Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari sociali | ||||
Titolo: | Eutanasia e rifiuto dei trattamenti sanitari - AA.C. 1582 - 2218 - 2973 - 3336 - Schede di lettura | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 410 | ||||
Data: | 02/03/2016 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
II-Giustizia
XII-Affari sociali |
Eutanasia e rifiuto dei trattamenti sanitari
2 marzo 2016
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Indice |
Quadro normativo|Contenuto delle proposte di legge|Relazioni allegate o richieste|Necessità dell'intervento con legge|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite| |
Quadro normativo |
Il rilievo penale dell'eutanasiaNel nostro ordinamento La vita come bene indisponibilela vita è un bene non disponibile. L'indisponibilità risulta, a livello costituzionale, dall'art. 2 Cost. e, a livello di legge ordinaria - oltre che dall'art. 5 del codice civile, che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo «quando cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume» - dalle disposizioni penali che puniscono l'omicidio del consenziente e l'istigazione o l'aiuto al suicidio (v. ultra), nonché, indirettamente, dall'art. 50, sull'efficacia scriminante del consenso della persona offesa, con esclusivo riferimento alla lesione dei beni disponibili. Ogni affermazione della libertà di autodeterminazione dell'individuo non è dunque assoluta, dovendo essere temperata con il principio dell'indisponibilità della vita. Con il termine eutanasia si indica convenzionalmente la morte cagionata per motivi di pietà nei confronti di una persona affetta da malattia probabilmente o certamente incurabile, allo scopo di sottrarla alle sofferenze inerenti al processo patologico terminale (Mantovani, Eutanasia, in Digesto pen., IV, Torino, 1990, 422). Peraltro, una cosa è provocare la morte con un diretto intervento di un terzo acceleratore dell'evento; altra e diversa cosa è lasciare che la malattia si manifesti nei suoi effetti fino alla morte. Nel nostro ordinamento, soltanto nel primo caso (c.d. Eutanasia attiva e passivaeutanasia attiva) si è in presenza di una condotta punibile (ai sensi degli articoli 579 c.p., Omicidio del consenziente e 580 c.p., Istigazione o aiuto al suicidio) in quanto intrinsecamente omicidiaria. Nel secondo caso (c.d. eutanasia passiva) in tanto la condotta è punibile in quanto sussista in capo al medico o all'assistente il malato un obbligo di cura, ovvero un obbligo di compiere azioni positive idonee a impedire o ritardare l'evento. E il fatto primario che condiziona l'obbligo di cura è il consenso del paziente, senza e contro il quale non è giuridicamente lecito l'intervento terapeutico. Se, dunque, il paziente rifiuta la cura, non sorge l'obbligo del medico o di qualsivoglia terzo di ritardare o impedire l'evento mortale e la vicenda che conduce alla morte non può definirsi eutanasia, non essendo provocata volontariamente la morte di alcuno. Ove, pertanto, consentendo alla propria morte, il paziente, maggiore di età e in condizioni di capacità di intendere e di volere, rifiuti determinati interventi terapeutici o le cure che potrebbero probabilmente impedire o ritardare la morte, la mancata azione curativa del medico o di qualsivoglia terzo non integra una condotta illecita.E proprio la difficoltà di poter esprimere una decisione del genere nella fase finale della malattia hanno favorito l'introduzione in vari Paesi dell'istituto delle dichiarazioni anticipate di trattamento, destinate a sopperire alla mancanza di una manifestazione attuale di volontà del paziente (v. infra). La tesi maggioritaria riconosce, quindi, la possibilità di ciascuno di rifiutare le cure (sul punto, v. più estesamente il capitolo successivo) lasciandosi morire (eutanasia passiva consensuale). Al contrario, non rientrerebbe in tale libertà la circostanza che taluno ponga in essere condotte attive ovvero chieda a terzi di attivarsi per provocare la propria morte (eutanasia attiva consensuale) Secondo tale concezione, dall'esercizio del menzionato diritto costituzionalmente garantito conseguirebbe l'obbligo del medico di rispettare il volere del malato di rifiutare le cure, anche quando ciò porti alla morte. Parte della dottrina non concepisce invece un obbligo del medico di assecondare la volontà del malato di rifiutare le cure, permettendo che costui arrivi alla morte. Secondo quest'ultimo orientamento - comunque superato dalla giurisprudenza (v. ultra) - il medico ha l'opposto obbligo di intervento finalizzato ad impedire l'evento, ex art. 40, comma 2, c.p. Vale a dire che, in quest'ultimo caso, la determinazione volitiva del malato non farebbe venire meno l'obbligo del medico di curare, per cui il sanitario si troverebbe nella condizione di dover impedire l'evento, poiché, ai sensi del citato art. 40 comma 2, c.p., "non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo".
Le fattispecie penali in base alle quali può essere punita l'eutanasia consistono principalmente nell'omicidio del consenziente e nell'aiuto al suicidio, illeciti dei quali di seguito si riportano gli elementi principali. Come detto, l'eutanasia attiva è attualmente punita nel nostro ordinamento attraverso gli artt. 579 e 580 del codice penale, dei quali di seguito si riportano gli elementi principali. Art. 579 c.p., Omicidio del consenzienteL'omicidio del consenziente (art. 579 c.p.) L'omicidio del consenziente è figura autonoma di delitto, introdotta per la prima volta nell'ordinamento italiano dal codice del 1930, in affermazione del principio di indisponibilità della vita. La pena prevista, assai più lieve rispetto all'omicidio doloso comune, esprime l'attenuata riprovevolezza dell'autore e la minore gravità del delitto, cui manca, a differenza che all'omicidio comune, la nota dell'ingiusta aggressione alla libertà altrui. La relazione del Guardasigilli al Codice Rocco del 1930 menzionò espressamente il problema dell'eutanasia, sottolineando la posizione di equilibrio del legislatore, che «non ha voluto disciplinare una causa di esclusione del reato per il caso della cosiddetta eutanasia, ma ha riconosciuto, in una autonoma ipotesi di reato con pena sensibilmente attenuata, la indiscutibile influenza minoratrice del consenso dell'ucciso sulla gravità del delitto di omicidio, sotto il profilo dell'elemento psicologico». La disciplina del consenso è ricavabile in parte dai principi generali e dalla ratio della disciplina e in parte dall'art. 579, terzo comma, che statuisce il ritorno alla disciplina dell'omicidio comune, con l'applicabilità delle circostanze inerenti a tale delitto, tanto nei casi in cui sia viziata la genesi del consenso, quanto nei casi in cui lo stesso provenga da una persona che si ha motivo di ritenere non in grado di assumere la decisione in modo pienamente libero e responsabile (analogamente, se il consenso all'eutanasia non sia stato dato). Si tratta comunque di omicidio doloso e come tale punito con la pena della reclusione fino a 21 anni. Il consenso deve anzitutto essere espresso personalmente, con esclusione di qualsiasi sostituzione o delega, nonché in modo spontaneo e serio, senza alcuna pressione indebita da parte di terzi.
