Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari sociali | ||
Titolo: | L'istituzione non profit | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 25 | ||
Data: | 06/06/2013 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | XII-Affari sociali |
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L'istituzione non profit
6 giugno 2013
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Indice |
Quadro normativo dell'istituzione non profit| |
Quadro normativo dell'istituzione non profitPremessa
Per Istituzione non profit, privata o pubblica, si intende una unità giuridico-economica dotata o meno di personalità giuridica, di natura pubblica o privata, che produce beni e servizi destinabili o non destinabili alla vendita e che, in base alle leggi vigenti o a proprie norme statutarie, non ha facoltà di distribuire, anche indirettamente, profitti o altri guadagni diversi dalla remunerazione del lavoro prestato ai soggetti che la hanno istituita o ai soci. Costituiscono esempi di istituzione non profit privata: le associazioni, riconosciute e non riconosciute, le fondazioni, le organizzazioni non governative, le organizzazioni di volontariato, le cooperative sociali e le altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), i partiti politici, i sindacati, gli enti ecclesiastici (Annuario statistico italiano 2012, Istat). La presente scheda descrive i principali aspetti normativi e statistici riguardanti il settore non profit, tralasciando tuttavia l'esame del settore dei partiti politici, dei sindacati e degli enti ecclesiastici. I principali enti che compongono il mondo del non profit si differenziano sostanzialmente nella loro struttura, distinguendosi per tipologia e status giuridico. Oltre alle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), la cui regolamentazione e il cui regime fiscale sono dettati dal decreto legislativo n. 460/1997 (Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale), compongono questa vasta categoria le associazioni del volontariato, disciplinate dalla legge n. 266/1991 (Legge quadro sul volontariato), le cooperative sociali, di cui alla legge n. 381/1991 (Disciplina delle cooperative sociali),le fondazioni ex-bancarie, disciplinate dal decreto legislativo n. 153/1999 (Disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all'articolo 11, comma 1, del D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 356, e disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 dicembre 1998, n. 461) e le associazioni di promozione sociale, di cui alla legge 383/2000 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale). Per espressa previsione normativa sono inoltre considerate in ogni caso ONLUS:
A completamento del quadro sopra esposto va poi ricordato che la legge n. 118/2005 (Delega al Governo concernente la disciplina dell'impresa sociale) ha disciplinato un tipo particolare di impresa, definita "sociale", comprendente soggetti con differenti connotazioni giuridiche ma che svolgono la propria attività, anche imprenditoriale, al di fuori della logica del profitto propria del mercato. L'elemento unificante è rappresentato proprio dall'assenza di fine di lucro, vale a dire dalla mancata redistribuzione degli utili tra gli associati. In attuazione della delega è stato poi emanato il Decreto legislativo n. 155/2006 (Disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118). |
La disciplina generaleL'Associazionismo
L'art. 18 della Costituzione della Repubblica italiana recita: «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare». La struttura associativa di più larga diffusione in Italia è l'"associazione non riconosciuta" (disciplinata dagli articoli da 36 a 42 del codice civile): un gruppo di persone organizzato per il raggiungimento di uno scopo comune, che deve essere non lucrativo (altrimenti il fenomeno diventa indistinguibile da quello delle società di persone). L'associazione è "non riconosciuta" quando non ha richiesto (o ottenuto) il riconoscimento come persona giuridica. Gli accordi interni tra gli associati regolano i loro rapporti anche per quanto riguarda l'amministrazione dei beni comuni, che costituiscono il fondo comune dell'associazione, costituito dai contributi degli associati (e dai beni acquistati con tali contributi). Il fondo comune risulta, dunque, di comproprietà degli associati (nessuno dei quali, però, può chiedere la divisione, neppure in caso di recesso dall'associazione). Il fondo comune serve a soddisfare le pretese dei creditori dell'associazione (non di quelli dei singoli associati): tuttavia, per le obbligazioni dell'associazione rispondono anche, personalmente e solidalmente, coloro che hanno agito in suo nome e per suo conto (in pratica, gli amministratori, ovvero le persone designate dall'atto costitutivo). Le associazioni non riconosciute possono acquistare, per il tramite dei propri organi, beni di qualsiasi specie, mobili o immobili. L'art. 2 della Costituzione pone il principio di solidarietà tra i valori fondanti dell'ordinamento giuridico nazionale. La normativa di settore, che regola i soggetti attivi nel non profit, può essere ricostruita riferendosi a norme di carattere generale contenute nel Codice civile, in particolare nel Libro I per quanto riguarda le associazioni e le fondazioni, e nel Libro V per quanto riguarda le cooperative. Ulteriori disposizioni, di seguito indicate, regolamentano i diversi soggetti attivi nel settore non profit.
Il Riconoscimento Nell'intenzione del codice civile (artt. 36-42), l'associazione non riconosciuta avrebbe dovuto dar veste giuridica a realtà minori e di scarsa importanza sociale (circoli sportivi, ricreativi ecc.), mentre, al contrario, essa rappresenta la più usuale forma di presenza nel nostro ordinamento dei maggiori gruppi organizzati per fini non lucrativi: si pensi ai partiti politici ed ai sindacati. E' comunque sempre possibile che l'associazione chieda il riconoscimento della personalità giuridica, ai sensi del codice civile (artt. 14-35) e del DPR n. 361 del 2000 (Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto (n. 17 dell'allegato 1 della L. 15 marzo 1997, n. 59). Le persone giuridiche sono complessi organizzati di persone e di beni, rivolti ad uno scopo (lucrativo o non lucrativo) legalmente non vietato, ai quali la legge riconosce espressamente la qualifica di soggetti di diritto (a titolo esemplificativo: associazioni e fondazioni riconosciute, società), cioè enti dotati di capacità giuridica propria e distinti dalle persone fisiche che concorrono a formarli, con autonomia patrimoniale perfetta (anche il patrimonio dell'ente, cioè, rimane nettamente distinto dal patrimonio dei suoi componenti). Le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento (elemento formale) determinato dall'iscrizione nel registro delle persone giuridiche, istituito presso le regioni (se le persone giuridiche private operano nelle materie attribuite alla competenza regionale) e gli uffici territoriali del Governo (prefetti). La domanda per il riconoscimento di una persona giuridica, sottoscritta dal fondatore ovvero da coloro ai quali è conferita la rappresentanza dell'ente, è presentata all'Ufficio territoriale del Governo nella cui provincia è stabilita la sede dell'ente. Alla domanda vanno allegati la copia autentica dell'atto costitutivo e dello statuto. Ai fini del riconoscimento è necessario che siano state soddisfatte le condizioni previste dalla legge per la costituzione dell'ente, che lo scopo sia possibile e lecito e che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo. La consistenza del patrimonio deve essere dimostrata da idonea documentazione allegata alla domanda. Il prefetto provvede all'iscrizione entro 120 giorni dalla data di presentazione della domanda. Il riconoscimento delle fondazioni istituite per testamento può essere concesso dal prefetto, d'ufficio, in caso di ingiustificata inerzia del soggetto abilitato alla presentazione della domanda. |
Gli organismiLe Organizzazioni del Volontariato
La legge n. 266/1991 (L. 11 agosto 1991, 266, Legge quadro sul volontariato) definisce il volontariato come un'attività prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, anche indiretto, ed esclusivamente per fini di solidarietà. Al volontario possono essere soltanto rimborsate, dall'organizzazione di appartenenza, le spese effettivamente sostenute per l'attività prestata. La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l'organizzazione di cui fa parte. Le organizzazioni di volontariato possono assumere la forma giuridica che ritengono più adeguata al perseguimento dei loro fini, salvo il limite di compatibilità con lo scopo solidaristico, ma devono espressamente prevedere nell'atto costitutivo, accordo o statuto, l'assenza di fini di lucro, la democraticità della struttura, l'elettività e la gratuità delle cariche associative, nonché la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti, i criteri di ammissione e di esclusioni di questi ultimi e i loro diritti. Lavoratori dipendenti o prestazioni di lavoro autonomo sono possibili esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento. Le fonti da cui le organizzazioni possono trarre le risorse economiche necessarie al loro funzionamento sono i contributi degli aderenti, di privati, dello Stato, di organismi internazionali; eventuali donazioni e lasciti testamentari; i rimborsi derivanti da convenzioni e, infine, le entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali. La legge n. 266/1991 ha istituito registri regionali e provinciali.
