Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari sociali | ||
Titolo: | Delega recante norme relative al contrasto alla povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali (collegato alla legge di stabilità 2016) - A.C. 3594 - Schede di lettura | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 407 | ||
Data: | 29/02/2016 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
V-Bilancio, Tesoro e programmazione
XII-Affari sociali XI-Lavoro pubblico e privato |
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Camera dei deputati |
XVII LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Delega recante
norme relative al contrasto alla povertà, al riordino delle prestazioni e al
sistema degli interventi e dei servizi sociali (collegato alla legge di
stabilità 2016) A.C. 3594 |
Schede di
lettura |
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n. 407 |
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29 febbraio 2016 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi: Dipartimento Affari sociali ( 066760-3266 – * st_affarisociali@camera.it |
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INDICE
Lotta alla povertà nella stabilità
2016
I numeri della Povertà in Italia
§ Carta acquisti ordinaria – Social Card
§ Carta acquisti sperimentale - Sostegno per l’Inclusione
Attiva (SIA)
I servizi sociali e le Linee guida
per i progetti di presa in carico previsti dal SIA
§ Spesa per assistenza sociale dei comuni italiani
§ Il modello di presa in carico
§ Finanziamento del Programma di estensione del SIA su
tutto il territorio nazionale
I fondi strutturali 2014-2020 e
i Programmi Operativi finalizzati alla
lotta alla povertà
§ Inclusione sociale e lotta alla povertà
§ Il Programma Operativo italiano per il Fondo di Aiuti
Europei agli Indigenti
§ Il ruolo delle Regioni nelle politiche di inclusione
della strategia Europa 2020
Esperienze regionali di misure di
integrazione al reddito
Altre misure nazionali categoriali
di natura assistenziale a carattere temporaneo
§ Buoni per famiglie con 4 o più figli
§ Ricorsi
L’Assegno di Disoccupazione - ASDI
Altre prestazioni di carattere
assistenziale e previdenziale
§ Integrazione al trattamento minimo
§ Assegno per il nucleo familiare
§ Somma Aggiuntiva (cd. "quattordicesima")
Contenuto del disegno di legge
§ Comma 1 – Finalità della delega
§ Comma 4. Esercizio della delega in materia di sistema
integrato di interventi e servizi sociali
§ Comma 5 – Decreti legislativi attuativi della delega
conferita
§ Comma 6 – Copertura finanziaria
§ Comma 7 – Disposizioni integrative
§ Comma 8 – Clausola di salvaguardia
Il 28 gennaio 2016 il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge delega recante norme relative al contrasto alla povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali collegato alla legge di stabilità 2016 (comunicato stampa).
La legge di stabilità 2016, commi 386-390 della legge 208/2015, ha infatti disegnato una serie di interventi per il contrasto alla povertà e ha previsto, al comma 388, uno o più provvedimenti legislativi di riordino della normativa in materia di strumenti e trattamenti, indennità, integrazioni di reddito e assegni di natura assistenziale o comunque sottoposti alla prova dei mezzi, anche rivolti a beneficiari residenti all'estero, finalizzati all'introduzione di un'unica misura nazionale di contrasto alla povertà, correlata alla differenza tra il reddito familiare del beneficiario e la soglia di povertà assoluta.
In Italia, la sperimentazione più importante di una misura unitaria di carattere nazionale contro la povertà è stata attuata con il Reddito Minimo di Inserimento (RMI), previsto dalla legge finanziaria 1998 (legge 449/1997) e disciplinato dal D.Lgs. 237/1998. La sperimentazione del RMI, per il biennio 1999-2000, ha coinvolto 39 Comuni. Successivamente, la legge finanziaria 2001 (art. 80 legge 388/2000), ha autorizzato il prolungamento della sperimentazione per un ulteriore biennio (2001-2002) e l’estensione a nuovi Comuni, dettando i criteri per la loro individuazione (Comuni limitrofi ai precedenti 39 e l’appartenenza ai Patti territoriali) e fissando il termine per l’impiego dei fondi al 31 dicembre 2004. Si è avuta poi una prima proroga, che ha prolungato la sperimentazione al 30 aprile 2006 (legge 43/2005, art. 7-undecies), per permettere ai Comuni con consistenti residui di utilizzare le risorse ancora disponibili. Per analoghe ragioni, la Legge finanziaria 2007 (legge 296/2006, art. 1, commi 1285 e 1286) ha posticipato ulteriormente il termine ultimo al 30 giugno 2007 (vedi Ministro della Solidarietà Sociale, Relazione al Parlamento: Attuazione della sperimentazione del Reddito Minimo di Inserimento e risultati conseguiti, giugno 2007).
Il RMI, ispirato dalla Raccomandazione del Consiglio 92/441/CEE, è stato configurato come un trasferimento monetario integrativo del reddito, accompagnato da interventi personalizzati volti a perseguire l'integrazione sociale e l'autonomia economica dei soggetti e delle famiglie destinatarie. La platea dei beneficiari era identificata con: persone esposte al rischio della marginalità sociale prive di reddito ovvero con un reddito che, tenuto conto di qualsiasi emolumento a qualunque titolo percepito e da chiunque erogato, non fosse superiore alla soglia di povertà; persone impossibilitate a provvedere, per cause psichiche, fisiche e sociali, al mantenimento proprio e dei figli (in presenza di un nucleo familiare composto da due o più persone l’art. 6 del D.Lgs. 237/1998 rinviava anche ad una scala di equivalenza).
La Legge quadro 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali ha incluso (art. 23) il RMI nella riforma delle politiche e dei servizi sociali. La legge quadro ha infatti fornito criteri base e linee guida per la creazione di sistemi a rete, omogenei su tutto il territorio nazionale. All’interno delle reti è previsto l’uso combinato del sostegno economico e dell’erogazione di interventi mirati da parte dei servizi sociali. Le legislazioni regionali dedicate alle politiche sociali, dopo la Riforma del Titolo V, hanno costruito, attraverso i piani regionali e di zona, sistemi integrati attraverso reti di interventi e servizi, comprese le prestazioni economiche quali il sostegno al reddito. Tuttavia, la mancanza della definizione nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni in campo sociale ha privato la riforma di uno dei suoi aspetti sostanziali.
Nel 2008, la Commissione europea con la Raccomandazione 2008/867/CE, ha nuovamente ribadito che la definizione dei livelli essenziali di assistenza in campo economico è uno strumento centrale per attivare cittadinanza, diritti civili e sociali, promuovere l'uguaglianza di genere e le pari opportunità, soddisfare le esigenze specifiche dei vari gruppi vulnerabili, affrontare la natura multi-dimensionale e la complessità della povertà e dell'esclusione sociale, migliorare la coesione territoriale, riducendo le disparità regionali. Successivamente, il Consiglio dell’UE, nella Raccomandazione del 9 luglio 2013 sul programma nazionale di riforma 2013, ha chiesto all’Italia di rendere più efficaci i trasferimenti sociali, in particolare mirando meglio le prestazioni, specie per le famiglie a basso reddito con figli
In tempi recenti, la discussione istituzionale e pubblica sulla opportunità e le modalità di introdurre nel nostro ordinamento una misura unitaria di carattere nazionale contro la povertà è stata nuovamente aperta dall’approvazione del decreto-legge 5/2012, che all’articolo 60, configurava una fase sperimentale della Carta acquisti, denominata in un primo tempo Carta per l’inclusione e poi SIA (Sostegno Inclusione Attiva). La relazione finale "Proposte per nuove misure di contrasto alla povertà", del settembre 2013, elaborata dal gruppo di studio istituito, con Decreto del 13 giugno 2013, presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dall’allora Ministro Enrico Giovannini, descrive il SIA e ne sottolinea l’importanza, segnalando fra l’altro l’assenza nel nostro ordinamento, a differenza della quasi totalità dei paesi europei, di un istituto nazionale di sostegno per tutte le persone in difficoltà economica. La relazione sottolinea anche che gli strumenti assistenziali esistenti sono indirizzati quasi esclusivamente alla popolazione anziana e alle persone con disabilità
Nel novembre 2013, l'Alleanza contro la Povertà in Italia - soggetti sociali, sindacali, del terzo settore e istituzionali – propone l'adozione, attraverso un percorso graduale ma certo, di uno strumento universale di contrasto alla povertà assoluta, da considerare come livello essenziale delle prestazioni sociali. Nel 2014, alla vigilia della presentazione della legge di stabilità, l'Alleanza presenta il progetto del Reddito di inclusione sociale (Reis), nato da un percorso di elaborazione condiviso da tutti i soggetti aderenti all'Alleanza. Il principio guida del progetto Reis è l'universalismo: una misura mensile per tutte le famiglie in povertà assoluta pari alla differenza tra la soglia di povertà e il reddito percepito. Insieme al contributo monetario è previsto che i beneficiari del Reis ricevano servizi sociali, socio-sanitari, socio-educativi o educativi, in grado di fornire nuove competenze agli utenti e aiutarli ad organizzare diversamente la propria esistenza. Il principio guida risiede nell'inserimento sociale: dare alle persone l'opportunità di costruire percorsi che permettano di uscire dalla condizione di marginalità. La spesa totale stimata per il Reis è di 7.3 miliardi annui, per 1.5 milioni di famiglie.
Il 29 gennaio 2016, l’Alleanza contro la Povertà in Italia ha diffuso una nota al disegno di legge delega in esame.
Il commi da 386 a 390 della legga di stabilità 2016 (legge 208/2015) hanno disegnato una serie di interventi organici, non a carattere temporaneo, contro la povertà e l’esclusione sociale, lasciandone la definizione più puntuale al provvedimento ora in esame. Molto sinteticamente, la legge di stabilità ha previsto.
· la definizione di Piano nazionale triennale per la lotta alla povertà e all’esclusione;
· l’istituzione del Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
· l’avvio di una misura nazionale di contrasto alla povertà, intesa come rafforzamento, estensione e consolidamento della Carta acquisti sperimentale – SIA;
· stanziamento di risorse certe per la Lotta alla povertà e loro quantificazione per il 2016 e gli anni successivi. Più in particolare, per il 2016, la stabilità stanzia 380 milioni, ai quali si aggiungono i 220 milioni della messa a regime dell’Asdi, destinata ai disoccupati poveri che perdono diritto all’indennità di disoccupazione. Tali risorse, alle quali si aggiungono fondi europei[1], devono essere impegnate nel 2016 per un Programma di sostegno per l'inclusione attiva, garantendo in via prioritaria interventi per nuclei familiari in modo proporzionale al numero di figli minori o disabili, tenendo conto della presenza, all'interno del nucleo familiare, di donne in stato di gravidanza accertata. I criteri e le procedure di avvio del Programma, a cui sono legate le risorse stanziate per il 2016, devono essere definiti con decreto. Le risorse stanziate annualmente a decorrere dal 2017, pari a un miliardo per anno, devono garantire l'attuazione del Piano nazionale per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale come disegnato dalla legge delega ora in esame e dai decreti legislativi da questa discendenti;
· riordino della normativa in materia di trattamenti assistenziali di natura assistenziale o comunque sottoposti alla prova dei mezzi, anche rivolti a beneficiari residenti all'estero, nonché in materia di accesso alle prestazioni sociali;
Il comma 386 prevede l’adozione di un Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione. Il Piano è adottato con cadenza triennale mediante decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza Unificata.
Il Piano individua una progressione graduale, nei limiti delle risorse disponibili, nel raggiungimento di livelli essenziali delle prestazioni assistenziali da garantire su tutto il territorio nazionale per il contrasto alla povertà.
Si ricorda che, al contrario di quanto avvenuto in sanità con i LEA, in
ambito sociale non sono stati ancora definiti i livelli essenziali delle
prestazioni sociali.
Il comma 387 definisce gli interventi che costituiscono le priorità del Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione per l’anno 2016 e per la cui attuazione sono destinati 600 milioni di euro, così ripartiti:
a) 380 milioni di euro per l’avvio su tutto il territorio nazionale di una misura di contrasto alla povertà, intesa come estensione, rafforzamento e consolidamento della Carta acquisti sperimentale. La misura è intesa come sperimentazione di un apposito Programma di sostegno per l'inclusione attiva, volto al superamento della condizione di povertà, all'inserimento/reinserimento lavorativi e all'inclusione sociale (di cui all’art. 60 del decreto-legge 5/2012, che dispone l’avvio alla sperimentazione della Carta acquisti sperimentale nei comuni con più di 250.000 abitanti). Nelle more dell’adozione del Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione, si procede all’avvio del Programma garantendo in via prioritaria interventi per nuclei familiari in modo proporzionale al numero di figli minori o disabili, tenendo conto della presenza, nel nucleo familiare, di donne in stato di gravidanza accertata. I criteri e le procedure del Programma, definiti ai sensi del citato art. 60 del decreto-legge 5/2012, saranno individuati da un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di stabilità 2016. Le risorse impegnate, pari, come detto, a 380 milioni di euro, incrementano il Fondo speciale destinato al soddisfacimento delle esigenze prioritariamente di natura alimentare e successivamente anche energetiche e sanitarie dei cittadini meno abbienti (di cui all'art. 81, co. 29, del decreto-legge 112/2008, istitutivo della Carta acquisti ordinaria, d’ora in poi Fondo Carta acquisti), aggiungendosi alle risorse già destinate all’estensione della Carta acquisti sperimentale nei territori delle regioni del Mezzogiorno che non ne siano già coperti (di cui all’art. 3, co. 2, del decreto legge 76/2013); ma anche alla estensione su tutto il territorio nazionale, non già coperto, della sperimentazione della Carta acquisti sperimentale (di cui all’art.1, co. 216, della legge di stabilità 2014 – legge 147/2013);
b) 220 milioni di euro all’ulteriore incremento dell’autorizzazione di spesa relativa all’assegno di disoccupazione (ASDI), (di cui al combinato art. 16, co. 7, del D.Lgs. 22/2015 e art. 43, co. 5, del D.Lgs. 148/2015).
Il comma 388 definisce le finalità a cui sono destinati i 1.000 milioni di euro stanziati a regime, annualmente, per gli anni successivi al 2016. Tali risorse saranno destinate al finanziamento di uno o più provvedimenti legislativi di riordino della normativa in materia di trattamenti, indennità, integrazioni di reddito e assegni di natura assistenziale o comunque sottoposti alla prova dei mezzi (quali l’ISEE), anche rivolti a beneficiari residenti all’estero, nonché in materia di accesso alle prestazioni sociali. Tali provvedimenti sono finalizzati a:
· introduzione di un’unica misura nazionale di contrasto alla povertà, correlata alla differenza tra il reddito familiare del beneficiario e la soglia di povertà assoluta;
· razionalizzazione degli strumenti e dei trattamenti esistenti.
Il comma 389 stabilisce che, a decorrere dal 2016, confluiscono nel Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale le ulteriori risorse stanziate per gli ammortizzatori sociali (di cui all’art. 19, co. 1, del decreto 185/2008), nella misura di 30 milioni di euro per il 2017 e di 54 milioni di euro annui a decorrere dal 2018.
Il comma 390 abroga i commi da 51 a 53 dell’articolo 2 della legge 92/2012, n. 92, relativi all’indennità una tantum dei lavoratori a progetto.
In Italia, il rischio di povertà riguarda circa un terzo della popolazione, e, ad eccezione del 2014, negli ultimi anni ha registrato una continua crescita.
Più in particolare “Nel 2014 si attesta al 28,3% la
stima delle persone a rischio di povertà o esclusione sociale residenti in
Italia, secondo la definizione adottata nell'ambito della strategia Europa
2020. L'indicatore corrisponde alla quota di popolazione che sperimenta almeno
una delle seguenti condizioni: rischio di povertà (calcolato sui redditi 2013),
grave deprivazione materiale e bassa intensità di lavoro (calcolata sul numero
totale di mesi lavorati dai componenti della famiglia durante il 2013) in
Istat, Reddito e
condizioni di vita, novembre 2015”.
Il rischio di povertà per le famiglie con 3 o più figli supera il 30%, mentre nel caso di due figli minori è di poco inferiore al 20%. In termini comparativi, la popolazione anziana sembra essere meno esposta al rischio di povertà.
Nel corso di una recente audizione alla Camera[2], il Presidente dell’INPS ha confermato che tra il 2008 e il 2014 la quota di Italiani con un reddito al di sotto della soglia di povertà è cresciuto di circa un terzo, passando da 11 a 15 milioni di individui. La povertà - secondo il Presidente dell'Inps – pesa molto più della diseguaglianza dei redditi[3]: soltanto il 3% delle prestazioni sociali erogate in Italia va alla parte più povera della popolazione. La povertà è alta fra i giovani e le famiglie con figli, ma l'incremento percentuale più alto (70%) è riscontrabile nella fascia di età fra i 55 e i 65 anni.
Le stime contenute nel report dell’Istat La povertà in Italia, diffuso nel luglio 2015, consentono di misurare la povertà assoluta e relativa delle famiglie residenti in Italia nel 2014.
Il quadro offerto dal report dell’Istat, per il 2014, è il seguente:
· dopo due anni di aumento, l’incidenza della povertà assoluta si mantiene sostanzialmente stabile;
· tuttavia sono in condizione di povertà assoluta 1 milione e 470 mila famiglie (5,7% di quelle residenti, per un totale di 4 milioni 102 mila persone pari al 6,8% della popolazione residente) Le percentuali salgono al sud (8,6%); sono più basse al centro (4,8%) e al nord (4,2%)e;
· l’incidenza di povertà assoluta delle famiglie con due figli diminuisce rispetto al 2013 (dall’8,6% al 5,9%); si riduce la stima anche per le famiglie con a capo una persona tra i 45 e i 54 anni (dal 7,4% al 6%);e delle famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione (dal 23,7% al 16,2%);
· relativamente alla ripartizione geografica, nonostante il calo (dal 12,1 al 9,2%), la povertà assoluta rimane quasi doppia nei piccoli comuni del Mezzogiorno rispetto a quella rilevata nelle aree metropolitane della stessa ripartizione (5,8%). Il contrario accade al Nord, dove la povertà assoluta è più elevata nelle aree metropolitane (7,4%) rispetto ai restanti comuni (3,2% tra i grandi, 3,9% tra i piccoli);
· livelli di povertà assoluta si osservano per famiglie con cinque o più componenti (16,4%), soprattutto se coppie con tre o più figli (16%) e famiglie di altra tipologia con membri aggregati (11,5%); l’incidenza sale al 18,6% se in famiglia ci sono almeno tre figli minori e scende nelle famiglie di e con anziani (4% tra le famiglie con almeno due anziani);
· la povertà assoluta è più diffusa nelle famiglie con stranieri che nelle famiglie composte solamente da italiani: dal 4,3% di queste ultime al 12,9% per le famiglie miste fino al 23,4% per quelle composte da soli stranieri. Al Nord e al Centro la povertà tra le famiglie di stranieri è di oltre 6 volte superiore a quella delle famiglie di soli italiani, nel Mezzogiorno è circa tripla;
· l’incidenza di povertà assoluta scende all’aumentare del titolo di studio: se la persona di riferimento è almeno diplomata, l’incidenza (3,2%) è quasi un terzo di quella rilevata per chi ha la licenza elementare (8,4%). Inoltre, la povertà assoluta riguarda in misura marginale le famiglie con a capo imprenditori, liberi professionisti o dirigenti (l’incidenza è inferiore al 2%), si mantiene al di sotto della media tra le famiglie di ritirati dal lavoro (4,4%), sale al 9,7% tra le famiglie di operai per raggiungere il valore massimo tra quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione (16,2%);
· come quella assoluta, la povertà relativa risulta stabile e coinvolge il 10,3% delle famiglie e il 12,9% delle persone residenti, per un totale di 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone.