In giurisprudenza, le non molte pronunce ruotano intorno alla problematica del consenso, con soluzioni spesso influenzate in modo determinante dalle situazioni di fatto prese in esame.
In modo assolutamente chiaro sul principio circa la necessità di una prova univoca, chiara e convincente della volontà di morire manifestata dalla vittima (C., Sez. I, 17.11.2010, n. 43954, che ha ritenuto configurabile l'omicidio volontario, e non l'omicidio del consenziente, nel caso manchi una prova di tal genere, dovendo in tal caso riconoscersi assoluta prevalenza al diritto alla vita, quale diritto personalissimo che non attribuisce a terzi il potere di disporre, anche in base alla propria percezione della qualità della vita, dell'integrità fisica altrui. La prova della volontà di morire non può essere tratta dalle generiche invocazioni della vittima affinché cessi la propria sofferenza ovvero dall'auspicio, dalla stessa espresso in precedenza, di adozioni di modelli eutanasici propri di altri paesi).
Il consenso deve essere «serio, esplicito e non equivoco», nonché «perdurante... sino al momento in cui il colpevole commette il fatto» (C., Sez. I, 6.5.2008, n. 32851; C., Sez. I, 13.11.1970, che sembra escludere l'apprezzabilità del consenso tacito e postulare l'attualità di esso; C., Sez. I, 27.6.1991, che ribadisce l'inaccettabilità di valutazioni presuntive da parte dell'autore, che sostituiscano il suo apprezzamento a quello della vittima).
In un caso molto controverso (caso Welby), il Gup del Tribunale di Roma (23 luglio 2007), ha dichiarato il non luogo a procedere ex art. 51 del codice penale nei confronti del medico, imputato ai sensi dell'art. 579 c.p. per omicidio del consenziente (aveva - previa sedazione - interrotto la ventilazione meccanica che teneva in vita Piergiorgio Welby). ll giudice dell'udienza preliminare di Roma ha prosciolto il medico anestesista dall'accusa perché il fatto non costituisce reato dichiarando, in sostanza, che Welby aveva il diritto di chiedere l'interruzione della ventilazione meccanica e che il medico, assecondando la sua richiesta, ha diritto all'esimente dell'adempimento di un dovere. L'importanza della decisione consiste, in particolare, nel fatto che il paziente potrebbe, quindi, avvalersi del "diritto" di interrompere la cura, cui corrisponderebbe, nel medico, il dovere di farla cessare, tenendo comportamenti non solo omissivi, ma anche commissivi.
Altra sentenza di particolare rilievo in materia è quella relativa al caso Eluana Englaro (una giovane donna in stato vegetativo irreversibile, tenuta da anni artificialmente in vita) nel quale la Corte di Cassazione, sentenza n. 21748 del 16 ottobre 2007 ha autorizzato la richiesta del padre, in quanto tutore della paziente, di interrompere la nutrizione e la ventilazione mediante sondino nasogastrico. La Corte di appello di Milano aveva negato al tutore l'autorizzazione, in quanto l'interruzione del trattamento avrebbe comportato una forma di eutanasia indiretta omissiva. Di parere diverso la Cassazione che – pur non ritenendo detto trattamento una forma di accanimento terapeutico – ha autorizzato la richiesta del tutore, ritenendo sussistenti due imprescindibili condizioni (entrambe rispettate nel caso Englaro):
- che il soggetto sia dichiarato in uno stato patologico di coma irreversibile, senza alcuna possibilità con i mezzi e le conoscenze medico-scientifici, universalmente riconosciuti, di migliorare e/o recuperare lo stato di coscienza e percezione, inteso in senso lato;
- che il paziente, in vita, abbia espresso la sua volontà in tal senso, o che la stessa sia desumibile in base alla cultura, religione, sue esperienze di vita e sue convinzioni sociali, psichiche e filosofiche.
