetti di coordinamento (così, negli articoli 23, comma 4, e
27 manca un coordinamento tra attribuzioni ministeriali e attribuzioni
dell’Autorità di regolazione dei trasporti) e ricorrono a tecniche legislative
contrastanti con le finalità di riordino e di risoluzione delle antinomie
enunciate nei criteri comuni per l’esercizio delle deleghe di semplificazione
(v., ad es., la norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 22, comma
11). La Commissione raccomanda di conseguenza l’espunzione degli articoli 22,
23, 26, 27 e 35 dal decreto legislativo".
Nel parere sullo schema di decreto legislativo in esame espresso dalla
Conferenza unificata si è dato conto delle considerazioni svolte dalla
Conferenza delle regioni, dall'ANCI e dall'UPI.
La Conferenza delle regioni - pur esprimendo condivisione, tra l'altro,
sulle disposizioni introdotte nello schema di testo unico in materia di
trasporto pubblico locale - suggerisce " l'opportunità, in considerazione
del parere espresso sul provvedimento dal Consiglio di Stato, di prevedere che
le disposizioni di cui all'articolo 23 possano trovare collocazione in un
autonomo provvedimento".
L'ANCI osserva come la scelta apprezzabile di procedere a una
regolazione organica e omogenea del settore del trasporto pubblico locale possa
tuttavia rappresentare un eccesso di delega rispetto ai principi e criteri
direttivi di cui all'art. 19 della legge n. 124 del 2015. Sottolinea, inoltre,
l'assenza, nello schema di testo unico, "del punto qualificante del cd. ddl Delrio in materia di
trasporto pubblico locale e cioè la stabilizzazione del Fondo" di cui
all'art. 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 135 del 2012[116]. "A tal
proposito, l'Associazione ritiene sia indispensabile, ai fini del rinnovo parco
autobus inquinanti nelle Città, l'attribuzione di misure di premialità
a favore delle Regioni che destinano una quota del fondo loro spettante al
trasporto pubblico su gomma e l'attribuzione di una parte del Fondo TPL
direttamente alle Città Metropolitane". Esprime, infine, apprezzamento per
le norme per l'innovazione del TPL di cui all'art. 22 in esame.
L'UPI evidenzia che le specifiche disposizioni settoriali sul TPL e sul
trasporto ferroviario regionale sono "di notevole impatto per il
sistema", e "il Governo e il Parlamento dovranno verificare
l'opportunità di mantenerle nel testo definitivo del decreto".
L’articolo 23 stabilisce i criteri per la
ripartizione del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli
oneri del trasporto pubblico locale. Detti criteri sono, tra l'altro volti,
a far sì che i servizi di trasporto pubblico locale e regionale siano affidati
con procedure ad evidenza pubblica, penalizzando le regioni e gli enti locali
che non procedano al loro tempestivo espletamento, nonché a incentivare il
perseguimento degli obiettivi di efficienza e di centralità dell’utenza
nell’erogazione del servizio.
Si rinvia all'illustrazione dell'art. 22 per le
argomentazioni addotte dal Consiglio di Stato in ordine alla necessità di
espungere dallo schema di decreto legislativo in esame l'art. 23 unitamente
agli articoli 22, 26, 27 e 35.
Come evidenziato nei considerata del parere reso dalla Conferenza unificata
sullo schema di decreto legislativo in esame, le Regioni "suggeriscono al
Governo l'opportunità, in considerazione del parere espresso sul provvedimento
dal Consiglio di Stato, di prevedere che le disposizioni di cui all'articolo 23
possano trovare collocazione in un autonomo provvedimento", manifestando
la loro disponibilità a partecipare a un gruppo di lavoro che elabori nuovi criteri di riparto del
Fondo per il trasporto pubblico locale.
Il comma 1 stabilisce che, a decorrere dal 2017, il riparto del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale (di cui all’articolo 16-bis, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135) è effettuato, entro il 30 giugno di ogni anno, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza unificata. Qualora detta intesa non sia raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta in cui l'oggetto è posto all'ordine del giorno, ai sensi dell’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 281 del 1997[117], il Consiglio dei Ministri può provvedere con deliberazione motivata.
Il Fondo per il finanziamento del trasporto pubblico
locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario è stato
inizialmente istituito dall'art.
21, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,
convertito, con modificazioni, dalla legge
15 luglio 2011, n. 111. Esso prevedeva che il Fondo, allocato presso il
Ministero dell'economia e delle finanze, avesse una dotazione iniziale pari a
400 milioni di euro, il cui utilizzo era escluso dai vincoli derivanti dal
Patto di stabilità.
L'art. 16-bis
del decreto-legge
6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge
7 agosto 2012, n. 135 (come risultante dalle modifiche introdotte dall'art.
1, comma 301, della legge 24 dicembre 2012, n. 228)
– che ha abrogato il richiamato comma 3 – prevede, al comma 1, che i criteri e
le modalità con cui ripartire fra le regioni a statuto ordinario le risorse del
Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del
trasporto pubblico locale anche ferroviario sono definiti con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri[118],
su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con
il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanarsi, ai sensi dell'art.
8 della legge n. 281 del 1997, d'intesa con la Conferenza unificata entro il 31
gennaio 2013.
Detti criteri sono volti a incentivare le regioni e
gli enti locali a razionalizzare e favorire un incremento dell’efficienza nella
programmazione e gestione dei servizi relativi al trasporto pubblico locale,
puntando su: un efficientamento dell’offerta di
servizio intesa a soddisfare la domanda di trasporto pubblico; un progressivo
incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi; una
progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda
e un corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda
elevata; la definizione di livelli occupazionali appropriati; la
predisposizione di strumenti di monitoraggio e di verifica[119].
Nel parere
espresso dalla Conferenza unificata è confluita la richiesta congiunta di ANCI
e UPI che una quota del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato
agli oneri del trasporto pubblico locale sia assegnata direttamente alle città metropolitane, "con criteri
che tengano conto anche della quota di domanda di mobilità riferita ai non residente
e non domiciliati (city users) e dell'offerta di
servizi di Trasporto Pubblico Locale su impianti fissi". ANCI e UPI
chiedono, altresì, che la quota assegnata alle città metropolitane sia
"riportata nei decreti di riparto del Fondo" di cui al comma 1
dell'articolo in esame, "nonché transitoriamente nel decreto di cui al
comma 2" dello stesso articolo.
Il comma 1 esplicita, inoltre, i seguenti criteri per il riparto del Fondo:
a)
il dieci
per cento dell’importo del Fondo viene assegnato sulla base dei proventi
complessivi da traffico e dell’incremento dei medesimi registrato, tra il 2015,
preso come anno base, e l’anno di riferimento, con rilevazione effettuata
dall’Osservatorio per il trasporto pubblico locale[120] (di cui all’articolo 1, comma 300, della legge 24 dicembre 2007, n. 244). La
percentuale è incrementata, negli anni successivi al primo, di un ulteriore
cinque per cento annuo fino a raggiungere il trenta per cento dell’importo del
predetto Fondo. La disposizione nel richiamare l’articolo 22, comma 7, lettera a), del provvedimento in esame fa sì che
in sede di distribuzione delle risorse sulla base dei criteri in esame si debba
tener conto della domanda di trasporto e delle condizioni economiche e sociali
secondo quanto sarà stabilito dal decreto del Ministro delle infrastrutture e
dei trasporti di cui al medesimo comma 7, lettera a).
Dalle relazioni illustrativa e tecnica non si evincono
le ragioni che hanno indotto ad individuare l'anno 2015 come base per la
valutazione dell’incremento dei proventi, e non invece una media, eventualmente
ponderata, di più annualità che avrebbe potuto assorbire eventuali effetti
esogeni circoscritti all' annualità di riferimento[121].
b)
per il
primo anno, il dieci per cento dell’importo del Fondo è assegnato in base al
criterio dei costi standard[122], secondo quanto stabilito dal decreto del Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti di cui all’articolo 1, comma 84, della legge 27 dicembre 2013, n. 147. La
percentuale è incrementata, negli anni successivi al primo, di un ulteriore
cinque per cento annuo fino a raggiungere il venti per cento dell’importo del
predetto Fondo.
L'art.
1, comma 84, della legge n.147 del 2013
(legge di stabilità per il 2014) - richiamato dalla disposizione in esame
- demanda a un decreto del Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa in sede di Conferenza
unificata, la definizione, entro il 31 marzo 2014, secondo criteri di
uniformità a livello nazionale, dei costi standard
dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale nonché i criteri per
l'aggiornamento e l'applicazione degli stessi. La citata disposizione
stabilisce altresì che nella “determinazione del costo standard per unità di
servizio prodotta, espressa in chilometri, per ciascuna modalità di trasporto,
si tiene conto dei fattori di contesto, con particolare riferimento alle aree
metropolitane e alle aree a domanda debole, della velocità commerciale, delle
economie di scala, delle tecnologie di produzione, dell'ammodernamento del
materiale rotabile e di un ragionevole margine di utile”.
c) la quota residuale del Fondo, dopo aver
dedotto le quote calcolate sulla base dei proventi da traffico (lettera a)) e dei costi standard (lettera b)), è
distribuita, il primo anno, sulla base della tabella 1 allegata al richiamato
DPCM 11 marzo 2013 (“Definizione dei criteri e delle modalità con cui ripartire
il Fondo nazionale per il concorso dello Stato agli oneri del trasporto
pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario”); a
partire dal secondo anno, la ripartizione sarà svolta sulla base dei livelli
adeguati di servizio di cui al comma 4.
Nel
primo anno di applicazione del riparto la quota residuale del Fondo sarà distribuita
secondo le percentuali di riparto basate sui livelli storici previsti nella
citata tabella 1[123].
Regione |
|
Abruzzo |
2,69% |
Basilicata |
1,55% |
Calabria |
4,31% |
Campania |
11,11% |
Emilia-Romagna |
7,35% |
Lazio |
11,68% |
Liguria |
4,09% |
Lombardia |
17,30% |
Marche |
2,18% |
Molise |
0,71% |
Piemonte |
9,84% |
Puglia |
8,10% |
Toscana |
8,81% |
Umbria |
2,03% |
Veneto |
8,24% |
Totale |
100,00% |
d)
è
prevista una penalizzazione in termini di riduzione delle risorse - in sede di
ripartizione delle risorse fra le regioni - nei casi in cui, entro il 31
dicembre dell’anno precedente a quello di riparto, i servizi di trasporto
pubblico locale e regionale non siano affidati con procedure di evidenza
pubblica ovvero non risulti pubblicato alla medesima data il bando di gara. La
medesima decurtazione è contemplata qualora siano bandite gare non conformi
alle misure adottate dall’Autorità di regolazione dei trasporti, qualora
bandite successivamente all’adozione delle predette misure, ai sensi
dell’articolo 37, comma 2, lettera f),
del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Si
rammenta che la lettera f) dell'art.
37, comma 2, del decreto-legge n. 201 del 2011
stabilisce che l’Autorità provvede a "definire gli schemi dei bandi delle
gare per l'assegnazione dei servizi di trasporto in esclusiva e delle
convenzioni da inserire nei capitolati delle medesime gare e a stabilire i
criteri per la nomina delle commissioni aggiudicatrici; con riferimento al
trasporto ferroviario regionale, l'Autorità verifica che nei relativi bandi di
gara non sussistano condizioni discriminatorie o che impediscano l'accesso al
mercato a concorrenti potenziali e specificamente che la disponibilità del
materiale rotabile già al momento della gara non costituisca un requisito per
la partecipazione ovvero un fattore di discriminazione tra le imprese
partecipanti. In questi casi, all'impresa aggiudicataria è concesso un tempo
massimo di diciotto mesi, decorrenti dall'aggiudicazione definitiva, per
l'acquisizione del materiale rotabile indispensabile per lo svolgimento del
servizio".
Essa è
oggetto di modifiche da parte dell'art. 17, comma 1, del provvedimento in esame
(al quale si rinvia). Tali modifiche sono, tra l'altro, dirette a conferire
all'Autorità competenze specifiche in relazione ai contratti di servizio
stipulati con società affidatarie in house del servizio di TPL.
La
disposizione in esame non si applica ai contratti vigenti al 31 dicembre 2015
(per tutto il periodo della loro vigenza), a condizione che siano affidati in
conformità alle disposizioni di cui al regolamento (CE) n. 1370/2007.
Con detta
precisazione, si prevede di non penalizzare gli affidamenti diretti alle
società in house
che siano vigenti al 31 dicembre 2015, considerato che il citato
regolamento, all’art. 5[124],
consente detta forma di affidamento.
La
riduzione in sede di riparto è pari al quindici per cento del valore dei
corrispettivi dei contratti di servizio non affidati secondo le previste
procedure.
La
disciplina recata alla lettera d) interviene
ai fini di incentivare, a regime, l’affidamento con procedura ad evidenza
pubblica, attraverso una penalizzazione economica a forme di affidamento
diretto a società in house,
nonché di promuovere il rispetto delle misure adottate dall’Autorità di
regolazione dei trasporti in materia di estensione dei bacini di gara, schemi
di bandi di gara e convenzioni da inserire nei capitolati di gara, nomina delle
commissioni aggiudicatrici, contratti di servizio stipulati con società
affidatarie in house
del servizio di TPL, insussistenza di condizioni discriminatorie nei bandi di
gara relativi al trasporto ferroviario regionale.
e)
è
introdotta una clausola volta a far sì che, a seguito del riparto delle risorse
del Fondo, nessuna regione possa essere penalizzata per una quota complessiva
che ecceda il 5 per cento delle risorse ricevute nell’anno precedente.
E’,
altresì, stabilito che l'importo derivante da tali riduzioni "è versato
all’entrata del bilancio dello Stato, per essere assegnato al Fondo di cui all’articolo
1, comma 866, della legge 28 dicembre 2015 n. 208”.
Il Fondo richiamato, cui destinare i risparmi
conseguenti alle riduzioni dei trasferimenti per il trasporto pubblico, è
quello istituito ai sensi del comma 866 dell’articolo unico della legge di
stabilità per il 2016, presso il Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti, finalizzato all’acquisto, diretto o tramite società specializzate,
nonché alla riqualificazione elettrica o al noleggio dei mezzi adibiti al
trasporto pubblico locale e regionale, al fine di assicurare il concorso dello
Stato al “raggiungimento degli standard europei del parco mezzi destinato al
trasporto pubblico locale e regionale, e in particolare per l'accessibilità per
persone a mobilità ridotta".
Il tenore della disposizione di cui al
comma 1, lettera e), secondo periodo, lascerebbe intendere che la somma dei
minori finanziamenti ricevuti da ciascuna regione per il trasporto pubblico
rispetto all'anno precedente sia destinata al citato Fondo di cui all'art. 1,
comma 866, della legge n. 208 del 2015. Ciò sembra presupporre un’invarianza
delle risorse del Fondo per il concorso finanziario dello Stato al trasporto
pubblico, tuttavia non prevista esplicitamente nel provvedimento. Nell’ipotesi
che gli importi complessivi del Fondo si riducano da un anno all'altro, tale
disposizione, nell’attuale formulazione, sembra in effetti presupporre l'esigenza
di individuare comunque risorse aggiuntive (rispetto a quelle di volta in volta
stanziate nell'ambito del medesimo Fondo) da destinare al fondo di cui alla
legge n.208 del 2015. Tale esigenza non sussisterebbe solo qualora il
riferimento alle “riduzioni”, attualmente recato nel testo, sia riferito esclusivamente
alle minori entrate derivanti dall’applicazione del criterio di riparto di cui
alla lettera d) - che prevede
una penalizzazione pari al 15 per cento del valore dei corrispettivi dei
contratti di servizio non affidati con procedure ad evidenza pubblica ovvero
per i quali non risulti pubblicato il bando di gara alla data del 31 dicembre
2015, ovvero, ancora, le cui gare siano state espletate in violazione delle
misure adottate dall'ART ai sensi dell'art. 37, comma 2, lett.
f), del decreto-legge n. 201 del 2011, come modificato dall'art. 17, comma 1,
del provvedimento in esame – atteso che tali risparmi sono generati a prescindere
dall’invarianza complessiva del Fondo.
f)
si
prevede infine che le regioni a statuto speciale e le province autonome di
Trento e di Bolzano assumano gli atti necessari a conformarsi entro il 31
dicembre dell’anno successivo alla data di entrata in vigore del presente
decreto ai criteri di razionalizzazione contemplati nello schema di decreto in
esame, in attuazione del principio di leale cooperazione e nel rispetto dei
relativi statuti.
Al riguardo, si segnala che già
l’articolo 1, comma 3, contiene una clausola di salvaguardia per l'applicazione
delle disposizioni del decreto legislativo nelle regioni a statuto speciale e
nelle province autonome di Trento e di Bolzano. Esso prevede che l'applicazione
avrà luogo compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di
attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3. In detto comma si prevede che, laddove necessario, le regioni a statuto
speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvederanno ad adeguare
i rispettivi ordinamenti e norme di attuazione al decreto in esame entro sei
mesi, che si presume siano da considerare dalla data dell’entrata in vigore
dello schema di decreto legislativo in esame[125].
Si valuti l’opportunità di operare un
coordinamento con detta disposizione anche con riferimento al termine ivi
previsto per l’adeguamento degli statuti e delle relative norme di attuazione,
pari a sei mesi dall’entrata in vigore del provvedimento, mentre con specifico
riferimento al trasporto pubblico il termine per l' adeguamento è fissato al 31
dicembre 2017.
Il comma 2 stabilisce che, in attesa dell’adozione del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di riparto del Fondo di cui al comma 1, una quota pari all’80 per cento delle risorse del Fondo è ripartita (con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia) tra le regioni, a titolo di anticipazione, ed erogata con una cadenza mensile. La ripartizione dell’anticipazione è formulata sulla base delle quote attribuite a ciascuna regione l’anno precedente.
Ai sensi del comma 3, allo scopo di poter disporre di dati istruttori uniformi, le amministrazioni competenti si avvalgono dell’Osservatorio per il trasporto pubblico locale[126] (di cui all’articolo 1, comma 300, della legge 24 dicembre 2007, n. 244) per l’acquisizione dei dati economici, finanziari e tecnici, relativi ai servizi di trasporto pubblico espletati, indispensabili per lo svolgimento di indagini e approfondimenti, i cui esiti sono funzionali all’attività di pianificazione e monitoraggio. Le amministrazioni sono a tal fine tenute a trasmettere, con cadenza semestrale, all’Osservatorio indicazioni sulla tipologia dei dati da acquisire dalle aziende che gestiscono il servizio di trasporto pubblico.
Il comma 4 demanda alle regioni a statuto ordinario la definizione dei livelli adeguati dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale automobilistico e ferroviario, che, ai sensi del comma 1, lettera c), rappresentano un parametro per il riparto del Fondo a partire dal secondo anno dall’entrata in vigore dello schema di decreto. Le regioni sono chiamate ad operare sulla base dei criteri che saranno introdotti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e previa intesa in Conferenza sede di unificata, da adottare entro novanta giorni dall’entrata in vigore dello schema di decreto in esame. La determinazione dei livelli adeguati dei servizi di trasporto pubblico dovrà avvenire tenendo presente il perseguimento di obiettivi di soddisfazione della domanda di mobilità, nonché l’esigenza di evitare duplicazioni di servizi sulle stesse direttrici e di assicurare l’applicazione delle disposizioni relative al riordino dei servizi automobilistici sostitutivi o integrativi dei servizi ferroviari di interesse regionale e locale (articolo 34-octies del decreto-legge n.179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.221 del 2012)[127], privilegiando soluzioni innovative e più economiche per la fornitura di servizi di mobilità nelle aree a domanda debole, “quali scelte di sostituzione modale”. Le regioni sono tenute a provvedere entro e non oltre centoventi giorni dall’adozione del decreto ministeriale, avendo al contempo cura di procedere ad una riprogrammazione dei servizi anche attraverso una revisione del piano di cui all’articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012[128].
Nel caso in cui le regioni non provvedano nel termine indicato, il Governo può esercitare il potere sostitutivo ai sensi dell’articolo 8 della legge n. 131 del 2003 (“Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”).