La Nota
metodologica, che accompagna il Report La povertà in
Italia, fornisce gli elementi necessari per cogliere in
tutte le sue sfumature il quadro fornito dai dati.
Le stime di povertà diffuse con il Report si basano
sui dati dell'Indagine
sulle spese delle famiglie.
La metodologia
di stima della povertà assoluta è una misura basata sulla valutazione
monetaria di un paniere di beni e servizi considerati essenziali per evitare
gravi forme di esclusione sociale. La misura tiene conto del fatto che i costi
sono variabili nelle diverse zone del Paese. L’unità di riferimento del paniere
è la famiglia, considerata rispetto alle caratteristiche dei singoli
componenti, dei loro specifici bisogni (ad esempio per le esigenze di tipo
nutrizionale) e delle eventuali economie di scala o forme di risparmio che
possono essere realizzate al variare della composizione familiare. Il paniere si compone di tre
macrocomponenti -alimentare, abitazione, residuale- la cui valutazione
monetaria non è effettuata al prezzo minimo assoluto, ma al prezzo minimo
accessibile per tutte le famiglie (tenendo conto delle caratteristiche
dell’offerta nelle diverse realtà territoriali). Se la povertà assoluta classifica le famiglie povere/non povere in base
all’incapacità ad acquisire determinati beni e servizi, la misura di povertà relativa, definita rispetto
allo standard medio della popolazione, fornisce
una valutazione della disuguaglianza nella distribuzione della spesa per
consumi e individua le famiglie povere tra quelle che presentano una condizione
di svantaggio (peggiore) rispetto alle altre. Nel caso dell’indicatore
dell’incidenza di povertà relativa, ad esempio, si considera povera una
famiglia di due persone quando consuma meno della media pro capite dei consumi
nazionali. Per famiglie di diversa ampiezza viene utilizzata una scala di
equivalenza, nota come scala di equivalenza Carbonaro, che tiene conto dei
differenti bisogni e delle economie/diseconomie di scala che è possibile
realizzare in famiglie di maggiore o minore ampiezza. Per entrambe le misure di
povertà (assoluta e relativa), l’assunzione di base è che le risorse familiari
vengano equamente condivise tra tutti i componenti, di conseguenza gli individui appartenenti a una famiglia
povera sono tutti ugualmente poveri. Per sintetizzare l’informazione sui
vari aspetti della povertà, vengono calcolati
due indici: il primo è la proporzione
dei poveri (incidenza), cioè il rapporto tra il numero di famiglie
(individui) in condizione di povertà e il numero di famiglie (individui)
residenti. Il secondo è il divario medio
di povertà (intensità), che misura «quanto poveri sono i poveri», cioè di
quanto, in termini percentuali, la spesa media mensile delle famiglie povere è
inferiore alla linea di povertà. Nel caso dell’altro indicatore utilizzato – a rischio di povertà –, invece, sono
povere le famiglie con un reddito (equivalente) inferiore al 60 per cento di
quello mediano nazionale. Il rischio di povertà è accompagnato dalla Deprivazione materiale (altro
indicatore Europa 2020), ovvero dall’impossibilità di pagare regolarmente le
bollette, di riscaldare adeguatamente la propria casa, di non poter sostenere
spese impreviste di 800 euro, né le spese per una settimana di ferie l’anno.
La soglia di povertà assoluta rappresenta il valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza. Non si tratta quindi di un’unica soglia, ma di tante soglie di povertà assoluta quante sono le combinazioni tra tipologia familiare (ottenuta come combinazione tra numero ed età dei componenti), ripartizione geografica e tipo di comune di residenza (distinguendo tra area metropolitana, grande e piccoli comuni).
Ad esempio, un adulto (18-59 anni) che vive solo è considerato assolutamente povero se la sua spesa è inferiore o pari a 816,84 euro mensili, nel caso risieda in un‘area metropolitana del nord, 732,45 euro qualora viva in un piccolo comune settentrionale e a 584,70 euro se risiede in un piccolo comune meridionale.
Nel prospetto a seguire (Prospetto 8 contenuto nel Report Istat, La povertà in Italia) sono riportati i valori delle soglie di povertà assoluta per il 2014, ovvero il valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali relativamente alle tipologie familiari più diffuse in Italia.
Il Rapporto inoltre evidenzia, come più
diffusamente rilevato dall’Istat nella pubblicazione Come
cambia la vita delle donne 2004-2014, il dato del maggior
rischio di povertà a carico delle donne. Differenze di genere a svantaggio
delle donne, si registrano tra le madri sole con figli adulti, tra le famiglie
di altra tipologia con a capo una donna e, soprattutto, tra le madri sole con
figli minori.
Infine, all’interno dell’attività di rilevazione dell’Istat, vale la pena citare anche la seconda indagine campionaria su Le persone senza dimora , pubblicata nel dicembre 2015, ma riferita all’anno precedente.
L’indagine sulla condizione delle persone che vivono
in povertà estrema, è stata realizzata a seguito di una convenzione tra Istat,
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Federazione italiana degli
organismi per le persone senza dimora (fio.PSD) e Caritas Italiana. In base ai
dati raccolti si stimano in 50 mila 724
le persone senza dimora che, nei mesi di novembre e dicembre 2014, hanno
utilizzato almeno un servizio di mensa o accoglienza notturna nei 158 comuni
italiani in cui è stata condotta l'indagine. Tale ammontare corrisponde al
2,43 per mille della popolazione regolarmente iscritta presso i comuni
considerati dall'indagine, valore in aumento rispetto ai dati forniti
dall’indagine precedente riferita al 2011, quando era il 2,31 per mille (47
mila 648 persone). Rispetto al 2011, vengono confermate le principali caratteristiche delle persone senza dimora: si tratta
per lo più di uomini (85,7%), stranieri (58,2%), con meno di 54 anni (75,8%) o
con basso titolo di studio (solo un terzo raggiunge almeno il diploma di scuola
media superiore). Cresce rispetto al passato la percentuale di chi vive solo
(da 72,9% a 76,5%), a svantaggio di chi vive con un partner o un figlio
(dall'8% al 6%); poco più della metà (il 51%) dichiara di non essersi mai
sposato. Anche la durata della condizione di senza dimora, rispetto al 2011 si
allunga: diminuiscono, dal 28,5% al 17,4%, quanti sono senza dimora da meno di
tre mesi (si dimezzano quanti lo sono da meno di 1 mese), mentre aumentano, le
quote di chi lo è da più di due anni (dal 27,4% al 41,1%) e di chi lo è da
oltre 4 anni (dal 16% sale al 21,4%).
Accanto alle statistiche istituzionali fornite dall’Istat, vale la pena citare i rapporti Caritas, Rapporto 2015 sulla povertà e l’esclusione sociale e Rapporto 2015 sulle politiche contro la povertà in Italia del settembre 2015
Il secondo rapporto Caritas, fra l’altro, inaugura un nuovo filone di ricerca dedicato alla valutazione delle politiche di contrasto alla povertà, in particolare quella assoluta, con l’intenzione di offrire una lettura organica della evoluzione dell’azione politico-legislativa in questo ambito. Vale la pena ricordare che fino al 2012, tale filone di ricerca era coperto dall’attività della Commissione di Indagine sull'Esclusione Sociale (CIES), istituita dall'articolo 27 della legge 328/2000. La CEIS, composta da studiosi ed esperti con qualificata esperienza nel campo dell'analisi e della pratica sociale, aveva infatti il compito di effettuare, anche in collegamento con analoghe iniziative nell'ambito dell'UE, le ricerche e le rilevazioni occorrenti per indagini sulla povertà e sull'emarginazione in Italia, di promuoverne la conoscenza nelle istituzioni e nell'opinione pubblica, di formulare proposte per rimuoverne le cause e le conseguenze, nonché di promuovere valutazioni sull'effetto dei fenomeni di esclusione sociale. Per questo, la CIES predisponeva per il Governo un rapporto annuale in cui dava conto delle le indagini svolte, delle conclusioni raggiunte e delle proposte formulate (l’ultimo Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale si riferisce agli anni 2011- 2012). La Commissione è stata soppressa dall’art. 12, co. 20, del decreto legge 95/2012 (Spending Review). Le attività svolte dalla CIES sono state trasferite alla Direzione per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Il decreto-legge 112/2008 ha istituito la Carta acquisti ordinaria: un beneficio economico, pari a 40 euro mensili, caricato bimestralmente su una carta di pagamento elettronico. La Carta acquisti ordinaria è riconosciuta agli anziani di età superiore o uguale ai 65 e ai bambini di età inferiore ai tre anni, se in possesso di particolari requisiti economici che li collocano nella fascia di bisogno assoluto. Inizialmente, potevano usufruire della Carta acquisti ordinaria soltanto i cittadini italiani; la legge di stabilità 2014 (legge 147/2013) ha esteso la platea dei beneficiari anche ai cittadini di altri Stati dell'Ue e ai cittadini stranieri titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, purché in possesso dei requisiti sopra ricordati. La Carta è utilizzabile per il sostegno della spesa alimentare e sanitaria e per il pagamento delle spese energetiche. I negozi convenzionati, che supportano il programma, accordano ai titolari della Carta uno sconto del 5%. Gli enti locali possono aderire al programma Carta acquisti estendendone l'uso o aumentando il beneficio a favore dei propri residenti (decreto n. 89030 del 16 settembre 2008).
La gestione della Carta acquisti è centralizzata, mentre è affidata sperimentalmente ai comuni di Roma, Milano, Torino, Venezia, Verona, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Catania e Palermo. L’Inps procede all’accredito delle somme sulla carta elettronica, dopo aver ricevuto le domande e verificato i dati dei richiedenti.
La Tavola che segue, stralciata dal Rapporto annuale INPS 2014, indica il numero di beneficiari della Carta Acquisti nel 2014 per un totale di 615.395, il 22,3% di loro risiedeva nella regione Campania, il 21,7% in Sicilia, il 9,4% in Puglia e l ’8,2% nel Lazio. L’importo complessivamente erogato, nel 2014, ammonta a 229,7 mln. di euro.
Per effetto delle disposizioni normative che regolano la Carta Acquisti, gli importi di reddito e l'indicatore ISEE che regolano l'accesso al contributo, per il 2016, sono perequati al tasso di inflazione ISTAT. Pertanto, a partire dall'1 gennaio 2016, il limite massimo del valore dell'indicatore ISEE e dell'importo complessivo dei redditi comunque percepiti sono rispettivamente così rideterminati:
Alla Carta acquisti ordinaria, che continua ad essere erogata, il legislatore ha poi affiancato la Carta acquisti sperimentale. L’articolo 60 del decreto legge 5/2012 ha infatti configurato una fase sperimentale della Carta acquisti, prevedendone una sperimentazione, di durata non superiore ai dodici mesi, nei comuni con più di 250.000 abitanti (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Torino, Venezia, Verona e Roma) e ha ampliato immediatamente la platea dei beneficiari anche ai cittadini degli altri Stati dell'Ue e ai cittadini esteri titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. È così nata la Carta acquisti sperimentale, anche definita Sostegno per l'inclusione attiva (SIA) o Carta per l’inclusione. Le modalità attuative della sperimentazione del SIA sono state indicate dal decreto 10 gennaio 2013 che fra l'altro stabilisce i nuovi criteri di identificazione dei beneficiari, individuati per il tramite dei Comuni, e l'ammontare della disponibilità sulle singole carte - da un minimo di 231 a un massimo di 404 euro mensili -, calcolato secondo la grandezza del nucleo familiare.
Il SIA è una prestazione economica sottoposta alla prova dei mezzi, e dunque uno strumento categoriale, in quanto è rivolto esclusivamente ai nuclei familiari con minori in situazione di difficoltà (ISEE inferiore a 3.000 euro e patrimonio inferiore a 8.000 euro; trattamenti di natura previdenziale e assistenziale non superiori a 600 euro mensili; vincoli riguardanti il possesso di autoveicoli). Inoltre, i componenti del nucleo devono essere disoccupati e almeno uno di essi deve aver svolto attività lavorativa continuativa per un minimo di sei mesi nei tre anni precedenti alla richiesta del SIA. Infine, la presenza di più di due figli minori o di figli minori disabili nel nucleo richiedente costituisce criterio di precedenza nell’accesso al beneficio, così come risultano preferiti per la concessione del beneficio i nuclei monoparentali con minori e quelli con disagio abitativo.
Per poter beneficiare del trasferimento monetario, il nucleo familiare deve stipulare e rispettare un patto di inserimento con i servizi sociali degli enti locali di riferimento. I servizi sociali, per parte loro, si impegnano a favorire con servizi di accompagnamento il processo di inclusione e di attivazione sociale di tutti i membri del nucleo, promuovendo, fra l’altro, il collegamento con i centri per l’impiego, per la partecipazione al mercato del lavoro degli adulti, e il collegamento con il sistema scolastico e sanitario per l’assolvimento da parte dei minori dell’obbligo scolastico e il rispetto dei protocolli delle visite sanitarie pediatriche. Le caratteristiche dei nuclei familiari beneficiari del progetto sono state individuate in accordo con le città interessate, mentre l’Inps è l’ente attuatore del progetto per la concessione dei contributi economici e predispone, a tal fine, gli strumenti telematici per lo scambio dei flussi informativi con i comuni coinvolti. I servizi sociali dei comuni coinvolti coordinano l’attività complessiva della rete rappresentata anche dai servizi per l’impiego, i servizi sanitari e la scuola.
L'articolo 60 del decreto-legge 5/2012 ha destinato
alla fase di sperimentazione del SIA nei grandi comuni un ammontare di risorse
con un limite massimo di 50 milioni di euro.
L'articolo 3 del decreto-legge 76/2013 ha esteso la
sperimentazione del SIA, già prevista per le città di Napoli, Bari, Palermo e
Catania dal decreto legge 5/2012, ai restanti territori delle regioni del
Mezzogiorno, nel limite di 140 milioni per il 2014 e di 27 milioni per il 2015.
Tali risorse sono state stanziate a valere sulla riprogrammazione delle risorse
del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie, già
destinate ai Programmi operativi 2007-2013 (cioè della quota di cofinanziamento
nazionale dei fondi strutturali), nonché mediante la rimodulazione delle
risorse del medesimo Fondo di rotazione già destinate agli interventi del Piano
di Azione Coesione.
In seguito, l'articolo 1, comma 216, della legge di
stabilità 2014 (legge 147/2013) ha previsto per il 2014 uno stanziamento per la
Carta acquisti ordinaria pari a 250 milioni di euro e un distinto stanziamento
di 40 milioni per ciascuno degli anni del triennio 2014-2016 per la progressiva
estensione su tutto il territorio nazionale, non già coperto, della
sperimentazione della SIA. La stessa legge di stabilità 2014 ha previsto
inoltre la possibilità - in presenza di risorse disponibili, in relazione
all'effettivo numero dei beneficiari - di utilizzare le risorse rimanenti dei 250
milioni assegnati come stanziamento alla Carta acquisti ordinaria, per
l'estensione della sperimentazione della SIA.
Infine, la legge di stabilità 2015 (legge 190/2014) ha
stabilito un finanziamento a regime di 250 milioni di euro annui, a decorrere
dal 2015, sul Fondo Carta acquisti.
Le risorse utilizzate per la Carta acquisti e la SIA
sono stanziate sul Fondo Carta acquisti istituito nello stato di previsione del
MEF (capitolo 1639).
Il SIA è stato finora sperimentato soltanto nelle grandi città (tutte, eccetto Roma, dove la sperimentazione sta per partire, con una platea attesa di circa 2.500 beneficiari).
Sul ritardo nell'estensione della sperimentazione del SIA, si rinvia alla risposta del Governo, in data 8 ottobre 2015, all’interrogazione 5-06598.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha diffuso i primi dati sulla sperimentazione del SIA nei grandi comuni nel settembre 2014 dal (Quaderni di ricerca sociale Flash 29).
L’analisi valutativa realizzata dal Ministero riguarda la raccolta e gestione, da parte dei comuni, delle domande di accesso alla misura. A seguito all’approvazione delle graduatorie definitive in tutti i Comuni (eccetto Roma che, al momento della stesura del documento, non aveva ancora terminato le procedure di predisposizione delle graduatorie), l’analisi del Ministero evidenzia che percepiscono il SIA più di 6.500 nuclei familiari, corrispondenti a quasi 27.000 persone, in condizione di povertà. Il beneficio medio mensile attribuito a ciascuna famiglia è di 334 euro, con una variabilità tra città che dipende dalla media nel numero dei componenti il nucleo familiare, per un totale impegnato pari a circa 26,4 milioni di euro.
A fini comparativi, e per esaminare l’andamento nelle singole città, si riportano anche i dati sul SIA inseriti nel Rapporto annuale INPS 2014, pubblicato a luglio 2015.
Il report del Ministero evidenzia che il numero relativamente basso di domande raccolte combinato al numero relativamente alto di nuclei familiari non in possesso dei requisiti richiesti ha comportato che, nella prima fase della sperimentazione, in diverse città le risorse disponibili non siano andate esaurite. L’analisi rileva infatti che la gran parte delle città ha impegnato tra la metà e i due terzi del totale delle risorse. Sono comunque tre le città – Catania, Palermo e sostanzialmente Torino – che hanno esaurito subito il budget disponibile. Tra queste, Catania è l’unica in cui il numero di domande idonee (in possesso cioè dei requisiti richiesti) è superiore – di circa il 50% – al numero di domande ammissibili sulla base del budget. L’analisi del Ministero, infine, segnala i casi di Palermo e Torino per un numero di domande all’incirca doppio o poco più rispetto al budget, dimensione ritenuta ideale a individuare i beneficiari previsti dal programma, tenuto conto delle verifiche sul possesso dei requisiti, evitando al contempo code di esclusi ed eccessivi oneri amministrativi legati alle domande palesemente inammissibili.