Art. 580 c.p., Istigazione o aiuto al suicidioL'istigazione o aiuto al suicidio (art. 580 c.p.) «Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima. Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1 e 2 dell'articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità d'intendere o di volere, si applicano le disposizioni relative all'omicidio». Sulla premessa che il suicidio, pur non punibile, è contrario al diritto, l'art. 580 tutela la vita sia contro i comportamenti che facciano insorgere un proposito suicidiario prima inesistente ovvero ne rafforzino uno già esistente, sia contro il semplice ausilio all'esecuzione, mercé un'attività, accessoria alla condotta dell'agente, strumentale alla realizzazione di un proposito suicidiario compiutamente deliberato. Per la giurisprudenza, l'agevolazione può essere tanto attiva che omissiva e si realizza «fornendo i mezzi per il suicidio, offrendo istruzioni sull'uso degli stessi, rimuovendo ostacoli o difficoltà che si frappongono alla realizzazione del proposito o anche omettendo di intervenire, qualora si abbia l'obbligo di impedire la realizzazione dell'evento» (così Cass., Sez. I, 6.2.1998). La condotta di agevolazione al suicidio altrui è contigua all'uccisione della persona consenziente, soprattutto nei casi di "aiuto a morire" praticati in situazioni terminali di vita. La giurisprudenza individua esattamente il discrimine tra le due fattispecie «nel modo in cui viene ad atteggiarsi la condotta e la volontà della vittima in rapporto alla condotta del soggetto agente. Si avrà omicidio del consenziente nel caso in cui colui che provoca la morte si sostituisca in pratica all'aspirante suicida, pur se con il consenso di questi, assumendone in proprio l'iniziativa, oltre che sul piano della causazione materiale, anche su quello della generica determinazione volitiva; mentre si avrà istigazione o agevolazione al suicidio tutte le volte in cui la vittima abbia conservato il dominio della propria azione, nonostante la presenza di una condotta estranea di determinazione o di aiuto alla realizzazione del suo proposito, e lo abbia realizzato, anche materialmente, di mano propria» (C., Sez. I, 6.2.1998). |
La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (a cura dell'Avvocatura della Camera dei deputati)L'ordinamento del Consiglio d'Europa e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo si sono cimentate più di una volta con il tema del fine vita. Il primo e più noto caso è Pretty c. Regno Unito del 2002. Diane Pretty era affetta da una grave malattia degenerativa e voleva essere aiutata dal marito a morire, onde ottenere la fine delle sue pene.
Il suicidio ha cessato di essere un reato in Inghilterra e nel Galles con l'entrata in vigore della legge del 1961 sul suicidio. L'articolo 2 § 1 di quest'ultima, tuttavia, punisce chiunque "facilita, incoraggia, raccomanda o organizza il suicidio o un tentativo di suicidio di un terzo". Adita quindi l'autorità giudiziaria per ottenere l'immunità giudiziale dalle eventuali conseguenze penali a carico del marito, i coniugi si videro rigettate le istanze in tutti i gradi di giudizio.
Innanzi alla Corte EDU essi sostennero che il diritto alla vita, di cui all'articolo 2 della Convenzione, dovesse essere inteso anche come diritto a una vita dignitosa e alle decisioni attinenti a essa, tra le quali anche quella di continuare o cessare di vivere. Pertanto, secondo i ricorrenti, le disposizioni dell'ordinamento britannico nonché il rifiuto opposto dalle autorità di concedere l'immunità giudiziale dovevano ritenersi lesive di quel diritto, nonché del diritto alla vita privata e familiare, di cui all'articolo 8.
La Corte EDU respinse tali argomenti, ritenendo, da un lato, che il diritto alla vita non possa ricomprendere il diritto al suicidio; dall'altro, che l'articolo 8 – pur concedendo un ampio spazio individuale alle decisioni sulla propria vita e sulla propria salute – non sia violato nei casi in cui gli Stati sottoscrittori prevedano la sanzione penale per l'assistenza al suicidio.
Successivamente, la Corte si è pronunciata nel caso Haas c. Svizzera del 2011. Ernst Haas era affetto da una grave sindrome depressiva e aveva tentato due volte il suicidio. Nel 2005, aveva iniziato la ricerca di un medico che gli prescrivesse barbiturici con cui iniziare un percorso di suicidio assistito. Tutti i medici interpellati glieli rifiutarono. Adite le vie amministrative e giudiziarie per ottenere la somministrazione dei farmaci, si vide respingere tutte le istanze.
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha ribadito i princìpi della sentenza Pretty in ordine all'articolo 8 della Convenzione sul diritto alle proprie decisioni personali sulla salute e sulla vita, affermando che non costituisce violazione di tale disposizione l'aver subordinato il rilascio del farmaco potenzialmente letale ad una prescrizione medica sottoscritta solo dopo una perizia psichiatrica completa e approfondita, necessaria per verificare che la decisione di porre fine alla propria vita sia frutto di una scelta libera e consapevole.
Più di recente, si sono avuti altri casi, il principale dei quali è Lambert c. Francia del 2015, su cui si è pronunciata la Grande Chambre. Vincent Lambert ebbe un grave incidente stradale, a seguito del quale era entrato in uno stato vegetativo permanente. Il medico curante – anche sulla base della legislazione francese (la cosiddetta legge Leonetti del 2005) che consente la possibilità di interrompere le cure se queste si traducano in una "ostinazione irragionevole" – aveva interpellato circa una dozzina di congiunti del Lambert e, dalla maggioranza di questi, aveva ottenuto sia l'informazione che un accanimento terapeutico sarebbe stato contrario alle volontà del paziente, sia il consenso di costoro all'interruzione delle cure.
Alcuni parenti avevano fatto ricorso alla prima istanza giurisdizionale amministrativa francese per ottenere l'ingiunzione al medico di proseguire le cure. Mentre in primo grado era stato accolto il ricorso di tali parenti, il Conseil d'État, viceversa e su ricorso della moglie, aveva dato ragione al medico, aprendogli la possibilità di interrompere le cure.
I parenti hanno quindi adito la Corte EDU lamentando la mancanza di precisione e di chiarezza della legislazione francese, in quanto essa non specificherebbe la nozione di "ostinazione irragionevole" e di "cure" che potrebbero essere interrotte.