La citata disposizione disciplina l’esercizio del
potere sostitutivo di cui all’articolo 120 della Costituzione[129]
da parte del Governo nei confronti delle regioni e degli enti locali. Si
prevede, in particolare, che il Presidente del Consiglio dei ministri, su
proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni
o degli enti locali, assegni all'ente interessato un congruo termine per
adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso infruttuosamente tale
termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta
del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i
provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito
commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri è invitato a partecipare
il Presidente della Giunta della Regione interessata al provvedimento.
Il comma 5 abroga, con decorrenza dal 1° gennaio dell’anno successivo alla data di entrata in vigore dello schema in esame, le disposizioni di cui ai commi 3 (relative all’adozione del DPCM recante criteri e modalità di riparto del Fondo), 5 (recante modalità di riparto annuale) e 6 (riguardante l’anticipazione di una quota del Fondo alle regioni in attesa del riparto) dell’articolo 16-bis del citato decreto-legge n.95 del 2012, in funzione di coordinamento con le disposizioni dettate dall’articolo in esame proprio nei medesimi ambiti, che, peraltro, almeno in parte, ne recepiscono il contenuto.
Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2013 perde efficacia a decorrere dallo stesso 1° gennaio, conservandola esclusivamente “ai fini di cui alla lettera d) del comma 1 e ai fini del comma 9[130] del predetto articolo 16-bis”[131].
Al riguardo,
si ritiene che il riferimento al comma 1, lettera d), debba
essere corretto con quello alla lettera c) che opera un richiamo alla tabella 1 allegata al citato decreto[132].
Sempre al fine di assicurare il coordinamento con la normativa vigente, si dispone - a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo alla data di entrata in vigore dello schema in esame - al comma 4, primo periodo, dell’articolo 16-bis del decreto-legge n.95 del 2012, la soppressione di ogni rifermento al decreto di cui al comma 3 dello stesso articolo 16-bis, comma di cui – come si è detto – si dispone l’abrogazione.
Per le stesse
ragioni, si valuti l'opportunità di sopprimere gli altri richiami all’abrogando
comma 3 contenuti nel testo (commi 8 e comma 9).
Articolo 24
(Carta dei servizi)
L’articolo 24 prevede
l’obbligo, per il gestore, di rendere
pubblica, anche a mezzo del proprio sito internet e di altri strumenti telematici disponibili, la versione aggiornata della carta dei servizi,
nella quale, oltre a quanto stabilito nel contratto di servizio in ordine alla
disciplina dei rapporti con l'utenza, sono indicati: i) le informazioni che consentono all'utente di conoscere le
principali voci di costo coperte dalla tariffa, con distinta indicazione delle
componenti di costo dipendenti dalle capacità gestionali dell'erogatore e di
quelle influenzate da fattori esogeni; ii)
i diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei
confronti dei gestori del servizio (comma
1).
Al fine di tutelare i diritti dei consumatori e degli utenti dei servizi
pubblici locali di interesse economico generale e di garantire la qualità,
l'universalità e l'economicità delle relative prestazioni, il comma 2 dispone che le Autorità di
regolazione e ogni altra amministrazione pubblica dotata di competenze di
regolazione sui servizi pubblici locali definiscano i diritti di cui al comma
1, con particolare riguardo alle seguenti previsioni:
a)
previsione
dell’obbligo, per il soggetto gestore, di emanare una «Carta della qualità dei
servizi», da redigere e pubblicizzare in conformità a intese con le
associazioni di tutela dei consumatori e con le associazioni imprenditoriali
interessate, che rechi i seguenti contenuti: gli standard di qualità e di quantità relativi alle prestazioni erogate
così come determinati nel contratto di servizio; le modalità di accesso alle
informazioni garantite, quelle per proporre reclamo e quelle per adire le vie
conciliative e giudiziarie; le modalità di ristoro dell’utenza, in forma
specifica o mediante restituzione totale o parziale del corrispettivo versato,
in caso di inottemperanza;
b)
previsione
di strumenti di risoluzione delle controversie insorte fra gestori e utenti del
servizi, alternativi a quella della giustizia ordinaria;
c)
consultazione
obbligatoria delle associazioni dei consumatori;
d)
previsione
che si proceda a verifica periodica - con la partecipazione delle associazioni
dei consumatori - dell'adeguatezza dei parametri quantitativi e qualitativi del
servizio fissati nel contratto di servizio alle esigenze dell’utenza, ferma
restando la possibilità per il singolo cittadino di presentare osservazioni e
proposte in merito;
e)
previsione
di un sistema di monitoraggio permanente del rispetto dei parametri fissati nel
contratto di servizio e di quanto stabilito nelle carte della qualità dei
servizi, svolto sotto la diretta responsabilità dell’ente locale o dell’ambito
territoriale ottimale, con la partecipazione delle associazioni dei
consumatori, aperto alla ricezione di osservazioni e proposte da parte dei
singoli cittadini, che possono rivolgersi, a tal fine, all’ente locale, ai
gestori dei servizi ovvero alle associazioni dei consumatori;
f)
istituzione
di una sessione annuale di verifica del funzionamento dei servizi, alla quale
partecipino l'ente locale, i gestori dei servizi e le associazioni dei
consumatori e nella quale vengano presi in considerazione i reclami e le
proposte e osservazioni pervenute a ciascuno dei soggetti partecipanti da parte
dei cittadini.
Al riguardo, si invita a valutare
l'opportunità di sostituire il termine "ente locale" con quello di
"ente affidante", al fine di tener conto di casi in cui non vi sia
corrispondenza ente affidante del servizio pubblico ed ente locale.
g)
previsione
che le attività di cui alle lettere b),
c) e d) siano finanziate con un prelievo a carico dei soggetti gestori
del servizio, predeterminato nel contratto di servizio per l’intera durata del
contratto stesso.
Si dà conto, nella illustrazione che
segue, del fatto che il riferimento alle lettere b),
c) e d) deve intendersi come riferimento
alle lettere c), d) ed e).
Viene fatto salvo quanto previsto dal codice del consumo, di cui dal decreto legislativo n. 206 del 2005, e dalla legge n. 287 del 1990 ("Norme per la tutela della concorrenza e del mercato").
Le carte dei servizi Il primo riordino della disciplina delle carte
dei servizi pubblici è stato effettuato dall'art. 2 del decreto-legge n. 163 del
1995, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 273
del 1995, il quale prevedeva che, con decreti del Presidente del Consiglio
dei ministri, fossero adottati schemi generali di riferimento di carte di
servizi pubblici per determinati settori (Sanità; Assistenza e previdenza
sociale; Istruzione; Comunicazioni; Trasporti; Energia elettrica; Acqua;
Gas), nonché per eventuali altri settori individuati con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri. Sulla base di detti schemi le carte
dei servizi pubblici sarebbero state predisposte dal Dipartimento della
funzione pubblica d'intesa con le amministrazioni interessate. Gli enti
erogatori di servizi pubblici avrebbero, conseguentemente, proceduto ad
adottare le rispettive carte dei servizi, dandone adeguata pubblicità agli
utenti e comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica. Il richiamato art. 2 teneva conto, tra l'altro,
della direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri del 27 gennaio
1994, recante "Principi sull'erogazione dei
servizi pubblici" (cd. "direttiva Ciampi"), nella quale
venivano fissati i principi cui avrebbe dovuto
progressivamente essere uniformata l'erogazione dei servizi pubblici. Il richiamato art. 2 è stato abrogato dall’art.
11 del decreto legislativo n. 286 del 1999, il quale faceva
contestualmente salvi i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri
recanti gli schemi generali di riferimento per le carte di servizi pubblici
già emanati. Ai sensi dello stesso art. 11, veniva posto l’obbligo, per gli
enti erogatori di servizi pubblici nazionali e locali, di rispettare, nella
fornitura dei servizi, i parametri qualitativi determinati nelle carte dei
servizi. In particolare, il comma 2 dell'art. 11, come modificato dal decreto legislativo n. 150 del 2009,
prevedeva che le modalità di definizione, adozione e pubblicizzazione degli standard di qualità, i casi e le
modalità di adozione delle carte dei servizi, i criteri di misurazione della
qualità dei servizi, le condizioni di tutela degli utenti, nonché i casi e le
modalità di indennizzo automatico e forfettario all'utenza per mancato
rispetto degli standard di qualità
fossero stabiliti con direttive, aggiornabili annualmente, del Presidente del
Consiglio dei Ministri, su proposta della Commissione per la valutazione, la
trasparenza e l'integrità nelle amministrazioni pubbliche (Civit)[133].
Per quanto riguardava i servizi erogati direttamente o indirettamente dalle regioni e dagli enti locali, si
sarebbe provveduto con atti di indirizzo e coordinamento adottati d'intesa
con la Conferenza unificata, su proposta della stessa Civit.
L'art. 19, commi 12 e 13, del decreto-legge n. 190 del 2014,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, ha abrogato
alcune disposizioni relative alle funzioni dell’Anac
in materia di qualità dei servizi pubblici, tra le quali l’art. 13, comma 7,
del decreto legislativo n. 150 del 2013,
il quale attribuiva all’Anac il coordinamento, il
supporto operativo e il monitoraggio delle attività relative alla qualità dei
servizi pubblici, nonché il richiamato art.
11, comma 2, del decreto legislativo n. 286 del 1999.
Lo stesso art. 19, al comma 9, ha disposto che - al
fine di concentrare l'attività dell'Anac sui
compiti di trasparenza e di prevenzione della corruzione nelle pubbliche
amministrazioni - venissero trasferite al Dipartimento della funzione
pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri alcune funzioni
precedentemente attribuite alla Civit (poi Anac), tra cui quella di adottare le "linee guida
per la definizione degli Strumenti per la qualità dei servizi pubblici",
ai sensi di quanto disposto dall'art. 13, comma 6, lett.
f), del decreto
legislativo n. 150 del 2009. In materia
di erogazione dei servizi pubblici, l'art. 101 del codice del consumo di cui
al decreto legislativo n. 206 del 2005
prevede che: detta erogazione si svolga nel rispetto di standard di qualità predeterminati e adeguatamente resi pubblici;
agli utenti sia garantita, attraverso forme
rappresentative, la partecipazione alle procedure di definizione e di
valutazione degli standard di
qualità previsti dalle leggi; la legge stabilisca, per determinati enti
erogatori di servizi pubblici, l'obbligo di adottare, attraverso specifici
meccanismi di attuazione diversificati in relazione ai settori, apposite
carte dei servizi. In riferimento ai servizi pubblici locali è intervenuto, successivamente, l’art.
2, comma 461, della legge n. 244 del 2007 (legge
finanziaria per il 2008)[134],
che - al fine di tutelare i diritti dei consumatori e degli utenti dei
servizi pubblici locali e di garantire la qualità, l'universalità e
l'economicità delle relative prestazioni - dispone che gli enti locali, in
sede di stipula dei contratti di servizio, siano tenuti ad applicare le
stesse disposizioni che il comma 2 dell'articolo in esame
riprende alle lettere a) e da c) a g). L'art. 8 del decreto-legge n. 1 del 2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 27 del 2012 (oggetto di abrogazione da parte dell'art. 38 del
testo unico in esame), disciplinando il
contenuto delle carte dei servizi, dispone, al comma 1, che le carte di servizio indichino
in modo specifico i diritti, anche di
natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei
gestori dei servizi pubblici, anche locali, nonché dei gestori di un’infrastruttura necessaria per l’esercizio di
attività di impresa o per l'esercizio di un diritto della persona
costituzionalmente garantito. Al riguardo, si rammenta che la disciplina
della class action
(introdotta nel codice del consumo dalla citata legge
n. 244 del 2007, con l'inserimento dell'art. 140-bis), prevede che, in caso di
accoglimento di un’azione di classe proposta nei confronti di gestori di
servizi pubblici o di pubblica utilità, il tribunale tenga conto di quanto
riconosciuto in favore degli utenti e dei consumatori danneggiati nelle
relative carte dei servizi eventualmente emanate (art. 140-bis, comma
12). Il citato art. 8 del decreto-legge n. 1 del 2012,
al comma 2, affida alle Autorità indipendenti di
regolazione, per i settori in cui sono state istituite, nonché ad ogni altro ente pubblico, anche territoriale, dotato di competenze di regolazione sui servizi pubblici, ivi compresi quelli locali, la
definizione del contenuto degli specifici diritti di cui al comma 1 dello
stesso art. 8. Obiettivo della disposizione è quello di tutelare i diritti dei consumatori e degli
utenti dei servizi pubblici locali e di garantire la qualità, l’universalità e l’economicità delle relative
prestazioni. Lo stesso comma
fa salve le ulteriori garanzie che le imprese che gestiscono il servizio o
l’infrastruttura definiscano in via autonoma. Al fine di dare seguito alle
richiamate disposizioni di cui all'art. 2, comma 461, della legge n. 244 del 2007 e all'art. 8 del decreto-legge n. 1 del 2012, in sede di Conferenza
unificata è stato sancito l'Accordo 26/09/2013, n. 94/CU, sulle Linee guida relative ai criteri da
applicare per individuare i principi e gli elementi minimi da inserire nei
contratti di servizio e nelle carte di qualità dei servizi pubblici locali,
con particolare riferimento al ruolo delle Associazioni dei consumatori. L'obiettivo dell'Accordo - come dichiarato nella premessa delle Linee guida - è quello di diffondere in modo omogeneo in tutti i Comuni e in tutte le Province l'applicazione dell'art. 2, comma 461, della legge n. 244 del 2007, "norma di settore da anni parzialmente disattesa". Le Linee guida si pongono, tuttavia, su un livello generale di indirizzo, senza assumere alcun carattere di obbligatorietà, e le specifiche misure restano oggetto di esclusiva e autonoma competenza della regione o dell'ente locale in fase di contrattazione con le aziende. |
Nell'articolo in esame confluiscono le disposizioni
dell'art. 8 del decreto-legge n. 1 del 2012 e dell'art. 2, comma 461, della legge n. 244 del 2007, citate nella scheda
di approfondimento su "Le carte dei servizi".
In particolare, si richiama
l'attenzione sulle seguenti disposizioni parzialmente innovative:
· l'obbligo,
per il gestore, di rendere pubblica, anche a mezzo del proprio sito internet e di altri strumenti telematici
disponibili, la versione aggiornata della carta dei servizi offerti all'utenza
(la definizione delle modalità di pubblicizzazione erano in precedenza
demandate a una direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri);
· l'obbligo di indicare nelle carte dei servizi - oltre
a quanto già previsto nel contratto di servizio relativamente alle disposizioni
che disciplinano i rapporti con l'utenza - anche le informazioni che consentano
all'utente di conoscere le principali voci di costo coperte dalla tariffa, con
distinta indicazione delle componenti di costo dipendenti dalle capacità
gestionali dell'erogatore e di quelle influenzate da fattori esogeni;
· tra i diritti
che le Autorità di regolazione e ogni altra amministrazione pubblica dotata di
competenze di regolazione sui servizi pubblici locali sono tenute a definire,
oltre a essere riprodotte le disposizioni impartite agli enti locali ai sensi
del citato art. 2, comma 461, viene aggiunta la "previsione di strumenti
di risoluzione delle controversie insorte fra gestori ed utenti del servizi,
alternative a quella della giustizia ordinaria" (comma 2, lett. b),
dell'articolo in esame).
Al riguardo, si osserva che già la lettera a) dello stesso comma 2 include tra i
contenuti obbligatori delle carte della qualità dei servizi le modalità
"per adire le vie conciliative e giudiziarie".
Come già
evidenziato in sede di illustrazione dell'art. 12, l'art. 30 della legge n. 69 del 2009 ha
previsto che le carte dei servizi dei soggetti pubblici e privati che erogano
servizi pubblici o di pubblica utilità contengano la previsione della
possibilità, per l'utente o per la categoria di utenti che lamenti la
violazione di un diritto o di un interesse giuridico rilevante, di promuovere
la risoluzione non giurisdizionale della controversia, che deve avvenire entro
i trenta giorni successivi alla richiesta; le carte devono prevedere, inoltre,
l'eventuale ricorso a meccanismi di sostituzione dell'amministrazione o del
soggetto inadempiente.
In
proposito, si rammenta, altresì, che l'Accordo sancito in sede di Conferenza
unificata richiamato nella scheda di approfondimento di cui all'articolo in
esame poneva, tra i contenuti minimi da inserire nei contratti e nelle carte di
servizio, un sistema di risoluzione delle controversie e di indennizzo
automatico. In particolare proponeva di realizzare un sistema snello, celere e
minimamente oneroso di risoluzione non giurisdizionale delle controversie fra
gestori e utenti, in relazione al quale veniva allegato alle Linee guida uno
schema tipo di Protocollo di intesa sulla conciliazione paritetica tra Comune,
Azienda e Associazioni dei consumatori, recante un regolamento di conciliazione
redatto in conformità alle raccomandazioni della Commissione europea.
Sulla
risoluzione extragiudiziale delle controversie, si rinvia anche
all'illustrazione dell'art. 28 dello schema di testo unico in esame.
All'articolo in esame, comma 2, si
osserva che dell'inserimento della lettera b) nell'elenco mutuato dal citato
art. 2, comma 461, pare non essersi tenuto conto nella formulazione della
successiva lettera g), recante
previsione "che le attività di cui alle lettere b), c) e d) siano
finanziate con un prelievo a carico dei soggetti gestori del servizio". Dovrebbe, infatti, trattarsi delle attività
di cui alle lettere c), d) ed e), corrispondenti alle lettere b), c) e d) del comma 461 (consultazione
delle associazioni dei consumatori; verifica dell’adeguatezza dei parametri
quantitativi e qualitativi del servizio erogato; sistema di monitoraggio
permanente del rispetto dei parametri fissati nel contratto di servizio).
Con l'attuale formulazione le attività di
cui alla lettera e) dovrebbero
trovare una specifica fonte di finanziamento non prevista nel testo.
Si osserva, infine, che l'unificazione nel comma 2 dell'articolo
in esame delle disposizioni di cui all'art.
2, comma 461, della legge n. 244 del 2007
e di quelle di cui all'art.
8, comma 2, del decreto-legge n. 1 del 2012
produce l'effetto di demandare alle Autorità indipendenti di regolazione e alle
altre amministrazioni pubbliche dotate di competenze di regolazione sui servizi
pubblici locali anche la definizione dei diritti di cui alle lettere a) e da c) a g) dello stesso
comma 2, diritti che, sulla base del più volte citato art. 2, comma 461, gli
enti locali erano tenuti a prevedere ex lege nei contratti di servizio.
L’articolo 25, in materia di tariffe, prevede che -
fatte salve le competenze delle autorità di regolazione e le speciali norme di
settore - gli enti affidanti definiscano le tariffe dei servizi in misura tale
da assicurare l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della
gestione, nonché il perseguimento di recuperi di efficienza che consentano la
riduzione dei costi a carico della collettività, in armonia con gli obiettivi
di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse, e
tenendo conto della legislazione nazionale ed europea in materia (comma 1).
Il calcolo della
tariffa, sempre ai sensi del comma 1, è improntato a specifici criteri: a) correlazione tra costi standard e ricavi, in modo da assicurare
l'equilibrio economico-finanziario della gestione; b) equilibrato rapporto tra finanziamenti raccolti e capitale
investito; c) entità dei costi di
gestione delle opere, tenendo conto anche degli investimenti e della qualità
del servizio; d) adeguatezza della
remunerazione del capitale investito, sulla base delle prevalenti condizioni di
mercato.
Rispetto all'art. 117, comma
1, del Tuel - oggetto di abrogazione da parte
dell'art. 38 e il cui contenuto in gran parte confluisce nel comma in esame - si
dispone che il principio
dell’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della gestione - che
deve indirizzare gli enti affidanti nella determinazione delle tariffe dei
servizi - non sia disgiunto dal perseguimento di regimi produttivi che
consentano la riduzione dei costi a carico della collettività, in
armonia con gli obiettivi di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso
efficiente delle risorse, e tenendo conto della legislazione nazionale e
comunitaria in materia[135].
Inoltre, sono riprodotti i
criteri di calcolo della tariffa di cui alle lettere b), c) e d) del
richiamato art. 117, comma 1, del Tuel. Quanto alla lettera a), riguardante la corrispondenza tra
ricavi e consti, si rileva l'introduzione del concetto di costo standard come elemento che, assieme al
ricavo, concorre alla definizione dell'equilibrio-finanziario della gestione.