Secondo il report, la possibilità che il numero di
richieste fosse notevolmente superiore alle risorse disponibili per ciascun
Comune ha determinato un approccio necessariamente prudente nella raccolta
delle domande. In sette Comuni su undici sono stati introdotti ulteriori
criteri di selezione, in due si è deciso di limitare le domande alle famiglie
già in carico ai servizi comunali. Complice l’entrata in vigore del
provvedimento attuativo a ridosso dell’estate, i bandi di selezione sono stati
aperti in un periodo di chiusura delle scuole, elemento che a posteriori è
stato valutato di notevole rilevanza per la circolazione dell’informazione su
una politica rivolta a famiglie con figli. In particolare, va segnalato come
non siano state previste nella legge istitutiva risorse per una campagna di
comunicazione (nazionale o locale) sull’avvio della sperimentazione che andasse
oltre la comunicazione istituzionale. In un unico caso – Catania – il numero di
domande è stato notevolmente superiore al budget
(oltre sei volte). All’opposto, in unico altro caso – Venezia – le domande non
hanno coperto il budget.
Il report sottolinea che un presupposto della sperimentazione è il rigore in termini di verifiche del possesso dei requisiti: elemento cruciale per il successo di uno schema di reddito minimo in un paese come l’Italia ad elevata economia sommersa. Il decreto attuativo del gennaio 2013 ha così previsto che le erogazioni dei benefici fossero precedute dalla verifica puntuale delle informazioni autodichiarate dai richiedenti negli archivi amministrativi dell’INPS, dell’Agenzia delle entrate e dei Comuni stessi, superando la logica dei controlli a campione ex-post. Tenuto conto che la sperimentazione è effettuata a risorse umane, finanziarie e strumentali ordinarie, il Ministero riconosce lo sforzo notevole effettuato dall’INPS – soggetto attuatore della sperimentazione – e dai Comuni nella messa in opera del sistema dei controlli. Alla luce dei risultati delle verifiche, tale sforzo va comunque considerato necessario e imprescindibile per l’estensione della sperimentazione. In tutte le città, infatti, almeno il 50% delle domande (con punte quasi dell’80% a Catania e Firenze) risulta relativo a situazioni in cui almeno un requisito non è posseduto, contrariamente a quanto dichiarato dal cittadino.
Per valutare l’efficacia dell’integrazione del sussidio economico con il progetto multidimensionale, il decreto 10 gennaio 2013 ha disposto che i Comuni destinatari della sperimentazione individuino, mediante una procedura di selezione casuale, due gruppi nell'ambito dei nuclei familiari beneficiari del SIA. I nuclei familiari appartenenti al primo gruppo partecipano ad un progetto personalizzato volto al superamento della condizione di povertà, al reinserimento lavorativo e all'inclusione sociale; i nuclei familiari appartenenti al secondo gruppo, invece, pur ricevendo il SIA, non sono coinvolti nel progetto personalizzato e costituiscono un gruppo di controllo. A tale ultimo gruppo è affiancato un ulteriore gruppo di controllo composto da non beneficiari del SIA (artt. 1, comma 1, lett. b), d) e g) e 3, comma 1, lett. c) ed f) del decreto 10 gennaio 2013).
I dati di questo monitoraggio non sono stati resi ancora noti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ma la Relazione al disegno di legge delega, senza riportare i dati del monitoraggio sottolinea che “l’introduzione del sostegno all’inclusione attiva ha avuto il merito di introdurre un cambiamento di approccio nelle politiche sociali, mettendo la rete dei servizi sociali al centro di un servizio complesso. I rappresentati dei comuni si sono detti favorevoli alla continuazione dell’esperienza avviata sui rispettivi territori, con le necessarie semplificazioni amministrative e gestionali. Particolarmente positivo è stato il riscontro sulla presa in carico, considerato uno strumento utile a intraprendere un percorso di fuoriuscita, almeno parziale, da situazioni problematiche, che ha permesso, tra l’altro, di intercettare fasce di popolazioni in condizione di estremo bisogno sconosciute ai servizi sociali”.
Il monitoraggio puntuale delle esperienze di alcune grandi città, ha comunque evidenziato criticità legate alla scelta dei requisiti richiesti per accedere al beneficio e alla risposta dei servizi sociali[4].
La spesa complessiva per l’assistenza sostenuta dai comuni nel 2012 risulta di poco inferiore ai 7 miliardi di euro e, per il secondo anno consecutivo, diminuisce rispetto all’anno precedente (-0,6 per cento). Il 18,1 per cento dell’intera spesa sociale dei comuni è destinato agli asili nido che rappresentano uno dei principali servizi forniti. I principali destinatari dei servizi offerti sono le famiglie e i minori (40,0 per cento), le persone disabili (24,3 per cento) e gli anziani (19,1 per cento). La spesa per i servizi sociali offerti dai comuni è costituita principalmente da interventi e servizi forniti direttamente agli utenti, per un importo pari a 2.716 milioni di euro (38,9 per cento del totale), mentre alle strutture sono destinati 2.496 milioni di euro (35,7 per cento). I restanti 1.771 milioni sono impiegati in trasferimenti in denaro ad altri soggetti pubblici e privati e rappresentano il 25,4 per cento della spesa complessiva. Nel 2012, la spesa pro capite è stata pari a 117,3 euro. La Valle d’Aosta presenta il valore più alto (2.771 euro), mentre la Calabria è la regione dove la spesa per abitante è più contenuta (24,6 euro). Più in generale, tutte le regioni del Mezzogiorno, ad eccezione della Sardegna, si trovano al di sotto della media nazionale, insieme a Umbria e Marche per il Centro e il solo Veneto per il Nord (Fonte Istat, Annuario statistico 2015).
Nelle more dell’adozione del Piano per la lotta alla povertà, la stabilità 2016, al comma 387, ha previsto l’estensione del SIA su tutto il territorio nazionale. I Comuni e/o gli Ambiti territoriali dovranno associare al trasferimento monetario un progetto personalizzato di intervento dal carattere multidimensionale che coinvolga tutti i componenti della famiglia, con particolare attenzione ai minorenni. Il progetto di presa in carico sarà predisposto dai servizi sociali in rete con i servizi per l'impiego, i servizi sanitari e le scuole, nonché con soggetti privati attivi nell'ambito degli interventi di contrasto alla povertà, sulla base dell’accordo, sancito in sede di Conferenza unificata Linee guida per la predisposizione e attuazione dei progetti di presa in carico del Sostegno per l’inclusione attiva (SIA) (c.d. Linee Inclusione attiva). L'estensione avverrà con nuovi criteri, e i requisiti di accesso verranno definiti da un decreto attuativo, la cui emanazione è attesa a breve (vedi comunicato del Ministero del lavoro e delle politiche sociali).
Le linee guida illustrano nel dettaglio il funzionamento e l'applicazione del SIA, regolamentando un nuovo schema di intervento che prevede il rafforzamento del sistema dei servizi sociali sul territorio nell'ottica della rete integrata dei servizi e della cura di tutto il nucleo familiare beneficiario, secondo il cosiddetto “approccio ecologico”, basato sulla considerazione delle interazioni tra le persone e il loro ambiente peraltro già sperimentato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con gli Ambiti territoriali nel programma P.I.P.P.I. (Programma di intervento per la prevenzione dell’istituzionalizzazione).
Nel quadro dei diversi livelli di competenza, le linee guida per la predisposizione e attuazione dei progetti personalizzati di presa in carico, intendono favorire procedure il più possibile uniformi su tutto il territorio nazionale, in grado di agire con lo stesso grado di efficacia.
L’attuazione del SIA in ciascuna Regione dovrà coordinarsi con gli altri interventi regionali di contrasto alla povertà e con il sistema regionale di programmazione dei servizi sociali e socio sanitari e degli interventi di formazione e attivazione sul mercato del lavoro. Nell’individuare un modello comune di intervento, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in qualità di struttura di gestione e di governance del SIA e Autorità di gestione del PON (Programma Operativo Nazionale) Inclusione, dovrà tenere conto della eterogeneità territoriale. A tale fine andranno stipulati accordi bilaterali di intesa tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le singole Regioni per: l’attuazione del SIA e il coordinamento con gli altri interventi regionali di contrasto alla povertà e con il sistema regionale di programmazione dei servizi sociali e socio sanitari e degli interventi di formazione e attivazione sul mercato del lavoro.
Per questo, alle Regioni che non prevedono già la programmazione o gestione integrata dei servizi pubblici del lavoro, sociali e sanitari, si chiede di attuare azioni di sistema e governance unitaria sugli interventi di contrasto alla povertà in modo da garantire i raccordi interistituzionali e interprofessionali necessari all’offerta integrata o, quanto meno, alla collaborazione fra sistema sociale, del lavoro, sanitario, educativo, dell'istruzione e della formazione, nonché fra servizi del pubblico e del privato sociale, ai fini della presa in carico integrata delle persone maggiormente vulnerabili; con riferimento alle famiglie con minori.
Gli Ambiti Territoriali, nella fase iniziale del programma dovranno promuovere e favorire modalità di coordinamento (tavoli, scambi informativi, prassi di lavoro) – innovative, se non già sperimentate sul territorio – che assicurino la presa in carico integrata. Successivamente, nel rispetto degli indirizzi regionali, dovranno sottoscrivere atti formali (accordi di programma, convenzioni, regolamenti), o altre modalità di collaborazione anche mediante l’utilizzo degli strumenti regionali di programmazione territoriale integrata esistenti, per definire i rapporti con i diversi soggetti pubblici e del privato sociale dei sistemi citati. Oltre alla collaborazione interistituzionale (con centri per l’impiego, servizi sanitari o socio sanitari, scuole, enti di formazione) andrà favorita la collaborazione interservizi (ad esempio tra servizi sociali, Servizio socio-educativo minori, adulti e famiglia, Servizio Sociale penale adulti, Servizio sociale penale minori, ecc.). Le modalità di collaborazione, formalizzate negli atti formali sopra ricordati, dovranno indicare nel dettaglio le procedure, le risorse, le reciproche responsabilità e le procedure operative da adottare nella offerta integrata o coordinata dei servizi. L’Ambito Territoriale sociale, che gestisce l’attuazione della misura in tutte le sue fasi e azioni, si fa garante della attivazione della rete a livello territoriale come della costituzione e attivazione delle Equipe Multidisciplinari (EEMM). Con particolare riferimento a quei territori nei quali la programmazione integrata dei servizi non costituisce una prassi consolidata, le Linee guida caldeggiano che per ciascun’Ambito territoriale si costituisca un “Gruppo di riferimento territoriale” composto dagli stakeholders del pubblico e del privato sociale, che possa sostenere le specifiche attività di programmazione, di monitoraggio e di valutazione dello stato di implementazione della misura.
Il modello di presa in carico del SIA pone in capo ai Comuni (o agli Ambiti territoriali) la predisposizione, per ciascun nucleo beneficiario, del progetto personalizzato per il superamento della condizione di povertà, il reinserimento lavorativo e l'inclusione sociale. A tal fine, richiede che i Comuni attivino un sistema coordinato di interventi e servizi sociali con le seguenti caratteristiche:
I progetti personalizzati sono definiti attraverso le seguenti fasi:
1. Pre-analisi: orienta gli operatori e le famiglie nella decisione sul percorso da svolgere;
2. Equipe Multidisciplinare: segue ogni progetto e dovrebbe essere costituita da un assistente sociale, un operatore dei servizi per l'impiego, uno o più membri della famiglia beneficiaria, altre figure professionali stabilite in esito alla Pre-analisi;
3. Quadro di analisi: identificazione dei bisogni e delle potenzialità di ciascuna famiglia funzionale alla definizione del progetto personalizzato. Tre le dimensioni rilevanti: i bisogni della famiglia e dei suoi componenti, le risorse che possono essere attivate e i fattori ambientali;
4. Progettazione: il programma individua l'insieme delle azioni finalizzate al superamento della condizione di povertà, all'inserimento lavorativo e all'inclusione sociale dei componenti del nucleo familiare nonché gli impegni che quest'ultimo è tenuto ad assumere.
5. Interventi: le equipe multidisciplinari attivano un sistema coordinato di interventi e servizi per l'inclusione attiva quali: inserimento al lavoro, assistenza educativa domiciliare, sostegno al reddito complementare al beneficio del SIA, sostegno all'alloggio;
6. Governance: le Regioni potranno decidere di finanziare con risorse proprie l'estensione della platea dei destinatari del beneficio, ovvero un maggior importo del beneficio stesso (su La struttura di governance del SIA per macro funzioni si rinvia a pag. 16 delle Linee Guida).
Le Linee guida, predisposte dal Ministero del lavoro e delle
politiche sociali e condivise dal Tavolo dei responsabili della programmazione
sociale[5], rispondono alla necessità di definire procedure
comuni su cui basare l’attuazione del SIA con riferimento ai progetti
personalizzati di presa in carico dei beneficiari, nonché ai fini
dell’erogazione agli Ambiti territoriali delle risorse previste dal PON
“Inclusione” per supportarne l’implementazione nei territori.
Il SIA sarà
finanziata da diverse fonti: le risorse nazionali destinate al sussidio
economico da erogare ai beneficiari (circa 750 milioni di euro per il 2016
stanziate in parte dalla Legge di Stabilità e in parte da provvedimenti
precedenti) si sommano alle risorse comunitarie del Fondo sociale europeo, che
attraverso il PON Inclusione andrà a sostenere nei prossimi sette anni, con 1
miliardo e 70 milioni di euro, il potenziamento della rete integrata dei
servizi e l'attuazione del modello di presa in carico delle famiglie. Di
seguito si illustrano sinteticamente le fonti di finanziamento delle diverse
componenti SIA:
·
Fonti di
finanziamento nazionali, disciplinate dal decreto decreto 10 gennaio 2013 di estensione del SIA, cui si aggiungono le
risorse previste nella Legge di Stabilità 2016, destinate alla componente passiva del beneficio,
rappresentata dal trasferimento monetario erogato ai nuclei familiari
destinatari. Il riparto delle risorse nazionali dedicate al trasferimento
monetario sarà stabilito dal decreto ministeriale da emanare ai sensi
dell’articolo 1, co. 387, della legge di stabilità (L. 208/2015);
·
Fonti di
finanziamento comunitarie (con
cofinanziamento nazionale), destinate nel Programma operativo Nazionale (PON)
Inclusione 2014-2020 al supporto della componente
attiva del SIA, per il rafforzamento dei servizi e degli interventi di
inclusione attiva, cui si aggiungono le risorse del Programma Operativo Fead
(Fondo di aiuti europei agli indigenti), dedicate alla erogazione di materiale
scolastico ai minori delle famiglie beneficiarie del SIA. Le risorse che il PON
dedica a progetti di supporto ai servizi e alle misure di attivazione del SIA
sono ripartite tra gli ambiti territoriali in proporzione ai destinatari del
sostegno economico, considerando i vincoli derivanti dalla disponibilità di
risorse per tipologia di regione (più sviluppate, in transizione, meno
sviluppate). Le risorse così ripartite sono messe a disposizione degli ambiti
territoriali per l’attuazione di progetti conformi alle Linee guida, attraverso
l’emanazione di bandi non competitivi, definiti sentito il Tavolo dei
responsabili della programmazione sociale. I progetti ammessi a finanziamento
sono selezionati dall’Autorità di gestione del PON attraverso la costituzione
di apposite commissioni di valutazione, a cui partecipano rappresentanti
regionali in relazione ai territori di riferimento. Le risorse del FEAD sono
messe a disposizione dei Beneficiari del SIA attraverso l’attribuzione di un
credito per l’acquisto di on-line di materiale scolastico;
·
Fonti di finanziamento
regionali di derivazione istituzionale e/o comunitaria ad eventuale
integrazione delle risorse nazionali
sopra menzionate (Bilancio regionale; risorse FSE previste nei PON regionali
per il periodo 2014 – 2020). Le Regioni potranno decidere di finanziare con
risorse proprie l’estensione della platea di destinatari del beneficio, ovvero
una maggiore generosità del beneficio stesso. L’integrazione al fondo e il suo
utilizzo andrà definito nell’ambito di apposito protocollo d’intesa con il
Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell’economia e
delle finanze. Le Regioni potranno anche decidere di realizzare con il PO
regionale interventi rivolti ai destinatari del SIA (ad esempio gli ambiti
territoriali potrebbero utilizzare le risorse del PON per rafforzare i servizi
sociali e quelle del POR per le misure di attivazione), ovvero le modalità di
integrazione con le misure regionali di attivazione.
Con l’approvazione dell’Accordo di partenariato è stato definito l’ammontare delle risorse dei fondi strutturali dell’Unione europea destinate all’Italia per il ciclo di programmazione 2014-2020, articolato per tipologia di regione, per obiettivo tematico e per singolo Programma operativo nazionale (PON) e regionale (POR).
Si tratta di 31,1 miliardi considerando solo le risorse destinate all’obiettivo “Investimenti in favore della crescita e dell’occupazione”, a cui si aggiungono 1,1 miliardi di risorse destinate all’obiettivo “Cooperazione territoriale europea”: in sostanza 32,2 miliardi a valere sulle risorse del Fondo sociale europeo (FSE) e del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR).
Ad essi vanno poi sommati anche 673 milioni del Fondo indigenti (FEAD) e 567 milioni dell’Iniziativa Occupazione giovanile (YEI).
Dei 31,1 miliardi di risorse di fonte UE destinate all’obiettivo “Investimenti” attraverso il FSE e il FESR per gli anni 2014-2020, 22,2 miliardi sono stati assegnati alle cinque “regioni meno sviluppate” (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia).
Per il principio dell’addizionalità, in corrispondenza alle quote di risorse comunitarie per il raggiungimento degli obiettivi delle politiche di coesione, la normativa comunitaria prevede un ammontare “teoricamente pari” di cofinanziamento nazionale attraverso le risorse del Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie. La legge di stabilità 2014 ha stanziato per il ciclo 2014-2020, quale quota di cofinanziamento nazionale del Fondo, risorse per circa 24 miliardi. Ulteriori 4,4 miliardi di cofinanziamento sono a valere sui bilanci delle regioni (si veda sul punto la delibera CIPE n. 10 del 2015).