Alla fine del 2003, le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri erano 21.021. Il settore prevalente di attività era l'assistenza sociale. Nel 2003 le risorse umane impegnate nel volontariato erano pari a circa 867 mila persone, di cui 826 mila volontari, 12 mila dipendenti, 13 mila collaboratori, 7 mila religiosi e 9 mila obiettori di coscienza. Sempre nel 2003 gli utenti delle organizzazioni di volontariato erano pari a 6,8 milioni (Istat, Le organizzazioni di volontariato in Italia, Anno 2003). Su una popolazione residente di riferimento (14 anni e oltre) pari a 52,2 milioni di persone, nel 2012, la percentuale di persone di 14 anni e oltre che partecipano a riunioni in associazioni culturali sono l'8,9 per cento, il 3,5 per cento sono quelle che svolgono attività gratuite in associazioni non di volontariato e il 9,7 per cento quelle che svolgono attività gratuite nell'ambito di associazioni di volontariato. Diminuisce, invece, la partecipazione in forma più indiretta, come il versare soldi ad una associazione. Essa coinvolge il 14,7 per cento delle persone di 14 anni e più (nel 2011 la quota era pari al 16,8 per cento). I fenomeni dell'associazionismo e del volontariato coinvolgono maggiormente i residenti nel Nord rispetto a quelli delle altre ripartizioni. Infatti, nel Nord l'11,3 per cento dei cittadini partecipa a riunioni di associazioni culturali, mentre nel Centro e nel Mezzogiorno tale quota scende rispettivamente al 7,7 per cento e al 6,5 per cento. Le attività di volontariato coinvolgono il 13,1 per cento dei cittadini di 14 anni e oltre che vivono al Nord, l'8,1 per cento di coloro che risiedono nel Centro ed il 6,0 per cento di quelli che vivono nel Mezzogiorno (Annuario statistico italiano 2012, Istat).
Le Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS)
Il D. Lgs. n. 460/1997 (Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale) regolamenta il settore del non profit secondo criteri di unitarietà e coordinamento in materia di normativa tributaria degli enti non commerciali, introducendo nell'ordinamento nazionale le organizzazione non lucrative di utilità sociale (ONLUS). Sono ONLUS: le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e gli altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica, i cui statuti o atti costitutivi prevedono espressamente lo svolgimento di attività in uno o più dei settori riferibili all'assistenza sociale e socio-sanitaria; all'assistenza sanitaria;alla beneficenza; all'istruzione; alla formazione; allo sport dilettantistico; alla tutela, promozione e valorizzazione delle cose d'interesse artistico e storico, della natura e dell'ambiente; alla promozione della cultura e dell'arte; alla tutela dei diritti civili; alla ricerca scientifica di particolare interesse sociale; all'esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale. Sono in ogni caso considerati ONLUS gli organismi di volontariato, le organizzazioni non governative e le cooperative sociali. Le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e gli altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica, se in possesso di determinati requisiti, possono usufruire di rilevanti agevolazioni fiscali e di un regime tributario agevolato per quanto riguarda le imposte sui redditi, l'Iva e le altre imposte indirette. Per beneficiare delle agevolazioni i soggetti interessati devono chiedere l'iscrizione all'Anagrafe unica delle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), presentando una comunicazione all'Agenzia delle Entrate. Tale adempimento non è richiesto alle cosiddette Onlus di diritto, ovvero alle organizzazioni di volontariato, alle Organizzazioni non governative (Ong) alle cooperative sociali ed ai i consorzi costituiti interamente da cooperative sociali.
L'Impresa sociale L'impresa sociale è un soggetto privato non a scopo di lucro, così come indicato dalla legge n. 118/2005 (Delega al Governo concernente la disciplina dell'impresa sociale) e dal D. Lgs. n. 155/2006 (Disciplina dell'impresa sociale, a norma della L. 13 giugno 2005, n. 118). La legge stabilisce che l'impresa sociale non può essere diretta o controllata da imprese private con finalità lucrative e da amministrazioni pubbliche, ha l'obbligo di reinvestire gli utili o gli avanzi di gestione nello svolgimento dell'attività istituzionale oppure per incrementare il patrimonio e ha il divieto di ridistribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitali, ad amministratori e a soci, partecipanti (persone fisiche o giuridiche), collaboratori o dipendenti, al fine di garantire in ogni caso il carattere non speculativo della partecipazione all'attività dell'impresa. L'oggetto sociale può riguardare ambiti quali l'assistenza sociale e quella sanitaria, l'educazione, la tutela dell'ambiente e la valorizzazione del patrimonio culturale. Possono acquisire il titolo di impresa sociale tutte le organizzazioni che esercitano attività d'impresa al fine dell'inserimento lavorativo di lavoratori svantaggiati oppure disabili, a patto che questi rappresentino almeno il 30% del personale. L'impresa sociale, così come le altre imprese, deve essere iscritta al Registro Imprese della Camere di Commercio.
Le Cooperative sociali La legge n. 381/1991 (Disciplina delle cooperative sociali) ne definisce le finalità, volte al perseguimento dell'interesse generale della comunità, alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini. Le cooperative sociali si distinguono in: cooperative che svolgono attività finalizzate all'offerta di servizi socio-sanitari ed educativi; cooperative rivolte all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate (attraverso lo svolgimento di attività agricole, industriali, commerciali o di servizi); cooperative ad oggetto misto e consorzi sociali, ovvero consorzi costituiti come cooperative, con base sociale formata in misura non inferiore al settanta per cento da cooperative sociali. Gli statuti delle cooperative sociali possono prevedere la presenza di soci volontari che prestano la loro attività gratuitamente. La legge n. 381/1991 istituisce registri regionali e provinciali. Alla fine del 2005 le cooperative sociali attive risultano 7.363 ed il settore di attività prevalente è quello riferibile allo sviluppo economico e coesione sociale, seguito dall'assistenza sociale. Nello stesso anno all'interno delle cooperative sociali operano 278.849 persone (Primo rapporto CNEL/ISTAT sull'economia sociale, 2008).
Le Fondazioni Le Fondazioni attive nel settore non profit hanno una propria fonte di reddito che deriva principalmente, ma non esclusivamente, da un patrimonio, sono dotate di un organo di autogoverno ed utilizzano le proprie risorse finanziarie per scopo educativi, culturali, sociali o altri fini di pubblica utilità, sia sostenendo direttamente persone ed associazioni, sia organizzando e gestendo i propri programmi. L'ultima rilevazione delle Fondazioni attive nel settore nonprofit è stata attuata sulla base di una rilevazione compiuta nei registri provinciali e regionali delle persone giuridiche, nell'archivio statistico delle imprese (ASIA) e in quello dei sostituti d'imposta. Le fondazioni attive alla fine del 2005 erano 4.720. In quell'anno, presso le fondazioni, lavoravano 106 mila lavoratori retribuiti e 50 mila non retribuiti. Il settore più diffuso era la filantropia, seguito dall'istruzione e ricerca e dalla cultura (Primo rapporto CNEL/ISTAT sull'economia sociale, 2008).
Le Organizzazioni non governative (ONG)
Il termine ONG indica una qualsiasi organizzazione che non sia stata creata da un governo e che sia impegnata, senza alcun scopo di lucro, nel settore della solidarietà sociale e della cooperazione allo sviluppo in favore delle popolazioni del terzo mondo con l'obbligo di destinare ogni provento, anche derivante da attività commerciali accessorie o da altre forme di autofinanziamento, per i fini istituzionali sopra descritti. La definizione è recata dalla legge n. 49/1987 (Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo), che stabilisce anche che le ONG ottengano l'idoneità dal Ministero degli Affari Esteri. Al 2007 le ONG ritenute idonee sono 239 ed impegnano 27.000 mila persone, di cui 12.500 volontari e 11.500 dipendenti (Primo rapporto CNEL/ISTAT sull'economia sociale, 2008).