La Corte europea dei diritti dell'uomo, considerato che non esiste consenso tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa a favore dell'interruzione del trattamento salva-vita e che in tema di fine vita gli Stati devono poter godere di un margine di discrezionalità, ha ritenuto che non vi è stata violazione dell'articolo 2 in quanto sia l'assetto normativo sia le procedure seguite dal medico e dalla struttura sanitaria nel caso specifico non sono irragionevoli e in contrasto con il diritto alla vita. |
Il testamento biologicoTra i temi riconducibili alla "bioetica", intesa come riflessione etica sui vari problemi sollevati dall'intervento dell'uomo in campo medico e biologico, riflessione richiesta per stabilire se gli interventi sulla vita umana siano moralmente leciti, vi è senz'altro quello del "testamento biologico" (dall'espressione inglese living will). Con tale locuzione si fa riferimento all'espressione di volontà, mediante un documento scritto, da parte di un soggetto, fornita in condizioni di lucidità mentale, con il quale vengono dettate indicazioni anticipate di trattamento circa le terapie che intende o non intende seguire, nell'eventualità in cui dovesse trovarsi nella condizione di incapacità ad esercitare il proprio diritto ad acconsentire o meno alle cure proposte per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti, malattie che costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione. Con l'espressione "diritto a morire con dignità" si fa riferimento, da un lato, al ricorso agli analgesici per alleviare il dolore e, più in generale, alle cure palliative - recentemente disciplinate dalla legge n. 38/2010 -, dall'altro al rifiuto o alla sospensione di trattamenti eccezionali, che non hanno più valore di terapia: in tal senso si delinea il rifiuto dell'accanimento terapeutico. Particolari problemi sorgono inoltre quando il paziente non sia più in grado di esprimere la propria volontà e di opporsi a determinati trattamenti. In tal caso possono verificarsi due situazioni: o il malato ha manifestato in precedenza la sua volontà, ed è questo l'ambito in cui si collocano il testamento biologico e le problematiche sulla sua ammissibilità, o manca del tutto un'indicazione precisa in tal senso, discutendosi, quindi, se possa essere ritenuta determinante la volontà del medico o se si possa ricorrere ad una sorta di presunta volontà del paziente desunta da specifici elementi. Su tutti questi aspetti è in atto da anni, nel nostro Paese, un intenso dibattito dottrinario e giurisprudenziale, di cui, in questa sede, si ripercorreranno soltanto gli aspetti più salienti. Elemento fondante del dibattito citato è il riconoscimento, da parte dell'articolo 32 della Costituzione, del diritto alla salute quale diritto fondamentale dell'individuo oltre che interesse della collettività (primo comma). La natura fondamentale del diritto alla salute trova poi ulteriore rafforzamento nella previsione di cui al secondo comma del citato articolo 32, secondo il quale nessuno può essere sottoposto a trattamenti sanitari obbligatori, se non in forza di un'espressa previsione legislativa, con il divieto, tra l'altro, di trattamenti sanitari che contrastino con il rispetto della dignità umana (terzo comma). In tal senso, l'evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale ha riconosciuto che il diritto alla salute contempla una generale libertà di autodeterminazione nelle scelte terapeutiche, attribuendo al singolo il diritto ad una piena conoscenza dei trattamenti sanitari, al fine di poter scegliere consapevolmente quale cura adottare o addirittura se ricorrere o meno ad una cura. E' da tempo, infatti, che si riconosce l'esistenza di un principio consensualistico nei trattamenti sanitari. La stessa Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 438/2008), ha statuito che "il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell'art. 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della Costituzione, i quali stabiliscono, rispettivamente, che «la libertà personale è inviolabile», e che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Peraltro, il principio del consenso informato trova specifico riconoscimento in numerose disposizioni normative, anche internazionali. Con la legge n. 145 del 28 marzo 2001 è stata autorizzata dall'Italia la ratifica della Convenzione sui diritti dell'uomo e la biomedicina (Convenzione di Oviedo), del 1997, che, al Capo II, negli articoli da 5 a 9, disciplina il tema dei trattamenti sanitari, del consenso informato richiesto al paziente per la loro effettuazione e delle modalità in cui il consenso può e deve essere espresso. L'articolo 9 della Convenzione, per il profilo che qui interessa, stabilisce che le volontà espresse precedentemente a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell'intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà, devono essere tenute in considerazione. Gli strumenti di ratifica non risultano peraltro depositati. L'articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, sancisce che "ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica" e che nell'ambito della medicina e della biologia deve essere in particolare rispettato, tra gli altri, "il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge". La necessità che il paziente sia posto in condizione di conoscere il percorso terapeutico si evince, altresì, da diverse leggi nazionali che disciplinano specifiche attività mediche: ad esempio, dall'art. 3 della legge 21 ottobre 2005, n. 219 (Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati), dall'art. 6 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nonché dall'art. 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), il quale prevede che le cure sono di norma volontarie e nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se ciò non è previsto da una legge. Va infine ricordato che il codice di deontologia medica, agli articoli 32 e 33, prevede e disciplina il consenso informato del paziente – o del legale rappresentante - quale presupposto necessario dell'attività diagnostica e terapeutica del medico. Dalla configurazione del consenso informato quale presupposto necessario di ogni trattamento terapeutico può quindi dedursi la sussistenza di un diritto del singolo all'autodeterminazione nella scelta delle cure mediche, tale anche da consentire l'astensione da qualsiasi trattamento terapeutico; in tal senso il "diritto a rifiutare le cure", che in dottrina è stato desunto dalle previsioni di cui agli articoli 2 e 32 della Costituzione, esprime il più generale principio consensualistico regolante i rapporti medico-paziente nella società attuale. Per tornare, più specificamente, al tema del testamento biologico, è evidente come la questione diventi più complessa in presenza di malati terminali in stato di incoscienza, in particolare qualora non sussistano ragionevoli possibilità di una progressione favorevole del loro decorso clinico. In tale ambito, infatti, è necessario valutare la possibilità di dare rilievo alle volontà precedentemente manifestate dal paziente, ove presenti, individuando spazi attribuiti alla discrezionalità medica nel verificare la rilevanza che a tali volontà si debba riconoscere. Dal punto di vista medico, inoltre, ci si interroga sulla compatibilità del testamento biologico con i doveri deontologici della categoria, mentre i bioeticisti discutono se nella sfera di insindacabile autodeterminazione del malato si possa far rientrare la pratica eutanasica, ove appunto non solo auspicata ma in qualche modo prescritta da un testamento biologico. Infine, in dottrina viene considerato diverso il caso di chi viene a trovarsi in una situazione di