Con riferimento alla lettera a) del comma 1, il
Consiglio di Stato, nel parere reso sullo schema di decreto legislativo in
esame, suggerisce
"di inserire un riferimento espresso all’elemento del canone di cui
all’art. 9, comma 6, che, nei servizi a rete, costituisce un costo per il
gestore del servizio e/o della rete".
Gli enti affidanti possono prevedere tariffe
agevolate per specifiche categorie di utenti in condizione di disagio economico
o sociale o diversamente abili, provvedendo alla relativa compensazione in
favore dei gestori (comma 2).
Si rammenta che l'art. 60 della legge n. 221 del 2015
(collegato ambientale) reca disciplina della tariffa sociale nel settore del
servizio idrico: in particolare, viene prescritto all'Autorità per l'energia
elettrica, il gas e il sistema idrico, al fine di garantire l'accesso
universale all'acqua, di assicurare, agli utenti domestici del servizio idrico
integrato in condizioni economico-sociali disagiate, l'accesso, a condizioni
agevolate, alla fornitura della quantità di acqua necessaria per il
soddisfacimento dei bisogni fondamentali, sulla base di princìpi e criteri
individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
Il comma 3
dispone che - allo scopo di conseguire il graduale
miglioramento della qualità e della efficienza dei servizi - le modalità di
aggiornamento siano conformi al metodo
denominato “price-cap”.
Il price cap è un metodo di regolamentazione, ampiamente diffuso
nel settore dei servizi di pubblica utilità, del tasso di crescita del prezzo
riferito all'erogazione di un dato servizio pubblico. Esso prevede che
l'autorità di regolazione indichi un "limite massimo della variazione del
prezzo" del servizio pubblico "vincolata per un dato periodo
pluriennale" (art. 2, comma 18, della legge n. 481 del 1995, recante
"Norme per la concorrenza e la
regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione
dei servizi di pubblica utilità"). La regolazione con detto metodo
è volta a evitare che le imprese abbiano diritto a tassi di rendimento
prestabiliti a prescindere da aumenti di efficienza e dalla minimizzazione dei
costi di produzione.
Al riguardo, è utile rammentare le considerazioni
presenti nell'Accordo sancito in sede di Conferenza unificata in data 26
settembre 2013 (già richiamato nella illustrazione dell'art. 24), nel quale, a
proposito della copertura dei costi dei servizi, individuata quale contenuto
minimo dei contratti di servizio e delle carte della qualità dei servizi, si
asserisce:
"Nei settori dove è presente un'Autorità di
regolazione o un'Autorità d'ambito la tariffa è prevalentemente: stabilita
dalla prima, ovvero da quest'ultima sulla base dei criteri e della metodologia
definiti dalla prima, ovvero, sulla base di tali criteri, è approvata
dall'Autorità di regolazione competente sulla base delle proposte predisposte
dalle Autorità d'ambito. Laddove, invece, non sia prevista alcuna Autorità di
regolazione si propone, almeno per i servizi di natura industriale, il sistema
di price cap,
con un meccanismo di dinamica tariffaria incentivante l'efficienza, che possa
riconoscere elementi premiali in corrispondenza di miglioramenti qualitativi o
quantitativi del servizio rispetto agli standard previsti. Per il settore del
trasporto pubblico locale (TPL), ad esempio, fatte salve le future
determinazioni della competente autorità di regolazione[136],
per le aziende che dimostrino di offrire un servizio migliore rispetto agli
standard di qualità minimi previsti dalle Carte dei Servizi potrebbero essere
previste dinamiche tariffarie migliorative (considerando che i costi dei
servizi sono coperti al 35% dalla tariffa ed al 65% dal contributo pubblico,
per cui il guadagno dell'azienda deriva dall'efficientamento
aziendale). Anche per gli eventuali trasferimenti a copertura degli oneri di
servizio pubblico si propone di fare ricorso a meccanismi di aggiornamento
incentivanti l'efficienza e premianti la qualità".
Il comma 4
dispone che, in alternativa alla metodologia del price-cap, l’aggiornamento delle
tariffe possa essere effettuato attraverso l’individuazione di un prezzo
massimo, che tenga conto dei costi standard
del servizio, compresi quelli derivanti da eventi eccezionali, di una congrua
remunerazione del capitale investito e degli obiettivi di qualità del servizio[137].
Si riportano le perplessità espresse dal Consiglio di Stato, nel parere
reso sullo schema in esame, in ordine alla disposizione di cui al comma 4:
"la previsione
dell’applicazione della metodologia alternativa di aggiornamento delle tariffe,
contenuta nel comma all’esame, a discrezionalità dell’ente gestore, contrasta
con la finalità, enunciata nei commi 1 e 3, di perseguire i recuperi di
efficienza che consentano la riduzione dei costi a carico della collettività,
poiché, con la fissazione di un tasso di rendimento ‘normale’, peraltro senza
predeterminazione legislativa del periodo temporale di riferimento, si riducono
gli incentivi del soggetto affidante gestore del servizio all’innovazione del
processo produttivo e alla minimizzazione dei costi di produzione, conseguendo
lo stesso comunque il rendimento stabilito dal regolatore".
Il Consiglio di Stato suggerisce
pertanto di espungere il comma 4 dal testo del decreto legislativo, "in
quanto introduttivo di un metodo ormai obsoleto di aggiornamento tariffario".
Articolo 26
(Lotta all'evasione tariffaria nel settore del trasporto pubblico locale)
L’articolo 26 reca disposizioni volte a potenziare gli
strumenti di contrasto all’evasione tariffaria nel settore del trasporto
pubblico locale[138], quantificabile, in base al dato riportato
nella relazione governativa, a livello medio nazionale, in circa 450 milioni di
euro di mancati ricavi per le aziende operanti nel settore del trasporto.
In particolare, si
introduce una sanzione pecuniaria per l'assenza di valido titolo di viaggio
che, nelle more della quantificazione demandata alle leggi regionali, è pari a
60 volte il costo del biglietto (e comunque non superiore a 200 euro) (commi
2 e 3).
Il comma 4
novella l'art. 71 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 753 del 1980[139], disponendo - in funzione di contrasto al
fenomeno dell'evasione tariffaria - che i gestori del trasporto pubblico
possano avvalersi di agenti accertatori, anche non appartenenti ai propri
organici, ai quali sono riconosciuti, tra l'altro, i poteri di identificazione
dei trasgressori e gli atti di accertamento delle violazioni previsti dalla
normativa vigente (art. 13 della legge n. 689 del 1981). Inoltre, si prevede che il Ministero dell’interno
possa mettere a disposizione unità di polizia giudiziaria a supporto degli
agenti accertatori con copertura dei costi a carico dell'ente richiedente.
E' infine previsto
che, ai fini dell'individuazione di trasgressori che si rifiutino di fornire le
proprie generalità, si possa ricorrere - come mezzo di prova - ai filmati
ottenuti dai sistemi di videosorveglianza presenti sui mezzi di trasporto e
sulle banchine di fermata (comma 5).
Articolo 27
(Tutela dell'utenza nel settore del trasporto pubblico locale)
L’articolo 27 introduce norme a tutela dell’utenza nel
settore del trasporto pubblico locale[140].
In particolare, vi
si prevedono:
· un procedimento di
verifica della qualità dei servizi di trasporto mediante facoltà delle associazioni
dei consumatori riconosciute a livello nazionale o regionale di trasmettere,
con cadenza semestrale, le segnalazioni di disservizio, pervenute dall'utenza,
all'Osservatorio nazionale sulle politiche del trasporto
pubblico locale, istituito ai sensi dell'art. 1, comma 300, della legge n. 244 del 2007; quest’ultimo, a sua volta, provvede a informarne le amministrazioni
competenti, le quali sono tenute a dar conto delle iniziative per risolvere le
criticità segnalate (ed entro i successivi novanta giorni dell’efficacia delle
stesse), e l'Autorità di regolazione dei trasporti, per le iniziative di
competenza[141] (comma 1);
· il rimborso del
prezzo del biglietto in caso gravi disservizi, che conducono alla cancellazione
del servizio di trasposto, ovvero un ritardo superiore ai sessanta minuti o,
nel caso di servizi in ambito urbano, ai trenta minuti). In caso di abbonamenti
il rimborso è pari alla percentuale giornaliera del costo completo
dell’abbonamento. Il rimborso è corrisposto in denaro, a meno che il passeggero
non accetti altra forma di pagamento (comma 2).
Articolo 28
(Tutela non giurisdizionale)
L’articolo 28 dispone che l'utente di un servizio pubblico
locale di interesse economico generale, che lamenti la violazione di un diritto o di un interesse giuridico rilevante,
possa promuovere la risoluzione extragiudiziale delle
controversie[142], accedendo agli organismi e
alle procedure di cui alla Parte V, Titolo II-bis, del codice del consumo, di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005.
Il citato Titolo II-bis è stato inserito, nella Parte V del
codice del consumo di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, dal decreto legislativo n. 130 del 2015, che ha dato attuazione alla direttiva 2013/11/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori,
che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE
(direttiva sull'ADR- Alternative Dispute Resolution per i consumatori).
La direttiva 2013/11/UE - al fine di
assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori - intende istituire
un'infrastruttura ADR, opportunamente funzionante, costituita da organismi in
possesso di determinati requisiti e iscritti in un apposito elenco istituito
presso un'Autorità competente designata in ciascun Stato membro. Gli organismi
ADR operano in conformità a procedure imparziali, trasparenti, rapide ed eque
di risoluzione extragiudiziale delle controversie, nazionali e
transfrontaliere, concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti di vendita o di servizi -
sia online che offline -, tra
professionisti[143]
stabiliti nell'Unione e consumatori
residenti nell'Unione.
Il decreto
legislativo n. 130 del 2015, di attuazione della direttiva 2013/11/UE, con l'inserimento nel
codice del consumo del Titolo II-bis,
sostituisce la precedente formulazione dell'art. 141, già recante disciplina
della composizione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo, e introduce gli articoli da
141-bis a 141-decies,
recanti, tra l'altro, la disciplina dei requisiti richiesti agli organismi ADR
e degli obblighi ai quali gli stessi sono tenuti, nonché la designazione delle
Autorità preposte alla tenuta degli elenchi di organismi ADR.
Si
rammenta, altresì, che - come già segnalato in sede di illustrazione
dell'articolo 12, comma 2, del testo unico in esame - è richiesto ai comuni e
alle città metropolitane di approntare adeguati strumenti di tutela non
giurisdizionale a favore dell'utenza.
Inoltre,
ai sensi dell'articolo 24, comma 2, lettera b),
la previsione di strumenti di risoluzione delle controversie tra gestori e
utenti alternativi alla giustizia ordinaria rappresenta un contenuto necessario
delle carte dei servizi.
Articolo 29
(Vigilanza sulla gestione)
L’articolo 29 reca norme relative alla vigilanza sulla
gestione dei servizi pubblici affidati, disponendo che, nel rispetto delle
competenze attribuite alle autorità di regolazione e di quanto previsto dalle
disposizioni di settore, l’ente competente all’organizzazione del servizio
eserciti la vigilanza sul rispetto del contratto di servizio attraverso il
programma di controlli (di cui al successivo art. 30) deliberato dal medesimo
ente.
Al concessionario è
imposto l'obbligo di fornire le informazioni e la documentazione richiesta,
nonché di esercitare a sua volta la vigilanza sui soggetti ad esso collegati.
Articolo 30
(Programma dei controlli)
L’articolo 30 prevede che l’ente competente all’organizzazione
del servizio predisponga e dia attuazione a un programma di controlli,
finalizzato a realizzare l’accurata ricognizione dei servizi affidati e la
verifica del corretto svolgimento degli stessi, nonché a prevedere che ciascun
affidatario dei servizi fornisca all’ente competente all'organizzazione del
servizio, con cadenza periodica, i dati, i documenti e le informazioni utili ai
fini del pieno ed effettivo esercizio della vigilanza e del controllo sulla
corretta esecuzione del servizio, secondo quanto stabilito nel contratto di
servizio (comma 1).
L’ente competente all’organizzazione del
servizio determina i criteri e le modalità attraverso cui procedere alla
verifica del rispetto del contratto di servizio, tenendo conto della tipologia
di attività, dell’estensione territoriale di riferimento e dell’utenza cui è
destinato, e vigila sul relativo adempimento (comma 2).
Articolo 31
(Sanzioni amministrative)
L’articolo 31 prevede l'irrogazione, da parte
dell'amministrazione affidataria, di sanzioni amministrative in caso di
mancata osservanza delle disposizioni che pongono, in capo all'ente competente
all'organizzazione del servizio, doveri informativi, di vigilanza e di
controllo (art. 29, comma 3, e art. 30, comma 1, lett.
b)), ferme restando le eventuali
sanzioni previste ai sensi dell'articolo 9, comma 8[144], e da disposizioni contrattuali.
La sanzione
amministrativa è compresa tra un minimo di 5.000 euro e un massimo di 500.000.
E' infine
richiamata la legge n. 689 del 1981, che reca la disciplina generale sulle
sanzioni amministrative.
L’articolo 32 dispone che, nei casi di affidamento diretto
della gestione del servizio e in tutti i casi in cui il capitale sociale del
soggetto gestore è partecipato dall'ente affidante, la vigilanza sulla
verifica del rispetto del contratto di servizio, nonché su eventuali
aggiornamenti e modifiche dello stesso, sia affidata all’Organo di revisione
economico-finanziario di cui all'art. 234 e sgg. del Tuel. Resta fermo quanto previsto nelle discipline di
settore vigenti alla data di entrata in vigore dello schema di decreto
legislativo in esame.
Nell'articolo in esame confluisce il contenuto dell'art. 4, comma 18, del decreto-legge n.
138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 148 del 2011, con la sola differenza che, nell'articolo in esame,
viene omessa la disposizione - contenuta nel citato comma 18 - in base alla
quale la verifica del rispetto del contratto di servizio doveva essere
effettuata "secondo modalità definite dallo statuto dell'ente
locale". Come più volte si è avuto modo di ricordare, l'art.
4 del decreto-legge n. 138 del 2011, in materia di
adeguamento della disciplina dei servizi
pubblici locali al referendum
popolare e alla normativa dell'Unione europea, è stato dichiarato illegittimo
dalla Corte costituzionale con sentenza n. 199 del 2012.
Ai sensi dell’art.
234 del Tuel,
nei comuni, nelle province, nelle città metropolitane e nelle unioni di comuni
che esercitano in forma associata tutte le funzioni fondamentali dei comuni che
ne fanno parte, la revisione
economico-finanziaria è affidata a un collegio di revisori composto da tre
membri. Nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, nelle unioni
dei comuni diverse da quelle sopra richiamate e nelle comunità montane, la
revisione economico-finanziaria è affidata a un solo revisore. L'organo di
revisione contabile dura in carica tre anni (art. 235); è revocabile solo per
inadempienza e in particolare per la mancata presentazione della relazione alla
proposta di deliberazione consiliare del rendiconto entro i termini previsti. La
cessazione dall'incarico è prevista per: a)
scadenza del mandato; b) dimissioni
volontarie; c) impossibilità
derivante da qualsivoglia causa a svolgere l'incarico per un periodo di tempo
stabilito dal regolamento dell'ente.
L'art. 16, comma 25,
del citato decreto-legge n. 138 del 2011,
- alle cui disposizioni la disciplina recata dal Tuel
è stata adeguata con decreto-legge
n. 66 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 89 del 2014 - prevede che la
scelta dei revisori dei
conti degli enti locali sia effettuata mediante estrazione da un elenco - istituito presso il Ministero
dell'interno-Dipartimento per gli affari interni e territoriali con regolamento
di cui al decreto del Ministro dell'interno n. 23 del 2012 - nel quale possono
essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a livello regionale, nel
Registro dei revisori legali di cui al decreto
legislativo n. 39 del 2010[145],
nonché gli iscritti all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti
contabili.
L'art. 239, comma 1, lett. b), n. 3), del Tuel
(come modificato dall'art. 3, comma 1, lett. o), del decreto-legge n. 174 del 2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 213 del 2012) attribuisce all'Organo di revisione l'espressione
del parere sulle "modalità di gestione dei servizi e proposte di costituzione
o di partecipazione ad organismi esterni".
L'art.
3 del decreto-legge n. 174 del 2012 ha, inoltre,
inserito nel Tuel:
· l'art. 147-quater,
concernente i controlli sulle società
partecipate non quotate, il quale prevede che i controlli sulle società non
quotate, partecipate dall'ente locale, siano esercitati dalle strutture proprie
dell'ente locale, che ne sono responsabili, sulla base di un sistema di
controllo definito dall'ente locale secondo la propria autonomia organizzativa;
· l'art. 147-quinquies,
il quale dispone che il controllo sugli equilibri finanziari "implica
anche la valutazione degli effetti che si determinano per il bilancio
finanziario dell'ente in relazione all'andamento economico-finanziario degli
organismi gestionali esterni" ed è svolto "sotto la direzione e il
coordinamento del responsabile del servizio finanziario e mediante la vigilanza
dell'organo di revisione (...)".
La Corte dei
conti ha frequentemente richiamato gli enti locali al corretto esercizio
dei compiti di vigilanza sia in fase di stipula dei contratti di servizio sia
nella fase della loro esecuzione, nel corso della quale un carente esercizio
delle funzioni di controllo potrebbe determinare incrementi di costi a carico
dell'ente affidante.
L'art. 1, commi 166 e 167, della legge n. 266 del 2005
dispone che gli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali
sono tenuti a trasmettere alle competenti sezioni regionali di controllo della
Corte dei conti una relazione sul bilancio di previsione dell'esercizio di
competenza e sul rendiconto dell'esercizio medesimo, predisposta in conformità
a criteri e linee guida unitariamente definiti dalla Corte dei conti. Da
ultimo, l'art.
30, comma 2, della legge n. 161 del 2014
ha ribadito che la Corte dei conti definisce le metodologie e le linee guida cui devono
attenersi gli organismi di controllo interno e gli organi di revisione
contabile delle pubbliche amministrazioni.
La Corte dei
conti, nella deliberazione n. 13 del 2015, recante "Linee guida e relativi questionari per gli organi di revisione
economico-finanziaria degli enti locali per l'attuazione dell'articolo 1, commi
166 e seguenti della legge 23 dicembre 2005, n. 266. Rendiconto della gestione 2014", ha
rilevato che la richiamata disposizione di cui alla legge
n. 161 del 2014, "al fine di assicurare la rispondenza dei dati
di bilancio alla normativa contabile ed ai principi della sana gestione
finanziaria, attribuisce rilevanza comunitaria all'anzidetta funzione di
orientamento, esercitata dalla Sezione delle autonomie, tramite l'adozione
delle Linee guida e l'individuazione di metodologie comuni alle quali devono
attenersi gli organismi di controllo interno nonché gli organi di revisione
contabile degli enti locali, potenziandone, al contempo, strumenti conoscitivi
e possibilità di acquisizione dei dati".
In particolare, una Sezione
dei questionari predisposti dalla Corte dei conti per gli enti locali (e
allegati alla predetta deliberazione) è riservata agli
organismi partecipati e comprende una serie di quesiti "volti ad
asseverare l'avvenuto rispetto da parte degli enti locali degli obblighi che li
legano ai predetti organismi previsti anche dalle disposizioni vigenti".
In risposta a tali quesiti l'organo di revisione è tenuto, tra l'altro, a dare
conto: dell'eventuale partecipazione dell'ente locale ad attività di produzione
di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle
proprie finalità istituzionali, e, conseguentemente, soggette a obbligo di
dismissione; se l'ente locale abbia operato cancellazioni di debiti e/o crediti
verso organismi partecipati, se abbia effettuato dismissioni ovvero
conferimenti (ad esempio acquisizione di partecipazioni o aumenti di capitale);
se abbia adottato forme di consolidamento dei conti con gli organismi
partecipati e osservato gli obblighi di pubblicazione relativi agli stessi.
(Incentivi e premialità)
Il Titolo
VI (artt. 33 e 34) reca disposizioni in
materia di incentivi e premialità.
Articolo 33
(Misure di premialità a favore di concorrenza e aggregazioni)
L’articolo 33, al comma 1, stabilisce che
nell’ipotesi in cui un nuovo operatore economico succeda al concessionario
iniziale del servizio pubblico, a seguito di operazioni societarie effettuate
con procedure trasparenti, comprese fusioni o acquisizioni, il soggetto
competente, anche su iniziativa dell’operatore, verifica la persistenza dei
criteri qualitativi e dell’equilibrio economico finanziario. Se ritenuto
necessario, procede alla loro rideterminazione - previa verifica di competenza
effettuata dall’Autorità di regolazione del settore - anche mediante
l’aggiornamento del termine di scadenza di tutte o di alcune delle concessioni
in essere.