Le Associazioni di promozione sociale
Sono considerate associazioni di promozione sociale le associazioni riconosciute e non riconosciute, i movimenti, i gruppi e i loro coordinamenti o federazioni costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro. La legge n. 383/2000 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale) che ne reca la definizione, esclude da questa tipologia associativa, i partiti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni dei datori di lavoro, le associazioni professionali e di categoria e tutte le associazioni che hanno come finalità la tutela esclusiva di interessi economici degli associati. Nello statuto deve essere espressamente indicata l'attribuzione della rappresentanza legale dell'associazione, l'assenza di fini di lucro e la previsione che i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi fra gli associati, anche in forme indirette, l'obbligo di reinvestire l'eventuale avanzo di gestione a favore di attività istituzionali, le norme sull'ordinamento interno ispirato a principi di democrazia e di uguaglianza dei diritti di tutti gli associati, con la previsione dell'elettività delle cariche associative. La legge n. 383/2000 istituisce anche un Registro nazionale presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali a cui possono iscriversi le APS operanti in almeno cinque regioni. |
Il Trattamento fiscaleL'ordinamento italiano riconosce un trattamento fiscale specifico (e in determinati casi agevolato) per gli enti di tipo associativo in presenza dei requisiti richiesti dalla normativa tributaria. Per quanto concerne le imposte dirette, l'articolo 148 del Testo Unico delle Imposte sui redditi (D.P.R. n. 917/1986) prevede che le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo: l'attività svolta dagli enti associativi verso gli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, non è infatti considerata commerciale purché non siano previsti corrispettivi specifici.
Sono poi previste norme specifiche per talune tipologie di enti associativi: a titolo esemplificativo, per talune associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, non sono commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, di altre associazioni svolgenti la medesima attività e facenti parte di un'unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati.
Per quanto invece riguarda l'IVA, l'articolo 4 del D.P.R. n. 633 del 1972 definisce a fini fiscali l'esercizio dell'attività di impresa, considerando tra l'altro attività d'impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da enti pubblici e privati - compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica - che abbiano per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole; laddove tali soggetti non abbiano come oggetto esclusivo o prevalente l'esercizio di attività commerciali o agricole, sono considerate compiute nell'esercizio d'impresa solo le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell'esercizio di quest'ultime attività. La disciplina recata in tale articolo per gli enti associativi ricalca essenzialmente quella, sopra commentata, prevista nel T.U.I.R..
Alcuni enti associativi (tra cui le associazioni, le pro-loco, le associazioni bandistiche, filodrammatiche etc.) costituite senza fini di lucro e che hanno conseguito proventi da attività commerciali per somme pari o inferiori a 250.000 euro possono optare per l'applicazione del regime forfettario a fini IRES e IVA: sono applicate dunque disposizioni agevolative per la determinazione del reddito imponibile, per l'applicazione dell'IVA e per quanto concerne l'obbligo di tenuta di scritture contabili.
Un particolare trattamento fiscale di vantaggio è riservato dall'ordinamento alle ONLUS - Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale. Per quanto concerne le imposte dirette, non costituisce esercizio di attività commerciale lo svolgimento di attività istituzionali nel perseguimento di esclusive finalità solidaristiche. Inoltre, non fanno parte del reddito imponibile i proventi che derivano dall'esercizio di attività direttamente connesse a quelle istituzionali (ovvero funzionali allo svolgimento di queste ultime). Per quanto concerne l'IVA, nello svolgimento di attività istituzionali e di attività connesse, le ONLUS possono effettuare cessioni di beni o prestazioni di servizi dietro corrispettivi, assoggettando a IVA le attività qualificabili come commerciali (indipendentemente dalla classificazione operata ai fini delle imposte sui redditi); per queste ultime, la ONLUS deve rispettare le regole ordinarie in materia di adempimenti connessi all'IVA, tranne l'obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante ricevuta o scontrino fiscale per le attività istituzionali (ai sensi dell'articolo 15 del D. Lgs. n. 460/1997). Altre attività svolte dalle ONLUS e considerate di particolare rilevanza sociale sono operazioni esenti da IVA. Ne consegue che l'ente, ancorché non sia tenuto ad applicare l'imposta, debba comunque svolgere gli adempimenti in materia di fatturazione / registrazione / dichiarazione. Da ultimo, il D.L. n. 185/2008 (articolo 30, commi da 5-bis a 5-quater) ha introdotto agevolazioni fiscali in favore delle ONLUS relative alle imposte catastali, disponendo in particolare l'applicazione dell'imposta catastale in misura fissa, per un importo pari a 168 euro, ad alcuni trasferimenti in favore delle ONLUS, alle condizioni di legge. |
Il Finanziamento statale del VolontariatoLo Stato interviene a sostegno delle associazioni che operano nei settori sociali e di ricerca attraverso un apposito intervento legislativo finalizzato a destinare loro il 5 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche sulla base delle scelte dei contribuenti.
L'istituto del 5 per mille è stato introdotto, a titolo iniziale e sperimentale, dall'articolo 1, comma 337, della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006), il quale ha previsto l'istituzione di un apposito Fondo nel quale far confluire una quota, annualmente autorizzata, ai fini del riparto del 5 per mille dell'imposta sul reddito ai soggetti autorizzati a partecipare al riparto. L'istituto del 5 per mille è stato poi rinnovato negli esercizi finanziari successivi fino all'attuale (Art. 33, co. 11, della legge n. 183/2011 - Legge di stabilità 2012), pur senza l'indicazione di alcuno stanziamento.
Le categorie di enti che posso accedere al beneficio, sono in particolare:
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La normativaLegge quadro sul Volontariato - legge 11 agosto 1991, n. 266
La legge quadro sul volontariato è finalizzata a stabilire norme di garanzia, uniformi su tutto il territorio, per le organizzazioni di volontariato, per le istituzioni pubbliche che entrino in rapporto con esse, e per gli utenti. La legge è volta altresì alla regolamentazione dell'attività delle autorità regionali e locali in relazione al fenomeno del volontariato. L'articolo 1, nel riconoscere il valore sociale del volontariato e la funzione dello stesso come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, ne promuove l'apporto originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuate dallo Stato. Lo stesso articolo precisa, inoltre, che la legge stabilisce i principi ed i criteri generali cui le regioni e le province autonome devono attenersi nel disciplinare i rapporti fra le istituzioni pubbliche e le organizzazioni di volontariato. L'attività di volontariato (articolo 2) è prestata in maniera personale, spontanea e gratuita, e senza fini di lucro, quindi esclusivamente per fini di solidarietà; al singolo volontario, di conseguenza, possono essere solo rimborsate le spese sostenute nella sua attività, entro limiti stabiliti dalla sua associazione. L'organizzazione di volontariato, definita (articolo 3) come un organismo liberamente costituito per svolgere le attività di volontariato, svolge la sua attività avvalendosi in modo prevalente di prestazioni volontarie e gratuite dei suoi membri. Gli aderenti all'organizzazione devono essere assicurati contro gli infortuni e per la responsabilità civile verso terzi: all'articolo 4 sono garantiti meccanismi assicurativi semplificati a favore di coloro che aderiscono alle associazioni di volontariato. L'articolo 5 detta norme in merito ai canali di finanziamento delle organizzazioni di volontariato, individuando nel dettaglio le risorse economiche di cui esse possono avvalersi. Alle regioni è demandata l'istituzione e la tenuta dei registri generali delle associazioni di volontariato (articolo 6). L'iscrizione all'albo è condizione necessaria per accedere ai benefici pubblici, alla stipula di convenzioni, alla concessione delle agevolazioni fiscali. I registri provinciali e regionali devono essere inviati ogni anno all'Osservatorio nazionale per il volontariato (vedi infra, l'articolo 12). L'articolo 7 stabilisce che lo Stato, le regioni e le province autonome, gli enti locali e gli altri enti pubblici possano stipulare convenzioni con le organizzazioni di volontariato iscritte da almeno sei mesi nei registri di cui sopra e che dimostrino "attitudine e capacità operativa"; gli articoli 8 e 9 dettano norme finalizzate alle agevolazioni fiscali per le organizzazioni di volontariato. Le regioni, nella propria attività legislativa, devono comunque salvaguardare l'autonomia di organizzazione e di iniziativa del volontariato, nonché garantirne lo sviluppo (articolo 10). L'Osservatorio nazionale per il volontariato, di cui all'articolo 12, risulta presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che si avvale del personale, dei mezzi e dei servizi messi a disposizione dal Ministero stesso. Tale osservatorio, composto da dieci rappresentanti delle organizzazioni di volontariato, da due esperti e da tre membri delle organizzazioni sindacali più rappresentative (L'Osservatorio è individuato nella sua attuale composizione con D.M. del 9 dicembre 2010), svolge, in particolare, i seguenti compiti:
Lo stesso articolo istituisce, altresì, il Fondo per il volontariato. All'articolo 15 si fa carico, tra l'altro, alle Casse di risparmio di destinare una somma, non inferiore ad un quindicesimo dei propri proventi netti, alla costituzione di fondi speciali presso le regioni finalizzati alla realizzazione di centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato. L'articolo 16 prevede che le regioni a statuto ordinario provvedano entro un anno dall'approvazione della legge ad emanare o adeguare le proprie normative ai principi della legge stessa. L'articolo 17, infine, attesta il diritto dei lavoratori aderenti ad organizzazioni di volontariato di usufruire delle forme di flessibilità di orario di lavoro o delle turnazioni previste dai contratti o dagli accordi collettivi, compatibilmente con l'organizzazione aziendale.
Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) - Il decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460 Il decreto legislativo n. 460 del 1997 ha disposto il riordino della normativa degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale. In particolare, il comma 1 dell'articolo 10 definisce le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), come le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e gli altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica, che, a fini di solidarietà sociale, svolgono attività in uno o più dei settori di seguito indicati, con divieto di svolgere attività diverse ad eccezione di quelle ad esse direttamente connesse:
Ai sensi del comma 8 dell'articolo 10 citato, sono inoltre considerate ONLUS (c.d. "Onlus di diritto"):
In base al comma 9 dell'articolo 10, sono inoltre ricompresi tra le Onlus gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, e le associazioni di promozione sociale comprese tra gli enti di cui all'articolo 3, comma 6, lettera e), della legge 25 agosto 1991, n. 287, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell'interno, limitatamente all'esercizio delle attività elencate dal comma 1 dello stesso articolo 10. Agli enti che intendono qualificarsi come ONLUS sono posti inoltre i seguenti vincoli:
L'impresa sociale - legge 13 giugno 2005, n. 118 e decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155
Allo scopo di fornire una sistemazione organica, sotto il profilo civilistico, al variegato mondo delle organizzazioni con finalità non lucrative, il cosiddetto no-profit, con la legge 13 giugno 2005, n. 118, è stata conferita al Governo una delega per l'emanazione di una nuova disciplina dell'impresa sociale. Il provvedimento si è reso necessario per il notevole incremento delle ONLUS, fenomeno che ha contribuito in maniera considerevole allo sviluppo di un nuovo tipo di imprenditorialità, che riveste un ruolo importante non solamente per le implicazioni sociali, ma anche per le ricadute economiche ed occupazionali. Nonostante la copiosa normativa in materia sociale, prima di tale intervento legislativo, tutta la disciplina degli enti privati rimaneva circoscritta entro la rigida distinzione tracciata dal codice civile già dal 1942 tra enti del libro I (associazioni con o senza personalità giuridica, fondazioni e comitati) senza fini di lucro ed enti del libro V (società lucrative e cooperative), finalizzati alla produzione di beni e servizi in funzione meramente lucrativa o di mutualità interna. Da qui la necessità di una riforma complessiva del fenomeno dell'imprenditorialità sociale. La legge n. 118/2005, recuperando alcuni aspetti presenti nella disciplina speciale, ha previsto quindi una definizione di impresa sociale applicabile trasversalmente ad enti del libro I e del libro V del codice, delineandone la relativa disciplina. In attuazione della citata delega, il Governo ha, quindi, emanato il decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155 (Disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118). Il decreto ha fornito, anzitutto, la nozione di impresa di utilità sociale, riprendendola testualmente da quella della legge delega, che fa riferimento a quelle organizzazioni private senza scopo di lucro che esercitano in via stabile e principale un'attività economica organizzata di produzione e scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale. Sono escluse dal novero di impresa sociale le amministrazioni pubbliche di cui al TU sul pubblico impiego (D. Lgs n. 165/2001) e le organizzazioni i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l'erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci, associati o partecipi. In ossequio ad una specifica indicazione della legge delega è poi stabilita una specifica disciplina per gli enti ecclesiastici e gli enti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, che rimette ad uno specifico regolamento, adottato in forma di scrittura privata autenticata, il recepimento delle norme del provvedimento relative allo svolgimento delle attività di utilità sociale. Il decreto legislativo stabilisce i settori nei quali i beni e servizi prodotti o scambiati possano essere considerati di utilità sociale:
E' poi stabilito che, indipendentemente dai propri settori di attività, possano essere considerate imprese sociali anche quelle che inseriscano nel loro organico una quota non inferiore al 30 per cento di lavoratori svantaggiati e disabili. Il D. Lgs n. 155 del 2006 stabilisce regole certe anche per quanto concerne il personale che viene impiegato nelle imprese sociali, ad esempio, prevedendo che non possa ricevere un compenso inferiore ed un trattamento diverso da quello previsto dai contratti e accordi collettivi applicabili e che debba avere il diritto di consultazione, informazione e partecipazione, secondo quanto previsto dai regolamenti aziendali. E' specificato inoltre che, salvo che per gli enti ecclesiastici e agli enti delle confessioni religiose sopraccitati, nelle imprese non profit possono lavorare dei volontari a qualunque titolo, in misura, però, non superiore al 50 per cento. Il provvedimento individua i requisiti che devono caratterizzare un'impresa sociale: costituzione con atto pubblico, che deve in particolare indicare l'assenza dello scopo di lucro e l'oggetto sociale dell'impresa; uso obbligatorio, nella denominazione, della locuzione "impresa sociale"; l'ottenimento di oltre il 70 per cento dei ricavi dalla sua attività principale (l'attività economica destinata alla realizzazione di interessi di utilità generale); l'incondizionato divieto di distribuzione di utili ed avanzi di gestione (che dovranno essere destinati allo svolgimento dell'attività statutaria o ad incremento del patrimonio), la redazione del bilancio sociale e la previsione di forme di coinvolgimento e di partecipazione dei lavoratori e dei destinatari delle attività. Specifiche disposizioni sono dettate in merito alla struttura proprietaria ed alla disciplina dei gruppi di imprese sociali volte a garantire la trasparenza della gestione e ad impedire il controllo di queste ultime da parte di soggetti privati o pubbliche amministrazioni, enti ed aziende equiparate. Oltre alla conferma delle agevolazioni fiscali in favore delle ONLUS che si trasformino in imprese sociali – peraltro sottoposte alla potestà ispettiva e sanzionatoria del Ministero del lavoro e delle politiche sociali - un'ulteriore facilitazione riguarda la responsabilità patrimoniale: è, infatti, stabilito che "nelle organizzazioni che esercitano un'impresa sociale il cui patrimonio è superiore a 20.000 euro, dal momento della iscrizione nella apposita sezione del registro delle imprese, delle obbligazioni assunte risponde soltanto l'organizzazione con il suo patrimonio"; se sopravvengono, però, delle perdite che provocano una diminuzione del patrimonio di oltre un terzo rispetto ai 20.000 euro di riferimento, delle obbligazioni assunte rispondono personalmente e solidalmente anche coloro che hanno agito in nome e per conto dell'impresa. In caso di insolvenza, le organizzazioni che esercitano un'impresa sociale sono assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa. Sia da tale disciplina che da quella sopraccitata relativa alla responsabilità patrimoniale sono esclusi gli enti ecclesiastici e gli enti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese.
Le cooperative sociali - legge 8 novembre 1991, n. 381 La legge 8 novembre 1991, n. 381 disciplina, all'articolo 1, comma 1, un particolare tipo di cooperazione, quella cosiddetta sociale. Le cooperative sociali in questione hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini e possono organizzarsi secondo due moduli distinti finalizzati rispettivamente:
L'articolo 2 prevede che gli statuti delle cooperative sociali possono prevedere la presenza di soci volontari che prestino la loro attività gratuitamente; a tali soci non si applicano i contratti collettivi e le norme di legge in materia di lavoro subordinato ed autonomo, ad eccezione delle norme in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Alle cooperative sociali si applica la disciplina di cui all'articolo 26 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577 , ratificato, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 1951, n. 302, e successive modificazioni, che prevede l'inserimento nello statuto di specifiche clausole relative ai requisiti mutualistici L'articolo 26 del citato provvedimento stabilisce che agli effetti tributari si presume la sussistenza dei requisiti mutualistici quando negli statuti delle cooperative siano contenute le seguenti clausole: a) divieto di distribuzione dei dividendi superiori alla ragione dell'interesse legale ragguagliato al capitale effettivamente versato; b) divieto di distribuzione delle riserve tra i soci durante la vita sociale; c) devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell'intero patrimonio sociale a scopi di pubblica utilità conformi allo spirito mutualistico.