incapacità, prevista come sviluppo di una malattia degenerativa ad un certo stadio, da quello di chi versa in una situazione di incapacità di origine accidentale, che ha manifestato in precedenza una volontà su determinati trattamenti sanitari al di fuori di un'immediata necessità di quello specifico trattamento. Mentre infatti nel primo caso l'opinione prevalente è che la volontà del paziente debba essere rispettata, la seconda situazione è quella che ha dato origine ai maggiori contrasti. Il 24 ottobre 2008 è stato approvato dal Comitato nazionale di bioetica (CNB) il parere su "Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione paziente-medico". Il parere affronta la questione del rifiuto (richiesta di non inizio) e della rinuncia (richiesta di sospensione) di trattamenti sanitari salva-vita da parte di un paziente cosciente e capace di intendere e di volere, adeguatamente informato sulle terapie e in grado di manifestare contestualmente la propria volontà. In questa situazione viene differenziata la condizione del paziente autonomo, ossia in grado di sottrarsi a terapie indesiderate senza coinvolgere il medico o l'equipe medica, e quella del paziente in stato di dipendenza, che di contro ha bisogno del loro intervento. Nell'ambito del CNB sono emerse due diverse posizioni:
Nello stesso documento il CNB ha anche discusso i problemi attinenti al rapporto medico-paziente fra i quali: la distinzione tra "provocare la morte" e "lasciar morire"; il significato della c.d. alleanza terapeutica e delle cure palliative. Sul tema, il Comitato è giunto a una riflessione condivisa:
Più recentemente, la Fondazione Umberto Veronesi , nel convincimento che il diritto di partecipare coscientemente alle scelte che riguardano la propria salute e la malattia in ogni fase, da quella iniziale fino a quella finale, sia uno dei diritti inalienabili della persona e che dunque il testamento biologico sia un'espressione di questo diritto, ha messo a disposizione il modello di una breve dichiarazione, "una sorta di procura nella quale, dopo aver indicato i propri dati anagrafici e nominato un fiduciario, ogni adulto in grado di intendere e di volere, che desidera rifiutare l'accanimento terapeutico, sottoscrive una breve dichiarazione". Dal 2009, numerosi comuni e province italiane hanno istituito i cd. registri per la raccolta delle direttive anticipate. Seppur espressione di esperienze locali non coordinate, le modalità di attuazione dei registri possono essere ricondotte entro due paradigmi principali:
Si ricorda che, con circolare interministeriale del 19 novembre 2010, il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, quello dell'Interno e quello della Salute, sono intervenuti per censurare le iniziative allora già intraprese da oltre settanta Comuni italiani. La circolare diede luogo ad un'ampia discussione sulla liceità dei Comuni di gestire il servizio relativo alle dichiarazioni anticipate di trattamento. In tale prospettiva, la dottrina (cfr. E.Stradella e F.Bonaccorsi "L'esperienza dei Registri delle Dichiarazioni anticipate di Trattamento sanitario tra linee guida e prospettive di regolazione del fine vita") intese sottolineare che la registrazione da parte del Comune del luogo e del soggetto presso il quale è conservata la D.A.T., può essere ricondotta allo svolgimento delle funzioni istituzionali proprie del Comune nei settori dei servizi alla persona e alla comunità correlate al ricevimento di dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà sulla base di quanto previsto dall'art. 47 DPR 28 dicembre 2000, n. 445. Inoltre, venne rilevato che la disciplina di raccolta delle dichiarazioni non pare violare la competenza statale, nella misura in cui: a) a certificare data e provenienza delle dichiarazioni non è il Comune, ma il notaio o il medico; b) il Comune svolge una funzione di raccolta e archiviazione delle dichiarazioni, senza alcun intento di disciplinare la materia del "fine vita" o di attribuire alle D.A.T. un effetto giuridico diverso da quello loro proprio.
Il Rapporto Eurispes 2013 offre indicazioni sulla posizione degli italiani su questioni etiche particolarmente sensibili quali quelle collegate al fine vita. A questo proposito si registra che, tra il 2012 e il 2013 aumenta il numero di quanti si dichiarano favorevoli all'eutanasia (dal 50,1% al 64,6%) Per quanto riguarda il suicidio assistito – che determina la fine della vita con l'intervento di un medico anche in assenza di malattie – è contrario il 63,8% degli italiani, era convinto di questo il 71,6%), ma ottiene comunque il favore del 36,2% (contro il 25,3% del 2012). Il testamento biologico registra un aumento di consensi oltre dieci punti percentuali passando dal 65,8% del 2012 al 77,3% del 2013.
Va inoltre ricordato che la Fondazione Cortile dei Gentili, che auspica l'incontro del mondo laico con quello cattolico, (Presidente Giuliano Amato, componente Cardinal Ravasi) ha organizzato nel settembre 2015 il Convegno "I doveri della medicina: I diritti del paziente Il Rapporto elaborato da credenti e non credenti esamina fondamenti e confini della cura" - Linee propositive sulla relazione di cura, elaborato dal Comitato Scientifico della Fondazione Cortile dei Gentili |
L'attività parlamentare nella XVI e XVII legislaturaNel corso della XVI Legislatura, le Camere hanno esaminato, senza concluderne l'iter, il disegno di legge recante "Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento" (A.C. 2350). Esaminato in prima lettura dal Senato, che ne ha concluso l'esame nel marzo 2009, approvato dalla Camera con modificazioni nel luglio 2011, il Senato - che ne ha iniziato l'esame in seconda lettura nel novembre 2012 - non lo ha tuttavia concluso. Il progetto di legge sanciva preliminarmente i principi della tutela della vita umana e della dignità della persona, del divieto dell'eutanasia e dell'accanimento terapeutico nonché del consenso informato quale presupposto di ogni trattamento sanitario. Provvedeva quindi alla disciplina, con una norma di carattere generale, del consenso informato, sempre revocabile e preceduto da una corretta informazione medica, e delineaVA le caratteristiche e i principi essenziali della dichiarazione anticipata di trattamento. Tale dichiarazione consiste nella manifestazione di volontà con cui il dichiarante si esprime, con determinate formalità, in merito ai trattamenti sanitari in previsione di un'eventuale futura perdita della propria capacità di intendere e di volere. Essa, tuttavia, non può riguardare l'alimentazione e l'idratazione, che devono essere mantenute fino al termine della vita, salvo che non abbiano più alcuna efficacia nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo. Le dichiarazioni anticipate hanno una validità di cinque anni e sono pienamente revocabili, rinnovabili e modificabili. Veniva inoltre sancita la non obbligatorietà per il medico di seguire gli orientamenti espressi dal paziente. In tal caso, il medico è tenuto a sentire il fiduciario o i familiari e a motivare in modo approfondito la sua decisione, sottoscrivendola. L'assistenza ai soggetti in stato vegetativo è qualificata come livello essenziale di assistenza ed è assicurata attraverso prestazioni ospedaliere, residenziali e domiciliari secondo modalità previste da disposizioni normative e dall'Accordo sancito tra il Ministro della salute e le regioni e province autonome sulle Linee di indirizzo per l'assistenza alle persone in stato vegetativo e stato di minima coscienza. Venivano poi disciplinati il ruolo del fiduciario e del medico ed era infine stabilita l'istituzione di un Registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento in un archivio unico nazionale informatico.