Il comma 1 riproduce
sostanzialmente le disposizioni contenute nell’art. 3-bis, comma 2-bis, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, oggetto di abrogazione da parte dello schema di
decreto in esame.
Il comma 2
prevede che i finanziamenti concessi a valere su risorse statali per i servizi
pubblici locali di interesse economico generale a rete possano essere attribuiti
agli enti di governo degli ambiti o dei bacini territoriali ottimali ovvero
direttamente ai relativi gestori del servizio solo nei casi in cui dette risorse
siano aggiuntive ovvero costituiscano una garanzia per la realizzazione dei
piani di investimento deliberati dai medesimi enti di governo. Inoltre, si
prevede che dette risorse a valere su finanziamenti pubblici siano prioritariamente attribuite a gestori selezionati tramite procedura di gara ad evidenza pubblica o
di cui comunque l'Autorità di regolazione competente (o, nei settori in cui non
è prevista un’Autorità di regolazione, l’ente di governo dell’ambito
territoriale) attesti l'efficienza gestionale e la qualità del servizio reso,
ovvero che abbiano deliberato operazioni di aggregazione societaria.
Le richiamate misure di premialità, dirette a favorire la concorrenza, l'efficienza
e le aggregazioni, riprendono le disposizioni contenute nell’art. 3-bis, comma 4, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, oggetto di abrogazione da parte dell’articolo 38
del testo unico in esame.
L’articolo 34 - che riproduce le disposizioni dell’art. 26-bis del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, oggetto di abrogazione ai sensi
dell’articolo 38 dello schema di decreto legislativo in esame - esclude
l’applicabilità del limite massimo dei crediti d’imposta compensabili ai sensi
dell'art. 17 del decreto legislativo n. 241 del
1997[146] (e quantificato dall’articolo 34 della legge n. 388 del 2000 in 700.000 euro per ciascuna annualità) agli
enti locali che abbiano maturato detto credito in relazione ai dividendi
distribuiti dalle ex aziende municipalizzate trasformate in società per azione
(comma 1).
Il comma 2 disciplina l’utilizzo dei
rimborsi dovuti ai sensi dell'articolo 1, comma 52, della legge n. 311 del
2004 e le compensazioni
di cui al comma 1 per la realizzazione di infrastrutture indispensabili per il
miglioramento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica.
L’articolo 1, comma 52, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per il 2005) ha istituito per
l'anno 2005, presso lo stato di previsione del Ministero dell'interno, il fondo
per il rimborso agli enti locali delle minori entrate derivanti
dall'abrogazione dell'articolo 14, comma 1-bis,
del testo unico delle imposte sui redditi di cui al DPR n. 917 del 1986 (con particolare riferimento
all’abolizione del credito d'imposta sui dividendi percepiti dalle società di
gestione dei servizi pubblici locali).
Il Consiglio di Stato osserva che
le disposizioni di cui all'articolo in commento sono "di natura
prettamente fiscale, esulanti dai limiti della legge delega" e ne propone
pertanto lo stralcio dal testo del decreto legislativo.
(Disposizioni transitorie e finali)
Il Titolo
VII (artt. da 35 e 38) reca disposizioni
transitorie e finali.
L’articolo 35 reca disposizioni in materia di trasporto
pubblico locale per la pianificazione e finanziamento della mobilità urbana
sostenibile[147].
Sul tema della mobilità
urbana sostenibile, si rammenta che la Commissione europea, nel Libro bianco
"Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti - Per una
politica dei trasporti competitiva e sostenibile" del 2011
(COM (2011) 144 definitivo), ha, tra l'altro, suggerito di:
incentivare i sistemi di trasporto pubblico multimodale, incentivare i sistemi
di trasporto intelligenti per la mobilità urbana e ottimizzare l'utilizzo delle
fonti di finanziamento europee (fondi strutturali e fondo di coesione) per lo
sviluppo di un trasporto urbano integrato e sostenibile.
In relazione al ruolo della pianificazione per una
mobilità urbana sostenibile, vi si legge: "I volumi di traffico potranno
essere ridotti anche grazie alla gestione della domanda e alla pianificazione
territoriale. Le misure per facilitare gli spostamenti a piedi e in bicicletta
devono diventare parte integrante della progettazione infrastrutturale e della
mobilità urbana. (...) Per favorire comportamenti maggiormente sostenibili è
necessario incoraggiare attivamente una migliore pianificazione della
mobilità".
Sempre in tema della mobilità sostenibile, si segnala
che il Governo ha adottato in via preliminare uno schema di decreto
ministeriale concernente il programma sperimentale nazionale di mobilità
sostenibile casa-scuola e casa-lavoro(Atto del Governo n. 302, sul contenuto
del quale si rinvia al dossier dei
servizi studi di Camera e Senato). Il provvedimento è stato trasmesso alle
Camere lo scorso 10 maggio per l’acquisizione dei prescritti pareri da parte
delle commissioni parlamentari.
Il comma 1
stabilisce che i Piani urbani di mobilità sostenibile (di cui all’articolo 22
della legge 24 novembre 2000, n. 340) redatti dalle città metropolitane, altri
enti di area vasta[148] e comuni, ovvero associazioni di comuni, con
popolazione superiore a 100.000 abitanti, devono contemplare una sezione ad hoc riguardante: i) le iniziative per
la riduzione del traffico veicolare privato; ii) il coordinamento dei tempi
delle città di cui alla legge 8 marzo 2000, n. 53[149]; iii) l’aumento della velocità commerciale
media del trasporto pubblico; iv) il progressivo incremento della percentuale
di cittadini trasportati con mezzi di trasporto collettivo e che utilizza la
mobilità ciclo-pedonale. In tale sezione sono definiti obiettivi quantitativi,
con la relativa tempistica; gli aspetti economico-finanziari e gestionali; le
misure adottate per il raggiungimento degli obiettivi (in termini di efficientamento e razionalizzazione della programmazione e
gestione dei servizi di trasporto pubblico locale) di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 11 marzo 2013, di cui
all’articolo 16-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.
L’art. 22 della legge n. 340 del 2000 ha introdotto la disciplina dei Piani urbani di
mobilità sostenibile “intesi come progetti del sistema della mobilità
comprendenti l'insieme organico degli interventi sulle infrastrutture di
trasporto pubblico e stradali, sui parcheggi di interscambio, sulle tecnologie,
sul parco veicoli, sul governo della domanda di trasporto attraverso la
struttura dei mobility manager, i sistemi di controllo e
regolazione del traffico, l'informazione all'utenza, la logistica e le
tecnologie destinate alla riorganizzazione della distribuzione delle merci
nelle città”. Le finalità perseguite sono le seguenti: i) soddisfazione dei
fabbisogni di mobilità della popolazione; ii) abbattimento dei livelli di
inquinamento atmosferico ed acustico; iii) riduzione dei consumi energetici;
iv) aumento dei livelli di sicurezza del trasporto e della circolazione stradale;
v) minimizzazione dell'uso individuale dell'automobile privata e moderazione
del traffico; vi) incremento della capacità di trasporto e aumento della
percentuale di cittadini trasportati dai sistemi collettivi anche con soluzioni
di car pooling
e car sharing;
vii) riduzione dei fenomeni di congestione nelle aree urbane. Le autorizzazioni
legislative di spesa sono iscritte in apposito fondo dello stato di previsione
del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. I singoli comuni o
aggregazioni di comuni limitrofi con popolazione superiore a 100.000 abitanti,
le province aggreganti i comuni limitrofi con popolazione complessiva superiore
a 100.000 abitanti, d'intesa con i comuni interessati, e le regioni, nel caso
delle aree metropolitane di tipo policentrico e diffuso, d'intesa con i comuni
interessati, hanno la facoltà di
richiedere il cofinanziamento dello Stato, per gli interventi di
attuazione del Piano, in misura non
superiore al 60 per cento dei costi complessivi degli interventi medesimi.
Si rammenta che, ai sensi
dell’art 23, comma 5, secondo periodo, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11
marzo 2013, a decorrere dal 1° gennaio
dell’anno successivo all’entrata in vigore dello schema di decreto legislativo
in esame, perde efficacia, conservandola solo a determinati fini.
In proposito, considerato il richiamo recato al comma 1, ultimo periodo, agli
obiettivi di cui al citato DPCM, si valuti l'opportunità di esplicitare che
detto decreto conserva la propria efficacia anche ai fini della disposizione in
commento.
Il comma 2
dispone che le nuove linee guida per la redazione dei Piani urbani di mobilità
sostenibile, con specifico riferimento, per le città metropolitane, le province[150] e i comuni[151] con popolazione superiore ai 100.000
abitanti, siano adottate - entro centottanta giorni dalla data di entrata in
vigore dello schema di decreto legislativo – con decreto del Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti, previa intesa in sede di Conferenza unificata.
Dette linee guida
sono intese a favorire: a) lo sviluppo di sistemi di trasporto integrati che,
laddove economicamente e finanziariamente sostenibili, comprendano sistemi di
trasporto rapido di massa, ivi inclusi sistemi ferroviari, metropolitane
pesanti e leggere, sistemi tramviari, busvie, con i
relativi sistemi di controllo del traffico e di interscambio; b) lo sviluppo
della mobilità collettiva e l’innalzamento della velocità commerciale dei mezzi
di trasporto collettivo, che includano la limitazione dell’uso dell’auto
privata (attraverso ZTL, road pricing, tariffazione della sosta, regolazione dei bus turistici); c) la diffusione di
sistemi di mobilità pedonale e ciclistica, anche attraverso interventi di
separazione, di assegnazione di priorità a tali modalità e di messa in
sicurezza; d) l’introduzione di sistemi innovativi di mobilità condivisa, con
contestuale adozione di interventi di integrazione e complementarità dei
sistemi di trasporto pubblico locale; e) la diffusione di mezzi a basso impatto
inquinante; f) iniziative per una mobilità sostenibile delle merci, anche
ricorrendo a conseguenti piani di logistica urbana; g) la sostenibilità
economica, finanziaria e gestionale degli interventi.
Il comma 3
dispone che le città metropolitane, gli enti di area vasta e i comuni, ovvero
le associazioni di comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti, sono
tenute ad adottare i nuovi Piani urbani di mobilità sostenibile secondo le
linee guida, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore delle medesime
linee guida. Quanto all’aggiornamento del Piano, è prevista un cadenza almeno
quinquennale, fermo restando che esso è obbligatorio nei dodici mesi
antecedenti l’espletamento di procedure di gara per l’affidamento di servizi di
trasporto. E’ poi previsto l’obbligo di porre in essere un sistema di
monitoraggio, che offra indicazioni, con cadenza annuale, in ordine
all’individuazione di eventuali scostamenti rispetto agli obbiettivi
quantitativi previsti e che sia funzionale all’individuazione delle eventuali
misure correttive. Sono considerati validi i Piani urbani di mobilità
sostenibile già adottati alla data di entrata in vigore delle linee guida,
fermo restando che per essi si prevede la necessità di un aggiornamento (e, potrebbe essere opportuno specificare,
anche di un adeguamento alle linee guida) entro ventiquattro mesi dalla
data di entrata in vigore del decreto legislativo.
Al fine di
incentivare l’adozione e l’implementazione dei Piani urbani di mobilità
sostenibile, il comma 4 dispone che, a decorrere dall’anno successivo al
termine ultimo entro cui devono essere predisposti da parte degli enti locali
competenti i Piani stessi, i finanziamenti statali in conto capitale destinati
ai richiamati enti, riguardanti infrastrutture per la mobilità, “ivi incluse
opere destinate alla velocizzazione e riqualificazione delle sedi di
superficie, impianti e materiale rotabile tecnologicamente innovativi rispetto
alle flotte in esercizio”, potranno essere destinati esclusivamente ad
interventi contenuti nei Piani e a condizione che per essi sia garantita la
copertura della spesa corrente di gestione (inclusa la manutenzione dei
rotabili, della stessa infrastruttura di mobilità, con esclusione
dell’infrastruttura ferroviaria nazionale). Altra condizione necessaria per
l’accesso a tali finanziamenti è costituito dall’effettuazione della richiamata
attività di monitoraggio (si veda il comma 3).
Articolo 36
(Disposizioni transitorie)
L’articolo 36, costituito da un unico comma, reca
disposizioni transitorie.
Vi si prevede che
il Presidente del Consiglio dei ministri eserciti i poteri sostitutivi di cui
all'art. 8 della legge n. 131 del 2013, recante modalità di esercizio del potere
sostitutivo in attuazione dell'art. 120 della Costituzione, qualora - a seguito
della effettuazione di apposita ricognizione - le regioni e le province
autonome risultino inadempienti rispetto agli obblighi posti a loro carico
dalle seguenti disposizioni legislative in materia di ambiti territoriali
ottimali:
·
l'obbligo di definizione del perimetro degli ambiti
territoriali ottimali funzionali allo svolgimento dei servizi pubblici locali a
rete di rilevanza economica, nonché di designazione dei relativi enti di
governo entro il termine del 30 giugno 2012, previsto dall'art. 3-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, inserito dal decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dal decreto-legge n. 27 del 2012.
Si osserva che l'attivazione dei poteri sostitutivi
di cui all'art. 8 della legge n. 131 del 2013 - con riferimento alla fattispecie di omessa
istituzione o designazione degli enti di governo degli ATO entro il termine del
30 giugno 2012 - risultava già prevista dall'ultimo periodo dell'art. 3-bis, comma 1[152]. L'articolo in esame, reca, in aggiunta, la
disposizione per la quale l'esercizio del potere sostitutivo dovrà essere
preceduto da diffida rivolta agli enti inadempienti a provvedere entro un
termine minimo di 90 giorni. Al riguardo, si rammenta che l'art. 8 della legge n. 131 del 2003 - fatti salvi i casi di assoluta urgenza
disciplinati dal comma 4 - prevede l'assegnazione
all'ente interessato di un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti
o necessari, demandando alla Presidenza del Consiglio la valutazione sulla
congruità del termine. Con la disposizione in esame viene definito ex lege il termine minimo di 90 giorni e
resta ferma la discrezionalità del Presidente del Consiglio di procedere ad
ampliamenti dello stesso.
·
l'obbligo di istituzione o designazione degli enti
di governo dell'ambito territoriale ottimale di cui al citato art. 3-bis, richiamato dall'art. 13 del decreto-legge n. 150 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 15 del 2014, nonché l'obbligo di procedere alla
deliberazione dell'affidamento entro il termine del 30 giugno 2014, previsto
dallo stesso art. 13.
Il comma 2 del citato art.
13 già disponeva, in caso di mancato adempimento ai predetti obblighi, "l'esercizio
dei poteri sostitutivi da parte del Prefetto competente per territorio, le cui
spese sono a carico dell'ente inadempiente, che provvede agli adempimenti
necessari al completamento della procedura di affidamento entro il 31 dicembre
2014".
La Corte dei conti, nel
documento predisposto per l'audizione svolta il 1° dicembre 2015 in sede di I
Commissione della Camera dei deputati nell'ambito dell'indagine conoscitiva
sulla gestione associata delle funzioni e dei servizi comunali[153], ha precisato che la previsione di cui all'art. 13,
comma 2, del decreto-legge n. 150 del 2013 si sovrappone alle seguenti
previsioni: 1) quella di cui all'art. 3-bis,
comma 1, del decreto-legge n. 138 del 2011 sopra richiamata; 2) quella di cui
all'art. 3-bis, comma 1-bis, dello stesso decreto-legge n. 138,
che attribuisce al Presidente della regione poteri sostitutivi in
caso di mancata adesione degli enti locali agli enti di governo istituiti.
L'art. 13 del decreto-legge n. 150, al comma, 3,
dispone, in aggiunta, che il mancato rispetto dei predetti termini comporti
anche la cessazione degli affidamenti non conformi ai requisiti previsti dalla
normativa europea, fermi restando gli affidamenti in corso alla data del 31
dicembre 2014, al fine di garantire la continuità del servizio.
Articolo 37
(Coordinamento con la legislazione vigente)
L’articolo 37 reca disposizioni di coordinamento con la
legislazione vigente.
Il comma 1
novella gli articoli 173 e 202 del decreto legislativo n. 152 del 2006, recante "Norme in materia
ambientale", disponendo - negli ambiti di gestione del servizio idrico
integrato e del servizio integrato dei rifiuti urbani - l'applicazione dell'art. 2112 del codice civile (Mantenimento dei diritti dei
lavoratori in caso di trasferimento d'azienda) all'ipotesi di passaggio di
dipendenti di enti pubblici e di ex aziende municipalizzate o consortili e di
imprese private, anche cooperative, ai nuovi gestori dei servizi, e omettendo,
rispetto al testo precedente, il riferimento all'art. 31 del decreto legislativo n. 165 del 2001, il
quale - fatte salve le disposizioni speciali -
prevede che lo stesso art. 2112 si applichi al personale che, nel caso di
trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni,
enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o
privati, passi alle dipendenze di tali soggetti.
Il comma
2 reca modifica all'art. 18, comma 2, lett. e), del decreto legislativo n. 422 del 1997. La modifica è volta a prevedere che, nell'ambito dell'affidamento dei
servizi di trasporto pubblico regionale e locale,
l'indicazione delle modalità di trasferimento, in caso di cessazione
dell'esercizio, dal precedente gestore all'impresa subentrante dei beni
essenziali per l'effettuazione del servizio e del personale dipendente sia con
riferimento a quanto disposto dall'art. 2112, sopprimendo il riferimento,
presente nella disposizione novellata, al regio decreto n. 148 del 1931, oggetto di
abrogazione da parte dell'art. 38 del testo unico in esame.
Il comma
3 reca modifica all'art. 84 del nuovo codice della strada, di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992, disponendo che possano essere destinati alla locazione senza
conducente anche i veicoli di cui all'art. 87, comma 2, del codice della
strada, adibiti ai servizi di linea di trasporto di persone.
Il comma
4 novella l'art. 118 del Tuel al fine di adeguarne la formulazione alle disposizioni introdotte dal
provvedimento in esame (con particolare riguardo alle disposizioni di
razionalizzazione delle partecipazioni locali).
Sulle
disposizioni di cui ai commi 1 e 2, il Consiglio di Stato, nel parere reso
sullo schema di decreto legislativo in esame, rileva "il travalicamento
dei limiti della delega, laddove l’unica innovazione normativa consiste nella
soppressione della disciplina delle procedure di informazione e di
consultazione sindacale di cui all’art. 47, commi da 1 a 4, l. 29 dicembre
1990, n. 428, cui rinvia l’art. 31 d.lgs. n. 165/2001 oggetto della norma abrogatrice, trattandosi di materia di diritto sindacale
manifestamente esulante dall’oggetto della delega legislativa. Considerazioni
analoghe, seppure riferite alla disciplina sostanziale del passaggio del
personale, valgono per il comma 2, versandosi in materia di pretta valenza giuslavoristica". Il Consiglio di Stato suggerisce
pertanto l’espunzione dei due commi dal testo del decreto legislativo.
Quanto
al comma 3, ne propone la soppressione "in quanto vi ostano le ragioni di
violazione dei principi e criteri generali di delega".
L’articolo 38 reca abrogazione delle disposizioni vigenti
in materia di servizi pubblici locali di interesse economico generale,
confluite nel decreto legislativo o comunque ritenute non più necessarie
rispetto al disegno complessivo della riforma[154].
Il Consiglio di Stato, nel parere reso sullo schema di decreto
legislativo in esame, raccomanda "al Governo di procedere ad una rinnovata
ricognizione, sistematica e puntuale, di tutte le disposizioni, ordinamentali e
settoriali, riferibili alla materia dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica generale, onde evitare il rischio della contemporanea sopravvivenza
di norme, anche assai datate, che potrebbero confliggere con quelle del
presente decreto".