Rilevante è la disposizione di cui all'articolo 4 concernente le persone svantaggiate che operano nelle cooperative di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b). In particolare, si considerano persone svantaggiate gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, le persone detenute o internate negli istituti penitenziari, i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all'esterno ai sensi dell'articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni. E' rimesso, inoltre, ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, l'individuazione di ulteriori soggetti da considerare persone svantaggiate, che devono rappresentare almeno il trenta per cento dei lavoratori della cooperativa e, compatibilmente con il loro stato soggettivo, essere soci della cooperativa stessa. Ai sensi dell'articolo 5, gli enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, possono stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono le attività di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), ovvero con analoghi organismi aventi sede negli altri Stati membri dell'Unione Europea, per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate di cui all'articolo 4, comma 1. Per la stipula delle suddette convenzioni le cooperative sociali debbono risultare iscritte in un apposito albo regionale (vedi infra). Gli analoghi organismi aventi sede negli altri Stati UE debbono essere in possesso di requisiti equivalenti a quelli richiesti per l'iscrizione a tale albo e risultare iscritti in specifiche liste regionali, ovvero dare dimostrazione con idonea documentazione del possesso dei requisiti stessi. Le regioni rendono noti annualmente, attraverso la pubblicazione nella GUCE, i requisiti e le condizioni richiesti per la stipula delle convenzioni, nonché le liste regionali degli organismi che ne abbiano dimostrato il possesso alle competenti autorità regionali. Per le forniture di beni o servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, il cui importo stimato al netto dell'IVA sia pari o superiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, gli enti pubblici compresi quelli economici, nonché le società di capitali a partecipazione pubblica, nei bandi di gara di appalto e nei capitolati d'onere possono inserire, fra le condizioni di esecuzione, l'obbligo di eseguire il contratto con l'impiego delle persone svantaggiate, e con l'adozione di specifici programmi di recupero e inserimento lavorativo. La verifica della capacità di adempiere agli obblighi suddetti non può intervenire nel corso delle procedure di gara e comunque prima dell'aggiudicazione dell'appalto. L'articolo 7 disciplina i profili tributari relativi all'attività delle cooperative sociali, prevedendo anche specifiche riduzioni di imposta. Ai sensi dell'articolo 8, le disposizioni dettate dalla legge trovano applicazione anche nei confronti dei consorzi costituiti come società cooperative, aventi la base sociale formata in misura non inferiore al settanta per cento da cooperative sociali. In attuazione della legge in esame, le regioni istituiscono l'albo regionale delle cooperative sociali e determinano le modalità di raccordo con l'attività dei servizi socio-sanitari, nonché con le attività di formazione professionale e di sviluppo della occupazione. Le stesse regioni adottano convenzioni-tipo per i rapporti tra le cooperative sociali e le amministrazioni pubbliche che operano nell'ambito della regione, prevedendo, in particolare, i requisiti di professionalità degli operatori e l'applicazione delle norme contrattuali vigenti. Le regioni emanano altresì norme volte alla promozione, al sostegno e allo sviluppo della cooperazione sociale (articolo 9). Una peculiare disciplina concerne la partecipazione delle persone giuridiche alle cooperative sociali: possono acquisire, infatti, la qualità di socio delle cooperative sociali persone giuridiche pubbliche o private nei cui statuti sia previsto il finanziamento e lo sviluppo delle attività proprie di tali cooperative (articolo 11).
Le Fondazioni bancarie - legge 30 luglio 1990, n. 218 e decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153
Sotto la spinta esercitata dal diritto comunitario - L'esigenza derivante dal diritto comunitario riguarda, in particolare, l'attuazione della libertà di stabilimento e della despecializzazione bancaria -, con la legge 30 luglio 1990, n. 218 (Disposizioni in materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli istituti di credito di diritto pubblico) (a cui hanno dato seguito diversi decreti legislativi, in particolare, il D. Lgs. 20 novembre 1990, n. 356) si è compiuta, nell'ambito della riorganizzazione degli Istituti di credito e delle Casse di risparmio, una netta distinzione tra attività bancaria ed attività a carattere sociale e solidaristico. Si sono pertanto distinti i soggetti che esercitano l'una da quelli che praticano l'altra, ossia le fondazioni bancarie. Queste ultime, cessando di svolgere attività creditizia, raccolgono fondi da destinare al non profit, dismettendo, al contempo, la gestione dei pacchetti azionari di maggioranza nelle società bancarie. La scelta di utilizzare il modello "fondazione" si spiega per la necessità di creare un ente destinato a durare nel tempo e per l'esigenza di scinderlo dalla banca, dotandolo di un proprio patrimonio. Le Casse di Risparmio, quindi, hanno provveduto a conferire l'azienda bancaria ad una nuova apposita entità giuridica (Cassa di Risparmio Spa) per assumere la qualificazione di Ente conferente (poi denominato Fondazione) al quale sono state assegnate le finalità di interesse pubblico e di utilità sociale, già previste negli statuti delle Casse di risparmio. Il decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 disciplina le fondazione bancarie, chiarendone la natura e l'attività. Esse vengono definite come persone giuridiche private senza fine di lucro, che perseguono in via esclusiva scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico. Le fondazioni possono esercitare attività d'impresa, solo se ciò risulta strumentale al perseguimento dei fini statutari, mentre è loro preclusa l'attività creditizia nonché quella di finanziamento o sovvenzione di enti con scopo di lucro o di qualunque impresa, ad eccezione delle imprese strumentali e delle cooperative sociali. Per quanto riguarda l'assetto organizzativo, gli statuti delle fondazioni devono prevedere organi distinti per l'esercizio delle funzioni di indirizzo, di amministrazione e di controllo. Infine, il loro patrimonio deve essere vincolato al perseguimento degli scopi statutari.
Le organizzazioni non governative (ONG) nel quadro della cooperazione internazionale allo sviluppo - legge 26 febbraio 1987, n. 49 Il fenomeno delle ONG (Organizzazioni non governative) è antecedente alla sistemazione normativa delle attività di cooperazione allo sviluppo dell'Italia, operata, da ultimo, dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49 (Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo); già dall'inizio degli anni Sessanta, infatti, l'esigenza di dare risposta ai bisogni principali delle popolazioni dei paesi meno avanzati ha determinato la nascita di associazioni spontanee di volontari. Per quanto concerne gli aspetti più propriamente normativi, la citata legge n. 49/1987 riconosce il ruolo delle ONG già all'art. 2, ove ricomprende, tra le attività di cooperazione, anche il supporto all'azione di ONG idonee. All'articolo 5, poi, le iniziative proposte dalle ONG, con adeguata motivazione rispetto al loro carattere umanitario, possono essere eccezionalmente ammesse ai benefici previsti dalla legge stessa, anche in mancanza di richieste dei Paesi interessati. Il successivo articolo 8, delineando la composizione del Comitato consultivo per la cooperazione allo sviluppo, vi include cinque membri designati dalle ONG riconosciute idonee. Il medesimo articolo prevede l'istituzione di una Commissione per le organizzazioni non governative, cui compete l'espressione di pareri obbligatori sulle pertinenti questioni, nonché una collaborazione con la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo per tutto ciò che concerne le ONG, le loro attività e i cooperanti e volontari da esse impiegati. L'articolo 11 annovera tra gli interventi straordinari - l'articolo 1 definisce tali interventi come "interventi straordinari destinati a fronteggiare casi di calamità e situazioni di denutrizione e di carenze igienico-sanitarie che minacciano la sopravvivenza delle popolazioni" -, rientranti nelle attività di cooperazione allo sviluppo, anche l'utilizzazione di ONG riconosciute idonee, tanto in via diretta quanto mediante il finanziamento di programmi da esse elaborati e concordati con la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo. L'articolo 28 è dedicato espressamente al riconoscimento di idoneità delle ONG, dal quale derivano gli effetti previsti dall'articolo 29. In base all'articolo 28, l'idoneità viene riconosciuta alle ONG operanti nel campo della cooperazione allo sviluppo con decreto del Ministro degli affari esteri, sentito il parere della sopra citata Commissione per le organizzazioni non governative. L'idoneità può essere concessa in relazione a programmi di intervento nei Paesi in via di sviluppo, oppure per la selezione, addestramento e utilizzazione di volontari che espletino il servizio civile, ovvero per la formazione in loco di cittadini di PVS o per attività correlate all'educazione allo sviluppo. L'idoneità - anche attività in più di uno dei settori elencati - viene riconosciuta a determinate condizioni, elencate dal comma 4 dell'art. 28. Le organizzazioni sono riconosciute idonee purché esse: a) risultino costituite ai sensi della legislazione nazionale di uno Stato membro dell'Unione europea o di altro Stato aderente all'Accordo sullo Spazio economico europeo; b) abbiano come fine istituzionale quello di svolgere attività di cooperazione allo sviluppo, in favore delle popolazioni del terzo mondo; c) non perseguano finalità di lucro; d) non abbiano rapporti di dipendenza da enti con finalità di lucro; e) diano adeguate garanzie in ordine alla realizzazione delle attività previste, disponendo anche delle strutture e del personale qualificato necessari; f) documentino esperienza operativa e capacità organizzativa di almeno tre anni nel settore per cui si richiede il riconoscimento di idoneità; g) accettino controlli periodici all'uopo stabiliti dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo; h) presentino i bilanci analitici relativi all'ultimo triennio e documentino la tenuta della contabilità; i) si obblighino alla presentazione di una relazione annuale sullo stato di avanzamento dei programmi in corso.
