Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione straniera
Titolo: Le misure di contrasto al fenomeno del mobbing e alle molestie sessuali sul luogo di lavoro nei principali paesi europei
Serie: Appunti    Numero: 108
Data: 29/06/2017

Camera dei deputati

XVII Legislatura

 

BIBLIOTECA – LEGISLAZIONE STRANIERA

 

A P P U N T I

 

Appunto 22/2017                                                                                       29 giugno 2017

Le misure di contrasto al fenomeno del mobbing e alle molestie sessuali sul luogo di lavoro nei principali paesi europei

Francia

1.   Mobbing

Le disposizioni volte a combattere il fenomeno del mobbing sono contenute nel capitolo IV del Titolo II della Loi n. 2002-73 du 17 janvier 2002 de modernisation sociale (artt. 168-180). In primo luogo l’harcèlement moral au travail (così è chiamato in Francia il mobbing nei luoghi di lavoro) viene definito come comportamento ripetuto che ha per oggetto o per effetto una degradazione delle condizioni di lavoro della vittima, suscettibile di attentare ai suoi diritti e alla sua dignità, di alterare la sua salute psichica o mentale, o di compromettere il suo avvenire professionale.

La legge contiene, poi, tutta una serie di disposizioni che mirano a favorire la prevenzione del fenomeno mobbing nei luoghi di lavoro attraverso l’informazione tra i vari attori delle relazioni lavorative (datori di lavoro e vertici aziendali, lavoratori, sindacati), l’attivazione di procedure di conciliazione interne, l’estensione del concetto di salute del lavoratore anche agli aspetti psichici e psicologici della personalità, la previsione di un obbligo generale in capo al datore di lavoro di vigilare sul corretto svolgimento delle relazioni sociali nei luoghi di lavoro e di adottare le misure, anche di tipo disciplinare, che prevengano comportamenti vessatori ai danni dei lavoratori.

La protezione delle vittime si attua attraverso il divieto di licenziamento di colui che ha subito o rifiutato di subire azioni di mobbing, ma anche di chi ha denunciato il comportamento illecito che ha colpito un suo collega (art L1152-2 del codice del lavoro) e, in caso di azione legale, con l’attribuzione dell’onere della prova al convenuto (art. L.1154-1) e la possibilità per le organizzazioni sindacali di agire in giudizio su mandato dei lavoratori (art. L1154-2).

La legge prevede, inoltre, l’introduzione di una specifica figura di reato relativa al mobbing , tramite l’inserimento nel codice penale di una sezione intitolata all’harcèlement moral e, in particolare, dell’art. 222-33-2, che sanziona “il fatto di molestare un’altra persona attraverso intenzioni o comportamenti ripetuti aventi per oggetto o per effetto una degradazione delle condizioni di lavoro suscettibili di ledere i suoi diritti e la sua dignità, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale”.

Il reato è punito con 2 anni di reclusione e un’ammenda di 30.000 euro (pena raddoppiata in seguito ad una modifica della norma apportata dalla legge del 2012 sulle molestie sessuali).

 

2.  Molestie sessuali

Nel 2012, con la Loi n. 2012-954 du 6 août 2012 relative au harcèlement sexuel, è stata introdotta in Francia una nuova definizione del reato di molestie sessuali (harcèlement sexuel) e nuove misure per combattere il fenomeno della discriminazione nei luoghi di lavoro, anche in ragione dell’identità sessuale della parte lesa.

Con riferimento al primo aspetto, l’art. 1 della legge dispone una riformulazione dell’art. 222-33 del Codice penale (d’ora in avanti CP): una modifica resasi necessaria dopo che il Conseil Constitutionnel ne aveva stabilito l’abrogazione con la sentenza n. 240 del 4 maggio 2012 (Décision n. 2012-240 QPC du 4 mai 2012). Nella sentenza l’alta corte aveva dichiarato contrario alla Costituzione tale articolo perché disciplinava in modo impreciso gli elementi costitutivi del reato di molestie sessuali. A seguito della pronuncia della Corte sono state poi presentate in Senato sette proposte di legge recanti una riformulazione dell’articolo del codice in oggetto ed è stato costituito un gruppo di lavoro per esaminare la questione e svolgere audizioni di personalità esperte nell’ambito della lotta contro le molestie sessuali. Nel giugno 2012, il nuovo Governo Ayrault ha poi presentato un progetto di legge in materia che è stato successivamente approvato dalle due Camere.