Nella tabella che segue sono riportate, aggregate per tipologia di regioni, le risorse destinate dall’Unione europea agli interventi dei Fondi di Sviluppo Europei e la quota di cofinanziamento nazionale:
(milioni di euro)
Risorse UE |
Cofinanziamento |
TOTALE |
|
Regioni meno sviluppate |
22.200,4 |
11.279,1 |
33.479,5 |
Regioni in transizione |
1.350,3 |
1.337,9 |
2.688,2 |
Regioni più sviluppate |
7.568,0 |
7.468,4 |
15.036,4 |
TOTALE |
31.118,7 |
20.085,4 |
51.204,1 |
PO YEI (Occupazione
giovanile) |
567,5 |
- |
567,5 |
PO FEAD (Indigenti) |
672,9 |
118,8 |
791,7 |
Si ricorda che l’impostazione strategica definita per i Fondi strutturali è articolata su 11 obiettivi tematici, corrispondenti a quelli individuati dall’articolo 9 del Regolamento UE n. 1303/2013[6]:
1) Rafforzare la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l'innovazione;
2) Migliorare l'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nonché l'impiego e la qualità delle medesime;
3) Promuovere la competitività delle piccole e medie imprese, il settore agricolo (per il FEASR) e il settore della pesca e dell'acquacoltura (per il FEAMP);
4) Sostenere la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio in tutti i settori;
5) Promuovere l'adattamento al cambiamento climatico, la prevenzione e la gestione dei rischi;
6) Tutelare l'ambiente e promuovere l'uso efficiente delle risorse;
7) Promuovere sistemi di trasporto sostenibili ed eliminare le strozzature nelle principali infrastrutture di rete;
8) Promuovere l'occupazione e sostenere la mobilità dei lavoratori;
9) Promuovere l'inclusione sociale e combattere la povertà;
10) Investire nelle competenze, nell'istruzione e nell'apprendimento permanente;
11) Rafforzare la capacità istituzionale e promuovere un'amministrazione pubblica efficiente.
Per quanto riguarda le dotazioni specifiche degli 11 obiettivi tematici, considerando solo il FSE e il FESR, dal confronto rispetto alla distribuzione dei fondi, gli interventi a favore delle imprese, la ricerca e le infrastrutture assorbono il 37% del totale, l’ambiente il 21,6% e gli obiettivi relativi all’occupazione, all’istruzione e la formazione professionale e all’inclusione sociale raggiungono il 36%. A quest’ultimo obiettivo, in particolare, affluisce il 10% delle risorse
L’Accordo individua, nel complesso, 60
Programmi regionali e 14 Programmi nazionali attuativi dei fondi, i cui
contenuti specifici sono definiti con apposito negoziato con la Commissione
Europea su ciascuno di essi.
Nel 2010 l'Unione Europea ha varato una strategia per il prossimo
decennio finalizzata a una crescita intelligente,
sostenibile e inclusiva e ha inserito la lotta alla povertà e all'esclusione
sociale tra gli obiettivi della politica degli Stati membri.
In questo contesto, per il periodo 2014-2020
il Ministero del lavoro è titolare di due programmi operativi che intervengono
in sinergia con le politiche nazionali per fronteggiare il fenomeno della
povertà e favorire l'inclusione attiva delle persone maggiormente fragili. Si
tratta del Programma Operativo Nazionale
Inclusione sociale, cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo (FSE), e del Programma Operativo FEAD, cofinanziato
dal Fondo europeo di aiuti agli indigenti.
Nell’ambito dei Programmi Operativi Nazionali che si pongono come obiettivo lo sviluppo e la promozione sociale, in particolare nelle regioni meno sviluppate, si segnala il PON “Inclusione sociale” che ha un budget di 1,3 miliardi di euro, di cui circa 827 milioni a valere sul Fondo Sociale Europeo (FSE). La parte restante costituisce il cofinanziamento nazionale.
Il PON Inclusione (approvato con Decisione di esecuzione della Commissione Europea C(2015) 4998 del 14 luglio 2015) rappresenta una novità nello scenario delle politiche europee cofinanziate: con la programmazione 2014-2020 infatti, per la prima volta i fondi strutturali intervengono a supporto delle politiche di inclusione sociale.
Il Programma definisce i suoi obiettivi rispetto alla strategia di lotta alla povertà formulata dal Governo italiano nei Piani Nazionali di Riforma. In particolare, esso intende contribuire al processo che mira a definire i livelli minimi di alcune prestazioni sociali, affinché queste siano garantite in modo uniforme in tutte le regioni italiane, superando l'attuale disomogeneità territoriale.
Le azioni programmate rientrano nei seguenti obiettivi tematici:
Gli interventi prioritari previsti riguardano:
Alcune delle azioni programmate prevedono sinergie e integrazioni sia con i programmi operativi regionali (POR) sia con altri programmi operativi nazionali. In particolare il PON “Per la scuola” si focalizzerà su azioni:
Nella tabella che segue sono illustrate le allocazioni dei fondi strutturali con riferimento al Programma Operativo Nazionale PON “Inclusione sociale”:
Risorse UE |
Cofinanziamento |
TOTALE |
|||||
FESR |
FSE |
Totale |
FESR |
FSE |
Totale |
|
|
PON Inclusione |
- |
827,1 |
827,1 |
- |
411,7 |
411,7 |
1.238,8 |
- regioni meno sviluppate |
- |
623,1 |
623,1 |
- |
207,7 |
207,7 |
830,8 |
- regioni in transizione |
- |
35,7 |
35,7 |
- |
35,7 |
35,7 |
71,4 |
- regioni più sviluppate |
- |
168,3 |
168,3 |
- |
168,3 |
168,3 |
336,6 |
Il nuovo ciclo di programmazione delle politiche di coesione condivide con la Strategia Europa 2020 un obiettivo di lotta alla povertà che viene supportato, oltre che dai fondi strutturali, da uno specifico fondo destinato a fornire aiuti materiali alle persone in povertà estrema.
Il Fondo di Aiuti Europei Agli Indigenti (FEAD) è stato approvato da Parlamento Europeo e Consiglio dell’Unione Europea l’11 Marzo 2014 (Regolamento UE 2014/223). Il Fondo che ha un budget di 3,8 miliardi di euro ai prezzi correnti per il periodo 2014-2020, mira a fornire ai poveri un aiuto più ampio del semplice, anche se fondamentale, aiuto alimentare già precedentemente fornito dall’UE attraverso il PEAD (Programma per la distribuzione di derrate alimentari agli indigenti), la cui attività è terminata il 31 Dicembre 2013.
Ad ogni paese è stata data la possibilità di stilare fino a due
Programmi Operativi legati al FEAD.
Il “Programma Operativo per la fornitura di prodotti alimentari e/o assistenza
materiale di base” (PO I) sostiene la distribuzione di prodotti alimentari e/o
la fornitura di assistenza materiale di base alle persone indigenti; il
“Programma Operativo per l’inclusione sociale delle persone indigenti” (PO II),
invece, sostiene quelle attività che non rientrano nel quadro delle misure
attive a favore dell’inclusione nel mercato del lavoro (di cui si occupa
maggiormente il Fondo Sociale Europeo (FSE), ma che hanno in ogni caso come
fine l’inclusione sociale delle persone indigenti).
Dei 3,8 miliardi complessivi di risorse comunitarie assegnate al Programma, una parte è stata ripartita obbligatoriamente tra tutti gli Stati membri dell’UE, mentre un’altra parte ha costituito una componente volontaria. L’Italia ha aderito alla componente volontaria, e ciò ha portato l’ammontare delle risorse UE legate FEAD a oltre 670 milioni di euro, alle quali vanno aggiunti 118 milioni di euro di cofinanziamento nazionale. Nell’insieme, il Programma Operativo I stanzia per il periodo 2014-2020 circa 790 milioni di euro per attuare sul territorio nazionale una serie di interventi a favore di persone in condizioni di grave deprivazione materiale. Quella destinata all’Italia è la ripartizione del Fondo più alta tra i 28 paesi dell’ UE.
milioni di euro
Risorse UE |
Cofinanziamento |
TOTALE |
|
PO FEAD (Indigenti) |
672,9 |
118,8 |
791,7 |
Il Programma Operativo Italiano del FEAD è stato adottato dalla Commissione Europa l’11 dicembre 2014 (Decisione C(2014)9679).
In Italia, esso
finanzia principalmente l’acquisto e la distribuzione di beni alimentari. Ulteriori interventi riguardano: la fornitura di materiale scolastico a
ragazzi appartenenti a famiglie disagiate; l’attivazione di mense scolastiche in aree territoriali
con forte disagio socio-economico, allo scopo di favorire la partecipazione
degli studenti ad attività pomeridiane extracurriculari; aiuti a favore delle
persone senza dimora e in condizioni di marginalità
estrema. Questi diversi interventi prevedono attività di accompagnamento
sociale (ad es. orientamento ai servizi, prima accoglienza e assistenza, ecc.)
che possano sostenere e orientare la persona o la famiglia in stato di bisogno
nella rete integrata dei servizi locali.
I vari interventi
sono attuati attraverso una rete di organizzazioni partner costituite da
amministrazioni pubbliche e associazioni non profit.
Il FEAD si affianca, risultando ad essi complementare, ad un serie di altri strumenti italiani ed europei che cercano di far fronte al fenomeno della povertà estrema, e in particolare, come sopra ricordato, al Programma Operativo Nazionale - PON per la scuola riguardo all’attivazione delle mense scolastiche e ai PON Inclusione e Città Metropolitane per gli interventi a favore delle persone senza dimora.
La Conferenza delle regioni è uno dei soggetti promotori dell’Alleanza contro la povertà, che, dal 2013, sostiene l’importanza di introdurre e rendere strutturale, una misura di contrasto alla povertà (Reddito di Inclusione Sociale – REIS) attraverso l’incremento progressivo dello stanziamento dedicato, fino ad arrivare ad una copertura annuale a regime di almeno 7 miliardi di euro.
Nel documento Le politiche di inclusione sociale attiva nella strategia Europa 2020, il piano nazionale di contrasto alla povertà e il ruolo delle regioni, gli enti territoriali esprimono pertanto apprezzamento per l’impegno assunto dal Governo di adottare, entro giugno 2016, di intesa con il sistema delle regioni e delle autonomie locali, un Piano nazionale contro la povertà, ottemperando in tal modo anche agli obblighi comunitari relativi alla condizionalità ex ante[7], previsti nell’Accordo di Partenariato.
Tuttavia, le regioni insistono con il Governo affinché il SIA venga configurato come un primo passo verso una misura universalistica di contrasto alla povertà e chiedono che lo stanziamento a tale scopo impegnato per il 2016 sia considerato come un investimento iniziale da rendere strutturale e crescente, tenendolo distinto dal finanziamento per l’ASDI. Per questo, le regioni richiamano l’opportunità di mettere a sistema gli interventi, individuando modalità integrate di finalizzazione delle risorse in campo: il PON Inclusione 2014-2020, i POR 2014-2020 per le programmazioni attivate su FSE (OT VIII – OT IX – OT X), i finanziamenti nazionali per il SIA; i finanziamenti regionali per le misure di sostegno al reddito e azioni complementari e le risorse già programmate dagli enti Locali nei rispettivi Piani Sociali di Zona per il pronto intervento sociale e il contrasto alle povertà estreme.
Dal punto di vista organizzativo, le regioni chiedono inoltre di rendere accessibili e fruibili, nel rispetto delle norme sulla privacy, i dati necessari alla realizzazione degli interventi di sostegno al reddito e di politiche attive, strutturando l’architettura informatica mancante e garantendo l’interoperabilità dei sistemi esistenti, anche al fine di assicurare un adeguato sistema di monitoraggio degli interventi.
Da parte loro, le Regioni si impegnano a:
- accompagnare gli interventi nazionali con misure regionali di politiche attive, da realizzare anche attraverso il contributo del FSE;
- promuovere e favorire forme di coinvolgimento delle imprese profit;
- costruire proposte e percorsi condivisi, tenendo in considerazione quanto già realizzato sui territori, assicurando la più costruttiva e continua partecipazione al Tavolo dei programmatori sociali già insediato presso il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali;
- analizzare gli sforzi di attuazione dei rispettivi Programmi Operativi Regionali 2014-2020, con specifico riferimento ai fondi FSE (e FESR ove previsto), al finanziamento di azioni collegate alle priorità strategiche già individuate e condivise;
- contribuire a rafforzare la lotta contro la povertà attraverso interventi finalizzati a migliorare la governance, a coordinare l'azione degli attori delle politiche sociali e occupazionali;
- assumere una funzione di raccordo fra il livello centrale e quello locale, nel quadro delineato dal Piano Nazionale per la Lotta alla Povertà, attraverso un’attuazione coordinata dei servizi e delle misure.
Accanto alla misura nazionale, vi sono regioni (Valle d’Aosta con L.R. 19/1994 e le Province autonome di Bolzano con L.P. 13/1991e di Trento con L.P. 14/1991) che vantano una lunga tradizione di intervento. Altre regioni hanno introdotto sperimentazioni dopo l’esperienza del RMI e la Riforma del Titolo V (Campania L.R. 2/2004; Basilicata L.R. 3/2005; Friuli Venezia Giulia (L.R. 6/2005; Sardegna L.R. 23/2005; Puglia L.R. 19/2006; Lazio L.R. 4/2009).
Oggi, il sostegno al reddito è concesso in Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Basilicata, Molise e nelle due Province autonome. In Val d’Aosta e Puglia, sono state approvate proposte di legge in materia.
Friuli Venezia
Giulia - La Misura
attiva di sostegno al reddito, introdotta dalla L.R.
15/2015, consiste in un intervento monetario di integrazione
al reddito erogato nell’ambito di un percorso concordato e definito con i servizi
sociali dei Comuni, in collaborazione con i servizi pubblici regionali
competenti in materia di lavoro (Centri regionali per l'impiego e Centri
regionali per l'orientamento). Le risorse stanziate, per un periodo
sperimentale di tre anni, sono pari a 30 milioni di euro, suddivisi in ragione
di 10 milioni per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017.
Possono accedere alla Misura i nuclei
familiari che hanno un ISEE inferiore o uguale a 6.000 euro, non hanno
componenti che siano beneficiari, nello stesso periodo nel quale la Misura è
concessa, di altri trattamenti economici, anche fiscalmente esenti, di natura
previdenziale, indennitaria e assistenziale, a qualunque titolo concessi dallo
Stato o da altre pubbliche amministrazioni, il cui valore complessivo sia
superiore a 600 euro mensili, elevati a 900 euro in caso di presenza nel nucleo
di persona non autosufficiente.
Lombardia – Il reddito
di autonomia per le politiche attive del lavoro
(denominato "Progetto di inserimento lavorativo - PIL), istituito con
D.G.R. 8 ottobre 2015 - n. X/4151, è un contributo economico per i disoccupati
che partecipano alle attività di orientamento e formazione di Dote
Unica Lavoro e che si trovano in situazione di
particolare difficoltà economica. Ai fini del finanziamento dell’intervento
sono state individuate risorse, pari a 20 milioni di euro, a valere sulla nuova programmazione FSE
2014-2020. Il reddito di autonomia è destinato ai cittadini residenti o
domiciliati in Lombardia che attivano Dote Unica Lavoro e che: sono disoccupati da più di 36 mesi; non
percepiscono alcuna integrazione al reddito (ad es. cassa integrazione,
indennità di disoccupazione - NASPI, ASDI, DISCOLL); hanno un ISEE fino a
18.000 euro. I giovani con età inferiore a 30 anni possono partecipare dopo
aver completato il percorso di Garanzia Giovani. Il contributo massimo è di
1.800 euro in sei mesi
Basilicata – Il reddito minimo è stato istituito
dall’art. 15 della L.R.
26/2014 che ne ha previsto il finanziamento
attraverso un apposito Fondo alimentato con risorse regionali, compresi i
proventi della coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi, nonché quelli
derivanti da misure di fonte statale e comunitaria. La delibera n. 936/2015
della Giunta ha poi precisato l’entità
delle risorse dedicate, pari a 7,7 milioni di euro, e la platea dei
beneficiari, individuati in due categorie: i fuoriusciti dalla platea della
mobilità in deroga con un ISEE inferiore a 15.500 euro annui e
disoccupati/inoccupati da almeno 24 mesi ovvero da almeno 12 mesi, che presentino
un ISEE del nucleo familiare fino ad un massimo di 9.000 euro. Questi soggetti
hanno diritto a percepire (in media) la somma di 450 euro mensili (cifra
variabile sulla scorta del reddito ISEE e del carico familiare). Il sostegno
economico è, tuttavia, subordinato all'espletamento di attività di pubblica
utilità e di politica attiva. Nella Delibera si precisa che il beneficio sarà
corrisposto a fronte dell'espletamento “almeno dell'80% delle ore di lavoro”.
La Delibera n. 202/2015 dello
stesso Esecutivo lucano aveva individuato il tipo di attività richiesto
nell'ambito della valorizzazione dei beni artistici e culturali, delle
prestazioni “di tipo sociale” e di tutela dell'ambiente.
Molise – La L.R. 2/2012, all’art. 49 aveva previsto
il Reddito minimo di cittadinanza quale iniziativa sperimentale di sostegno
alle famiglie molisane in difficoltà economica, configurato come un contributo
economico mensile a famiglia per un periodo di tempo non superiore ai 12 mesi.
La Legge
di stabilità regionale 2015, all’art. 4, ne dispone un finanziamento di
1 milione, permettendone l’attuazione. La disciplina per l'accesso all'istituto
e contenuta nella D.G.R. 16 aprile 2014, n. 230. I benefici sono assegnati in
base a degli indici di priorità: hanno la precedenza i nuclei familiari con
almeno 4 figli a carico, seguiti dai nuclei monogenitoriali e da quelli con
anziani e/o disabili a carico. Accanto alle misure ordinarie, possono
prevedersi anche interventi specifici finalizzati all'inserimento scolastico e
formativo ed alla promozione di percorsi di inclusione sociale. L'intervento
consiste di un contributo economico mensile pari a 300 euro per un massimo di
12 mesi, accompagnato da un percorso di inclusione sociale attiva, messo a
punto dai servizi sociali attraverso un piano di assistenza.
Provincia autonoma
di Bolzano – Il Reddito
minimo di inserimento disciplinato dal D.P.G.P.