L'articolo 31 detta norme in materia di volontari in servizio civile: agli effetti della legge in materia di cooperazione allo sviluppo, sono considerati volontari in servizio civile i cittadini italiani maggiorenni che, in possesso dei necessari requisiti, prescindendo da fini di lucro e nella ricerca prioritaria dei valori di solidarietà e della cooperazione internazionale, abbiano stipulato un contratto di cooperazione della durata di almeno due anni. La stessa disposizione disciplina il contenuto di tali contratti e i relativi profili previdenziali ed assistenziali. La legge prevede altresì la facoltà delle organizzazioni non governative idonee di impiegare nell'ambito dei programmi di cooperazione allo sviluppo cittadini italiani maggiorenni in possesso delle conoscenze e dell'esperienza professionale necessarie, che si siano impegnati a svolgere attività di lavoro autonomo nei Paesi in via di sviluppo con un contratto di cooperazione, di durata inferiore a due anni, per l'espletamento di compiti di rilevante responsabilità tecnica gestionale e organizzativa (articolo 32). Infine, gli articoli 33 e 34 disciplinano lo status dei volontari e dei cooperanti, nonché i relativi diritti e doveri (quale il divieto di intrattenere con le organizzazioni non governative rapporti di lavoro subordinato). I benefici riconosciuti ai volontari e cooperanti attengono al collocamento in aspettativa senza assegni, se dipendenti di ruolo o non di ruolo da amministrazioni statali o da enti pubblici, al riconoscimento del servizio prestato nei Paesi in via di sviluppo, alla conservazione del proprio posto di lavoro, qualora beneficino del rinvio del servizio militare ai sensi della legge in esame.
Le associazioni di promozione sociale - legge 7 dicembre 2000, n. 383
La legge 7 dicembre 2000, n. 383 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale) opera il riconoscimento delle associazioni di promozione sociale e ne disciplina la costituzione, stabilendo i principi cui Regioni e province autonome si devono attenere nel disciplinare i rapporti tra istituzioni pubbliche e associazioni, nonché i criteri cui dovranno uniformarsi le amministrazioni statali e gli enti locali negli stessi rapporti. L'articolo 1 detta le regole fondamentali per la valorizzazione dell'associazionismo di promozione sociale e ne promuove lo sviluppo. Sono considerate associazioni di promozione sociale quelle riconosciute e non riconosciute, i movimenti e i gruppi purché svolgano attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza scopo di lucro e garantendo il rispetto della libertà degli associati. Si esclude espressamente che rientrino nella categoria i partiti politici, le organizzazioni sindacali e professionali; sono inoltre esclusi i circoli privati e le associazioni che pongano limitazioni con riferimento alle condizioni economiche degli associati o discriminazioni in relazione all'ammissione dei medesimi (articolo 2). Nel definire le modalità di costituzione delle associazioni di promozione sociale (articolo 3), la legge specifica il contenuto necessario minimo dello statuto: di particolare rilievo, l'espressa dichiarazione di assenza di fini di lucro, intesa come divieto di distribuzione degli utili tra gli associati, e l'obbligo di reinvestire in attività istituzionali statuariamente previste l'eventuale avanzo di gestione. La legge individua una pluralità di fonti da cui trarre le risorse economiche necessarie per il funzionamento e lo svolgimento delle attività associative (articolo 4). L'articolo 7 dispone inoltre l'istituzione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali di un registro nazionale delle associazioni di promozione sociale a carattere nazionale. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano istituiscono, inoltre, registri su scala regionale e provinciale. La legge rinvia ad apposito regolamento del suddetto Ministero (In attuazione di quanto disposto, vedi il decreto ministeriale 14 novembre 2001, n. 471, recante Regolamento recante Norme circa l'iscrizione e la cancellazione delle associazioni a carattere nazionale nel Registro nazionale delle associazioni di promozione sociale, a norma dell'articolo 8, comma 1, della legge 7 dicembre 2000, n. 383) e alla potestà legislativa regionale per la disciplina dei relativi procedimenti di iscrizione e di cancellazione; l'iscrizione non costituisce un obbligo, ma è condizione necessaria, per stipulare convenzioni con enti pubblici e per usufruire dei benefici previsti dalla legge (articolo 8). Vengono altresì disciplinate le modalità dei ricorsi, in via amministrativa e giurisdizionale, avverso i provvedimenti relativi all'iscrizione e alla cancellazione dai registri (articolo 9). Gli articoli 11 e 12 disciplinano l'istituzione e le funzioni di un Osservatorio nazionale dell'associazionismo, composto da 26 membri (rappresentanti di associazioni ed esperti), con sede presso del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con le seguenti competenze: assistenza nella tenuta e nell'aggiornamento del registro nazionale; promozione di studi e ricerche; pubblicazione di un rapporto biennale sul fenomeno associativo; sostegno delle iniziative di formazione e di aggiornamento nonché di progetti di informatizzazione; pubblicazione di un bollettino periodico di informazione;approvazione di progetti sperimentali finalizzati a fronteggiare particolari emergenze sociali e a favorire metodologie di intervento particolarmente avanzate; promozione di scambi e forme di collaborazione fra le associazioni di promozione sociale italiane e straniere; organizzazione di una conferenza nazionale sull'associazionismo; esame dei messaggi di utilità sociale. Presso lo stesso Dipartimento è istituito un Fondo (articolo 13) per il finanziamento di specifici progetti di sostegno economico all'associazionismo - in particolare, le risorse di tale fondo risultano confluite nelle disponibilità finanziare del Fondo nazionale per le politiche sociali. L'Osservatorio nazionale si avvale della collaborazione dell'ISTAT (articolo 15) e dell'Osservatorio nazionale per il volontariato (articolo 16); è da rilevare che insieme a quest'ultimo designa, in base alla legge, dieci membri del CNEL (articolo 17). Le regioni istituiscono, inoltre, propri Osservatori regionali (articolo 14). La legge individua, poi, una pluralità di agevolazioni per le associazioni di promozione sociale iscritte nei registri e per i propri aderenti; questi ultimi, ad esempio, per poter espletare le attività istituzionali svolte anche in base alle convenzioni con enti pubblici, hanno diritto ad usufruire di forme di flessibilità nell'orario di lavoro (articolo 19).
Sotto il profilo fiscale sono previste forme di detrazione e di deducibilità per le erogazioni liberali in denaro a favore delle associazioni di promozione sociale iscritte nei registri (articolo 22). Inoltre, si dà facoltà agli enti locali di deliberare riduzioni sui tributi di propria competenza per le suddette associazioni (articolo 23) e si prevedono forme di accesso agevolato al credito e di privilegio sui beni mobili dei debitori (articolo 24), nonché facilitazioni di accesso ai finanziamenti comunitari, specie del Fondo sociale europeo (articolo 28). La legge prevede, tra l'altro, una serie di norme volte a facilitare l'attività delle associazioni di promozione sociale. Tra queste, si ricorda quella contenuta nell'articolo 25, in base al quale la Presidenza del Consiglio dei ministri trasmette alla società concessionaria di pubblico servizio radiotelevisivo i messaggi di utilità sociale ricevuti dall'Osservatorio. Negli articoli 26 e 27, si riconosce alle associazioni di promozione sociale il diritto di accesso ai documenti amministrativi, nonché la legittimazione attiva in giudizio a tutela degli interessi sociali e collettivi e il potere di intervento nei procedimenti amministrativi. L'articolo 30 prevede la possibilità per gli enti pubblici di stipulare convenzioni con le associazioni di promozione sociale iscritte nei registri da almeno sei mesi, per lo svolgimento delle attività previste dallo statuto verso terzi, fatta salvo, in ogni caso, la puntuale verifica delle prestazioni erogate. Sono previste, infine, facilitazioni per l'utilizzo di strutture degli enti pubblici, anche per lo svolgimento di iniziative e manifestazioni, e si autorizzano le associazioni in questione ad esercitare attività turistiche e ricettive per gli associati (articoli 31 e 32).
L'Agenzia per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale - Agenzia per il terzo settore - legge 23 dicembre 1996, n. 662
Il legislatore ha previsto sin dal 1996 - Cfr. Legge 23 dicembre 1996 n. 662, articolo 3, comma 190 e seguenti - un'Agenzia per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, correntemente denominata "Authority del Terzo Settore" (DPCM 26 gennaio 2011, n. 51). Si tratta essenzialmente di un organismo di controllo degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, istituito con DPCM 26 settembre 2000, sotto la vigilanza del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'economia e delle finanze. Successivamente, con il DPCM 21 marzo 2001, n. 329 è stato adottato il regolamento dell'Agenzia. L'Agenzia è un organo collegiale costituito dal presidente e da dieci componenti, nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di cui tre nominati su proposta, rispettivamente del Ministro delle finanze, del Ministro del lavoro e della previdenza sociale e del Ministro per la solidarietà sociale e uno nominato su proposta della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome. Il presidente è scelto tra persone di notoria indipendenza, che abbiano ricoperto incarichi istituzionali di responsabilità e rilievo. I dieci componenti sono scelti tra persone alle quali siano riconosciute elevate competenze ed esperienza professionale nelle discipline economico-finanziarie o nel settore di attività degli enti ed organizzazioni controllati. Tutti i componenti durano in carica cinque anni e non possono essere confermati.
Compito dell'Authority è garantire, anche con emissione di pareri obbligatori e vincolanti, l'uniforme applicazione della normativa sui requisiti soggettivi e sull'ambito di operatività degli enti non profit. L'Authority è investita dei più ampi poteri di indirizzo, promozione e ispezione, al fine di assicurare l'osservanza della disciplina legislativa e regolamentare in materia di terzo settore; essa, inoltre, può irrogare sanzioni a fronte delle violazione alle disposizioni contenute nella normativa fiscale del terzo settore. Ha, altresì, il compito di assicurare la tutela da abusi da parte di enti che svolgono attività di raccolta di fondi e di sollecitazione della fede pubblica attraverso l'impiego dei mezzi di comunicazione. L'Authority può formulare proposte di modifica della normativa vigente ed è tenuta inoltre a presentare al Parlamento apposita relazione annuale.
Con l'articolo 8, comma 23 del D.L. 16/2012, convertito con legge 26 aprile 2012, n. 44l'Authority è stata soppressa, con assegnazione delle sue competenze al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Gli istituti di patronato e di assistenza sociale - legge 30 marzo 2001, n. 152
Con la legge 30 marzo 2001, n. 152, recante la nuova disciplina per gli istituti di patronato e di assistenza sociale, sono state riordinate e innovate le norme che disciplinano il riconoscimento e il funzionamento di tali istituti. Finalità essenziale della citata legge è quella di riunificare la normativa vigente in materia di compiti e finanziamento degli istituti di patronato e di assistenza sociale, recependo contestualmente istanze e indicazioni per il superamento delle difficoltà applicative fino ad allora emerse. I punti qualificanti della riforma possono essere così individuati:
La legge, agevolando la costituzione dei patronati (che, come è noto, sono emanazione delle associazioni sindacali), dando loro certezza sui tempi di erogazione dei finanziamenti pubblici ed estendendone l'ambito di attività a materie diverse da quelle tradizionali di assistenza in materia previdenziale, si inserisce in un filone normativo che negli anni passati ha progressivamente attribuito ai sindacati ed alle associazioni ad essi collegate compiti sempre più estesi di assistenza al cittadino, nei rapporti con la P.A. ed anche in ambiti più vasti.
Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza (IPAB) – D.Lgs. 4 maggio 2001, n. 207
La legge 8 novembre 2000, n. 328 sull'integrazione degli interventi sociali, all'articolo 10, prevede una norma di delega per il riordino delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza (IPAB) nel quadro della realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. A norma della delega, è stato emanato il D. Lgs. 4 maggio 2001, n. 207 per cui:
Il volontariato di protezione civile - legge 24 febbraio 1992, n. 225
La legge 24 febbraio 1992, n. 225, istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile, riconosce espressamente anche alle organizzazioni di volontariato il ruolo di "struttura operativa nazionale" (art. 11), ossia di parte integrante del sistema pubblico, alla stregua delle altre componenti istituzionali, come il Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, le Forze Armate, le Forze di Polizia, il Corpo forestale dello Stato. L'articolo 18 della medesima legge dispone che "il Servizio nazionale della protezione civile assicura la più ampia partecipazione dei cittadini, delle organizzazioni di volontariato di protezione civile all'attività di previsione, prevenzione e soccorso, in vista o in occasione di calamità naturali, catastrofi o eventi di cui alla presente legge" e che, a tal fine, "il Servizio riconosce e stimola le iniziative di volontariato civile e ne assicura il coordinamento". Le organizzazioni di volontariato che intendono collaborare nel sistema pubblico di protezione civile, si iscrivono in appositi albi o registri, regionali e nazionali, secondo quanto previsto dal DPR 8 febbraio 2001, n. 194 (Regolamento recante nuova disciplina della partecipazione delle organizzazioni di volontariato alle attività di protezione civile), presso il Dipartimento della protezione civile. Si ricorda, infine, che, sebbene l'opera del volontariato sia assolutamente gratuita, l'art. 9 del citato DPR provvede a tutelare i volontari lavoratori che, in caso di impiego nelle attività di protezione civile, hanno diritto al mantenimento del posto di lavoro e del trattamento economico-previdenziale, che viene rimborsato dallo Stato al datore di lavoro.
Il Servizio civile nazionale - legge 6 marzo 2001, n. 64 e decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77
Il Servizio civile ha origine come attività alternativa per gli obiettori di coscienza, ossia coloro che, per motivi religiosi o etici, rifiutano di prestare il servizio militare obbligatorio. Il sistema di reclutamento militare italiano è ormai passato dalla leva obbligatoria al servizio su base volontaria. Il processo di professionalizzazione delle Forze armate è stato avviato dalla legge 14 novembre 2000, n. 331 e dal decreto legislativo n. 215/2001. La legge 23 agosto 2004, n. 226 ha anticipato la sospensione delle chiamate per il servizio di leva, originariamente prevista a decorrere dal 1° gennaio 2007, al 1° gennaio 2005. Tuttavia, il servizio civile non è scomparso, ma è ormai composto esclusivamente da volontari, interessati a forme di impegno solidaristico. Infatti, la legge 6 marzo 2001, n. 64 (Istituzione del servizio civile nazionale) ha aperto il servizio civile ai volontari, in previsione del successivo assetto dell'istituto. La disciplina del Servizio civile nazionale è contenuta principalmente nel decreto legislativo n. 77 del 2002 (Disciplina del Servizio civile nazionale a norma dell'articolo 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64) che, dando attuazione alla delega recata dalla legge n. 64 del 2001, ha definito in particolare:
Ai sensi delIa legge delega, il Servizio civile nazionale è finalizzato a:
I volontari che prestano servizio civile aderiscono a progetti di impiego specifici predisposti da enti ed organizzazioni, pubblici e privati, che, tenendo conto del fine istitutivo del Servizio civile nazionale sopra citato, prevedono attività riconducibili a quattro ambiti di intervento:
Il Servizio civile dura un anno ed è riservato ai giovani, senza distinzione di sesso, tra i 18 e i 28 anni di età. Tra i requisiti richiesti, si segnalano la cittadinanza italiana, l'idoneità fisica, l'assenza di condanne penali, la non appartenenza ai corpi militari o alle forze di polizia. Il decreto legge 181 del 2006 (Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri), convertito dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, ha trasferito al Ministero del lavoro e delle politiche sociali le funzioni in materia di Servizio civile nazionale. L'Ufficio nazionale per il servizio civile cura l'organizzazione, l'attuazione e lo svolgimento, nonché la programmazione, l'indirizzo, il coordinamento ed il controllo del Servizio civile nazionale, elaborando le direttive ed individuando gli obiettivi degli interventi per il servizio civile. Presso l'UNSC opera la Consulta nazionale per il servizio civile che esprime pareri sui criteri e sull'organizzazione del servizio.
Legge quadro per la realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali - legge 8 novembre 2000, n. 328
La legge n. 328 del 2000 è diretta a superare la logica dei provvedimenti "settoriali", rivolti cioè a specifiche categorie di soggetti bisognosi (quali disabili, anziani non autosufficienti, persone senza fissa dimora), configurando un sistema integrato di servizi sociali, nel cui ambito confluiscono gli interventi di tutti i soggetti istituzionali, al fine di ridurre il disagio derivante dall'inadeguatezza del reddito, da difficoltà sociali e da condizioni di non autonomia. La realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali si avvale in tale senso delle competenze dei diversi "livelli di governo" - enti locali, regioni e Stato. La riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione, che ha assegnato allo Stato la sola potestà legislativa dei principi riguardanti la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali, e quindi assegnando alle regioni le restanti competenze non ha tuttavia determinato il superamento della legge n. 328 del 2000 che vede, in particolare, nel ruolo svolto dai Comuni per l'erogazione delle prestazioni sociali sul territorio conferma la sua validità normativa. Il sistema integrato degli interventi e servizi sociali punta alla realizzazione di progetti personalizzati, nei quali le misure di sostegno economico si affiancano a servizi di supporto alla persona come, ad esempio, interventi a favore degli anziani bisognosi di assistenza, in modo da assicurare a tali soggetti la possibilità di vivere dignitosamente a domicilio e all'interno del nucleo familiare. La riforma prevede anche l'adozione di una carta dei servizi sociali, da parte degli enti e delle strutture che erogano i servizi medesimi, nella quale siano indicati i criteri per l'accesso e le modalità di funzionamento. Altro utile strumento volto ad assicurare la conoscenza dei bisogni è il sistema informativo dei servizi sociali, che lo Stato, le regioni, le province e i comuni sono tenuti ad istituire. La legge prevede altresì diverse disposizioni per il coinvolgimento pieno, secondo il cosiddetto "principio di sussidiarietà orizzontale", dei soggetti pubblici e privati e, in particolare di quelli del privato sociale: organizzazioni non lucrative di utilità sociale, fondazioni, associazioni, cooperative sociali, organismi di volontariato. In particolare, l'articolo 1 della citata legge quadro prevede che gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell'ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (comma 4). Lo stesso articolo stabilisce che alla gestione ed all'offerta dei servizi provvedono, oltre ai soggetti pubblici, anche organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi. Tra gli scopi del sistema integrato di interventi e servizi sociali, è inclusa, altresì, la promozione della solidarietà sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata (comma 5). In tale prospettiva, la legge promuove, altresì, la partecipazione attiva dei cittadini, il contributo delle organizzazioni sindacali, delle associazioni sociali e di tutela degli utenti (comma 6). Particolarmente rilevanti sono le disposizioni di cui all'articolo 5 della legge, concernenti il ruolo del terzo settore. Al comma 1, si stabilisce che, proprio per favorire l'attuazione del principio di sussidiarietà, gli enti locali, le regioni e lo Stato promuovono azioni per il sostegno e la qualificazione dei soggetti operanti nel terzo settore, anche attraverso politiche formative ed interventi per l'accesso agevolato al credito e ai fondi dell'Unione europea. Ai fini dell'affidamento dei servizi, gli enti pubblici promuovono azioni per favorire la trasparenza e la semplificazione amministrativa nonché il ricorso a forme negoziali che consentano ai soggetti operanti nel terzo settore la piena espressione della propria progettualità (comma 2). Le regioni adottano, sulla base di un atto di indirizzo e coordinamento del Governo, specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra enti locali e terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona (comma 3). Si ricorda che in materia è stato adottato il D.P.C.M. 30 marzo 2001 (Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona ai sensi dell'art. 5 della L. 8 novembre 2000, n. 328). Le regioni disciplinano altresì, sulla base dei princìpi della presente legge e dei predetti indirizzi, le modalità per valorizzare l'apporto del volontariato nell'erogazione dei servizi (comma 4). Ai fini della partecipazione dei privati alla rete dei servizi sociali territoriali, sono previste procedure di autorizzazione e di accreditamento. Si tratta, in particolare, dell'autorizzazione ed accreditamento dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 5.. L'autorizzazione e l'accreditamento spettano ai Comuni, sulla base della disciplina stabilita dalle leggi regionali (articoli 6 e 11). La legge n. 328 del 2000 stabilisce che, al fine di realizzare le rete integrata dei servizi sociali, gli enti locali, le regioni e lo Stato procedono alla programmazione degli interventi e delle risorse. Ai sensi dell'articolo 3, tale programmazione richiede, tra l'altro, la concertazione e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali e i soggetti di cui al citato articolo 1, comma 4, che partecipano con proprie risorse alla realizzazione della rete (articolo 3, comma 2, lettera b)).
La programmazione si fonda sull'elaborazione di un piano nazionale, di piani regionali e di piani di zona (di competenza dei Comuni). Il piano nazionale (articolo 18) definisce: le caratteristiche ed i requisiti delle prestazioni sociali comprese nei livelli essenziali; le priorità di intervento; le modalità di attuazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali; gli indirizzi per la diffusione dei servizi di informazione al cittadino e alle famiglie; gli indirizzi per le sperimentazioni innovative; i criteri generali per la disciplina del concorso al costo dei servizi sociali da parte degli utenti; gli indirizzi ed i criteri generali per la concessione dei prestiti sull'onore; gli indirizzi per la predisposizione di interventi e servizi sociali per le persone anziane non autosufficienti e per i soggetti disabili; gli indirizzi relativi alla formazione e all'aggiornamento del personale; i finanziamenti relativi a ciascun anno di vigenza del Piano nazionale; gli indirizzi per la predisposizione di programmi integrati rivolti ai minori, ai giovani e agli anziani, per il sostegno alle responsabilità familiari, anche in riferimento all'obbligo scolastico, per l'inserimento sociale delle persone con disabilità e limitazione dell'autonomia fisica e psichica, per l'integrazione degli immigrati, nonché per la prevenzione, il recupero e il reinserimento dei tossicodipendenti e degli alcoldipendenti. In relazione alle indicazioni del piano nazionale ed attuando forme di intesa con i comuni interessati, le regioni provvedono ad elaborare i piani regionali. Il piano di zona (articolo 19), predisposto dai Comuni, disegna il sistema integrato degli interventi e servizi sociali, individuando, tra l'altro, gli obiettivi strategici, le priorità di intervento, gli strumenti per la relativa realizzazione, le modalità organizzative, le risorse finanziarie, strutturali e professionali, i requisiti di qualità, le modalità di integrazione tra servizi e prestazioni e le forme di coordinamento con gli organi periferici delle amministrazioni statali.
Il piano di zona, secondo l'articolo 19, comma 1, individua, tra l'altro, le modalità per la collaborazione dei servizi territoriali con i soggetti operanti nell'ambito della solidarietà sociale a livello locale e con le altre risorse della comunità (lettera f), nonché le forme di concertazione con l'azienda sanitaria locale e con i soggetti di cui al citato articolo 1, comma 4 (lettera g). L'articolo 8, comma 2, prevede, poi, che, al fine di garantire il costante adeguamento alle esigenze delle comunità locali, le Regioni programmano gli interventi sociali, promuovendo modalità di collaborazione con gli enti locali, procedure di concertazione, anche permanenti, per dare luogo a forme di cooperazione, e consultano i soggetti di cui ai richiamati articoli 1 (commi 5 e 6) e 10. I Comuni effettuano, inoltre, forme di consultazione con i soggetti del terzo settore (ossia i soggetti di cui all'articolo 1, commi 5 e 6), anche al fine di valutare la qualità e l'efficacia dei servizi e di formulare proposte ai fini della predisposizione dei programmi (articolo 6, comma 3, lettera d)). Analogamente, i Comuni provvedono, con il coinvolgimento dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 5, alla programmazione, alla progettazione e realizzazione del sistema locale dei servizi sociali, nonché all'indicazione delle priorità e dei settori di innovazione, attraverso la concertazione delle risorse umane e finanziarie locali (articolo 6, comma 2, lettera a)). In materia di interventi urgenti per le situazioni di povertà estrema, si ricorda, infine, che l'articolo 28 della legge n. 328 del 2000 contempla la possibilità delle organizzazioni di volontariato e degli organismi non lucrativi di utilità sociale nonché delle IPAB di presentare alle regioni progetti concernenti la realizzazione di centri e di servizi di pronta accoglienza, interventi socio-sanitari, servizi per l'accompagnamento e il reinserimento sociale.
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