Il nuovo art. 222-33 del CP introdotto dalla legge del 2012 stabilisce che una persona possa essere accusata di aver commesso il reato di molestie sessuali se sussistono due diverse situazioni: sia se il reo impone in maniera ripetuta alla vittima “proposte o comportamenti di natura sessuale” che ne possano offendere la dignità o essere percepiti come intimidatori, ostili ed offensivi; sia se esercita una forma di pressione grave sulla stessa, anche in maniera non reiterata, al fine di ottenere un atto di natura sessuale, a vantaggio proprio o di un terzo. Il reato può essere punito fino a due anni di detenzione e a 30.000 euro di ammenda. In caso di circostanze aggravanti la pena è ampliata fino a tre anni di detenzione e a 45.000 euro di ammenda.

L’art. 3 dispone l’introduzione dell’art. 225-1-1 del CP con cui è stabilito che costituisce una discriminazione ogni disparità di trattamento operata nei confronti di una persona per il fatto che questa abbia subito o si sia rifiutata di subire un atto di molestia sessuale. La discriminazione sussiste anche se è operata tale disparità di trattamento nei confronti di una persona, diversa dalla vittima, che ha testimoniato contro un’altra persona sospettata di aver commesso atti di molestie sessuali.

L’art. 7 dispone modifiche al Codice del lavoro (Code du travail), introducendo il divieto del reato di molestie sessuali. In particolare il nuovo art. L1153-1 del Codice del lavoro stabilisce che nessun lavoratore dipendente deve subire atti di molestie sessuali, quali sono definiti nel nuovo art. 222-33 del Codice penale; il nuovo art. L1153-2 stabilisce che nessun dipendente, così come nessuna persona che segue un percorso di formazione o uno stage o è candidato ad un posto di lavoro possa essere “sanzionato, licenziato o essere oggetto di una misura discriminatoria, diretta o indiretta, in particolare in materia di retribuzione, formazione, ricollocazione, attribuzione di un incarico, di qualifica, di classificazione, di promozione professionale, di variazione o rinnovo di contratto, per aver subito o rifiutato di subire fatti di molestie sessuali, quali sono definiti all’art L1153-1 [del Codice del lavoro] …”; il nuovo art. L1153-3 dispone che nessun dipendente, o persona che segue un percorso di formazione o uno stage possa essere discriminata per aver testimoniato o riferito fatti di molestie sessuali.

Infine, l’art. 8 reca modifiche all’art. 6 ter della Loi n. 83-634 du 13 juillet 1983 portant droits et obligations des fonctionnaires, stabilendo che nessun funzionario debba subire atti di molestie sessuali.

 

Germania

1.   Mobbing

L’ordinamento tedesco non prevede alcuna specifica normativa a difesa delle vittime di mobbing. Al lavoratore vittima di condotte mobbizzanti viene comunque garantita tutela giuridica attraverso l’applicazione di normative di carattere generale poste a garanzia della salute e sicurezza dei lavoratori. Al riguardo si segnalano, in particolare, alcune norme contenute nella Legge fondamentale (Grundgesetz) e nel codice civile (Burgerliches Gesetzbuch).

Tra i diritti fondamentali dell’individuo elencati nella Legge fondamentale, i seguenti articoli costituiscono la base giuridica per la tutela di ogni lavoratore molestato:

·         “La dignità dell'uomo è inviolabile. Rispettarla e proteggerla è dovere di ogni Stato”. […] (art. 1, comma 1);

·         “Tutti hanno diritto di esprimere liberamente la propria personalità, purché non violino i diritti altrui e non siano contrari alle regole del buon costume e dell'ordine pubblico” (art. 2, comma 1);

·         “Tutti hanno diritto alla vita e all'incolumità fisica. La libertà della persona è inviolabile” (art. 2, comma 2);

·         “Tutti sono uguali davanti alla legge. Agli uomini e alle donne sono riconosciuti uguali diritti” (art. 3, comma 1);

·         “Nessuno può essere privilegiato o danneggiato per sesso, origine, razza, lingua, opinioni politiche e religiose. Nessuno può essere svantaggiato sulla base di impedimenti fisici” (art. 3, comma 2).

Un principio fondamentale in materia è stabilito dal codice civile (Burgerliches Gesetzbuch) del 1896, il cui § 618 prevede che "il creditore ha l'obbligo di predisporre le condizioni affinché il debitore sia protetto contro i pericoli per la vita e la salute nella misura in cui lo consenta la misura della prestazione": una previsione che, nei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro, impone a quest’ultimo di adottare ogni misura necessaria per garantire la sicurezza e l’incolumità del prestatore nei luoghi di lavoro.