Va inoltre ricordato che sono attualmente all'esame della XII commissione affari sociali alcune proposte di legge (A.C. 1142 ed abb.) recanti norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari, alcune delle quali riproducono il contenuto dell'A.C. 2350 esaminato nella scorsa legislatura. |
Contenuto delle proposte di legge |
A.C. 1582, d'iniziativa popolareLa proposta di legge A.C. 1582 (d'iniziativa popolare) è composta da 4 articoli. L'articolo 1 attribuisce ad ogni cittadino la facoltà di rifiutare l'inizio o la prosecuzione di trattamenti sanitari, nonché ogni tipo di trattamento vitale o terapia nutrizionale. Il personale medico e sanitario è tenuto a rispettare la volontà del paziente purché:
L'articolo 2 dispone che il personale medico e sanitario che non rispetti la volontà manifestata nei modi di cui all'articolo 1, è tenuto al risarcimento del danno morale e materiale conseguente, in aggiunta ad ogni altra conseguenza civile o penale ravvisabile nei fatti. L'Esclusione di punibilità: presuppostiarticolo 3 stabilisce che le disposizioni di cui agli articoli 575 (Omicidio), 579 (Omicidio del consenziente), 580 (Istigazione aiuto al suicidio) e 593 (Omissione di soccorso) del codice penale non si applicano al medico e al personale sanitario che hanno praticato trattamenti eutanasici, provocando la morte del paziente, purché ricorrano alcune condizioni, il cui rispetto deve essere attestato per iscritto dal medico e confermato dal responsabile della struttura sanitaria ove sarà praticato l'intervento:
L'Testamento biologicoarticolo 4 attribuisce ad ogni soggetto la facoltà di redigere un atto scritto, con firma autenticata dall'ufficiale di anagrafe del comune di residenza, con il quale chiede l'applicazione dell'eutanasia nell'ipotesi in cui sia affetto da una malattia che comporta gravi sofferenze, inguaribile o con prognosi infausta inferiore a diciotto mesi, sia incapace di intendere e di volere ovvero di manifestare la propria volontà e con il quale nomina contemporaneamente un fiduciario ricorrendone le condizioni. Viene poi disposto che la richiesta di applicazione dell'eutanasia sia chiara e inequivoca, non sia sottoposta a condizioni e sia accompagnata da una dichiarazione con la quale il richiedente attesta di essersi documentato in ordine ai profili sanitari, etici ed umani. Anche la conferma della richiesta da parte del fiduciario deve essere chiara, inequivoca ed espressa per iscritto. In presenza delle indicate condizioni e del rispeto della dignità del paziente (al medico ed al personale sanitario che hanno attuato pratiche di eutanasia provocando la morte del paziente non si applicano le disposizioni degli articoli 575 (Omicidio), 579 (Omicidio del consenziente), 580 (Istigazione e aiuto al suicidio) e 593 (Omissione di soccorso) del codice penale. Va osservato che la disposizione in commento non richiede quale requisito di validità dell'atto la maggiore età del soggetto che compila la richiesta di applicazione dell'eutanasia. Tale requisito è invece espressamente indicato agli articoli 1 e 3. |
A.C. 2218, Di Salvo e A.C. 2973, NicchiLe proposte di legge A.C. 2218 (Di Salvo ed altri) e A.C. 2973 (Nicchi ed altri) sono composte da 12 articoli suddivisi in VI Capi; dato il contenuto pressoché identico verranno in questa sede trattate congiuntamente. I Capi I - composto dal solo articolo 1 - e II - composto dal solo articolo 2 - recano, rispettivamente, le disposizioni generali e le condizioni e la procedura di eutanasia. L'articolo 1 contiene la definizione di eutanasia, che ai fini della legge in esame viene qualificata come l'atto, compiuto da un terzo, che mette volontariamente fine alla vita di una persona che si trova nelle condizioni di cui all'articolo 2, su richiesta della medesima persona. Viene poi stabilita, all'Esclusione di punibilità: presuppostiarticolo 2, la non punibilità del medico che pratica l'eutanasia - medico curante - purché abbia operato nel rispetto delle modalità previste dalla legge in commento e purché ricorrano alcune condizioni:
Vengono poi prescritti alcuni adempimenti a cui è tenuto il medico curante. Prima di procedere all'eutanasia egli è tenuto:
Se il medico curante ritiene che il decesso non avverrà a breve scadenza egli è tenuto:
Vengono poi stabiliti i requisiti che deve presentare la richiesta, risultante da una dichiarazione scritta, redatta, datata e firmata personalmente. Se il paziente non è in grado di firmare tale dichiarazione può affidare l'incarico a persona di sua fiducia purché maggiorenne; in tal caso il soggetto incaricato è tenuto a riportare nella dichiarazione - redatta in presenza del medico curante - che il paziente non è in grado di scrivere personalmente la sua richiesta indicandone le ragioni. la dichiarazione è allegata alla cartella clinica dl paziente. La richiesta è revocabile in qualsiasi momento dal paziente. La dichiarazione scritta del paziente, la documentazione relativa alla procedura seguita dal medico curante con i relativi risultati, il rapporto redatto dal medico o dai medici consultati sono inseriti nella cartella clinica del paziente. L'Dichiarazione anticipata di trattamentoarticolo 3 - che compone il Capo III - disciplina la dichiarazione anticipata di trattamento che può essere redatta per iscritto da ogni persona maggiorenne che tema di perdere la propria capacità di intendere e di volere, con cui il soggetto esprime la volontà che gli venga praticata l'eutanasia in presenza di alcune condizioni:
Nella dichiarazione anticipata sono indicate una o più persone di fiducia maggiorenni - che non possono essere il medico curante o quello consultato e i membri dell'equipe sanitaria - con il compito di informare il medico della volontà del paziente. Vengono poi indicate le modalità in cui viene perfezionata la dichiarazione che deve risultare da atto scritto, redatto alla presenza di due testimoni maggiorenni, e sancito che essa è valida solo se è compilata entro i cinque anni immediatamente precedenti la condizione patologica che determina la perdita della capacità di intendere e di volere. Essa può essere ritirata e modificata in ogni momento. Con regolamento del Ministro della salute vengono definite le modalità relative alla presentazione conservazione, conferma, ritiro e alla comunicazione della dichiarazione anticipata. Viene poi precisato che il medico che pratica l'eutanasia a seguito della dichiarazione anticipata non è punibile se presta la propria opera alle condizioni stabilite dalla legge e se ha accertato la sussistenza delle medesime condizioni richieste per la compilazione della dichiarazione anticipata (cfr. supra). Senza pregiudizio per le terapie che vorrà mettere a disposizione del paziente, il medico curante, prima di procedere all'eutanasia, è tenuto in ogni caso ai medesimi obblighi di consultazione di un altro medico o dell'equipe sanitaria, nonché di dialogo con la persona di fiducia del paziente, se nominata, e i familiari dello stesso, sulla volontà del paziente di essere sottoposto ad eutanasia. La dichiarazione anticipata, la documentazione relativa alla procedura seguita dal medico curante con i relativi risultati, il rapporto redatto dal medico o dai medici consultati sono inseriti nella cartella clinica del paziente. L'articolo 4 - che compone il Capo IV - prescrive la registrazione di ogni atto medico finalizzato a praticare l'eutanasia. A tale scopo il medico curante consegna la documentazione di cui all'articolo 6 alla Commissione nazionale di cui all'articolo 5. Il Commissione nazionale di controllocapo V - artt. 5-9 - disciplina la Commissione nazionale di controllo e di valutazione. L'articolo 5 istituisce presso il Ministero della salute la Commissione nazionale di controllo sull'attuazione della legge e ne disciplina la composizione. La nomina dei suoi membri è deliberata dal Consiglio dei ministri, i componenti restano in carica per un periodo di quattro anni, prorogabile una sola volta, e la qualità di membro della commissione è incompatibile con il mandato parlamentare ed incarichi governativi. L'articolo 6 rimette alla Commissione il compito di redigere un documento di registrazione che deve essere compilato dai medici curanti per ogni intervento di eutanasia da essi praticato e che si compone di due fascicoli. Il primo fascicolo, sigillato dal medico curante, reca una serie di dati personali coperti dal segreto professionale tra i quali l'esistenza o meno di una dichiarazione anticipata, che non possono essere portati a conoscenza della commissione prima che essa deliberi sul caso in oggetto. Il secondo fascicolo contiene dati ulteriori, tra i quali la data e l'ora del decesso del paziente, l'indicazione della patologia grave ed incurabile da cui era affetto, gli elementi che hanno consentito di accertare che la richiesta di eutanasia è stata formulata in maniera volontaria e ponderata e a comprovare che il decesso avrebbe avuto luogo comunque a breve termine, l'esistenza o meno della dichiarazione scritta di volontà, la procedura seguita dal medico nelle fasi precedenti e durante l'intervento di eutanasia. L'articolo 7 descrive e disciplina gli adempimenti spettanti alla Commissione, la quale esamina il documento di registrazione compilato e trasmesso dal medico curante e verifica, sulla base delle notizie contenute nel secondo fascicolo, se l'intervento di eutanasia è stato praticato secondo le condizioni previste dalla legge in esame. Nel caso di dubbio la Commissione può chiedere di essere portata a conoscenza dell'identità del paziente e chiedere al medico curante la cartella clinica dell'intervento di eutanasia. Essa si pronuncia entro due mesi dalla trasmissione del documento di registrazione e, qualora rilevi la non conformità dell'intervento praticato alle condizioni previste dalla legge in esame, trasmette tutta la documentazione alla procura della Repubblica competente in relazione al luogo di decesso del paziente. Ai sensi dell'articolo 8, la Commissione trasmette alle Camere, un anno dopo l'entrata in vigore della legge e, in seguito, con cadenza biennale, un rapporto statistico basato sulle informazioni raccolte nel secondo fascicolo del documento di registrazione e un rapporto sull'attuazione della legge. Per la elaborazione dei citati rapporti la Commissione può chiedere informazioni ad esperti nonché enti ed istituzioni pubblici o privati. Ai sensi dell'articolo 9, le spese di funzionamento della Commissione sono poste a carico per metà dello stato di previsione del Ministero della giustizia e per metà dello stato di previsione del Ministero della salute. Il capo VI - artt. 10-12 - contiene le disposizioni finali. L'articolo 10 pone a carico dei soggetti che attuano le disposizioni della legge l'obbligo del rispetto della riservatezza dei dati di cui vengono a conoscenza, prevedendo l'applicazione dell'articolo 326 del codice penale (Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio). L'articolo 11 prevede che la dichiarazione scritta con cui il paziente richiede l'eutanasia e la dichiarazione anticipata di cui all'articolo 3 non hanno valore vincolante per il medico o per qualsiasi altro soggetto. Se il medico non intende praticare l'intervento di eutanasia è tenuto ad informare tempestivamente il paziente o la persona di fiducia eventualmente nominata, spiegando le proprie motivazioni che, se di carattere medico, vengono riportate nella cartella clinica del paziente unitamente alla proposta terapeutica. Quest'ultima deve essere consegnata, dal medico che sceglie di non eseguire l'intervento, al medico curante designato dal paziente o dal fiduciario. Ai sensi dell'articolo 12, la persona deceduta a seguito di un intervento di eutanasia praticato in conformità alle condizioni e alle procedure previste dalla legge in esame, è dichiarata deceduta di morte naturale a tutti gli effetti di legge. |
A.C. 3336, BechisLa proposta di legge A.C. 3336 (Bechis) è composta da un solo articolo, che garantisce ad ogni persona il diritto di rifiutare l'inizio o la prosecuzione di trattamenti sanitari nonché ogni tipo di trattamento di sostegno vitale o terapia nutrizionale. Il personale medico e sanitario è tenuto a rispettare la volontà del paziente e non può dichiarare Esclusa l'obiezione di coscienzaobiezione di coscienza. Occorre pertanto considerare tale imposizione verso il personale medico e sanitario nel quadro dei principi costituzionali.