11 agosto 2000, n. 30 ha la finalità di contrastare la povertà e
l’emarginazione sociale di soggetti che si trovano in situazioni di emergenza
individuale e/o familiare, al fine di favorirne il definitivo superamento,
anche mediante un programma personalizzato di interventi di integrazione
sociale. Il reddito minimo ha un carattere di temporaneità (di regola al
massimo sei mesi) e viene erogata mensilmente, in base alla valutazione del
reddito familiare. L’ammontare della prestazione di reddito minimo di inserimento
è annualmente adeguato dalla Giunta provinciale tenendo conto degli indici di
inflazione. Per l’anno 2016 la quota massima di reddito minimo d'inserimento
assegnabile ad una persona che vive da sola ammonta a circa 600 euro mensili; un nucleo composto da
due persone riceve al massimo 785 euro, quattro persone 1.100 euro (vedi allegato)
Provincia autonoma
di Trento – Il reddito
di garanzia, introdotto dall’articolo 35, comma 2 della L.P.
13/2007, prevede l’attivazione di interventi di
sostegno economico volti al soddisfacimento di bisogni generali a favore sia di
soggetti che lavorano o sono comunque in grado di assumere o riassumere un
ruolo lavorativo sia di soggetti non idonei ad assumere un ruolo lavorativo. La
misura varia a seconda dei componenti dei nuclei familiari e dell’ICEF (Indicatore
della Condizione Economica Familiare); l’integrazione non può superare i 6.500
euro annui - la cifra è calcolata per un single e viene innalzata in base al
numero di componenti il nucleo e corretta in base ad un indicatore dei consumi
- in assegni mensili per una durata di quattro mesi. L'intervento è rinnovabile
per altre tre volte nei due anni successivi alla prima domanda con due
sospensioni di almeno quattro mesi dopo il primo e il secondo rinnovo (in
pratica l'intervento copre 16 mesi su 24). Chi beneficia di tutte e tre i
rinnovi deve poi attendere 12 mesi per ripresentare domanda. L'integrazione
economica viene concessa anche a fronte di cali improvvisi delle proprie
disponibilità finanziarie.
Valle d’Aosta – Nel novembre 2015, il consiglio regionale ha
approvato la proposta di legge che istituisce il reddito minimo garantito. Le
risorse stanziate, pari a 1,4 milioni di euro, prevedono l’erogazione fino a
4.400 euro lordi suddivisi in importi mensili fino a 550 euro per cinque mesi,
prorogabili per ulteriori tre. Per avere accesso al beneficio è necessario
avere 30 anni e possedere un ISEE non superiore a 6.000 euro, e aver lavorato
almeno 365 giorni negli ultimi 5 anni (proposta di legge Disposizioni in
materia del reddito minimo garantito)
Puglia - La Giunta regionale ha approvato, il 10 novembre 2015 il disegno di legge sul reddito di dignità. Il disegno di legge deve ora passare l’esame del Consiglio e trovare attuazione Il Reddito di Dignità (ReD) è una misura di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale che si caratterizza per l’universalità, per il riferimento alle risorse economiche familiari e per la previsione di un percorso di attivazione economica e sociale dei beneficiari, vale da 210 a 600 euro mensili in base alla numerosità della famiglia, per chi ha un ISEE fino a 3mila euro e sottoscrive un patto di inclusione sociale attiva. Il finanziamento, derivante dalla combinazione della fonte di finanziamento costituita dal FSE di cui al POR Puglia 2014-2020 (OTVIII – OT IX) e della fonte nazionale, è stimato tra i 50 e i 60 milioni di euro su base annua, cui potrà essere aggiunta la dotazione di 5 milioni di euro di uno specifico fondo regionale.
La legge di stabilità 2015 (legge 190/2014), ai commi da 125 a 129, ha previsto, per ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2015 fino al 31 dicembre 2017, un assegno di importo annuo di 960 euro erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o adozione. L'assegno – che non concorre alla formazione del reddito complessivo - è corrisposto fino al compimento del terzo anno d'età ovvero del terzo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito dell'adozione. Per poter ottenere il beneficio economico si richiede tuttavia la condizione che il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente sia in condizione economica corrispondente a un valore dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) non superiore a 25.000 euro annui. L'importo dell'assegno di 960 euro annui è raddoppiato quando il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente è in una condizione economica corrispondente a un valore dell'indicatore ISEE non superiore ai 7.000 euro annui. L'assegno è corrisposto dall'INPS, su domanda del genitore, con cadenza mensile, per un importo pari a 80 euro se la misura annua dell'assegno è pari a 960 euro ovvero per un importo pari a 160 euro se la misura annua dell'assegno è pari a 1.920 euro.
L'assegno è corrisposto ai cittadini italiani, UE, e stranieri in possesso di permesso di soggiorno.
Il finanziamento della misura è stato previsto fino al 2020: 202 milioni di euro per il 2015, 607 milioni per il 2016, 1.012 milioni per ciascun anno del biennio 2017-2018, 607 milioni per il 2019 e 202 milioni di euro il 2020.
Il D.P.C.M. 27 febbraio 2015 ha definito le procedure necessarie per l’erogazione
e il monitoraggio del beneficio. L’articolo 6, comma 1 del decreto., ha
incaricato l’INPS di inviare al Ministero del lavoro e delle politiche sociali
e al MEF, entro il 10 di ciascun mese, la rendicontazione delle domande accolte
e dei relativi oneri con riferimento alla mensilità precedente. Inoltre,
qualora l’onere sostenuto dall’INPS per tre mensilità consecutive fosse
superiore alle previsioni di spesa annuali sopra riportate, rapportate al
periodo d’anno trascorso, l’INPS sospende l’acquisizione di nuove domande fin
quando non viene emanato un nuovo decreto interministeriale - MEF, lavoro e
delle politiche sociali e salute -, con cui si provvede a rideterminare
l’importo annuo dell’assegno e i valori dell’ISEE.
Il numero delle domande presentate e accolte
ad oggi è pari a 216.344, di cui 108.477 sono relative al limite ISEE fino a
7.000 euro, mentre le restanti 107.867 domande sono relative al limite ISEE
compreso tra 7.000 e 25.000 euro. Le domande respinte sono pari a 12.939 ( vedi
risposta
all’interrogazione 5-07825 Lenzi: Beneficiari
delle misure di sostegno alle famiglie con bambini fino a tre anni previsti
dalla legge di stabilità per il 2015)
Il comma 130 della legge di stabilità 2015 (legge 190/2014) ha stanziato 45 milioni di euro, per la concessione di buoni per l'acquisto di beni e servizi a favore dei nuclei familiari con quattro o più figli in una condizione economica corrispondente a un valore dell'indicatore ISEE non superiore a 8.500 euro annui. L’importo è stato stanziato per il solo 2015.
Il D.P.C.M. 24 dicembre 2015 (pubblicato sulla G.U. n. 35 del 12 febbraio 2016) ha stabilito l'ammontare massimo del beneficio per nucleo familiare e le modalità attuative di erogazione. Il beneficio, fissato in importo pari a 500 euro per nucleo familiare, è stato riconosciuto ai nuclei familiari con un numero di figli minori, pari o superiori a quattro, già destinatari con riferimento al 2015 dell’assegno per i tre figli minori e con ISEE non superiore a 8.500 euro. Ai fini del riconoscimento del beneficio non è prevista ulteriore domanda dell'interessato rispetto a quella già presentata ai fini della concessione dell'assegno per i tre figli minori. Il beneficio è riconosciuto direttamente dall'INPS al momento dell'erogazione dell'assegno per i tre figli minori.
Il comma 391 della legge di stabilità 2016 (legge 208/2015) ha istituito la Carta della famiglia, destinata alle famiglie costituite da cittadini italiani o da cittadini stranieri regolarmente residenti nel territorio italiano, con almeno tre figli minori a carico. La Carta, emessa dai Comuni su richiesta degli interessati, consente l’accesso a sconti sull’acquisto di beni o servizi ovvero a riduzioni tariffarie concessi dai soggetti pubblici o privati che intendano contribuire all’iniziativa.
Più in particolare, la Carta famiglia nazionale è emessa dai singoli comuni, che attestano lo stato della famiglia al momento del rilascio, e ha una durata biennale dalla data di emissione. La carta è rilasciata alle famiglie che ne facciano richiesta, previo pagamento degli interi costi di emissione, con i criteri e le modalità stabiliti, sulla base dell'ISEE, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità 2016. La carta consente l’accesso a:
· sconti sull'acquisto di beni o servizi;
· riduzioni tariffarie concessi dai soggetti pubblici o privati che intendano contribuire all'iniziativa.
I soggetti che partecipano all'iniziativa, concedendo sconti o riduzioni maggiori di quelli normalmente praticati sul mercato, possono valorizzare a scopi promozionali e pubblicitari la loro partecipazione all'iniziativa.
L'erogazione di molti degli interventi e servizi sociali è legata, nella misura o nel costo, alla situazioni economica del nucleo familiare del richiedente, ponderata attraverso l'Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), istituito dal D. Lgs. 109/1998 quale prova dei mezzi per l'accesso a prestazioni agevolate. L'Isee, calcolato sulla base d'una Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU), vale annualmente per tutti i membri del nucleo e per tutte le prestazioni sociali, anche se richieste ad enti erogatori diversi.
Il Decreto “salva Italia” (art. 5, decreto legge 201/2011) ha previsto la riforma dell’indicatore per rendere più corretta la misurazione della condizione economica delle famiglie, e quindi migliorare l’equità nell’accesso alle prestazioni. La norma ha indicato i criteri di revisione dell’indicatore, rinviando ad un decreto regolamentare successivo sia le modalità di determinazione che i campi di applicazione dell’ISEE. Questi i criteri:
· miglioramento della selettività dell’indicatore, valorizzando maggiormente la componente patrimoniale;
· introduzione di una nozione di “reddito disponibile”, includendo anche le somme esenti da imposta;
· considerazione dei carichi familiari (famiglie con minorenni e con persone con disabilità);
· differenziazione dell’indicatore per diverse prestazioni (minorenni, università, socio-sanitarie);
· rafforzamento del sistema dei controlli.
Il D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159 di revisione dell’Indicatore è entrato in vigore l’8 febbraio 2014. Il Decreto del 7 novembre 2014 di approvazione del modello tipo della Dichiarazione Sostitutiva Unica a fini ISEE, dell'attestazione, nonché delle relative istruzioni per la compilazione ha reso pienamente operativa la riforma dell'ISEE a partire dal 1° gennaio 2015. In relazione alla compilazione della dichiarazione sostituiva unica (DSU), la legge di stabilità 2015 (legge 190/2014), al comma 314, ha ampliato la sfera delle informazioni che gli operatori finanziari sono obbligati a comunicare all'Anagrafe Tributaria, includendovi anche il valore medio di giacenza annuo di depositi e conti correnti bancari.
Con la riforma, gli enti erogatori sono tenuti a utilizzare l'ISEE, anche se possono prevedere, accanto all'Indicatore, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di beneficiari. Il nuovo Isee inoltre è da considerarsi “livello essenziale delle prestazioni”, di conseguenza le leggi regionali ed i regolamenti comunali devono considerare vincolanti le sue prescrizioni. In relazione alle leggi regionali, possono essere considerate condizioni migliorative, ovvero generatrici di maggior favore per i cittadini.
Il nuovo ISEE ha introdotto disposizioni innovative:
• nella nozione di reddito vengono inclusi – a fianco del reddito complessivo ai fini IRPEF – tutti i redditi tassati con regimi sostitutivi o a titolo di imposta (quali cedolare secca sugli affitti, premi di produttività) e tutti i redditi esenti, compresi tutti i trasferimenti monetari ottenuti dalla Pubblica Amministrazione, quali: assegni al nucleo familiare, pensioni di invalidità, assegno sociale, indennità di accompagnamento; i redditi figurativi degli immobili non locati e delle attività mobiliari. Viceversa sono sottratte, dalla somma dei redditi, spese e franchigie riferite al nucleo familiare;
• per quanto riguarda la componente patrimoniale, riferita ai costi dell'abitare: il valore della prima casa viene abbattuto a due terzi e viene considerato solo il valore dell'immobile eccedente il valore del mutuo ancora in essere;
• la scala di equivalenza viene modificata con un ammontare crescente al numero di figli;
• con riferimento alla disabilità: vengono introdotte tre distinte classi di disabilità - media, grave e non autosufficienza - e franchigie che corrispondono a diversi trattamenti economici. Più in particolare, per le persone con disabilità media è prevista una franchigia pari a 4.000 euro, incrementate a 5.500 se il disabile è minorenne; per le persone con disabilità grave, è prevista una franchigia pari a 5.500 euro, incrementata a 7.500 se minorenne; per persone non autosufficienti, è prevista una franchigia pari a 7.000 euro, incrementata a 9.500 euro se minorenne;
• per quanto riguarda le prestazioni agevolate di natura sociosanitaria: si prevede la possibilità per il disabile adulto convivente con la famiglia di origine, di costituire nucleo anagrafico a sé stante;
• viene introdotto l'ISEE corrente, riferito ad un periodo di tempo più ravvicinato, in caso di variazioni significative in corso d'anno dell'indicatore della situazione reddituale dovute a modifiche della situazione lavorativa (licenziamenti/cassa integrazione);
• per le prestazioni agevolate rivolte a beneficiari minorenni: viene stabilito il principio secondo il quale il genitore non convivente nel nucleo familiare, non coniugato con l'altro genitore, che abbia riconosciuto il figlio, fa parte del nucleo familiare del figlio, a meno che non sia coniugato con persona diversa dall'altro genitore o vi sia legale separazione;
• per le prestazioni erogate nell'ambito del diritto allo studio universitario: vengono di regola considerati come facenti parte dello stesso nucleo familiare i genitori dello studente richiedente non conviventi, salvo eccezioni, puntualmente enunciate;
• il sistema dei controlli sulla veridicità dei dati utili per il calcolo ISEE viene rafforzato affidando un ruolo centrale all'INPS che, al fine di rilevare la veridicità di quanto autocertificato dai cittadini, può avvalersi di controlli incrociati con le banche dati dell'Agenzia delle Entrate e degli archivi amministrativi delle altre amministrazioni pubbliche. In relazione ai dati autodichiarati, l'Agenzia delle entrate, sulla base di controlli automatici, individua e rende disponibili all'INPS, l'esistenza di omissioni o difformità.
Il Report del Ministero del lavoro e delle politiche sociali Il nuovo ISEE: Monitoraggio al terzo trimestre 2015, del gennaio 2016, ricorda che la DSU oggi è una dichiarazione “post-compilata”, nel senso che le informazioni già possedute negli archivi dell’INPS e dell’Agenzia delle entrate vengono direttamente rilevate e non richieste al cittadino ai fini del rilascio dell’ISEE.
Queste in sintesi le maggiori evidenze:
L’11 febbraio 2015, il TAR del Lazio ha accolto, seppur parzialmente, tre ricorsi molto articolati presentati da associazioni di tutela dei disabili per l'annullamento, previa sospensione del D.P.C.M. 159/2013. Le tre sentenze (TAR Lazio, Sezione I, n. 2454/2015, 2458/2015 e 2459/2015) modificano parzialmente l’impianto di calcolo dell’Indicatore della Situazione Reddituale.
La sentenza del Tar del Lazio n. 2458 ha annullato l'articolo 4, comma 2, lettera f) del regolamento, nella parte in cui è previsto che “Il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti […] f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a)”, vale a dire nel reddito complessivo IRPEF.
E’ stato anche accolto il ricorso che annulla il D.P.C.M. nella parte in cui prevede l’incremento delle franchigie per disabilità per i soli minorenni (art. 4, lettera d), n.1, 2, 3).
Successivamente, la Presidenza del Consiglio ha deciso di ricorrere al Consiglio di Stato in qualità di giudice di appello, sostenendo che, considerato l'ISEE quale strumento a garanzia dell'equo diritto di accesso e dell'importo di misure per il contrasto alla povertà, l'assimilazione dell'indennità di accompagnamento dei disabili alla definizione di reddito - ancorché utilizzata in senso atecnico, vale a dire non corrispondente alle categorie di reddito elencate dal DPR 917/1986 ai fini dell'imposizione fiscale a carico delle persone fisiche - è stata necessaria per esigenze di equità perequativa e contributiva, in quanto tale indennità risulta già esente da IRPEF.
Dopo essere stata annunciata alla fine dell’anno precedente, il 29 febbraio 2016, è stata pubblicata la sentenza del Consiglio di Stato che, tra l’altro, esclude l'indennità di accompagnamento dei disabili dal calcolo del reddito ai fini ISEE (Sentenza n. 00842/2016).
Il Consiglio di Stato ha motivato la sentenza, tra
l’altro, sostenendo che "l'indennità di accompagnamento e tutte le forme
risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del
patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva ed ontologica (cioè
indipendente da ogni eventuale o ulteriore prestazione assistenziale attiva)
situazione d'inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di
capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si
trova già così com'è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una
posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una
parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una
"migliore" situazione economica del disabile rispetto al non disabile,
al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la
prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa".
L’articolo 16 del D.Lgs. 22/2015 ha istituito, a decorrere dal 1° maggio 2015 (e inizialmente in via sperimentale per l’anno 2015), l’assegno di disoccupazione (di seguito ASDI), destinato (ai sensi dell’articolo 43, comma 5, del D.Lgs. 148/2015) ai soggetti che abbiano fruito della NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) per l’intera sua durata entro il 31 dicembre 2015 i quali, privi di occupazione, si trovino in una condizione economica di bisogno (lavoratori appartenenti a gruppi familiari in cui sono presenti minori o con un’età prossima al raggiungimento dei requisiti di accesso al trattamento pensionistico). L’assegno è in ogni caso erogato entro il limite delle risorse assegnate al fondo appositamente istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, pari a 200 milioni di euro nel 2015 e a 200 milioni di euro nel 2016.
Ai sensi dell’art. 43, co. 5, del D.Lgs. 148/2015, l'autorizzazione di spesa (di cui all'art. 16, co. 7 del D.Lgs. 22/2015) è stata incrementata di 180 milioni di euro per il 2016, di 270 milioni di euro per il 2017, di 170 milioni di euro per il 2018 e di 200 milioni di euro annui a decorrere dal 2019.
Per effetto della prosecuzione della sperimentazione, e nel limite delle risorse previste, in ogni caso la durata della prestazione ASDI non può essere pari o superiore a 6 mesi nei 12 mesi precedenti il termine del periodo di fruizione della NASpI e comunque pari o superiore a 24 mesi nel quinquennio precedente il medesimo termine. Il suo importo è pari al 75% dell’ultima indennità NASpI percepita e, comunque, non superiore all’assegno sociale, incrementato per gli eventuali carichi familiari. È inoltre demandata ad apposito decreto interministeriale (da adottare entro 90 giorni dall’entrata in vigore del D.Lgs. 148/2015[8]) la definizione delle modalità per la prosecuzione della sperimentazione.
La corresponsione dell'ASDI è condizionata all'adesione ad un progetto personalizzato redatto dai competenti servizi per l'impiego, contenente specifici impegni in termini di ricerca attiva di lavoro, disponibilità a partecipare ad iniziative di orientamento e formazione, accettazione di adeguate proposte di lavoro (articolo 16, comma 5, del D.Lgs. 22/2015). La partecipazione alle iniziative di attivazione proposte è obbligatoria, pena la perdita del beneficio. Inoltre, ai sensi dell’articolo 21, comma 3, del D.Lgs. 150/2015, ai fini della concessione dell'ASDI è necessario che il richiedente abbia sottoscritto un patto di servizio personalizzato, redatto dal centro per l'impiego, in collaborazione con il richiedente, a seguito di uno o più colloqui individuali.
Si rammenta, infine, che ai sensi dell’articolo 16, comma 8, del D.Lgs. 22/2015, all'eventuale riconoscimento dell'ASDI negli anni successivi al 2015 si provvede con le risorse previste da successivi provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie e in particolare con le risorse derivanti dai decreti legislativi attuativi dei criteri di delega di cui alla L. 183/2014 (cd. jobs act).
L'integrazione al trattamento minimo, introdotta dall'articolo 6 della L. 638/1983, ha lo scopo di tutelare i soggetti il cui assegno pensionistico sia al di sotto di un importo, fissato annualmente dalla legge.
In sostanza, il trattamento minimo è un’integrazione corrisposta al pensionato nel caso in cui la pensione sia di importo inferiore di quello considerato come “minimo vitale”. In tal caso, l’importo della pensione spettante viene aumentato (integrato, appunto) fino a raggiungere una cifra stabilita di anno in anno dalla legge (al riguardo, si della circolare INPS n. 210/2015 il trattamento minimo per l'anno 2016 è fissato in 501,89 euro).
In generale, sono integrabili al minimo tutte le prestazioni previdenziali dirette ed indirette (pensioni ai superstiti) erogate dall'AGO, dai fondi per i lavoratori autonomi, dai fondi esclusivi e sostitutivi della medesima (ad eccezione della sola pensione supplementare). Particolari condizioni interessano l'integrazione al minimo dell'assegno ordinario di invalidità, nonché i casi in cui il pensionato sia titolare di più trattamenti pensionistici. La disciplina dell’integrazione al minimo non è applicabile, inoltre, alle pensioni liquidate esclusivamente con le regole del sistema contributivo.
Per ottenere l'integrazione al minimo il soggetto deve soddisfare determinati requisiti di reddito, a seconda se sia o meno coniugato. In particolare, l’integrazione spetterà integralmente al di sotto di un certo livello reddituale (pari per il 2016, a 6.524,57 euro per il pensionato solo e 19.753,71 euro per il pensionato coniugato), sarà nulla al di sopra di un altro livello reddituale (pari per il 2016, a 13.049,14 euro per il pensionato solo e 32.622,85 euro per il pensionato coniugato) e parziale per un reddito compreso tra i 2 precedenti livelli (cfr. al riguardo la tabella che segue).
I redditi da considerare ai fini del la concessione dell’integrazione sono tutti i redditi posseduti dall’interessato, tranne i redditi esenti da IRPEF (quali, ad esempio, le pensioni di guerra, le rendite INAIL, le pensioni degli invalidi civili, il T.F.R.); la pensione da integrare al minimo; il reddito della casa di abitazione; gli arretrati soggetti a tassazione separata.
Infine, ai sensi dell'articolo 6, comma 7 della L. 638/1983 l'importo del rateo integrato erogato alla data della cessazione del diritto all'integrazione viene conservato sino al suo superamento per effetto dell'applicazione delle disposizioni riguardanti la perequazione automatica delle pensioni (in sostanza, se il pensionato perde il beneficio dell'integrazione al minimo, per esempio a seguito del superamento dei limiti di reddito, ad esso sarà corrisposto un rateo nella misura fissata al momento della cessazione del diritto all'integrazione).
La seguente tabella indica i limiti di reddito ai fini dell’integrazione per il 2016 (valori previsionali, con valore del trattamento minimo pari a 501,98 €[9]).
Limiti di reddito per il trattamento minimo |
||||||
|
Pensionato solo |
Pensionato coniugato |
||||
|
Limiti di reddito personale che escludono l’integrazione |
Limiti di reddito personale che consentono
l’integrazione |
Limiti di reddito personale che consento
l’integrazione totale o parziale a seconda calcolo pensione |
Limiti di reddito personale che escludono
l’integrazione |
Limiti di reddito personale che consentono
l’integrazione |
Limiti di reddito personale che consento l’integrazione totale o parziale a seconda calcolo pensione |
Decorrenza ante 1994 |
Oltre 13.049,14 € |
Fino a 6.524,57 € |
Da 6.524,58 |
Irrilevante |
||
Decorrenza compresa nel 1994 |
Oltre 13.049,14 € |
Fino a 6.524,57 € |
Da 6.524,58 |
Oltre 32.622,85 € |
Fino a 26.098,28 € |
Da 26.098,29 a 32.662,85 |
Decorrenza post 1994 |
Oltre 13.049,14 € |
Fino a 6.524,57 € |
Da 6.524,58 |
Oltre 26.098,28 € |
Fino a 19.573,71 € |
Da 19.573,72 a 26.098,28 |
La maggiorazione sociale è un particolare incremento della pensione concessa nei confronti dei soggetti che hanno compiuto 60 anni e versano in condizioni sociali disagiate.
Possono fruire del beneficio tutti i pensionati titolari di prestazione a carico dell'AGO (nonché delle forme esclusive e sostitutive della stessa) e i lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali che non superino determinati requisiti reddituali annuali, fissati dalla legge. Le maggiorazioni sociali interessano non solo i trattamenti previdenziali ma anche i trattamenti assistenziali (quali l'assegno sociale e le provvidenze economiche corrisposte agli invalidi civili, i ciechi civili e i sordomuti).
Al riguardo, occorre sottolineare come le norme sulle maggiorazioni sociali nel tempo si siano stratificate. Attualmente, le fonti sono l'articolo 1 della L. 544/1988, così come integrato dall'articolo 70, comma 6 della L. 388/2000 e successivamente dall'articolo 38 della L. 448/2001.
Più specificamente, il richiamato articolo 1 della L. 544/1988 dispone che la maggiorazione sociale spetti sia ai lavoratori dipendenti (anche del settore pubblico) sia ai lavoratori autonomi, con la sola esclusione degli iscritti alla gestione separata.
Inizialmente la maggiorazione era concessa per i soli titolari di pensioni integrate al trattamento minimo. Dal 1988 è stata estesa a tutti i titolari di pensione anche superiore al trattamento minimo, a condizione che non siano superati i richiamati limiti di reddito (pari, ai sensi della circolare INPS 210/2015, a 25,83 euro al mese per coloro che hanno dai 60 ai 64 anni e di 82,64 euro per coloro con età da 65 a 69 anni, e 136, 44 euro per i 70enni).
Si ricorda, infine, che ai sensi dell’articolo 38 della L. 448/2001, a decorrere dal 2002 è stato introdotto un incremento della maggiorazione sociale (il cd. – all’epoca -incremento al milione) a favore dei soggetti con 70 anni di età (con valore pari a 638,83 € per il 2015).
La valutazione dei redditi da considerare ai fini dell’erogazione della maggiorazione sociale è differente a seconda se si faccia riferimento alla cd. maggiorazione sociale base (di cui alla L. 544/1988) o all'incremento della maggiorazione per gli ultra70enni (di cui alla L. 448/2001, nonché gli ultra60enni invalidi civili al 100%).
Nel primo caso, si fa riferimento ai redditi di qualsiasi natura, compresi i redditi esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva (incluso il reddito della casa di abitazione), eccetto quelli derivanti dall'assegno per il nucleo familiare ovvero agli assegni familiari (cfr. al riguardo la circolare INPS 9/2001).
Nel caso della maggiorazione per gli ultra 70enni, sono da considerare i redditi del pensionato e del coniuge assoggettabili all’IRPEF (sia a tassazione corrente sia a tassazione separata), con esclusione della casa di abitazione, nonché i redditi tassati alla fonte ed i redditi esenti non assoggettabili all’IRPEF, con esclusione dei trattamenti di famiglia comunque denominati (cfr. al riguardo la circolare INPS 44/2002).
In caso di morte del lavoratore subordinato, ai familiari superstiti è
riconosciuto il diritto ad un trattamento pensionistico a titolo proprio, a
condizione che siano a carico del lavoratore stesso al momento del decesso (si
presumono a carico il coniuge e i figli minori, mentre è necessaria la prova
per gli altri familiari). La sua funzione è di assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita dei superstiti del
lavoratore alla morte di quest'ultimo.
La pensione ai
superstiti gestita dall'INPS può essere:
§
una pensione
di reversibilità, se il defunto era già titolare di pensione diretta
(vecchiaia, anzianità, invalidità del vecchio ordinamento, inabilità);
§ una pensione indiretta, se il defunto alla
data del decesso aveva almeno 15 anni di contributi (780 contributi
settimanali, requisiti previsti per la pensione di vecchiaia prima dell’entrata
in vigore del D.Lgs. 503/92) oppure era assicurato da almeno 5 anni (260
contributi settimanali) di cui almeno 3 (156 contributi settimanali) versati
nel quinquennio precedente (requisiti previsti per l’assegno ordinario di
invalidità).
Nell'ipotesi in cui non sussista il diritto
alla pensione di reversibilità (o indiretta), al coniuge superstite (o, in
mancanza, ai figli minori, studenti o inabili), spetta un’indennità una tantum,
disciplinata dall’articolo 13 dalla L. 218/1952. Essa è calcolata in maniera
proporzionale alla misura dei contributi versati a favore del lavoratore
defunto, a condizione che nei 5 anni antecedenti la data della morte risulti
accreditato in favore del defunto stesso almeno un anno di contribuzione.
La pensione di reversibilità
è stata istituita con R.D.L. 14 aprile
1939, n. 636, con effetto dal 1° gennaio 1945 e successivamente
disciplinata da una serie di norme (a titolo esemplificativo, dall’articolo 11,
comma 1, della L. 903/1977, dall'articolo 2, comma 1, del D.Lgs. 503/1992,
dall’articolo 1, comma 41, della L. 335/1995, da varie disposizioni contenute
nella L. 662/1996, dall’articolo 1 del D.L. 346/2000 e dall’articolo 73 della
L. 388/2000). In materia sono intervenute anche numerose sentenze della
Cassazione e della Corte costituzionale[10], per le quali sono state
emanate disposizioni attuative da parte dell’INPS[11].
A mero titolo
esemplificativo, si possono ricordare le seguenti sentenze dei due organismi:
Cass., sent. 457/2000, sul riconoscimento del diritto alla pensione di
reversibilità al coniuge divorziato; Cass., sent.2471/2003, sulla ripartizione
della pensione di reversibilità tra coniuge superstite e coniuge divorziato;
Corte Cost., sent. 461/2000, sul riconoscimento del diritto al trattamento di
pensione al coniuge separato ma non convivente “more uxorio”; Corte Cost.,
sent. 180/1999 sull’equiparazione dei discendenti legittimati al diritto del
trattamento.
Per quanto riguarda le
circolari INPS, si segnalano, in particolare, le circolari n. 211 del 6 ottobre
1998, n. 38 del 20 febbraio 1996, n. 82 del 28 marzo 1997, n. 28 del 9 febbraio
2000, n. 132 del 27 giugno 2001.
La pensione di
reversibilità spetta (articolo 13, primo comma, del D.L. 636/1939):
§
al coniuge,
anche se separato o divorziato, a condizione che abbia beneficiato di un
assegno di mantenimento e non si sia risposato;
§
ai figli
(legittimi, legittimati, adottivi, naturali, riconosciuti legalmente o
giudizialmente dichiarati, nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge)
che alla data della morte del genitore siano minori, studenti o inabili e a suo
carico;
§ ai nipoti minori che erano a carico del
parente defunto.
La pensione ai superstiti di pensionato (pensione di reversibilità) o di
assicurato (pensione indiretta), calcolata in percentuale del trattamento
goduto dal defunto spetta (articolo 13, secondo comma e ss. del D.L. 636/1939)
nella misura del 60% al coniuge, dell’80% al coniuge con un figlio, del 100% al coniuge con due o più figli. La percentuale
complessivamente spettante ai superstiti non può comunque superare il 100%. Nel
caso in cui abbiano diritto alla pensione soltanto
i figli, i fratelli o le sorelle, o i genitori, la percentuale è del 40%. L'aliquota percentuale della
pensione è comunque elevata al 70%
in presenza di soli figli di minore età,
studenti, ovvero inabili.
Merita inoltre
ricordare che l’articolo 11, primo comma, della L. 903/1977 ha esteso che le
prestazioni ai superstiti, erogate dall'assicurazione generale obbligatoria,
per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, gestita dal F.L.P.D., alle
stesse condizioni previste per la moglie dell'assicurato o del pensionato,
anche al marito dell'assicurata o della
pensionata deceduta (posteriormente alla data di entrata in vigore della
stessa L. 903/1977). Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 13, quinto comma,
della D.L. 636/1939 (dichiarato incostituzionale dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 6 del 1980) prevedeva la corresponsione del trattamento di
reversibilità al marito nel solo nel caso in cui che esso fosse riconosciuto
invalido al lavoro con capacità lavorativa a meno di un terzo.
L’articolo 1, comma 41, della L. 335/1995,
ha esteso in maniera generalizzata la disciplina già prevista per
l’assicurazione generale obbligatoria per i superstiti a tutte le forme
esclusive o sostitutive (si tratta in pratica dei dipendenti della P.A. e dei
dipendenti dei Fondi speciali INPS).
Con decorrenza 1°
settembre 1995 sono state altresì previste limitazioni
al cumulo dei trattamenti ai
superstiti con i redditi del
beneficiario, nei limiti individuati dall’allegata tabella F (terzo periodo);
(in sostanza, il titolare della pensione di reversibilità dalla citata data
deve rinunciare a parte della rendita se in possesso di un proprio reddito
superiore a certi livelli). Il trattamento derivante dal cumulo dei redditi
richiamati con la pensione ai superstiti ridotta non può essere comunque inferiore
a quello che spetterebbe allo stesso soggetto qualora il reddito risultasse
pari al limite massimo delle fasce immediatamente precedenti quella nella quale
il reddito posseduto si colloca (quarto
periodo). Tali limitazioni al cumulo non trovano applicazione nel caso in
cui il beneficiario faccia parte di un nucleo
familiare con figli di minore età, studenti ovvero inabili (quinto periodo).
La richiamata tabella F ha disposto:
§
che con un reddito superiore a 3 volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni
lavoratori dipendenti (F.P.L.D.), calcolato in misura pari a 13 volte l'importo
in vigore al 1° gennaio, la percentuale di cumulabilità sia pari al 75% del trattamento di reversibilità
spettante;
§
che con un reddito superiore a 4 volte il trattamento minimo annuo del F.P.L.D.,
calcolato in misura pari a 13 volte l'importo in vigore al 1° gennaio, la
percentuale di cumulabilità sia pari al 60%
del trattamento di reversibilità spettante;
§
che con un reddito superiore a 5 volte il trattamento minimo annuo del F.P.L.D.,
calcolato in misura pari a 13 volte l'importo in vigore al 1° gennaio, la
percentuale di cumulabilità sia pari al 50%
del trattamento di reversibilità spettante.
Successivamente, l’articolo 18, comma 5, del D.L. 98/2011
ha ridotto, con effetto sulle
pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012,
l'aliquota percentuale della
pensione a favore dei superstiti dell’assicurato o pensionato deceduto nei casi
in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo
superiore a 70 anni e la differenza di
età tra i coniugi sia superiore a 20 anni. La riduzione è pari al 10% in
ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al
numero di 10. In caso di frazione di anno la riduzione percentuale è proporzionalmente
rideterminata. La riduzione non opera nei casi di presenza di figli di minore
età, studenti, ovvero inabili, resta comunque fermo il regime di cumulabilità
disciplinato dall'articolo 1, comma 41, della citata L. 335/1995.
Infine, con la L. 125/2011, sono stati esclusi dal
diritto alla pensione di reversibilità o indiretta, nonché dal diritto
all’indennità una tantum, con effetto
retroattivo, i familiari superstiti condannati, con sentenza passato in
giudicato, per omicidio del pensionato o dell’iscritto.
L'assegno sociale, istituito dall’articolo 3, comma 6, della L. 335/1995 (e che ha sostituito dal 1° gennaio 1996 la pensione sociale) è una prestazione economica, erogata a domanda, in favore dei cittadini che si trovano in condizioni economiche particolarmente disagiate con redditi non superiori alle soglie previste annualmente dalla legge.
Il diritto alla prestazione è collegato al reddito personale per i cittadini non coniugati e al reddito cumulato con quello del coniuge per i coniugati.
La concessione dell’assegno è subordinata alla verifica annuale del possesso dei requisiti reddituali e di effettiva residenza da parte dei soggetti beneficiari. Non è reversibile ai superstiti e non può essere erogato all’estero. Inoltre, non è soggetto a trattenute I.R.P.E.F..
Per ottenere l’assegno è necessario avere i seguenti requisiti: 65 anni e 7 mesi di età (per il biennio 2016-2017); stato di bisogno economico; cittadinanza italiana; iscrizione all’anagrafe del comune di residenza (per i cittadini stranieri comunitari); titolarità del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (per i cittadini extracomunitari); residenza effettiva, stabile e continuativa per almeno 10 anni nel territorio nazionale; reddito non superiore all'importo annuo dell'assegno se il richiedente non è coniugato; reddito cumulato con quello del coniuge non superiore a due volte l'importo annuo dell'assegno se il richiedente è coniugato.
Hanno diritto all’assegno sociale i seguenti soggetti: cittadini italiani; rifugiati politici e rispettivi coniugi ricongiunti; extracomunitari o apolidi in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo ovvero della carta di soggiorno; cittadini comunitari ed i loro familiari a carico iscritti all’anagrafe del Comune di residenza o titolari della carta di soggiorno CE; cittadini della Repubblica di S. Marino.
La misura massima dell’assegno per il 2016 (circolare INPS n. 210 del 31 dicembre 2015) è pari a 448,07 euro per 13 mensilità, con limite di reddito[12] (in caso di pensionato non coniugato[13]) pari ad 5.824,91 euro annui.
Hanno diritto all’assegno in misura intera i soggetti non coniugati che non possiedono alcun reddito ed i soggetti coniugati che abbiano un reddito familiare inferiore all’ammontare annuo dell’assegno.
Hanno invece diritto all’assegno in misura ridotta i soggetti non coniugati che hanno un reddito inferiore all’importo annuo dell’assegno ed i soggetti coniugati che hanno un reddito familiare inferiore al doppio dell’importo annuo dell’assegno.
L’assegno per il nucleo familiare è stato introdotto (con decorrenza 1° gennaio 1988) dall’articolo 2 del D.L. 13 marzo 1988, n. 69, convertito con modificazioni dalla L. 153/1988 (in sostituzione di precedenti strumenti quali gli assegni familiari, le quote di aggiunta di famiglia, ecc.)
Si tratta di una prestazione di carattere previdenziale[14], erogata con cadenza mensile su richiesta del lavoratore o del pensionato (unitamente alla retribuzione o alla pensione). L’assegno ha la funzione di integrare la retribuzione dei lavoratori che si trovano in determinate situazioni familiari e di reddito.
Soggetti beneficiari dell’assegno sono:
· i lavoratori dipendenti che prestino la propria attività nel territorio dello Stato, indipendentemente dalla nazionalità (compresi i soci lavoratori di cooperative, anche di fatto);
· i titolari di pensione derivante da un precedente rapporto di lavoro;
· i lavoratori assistiti dall’assicurazione contro la tubercolosi;
· ulteriori soggetti titolari di particolari rapporti di lavoro, individuati dalla prassi amministrativa e dalla stessa legge[15].
· i lavoratori iscritti alla Gestione separata I.N.P.S. (di cui all’articolo 2, comma 26, della L. 335/1995)[16].
Al fine di valorizzare la posizione del
coniuge che svolge prevalentemente attività di cura del nucleo familiare, l’articolo
1, comma 559, della L. 311/2004, ha stabilito che l’erogazione dell’assegno per il nucleo
familiare spetti al coniuge dell’avente diritto (a decorrere dal periodo di
paga in corso al 1° gennaio 2005[17]).
Il nucleo familiare è composto dai coniugi e dai figli (ed equiparati) di età inferiore a 18 anni[18].
Sono pertanto esclusi dal nucleo familiare (circolare INPS 12 gennaio 1990, n. 12) ai fini della spettanza dell’assegno: il coniuge legalmente ed effettivamente separato; il coniuge che abbandona la famiglia[19]; i figli, le sorelle, i fratelli ed i nipoti coniugati del richiedente; il coniuge ed i figli del cittadino straniero non residente in Italia (tranne in caso di convenzione tra gli Stati).
Presupposti per il riconoscimento dell’assegno sono l’esistenza di un nucleo familiare, il rispetto di determinati limiti di reddito, la non fruizione di altri trattamenti di famiglia[20]. L’ammontare dell’assegno è quindi commisurato al numero dei componenti del nucleo familiare e al reddito del nucleo familiare (secondo la Tabella allegata alla legge n.69/1988)[21].
In particolare, il
reddito da considerare è quello risultante dalla somma dei redditi percepiti,
nell’anno solare precedente al 1° luglio dell’anno cui la domanda si riferisce,
da tutti i soggetti che compongono il nucleo familiare al momento della
domanda, o nel periodo di riferimento della domanda (L. 153/1988, articolo 2,
comma 9[22]). Alla formazione
del reddito concorrono i redditi di qualsiasi natura, ivi compresi quelli
esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o
ad imposta sostitutiva, se superiori a euro 1.032,91.
I livelli di reddito sono rivalutati annualmente, con effetto dal 1° luglio di ogni anno, in misura pari alla variazione della percentuale dell’indice ai prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati calcolato dall’ISTAT, intervenuta tra un anno e l’altro[23].
Il reddito complessivo deve essere composto per un importo minimo pari al 70% da redditi di lavoro dipendente (o ad esso assimilabili) e compreso tra quelli indicati nelle apposite tabelle aggiornate ogni anno con circolare INPS. Nel caso in cui il reddito complessivo familiare sia composto da redditi diversi (ad esempio di impresa, di capitale), l’assegno spetta soltanto se la somma dei redditi di lavoro dipendente, da pensione o da altra prestazione previdenziale derivante da lavoro dipendente (o assimilato), superi il 70% del reddito complessivo familiare.
Sono esclusi dalla determinazione del reddito familiare il TFR e relative anticipazioni; le rendite vitalizie erogate dall’INAIL; la parte non tassabile dell’indennità di trasferta; le pensioni di guerra e le pensioni privilegiate ordinarie corrisposte ai militari di leva infortunatisi; le indennità di accompagnamento corrisposte a ciechi civili assoluti, minori invalidi non deambulanti, e le indennità di tipo risarcitorio; le indennità di frequenza corrisposte a minori mutilati e invalidi civili in caso di sussistenza alla fruizione dell’indennità di accompagnamento; l’indennizzo corrisposto dallo Stato a favore di soggetti danneggiati da complicanza fisiche irreversibili derivanti da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati; gli stessi importi erogati a titolo di assegno per il nucleo familiare.
L’ammontare dell’assegno, unico per l’intero nucleo familiare, è determinato in misura differenziata in rapporto al numero dei componenti il nucleo familiare e al relativo reddito complessivo, mentre la prestazione erogata è prevista in importi decrescenti per scaglioni crescenti di reddito in corrispondenza di soglie di esclusione a seconda della tipologia familiare.
Il pagamento dell’assegno viene generalmente effettuato dal datore di lavoro che anticipa la somma spettante al lavoratore e chiede poi il rimborso all’ente previdenziale tramite conguaglio con la denuncia contributiva mensile[24].
Gli importi dell’assegno per il nucleo
familiare, validi per il periodo 1°
luglio 2015 – 30 giugno 2016, sono stati determinati con la circolare INPS
n. 109 del 27 maggio 2015.
Si ricorda, inoltre, che l’articolo 65 della L. 448/1998 ha istituito, con decorrenza 1° gennaio 1999, l’assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori a carico (concesso in via esclusiva dai Comuni ed erogato dall’I.N.P.S. a nuclei che si trovino in determinate situazioni reddituali).
L’assegno, erogato per 13 mensilità, spetta ai nuclei familiari:
· composti dai cittadini italiani e della U.E. residenti, dai cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, nonché dai familiari non aventi cittadinanza di uno stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente;
· composti almeno da un genitore e 3 figli minori (appartenenti alla stessa famiglia anagrafica), che siano figli del richiedente medesimo o del coniuge o da essi ricevuti in affidamento preadottivo;
· con risorse reddituali e patrimoniali non superiori a quelle previste dall’indicatore della situazione economica equivalente (I.S.E.E.) valido per l’assegno, e pari, per il 2015, a 8.555,99 euro (v. Circolare INPS n. 64 del 30 marzo 2015).
Il dato
dell’ammontare delle risorse definite dal predetto indicatore per il 2016, alla
data di pubblicazione del presente dossier, risulta ancora in corso di
definizione.
Con il D.M. 21 dicembre 2000, n. 452, è stato emanato il regolamento per l’applicazione delle disposizioni richiamate.
L’importo dell’assegno, che deve essere richiesto annualmente al Comune di residenza entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento, è pari, secondo gli ultimi dati disponibili relativi all’anno 2015, a 141,30 euro mensili (v. Circolare INPS n. 64/2015 sopra richiamata).
Si ricorda, infine, che l’articolo 12 del D.P.R. 917/1986 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) ha stabilito specifiche detrazioni per carichi di famiglia, ai fini dell’IRPEF, in relazione al reddito complessivo posseduto.
L’articolo 5 del D.L. 81/2007 ha istituito, a decorrere dal 2007, la corresponsione di una somma aggiuntiva (la c.d. "quattordicesima") con la mensilità di luglio a favore dei titolari di uno o più trattamenti pensionistici a carico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, in presenza di determinate condizioni reddituali e contributive e con un’età pari o superiore a 64 anni. Hanno diritto alla "quattordicesima" anche i titolari di assegno di invalidità e di pensione a carico della Gestione separata e del Fondo Clero, e spetta altresì ai pensionati italiani residenti all'estero.
La somma è erogata in presenza di un reddito complessivo personale (riferito al medesimo anno di corresponsione) non superiore a 1,5 volte il trattamento minimo annuo[25]. Oltre tale soglia, l’aumento viene corrisposto fino a concorrenza del predetto limite reddituale incrementato della somma aggiuntiva ipoteticamente spettante.
Sono previsti tre diversi importi di somma aggiuntiva in relazione all'anzianità contributiva. Ai sensi della circolare INPS 130/2015, per i lavoratori dipendenti fino a 15 anni di contribuzione (18 per gli autonomi), la somma aggiuntiva è pari a 336 euro; per i lavoratori dipendenti con oltre 15 anni e fino a 25 anni (oltre 18 e fino a 28 anni per gli autonomi) la somma aggiuntiva è pari a 420 euro; infine, per i lavoratori dipendenti con oltre 25 anni di contributi (oltre 28 per gli autonomi) la somma aggiuntiva è pari a 504 euro.
Il disegno di legge delega si compone di un unico articolo, suddiviso in nove commi.
Il comma 1 evidenzia le finalità dell’intervento di delega:
· ampliare le protezioni fornite dal sistema delle politiche sociali per renderlo più adeguato rispetto ai bisogni emergenti e più equo e omogeneo nell’accesso alle prestazioni, secondo i princìpi dell’universalismo selettivo.
A tal fine, il Governo, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze - nonché con il Ministro per la semplificazione e pubblica amministrazione quanto alle disposizioni di razionalizzazione di cui al comma 4, lettera c) -, previa intesa in sede di Conferenza unificata, è delegato adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, uno o più decreti legislativi recanti:
a) l’introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà, individuata come livello essenziale delle prestazioni da garantire in tutto il territorio nazionale;
b) la razionalizzazione delle prestazioni di natura assistenziale, nonché di altre prestazioni anche di natura previdenziale, sottoposte alla prova dei mezzi, inclusi gli interventi rivolti a beneficiari residenti all’estero sentito il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, fatta eccezione per le prestazioni legate alla condizione di disabilità e di invalidità del beneficiario;
Al riguardo, si fa presente che il testo non individua espressamente quali siano le prestazioni previdenziali oggetto della razionalizzazione, tuttavia nell’Analisi dell'Impatto della Regolamentazione allegata vengono citati l’assegno sociale, la pensione di reversibilità, l’integrazione al minimo, la maggiorazione sociale del minimo, l’assegno per il nucleo con tre o più figli minori (per una disamina puntuale dei richiamati istituti si rinvia all’apposita sezione del presente dossier).
La relazione al provvedimento specifica che non
rientrano tra le prestazioni assistenziali e previdenziali gli interventi di
distribuzione delle derrate alimentari agli indigenti.
c) il riordino della normativa in materia di sistema degli interventi e dei servizi sociali.
Il comma 2 specifica i princìpi e i criteri direttivi per l’esercizio della delega relativa all’introduzione di una unica misura nazionale di contrasto alla povertà (di cui al comma 1, lettera a):
a) introduzione di un’unica misura nazionale di contrasto alla povertà, consistente in un sostegno economico condizionato all’adesione a un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa volto all’affrancamento dalla condizione di povertà, inclusivo di una componente di servizi alla persona secondo progetti personalizzati di attivazione e di inclusione - princìpi di cui alla lettera e) -;
Il disegno di legge di delega è collegato alla legge di stabilità 2016, in
particolare, al comma 388 che
prevede l’adozione di uno o più
provvedimenti legislativi di riordino della normativa in materia di
trattamenti, indennità, integrazioni di reddito e assegni di natura
assistenziale o comunque sottoposti alla prova dei mezzi, anche rivolti a
beneficiari residenti all’estero, nonché in materia di accesso alle prestazioni
sociali, finalizzati all’introduzione di un’unica
misura nazionale di contrasto alla povertà, correlata alla differenza tra il
reddito familiare del beneficiario e la soglia di povertà assoluta, e alla
razionalizzazione degli strumenti e dei trattamenti esistenti.
b) definizione dei beneficiari e del beneficio connessi alla misura nazionale di contrasto alla povertà, nonché delle procedure di determinazione dei beneficiari e dei benefìci medesimi, nei limiti delle risorse del Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, di cui al comma 386 della stabilità 2016;
Per quanto riguarda i Fondi, si rileva che finora i finanziamenti destinati alla Carta
acquisti e alla SIA sono confluiti nel Fondo
speciale destinato al soddisfacimento delle esigenze prioritariamente di natura
alimentare e successivamente anche energetiche e sanitarie dei cittadini meno
abbienti (di cui all'art. 81, co. 29, del decreto-legge 112/2008,
istitutivo della Carta acquisti ordinaria, d’ora in poi Fondo Carta acquisti).
La stessa stabilità 2016, al comma 387, dispone che, nel 2016, le risorse dedicate
al Programma di sostegno per l'inclusione attiva, inteso come estensione del
SIA su tutto il territorio nazionale, vadano ad incrementare il Fondo Carta
acquisti. Si rifletta, pertanto sull’opportunità di razionalizzare ed unificare
i Fondi statali dedicati alla povertà e all’esclusione sociale.
c) previsione, mediante il Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, di cui al comma 386 della stabilità 2016, di una graduale estensione dei beneficiari e di un graduale incremento del beneficio, a partire prioritariamente dai nuclei familiari con figli minorenni e dai soggetti con maggiore difficoltà di inserimento e di ricollocazione sul mercato del lavoro, sulla base delle risorse che affluiscono al Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale per effetto degli interventi di razionalizzazione delle prestazioni assistenziali e previdenziali di cui al comma 3;
d) previsione che alla realizzazione dei progetti personalizzati di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa concorrano, ove compatibili e riferite all’obiettivo tematico della lotta alla povertà e della promozione dell’inclusione sociale, le risorse afferenti ai programmi operativi nazionali e regionali previsti dall’Accordo di partenariato per l’utilizzo dei fondi strutturali europei 2014-2020;
Sul punto si rinvia alla sezione del presente Dossier
dedicata al Finanziamento del Programma
di estensione del Sostegno per l’inclusione attiva – SIA su tutto il territorio
nazionale. Il riferimento ai Fondi strutturali europei trova fondamento
nella presenza, nell’Accordo di partenariato, di risorse espressamente dedicate
al contrasto della povertà e dell’esclusione sociale, con riferimento
all’obiettivo tematico 9–“Promuovere l’inclusione sociale, combattere la
povertà e ogni forma di discriminazione”. Inoltre, i fondi europei, secondo
quanto evidenziato dalla Relazione al provvedimento in esame, e da quanto
espressamente illustrato nelle Linee guida per
la predisposizione e attuazione dei progetti di presa in carico del Sostegno
per l’inclusione attiva (SIA), approvate l’11 febbraio 2016 in sede di Conferenza
Unificata, sono dedicati al supporto della componente
attiva del SIA, per il rafforzamento dei servizi e degli interventi di
inclusione attiva e conseguentemente per il rafforzamento della rete dei
servizi sociali presenti sul territorio.
e) definizione di princìpi generalizzati di presa in carico delle persone in condizione di fragilità, inclusi i beneficiari della misura nazionale di contrasto alla povertà, sulla base di: una valutazione multidimensionale del bisogno; una progettazione personalizzata da parte dei servizi competenti dei comuni e degli ambiti territoriali assicurando la piena partecipazione dei beneficiari; un’attenta definizione degli obiettivi e un monitoraggio degli esiti.
Sul punto si rinvia ancora alle sopracitate Linee guida dell’11
febbraio 2016 in cui si sottolinea la necessità, per l’attuazione del SIA, di
rafforzare i servizi di Segretariato sociale (o, ove diversamente identificati,
i punti di accesso al sistema degli interventi e dei servizi sociali),
garantendo la disponibilità di risorse umane dedicate all’analisi dei bisogni e
delle caratteristiche dei nuclei familiari, al fine di stabilire la
composizione, con riferimento agli operatori dei servizi sociali professionali
e di altri servizi territoriali, della Equipe multidisciplinare cui affidare la
presa in carico vera e propria.
Il comma 3 specifica i princìpi e i criteri direttivi per l’esercizio della delega relativa alla razionalizzazione delle prestazioni sottoposte alla prova dei mezzi, (di cui al comma 1, lettera b):
a) razionalizzazione delle prestazioni sottoposte alla prova dei mezzi, compresi gli interventi rivolti a beneficiari residenti all’estero, fatta eccezione per le prestazioni legate alla condizione di disabilità e di invalidità del beneficiario, superando differenze categoriali e introducendo in via generale princìpi di universalismo selettivo nell’accesso, secondo criteri unificati di valutazione della condizione economica in base all’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), eventualmente adeguati alla specifica natura di talune prestazioni;
La Relazione al provvedimento sottolinea che solo
laddove la natura delle prestazioni lo renda necessario, possono essere
previsti accanto all’ISEE ulteriori criteri volti a identificare specifiche
platee di beneficiari, eventualmente ridefinendo l’ISEE per quelle determinate
prestazioni.
Si ricorda inoltre che per quanto riguarda i criteri
d’accesso per la carta acquisti ordinaria, a partire dall'1 gennaio 2016, il
limite massimo del valore dell'indicatore ISEE e dell'importo complessivo dei
redditi comunque percepiti sono rispettivamente così rideterminati:
·
per i cittadini
nella fascia di età dei minori di anni 3 e per i cittadini di età compresa tra
i 65 e i 70, entrambi nella misura di euro 6.788,61.
·
per i cittadini
nella fascia di età superiore agli anni 70, in euro 9.051,48€.
Per quanto
riguarda l’accesso al SIA; il limite massimo del valore dell’indicatore ISEE
deve essere inferiore a 3.000 euro (patrimonio inferiore a 8.000 euro;
trattamenti di natura previdenziale e assistenziale non superiori a 600 euro
mensili).
b) i requisiti previsti in esito alla razionalizzazione verranno applicati a coloro che richiedono le prestazioni, dopo la data di entrata in vigore dei decreti legislativi che li disciplineranno;
c) gli eventuali risparmi derivanti dalla razionalizzazione delle prestazioni, incrementeranno il citato Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale.
Il comma 4 specifica i princìpi e i criteri direttivi per l’esercizio della delega relativa al sistema integrato di servizi ed interventi sociali, (di cui al comma 1, lettera c):
a) previsione di un organismo nazionale di coordinamento del sistema degli interventi e dei servizi sociali, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la partecipazione delle regioni, delle province autonome di Trento e di Bolzano, delle autonomie locali e dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), presieduto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al fine di favorire una maggiore omogeneità territoriale nell’erogazione delle prestazioni e di definire linee guida per le singole tipologie di intervento; dall’istituzione dell’organismo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica;
La Relazione al provvedimento reputa che attraverso l’istituzione
di un organismo nazionale di coordinamento del sistema degli interventi e dei
servizi sociali sarà possibile rendere omogeneo l’intervento nell’intero
territorio nazionale.
Si ricorda che, nell’ambito del PON Inclusione, è
stato recentemente istituito il Tavolo dei responsabili della programmazione
sociale per “assicurare un coordinamento tra i responsabili regionali della
programmazione sociale, a partire dall’utilizzo dei fondi comunitari”. Il
Tavolo, che avrà la funzione di accompagnare il processo di definizione e
strutturazione della governance del programma di estensione del SIA su
tutto il territorio nazionale, è presieduto dal Ministero del lavoro e delle
politiche sociali e costituito dai rappresentanti designati dagli Assessorati
alle politiche sociali di ciascuna Regione e Provincia Autonoma, nonché dalla
Commissione politiche sociali e dalla Commissione istruzione, lavoro,
innovazione e ricerca della Conferenza delle Regioni e Provincie autonome, e
dall’ANCI.
b) attribuzione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali delle competenze in materia di verifica e di controllo del rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale;
c) razionalizzazione, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e con il Ministro dell’economia e delle finanze, degli enti strumentali e degli uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali allo scopo di aumentare l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa, mediante l’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente;
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (MLPS)
è stato di recente oggetto di riorganizzazione per mezzo del DPCM 14 febbraio
2014, n. 121, cui ha fatto seguito il Decreto ministeriale 4 novembre 2014 con
il quale si è provveduto ad individuare gli uffici dirigenziali non generali
dell’Amministrazione. A tali provvedimenti, ha fatto seguito il DPCM 20 gennaio
2015 n. 77 con il quale si è proceduto a riorganizzare gli Uffici di diretta
collaborazione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e l’Organismo
indipendente di valutazione della performance. Si segnalano in ultimo la
unificazione nell’Ispettorato nazionale del lavoro dei corpi ispettivi INPS,
INAIL e Ministero del lavoro (D.lgs. 14 settembre 2015, n. 149) e l’istituzione
dell’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL) (D.lgs. 14
settembre 2015, n. 150), di forte impatto sulla fisionomia e sugli organici del
Ministero stesso. Sul sito del Ministero, una Sezione è dedicata agli
enti di diritto privato controllati dal MPLS.
d) rafforzamento della gestione associata nella programmazione e nella gestione degli interventi a livello di ambito territoriale, di cui all’articolo 8 della legge 8 novembre 2000, n. 328, e definizione di princìpi generali per l’individuazione degli ambiti medesimi;
Gli Ambiti Territoriali, che ai sensi dell’art. 8, comma 3, lettera a) della legge
328/2000 sono definiti dalle regioni, comprendono il territorio di più comuni
che si associano per gestire i servizi sociali di base. Gli ambiti territoriali
sociali di norma coincidono con i distretti sanitari già operanti per le
prestazioni sanitarie. Per come verrà delineata la gestione degli interventi si
rinvia ancora alla sezione di questo dossier dedicata a “I servizi sociali e le
Linee guida per i progetti di presa in carico previsti dal SIA”.
e) promozione di accordi territoriali – sentito il Ministero della salute - tra i servizi sociali e gli altri enti od organismi competenti per l’inserimento lavorativo, l’istruzione e la formazione e la salute, nonché attivazione delle risorse della comunità e, in particolare, delle organizzazioni del terzo settore e del privato sociale impegnate nell’ambito delle politiche sociali, al fine di realizzare un’offerta integrata di interventi e di servizi che costituisce livello essenziale delle prestazioni;
Come sopra si rinvia ancora alla sezione di questo
dossier dedicata a “I servizi sociali e le Linee guida per i progetti di presa
in carico previsti dal SIA”.
f) rafforzamento del sistema informativo dei servizi sociali, di cui all’articolo 21 della legge 8 novembre 2000, n. 328, e, in particolare, del Casellario dell’assistenza, di cui all’articolo 13 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e sua integrazione con i sistemi informativi sanitari e del lavoro.
Il decreto-legge 78/2010, all’art. 13, ha istituito,
presso l’INPS, il Casellario dell’assistenza:
uno strumento di raccolta delle informazioni sui beneficiari e sulle
prestazioni sociali loro erogate, pensato per migliorare il monitoraggio, la
programmazione e la gestione delle politiche sociali. Le informazioni raccolte
nel Casellario contribuiscono ad assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni
sociali e del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali e
costituiscono parte della base conoscitiva del sistema informativo dei servizi
sociali, ai sensi dell’art. 21 della legge 328/2000. La disposizione istitutiva
ha configurato il Casellario dell’assistenza come un’anagrafe generale delle
prestazioni sociali, contenente i dati forniti da Regioni, Province autonome,
Comuni e dagli altri enti erogatori.
Gli enti locali e ogni altro ente erogatore di
prestazioni deve mettere a disposizione del Casellario tutte le informazioni di
propria competenza, consentendo, fra l’altro, di segnalare agli organi
competenti gli importi indebitamente
percepiti per l’applicazione delle relative sanzioni.
Il Casellario è articolato in tre sezioni: Banca dati
delle prestazioni sociali agevolate, condizionate all’ISEE; Banca dati delle
prestazioni sociali, condizionate all’ISEE; Banca dati delle valutazioni
multidimensionali, se l’erogazione della prestazione sociale prevede anche la
presa in carico di prestazioni sociali da parte del servizio sociale
professionale. Le informazioni sono organizzate in tre sezioni corrispondenti a
distinte aree di utenza: Infanzia, adolescenza e famiglia definite attraverso
il modulo SINBA; Disabilità e
non autosufficienza definite attraverso il modulo SINA; Povertà,
esclusione sociale e altre forme di disagio definite attraverso il modulo SIP.
Il 25 marzo 2015 è entrato in vigore il decreto
206/2014 recante modalità attuative del Casellario dell'assistenza, che ha
consentito la messa in opera della prima sezione del Casellario, la Banca dati
delle prestazioni sociali agevolate, collegate all’ISEE, già disciplinata dal
decreto 8 marzo 2013.
Il Report del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di monitoraggio dell’ISEE sottolinea però che il popolamento della banca dati prestazioni sociali agevolate non è ancora a regime. Al momento in cui è stato compilato il Report (settembre-ottobre 2015), i Comuni che hanno inserito dati sulle prestazioni sociali agevolate da essi erogate sono poco più di 200.
Il comma 5 stabilisce le modalità con cui devono essere adottati i decreti legislativi.
Gli schemi dei decreti legislativi, a seguito di deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, corredati di relazione tecnica, affinché siano espressi, entro trenta giorni dalla data di trasmissione, i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari. Decorso tale termine, i decreti legislativi sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine per l’espressione dei pareri parlamentari scada nei trenta giorni che precedono o seguono la scadenza dei termini previsti dal comma 1 (termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame entro il quale deve avvenire l’adozione dei decreti legislativi attuativi della delega conferita), quest’ultimo è prorogato di tre mesi. Laddove non diversamente disposto i decreti legislativi sono adottati nel rispetto della procedura di cui all’articolo 14 della legge 400/1988.
Il comma stabilisce che all’introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà, individuata come livello essenziale delle prestazioni[26], da garantire in tutto il territorio nazionale, di cui al comma 1, lettera a), si provvede nei limiti delle risorse del Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, istituito dal comma 386 della stabilità 2016, a cui confluiscono dal 2017:
· 1.000 milioni di euro stanziati annualmente dal comma 388 della stabilità 2016;
· le ulteriori risorse stanziate per gli ammortizzatori sociali (di cui all’art. 19, co. 1, del decreto 185/2008), nella misura di 30 milioni di euro per il 2017 e di 54 milioni di euro annui a decorrere dal 2018, di cui al comma 389 della stabilità 2016;
· eventuali economie per la finanza pubblica derivanti dalla razionalizzazione delle prestazioni assistenziali e previdenziali di cui al comma 3, lettera c), del provvedimento in esame.
Dall’attuazione delle deleghe relative alla razionalizzazione delle prestazioni di natura assistenziale e di natura previdenziale e al riordino della normativa in materia di sistema degli interventi e dei servizi sociali non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tal fine, per gli adempimenti dei relativi decreti legislativi, le amministrazioni competenti provvedono attraverso una diversa allocazione delle ordinarie risorse umane, finanziarie e strumentali in dotazione alle medesime amministrazioni.
Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore dell’ultimo dei decreti legislativi, il Governo può adottare, con la procedura di cui al comma 5, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi medesimi, tenuto conto delle evidenze attuative nel frattempo emerse.
Sono fatte salve le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione.
[1] Sul punto, in questo Dossier il paragrafo Finanziamento del Programma di estensione del Sostegno per l’inclusione attiva – SIA su tutto il territorio nazionale
[2] Audizione del presidente dell'Inps, Tito Boeri, in ordine alle principali prestazioni di carattere assistenziale gestite dall'Inps, alle misure per la lotta alla povertà e alle relative prospettive di riforma presso la Commissione affari sociali della Camera dei deputai, 19 maggio 2015.
[3] L'indice di Gini, utilizzato per misurare il grado di disuguaglianza di grandezze quali reddito e la ricchezza, è infatti passato, nello stesso periodo temporale 2008-2014, dal 31 al 32,4%.
[4] Per una valutazione della sperimentazione della SIA si rinvia anche a:
· gli articoli di Chiara Agostini apparsi su Percorsi di Secondo Welfare Nuova Carta Acquisti: prime riflessioni sulla sperimentazione, ottobre 2014; Sperimentazione Nuova Carta Acquisti: il caso di Torino, febbraio 2015; Sperimentazione Nuova Carta Acquisti: il caso di Bologna, aprile 2015; Sperimentazione Nuova Carta Acquisti: il caso di Venezia, agosto 2015; Sperimentazione Nuova Carta Acquisti: il caso di Milano, settembre 2015; Sperimentazione Nuova Carta Acquisti: il caso di Genova, dicembre 2015; Sperimentazione Nuova Carta Acquisti: il caso di Napoli, febbraio 2016;
· Caritas, Rapporto 2015 sulle politiche contro la povertà in Italia. Dopo la crisi costruire il welfare, settembre 2015.
[5] Il Tavolo dei responsabili della programmazione sociale - istituito nell’ambito del PON Inclusione al fine di “assicurare un coordinamento tra i responsabili regionali della programmazione sociale, a partire dall’utilizzo dei fondi comunitari”- avrà la funzione di accompagnare il processo di definizione e strutturazione della governance del programma di estensione del SIA su tutto il territorio nazionale. Il Tavolo è presieduto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e costituito dai rappresentanti designati dagli Assessorati alle politiche sociali di ciascuna Regione e Provincia Autonoma, nonché dalla Commissione politiche sociali e dalla Commissione istruzione, lavoro, innovazione e ricerca della Conferenza delle Regioni e Provincie autonome, e dall’ANCI.
[6] Si ricorda che il Regolamento comunitario n. 1303/2013 individua 11 Obiettivi tematici (OT) che rappresentano le grandi aree di possibile intervento dei fondi europei.
[7] Per garantire che i finanziamenti dell'UE conseguano gli obiettivi generali e specifici della strategia Europa 2020, è stato introdotto il nuovo principio della condizionalità in virtù del quale i finanziamenti sono concessi agli Stati membri “a condizione che” essi garantiscono una serie di condizioni di partenza (ex ante), effettuando una serie di adempimenti legati alle tematiche prioritarie per i fondi – condizionalità tematiche- e che raggiungano una serie di tappe e/o conseguano dei risultati prefissati in fase di programmazione-condizionalità ex post. Il concetto di condizionalità è quindi legato non solo alla presenza di determinate garanzie sulle condizioni di partenza al fine di evitare ritardi nella fase iniziale, ma prevede anche una serie di tappe intermedie di verifica del raggiungimento degli obiettivi dei programmi inclusi nell’Accordo di partenariato connessi agli obiettivi di Europa 2020.
[8] Si fa presente che il termine in questione (ordinatorio) è scaduto il 23 dicembre 2015 e il decreto interministeriale non è stato fin qui adottato.
[9] Fonte: PensioniOggi.it
[10] A mero titolo esemplificativo, si possono ricordare le seguenti sentenze dei due organismi: Cass., sent. 457/2000, sul riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità al coniuge divorziato; Cass., sent.2471/2003, sulla ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge superstite e coniuge divorziato; Corte Cost., sent. 461/2000, sul riconoscimento del diritto al trattamento di pensione al coniuge separato ma non convivente “more uxorio”; Corte Cost., sent. 180/1999 sull’equiparazione dei discendenti legittimati al diritto del trattamento.
[11] Soprattutto con le circolari n. 211 del 6 ottobre 1998, n. 38 del 20 febbraio 1996, n. 82 del 28 marzo 1997, n. 28 del 9 febbraio 2000, n. 132 del 27 giugno 2001.
[12] Ai fini della concessione, sono considerati redditi del richiedente e del coniuge: i redditi assoggettabili all’IRPEF, al netto dell’imposizione fiscale e contributiva; i redditi esenti da imposta; i redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (vincite derivanti dalla sorte, da giochi di abilità, da concorsi a premi, corrisposte dallo Stato, da persone giuridiche pubbliche e private); i redditi soggetti ad imposta sostitutiva (interessi postali e bancari; interessi dei BOT,CCT e di ogni altro titolo di Stato; interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari, emessi da banche e società per azioni; etc.); i redditi di terreni e fabbricati; le pensioni di guerra; le rendite vitalizie erogate dall’INAIL; le pensioni dirette erogate da Stati esteri; le pensioni ed assegni erogati agli invalidi civili, ai ciechi civili, ai sordi; gli assegni alimentari corrisposti a norma del codice civile.
[13] 11.649,82 euro annui nel caso il pensionato sia coniugato. Si ricorda, infatti, che l’assegno sociale viene liquidato in misura intera solamente se non si possiede alcun reddito; al contrario la sua misura viene ridotta in relazione al reddito del percipiente (o del reddito complessivo della coppia).
[14] La legge non fornisce una definizione formale dell’assegno in oggetto. Esso è, infatti, un istituto giuridico del tutto particolare, distinto sia dalla retribuzione, sia dalle prestazioni di natura assicurativa. Esso non costituisce il corrispettivo di un’opera prestata e l’onere grava non sul datore di lavoro ma su appositi fondi costituiti dai contributi da tutti i datori di lavoro.
[15] Quali lavoratori agricoli dipendenti; autisti dipendenti da privati; detenuti lavoratori; dipendenti di partiti politici e sindacati; dirigenti; domestici; lavoratori a domicilio; lavoratori in malattia, cassa integrazioni e disoccupazione; lavoratori in mobilità; lavoratori titolari di contratti di lavoro part-time e job-sharing; lavoratori con contratto di somministrazione; lavoratori distaccati; lavoratori in aspettativa per cariche pubbliche; soci azionisti dipendenti.
[16] Si ricorda che l’estensione ai lavoratori iscritti alla Gestione separata I.N.P.S. è stata operata ai sensi dell’articolo 59, comma 16, della L. 27 dicembre 1997, n. 449 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998) a decorrere dal 1° gennaio 1998.
[17] Le modalità di attuazione di tale norma sono contenute nel DM 4 aprile 2005.
[18] I figli vengono invece conteggiati senza limite di età qualora si trovino, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro.
[19] Lo stato di abbandono deve essere dimostrato con una certificazione anagrafica o con un provvedimento di accertamento da parte del giudice.
[20] L’assegno per il nucleo familiare costituisce un’erogazione incompatibile con qualsiasi altro trattamento di famiglia. In base a tale principio l’INPS ha in particolare escluso una doppia corresponsione dell’assegno nei seguenti casi:
· lavoratore dipendente che sia contemporaneamente pensionato;
· coniugi che abbiano entrambi titolo all’erogazione dell’assegno;
· spettanza di trattamenti di famiglia diversi (di lavoro dipendente e di lavoro autonomo) in capo allo stesso soggetto (lavoratore dipendente che svolga come pensionato attività di lavoro autonomo), o in capo ai due coniugi.
Nei primi due casi l’assegno viene erogato relativamente alla posizione di pensionato; nella terza ipotesi viene erogato l’assegno e l’altro trattamento di famiglia può essere corrisposto a familiari considerati a carico anche se esclusi dal nucleo familiare individuato ai fini dell’assegno.
[21] Più specificamente, l'assegno compete in misura differenziata in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare. Nel caso di nuclei familiari con più di tre figli o equiparati di età inferiore a 26 anni compiuti, ai fini della determinazione dell'assegno rilevano al pari dei figli minori anche i figli di età superiore a 18 anni compiuti e inferiore a 21 anni compiuti purché studenti o apprendisti. Ai soli fini dell'individuazione dei nuclei destinatari della norma è necessario tener conto di tutti i figli ed equiparati presenti nel nucleo familiare, di età inferiore a 26 anni, indipendentemente dal carico fiscale, dalla convivenza, dallo stato civile e dalla qualifica (studente, apprendista, lavoratore, disoccupato).
[22] A tal fine, non rileva che i soggetti presenti nel nucleo al momento della domanda non corrispondano ai componenti del nucleo stesso nel periodo di riferimento del reddito.
[23] I livelli di reddito possono essere aumentati qualora si verifichino le seguenti condizioni:
· il richiedente si trovi nelle condizioni di vedovo/a, separato/a legalmente, divorziato/a oppure celibe/nubile in stato di abbandono;
· i nuclei familiari siano composti da soggetti inabili al lavoro per difetti fisici o mentali.
Nel caso di concorso delle due condizioni sopra descritte il livello di reddito viene ulteriormente innalzato.
[24] In alcuni casi il pagamento viene effettuato direttamente dall’INPS (a titolo esemplificativo si citano le seguenti categorie di lavoratori: soci di cooperative, lavoratori domestici, lavoratori in CIGS, lavoratori agricoli dipendenti); per i giornalisti provvede l’INPGI e per i titolari di rendita d’infortunio l’INAIL.
[25] Pari a 9.786,86 euro per il 2015.
[26] Sulla stima ritenuta necessaria per il finanziamento di una misura strutturale di sostegno al reddito dei più poveri si rinvia a Agostini, Chiara, Contro la povertà si recita ancora a soggetto, in lavoce.info del 2 febbraio 2016; Alleanza contro la povertà in Italia, Osservazioni al disegno di legge delega recante norme relative al contrasto alla povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali, 1 febbraio 2016.