Il principio contenuto nel codice civile Burgerliches Gesetzbuch è stato ribadito cento anni dopo la sua approvazione dalla Legge sulla protezione dei lavoratori (Arbeitsschutzgesetz), del 7 agosto 1996, che affronta indirettamente la questione del mobbing laddove si occupa dei difetti organizzativi del lavoro, delle manchevolezze nella conduzione aziendale e dei complessi rapporti sociali, che possono essere alla base dei danni alla salute e, quindi, anche del mobbing.

Una tutela più specifica contro le situazioni di mobbing sul luogo di lavoro viene assicurata da più specifiche normative federali, quali la Legge sull’ordinamento aziendale Betriebsverfassungsgesetz - BetrVG) e la Legge federale sulla rappresentanza del personale (Bundespersonalvertretungsgesetz - BpersVG), le cui misure introducono per lo più forme di cura ed assistenza preventiva contro il mobbing.

Il § 75 BetrVG e il § 67 BpersVG stabiliscono che il datore di lavoro ed il Consiglio d'azienda (Betriebsrat) sono tenuti a tutelare e a promuovere la libera espressione della personalità dei dipendenti dell'azienda. In particolare è previsto che il Consiglio d'azienda e i datori di lavoro siano obbligati a tenere colloqui mensili e ad attivare eventuali procedure di conciliazione all’interno dell’azienda (§ 74 BetrVG).

Il § 80 BetrVG attribuisce, poi, al Consiglio d’azienda il compito di proporre al datore di lavoro le misure che possano servire all'azienda e alla comunità; misure che il datore di lavoro è obbligato ad adottare.

Il § 68 BpersVG, inoltre, riconosce alla Rappresentanza del personale (Personalvertretung):

·      la facoltà di richiedere misure in favore dell’ufficio e dei suoi appartenenti;

·      la sorveglianza sulla corretta applicazione delle normative in materia;

·      la presa in considerazione delle lamentele dei dipendenti e, qualora queste si rivelino fondate, la loro trasmissione al capo dell’ufficio;

·      la promozione della parità di genere nell’ambito della crescita professionale.

Contro il mobbing si può comunque richiamare anche la responsabilità contrattuale del datore di lavoro per inadempienze del contratto di lavoro.

Degno di menzione è, infine, il disposto del § 104 del BetrVG che prevede che il Consiglio d'azienda possa pretendere l'allontanamento o anche il licenziamento del lavoratore che abbia disturbato la pace aziendale ripetutamente e volontariamente. Si tratta di una previsione assai efficace nei casi di mobbing c.d. orizzontale in cui l’attività molesta è esercitata da colleghi di lavoro. Il Consiglio d’azienda, accertato che la causa dei turbamenti alla quiete lavorativa è da imputare al comportamento vessatorio di uno o più lavoratori, potrà in tal caso deciderne il licenziamento.

Per il lavoratore tedesco “mobbizzato” si apre, in alcuni casi, anche la via della tutela penale, qualora la condotta vessatoria rivesta i caratteri di un vero e proprio reato quali le lesioni personali sanzionate dal § 223 del codice penale (Strafgesetzbuch - StGB) l’ingiuria e l’oltraggio (§ 185 StGB), il discredito (§ 186 StGB), la diffamazione (§ 187 StGB) oppure la violenza privata (§ 240 StGB). In questi casi il lavoratore dovrà presentare un’apposita denuncia alla polizia o al tribunale di prima istanza oppure la querela per l’attivazione del procedimento penale.

Nel § 12, commi 1 e 2, della Legge generale sulla parità di trattamento (Allgemeine Gleichbehandlungsgesetz - AGG), meglio nota come Legge antidiscriminazione (Antidiskriminierungsgesetz), si stabilisce che laddove il lavoratore sia discriminato da parte di terzi contro lo svolgimento della sua professione, il datore di lavoro dovrà adottare le misure adeguate, necessarie e opportune, adatte per un determinato caso, per proteggere il lavoratore in questione.

 

2.  Molestie sessuali

In Germania la disciplina dei reati e delle molestie sessuali si rinviene in più atti normativi.

Le principali disposizioni in materia di reati sessuali sono contenute nei §§ 174 e ss. del codice penale (Strafgesetzbuch – StGB), all’interno della sezione intitolata “Reati contro l’autodeterminazione sessuale”[1]. AL riguardo va segnalato che la “Cinquantesima legge di modifica del Codice penale - Potenziamento della tutela della libertà sessuale” (Fünfzigstes Gesetz zur Änderung des Strafgesetzbuches - Verbesserung des Schutzes der sexuellen Selbstbestimmung), in vigore dal 10 novembre 2016, ha inasprito le sanzioni contro lo stupro e gli altri reati sessuali.

Il nuovo § 177[2] del Codice penale, in precedenza intitolato “Costrizione sessuale; stupro” (“Sexuelle Nötigung; Vergewaltigung”) è stato ridenominato “Aggressione sessuale; costrizione sessuale; stupro” (“Sexueller Übergriff; sexuelle Nötigung; Vergewaltigung”), includendo, in tal modo, ogni tipo di aggressione o abuso sessuale. Il nuovo articolo rafforza il principio “no significa no” (“Nein heißt Nein”), stabilendo, al comma 1, la punibilità degli atti sessuali “meramente dissensuali”, cioè commessi “contro la volontà riconoscibile” della vittima, senza necessità di violenza, minaccia grave ecc.

La legge introduce, altresì, una nuova fattispecie criminosa di “molestie sessuali” (Sexuelle Belästigung - § 184i StGB), secondo la quale “chiunque tocchi fisicamente un’altra persona in modo da molestarlo da punto di vista sessuale, è punito con la reclusione fino a due anni o con una pena pecuniaria, qualora non rientri in altre fattispecie più gravi di reato” (comma 1). In casi particolarmente gravi, come quello in cui la molestia viene compiuta da più persone, la pena va da tre mesi fino a cinque anni di reclusione (comma 2).

Al riguardo, la norma non tiene conto – mediante apposita fattispecie aggravata, e salva la possibile applicazione dei “casi di particolare gravità” di cui al § 184i, comma 2 – del fenomeno delle molestie sessuali sui luoghi di lavoro. Nella riforma, dunque, non vi è un’autonoma considerazione delle molestie sessuali sui luoghi di lavoro.

Alla norma suddetta è stata affiancata un'ulteriore disposizione denominata “Reati di gruppo” (Straftaten aus Gruppen - § 184j), che mira a estendere la punibilità di quanti partecipano a gruppi “che inducano taluno alla commissione di un reato sessuale”.

Con la riforma del § 177 del Codice penale sono stati, inoltre, tipizzati nuovi reati di aggressione sessuale mediante minaccia (contemplando altresì una seconda tipologia di “costrizione ambientale”) e, soprattutto, è stato introdotto nella medesima disposizione il reato di “atti sessuali repentini”, ossia perpetrati sfruttando “un momento di sorpresa” (“ein Überraschungsmoment”) (§ 177, comma 2, StGB).

In secondo luogo, le molestie sessuali sono disciplinate dalla già citata Legge generale sulla parità di trattamento (Allgemeine Gleichbehandlungsgesetz - AGG), che ha abrogato la precedente legge sulla tutela dei lavoratori (Beschaftigtenschutzgesetz) in vigore dal 1994 al 2006. Quest’ultimo provvedimento prevedeva che, qualora le molestie patite dal lavoratore avessero avuto una connotazione a sfondo sessuale, il datore di lavoro e i dirigenti avrebbero dovuto tutelare i dipendenti da molestie sessuali nel luogo di lavoro, adottando anche misure preventive. Molestia sessuale era ogni comportamento a connotazione sessuale che ledesse la dignità dei dipendenti sul lavoro e comprendeva: 1) comportamenti sanzionati dal codice penale; 2) comportamenti a carattere sessuale chiaramente respinti dalla persona molestata. La molestia costituiva una violazione degli obblighi contrattuali, nonché un illecito disciplinare.

La Legge generale sulla parità di trattamento introduce, al § 3, commi 3 e 4, una nuova definizione giuridica delle molestie e delle molestie sessuali, che copre anche la violenza (compresa quella commessa da terzi, in conformità al § 12, comma 4, AGG).

In base al § 3, la molestia è da considerarsi una discriminazione in quanto comportamento indesiderato, se ha luogo con lo scopo e l’effetto di violare la dignità della persona interessata e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Inoltre, analogamente alle disposizioni contenute nella legge abrogata nel 2006, il § 12 prevede l’obbligo del datore di lavoro di adottare tutte le misure volte a tutelare i propri lavoratori dalle discriminazioni sul posto di lavoro, quindi anche quelle sessuali. Quest’obbligo ricomprende anche le misure preventive, così come erano previste dalla legge abrogata. Infine, la legge stabilisce l’obbligo per il datore di lavoro di adottare misure di tutela nei confronti dei propri lavoratori, qualora si verifichino discriminazioni da parte dei soggetti terzi.

 

Regno Unito

1.      Mobbing

La legislazione del Regno Unito dell’ultimo cinquantennio (a far data dal Race Relations Act 1965) si è caratterizzata per lo stratificarsi di testi normativi che, talora in trasposizione delle direttive adottate in materia dall’Unione Europea, hanno perseguito la tutela dell’eguaglianza e delle pari opportunità dei lavoratori in particolari settori oppure in relazione a specifiche forme di discriminazione.

Punto di approdo di questa evoluzione legislativa è stata, nel 2010, l’introduzione di una legge unitaria e di portata generale (Equality Act 2010) le cui disposizioni, di uniforme applicazione, vietano le pratiche discriminatorie o vessatorie nei diversi contesti della vita sociale, incluso l’ambiente di lavoro (oggetto della parte quinta del testo normativo). La legge del 2010, pertanto, costituisce (anche per le “azioni positive” di cui essa prescrive l’adozione nel settore pubblico: sec. 149Public Sector Equality Duty”) il principale riferimento normativo relativamente al divieto e alla sanzione delle condotte discriminatorie poste in essere dal datore o dal superiore gerarchico nei confronti del lavoratore attraverso comportamenti di tipo prevaricatorio, suscettibili di determinare effetti lesivi dell’equilibrio psicofisico e della personalità del dipendente in conseguenza della sua mortificazione morale e della sua emarginazione.

I comportamenti nei quali può sostanziarsi la condotta vietata, e in particolare le forme di discriminazione nei rapporti di lavoro (workplace bullyism and harassment), sono individuati dalla legge con formule ampie. Il bullying, in particolare, è definito come “il comportamento ostile, intimidatorio, malevolo e offensivo, un uso od abuso di autorità attraverso modalità che insidiano, umiliano, denigrano o ingiuriano il destinatario”. Per altro verso, costituisce harassement nei confronti del lavoratore “il contegno non desiderato riferito ad una rilevante caratteristica tutelata, avente lo scopo o l’effetto di ledere la dignità dell’individuo o di creare un ambiente per lui intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”. Il trattamento discriminatorio, in entrambi i casi, può aver luogo in forma verbale, non verbale e con ogni altro mezzo di comunicazione, oppure fisico.

Come si evince dalle rispettive definizioni normative, le fattispecie discriminatorie sono poste dalla legge in relazione ad una varietà di profili che ineriscono alle qualità soggettive della vittima, al contenuto della discriminazione e alle modalità e circostanze in cui questa si sostanzia.

In particolare, l’incidenza discriminatoria della condotta si correla a caratteristiche personali espressamente tutelate dalla legge (protected characteristics) quali l’età, la razza o l’origine etnica, il sesso (e il cambiamento di sesso), l’orientamento sessuale, la condizione di disabilità, lo stato civile (con riferimento al matrimonio o all’unione civile), la gravidanza e la maternità, il credo religioso. In questo caso, il trattamento meno favorevole riservato ad una persona in ragione della sua associazione (fondata o meno) ad una delle caratteristiche suddette integra l’ipotesi della discriminazione diretta (qualora i trattamenti diseguali non abbiano diversa giustificazione, ad esempio nella motivata preferenza del datore di lavoro di lavoratori più giovani per lo svolgimento di determinate mansioni). D’altra parte, è previsto che il trattamento discriminatorio possa fondarsi non solamente su un aspetto soggettivo della persona, ma sulla combinazione di sue caratteristiche personali (combined discrimination), così da consentire più agevolmente la prova del complessivo trattamento subito.

La discriminazione, tuttavia, può aver luogo anche in forma indiretta, ogni volta che un determinato trattamento sia applicato in modo uniforme e indifferenziato ad una pluralità di soggetti, con l’effetto di determinare uno svantaggio per coloro che hanno caratteristiche personali tutelate dalla legge.

Come già accennato, ulteriori pratiche discriminatorie contemplate dalla legge sono le molestie (harassment), determinate da comportamenti adottati verso il lavoratore che ne ledano la dignità in relazione ad una delle sue caratteristiche personali oppure alimentino un clima per lui offensivo nell’ambiente di lavoro; a queste si aggiunge la vittimizzazione, consistente nel trattamento ritorsivo posto in essere nei confronti del lavoratore che abbia fatto reclamo per discriminazioni precedentemente subite.

La legge del 2010 ha dunque tipizzato, seppure mediante clausole generali, le forme di discriminazione di cui può essere bersaglio il lavoratore in relazione a determinati caratteri della sua sfera personale. Tra i molti documenti in cui può rinvenirsi una casistica esemplificativa dei comportamemti illegittimi, può segnalarsi la guida illustrativa resa disponibile dallo Advisory, Conciliation and Arbitration Service (ACAS), agenzia pubblica (così denominata dal 1975) preposta alla mediazione e all’arbitrato delle controversie di lavoro e dotata altresì di compiti di informazione generale e di assistenza procedurale mediante la prestazione dei relativi servizi ai datori di lavoro e ai lavoratori.

Il reclamo può essere inizialmente rivolto dall’interessato al datore di lavoro in modo informale (grievance procedure), oppure – in caso di mancato accordo – dando impulso all’attivazione delle procedure di mediazione e di risoluzione delle controversie presso l’ACAS, dovendo il lavoratore, prima di poter adire la via giurisdizionale, notificare a questa agenzia il proprio reclamo ed esperirvi un tentativo conciliatorio sommario (Early Conciliation). Qualora la mediazione non vada a buon fine, egli può depositare ricorso (entro tre mesi) dinanzi all’Employment Tribunal competente per territorio; in tale ipotesi trovano applicazione le articolate regole procedurali recentemente illustrate dallo HM Courts & Tribunal Service (nella guida Making a claim to an Employment Tribunal, 2017).

L’accertamento del motivo discriminatorio rende illegittimi i (e comportano l’annullamento dei) provvedimenti adottati dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore, quali il licenziamento, la collocazione in esubero (redundancy), l’applicazione a lui sfavorevole (sia al momento dell’assunzione che durante il rapporto di impiego) di clausole contrattuali, condizioni salariali, trasferimenti di servizio, inquadramenti e progressioni di carriera, programmi di formazione.

 

2.     Molestie sessuali

Fatta salva l’applicabilità della legislazione vigente in materia di reati a sfondo sessuale (Sexual Offences Act 2003 e successive mofifiche), le molestie a carattere sessuale sul luogo di lavoro non sono oggetto di autonome definizioni normative, ma ricadono tra le fattispecie di discriminazione enumerate dal già richiamato Equality Act 2010, coerentemente con l’impostazione generale e unitaria della relativa disciplina.

Un tratto differenziale tra gli atti criminosi del primo genere e le molestie sessuali sul luogo di lavoro potrebbe cogliersi, da un lato, nella univoca ed oggettiva qualificazione dei primi resa dalla legge penale, e d’altro lato nella qualificazione delle seconde determinata dall’effetto che i relativi comportamenti producono su chi ne è destinatario, indipendentemente dall’intenzione di chi li mette in atto (secondo il concetto tipico della discriminazione).

Peraltro, neanche i testi normativi consolidati nella legge del 2010 (Sex Discrimination Act 1975, modificato nel 2003; Employment Rights Act 1996) contemplavano esplicitamente le molestie di tale natura (sexual harassment), tendendo a ricondurne la figura alla più generale categoria della discriminazione in base al sesso.

La condotta discriminatoria così connotata è dunque costituita “dalle avances sessuali non desiderate – attraverso il contatto fisico, lo stare troppo vicino, l’esposizione di immagini imbarazzanti, la richiesta di favori sessuali, l’adozione di decisioni sulla base dell’accettazione o del rifiuto di tali avances”.

Tale condotta può inoltre esplicarsi nell’effetto di creare un “ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”, dando luogo a “molestie ambientali” (environmental harassment, ad esempio mediante l’affissione nel luogo di lavoro di immagini non gradevoli per l’altro sesso). Ciò può comportare la responsabilità del datore di lavoro qualora egli, in almeno altre due occasioni, non abbia adottato idonee misure (di tipo reattivo ma anche “proattivo”) a tutela delle lavoratrici a fronte del ripetersi delle molestie nei loro confronti (come previsto dalle Sex Discrimination 1975 (Amendment) Regulations 2008).

 

Spagna

1.   Mobbing

In Spagna non esiste una legislazione organica relativa al mobbing, generalmente indicato come acoso laboral. Tuttavia alcune disposizioni al riguardo si rintracciano in vari testi normativi[3].

L’art. 173, primo comma, del codice penale spagnolo prevede che “chiunque infligga ad altra persona un trattamento degradante, minacciando gravemente la sua integrità morale, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”. La medesima pena è inflitta a coloro che, nell’ambito del pubblico impiego o di qualsiasi relazione di lavoro, traendo vantaggio dalla propria posizione di superiorità, commettano verso altri in modo reiterato atti ostili o umilianti, che, pur senza essere qualificati come trattamenti degradanti, costituiscano grave molestia nei confronti della vittima”.

Altri riferimenti al mobbing sono rinvenibili nella Ley 31/1995, de 8 de noviembre, de prevención de Riesgos Laborales, in relazione al profilo dei rischi lavorativi.

L’art. 4 della legge definisce come “rischio lavorativo” la possibilità che un lavoratore soffra un determinato danno derivato dal lavoro. Per qualificare un rischio dal punto di vista della gravità, si valutano congiuntamente la probabilità che si produca il danno e la severità del medesimo. Sono considerati “danni derivati dal lavoro” le malattie, le patologie o le lesioni sofferte a motivo o a causa del lavoro.

L’art. 14 prevede l’obbligo, per il datore di lavoro, di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori per tutti gli aspetti collegati al lavoro. In particolare deve prevenire i rischi lavorativi mediante l’adozione delle misure necessarie. Il datore di lavoro applica delle misure preventive allo scopo di evitare i rischi e adattare il lavoro alla persona allo scopo, tra gli altri, di diminuire il lavoro monotono e ripetitivo e ridurre gli effetti di questo sulla salute (art. 15). Quando si è prodotto un danno per la salute dei lavoratori o sussistono indizi che le misure di prevenzione risultino insufficienti, il datore è tenuto a indagare le cause che hanno prodotto tali fatti (art. 16).

Una disciplina specifica sul mobbing è stata prevista nel 2011, con riferimento alla pubblica amministrazione, mediante la Resolución de 5 de mayo de 2011, de la Secretaría de Estado para la Función Pública, por la que se aprueba y publica el Acuerdo de 6 de abril de 2011 de la Mesa General de Negociación de la Administración General del Estado sobre el Protocolo de actuación frente al acoso laboral en la Administración General del Estado. Tale atto ha tipizzato alcuni comportamenti, qualificandoli come acoso laboral (allegato II), tra i quali:

·      lasciare il lavoratore in modo continuativo privo di un’occupazione effettiva o in isolamento, senza alcuna causa che lo giustifichi;

·      ordinare l’esecuzione di un lavoro impossibile da svolgere a causa dei mezzi assegnati al lavoratore;

·      assegnare al lavoratore mansioni inutili o improduttive;

·      condurre azioni di rappresaglia nei confronti di lavoratori che abbiano presentato reclami, denunce o richieste all’organizzazione o verso coloro che li appoggiano;

·      insultare o offendere un lavoratore;

·      rimproverarlo ripetutamente dinanzi ad altre persone;

·      diffondere false voci sulla sua condotta lavorativa o sulla sua vita privata.

 

2.  Molestie sessuali

Per quanto concerne le molestie sessuali si ricorda che l’art. 184 del codice penale (Ley Orgánica 10/1995, de 23 de noviembre, del Código Penal) disciplina in maniera specifica la molestia sessuale (acoso sexual):

“Colui che richiede favori di natura sessuale, per sé o per terzi, nell’ambito di un rapporto di lavoro, docenza o prestazione di servizi, continuato o abituale, e con tale comportamento provoca alla vittima una situazione oggettiva e gravemente intimidatoria, ostile o umiliante, è punito, come autore di molestia sessuale, con la reclusione da tre a cinque mesi o con la multa da sei a dieci mesi[4] (comma 1).

“Se il colpevole ha commesso il fatto approfittando di una posizione di superiorità lavorativa, gerarchica o nell’ambito di un rapporto di docenza, o con la prospettazione espressa o tacita di causare alla vittima un danno collegato alle legittime aspettative che essa può avere nell’ambito di tale rapporto, la pena prevista è la reclusione da cinque a sette mesi o la multa da dieci a quattordici mesi” (comma 2).

“Quando la vittima sia particolarmente vulnerabile, per motivi di età, malattia o situazione, la pena è la reclusione da cinque a sette mesi o la multa da dieci a quattordici mesi, nei casi di cui al comma 1, e la reclusione da sei mesi a un anno nei casi di cui al comma 2” (comma 3).

Si segnala peraltro, oltre alla previsione penalistica, l’art. 7 della Ley Orgánica 3/2007, de 22 de marzo, para la igualdad efectiva de mujeres y hombres, relativo alle molestie sessuali o per ragioni di sesso.

La molestia sessuale (acoso sexual) comprende qualsiasi comportamento verbale o fisico di natura sessuale che abbia il proposito o produca l’effetto di attentare alla dignità di una persona, in particolare quando si crea un ambiente intimidatorio, degradante o offensivo.

Costituisce molestia per ragioni di sesso (acoso por razón de sexo) qualsiasi comportamento realizzato in funzione del sesso di una persona, con il proposito o l’effetto di attentare alla sua dignità e di creare un ambiente intimidatorio, degradante o offensivo.

Le due condotte sono considerate in ogni caso discriminatorie. Si considera altresì atto di discriminazione il condizionamento di un diritto o di un’aspettativa di diritto all’accettazione di una situazione di molestia sessuale o per ragioni di sesso.

 

 

 

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[1] Per un approfondimento sulla materia si veda: Francesco Macrì, La riforma dei reati sessuali in Germania (in “Diritto penale contemporaneo”, 24 novembre 2016).

[2] Il nuovo articolo 177 del Codice penale recita:

(1) Chiunque contro la volontà riconoscibile di un’altra persona compie sulla stessa, o fa compiere dalla stessa atti sessuali, oppure la determina a compiere o subire atti sessuali con/da una terza persona, è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni.

(2) La medesima pena si applica a chiunque compie su di un’altra persona, o fa compiere alla stessa, atti sessuali, oppure la determina a compiere o subire atti sessuali con/da una terza persona, qualora

1. l’autore approfitti di una situazione in cui tale persona non sia in grado di formare o esprimere una volontà contraria,

2. l’autore abusi di una situazione in cui la capacità di formare o esprimere la volontà dell’altra persona, a causa della condizione fisica o psichica di quest'ultima, sia fortemente limitata (presupponendo che egli abbia ottenuto il consenso della persona agli atti sessuali),

3. l’autore sfrutti un momento di sorpresa,

4. l’autore approfitti di una situazione nella quale la vittima tema di subire un male rilevante in caso di resistenza,

5. l’autore costringa la persona a compiere o subire atti sessuali mediante la minaccia di un male rilevante.

(3) Il tentativo è punibile.

(4) Si applica la pena della reclusione non inferiore ad 1 anno qualora l’incapacità di formare o esprimere la volontà derivi da una malattia o da un handicap della vittima.

(5) Si applica la reclusione non inferiore a 1 anno qualora l’autore:

1. adoperi violenza nei confronti della vittima,

2. minacci la vittima di un pericolo attuale per la vita o l’integrità fisica o

3. si approfitti di una situazione in cui la vittima è indifesa alla mercé dell’agente.

(6) Nei casi di particolare gravità si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni 2. Si versa in casi di particolare gravità, di regola, qualora

1. l’autore si congiunga carnalmente con la vittima, o compia o faccia compiere su di sé analoghi atti sessuali, tali da umiliarla in maniera particolarmente intensa e consistenti, segnatamente, in una penetrazione del corpo della vittima (stupro), oppure

2. più persone concorrano alla commissione del fatto.

(7) Si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni 3 qualora il colpevole:

1. porti con sé un’arma od un altro oggetto pericoloso,

2. tale porto sia finalizzato a impedire la resistenza di un’altra persona mediante la violenza o la minaccia della stessa, o

3. ponga la vittima, mediante la commissione del fatto, in grave pericolo di subire rilevanti danni alla salute.

Alla stessa pena soggiace chi abusa di una persona incapace di resistere (ai sensi del comma 1) in modo tale da determinarla a compiere o subire atti sessuali su o da una terza persona.

(8) Si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni cinque qualora il colpevole:

1. faccia uso, durante la commissione del fatto, di un’arma o di altro oggetto pericoloso,

2. la vittima, durante la commissione del fatto

a) subisca gravi maltrattamenti o

b) si venga a trovare in pericolo di vita.

(9) Nei casi di minore gravità previsti dai commi 1 e 2 si applica la pena della reclusione da 3 mesi a 3 anni, nei casi di minore gravità previsti dai commi 4 e 5 la reclusione da 6 mesi a 10 anni, nei casi di minore gravità previsti dai commi 7 e 8 la reclusione da 1 a 10 anni.

[3] Si veda anche “Legislación del mobbing en España”, Fontelles Advocats, ottobre 2015.

[4] Con il codice penale del 1995 è stato introdotto in Spagna il sistema dei “giorni multa” (días-multa): ogni giorno di multa può variare da un ammontare minimo di 2 a un massimo di 400 euro (per le persone giuridiche da un minimo di 30 a un massimo di 5.000 euro) e la pena può oscillare da un minimo di 10 giorni a un massimo di 2 anni (fino a 5 anni per le persone giuridiche). Spetta al giudice fissare l’importo giornaliero all’interno dei limiti indicati, tenendo conto della situazione economica del condannato, nonché determinare tempi e modi di pagamento (art. 50 del codice penale).