[1] In
proposito, il Consiglio di Stato, nel parere reso sul provvedimento in data 3
maggio 2016, ha asserito che lo stesso "si presenta come una base di
normazione organica e stabile, in grado di rendere immediatamente intellegibile
alle amministrazioni ed agli operatori del settore le regole applicabili in
materia e di assicurare una gestione più efficiente dei servizi pubblici locali
di interesse economico generale a vantaggio degli utenti del servizio, degli
operatori economici e degli stessi enti locali. Le criticità da superare sono,
infatti, quelle relative: a) alla non adeguata qualità del servizio reso in
rapporto alle risorse pubbliche investite; b) alla presenza di ostacoli alla
concorrenza; c) all’assenza di adeguati strumenti di regolazione; d) ad un
tessuto normativo non sufficiente e disorganico; e) alla mancanza di congrui
strumenti di tutela a favore degli utenti".
[2] L'art. 16 prevede l’adozione di decreti legislativi
di semplificazione delle disposizioni nei seguenti settori: lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche, partecipazioni societarie e servizi
pubblici locali. I decreti legislativi devono attenersi, tra l'altro, ai
seguenti princìpi e criteri direttivi generali: elaborazione di testi unici con
le modifiche strettamente necessarie per il coordinamento formale e sostanziale
delle disposizioni legislative vigenti, limitandosi, altresì, alle
modificazioni strettamente necessarie per garantire la coerenza giuridica,
logica e sistematica della normativa e per adeguare, aggiornare e semplificare
il linguaggio normativo; risoluzione delle antinomie in base ai princìpi
dell’ordinamento e alle discipline generali regolatrici della materia;
indicazione esplicita delle norme abrogate.
Per quanto concerne le disposizioni procedurali, si
prevede che i decreti legislativi siano adottati su proposta del Ministro per
la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze e con i Ministri interessati, previa acquisizione
del parere della Conferenza unificata e del parere del Consiglio di Stato, che
sono resi nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione dello
schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo può comunque
procedere. Lo schema di ciascun decreto legislativo è successivamente trasmesso
alle Camere per l'espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari
competenti per materia e per i profili finanziari e della Commissione
parlamentare per la semplificazione, che si pronunciano nel termine di sessanta
giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il decreto legislativo può
essere comunque adottato. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri
parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni
e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di
informazione e motivazione. Le Commissioni competenti per materia possono
esprimersi sulle osservazioni del Governo entro il termine di dieci giorni
dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, i decreti possono
comunque essere adottati.
[3] Nel
parere reso dalla Conferenza unificata sullo schema di decreto legislativo in
esame è confluito il rilievo, formulato dall'UPI, secondo cui - con riferimento a questo articolo cosi come
ad altre disposizioni (art. 5, comma 1: "costituisce funzione fondamentale
dei comuni e delle città metropolitane l'individuazione (...) delle attività di
produzione di beni e servizi di interesse economico generale"; art. 12,
commi 1 e 2, in materia di funzioni di organizzazione dei servizi dei comuni e
delle città metropolitane) - le province non sono prese in considerazione,
mentre in altre parti dell'articolato sono indicate come enti di area vasta.
Anche la Conferenza delle regioni, sempre in sede di espressione del parere da
parte della Conferenza unificata, ha rilevato che la disposizione di cui
all'art. 5, comma 1, non include le province, pur essendo le stesse
espressamente menzionate all'art. 1, comma 2, il quale fa riferimento alle
"funzioni fondamentali di indirizzo, controllo e regolazione, di comuni,
province e città metropolitane". L'UPI, pertanto, da un parte, evidenzia
l'opportunità di "definire meglio il ruolo delle Province", che "potranno
svolgere le funzioni che lo Stato riconosce ad esse quali enti di area vasta di
derivazione comunale", dall'altra, unitamente alla Conferenza delle
regioni, sottolinea la necessità di uniformare l'utilizzo della locuzione
"enti di area vasta" con quanto disposto dalla legge n. 56 del 2014,
che fa coincidere l'area vasta con il territorio delle province e delle città
metropolitane.
[4] Il Consiglio di Stato, nel parere reso sullo schema in esame, ha
rilevato "come la (...) locuzione: «servizi
di interesse economico generale», che pure connota l’oggetto della
delega ai sensi dell’art. 16, comma 1, lett. c), l.
124/2015 e della rubrica del citato art. 19", non è quella utilizzata
"dallo stesso legislatore delegante in via esclusiva. Ed infatti, l’art. 19,
comma 1, lett. d), utilizza la locuzione: «servizi pubblici locali di rilevanza
economica»". Sul punto si veda l'illustrazione dell'art. 2.
[5] In quell'occasione, la Corte di Giustizia stabilì che le compensazioni degli obblighi di servizio pubblico non costituiscono aiuti di Stato se sono rispettate specifiche condizioni, fra cui la previa individuazione di parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione in modo obiettivo e trasparente, affinché si eviti che essa possa comportare un vantaggio economico atto a favorire l'impresa beneficiaria rispetto a imprese concorrenti. Al riguardo, la Corte precisò che la compensazione da parte di uno Stato membro delle perdite subite da un'impresa, senza che siano stati previamente stabiliti i richiamati parametri, quando in un secondo tempo risulti che l'esercizio di alcuni servizi nell'ambito dell'adempimento di obblighi di servizio pubblico non è stato economicamente redditizio, costituisce un intervento finanziario ricadente nella nozione di aiuto di Stato. Inoltre, la compensazione non deve eccedere quanto necessario per coprire tutti o parte dei costi originati dall'adempimento degli obblighi di servizio pubblico, tenendo conto degli introiti relativi agli stessi, al netto di un margine di utile ragionevole per l'adempimento di tali obblighi. Infine, nei casi in cui la scelta dell'impresa chiamata a svolgere obblighi di servizio pubblico non consegua a una procedura di appalto pubblico che consenta di selezionare il candidato in grado di fornire tali servizi al costo minore per la collettività, occorre che l’ammontare della compensazione sia determinato tenendo conto dei costi che un'impresa media, gestita in modo efficiente e adeguatamente dotata delle risorse per poter soddisfare le esigenze di servizio pubblico richieste, avrebbe sostenuto per adempiere a tali obblighi, al netto degli introiti ad essi attinenti nonché di un margine di utile ragionevole.
Sulla materia si segnala, inoltre, la comunicazione della Commissione europea 2012/C 8/02 del gennaio 2012 che, tra le altre cose, ha fornito indicazioni interpretative in ordine ai principi stabiliti dalla sentenza Altmark. In particolare, è stato precisato che la compensazione degli oneri di servizio pubblico deve essere calcolata considerando i costi al netto degli introiti che l'impresa percepisce dalla fornitura del servizio economico di interesse generale; inoltre il margine di utile ragionevole deve essere considerato come tasso di remunerazione del capitale che sarebbe richiesto da un'impresa media per valutare se prestare o meno il servizio di interesse economico generale per l'intera durata del periodo di incarico, tenendo conto del livello di rischio.
[6] Come rilevato nello studio di sintesi del Protocollo
n. 26 condotto dal CESI-European Academy, sebbene i
servizi non economici non siano disciplinati dall’articolo 1 del Protocollo
stesso, ciò nonostante essi non dovrebbero in alcun modo essere esclusi
dall’attuazione dei valori del Protocollo da parte delle autorità nazionali. Al
contrario, trattandosi di servizi intrinsecamente legati al sociale e alla
cittadinanza, essi dovrebbero essere esemplari in termini di qualità,
sicurezza, accessibilità economica, parità di trattamento, accesso universale e
diritti degli utenti.
[7] L'art. 23-bis riconduceva all'interno della disciplina delle modalità di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica anche il trasporto pubblico locale, sulle cui specifiche disposizioni in tema di affidamento cfr. l'illustrazione dell'art. 22, comma 12, del provvedimento in esame.
[8] Cfr., più estesamente, l'illustrazione dell'art. 9.
[9] In tema di affidamento, cfr. l'art. 7 del provvedimento in esame.
[10] Cfr., più estesamente, l'illustrazione dell'art. 13 del provvedimento in esame.
[11] Il citato art. 8 reca "Disposizioni in materia di affidamento di servizi pubblici locali. Procedure di infrazione n. 2012/2050 e 2011/4003". Nella procedura n. 2012/2050 è stata contestata allo Stato italiano la violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici e concessioni, derivante da affidamenti di servizi di igiene urbana da parte di alcuni Comuni. Nella procedura n. 2011/4003 la Commissione europea ha contestato al Governo italiano la non conformità al diritto europeo degli affidamenti diretti dei servizi di raccolta e smaltimento rifiuti disposti da numerosi Comuni delle province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza alla società IREN S.p.A., in quanto non giustificati alla luce delle condizioni stabilite dalla Corte di giustizia in materia di “in house providing”. Al riguardo, cfr. il Dossier del Servizio Studi del Senato n. 226, scheda di lettura relativa all'art. 8.
[12] Il comma 22 aveva stabilito disposizioni particolari per gli affidamenti diretti in essere alla data di entrata in vigore del predetto decreto-legge n. 179 del 2012 (18 ottobre 2012), anche non conformi alla normativa europea. Per questi era stato previsto che cessassero alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti di regolazione del rapporto; mentre gli affidamenti che non prevedevano una data di scadenza sarebbero cessati, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante, il 31 dicembre 2020. Tale particolare regime veniva previsto solo a condizione che gli affidamenti: fossero stati assentiti alla data del 1º ottobre 2003; riguardassero società a partecipazione pubblica già quotate in borsa alla data del 1° ottobre 2003 ovvero società da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile. L'art. 8 novella il richiamato comma 22, disponendo che: 1) siano salvi gli affidamenti diretti assentiti a società a partecipazione pubblica quotate in mercati regolamentati prima del 31 dicembre 2004 (nel testo precedente la data era 1° ottobre 2003) o da società da queste controllate alla medesima data. Come già previsto, tali affidamenti termineranno alla naturale scadenza del contratto oppure nel 2020, se nel contratto non è prevista alcuna scadenza; 2) gli affidamenti diretti a società poste, dopo il 31 dicembre 2004, sotto il controllo di società quotate in borsa, a seguito di operazioni societarie in assenza di procedure conformi alle norme dell'Unione europea, cessino improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante il 31 dicembre 2018 o, se anteriori, alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto.
[13] Per quanto
concerne l'abrogazione dell'art. 113 del Tuel,
disposta dall'art. 38, comma 1, lett. h), del testo unico in esame, si osserva
che trova collocazione nell'art. 29, comma 1, lett. b), dello schema di decreto legislativo
recante testo unico in materia di società a partecipazione pubblica
l'abrogazione dell'art. 14, comma 1, del decreto-legge n. 269 del 2003,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, rubricato "Servizi
pubblici locali", il quale apportava modifiche allo stesso articolo 113
del Tuel.
[14] Con la sentenza n. 32 del 2015, in sede di giudizio di legittimità in via principale su una legge della regione Liguria in materia di servizio idrico integrato (SII) e gestione dei rifiuti, la Corte - anche facendo riferimento a precedenti propri contributi - riconosce la competenza statale esclusiva in tale ambito, richiamando le finalità di tutela della concorrenza e dell’ambiente. Al riguardo, la Corte afferma che “la disciplina tesa al superamento della frammentazione verticale della gestione delle risorse idriche, demandando ad un’unica Autorità preposta all’ambito le funzioni di organizzazione, affidamento e controllo della gestione del SII, è ascrivibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza, essendo diretta ad assicurare la concorrenzialità nel conferimento della gestione e nella disciplina dei requisiti soggettivi del gestore, allo scopo di assicurare l’efficienza, l’efficacia e l’economicità del servizio (sentenze n. 325 del 2010 e n. 246 del 2009). Al tempo stesso, la disciplina in esame rientra nella sfera di competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente in quanto «l’allocazione all’Autorità d’ambito territoriale ottimale delle competenze sulla gestione serve a razionalizzare l’uso delle risorse idriche e le interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti della "biosfera" intesa “come ‘sistema’ [...] nel suo aspetto dinamico” (sentenze n. 168 del 2008, n. 378 e n. 144 del 2007)» (sentenza n. 246 del 2009)”.
[15] "La disciplina in esame non appare riferibile - come osserva la ricorrente - né alla competenza legislativa statale in tema di "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali" (art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione), giacché riguarda precipuamente servizi di rilevanza economica, e comunque non attiene alla determinazione di livelli essenziali, né a quella in tema di "funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane" (art. 117, secondo comma, lettera p)), giacché la gestione dei predetti servizi non può certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale" (Corte cost., sent. n. 272 del 2004).
[16]Come evidenziato nella precedente nota, la Corte costituzionale, nella sent. n. 272 del 2004, non ha ritenuto che la gestione dei servizi pubblici locali fosse riconducibile all’ambito delle "funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane" (art. 117, secondo comma, lettera p)), "giacché la gestione dei predetti servizi non può certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale”.
[17] A titolo esemplificativo, nella sent. n. 51 del 2006, la Corte costituzionale afferma che: “il legislatore statale conserva quindi il potere di vincolare la potestà legislativa primaria della Regione speciale attraverso l’emanazione di leggi qualificabili come “riforme economico-sociali”: e ciò anche sulla base – per quanto qui viene in rilievo – del titolo di competenza legislativa nella materia “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, (…) con la conseguenza che le norme fondamentali contenute negli atti legislativi statali emanati in tale materia potranno continuare ad imporsi al necessario rispetto del legislatore della Regione Sardegna che eserciti la propria competenza statutaria nella materia “edilizia ed urbanistica” (v. sentenza n. 536 del 2002)". In proposito, ex plurimis, si vedano le sentt. nn. 536 de 2002, 447 del 2006 e 378 del 2007.
[18] Il Consiglio di Stato, nel parere reso
sullo schema in esame, segnala "l’opportunità di sostituire la locuzione
contenuta nel secondo periodo del comma 2: «principi di riforma
economico-sociale della Repubblica» con quella più ricorrente di: «norme fondamentali
di riforma economico-sociale della Repubblica»".
[19] Il comma 27 è stato
sostituito dall'art. 19, comma 1, lett. a), del decreto-legge 6 luglio
2012, n. 95, convertito,
con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successivamente modificato dall'art. 1, comma 305, della legge
24 dicembre 2012, n. 228.
[20] L'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001
prevede che "1. Sino all'adeguamento dei
rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si
applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di
Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie
rispetto a quelle già attribuite". Esso ha trovato attuazione con l'art.
11 della legge n. 131 del 2003. Analoga previsione era già contenuta
nell'abrogato art. 113, comma 15, del Tuel.
[21] Nel testo, per via di un refuso segnalato
anche dal Consiglio di Stato nel parere reso sul provvedimento in esame, è
stato utilizzato erroneamente il termine "pubblicata".
[22]Anche in questo caso nel testo, per via di un refuso, appare il termine
"pubblicata" in luogo di "pubblica".
[23] Recante "Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania".
[24] La disciplina della gestione delle risorse idriche è oggetto degli articoli da 141 a 176 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Si segnala che è in corso di esame al Senato il disegno di legge A.S. 2343, approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 20 aprile 2016, recante "Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque", sul quale cfr. i dossier del Servizio Studi della Camera n. 310 e 310/1 e il dossier del Servizio Studi del Senato n. 334.
[25] La gestione dei rifiuti è disciplinata dalla Parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006. Si rammenta, che facendo seguito alla disposizione di inclusione dei servizi afferenti al ciclo dei rifiuti tra i servizi a rete, il successivo art. 16 provvede ad attribuire all’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico le funzioni di regolazione e controllo del ciclo dei rifiuti, già svolte dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ai sensi dell'art. 206-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006.
[26] Il testo unico in esame
reca, tuttavia, le seguenti disposizioni in materia di trasporto pubblico
regionale e locale: l'art. 14 relativo ai bacini e livelli adeguati dei servizi
di trasporto pubblico locale e regionale; l'art. 17, che apporta modifiche alle
competenze dell’Autorità di regolazione dei trasporti in materia di trasporto
pubblico regionale e locale; l'art. 22, recante obblighi contrattuali e
disposizioni per l’innovazione del trasporto pubblico locale; l'art. 23, che
apporta modifiche ai criteri di riparto del Fondo per il concorso finanziario
dello Stato al trasporto pubblico locale; l'art. 26, recante disposizioni per
il contrasto all’evasione tariffaria nel settore del trasporto pubblico locale;
l'art. 27, che reca disposizioni per la tutela dell’utenza nel settore del
trasporto pubblico locale; l'art. 35, recante disposizioni in materia di trasporto pubblico locale per la
pianificazione e finanziamento della mobilità urbana sostenibile. Con
specifico riferimento agli articoli 22, 23, 26, 27 e 35, si ritiene opportuno
anticipare, sin da ora, che il Consiglio di Stato, nel parere espresso sullo
schema di decreto legislativo in esame, ne raccomanda l'espunzione dallo
stesso, in quanto "A
differenza dall’articolo 14 (Bacini e livelli adeguati dei servizi di trasporto
pubblico locale e regionale) – il quale, pur inerendo anch’esso alla materia
dei trasporti pubblici locali, trova ‘copertura’ nell’art. 19, lettere d) ed
i), della legge di delega – i menzionati articoli perseguono finalità estranee
ad una riforma organica della materia dei servizi pubblici locali e si
presentano come ‘asistemici’ rispetto a un testo unico
che tratta i servizi pubblici locali nella loro disciplina generale". Al riguardo si veda l'illustrazione
dell'art. 22, dove sono riportate integralmente le argomentazioni del Consiglio
di Stato.
Nello schema
in esame sono, inoltre, oggetto di abrogazione risalenti disposizioni che
attribuivano al Prefetto poteri speciali sul trasporto urbano (art. 16 del
regio decreto-legge n. 2311 del 1923), e che disciplinavano il trattamento
giuridico-economico del personale impiegato nel settore del trasporto urbano.
[27] Si osserva che i commi 1 e 1-bis dell’art. 113 del Tuel (oggetto di abrogazione ai sensi dell'art. 38 del testo in esame) escludevano, dal campo di applicazione delle disposizioni in materia di gestione e affidamento di servizi pubblici locali di rilevanza economica, le discipline relative ai settori del trasporto pubblico locale, nonché della distribuzione dell'energia elettrica e del gas naturale. Le più recenti disposizioni in materia di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica contenute nell'art. 34 del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, escludono dall'ambito della propria applicazione anche la gestione delle farmacie comunali (i commi 20, 21, 22 e 25 del citato art. 34 sono abrogati dall'art. 38 del testo unico in esame).
[28] Si vedano anche le perplessità avanzate dalla Conferenza delle regioni in merito al non perfetto coordinamento tra l'art. 3, comma 2, e l'art. 13, in materia di organizzazione per ambiti territoriali ottimali dei servizi a rete, di cui si dà conto in sede di illustrazione dello stesso art. 13.
[29] Le richiamate lettere e) e m) dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione individuano come materie di competenza esclusiva dello Stato, rispettivamente: "moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie" e "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale".
[30] La richiamata lettera s) individua quale materia di competenza esclusiva dello Stato la "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali".
[31] Sull'abrogazione dell'art. 23-bis con D.P.R. n. 113/2011, a seguito degli esiti delle consultazioni referendarie del 12 e 13 giugno 2011, si rinvia al capitolo II (I servizi pubblici locali) a corredo dell'illustrazione dell'art. 1.
[32] Sul Protocollo n. 26 si rinvia al capitolo I (I servizi di interesse economico generale-SIEG) a corredo dell'illustrazione dell'art. 1.
[33] Al riguardo il Consiglio di Stato ha
segnalato "l’opportunità di modificare il testo del comma 5 dell’articolo
in esame laddove, con riferimento ai livelli di qualità e di sicurezza,
utilizza il termine «migliori»; la parola in questione, infatti, esprime una
valutazione relazionale, che non può essere utilizzata in assenza di un
parametro di riferimento. In luogo del termine: «i migliori», pertanto, si
suggerisce di utilizzare l’aggettivo: «adeguati»".
[34] Si rileva che nel riferimento normativo è stata omessa l'indicazione
della "Parte I" del decreto legislativo n. 59 del 2010.
[35] Consiglio di Stato, Sez. V, 13/12/2006, n. 7369.
[36] Rispetto alla vigente formulazione dell'art. 1 del regio decreto n. 2578 del 1925, recante "Approvazione del testo unico della legge sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle province", viene meno (tramite abrogazione, da parte dell'art. 38, delle relative disposizioni) la possibilità per i comuni di assumere l'esercizio diretto dei seguenti servizi: trasporti funebri, stabilimenti per la macellazione, mercati pubblici, pubbliche affissioni. Conseguentemente risulta oggetto di abrogazione anche l'art. 1 del regio decreto n. 3298 del 1928, recante disposizioni in materia di macelli pubblici.
[37] Sulle precedenti disposizioni normative in tema di affidamento, cfr capitolo II (I servizi pubblici locali) in sede di illustrazione dell'art. 1.
[38] Sullo schema di decreto legislativo (Atto del Governo n. 283) si vedano i dossier del Servizio studi della Camera dei deputati n. 282 e 282/1.
[39] Sul tema, la Corte dei conti-Sezione delle Autonomie,
nella deliberazione n. 15 del 2014, specifica: "La gara a doppio oggetto è
fattispecie diversa dall’affidamento diretto di ulteriori appalti a una società
mista già costituita. In quest’ultima ipotesi, infatti, si è in presenza di
società miste c.d. aperte nei cui confronti non è possibile derogare al
principio della gara". Così come è fattispecie diversa dall’acquisizione
di una partecipazione azionaria in una società costituita in precedenza.
[40] Cfr. capitolo II (I servizi pubblici locali) in sede di illustrazione dell'art. 1.
[41] Si fa riferimento, in particolare, all'art. 5 (Principi comuni in materia di esclusione per concessioni, appalti pubblici e accordi tra enti e amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito del settore pubblico) del nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016 (sul quale si rinvia ai già richiamati dossier 282 e 282/1). Al riguardo si veda anche l'art. 16 (Società a controllo pubblico titolari di affidamenti diretti di contratti pubblici) del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica di cui allo schema di decreto legislativo in corso di approvazione (Atto del Governo n. 297, sul quale cfr. il dossier n. 322 predisposto dai Servizi Studi di Senato e Camera). Si rammenta, inoltre, che l'art. 192 del decreto legislativo n. 50 del 2016 prevede l'istituzione presso l'Autorità nazionale anticorruzione (Anac) di un elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house.
[42] Le aziende municipalizzate trovano la loro prima
disciplina nella legge Giolitti n. 103 del 1903 e nel successivo testo unico n.
2578 del 1925 e costituiscono il modello organizzativo per la gestione, da
parte dei comuni, dei servizi di primaria necessità in alternativa alla
concessione a imprenditori privati.
[43] Le altre possibili forme di gestione erano: a) la
gestione in economia, "quando per le modeste dimensioni o per le
caratteristiche del servizio non sia opportuno costituire una istituzione o una
azienda"; b) la concessione a terzi, "quando sussistano ragioni
tecniche, economiche e di opportunità sociale"; c) a mezzo di istituzione,
"per l'esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale";
d) "a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente
capitale pubblico locale costituite o partecipate dall'ente titolare del
pubblico servizio, qualora sia opportuna in relazione alla natura o all'ambito
territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o privati";
e) "a mezzo di società per azioni senza il vincolo della proprietà
pubblica maggioritaria a norma dell'articolo 116". Sull'art. 113 del Tuel cfr. anche il capitolo II (I servizi pubblici locali)
di cui all'illustrazione dell'art. 1.
[44] Sebbene il comma 4 faccia riferimento al “provvedimento di cui al comma 3”, che – come testè illustrato - riguarda affidamenti in house e la gestione mediante aziende speciali, si rammenta che a norma del comma 1, lettera d), i servizi a rete non possono essere gestiti mediante aziende speciali (né in economia).
[45] Con riferimento all’esigenza di dar conto dell’impossibilità di suddivisione in lotti, si segnala – sotto il profilo dell’efficiente allocazione delle risorse - che in talune circostanze, come ad esempio nel caso di servizi a rete o comunque in presenza di economie di scala, pur essendo astrattamente possibile procedere alla suddivisione in lotti, risultano tuttavia opportune forme di aggregazione nella gestione.
[46] Sul punto cfr. il capitolo II (I servizi pubblici locali) di cui all'illustrazione dell'art. 1.
[47] Cfr. l'illustrazione
dell'art. 9. Contestualmente ai rilievi
di cui si è dato conto, la Conferenza delle regioni chiede l'esclusione,
dall'ambito di applicazione dell'art. 7, degli impianti di trasporti a fune per
la mobilità turistico-sportiva eserciti in aree montane, già esclusi dalla
disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica dall'art. 113,
comma 2-bis, del Tuel.
[48] La disposizione ha modificato l’art. 3-bis, comma 1-bis, del decreto-legge n. 138 del 2011.
[49] L'art. 35, comma 11, della legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002) - oggetto di abrogazione da parte dell'art. 38 - dispone, tra l'altro, che sulle reti, sugli impianti e sulle altre dotazioni patrimoniali sia costituito, ai sensi dell'art. 1021 del codice civile, "un diritto di uso perpetuo ed inalienabile a favore degli enti locali", fermo il diritto del proprietario, qualora sia un soggetto diverso da quello cui è attribuita la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, alla percezione di un canone da parte di tale soggetto.
[50] La Corte dei conti-Sezione Regionale di controllo per la Lombardia, nel parere n. 295 del 2013, ha osservato che nella disciplina pubblicistica non esiste una definizione né una specifica trattazione delle società patrimoniali, "persone giuridiche di diritto privato, il cui capitale è interamente pubblico e il cui compito è quello di gestire in maniera economica le dotazioni patrimoniali conferite, valorizzandole. (...) Nella prassi si può verificare che alle società patrimoniali di reti sia demandata non solo la gestione del patrimonio comunale con la relativa attività strumentale di manutenzione, ma anche l’attività di gestione dei servizi pubblici".
[51] La Corte dei conti-Sezione Regionale di controllo per la Lombardia ha ribadito le conclusioni di cui al parere n. 295 del 2013 nel più recente parere n. 141 del 2015, anch'esso vertente sugli impianti adibiti al servizio di distribuzione del gas naturale: "Non essendo sostanzialmente mutato il quadro normativo di regolamentazione del settore gas, non possono che ribadirsi le conclusioni cui la Sezione era pervenuta a tenore della richiamata deliberazione n.295/2013/PAR, (...) In conclusione, la proprietà degli impianti, delle dotazioni e delle reti necessarie a svolgere il servizio pubblico di distribuzione del gas naturale è essenzialmente pubblica, confluisce nel patrimonio indisponibile dell’ente locale ed è attribuibile, oltre che direttamente all’ente territoriale, a società patrimoniali, totalmente partecipate dal medesimo ente e, nei limiti del legame funzionale inscindibile fra proprietà e gestione del servizio, ai soggetti privati che posseggono i requisiti legali individuati dall’art. 14 comma 5 del D. Lgs. n.164/2000 per la partecipazione alle gare di affidamento del servizio, alla stregua dei criteri concorrenziali imposti dalle norme comunitarie. Infatti, l’attribuzione della disponibilità in capo al privato delle reti, delle dotazioni e degli impianti di distribuzione del gas, si giustifica e si legittima esclusivamente se strettamente correlata con la durata contrattuale del regime concessorio, costituito a seguito di gara regolarmente condotta secondo i principi di tutela della concorrenza previsti dall’ordinamento interno e dal diritto comunitario".
[52] La nozione di area vasta è contemplata dalla legge n. 56 del 2014 (art.1, commi 2 e 3) e si riferisce alle città metropolitane e alle province.
[53] Il comma 27 è stato
sostituito dall'art. 19, comma 1, lett. a), del decreto-legge 6 luglio
2012, n. 95, convertito,
con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successivamente modificato dall'art. 1, comma 305, della legge
24 dicembre 2012, n. 228.
[54] Al riguardo, si segnala che è oggetto di abrogazione da parte dell'art. 38 del provvedimento in esame l'art. 2, comma 28, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), che - al fine di semplificare le forme associative comunali - disponeva che il comune, per la gestione di un servizio, potesse aderire a un'unica forma associativa.
[55] La disposizione non si applica ai comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole e al comune Campione d'Italia.
[56] Ai sensi dell’art. 32 del Tuel,
l’unione dei comuni "è l'ente locale costituito da due o più comuni"
(ciascuno dei quali non può far parte di altre unioni), "di norma
contermini, finalizzato all'esercizio associato di funzioni e servizi"; le
unioni di comuni hanno facoltà di stipulare apposite convenzioni tra loro o con
singoli comuni; gli organi dell'unione sono costituiti, senza maggiori oneri
per la finanza pubblica, da amministratori in carica dei comuni associati e il
loro incarico è a titolo gratuito, non potendosi prevedere neppure gettoni,
indennità o altre forme di emolumenti; il presidente è individuato tra i
sindaci dei comuni associati e la giunta tra i componenti degli esecutivi dei
comuni associati; il consiglio è composto da un numero di consiglieri definito
nello statuto, eletti dai singoli consigli dei comuni associati tra i propri
componenti, garantendo la rappresentanza delle minoranze e assicurando la
rappresentanza di ogni comune; l'unione ha potestà statutaria e regolamentare e
ad essa si applicano, in quanto compatibili con l’ordinamento, i princìpi
previsti per l'ordinamento dei comuni, con particolare riguardo allo status
degli amministratori, all'ordinamento finanziario e contabile, al personale e all'organizzazione. Si segnala che una
definizione di unione di comuni è offerta anche dall’articolo 1, comma 4, della
legge n. 56 del 2014, secondo cui le unioni di comuni “sono enti locali
costituiti da due o più comuni per l'esercizio associato di funzioni o servizi
di loro competenza”. Infine, circa la natura giuridica dell’unione dei comuni,
la Corte Costituzionale ha statuito che tali unioni si risolvono “in forme
istituzionali di associazione tra Comuni per l’esercizio congiunto di funzioni
o servizi di loro competenza” e non costituiscono, “perciò, al di là dell’impropria
definizione sub comma 4 dell’art. 1 [della citata legge n.56 del 2014], un ente
territoriale ulteriore e diverso rispetto all’ente Comune” (sent
n.50 del 2015).
[57] Disciplinate dall’art.30 del Tuel, le convenzioni sono accordi per la gestione associata delle funzioni e dei servizi comunali, in cui sono stabiliti i fini, la durata, le forme di consultazione degli enti contraenti, i loro rapporti finanziari ed i reciproci obblighi e garanzie. Possono prevedere la costituzione di uffici comuni, che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti all’accordo, per l'esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti secondo modalità flessibili.
[58] Le funzioni fondamentali dei comuni sono enucleate al comma 27 dell' articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010; si tratta di: a) organizzazione generale dell'amministrazione, gestione finanziaria e contabile e controllo; b) organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale; c) catasto, ad eccezione delle funzioni mantenute allo Stato dalla normativa vigente; d) la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale; e) attività, in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi; f) l'organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi; g) progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall'articolo 118, quarto comma, della Costituzione; h) edilizia scolastica per la parte non attribuita alla competenza delle province, organizzazione e gestione dei servizi scolastici; i) polizia municipale e polizia amministrativa locale; l) tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e compiti in materia di servizi anagrafici nonché in materia di servizi elettorali, nell'esercizio delle funzioni di competenza statale; l-bis) i servizi in materia statistica.
[59] Si segnala che è in corso di svolgimento presso la I Commissione (Affari costituzionali) della Camera dei deputati l'indagine conoscitiva sulla gestione associata delle funzioni e dei servizi comunali, nel corso della quale i rappresentanti della Corte dei conti, auditi dalla Commissione in data 1° dicembre 2015, hanno predisposto un documento che, partendo dal quadro ordinamentale delle gestioni associate di funzioni e servizi, riferisce sullo stato di attuazione della normativa in tema di unioni e fusioni, svolgendo anche valutazioni di sintesi. Il documento, corredato di un'appendice contenente una ricognizione dello stato di attuazione della riforma da parte delle regioni, è disponibile al seguente link:
[60] Si segnala che il disegno di legge recante "Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque", approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati e in corso di esame presso il Senato (A.S. 2343), all'art. 3, comma 3, fa venire meno la prescrizione vigente in base alla quale risulta consentito l'affidamento del servizio idrico integrato in ambiti territoriali comunque non inferiori agli ambiti territoriali corrispondenti alle province o alle città metropolitane (articolo 147, comma 2-bis, alinea, del decreto legislativo n. 152 del 2006). Il testo del disegno di legge approvato dalla Camera, a differenza della disposizione vigente, non pone un limite minimo all'estensione territoriale dell'ambito ottimale, ma prevede che, qualora l'ambito territoriale ottimale coincida con l'intero territorio regionale, l'affidamento del servizio idrico integrato sia consentito in ambiti definiti sulla base dei criteri generali e principi di unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui, di unicità della gestione, nonché di adeguatezza delle dimensioni gestionali, ove ciò si renda necessario al fine di conseguire una maggiore efficienza gestionale ed una migliore qualità del servizio all'utenza.
[61] La nozione di area vasta è contemplata dalla legge n. 56 del 2014 (art.1, commi 2 e 3) e si riferisce alle città metropolitane e alle province. Poiché il concetto di area vasta include quello di città metropolitana, si valuti l'opportunità di riformulare il comma 4 al fine di operare un richiamo “alle città metropolitane e agli altri enti di area vasta”, ovvero più semplicemente “agli enti di area vasta”.
[62]L'art. 8 della legge n. 131 del 2003, recante "Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3", contiene le disposizioni per l'attuazione dell'articolo 120 della Costituzione sul potere sostitutivo.
[63] L'art. 3-bis risulta integralmente abrogato dal combinato disposto dell'art. 38, comma 1, lett. p), dello schema di decreto legislativo in esame, e dell'art. 29, comma 1, lett. m), dello schema di testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (per il quale si rinvia al Dossier dei Servizi Studi del Senato e della Camera n. 322 sull'atto del Governo n. 297).
[64] Nel presupposto, esplicitato nel testo, del perseguimento delle finalità di tutela della concorrenza e dell’ambiente, materie finalistiche che consentono allo Stato, sulla base di una giurisprudenza costituzionale consolidata, di invadere gli ambiti di competenza altrimenti riservati dalla Costituzione alla legislazione regionale.
[65] L’articolo faceva salva l'organizzazione di servizi pubblici locali di settore in ambiti o bacini territoriali ottimali già prevista in attuazione di specifiche direttive europee, nonché ai sensi delle discipline di settore vigenti o, infine, delle disposizioni regionali che abbiano già avviato la costituzione di ambiti o bacini territoriali di dimensioni non inferiori a quelle richiamate.
[66] Sull'attivazione del potere sostitutivo da parte del Presidente del Consiglio dei ministri a seguito di ricognizione dello stato di attuazione degli obblighi di cui all'art. 3-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, si veda anche la disposizione transitoria di cui al successivo art. 36.
[67] In materia di gestione del servizio idrico integrato, si ricorda che è all'esame del Senato l'A.S. 2343, approvato dalla Camera il 20 aprile 2016 (A.C. 2212), recante "Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque", nel quale sono, tra l'altro, contenute disposizioni di pianificazione, gestione e finanziamento del servizio idrico integrato (cfr. i già richiamati Dossier del Servizio Studi della Camera n. 310 e 310/1 e il Dossier del Servizio Studi del Senato n. 334).
[68] Come anche sopra rammentato, il comma 1-bis è stato inserito nell'art. 3-bis dall'art. 34, comma 23, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e , successivamente, modificato dall'art. 1, comma 609, lett. a), della legge 23 dicembre 2014, n. 190, a decorrere dal 1° gennaio 2015.
[69] Nell'ambito del decreto legislativo n. 152 del 2006, si richiama anche l'art. 147 in materia di organizzazione territoriale del servizio idrico integrato.
[70] A causa del tardivo adeguamento da parte delle
Regioni agli obblighi di cui alla normativa richiamata nella scheda di
approfondimento, sono, infatti, sorte questioni in ordine all’ipotesi in cui i
Comuni (inclusi quelli soggetti all’esercizio in forma obbligatoriamente
associata delle funzioni fondamentali) intendano procedere all’affidamento
congiunto del servizio di gestione dei rifiuti, ma non siano ancora stati
definiti i bacini territoriali a livello regionale. Sul punto si è espressa la
Corte dei conti-Sezione regionale di controllo per la Lombardia con
deliberazione n. 20 del 17 gennaio 2014, ritenendo che, nelle more dell’istituzione
degli ambiti territoriali ottimali, permanga "in capo ai comuni la potestà
di gestione del servizi di igiene ambientale (nei termini la Sezione con
deliberazioni 531/2012; 362/2013; 457/2013). Tuttavia, l’affidamento in
concreto di detto servizio (anche nell’ipotesi di gestione già instaurata)
dovrà avvenire secondo i principi di trasparenza, parità di trattamento e
concorrenza e, in ogni caso, tramite procedure di selezione comparativa,
escluso ogni automatico rinnovo in favore degli attuali affidatari".
[71] Si rileva la mancata menzione delle province autonome di Trento e di Bolzano.
[72] Come già in precedenza si è avuto modo di rammentare, la nozione di area vasta è contemplata dalla legge n. 56 del 2014 (art.1, commi 2 e 3) e si riferisce alle città metropolitane e alle province. Poiché il concetto di area vasta include quello di città metropolitana, si valuti l'opportunità di riformulare il comma 2 al fine di operare un richiamo “alle città metropolitane e agli altri enti di area vasta”, ovvero più semplicemente “agli enti di area vasta”.
[73] L’Osservatorio è stato istituito, ai sensi
dell’art.1, comma 300, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il
2008), presso il Ministero dei
trasporti, “al fine di creare una banca dati e un sistema informativo pubblico
correlati a quelli regionali e di assicurare la verifica dell'andamento del
settore e del completamento del processo di riforma”. All'Osservatorio
partecipano i rappresentanti dei Ministeri competenti, delle regioni e degli
enti locali. L'Osservatorio presenta annualmente alle Camere un rapporto sullo
stato del trasporto pubblico locale (la Relazione per l'anno 2015, Doc. CCXXII,
n. 2, è stata trasmessa alle Camere in data 5 gennaio 2016).
[74]Il settore del trasporto presenta la peculiarità dello svolgimento anche in ambito regionale. La regione costituisce, tra l'altro, l’ambito di svolgimento dei servizi ferroviari, disciplinati, a loro volta, da una specifica normativa (si segnala, in particolare, il decreto legislativo n. 112 dl 2015, di attuazione della direttiva 2012/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico).
[75] Al riguardo, si rammenta la Comunicazione della Commissione europea sugli orientamenti interpretativi concernenti il Regolamento (CE) n. 1370/2007 relativo ai servizi pubblici di trasporto passeggeri su strada e per ferrovia (2014/C 92/01), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 29 marzo 2014.
[76] La disciplina nazionale di settore trova ulteriore specificazione nella normativa regionale.
[77] La materia è stata poi riconosciuta anche dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 222 del 2005, come competenza residuale delle regioni: "Non vi è dubbio che la materia del trasporto pubblico locale rientra nell’ambito delle competenze residuali delle Regioni di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost., come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della riforma del Titolo V della Costituzione, il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento alle Regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) aveva ridisciplinato l’intero settore, conferendo alle Regioni ed agli enti locali funzioni e compiti relativi a tutti i «servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con qualsiasi modalità effettuati ed in qualsiasi forma affidati» ed escludendo solo i trasporti pubblici di interesse nazionale".
[78] Si veda l'illustrazione dell'art. 17.
[79]Vengono, al riguardo, richiamate anche le considerazioni svolte in più occasioni dalla Corte costituzionale, tra le altre, nelle sentt. nn. 20 e 62/2012.
[80] Recante "Avvio del procedimento di adozione di misure regolatorie per la redazione dei bandi e delle convenzioni relativi alle gare per l'assegnazione in esclusiva dei servizi di trasporto pubblico locale passeggeri e della relativa consultazione e dei criteri per la nomina delle commissioni aggiudicatrici".
[81] L'art. 37, comma 3, lettera a), del decreto-legge n. 2012 del 2011 dispone che l'Autorità "può sollecitare e coadiuvare le amministrazioni pubbliche competenti all'individuazione degli ambiti di servizio pubblico e dei metodi più efficienti per finanziarli, mediante l'adozione di pareri che può rendere pubblici".
[82] A conclusione del procedimento avviato con la deliberazione n. 46 del 2014, è stata approvata la deliberazione n. 49 del 2015, recante "Misure regolatorie per la redazione dei bandi e delle convenzioni relativi alle gare per l’assegnazione in esclusiva dei servizi di trasporto pubblico locale passeggeri e definizione dei criteri per la nomina delle commissioni aggiudicatrici e avvio di un procedimento per la definizione della metodologia per l’individuazione degli ambiti di servizio pubblico e delle modalità più efficienti di finanziamento".
[83] Recante "Documento di consultazione sulle questioni regolatorie relative all'assegnazione in esclusiva dei servizi di trasporto pubblico locale".
[84] L’Osservatorio per i servizi pubblici locali,
istituito presso il Ministero dello sviluppo economico ai sensi dell’art.13,
comma 25-bis, del decreto-legge n.145
del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n.9 del 2014, ha la “finalità
di monitorare l’applicazione della disciplina dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica sul territorio anche con riferimento alla dotazione
infrastrutturale, alla qualità e all’efficienza delle gestioni dei servizi
pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al
settore dei rifiuti urbani” (ai sensi dell’art. 1, comma 2, del decreto del
Ministro dello sviluppo economico 8 agosto 2014). L’Osservatorio raccoglie,
inoltre, le relazioni che gli enti affidanti
la gestione di servizi pubblici locali di rilevanza economica sono tenuti a
redigere per dar conto “delle ragioni e della sussistenza dei requisiti
previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta” e
definire “i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio
universale, indicando le compensazioni economiche se previste”(art. 34, comma
20, del decreto-legge n. 179 del 2012). Si rammenta, infine, che l’Osservatorio
opera sulla base degli indirizzi del Tavolo tecnico sui servizi locali
istituito dal Protocollo di Intesa in materia di servizi pubblici locali di
rilevanza economica del 5 novembre 2013 tra Ministero dello sviluppo economico,
Dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport, Presidenza del
Consiglio dei Ministri e Agenzia nazionale per l’attrazione degli Investimenti
(Invitalia). Sull'Osservatorio si veda anche
l'illustrazione dell'art. 5.
[85] Decreto legislativo n. 50 del 2016, recante "Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture".
[86] Per la sottrazione all'Anac di funzioni in materia di qualità dei servizi pubblici precedentemente ad essa attribuite si rinvia alla illustrazione dell'art. 24.
[87] La disposizione di cui al comma 4 risulta in linea con le misure di razionalizzazione (alcune delle quali volte specificamente alla riduzione delle spese) delle Autorità indipendenti (tra le quali l'Autorità di regolazione dei trasporti, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico e l'Autorità nazionale anticorruzione) da ultimo introdotte dall'art. 22 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014 (cfr. dossier del Servizio Studi del Senato n. 159, scheda di lettura relativa all'art. 22).
[88] Il principio “chi inquina paga”, di derivazione comunitaria, previsto dall’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, risponde all’esigenza che i costi dell’inquinamento prodotto siano sopportati dagli operatori economici che l’hanno prodotto. Fra i costi da considerare nella determinazione della tariffa, al fine di assicurare il corrispettivo del servizio in esame, non dovrebbero pertanto rilevare i costi sostenuti dall’impresa per far fronte alle conseguenze dell’inquinamento prodotto.
[89] Con riferimento all'articolo in esame, il Consiglio di Stato, nel parere reso sullo schema di decreto legislativo in esame, ha osservato: "a fronte del considerevole aumento delle competenze dell’Autorità in questione, che si occuperebbe ex novo della regolazione di un settore così delicato come quello dei rifiuti, non può che condividersi quanto contenuto nelle osservazioni presentate dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico, circa la necessità che allo svolgimento delle suddette funzioni possa provvedersi mediante il reclutamento di nuovo personale dotato di specifiche competenze tecniche, il cui costo in ogni caso non graverebbe sulla finanza pubblica in forza del previsto meccanismo di autofinanziamento (la cui previsione risulterebbe altrimenti priva di effettive finalità). Peraltro, analoga integrazione organica è stata prevista in occasione dell’attribuzione, alla stessa Autorità per l’energia, delle competenze di regolazione del sistema idrico integrato (cfr. l. n. 214 del 2011 e successive modificazioni). Come già rilevato in quella occasione, tale reclutamento non potrebbe in alcun modo considerarsi come un onere a carico del bilancio dello Stato, in coerenza, peraltro, con un consolidato orientamento di questo Consiglio (cfr. il parere di Commissione Speciale n. 1186 del 14 dicembre 2011) e delle raccomandazioni delle principali Organizzazioni Internazionali, che considerano l’autonomia finanziaria e organizzativa come componenti essenziali dell’indipendenza delle Autorità di Regolazione (cfr., ad esempio, il Rapporto dell’OCSE The Governance of Regulators del 2014). Inoltre, in mancanza dell’attuazione del suddetto reclutamento, si pone in concreto il rischio che le nuove competenze assegnate all’Autorità non possano essere svolte efficacemente, con grave pregiudizio per la qualità del servizio, per i cittadini che ne fruiscono e, in ultima analisi, anche per l’ambiente (sulla “idoneità delle norme giuridiche a perseguire ‘in concreto’ gli interessi pubblici prefissati dalla legge di riforma”, cfr. già il citato parere n. 515 del 2016)".
[90] L’articolo 18, comma 2, lettera a), stabilisce che alle gare per la scelta del gestore del servizio possono partecipare i soggetti in possesso “dei requisiti di idoneità morale, finanziaria e professionale richiesti, ai sensi della normativa vigente, per il conseguimento della prescritta abilitazione all'autotrasporto di viaggiatori su strada. Le società, nonché le loro controllanti, collegate e controllate che, in Italia o all'estero, sono destinatarie di affidamenti non conformi al combinato disposto degli articoli 5 e 8, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, e la cui durata ecceda il termine del 3 dicembre 2019, non possono partecipare ad alcuna procedura per l'affidamento dei servizi, anche se già avviata. L'esclusione non si applica alle imprese affidatarie del servizio oggetto di procedura concorsuale (…)”.
[91] Si
prevede che a tal fine possano essere previsti obblighi di acquisto, cessione,
locazione o comodato d’uso a carico dell’ente affidante, del gestore uscente e
del gestore entrante, “con specifiche disposizioni per i beni acquistati con
finanziamento pubblico e per la determinazione nelle diverse fattispecie dei
valori di mercato dei predetti beni”.
[92] Nell'Allegato A alla deliberazione n. 49/15,
l'Autorità di regolazione dei trasporti ha individuato le seguenti categorie di
beni immobili strumentali all'effettuazione del servizio di TPL: "a) Reti,
impianti e infrastrutture. Sono ricompresi i binari (per il trasporto
ferroviario, metropolitano e tramviario) e le relative stazioni passeggeri, le
autostazioni, gli spazi di fermata, le fermate attrezzate e i sistemi
tecnologici di controllo per la sicurezza che insistono sulle predette reti,
impianti e infrastrutture e diversi da quelli di cui alla successiva lettera
c). Nelle stazioni passeggeri ed edifici loro connessi per le diverse modalità
di trasporto sono inclusi gli spazi comuni e le strutture aperte al pubblico,
nonché le biglietterie e altre strutture inclusi i sistemi di informazione di
viaggio e spazi adeguati per i servizi di biglietteria connessi con il servizio
di trasporto pubblico locale e i sistemi accessori. Per il servizio
ferroviario, metropolitano e tramviario, sono incluse le aree e gli impianti di
smistamento e di composizione dei treni, ivi comprese le aree di manovra, le
aree, gli impianti e gli edifici (immobili) destinati alla sosta, al ricovero
ed al deposito di materiale rotabile, i centri di manutenzione, ad eccezione,
per il servizio ferroviario, dei centri di manutenzione pesante riservati a
treni ad alta velocità o ad altri tipi di materiale rotabile che esigono centri
specializzati. Per il settore del trasporto su gomma, sono considerati depositi
o rimesse e ogni altro bene immobile, impianto o altra dotazione patrimoniale
assimilabile. b) Materiale rotabile (o carrozzabile). Sono inclusi tutti i
mezzi dotati di ruote di qualsiasi tipo per trasportare persone o cose, quali
veicoli, carrozze e carri, motrici, locomotive, locomotori, automotrici e
ricambi di prima scorta tecnica e altre dotazioni patrimoniali strettamente
pertinenti allo stesso trasporto. c) Altri beni mobili: sistemi hardware,
software e altri sistemi tecnologici per il controllo e il rilevamento
delle prestazioni e della flotta (incluso i sistemi Automatic
Vehicle Monitoring:
AVM), il funzionamento degli impianti, la gestione dei dati e dei ricavi da
bigliettazione e ogni altro sistema assimilabile strettamente funzionali ai
servizi oggetto di gara".
L'Autorità distingue, inoltre, la nozione di beni essenziali (beni strumentali per i quali sono verificate cumulativamente le seguenti condizioni: a) condivisibilità; b) non sostituibilità; c) non duplicabilità a costi socialmente sostenibili; d) dominanza) da quella di beni indispensabili (beni strumentali per i quali sono verificate cumulativamente le seguenti condizioni: a) non condivisibilità; b) non sostituibilità; c) non duplicabilità a costi socialmente sostenibili), nonché da quella di beni commerciali né essenziali né indispensabili (i beni strumentali per i quali non ricorrono cumulativamente le caratteristiche sopra enumerate e che sono reperibili nel mercato o duplicabili a prezzi o costi socialmente sostenibili).
[93] L’articolo 37, del decreto-legge n. 201 del 2011 - nel testo precedente le modifiche apportate dal decreto-legge n. 1 del 2012 - al fine di realizzare una compiuta liberalizzazione del sistema dei trasporti, aveva previsto l’attribuzione delle funzioni di regolazione del settore ad una delle Autorità indipendenti esistenti, demandando al Governo di adottare, mediante regolamenti di delegificazione, ai sensi dell’art. dell'art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, disposizioni volte a realizzare una compiuta liberalizzazione e un’efficiente regolazione nel settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture.
[94] Si veda anche l'illustrazione dell'art. 14.
[95] Al riguardo, si rammenta quanto statuito
dall'Autorità di regolazione dei trasporti nella richiamata deliberazione n. 49
del 2015: "Misura 3 - Assegnazione
dei beni essenziali e indispensabili. 1. Gli enti affidanti mettono a
disposizione dell’aggiudicatario o assicurano allo stesso l’accesso alle reti,
agli impianti e alle infrastrutture individuati come strumentali
all’effettuazione del servizio, ai sensi della misura 1, e in quanto
essenziali, tramite la stipula di contratti di comodato, locazione o altra
forma di accordo giuridicamente vincolante, in relazione alla natura giuridica
e all’assetto proprietario dei beni stessi, allegati ai documenti di gara. Per
l’accesso all’infrastruttura ferroviaria e agli impianti di servizio di cui all’articolo
13 del decreto legislativo di recepimento approvato, in via definitiva, dal
Consiglio dei Ministri in data 11 giugno 2015 e in corso di pubblicazione, gli
enti affidanti stipulano un accordo quadro di cui all’articolo 23 del predetto
decreto con il gestore della rete ferroviaria per la disponibilità delle tracce
e la disciplina di utilizzo delle stesse infrastrutture e impianti. L’accordo
quadro è allegato ai documenti di gara. 2. Gli enti affidanti mettono a
disposizione dell’aggiudicatario, secondo modalità prestabilite, i beni
strumentali per l’effettuazione del servizio di trasporto pubblico locale
qualificati come essenziali o indispensabili di cui dispongano direttamente o
attraverso un proprio ente strumentale. L’aggiudicatario ha l’obbligo di
manutenere e di rilevare gli stessi in base al titolo di trasferimento
utilizzato. 3. In caso di disponibilità, per effetto di atto normativo o
previsione del contratto di servizio o in caso di vincoli di destinazione d’uso
sui beni o sulla base di un accordo negoziale, dei beni essenziali o
indispensabili in proprietà del gestore uscente, detti beni sono messi a
disposizione dell’aggiudicatario il quale ha l’obbligo di manutenere e di
rilevare gli stessi a titolo di locazione o di cessione della proprietà. 4. Per
i beni indispensabili di proprietà di terzi, già oggetto di contratto con il
gestore uscente, è garantito il subentro del nuovo gestore, per tutta la durata
del nuovo affidamento, in coerenza con i vincoli stabiliti su tali beni, in
assenza dei quali è riconosciuta al terzo proprietario del bene la scelta della
modalità di trasferimento a titolo di cessione o di locazione. 5. Gli enti
affidanti definiscono nello schema di contratto di servizio allegato agli atti
di gara la disciplina riguardante la messa a disposizione dei beni
indispensabili, secondo i criteri di cui alla presente misura, anche tenendo
conto degli esiti della consultazione pubblica di cui alla misura 2, punto 6.
I beni strumentali all’effettuazione del servizio di trasporto acquisiti
tramite finanziamento pubblico mantengono i vincoli di destinazione d’uso per
il periodo indicato da disposizioni di legge, dall’atto che assegna il
finanziamento o dal contratto di servizio. 6. In virtù di un accordo negoziale
o di previsione normativa o contrattuale, al gestore uscente può essere imposto
l’obbligo di assicurare la disponibilità del materiale rotabile ferroviario a
titolo di locazione, fino all’entrata in esercizio del materiale oggetto di
offerta e strumentale all’effettuazione del servizio da parte
dell’aggiudicatario, ove ritenuto necessario per assicurare il tempestivo avvio
del servizio".
[96] In proposito l'ART, nella deliberazione n. 49/15, ha
disposto: "Misura 8 -
Trasferimento del personale. 1. I documenti di gara disciplinano: a) nel
rispetto delle vigenti disposizioni di legge e contrattuali, in modo chiaro e
dettagliato, le modalità e le condizioni giuridiche ed economiche del
trasferimento all’aggiudicatario del personale in servizio presso il gestore
uscente adibito allo svolgimento dei servizi oggetto di affidamento; b) le
modalità di gestione del trattamento di fine rapporto del personale da
trasferire, nella disponibilità del datore di lavoro, assicurando la parità di
trattamento, la non discriminazione, la certezza della disciplina applicabile e
la garanzia per i lavoratori sul trattamento di fine rapporto maturato. 2. Ai
fini di quanto previsto al punto 1, lettera a), fatta salva l’applicazione
della disciplina sul trasferimento d’azienda o di ramo di essa, gli enti affidanti
individuano il personale da trasferire assegnato in maniera prevalente alle
attività relative ai servizi oggetto di affidamento, previa consultazione del
gestore uscente, da effettuarsi, se ritenuto opportuno, nell’ambito della
procedura di cui alla misura 2, punto 6. 3. Per l’individuazione del personale
da trasferire di cui al punto 2, gli enti affidanti tengono conto: a)
dell’allocazione del personale agli specifici centri di costo, indicata nella
pertinente documentazione contabile relativa all’ultimo anno di esercizio
economico-finanziario utile1; b) degli esiti della consultazione, prevista
nella misura 2, punto 6, sulla disciplina dei beni essenziali e indispensabili
al servizio".
[97] Venivano in sostanza riprodotte le ipotesi di inconferibilità di cui all'art. 8, commi 1 e 2, del Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 168 del 2010 (il quale ha cessato di essere applicato a seguito dell'abrogazione referendaria dello stesso art. 23-bis: al riguardo cfr. il capitolo II a corredo dell'illustrazione dell'art. 1).
[98] In tale ipotesi si applica l'art. 3, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 39 del 2013, i quali prevedono che l'inconferibilità abbia carattere permanente nei casi in cui sia stata inflitta la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero sia intervenuta la cessazione del rapporto di lavoro a seguito di procedimento disciplinare.
[99] Art. 51 del c.p.c.: "(Astensione del giudice)
Il giudice ha l'obbligo di
astenersi: 1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica
questione di diritto; 2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto
grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale
di una delle parti o di alcuno dei difensori; 3) se egli stesso o la moglie ha
causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle
parti o alcuno dei suoi difensori; 4) se ha dato consiglio o prestato
patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha
conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha
prestato assistenza come consulente tecnico; 5) se è tutore, curatore,
amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle
parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un'associazione
anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha
interesse nella causa. In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di
convenienza, il giudice può richiedere al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad
astenersi; quando l'astensione riguarda il capo dell'ufficio l'autorizzazione è
chiesta al capo dell'ufficio superiore".
[100] Venivano in sostanza riprodotte le ipotesi di inconferibilità di cui all'art. 8, commi da 4 a 6, del Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 168 del 2010, il quale - come segnalato in precedenza - ha cessato di essere applicato a seguito dell'abrogazione referendaria dell' art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008.
[101] I commi 25 e 26 riproducevano i commi 7 e 8 dell'art. 8 del citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 168 del 2010.
[102] Recante "Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture".
[103] La disposizione citata corrisponde all'art. 11, comma 9, primo periodo, di cui all'abrogato decreto legislativo n. 163 del 2006 (Codice dei contratti). Si rammenta anche la disposizione di cui al citato art. 32, comma 9: "Il contratto non può comunque essere stipulato prima di trentacinque giorni dall'invio dell'ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione".
[104] Il costo standard rappresenta uno strumento funzionale alla determinazione dei corrispettivi per il servizio pubblico in condizioni di efficienza, efficacia e omogeneità su tutto il territorio nazionale. Il decreto legislativo n. 422 del 1997 ("Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59"), all’articolo 17 (“obblighi di servizio”), dispone che “nei contratti di servizio (…) le corrispondenti compensazioni economiche alle aziende esercenti i servizi stessi” siano “determinate secondo il criterio dei costi standard”. Il comma 84 della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014) – richiamato dalla disposizione in esame - demanda al decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa in sede di Conferenza unificata, la definizione, entro il 31 marzo 2014, secondo criteri di uniformità a livello nazionale, dei costi standard dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale nonché dei criteri per l'aggiornamento e l'applicazione degli stessi. La citata disposizione stabilisce, altresì, che nella “determinazione del costo standard per unità di servizio prodotta, espressa in chilometri, per ciascuna modalità di trasporto, si tiene conto dei fattori di contesto, con particolare riferimento alle aree metropolitane e alle aree a domanda debole, della velocità commerciale, delle economie di scala, delle tecnologie di produzione, dell'ammodernamento del materiale rotabile e di un ragionevole margine di utile”.
[105] Le province e le città metropolitane sono invece tenute all'adozione di piani del traffico per la viabilità extraurbana, d'intesa con gli altri enti proprietari delle strade interessate.
[106] Ai sensi del comma 6 del richiamato art. 36 la redazione dei piani di traffico deve essere predisposta nel rispetto delle direttive emanate dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sulla base delle indicazioni formulate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica nel trasporto. Dette direttive, impartite il 24 giugno 1995, definiscono tre livelli di progettazione in funzione del grado di dettaglio delle proposte di intervento: 1) “Piano generale del traffico urbano (PGTU), inteso quale progetto preliminare o piano quadro del PUT, relativo all'intero centro abitato”; 2) piani particolareggiati del traffico urbano, “intesi quali progetti di massima per l'attuazione del PGTU, relativi ad ambiti territoriali più ristretti di quelli dell'intero centro abitato, quali - a seconda delle dimensioni del centro medesimo - le circoscrizioni, i settori urbani, i quartieri o le singole zone urbane (anche come fascia di influenza dei singoli itinerari di viabilità principale)”; 3) Piani esecutivi del traffico urbano, “intesi quali progetti esecutivi dei piani particolareggiati del traffico urbano”.
[107] Al contempo, il costo standard è anche uno strumento utilizzato per definire il fabbisogno standard per l’erogazione di prestazioni/servizi essenziali da parte di ciascun ente territoriale, al fine di assicurare la provvista economica a garanzia di livelli essenziali omogenei delle prestazioni in condizione di efficienza della spesa. Il criterio di fabbisogno standard è stato introdotto al fine di sostituire quello legato alla spesa storica, nell’ottica di favorire una gestione efficiente delle risorse pubbliche.
[108] Con tale atto (sul quale si veda anche l'illustrazione dell'art. 14) il Governo ha provveduto ad esercitare la delega a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa) conferendo alle regioni e agli enti locali funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale.
[109] La normativa comunitaria ivi
richiamata è l'articolo 2 del regolamento 1191/69/CEE (regolamento del Consiglio
relativo all'azione degli Stati membri in materia di obblighi inerenti
alla nozione di servizio pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, su
strada e per via navigabile), modificato dal regolamento 1893/91/CEE. Il
regolamento richiamato è stato successivamente abrogato dal regolamento (CE) n.
1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai
servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia (sul quale
cfr. illustrazione dell'art. 14).
[110] Ai sensi dell’art.2,
paragrafo 1, lettera g)¸ del
regolamento (CE) n.1370/2007, per compensazione di servizio pubblico si
intende: “qualsiasi vantaggio, in particolare di natura finanziaria, erogato
direttamente o indirettamente da un'autorità competente per mezzo di fondi
pubblici durante il periodo di vigenza di un obbligo di servizio pubblico,
ovvero connesso a tale periodo”.
[111] La deroga potrà applicarsi a condizione che nel frattempo sia adottato il citato decreto interministeriale (si veda l’illustrazione del comma 7).
[112] Su cui cfr. art. 17.
[113]La collocazione della disposizione nell’ambito dell’articolo rubricato: “obblighi contrattuali e disposizioni per l’innovazione del trasporto pubblico locale” lascerebbe intendere che ci si riferisca elusivamente al servizio di trasporto pubblico. Per servizio a domanda individuale, più in generale, deve intendersi l’attività svolta, non a titolo gratuito, dall’ente o dal soggetto affidatario del servizio su richiesta dell’utente che ne sostiene parte degli oneri mediante il pagamento di una tariffa o di un contributo. L’art. 6 del decreto-legge n.55 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n.131 del 1983, che si riferisce agli enti locali, stabilisce che questi ultimi “sono tenuti a definire, non oltre la data della deliberazione del bilancio, la misura percentuale dei costi complessivi di tutti i servizi pubblici a domanda individuale - e comunque per gli asili nido, per i bagni pubblici, per i mercati, per gli impianti sportivi, per il servizio trasporti funebri, per le colonie e i soggiorni, per i teatri e per i parcheggi comunali - che viene finanziata da tariffe o contribuzioni ed entrate specificamente destinate”. Si pensi, a titolo di esempio, al servizio di trasporto scolastico per il quale si prevede una contribuzione degli utenti.
[114] Il regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, che disciplina le modalità di aggiudicazione degli appalti per servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e ferrovia, reca, all’articolo 5, la disciplina relativa all’aggiudicazione dei contratti, e, all’articolo 8, un regime transitorio (fino al 2 dicembre 2019) al fine di far sì che gli Stati adottino misure per conformarsi gradualmente alla disciplina di cui all’articolo 5.
[115] Quanto alla disciplina nazionale di settore in
materia di affidamento, si ricorda che, nel decreto legislativo n. 422
del 1997, l'articolo 18 prevedeva che le modalità di affidamento del servizio venissero
definite con leggi regionali che avrebbero dovuto rispettare alcuni principi
tra i quali l'obbligo di svolgimento di una gara e la determinazione delle
tariffe con l'applicazione del metodo del price
cap (metodo di regolazione dei prezzi volto ad
associare il tasso di crescita delle tariffe di un servizio pubblico al
rispetto di determinati vincoli in modo da favorire l'innovazione di prodotto).
Era prevista la piena operatività di questo disposto normativo al termine di un
periodo transitorio che inizialmente si sarebbe dovuto concludere il 31
dicembre 2003 ma che poi è stato in più occasioni prorogato (l'ultima proroga
ha consentito il mantenimento della situazione anteriore al decreto legislativo
n. 422 fino al 31 dicembre 2009). In sostanziale coincidenza con la
conclusione del periodo transitorio previsto dal decreto legislativo n. 422
del 1997 e, come si è visto, più volte prorogato, l'art. 61 della legge n. 99
del 2009 ha di fatto attenuato l'obbligo di affidamento ricorrendo alle
procedure concorsuali, con la seguente previsione: "Al fine di armonizzare
il processo di liberalizzazione e di concorrenza nel settore del trasporto
pubblico regionale e locale con le norme comunitarie, le autorità competenti
all'aggiudicazione di contratti di servizio, anche in deroga alla disciplina di
settore, possono avvalersi delle previsioni di cui all'articolo 5, paragrafi 2, 4, 5 e 6, e all'articolo
8, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 23 ottobre 2007"
(le disposizioni alle quali si fa rinvio, contemplano i casi, sopra richiamati,
in cui è possibile procedere all'affidamento diretto).
L'articolo 4-bis del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009 (Disposizioni in materia di trasporto pubblico) è intervenuto a stabilire che, ove l'ente locale scelga l'affidamento diretto, debba essere messo a gara almeno il 10 per cento dei servizi oggetto dell'affidamento a soggetti diversi da quelli affidatari, su cui l'ente locale esercita il controllo analogo.
Da ultimo, il comma 556 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2014 è ulteriormente intervenuto sulle modalità di affidamento del servizio. In particolare, attraverso una modifica dell'articolo 18, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n. 422 del 1997, il comma sopprime l'esclusione dalla partecipazione alle gare per l'affidamento della gestione del servizio delle società che, in Italia o all'estero, gestiscono servizi in affidamento diretto o a seguito di procedure non ad evidenza pubblica, e delle società dalle stesse controllate o ad esse collegate, delle loro controllanti e delle società di gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali. Tale previsione è sostituita da un nuovo disposto secondo il quale le società, nonché le loro controllanti, collegate e controllate che, in Italia o all'estero, sono destinatarie di affidamenti non conformi alla disciplina dell'Unione europea in materia (articolo 5 e articolo 8, par. 3 del Regolamento (CE) n. 1370/2007, che tra le altre cose indicano anche limiti e condizioni per l'affidamento diretto) e la cui durata ecceda il limite del 3 dicembre 2019 non possono partecipare ad alcuna procedura per l'affidamento dei servizi, anche se già avviata (il 3 dicembre 2019 è il termine del periodo transitorio stabilito dal citato Regolamento prima della piena operatività della disciplina dallo stesso dettata in materia di affidamenti). L'esclusione non si applica nei confronti delle imprese affidatarie del servizio oggetto di procedura concorsuale.
[116] Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario.
[117] Recante “Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali”.
[118] D.P.C.M. 11 marzo 2013 “Definizione dei criteri e delle modalità con cui ripartire il Fondo nazionale per il concorso dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario”, modificato dal D.P.C.M. 7 dicembre 2015.
[119] Sui profili concernenti il finanziamento del trasporto pubblico locale, cfr. il documento (Doc. XVII, n. 2) approvato dalla IX Commissione permanente (Trasporti, Poste e Comunicazioni) della Camera dei deputati nella seduta dell'8 aprile 2014, a conclusione dell'indagine conoscitiva sul trasporto pubblico locale. In relazione alla ripartizione dei contributi statali, vi si evidenzia:"È necessario che il superamento del criterio della spesa storica e l'introduzione di criteri relativi all'efficienza del servizio abbiano luogo assai più rapidamente. La definizione dei fabbisogni e costi standard anche per il settore del trasporto pubblico locale può rappresentare uno strumento appropriato per raggiungere tale finalità".
Si segnalano, inoltre, alcune disposizioni intervenute successivamente alla conclusione dell'indagine conoscitiva richiamata: l'art. 6 del decreto-legge n. 115 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2016, che ha istituito il Fondo per la realizzazione degli interventi Giubilari, con priorità per la mobilità, e ha attribuito un contributo alla regione Lazio per il servizio ferroviario regionale; l'art. 1 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità per il 2016) che: al comma 633, ha disposto la riduzione del finanziamento per il contratto collettivo di lavoro del trasporto pubblico locale; ai commi 645 e 646, ha disposto l'esclusione dall'agevolazione sulle accise sul gasolio per veicoli euro 2 o inferiore e la destinazione, fino all'85 per cento, delle risorse risparmiate al Fondo finalizzato all'acquisto e alla riqualificazione elettrica o al noleggio dei mezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale (comma 866); l'art. 7, comma 11-quater, del decreto-legge n. 210 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 21 del 2016, ha differito al 1° gennaio 2017 l'applicazione del richiamato art. 1, comma 866, della legge di stabilità per il 2016, relativo al Fondo per l'acquisto mezzi del trasporto pubblico locale e regionale.
Si segnala, infine, che sono oggetto di abrogazione da parte dell'art. 38 del testo unico in esame le disposizioni sul finanziamento degli interventi previsti dai piani urbani di mobilità di cui all'art. 22, commi 3, 4 e 5, della legge n. 340 del 2000.
[120] Cfr. illustrazione dell'art.14 dello schema di decreto legislativo in esame.
[121] La
presenza di situazioni esogene in grado di determinare minori entrate nell’anno
base, quali, a titolo esemplificativo, numerosi episodi di astensione dal
lavoro di dipendenti, non necessariamente imputabile ad un’inefficienza del
gestore del servizio di trasporto, potrebbe sottodimensionare l’entità dei
proventi potenziali nell’anno base ed avere un effetto premiante in sede di
riparto del Fondo per gli anni futuri. In
proposito, si segnala che, nel parere reso dalla Conferenza unificata sullo
schema di decreto legislativo in esame, è confluita la proposta di ANCI e UPI
di sostituire l'anno 2015 con la media degli anni 2012-2015.
[122] Come già evidenziato in sede di illustrazione dell’art. 22, il costo standard rappresenta uno strumento funzionale alla determinazione dei corrispettivi per il servizio pubblico in condizioni di efficienza, efficacia e omogeneità su tutto il territorio nazionale. Il costo standard è utilizzato, infatti, per la determinazione delle compensazioni economiche alle aziende esercenti i servizi pubblici, ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo n. 422 del 1997.
[123] L’art. 4 del citato D.P.C.M. 11 marzo 2013 demanda ad
un ulteriore D.P.C.M., emanato su proposta del Ministro delle infrastrutture e
dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa
con la Conferenza Unificata, l’aggiornamento delle percentuali di ripartizione
di cui alla tabella 1 che si prevede che
siano rideterminate con cadenza triennale “sulla base dei dati trasportistici
ed economici acquisiti ed elaborati dall'Osservatorio per il TPL”.
[124] Detta disposizione regolamentare stabilisce, tra l'altro, la possibilità, ferma restando la facoltà della legislazione statale di vietarla, per le autorità competenti a livello locale “di fornire esse stesse servizi di trasporto pubblico di passeggeri o di procedere all'aggiudicazione diretta di contratti di servizio pubblico a un soggetto giuridicamente distinto su cui l'autorità competente a livello locale (…), esercita un controllo analogo a quello che esercita sulle proprie strutture” (art. 5, par. 2).
[125] Si rammenta che il Consiglio di Stato ha
suggerito di eliminare il termine di sei mesi, rimettendo la tempistica
dell’adeguamento in questione alle regioni e alle province autonome nell’ambito
della loro autonomia costituzionale.
[126] Cfr. illustrazione dell'art.14 dello schema di decreto legislativo in esame.
[127] L’articolo 34-octies disciplina l’affidamento e la gestione dei servizi automobilistici sostitutivi o integrativi dei servizi ferroviari di interesse regionale e locale (di cui agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo n. 422 del 1997), stabilendo che esso deve avvenire con procedure ad evidenza pubblica. Al riguardo, si segnala che sono esclusi dall’applicazione dell’articolo i servizi sostitutivi ed integrativi che hanno un carattere temporaneo che sono resi necessari dalla provvisoria interruzione della rete ferroviaria o dalla provvisoria sospensione del servizio ferroviario per interventi di manutenzione straordinaria, guasti e altre cause di forza maggiore, nonché i servizi resi necessari da un provvisorio e non programmabile picco della domanda di trasporto e svolti in orari ed itinerari identici al servizio da essi integrato.
[128] Il comma 4 dell’articolo 16-bis del decreto legge n.95 del 2012 stabilisce che, entro quattro mesi dall’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata) di definizione dei criteri e modalità di riparto del Fondo nazionale per il trasporto pubblico locale, “le regioni a statuto ordinario, al fine di ottenere assegnazioni di contributi statali destinati a investimenti o a servizi in materia di trasporto pubblico locale e ferrovie regionali, procedono, in conformità con quanto stabilito con il medesimo decreto (…), all'adozione di un piano di riprogrammazione dei servizi di trasporto pubblico locale e di trasporto ferroviario regionale, rimodulano i servizi a domanda debole e sostituiscono, entro centottanta giorni dalla predetta data, le modalità di trasporto da ritenere diseconomiche, in relazione al mancato raggiungimento del rapporto tra ricavi da traffico e costi del servizio al netto dei costi dell'infrastruttura, previsto dall'articolo 19, comma 5, del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, con quelle più idonee a garantire il servizio nel rispetto dello stesso rapporto tra ricavi e costi. A seguito della riprogrammazione, rimodulazione e sostituzione di cui al presente comma, i contratti di servizio già stipulati da aziende di trasporto, anche ferroviario, con le singole regioni a statuto ordinario, sono oggetto di revisione”.
[129] Attivabile “nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali”.
[130] Il citato comma 9 stabilisce che, per poter avere completo accesso al Fondo nazionale per il trasporto pubblico locale, la regione è tenuta ad assicurare l'equilibrio economico della gestione e l'appropriatezza della gestione stessa “secondo i criteri stabiliti con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al comma 3” (in proposito, si rammenta che il comma 3 è oggetto di abrogazione da parte del presente decreto). Nell'ipotesi di squilibrio economico, è demandata al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia, da emanare previa intesa in sede di Conferenza unificata, la definizione: delle modalità di redazione del piano di riprogrammazione dei servizi, anche con la previsione dell'eventuale nomina di commissari ad acta; la decadenza dei direttori generali degli enti e delle società regionali che gestiscono il trasporto pubblico locale; le verifiche sull'attuazione del piano e dei relativi programmi operativi, anche con l'eventuale nomina di commissari ad acta.
[131] Al fine di assicurare un coordinamento con l’art.35, comma 1, dello schema in esame, si valuti la possibilità di specificare che l’efficacia del provvedimento possa essere conservata anche ai fini della richiamata disposizione (si veda, al riguardo, l’illustrazione dell’art. 35, comma 1).
[132] Si veda l’illustrazione del comma 1, lettera c).
[133] La Civit ha assunto la denominazione di Autorità nazionale anticorruzione (Anac), ai sensi dell'art. 5, comma 3, del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013.
[134] L'art. 2, comma 461, è oggetto di abrogazione da parte dell'art. 38 del testo unico in esame.
[135] Si segnala che sono, inoltre, oggetto di abrogazione le disposizioni in materia di finanza
propria e derivata degli enti locali di cui all'art. 149, commi 7 e 8, del Tuel: "7. Le
entrate fiscali finanziano i servizi pubblici ritenuti necessari per lo
sviluppo della comunità ed integrano la contribuzione erariale per l'erogazione
dei servizi pubblici indispensabili. 8. A ciascun ente locale spettano le tasse, i
diritti, le tariffe e i corrispettivi sui servizi di propria competenza. Gli
enti locali determinano per i servizi pubblici tariffe o corrispettivi a carico
degli utenti, anche in modo non generalizzato. Lo Stato e le regioni, qualora
prevedano per legge casi di gratuità nei servizi di competenza dei comuni e
delle province ovvero fissino prezzi e tariffe inferiori al costo effettivo
della prestazione, debbono garantire agli enti locali risorse finanziarie
compensative".
[136] Si rammenta che l'attività dell’Autorità di regolazione dei trasporti - istituita ai sensi dell’art. 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 e sulla quale cfr. art. 17 - ha preso avvio nel settembre 2013.
[137] In
materia di aggiornamento delle tariffe, il citato art. 117, comma 2, del Tuel (di cui si dispone l'abrogazione) si limitava a
prevedere che le tariffe fossero determinate e adeguate ogni anno dai soggetti
proprietari, attraverso contratti di programma di durata poliennale, nel
rispetto del disciplinare e dello statuto conseguenti ai modelli organizzativi
prescelti.
[138] Cfr. l'illustrazione dell'art. 22 per le argomentazioni addotte dal Consiglio di Stato in ordine alla necessità di espungere dallo schema di decreto legislativo in esame l'art. 26 unitamente agli articoli 22, 23, 27 e 35.
[139] Il DPR n. 753 del 1980 reca "Nuove norme in materia di polizia, sicurezza e regolarità dell'esercizio delle ferrovie e di altri servizi di trasporto".
[140] Cfr. l'illustrazione dell'art. 22 per le argomentazioni addotte dal Consiglio di Stato in ordine alla necessità di espungere dallo schema di decreto legislativo in esame l'art. 27 unitamente agli articoli 22, 23, 26 e 35.
[141] La ART ai sensi della lettera e) del comma 2 dell’articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, provvede a definire il contenuto minimo degli specifici diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti di servizi pubblici possono vantare nei confronti dei gestori e delle infrastrutture di trasporto; ai sensi della successiva lettera l), la ART, in caso di inosservanza di propri provvedimenti o di mancato riscontro da parte dei gestori del servizio alle richieste di informazioni, ovvero nel caso in cui le informazioni e i documenti non siano veritieri, può irrogare sanzioni amministrative pecuniarie.
[142] Nel testo dell'articolo è stato inserito l'acronimo ADR, che rappresenta l'abbreviazione di "Alternative Dispute Resolution" (ovvero, in lingua italiana, "Risoluzione alternativa della controversia"). L'articolo 141, comma 1, lettera g), del codice del consumo di cui al decreto-legislativo n. 206 del 2005 definisce "procedura ADR" una procedura di risoluzione extragiudiziale delle controversie eseguita da un organismo ADR - "Alternative Dispute Resolution".
[143] Con il termine "professionista" è indicato qualsiasi soggetto (persona fisica o giuridica, privata o pubblica) che agisca nell'ambito di un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale.
[144] Circa la mancata ottemperanza riguardo alla trasmissione di informazioni rilevanti sulle reti, impianti e infrastrutture da parte dei concessionari per consentire agli enti competenti di bandire la gara per l'affidamento del servizio.
[145] Il decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, reca ‟Attuazione della direttiva 2006/43/CE, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE, e che abroga la direttiva 84/253/CEE." Il registro dei revisori legali è previsto nel Capo III.
[146]Ai sensi del comma 1 del citato articolo 17, i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche dei redditi. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva.
[147] Cfr. l'illustrazione dell'art. 22 per le argomentazioni addotte dal Consiglio di Stato in ordine alla necessità di espungere dallo schema di decreto legislativo in esame l'art. 35 unitamente agli articoli 22, 23, 26 e 27.
[148] Ai sensi della legge n. 56 del 2014 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), art. 1, commi 2 e 3, le città metropolitane e le province sono definite come "enti territoriali di area vasta".
[149]Recante "Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città". Il Capo VII della legge n. 53 del 2000, rubricato "Tempi delle città", prevede, tra l'altro, che: con legge regionale siano definiti i criteri per l'adozione dei piani territoriali degli orari volti ad assicurare il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e la promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale (art. 22); al sindaco spetta elaborare le linee guida di detti piani, che sono approvati dal consiglio comunale su proposta del sindaco stesso; nella redazione dei piani territoriali "si tiene conto degli effetti sul traffico, sull'inquinamento e sulla qualità della vita cittadina degli orari di lavoro pubblici e privati, degli orari di apertura al pubblico dei servizi pubblici e privati, degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, delle attività commerciali, (...) nonché delle istituzioni formative, culturali e del tempo libero" (art. 24).
[150] Ai commi 1 e 3, in luogo del termine "province", si è utilizzato quello di "enti di area vasta". Si invita a valutare l'opportunità di un coordinamento lessicale delle richiamate disposizioni.
[151] Si segnala che, a differenza di quanto previsto nei commi 1 e 3, in questa sede non sono prese in considerazione le associazioni di comuni con popolazione superiore ai 100.000 abitanti. Si invita a valutare la possibilità di operare un coordinamento con quanto disposto ai commi 1 e 3.
[152] Come si è avuto modo di segnalare, tra l'altro in sede di illustrazione dell'art. 13, il comma 1 dell'art. 3-bis risulta - unitamente ad altri commi dello stesso art. 3-bis - oggetto di abrogazione da parte dell'art. 38, comma 1, lett. p), del testo unico in esame. Si rinvia all'illustrazione dell'art. 13 per l'introduzione di ulteriori ipotesi di esercizio del potere sostitutivo da parte del testo unico in esame.
[153] Si veda il seguente link: http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/sez_autonomie/2015/audizione_1_12_2015.pdf.
[154] Delle disposizioni oggetto di abrogazione si è dato
conto nel corso della illustrazione dei singoli articoli.