L'obiezione di coscienza consiste nel rifiuto individuale, pubblicamente espresso, di tenere il comportamento, imposto da un obbligo giuridico di fare, che la coscienza ritiene ingiusto in forza di una norma etica, religiosa, filosofica, sentita più vincolante della norma giuridica. Essa si concretizza nel «non fare» ciò che la legge impone di «fare», per ragioni attinenti alla coscienza con efficacia imperativa. E postula, perciò, come presupposto, il verificarsi nel soggetto di un conflitto tra i contrapposti doveri, imposti dalla norma esterna, del mondo giuridico, e dalla norma interna, del mondo della coscienza.
Si ricorda che la Costituzione italiana, a differenza di altre Costituzioni (quali, ad es., quella tedesca) non prevede espressamente il diritto di obiezione di coscienza; ciò nonostante in dottrina risulta oggi prevalente l'interpretazione che riconosce l'obiezione di coscienza come un diritto costituzionalmente tutelato, che viene fondato sulla libertà di coscienza, che implica il duplice diritto non solo di non ricevere imposizioni nella formazione dei propri convincimenti, ma di tenere comportamenti esterni secondo i dettami della propria coscienza, poiché è innanzitutto nelle manifestazioni esterne che deve estrinsecarsi la libertà giuridica di coscienza. E la libertà di coscienza viene ricostruita, come diritto, più che su singoli articoli della Costituzione, essendo nessuno di essi di per sé esaustivo, sulla interpretazione sistematica di un insieme di norme costituzionali, tra le quali, in particolare: l'art. 19 Cost., poiché il diritto di libertà religiosa non può non comprendere la libertà di coscienza, che è il fondamento di tale diritto (anche se tale articolo è di per sé insufficiente, perché legittima l'obiezione religiosa, ma non anche quelle etica e filosofica); l'art. 21 Cost., perché la libertà di manifestazione del pensiero comprende anche l'estrinsecazione dei propri convincimenti religiosi, etici, filosofici; l'art. 13 Cost., poiché la libertà psicofisica della mente e del corpo, nella loro inscindibile unità, comprende anche la libertà di coscienza, nella duplice dimensione suddetta: di libertà di non ricevere imposizioni nella formazione dei propri convincimenti e di tenere comportamenti esterni secondo i dettami della propria coscienza. (cfr. F. Mantovani, Obiezione di coscienza: problema epocale, in www.scienzaevitafirenze.it).
Viene rimessa ad un Regolamento attuativodecreto del Ministro della salute - da emanare entro 180 giorni dall'entrata in vigore della legge - l'individuazione:
Viene stabilito che il personale medico e sanitario che non rispetta la volontà dei soggetti di esercitare il diritto di rifiuto delle cure nei modi indicati dal decreto di attuazione è tenuto, fermo restando le eventuali responsabilità di natura penale e civile, al risarcimento del danno morale e materiale provocato dal proprio comportamento. Le fattispecie penali previste dagli articoli 575 (omicidio), 579 (omicidio del consenziente), 580 (istigazione o aiuto al suicidio) e 593 (omissione di soccorso) del codice penale non si applicano al medico e al personale sanitario che hanno praticato trattamenti eutanasici, provocando la morte del paziente, purché quest'ultimo abbia espresso tale volontà nelle forme previste. La persona deceduta a seguito di un intervento di eutanasia praticato in conformità alle condizioni e alle procedure previste dalla legge in esame, è dichiarata deceduta di morte naturale a tutti gli effetti di legge. |
Relazioni allegate o richiesteSi tratta di proposte di legge di iniziativa parlamentare, corredate, pertanto, della sola relazione illustrativa. |
Necessità dell'intervento con leggeLe proposte di legge in esame disciplinano il tema dell'eutanasia praticata da un medico nei confronti di un paziente in presenza di determinate condizioni, prevedendo anche cause di non punibilità del personale medico e sanitario. Si rende necessario,pertanto, il ricorso allo strumento legislativo. |
Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definiteI temi trattati dai provvedimenti in esame investono diversi ambiti di competenza. Per la parte relativa all'eutanasia praticata dal personale medico e sanitario in presenza di certe condizioni e alla non punibilità dello stesso viene in rilievo la materia "ordinamento civile e penale", di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, oggetto di competenza legislativa esclusiva statale. La parte riguardante la disciplina del consenso informato e delle dichiarazioni anticipate di trattamento investe invece sia la materia "tutela della salute", oggetto di competenza legislativa concorrente ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, sia la materia "ordinamento civile", riconducibile alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione |